Estia.

di _ L i s a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scusatemi, preferisco gli umani. ***
Capitolo 2: *** Grazie, Allie. ***
Capitolo 3: *** Rifarei tutto, solo per te. ***



Capitolo 1
*** Scusatemi, preferisco gli umani. ***


"Estia sei con noi? Estia? ESTIA?!" .

La voce bassa e profonda di Ermes stava passando attraverso le mie orecchie senza, in realtà, lasciare nessun messaggio.
La vena nel collo perfetto del mio migliore amico si stava gonfiando, emergendo oltre la massa muscolare molto accentuata.
I suoi occhi smeraldo articolavano la sua espressione del viso giovane, ma maturo. Le mani delicate mi scuotevano con forza il mio braccio, mostrando l'ampia muscolatura.
Continuava a ripetere sottovoce il mio nome, probabilmente, cercando di attirare la mia attenzione, ma contro il suo intento, attirò l'attenzione di tutti. 
Con un fragore, la voce di Zeus tuonò, facendo sussultare tutti i presenti: "Illustre Cillenio, avrebbe qualcosa da aggiungere?".
Purtroppo Zeus era così. Lo sopportavo solo perchè dovevo farlo. Era un mio dovere.
Ermes sussultò come tutti gli altri, ma si alzò in piedi, nonostante gli sguardi initimidatori degli altri: "No, Eterno Zeus. Volevo solo congratularmi per le idee che in questa riunione sono state proposte. Magari..." si girò, guardandomi dritta negli occhi, "la presente, se tale si può definire" disse quest' ultima parte sotto voce, in modo che potessi sentire solo io, "Estia ha qualcosa da dire."
E si stampò un sorrisetto sulla faccia, sedendosi lentamente e assaporandosi il gusto della vittoria.
Ermes non sarebbe mai cresciuto e lo amavo per questo. Lo amavo come si ama un fratello, un padre, un cugino.
Per me lui era tutto, anche se dopo quello che mi aveva fatto lo avrei sistemato ben bene, a costo di litigare con Zeus e consegnare messaggi al posto del mio migliore amico defunto.
Zeus ci fissò, aspettandosi una minima risposta da parte mia che rimasi in silenzio scrutando gli occhi di tutti: erano a dir poco spaventati e potevo percepire il loro fuoco della paura da chilometri.
Ma nessuna di quelle paure era minimamente paragonabile alla furia di Zeus che ancora attendeva una mia risposta.
Mi alzai appena e congedai tutti con un "Scusate, ma sono molto impegnata" ed uscì dalla stanza. Non mi importava se sarei stata punita, ma la mia presenza era solo inutile e superflua.
Uscì dal salone delle riunioni e attraversai il lungo corridoio che portava alla sala d'attesa.
La zona dell'Olimpo dedicata alle riunioni era molto simile a quella degli umani: la vera a propria sala delle riunioni era semicircolare e una cupola fatta interamente da vetro pregiatissimo, proietteva le immagini e i colori sul pavimento di marmo lucido bianco con delle pietre incastonate qua e là.
Al centro, un ampiò tavolo di legno antico era contornato da una fila interminabili di sedie costruite con lo stesso legno del tavolo.
Nelle pareti, gli affreschi che Zeus aveva commissionato ad Atena, aumentavano la luminosità dell'ambiente.
Si usciva dalla stanza attraverso un ampio portone che dava ad un corridoio infinito.
Il parquet grigio topo sostituiva il marmo bianco e lucido della Sala Riunioni. Le pareti del corridoio erano semicircolari e ogni due metri si interrompevano, lasciando spazio a delle finestre in pietra che illuminavano la parete opposta.
Il corridoio terminava nella sala d'attesa composta, anche, da qualche piccola stanza dove semidei che si distinguevano, lavoravano costantemente per gli dei. Questo perchè era facile essere un semidio essendo, l' Olimpo, l'apoteosi del tradimento. 
Arrivata nella sala d'attesa, mi avvicinai ad una sedia e sfogliai la mia agenda: avrei avuto un paio di feste popolari a cui partecipare, ma due di quelle, mi era stato predetto, sarebbero terminate prima. Non mi bastavano. Avrei incontrato Ermes più tardi e oltre alle scuse, dovevo chiedergli di far organizzare qualche altra festa.
Mi rifiutavo di rimanere anche un intero giorno all' Olimpo, preferivo la compagnia degli umani. O almeno pensavo fosse la migliore...

