La ragazza dello chalet

di sayuri_88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Eccomi, faccio in fretta. Questa è la prima metà oggi ho lavorato e non ho potuto correggere il resto e ora ho i parenti che mi aspettano a tavola^^
Spero vi piaccia. Saranno otto capitoli o meno.
PS: Okay, sono le 18,45 e i parenti se ne sono andati posso organizzare meglio la presentazione^^
Bene questa si dividerà in base ai quattro mesi in cui lei lavorerà li e ogni mese è diviso in base ai loro incontri, quindi il prossimo sarà la seconda parte di Gennaio, già scritta e la posterò entro la fine del mese e a febbraio il capitolo su febbraio e così via...

Se volete parlare, chiedere qualsiasi cosa potete contattarmi sul BLOG o sulla pagnina FB
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Capitolo 1 - gennaio

1 parte

 
 
 « Le tre regole d’oro delle ragazze dello chalet. Prima regola: niente amici nello chalet. Seconda regola: feste finché vuoi, basta che la colazione sia sul tavolo alle otto in punto. Se non ti svegli, fai i bagagli. Terza regola: non si va a letto con i clienti. Salvo che non siano in forma o ricchi o che ci provino ».
    « In pratica, ci sono solo due regole ».
    « In pratica ».
 
    Chi l’avrebbe detto che sarei diventata una ragazza chalet?
    Io, Dafne Ferrari, colei che ha sempre storto il naso al passaggio delle snob della Milano bene, ora si ritrova incastrata nel loro mondo. Ma quando l'Università chiama, tu ti devi adattare a tutto per sopravvivere.   
    Ed è per questo che ho accettato al volo l’opportunità di lavorare per un’agenzia di catering. Servo champagne e cibo minuscolo ai ricchi. Wow!
    Dodici euro e cinquanta l’ora per i quali ho ingoiato tutti i miei principi e sono partita per l’Austria ventiquattro ore dopo la mia assunzione. Già, perché se non fosse stato per una ragazza che si è rotta la gamba due giorni prima dell’arrivo dei clienti, e tutte le altre ragazze erano prenotate, probabilmente non mi avrebbero preso.
    Dovete sapere che ho sempre lavorato in bar o pub, quindi non è che io non abbia esperienza, intendetemi, ma ho lavorato sempre in locali, dove nessuno, che abbia un conto in banca ben fornito, metterebbe mai piede, e nonostante la mia esperienza non volevano prendermi.
    Non sono abbastanza adorabile, non sono una ragazza 90, 60, 90 e non so qual’ è il bicchiere per il vino rosso, per il bianco o il vino per il dessert, si esiste non è una balla, per non parlare delle posate. Forchetta e coltello e cucchiaio hanno sempre fatto il loro lavoro con ogni tipo di alimento a casa mia e ovunque ho lavorato. Qui, al contrario, hanno una posata per ogni tipo di alimento, in sostanza un armamento.
    A che scopo? Per far lavorare di più i lavapiatti? Per sprecare più acqua e detersivo? Non vedo altre alternative perché sono inutili.
 
    « Di cosa ti lamenti! Cos’è un lussuoso chalet, con clienti ricchi e fighi » e sottolinea con enfasi le ultime parole « in una bella località sciistica in confronto a qui? » mi chiede retorica la mia amica Anna. La sua voce arriva distorta dal telefono, la quota a cui mi trovo è alta e il mio povero e vecchio telefono, uno dei pochi sopravvissuti  in bianco e nero che possono solo chiamare e scrivere messaggi, fatica a prendere. Così sono costretta a vagare per la casa alla ricerca del posto migliore. Al momento sono davanti alla finestra del salone che sull’impianto sciistico.   Ci siamo praticamente attaccati.
    « Sì, ma saranno tutti degli snob con la puzza sotto il naso come Carolina! »
    Carolina è una nostra vecchia compagna di liceo, figlia di un importante imprenditore del settore edile sposato con una ricca ereditiera, ed è stata il mio incubo per tutti e cinque gli anni di scuola superiore.
    Snob, con la puzza sotto il naso, sempre pronta a ostentare i suoi soldi con borse, vestiti e accessori di marca, per non parlare della cinquecento, modello Gucci, che si è fatta regalare per i suoi diciotto anni. Si credeva così superiore a tutto e tutti e i professori per poco non baciavano la terra su cui camminava. Tutto, ovviamente, per le ingenti donazioni del padre. Doveva sopperire in qualche modo all’ignoranza della figlia che altrimenti sarebbe rimasta al liceo a vita.
    « Staranno lì un weekend e poi passerà ancora del tempo prime che tornino. Hai uno chalet tutto per te! Secondo me non c’è lavoro migliore » Anna vede sempre il bicchiere mezzo pieno, sono io quella che lo vede sempre mezzo vuoto. Dovrò eseguire gli ordini di ragazzi spocchiosi e passare quattro mesi bloccata nello Chalet senza un viso amico.
    « Vedi il lato positivo. Tu ami la neve »
    « Oddio, » esclamo con ritrovato entusiasmo ricordando la distesa di neve candida e immacolata che mi aveva accolto al mio arrivo. « Devi vedere come è bianca!     Non come a Milano, in cui, dopo due secondi che tocca terra, diventa grigia e nera » ricordo con fastidio per poi ritrovare il tono entusiastico « è così candida e copre tutto. Sembra di essere in una di quelle palle di vetro con la neve » probabilmente le sembrerò una bambina quando vede i regali di Natale, ma non mi interessa.
    « Visto che non è così male? ».
    Non ho il tempo di risponderle perché qualcun altro richiama la mia attenzione.
    « Mi ha chiamato il pilota atterreranno alle cinque. Il figlio dei Modigliani arriverà con tre sui compagni di università. Dovremo andarli a prendere, quindi alle quattro devi essere pronta per partire » Lizzy entra a razzo nella camera e parla a macchinetta, senza nemmeno prendere fiato tra una parola e l’altra. Inizio a preoccuparmi che possa avere un collasso da un momento all’altro.
    Elisabetta Riva, in arte Lizzy, lavora allo chalet da anni ormai. Finito il liceo, è stata assunta dall’agenzia e da quattro lavora presso i Modigliani che da qui ai prossimi quattro mesi saranno i miei datori di lavoro.
    « Scusa, Anna, ma ti devo salutare. Ti chiamo più tardi ».
    « Okay, a dopo » e riaggancio.
    « Pilota? »
    « Sì. Cos’è non sai che cosa sia un pilota? » mi chiede come se stesse parlando a una ritardata.
    « So benissimo che cos’è un pilota » rispondo piccata. « Solo che non pensavo che le compagnie aeree informassero personalmente oggigiorno ». Ci credete che non ho mai preso un aereo in vita mia?
    Lizzy mi lancia un’occhiata come se stesse guardando una matta. Okay, basta, ora posso anche offendermi, prima ritardata e ora pazza?
    « Hanno un jet privato. Mica usano le linee aeree come noi » e certo mica possono rischiare di mischiarsi ai comuni mortali… diamine hanno anche un jet privato.     Ma quanti soldi hanno questi tizi?
    Da soli potrebbero mettere fine alla fame nel mondo.
    « Okay, e perché dobbiamo partire un’ora prima? » chiedo stranita guardando Lizzy muoversi per la stanza per fare non so cosa.
    « Perché non possiamo farli aspettare » obbietta « quindi pronta entro venti minuti. Non farmi sfigurare » e detto ciò esce di scena.
    Saranno quattro mesi molto impegnativi…
 
    Da dietro l'aereo spunta la prima figura. Un ragazzo con una valigia verde militare stretta in mano. Ha i capelli castano scuro, sono ordinatamente pettinati e gli occhi nascosti dietro a un paio di lenti scure. Poco gli importa che oggi sia nuvoloso. Perché hanno tutti la fissa degli occhiali da sole anche quando non ce n’è bisogno?
    Indossa una giacca bianca con righe nere sulle braccia, un paio di jeans scuri e degli scarponi e devo ammettere che è un bel ragazzo.
    « Ecco, il primo è il figlio dei Modigliani » mi rivela Lizzy maliziosa, indicando proprio il ragazzo con gli occhiali. « Ma non perdere tempo dietro di lui. Regola tre » canticchia forse per avermi visto indugiare troppo sulla sua figura.
    « Ti ha snobbata, vero? » dico con un sorriso canzonatorio che aumenta, appena la vedo distogliere lo sguardo dal mio in fretta e puntarlo dritto davanti a se.
    Colpita e affondata.
 
    Dietro di lui spuntano altri tre ragazzi con un abbigliamento simile. Si fermano per ringraziare un uomo in divisa e due donne, anch’esse in divisa, che devono comporre l’equipaggio di bordo.
    « Come devo chiamarlo? » bisbiglio. Magari ci sono delle regole e delle etichette…
    « Signorino Modigliani e non guardarlo negli occhi. Mi raccomando » la voce di Lizzy è seria ed io, ovviamente da perfetta fessa, la prendo seriamente. Certo che questi si credono la famiglia reale, ci manca solo che mi devo inchinare…
    Intanto, finito i convenevoli, il gruppo di ragazzi ha lasciato le hostess e il pilota e ci sta raggiungendo.
    « Lizzy, ciao » saluta il signorino quando ci raggiunge, alza gli occhiali sulla testa mostrando così un paio di occhi azzurri davvero belli. Lei gli risponde con un sorriso smagliante.
    « Buon giorno, Signorino Modigliani » dico abbassando gli occhi come mi aveva detto Lizzy, ma me ne pento subito appena sento la ragazza trattenersi dal ridere.     Così alzo lo sguardo sul ragazzo che passa dal sorpreso al divertito per poi scoppiare a ridere. Lo guardo interrogativa e sto per chiedere il perché della reazione a         Lizzy ma, appena incrocio i suoi occhi pieni d’ilarità, capisco tutto.
    « Ti sei presa gioco di me » soffio tra l'incredulo e l'arrabbiata. Dove è finito il cameratismo tra sottoposti?
    « Lizzy, vedo che non cambi mai » dice divertito il ragazzo. O certo, burliamoci della nuova arrivata. Ah, ah, ah…
    « Ciao, David. » cinguetta la stronza « Lei è Dafne. Sostituirà Samanta per questa stagione ».
    « Dafne, puoi chiamarsi semplicemente David anche se, se dovessi chiamarsi Signorino, io non avrei nulla da ridire » ma che spocchioso pallone gonfiato. Irritante.     E poi il nome inglese, perché tutta questa mania di chiamare con nomi stranieri i figli? Che hanno di male quelli italiani?
    « Loro » continua indicando i ragazzi dietro di lui « sono Carlo… » l’interessato saluta con un cenno del capo e non perde molto tempo ad ammiccare verso Lizzy.     È un ragazzo alto dal fisico asciutto, i capelli, così come la leggera barbetta sulla mascella, sono rossi. Pel di carota, lo chiamerò.
    « È bello rivederti Lizzy » interviene. A quanto pare non è la prima volta che gli amichetti vengono qui…
    « Lui è Andrè, » continua David, indicando il ragazzo a fianco. Fisico muscoloso, dalla carnagione scura così come gli occhi e i capelli. Saluta e dall’accento posso capire che l’italiano non è la sua lingua madre. Forse è qui per un Erasmus.
    « E Michele » conclude spostando lo sguardo verso il ragazzo biondo e dagli occhi castani, tra tutti è il più mingherlino.
    « Piacere di conoscervi » dico forzando un sorriso di circostanza.
    Sembrano usciti da un set di qualche pubblicità di un’importante casa di moda e mi fanno sentire fuori posto con i miei vestiti presi al centro commerciale oltre tutto durante i saldi. Per non parlare dei capelli, sempre crespi, doppie punte a go-go e dei brufoli è meglio non parlarne, uno ne va via e tre arrivano a sostituirlo. Mentre loro… uff… è frustrante.
    Tutto di loro sembra, anzi, togliamo il “sembra”, urla “Gucci”, “Armani”, “Ray Ban”, non hanno problemi di soldi e questo è palese. I capelli sono perfettamente curati, morbidi e lucenti, con non so quale crema costosa, e sistemati da chissà quale parrucchiere costosissimo, e il viso perfetto, nessun pelo fuori posto, sopracciglia curate e nessun brufolo, neanche per sbaglio!
    Certe volte la vita è davvero ingiusta.
 
    « Lizzy, le hai già spiegato il lavoro? Non vorrei avere problemi » il suo tono è saccente, da superiore. È fastidioso ma mi costringo a ingoiare il rospo e a tenere per me i miei veri pensieri, ricordandomi il motivo per cui ho accettato il lavoro.
    « Vi do una mano con i bagagli » e così dicendo recupero la valigia al fianco del ragazzo. Volevo mostrare che sapevo fare il mio lavoro con efficienza e laboriosità ma quando faccio per alzare la valigia questa rimane ben fissa a terra.
    Quanto si è portato dietro per un weekend?
    Alle mie spalle sento il ridacchiare di David, probabilmente è molto divertito dalla cosa, e davanti a me i suoi amici non sono da meno.
    « Lascia la porto io » e posso sentire ancora una nota di ilarità nella sua voce. Poggia una mano sulla mia spalla mentre con l’altra recupera la valigia incriminata come fosse vuota.
    Seguo ogni suo movimento, sbalordita, e quando incrocio il suo sguardo canzonatorio, gliene riservo uno di fuoco che sembra divertirlo ancora di più.
    S’incammina verso la macchina e sistema nel bagagliaio la valigia così come i suoi amici che lo imitano.
    Lizzy, rimasta in silenzio per tutto il tempo, mi sorride divertita e dandomi le spalle entra in macchina e si sistema al posto di guida. Sbuffo e pestando i piedi sul terreno, faccio il giro della macchina e occupo il posto accanto a lei. 
    Saranno davvero molto lunghi questi quattro mesi.
 
    Il viaggio di ritorno lo passo in silenzio senza distogliere lo sguardo dal finestrino, le montagne completamente innevate così come le cime dei pini. È così bello questo paesaggio, rilassante, calmo ed ha l’effetto di farmi passare l’arrabbiatura.
    Alle mie spalle il gruppo non smette di parlare, c’è chi vuole provare la nuova pista, chi vuole uscire alla sera per andare al Dobler e magari trovare qualche bellezza nordica, altri, più diligenti, discutono per gli esami che dovranno sostenere e affrontano problemi più impegnativi.
    Chi non ho sentito parlare molto è il figlio dei miei datori di lavoro. Ha risposto a monosillabi o con frasi brevi e concise.
    « E tu Dafne? Sai sciare? » distolgo lo sguardo dal paesaggio e mi volto a guardare Andrè che con un sorriso allegro spuntava tra lo spazio dei due sedili anteriori.     L’accento francese è molto marcato.
    « Non bene, vivo in città e non ho molto tempo godermi la casa a Cortina » dico sarcastica.
    « Oh, beh, puoi sempre venire con noi. Ti posso insegnare io » si propone senza nessun secondo fine apparente. Ha l’aria simpatica, da orsacchiotto dell’algida, e la voce dolce e allegra che lo fa sembrare a Lumiere, il candeliere de “La Bella e la Bestia”.
    « Lo terrò presente » dico per accontentarlo anche se nella mente già vaglio tutte le possibile scappatoie nell’eventualità che si presenti un’occasione del genere. Per l’amor del cielo, sembra simpatico ma non voglio diventare il passatempo di un weekend.
    Ed è quando faccio per tornare a guardare fuori dal finestrino, che vedo David scrutarmi fisso negli occhi, con un gomito poggiato sulla portiera e la mano, chiusa a pugno, davanti alla bocca.
    Sono solo pochi secondi perché mi volto rompendo il contatto. Il suo sguardo mi ha lasciato con l’amaro in bocca e ignorante sul suo significato.
 
    Arrivati allo chalet, i ragazzi recuperano le loro valige e Lizzy li guida verso le stanze da letto mentre io sono spedita in cucina, dietro le quinte. Certo, essere liquidata con un gesto svogliato della mano, non mi ha fatto molto piacere ma almeno posso rimanere da sola. Quello che, invece, mi ha fatto alterare, e non poco, è un commento, non troppo sussurrato, tra Andrè e David il quale aveva borbottato “ carina, ma nulla di che per i miei gusti ” come risposta a un commento di apprezzamento del francese.
    Ora, io non sono una persona vanitosa, ma sfido qualsiasi ragazza a non sentirsi punta sul viso per un commento del genere quando chi parla, sa benissimo che il soggetto in questione, è a portata di orecchio.
    Ma come ha detto la mia migliore amica Anna, guardo al lato positivo della faccenda e cioè: quello che mangerà questa sera passerà dalle mie mani e l’unica domanda che mi frulla nel cervello mentre preparo pentole e scodelle è solamente una.
    Dove hanno messo il veleno per topi?
 
    Sabato mattina, la sveglia suona puntuale alle sette. Dopo aver speso dieci minuti io e venti minuti Lizzy, per lavarci e cambiarci, ci ritroviamo in cucina per preparare la colazione ai piccoli Lord.
    La sera prima è stata una serataccia, a mie spese ho scoperto che Lizzy non sa cucinare. Le avevo detto di togliere la pasta quando mancavano due minuti perché dovevo scendere in cantina a recuperare del vino, e lei che fa? La lascia sul fuoco per oltre dieci minuti tanto che è diventata una poltiglia e la sottoscritta ha dovuto rifarla e preparare qualcosa di antipasto per guadagnare tempo e i quattro ragazzi non avevano aiutato. Erano delle bestie, avevano divorato tutto, bevuto cinque bottiglie di vino e ovviamente avevano lascito tutto in giro, il tavolo sembrava un campo di battaglia. Lizzy ed io ci abbiamo messo un’ora e mezza per ripulire il casino.
 
    « Dafne, davvero, dovresti curare di più il tuo aspetto. Dovresti aprirti al mondo del make-up » mi dice dopo l’ennesima occhiata.
    « Mica devo fare colpo su qualcuno di loro. Regola numero tre ricordi? »
    « A meno che non siano ricchi o in forma e loro sono tutte e due le cose ».
    « Fammi indovinare, tu hai già usufruito di queste eccezioni, vero? » e il suo sguardo vale più di mille parole.
    Chissà quante volte l’ha infranta questa regola.
    « Serviamo la colazione che è meglio » mormoro e con la brocca, ovviamente in cristallo, piena di spremuta d’arancia - spremute personalmente dalla sottoscritta una a una -  esco dalla cucina.
    Poggio tutto sul tavolo, do un’ultima sistemata ai bicchieri e le forchette fuori posto e faccio per tornare in cucina a finire di preparare le uova e il bacon quando la voce di Andrè mi avvisa che si sono svegliati.
    « Buon giorno, bellissime » lui è il primo a fare il suo ingresso nel salotto, vestito e pronto per uscire. Rimango spiazzata per il suo inatteso complimento ma l’ingresso di un nuovo arrivato me lo fa dimenticare presto.
    « Buon giorno, Lizzy. Dafne » è il saluto più pacato di David quando compare sulla soglia. Indossa una maglia bianca dal collo alto, un paio di pantaloni neri da sci infilati dentro a degli scarponi da cui esce del pelo grigio. Non so che faccia ho fatto ma lui di rimando mi ricambia con uno sguardo interrogativo. Lo ignoro e tornando a sorridere rispondo al loro saluto.
    « Buon girono a tutti, spero che la colazione sia di vostro gradimento » interviene Lizzy con la ciambella ricoperta da zucchero a velo. « Spero vi piaccia la torta l’ho preparata questa notte » all’affermazione la guardo scioccata. Sono io quella che è rimasta alzata fino a tardi per prepararla al posto di andare a letto!
    « Dietro le quinte, ricordi? » bisbiglia lei quando arriva al mio fianco. Le riservo un’occhiata di sbieco e con gesto secco muovo la sedia nell’apparente motivo di     sistemarla ma in realtà per sfogare il mio disappunto.
    « Gli altri? » chiedo non vedendo arrivare Michele e Carlo.
    « Arrivano, non sono abituati ad alzarsi così presto » è la risposta di David mentre si siede a tavola e addenta una fetta di french toast.
    Poveri piccoli ricconi… è il mio pensiero sarcastico mentre ritorno in cucina a recuperare il caffè e il latte caldo.
 
    « Noi andiamo ».
    Alzo lo sguardo, soffiando per spostare la ciocca che mi è caduta davanti agli occhi e senza smettere di strofinare guardo David si fermo davanti alla porta della cucina. Le bretelle sono sistemate sulle spalle, in mano tiene i guanti e un giaccone nero.
    « Quando avete finito avete la giornata libera. Non torneremo per pranzo ».
    E com’è apparso, se ne va.
    « Finito »  esulto quando anche l’ultima macchia di grasso è sparita dalla pentola. La sciacquo, la asciugo, la sistemo sotto il piano cottura e finalmente vado in camera a cambiarmi. Lizzy che ha finito prima di me è già pronta e mentre scendo le scale, per raggiungere il piano riservato ai dipendenti, la vedo sfrecciare verso l’uscita di servizio. Truccata, i capelli legati in un’ordinata coda indossa una tuta rossa.
    « Ci vediamo questa sera » grida quando ormai è già fuori.
    « Ehi! Ed io che faccio? » urlo di rimando poco prima che lei si chiude la porta dietro di se. Si blocca e la riapre giusto quel tanto che basta per far passare la testa.
    « Non lo so, sono sicura che troverai qualcosa. Guardati attorno » e chiude la porta, definitivamente.
    « Bene… ».
    Cosa si più fare in uno Chalet, con tutti i confort possibili, circondato dalla neve e a pochi metri  da una pista?
 
    L’ultima volta che ho sciato è stato in seconda media e da quelle vacanze invernali, oltre tutto di pochi giorni, sono passati sei anni… forse è per questo motivo che anche la pista dei dilettanti mi sembra da bollino nero.
    Faccio la prima discesa e persino i bambinetti di sette anni vanno più veloce di me con una tecnica più raffinata. Io… emh… vado a spazzaneve. Che ci posso fare?     Mi sembra di non avere il controllo degli sci.
    Così, dopo sessanta euro - sarebbero stati di più se non fossi stata una del personale del resort - spesi per noleggio scii e skipass, mezz’ora di coda alla funivia, dieci cadute da ferma, due incontri ravvicinati con gli alberi a bordo pista e dopo aver rischiato tre accuse di omicidio, di due bambini e una signora, me ne torno sconsolata a casa.
 
    Il tonfo della porta rimbomba per tutto lo Chalet. Non c’è nessuno e regna un silenzio quasi surreale. Vado in camera e mi cambio per indossare abiti più comodi di una vecchia tuta piccola e praticamente da buttare, e raggiungo il salotto, sottobraccio alcuni libri per studiare.
     L’orologio segna le dodici e trenta. Lizzy mi ha detto che è di un qualche famosissimo artista che aveva creato un unicum per la signora Modigliani, sotto richiesta del marito, per il loro venticinquesimo anniversario e certamente non valeva una bazzecola.
    Come nemmeno il dipinto sistemato nel corridoio. Flowers di Andy Warhol. Dico, vi rendete conto di quanti soldi hanno? Quest’estate uno di questa serie è stato venduto a un’asta in internet per 1.3 milioni di dollari e non provo neanche a pensare a quanti euro corrispondono. Rischierei un collasso.
    Lascio i libri sul tavololino davanti al caminetto e raggiungo la cucina, dove mi preparo una bella insalata prima di immergermi nello studio per l’esame di ammissione ala facoltà di veterinaria di Bologna. È tra le migliori in Italia ed io sogno di entrarci da quando a dieci anni decisi che sarei diventata un veterinario grazie al Dottor Dolittle. Ovviamente ora non credo più che una volta laureata avrei potuto parlare con gli animali e loro con me.
 
    Lizzy rientra alle tre di pomeriggio piena di neve e nemmeno mezz’ora dopo è già in cucina a urlarmi ordini mentre David e i suoi amici tornano alle sei e mezzo e la serata si ripete come quella precedente e così il risveglio.
    Non riprovai a infilarmi ai piedi un altro paio di sci per la mia sicurezza e quella degli altri e così quando Lizzy esce per andare a sciare con qualche sua amica che lavorava in un altro chalet, io mi piazzo davanti al camino a studiare.
    Verso l’ora di pranzo, dopo un veloce piatto di pasta preparo uno strudel di mele per la cena di questa sera. La ricetta originale, o almeno secondo la Signora Brambilla, da nubile Signorina Hoffmann, la mia simpatica e dolce vicina di casa a Milano.
    Sposò un italiano nel lontano 1949 e da allora vive in Italia. Ho sempre ritenuto la loro storia molto romantica, meglio di quelle che si leggono nei libri, ricca di avventura e amore; lui partigiano e lei una tedesca che lottava contro i nazisti, la sua famiglia aveva nascosto molti ebrei salvandoli dalla pazzia di Hittler.
    Si sono conosciuti sulle Alpi ed è stato come un colpo di fulmine. Ogni volta che mi fermo da loro, mi faccio raccontare la loro storia.
    « Bonjour mademoiselle » sobbalzai alla voce di Andrè che sorridente fa il suo ingresso nel salotto.
    « Andrè? »
    Perché era già di ritorno? Solo cinque minuti prima avevo controllato l’orologio e quello segnava le due e mezza e alla mattina avevano detto che sarebbero tornati come il giorno prima.
    « David » aggiunsi quando il moro spunta dalla porta anche se la mia attenzione è focalizzata sull’altro ragazzo che  mi raggiunge sedendosi al mio fianco, lo sguardo è pallido e gli occhi sono spenti. Non sembra sprizzare vita da tutti i pori.
     « Ti senti bene? » gli chiedo apprensiva e quello che ottengo come risposta è un sorriso e un’alzata di spalle.
    « Nulla di grave ma ho preferito tornare indietro e David da buon padrone di casa mi ha accompagnato anche se non ce ne era bisogno » cantilena con l’intento di farsi sentire dall’altro che intanto si  toglie la giacca e la butta in malo modo su una poltrona. Certo, tanto sono io quelle che mette a posto…
    « Smettila, prima eri verde ».
    « Avete mangiato qualcosa di strano? » chiedo a nessuno in particolare.
    « No, ma forse il fatto di non essere abituato all’ambiente lo ha scombussolato. A pranzo è stato un ingordo e il freddo ha completato l’opera » risponde David anche lui raggiungendo il divano e fermandosi a lato dell’amico. Slaccia la felpa mostrando così l’interno completamente coperto di pelliccia.
    O mio Dio.
    David come la scorsa mattina mi vede, ma questa volta non sorvola.
    « Che c'è? »
    « Quanti animali sono morti per quella giacca? »
    « Oh, abbiamo un animalista tra noi » mi canzona. « E dimmi lo sei anche quando mangi carne? »
    « Sono vegetariana. Non mangio né carne, né pesce» rispondo secca e lui, non trovando nulla da ridire, si stacca dal divano per sedersi sulla poltrona e riservandomi uno sguardo serio.
    Uno a zero per me, caro David.
    « Stavi studiando? » domanda chinandosi verso fogli sparsi sul tavolino. Agitata, inizio ad ammucchiarli per portarli via. Se sapevo che sarebbero tornati prima non mi sarei fatta cogliere in flagrante. Puoi fare quello che vuoi quando i Modigliani non ci sono ma se sono in casa, devi occuparti solo di loro.
    « Emh si, avevate detto che sareste tornati alle sei e mezzo e visto che non c era nulla da fare... »
    « Non preoccuparti. Mica ti licenzia » interviene Andrè vedendo la mia preoccupazione. David accenna un sorriso e poi continua a parlare.
    « Che studiavi? »
    « Fisica » avendo fatto un liceo scientifico sono abbastanza preparata ma fisica mi ha sempre dato qualche patata da pelare a differenza della matematica in cui non ho mai avuto nessun tipo di problema.
 
    Okay, patata può sembrare strano, sarebbe “gatta da pelare” ma, capitemi, sono un’animalista e non potrei fare questo a un povero micetto che mi guarda con quegli occhioni grandi simili a quelli del Gatto con gli stivali. Voi ci riuscireste?
 
    « Studi fisica all’università? » continua e potrei sentirmi offesa dal tono stupito che ha usato.  Mi crede un’idiota?
    « No, sto studiando per il test di ammissione a veterinaria » pare stupito della mi risposta ma non mi curo di chiedergli il perché.
    « Capisco » mormora con un sorrisetto alquanto irritante.
    « Dove? » continua. Ma che è? Un terzo grado?
    « Bologna ».
    « Sei di Bologna? » Okay, meglio dare un taglio a questa cosa.
    « No, Milano. Ora basta con l'interrogatorio. Porto via questi » intendendo i libri e fogli annessi « e vado a prepararti della camomilla. Intanto vatti a sdraiare » sentenzio verso il francesino.
    « Ouì, mammina » scherza ma si alza e fa come ho detto.
    Lo guardo divertita uscire e salire lentamente le scale, si appoggia al corrimano per salire e David aveva ragione quando diceva che stava minimizzando, e questo mi fa ricordare che ora siamo rimasti solo noi.
    Soli.
    Nel salotto.
    Da soli.
    Mi alzo e spedita raggiungo la mia stanza, butto i libri sul letto e ritorno in cucina. Nel salotto ritrovo ancora David, immerso nella lettura di un libro, e fortunatamente non mi presta nessuna attenzione. Non ha mai fatto nulla o detto nulla di male, a parte quel piccolo commento la prima sera. Insomma è spocchioso di natura, e con gli amici è allegro e simpatico, probabilmente potrei anche andarci d’accordo, o per lo meno comportarmi civilmente ma stare da sola con lui mi mette soggezione.
    Come se fossi sempre sotto esame.
    Senza soffermarmi troppo sul ragazzo vado in cucina e accendo l’acqua calda, quando è pronta, su un vassoio sistemo la camomilla e un bicchiere di acqua fresca e una scatoletta di Maalox, che fortunatamente mi sono portata dietro ed esco dalla cucina, a passo spedito, per raggiungere la camera del malato.
 
    « Andrè è il figlio del console francese a Roma » mi blocco quando sento la sua voce, seria e controllata.
    Sono con un piede di là della porta ma faccio qualche passo indietro e mi giro per averlo di fronte. Lo guardo stranita non capendo che cosa c’entri che sia il figlio di un console con il fatto che ora è a letto perché non si sente bene. Rimango zitta non sapendo cosa si aspetta che gli risponda.
     « La sua famiglia è molto ricca » aggiunge mandandomi ancora più in confusione.
     « Lo posso solo immaginare ». Chissà a quanto lusso è abituato.
    « Molte gli si avvicinano solo per i soldi » e non so se è il fatto che abbia usato il femminile o il messaggio subliminare che mi ha voluto comunicare con quella sua uscita, e la conseguente considerazione che ha di me, ma sta di fatto che a quell’affermazione, lascio libera una risata isterica ricambiata da un suo sguardo interdetto che presto diventa di ghiaccio.
    « Ma dove siamo? In un romanzo di Jane Austen? Dove una donna se s’interessa a qualcuno che è ricco è solo perché vuole i suoi soldi? Personalmente ritengo che questi complichino solo il rapporto ». Per questo non m’interesserò mai a qualcuno di ricco. « Non ti devi preoccupare per il tuo amico. I suoi soldi sono al sicuro dalle mie grinfie ».
    David, abbandona la sua aria superiore per guardarmi stupito ed evidentemente a disagio si sistema meglio sulla poltrona.
    Due a zero per me, befano.
    Chi si crede di essere per potermi giudicare o peggio accusare di circuire il suo amico per i soldi. Sì, perché non sono nata ieri, è chiaro quello che ha voluto intendere con quelle poche frasi.
    « In futuro evita di accusarmi solo sulla base dei tuoi pregiudizi » continuo decisa. « E ora se non ti dispiace porto qualcosa al tuo amico, figlio di un ambasciatore » e detto ciò gli volto le spalle per fare quello per cui sono pagata.
 
