A whole new World

di SFLind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** C’è qualcosa di peggio dei vizi: le false virtù ***
Capitolo 3: *** Se il mondo è pieno di prepotenti la colpa è di chi non lo è ***
Capitolo 4: *** Il tempo non si ferma ad ammirare la gloria: se ne serve e passa oltre ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


FAVOLE DELLA BUONA NOTTE;
 
A whole new world;

Tanto, tanto tempo fa, in un luogo molto lontano, un continente era diviso in tanti regni diversi, che mai avevano cercato pace e unità.
Tante guerre si erano succedute in questo remoto continente e così, tanti popoli si erano separati. Improvvisamente, da un giorno all’altro, il vicino di casa diventava un estraneo e viceversa.

Il regno più grande e più vasto di tutti era il Regno del Nord, che però stava incontrando un periodo di crisi e guerre interne. Mancava un Re a guidare lo stato, e la scelta appariva ardua e dalle sanguinose conseguenze.

Ancora più imponente, anni prima, era stato il regno ad est, che però in seguito a violente guerre si era diviso in due imperi separati: il Domini dell’Est e l’Impero d’Oriente. I primi forti, avari e superbi. Il secondo storico ed inespugnabile.

A sud del continente, invece, regnava il caos più assoluto. L’ultimo sovrano era stato vittima di un attentato, come tutti quelli antecedenti a lui, e gli sconfinati orizzonti meridionali andavano avanti in balia dell’anarchia e della criminalità. Qui il brigantaggio era un fatto quotidiano.

Poi vi era un piccolo regno, più stabile e ricco, che era alla base della vita del piccolo continente. Il Regno di Mezzo non aveva né Re né Sovrano, era guidato da forti cavalieri e vantava arte e cultura ricercatissime, esercitate da una pretenziosa fila di famiglie nobili. Per di più protetto dagli assalti degli altri stati, più ambiziosi e guerriglieri, da una difesa preparata ed efficiente.

Un altro problema che però si stava andando a creare per il piccolo e setacciato continente era rappresentato dai banditi d’Occidente. Conquistatori da Ovest che arrivavano con le loro navi per ampliare i possedimenti del nuovo continente occidentale verso Oriente.
A Occidente, infatti, vi era un continente dalla storia macchiata di sangue e atroci crudeltà.  Stati si erano combattuti a vicenda e si erano perfino estinti, finché uno solo era riuscito a racchiuderli tutti. Il nuovo continente era chiamato appunto Terra del Mare, poiché il luogo che aveva sottomesso tutto era non più di una piccola isola a largo, lontana e sconosciuta. Adesso quella piccola isola era abitata solo dai Reali dell’enorme nuovo regno, capaci d’incutere terrore anche da quello sperduto pezzo di terra.

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AVVERTENZE:
Nella storia potrebbero presentarsi anche momenti più intimi (non escludo momenti BL).
In questa storia i personaggi sono posti in un contesto completamente diverso. Non bisogna immaginare nemmeno lontanamente la nostra Terra, il Nuovo o il Vecchio continente che conosciamo noi. E' tutto puramente frutto di fantasia e anche i personaggi saranno spesso messi in situazioni a loro sconosciute, ma che richiameranno alla vostra mente qualcosa di già visto e sentito.
Adoro le favole per bambini e quindi ho avuto l'idea di scrivere una storia in modo da farla quasi sembrare una fiaba da raccontare prima di andare a letto.
Spero sia di vostro gradimento, vi prego di leggere e commentare, dato che il sostegno è la prima cosa che spinge ad andare avanti, o criticare se qualcosa non va bene, si deve sempre migliorare.
Grazie di cuore :)

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Capitolo 2
*** C’è qualcosa di peggio dei vizi: le false virtù ***




1 – C’è qualcosa di peggio dei vizi: le false virtù;

In un lontano continente, in un tempo altrettanto remoto, vi era un enorme regno di foreste, mare e ghiaccio.
Questo regno, ricco di grandi castelli, animali e bellezze naturali, una volta aveva un Re che non aveva mai perso contro nessuno. Aveva vinto contro i barbari che abitavano quei luoghi, le bestie che li infestavano e le tempeste che li assalivano. Solo contro una cosa non poté far altro che arrendersi: la vecchiaia fu quella che riuscì a rubargli l’ultimo respiro. Aveva vissuto a lungo e con lungimiranza, lasciando il suo vasto e verde regno nelle mani di tre fanciulli che aveva cresciuto con sé, come figli. Tre, poiché sapeva che sarebbe stato facile per un uomo solo cadere in tentazione di ambizioni pazze e scellerate. Tre, poiché le virtù dell’uno avrebbero sconfitto i vizi dell’altro.

