L'ultima grande avventura

di Elos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stelle che sfrigolano ***
Capitolo 2: *** Come una principessa ***
Capitolo 3: *** L'ultima grande avventura ***



Capitolo 1
*** Stelle che sfrigolano ***


Note della storia: Prima di cominciare, temo sia necessario aggiungere un paio di note. Questa storia è un seguito, preludio, spin-off, intermezzo, quel-che-si-voglia, di Prima di King's Cross. Avevo detto ad aprile che l'avrei scritta e... be', è Natale. Quale momento migliore? Si tratta di una storia breve, divisa in tre capitoli, autoconclusiva e - pressoché - autonoma: i primi due capitoli in particolar modo possono essere letti senza alcun bisogno di conoscere la storia principale; questo vale un po' meno, tuttavia, per il terzo capitolo.
Si ringrazia dierrevi per il suo paziente (molto paziente!) lavoro di revisione del testo.

Dedicata a tutti coloro che si sono depressi solo un altro po', dopo aver letto di quei cinquanta senza nome che la Signora Autrice ha lasciato per terra a venti pagine dall'epilogo.





Capitolo 1
Stelle che sfrigolano




- Vorresti venire al ballo con me?
Angela Abygaile Glancenspark alzò gli occhi dal corposo mattone del De inanibus et vanis incantamentis e fissò la forma sfocata che aveva di fronte con una dose equamente suddivisa di notevole perplessità e vago allarme. Aprì bocca, la richiuse, e alla fine se ne uscì fuori con un poco ponderato:
- Uh?
Dovette spingersi gli occhiali più su sul naso – avevano la tendenza, mentre leggeva, a scivolarle fino alla punta ed a restare lì appesi a mezzo centimetro dalla superficie del libro – per riuscire a mettere a fuoco la figura che aveva davanti: e che era quella di un ragazzo dotato di un'espressione mostruosamente speranzosa e di una faccia vagamente familiare. Credette di riconoscerla con un attimo di ritardo – Tassorosso, quinto anno – ma non riuscì a ricordare il nome. Si spremette le meningi, e dal fondo di quello sgabuzzino intasato che era la sua memoria emerse la vaga rimembranza di un Bartholomew Qualcosa. O di un Qualcosa Bartholomew. O, uhm, un nome del genere.
- Vorresti venire al ballo con me? - ripeté questi. - Al Ballo del Ceppo. - specificò. - Prima di Natale. Con me. Voglio dire, andando insieme. Cioè, non andando insieme nel senso di... andarci tutti e due, ma andando insieme nel senso di…
- Io, uh, ecco... - lo interruppe lei, schiarendosi la voce, con il vivo desiderio che il De inanibus et vanis incantamentis le balzasse addosso e cercasse di strangolarla, lì, ora, subito, risparmiandole di dover rispondere. - … sì, credo di aver capito cosa intendi.
Gli occhi del ragazzo si illuminarono. Amelia Hughes, dall'altra parte del tavolo, sbirciò prima lei, poi lui, ed approfittò del fatto che quest'ultimo le stesse dando le spalle e non potesse vederla per alzare entrambe le sopracciglia in un'espressione eloquente. Angela dovette strozzarsi per non far uscire fuori la risata che le era scappata, e il colpo di tosse che seguì le attirò uno sguardo preoccupato da parte di Bartholomew il Tassorosso.
- Tutto a posto?
Lei annuì vigorosamente. Sentì le guance scaldarlesi e seppe di essere arrossita.
- Senti... - cominciò, esitando. - ... Bartholomew, io...
- Mi chiamo Barry.
Amelia nascose la faccia dietro al libro di Pozioni per nascondere un'enorme ghigno. Angela gemette e si aggrappò al tavolo della biblioteca per non soccombere ad una crescente sensazione di pura disperazione:
- Oh. Oh, io... non Bartholomew?
- No.
- Sicuro?
- Assolutamente. - confermò il ragazzo, l'aria lievemente depressa.
- Scusami. Scusami davvero. Non sono molto brava con i nomi, io... io non ricordo neanche quelli del mio stesso anno, davvero, non ti offendere, ti prego.
- Io sono del tuo stesso anno.
Amelia dovette alzarsi e scappar via, bruscamente. Angela la sentì sghignazzare mentre si allontanava tra gli scaffali della biblioteca e le augurò malvagiamente che Madama Pince la sentisse e venisse a prenderla per un orecchio per buttarla fuori.
- Tassorosso? - provò Angela, speranzosa.
- Grifondoro.
Lei socchiuse gli occhi.
- Sono autorizzata a desiderare che il pavimento mi ingoi? - bisbigliò. Barry azzardò un mezzo sorriso, prima di alzare una mano e grattarsi la testa:
- Suppongo che questo significhi che non verrai al Ballo con me.
Angela si morse le labbra, prima di scuotere la testa debolmente:
- Non è per te. E' che io sto... è che io sono... - Esitò. Barry il Grifondoro del Sesto Anno sembrava tutto sommato piuttosto simpatico (ed era indubbiamente molto, molto, molto paziente), e stava per ricevere una magra delusione. Una spiegazione gli era quantomeno dovuta. - … io sto aspettando che qualcun altro mi inviti. Uno in particolare, cioè, non un qualcun altro qualunque. - Si affrettò a specificare.
Barry alzò un sopracciglio:
- Aspettando...?
Il rossore di Angie si espanse a macchia d'olio e le invase la punta delle orecchie.
- Io sto, uh, sperando che mi inviti...? - si corresse debolmente.
Barry sembrò comprendere. Smise di giocherellare con i propri capelli – ne aveva tanti, riccissimi, di un castano molto scuro – e la guardò con gentilezza: per essere uno che era appena stato scaricato, valutò Angie, era notevolmente bendisposto. Senza l'espressione speranzosa, poi, era molto meno inquietante.
- Be', se... se questo qualcun altro non dovesse farsi vedere in giro... ma, se ha un minimo di cervello, lo farà... ecco, io sono disponibile. Non mi dispiace essere la seconda scelta. Posso aspettare ancora un po'.
Malgrado fino ad un attimo prima lo ritenesse impossibile, Angie riuscì ad arrossire ancora un po'.
- Scusami. - bisbigliò ancora, sentendosi profondamente a disagio, molto imbarazzata ed un po' colpevole.
Barry si grattò la testa ancora una volta, prima di scuotere il capo e abbozzare un mezzo sorriso.
- Di niente. Buona fortuna per il tuo appuntamento! - esclamò mentre si allontanava.
Angie lo guardò sparire dietro ad uno degli scaffali. Quando anche l'orlo della veste di Barry il Grifondoro fu scomparso, affondò la faccia tra le mani e gemette rumorosamente.