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Capitolo 2
*** Grazie, Allie. ***


Continuavo a guardare, ma più scrutavo la persona davanti a me, meno ne ero consapevole.
Eppure i miei occhi da dea non mi avevano mai tradito. 
Vedevo una ragazza di media statura con lunghe ciocche di capelli biondi raccolti in un' acconciatura da normale popolana, tranne due ciuffi che ricadevano morbidi lungo le spale.
Il viso giovane e dolce ospitava i miei stessi occhi celesti e le labbra sottili.
Il corpo snello era vestito con un semplice vestito bianco lungo fino a sotto le ginocchia e legato da alcuni fiocchi per dare la forma. Le scarpe erano altrettanto semplici con il tacco basso, dettaglio tipico delle ragazze dell'epoca.
Continuavo ad ammirare quella persona, a me totalmente sconosciuta. Eppure il mio specchio non mi aveva mai tradita, ma questa volta Allie aveva fatto un ottimo lavoro.
Infatti, mentre contemplavo il mio corpo provvisorio, rimaneva distante, trattenendosi dal ridere per il mio sguardo, ma, allo stesso tempo, compiaciuta del suo capolavoro.
Certo, dovevo riconoscerle il merito, ma la trasformazione era merito mio.
"Cugina, sei perfetta." esordì la piccola Allie che uscì dall' ombra mostrandosi completamente.
Non era molto alta, ma era perfettamente proporzionata per la sua statura. Adoravo il suo viso: le guance spesso rosse, unica caratteristica che permetteva di non confonderla con una dea, e gli occhi color nocciola, contornati da lunghe ciglia, spiccavano dal viso bianco pallido. I capelli marroni lunghi avanti e corti dietro, erano legati dove le ciocche si facevano più lunghe e la frangia le copriva leggermente gli occhi, dandole un' area da bambina. 
Io e lei eravamo simili, soprattutto caratterialmente, anche se molti dei e semidei ci chiedevano se eravamo sorelle. In realtà eravamo parenti alla lontana, ma ci siamo sempre ritenute delle cugine e amiche. 
Allison non era solo la miglior cugina che potesse esistere, ma era anche la più giovane semidea stilista di tutto l' Olimpo. Le sue agende, quel giorno, erano occupate, ma lo sarebbero state per altri trecento anni, ma lei era davvero la migliore; aveva lasciato tutto per aiutarmi per la festa che avrebbe radunato tutti i giovani attorno ad un falò. 
E dovevo ringraziare anche Ermes per la mia presenza, poichè, dopo il mio comportamento durante l'assembla di quella mattina, Zeus mi aveva punito obbligandomi a rimanere all' Olimpo. In quel momento era emerso il lato gentile del mio migliore amico che si era preso la colpa. Ovviamente Ermes, preferito da Zeus, non era stato punito come avevo rischiato io.
I miei pensieri furono interrotti da Allie che mi guardava desolata, pensando che il mio silenzio volesse rimproverarla per il vestito.
"Estia, mi dispiace molto, forse ho esagerato... con il vestito..." parlava a stento, in preda ad un attacco di panico.
La guardai senza parole. 
Stava per andarse con le lascrime agli occhi, ma mi girai velocemente, la presi per le mani e le dissi: "Allie è bellissimo e... e... io non ho parole per esprimere tutto il bene che ti voglio. Rimanevo in silenzio perchè stavo pensando quanti sacrifici hai fatto per prepararmi in modo che nessuno mi possa riconoscere. Davvero, grazie!".
Rimase perplessa, poi susseguì un lungo periodo di silenzio. Voleva dire che stava cercando di trovare le parole giuste, perciò continuai a guardarla con occhi felici ed entusiasti. Riuscì a prendere parola.
"Vedi, cugina, a volte non ti invidio per niente. Tu dici che io sono troppo occupata e ho troppi doveri. In realtà tu nei hai molti di più. Voglio dire, guardati! Ogni volta che c'è un sacrificio o un incontro attorno ad un fuoco, tu devi partecipare, anche se non ne hai voglia. E non puoi nemmeno presentarti con il tuo aspetto normale perchè violeresti la prima regola degli dei e Zeus non ti darebbe pace. 
Fortunatamente hai Ermes che ti aiuta sempre..." .
L'ultima frase concludeva sempre le nostre conversazioni e ultimamente cominciavo a sospettare che Allie avesse una cotta per Ermes, ma non volevo approfondire la cosa. Non volevo litigare con lei per questo, dato che ero molto protettiva nei confronti del mio miglior amico. Dovevo esistere solo io per lui.
Fissai i suoi occhi nocciola e lei mi fissava, a sua volta, sorridente, aspettandosi il nostro solito abbraccio che lei adorava. Le concessi l'abbraccio tanto desiderato, ma quando le braccia si toccarono, fu come tornare indietro.