    Il piano padronale è rustico, come il resto dello chalet, in cui pietra e legno fanno da padroni. È curato e studiato nei minimi dettagli per essere tutto perfetto. Vita perfetta, casa perfetta, soldi perfetti,…
    Mi sono mostrata coraggiosa e risoluta ma appena mi ritrovo ferma a osservare tutto questo lusso in cui vive, mi ricordo che sono i suoi genitori a pagarmi e che una sola parola ed io sono sbattuta fuori.  Gli ho mancato completamente di rispetto, certo c’è da dire che lui è stato il primo ma questo importerà poco ai signori. La parola del principino contro quella della ragazza dello chalet.
    E si sa quali sono le voci che circolano su queste ragazze.
    Accantono queste ansie e impongo ai miei piedi di raggiungere l’ultima stanza a destra dove è ospitato Andrè.
 
    Quando riscendo per riporre il vassoio e pulire il bicchiere trovo ancora David seduto alla poltrona che guarda assorto il fuoco, il libro in grembo ancora aperto.         Alza lo sguardo quando si accorge di me.
    « Messo a letto il bambino? »
    « Sì, gli ho anche rimboccato le coperte » rispondo con tono acido. Ormai se devo essere cacciata almeno voglio fare un’uscita con stile.
    Lo sento ridacchiare, poggiate il libro, credo sul tavolino, poi sento il cigolio della poltrona, come di qualcuno che si sta alzando. Forse va da Andrè o a chiamare i suoi genitori, se non li ha ancora chiamati ed è per questo che, quando mi giro per poggiare il vassoio, lancio un urlo di spavento e per poco non lo faccio cadere a terra. Se non fosse stato per David, avrei diviso quello che corrispondeva a una banconota da cinquecento euro in tante piccole banconote da cinque euro.
    « Attenta ».
    « Scusa, ma sei peggio di un gatto » esclamo riprendendo il vassoio e mettendolo al sicuro nel suo ripiano. In risposta lui ridacchia e si siede su uno sgabello vicino all’isola.
    Che vuol dire?
    Forse il mio sguardo spaesato vale più di mille parole perché dopo un respiro profondo fissa il suo sguardo nel mio e parla lasciandomi completamente basita.
    « Ti chiedo scusa. Per prima ».
    Assottiglio lo sguardo e poggio una mano sul piano dell’isola, l’altra su un fianco, e ricambio il suo sguardo.
    La situazione sta prendendo una piega inaspettata.
    « Hai tutta la mia attenzione ».
    « Sai… » dice per poi perdere tempo in una pausa teatrale « quando ti ho visto pensavo fossi come Lizzy » alla sua affermazione gli riservo uno sguardo stranito e lui aggiunge:
    « Non fraintendermi. Lizzy è simpatica e tutto ma diciamo è una ragazza dai modi… facili e hai visto com’è con Carlo » non lo avrei mai detto… « ma ho imparato a conoscerla e so che è tutto fumo e niente arrosto ».
    « Questo però non ti autorizza a comportarti come hai fatto ».
    « È vero e ti chiedo ancora scusa ».
    Sembra serio e sinceramente rammaricato ed io non sono una che porta rancore quando qualcuno si scusa, veramente pentito.
    « Va bene. Per questa volta passi » borbotto per poi dargli le spalle per andare a lavare la tazza e il bicchiere. Così non vidi la sua reazione alla mia risposta ma subito lui si premura di colmare quel silenzio opprimente che rischiava di calare su di noi.
 
    « Allora, non dovresti essere a scuola ora? O sei una privatista? » mi volto leggermente e lo guardo con un sopracciglio alzato.
    « Mi sono diplomata l’anno scorso » rispondo stranita da quello che sta succedendo. Lui sembra sorpreso. La sorpresa è un’espressione che gli ho visto spesso in questa mezz’ora.
    « Scusa, ma hai detto che stavi studiando per il test credevo che fossi ancora all’ultimo anno »
    « Invece, no ».
    « Non hai passato il test di settembre? »
    « Ho avuto dei problemi e non ho potuto farlo » è la mia risposta vaga e concisa. Lavoro per i suoi genitori e abbiamo instaurato una specie di tregua ma questo non vuol dire che devo rispondere a tutto quello che mi chiede e che lui sappia vita, morte e miracoli su di me.
 
    « Ecco svelato il mistero » esclama tutto d’un tratto e solo quando seguo il suo sguardo ne capisco il motivo.  Poco prima che i due arrivassero avevo tolto lo strudel dal forno e ora era sistemato su un piatto da portata ovale vicino alla finestrella semi aperta, in attesa che si raffreddi.
    « Già ».
    « Posso? » chiede indicandolo. Annuisco e lui, senza aspettare che lo faccia io si alza alla ricerca di un piatto. Ha l’aria spaesata e dopo l’ennesima anta aperta a vuoto, gli do l’indizio per trovare il suo tesoro.
    « Secondo armadietto a sinistra del frigorifero » si gira e alza un angolo della bocca accennando un sorriso. Io dal mio canto, cerco di non far vedere il mio, che non ha nulla di raccomandabile.
    « Lo sapevo » Certo che si…
    Fa come gli ho detto, prende il piatto, recupera il coltello dal set appeso alla parete, dietro ai fornelli, e se ne taglia una fetta abbondante, molto abbondante.
    « Ehi! Serve anche per stasera! » lo richiamo. Ha quasi tagliato metà dolce.
    « È il mio preferito » si giustifica lui con un’alzata di spalle e presa una forchetta taglia un boccone considerevole e se lo mette in bocca. Seguo ogni suo movimento attenta, pronta a vedere la sua reazione che non tarda ad arrivare, subito spalanca gli occhi e inizia a soffiare aria. Il tutto accompagnato dalle mie risate.
    Purtroppo ho tolto il dolce dal forno pochi minuti prima che arrivassero e quindi è ancora caldo. Mastica e soffia e quando ha ingoiato il pezzo, recupera un bicchiere e lo riempie di acqua dal rubinetto, scansandomi in malo modo e beve una serie di generose sorsate. Beh… dovevo dargli una piccola lezione, no?
    « Tutto bene? » gli chiedo cercando di trattenere la mia ilarità. David mi lancia uno sguardo di fuoco. È stato divertente vedere il composto David Modigliani saltellare per la cucina per colpa di un dolce ancora caldo. Forse un po' meno per lui…
    « Aspetterei ancora un po' prima di mangiarne un altro pezzo » continuo prendendolo in giro.
    Dite che mi licenzierà?
    « Lo credo anche io » concorda e io, felice di non essere stata licenziata per il mio azzardo, recupero un bicchiere pulito e lo riempio di latte e glielo sistemo a fianco al suo piatto. Recupero un’altra forchetta e gli rubo un pezzo di strudel.
    Ed è così che ci trova Lizzy, seduti all’isola della cucina a dividere il dolce ridendo e scherzando.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ciao! Eccoci con il secondo capitolo e anche la fine di Gennaio... almeno nella storia. Il prossimo sarà a Febbraio.
Ringrazio le ragazze che hanno inserito questa storia tra le seguite, preferite e ricordate e  
watereyes per aver recensito il primo capitolo. Spero di non deludere nessuno con questo nuovo capitolo.
Se volete parlare, chiedere, leggere spoiler qualsiasi cosa potete contattarmi sul 
BLOG o sulla pagnina FB

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Capitolo 2 - gennaio

2 parte



 

 « Visto che domani partiamo che ne dite di andare al Dobler per salutarci come si deve? Alle dieci, ci state? » così esordisce Andrè entrando in cucina. Si è rimesso completamente e ora sprizza energia da tutti i pori, non direste mai che solo quattro ore prima si lamentava per il dolore allo stomaco.
    Sì, finalmente è arrivato l’ultimo giorno e gli ospiti sarebbero partiti domani dopo mezzogiorno.
    « Io non… » sto per rifiutare visto che il giorno dopo saremmo state io e Lizzy ad alzarci presto, quando, proprio quest’ultima mi precede.
    « Certo che ci saremo » risponde ammiccando e il ragazzo ci, o meglio mi, sorride raggiante.
    « Allora ci vediamo dopo ».
    « Qualcuno ha fatto colpo » cinguetta la biondina dandomi una leggera gomitata sul braccio.
    « Ma per favore » borbotto. Solo perché si è sempre mostrato gentile con me, non vuol dire che abbia qualche interesse. 
    « Non negare e credo che tu abbia fatto colpo anche sul bel Signorino Modigliani » continua e io la sguardo di sbieco.
    « David? » e a stento trattengo le risate. È una eventualità che nemmeno mi sfiora la mente.
    « Sì, con me non ha mai riso o scherzato. È gentile ma tiene comunque le distanze ».
    Effettivamente è vero, ma se dall’esterno, il fatto che noi due sembriamo “intimi” possa portare a pensare in un certo modo, proprio come ha fatto Lizzy, so che invece è molto lontano dalla realtà.
    « C’è stato un disguido oggi pomeriggio e semplicemente ci siamo chiariti e poi nulla. Questa sera hai visto che anche con me si è comportato come fa con te ». 
    David interessato a me. Che assurdità.
    Non capisco perché la gente pensi subito che due persone di sesso opposto, quando si intrattengono a parlare, puntino a un determinato finale. Io credo nell’amicizia tra uomo e donna, molti dei miei amici sono ragazzi, e se non fosse per certi fattori, probabilmente io e lui potremmo essere amici.  Magari quando finirò qui e se ci rincontrassimo in un’altra situazione. Sarebbe possibile.
    « Sì, effettivamente hai ragione » ribatte lei con tono pensieroso e per paura che possa dire qualcos’altro continuo tornando all’argomento di partenza.
    « Piuttosto perché hai risposto anche per me? Ti ricordo che domano alle sette dobbiamo essere sveglie ». 
    Lizzy, accantona i suoi pensieri e mi rivolge un sorriso malizioso.
    « Perché ci possiamo divertire e tu ne hai bisogno. Poi pagano loro, che c’è di meglio? » un buon sano riposo avrei voluto dirle. Sono stanca e nonostante sia stata una giornata piuttosto tranquilla, tutto quello che voglio è sdraiarmi sul letto e riposare.

    « E quelli cosa sono? » è la domanda scioccata di Lizzy appena entra in camera dopo essere stata per venti minuti in bagno. Venti minuti spesi bene perché è davvero bella nel suo vestito a balze nero, sulle spalle un cardigan grigio e ai piedi un paio di stivaletti dello stesso colore del vestito.
    « Jeans, maglione e scarponi? » questo, invece, è il mio abbigliamento.
    « Non puoi venire così! È da sfigati. Che dirà Andrè? » è la sua protesta e vorrei tirarle qualcosa in testa per la sua fissa che tra Andrè e me, ci possa essere qualcosa. 
    Non dice altro da quando siamo salite a cambiarci!
    « Non mi interessa che dirà e comunque non avrei altro da mettere » la mia compagna mi lancia uno sguardo scettico e con pochi complimenti apre il mio armadio iniziando a sbirciarci dentro. 

    Un quarto d’ora dopo indosso un abito panna in lana, con una leggera scollatura a cascata, lungo fino a metà coscia, con un motivo a trecce e punti sul fondo - lo avevo scartato perché avrebbe fatto freddo ma come ha detto Lizzy appena lo ha visto: chi bella vuole apparire un poco deve soffrire. 
    « Bene, ora che hai finito con la tua barbie make-up personale. Direi che possiamo andare » perché non si è limitata al vestirmi. 
    No, dovete sapere che mi ha truccato e pettinato proprio come quelle barbie di cui fanno la pubblicità ed io non potevo mettere becco in nulla, anche se devo dire che è stata clemente, ha usato un trucco naturale che quasi non si vede.
    Mi passa un paio di stivali beige, che arrivano fino al ginocchio, incitandomi a indossarli e poi rimira la sua opera soddisfatta. 
    E anch’io mi sento bene, mi piaccio.
    « Fortunatamente abbiamo lo stesso numero di scarpe », si perché gli stivali sono suoi, « e anche di abito, sai che ti facevo più grassa? Me lo dovrai prestare ».
    « Io non sono grassa! » protesto punta sul vivo.
    « Beh, a volte metti certi vestiti che ti sformano, non sai avvalorare il tuo corpo ma » e qui fa una pausa teatrale e orgogliosa si indica con i pollici « la sottoscritta ha fatto emergere il cigno che è in te ».
    « Spiegami, vuoi dire che fino ad ora sono stata il brutto anatroccolo? » chiedo incrociando le braccia sotto il seno.
    « Qualcuno dovrebbe imparare ad accettare i complimenti » borbotta di rimando « ma diciamo che qualche accorgimento ti ha aiutato a splendere. Il make-up fa miracoli ».
    Prendo un respiro profondo e poi recupero borsa e portafoglio e mi avvicino alla porta. Non me la sento di discutere con lei, in fondo mi ha aiutato e non è un’arpia come immaginavo.
    Forse non sarà poi male uscire e rilassarsi.

    Dallo chalet al pub dove siamo diretti, non c’è molta strada e dopo nemmeno dieci minuti siamo dentro, tra le urla e la musica dal vivo. Non ci sono mai stata prima d’ora, è grande e pieno di giovani della nostra età che sfruttando le vacanze sono venuti a godersi la loro settimana bianca o altri giovani del personale che come me e la mia compagna sono venuti a distrarsi un po' dai doveri. 
    Lizzy, viene catturata da una ragazza rossa e sparisce in mezzo alla folla di gente che balla - o meglio si dimena - e con se trascina anche Carlo. 

    Non amo ballare, forse è un odio derivante dal fatto che non so ballare e quindi mi tengo a debita distanza dalla pista e lo faccio anche adesso, seguendo Andrè, David e Michele a un tavolino incredibilmente libero. 
    Presto anche Andrè è catturato dalla massa di gente che balla e così rimaniamo io e gli altri due ragazzi a sorseggiare ognuno un bicchiere di birra in religioso silenzio. 
    David e Michele iniziano presto a parlare di fatti riguardati l’università ed io mi estraneo guardando la gente scatenarsi, picchiettando il piede a ritmo di musica e canticchiando a mezza voce le canzoni che conosco. Qualche volta lancio un veloce sguardo verso il duo fino a che non vedo Michele alzarsi per raggiungere la pista da ballo richiamato dalla rossa che prima aveva trascinato Lizzy in pista. Anche Andrè mi fa dei segni ma io nego con il capo e così inizio a fissare con molto interesse il mio bicchiere mezzo vuoto. Sia io che David rimaniamo in religioso silenzio.

    Vorrei iniziare un discorso ma sinceramente non saprei che dirgli, quell’affiatamento, se così lo vogliamo chiamare, che c’era questo pomeriggio sembra svanito e non ho il coraggio di iniziare il discorso per prima.
    Ed è proprio quando lo vedo, al limite del mio campo visivo, poggiare il bicchiere sul tavolino e rimanere per qualche attimo fermo immobile prima di voltarsi verso di me e aprire bocca che Andrè sbuca dal nulla e ignorando le mie proteste, prende il mio bicchiere, lo poggia sul piano di legno e mi trascina in pista. 
    Lancio uno sguardo spaesato a David che nel frattempo ha assunto un’espressione imbronciata. L’ultima cosa che vedo di lui è la sua mano che scompiglia i capelli mentre con l’altra si porta il bicchiere alla bocca, poi sono travolta da un turbinio di corpi e abiti svolazzanti. Sento le mani del francese sui miei fianchi che m’invitano a muovermi a tempo di musica e malamente cerco di assecondarlo.
    Presto sono attanagliata da una sensazione di disagio: lui è troppo vicino, non molla la presa, anzi la intensifica e senza cercando di apparire disinvolta mi allontano rimettendo una certa distanza tra noi, minima, visto come siamo tutti accalcati, ma pur sempre qualcosa.
     Al nostro fianco vedo Lizzy che avvinghiata a Carlo mi lancia uno sguardo malizioso per poi avventarsi sulle labbra del rosso che sembra gradire l’agguato.
    « Ti diverti? » mi urla nell’orecchio Andrè per farsi sentire. Io mi limito a fare un mezzo sorriso continuando a muovermi. Anche se sembro una ritardata.
    « Lasciati andare! » 
    « Non so ballare » urlo per farmi sentire.
    « Segui il ritmo e non pensare! »
    Ed è più facile a dirsi che a farsi, cerco di lasciarmi andare ma solo un bicchiere di birra non riesce a farmi allentare i freni inibitori e così con la scusa del bagno mi allontano dalla pista. 
    Dopo una veloce sciacquata ritorno nella sala e mi rifugio al sicuro vicino al bancone del bar cercando di non farmi vedere da Andrè.
    « Non ami ballare, vero? » una voce bassa e un alito che mi solletica l’orecchio mi fanno sobbalzare. David poggiato con un gomito sul bancone, alle mie spalle, mi guarda attento.
    « Non ho bevuto abbastanza birra per scatenarmi » rispondo facendolo sorridere e solo in quel momento mi accorgo che sotto il braccio regge i nostri cappotti. Guarda per un momento verso la pista per poi ritornare a fissarmi.
    « Ti va di andare a fare un giro? » mi chiede porgendomi il mio giaccone. Esito, lancio uno sguardo alla ricerca degli altri. Intravedo Lizzy appiccicata a Carlo, Michele assieme a quella che sembra la rossa che prima ha trascinato la mia compagna in pista, e Andrè ballare con chi gli capita vicino. Mi volto infine verso David ancora con il braccio teso verso di me e prendo il giaccone che mi porge.
    « Andiamo ».

    « Nemmeno tu ami ballare? »
    Camminiamo fianco a fianco ma tenendo una certa distanza tra di noi. Entrambi siamo stretti nei nostri cappotti alla ricerca di un po' di calore contro il freddo pungente dell’inverno austriaco. 
    I capelli mi svolazzano ai lati del viso, le orecchie sono fredde così come il viso e sicuramente il mio naso sarà rosso come quello di Rudolph, la renna di Babbo Natale.
    « Sì, ma non amo ballare se quello poi si può chiamare ballare… » a quanto pare pensiamo la stessa cosa. 
    Lo osservo curiosa di scoprire qualcosa su di lui. La sua camminata sicura e decisa, le spalle dritte, che gli donano un portamento quasi regale, suggeriscono un carattere deciso e risoluto. 
    Anche il suo sguardo trasuda sicurezza, il naso diritto, la bocca definita…
    Qualcuno che non si fa mettere i piedi in testa, tutto il contrario di me, ragazza insicura, raggomitolata su me stessa, tanto che potrebbero scambiarmi per il gobbo di Notre Dame. 

    Sindossa un cappello con i paraorecchi, in grossa lana lavorata a maglia, fortunatamente nessun animale sembra essere stato scuoiato per realizzarlo.
    « Ah, sì? E che balli? Il valzer? Il tango? »
    « Scherza poco, perché li so ballare davvero » risponde piccato. Quando parla, posso vedere il suo respiro per la condensa.
    « Ops… scusa. Non volevo offendere » balbetto. Sto parlando con il mio datore di lavoro e non lo devo dimenticare. Soprattutto perché oggi ho già tirato troppo la corda.
    « Non preoccuparti. Puoi parlare liberamente con me, oggi pomeriggio non hai avuto problemi. Con mia madre… beh, è meglio che tieni le distanze è della vecchia classe inglese, con papà, lui è molto alla mano ». Allora… se ho il suo benestare…
    « Ecco perché il tuo nome » mormoro.
    « Già, anche mio nonno si chiama David ».
    « Allora sei David Junior. DJ ».
    Lui sbuffa e scuote la testa divertito ma non controbatte e continua a camminare. 

    Mi lascio guidare attraverso le vie del paese fino a che arriviamo a un edifico che attira completamente la mia attenzione.
    « Non sapevo avessero anche una pista sul ghiaccio! » e senza aspettare mi precipito sul bordo pista. La lastra di ghiaccio artificiale è affollata di gente, coppiette, bambini e chi più chi meno si destreggiano scivolando su quella superficie bianca.
    « Deduco che ti piace pattinare » è l’affermazione allegra di David che nel frattempo mi ha raggiunto.
    « Sbagliato » lo correggo lasciandolo interdetto « Io adoro pattinare » e alzo un angolo della bocca in un sorriso malandrino « A casa appena aprono l’impianto, sono la prima a entrare ». 
    « Non ho mai capito cosa ci sia di bello in questo » borbotta sovrappensiero e io lo guardo scioccata.
    « Cosa? È bellissimo scivolare sul ghiaccio, saltare,… » inizio a parlare sognante. 
    « E come mai questa passione? »
    « È stata mia madre ad appassionarmi a questo sport. Lei era una pattinatrice professionista da giovane, molto brava. Solo che dovette lasciare » dico leggermente dispiaciuta e triste mentre i ricordi si fanno più pressanti. La ferita è ancora aperta e sanguina.
    « Perché? »
    «Sono arrivata io. Ma mi ha trasmesso la passione e anche qualche trucchetto. Ti va di fare un giro della pista? » gli domando scacciando quei pensieri negativi. Non bisogna vivere lasciandosi influenzare dal passato.
    Lui non rispondere, si guarda attorno agitato e una lampadina si accende nella mia mente.
    « Il grande ballerino non sa pattinare » lo canzono senza nascondere il mio intento di prenderlo in giro.
    « Non è vero. Solo… non lo faccio spesso. Preferisco sciare » parlotta cercando di mostrare un certo contegno ed io rido spudoratamente. 
    « Non c’è nulla di male nell’ammettere che non si sa fare qualcosa. Per esempio io sono negata a sciare. Sabato mattina ho provato e per poco non mandavo me e qualcun altro all’ospedale » confesso per nulla imbarazzata. « Nessuno è perfetto in tutto ».
    Lo sento borbottare qualcosa ma prima che possa chiedergli cosa ha detto, il suo telefono inizia a suonare. Michele vuole sapere dove siamo finiti, stanno tornando a casa e vogliono sapere se ci devono. Ovviamente David gli risponde che saremmo arrivati da lì a pochi minuti. Pattinerò un’altra volta, penso mentre guardo rammaricata la pista di pattinaggio.

    Li ritroviamo vicino all’ingresso della stradina che porta allo chalet, Carlo che regge una Lizzy instabile e leggermente alticcia, anche lui però non è messo meglio, infine Michele e Andrè parlano tranquillamente poco distanti, fino a che il francese non mi vede e mi viene incontro.
    « Dafne! Ti ho cercato ovunque quando non ti ho visto arrivare » e dall'espressione sembra davvero essersi preoccupato molto.
    « Scusa ma era abbastanza caotico e ho… insomma siamo usciti a prendere un po' d’aria ». Lancia una strana e veloce occhiata a me e poi a David prima di rispondermi.
    « Lo immaginavo. Quando non ho visto nemmeno te, amico, mi sono tranquillizzato ». David annuisce, secco, con il capo e saluta prima di congedarsi propinando la scusa di essere stanco.
    Anche Michele lo segue subito e poco dopo anche Carlo e Lizzy che però sono in un mondo tutto loro e, infatti, non entrano in casa ma vanno sul terrazzo.
 
    Il suo atteggiamento mi ha lasciata basita. Non che mi aspettassi chissà quale estraneazione di sentimenti ma mi ha ignorato e l'unica diagnosi che ho elaborato è che quel ragazzo soffre di disturbi della personalità multipla. Il suo libro preferito deve essere “Lo strano caso del Dr. Jekyll and Mr. Hyde”.
    Dr. Jekyll, il ragazzo simpatico di prima e del pomeriggio passato a dividerci lo strudel e Mr. Hyde, quello che mi ha accusato di essere un’arrampicatrice sociale e quello di ora, distaccato e dall’aria superiore. 
    Se sarà sempre così, alla lunga, mi verrà un’emicrania. E di quelle potenti.

    Rimaniamo solo io e il francese, la situazione mi mette un po' a disagio, non ho dimenticato il modo in cui mi toccava al pub, insomma nulla di volgare o altro ma comunque ben al di là di un rapporto tra due semplici conoscenti. 
    Così mi congedo anch’io.

    « Aspetta » mi richiama prima di salire in camera mia. Mi giro e lo vedo recuperare un foglio stropicciato, ci scarabocchia qualcosa sopra e poi con un sorriso a trentadue denti me lo porge. C’è scritto il suo nome e il suo numero di cellulare. 
    « Andrè… »
    « Mi piaci » confessa, prendendomi in contropiede, con quel suo accento marcato. Il tono è gentile e carezzevole e così in forte contrasto con il suo aspetto massiccio.
    « Sono lusingata Andrè, davvero… sei carino e simpatico » inizio  girandomi il foglietto tra le mani, lo sguardo basso per non fissarlo negli occhi, altrimenti mi mancherebbe il coraggio di dargli un due di picche. 
    Tergiverserei, inizierei un discorso che ha un inizio ma non una fine…
    « Ma… perché sono sicuro che ci sia un ma ora » continua lui con tono scherzoso anche se è ben percepibile una punta di delusione. Gli rivolgo un sorriso amaro.
    « Ma… » inizio « non sono interessata » diretta e concisa « sono sicura che troverai qualcun’altra che ti apprezzi » continuo e finalmente alzo lo sguardo. È dispiaciuto ma infondo il suo non è che un semplice interesse, attrazione.  Appena arrivato a Roma si dimenticherà del mio rifiuto per dedicarsi a qualcun’altra.
    « Non mi lasci nemmeno uno spiraglio di possibilità? »
    « Non credo sia il caso » rispondo porgendogli il biglietto. Perché ritardare per qualcosa che non ci sarà mai?
    Lui nega con il capo lasciandomi interdetta.
    « Tienilo, possiamo tenerci in contatto e magari se mio padre deciderà di affittare o comprare uno chalet qui, posso offrirti un posto di lavoro quando avrai finito con i Modigliani ».
    « Allora lo terrò » cerco di darmi un tono leggero per smorzare l’imbarazzo che pregna l’aria.
     « E magari nel frattempo avrai cambiato idea. » continua, imperterrito. « Sai… è un’ammaccatura sulla mia armatura il tuo due di picche ». 
    « A Roma avrai molte ragazze che ti gireranno intorno. Vedrai che ti riprenderai presto » e lui annuisce sorridendo.
    « Promettimi di chiamarmi » aggiunge ma ha capito che se si creerà qualcosa sarà solo una buona amicizia e così annuisco.
    Mi saluta e si dirige al piano padronale ed io rimango sola davanti alle scale con sottofondo le urla di Lizzy e Carlo che arrivano da fuori, assieme al rumore dell’acqua dell’idromassaggio.
    Piego il foglietto e ancora scombussolata mi chiudo in camera nascondendo il pezzetto di carta all’eventuale vista della mia compagna di stanza. 

    Una volta nel letto, avvolta dal tempore delle coperte, ripenso a questo giorno che ha portato delle novità.
    Prima di tutto che avevo fatto colpo su Andrè e che per una volta Lizzy, ha avuto ragione, il che è davvero incredibile. 
    Secondo, ma non meno importante, David Modigliani, non è poi così male, certo è viziato, tende ad avere pregiudizi sulle persone meno abbienti e a volte ha quegli atteggiamenti snob irritanti e quella doppia personalità che ti scombussola, ma sa anche essere simpatico e gentile, in definitiva un bravo ragazzo e mi è piaciuto passare l’ultima parte della serata con lui.
    Con questi pensieri in testa e cullata da tepore delle coperte mi addormento beata e conservo questo stato fino  a che il suono stridulo e fastidioso della sveglia mi ridesta.

    « Ci vediamo a Febbraio, ci saranno anche i miei genitori » mi avvisa David.
    Siamo davanti alla pista di partenza dei jet privati. Il loro weekend è finito e i quattro ragazzi sono pronti per tornare alla loro vita quotidiana. 
    Lizzy è totalmente presa da Carlo, questa mattina l’ho vista sgattaiolare giù per le scale con il fagotto di vestiti in mano, scappando come una ladra. “ Non una parola” aveva mormorato quando mi aveva visto e non avevo nessun dubbio su chi potesse essere stato il fortunato.
    « Certo e in bocca al lupo per l’esame » durante la nostra chiacchierata ho scoperto che studia giurisprudenza, è al terzo anno e a quanto pare è un secchione, non prende meno di trenta. Alla faccia dello stereotipo del bello e stupido.
    « Grazie. Allora ci vediamo attorno a metà Febbraio » e inaspettatamente mi abbraccia. Ed ecco il Dr. Jekyll. 
    Goffamente ricambio e quando si stacca, mi saluta ancora per raggiunge Lizzy e le riserva lo stesso trattamento. 
    « Ciao, Dafne » anche Andrè mi abbraccia con calore e come con David ricambio imbarazzata « spero di rivederti presto » sussurra in modo che solo io senta e mi lascia un bacio sulla guancia che mi fa diventare di tutte le tonalità del rosso. 
    Con la coda dell'occhio vedo il giovane Modigliani lanciare all'amico uno sguardo severo prima di girare i tacchi e raggiungere il piccolo veicolo aereo. Ed ecco a voi Mr. Hyde.
    « Ciao, Dafne » Carlo mi saluta con un cenno della mano e raggiunge il piccolo aereo e così anche Michele. Sorrido e li saluto con la mano.

    « È andata molto bene, no? » sentenzia Lizzy porgendomi una busta bianca mentre con l’altra mano ne sventola una simile come se fosse un ventaglio. La apro e per poco non stramazzo al suolo. Cento euro di mancia per meno di quattro giorni?
    « Alla grande » mormoro mentre osservo il piccolo aereo prendere quota, lasciando si dietro di se solo uan leggere traccia bianca.