- Non è divertente. - commentò Angie, gelidamente.
Gli occhi di Amelia Hughes scintillarono di quella luce malvagia che prendevano solo quando c'era una buona ragione per umiliare e/o tormentare Angie.
- E' estremamente divertente. - la corresse. Il divertimento la rendeva così eccitata da farla saltellare da un piede all'altro: - Oh, sei sicuro di non chiamarti Bartholomew? Quella è stata la ciliegina sulla torta, Angie. Valeva almeno dieci punti.
Angie gemette e cercò di soffocarsi con il cuscino. Amelia saltellò fino al suo letto e ci si lasciò ricadere sopra pesantemente, facendo sobbalzare il materasso e costringendo l'altra ad alzare la testa.
- Cinque punti per la gaffe dell'anno sbagliato. - proseguì Amelia, l'espressione che si faceva estasiata. - Decisamente. Almeno cinque punti. E cinque per la Casa. Se li sommi ai dieci di prima arriviamo a venti. Vogliamo aggiungerli ai cinque che hai guadagnato venerdì scorso rovesciando il barattolo di occhi di salamandra sulle scarpe di Piton?
Suo malgrado, le labbra di Angie cominciarono a tirare verso l'alto.
- Erano solo cinque punti?
- Be', sì. Sono certa che gli occhi di salamandra siano il meno che potesse capitare alle scarpe di Piton. Cioè, le scarpe di Piton. Hanno i piedi di Piton dentro, tutto il giorno, sette giorni a settimana, cinquantadue settimane l'anno. Una manciata d'occhi di schifoide sono niente a confronto.
Il minuscolo sorriso di Angie minacciò di allargarsi. La ragazza si puntellò sui gomiti, restando sdraiata sul ventre sul letto, e guardò l'amica dal basso verso l'alto.
- Sei una persona molto malvagia, Amelia. - sentenziò dopo un attimo. - Verrai indubbiamente punita per questo. Tutti i malvagi vengono puniti. Succedono loro sempre le cose peggiori.
Amelia inarcò un sopracciglio:
- E questo l'avresti letto dove...?
- Guarda Scar. - esclamò Angie, convinta. - Scar è molto malvagio, e infatti le iene se lo mangiano. Non dev'essere bello essere mangiati da un branco di iene. O Sauron, anche lui fa una brutta fine. E Grimilde. E Jabba de Hutt finisce strangolato. Finiscono tutti male.
- E il professor Piton se ne va in giro distribuendo disgustose punizioni come fossero caramelle, e lui mi sembra godere di ottima e durevole salute. - puntualizzò Amelia. Era bello avere un'amica di famiglia Babbana: trovare ad Hogwarts qualcuno che sapesse chi era precisamente il signor Walter Elias Disney – e potesse di conseguenza cogliere i dovuti riferimenti – era in linea di massima un'impresa.
La fronte di Angie si corrugò con un'espressione di profonda concentrazione, prima che la ragazza azzardasse:
- Suppongo che ogni regola abbia le sue eccezioni...?
- Bel tentativo, ma non mi hai convinta. Allora? Andrai con Bartholomew al Ballo del Ceppo?
Angie arrossì, improvvisamente, bruscamente, intensamente e disastrosamente, dalla base del collo fino alla radice dei capelli.
- Barry. Si chiama Barry.
- Io lo so come si chiama, tesoro. Non ero sicura che tu lo sapessi.
- Non sei divertente.
- Ah-ha, abbiamo già percorso questa strada e dimostrato che lo sono. Lo troveresti divertente anche tu, al posto mio. Allora, al Ballo ci vai con Barry?
Angie scosse la testa. Abbassò il capo, osservando il cuscino, e parve per un attimo straordinariamente interessata da una piega nella fodera: la lisciò con le dita, mentre Amelia la osservava in silenzio, senza incontrarne lo sguardo.
Amelia si schiarì la voce, dopo un istante di quiete assoluta, e il suo tono suonò molto meno ironico e, anzi, lievemente cauto:
- Lui potrebbe non invitarti mai. Vuoi finire per andarci da sola?
- Non voglio andarci con qualcun altro. - mugugnò Angie.
- E se non ti invitasse? Finiresti senza un compagno. - spiegò Amelia, pazientemente. - Nessuno vuole andare al Ballo del Ceppo da solo. Merlino, anche io ho incastrato qualcuno per accompagnarmi!
- Ci stiamo ancora chiedendo tutti come tu abbia fatto.
Amelia sorrise serenamente:
- Prima ho versato nel succo di zucca di Anthony Tipperary una dose doppia di Pozione d'Amore; poi, approfittando della sua imperitura passione per me, l'ho convinto a ballare un eccitante giro di valzer con la sua rana; infine, quando si è ripreso, gli ho mostrato le foto che avevo scattato.
Angie le rivolse un'occhiata distratta, poi un'occhiata un po' meno distratta e infine un'occhiata decisamente preoccupata:
- Non l'hai fatto sul serio, vero?
Amelia si chinò per raccattare da terra una copia di Pozioni Avanzate, gli occhi sgranati in un'espressione assolutamente innocua:
- Fatto cosa?
Angie cercò di seppellirsi sotto al cuscino.