Dopo la morte del padre, i tre figli cominciarono a preoccuparsi di come riuscire a guadagnarsi il titolo di Re, cominciarono a pensare a come migliorare il regno di cui presto sarebbero diventati sovrani e a come ciascuno di loro avrebbe passato la propria vita al potere.

Il fratello maggiore non era certamente un ragazzo troppo sveglio, ma aveva iniziativa, forza di volontà e coraggio da vendere. Era testardo e impulsivo, e sognava di vedere il suo regno crescere sempre di più. Immaginava i territori sconfinati su cui avrebbe dominato, paesi che ancora nessuno aveva scoperto. Sapeva che sotto di lui il Regno del Nord sarebbe diventato il più potente degli imperi.

- Mathias – si sentì chiamato. Abbassò lo sguardo rivolto verso il soffitto e lo posò sul piccolo ragazzo affacciato alla porta.
- I tuoi fratelli vogliono convocare una riunione straordinaria per discutere della successione – disse il piccolo ragazzo, attendendo sull’uscio.

- Certamente, conferma pure la mia partecipazione – gli rispose alzandosi pigramente dal letto.

Il ragazzino scappò, scomparendo dal suo campo visivo.

Lui non riusciva a capire i suoi fratelli. Sembravano voler ad ogni costo complicarsi la vita. Giocavano a fare i governatori di un regno che non era ancora loro. Sapeva quanto volessero lo stesso posto a cui lui ambiva, ma sapeva anche e con certezza più ferma che non sarebbero riusciti a batterlo. Lui avrebbe vinto quella battaglia ad ogni costo, e non avrebbe lasciato neanche un leggero margine di vantaggio ai due fratelli minori.

Camminava lungo il corridoio del grande castello, la strada per raggiungere la sala in cui i due fratelli lo aspettavano sicuramente in silenzio, come era loro solito fare.
Lui aveva un carisma che i due non avevano, sarebbe riuscito a girare le cose a suo favore come aveva sempre fatto, e loro sarebbero rimasti al loro posto di fratelli minori.
Immaginava che forma avrebbe avuto il suo regno, immaginava come avrebbe schiacciato i nemici e come si sarebbe imposto sui fragili stati circostanti.

Il Regno di Mathias Dans Kalmar sarebbe stato il più forte di tutti.


Nella sala intanto, due fanciulli aspettavano di essere raggiunti e di iniziare l’assemblea.
Uno dei due era il minore dei tre fratelli-rivali. Aveva una statura minuta e capelli biondo cenere che coprivano parzialmente i due grandi occhio indaco. Distratti e persi come al loro solito.
Lui era il fratello più taciturno. Il suo aspetto camuffava l’inquietudine che assaliva le persone in sua presenza. Gli occhi bui davano perennemente l’impressione che la sua testa fosse altrove, quando in realtà lui era il fratello con i piedi ben piantati per terra e la testa sulle spalle. Sapeva quanto sarebbe stato difficile, è raro che il fratello minore riesca a superare i maggiori, ma lui aveva piani attuabili e conosceva bene dove andare a parare con i fratelli più grandi. Non lo avrebbero mai preso troppo sul serio se non si fosse messo d’impegno sin dall’inizio.

- Quanto tarderanno ancora? – chiese al ragazzino che era con lui.

- Non so.. Hanno confermato entrambi la loro partecipazione – rispose quel fanciullo dai capelli color ghiaccio e gli occhi di ametista.

Aveva intenzione di vincere quella battaglia, per il suo orgoglio e per il bene del suo Regno. Le sue conoscenze e le sue esperienze erano più vicine a quella che era la realtà e con lui aveva portato un rappresentante dell’estremo Ovest del Regno. La Terra di Ghiaccio era la parte meno popolata in tutto il continente e il clima rigido rendeva difficile la vita ai pochi abitanti. Quel ragazzino dai capelli color ghiaccio avrebbe esposto tutte le problematiche del suo popolo, dilemmi a cui il minore dei fratelli aveva già trovato soluzioni, situazioni che lui aveva approfonditamente studiato in una delle sue ricerche.

Lui e il suo sapere avrebbero portato il Regno alla stabilità di cui aveva bisogno.

- Lukas? – si fece timidamente avanti il ragazzino dai capelli color ghiaccio.

Il giovane abbandonò le sue fantasie di supremazia per tornare alla realtà vera e propria.