    « Quindi, noi lo odiamo? » non riesco a trattenere una risata alla solidarietà che la mia amica mi dimostra anche a chilometri di distanza.
    « No, dopo si è scusato ».
    « Mm… quindi ci piace… » tentennai alla sua affermazione « lo sopportiamo » si corresse.
    « Sì, possiamo convivere civilmente ».
    Lizzy ed io siamo tornate dall’aeroporto e finalmente dopo tre giorni riusco a chiamare Anna che, infatti, moriva dalla voglia di scoprire com’erano i ricconi, che cosa mi avevano fatto fare, se ci sono state proposte indecenti. 
    Solo lei poteva pensarlo…
    « Però da come l’hai descritto sembra carino, sicura che non ti piaccia neanche un po'? » continua.  
    « È il mio capo! »
    « Tecnicamente i suoi genitori lo sono ».
    « E lui di riflesso ».
    « Quanto sei pignola » la sento borbottare. Sghignazzo e mi sistemo meglio sul letto. « Ma se non lo fosse? Se lui fosse un ragazzo qualunque, incontrato in un bar ».
    Beh, tenendo conto che non è un ragazzo qualunque, incontrato in un bar, che ha repentini, quanto inattesi, sbalzi d’umore, che è un bel ragazzo e quando è in fase Dr. Jackyl è una persona simpatica e mi piace passare del tempo con lui, che è intelligente e sa catturate l’attenzione, rimane comunque il fatto che non so nulla di lui.
    « Non lo so. Insomma ho scalfito solo la superficie, abbiamo parlato due volte ».
    « Sì, ma ci hai vissuto assieme per tre giorni ».
    « Durante i quali lui stava con gli amici e io lavoravo » obbietto. Sono sempre stata una che ha sempre creduto che l’unico modo per creare un rapporto sia conoscersi. Niente colpo di fulmine, nessuna luce dall’alto, niente campane o scariche elettriche. Bisogna conoscersi, frequentarsi. Non compro a pacchetto chiuso.
    « Mica ti ho detto che te lo devi sposare. Per quel poco che hai visto, ti piace o non ti piace? »
    « Beh… » inizio ma vengo bloccata da delle urla, isteriche, che arrivano dal piano di sotto e mi fanno preoccupare. 
    Lizzy è uscita circa un’ora fa dicendo che sarebbe tornata sul tardi e non può essere lei.
    « Dafne, tutto bene? »le voci sono così forti che anche lei le ha sentite.
    « Non lo so. Anna… » mi alzo e a passi lenti raggiungo l’inizio delle scale. Le voci si fanno più alte ma se fossero dei ladri, non paleserebbero così la loro presenza, no?
    « Sì, sto al telefono finché non mi dici che è tutto a posto ».
    Più tranquilla salgo le scale cercando di fare il minor rumore possibile.
    Le voci si fanno più calme, anche se tengono un tono abbastanza alto, ho ancora una decina di gradini da fare ma già intravedo il piano padronale. I rumori provengono dalla cucina che si trova proprio a sinistra della scala.
    « Mamma mia, sembra uno di quei film d’azione con Bratt Pitt » mormora Anna dalla cornetta del telefono.
    Alzo gli occhi al cielo dopo la sua uscita e senza risponderle continuo a salire le scale.
    « Angy, passami la vodka! » dice uan voce che conosco bene.
    « Falso allarme » borbotto salendo gli ultimi gradini  a passo pesante. 
    « Perché? »
    « È Lizzy ».
    « Uff… era più eccitante pensare che ci fosse un Bratt Pitt ad attenderti. Okay, ti saluto, ti lascio preparare la tua sfuriata in santa pace ».
    « Grazie e notte ».
    « Notte ma non credere che il discorso sia chiuso così » e riaggancia.

    Quando entro in cucina mi trovo davanti tre ragazze posizionate attorno a una brocca, circondata da diverse bottiglie di alcolici,  e ci versano dentro strani ingredienti.
    « Che state facendo? » sembrano tre streghe di Salem.
    Contemporaneamente alzano la testa. Al centro Lizzy è intenta a girare un cucchiaio di legno per mischiare l’intruglio. A sinistra la rossa che la sera prima l’aveva trascinata sulla pista da ballo e a destra una bionda che non ho mai visto.
    « Ragazze lei è Dafne. Dafne queste sono le ragazze. » chiaro, ora so chi sono… « Marta passami la menta ».
    Rimasi a guardarle fino a che Lizzy non esulta soddisfatta del suo lavoro. Foglie di menta e fette di limone galleggiavano in mezzo al ghiaccio. Mojito.
    « Ehm… Lizzy… ragazze ».
    « Oh… Je suis Angéline. » un’altra francese… « Ma chiamami Angy e lei è Marta » indica la ragazza rossa.
    « Sì, noi ci siamo già viste » mormoro mentre la rossa mi guarda con un enorme punto di domanda sulla testa. « Ieri ero al locale con Lizzy e gli altri… » specifico.
    « Aah… non mi ricordo » risponde con espressione pensierosa per poi ritrovare il sorriso e offrirmi il bicchiere di superalcolico che le aveva appena dato Lizzy « Tieni. Questa sera ci si diverte ».
    Detto ciò, recupera un altro bicchiere e va in salotto, dove accende lo stereo a tutto volume.
    « Ogni volta che uno dei proprietari se ne va, facciamo un festicciola » mi spiega Lizzy arrivando al mio fianco. « Vieni ».
    E con quelle parole, ebbe inizio una lunga notte.

    Il bello di ubriacarsi è che ti senti al settimo cielo, ti sembra di fluttuare. Non hai nessun problema. 
    Hakuna matata, come direbbe qualcuno.

    Il problema… arriva il giorno dopo. 
    Mal di testa, come se qualcuno avesse giocato a freccette con la tua testa come bersaglio. 
    Stordimento, tanto che ti chiedi dove diavolo sei finita, e quando, dopo un tempo che sembra infinito, realizzi il posto, il divano del salotto, ti chiedi che ci fai addormentata sul sedere della tua compagna di lavoro, che indossa un casco da sci, e ha una piccola bavetta che cola da un angolo della bocca mentre tu tastandoti il capo, scopri di avere un reggiseno a push up nel posto sbagliato. 
    Udito molto sviluppato, anche il canto di un uccellino sembra un acuto di qualche cantante d’opera che tenta di rompere un bicchiere di cristallo con le vibrazioni prodotte della sua voce o ancora, il lieve e gradevole suono di piccoli campanellini ti sembra lo scampanare frastornante di campane che suonano a festa.

    Lentamente, ma molto lentamente cerco di riacquistare una posizione eretta, ma dopo l’ennesimo tentativo fallito mi metto seduta sul divano. Con un gesto secco mi libero del reggiseno che ho in testa e sempre lentamente, ma molto lentamente, cerco di aprire gli occhi che non ne vogliono sapere di collaborare. 
    E se avessi fatto come volevano loro, sarebbe stato meglio. Appena riesco ad aprirli quel poco che basta per far entrare uno spiraglio di luce, sono accecata dai raggi del sole che prepotenti entrano dalle finestre.
Mi sciolgo… 
    Okay, forse questo è un po' troppo teatrale.
    Riprovo e questa volta va meglio, la luce mi da ancora fastidio ma è più sopportabile. 
     A fatica alzo il braccio e a peso morto faccio cadere la mano sulla gamba di Lizzy, che non si accorge di nulla, tanto è persa nel suo mondo onirico, e inizio a strattonarla.
    « Lizzy… » credo che il mio possa definirsi un lamento.
    « Mm… » il suo un grugnito.
    « Che è successo ieri sera? »
    La sua risposta è un lieve russare. 
    Sbuffo e a tentoni cerco di ritornare in camera, nel mio letto. So che dovrei preoccuparmi della casa, assicurarmi che sia in buone condizioni, che non abbiamo fatto casini ma la mente è ancora troppo annebbiata per fare dei ragionamenti logici e realizzare a pieno la cosa.
    Finalmente arrivo al mio letto e m’infilo sotto le coperte, tutta, nascondendo anche la testa e poco prima di ricadere in un sonno profondo, un’immagine mi passa per la mente. Non eravamo sole, ieri sera c’erano altre due ragazze ma non ho visto nessun altro in salotto…
    Forse sono andate via o forse sono in qualche altra stanza.
    Ci avrei pensato dopo.

    Sono le dodici passate quando mi risveglio nel mio letto con gli effetti della sbornia ormai quasi scomparsi. Di ieri sera ho solo vaghi ricordi e forse è meglio così, alcuni sono troppo imbarazzanti anche solo da pensare.
    Mi giro nel letto liberandomi delle coperte, la voglia di alzarmi è ai minimi storici ma il mio stomaco brontola per la fame e il suo lamento è così forte che probabilmente l’hanno sentito fino al paese.
    Faccio forza su me stessa e mi alzo e faccio una doccia sperando che questa mi aiuti a recuperare un po' di energie.
    Quando torno il salotto, Lizzy è ancora sul divano nella stessa posizione in cui l’ho lasciata, vado in cucina con l’intenzione di mangiare qualcosa di già pronto. La voglia di cucinare oggi non c’è ma il frigorifero è praticamente vuoto. Tonno in scatola, qualche vasetto di cetrioli sottolio e del condiriso. Ovviamente non c’è riso in casa.
    Do una sbirciatina fuori dalle tende della cucina. Il sole è alto e nemmeno una nuvola macchia la distesa blu del cielo. Le montagne e i tetti delle case del paese poco più in basso sono ricoperti da uno spesso strato di neve bianca e soffice. Giornata perfetta per una passeggiata.

    Venti minuti dopo, con una sola felpa a coprirmi dal freddo, il cappello, con un gigantesco pon pon, in testa percorro la stradina che porta al paese facendo attenzione a non scivolare sulle sporadiche lastre di ghiaccio formatesi sull’asfalto. L’aria fredda ha un effetto ristoratore e quando inizio a passare le prime case del paese, gli effetti dell’alcool sono completamente svaniti. 

    Mooserwirt è una tavola calda non molto lontana dall’impianto di salita, è usato dagli sciatori per i pranzi veloci o da chi vuole gustarsi una genuina e tradizionale cucina austriaca.
    Il posto è semplice e accogliente e nel tradizionale stile tirolese, che fa sempre colpo sui turisti. 
    Ad accogliermi appena entro un signore di mezza età che inizia a parlare in tedesco. Dovete sapere, che l’ultima volta che ho parlato tedesco è stato alle medie quando l’avevo come seconda lingua, ma nemmeno allora ero tanto brava figuratevi ora con tutti gli anni che sono passati.
    L’uomo sembra capirlo presto perché con mio grande sollievo inizia a parlare in inglese.
    « Posso fare qualcosa per lei? »
    « Sì, ecco vorrei quattro porzioni di piatti pronti da portar via ».
    L’uomo,molto cordiale, mi guida nell’ampia sala da pranzo, piena di gente, e m’indica il bancone, dove una serie di piatti da portata fanno bella mostra di se pieni di ogni ben di Dio. 
    « Scelga quello che preferisce e poi lo dica a uno dei camerieri » e si allontana per servire dei clienti che richiamano la sua attenzione.
    Cammino avanti e indietro cercando qualcosa da mangiare. C’è così tanta roba che non so che scegliere.
    « Il Gulasch è ottimo ».
    Alzo lo sguardo e trovo un ragazzo dall’altra parte del bancone che mi guarda con un sorriso contagioso. A occhio e croce ha la mia stessa età, forse è uno dei tanti ragazzi che all’apertura delle stagioni vengono in Austria per cercare un lavoro.
    « Sono vegetariana ».
    « Beh… allora ci sono i Germusestrudel mit Krautersauce sono molto buoni ».
    « Cosa? » sembra che stia parlando arabo…
    « Sono quelli » e mi indica quelle che sembrano tante crespelle una fianco all’altra. « È una specie di strudel ripieno di verdure e salsa alle erbe. Le hanno preparate queste con tanto impegno » continua alzando le mani e muovendo le dita.
    Lo guardo non sapendo se ridere o uscire da lì il più in fretta possibile. Il ragazzo non sembrava avere tutte le rotelle al posto giusto.
    « Sono Axel, ragazzo sigle dalla Germania » si presenta. Certamente non ha peli sulla lingua. Sorrido e mi presento.
    « Dafne, non interessata dall’Italia ».
    « Oh… pasta, piazza e mandolino » biascica con un pessimo italiano. « Okay, lascia perdere, era pessima » si affretta ad aggiungere. Effettivamente la mia faccia deve essere molto eloquente. 
    Avevo già la mano sul cellulare per chiamare il primo centro per le malattie mentali della zona. 
    « Bene, allora prenderò un paio di quelle che mi hai suggerito e c’è qualcosa di secondo che mi puoi suggerire? Anche di carne, sono per la mia amica » chiedo piazzandomi davanti ai piatti di carne, pesce e altre cose indefinite e cotti nelle più svariate maniere. Spezzatini, bolliti, impanati.
    Poveri animali…
    « Beh… ci sono i Tirolen Grostl, pezzetti carne cotta con patate e uova » dice mentre sistema le crespelle nelle vaschette di alluminio. « E la viennese. Simile alla vostra cotoletta alla milanese. Ho detto giusto? ».
    « Sì. Allora vada per una porzione di ognuna e delle patate al forno ».
    « Arrivano subito ».

    Cinque minuti dopo Axel è a fianco alla cassa, occupata da un signore sulla quarantina e iniziano a discutere in tedesco. Potete immaginare che li guardavo come se fossero alieni e accolsi con sollievo il momento in cui il ragazzo si rivolse a me in inglese.
    « Allora sei qui per vacanze? ».
    « No, sono del personale ».
    « Oh… bene allora doppio sconto » esclama lasciandomi interdetta ma non posso chiedergli spiegazioni perché ricomincia a parlare animatamente con l’altro anche se ci sono in ballo degli sconti certo io non mi lamento.
    « Venticinque euro in totale » dice il ragazzo porgendomi il sacchetto con il mio ordine, con una mano lo prendo mentre con l’altra consegno i soldi all’altro.
    « Guten Appetit » aggiunge il signore prima di andare al bar posizionato li a fianco.
    « Danke » rispondo con l’unica parola che ricordo di tedesco.  
    « È Gunter. Il proprietario, nonché mio zio ».
    « Sei uno che vale qui dentro, allora ».
    Lui alza le spalle noncurante. « Quando hai bisogno, vieni da me ».
    Recupera un bigliettino da visita con segnato fax, numero di telefono, e me lo porge.
    « Facciamo anche consegne a domicilio così non devi scendere al paese se ti serve qualcosa ».
    « Grazie, ad averlo saputo prima sarei potuta rimanere in casa » borbotto anche se la camminata mi è servita ed è stata anche piacevole.

    « Mi scoppia la testa » è il benvenuto di Lizzy quando rientro. Deve essersi appena svegliata visto che si guarda attorno stordita. Lei ha decisamente alzato il gomito ieri sera.
    « Vedrai che mangiando qualcosa ti sentirai meglio » inizio ma lei mi zittisce subito portandosi le mani alle orecchie.
    « Non urlare ».
    « Scusa » bisbiglio.
    Vado in cucina, sistemo i piatti e i bicchieri sull’isola e sistemo la carne e lo strudel vegetariano sulla stufa.
    Recupero un bicchiere, lo riempio di acqua e raggiungendo la bionda in salotto, glielo faccio bere assieme a una pastiglia di Moment. Finito di bere la mando in bagno a darsi una sistemata e quando torna il cibo è già pronto e sistemato nei piatti diffondendo un profumino davvero invitante. 
    « Ora mangiamo, un po' di carboidrati ci faranno bene ».
    « No, i carboidrati ingrassano » protesta mentre la obbligo a sedersi sullo sgabello. 
    Protesta che cade nel vuoto appena l’odore delle pietanze arriva alle sue narici.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

   

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

Eccomi! Allora come state? Da me nevica^^ è tutto bianco ma purtroppo a causa di una talpa che non ne vuole sapere di andarsene il mio giardino è cosparso di buchi di terra, grrrrr...

Beh, tornando al capitolo, David torna e con lui i genitori e Dafne dovrà sopportare anche una spiacevole compagnia.
Ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le seguite e preferite, sono davver felice e un 10000000000 di grazie alle ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo.
Vi ricordo la mia pagina FB dove potete trovare spoiler avvisi, ecc...

Buona lettura!!

 

 

 











Capitolo 3 - febbraio

1 parte







    Ho scoperto qualcosa che mi fa più paura di quei ragni grossi e pelosi che mi terrorizzano dall’età di cinque anni quando, appena coricatami nel letto, ho alzato il cuscino e ci ho trovato un esserone nero che ha iniziato a zampettare nel mio letto. L’infame mi ha anche lasciato un ricordino sul cuscino. 

    Amo gli animai, credetemi, non uccido nemmeno le mosche che mi ronzano a due millimetri dall’orecchio quando cerco di dormire in un’afosa giornata di agosto, ma i ragni proprio non li riesco ad accettare, per me sono come la kriptonite per Superman, e siccome non uccido animali, se ne trovo uno, lo evito e se ho anche il sospetto che ci sia un ragno nel mio letto, dormo sul divano.
    Chiedetelo a mio padre, lui confermerà.

    « Hai detto che devo essere onesta, no? » gli chiedo prima di dare il mio parere. David annuisce e mi guarda attento, anche se credo immagini già la mia risposta. « Bene. Per rispondere alla tua domanda » inizio dopo aver poggiato il piattino di tè sul tavolino del soggiorno ed essermi accertata che nessuno sia nei paraggi « tua madre mi terrorizza! » bisbiglio facendolo ridere. « Non è divertente. Hai visto come mi ha squadrato all’aeroporto? »
    Beh credetemi, sembrava volermi incenerire con lo sguardo, dopo avermi sottoposta a un attento esame. Nemmeno mi ha salutato!  Mi è passata davanti ordinandomi di recuperare la sua valigia e di sistemarla nel bagagliaio e poi è salita in macchina. 

    Per quello che mi ha detto Lizzy, Mrs Adrianna Collins in Modigliani, è figlia di un facoltoso imprenditore inglese, è sposata da venticinque anni con Roberto Modigliani, figlio di un ricco banchiere milanese. Si conobbero a Oxford, dove lui aveva intrapreso studi di economia mentre lei architettura. 
    Tre anni di fidanzamento e finita l’Università si sono sposati con al benedizione delle famiglie, più che felici di unire due patrimoni tanto cospicui. 

    « È la donna più spaventosa che io abbia mai incontrato ».
    « Ti avevo avvertito » già ma non credevo che fosse la matrigna cattiva di Biancaneve. « Per controbilanciare c’è mio padre » e una luce gli si accende negli occhi quando lo nomina. È davvero affezionato all’uomo. Riccardo - chiamami Ricky, perché lo fa sentire più giovane - Modigliani, è un uomo sulla cinquantina, capelli leggermente brizzolati, sguardo gentile, un po' eccentrico nei modi, ma molto affabile. In molti aspetti fisici ricorda il figlio. 
   David ha ereditato i suoi occhi, azzurri come l’acqua marina, anche se quelli del figlio tendono al verde sotto la luce del sole, facendoli assomigliare a un prato primaverile. La prima volta non lo ho notato ma oggi c’è il sole e quando gli sono stata abbastanza vicina, la cosa mi ha colpito molto. Anche nella corporatura si assomigliano molto, e sono arrivata alla conclusione che da giovane il Signor Modigliani doveva assomigliare molto al figlio.
    Il conoscere i suoi genitori mi ha fatto sviluppare una teoria o meglio me ne ha confermata una. I figli sono esseri distinti dai genitori ma che portano in loro qualcosa di uno e qualcosa dell’altro, così la scienza insegna. La cosa vale anche per David.
    Mr. Hyde, rappresenta quella parte ereditata dalla madre, mentre il Dr. Jekyll la parte ereditata dal padre.
    « Sembra uno a posto ».
    « Sì… » e sembra voler aggiungere altro ma si blocca e scuote la testa. Si sistema meglio sulla poltrona e inizia a bersi il suo te. 
    « Allora, cosa hai fatto in queste tre settimane? » mi chiede, cambiando discorso, dopo qualche sorso di tè. 
    Questa è facile…
    « Studiato, pattinato, tanto, tenuto in ordine la casa, dormito, conosciuto qualche amica di Lizzy » e ometto il fatto che hanno fatto qualche pigiama party proprio qui « e ancora studiato ».
    « Sciato? »
    Storto la bocca al ricordo del primo giorno che ho messo quelle armi mortali ai piedi, ci ho riprovato ma anche quella volta è stata un completo disastro.
    « Ho appurato che lo sci non fa per me. Okay, diciamo che sono proprio negata » ammetto borbottando l’ultima parte.
    « Nessuno è perfetto in tutto, ricordi? »
    « Infatti, ti ho detto che sono negata ».
    « Basta solo della pratica ».
    « La pratica dovrà aspettare. Qui devo lavorare » e a conferma arriva dalla porta la voce, soave, dolce e delicata della Signora Modigliani. « Visto? Meglio che vada » aggiungo sparendo in cucina.
    « Sweetheart, sei già a casa? »
    « Sono in salotto » sento rispondere David. Dei passi veloci percorrono il corridoio.
    « Non sei uscito? » la voce ora è più chiara e vicina e proprio mentre mi volto per una breve sbirciatina, la Signora Modigliani fa il suo ingresso in salotto, coperta dalla sua pelliccia di visone e in mano un paio di occhiali che sembrano due occhi da mosca. Non riesco a trattenere un lamento che per mia sfortuna è sentito da entrambi. David ha capito a cosa è dovuto, infatti i suoi occhi saettano subito sulla giacca della madre mentre quest’ultima mi lancia un’occhiata interdetta. 
    « Ero stanco » gli risponde richiamando su di se l’attenzione della donna. Io emetto un sospiro di sollievo e mi rimetto a sistemare la cucina.
    « Sono stati giorni pesanti, vero? Ma come sempre ci hai reso orgogliosi di te ».
    Sono di spalle e non posso vedere la faccia di David e quindi la sua reazione. Li sento accomodarsi e subito la signora mi ordina, si perché non chiede, pretende, di portare anche a lei del tè, ma di farne uno nuovo e non riscaldare quello già pronto.
    Ricchi…

    Una volta sistemato tutto sul vassoio ritorno in salotto. È la signora Modigliani a tenere le fila del discorso, il figlio si limita ad annuire.
    «Questa sera io e tuo padre siamo invitati dai Goldman e Lana, oh quella cara ragazza… » si blocca quando mi sente arrivare. Io non ci do peso, poggio la tazzina di te davanti a lei assieme a un nuovo piattino di biscotti da te e mi congeda mandandomi a raccogliere della legna per il camino. Solo quando esco dal salotto e sparisco dietro alla porta, la sento riprendere il discorso.
    « Lana, ha chiesto di te e se parteciperai. Io ovviamente ho detto di sì… ».
    Le sue parole arrivano ovattate e piano, piano, che mi allontano non sono altro che un sussurro poi più nulla.

    Voi direste che è ingiusto giudicare qualcuno quando lo conosci da meno di otto ore ed io sono d’accordo ma per inquadrare una donna come Adrianna Modigliani non ci vuole molto. Il suo pregio è che mostra subito chi è. Niente trucco, niente inganno.
    Algida, nobile e autoritaria. Fa sentire la sua presenza, anche se non c’è, attraverso i suoi ordini, il suo modo di gestire la casa.
    Lo sguardo severo, è inquietante ed è peggio di una chimera, e poi nessuno slancio affettivo verso il marito o il figlio, ma si sa che gli inglesi mostrano il loro affetto solo a cani e cavalli...

    « Già non la reggo più… » borbotto appena entro in camera da letto. Lizzy è seduta su materasso e un piede è poggiato sul comodino. Attenta si passa lo smalto rosso sulle unghie di quello sinistro, quello destro poggia a terra, già pitturato e con i distanziatori per le dita.
    « Ci fai l’abitudine dopo un po' »è la sua saggia risposta.
    Sono le otto di sera e siamo sole nello Chalet visto che i Modigliani sono usciti a cena, ospiti da Tal dei tali.
    Saranno snob come lei? E questa Lana di cui parlava la signora questo pomeriggio? Sarà un'amica di David o qualcosa di più?
    Ma che t’importa? Saranno fatti suoi.
    Appunto, e così come sono venuti questi pensieri se ne vanno.
    « La prima volta che mi ha richiamato ho pianto per dieci minuti buoni » confessa la mia amica, finendo di passarsi lo smalto.
    « Che avevi fatto? » chiedo senza riuscire a trattenere un sorriso.
  « Dovevano arrivare ospiti e io avevo messo il servizio sbagliato. Anche se non lo era » si affretta ad aggiungere con sguardo scuro « semplicemente lei aveva cambiato idea e ha dato la colpa a me » conclude piccata.
    « Ricchi... » ci ritroviamo a dire nello stesso momento.
    Ci guardiamo negli occhi, allegre, ci tocchiamo il naso e scoppiamo a ridere.
    In queste settimane Lizzy ed io abbiamo fatto amicizia e devo ammettere che non è male, certo se si sorvola la sua fissa per ogni ragazzo che respira, soprattutto se è ricco, e il fatto che si è messa in testa di insegnarmi l’arte del vestire bene, mi piace stare con lei.

    « Ecco il vostro salvatore… »  esclama Axel entrando dalla porta di servizio. Subito, Lizzy ed io, lo azzittiamo. Se la Signora Modigliani lo scoprisse, ci licenzierebbe. 
    La matrigna cattiva ci aveva consegnato il menù per il pranzo solo mezz’ora fa dicendoci che sarebbero arrivati degli ospiti, i famosi Goldman, e che questi sarebbero arrivati per l’una del pomeriggio.
    Ebbè? Direte voi, ebbè siamo bloccate allo Chalet perché i padroni di casa stanno per uscire e prenderanno la macchina per andare, con i già menzionati ospiti, in una gita fuori paese e noi non abbiamo nessun altro mezzo per raggiungere il mercato e recuperare quello che serve. 
    Capite il nostro cruccio?
    « Grazie, Axel » lo ringrazia Lizzy con un bacio.
    Già, non avete letto male, l’ha proprio baciato e tutto grazie alla sottoscritta che in veste di moderno cupido li ha fatti incontrare. No, non è vero, non avrei mai immaginato che i due potessero avere un futuro insieme. Anche se non ho ancora capito se fanno coppia o sono solo amici di letto. Certo è che il tedesco era molto preso.
    Avevo chiamato Axel per portare la spesa e si sono conosciuti, il giorno dopo Lizzy ha voluto andare lei in paese e poi, si sa, da cosa nasce cosa e puntini, puntini, puntini…
    Suvvia non fate quelle facce scioccate, non sono male!
    « Allora, la megera se ne è già andata? » chiede il ragazzo sedendosi su uno degli sgabelli.
    « No, si stanno ancora cambiando e… »
    « Elisabetta, Dafne! » tuona una voce dalle scale. Lizzy, scatta sul posto e si piazza davanti al tavolo a nascondere il tedesco. Adrianna è stata categorica. Nessun estraneo soprattutto ragazzo nello Chalet.
    « Nasconditi » dico e con poca grazia obbligo Axel a buttarsi a terra, non senza fargli picchiare la testa contro la gamba di una sedia.
    “ Scusa” mimo con le labbra prima che Adrianna faccia il suo ingresso in cucina. Perfetta nel suo abbigliamento casual, che certamente sarà costato una fortuna.  Il maglione è della nuova collezione invernale di Burberry. 
    « Stiamo andando. Tutto deve essere pronto per l’una e mi raccomando » e assottiglia lo sguardo, guardando la mia amica con severità, « il servizio che dovete usare è di murano ». 
    « Certo, Signora Modigliani » le rispondo con un sorriso finto come una banconota da due euro. « All’una sarà tutto sistemato sul tavolo del salone e il fuoco scoppietterà nel camino ». L’ho detto che quando sono agitata straparlo?
    Adrianna, mi riserva un’occhiata dall’alto in basso e dopo le ultime raccomandazioni se ne va. Del Signor Modigliani o di David nessuna traccia, probabilmente sono già fuori ad aspettare in macchina. Devo ammettere che un po' ci sono rimasta male, speravo che David facesse un salto a salutare. Sono una dipendente ma, dopo la famosa serata, speravo che ci sarebbe stato qualcosa di più di una semplice relazione lavorativa.
    Forse sono io che sto ingigantendo le cose. È qui con la famiglia e certamente vorrà passare del tempo con loro, soprattutto ora che sono appena arrivati e devono riallacciare i rapporti con il vicinato. Effettivamente sembra di essere in uno dei romanzi della Austen. Ci manca solo che organizzino un ballo ed è perfetto. 
    « La odio. Hai sentito come mi ha chiamato! » esclama Lizzy. È rimasta ferma dietro l’isola, vicino al nostro amico che, ancora nascosto attende, il via libera.
    « Puoi uscire Axel » dico mentre dalla finestrella della cucina guardo la macchina nera dei Modigliani allontanarsi.
    « Nah… sto bene qui. Aiah » lo sento lamentarsi, incuriosita mi volto e quello che vedo è Lizzy dare un calcio dove teoricamente dovrebbe esserci in suo ragazzo tedesco.
    « Pervertito! Non guardarmi mai più sotto la gonna » lo avverte, « Ora fuori che dobbiamo lavorare » e con poca grazia lo caccia via, inutili sono stati i tentativi del ragazzo di scusarsi.
    L’amore non è bello se non è litigarello, no?

    I piatti non sono molti ma usando il linguaggio dei ricettari, hanno tutti una difficoltà alta e richiedono molto tempo di preparazione, ma soprattutto c’è un solo     forno!
    Dove sono finiti i piatti semplici e con pochi ingredienti? 
    Sta di fatto che per un caso più che fortuito alle tredici tutto è pronto e nemmeno è scoccato il minuto che sentiamo le ruote del fuoristrada fermarsi davanti all’ingresso, seguite da quelle di un’altra macchina, di grossa cilindrata a sentire la frenata. Sbircio dalla finestra e dalla macchina dei Modigliani vedo scendere i signori e altre due persone, un uomo e una donna, quelli devono essere i Signori Goldman, mentre dall’altra macchina, una jeep nera, scende David con una ragazza, una mini Adrianna, che con tutto quel trucco in viso sembra più grande di lui e in certo senso mi ricorda la Tatangelo che nonostante abbia pochi anni più di me sembra una che ha passato la trentina. 
    Appena David le si affianca, si appropria del suo braccio e lui da gentiluomo la accompagna alla porta. Il giaccone bianco che indossa gli calza a pennello, risaltando il suo fisico longineo. Come sempre gli occhi sono nascosti da un paio di lenti scure e i capelli sono scompigliati da una leggera brezza. Da bello e impossibile, come direbbe la Nannini.
    Perché deve sempre sembrare come uno saltato fuori dalla pubblicità di Dolce e Gabbana o Gucci?
    Come se si fosse accorto di me, alza lo sguardo nella mia direzione ed io lascio andare di scatto le tende, che mi coprono alla sua vista. 
    Spero proprio che non mi abbia visto.
    Insieme, raggiungiamo l’ingresso per accogliere i padroni di casa e i loro ospiti. Lizzy si affretta a raggiungere la porta e fa appena in tempo ad aprirla che Adrianna fa il suo ingresso seguita da un più pacato Ricky, poi i Signori Goldman e la ragazza al braccio di David.
    « Benvenuti nella mia umile dimora. Non badate al disordine. Siamo arrivati ieri e le nostre domestiche non hanno ancora finito di sistemare » si lamenta la donna guadagnando un’occhiata da parte mia e della mia amica. Abbiamo pulito tutto, alla faccia di mastro lindo, e lei ha il coraggio di lamentarsi?
    « Non preoccuparti. Oggigiorno è difficile trovare dipendenti competenti. Hai visto casa mia, no? » la asseconda la rossa rifatta che entra dopo di lei.
    Adrianna con poche cerimonie si libera del suo cappotto e lo lancia a Lizzy assieme alla borsa. 
    Qualcuno di voi ha visto il diavolo veste Prada? Se sì, vi ricorderete la scena in cui Meryl Streep, che interpreta l’odiosa Miranda, lancia le sue cose alla nuova segretaria, Anne Hathaway. Ecco, la scena è quella.
    Il Signor Modigliani è più gentile e dopo essersi tolto il giaccone, me lo porge con un sorriso di scuse. 
    Che cosa ci abbia trovato in quella donna, proprio non lo capisco.
    Meno gentile si rivela la piccola minime di Adrianna che, anche lei con poca grazia, mi consegna il suo cappotto.
    Trattenendo uno sbuffo e qualcosa di peggio, guardo verso David che ha osservato tutta la scena senza proferire parola. Resto allibita nel vederlo togliersi il giaccone, consegnarlo a Lizzy e raggiungere gli altri in salotto.
    Non una parola in nostra, okay, mia, difesa. Niente, nada, nothing, nichts, rien. Ho reso l’idea? 
    Non so che mi aspettavo che facesse, non certo che si innalzasse a paladino dei più deboli e che, sul suo cavallo bianco, l'armatura  lucente e brandendo la spada della giustizia, ci difendesse dalla matrigna e dalla sorellastra cattiva di Cenerentola ma almeno che dicesse qualcosa, sì.