***



Non che Barry il Grifondoro, anche conosciuto come Bartholomew il Tassorosso - fosse un brutto ragazzo. Aveva una faccia carina. Delle belle spalle. Di sicuro era meravigliosamente cavalleresco.
Era che non era lui che stava aspettando. Tutto qui.
Angie fece volare con un colpo di bacchetta un sasso, irritata, e lo guardò attraversare sfrecciando il cortile e schiantarsi a cinque centimetri da una vetrata composita che da sola costava, probabilmente, quanto almeno un bimestre dello stipendio di suo padre. Angie si guardò attorno cautamente, sperando che nessuno l'avesse vista. Il cortile era deserto. Le arcate appuntite del colonnato in pietra grigia erano come tronchi sottili nel mezzo del mare di neve candida, soffice e spumosa, non ancora gelata: Hogwarts si era svegliata bianca, quella mattina, con le finestre adorne di cristalli di ghiaccio e il lago trasformato in una grande luna del colore del mercurio pallido sotto al cielo nuvoloso.
Era bello venire da quelle parti, pensò Angie. L'aula di Incantesimi era proprio sopra la sua testa, e se alzava gli occhi poteva vederne le vetrate. Nel cortile non passavano molti studenti, perché era fuori mano e non portava da nessuna parte. In primavera era un eccellente luogo di ritrovo per le coppiette – e, di conseguenza, veniva preso di mira dalle ronde di tutti i professori, dalla mite Sprite, che in nove casi su dieci fingeva di non vedere, all'inquietantissimo Piton, che era più che capace di minacciare di eviscerazione lo studente sorpreso con le mani nella marmellata – soprattutto se detta marmellata consisteva in una qualunque zona di pelle sottostante la muraglia di stoffa della divisa.
Angie gemette rumorosamente e si lasciò cadere seduta sul basso muretto che circondava il colonnato, affondando la testa tra le mani. Tredici giorni all'ora X. Tutti l'avrebbero vista arrivare al ballo da sola, quando anche la terribile Amelia Hughes aveva trovato un compagno per le danze – diamine, quando tutti avevano trovato un compagno! – o, peggio ancora, con Barry il Grifondoro.
Non che Barry fosse brutto. Ma fare di qualcuno una seconda scelta sarebbe stato... ingiusto.
Assestò un altro calcio a un altro sasso: questo rimbalzò un paio di volte sul terreno, pigramente, prima di rotolare via in mezzo alla neve. Non era soddisfacente come mandarli a schiantare contro il muro dall'altra parte del cortile, constatò Angie, ma era comunque un inizio di sfogo.
Agganciò un terzo sasso con la punta del piede, e si stava preparando ad assestargli un calcio quando una voce alle sue spalle le fece fare un saltello tale da farla quasi scivolare giù dal muretto:
- Le lezioni sono ricominciate da cinque minuti. Sarebbero dieci punti in meno a Corvonero, Glancenspark.
Gli occhi di Angie si fecero grossi come piattini, spalancati per la sorpresa. Stava già arrossendo, le guance tanto calde per l'improvviso afflusso di sangue che ci si sarebbe potuto friggere sopra un uovo, quando girò la testa e si guardò alle spalle.
Il nuovo arrivato era alto, magro ed esteticamente apprezzabile. Esteticamente apprezzabile. Era la definizione preferita di Amelia. Non precisamente bello – c'erano troppe cose nella sua faccia che non andavano, il naso troppo grosso e il mento troppo magro, le orecchie che non erano veramente a sventola, ma che di sicuro non gli aderivano elegantemente al cranio – però era apprezzabile. Aveva una certa aria di sicurezza e di controllo che doveva contribuire per un buon ottanta per cento al fascino generale, e una divisa pulita e in ordine nei colori di Serpeverde sulla quale spiccava una grossa spilla da Prefetto.
Ed aveva gli occhi verdi. Non verde verde, più verde oliva, con tante minuscole screziature più chiare che erano come crepe d'oro.
Ad Angie non importava che non fosse precisamente bello, perché lei lo trovava bellissimo. Lo trovava bellissimo da tre anni.
Si chiese se le sarebbe stato permesso di Trasfigurare una vanga per scavarsi una buca e provvedere a seppellircisi dentro, perché in nessuna delle fantasie nelle quali aveva immaginato che Kayle Boosworth l'approcciasse, lei, da sola – loro due, da soli – nel mezzo del cortile delle coppiette, be', in nessuna di quelle fantasie le cose erano andate come sembrava stessero andando adesso.
- Aggiungiamo a questo cinque punti per aver lanciato sassi contro un muro scolastico. - proseguì Boosworth, impietoso, riducendo in minuscole bricioline tutto quel che restava delle speranze di Angie di concludere la scena conservando un quantitativo minimo di dignità: - Che, moltiplicato per tre volte, fa...
- Non sono state tre volte. - protestò Angie debolmente.
Il Prefetto inarcò un sopracciglio:
- Vogliamo fare due e mezza?
- E', uhm, proprio necessario?
Il sopracciglio si alzò un altro po'. Il Prefetto scrollò le spalle, si guardò intorno e poi sorrise. Nel mezzo di quell'espressione di superiorità beffarda e un po' annoiata il sorriso apparve stranamente essere un buon sorriso. Non molto Serpeverde, dopotutto. Quel che disse dopo, invece, era Serpeverde dalla prima all'ultima sillaba:
- Potremmo trovare un accordo.
Angie poteva essere molte cose – un po' distratta, disattenta, con una pessima memoria – ma di sicuro sua mamma non l'aveva fatta stupida. Non così tanto stupida, almeno.
- Che genere di accordo? - si informò sospettosa.
Boosworth si guardò nuovamente intorno, come per controllare che nessuno li stesse osservando. Sorrise di nuovo: Angie si sentì sciogliere e pensò che sarebbe finita per essere una pozzetta di burro fuso, e poi si assestò mentalmente un paio di schiaffi, per punirsi, perché sciogliersi in una pozzetta di burro non era la migliore delle idee possibili, al momento.
- Qualcuno mi ha detto... - cominciò Boosworth, con noncuranza. - … che sei rimasta senza un accompagnatore per il Ballo del Ceppo. Coincidenza vuole che sia solo anche io... per adesso. Se verrai con me dimenticherò la faccenda dei sassi. Dopotutto, niente danno, niente fallo. Che cosa ne pensi?
Dopo un attimo di pietrificata immobilità, Angie alzò una mano e, cacciandosi un dito nell'orecchio, lo agitò energicamente per cercare di smuovere il tappo di cerume che sicuramente doveva essersi piazzato lì. Si schiarì la voce e si informò cautamente:
- Scusa, credo di non aver sentito bene. Potresti cortesemente ripetere?
Kayle Boosworth alzò gli occhi al cielo e il sorriso riapparve per la terza volta nel giro di dieci minuti, solo un po' più affilato e molto più beffardo. Quel che restava della dignità e dell'autocontrollo di Angie fece fagotto e si preparò a prendersi una veloce e meritatissima vacanza davanti alla meravigliosa sensazione di pizzicante calore che le aveva invaso lo stomaco.
- Mi avevano detto che eri intelligente. - commentò lui, più divertito che esasperato.
- Chi te l'ha detto?
- La tua amica Hughes. Mi aveva detto che eri intelligente.
Angie sbatté le palpebre, facendogli eco:
- La mia amica Hug... - E poi, mentre la consapevolezza si abbatteva su di lei con la forza di una martellata e la sua voce si trasformava in qualcosa di orribilmente simile ad un incrocio tra un muggito e un ringhio: - La mia amica Hughes.
- Esattamente. - confermò Boosworth.
- Il porridge di domattina della mia amica Hughes sarà probabilmente corretto con la cicuta. - affermò Angie, acidamente. Tutta quella meravigliosa, speranzosa, estasiata contentezza che era sembrata gonfiarlesi nello stomaco nel corso dell'ultimo minuto implose in sé stessa, lasciandole dentro solo una gran voglia di cercarsi un buco nascosto, rannicchiarsi e piagnucolare. Sentì gli occhi bruciarle e desiderò che Boosworth se ne andasse, perché se fosse rimasto lì ancora a lungo l'avrebbe vista piangere. - Come ti ha convinto a chiedermelo? Ti ha ricattato? - gli domandò bruscamente: la depressione, aveva scoperto, la rendeva sempre terribilmente amara. Sgranò gli occhi, colta da un pensiero improvviso che la riempì d'orrore, e bisbigliò: - Ti ha... oh, buon Merlino, ti ha pagato?
Kayle Boosworth la fissò con estrema sorpresa, poi con estrema perplessità, infine con estremo fastidio.
- Cosa ti fa pensare che io abbia bisogno di essere pagato dalla Hughes?
Angie arrossì e scosse la testa, freneticamente. Alzò le mani per passarsele in mezzo ai capelli e si sollevò gli occhiali per potersi strofinare gli occhi con un gesto nervoso.
- Non lo so. - balbettò. - Ti ha ricattato, allora? Con qualcosa di importante? Mi dispiace, davvero, le dirò di smet...
E poi non ebbe modo di proseguire, perché proprio in quel momento Boosworth si chinò e l'ammutolì in quello che Angie giudicò essere il modo più impossibilmente fantastico di tappare la bocca a qualcuno.
C'erano le labbra di Boosworth premute sulle sue, ed erano calde. Il resto del mondo era tutto neve e vento tagliente, presunte amiche che facevano grosse sciocchezze e professori che da un momento all'altro sarebbero sbucati fuori per togliere punti a manciate, ma Boosworth era caldo. La stava baciando, realizzò Angie con un brivido di panico, era un bacio. Il suo primo vero bacio, e non era previsto che accadesse così, no? Avrebbe dovuto esserci un po' di preavviso. Una scenografia romantica. Una situazione...
Le sue mani si sollevarono senza che lei facesse niente in proposito, aggrappandosi alle spalle del ragazzo come fossero dotate di vita propria. Boosworth – Kayle, pensò Angie confusamente, era il suo primo bacio e quello doveva essere Kayle – le mise due dita sotto il mento, con delicatezza, per tenerglielo sollevato.
Un secolo più tardi – cento anni di respiro caldo sulla faccia, trentacinquemilaseicento giorni di nasi che si incrociavano senza troppa grazia e di occhiali che si appannavano contro la guancia di un altro, con i pensieri frenetici che si susseguivano come una pioggia di stelle e si spegnevano sfrigolando, schiantandosi nel punto in cui la mano di Kayle le toccava il viso – il ragazzo si staccò e le chiese:
- Pensi ancora che la Hughes abbia dovuto ricattarmi?
Mwurgleburp, rispose il cervello di Angie.
Per fortuna, aveva ancora neuroni bastanti da limitarsi a pensarlo.