"Estia, Zeus ha ordinato di accogliere la nuova semidea. Non mi ha dato molte informazioni, mi ha riferito solamente che si chiama Allison."
Lo guardai annoiata. "E chi dovrebbe accoglierla?"
Mi fissò un attimo perplesso poi mi disse : "Andiamo, ribelle, ci aspetta un giro di tutto l' Olimpo." e mi trascinò fuori dalla mia camera tenendomi per un braccio.
Arrivammo più in fretta di quanto pensassi e nonostante cercassi di tornare indietro, lui non mollava la presa e continuava diretto lungo i corridoi. Nella sala d'attesa una ragazza, sui diciotto anni all' incirca, aspettava ansiosa l'arrivo di qualcuno. Non era male, ma si capiva molto bene che non era una dea in piena regola e me ne resi conto subito: appena ci avvicinammo i suoi occhi brillarono come alla vista di qualcosa desiderato per anni e poi ottenuto. Scrutava minuziosamente sia me che Ermes e la cosa mi infastidiva abbastanza, come osava una novellina fiss...
"Allora, Estia" disse Ermes girandosi verso di me, lanciandomi frecciatine dovute al mio sguardo omicida riservato tutto per la nuova arrivata "Vogliamo presentarci alla nuova ragazza?"
"Estia." dissi con tono superbo e sorridendo in modo falso. "Contento?" Mi rivolsi a Ermes con altrettanta maleducazione. 
Educatamente, Ermes disse alla "novellina": "Vuoi scusarci un minuto?"
La semidea annuì leggermente e Ermes mi strattonò lontano.
"Estia, cosa ti prende, me lo vuoi dire?"
"Niente."  gli risposi senza nemmeno guardarlo negli occhi, altrimenti avrei capito quanto mi stessi comportando da stupida.
"Bene, adesso mi rispondi a monosillabe."
"Sì." 
Capì la mia tattica perciò mi prese il viso, obbligandomi a guardarlo negli occhi. Non potei farne a meno. I suoi occhi smeraldo erano più lucidi che mai: mi stava trasmettendo un messaggio mentale e le immagini erano davvero nitide. Vedevo me, ancora alle prime armi con gli impegni da dea. Ero sola e triste, ma Ermes mi aiutò nell'inserirmi. E apparivano le nostre serate durante le feste casalinghe dei contadini, del mio orrore nell'essere spettatrice dei sacrifici e dell'aiuto di Ermes nel superare il problema.
Allora capì il vero messaggio: ero stata anche io come Allison ed era giusto che anche lei ricevesse la stessa ospitalità. 
Ermes lasciò la presa e io, istintivamente, corsi verso la nuova arrivata e l'abbracciai come se ci conoscessimo da tantissimo tempo. Lei ricambiò l'abbraccio, felice di aver trovato una nuova amica.
"Mi dispiace. Sono davvero desolata di essermi comportata in questo modo, non avrei dovuto. Capisco come ti senti, ci siamo passati tutti qua dentro. Mi chiamo Estia." 
Lei, entusiasta, mi rispose: "Piacere Estia, io sono Allison, ma puoi chiamarmi Allie."
"Bene, Allie, allora cominciamo il giro."  dissi con una felicità che non ritrovavo da tempo ormai. Presi per mano la mia nuova amica e il mio migliore amico e ci incamminammo lungo corridoio.


"Illustre Estia, siamo arrivati" mi disse un semidio che si era offerto di accompagnarmi. La festa era in una villa famosa anche nell' Olimpo, quindi per me era un onore partecipare. Mi avvicinai alla porta e alzai la mano per suonare il capanello, però la mano si rifiutava. "Estia sei una dea, cosa ti prende?"   "Ma se agli invitati viene dei sospetti sulla mia natura?"   "Oh, ma taci!"
Finalmente riuscì a suonare. Una deliziosa musichetta segnalò il mio arrivo all'interno della casa e in quel momento sperai che tutti gli invitati fossero già arrivati al falò nell'immenso giardino della casa. Invece, la porta, si aprì. 
E pensai che i miei occhi mi avessero illuso di nuovo. 