    Il resto della giornata non andò meglio, nemmeno i giorni seguenti, e a dire il vero per tutta la settimana, la situazione non cambia.
    La signora Modigliani comandava a bacchetta Lizzy e me e ci portava al limite dell’umana sopportazione.
    Il Signor Modigliani non fa nulla per frenare la moglie, guarda passivamente lo svolgersi degli eventi e spesso s’isola chiamando il suo studio per gli aggiornamenti delle cause in corso mostrando quanto sia dedito al suo lavoro e se da una parte lo ammiro per questo, dall’altra gli vorrei urlare di prendere in mano la situazione e fare il marito. Con David parla sempre dello studio e con lui discute delle cause, lo ascolta attentamente e si vede che ci tiene al parere del figlio, lo prepara al suo futuro lavoro. Lo studio legale un giorno sarà suo.
    Mr. Hyde, intanto, ha il pieno controllo di David, il ragazzo gentile del primo giorno è completamente sparito.
    Meriterebbe un bel calcio alle parti con la cerniera dei pantaloni.
    Mi sembra di aver a che fare con un’altra persona, con il suo gemello cattivo, e il fatto che ogni due per tre mi ritrovo, a veder gironzolare per casa, quella spocchiosa Lana mi manda all'esasperazione. 
    Adrianna, infatti, la invita a cena ogni volta che le è possibile e quando è qui, comanda come se fosse la padrona. Forse è proprio questo l'obiettivo di Lana, diventare la futura signora Modigliani e David non sembrava disdegnare le attenzioni della ragazza, nonostante sia un ragazzo intelligente sta cadendo nella rete del ragno. Forse non è cosi intelligente come credevo. 
    O, inizia la mia vocina interiore, forse lo sa e non gli importa, forse ha il suo stesso obbiettivo. No, mi rifiuto di credere che dietro le azioni di David c'è un mero interesse verso i soldi.
    E se ci fosse la madre dietro a istigarlo? Ritenta la vocina. 
    Forse, certamente ne sarebbe capace.

    Cosi Lana è diventata uno degli argomenti principali tra madre e figlio. 
    “Lana di qua” 
    “Lana di là” 
    “David, sono felice che hai invitato Lana ad uscire…”
    “Lana, siete proprio una bella coppia…”
    « Non è che sei un po’ gelosa? » mi domanda Lizzy dopo il mio ennesimo sclero.
    La guardo visibilmente scioccata. Ma che c’era nel vino che ha bevuto di nascosto dai Modigliani?
    « Cosa? No, solo che non la sopporto, che m’importa se fa la smorfiosetta con lui ».
    Per quello che m’interessa, potrebbe stare con chiunque lui voglia ma se io devo sopportare l’oca di turno, allora no.
    La mia amica aveva liquidato l'argomento con uno accondiscendente "certo, certo" che aveva aumentato la mia irritazione.
    Sono pagata per sopportare Adrianna e le sue pazzie non mi danno nessun extra per quelle di Lana. “Voglio dell’acqua minerale, francese mi raccomando…”. 
    Ma vai in Francia se vuoi l’acqua francese!
    E poi non puoi chiedere a un italiano qualcosa di francese! Siamo come cane e gatto.

    Potete capire che le cose tra noi non erano certo rose e fiori, anzi spine e ortiche. Le cose più assurde le chiede a me, se c’è Lizzy lei mi manda a chiamare e con un sorriso malvagio mi ordina quello che devo fare. Specialmente quando c’è David nei paraggi, quindi sempre e lui non dice mai nulla, mi guarda e rimane zitto ed ogni volta è una pugnalata. 
   Credevo che fosse uan persona diversa invece è solo il solito ragazzino viziato che si crede sopra tutto e tutti, fregandosene di quelli che non sono al suo livello sociale. Ma l’ultima sera non era stato così e nemmeno quando abbiamo diviso il pezzo di dolce. 
   Di una cosa ero certa, l’emicrania stava aumentando a furia di cercare una spiegazione e a questo punto sono arriva alla conclusione che non ne vale la pena. Lascio perdere. 
    Dafne, mi dico, stringi i denti e vai dritta per la tua strada.

    È venerdì sera e i Modigliani hanno organizzato un piccolo bouffe, con alcuni soci dello studio legale e amici di famiglia. Partiranno domenica e per mia gioia, torneranno solo alla fine del mese.
    Lizzy ed io andiamo avanti e indietro gironzolando per il grande salone con vassoi pieni di piccoli stuzzichini in una mano e con l’altra versiamo lo spumante.
    Adrianna ha preteso un abbigliamento formale, nel messaggio, che ci aveva lasciato in cucina, era sottolineato e in grassetto.
   Così, Lizzy, sfruttando l’assenza dei Signori ospiti a casa dei Goldman mi aveva portato in paese a comprare qualcosa di elegante visto che mancava dal mio armadio.
    La scelta è ricaduta su un vestito di jersey nero, senza maniche che scende accarezzando la mia figura fino al ginocchio, ed è ravvivato da diverse drappeggiature. Lizzy poi, mi aveva abbinato un paio di scarpe col tacco, adducendo alla scusa che saremmo rimaste in casa.
    A detta sua, avrei fatto schiattare d’invidia Lana e per quanto avrei voluto pensarla come lei, non posso competere con un abito di alta sartoria.
    La mia amica, che invece di vestiti eleganti ne aveva a bizzeffe, non aveva resistito e se ne era comprata anche lei uno. Nero con delle leggere arricciature a decorare le spalle, l’abito è stretto in vita da una sottile cintura rossa, con un motivo di nodo sul davanti, e cade liscio fino al ginocchio.
    “Siamo due gran fighe” aveva trillato mentre ci rimirava allo specchio. Io avevo scosso la testa sconsolata. Quando si parla di vestiti, trucco e parrucco, Lizzy regredisce alla fase “adolescente che ha appena scoperto la moda”. 
    Terribile.

   Come avevo immaginato non posso competere con Lana. È perfetta nel suo abito grigio scuro, dalle maniche a chimono, lungo fin sopra al ginocchio e stretto in vita da un’alta cintura nera. Gli accessori che indossa, credo che potrebbero pagare il mio primo anno di università, compresi libri, alloggio e trasporti.
    Anche Adrianna è magnifica nel suo abito rosa antico dal taglio classico che la fa sembrare più giovane di dieci anni.
    La musica di sottofondo, leggera e delicata è a pezzi sovrastata dal chiacchiericcio degli ospiti che ridono, scherzano, parlano e borbottano. Una cacofonia di suoni disarmonici, in netto contrasto con la voce della cantante in sottofondo.
    David l’ho visto solo all’inizio della serata quando ancora non era arrivato nessuno e mentre sua madre ci dava le ultime istruzioni. È rimasto a fissarmi per un po' di tempo, distraendosi solo quando suo padre lo coinvolse in una discussione. Poi… beh… è arrivata Lana e ne ha catturato completamente l’attenzione.

    « Lizzy, vado a togliere le ultime cose dal forno » l’avviso mentre con alcuni vassoi vuoti recuperati per la sala torno in cucina.
    Stavo per sparire dietro l’angolo quando un vassoio, su cui poggiava una sola tartina, faceva bella mostra di se su un tavolino a fianco di un gruppo di persone. Non mi preoccupo di guardare chi siano e mi chino a recuperarlo quando, nello stesso momento, vedo una mano protendersi per prendere la tartina.
    « Oh… scusi » dico sorridendo e lasciando il tempo alla persona di recuperare il cibo, ma quando alzo lo sguardo le mie labbra hanno un fremito, devo sforzarmi per mantenere intatto il sorriso e uno sguardo cordiale.
    « No, scusami tu » mi risponde abbassando gli occhi e lasciando la tartina al suo posto e fortunatamente non può vedermi perché la mai faccia deve essere proprio scioccata. È imbarazzato, non ho mai visto David imbarazzato. « Porta pure via » borbotta prima di rigirarsi e inserirsi nel discorso degli altri.
    Ancora interdetta, mi allontano e vado in cucina. Dalla finestra si vede il ritaglio di cielo notturno, le cime degli alberi completamente bianche così come tutto attorno tanto che è difficile distinguere una cosa dall’altra. Ho sempre pensato che la neve avesse questa capacità di uniformare le cose, di cancellare le differenze…
   « Dafne? » una voce maschile mi fa sobbalzare. Vicino alla porta, sposta lo sguardo a destra e a sinistra, mentre rigira il calice, pieno di quel liquido giallo e ricco di bollicine che ho versato a tutti gli ospiti per tutta la serata, tra le mani.
    « David? Serve qualcosa? » gli chiedo non sapendo il motivo che lo potesse portarlo dietro le quinte. 
    « No » si affretta a dire. Si gratta una tempia distrattamente e si avvicina poggiando il calice sull’isola tra vassoi di portata e porta salse.  Lo sguardo è serio e certamente non deve dirmi che mancano salatini o pizzette. 
    « Un brutto tempaccio, vero? » inizia additando alla bufera che sta imperversando fuori.
    « Già, ma al meteo hanno detto che non durerà molto, si dovrebbe calmare sul tardi » rispondo atona. Non ho mai capito come i meteorologi prevedono il tempo, perché il più delle volte sbagliano alla grande. 
    « Forse non è un buon momento ma Dafne, senti… » gelo alla sua voce seria. L’aria iniziava a mancarmi e… è una mia impressione o le pareti si stanno avvicinando?
   « Scusa David, ma ho da fare e se non mi sbrigo la Signora è capace di licenziarmi »  lo blocco recuperando l’ultima teglia dal forno e poggiandola sull’ultimo spazio libero sull’isola.
    « Sì, scusami » dice accennando un sorriso, ma che in realtà sembra più una smorfia. Mi giro dandogli le spalle, e recupero un vassoio. « Ti lascio lavorare » dice ma non se ne va subito lo sento tentennare per qualche secondo prima di sentire i suoi passi allontanarsi per imboccare l’uscita e tornare dagli ospiti.
    Solo quando il silenzio ritorna sovrano, mi permetto di liberare il respiro che inconsciamente ho trattenuto.
    Il problema è che ora sono piena di domande… che voleva dire? Perché era così serio? 
    No, mi ammonisce la solita vocina interiore, hai detto di finirla di preoccuparti di quello che passa nella testa di quel babbeo.
    Giusto, basta.
    Prendo il mio vassoio e ritorno in sala con un sorriso smagliante a servire cibo minuscolo ai ricconi nella sala. 

    Girovagando, spesso incontro lo sguardo di David che mi segue ed io lo ignoro, cambio direzione e continuo come se nulla fosse successo.
    Al suo fianco c’è sempre Lana che mi riserva uno sguardo infastidito, ogni volta che mi vede attardarmi un po’ troppo sulla figura di David, perché sì, a volte cado in tentazione e vorrei mandare a quel paese Oscar Wild e la sua teoria sul cedere alle tentazioni per liberarsene perché non è così.
    « Che è successo in cucina? » è il bisbiglio di Lizzy appena riesce a raggiungermi.
    « Nulla » rispondo con un’alzata di spalle e verso lo spumante nel bicchiere di un signore di sessant’anni. « E anche se fosse successo qualcosa non sarebbero fatti tuoi » mormoro mentre istintivamente guardo nella direzione in cui ho visto David l’ultima volta. È ancora lì e proprio in questo momento si volta e incrocia il mio sguardo.
    Spesso ho letto, nei miei romanzi d’amore che sono i miei amici più fidati, che la protagonista riesce a leggere le emozioni dell’uomo guardando solo i suoi occhi ma io non vedo nulla o forse non voglio vedere nulla per paura di leggervi qualcosa che potrebbe ferirmi. 
    Ecco questo è uno dei pensieri che la protagonista farebbe… 
    « Quindi è successo qualcosa » insiste eccitata dal possibile pettegolezzo, riportandomi alla nostra conversazione.
   « Quanto sei pettegola. Comunque non è successo proprio nulla, credo che volesse parlare ma io ho da lavorare » concludo indicando con un cenno del capo il salotto pieno di gente.
    « Okay, per ora lascio stare » e dallo sguardo capisco che non si arrenderà facilmente « Serve dell’altro vino, vai tu » la sua dovrebbe essere una domanda ma è più un ordine visto che prende la mia bottiglia e, con uno sorriso sornione, continua il giro.
    Con uno sbuffo giro i tacchi e scendo in cantina.

    « Serve della legna. Vai a prenderla fuori » esclama Lana apparendo sulla soglia della stanza dei vini, cinque minuti dopo di me. E già, i vini hanno una stanza tutta loro con la temperatura controllata. 
    « Ce ne è di legna vicino al camino » ribatto senza nemmeno girarmi a guardarla. Mi ero premurata di riempire lo spazio proprio il giorno prima quando Lizzy era appena uscita per andare a fare la spesa.
    « Adrianna ha detto che ne serve altra » ribatte con il suo tono acido. Come fa David a sopportarla?
    « Ma fuori c’è la bufera! » 
    La neve al posto di diminuire sembra aumentare, alla faccia delle garanzie del meteo.
    « Sei pagata per lavorare in qualsiasi situazione. Quindi metti la giacca ed esci a prendere la legna » e dopo questo ordine perentorio Lana se ne va non senza lanciarmi uno sguardo di sdegno. 
    Altro che Carolina, è lei la matrigna di Biancaneve.
    Con uno sbuffo di esasperazione, poggio lo scatolone pieno di bottiglie per terra e salgo i pochi scalini della cantina. Chiudo la porta e svogliata mi dirigo verso la porta di servizio. Indosso gli scarponi da neve, prendo la vecchia giacca, metto il cappello, recupero la cesta della legna ed esco.
    « Dio, che freddo » balbetto appena l’aria ghiacciata e i fiocchi di neve mi colpiscono in viso. Ma che è saltato in mente alla signora Molinari di mandarmi a recuperare la legna? Quella deve odiarmi molto…
    Con pensieri omicidi, verso la mia datrice di lavoro e l’inverno austriaco, affronto il piccolo pezzo di strada che mi separa dalla baracca dove sono conservati i tocchi di legno già tagliati e protetti da una tela impermeabile. La nebbia e la neve che impediscono di vedere bene, fanno sembrare la distanza maggiore di quella che è effettivamente. E i muri di neve che fiancheggiano il sentiero fanno sembrare tutto una massa unica e compatta.
    Nonostante il sentiero è stato ripulito questa mattina, è già ricoperto da quaranta centimetri di neve bianca e soffice. In un altro momento mi ci sarei buttata dentro a bomba, ma ora vorrei solo tornare al calduccio del canino e rimanervi fino a che smette di nevicare. 

    I miei piedi affondano nella neve con un suono che assomiglia a uno scricchiolio e ogni passo corrisponde a una serie di brividi che dai piedi salgono fino alla testa. Le calze si sono bagnate, anzi sono zuppe, e più che proteggermi dal freddo, fanno tutto il contrario.
    « Ah ti odio neve! » urlo quando perdo l’equilibrio e mi ritrovo sommersa dalla neve che fiancheggia il sentiero. « Prenderò un accidenti. Poco ma sicuro » borbotto mentre a fatica cerco di rialzarmi.  
    Tremante, recupero la cesta e finalmente dopo qualche metro mi ritrovo al sicuro sotto la piccola tettoia. Velocemente metto la legna nella cesta fino a riempirla completamente. 
    « Così dovrebbe bastare per tutta la serata » dico soddisfatta mentre, senza non poca fatica, sollevo la cesta e rifaccio la strada per tornare allo chalet.
    Sto già pregustando la sensazione di calore che mi accoglierà quando abbasserò la maniglia per entrare in casa quando un piccolo imprevisto mi fa ghiacciare sul posto. 
    La porta non si apre. 
   Provo una, due volte, poggio la cesta a terra perché sta diventando troppo pesante da reggere, e riprovo una terza e quarta volta spingendo con forza la porta ma nulla, ottengo sempre lo stesso risultato. 
    Io fuori al freddo e al gelo e il calore chiuso dietro dieci centimetri di legno di noce.

    Inizio a bussare, come una forsennata, contro la porta sperando che qualcuno, e con qualcuno intendo Lizzy, mi senta e venga ad aprirmi.
    « Ehi! Qualcuno mi sente! » urlo per la millesima volta dopo che l’ennesimo brivido di freddo mi ha provocato la pelle d’oca su tutto il corpo. 
    Una folata di vento gelido rispose alla mia domanda.
    Evidentemente, no.
   Mi tasto spasmodicamente le tasche, solo dopo un paio di secondi realizzo che; uno, è impossibile che il mio cellulare sia nelle tasche del giaccone e due, il mio vestito non ha le tasche.
    « Cavolo » sibilo. 
    Okay, basta solo scendere per il piccolo pendio - sì, perché lo chalet è costruito sul pendio della montagna -, arrivare all’ingresso, scendendo le scale, e bussare, suonare fino a che non mi aprono. Mi rassicuro, ma il fatto che in questo periodo ho continui battibecchi con me stessa non è un buon segno. 
    Lo sapevo che i ricchi mi avrebbero mandato al manicomio.
    Recupero la cesta e a passo lento, per non scivolare sulla neve o peggio sulle lastre di ghiaccio nascoste dal manto candido, m’incammino, rimanendo attaccata al muro.
    Alzo lo sguardo e vedo le finestre del piano padronale che diffondono la luce all’esterno. La neve sembra aver rallentato la sua caduta e mi perdo a osservare i piccoli fiocchi cadere leggeri, alzo una mano e ne raccolgo uno che ovviamente si scioglie a contatto con la mia pelle.
    È un forte brivido di freddo a ridestarmi dal torpore. Rischio un malanno a rimanere fuori con questo tempo e oltretutto bagnata.
    Un ultimo sguardo alle finestre, le persone che si muovono all’interno della casa, lasciano ombre scure sulla neve. Qualcuna guarda fuori ma non mi vede. 
    E come fanno? Quelli non vedono al di la del loro naso…
    Lentamente scendo i gradini, sotto lo strato di neve, posso sentire il ghiaccio freddo e scivoloso. Faccio molta attenzione cercando di mantenermi in equilibrio, la cesta poggiata sul mio fianco mi fa male ma stringo i denti.
    Sono quasi alla fine della scala e già esulto per non aver rischiato di perdere l’equilibrio nemmeno una volta quando metto il piede in fallo. 
    Ride bene chi ride ultimo.
    Scivolo e poi quello che sento è il rumore della legna che cade sulla neve, un colpo doloroso alla testa e in fine il freddo della neve. 
    Dopo solo il buio.








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Allora? Piaciuto? Sarò felice di leggere qualche vostro commento.
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ciao! Capitolo lungo, lungo. Spero di essermi fatta perdonare per la lunga attesa^^

Ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le seguite e preferite, sono davver felice e 10000000000 di grazie alle ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo.

Vi ricordo la mia pagina FB dove potete trovare spoiler avvisi, ecc...

Buona lettura!!

 

 

 











Capitolo 4 - febbraio

2 parte


 


 

Faccio fatica ad aprire gli occhi mentre la mia testa sembra essere presa di mira da un martello pneumatico. Emetto un lamento mentre mi muovo per cercare di capire dove sono finita.

Che è successo? Dove mi trovo?

Sono le domande che mi frullano nella mente, tutto è sfocato e il mio cervello sembra elaborare il tutto a rallentatore e poi qualcosa mi colpisce il viso, è vischiosa e fredda.

Neve mista a pioggia.

« Dafne! » un urlo che mi fa spaventare, facendomi riprendere contatto con la realtà.

Stavo scendendo i gradini, la cesta della legna in mano e sugli ultimi gradini sono scivolata.

Spalanco gli occhi e quello che vedo è neve, tanta neve che mi circonda. Io sento freddo, tanto, e sono completamente zuppa. Inizio a tremare e guardo nella direzione in cui è arrivata la voce. Ora ci sono altre voci, mormorii.

« Dafne! » un’altra volta la voce allarmata mi chiama, ma questa volta è vicina, non arriva da dentro la casa.

È accompagnata da rapidi passi, il cui suono è smorzato dalla neve. Giro la testa e quello che vedo è una luce, forse un cellulare o una piccola torcia venire verso di me. È troppo buio per capire chi sia l’uomo anche se la voce mi è familiare.

« Oddio, Dafne, mi senti?! » un ultimo sforzo della mia mente e capisco perché la conosco.

« David? »

Il ragazzo scivola vicino a me e sento le sue mani fredde sfiorare il mio corpo, come ad accertarsi che sia tutto a posto.

« Grazie al cielo, sei viva » lo sento dire per poi rilasciare un lungo sospiro.

« Ho… ho fr….freddo » balbetto. David mi prende in braccio e mi stringe a lui.

« Sì, non preoccuparti, ora andiamo dentro. Andrà tutto bene » mormora mentre ricomincia a correre. Dopo poco sento il tepore della casa che mi avvolge e libero un sospiro di sollievo rilassandomi contro il petto del mio salvatore.

« O Dio, Dafne » il viso di Lizzy è a pochi centimetri dal mio e riflette tutta la sua preoccupazione.

« Chiama il Dottor Wasser e digli di venire qui subito » gli ordina lui continuando a camminare. Sulla porta del salotto vedo gli ospiti dei Modigliani guardarci, anzi guardarmi, chi curioso, chi preoccupato.

Io vorrei solo morire per l’imbarazzo ma David li ignora e sale le scale. Alzo la testa per guardarlo.

Il viso è scuro e preoccupato, lo osservo in silenzio perché non riuscirei a dire nemmeno una parola. I denti battono tra di loro a ritmo forsennato tanto che potrei sostituire la batteria in un gruppo rock.

« Che… » inizio vedendo che la direzione che ha preso lo porta in camera sua, ma non riesco and andare oltre troppo scossa dagli spasmi che percorrono il mio corpo. Cavolo, quanto tempo sono stata svenuta fuori sotto neve?

 

La sua camera la conosco molto bene. È la mia preferita.

Grande, soffitto con travi di legno a vista, pareti dipinte con un pallido colo panna che ha l’effetto di rilassarmi, mobili in legno. Il letto matrimoniale sistemato davanti alla grande vetrata, con un piccolo terrazzo, che dà sul paese. Una vista su tutto il paese e le montagne circostanti.

Sulla sinistra è sistemato un piccolo salottino, con una stufa in ceramica che da sola riscalda tutta la stanza. Ed è quella la sua meta.

Velocemente mi sistema su una delle poltroncine, s’inginocchia davanti a me e tenta di togliermi il giaccone. Io rafforzo la presa, nonostante sia bagnato, mi trasmette calore.

« Non fare la sciocca » mi richiama con voce tremante « è peggio se lo tieni indosso ».

Guardo le sue mani ferme sulla zip, pensando che ha ragione, quando mi accorgo che tremano. Alzo lo sguardo preoccupata su di lui e vedo che non solo le mani ma tutto il suo corpo. 

I tremori non erano solo miei ma anche suoi. Questo pazzo è uscito solo in smoking!

La giacca, la camicia e i pantaloni sono bagnati per colpa mia.

« Stu… stupido » sputo a mezza voce mentre lo aiuto a liberarmi della giacca. Lo sento ridacchiare.

« Io ti salvo e sono stupido? » anche la sua voce trema ma è più ferma della mia. Sorride mentre lo dice, ma subito questo scompare quando con la mano delicatamente mi accarezza la fronte.

« Ahio… » mi lamento sentendo il punto in cui mi ha toccato bruciare e pulsare.

« Scusa ».

« David! » la voce di Adrianna ci fa sobbalzare entrambi.

« Mamma, potresti scendere e chiedere a Lizzy di preparare qualcosa di caldo per Dafne ».

« Cosa? Non sono una cameriera e non è nostro compito curarla, per questo hanno una copertura sanitaria. Il dottore si occuperà di lei quando arriverà. Tu hai degli ospiti a cui badare ».

« Mam! Dafne stava per morire congelata, credo che i tuoi ospiti possano aspettare ».

Spalanco gli occhi stupida nel sentirlo rivolgersi in quel modo alla madre. Lui, che è sempre stato molto rispettoso e accondiscendete con la sua genitrice ora la guarda con rabbia e delusione.

La donna ricambia lo sguardo, scioccata dal tono con cui lui si è rivolto a lei.

« Non ho detto questo. Non sei un medico e non puoi fare molto. Portala in una camera per gli ospiti, mettila nel letto e torna giù assieme agli ospiti mentre aspettiamo il dottore. Lana vuole sapere che fine hai fatto » dice tenendo un tono calmo.

« Io rimango qui fino a che il medico non arriva » ringhia e io lo sguardo sempre più stupita. Qualcuno si è impossessato del corpo di David.

« Ma… » ritenta la donna ma viene subito bloccata dal figlio.

« Mamma, non vorrai lasciare i tuoi ospiti da soli ancora a lungo? » è la domanda sarcastica di David. La donna rimane per un momento spiazzata, devono essere davvero rare le volte che David gli risponde in questo modo.

« Va bene, darling, manderò subito il medico appena arriva ».

Fa due passi indietro e poi, dandoci le spalle, se ne va.

David si gira verso di me ed io mi sento come un pulcino bagnato e impaurito. Sta per dire qualcos’altro ma uno spasmo più forte degli altri mi fa tremare e questo lo fa scattare.

Senza che io riesca più a opporre resistenza mi libera del giaccone buttandolo malamente a terra, lo vedo sporsi verso di me e automaticamente chiudo gli occhi, sembra abbracciarmi ma in realtà fa scendere la cerniera del vestito.

« D… David » balbetto cercando di allontanarmi ma il suo corpo emana così tanto calore che non riesco a imporre a nessun muscolo nessun movimento, o meglio si muovono, ma verso di lui.

 Con un unico gesto rapido fa scivolare il vestito ai miei piedi, lasciandomi in mutande e reggiseno, ma non ho tempo di provare imbarazzo perche mi prende in braccio e mi infila sotto le coperte coprendomi fino al naso.

Sento subito sollievo ma i brividi non accennano a fermarsi ed è inutile stringersi il piumino addosso, questi non fanno che aumentare.

« Ora tocca a me » mormora prima di prendere un bel respiro come a infondersi coraggio. Ma… ma che sta facendo?!

« Ch… che f… fa… fai? » chiedo con voce stridula appena inizia a slacciarsi la camicia.

« Forse non te ne sei accorata ma sei congelata. Il calore umano è il più efficace in questi casi » dice mentre si libera definitivamente della camicia lasciandola cadere a terra, subito dopo seguita dai pantaloni. Alla fine rimane solo in boxer.

Cosa? No, no, e no non va bene soprattutto se sono in questo stato!

Questa volta si che avvampo per l’imbarazzo della situazione.

È una cosa che ho visto succedere in molti film e spesso mi sono immaginata al posto della protagonista con il bell’attore di turno che la abbraccia per riscaldarla, i loro visi che si avvicinano, le labbra che si sfiorano… ma mai ho immaginato che questa mia fantasia diventasse realtà, poi con David.

Certo che non mi tirerei indietro… Oddio, Dafne ma che pensi?!

Scosta le coperte e una folata di aria fredda mi fa venire la pelle d’oca, vorrei lamentarmi ma la voce mi muore in gola quando con le braccia mi circonda il busto ed io mi ritrovo schiacciata contro il suo petto. Trema quando viene a contatto con la mia pelle fredda, ma non si scosta, al contrario aumenta la presa.

Cavoli, è così imbarazzante, ma così caldo…

Mi stringo a lui e i brividi piano, piano, diminuiscono, anche se alcuni non sono sicura siano per il freddo. Le immagini di noi due che ci comportiamo come nei film smielati che tanto amo si affollano nella mia mente.

 

Rimaniamo in religioso silenzio, dal piano di sotto arrivano rumori soffusi che mano a mano diminuiscono come se la gente se ne stesse andando.

La mia mente lavora a briglia sciolta e il desiderio di baciarlo si fa sempre più impellente ma è proprio quando sto per attuare il mio piano che lui apre bocca bloccandomi prima che combinassi qualche pasticcio.

« Dafne, come va? » sussurra al mio orecchio. Il suo respiro è caldo e mi manda in confusione.

« Mmh… » mugugno e lo sento sospirare. Cerco di riprendere il controllo di me stessa ma la mia mente è leggermente annebbiata e i miei pensieri vanno a rallentatore.

« So che sono stato un vero idiota questa settimana » e la sua frase risveglia la parte arrabbiata di me, cancellando completamente l’immagine di noi due che ci baciamo e ci spingiamo anche oltre.

« Id…iota non r…iesce a def… definire pienamente quello che s… sei stato questa settimana » sbotto. Dentro di me esulto per essere riuscita a formulare una frase di senso compiuto.

« Almeno mi hai parlato » mormora iniziando ad accarezzarmi i capelli. « Dio, quando ti ho visto a terra in mezzo alla neve mi hai fatto prendere un accidente ».

Sento freddo e caldo, sono stanca e questo suo nuovo atteggiamento ha intensificato il mio mal di testa tanto che credo che questa scoppierà da un momento all’altro.

« Una volta… sei il Dottor Jakyle, un… un’altra volta Mr Hyde… Mi spieghi che problema hai? Per… ché io non ce la fa… ccio a capirti » gli confesso con voce stanca.

« Dottor Jakyle e Mr Hyde, eh? » dice sghignazzando, solo che io non ci trovo nulla di divertente così gli lascio un pizzicotto sul braccio che lo azzittisce.

« Okay… me lo sono meritato ».

Sto per ribattere quando qualcuno apre la porta. Sia io che David ci giriamo a guardare il nuovo arrivato.

« Il dottore è arrivato! » esclama Lizzy entrando nella stanza e in mano una tazza fumante. Già immagino la sensazione di calore.