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Capitolo 2
*** Come una principessa ***





Capitolo 2
Come una principessa




Hogwarts doveva essere impazzita. Lei doveva essere impazzita.
- Ti odio. - mugugnò. - Ti odio.
La spazzola nei suoi capelli le assestò uno strattone particolarmente forte. Angie cacciò uno strillo e girò la testa, protestando:
- Ehi!
Amelia le rivolse uno sguardo di un'innocenza infinita, indicandole la spazzola con la mano libera, come fosse stata solo colpa sua, e le disse serafica:
- C'era un nodo.
- Certo che c'è un nodo, è nel tuo cervello!
- Allora, vuoi che ti pettini o no?
Angie tornò a girarsi, mugugnando:
- Sì.
Amelia riprese a pettinarle i capelli. La sensazione della spazzola che le scorreva giù per la schiena ed arrivava a toccarle l'osso sacro era stranissima: si aspettava che da un momento all'altro tutte quelle lunghe ciocche sarebbero scomparse nel nulla e che la spazzola sarebbe rimasta a grattare sui vestiti.
Angie aveva scoperto con suo immenso orrore, qualche ora prima, che i suoi capelli tagliati in estate erano ora troppo corti per poter essere raccorti in una treccia. O in una crocchia. O in una qualunque pettinatura che fosse adatta al bellissimo vestito verde pallido che le aveva spedito sua madre.
Aveva piagnucolato e piagnucolato davanti allo specchio finché Amelia non aveva alzato gli occhi al cielo e non l'aveva lasciata da sola nel dormitorio, sostenendo che tutte quelle lamentele le stavano facendo venire l'emicrania. Era tornata mezz'ora più tardi con la bacchetta sfoderata; Angie si era quasi aspettata che le lanciasse uno Stupeficium, o qualcosa del genere, ma Amelia si era limitata a puntarle la bacchetta addosso e a sentenziare:
- Trilongus coma!
Sentire i capelli che aveva sulla nuca germogliare era stato inquietante. Angie aveva preso a grattarsi la testa forsennatamente, strillando:
- Cosa hai fatto?
Amelia aveva incrociato le braccia ed assunto un'espressione soddisfatta:
- Visto? Funziona.
I capelli le arrivavano ormai alle scapole, e continuavano a crescere. La testa le prudeva come un'enorme, estesissima bolla di zanzara, e tutto il grattare di questo mondo sembrava non riuscire a placarla.
- Funziona? - aveva strillato. - Cosa funziona? - E poi, sempre più incredula: - Fammi capire, non sapevi se avrebbe funzionato? Mi ha lanciato un incantesimo che non conoscevi?
Amelia le aveva rivolto un gesto infastidito, senza tuttavia che la sua faccia perdesse un solo grammo di compiacimento:
- Oh, zitta tu. Era un incantesimo sicuro: me l'ha insegnato Madama Pince.
Il prurito era cessato improvvisamente. Angie si era passata una mano sulla testa e poi nei capelli, cautamente, scorrendo le dita con sorpresa crescente tra le ciocche lunghissime.
- Mi sono cresciuti i capelli. - aveva bisbigliato, stupefatta.
Amelia aveva alzato nuovamente gli occhi al cielo. Era una cosa che faceva tanto spesso da rendere Angie certa che sarebbe diventata strabica, prima o poi.
- Dieci punti per lo spirito d'osservazione, Glacenspark. Li volevi lunghi o no?
- Sì... - aveva sussurrato lei. Si era sporta sul letto per guardarsi allo specchio ed aveva scoperto che le arrivavano ai fianchi, adesso, biondissimi e sottili e... e tanti, pensò lei, stupita, e belli. Aveva aggrottato la fronte quando qualcosa di quel che aveva detto Amelia le era giunto in ritardo: - Hai detto che te l'ha insegnato Madama Pince?
L'espressione di Amelia si era fatta gongolante:
- Sono stata brava, eh? Direi che sono almeno cinque punti. Se li sommiamo ai dieci che ho guadagnato spingendoti tra le amorevoli e possenti braccia di Boosworth, siamo settantacinque a cinquanta per questo mese, tesoro. La Potente Casa degli Hughes vince la Coppa di Dicembre. La Casa Senza Speranza dei Glacenspark potrà chiedermi la rivincita l'anno prossimo.
- Dicembre non è ancora finito. -aveva protestato Angie senza troppa convinzione.
Si era passata di nuovo una mano tra i capelli. Così belli. Così lunghi. Uhm. Molto lunghi. Aveva sgranato gli occhi:
- Oh, buon Merlino. Quanto ci vorrà a pettinarli?
Ed ecco perché Amelia era stata sfortunatamente armata di spazzola.
Doveva essere impazzita, pensò Angie, desolatamente. Hogwarts doveva essere impazzita. Ed era tutta colpa del Preside, che era il primo matto del manicomio, là dentro.
Sembrava ci fossero coppiette ovunque. Coppiette che si sbaciucchiavano e coppiette che si adocchiavano nei corridoi, sorridendosi una specie di sorriso privato che sembrava voler dire noi sappiamo qualcosa che nessuno di voialtri sa, coppiette improbabili che si formavano solo perché c'era un ballo in arrivo e nessuno voleva andare da solo e coppiette ancora più improbabili che scoprivano che dopotutto andava bene anche così. Davvero. Anche se non era quello che nessuno dei due avrebbe cercato al principio, forse poteva funzionare lo stesso.
C'era chi andava con gli amici. Chi aveva trovato qualcuno all'ultimo minuto. Chi sapeva da sempre con chi sarebbe andato, perché, tanto, meglio andare con te che con un altro. C'era chi andava da solo: pochi, ma c'erano. L'intera Casa di Corvonero si era mobilitata per trovare qualcuno con cui andare, perché se Amelia Hughes era riuscita ad incastrare un compagno per il Ballo, allora, dannazione, andarci da soli sarebbe stato veramente, veramente, veramente da sfigati. L'invito ad Amelia aveva, tra parentesi, prontamente fatto guadagnare ad Anthony Tipperary la fama di ragazzo molto coraggioso. Chiunque, dovendo scegliere tra l'invitare al ballo la Hughes o invitare al ballo Piton... be', probabilmente si sarebbe rivolto a Piton. O sarebbe emigrato in Francia.
Angie aveva visto Harry Potter, solo pochi giorni prima, aggirarsi nel corridoio al terzo piano con aria sconfortata. Aveva per un attimo preso in considerazione l'idea di fargli i complimenti per la Prima Prova, che era stata qualcosa di... be', qualcosa di wow, ma poi aveva pensato che magari gli avrebbe dato fastidio, magari si sarebbe sentito in imbarazzo, e comunque perché avrebbe dovuto importargli dei complimenti fatti da lei?
Il castello stava venendo ripulito da cima a fondo. I professori erano su di giri – magari non Piton, ecco, ma tutti gli altri sì. Quasi tutti gli altri. Cioè, nemmeno Ruf. O la Cooman. Però gli altri sì – e gli studenti dal quarto anno in su erano tutti in frenetica attesa.
Angie non sapeva bene cosa provava in proposito. C'era dentro di lei una palla di gioia eccitata che fremeva e scoppiettava nei momenti più inopportuni al pensiero che c'era un ballo in arrivo, un vero ballo, e che Boosworth ci sarebbe andato con lei; certe altre volte, però, la palla sembrava raggrumarsi e comprimersi sotto ad uno strato opprimente di pensieri negativi. Aveva paura di fare brutta figura. Paura di essere brutta. Di essere ridicola. Se l'estate passata avesse cominciato già a studiare Occlumanzia con suo padre, come avrebbe dovuto, forse ora sarebbe stata maggiormente in grado di controllare tutte quelle terribili, rigonfie sensazioni che minacciavano di farle implodere il cuore...
- Ora puoi guardarti. - le disse Amelia.
Nello specchio c'era una ragazza con gli occhiali, minuta e dalle guance rosate. Aveva gli occhi chiari, più grigio-verdi che non azzurri, e una spruzzata di lentiggini che le veniva direttamente da sua madre sparpagliata tra il naso e le guance. Amelia aveva raccolto i suoi nuovi, lunghissimi capelli biondi in una treccia che le aveva arrotolato attorno alla testa.
- Sono una principessa. - bisbigliò Angie, il tono estasiato. Sorrise incantata ad Amelia, attraverso lo specchio, e la ragazza ricambiò il sorriso con inaspettata gentilezza.
- Certo. - le disse questa, in un tono affettuoso che era in effetti molto poco amelioso: e subito dopo, quasi se ne fosse resa conto, aggrottò la fronte e le assestò una spintarella. - Se hai finito di sbavare sul tuo riflesso, adesso, togliti dai piedi. Tocca a me usare lo specchio!