- Si? Mi dica, Emil – gli rispose con cortesia e gentilezza a cui lui stesso non era abituato.

- Io e il mio Popolo abbiamo deciso di conferirle la nostra fiducia. Lei è l’unico Sovrano che si sia mai interessato alle difficili aree della Terra del Ghiaccio, e le siamo riconoscenti. Io, in veste di rappresentante, la sosterrò al Consiglio.. – disse con una certa sicurezza il ragazzino.

- Gliene sono molto grato, Emil – continuò con grazia e gratitudine forzatamente mischiati assieme – Ma non sono ancora il Sovrano del regno, mi aspetto la sua collaborazione per diventarlo – terminò con un composto ed elegante sorriso, degno di un Re.

Già, non avrebbe perso quell’occasione. Sarebbe partito in vantaggio e sarebbe rimasto sempre un passo avanti agli altri fratelli. Le sue idee, basate su arguti principi logici, e il suo animo pacato e razionale lo avrebbero reso il migliore dei Re.

Il Regno di Lukas Norr Kalmar sarebbe passato alla storia per la sua accuratezza.


Il ragazzino dai capelli color ghiaccio si alzò improvvisamente dalla sedia, rivolgendo uno sguardo serio ed ansioso all’uomo sulla porta.

- Välkommen, broder – disse il minore, senza nemmeno alzare lo sguardo dalle sue scartoffie.

- God dag... – rispose quello.

Il secondo dei tre fratelli era un ragazzo d’imponente presenza, e l’aria gelida che sembrava seguirlo ovunque lo faceva sembrare il più vecchio dei tre. Nonostante l’aspetto regale, era il meno presente nella vita al castello. Viveva la sua vita lontano dalle agevolazioni della famiglia dei Sovrani ed era quello che sapeva di meno degli affari di famiglia. Aveva costruito la sua casa in cima ad una collina, una casa in spartano legno, circondata da foreste e laghi. Era una persona umile e riservata, non era certo il tipo di persona adatta al fare il Re. Lo pensavano i suoi fratelli, come lo pensava lui. Ma anche lui aveva i suoi motivi. Anche il secondo dei tre fanciulli desiderava quella corona. Aveva sperimentato gli atteggiamenti dei fratelli sulla sua pelle, e sapeva che il Regno non avrebbe resistito né alle mani del maggiore, né a quelle del minore. Rinnegava l’egoismo del primo, come disprezzava il sangue freddo dell’altro.
Il medio dei tre fratelli aveva i suoi motivi per star lontano dalla sua famiglia, come ne aveva altri che gli impedivano di abbandonarla. I suoi sensi erano leggermente più acuti di quelli dei fratelli. Nonostante gli occhi gli avessero creato qualche difficoltà a lungo andare, si sforzava di vedere e osservare attentamente tutto ciò che lo circondava. Niente sfuggiva alla sua compromessa vista. Aveva abituato il suo udito nel bosco ed era capace di ascoltare accuratamente qualsiasi discorso senza mai distrarsi. Nonostante le grandi mani e la statura da gigante, gestiva ogni cosa con esasperata cura e delicatezza. Per di più aveva la sua coscienza. Quell’arma a doppio taglio che lo seguiva, anzi, che si portava ovunque. Ciò che lo aveva spinto ad allontanarsi da quell’ambiente superbo, ma che lo obbligava a non lasciarlo alla sua stessa rovina.
L’unico suo scopo era impedire che tutto crollasse. Riuscire a tappare quei buchi che qua e la si erano andati a formare, e rivoluzionare tutto ciò che sembrava star degenerando.
Ma il primo ostacolo era rappresentato dai due fratelli. I due che avevano piani di grandezza ed eterna fama. I due che erano sicuri che il Regno si sarebbe prostrato ai loro piedi senza ribellarsi.

Entrò nella sala, immaginando già come sarebbero andate le cose quel giorno. I punti che sarebbero stati discussi e quali sarebbero stati questione di attrito. Disprezzava tutta quella storia. Non era fatto per discutere, le parole che pensava avevano qualche difficoltà ad uscire con comprensibile certezza dalla sua bocca.

Avrebbe preso quel Regno pericolante in qualche modo e lo avrebbe portato via dalla precarietà in cui lo avrebbero gettato i suoi fratelli.

- Solo noi due? – disse quasi tra sé e sé. Anche se non viveva più con i fratelli, conosceva bene il maggiore. Non avrebbe messo la testa a posto tanto facilmente.