« Oh… mamma » continua quando registra la scena.

« David! Che cosa stai facendo!? » questa è Adrianna. Effettivamente la posizione può essere facilmente fraintesa.

In un altro momento - anche se devo dire che non ci sarebbero state altre situazioni che mi avrebbero portato a questo risultato - mi sarei allontanata da lui e sarei scappata a Timbuctu ma sto così bene al calduccio che nonostante l’imbarazzo non mi muovo e se possibile mi spiaccico maggiormente contro di lui.

« Mam… » inizia David. Lo guardo in viso, è completamente rosso e non riesco a non ridacchiare della situazione, anche se poi un pensiero mi fa morire l’entusiasmo in gola.

Adrianna mi licenzia perché ho tentato di circuire suo figlio!

Lo dico e lo ribadisco, i ricchi portano solo problemi…

Caccio il capo sotto le coperte e cerco di farmi il più piccola possibile.

« Oh, ragazzo bravo. Hai fatto molto bene » è il commento pacato e per nulla sconcertato di quello ch deve essere il medico.

« Dottore, finalmente… tremava come una foglia e non sapevo che fare poi mi sono ricordato delle lezioni di primo soccorso… » inizia a parlare David mentre lo sento muoversi nel letto per uscire.

« Elisabetta, esci subito » tuona la Signora Modigliani. Alzo la testa facendola uscire dall’ammasso di coperte e vedo la mia amica imboccare la porta come un gatto a cui brucia la coda, poi sposto lo sguardo sul dottore, anche se faccio fatica a tenere gli occhi aperti tanto sono pesanti.

È un signore panciuto, con una valigetta nera, simile a quella che usano i dottori nelle loro visite a domicilio. Un sorriso gentile, che non posso non ricambiare, gli increspa le labbra. Ha l’aria simpatica e il viso ispira fiducia e bonarietà.

Sembra un nonno.

« Allora ragazza, vediamo » inizia poggiando la sua valigetta sul bordo del letto. Il suo inglese è un po' malmesso ma abbastanza comprensibile. Apre la sua valigetta e ne estrae un fonendoscopio, lo indossa e poi si gira verso i due padroni di casa.

 « Emh… ecco potreste uscire dalla stanza, per favore? » chiede l’uomo a madre e figlio.

La prima acconsente ed esce tenendo la porta a David che esita scrutandomi con lo sguardo.

« Va bene, sono qua fuori se serve qualcosa » risponde mentre segue la madre fuori.

« Bene, ah… » lo richiama quando la porta è quasi chiusa « servirebbero dei vestiti per la ragazza qualcosa di caldo » .

« Le do qualcosa di mio, dottore » risponde David ritornando sui suoi passi e recuperando dall’armadio una tuta, dei boxer e una canottiera e li poggia su una seggiola vicino al letto e dopo un ultimo sguardo rassicurante nella mia direzione se ne va. Non lo vedo uscire ma sento chiaramente il tonfo della porta. Una parte di me vorrebbe che lui tornasse dentro, che rimanesse qui con me mentre il dottore mi visita.

 

Mezz’ora dopo, visitata e vestita - devo confessare che è stato imbarazzante indossare la biancheria intima di un ragazzo -, il dottore lascia entrare David.

Per tutto quel tempo avevo sentito mormorii arrivare dalla camera di fronte, quella occupata dai suoi genitori. Non so che si sono detti e la curiosità è tanta. Avranno discusso di me? Del mio licenziamento? David, avrà spiegato come stanno realmente le cose?

« Come stai? » è la prima cosa che mi chiede usando un tono apprensivo. Io annuisco, per fargli capire che sto bene, mentre mi stringo di più le coperte addosso. Si è cambiato, indossa una semplice maglietta a maniche corte e dei pantaloni della tuta. Anche così è proprio bello.

Bello e impossibile.

In mano regge la tazza fumante che Lizzy aveva portato poco prima.

« La sua amica sta bene, ha qualche linea di febbre e probabilmente domani avrà un bel raffreddore ma nulla che non passi dopo qualche giorno di riposo sotto le coperte ».

« Perché sei uscita? » mi chiede David dopo essersi seduto al mio fianco sul letto. Con gentilezza mi scosta una ciocca di capelli che era caduta sul mio viso e la sistema dietro all’orecchio. Con l’altra mano mi porge la tazza e m’incita a bere qualche sorso. Subito gli effetti benefici della tisana si fanno sentire e gli sorrido riconoscente.

I tremori spariscono e ora l’unica cosa che voglio è scivolare nell’incoscienza del sonno e svegliarmi scoprendo che tutto questo è stato solo un sogno.

« Ecco… c’era la legna… mi ha detto… » cerco di spiegare ma le parole che escono dalla mia bocca sono sconnesse e senza senso. La spossatezza inizia ad avere il sopravvento su di me.

« Ne parlerete domani dopo una bella dormita » dice dottore bloccando qualsiasi altra domanda del moro.

Il Signor Wasser prima di andarsene mi prescrive assoluto riposo e mi fa promettere che, se le mie condizioni non migliorano entro la metà settimana, di andare in ospedale per una visita.

 « Sei stata fortunata, lo sai? Se non avessi guardato fuori dalla finestra chissà quando, ti avremmo trovato… » mormora l’ultima parte mentre mi accarezza la testa come una bambina piccola che ha paura dei tuoni. È una situazione troppo intima.

Perché lo fa? Che cosa significa?

L’unica cosa che so è che me ne devo andare prima di crollare in questo letto.

« Forse è meglio se vado in camera » mormoro iniziando a scivolare fuori da letto, ma David mi blocca.

« Non se ne parla, tu stai qui questa notte e fino a che non ti riprenderai per bene. Poi non vorrai far ammalare anche Lizzy. Poi chi lavora? » sorride tranquillo e per quanto il tono è stato scherzoso, vi rimango male. Il mio cervello ha registrato solo che non vuole che anche la mia amica si ammali perché altrimenti nessuno lavorerebbe per lui.

« Tu non ti devi preoccupare per me » cerca di rassicurarmi. Sbuffo e tiro le coperte fin sopra il naso. Il problema è che io non sono preoccupata per lui.

Come al solito i ragazzi fraintendono sempre quello che diciamo e poi dicono che siamo noi le complicate, basta che interpreti la nostra frase al contrario e ci hai capito.

“Non voglio regali per il compleanno, san Valentino, mesiversario, anniversario e tutte le altre feste comandate e non” vuol dire che li vogliamo. Non è così difficile, così come “ non è necessario andare in vacanza alle Maldive, sotto il sole a rilassarci, soli soletti, anche per me va bene andare con tua madre al mare “ vuol dire che se non ci portate alle Maldive per stare con la vostra mamma, in puro stile mammoni, noi vi piantiamo in tronco.

« Io dormirò su una delle poltrone. Così se non dovessi stare bene questa notte, ci sono io » risponde con un’alzata di spalle.

Prende la tazza e la poggia sul comodino vicino alla parete e si alza. Recupera una coperta da un ripiano dell’armadio e raggiunge il salottino sistemandosi su una poltrona e si copre con la coperta. Lo vedo armeggiare con i cuscini per cercare una posizione comoda ed io mi ritrovo a sorridere malefica. Esco dal mio bozzolo giusto per alzarmi abbastanza da guardarlo bene e dico:

« Ti starebbe bene dormire su quelle belle, quanto scomode poltrone, di un qualche designer famoso ».

Se non fosse stato per il mio attuale stato, non avrei mai detto ciò, ma forte dei miei trentotto gradi e mezzo, continuo a tirarmi la zappa suoi piedi.

« Perché sei stato un vero stronzo questa settimana ».

David ascolta la mi arringa a bocca semiaperta.

« Ma la febbre parla per me. Quindi dormi pure sul letto. Che lato vuoi? »

In un primo momento esita, ma poi sorride e si alza poggiando in malo modo la coperta sul tavolino.

« Di solito dormo a destra » dice mentre si avvicina al letto per raggiungere la sponda citata.

Eh no, mio caro, hai toppato alla grande…

« Bene, allora prendi il sinistro » dico appropriandomi del lato destro e abbracciando il cuscino.

La febbre mi fa ragionare come una bambina di cinque anni, lo so.

Una risata sommessa e poi sento il materasso piegarsi, le coperte alzarsi e l’aria fredda colpirmi la schiena, facendomi rabbrividire, e poi ancora il caldo. Percepisco ogni suo singolo movimento e il cuore accelera i suoi battiti. È strano sentirlo così vicino e subito mi pento della mia geniale idea.

Il calore si fa più intenso mentre i movimenti del materasso si fanno sempre più vicini, ma io sto già crollando nel mondo dei sogni e forse quello che sento poco prima di addormentarmi fa solo parte della mia immaginazione.

« Prometto che non farò più lo stronzo. Mi farò perdonare, tengo molto a te per perderti a causa delle mie cavolate ».

 

La mattina seguente mi sveglio infastidita da un raggio di sole che, birichino, fa capolino tra le pieghe delle tende. Infastidita, nascondo la testa sotto le coperte per quello che mi è possibile visto che qualcosa mi blocca. Con gli occhi chiusi tasto quel coso che mi stringe all’altezza della vita e realizzo che sono due braccia, calde, forti e sode.

Le braccia di un uomo.

Sento le guance bruciare dall’imbarazzo, il cuore dopo aver arrancato per qualche secondo inizia a battere furioso mentre le immagini della notte prima si susseguono come un film.

Io che cado dalle scale, David che mi porta in casa tra le sue braccia, che litiga con la madre per me, che rimane nel letto con me. 

Muovo i piedi e li trovo intrecciati con i suoi. È un gesto intimo e tenero, di notte ho sempre i piedi freddi e nessuno aveva fatto questo per me, si allontanano tutti.

« Dafne? » lo sento mormorare con una voce arrochita dal sonno. « Dormi? » chiudo gli occhi facendo finta di dormire.

Allenta la presa sulla mia vita e lo sento sistemarsi meglio per alzare il busto.

« Dafne, so che sei sveglia... » cantilena e io, beccata in flagrante ho la faccia tosta di far finta di svegliarmi in questo momento.

Storto la bocca, schiaccio gli occhi, mi lamento e lentamente apro gli occhi voltando il capo per guardarlo. Bello come il sole, i capelli castani arruffati, gli occhi rossi per il sonno, il segno del cuscino sulla guancia ricoperta da un leggero strato di barba ispida.

Tenero, come l'orso dell'Algida.

« Ehi... Come stai? » mormora con un sorriso dolce.

« Bene » biascico continuando la mia messa in scena stropicciando gli occhi, « anche se la testa mi scoppia e mi sembra di essere in un forno ».

Subito mi tasta la fronte con le sue mani, fresche che mi danno subito sollievo. Sorrido e mi lascio andare al suo gesto per poi ricordarmi come si è comportato nella settimana e mi scosto mettendo una certa distanza tra noi. Per quello che potevo, visto che il signorino si è spalmato sul mio lato e un movimento di troppo sarei finita con il sedere a terra.

Lui accenna un sorriso amaro ma non dice nulla e torna a sdraiarsi senza togliere gli occhi dal mio viso.

« Che ore sono? » dico cercando con lo sguardo un orologio. Qualsiasi cosa per non guardarlo. David alza lo sguardo verso qualcosa alle mie spalle.

« Sono le sei » e ritorna a sdraiarsi. « Dafne, perché sei uscita ieri? »

« Adrianna aveva mandato Lana a dirmi che serviva della legna e così sono uscita e poi la porta si è chiusa non so come e poi beh… sai come finisce ».

« Non ci posso credere che ci sia dietro mia madre… » ma lo interrompo poggiando una mano sul suo braccio.

« No, David è stato un incidente non è certo colpa di tua madre se la porta si è bloccata… certo, più di una volta ho pensato che potesse fare magie, maledizioni e tutte quelle cose da matrigna cattiva, lo ammetto » borbotto facendolo ridere « ma non credo che tu debba incolparla per questo ».

« Hai ragione, Dafne. Forza, controlliamo la febbre » dice alzandosi e da perfetto dottorino sexy mi controlla la febbre e si occupa di me. Nessuna traccia del ragazzo che è stato per tutta settimana.

Voi direte: perché non glielo chiedi? Bene me lo sono detto anch’io ma l’effetto della febbre non è diminuito e non riuscirei a reggere un discorso di questa portata. Insomma ho già il mal di testa, febbre e sto covando una bella influenza, non ho la forza per affrontare il confronto.

Così lascio che David e Lizzy si prendano cura di me per tutto il fine settimana. David è quello che più mi stupisce, nei miei momenti di coscienza lo trovo sempre al mio fianco con un libro in mano, universitario o di piacere e sempre mi rivolge un sorriso dolcissimo e si premura di sapere se ho bisogno di qualcosa.

Non sono una che si ammala spesso, al liceo avrò fatto sì e no una decina di assenze in totale ma quando mi ammalo, lo faccio per bene. Posso benissimo assomigliare a una moribonda, sul letto di morte che attende solo l’estrema unzione.

 

I signori Modigliani lasciano lo Chalet sabato pomeriggio. Lizzy mi ha raccontato che Adrianna non è stata particolarmente felice di sapere che suo figlio sarebbe rimasto qui, ma David non ha voluto sapere ragioni, additando alla scusa di un po’ di tranquillità rispetto al caos di Padova.

Se Lana fosse rimasta a Sant. Anton invece che partire sabato mattina, per ritornare a Londra per sostenere alcuni esami, Adrianna non avrebbe trovato nulla di male, giacché martedì sarebbe stato San Valentino.

 

« David è lunatico » mormoro sconsolata con voce bassa e roca. Poi recupero in tutta fretta un fazzoletto e soffio il naso.

È domenica è ho dormito in pratica tutta la mattinata e il primo pomeriggio. Mi sono svegliata giusto quella mezz’ora per pranzare e poi sono ritornata nel mio stato di coma. David era al mio fianco quando mi sono svegliata ed è uscito solo quando è arrivata Lizzy.

« Effettivamente è strano. È sempre stato uno posato e controllato, probabilmente avrà qualche problema all’Università. Vedrai che ci farai l’abitudine ».

« Non voglio farci l’abitudine. Insomma è irritate. Prima fa il gentile poi il cafone patentato e poi torna ad essere gentile. Voglio che mi spieghi ».

« Perché non glielo dici? Sembra avere un occhio di riguardo per te ».

« Perché mi piace il Dottor Jekil e non voglio farlo arrabbiare e quindi risvegliare Mr. Hyde… » sbotto esasperata.

« Dr. Jekil? Mr. Hyde? » mi chiede con un sopracciglio alzato. La supplico con lo sguardo di non continuare. Come posso parlare con David se già mi scaldo con Lizzy?

E non so se sono i miei occhi grandi come il gatto con gli stivali o il mio naso che cola muco e gli occhi arrossati a bloccare qualsiasi sua domanda ma alla fine mi liquida con un “ Lasciamo perdere” e recuperati i miei indumenti da lavare esce avvisandomi che sarebbe tornata per cena.

Sbuffai e mi lascia cadere sul letto tirando con forza su con il naso.

David non riappare, così rimango sola con i miei pensieri che subito prendono il sopravvento. Cerco di distrarmi leggendo “Romeo e Giulietta” ma nemmeno quello che è una delle mie opere preferite di Shakespeare riesce a distrarmi. Le parole si assomigliano tutte fino a formare un mare nero e indefinito.

“ Tengo molto a te per perderti a causa delle mie cavolate “.

È la frase che mi ronza in testa per tutto il weekend e che più di una volta ha provocato un forte rossore sulle guance e orecchie tanto da far preoccupare David. Lo avrò immaginato o l'ha detto davvero?

Se è vera, la cosa mi fa andare in bestia perché mi dico: se ci tieni così tanto perché ti sei comportato da stronzo patentato?

 

Lunedì inizio a stare un po' meglio, riesco a muovermi senza barcollare e nel pomeriggio riesco anche a convincere David a lasciarmi scendere in salotto.

 

Per convincerlo a tornare in camera mia ci sto ancora lavorando…

 

È martedì sera, i sintomi dell’influenza sono quasi scomparsi del tutto ma ne Lizzy, ne David hanno accettato di lasciarmi libera.

 

Così con tre scatole di Kleenex pronte all’uso, altre due già terminate, uno scialle sulle spalle, una coperta che mi avvolge come un bozzolo e una bolla dell’acqua calda sui piedi sono comodamente sdraiata sul divano del salotto. Lizzy alla mia destra e Axel alla mia sinistra.

 

Sembriamo un dipinto della Santa Trinità.

 

David è uscito per non so cosa, ha detto che aveva qualcosa da fare.

 

Questa è la prima volta che esce da casa lasciandomi sola, almeno che io sappia, visto che la maggior parte delle giornate le passo a dormire. Già da sabato sera David si è fatto preparare da Lizzy una camera degli ospiti e così non ho più dovuto dormire con lui nel letto.

 

Mi dispiace farlo scomodare tanto, alla fine io sono solo una dipendente e non si è mai visto un datore di lavoro prodigarsi così per una domestica e quando glielo ho fatto presente, ha liquidato la faccenda con un gesto rapido della mano e si è inalberato quando mi sono scusata per l’ennesima volta per tutto il fastidio. Probabilmente mi avrebbe chiuso la bocca con uno di quegli scotch da imballaggio o direttamente cucito la bocca con ago e filo.

 

No, questo sarebbe troppo macabro.

 

C’è un lato positivo in questa cosa, ho un letto matrimoniale tutto per me, caldo, spazioso, morbido e con lenzuola di alta qualità non come il mio nel piano dei dipendenti.  Una settimana e nessuno, sarebbe riuscito a schiodarmi da quel letto.

 

Più di una volta mi sono chiesta come dorme David. Come me a pancia in giù o si spaparanza per tutto il letto? Dorme solo in boxer o con il pigiama?

 

Poi mi do subito della stupida per aver pensato una cosa del genere…

 

 

 

 

« Ragazzi davvero, uscite » dico per l’ennesima volta. La coppietta aveva deciso di rimanere con me bloccati in casa.

 

« No, Dafne, non preoccuparti » è la risposta di Lizzy che ormai ha messo il “ripeti singola frase”. Come negli stereo, o Ipod per la nuova generazione tecnologica, quando vuoi ascoltare la stessa canzone.

 

« Ma è San Valentino! » obbietto « quindi ora uscite e fate quello che dovete fare ».

 

« Hai sentito? » interviene Axel « non ti ucciderà se esci, e poi ci sarà David a controllarla. Ha il tuo numero e se arriverà, il momento dell’estrema unzione ci chiamerà ».

 

Lancio un’occhiataccia a quello che ho iniziato a vedere come un buon amico.

 

Dovete sapere che sono un po' superstiziosa. Insomma non sono una di quelle che credono ciecamente a oroscopi e tutte le storie del gatto nero o del passare sotto una scala, della zampa di coniglio e tutto il resto ma ci sono volte in cui mi ritrovo a pensare che veramente il malocchio, o quello che è, stia inveendo contro di te.

 

Per esempio durante il liceo se incontravo qualche conoscente sul treno, o metro, era matematico che la verifica andava male. Non scherzo, trovavo l’amico di mio padre che andava al lavoro o la signora della lavanderia ed io prendevo un cinque o nell’interrogazione il professore mi chiedeva l’unica cosa che non sapevo e se ero a tanto così dalla sufficienza, non la prendevo per colpa di quella domanda. Quindi mi capirete se ora faccio le corna e tocco ferro. 

 

Prevenire è meglio che curare, no? Soprattutto con la mia salute in ballo.

 

Lizzy, invece, cara ragazza, mi vuole bene ma se non si fosse impuntata sul fatto che è per colpa sua che io mi ritrovo con un piccolo taglio in testa e l’influenza, lei sarebbe già fuori a divertirsi.

 

 Letteralmente scalpita sul posto.

 

« Axel, smettila non possiamo. Esci tu se vuoi » risponde con tono categorico.

 

So perché il ragazzo insiste, ha prenotato al Grunter Grum, non fatevi ingannare dal nome - che sembra tanto saltato fuori dall’era preistorica, quando gli uomini comunicavano a gesti e grugniti - ma è il miglior ristorante della zona, elegante, raffinato e Axel ha lavorato tanto per permettersi di portarla lì.

 

« No, smettila tu » intervengo guadagnandomi uno sguardo speranzoso da parte del tedesco e uno stupido dalla mia amica. Non ho mai alzato la voce così.

 

« Non è colpa tua se sono in questa situazione » il discorso dovrebbe essere diciamo solenne, o almeno serio, purtroppo la mia voce da Paperino non è di grande aiuto ma la ignoro e continuo cercando di darmi un certo tono. « È stato un incidente e sono io che sono stata sbadata. Quindi ignora tutti quei sensi di colpa, per altro inutili, ed esci. Prima però mettiti qualcosa di decente. » concludo additando al suo abbigliamento. A furia di stare con Lizzy credo di essere stata contagiata dalla sua mania per i vestiti.

 

Aiuto…

 

« E niente ma » aggiungo quando la vedo aprire bocca. Imbronciata si alza ma presto sorride riconoscente che ricambio.

 

« Sono pronta tra dieci minuti » e sparisce al piano di sotto.

 

« Grazie, Paperina, ti abbraccerei ma se mi ammalassi la serata andrebbe a rotoli » dice con tono malizioso e alzando ritmicamente le sopracciglia. « Soprattutto il dopocena ».

 

« Per favore, potresti risparmiarmi i dettagli? » gli dico con finta faccia disgustata.

 

« I dettagli di cosa? »

 

David fa il suo ingresso con alcuni sacchetti di carta in mano. Fuori nevica, tanto per cambiare. Certo non come venerdì sera ma quel che basta per coprire il suo giaccone e il cappello di tante pagliuzze bianche.

 

« Ehi, David. Lizzy ed io usciamo… Non ti spiace… »

 

« Mi occuperò io di Dafne, non preoccuparti. È San Valentino andate a festeggiare » lo anticipa con un sorriso che va da un orecchio all’altro.

 

« Grazie amico » e gli da una pacca sulla spalla. Il carattere del tedesco è così estroverso che riesce a fare amicizia con chiunque nel giro di cinque minuti, così com’è successo con David, anche se continua a mantenere una certa distanza. Axel è completamente il suo opposto, la diffidenza è comprensibile. Ma è grazie alla sua buona parola che il tedesco ha rimediato un posto al Grunter.

 

 

 

 

Solo ora un pensiero percorre la mia mente. Passerò la serata con David da sola per San Valentino e l’idea di insistere per farli uscire appare stupida. Perché ho insistito? Non potevo starmene zitta?

 

Il mio grillo parlante però interviene subito.

 

Non devi essere egoista. È giusto che la tua amica si diverta e festeggi il giorno degli innamorati.

 

Sì, ma insomma, certe volte San Valentino è sopravvalutato. Per festeggiare l’amore non bisogna limitarsi a un giorno, tutti i giorni bisogna festeggiare... è la mia geniale risposta da perfetta single che odia essere tale durante il giorno degli innamorati e nasconde litri di invidia dietro quintali di rabbia e menefreghismo.

 

Dafne, mi rimprovera il grillo e abbasso il capo, come se il piccolo insettino fosse davanti a me con un dito puntato contro di me in segno di rimprovero, e me ne sto zitta, consapevole che ha ragione.

 

Come a proteggermi, mi nascondo sotto le coperte e cerco di organizzare le idee mentre a pochi metri da me i due ragazzi parlano allegramente. David non ha nessun problema di interloquire con il tedesco il suo inglese è perfetto ed è Axel che deve tentennare per parlare con lui.

 

Passano dieci minuti in cui Lizzy finalmente scende e dopo un rapido saluto e, un caloroso ringraziamento da parte di entrambi - che mi fa sentire uno schifo per il solo aver pensato di rifiutargli l’uscita per un mio tornaconto - se ne vanno, facendo piombare la casa in un silenzio tombale e molto imbarazzante. Almeno da parte mia, visto che il mio compare sembra perfettamente a suo agio.

« Allora, che vuoi fare? » mi chiede scostandomi la coperta dal viso. « Tutto bene? »

« Sì » mormoro sistemando la coperta in grembo e evitando il suo sguardo. « Comunque io andrei a letto ».

« Andare a letto la sera di San Valentino? Non vuoi passare il tuo tempo al telefono con il tuo ragazzo? »

« Sai perfettamente che non ho il ragazzo ».

« No, che non lo so ».

« Non chiamo nessuno se non Anna che tra parentesi è la mia migliore amica. Che razza di fidanzata sarei? » e a proposito di Anna dovrei chiamarla prima che muova mari e monti per sapere se sono ancora viva.

« Vero, ma non si sa mai » è la sua risposta accompagnata da un’alzata di spalle e un sorrisino che non so interpretare.

« Piuttosto tu, non dovresti chiamare Lana? » lo provoco. David serra la mascella nervoso e a disagio.

« Non stiamo assieme e ho capito che non ci potrà essere nulla con lei » confessa spedendo il mio cuore fuori dal petto. Perché la notizia mi rende particolarmente felice?

« Peccato, sembravate molto uniti » dico stizzita mentre ricordo le loro risate allegre e i loro continui appuntamenti. Soprattutto quello di giovedì, quando l’ho visto rientrare alle sei di mattina. Mi ero alzata perché non riuscivo a dormire e così ero andata in cucina a fare colazione. Lui era arrivato qualche minuto dopo, fortunatamente non mi aveva visto, giacché avevo avuto la prontezza di nascondermi.

« A volte vorrei che mi mostassi il mondo che è nella tua testa » mormora riportandomi al presente. Sbatto le palpebre cancellando l’immagine di lui con gli abiti trasandati che sale svogliato le scale e osservo la versione che ho dinnanzi a me perfettamente curata e rilassata.

 

« Non ci sarebbe nulla di interessante » ribatto con un alzata di spalle.

 

« Io non ne sarei così sicuro. La mente umana è la cosa più interessante che ci sia al mondo ».

 

« Ma tu mica stai studiando giurisprudenza? »

 

Sogghigna e si alza dal divano per buttare altra legna nel fuoco.

 

« Mi diletto anche in psicologia » dice lanciandomi uno sguardo da sopra la spalla. Anna il ritorno.

 

Lo guardo scettica e mi lascio scivolare lungo il divano spostando lo sguardo sul soffitto. Non voglio guardarlo, non in quegli occhi. Chiacchierare con lui, quando è Dr. Jekyll, è facile, naturale ed io non posso parlargli come se nulla fosse. Cavolo è stato un vero…, okay avete capito, no? E non posso ricominciare così, cancellando con un colpo di spugna tutto quello che è successo.

 

« Hai cenato? » domanda e in risposta il mio stomaco brontola scatenando una sua sommessa risata. Arrossisco e mi nascondo sotto le coperte. Nego con il capo ma poi ricordo di essere nascosta e lui non può vedermi e così riemergo e gli rispondo.

 

« No ».

 

« Perfetto, allora possiamo mangiare tutte le schifezze che vogliamo » annuncia alzandosi e sparendo dalla mia vista. Dai rumori capisco che sta armeggiando in cucina. Sembra stai facendo una specie di caccia al tesoro.

 

Sboffo e a fatica mi libero dal groviglio di coperte e cuscini e con un semplice plaid rosso raggiungo l’origine di tutto quel fracasso.

 

« Cha fai? » chiedo sorprendendolo con la testa infilata nell’armadietto dei detersivi. Sembra tanto uno struzzo che nasconde la testa sotto terra e per poco non scoppio a ridere per questo pensiero stupido. Sobbalza, pestando la testa ed esce snocciolando imprecazioni a mezza voce. Massaggia la parte lesa e si gira verso di me con gli occhi lucidi per la botta.

« Che fai, tu! Torna a sdraiarti devi riposare, io recupero delle ciotole e arrivo » dice tornando a guardare nel ripiano. Sospiro e tenendo la coperta con una mano lo sposto e mi chino per aprire l’armadietto e recuperare due ciotole di medie dimensioni.

« Vanno bene? »

« Sì » borbotta recuperandole. Traffica in una delle borse della spesa e recupera degli spiedini a due punte di ferro con un manico di legno, lunghi come un braccio e li poggia sull’isola.

 

« Lo sai vero che ne hai almeno venti nell’armadietto del barbecue? » gli chiedo retorica, consapevole che non sappia cosa ci sia in cucina.

« Davvero? »

« Già ».

« Beh, adesso ne abbiamo almeno venticinque » dice con un alzata di spalle. Dai sacchetti estrae anche un pacchetto di biscotti secchi, una barretta da 200 gr., di cioccolato fondente e marshmallow.

« Marshmallow a forma di cuore? » chiedo palesando il mio disappunto.

« È san Valentino, sono gli unici che vendono. Come si fa la fonduta? »

Emisi un sospiro e recuperato il cioccolato dalle sue mani, prendo le pentole per il bagnomaria e faccio sciogliere il cioccolato con un po' di acqua per velocizzare l’operazione. Rimango concentrata sul cioccolato senza più guardare verso David.

Dai rumori so che fa avanti e indietro dalla cucina al salotto da cui, a un certo punto sono provenuti strani movimenti, come di mobili che vengono spostati.

Mi guardo attorno e la scatola blu della Ciobar attira la mia attenzione e non ci metto molto a decidere. Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno, vorrà dire che prima di andare a dormire metterò un sacco di crema idratante e antibrufoli e una volta che sarò completamente ristabilita, mi farò una bella maschera facciale.

Sì, al massimo mi metterò un bel sacchetto in testa con cinque fori: per gli occhi, le narici e la bocca. Farò un sacchetto per ogni espressione facciale, arrabbiata, triste, felice e così via. Non sembrerà nemmeno che avrò un sacchetto in testa.

Il leggero sentore di bruciato mi ricorda che devo girare la cioccolata se non voglio farla bruciare. Mescolo e dopo altri cinque minuti verso il liquido denso e cioccolatoso in due grandi tazze strette alla base e larghe sull’orlo. Le riempio quasi fino alla fine e poi le poggio sull’isola. Torno a controllare la cioccolata ormai sciolta e la poggio a fianco delle due tazze, in attesa di scoprire che cosa volesse farci.

« Pronto? » chiede affacciandosi alla porta « Bene, andiamo in salotto. È tutto pronto » esordisce appena vi vede con le mani in mano.

« E quelle? »

« Cioccolata o volevi del te? » effettivamente non avevo pensato a quello che voleva.

« Va benissimo. Portale tu, io prendo il resto ».

Recupera la pentola con un paio di patine e assieme torniamo nel salotto, dove il divano è stato spostato più indietro e il tavolino è sistemato sulla destra, lasciando lo spazio davanti al camino completamente libero, in cui è stata sistemata una coperta con le ciotole di marshmallow e biscotti. Lo guardo stranita, ignara di quello che vuole fare.

Lo seguo come un automa quando m’invita a prendere posto a fianco a lui. Dalle finestre vedo la neve cadere placida in grandi fiocchi candidi.

« Come ti senti? »

« Un po’ meglio, la febbre ormai è passata e mi resta solo un po' di raffreddore. Domani posso già uscire » dico prendendo un marshmallow per mangiarlo.