- Clare, hai visto la mia spazzola?
- Ce l'ha Amelia!
- Amelia, hai visto la mia spazzola?
- E' sul letto!
- Quale letto?
- Merlino, ce ne sono quattro in totale, uno, due, tre, quattro, ce li hai gli occhi per... Vuoi toglierti da davanti allo specchio, Angie? Perché sei di nuovo qui?
- Amelia, non trovo la mia spazzola! So che ce l'hai tu! Dove l'hai nascosta?
- Non adesso, Esther!
- Sembra che un uccello abbia fatto il nido nei miei capelli! Ho bisogno della mia spazzola! Ora! Adesso! Subito! Dov'è? Chi l'ha presa? Che fine ha fatto?
- E' sul letto!
- Non è sul letto!
- Angela Abygail Glacenspark, per l'onnipotente Merlino, spostati! Fai spazio! Sciò! Esther, continua così e sperimenterò su di te l'Incantesimo del Fango Istantaneo! Erano settimane che cercavo una cavia!
- Non oseresti!
- Ho trovato la tua spazzola, Esther!
- Era ora! Dov'era?
- Sul letto!

- Non mi entra. Non mi entra. Non mi entrerà mai.
- Su, su. Basterà che tu trattenga un po' il fiato mentre noi chiudiamo i bottoni.
- Sto già trattenendo il fiato!

- Forse un Incantesimo Tagliuzzante...
- No, Clare. La tua gonna non può essere scorciata più di così. La McGranitt toglierà diecimila punti a Corvonero se dal fondo del tuo vestito si vedono le caviglie.
- Ma così non si vedono le scarpe!
- Le tue scarpe non si vedranno, Clare. Rassegnati.
- Miseria, ragazze, Janice Hill dà l'impressione di essere esplosa nel suo vestito!