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Capitolo 3
*** Rifarei tutto, solo per te. ***


"Se non credi in te stesso, nessuno lo farà per te."
Eccoci al terzo capitolo di "Estia", la mia prima storia. In questi giorni sentivo il bisogno di continuare con altri capitoli, ma non sono riuscita ad avere ispirazioni decenti. Oggi, forse, ce l'ho fatta; o è così o è la febbre che mi sta dando le allucinazioni.
Prima di cominciare, vorrei ringraziare due mie carissime amiche che mi hanno incoraggiato a continuare e a non mollare. E anche merito loro se sono arrivata fino a questo capitolo. 
Potrei continuare parlando di me, della mia vita, di come è nata questa storia, ma ne verrebbe fuori una vera e propria prefazione;
"Sì, una gran cagata sarebbe stata alla fine." (Cit. Guglielmo Scilla).  Quindi vi lascio alla storia e, come sempre, se lasciate una recensione cambierete le sorti del mondo. No, non è vero, mi fate solo più felice. 

Passo e chiudo.
Lisa.

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Non riuscivo a guardarlo, nonostante dovessi riconoscere che mi aveva salvata da una punizione assicurata. Mi fissava, sentivo il suo sguardo addosso, ma non volevo incrociare i suoi occhi e decisi che l'idea migliore era valutare le mie condizioni. Abbassai lo sguardo verso il vestito: mancava un pezzo nella gonna ed era tutto bagnato. Avevo perso entrambi i tacchi, il trucco marcava le lacrime che mi avevano rigato il viso, ma non era niente in confronto alla confusione che avevo nella mente.
Ricordavo tutto, ero cosciente delle mie azioni e questo aggravava la mia situazione. Partì un replay mentale, in cui cercavo qualcosa di sbagliato in quella serata immorale, ma non riuscivo a pentirmi di nulla.
"La porta sembrava aprirsi a rallentatore, ogni secondo faceva qualche millimetro in più. Non poteva essere possibile che l'emozione stava fermando il tempo. La porta traditrice, lentamente, scopriva un ragazzo, probabilmente il proprietario della villa di fronte a me. Mi guardava felice, in attesa di qualche mia azione, ma ero troppo perplessa per dire anche un' insignificante parola. Avevo notato che gli stessi occhi che mi avevano trasmesso una felicità improvvisa erano grigi, un grigio fantastico, paragonabile solo alle nuvole prive di pioggia. Così sembrava anche la sua aura: priva di problemi, di tensioni e non percepivo nessun tipo di fuoco interiore. Il corpo era poco muscoloso ed era alto poco più di me, quindi, data la mia statura, era piuttosto alto.
Avevo troppi dubbi.
"Zeus ha mandato un altro dio alla festa? No, non era possibile, avremmo attirato troppa attenzione.
"Può sempre essere un semidio non ancora scoperto dagli dei dell' Olimpo."
La mia convinzione cadde quando ripensai all'ultimo controllo che avevano fatto e non avevano trovato nessuna nuova "recluta". Non potevo essere attratta da un semplice umano, da uno qualsiasi. Ero la dea del fuoco, della purezza interiore, non potevo provare quelle emozioni. Il ragazzo si avvicinò e mi strinse la mano, con educazione esemplare.
"Salve, lei dovrebbe essere Victoria" valutò la mia espressione, poi concluse perplesso "Giusto?"
Victoria. Victoria.
Sì, Ermes aveva avuto una dicreta fantasia nel trovarmi un nome. Annuì sorridendo e il ragazzo, che ancora mi teneva stretta la mano con una delicatezza degna di nota, si presentò:
"E' un piacere fare la vostra conoscenza." e mi baciò con eleganza la mano che stringeva. "Il mio nome è Bryan." . Dal suo accento si capiva che aveva origini inglesi, le stesse che aveva Allie. Proseguì a parlare, nonostante le mie occhiate adoranti che non riuscivo a trattenere: "Entra pure, questa è la villa che ho ereditato dai miei nonni... " mi trascinò dentro la casa senza lasciare la mia mano, non che la cosa mi dispiacesse in qualche modo "loro si recavano qui solo in villeggiatura. La loro vera casa era molto più grande ed era in Inghilterra." continuò. 