- Arriverà – rispose il più piccolo, rivolgendo poi lo sguardo verso il ragazzo che fino a quel momento aveva seguito il fratello come un’ombra, furtivo, minuto e silenzioso.

Il giovane sconosciuto chinò leggermente la testa in segno di rispetto, mostrando un sorriso alquanto spontaneo.

Il secondo dei fratelli aveva pensato bene di portare un aiuto con sé. Un amico fidato, un fanciullo a cui doveva molto.


Sapeva di avere tutte le carte in regola per prendere la corona e diventare Berwald Sven Kalmar, Re dell’incrollabile Nord.


- E’ qui infatti.. – disse il maggiore entrando con non curanza dalla porta. Prendendo posto sulla poltrona che una volta era appartenuta al padre.I due fratelli minori gli rivolsero sguardi di disappunto che sembrò del tutto ignorare, poi presero anche loro posto per iniziare.


Il minore dei tre fratelli si alzò in piedi, e con estrema serietà iniziò la riunione.

- Ho portato con me un rappresentante dalla Terra del Ghiaccio – disse indicando il ragazzo seduto alla sua destra.

- Emil Steilsson – si presentò quello con un inchino.

- Abbiamo già discusso delle difficoltà che il suo popolo sta incontrando, e loro sosterranno la mia reggenza al Consiglio – disse il più giovane dei fratelli, risiedendosi.


Allora si alzò il medio, e lo seguì a ruota il ragazzo alla sua sinistra.

- Io sono Tino Väinämöinen, delle foreste ad est, sono qui come rappresentante dei popoli delle Foreste Innevate, a sostegno di Berwald Sven – disse sicuro di sé il ragazzo minuto.

Berwald fece un cenno con il capo e tornò a sedersi.


- Bene, possiamo cominciare allora.. – disse il maggiore – Io sono qui come candidato alla reggenza del Regno del Nord, e come rappresentante di tutta l’armata del Paese – comunicò drastico.

I fratelli sembrarono metterci un po’ per assimilare l’informazione. Ma non fecero nemmeno in tempo ad aprire bocca che il giovane rappresentante delle Foreste si era già alzato in piedi, con un espressione adirata in viso.

- Come puoi dirlo?! Noi dei confini dell’est non sappiamo nulla di tutto questo! E la nostra armata è una delle più importanti del Regno! – gli occhi color crepuscolo erano vivi e grandi mentre parlava con voce benevola ma allo stesso tempo alterata.

Il maggiore lo guardò come se non avesse parlato altro che un misero suddito.

- Tu hai la rappresentanza del popolo, non dell’Armata – disse con calma sprezzante – Io ne ho l’assoluto controllo e il diritto di rappresentanza -.

Il giovale tornò a sedersi, ma dalla rabbia incisa in quelle iridi era facile capire che, a quella fredda risposta, le parole gli erano morte in bocca. Ma la questione non si sarebbe conclusa così facilmente.

Anche il giovane delle Terre ghiacciate sembrava essere stato turbato da quelle parole.
A quanto pareva i popoli dei confini avevano già perso la loro importanza.

Berwald rivolse uno sguardo di comprensione al compagno, riuscendo a calmarlo per un momento.

Il fratello minore rimaneva impassibile a guardare come i suoi calcoli, totalmente astratti, prendevano piano forma, divenendo la cruda realtà.

Il gioco era appena iniziato, e quello non era altro che un leggero imprevisto..





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Capitolo 3
*** Se il mondo è pieno di prepotenti la colpa è di chi non lo è ***




2 – Se il mondo è pieno di prepotenti la colpa è di chi non lo è;



- …Signore.. – aprì con cautela il grande portone.

Il padrone squadrò il giovane con tenerezza e compiacimento allo stesso tempo.

- Si, dimmi pure – disse, facendo segno al ragazzino di avvicinarsi.

Il ragazzino entrò e fece qualche passo avanti, tremante come un coniglietto spaventato.

- S-Signore.. Mi hanno mandato per convocarla ad una.. riunione.. – mormorava il tenero giovincello.

Aveva occhi color cremisi che facevano raggelare il sangue, mentre il visetto dolce scaldava il cuore. Era di statura piccola e gracilina.
Tutti gli ripetevano che un giorno poi sarebbe cresciuto, ma c’era anche chi lo prendeva in giro per quel suo aspetto fanciullesco.

- Raivis, Raivis, Raivis.. – ripeteva il Signore, sorridendo e scuotendo la testa.
- Se continui a comportarti come un bambino, è ovvio che non crescerai mai – gli disse, spettinandoli con la mano i capelli biondo cenere – spiegati meglio, sù.. Chi è che mi ha convocato?