Doveva essere impazzita, pensò Angie scendendo le scale – con molta, molta, molta cautela. Se non fosse stata cauta, c'erano ottime possibilità che il suo vestito si sarebbe impigliato in qualcosa, nella balaustra, nel piede sporgente di un'armatura, nelle scarpe di qualcun altro, in Pix: e lei non voleva che il primo ricordo che avrebbe conservato del Ballo del Ceppo fosse un enorme capitombolo giù per le scale di Hogwarts, nel quale avrebbe probabilmente coinvolto, vista la ressa, almeno una mezza dozzina di persone.
Doveva essere impazzita. Le sue scarpe avevano troppo tacco. Il suo vestito era troppo lungo. Sarebbe inciampata. Sarebbe rotolata giù.
- Respira, Angie, respira. - le bofonchiò Amelia. - O ti verrà un attacco.
- Se io respiro, il vestito scoppia. - bisbigliò Esther.
- Tu continua a trattenere il fiato, Esther. E non mangiare niente prima che la festa sia finita.
- Non mangerò mai più niente, lo giuro...
- C'è Kayle. - sussurrò Angie. I suoi occhi erano stati attirati da lui, nella folla ai piedi della scalinata, come un magnete da un pezzo di ferro: il ragazzo alzò la testa e le sorrise, e le venne incontro, ed Angie si sciolse. Sgocciolò giù per i gradini in forma fusa e gli si fermò davanti.
- Ciao. - le disse lui con disinvoltura. - Stai molto bene.
Lui stava molto più che molto bene. Lui era bellissimo. Angie sentì le ginocchia tremarle.
- Anche tu. - balbettò.
Qualcuno passò accanto ad Angie e le assestò una lieve gomitata, come per caso: lei alzò la testa e vide la lunga massa corvina dei capelli di Amelia allontanarsi in mezzo alla folla. Si schiarì la voce, cercando di riprendersi, e ritentò:
- Sei... molto elegante.
Kayle le rivolse un sorrisetto malizioso e divertito:
- Grazie. Be', era lo scopo del Ballo, credo. Farci vestire eleganti. - Inarcò un sopracciglio, fissando un punto proprio oltre la testa di Angie, e la sua voce si fece sarcastica: - Non tutti devono averlo afferrato, comunque.
Girandosi, Angie vide la testa rossa di Qualchecosa Weasley, l'improbabile amico del cuore di Harry Potter, farsi strada goffamente attraverso la folla. Sembrava che qualcuno avesse lanciato un Incantesimo Tagliuzzante sul suo vestito, più sulle maniche e sul collo che all'estremità, in effetti. Sembrava anche che quel qualcuno si fosse dimenticato di ricucirgli i bordi, poi.
- Potrebbe essere una, ecco, una nuova moda? - azzardò.
Le sopracciglia già inarcate di Kayle si sollevarono di un altro centimetro. Angie riuscì a restare seria per esattamente mezzo secondo, prima d'arrendersi e ridacchiare:
- D'accordo, forse non è una nuova moda.
- Forse è caduto su un paio di forbici senza accorgersene. Un paio di forbici molto aggressive. D'altra parte, forse non dovrei parlare dei Grifondoro... - Kayle aggrottò la fronte, prima di indicarle con un cenno del capo e con un sorriso immensamente beffardo qualcuno solo qualche passo più in là: - … quando abbiamo proprio di fronte a noi un'adorabile coppietta di rospi Trasfigurati di fresco. Non sono meravigliosi?
Erano Victor Tiger e Gregory Goyle, di Serpeverde. Angie sapeva perfettamente chi fossero; tutti sapevano perfettamente chi fossero. Grandi, grossi e ottusi, avevano tormentato, minacciato ed intimorito ogni studente del primo anno da quattro anni a quella parte. Fortunatamente erano più scemi che cattivi, e trascorrevano tutto il loro tempo con una specie di gran pallone gonfiato biondino che camminava sempre come se qualcuno gli avesse appena piantato un manico di scopa su per il...
Angie si schiarì la voce:
- Non c'era una qualche specie di regola Serpeverde che diceva che non si parla mai male dei membri della propria casa?
- Mai esistita. - replicò Kayle, serenamente. L'afferrò per un braccio, mentre parlava, e cominciò a guidarla con disinvoltura attraverso la folla. - E, se è esistita, dev'essere stata rimossa prima che io entrassi ad Hogwarts.
Angie ridacchiò di nuovo:
- Davvero?
- Assolutamente. - Kayle le rivolse un sorriso abbagliante al di sopra di una spalla: - Dì un po', ho la faccia di qualcuno che potrebbe prenderti in giro, io?
Ad Angie fu risparmiato di dover rispondere dalla calca rumorosa e caotica che si stava facendo largo in quel momento nella Sala Grande. La folla si aprì davanti ai Campioni del Tremaghi e Kayle la tirò da una parte per non mandarla a sbattere contro i battenti spalancati.
- Ad insegnare a Potter a ballare dev'essere stato un babbuino. - commentò Kayle dopo un attimo, con pesante sarcasmo. - Dicono che viva con dei parenti Babbani. Forse a loro minuzie quali la danza non interessano.
Angie sentì una specie di brivido gelato scenderle giù per la schiena e prendere forma nel suo stomaco.
- Mia madre è Babbana. - affermò in tono piatto.
Kayle si girò e le sorrise:
- Lo so.
Il gelo si dissolse in una nuvola di scintille.