Bryan aveva preso già confidenza, non che non l'apprezzassi: amavo la sua voce, così melodiosa, ma avevo paura che scoprisse la mia vera natura. Mi mostrò tutta la casa: era grandissima, ma non mi sarei persa, ero abituata a girare nell'Olimpo, che era molto più spazioso e aveva molti più corridoi. Dalla porta principale si accedeva a uno ampio salotto, arredato con poltrone in pelle e vetrine contenenti trofei di tutti gli sport conosciuti. Poi infiniti sopramobili e oggetti totalmente inutili. Così come il salotto, tutte le stanze erano arredate fino all'eccesso, senza contare che la pulizia era impeccabile: le piastrelle nelle stanze principali e il parquet nelle camere erano talmente lucidi che ci si poteva anche specchiare. Naturalmente, non ce ne era bisogno, visto i bagni erano arredati anche essi fino all'eccesso, con tanto di specchi che ricoprivano un'intera parete.   
Ogni stanza aveva una sua storia, un suo evento, un qualcosa di importante da raccontare e che naturalmente non mi intressava. Lo avrei fatto smettere volentieri, ma ero troppo affascinata da quell'umano così misterioso. Tutto di lui mi attraeva ed era come se non potessi rifiutarmi a quello che mi provocava.
"Bene, Victoria, ti ho mostrato la casa. Divertiti e spero di rivederti presto" Concluse, svegliandomi dai miei pensieri.
Stavo per ringraziarlo della compagnia, ma prima che potessi dire qualsiasi cosa se ne era già andato. Mi assalì una tristezza infinita.
"Estia, ma che ti succede? Tu non dovresti avere nessun sentimento. Sono le regole!"
"Non mi interessa delle regole e lo sai benissimo."
"Ne riparleremo quando ti sarà vietato di uscire dalla tua stanza per cento anni."
Feci una smorfia. I miei due caratteri stavano litigando, di nuovo. Mi resi conto che questa volta si erano impossessati della mia bocca, attirando l'attenzione dei ragazzi presenti. 
Mi guardai intorno. Non mi ero resa conto di essere già in giardino e che fosse già tarda sera. Sfoderai uno dei miei sorrisi migliori e coloro che mi stavano fissando, pensando che ero una malata mentale, cambiarono idea, entrando in confusione. 
Una delle cose positive di essere una dea: avere un sorriso ammaliatore.
Cominciò la festa e alcuni ragazzi presero della legna da ardere. Dopo aver formato una grossa montagna, uno di loro accese il fuoco provocando una grossa fiamma. 
Ero totalmente travolta da quel calore, era come un qualcosa che mi creava dipendenza. Chiusi gli occhi per godermelo: sentivo che entrava nella mia pelle bianca e sprizzavo gioia da tutti i pori. Riaprì gli occhi e mi sedetti in una panchina. Scelsi la più vicina al falò cercando di evitare l'entusiasmo degli altri; un entusiamo superficiale, legato solo all'azione di appiccare un fuoco. Il mio entusiasmo era molto più profondo, un entusiasmo che nessun umano avrebbe potuto comprendere.
Due ragazzi si sedettero nella mia stessa panchina. Erano un'esplosione di passione. Si guardavano con occhi adoranti, come se per loro quello fosse stato l'ultimo giorno della loro limitata vita. 
Il ragazzo sfiorò la guancia della ragazza che automaticamente diventò rossa. Li guardai con la coda dell'occhio per ricordarmi come erano fatti; li avrei rivisti, fra qualche anno, felicemente sposati, con qualche bambino. E per ogni grande evento avrebbero sacrificato un animale ringraziandomi per la fortuna che avevano avuto. 
Io dovevo ringraziarli, perchè ogni volta che si amavano, mi regalavano una passione interiore. 
Una volta che il falò si spense, i presenti cominciarono a bere e, chi più, chi meno, avevano raggiunto il limite. A me l'alcool non faceva molto effetto, non ero parente del dio Bacco, ma in quel momento avrei voluto esserlo. Avrei voluto rivedere ancora una volta gli occhi grigi che mi facevano sentire felice. 