Il ragazzino alzò la testa e rivolse lo sguardo vergognoso al padrone.

- ..due dei tre membri del Cons-

- Ancora loro? – lo interruppe, rivolgendo un’occhiata esasperata verso l’alto – Non ne posso più, perché continuano a disturbarmi? –

- ..vorrebbero discutere dei nuovi ordini che ha dato all’Arm-

- Ancora quel discorso? Non riescono a comprendere che sono irremovibile in proposito? Quella zona mi serve, e non ho intenzione di ritirare l’ordine d’invaderla! Perché devono sempre essere così fastidiosi quei tre? Sembra quasi che lo facciano apposta ad andare sempre contro tutto ciò che dico.. – si lamentava il Sovrano,gesticolando esageratamente, interrompendolo ancora.

- ..devo rifiutare quindi..? – chiese ancora il giovane, intimorito.

Il padrone guardò dall’alto quel paio di occhi color rubino che gli piacevano tanto.
Si piegò sulle ginocchia e fece scivolare una dolce carezza sulla guancia del ragazzino.

- Non ti preoccupare, Raivis.. Oggi ci penserò io a quei tre – gli rispose, sorridendoli quasi fraternamente.
- Tu va a chiamare Natalya e Katyusha -.

Il ragazzino batté un piede a terra, si congedò e scappò fulmineo fuori dalla porta.

Il Sovrano rimase per qualche secondo fermo lì, ancora piegato, fissando la porta con sguardo perso.
Poi tornò in sé, e con sguardo glaciale si rimise in piedi.
Non poteva sopporta quello stupido Consiglio, erano da sempre una spina nel fianco. Tre uomini che non facevano altro che contestare qualsiasi, ma proprio qualsiasi, sua decisione. O si ribellavano a turno, oppure si mettevano d’accordo, ma sempre e comunque protestavano.
Volevano che la sua reggenza cadesse, ne era certo. Ma non avrebbe assecondato le loro richieste.
Non avrebbe lasciato tutto quel potere in mano a quelle tre nullità.
Non avrebbe ceduto il suo superbo regno a tre banali consiglieri.

Mai.

Lui era Ivan Braginski, solo e unico Sovrano dei Domini dell’Est, e lo sarebbe rimasto fino alla morte.



Bussarono ancora alla porta.
Entrò una ragazza, una figura elfica dai lunghi capelli, candidi come la neve. Al suo fianco un’altra giovane ed avvenente donna, alta e imponente, i capelli dorati pettinati in una treccia raccolta sulla nuca.
Alle loro spalle, il ragazzino dagli occhi cremisi.

- Signore – disse la più anziana delle due – lei ci ha chiamate e noi siamo qui, ma-

- Abbiamo saputo del Consiglio, vuole che interveniamo.. – arrivò subito al punto la più giovane. Un’espressione illeggibile in quegli occhi indaco incastonati in un viso da bambola - ..Ivan? -.

L’uomo le guardò entrambe come se stesse studiando due fragili statue. Poi sorrise. Quel sorriso, quasi malefico, che sul suo viso buono faceva accapponare la pelle.

- Mie care.. Voi siete la mia famiglia, le uniche persone di cui mi fido, le uniche due guardie che ho accettato di avere al fianco, i miei angeli custodi.. Non vi chiamerei mai per un affare tanto immorale e patetico.. – ghignò.
- Vi ho chiamato perché voglio darvi un anticipo.. Preparate una spedizione, ma fate in modo che questa richiesta non esca da questa stanza – l’occhio corse al ragazzino che lo guardava con occhi imploranti – In qualche modo le Foreste Innevate diverranno un Dominio dell’Est, con o senza il consenso del Consiglio -.

Le due donne fecero un cenno d’assenso con il capo e una riverenza, pronte a congedarsi per eseguire il nuovo ordine dato loro dal fratello.

‘Fate in modo che questa richiesta non esca da questa stanza’.

La sorella minore puntò al ragazzino. Fece per prendere qualcosa dalla tasca, in silenzio, come un cacciatore pronto ad avventarsi sulla preda.

- Natalya, il ragazzo lascialo a me – la riprese il fratello.

Una scossa elettrica percorse la schiena del fanciullo, che realizzò di essere finito in una situazione del tutto sbagliata, di aver assistito a qualcosa che non avrebbe dovuto riguardarlo, di trovarsi in una stanza in cui non sarebbe dovuto essere.