Quattro giorni confinata a letto sono stati una tortura medievale. Non ho potuto fare nulla se non dormire e leggere e per questo ho anche finito la scorta di libri che mi sono portata dietro.

Devo ricordarmi di andare in libreria appena riesco a uscire da questa casa.

« Forse è meglio riposare anche domani, no? Almeno ti riprendi per bene » obbietta con premuroso ed io lo guardo come se fosse il mio carceriere. Non posso stare un altro giorno chiusa in quella stanza!

« Okay, almeno alla mattina stai ancora a riposo » propone e dopo averci pensato un attimo acconsento, in fondo è un buon compromesso.

« Bene, ora che le parti hanno raggiunto un accordo… »  non riesco a reprimere un sorriso notando il tono giuridico della frase « possiamo mangiare ».

Infilza un marshmallow e lo porta sul fuoco. Lo imito e perdendoci in stupidi discorsi senza senso, sui marshmallow e la cioccolata, passiamo la serata.

« Come puoi dire che fa schifo! È uno scandalo ».

« Ma per favore è un insulto alla vera cucina mettere il marshmallow in mezzo a due biscotti per poi pucciarli nella cioccolata ».

« Ma perché? Prova almeno, non ti disgusta immergere il marshmallow nella cioccolata. È un’esperienza dei sensi. Un tripudio di sapori ».

Ecco, questo era uno dei tanti discorsi senza senso e la cosa più preoccupante era che nessuno dei due sta bevendo birra o altro.

« Addirittura? » mi chiede sogghignando.

Per dimostrarglielo preparo una di queste delizie e gliela metto sotto il naso.

Non lo prende, con mia sorpresa avvicina il suo viso alla mia mano e ne morde un pezzetto. Inizio a mordicchiare il labbro inferiore a quella scena.

Scuoto la testa per scacciare alcuni pensieri che hanno sbagliato strada e mi riprendo indossando una finta aria imbronciata.

« Non così, che tripudio di sensi puoi provare! » e lo incito a mangiare un pezzo più grosso. Lo sto provocando, sto giocando al suo gioco. In che guai mi sono messa?

Sorride malizioso e ancora avvicina il suo viso alla mia mano, questa volta senza staccare i suoi occhi da me. le sue labbra sfiorano la punta delle mie dita, lasciandole leggermente umide. Inconsciamente mi sono avvicinata a lui e pochi centimetri separano i nostri visi.

 

« Okay, non è male » mormora, il suo fiato mi colpisce in pieno. Accenno un sorriso e mentre lui recupera quello che rimane del biscotto per finirlo io mi allontano.

 

Il gioco è bello quando dura poco.

 

« Forse questo è il massimo che ti posso strappare » devo ammettere, ma poi sorrisi preparandone uno anche per me e ne mangio un boccone per poi finire il mio discorso « ma vedremo più avanti come la penserai ».

 

 

 

 

Sbadiglio sonoramente mentre lo scoppiettio stanco delle braci si faceva sempre più rado. Gli occhi si stavano chiudendo e i miei tentativi di tenerli aperti erano sempre più inutili. In questo momento vorrei tanto due stecchini da mettere sotto le palpebre.

 

« È ora di andare a letto » mi dice David con tono paterno.

 

« Sembri un papà che ordina alla figlia di andare a dormire » biascico stropicciandomi gli occhi. Però ha ragione, sono stanca morta nonostante non abbia fatto nulla per tutto il tempo.

 

 

 

 

David si muove veloce, raccogliendo le ciotole, le tazze e gli spiedini per poi portarli in cucina. L’acqua non scorre e quindi toccherà a me pulirli, anzi a Lizzy. Povera, quella ragazza si è dovuta sobbarcare tutto il lavoro.

 

Mi alzo da terra e piego la coperta lasciandola sul divano mentre riporto il salotto al suo arredamento originario.

 

« Dafne, avrei fatto io » sobbalzo a sentire la voce di David alle mie spalle, non l’ho sentito avvicinarsi.

 

« Non preoccuparti, non mi piace stare con le mani in mano ».

 

« Non dovresti fare certe cose » mi richiama con tono severo. Alzo gli occhi al cielo e trattengo uno sbuffo spazientito. Questo suo lato iper apprensivo, proprio non mi va giù.

 

« Sono influenzata non moribonda. Ora vado a letto ».

 

« Certo, buona notte » mormora per nulla convinto dalle mie parole.

 

« Notte » mormoro con voce roca, a causa del mal di gola che ha deciso proprio ora di darmi il tormento e corro su per le scale. Fortunatamente non decide di seguirmi e posso raggiungere il bagno, lavarmi, cambiari e tornare in camera sua.

 

L’orologio digitale sul comodino segna le ventitré e venticinque. San Valentino sta finendo ed io l’ho passato in compagnia di David.

 

Solitamente mi chiudo in casa e guardo film dell’orrore per non deprimermi pensando alle coppiette che felicemente festeggiano, come Anna e il suo ragazzo.

 

Il fatto che poi non dormo per gli incubi è un fatto secondario.

 

Invece, questa sera l’ho passata assieme all’ultima persona a cui avrei pensato ed è stata bella, certo che è stato così. Adesso è il Dr. Jekyll.

 

Che succede quando beve il suo intruglio e si trasforma?

 

Lui sembra aver dimenticato tutto, si comporta come se nulla fosse successo, ma il fatto è che qualcosa è successo e ne dobbiamo discutere. Appena mi sarò pienamente rimessa, sarò la prima cosa che farò.

 

È la promessa che faccio poco prima di chiudere gli occhi e addormentarmi con un sospiro rilassato.

 

 

 

 

Non so quanto passa ma a un certo punto il lieve cigolio della porta si fa largo tra la rete che Morfeo sta tessendo per me. Fluttuo eterea nel’incoscienza del dormiveglia, bloccata tra sogno e realtà.

 

Qualcosa sfiora la mia mano placidamente abbandonata sul cuscino, vicino al mio viso, la sfiora lasciando una scia di calore che mi riempie di brividi, accarezza la fronte e scende sulle tempie, la guancia e le labbra. Un respiro profondo e cadenzato mi culla come una ninna nanna.

 

« Se io profano con la mia mano indegna questa sacra reliquia (è questo il peccato dei pii), le mie labbra, arrossenti pellegrini, sono pronte a render più molle, con un tenero bacio, il ruvido tocco.* »

 

È un bisbiglio che il mio Romeo soffia caldo sul mio viso. Sento le mie labbra tendersi in un sorriso leggero e poi qualcosa di soffice e bollente si posa su di esse. Un attimo che mi lascia l’amaro in bocca.

 

Non l’ho potuto gustare nulla. Mi piace il sapore, sa di cioccolata.

 

Poi non sento più nulla, né la porta, né il respiro accelerato. È stato tutto così rapido e il tocco è stato come la carezza di una piuma che forse me lo sono anche immaginata.

 

Un sogno che mi ha sfiorato e poi è scappato.

 

Non ho tempo per pensare ad altro che cado in un sonno profondo.

 

 

 

 

Mi risveglio che il sole è già alto, guardo l’orologio che segna le undici. L’ultimo ricordo che ho di ieri sera, prima di addormentarmi è la battuta che Romeo dice prima di baciare Giulietta e iniziare così la loro breve ma intensa storia d’amore.

 

La voce inoltre mi è sembrata molto familiare. Un qualche attore? Orlando Bloom? No… non era lui. Jude Law o Gerard Butler… uff… magari ci fosse stato qualcuno così nella mia camera.

 

Mi stiracchio come un gatto, rotolandomi nel letto e poi mi alzo decisa a riprendere i compiti che mi spettano. Sono fresca, non posso dire altrettanto del profumo visto che mi sono appena svegliata, ma una bella doccia sarà davvero utile. Rimane ancora un po' di mal di gola e raffreddore ma nulla che non passi continuando a prendere antibiotici e bevendo tanta spremuta di arancia.

 

Nell’armadio recupero delle coperte pulite e rifaccio il letto.

 

Finalmente potrò tornare nel mio e permettere a David di tornare in possesso della sua camera. Anche se un po' mi spiace… dite che se ne accorge se gli rubo il letto e le lenzuola?

 

Me ne sono letteralmente innamorata. Le coperte sono così morbide, calde, non devi aspettare ore prima che si scaldino e il materasso si adatta perfettamente al mio corpo.

 

Finito di sistemare recupero i vestiti che Lizzy mi ha gentilmente lasciato su una delle poltroncine e corro in bagno dopo aver aperto la finestra per far arieggiare la stanza. Quando scendo, sono già pronta a dare il buon giorno alla mia amica ma questa non c’è e nemmeno David.

 

 

 

 

Siamo anditi a fare la spesa. Baci a dopo.

 

Lizzy

 

 

 

 

Conoscendoli devono essere usciti da poco. Nessuno dei due sa usare il forno e certamente vorranno mangiare cibo caldo per pranzo.

 

Rimbocco le maniche della felpa e preparo il dolce, saranno felici.

 

Prendo gli ingredienti per preparare lo strudel e mi metto all'opera.

 

Smettetela di borbottare voi. Non lo faccio perché è il dolce preferito di David. Semplicemente ho tutti gli ingredienti che mi servono...

 

 

 

 

« Sento odore di dolce appena sfornato? » la proprietaria della voce allegra e familiare, un po' nasale - ma non ci si fa caso dopo venti anni di convivenza - fa il suo ingresso nella cucina con in spalla il suo zaino portafortuna della eastpak. Consumato dagli anni ma che ride beffardo a chi lo da già per morto.

 

« Anna? »

 

La mia migliore amica è seguita dalla mia collega con sguardo di chi è stato scoperto con le mani nella marmellata.

 

« Che ci fai qui? » le chiedo stupida ma felice.

 

« Sono venuta a trovarti » trilla venendo ad abbracciarmi. Ricambio e probabilmente potrei anche mettermi a piangere e ridere allo stesso tempo dalla gioia.

 

È vero che ci si rende conto dell’importanza di una persona quando questa non è più al tuo fianco. In un certo senso l’ho sempre dato per scontata la presenza di Anna nella mia vita, ma in questo mese di lontananza ho capito quando davvero tengo a lei. È una sorella e il solo sentirla per telefono è avvilente.

 

« Colpa mia » interviene Lizzy mentre sistema la spesa sul tavolo. « Doveva essere una sorpresa, poi dopo quello che è successo, la caduta, la neve e la tua influenza, me ne sono completamente dimenticata. Sorpresa » concluse con tono pimpante.

 

« Parliamo di questo! » Anna mi lancia uno sguardo rabbioso e posso giurare di vedere del fumo uscire dalle sue orecchie, « io devo venirlo a sapere da altri che la mia migliore amica ha rischiato di morire per assiderazione?! »

 

« Assiderazione che parolona. Non ti sembra di esagerare? Come vedi sono in forma smagliante e a parte il raffreddore e un po' di tosse sono a posto. Però è vero, avrei dovuto chiamarti. Scusa ».

 

« Okay, per questa volta passi. L’idea era di venire a trovarti per il tuo compleanno il mese prossimo ma purtroppo il giorno dopo ho un esame. Se non fossi arrivata oggi, che avresti fatto? Me lo avresti detto o no? »

 

« Compleanno? Perché non hai detto nulla? » sbotta Lizzy imbronciata.

 

« Dice che il compleanno è un giorno come un altro e non c’è nulla da festeggiare » risponde per me la mia amica con il tono di qualcuno che sta ripetendo a memoria una poesia. Le do una scherzosa pacca sulla spalla ma non obbietto. Alla fine lo penso davvero.

 

« Comunque te lo avrei detto. Ti avrei chiamata oggi ».

 

Beh, forse non proprio oggi ma entro la fine della settimana lo avrei fatto. Giuro!

 

« Lizzy potresti portare le valigia nella camera libera al vostro piano? »

 

Anche David fa il suo ingresso con il borsone di Anna tra le mani.

 

« Ehi, dormigliona sei sveglia, finalmente. Come stai oggi? » dice quando nota la mia presenza nella cucina e mi abbaglia con un sorriso da pubblicità della Mentadent.

 

Bello come un Apollo.

 

Oddio, se inizio a fare questi paragoni assurdi non è un buon segno. Forse ho una ricaduta.

 

« Benissimo. Ho sistemato la tua stanza, rifatto le lenzuola, quindi non ti devi preoccupare, e ho anche arieggiato per bene » rispondo allontanando quel pensiero molesto.

 

« Perché? »

 

« Beh… torno nella mia camera cosi potrai riappropriarti della tua ».

 

« Sicura? » mi chiede con tono scettico.

 

« Sicurissima ».

 

 

 

 

« David, tu leggi Shakespeare.? Sai Romeo e Giulietta... »

 

Stiamo pranzando tutti assieme e il pensiero che la voce che ho udito ieri è quella di David mi martella la testa. È stato solo un attimo, come comparso è scomparso, ma non ho più smesso di rimuginarci sopra. La mia mente mi dice che è stato solo un sogno. Era San Valentino e mi sono lasciata trasportare.

 

In un primo momento è spiazzato dalla mia domanda ma è questione di un attimo perché poi aggrotta le sopracciglia.

 

« E chi non lo ha mai letto? È un obbligo al liceo ».

 

« Già... » borbotto rimuginando sulle sue parole. Sì, sono sempre più convinta che sia stato solo un sogno. 

 

Finiamo di pranzare e assieme al caffè porto in tavola lo strudel ancora caldo e accompagnato con un po' di panna. David mi riserva un sorrisino quando Lizzy poggia il piatto davanti a lui, ma io non ricambio, faccio solo un’ombra di un sorriso e poi inizio a interrogare Anna. Non gli rivolgo più la parola, ma spesso lo sguardo si posa su di lui, e lui sembra fare lo stesso perché di fretta distoglie gli occhi quando lo colgo in flagrante.

 

 

 

 

« Hai una cotta… per David ovviamente. Non certo per Lizzy o per me » afferma Anna passandomi un altro piatto da asciugare. Dopo tante insistenze ho convinto David a lasciar riposare Lizzy e di lasciare a me e Anna il compito di ripulire.

 

Il ragazzo è sparito al piano superiore mentre Lizzy ci aiuta a ritirare i piatti, nel farlo ci racconta la sua serata con Axel e solo quando ha raccontato tutto - nel senso che ci ha descritto com’erano disposti i piatti, il colore della tovaglia e dei tovaglioli, le candele, il cibo, le bevande, eccetera - si congeda per andare a recuperare il sonno perso. Fortunatamente ci ha risparmiato sul dopocena, non avevo nessuna intenzione di ascoltare quello che quei due fanno quando si trovano da soli.

 

E così ci ritroviamo da sole in cucina io e la mia amica del cuore che subito, da perfetta psicologa, ha iniziato ad analizzare ogni gesto.

 

« No, ma per favore » ribatto.

 

« Sì, è evidente, chiaro come il sole. Lui ti guardava, tu lo guardavi. Non mi sono sfuggite le occhiate, sei attenta ma non abbastanza per me » e mi punta un dito contro con fare malizioso.

 

« Non è vero » insisto.

 

« Sììì » cantilena imperterrita.

 

«Nooo » la imito anche a costo di sembrare una bambinetta.

 

« Sì ».

 

« No ».

 

« No ».

 

« Sì » e solo dopo averlo detto mi accorgo di quello che è uscito dalla mia bocca e pesto il piede a terra.

 

« Ah… visto! » esulta schizzando un po' d’acqua in giro.

 

« No, non volevo dire no… cioè sì… mmm… volevo dire no, ma tu mi hai fregato! È stato un riflesso non vuol dire nulla » obbietto trucidandola con lo sguardo. Sbuffa e dopo essersi asciugata le mani, recupera il foglio su cui avevo scritto la spesa e lo gira iniziando a scrivere con la penna.

 

« Okay, allora… Di cosa trattano i testi delle canzoni che ascolti in questo periodo? »

 

« Che cosa c’entra scusa? »

 

« Tu rispondi e basta ».

 

« Beh… romantiche per lo più, canzoni tristi per la fine di un amore,…l’altro giorno ho ascoltato una canzone di Taylor Swift per intero. Nemmeno so come ha fatto a finirci quella canzone nel mio Ipod… » borbotto con imbarazzo, cercando di ricordare perché ho caricato quella canzone, visto che non mi è mai piaciuta quella cantante.

 

« Libri? » continua con la domanda successiva.

 

« Ora sto leggendo Romeo e Giulietta ».

 

« Dimmi la prima lettera che ti viene in mente ».

 

« D. Ma davvero, dove vuoi arrivare? »

 

« Zitta e rispondi alle mie domande. Siamo sulla buona strada ».

 

« Sicura di stare bene? »

 

« Benissimo. Pensi spesso a David? »

 

« Cosa? No »

 

« Dì la verità, se no non funziona »

 

« Okay, sì, abbastanza ma non c’è nulla di male. Recentemente mi ha salvato ed è stato gentile ».

 

« Certo, certo… beh il mio verdetto è incontestabile. Sei innamorata… » afferma con enfasi e nessun tentennamento. « E sei innamorata di David. Musica romantica, Romeo e Giulietta, La “D” di David e pensi a lui spesso ».

 

« Come? Cosa? No, no e no. Non è vero ».

 

« Il fatto che tu neghi con cotanta enfasi è sintomo che sto dicendo la verità e tu lo sai, ma lo stai negando a te stessa ».

 

« Per favore lascia da parte questa pseudo psicologia da quattro soldi » e detto ciò la lascio in cucina da sola e io mi rifugio nella mia stanza.

 

 

 

 

« Oh, cavolo » mormoro quando realizzo di non essere nella mia stanza ma in quella di David. Inconsciamente sono andata in quella che per tutto il weekend è stata in effetti la mia stanza.

 

La fonte di tutti i miei problemi dorme sul letto, alle orecchie un paio di cuffie da cui esce una musica ad alto volume.

 

Muse. Beh, almeno ha buon gusto.

 

Gli occhi chiusi e il respiro lento e regolare. Dorme, e fortunatamente non mi ha sentito mentre spalancavo la porta in un impeto di rabbia.

 

Un formicolio alla stomaco e l’accelerazione del battito cardiaco sono le sensazioni che mi accompagnano mentre copro la distanza tra la porta e il letto. I lineamenti eleganti sono rilassati e la bocca leggermente socchiusa assume in poco tempo un aspetto molto invitante.

 

È placidamente disteso sul lato destro del letto, il viso rivolto verso di me, le mani raccolte sulla pancia e le gambe leggermente divaricate.

 

La versione maschile della Bella Addormentata.

 

Tremo a causa di uno spiffero che arriva dalla finestra e vorrei tanto che fosse sveglio solo per dirgli quanto è stupido a dormire con la finestra aperta quando fuori le temperature sono sotto gli zero gradi. Chiudo e recupero un plaid dall’armadio e lo compro facendo attenzione a non disturbarlo. Mugugna e proprio quando penso che stia per aprire gli occhi e scoprirmi si mette di lato e continua a dormire iniziando a russare piano.

 

Gli scosto una ciocca di capelli dalla fronte e poi esco con le mani che tremano.

 

 

 

 

Sono quasi le tre quando David scende in salotto dove siamo sedute io, Lizzy e Anna a parlare o meglio le mie amiche stanno discutendo. Anna trova divertente raccontare gli spiacevoli episodi che hanno caratterizzato la mia infanzia ed io non posso che subire passivamente. Così accolgo con gioia la proposta di David di uscire a mostrare le bellezze di Sant. Anton e dintorni alla nostra ospite.

 

Sono disposta a subire la sua compagnia se questo serve a non parlare di cose imbarazzanti su di me e che Lizzy userà certamente a suo vantaggio. È una ricattatrice nata.

 

Ed è così che ci ritroviamo nella macchina di David, piena di tutti confort, a spostarci da una zona all’altra alla scoperta delle meraviglie del Tirolo.

 

Più di una volta il ragazzo si è avvicinato con l’intento di parlarmi, sia Lizzy che Anna mi hanno sempre tolto da questa spinosa situazione e se non arrivano in tempo ci pensavo da sola a scappare.

 

Okay sono una codarda, va bene non dovete urlarlo in continuazione… è vero ho detto che una volta ristabilita e nel pieno delle mie forze gli avrei parlato e chiarito la situazione perché non avrei subito i suoi sbalzi di umore, ma diciamo che non ho ancora trovato il momento giusto.

 

Per le donne si dice che i cicli della Luna influenzano il comportamento, o quando siamo in quel periodo del mese siamo leggermente lunatiche, ma è comprensibile con tutti i dolori che si porta dietro. Lui che ha da dire in sua difesa?

 

Se non ci parli, non lo saprai mai, mi richiama il grillo parlante.

 

Zitto, non sei stato interpellato.

 

 

 

 

Giovedì inizia come un giorno normale, tranquillo, purtroppo non ho fatto i conti con la mia amica. Anna da quando siamo tornate dalla piccola escursione di gruppo di ieri mi lancia occhiate preoccupanti ma la presenza di Lizzy ha minato ogni suo tentativo di approccio. Ma adesso la bionda non c’è, è a sciare con Angy e Marta.

 

Siamo in cucina, sedute all’isoletta a sorseggiare una tazza di tè, alla mia destra la torta di pere e cioccolato sta raffreddando.

 

« Forza dillo » mi incita Anna con sguardo eccitato. Io scuoto la testa e nascondo il viso dietro a una lunga sorsata. Non voglio ammetterlo.

 

Ho passato tutta la vita, tutta la mia breve vita, a dire che non mi sarei fatta incastrare dal belloccio di turno pieno di problemi e che grazie al mio lato di crocerossina - dato di serie a tutte le donne al momento della produzione - lo avrei salvato e permettendoci così di vivere il nostro grande amore.

 

No, non posso ammettere di esserci cascata.

 

« Dafne, il primo passo è ammettere che ti piace. Non c’è nulla di male ».

 

« Sì che c’è. » sbotto sbattendo la tazza sulla tovaglietta e facendo uscire un po' della bevanda. Recupero uno staccio e sistemo il danno prima di continuare. « Insomma ti ho detto che ha fatto. Il primo giorno gentilissimo e adorabile mentre il resto della settimana non ha fatto altro che ignorarmi e guardarmi subire, senza battere ciglio, le prepotenze di Lana e poi dopo l’incidente si è convinto di essere il mio dottore sexy. Mi fa andare fuori di matto, come posso ammettere di essere interessata a lui? » le chiedo infine retorica.

 

Come può nascere qualcosa di bello da questo tira e molla?

 

È la classica storia della ragazza e dello stronzo, noi donne finiamo sempre per rovinarci per colpa della persona sbagliata mentre tanti bravi ragazzi attendono solo che noi ci accorgiamo del grande errore che stiamo facendo e che corriamo da loro.

 

« E poi sono una dipendente. Non posso farmi coinvolgere sentimentalmente. Tra due mesi le nostre strade si divideranno. Io tornerò nel mio mondo e lui nel suo… » spiego con un’alzata di spalle sconsolata. Non l’ho detto ad alta voce ma Anna l’ha capito.

 

David mi ha incastrata.

 

« E dove sarebbe il suo? Su Plutone? » chiede divertita.

 

La guardo alzando vistosamente un sopracciglio. Al momento la sua ironia non mi è di grande aiuto.

 

« Non guardarmi così, Dafne. Non c’è nulla che t’impedisce di provarci, a parte il suo caratterino » si affretta ad aggiungere sotto il mio sguardo scettico.

 

Il rumore della porta d’ingresso che si apre e poi viene chiusa attira la nostra attenzione. Strano che Lizzy sia tornata così presto, è il mio pensiero poco prima che l’ultima persona che avrei immaginato fa il suo ingresso nella cucina.

 

« Ehi… Ciao ragazze » mormora. Le guance rosse, i capelli arruffati e il giaccone leggermente aperto.

 

Anna lo saluta cordiale e non manca di lanciarmi uno sguardo eloquente.

 

« Ciao, David. Le piste non erano di tuo gradimento? » dico nervosa. Perché è tornato? Aveva detto che sarebbe stato via fino a sera e ora sono solo le quattro di pomeriggio.

 

« Erano molto affollate, non riuscivo a muovermi così sono tornato prima. » poi esita guardando la mia amica « Speravo di trovarti sola e parlarti » continua e posso essere certa di aver percepito una nota infastidita nel suo tono di voce.

 

Okay, David, iniziamo male. La mia amica non si tocca.

 

« Puoi farlo ora, stavo giusto andando giù ».

 

Rimango paralizzata come fulminata appena Anna pronuncia la prima sillaba e la guardo con gli occhi fuori dalle orbite. Non può dire sul serio!

 

E invece sì! la mia amica si alza e con uno sguardo di scuse si avvia alla porta mentre David avanza nella stanza, come il boia che si avvicina al condannato, cioè me.

 

« Cosa? No! Ho fatto la torta cioccolato e pere. Quella che ti piace tanto » urlo focalizzando la sua attenzione sul dolce.

 

Anna tentenna e pregusto già il sapore della vittoria. Tutti abbiamo il tallone d’Achille e questa torta è il suo. Non potrà dire di no.

 

Si muove su un piede all’altro mordendosi le labbra. Sta cedendo… adesso cede… Apre la bocca per parlare ed io mi apro in un sorriso di vittoria quando lei mi spiazza. In un manga giapponese io dovrei crollare a terra alzando un polverone e facendo volare in giro strumenti vari.

 

« No » esclama con voce decisa, « ne prenderò dopo un pezzetto ora devo andare. Sì, sì, devo andare » e sparisce.

 

Anna, anche tu figlia mia!

 

Ora capisco quello che Cesare ha provato nell’essere accoltellato da Bruto.

 

Così rimaniamo da soli.

 

« Forse dovremmo parlare un po’, non credi? » esordisce dopo qualche minuto di silenzio.

 

« Già »  dico con la miglior faccia da poker che possiedo.

 

Certo, alzi la testa ora che non hai nessuna via di fuga. Brava.

 

Muto grillo!

 

 Si accomoda al posto di Anna e rimane in silenzio. Fuori potrò apparire calma ma dentro sono una tempesta. Uno tsunami.

 

« Com’era lo strudel » brava Dafne, non risolvi nulla a ritardare l’inevitabile.

 

Tentar non nuoce.

 

« Ottimo, la cucina è migliorata da quando ci sei tu » confessa lasciandosi andare a un sorriso allegro che piano piano si spegne lasciando spazio a uno sguardo serio.

 

« Ma non è per questo che ti voglio parlare. La scorsa settimana sono stato… » ma non gli lascio finire di parlare.

 

« Uno stronzo. Puoi anche licenziarmi ma è così ».

 

Ti prego non licenziarmi… ti prego non licenziarmi… ti prego non licenziarmi…

 

« Non preoccuparti, hai ragione. Mi spiace, non sono mai stato così lunatico » ammette con un sorriso di scuse, sbuffa e dice: « è colpa tua ».

 

« Mia? » chiedo scioccata. Questa è bella.

 

« No! Non fraintendere. È che con te non so come comportarmi. Non perché sei una dipendente… con Lizzy non ho mai avuto nessun tipo di problema ma con te… ».

 

Nel parlare si è alzato in tutta la sua statura, muovendo le mani con enfasi come se le semplici parole non potessero liberarlo dal peso che si porta dietro.

 

« Dio, quando ti ho visto riversa a terra, mezza coperta dalla neve ho pensato di avere un infarto e non sto esagerando » sottolinea con lo sguardo che trasuda ansia e paura. Sembra come se stesse rivivendo quei momenti. « Mentre scendevo le scale pregavo che tu stessi bene che non fossi morta e solo quando ti ho riportata dentro e il medico ti ha curato e tu sembravi stare bene ho pensato che non era normale tutta quella preoccupazione. Se fosse stata Lizzy certo avrei agito lo stesso ma con te è stato… diverso » ammette guardandomi dritto negli occhi. È destabilizzante guardare in quella tempesta che sono i suoi occhi verdi-azzurri.

 

« E ti chiedo scusa per mia madre e per Lana… ma soprattutto è me devi scusare. Perché, nonostante volessi almeno tentare di tenere sotto controllo Lana, non ho mai detto nulla ».

 

« Perché? » è la mia semplice domanda.

 

« Perché volevo esorcizzare quello che mi spingeva verso di te » confessa con una punta di imbarazzo. Lo guardo stranita non capendo le sue parole che hanno l’effetto di accelerare il mio battito e di farmi agitare sul posto.

 

« Mi piace stare in tua compagnia, solo che mia madre… lei si aspetta un certo atteggiamento e che frequenti persone del nostro livello, come Carlo, Andrè o Lana » mi spiega.

« Non una ragazza che per vivere deve fare la cameriera? Nonostante si guadagni da vivere con un lavoro onesto e più che rispettabile? Dio, mi sembra di essere davvero in un film di Jane Austen » sbotto non riuscendo a trattenere il mio disappunto. Che abbiamo noi comuni mortali che non va? Valiamo quanto loro. « Ma chi crede di essere? »

« Lei è cresciuta con quei principi, non avercela con lei » cerca di spiegarmi con tono pacato. È sua madre ed è giusto che la difenda. Io lo farei con i miei ma visto che sono io a subire queste angheria non me ne sto zitta.

« E che vuoi fare, comportarti come uno stronzo quando c’è lei e fare l’amicone quando non c’è? Scusa ma io non ci sto » termino ansante senza distogliere gli occhi da lui che china il capo sconfitto poi, lo rialza deciso.

« No, non faccio due volte lo stesso errore. Ti chiedo perdono e se mi dai la possibilità, mi farò perdonare. Non ti pentirai di avermi dato una seconda possibilità non la sprecherò, sono stato imperdonabile e quando sbaglio, lo ammetto. Mia madre dovrà accettare la cosa ».

Lo guardo a bocca aperta senza sapere che fare o dire. David si avvicina e con la punta delle dita mi accarezza un braccio fino alla mano che raccoglie nella sua. Con il pollice disegna ghirigori immaginari. Chino il viso e guardo le nostre mani mentre lui continua a parlare. È una bella sensazione. La mia mano sembra sparire tanto la sua avvolge come un bozzolo la mia.

« So che possono sembrare tante belle parole ma, ti prego di accettare le mie scuse perché sono sincere. Posso essere una persona difficile, questo lo so, dovrai essere un po' paziente » e non posso non sorridere.

Pazienza? Certamente me ne servirà tanta.

« Dimmi che sono ancora in tempo e che non ho incasinato tutto » la sua sembra una supplica più che una richiesta. La mia mano, che fino ad ora è rimasta inerme nella sua a subire passivamente la sua presa, prende vita e a sua volta stringe quella di David. Alzo il viso e gli sorrido.

Il mio problema? Cedo troppo in fretta.

 

« No, non hai incasinato tutto, ma sei stato causa di una serie infinita di mal di testa » dico cercando di alleggerire la tensione. Ci riesco e lui porta l’altra mano alla testa, grattandosela ed esibendosi in una smorfia imbarazzata.

 

Sghignazza ma annuisce con un sorriso mozzafiato a illuminargli il viso.

 

« Dammi il conto della farmacia, il minimo è rimborsarti ».