Cominciai a cercarlo, istintivamente. Dovevo vederlo. Volevo vederlo.
Seguii tutti che si stavano dirigendo verso la piscina all'esterno. Ormai erano pochi i coscienti rimasti fuori, capendo quanto fosse stupido buttarsi dentro una piscina in pieno inverno e di notte.
I miei occhi continuavano a cercare. Non c'era. Non lo vedevo. Mi avvicinai al bordo della piscina, ma non riuscivo ad individuarlo nemmeno lì. 
Sentì qualcuno spingermi dentro la piscina e gridai mentre cadevo, ormai impotente, dentro l'acqua. Appena riemersi cominciai a gridare: "Come ti permetti di spingere . . ."
"Scusa, ma non ho resistito." Il ragazzo di fronte a me stava ridendo. 
"Bene, un altro sobrio." dissi ironicamente.
Sorrise della mia battuta, poi si asciugò gli occhi con le dita. Grigio. Bryan. 
"Bryan?" dissi stupita, alzando la voce. Nessuno mi avrebbe considerata, erano tutti occupati a farsi scherzi dentro l'acqua.
"Sì, tu chi sei?" chiese sistemandosi i capelli nero corvino.
"Sono Victoria. Ci siamo presentati... ehm... qualche ora fa." 
"Oh, non ricordo." e cominciò a ridere come se avessi detto qualche barzelletta divertente " però sei molto carina." Mi strinse a sè. 
"Grazie, però adesso saresti così gentile da lasciarmi?" chiesi dimenandomi dalla sua presa. 
"No. Non lascio scappare ragazze così carine."  
Lo avrei tranquillamente schiaffeggiato, ma non era in sè e sarebbe stato inutile. Continuai a dimenarmi, anche se in realtà stare tra le sue braccia non mi infastidiva affatto. Erano calde a confronto con l'acqua gelida intorno a noi.
Quando allentò leggermente la presa cercai di scappare, ma mi bloccò completamente, tenendomi fermo anche il viso. Cosa voleva da me? Farmi venire un attacco isterico. Tanto non sarei morta.
Si avvicinò e appoggiò le sue labbra sulle mie. Dovevo liberarmi, altrimenti sarei finita nei guai, ma non riuscivo nè fisicamente a muovermi, nè psicologicamente. Stupida attrazione per ciò che amana calore.
Assaporai quel momento così sbagliato, le sue labbra sapevano di alcool. I suoi occhi mi trasmettevano tranquillità. Tutto di lui era perfetto, ogni singolo centimetro del suo corpo. 
"Estia, devi andartene! Sei nei guai!" La mia mente continuava a ripetermi queste parole. 
Come se lo avessi detto ad alta voce, Bryan mi lasciò. Aprii gli occhi: qualcuno lo aveva afferrato da dietro e gli teneva le spalle ferme.
"Bryan, io ti affido un'amica e tu me la riduci in questo stato?"
"Scusa, Tom. Sono fuori di me." detto questo Bryan uscì dalla piscina e scappò dentro la casa.
Tom si avvicinò a me e un raggio di luna lo illuminò: occhi smeraldo, collo perfetto, muscolatura perfetta.
"Ermes che ci fai qui?!" sussurrai.
"Ti vengo a salvare. Altri due minuti e Zeus si accorgeva di tutto." disse con tono soddisfatto. Non volevo approfondire la cosa.
"Portami a casa. Sono stufa di questa vita." dissi mentre ripensavo a quello che avevo fatto. Avevo baciato un umano. Sbagliatissimo. Avevo attirato l'attenzione. Sbagliato. Avevo fatto intervenire un altro dio. Sbagliato. 
Ermes mi prese in braccio, tornò nella sua forma da dio e cominciò a volare, mentre io pregavo che Zeus non avesse scoperto niente. E cominciai a piangere.
"Estia, sei ne guai, lo sai vero?"
"Sì, lo so." 
Non disse altro, tranne baciarmi la spalla scoperta. Era il mio migliore amico e capiva quando non doveva parlare. 

Arrivati all' Olimpo cercò di attraversare le stanze meno affollate, per non attirare l'attenzione su di me. Arrivò dentro la mia stanza, mi appoggiò delicatamente sul letto e si mise su una poltrona vicina, addormentandosi lì. 
Fu allora che mi venne la presentazione giusta che dovevo fare a Bryan: 


"Sono Estia, la dea del fuoco, della purezza interiore
e sono innamorata di un umano.
Adesso sono nei guai,
ma rifarei tutto quello che ho fatto."



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