- Ha rifiutato anche questa volta? – chiese Toris Laurinaitis agli altri due uomini che attendevano in sala con lui.

- Il solito egoista – commentò acidamente Feliks Lukasiewicz – dobbiamo risolvere questo problema, non può passarci sopra come se non fossimo nessuno! -.

- Veramente, signori, questa volta ha dato la sua partecipazione – disse Edward Van Bock – la conferma è arrivata con il suo ambasciatore -.

- E allora? Perché non arriva? – continuò puntiglioso Feliks, gli occhi verdi ancora più insolenti di quanto di solito non fossero.

- So che questa è una questione delicata, Feliks, ma non possiamo far altro se non aspettare pazientemente – rispose di nuovo Toris con fare rassegnato, rigirandosi nervosamente tra le dita una ciocca di capelli color cioccolato, cresciuti un po’ troppo e legati in una coda.

- Ha ragione Toris – concluse Edward, manovrando con le sue scartoffie, gli occhi blu scuro coperti da una frangetta bionda – dobbiamo sempre e solo aspettarlo -.





- E adesso eliminiamo quest’altro problema – si disse tra sé e sé Ivan Braginski – una volta per tutte magari.. -.

Rivolse un sorriso affettuoso al ragazzino che camminava al suo fianco.
Gli posò un attimo la pesante mano sulla spalla. Riprese una delle sue espressioni più comuni e i suoi occhi passarono da un lilla amorevole ad un viola piatto e crudele.

Entrò nella sala e lasciò il ragazzino aspettare fuori, abbandonandolo a quella paura che gli stava ferocemente divorando le viscere.





- Natalya.. – chiamò con voce bassa la sorella.

La ragazza non batté ciglio e fece cenno alla sorella di continuare, senza nemmeno rivolgerle lo sguardo.

- So che Ivan ha dato l’ordine, ma.. Non credo che finirà bene questa storia.. ho la sensazione che stiamo inevitabilmente passando al lato del torto – disse, quasi in un sussurro.

La sorella minore rimase in silenzio, continuando a camminare svelta e grandi passi verso il Palazzo Militare.

- So che non disubbidiresti mai ad Ivan.. Ma non credi sia meglio parlarne con lui? Fargli capire che forse questo è un passo un po’ troppo grande per adesso..? – continuava la sorella maggiore.

Natalya continuava per la sua strada, senza rispondere ai giusti dubbi che assillavano la ragazza alle sue spalle.

La maggiore si fermò. La sorella minore rallentò e le puntò gli impenetrabili occhi indaco addosso.

- Credo che sia meglio tornare indietro, perché dopo sarà troppo tardi per farlo – disse ancora, questa volta con voce ferma. Facendo apparire il tutto quasi come un ordine.

- Katyusha – la squadrò con fare indignato – io non volterò mai la spalle ad Ivan – affermò quasi con odio.
- Mai! -.

Riprese a camminare, quasi correva su quei piccoli piedi da ballerina.

Una fredda folata di vento colpì la sorella maggiore, che con occhi dispiaciuti e bassi non poté far altro che seguire la piccola, bella e ingenua sorellina.





- Non possiamo accettare una proposta del genere – scosse serioso la testa Toris.

- Una cosa del genere è impensabile! – batté la mano sul tavolo Feliks – Le stiamo dicendo di ritirare l’ordine! -.

- Porta rispetto, Lukasiewicz – lo riprese il Sovrano.

- Le stiamo suggerendo di non persistere – prese la parola Edward con tono formale – Invadere le Foreste Innevate ad oriente significa attaccare il Regno del Nord! Scatenare una guerra impossibile! -.

- Impossibile? – rivolse gli occhi tetri al Consigliere – Mi pare che il Consiglio non abbia chiara la situazione -.
- Il Regno del Nord non ha un Re.. E’ vero, le loro milizie sono potenti, ma non c’è nessuno a guidarle -.
Ghignò.
- Il loro Stato andrà disgregandosi inevitabilmente, non dobbiamo far altro che cogliere questa succosa occasione.. Avremo un Dominio in più, ed un nemico in meno – concluse con un sorriso compiaciuto.

I tre Consiglieri si guardarono perplessi, sedettero e non proferirono più parola.