 

David Modigliani, mi hai proprio incastrato per bene.

 

 

 

 

 

 

* Romeo e Giulietta; Atto 1, scena 5.

 

 

 

 

 


Allora? Me lo lasciate un pensierino? Nell'attesa del prossimo capitolo perchè non fate un salto nelle mie altre storie? Magari alleggertire l'attesa : )

Grazie di aver letto.

 

 
 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Ciao! Allora scusate per il tremendo ritardo, mi ero prefrissata di fare uno o due capitoli al mese, seguendo l'andamento della storia ma per marzo proprio non ci sono riusita : (
Ho fatto fatica a scrivere di questo capitolo, l'ho scritto tre volte e in tre versioni differenti, alcune di voi nelle recensioni mi avevano fatto venire diverse idee... alla fine però sono tornata alla versione originale, con alcune modifiche. Spero vi piaccia!

Ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le seguite e preferite, sono davver felice e 10000000000 di grazie alle ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, 8!! Non mi era mai capitato per una originale.

Vi ricordo la mia pagina FB dove potete trovare spoiler avvisi, ecc...

Buona lettura!!


 

 

Capitolo 5 - marzo

1 parte

 

 

 

" Mia madre dovrà accettate la cosa... "

Certo, ed è per questo che noi due ci comportiamo come datore e dipendente, estranei l’uno all’altra, almeno quando c 'è Adrianna.

A onor del vero sono stata io a deciderlo.

Fino al momento dell’atterraggio del loro aereo sono stata piena di coraggio ed ero pronta ad affrontare un drago come San Giorgio ma tutta la mia baldanza si è sciolta come neve al sole quando ho incontrato il suo sguardo ed ho messo subito dei paletti lasciando David spaesato quando quattro giorni dopo, assieme a Carlo, li ha raggiunti. Lo so sono un modello di coerenza, prima mi lamento dei suoi sbalzi di umore e poi sono io che li ho… siamo una coppia bell’assortita, vero?

Ma sono terrorizzata da quella donna e fino a che non avrò finito la stagione, ci atterremo al piano. Faremo come se fossimo due estranei legati solo da un contratto.

David non ha avuto nulla da ridire, alla fine temeva anche lui che la madre potesse fare qualcosa e se lo dice lui che la conosce da tutta la vita, più i nove mesi in cui è stato nella sua pancia, chi sono io per negare?

Cosi il ragazzo si limita a trattarmi con cortesia quando la sua dolce genitrice è presente e solo quando siamo soli, azzarda atteggiamenti più aperti.

Vi devo confessare che un po' è divertente, agire alle sue spalle, complottare, scambiarci messaggi in codice. Come delle vere e proprie spie.

Okay, forse era un po' infantile, ma tutti abbiamo un Peter Pan in noi.

Dopo la sua partenza a febbraio, due giorni dopo il nostro chiarimento, ci siamo tenuti in contatto attraverso messaggi. Pochi a dire il vero, le due settimane sono letteralmente volate e la prima settimana di Marzo, i Signori Modigliani sono tornati a Sant. Anton.

 

« Non prendere impegni per questa sera » mi dice, o meglio ordina, David entrando in cucina. I suoi genitori sono al piano superiore e tra poco scenderanno per la colazione.

« Buon giorno anche a te » interviene divertita Lizzy che non manca di lanciarmi uno sguardo malizioso.

« Oh, ciao Lizzy, non ti avevo visto » gli risponde lui senza mostrare imbarazzo. O è un bravo attore o non gli interessa quello che può pensare la ragazza.

“Chissà perché” è la risposta borbottata della bionda mentre esce dalla cucina con il vassoio pieno ei piatti e posate.

Solo quando scompare dalla mia vista e i rumori di piatti e bicchieri mi avvisano che è troppo lontana per ascoltare la nostra conversazione rispondo a David.

« E se avessi già preso impegni? »

Impossibile visto che quando i padroni di casa sono allo chalet la nostra vita sociale è pari a zero.

« Li annulli » risponde serafico accompagnando le sue parole con una alzata di spalle.

Certo solo perché lo dice lui.

« Zi, padrone » dico imitando il tono di uno schiavo del cotone.

« No, seriamente. Voglio farmi perdonare per l’altra volta ».

« David, dove sei? » la voce della signora Modigliani arriva chiara e forte dalle scale.

« Alle nove, quando i miei se ne saranno andati dai Goldman, noi usciremo ».

« E Lana? » gli chiedo alzando un sopracciglio, scettica « Quella cara ragazza non vede l’ora di vederti » continuo imitando la voce di Adrianna. David ridacchia ma si da subito un contegno.

« Mi darò malato non preoccuparti. Questa sera ho intenzione di passarla con te » ammette con disinvoltura.

« Okay, ma Carlo? A proposito che ci fa qui? E soprattutto digli di tenere le sue manacce lontane da Lizzy, è già impegnata » più o meno, lei e il tedesco stanno avendo un po' di problemi in questo periodo ma sono certa che li supereranno.

« Riccardo, hai visto tuo figlio? » ed è ancora la voce alterata di Adrianna a rompere il nostro momento rubato. Ma perché non gli si è inceppato l’arricciacapelli in testa?

« Lui non è un problema. A dopo » mi saluta alzando gli occhi al cielo. « Mam, sono qui » dice quando ormai è fuori dalla cucina.

« Oh bene… »

Scollego completamente il cervello, non avendo nessuna voglia di ascoltare Adrianna blaterare quando la mia mente è impegnata a godersi le sensazioni che scaturiscono della prospettiva di una serata sola con David e mi maledico per non avergli chiesto dove volesse portarmi.

Quando vado in salotto con un vassoio di brioches appena sfornate tutta la famiglia e il loro giovane ospite, sono comodamente seduti attorno al tavolo e si stanno servendo.

Efficienti e silenziose seguiamo i Modigliani ed eseguiamo ogni loro richiesta con prontezza.

Adrianna sembra non aver ancora digerito la mia piccola disavventura di Febbraio che gli è costata la festa, ma questa volta David sembra aver ritrovato gli attributi e più di una volta è intervenuto per sedare, almeno in parte la sete di vendetta della donna.

« Dafne » all’ennesimo richiamo della signora Modigliani, alzo lo sguardo dal vassoio su cui sto raccogliendo le caraffe vuote.

« Dopo aver sistemato in salotto vai in camera mia. Non sapevo che indossare per questa sera e così ho lasciato qualche vestito in giro. Non è molto. Ah se ce n’è qualcuno stropicciato, stiralo prima di riporlo nell’armadio ».

« Certamente ».

« Ottimo, » dice con un sorriso falsissimo, poi il suo sguardo diventa una maschera di disapprovazione e subito mi chiedo che posso aver fatto, perché quando mette quello sguardo state sicure che è colpa mia, « ma non hai ancora portato via questi piatti? Lizzy, dovremmo darti parte dello stipendio di Dafne se devi faticare di più per fare anche la sua parte » termina con una risata divertita.

Bene, la scena nel mio cervello si svolge così. Cala un silenzio totale, quasi lugubre. Incurante delle caraffe di cristallo e finissima porcellana alzo il vassoio sopra la mia testa, attorno a me solo il rumore dei recipienti che s’infrangono contro il parquet, avanzo a passo di carica e, sotto lo sguardo allibito di tutti, inizio a colpire la donna in testa e quando questa stramazza contro lo schienale della sedia con una smorfia diabolica sul viso, prendo una fetta di pane con burro e marmellata, alle ciliegie, e gliela spalmo in faccia e sui suoi dannatissimi vestiti costosissimi.

La scena reale, invece, si svolge così. Accenno un sorriso e cordialmente mi scuso. La prospettiva di finire in prigione per omicidio volontario e preterintenzionale impedisce a quel pensiero di diventare realtà, sedarono così la mia sadicità.

« Mamma, Dafne fa un eccellente lavoro. Non puoi pretendere che faccia tre cose contemporaneamente ».

« Noi » e calcò molto sul pronome, come a sottolineare la differenza, sociale e forse a parer suo anche intellettuale, che c’è tra me e loro « paghiamo molto per l’efficienza, David. Ricordalo sempre » c’era da aspettarsi una risposta del genere.

« Scusi ancora. Lo faccio subito Signora Modigliani ».

« Ottimo, » risponde soddisfatta per poi rivolgere le sue attenzione ad altro.

Ringrazio David con un sorriso che deve chetarlo, non volevo che iniziasse una diatriba tra i due - già il ragazzo aveva aperto la bocca per controbattere.

Feci spazio sul vassoio e recupero i piatti vuoti. Al pari del migliore dei giocolieri riesco a raggiungere la cucina senza far cadere nessun piatto, nonostante il loro precario equilibrio.

« Carlo, dicci, come vanno gli studi? » Adrianna sta conversando con Carlo quando ritorno in sala per recuperare il resto. Voi vi chiederete ma perché così tanti piatti e bicchieri quando una persona normale sporca sì e no due piatti a testa e una tazza a colazione?

Bene, loro no. Loro usano un piattino per ogni cosa. Un piattino per il pane con la marmellata, uno per la fetta biscottata con burro, uno per ogni brioche che mangiano, perché non possono riusare un piatto sporco. Se poi aggiungiamo che Lizzy è rintanata in cucina a fare colazione, potete capire che ho il mio da fare.

« Benone, mio padre mi sta già presentando ad alcuni clienti. Subito dopo la laurea vuole che mi occupi di alcuni loro affari » e ciao, ciao al povero dipendente che ha sgobbato anni per arrivare in cima e si vede soffiare il posto dal figlio di papà che, come diceva mio nonno quando vedeva queste cose, avevano ancora il sapore del latte materno in bocca.

« Oh, immagino, sei sempre stato un ragazzo brillante » cinguetta Adrianna e io devo trattenere una smorfia di disapprovazione. Non metto in dubbio che possa essere intelligente ma quel posto non se lo è guadagnato. Il padre glielo ha tenuto al caldo fino a questo momento.

 

Dopo la colazione tutti sono spariti per indossare la tuta e recuperare il necessario per passare una mattinata sulla neve. Due mesi che sono qui e le uniche volte che ci sono andata è stato per divertirmi sulla pista dei bob. Vi rendete conto che c'è una bellissima pedana mobile che porta su gli slittini così da risparmiare ai fruitori la fatica della risalita con quel peso appresso. Fantastico!

Cosa importante, la casa rimarrà deserta, Lizzy ed io saremo bloccate qui, se arrivasse qualcuno e noi non ci fossimo potremmo anche non ripresentarci a recuperare la nostra roba, che probabilmente la padrona di casa si sarà premurata di buttare dal balcone, anche se un po' di silenzio e pace non ci faranno che bene, sono arrivati da una settimana ed io e la mia amica abbiamo già finito una boccettina di Novalgina a testa.

« Finalmente » sospira di gioia Lizzy una volta chiusa la porta alle sue spalle e insieme ci incamminiamo lungo il corridoio. « Non ce la facevo più e poi Adrianna? Perché ce l’ha tanto con te, oggi a colazione ha dato il meglio di se ».

« Non mi ha ancora perdonato di averle rovinato la festa » bofonchio per poi entrare nel salotto e inizio a mettere un po' di ordine. Alle mie spalle arriva la risata divertita di Lizzy.

Dopo la partenza di David non ha fatto altro che prendermi in giro imitando, con voci alterate, i possibili dialoghi tra me e David. Non ve li racconterò, io stessa sto cercando di rimuoverli dalla mia mente.

« E quando scoprirà il tuo intrallazzo con David, che farà? » mi chiede mentre dal lato opposto della tavola raccoglie le tovagliette.

« Non c’è nessun intrallazzo » obbietto, ma non la guardo mentre lo dico, « siamo amici ».

Non è una bugia, no? È quello che siamo, anche se spesso mi sono ritrovata a immaginarci in situazioni diverse da quelle di due normali amici ma questo non lo sa nessuno! Quindi bocca chiusa voi.

« Certo e io sono sposata con il principe William ».

« Davvero? Congratulazioni quando ha divorziato da Kate? » le chiedo con ironia.

Lizzy alza gli occhi al cielo, trattenendo a stento un sorriso che nasconde con uno sbuffo.

« Nega quanto vuoi » mi accusa puntandomi un dito contro « ma io so » e con questa affermazione al pari di quelle di Nostradamus se ne va in cucina.

Così, con il peso di quelle parole profetiche che aleggia su di noi, finiamo di sistemare tutto il piano. Sono le undici quando possiamo ammirare la cucina e il salotto risplendere come nella pubblicità del mastro lindo.

« Forza, andiamo a sistemare le camere » bofonchiia la mia amica stiracchiandosi le braccia. « Non posso perdermi l’episodio di Grey's Anatomy. Ho bisogno di rifarmi un po' gli occhi ».

« Credo che ti farò compagnia » già immaginandomi con sguardo sognate mentre fa il suo ingresso il Dottor Stranamore.

« Va che lo dico a David ».

« Piantala! » urlo alla sua schiena mentre corre su per le scale ridendo.

 

« Perfetto, manca solo la camera dei signori » esulta Lizzy raccogliendo paletta e scopa.

Cos’è che ha detto Adrianna?

“Non è molto”

No, è per questo che la camera sembra un campo di battaglia. Vestiti femminili e maschili sono sparsi ovunque, sul pavimento, sulle sedie, divani, ripiani, insomma su ogni superficie possibile.

« Ecco… mi sono appena ricordata di aver ancora delle cose da fare » e alla pari di Beep Beep scompare in una nuvola di fumo.

« Traditrice » sibilo prima di immergermi tra le dune di vestiti.

Ne riemergo sono quattro ore dopo, ammaccata e sudata, il ferro da stiro in una mano e il piano da stiro nell’altra, giusto in tempo per veder salire Adrianna e Riccardo. Dietro di loro una Lizzy trafelata.

« Fatto? » è la prima cosa che mi chiede la padrona di casa. Potrebbe fare invidia a un caporale dell’esercito.

« Sì, signora ».

« Molto bene, allora scendi e prepara del tè e qualche pasticcino per tutti » ordina sparendo in camera di suo figlio assieme alla mia amica.

Un momento perché in camera di David?

« Dafne, non disturbarti per me e nemmeno per mio figlio, lui e il suo amico sono ancora fuori. Abbiamo incontrato Lana, nel primo pomeriggio, e andranno direttamente da lei » mi rivela il signor Modigliani, spiazzandomi completamente.

« Ma come fanno per i vestiti? » obbietto cercando di apparire impassibile. Dentro di me invece è in atto la terza guerra mondiale. Com’è possibile che lui andrà da Lana? Mi aveva promesso che sarebbe uscito con me! Lui ha detto che questa sera era nostra perché doveva farsi perdonare!

« Oh… per quello c’è Lizzy, aiuterà Adrianna a preparare la borsa di David e Carlo e gliele porterà dai Goldman. Tu riposati pure » mi dice comprensivo, picchiettandomi sulla spalla.

Lo ringrazio cercando di tenere un tono di voce normale, avrò tempo dopo di lasciarmi crogiolare del disappunto e nella delusione.

 

 Preparo il tè e sistemo i pasticcini preferiti della donna su un piattino finemente decorato a mano. Eseguo tutto con gesti meccanici, automatici grazie all’esperienza. Per fortuna direi perché la mia mente è molto lontana dalla cucina. Tanti pensieri si azzuffano nella mia mente per avere il primato che nessuno riesce a emergere. Sono solo un’accozzaglia di emozioni e suoni che non fanno altro che peggiorare il mio mal di testa e il mio malumore.

Finalmente i signori se ne vanno verso le cinque e trenta, alla fine Adrianna non ha bevuto il suo stupido tè e la voglia ti versarglielo in testa quando me l’ha detto, era tanta.

Lizzy mi propone una serata film per distrarmi, cosa c’è di meglio di una full immersion di film con Hugh Grunt?

E poi fare come nei più famosi pigiama party americani, manicure, pedicure e tinta di capelli… già, Lizzy vuole farmi bionda. Dice che starei benissimo.

Per quanto la proposta è allettante, rifiuto per rifugiarmi in camera a parlare con la mia amica e sfogarmi.

Ma una sorpresa mi attende quando accendo il cellulare, è rimasto spento per tutta la giornata attaccato alla presa.

Cinque chiamate senza risposta e quattro messaggi non letti.

“Perdonami ma dobbiamo rinviare la serata, abbiamo incontrato Lana e i suoi genitori. D. ”

Questo risaliva alle tre di pomeriggio, il secondo alle tre e mezza. E la storia dello stare male? Avrei voluto dirgli.

“Dafne, scusami davvero, ma mi hanno incastrato e Carlo si è divertito a dare una mano. D.”

Certo, facciamo lo scarica barile sull’amico. Assumiti le responsabilità delle tue azioni. Traditore.

Indispettita passai al messaggio successivo risalito a un’ora fa.

“ Dafne, so che ci sei rimasta male… ”, « E ci mancherebbe » borbotto prima di riprendere a leggere.“ …anch’io avrei voluto attenermi al piano originale. D.”

Già si vede come sei dispiaciuto. Che stai facendo ora? Bevendo champagne e mangiando caviale? Oh, sì, sei proprio dispiaciuto.

“ Ti prego, appena leggi uno di questi messaggi, rispondimi per favore devo sapere che non ce l’hai con me. D.”

Questo era di dieci minuti fa.

Con uno scatto rabbioso mi alzo dal letto e lancio il cellulare sulle lenzuola con la ferma intenzione di ignorarlo. Raggiungo il bagno e apro l’acqua che come una cascata inizia a riempire la vasca, aggiungo abbondante bagnoschiuma, e poi torno in camera con meta l’armadio e recupero il necessario per cambiarmi e senza rispondere al messaggio vado a farmi un bagno.

Come ogni pesce che si rispetti, nell’acqua trovo il mio elemento, è la mia bolla di pace e tranquillità. Mi aiuta a riflettere quando sono indecisa e a calmarmi quando sono arrabbiata. Entrambe in questo momento.

Non so per quanto tempo rimango ammollo nella vasca, molto viste le mie dita raggrinzite ma certamente sono più calma e rilassata.

Bene, Dafne, sei calma e rilassata, il mondo ha quella leggere sfumatura rosa, tanti arcobaleni ti circondano e finalmente te ne puoi andare a letto. L’unica problema è il cellulare ancora abbandonato sulla coperta. Lo riprendo in mano e dopo essermi sistemata in posizione fetale sotto le coperte, rileggo tutti i messaggi che mi ha mandato. L’hanno obbligato ma perché non si è inventato la scusa di non stare bene come mi aveva detto? Carlo… mi ha detto che non è un problema ma a quanto pare si è sbagliato.

Forse posso dargli il beneficio del dubbio, forse posso anche passarci sopra, magari lui ci ha provato davvero ma uno contro una mandria di snobbosi è molto probabile che soccomba.

 Cavolo, sembra che sia andato in guerra e non a  una cena.

È con un sospiro arrendevole che scrivo la risposta.

“Non ce l’ho con te, anche se è vero, mi sono sentita un po' presa in giro. Goditi la serata ci vediamo domani mattina a colazione. Notte. Dafne”.

Non ho il tempo di pentirmene e di poggiare il telefono sul comodino che inizia a vibrare.

“ Temevo non mi avresti più rivolto la parola. Ti giuro che mi farò perdonare. Vai già a dormire? D.”

“ La lista si allunga caro il mio Modigliani, per il resto… ci ho fatto un pensierino ma ti sei salvato grazie a un lungo bagno ristoratore. Non dormirò ma mi nascondo da Lizzy, vuole farmi bionda!”

Questa volta ci mette più tempo a rispondere ma non devo attendere molto, in ogni caso.

“Non staresti male… ma preferisco le more. Poi come farei a riconoscerti domani? D.”

“Semplice, sarei quella che ti versa il caffè in testa : )”

Rido da sola mentre rileggo il messaggio e immaginando la faccia di David quando lo leggerà. Con un braccio sistemo meglio il cuscino sotto la mia testa in attesa della sua risposta ma questa non è rapida ad arrivare come le altre. Che ci sia rimasto male?

Ho già aperto la casella per un nuovo messaggio quando David risponde.

“ Me lo merito, ora devo andare, purtroppo. Notte Dafne. D.”

Una leggera ondata di malinconia mi colpisce allo stomaco ma quel “purtroppo” forse irrilevante per qualcuno per me vale molto.

Ed è così che, sorridendo, cado in un sonno profondo.

 

Il giorno dopo, sono svegliata da un raggio di sole, che birichino filtra dalle tende color panna delle finestre, e dall’insistente vibrazione del mio cellulare, chi chiama alle sei e trenta del mattino?

Svogliatamente prendo il telefonino e quando apro la casella messaggi, ne trovo uno di Anna che mi augura tanti auguri. Sorrido felice e le rispondo subito.

Come ho già detto non tengo molto in conto i compleanni, tanto che nemmeno mi ricordavo che oggi fosse il mio. È un giorno come un altro, solo che sei più vecchio. Perché si festeggia il diventare più vecchi? Perché, alla fin fine è questo che si fa. Preferisco viverlo normalmente come se fosse un giorno qualsiasi, anche se questa volta sono tentata di chiedere un giorno libero per scappare dalla pazzia di Adrianna.

Guardo nel letto adiacente al mio, dove un ammasso di coperte mi suggerisce che la ragazza che lo occupa sta ancora dormendo profondamente. Rimetto il cellulare sul comodino e stanca a causa della notte movimentata provocata da una serie infinita d’incubi - con protagonista la sottoscritta che veniva perseguitata da Adrianna, o delle volte Lana, oppure entrambe, le quali, ogni volta, assumevano le sembianze di uno dei killer barra mostri dei film del terrore -, mi alzo e in malo modo strattono la mia compagna che si sveglia con un sobbalzo. Con un gesto nervoso si toglie la maschera per gli occhi e mi guarda assonnata.

Anche lei è messa come me.

Sono le sette un quarto quando salgo al piano padronale per preparare la colazione. Ma per la prima volta in quasi tre mesi non sono la più mattiniera.

« David? »

« Buon giorno » mi saluta sorridente. I capelli ancora scompigliati e gli occhi rossi.

« Che ci fai qui? La colazione sarà pronta solo per le otto ».

« Lo so, ma volevo parlarti e tu mi hai detto che prima di un quarto alle otto Lizzy non si fa vedere, così eccomi qui ».

L'unica cosa di cui vorrebbe parlare è lo spiacevole episodio di ieri sera così annuisco e mentre inizio a preparare il necessario per la colazione, lo ascolto.

« Volevo prepararti qualcosa per la colazione ma non so cosa preferisci… ».

« Caffè latte e gocciole, così la prossima volta ti ricordi ».

« Non lo dimenticherò. Ti posso dare una mano? » mi chiede prendendo il latte dal frigorifero.

« Non è che poi mi bruci la cucina? No, perché Adrianna darebbe la colpa a me » scherzo e lui mantenendo lo stesso mio tono allegro mi assicura di essere un discreto cuoco.

« A Padova vivo da solo e ho dovuto arrangiarmi ma hai ragione, all'inizio ho rischiato di bruciare la cucina più di una volta. Poi ho scoperto i “quattro salti in padella”, la mia salvezza » confessa facendomi ridere. È come mio padre, quando sono al lavoro o via, lui vive di cibo in scatola, purtroppo non si è ancora evoluto ai prodotti surgelati, microonde e forno erano e restano  elettrodomestici di cui non ha mai capito il funzionamento.

 

« Allora, che volevi dirmi? » esordisco mentre seduti al tavolo, aspettiamo che sia pronto il caffè.

« Voglio scusarmi, e forse ti sarai anche stancata di sentirmi dire questa parola, per quella che deve essere la millesima volta » gli lancio un occhiata e non riesco a trattenere una leggera risata alla sua affermazione e pure lui sorride, poi continua.

« Ieri avevo un piano ben organizzato. Uscire, qualche volta far trapelare che non mi sentivo tanto a posto fino a quando nel pomeriggio quando i miei avrebbero ricominciato a sciare, io sarei sceso con la scusa che non stavo bene ».

« E a quanto pare non ha funzionato » deduco ricevendo in risposta uno sbuffo sconsolato.

« No, a pranzo abbiamo trovato Lana e i suoi genitori, cosi abbiamo pranzato assieme, io sono andato avanti con il mio piano ma Carlo, che doveva aiutarmi, mi ha remato contro. Dovevi vederlo come si divertiva alle mie spalle » posso ben immaginarlo nella mia mente. « E quando hanno iniziato a parlare della sera io mi sono ritrovato con le spalle al muro ».

« Non importa, David. Non è una cosa grave e poi alla fine la cena era un impegno che avevi preso in precedenza e sarebbe stato scortese non andarci ».

Questo ieri sera non lo avrei mai pensato ma come si dice " la notte porta consiglio ".

« E dimmi come è andata? » gli chiedo sorridendo per fargli capire che sono sincera.

« Come al solito. Ottimo cibo, il signor Goldman si è vantato degli ultimi successi della sua impresa, la madre di Lana e la mia hanno parlato dei vecchi tempi del collegio a Londra mentre io facevo finta di ascoltare Lana e Carlo mentre sbirciavo il cellulare in attesa che qualcuno rispondesse » e mi lancia un’occhiata allusiva, non posso negare di essere lusingata del fatto,  « e poi c’erano alcuni amici che non facevano altro che chiedermi dell’università e dello studio di papà ».

« Beh… a mia discolpa ho letto i messaggi solo dopo la partenza dei tuoi genitori e ora sono anche ragionevole, ma questo non vuol dire che ci sono rimasta male quando li ho letti ».

« Quindi devo ringraziare il lungo bagno ristoratore? »

« Già… che c’è? » chiedo vedendolo pensieroso. David mi guarda interrogativo e alza un angolo della bocca in un accenno di sorriso.

« Nulla. È pronto il caffè » dice e si alza per versare la bevanda nel thermos di acciaio.

Avete presente quelle persone che quando chiedi “ a cosa stai pensando?” ti dicono “ Oh, nulla” ma in realtà stanno pensando a qualcosa che riguarda te ma non te lo dicono? Ecco il suo “Oh, nulla” mi ha lasciato questa sensazione.

Non indagai oltre, anche perché dal piano superiore iniziano ad arrivare rumori di porte che si aprono e che si chiudono, acqua che scroscia e così recupero piatti, forchette, cucchiaini e tutto il necessario per preparare la tavola.

A un quarto alle otto Lizzy fa il suo ingresso in cucina perfettamente truccata e pettinata.

Rimane spaesata quando al posto della sottoscritta trova David a strapazzare le uova.

« Lizzy, vedo che sei molto mattiniera » è il suo commento sarcastico.

« Oh, emh… Non è mia abitudine fare tardi… ».

« Lizzy, lascia perdere e porta questi al tavolo » e le metto in mano in vassoio di pane già affettato. La ragazza esegue l’ordine senza obbiettare, defilandosi in pochi secondi.

« Forse è meglio se la rassicuri sul fatto che non gli abbassi lo stipendio » dico divertita a David.

« Lasciamola nel dubbio ancora un po’ » propone lui con fare cospiratorio. Per un momento vorrei dirgli di no ma poi penso che un po' di suspense male non fa.

« Non ti facevo così diabolico ».

« Oh, ci sono un sacco di cose che devi conoscere ancora ».

 

I signori Modigliani e Carlo scendono alle otto e un quarto, tutti stupidi di vedere il moro tranquillamente seduto sul divano mentre mi fa alcune domande sulla colazione. È stata una sua idea di depistaggio, come ha detto lui quando avevamo sentito le scale scricchiolare.

« David, che fai già qui? » gli chiede Carlo che probabilmente lo credeva ancora a dormire.

« Mi sono svegliato presto e così sono sceso prima » e alza in aria un voluminoso libro di diritto privato. Se la carriera da avvocato gli dovesse andare male, potrebbe intraprendere la carriera di attore.

« Dafne, potresti versarmi una bella tazza di caffè per favore » dall’ultima frase potete capire che non è Adrianna quella che mi ha chiesto il caffè. Il Signor Modigliani, si siede a capotavola e svogliatamente inizia a spalmare della marmellata su un po' di pane. « Siete fortunati voi giovani » continua lanciandomi un’occhiata quasi paterna « anche io da giovane stavo alzato fin quasi al mattino e il giorno dopo ero bello pimpante e pronto a seguire una lezione o lavorare ora… anche solo rientrare all’una di notte mi riduce a un relitto » sogghigna e io rispondo con un sorriso divertito. Quest’uomo è simpatico e gentile, proprio non capisco come ha fatto a sposare un’arpia come la moglie.

« Piantala, Riccardo, sono solo storie per potertene stare a casa a non partecipare al party dei Grotti. Ieri sera è stata una bella serata in famiglia ».

Perché l’ultima parte l’ha detta guardando David con uno sguardo pieno di significati.

« Lana era raggiante ma tu David, eri sempre attaccato al cellulare. Sei stato molto scortese nei suoi confronti, sai? » lo rimprovera la donna e non riesco a impedire ai miei occhi di correre al ragazzo che si muove sulla sedia a disagio e sorrido.

« Perdonami, mamma, ma aspettavo un messaggio importante ».

« Per l’università? »

« Emh… sì »

« A quell’ora? »

« Che ci vuoi fare, sono cose normali credimi » la rassicura il figlio, « vero, Carlo? » aggiunge con un’occhiata minacciosa all’amico che alza la testa dal piatto, stranito.

« Oh sì, certo. È all’ordine del giorno » gli regge il gioco l’altro con un sorriso strafottente che è sostituito da una smorfia di dolore. Guardo David, seduto al suo fianco e sul suo viso fa bella mostra di se un sorriso soddisfatto e ci metto poco a capire che è successo.

« E a proposito di questa sera io e Carlo non ci saremo, dobbiamo incontrare alcuni nostri amici a Lech partiranno dopodomani e così ci siamo accordati per questa sera ».

« Bene, allora saluteremo i Grotti da parte tua ».

La colazione continua con discorsi noiosi, almeno per me, sugli ospiti della cena dai Goldman e di quelli di questa sera.

La famiglia a causa della nebbia che è caduta sul piccolo paesino ha deciso di rimanere a casa. Una tragedia per i miei nervi, più di una volta mi sono ritrovata a pregare che lunedì arrivi il più in fretta possibile per vederli salire sul loro bellissimo e costosissimo jet e partire per non tornare fino alla fine della stagione e quindi del mio contratto.

L’unica nota di colore è stata la chiamata di mio padre, sfruttando l’ora del riposino post pranzo degli abitanti della casa l’ho potuto chiamare e mi ha aggiornato sulle novità di Milano e la Signora Brambilla mi ha tenuto al telefono a lungo perché voleva sapere praticamente tutto quello che avevo fatto fino ad oggi.

Ricevetti anche altri messaggi da parte di vecchi compagni di scuola e colleghi di lavoro.

 

Purtroppo oggi c’è anche qualcun altro che ha deciso di mandarmi fuori di matto.

Perché non possono farmi il regalo di scomparire tutti?

« Non ci vado e non provare a chiamare per farti portare la roba, chiaro? O assaggerai la mia vendetta » mi minaccia Lizzy puntandomi un coltello perfettamente lucidato davanti al viso.