A quanto pareva, il Lupo si era ancora una volta guadagnato la fiducia delle pecorelle smarrite..
Questi erano i Domini dell'Est.
Erano il suo Sovrano sordo.
Erano le sue guardie cieche.
Erano i rappresentanti muti ed i Consiglieri che non potevano parlare



NOTE:
Grazie a chi ha letto e sopratutto a chi ha recensito! Davvero grazie :)
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Capitolo 4
*** Il tempo non si ferma ad ammirare la gloria: se ne serve e passa oltre ***




3 – Il tempo non si ferma ad ammirare la gloria: se ne serve e passa oltre;
 
 
Sempre all’interno di quel piccolo continente di cui nessuno era a conoscenza, vi era un grande Impero.
 
Un grande, sì, ma soprattutto antico, molto antico Impero.
 
Anche se era vasto e verde, vi erano solo piccole città a popolarlo. Tante piccole città.
 
Qui tutti vivevano la propria vita come se niente e nessuno sarebbe mai venuto a dare loro fastidio.
I cittadini andavano avanti così, umili e allo stesso tempo soddisfatti, perché sapevano che avrebbero potuto continuare in quella pace fino al giorno della loro morte, quando avrebbero lasciato la loro dolce patria senza alcun rimpianto.
 
Le mamme lasciavano tranquille i loro bambini giocare da soli in giardino, o raggiungere gli altri fanciulli nella foresta, perché avevano la certezza che in quel luogo niente avrebbe fatto loro del male.
 
Niente di cattivo poteva entrare e sporcare la loro aria profumata.
 
Nemmeno i barbari abitanti degli stati circostanti, sempre in perenne guerra, sarebbero mai riusciti a derubare quel paese delle sue donne e dei loro figli, e in un’intera vita non erano mai riusciti a vederli.
 
L’Antico Impero aveva una difesa tanto indistruttibile da non essere mai stata nemmeno scalfita.
Un sistema di giustizia che puniva chi lo meritava, migliorando sempre di più lo stile di vita di chi amava quel luogo.
Aveva al comando uomini che lo spingevano sempre verso un livello più alto, sempre più verso ciò che per loro era perfezione.
Aveva un rappresentante riflessivo e gentile, che mai aveva osato troppo.
E una storia che aveva sempre e solo difeso la felicità di tutti coloro che ci abitavano.
 
Era situato proprio sotto i Domini dell’Est, solo una linea chiamata confine tra loro, ma quel poco che i due stati condividevano gli aveva divisi per sempre.
 
L’Impero d’Oriente aveva il suo saggio Imperatore, i suoi capaci ministri e le sue impenetrabili mura.
E tanto gli bastava per differenziarsi dai vicini stati guerrieri.
 
Era un Impero che durava nel tempo.. Tanto, tanto tempo.
 
 
- Un’altra ora è già passata.. – sospirò l’uomo seduto sul trono.
 
Guardava le lancette andare avanti in quello strano oggetto che gli era stato regalato anni prima.
Non ne aveva mai capito l’utilità.
Era davvero così importante sapere come passava il tempo, quanto ne passava e quanto ne rimaneva?
 
Lui lo trovava tremendamente angosciante.
 
Ogni giorno peggiorava sempre di più.
Quella morsa al cuore non lo lasciava mai solo.
 
Sarebbe voluto scappare da quella fortezza. Quel palazzo da cui non si poteva né entrare, né uscire.

Sarebbe voluto andare lontano.

Lontano dal tempo.

Quel tempo che lo seguiva come un’ombra.

 
Bussarono alla porta.
 
Per un momento la stretta che lo soffocava si allentò.
Stare in compagnia gli faceva sempre quell’effetto.
Quando era con altri, il tempo si nascondeva, non lo torturava più.
 
- Avanti – chiamò a gran voce l’imperatore, quasi fosse una richiesta d’aiuto.
 
La portoncina si aprì ed entrò un giovane ragazzo dai neri capelli corvini.
 
- Signor Yao, vorremo parlare di una cosa. Con il suo permesso.. –
Il ragazzo si fece avanti, seguito da altri quattro giovani.
 
Finalmente l’aria tornava allegra a riempirgli i polmoni.
 
- Certo, certo – disse, facendo frettolosamente spazio sul grosso tavolo – sedetevi pure, volete qualcosa? Un po’ di tè? –
 
Aveva quel disperato bisogno che il tempo abbandonasse la sua mente.
 
I ragazzi scossero cordialmente il capo.
 
- Io ne gradirei un po’, grazie Signor Yao – disse sorridente una piccola ragazza.
 
- Certo, certo, Lin.. Aru! – chiamò l’uomo che in quel momento camminava a grandi passi in direzione della cucina – Aru, per favore, porta alla Signorina Wanmei una tazza di tè verde! –
 
L’uomo diede cenno di aver capito e scappò di nuovo in direzione della cucina.
 
- Allora Signor Yao – richiamò l’attenzione un ragazzo dai ribelli capelli neri e vispi occhi blu – abbiamo qualcosa per lei – disse allargando un simpatico sorriso sul volto.
 
L’ Imperatore rise.
 
- Caro Yong Soo, sono contento che parlare di nuove proposte la metta di buon umore - .
 
Sì, già non sentiva più gli occhi del tempo puntati addosso.
 
- Dicevamo – riprese il ragazzo dai capelli corvini – anche oggi nessuno ha provato a varcare le mura – disse pacato e sollevato. Gli occhi scuri e imperscrutabili rivolti verso le sue scartoffie.
 
L’imperatore sorrise.
 
- Che bella notizia, di questo passo non dovremo più mandare i nostri uomini a difenderla! Forse un giorno!–
 
Un ragazzo dai chiari capelli castani gli sorrise, anche se non con un sorriso felice.
- Già, forse.. -.
 
- Sono contento la pensi come me, Chen – gli disse l’Imperatore.
 
Eppure lì non lo pensava nessuno.
Sorridevano perché forse anche loro lo avevano sognato, ma non ci speravano nemmeno.
Tutti in quella stanza avevano paura. Paura che un giorno la loro pace finisse. Che quel cattivo di cui non sapevano altro che storie lontane venisse a prendersi tutto.
Con il tempo.
 
- Ma andiamo avanti – disse un altro giovane. Aveva profondi occhi ambrati e folte sopraciglia.
- Abbiamo delle notizie sui Panda -.
 
-Kaoru.. Ho sentito bene? Panda? – chiese l’Imperatore, confuso.
 
- Sì, Signor Yao! – saltò in piedi il ragazzo con gli occhi blu – una coppia di Panda arriverà in poco tempo a palazzo direttamente da Est! -.
 
Tempo, tempo, tempo, quanto tempo?
 
L’imperatore allargò il suo sorriso.
 
Magari sarebbe riuscito a distrarre il tempo con i Panda.
 
- Ah, un’altra bella notizia vedo! –
 
I sei rimasero un po’ così. In silenzio. Sorridendo a aspettando stupidamente.
 
- Eppure.. – mormorò la ragazza.
Il musetto triste immerso nella profonda tazza da tè.
 
L’imperatore la guardò curioso.
 
- Eppure non è per questo che siamo qui… - disse, rivolgendo uno sguardo sincero ai suoi compagni.
 
Si guardarono per qualche momento, sbattendo gli occhi, calibrando le parole.
 
In silenzio.
 
Eccole, già le sentiva.
La lancette perforargli i timpani.

 
- Già.. Non è solo per questo che siamo qui – ammise il ragazzo dai capelli corvini con fare serioso.
 
- Kiku.. – disse solo l’imperatore, distratto poi dagli occhi degli altri ragazzi.
 
Per la prima volta si rivolgevano sguardi onesti.
Sguardi onestamente spaventati.
 
- Non sappiamo quanto sia vero quello che  ci è stato detto – iniziò con sguardo basso.
 
La morsa, la sentiva. Lentamente stava tornando.
 
- Abbiamo ricevuto notizia che una delle truppe d’invasione dei Domini dell’Est è stata mossa, e non verso il Regno di Mezzo come al solito.. –
 
Paura.
 
- Verso Sud? – chiese l’Imperatore.
L’aria che non riusciva a scendere nei polmoni gli chiudeva la gola.
 
- Non sappiamo che direzione abbiano intenzione di prendere.. –
 
- Come sappiamo che non stiano per attaccare noi?! –
 
Paura.
 
- Non lo sappiamo, dobbiamo aspettare –
 
Aspettare?
Aspettare altro tempo?
No. Lui odiava il tempo.
Il tempo gli avrebbe sicuramente fatto qualche brutto scherzo!
Si ostinava a cambiare ciò che tutti in quel luogo avevano sempre tentato di conservare.
Nessuno aveva mai voluto cambiare niente.
Il tempo doveva smettere di fare tutto da solo.
 
Bussarono ancora alla porta, ma questa volta quello stesso tempo non gli aveva permesso di riempire i polmoni doloranti.
Un uomo entrò correndo.
 
Anche lui scappava dal tempo.
 
- Maestà! E’ arrivata una lettera dalla frontiera! –
 
Eccola la paura sulla faccia dei suoi sudditi.
Eccolo il tempo che rideva e capovolgeva la clessidra sopra le loro teste.
Sulle teste dell'Impero d'Oriente.




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