« Lizzy, si ragionevole. La macchina non possiamo prenderla e io ho un sacco di compiti che mi ha dato Adrianna » cerco di spiegarle con tutta la calma del mondo ma la ragazza non sembra sentire ragioni.

« Beh… trova il tempo perché io non ci vado » è la sua risposta impettita.

« Tutto a posto? » David fa il suo ingresso in cucina con indosso una semplice, banale tuta. Allora perché mi sembra comunque uno schianto, come se indossasse il più bello dei vestiti di alta moda?

« Benissimo, non preoccuparti ».

Anche se vorrei urlare: No non va bene per nulla. Ho un sacco di lavoro, una collega che non vuole collaborare e sono sull’orlo di una crisi di nervi per colpa di tua madre.

« Strano perché sembri sul punto di strozzare Lizzy » ribatte sogghignando.

« Disguidi » liquido la faccenda.

« Okay, cosa c’è per pranzo? »

« Lizzy, stava giusto andando in paese a comprare il necessario » e sorrido malefica sapendo che con davanti David, Lizzy non avrebbe detto no.

« Sì ma poi Dafne si è proposta di andare lei » rigira la frittata a suo favore. Assottiglio lo sguardo e credendo che la ragazza legga nel pensiero le urlo mentalmente le più atroci maledizioni ed epiteti che farebbero arrossire persino uno scaricatore di porto.

« Non è esattamente così, Lizzy… » bisbiglio cercando di controllare la voce. « Sai che ho un sacco di lavoro da fare ».

« Scusate ma chiamare quel Axel? » interviene David senza sapere di scatenare così il fini mondo.

« No! » appunto, « taglierò la lingua a chiunque lo farà venire qui » e in questo momento sembra un angelo vendicatore tanto fiammeggiano i suoi occhi.

« Okay… » dice esitante, anche lui come me teme che le sue parole si possano avverare. « Quindi… ? »

« Quindi ci va Dafne ».

« Lizzy, ti ho detto che ho da fare, ci andrei se la Signora Modigliani non mi avesse dato tutto quel lavoro ».

« Sentite, facciamo così » interviene David che in questo momento sembra tanto Salomone che decide del destino del bambino.

« Tu » ed indica me, « verrai con me a fare la spesa ».

« Cosa! » gracchio tra lo sconcertata e l’imbarazzata.

« E tu » questa volta indicando Lizzy, « tu farai il lavoro di Dafne. Così tu non vedrai Axel e i lavori di Dafne saranno fatti ».

Beh… questo mi piace.

« Ci sto » accetto liberandomi del piccolo grembiulino per lanciarlo sulla mensola sotto la finestra ed esco dalla cucina per scendere a recuperare la giacca accompagnata dalle proteste di Lizzy.

Ad accogliermi quando risalgo il sorriso divertito di David.

« Credo che Lizzy mi voglia strangolare »  confessa quando lo raggiungo.

« Sapendo quello che la attende, la posso capire ».

« Allora è meglio scappare prima che decida di attuare uno dei suoi piani » bisbiglia e per avvalorare la sua tesi mi indica la bionda che completamente piena di cenere cerca di ripulire il camino. Lancia uno sguardo imbufalito verso di noi ed io non riesco a trattenere le risate.

« O sì, è meglio scappare » concordo prendendolo per un braccio e spingendolo verso l’uscita.

« Grazie per avermi fatta uscire da quella casa. Avevo proprio bisogno di staccare » dico appena chiusa la portiera. Metto la cintura e mi lascio scivolare sul sedile chiudendo gli occhi sorridendo.

David mi rivolge un sorriso comprensivo, accende la macchina e parte.

« Lo immaginavo, mia madre sa essere sfiancante quando ci si mette ».

« È molto brava in questo » concordo.

« Allora dove dobbiamo andare? »

« Al mercato a fare un po' di rifornimenti » gli rispondo estraendo la lista della spesa. « Siete delle fogne lo sai? » lo riprendo bonariamente, « avete divorato quello che abbiamo comprato prima che arrivaste ».

« Beh… quando si ha fame si ha fame e sciando tutto il giorno abbiamo bisogno di ricaricarci ».

« Certo, certo… comunque finito al mercato dobbiamo passare da Axel per prendere della zuppa di gulasch e abbiamo finito ».

« Sì, signora » risponde da perfetto soldatino.

Il mercato si svolge in un grande piazzale al centro del paese. È molto suggestivo per i turisti perché trasmette quell’aria di antico borgo. I locali, lo chiamano “la grande sala”, proprio per le sue dimensioni. È una combinazione di mercato di contadino e negozi alimentari fissi che offrono prodotti freschi ogni giorno. Ci si trova di tutto, dai formaggi al pane, dalle verdure alla carne e anche pesce.

« Wow… certo che è affollato » è il commento di David mentre cerchiamo di raggiungere le vari bancarelle.

« Che credevi? Questo è un ottimo posto per fare la spesa e la qualità è garantita ».

Ci impieghiamo quasi un’ora per comprare tutto il necessario. Forse ci avremmo impiegato anche un po' meno se non mi fossi fermata a quasi tutte le bancarelle di artigianato e ceramica, lo ammetto ma credetemi quando vi dico che nessuno può passare dritto senza darci un’occhiata, nemmeno David c’è riuscito.

David mi segue pazientemente e non fa mancare certe sue battute sulla fissazione delle donne a guardare ogni oggetto esposto su una bancarella guadagnandosi anche qualche occhiata non proprio amichevole da quei commercianti che masticano un po’ d’italiano, come quella della bancarella dove siamo fermi da più di dieci minuti perché io mi sono persa a osservare un ciondolo in argento a forma di spicchio lunare e con un piccolo Swarovski. Bellissimo e purtroppo "leggermente" al di sopra delle mie finanze.

Peccato...

E così passiamo oltre per continuare il giro ma non posso evitare di fermarmi una seconda volta quando torniamo indietro. Mamma mia che bella che è...

Avete presente quando una cosa ti piace, ma proprio tanto, e purtroppo non potete averla e ci rimuginate e rimuginate, sapendo perfettamente che per quanto lo facciate le cose non cambieranno ma nonostante ciò continuate buttandovi sempre più giù? Io mi sento così. So che se non la prendo me ne pentirò per sempre ma non voglio nemmeno spendere tutti quei soldi...

« Okay, andiamo dobbiamo ancora passare da Axel » dico allontanandomi a passo di carica.

« Aspettami alla macchina devo tornare a una bancarella che abbiamo visto poco fa » mi blocco alla sua richiesta.

« Ti accompagno » gli propongo ma lui rifiuta.

« No, o se no mentre torniamo mi tocca riguardare ancora questa bancarella ».

Effettivamente non ha tutti i torti...

« Okay, dammi le chiavi, allora ».

« Non partire senza di me ».

« Oh... Non ti farebbe male una bella camminata » lo provoco inducendolo a pensare di avere qualche chilo di troppo.

« Ehi... Sono in perfetta forma non mettere in giro false voci » risponde fintamente offeso. Infila la mano nella tasca e mi consegna le chiavi per poi allontanarsi.

Ridacchiando e divertita mi avvio alla macchina e dopo aver sistemato nel baule le borse, mi accomodo e lo aspetto ascoltando la radio che trasmette canzoni tedesche, moderne e tradizionali austriache.

« Eccomi! » si palesa David sedendosi al posto di guida.

« Che dovevi prendere? » chiedo curiosa mentre lo guardo alla ricerca di una busta che non c'è. « Ma non hai preso nulla? »

« No, lo avevano già preso » risponde dispiaciuto.

« Quando una cosa piace bisogna prenderla prima che qualcuno te la rubi ».

« E perché non hai preso quel ciondolo? Sembrava piacerti molto ».

Sbuffo dispiaciuta ricordando quel bellissimo spicchio lunare che ora sarà in mano a qualcuna più facoltosa di me.

« Se il prezzo fosse stato più basso lo avrei preso, stanne certo » borbotto.

« Potevo prestarteli io... e tu me li avresti ridati con calma » si affretta ad aggiungere sotto il mio sguardo di disapprovazione.

« Non fa nulla... » e chiudo il discorso alzando il volume della radio. « Allora questa sera, serata tra amici a Lech? ».

David mi guarda senza capire ed io mi ritrovo a ricambiare lo sguardo, visto che ne parlava questa mattina e non credo che abbia problemi alla memoria a breve termine alla sua età.

« Oh, no. Quella era una scusa » risponde una volta ripresosi.

« Dovete andare in qualche posto che i tuoi disapproverebbero? » lo canzono anche se al pensiero di vederlo in qualche locale di streaptease o assieme a qualche avvenente giovane donna mi fa salire il sangue al cervello.

« No, usciamo io e te. Carlo se ne starà a casa o andrà al Dobler in paese. Questa volta abbiamo le spalle coperte, facciamo alle otto e mezzo? »

Vengo travolta da una strane euforia sapendo che questa sera saremo solo io e lui, senza nessuno.

Se ha detto tu ed io vuol dire che non c’è nessun altro. Se no avrebbe detto io, te e Pinco pallino, mette becco il mio grillo parlante. Era da diverso tempo che non spuntava fuori e mi stavo preoccupando ma, ora vorrei tanto che se ne tornasse in silenzio.

Evita frasi stupide ed io non devo intervenire.

Okay, basta. Questa sera saremo io e David.

« Okay, dove andiamo? » domando curiosa ed eccitata. Nemmeno lo sa ma mi sta facendo il regalo di compleanno più bello di tutti.

« Non preoccuparti ti porterò in un posto che ti piacerà molto » e no, non può uscire con questa frase.

« Non puoi dire una cosa del genere a una che è curiosa cronica per natura! » a Natale perlustro tutta la casa ala ricerca dei regali di papà!

Sì, ho usato il presente perché lo faccio ancora. Chi non ha peccato scagli la prima pietra.

« Dovrai aspettare stasera » ribatte e alza il volume della radio proprio come avevo fatto io prima per chiudere il discorso del ciondolo.

 

Raggiungiamo il ristorante di Axel in pochi minuti ed è proprio il tedesco ad accoglierci con un sorriso raggiante che si spegne quando non vede la biondina. Non so bene che sia successo, solo che una sera Lizzy è tornata imbufalita e che da quel momento non fanno che litigare per ogni cosa e si vedono sempre meno.

Loro non mi dicono nulla ed io non chiedo, fedele al detto “tra mogie e marito non mettere il dito”, nel loro caso questo è da leggere nel senso lato del termine.

« Ehi, ragazzi che posso fare per voi? » ci chiede con falso entusiasmo.

« Vorrei quattro porzioni della vostra buonissima Gulaschsuppe. Il Signor Modigliani vi fa i complimenti, ha detto che era ottima ».

« Oh beh nessuno è meglio di mamma in questo campo » si pavoneggia Axel, orgoglioso del suo genitore.

« Questa mattinata è stata piacevole. Ti è piaciuta? » mi chiede David mentre aspettiamo l’ordine.

« Sì, mi sono divertita, soprattutto quando la signora ti ha convinto a indossare quel cappello pieni di piume » ricordo trattenendo le risate a fatica. Era ridicolo.

« Non ricordarmelo per favore » si lamenta lui, poi il suo sguardo si accende di terrore. « Hai cancellato la foto, vero? »

« Certo » squittisco. Solo che lui non può vedere la mia mano dietro la schiena che ha le dita incrociate...

« Ecco a voi » esclama Axel comparendo con due sacchetti di plastica. « 180°, mezz’ora prima di mettere in tavola ».

« Grazie » dico sporgendomi per prenderle ma David mi anticipa.

« Io vado a pagare e poi al bagno aspettami qui che fuori fa freddo » e se ne va impedendomi ogni protesta.

« Come sta Lizzy? Sono giorni che non risponde alle mie chiamate » ne approfitta il tedesco usando un tono sommesso.

Axel in questo momento assomiglia a quegli orsacchiotti pelosoni e morbidoni che non vorresti fare altro che spupazzare per tutto il giorno ed è proprio quello che vorrei fare e solo perché il locale è affollato che mi limito a strofinargli il braccio in segno di solidarietà.

« Dovresti sapere meglio di me che Lizzy ha seri problemi, quella ragazza è lunatica e siccome tu sei il suo ragazzo, scarica tutto su di te ».

Axel è un santo, per riuscire a sopportare quella ragazza ci vuole una pazienza infinita.

« Ormai non so più se stiamo assieme, l'hai vista in questo periodo. È più schizzata del solito ».

Sospiro visto che è l'unica cosa che posso fare.

« Voi donne siete strane e matte » borbotta.

« Ehi, non generalizziamo » lo richiamo colpendolo piano sul braccio. « Axel, sarà un periodo no. Abbi pazienza e tutto si risolverà ».

 

« L'ho mollato ».

Perché non me ne sto mai zitta?

« Tu cosa? » chiedo alzando lo sguardo dall'impasto.

« Ho mollato Axel ».

« Perché? Finalmente avevi trovato l'unico ragazzo che sopporta le tue pazzie e lo lasci? »

Lizzy mi lancia un’occhiata di disappunto. Certo, lei si crede la ragazza perfetta e senza difetti.

« Era diventato asfissiante, chiamava sempre e non potevo svoltare l'angolo che lui era lì ».

« Ehi, Lizzy ».

Carlo fa il suo ingresso con la sua camminata da ragazzo che si crede mister mondo e con fare malizioso occhieggia alla mia amica. Raggiunge il frigorifero, lo apre e recupera una bottiglia di acqua. Il tutto, senza staccare gli occhi di dosso dalla bionda.

« Ehi... » risponde lei con fare civettuoso. Io faccio passare lo sguardo tra loro due come se stessi guardando una partita di ping-pong.

Lizzy con un sorriso malizioso prede un bicchiere dalla mensola e glielo porge.

Probabilmente i miei occhi sono fuori dalle orbite perché non credono a quello che sta succedendo. Stanno flirtando davanti a me!

No, non va bene. Avevo detto a David di tenere il suo amico lontano e invece eccolo qui all'attacco.

« Lizzy, dovresti scendere in cantina a recuperare un Pinot del 96  ».

Sinceramente non mi serve nulla ma devo intervenire. Non va bene quello che sta succedendo.

Il mio intervento ottiene l'effetto desiderato e il gioco di sguardi si rompe.

« Cosa? »

« Mi serve un Pinot del 96. Mi sono ricordata che il signor Modigliani lo vuole bere questa sera » aggiungo per rendere più credibile la cosa. « Io sono leggermente sporca per muovermi in giro per casa. Chi la sente poi la Signora ».

Lizzy sbuffa contrariata, ma fa come le ho chiesto.

« Dafne » inizia il ragazzo poggiando i gomiti sul piano dell’isola, un sorriso da schiaffi in viso, « volevo scusarmi per aver rovinato la seratina romantica tra te e David ».

« Non c’era nulla di romantico » obbietto.

« Certo, in ogni caso mi spiace. Questa sera non farò nulla. Parola di scout » promette e dopo avermi rubato una mela se ne va.

Dieci minuti dopo Lizzy, imbufalita entra in cucina.

« Da basso non c’è nulla! »

« Oh… già mi sono ricordata che l’hanno presa ieri per la cena. Che sciocca » dico scrollando le spalle. « Scusami ».

 

Non so se sto facendo bene a uscire. Insomma lascio Lizzy nelle mani del lupo cattivo. Non mi sento tanto a mio agio…

È grande e vaccinata mi dico per convincermi a uscire.

Sì, ma al momento è in una fase strana e potrebbe fare di tutto, non è nel pieno delle sue facoltà mentali, mi dico per convincermi a restare a casa.

Così mi ritrovo davanti allo specchio, pronta per uscire ma indecisa sul da farsi, tanto che penso di usufruire del buon vecchio metodo della margherita ma ci pensa Lizzy a risolvere la situazione per me.

« Il tuo bello è pronto e profumato davanti alla porta ad attendere la sua bella. Quindi muoviti prima che si preoccupi ».

Sì, Lizzy è grande e vaccinata da cavarsela da sola.

« Okay, ci vediamo domani mattina » dico con un sorriso a trentadue denti. La saluto e corro su per le scale ignorando il suo “non fate gli sporcaccioni”. Dovrei essere io a dirlo!

David è davanti alle scale e sorride quando mi vede, un sorriso così bello che mi fa dimenticare la mia amica.

« Eccoti, credevo che fossi scappata ».

« Scusa, solo che non sapevo cosa mettere visto che qualcuno non mi ha voluto dire la meta ».

David fa orecchie da mercante e con un alzata di spalle mi precede lungo il corridoio. Ha già indosso la giacca ed è pronto

Mi guardo attorno ma dell’altro inquilino della casa non c’è traccia. Che sia uscito davvero?

« Dafne? »

« Arrivo! » indosso la giacca e correndo, raggiungo il ragazzo che mi attende tenendo la porta aperta.

 

« C’è qualche problema? » mi chiede quando stiamo scendendo dalla stradina che porta al paese. Questa sera abbiamo deciso di fare gli ecologisti e di goderci l’aria fresca e pulita di montagna.

La sua domanda è abbastanza legittima visto che continuo a lanciare occhiate furtive allo Chalet che piano piano sta diventando sempre più piccolo.

« Nullaaa » prolungo l’ultima sillaba quando inavvertitamente metto il piede su una lastra di ghiaccio. David è subito pronto a sostenermi e anche quando mi rimetto in posizione stante, non lascia la presa sul mio braccio. Così camminiamo a braccetto con un po' d’imbarazzo da parte mia.

« Allora come stanno Lizzy e Axel? »

« Sì sono lasciati ».

« Davvero? »

« Lei ha lasciato lui, oggi » borbotto ripensando alla conversazione con Axel e poi quella con Lizzy e l’indesiderato arrivo di Carlo. « Tu credi che Carlo ci proverà con Lizzy questa sera? »

« Probabile » risponde con tono indifferente « ma non credo siano affari tuoi o miei » continua stringendo il mio braccio « sanno badare a loro stessi. Noi abbiamo la nostra serata e voglio che ci divertiamo ».

« Giusto… allora ora puoi dirmi cosa ti è venuto in mento per farti perdonare? » chiedo con ritrovato sorriso e una preoccupazione in meno nella testa. È la nostra serata e non voglio farmela rovinare da nessuno. Poi è anche il mio compleanno.

« Ahh… ma come siamo curiose, manca poco e lo vedrai ».

« Un indizio? » scuote la testa divertito « nemmeno piccolo, piccolo? » lo supplico stringendo il braccio cui sono abbracciata. Il ragazzo sembra irremovibile perché scuote ancora la testa e fa segno di cucirsi le labbra. Metto su un broncio che farebbe invidia a una bambina di due anni, ma non mi arrendo, cerco di carpirgli qualche informazione studiando la direzione che abbiamo preso e cercando di sorprenderlo con domande a trabocchetto. Stiamo camminando verso la zona più vicina all’ovovia, dove ci sono piste per go card, piccoli parchi divertimenti e altri impianti per lo svago dei turisti.

Spero davvero che non mi porti alle macchine…

 

« Questa è corruzione » esordisco appena si ferma davanti al palazzo del ghiaccio. La pista è già affollata e tante luci colorate decorano le fronde degli alberi donando un aspetto quasi natalizio. La musica di sottofondo, mica tanto visto che la sentono fino al paese successivo, è una canzone di David Guetta, “Little Bad Girl”. La colonna sonora delle mie vacanze estive in Francia. Anna ed io la trovavamo su ogni canale di musica e su ogni stazione radio.

« Sono un avvocato ed è mio compito scoprire i punti deboli dell’avversario e usarli a mio vantaggio ».

« Vuol dire che sarai un ottimo avvocato in futuro ».

All’ingresso non troviamo molta coda, così in poco tempo ci ritroviamo seduti alle panche a indossare i nostri pattini. È da due settimane che non vengo, prima dovevamo ripulire la casa da cima a fondo per l’arrivo dei proprietari e da quando sono tornati, Lizzy ed io non siamo potute uscire per staccare la spina nemmeno un attimo.

« Forza, David, stai facendo la coda! » gli urlo mentre inizio a scivolare sul ghiaccio nelle vicinanze dell’entrata.

« Oh no, io sto bene qui. Tu vai pure » urla. Esitante mette un piede sul ghiaccio e tenendosi alla ringhiera cammina, si cammina non pattina, rimanendo sul bordo.

« Paura, David?» lo provoco pattinando all’indietro.

« Chi, io? No! » e non posso che scoppiare a ridere alla vista della sua faccia paonazza.

« Allora forza » lo incito e lui borbotta qualcosa di incomprensibile. Scuoto la testa divertita e faccio per allontanarmi e compiere almeno un giro prima di andare a recuperarlo ma lui mi richiama dopo nemmeno due metri.

« Aspetta, prima che me ne dimentichi ho una cosa per te ».

Curiosa lo raggiungo e freno al suo fianco come se fossi a una gara di pattinaggio artistico.

« Brava » è il suo commento.

« Grazie, » rispondo, compiaciuta per il complimento. Mi appoggio con la schiena alla ringhiera e giro la testa per guardarlo, « allora che succede? »

Dalla tasca interna della giacca estrae un piccolo sacchettino argentato e me lo porge. Lo prendo e gli rivolgo uno sguardo curioso.

« Aprilo » mi incita e non me lo faccio ripetere due volte. Tre secondi dopo, reggo in mano il ciondolo che questa mattina aveva catturato tutto la mia attenzione.

« Temevo che qualcuno lo comprasse prima che facessi in tempo a tornare alla bancarella ».

« Allora non ti serviva nulla… dovevi prendere questo » sussurro alternando lo sguardo tra la collanina e il ragazzo. David si limita ad annuire.

« Come facevi a sapere che era il mio compleanno? Non l’ho detto a nessuno ».

Ha doti da veggente e non lo sapevo? O, forse, più probabilmente ha letto il mio contratto…

« È il tuo compleanno? » la sua voce è quasi scioccata, « perché non me lo hai detto? » mi chiede con un tono che sembra nascondere un’accusa.

« Non sono una fan dei compleanni, se non lo sapevi perché me l’hai presa? »

« Perché ho visto che ti piaceva molto ma alla luce dei recenti fatti, consideralo un regalo di compleanno » risponde serafico.

« No, non posso accettarla, costa settanta euro » obbietto rimettendola nel sacchetto per restituirglielo. È pazzo a spendere tutti questi soldi per un ciondolo. David mi ferma a metà strada e respinge il mio gesto.

« No, mi offendi se lo rifiuti ».

« Allora te lo pago. Dovrai aspettare la fine della vacanza dei tuoi per le mance ma… »

« Ehi » e blocca la mia parlantina mettendomi un dito sulla bocca.

« Ma… » cerco di controbattere ma mi zittisce.

« Prima di tutto non si parla quando si ha il dito sulla bocca. Secondo, siccome saresti capace di andare avanti per ore, ti propongo un accordo » e finalmente toglie il dito. Lo guardo insospettita, nei film certe cose non portano a nulla di buono.

« Ti ascolto ».

« Puoi ripagarmi, insegnandomi a pattinare ».

« Darti lezioni? »

« Esattamente ».

« Non sai pattinare? » Sono incredula.

« Sono completamente negato ».

Visto come si muoveva prima e com’è aggrappato alla ringhiera, deduco che dica la verità.

« Okay, ma ora devi aiutarmi a indossarla ».

Felice come una Pasqua gli consegno la collana e poi mi libero della sciarpa e sposto i capelli da un lato per permettergli di allacciarla.

« Ti sta benissimo » è il suo commento quando mi giro. Sorrido rossa come un peperone e mi rimetto la sciarpa.

« Bene, ora iniziamo la nostra lezione ».

David fa un’espressione da funerale che mi fa alzare gli occhi al cielo inneggiando una preghiera.

« Credo che tornerò a casa malconcio » borbotta guardando preoccupato la pista.

« Potevi anche portarmi da qualche altra parte ».

« Sì, ma dovevi vedere la faccia che hai fatto. Eri una bambina davanti a un giocattolo nuovo, proprio come la prima volta che siamo venuti qua » i suoi occhi lampeggiano e avvicina il suo viso al mio. « Non te l’ho detto ma eri davvero bella la sera in cui siamo usciti » e mi riserva un sorriso smagliante. Ricambio, un po' imbarazzata, e poi gli prendo le mani aiutandolo ad allontanarsi dalla ringhiera.

Credo che nessuno abbia fatto un gesto così carino per me, almeno nessun ragazzo. Forse sono sempre andata a cercare quelli sbagliati.

 

La serata si rivela essere molto divertente, certo non fa bene ridere delle sventure altrui ma veder David a gambe all’aria tre volte di fila non ha prezzo. È buffissimo, anche quando cerca di rialzarsi, ostentando una falsa disinvoltura, per poi scivolare subito.

Dire che è negato e un eufemismo, i bambini di sette anni che ci girano attorno sono più bravi di lui ma s’impegna. Assomiglia tanto alla protagonista di “Ice princess” la prima volta che partecipa alle lezioni con le bambine alle prime armi. Forse dovrei regalargli uno di quei para sederi che usano al corso spazzaneve.

« Alzati, Imbranato » dico tra una risata e l’altra. David è ancora una volta a terra e visto che mi sento tanto generosa cerco di aiutarlo ad alzarsi, il problema è che lui è il doppio di me e rischia di farmi cadere con lui.

« Vorrai dire. Alzati gentilissimo cliente pagante » dice mentre si sforza di rialzarsi.

Faccio finta di pensarci e gli sorrido beffarda.

« No, volevo dire proprio imbraaahh... » urlo quando mi strattona a terra con lui, con le sue risate di sottofondo.

« Sei un imbranato » scandisco sillaba per sillaba burlandomi apertamente di lui.

Scuoto la testa cercando di spostare quelle poche ciocche di capelli che sono scappate dalla coda e che si sono piazzate davanti ai miei occhi ma non ci riesco. Cerco di spostarle sbuffando ma il moro mi precede. Con la mano le sposta sistemandomele dietro le orecchie.

« Grazie » mormoro. Il mio respiro crea tante nuvolette bianche di condensa che si mischiano a quelle di David.

Sdraiati uno sopra l’altro, i nostri visi sono molto vicini tanto che ne sento il sapore. Menta. Basterebbero pochi centimetri per eliminare la distanza tra di noi. 

« Ehi, ci sono dei bambini » la voce di un signore leggermente irritato ci fa girare verso l’interno della pista. Un uomo è fermo non molto lontano da noi con una bambina di dieci anni circa che ride con la mano davanti alla bocca.

« Scusi » mormoriamo in sincrono e ci alziamo il più in fretta possibile. Non senza altre scivolate e risate che fanno diventare l’uomo, rosso di rabbia.

« Scappiamo » bisbiglio divertita prendendolo per mano e pattinando lontano dal tizio.

Passiamo un’ora a girare in circolo e tento anche di insegnargli a pattinare all’indietro, al quinto tentativo riesce a fare mezzo metro senza rischiare di inciampare.

« Sono un’eccellente insegnante. Nemmeno due ore e pattini come i miei bambini del corso spazzaneve » commento, soddisfatta dei suoi progressi.

« Corso spazzaneve? »

« Si sono i principianti. Solitamente vanno dai cinque ai dieci anni ».

« O buon per me ».

« Non è un’offesa, anche loro quando arrivano sono come te quando sei entrato prima. Imparare a pattinare è un percorso lungo e molto impegnativo ».

« Beh, il mio percorso finisce qui » dice dirigendosi sicuro verso il bordo della pista. Si appoggia alla ringhiera e riprende fiato.

« Stanco? »

« Un po’ » e guarda l’orologio, « sono le dieci, se non vogliamo arrivare dopo i miei dovremo andare » mi informa smontando il mio entusiasmo. Non voglio tornare dalla strega cattiva di Biancaneve! « Ma prima perché non mi fai vedere qualche cosa? Un salto o qualcos’altro? ».

Sorrido con rinnovato entusiasmo.

« Okay, sta a vedere ».

Insegnare a David è stato divertente ma per stare dietro a lui non ho potuto godere appieno della pista ma ora, con la gente che è diminuita rispetto a quando siamo arrivati e la libertà di azione posso dare sfogo alla mia fantasia.

Seguendo il ritmo della musica danzo, eseguo un doppio e poi un triplo salto. Pattino eliminando tutto. Siamo solo io, il ghiaccio, i miei pattini e la musica.

Terminato, David mi riserva un applauso entusiasta.

« Sei bravissima, » si complimenta mentre usciamo dalla pista per tornare negli spogliatoi e recuperare le nostre scarpe, « sicuramente vinci tutte le gare ».

« Oh no, non gareggio » rispondo lasciandolo stupito. Intanto abbiamo raggiunto il nostro armadietto che dopo qualche tentativo David riesce ad aprire.

« Perché? » mi chiede curioso mentre mi dà le mie scarpe e la borsa.

« Perché diventerebbe un dovere e perderei tutto il divertimento. Preferisco insegnare e lasciare ad altri le gare e lo stress psicologico. Credimi ne ho viste di matte al centro » e mi lascio sfuggire una risata divertita ricordando certe scene di madri e figlie per l’esibizione.

Così mentre torniamo allo Chalet gli racconto diciannove anni di aneddoti di pattinatrici del centro, dell’isteria delle loro madri e dei loro avvocati. Già anche avvocati… alcuni prendono il pattinaggio molto sul serio.

 

« Questa sera mi sono divertita tantissimo » dico appena ci fermiamo davanti alla porta. David la apre e finalmente il calore fa sciogliere il freddo che mi era entrato nelle ossa.

« Anche io » confessa David chiudendo la porta dietro di se. « Dobbiamo rifarlo il prima possibile » propone mentre mi aiuta a liberarmi del giaccone.

« Grazie, sì non sarebbe una cattiva idea » e, distrattamente, prendo a giocherellare con il ciondolo.

La casa è silenziosa ed è strano visto che sono solo le dieci e mezzo. Lizzy non può essere già andata a dormire… un pensiero non molto bello mi attraversa la mente. Dove sarà Carlo?

No, Dafne, non rovinarti il fine serata, mi sgrido da sola.

« Bene, allora mi arrogo il diritto di rapirti alla prima occasione ».

« Rapirmi? » ha un non so che di divertente ed eccitante, lo ammetto. « Sì può fare ».

« Bene, allora ti auguro buona notte. Ci vediamo domani mattina » mi saluta una volta che siamo arrivati alle scale.

« Certo, buona notte e grazie ancora per la collana » e nel dirlo accarezzo, con un sorriso, la collana.

« Aveva il tuo nome scritto sopra ».

« Comunque grazie » dico baciandogli la guancia. Con questo gesto lascio stupito lui ma ancora di più me. Imbarazzata, gli auguro la buona notte e corro giù per le scale.

Lizzy si muove sotto le coperte appena mi sente arrivare. Dentro di me tiro un sospiro di sollievo nel vederla al sicuro nel letto, certo ho un buco di due ore e passa ma sono fiduciosa.

« Come è andata la serata? » biascica togliendo dagli occhi ma maschera e parendo un occhio.

« Benissimo ».

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