Si godettero la cena ad un tavolo pieno di Tassorosso. Kayle aveva storto il naso, ma i Serpeverde non erano in linea di massima le persone più simpatiche di questo mondo – specialmente quando non volevano esserlo – e sedersi con i Corvonero non sarebbe stato giusto verso di lui. I Grifondoro, poi, sapevano essere molto noiosi quando c'erano dei Serpeverde di mezzo. Questo lasciava tra le opzioni possibili solo i Tassorosso. Amelia ed Anthony erano venuti a sedersi al loro stesso tavolo, solo qualche posto più in là: dalla sua postazione Angie riusciva a vedere la testa corvina di lei posata alla mano in una postura distratta, mentre il ragazzo si girava a guardarla e le diceva qualcosa. Amelia era pallida e bella nel suo vestito blu scuro, la stoffa di raso che scintillava debolmente alla luce delle candele e che dava, per contrasto, riflessi violacei ai suoi lunghissimi capelli neri. Ad una prima occhiata si sarebbe detto che fosse profondamente annoiata, l'espressione sarcastica e le labbra tirate – ma Angie la conosceva da sei anni. Angie la conosceva meglio di quanto non la conoscessero i suoi stessi fratelli.
Qualcosa le diceva che Amelia Hughes non avesse avuto alcun bisogno di ricattare Anthony Tipperary, per convincerlo ad accompagnarla al ballo.
- La tua amica è tremenda. - le mormorò Kayle in un orecchio. - Dov'è andato a finire quell'eccellente piano che prevedeva una manciata di cicuta e una tazza di porridge?
- Non l'ho ancora messo in pratica. - bofonchiò Angie. Amelia scelse proprio quel momento per alzare lo sguardo, adocchiare lei e Kayle e rivolgerle il sorrisetto più malizioso, beffardo ed allusivo che si fosse mai visto. - Probabilmente lo farò domattina.
Le sopracciglia di Kayle schizzarono verso l'alto:
- Il giorno dopo Natale? Poetico e spietato, mi piace.
Sparlarono dei vestiti del Preside davanti a due piatti pieni di bistecche e patate al forno. Sparlarono dell'improbabile cappello della McGranitt sopra alle fette di torta al cioccolato. Sparlarono dell'espressione beota di Roger Davies mentre i Campioni del Tremaghi aprivano le danze, e poi di Madame Maxime e di quel Karkaroff, lì, che aveva il naso più orribile che Madre Natura avesse mai progettato. Era più brutto di quello di Piton, e questo era tutto dire.
Sparlarono e sparlarono ed Angie si rese conto, mentre Kayle la tirava verso la pista da ballo, zigzagando con disinvoltura tra le coppie già in movimento, che avevano parlato per ore e che nessuno dei due sembrava essersi annoiato. Kayle le strinse una mano con una delle sue, le posò l'altra sul fianco, poi iniziò a girare sul posto: Angie lo seguì goffamente, cercando di non inciampare sui suoi stessi piedi. Arrossì ferocemente, ad un certo punto, quando si mosse un po' troppo e un po' troppo in fretta e Kayle le montò sulla gonna, facendola barcollare. L'immagine mentale improvvisa di un babbuino danzante quasi la fece gemere ad alta voce: ma il ragazzo sorrise, solo, e la strinse un altro po'.
Era così che doveva essere il Paradiso, pensò Angie, con la musica e la gente che ballava e il suo vestito bellissimo sotto ai capelli lunghi e biondi da principessa, e Kayle che la guardava e che sorrideva.
Quando la musica fece una pausa e le danze si fermarono per un attimo, una coppia si avvicinò loro facendosi largo in mezzo alle altre: Angie riconobbe con stupore Barry il Grifondoro, che indossava un elegante vestito rosso ed era accompagnato da una ragazza dal sorriso allegro e dagli occhi celesti. Quest'ultima guardò Angie dritta in faccia e le fece l'occhiolino.
Barry rivolse un rigido cenno del capo a Kayle – estremamente rigido e, ecco, quello era il problema con i Grifondoro – e poi uno più gentile ad Angie.
- Potrei chiederti il prossimo ballo?
Angie rivolse un'occhiata titubante a Kayle. Il ragazzo parve esitare per un attimo, ma solo per un attimo, prima di rivolgerle un sorriso rassicurante. Angie gli strinse la mano e si girò verso Barry:
- Sicuro.
La ragazza che era con Barry ridacchiò apertamente. Sia Angie che Barry arrossirono fino alla radice dei capelli: Barry le rivolse un'occhiataccia e la sconosciuta, imperturbabile, agitò una mano verso di lui in un gesto malizioso e divertito, prima di girarsi e di farsi largo in mezzo alla folla, allontanandosi.
Ballare con Barry avrebbe potuto rivelarsi un'esperienza estremamente imbarazzante, ponderò Angie. Kayle era rimasto da qualche parte a bordo pista e lei rimpianse per un attimo di non essere ancora lì con lui, a girare, girare, girare; ma Barry aveva un'espressione così contenta che lei proprio non riusciva, in tutta franchezza, ad essere irritata con lui.
- Lei si chiama Catherine.
Angie gli rivolse un'occhiata interrogativa:
- Scusa?
- Catherine. - ripeté Barry. E poi, sorridendo a disagio: - La mia, uh, sai, la mia seconda scelta. Siamo solo amici.
Angie arrossì, di nuovo e più ferocemente:
- Oh. Ok.
- Tu e Boosworth non siete solo...? - invece che concludere la frase, Barry cercò di spiegarsi con un gesto vago della mano; ma davanti all'espressione di Angie si affrettò ad aggiungere: - Non che siano affari miei!
Rimasero in silenzio per un attimo. Kayle l'aveva tenuta stretta contro di sé, il braccio sinistro avvolto dietro alla sua schiena; Barry, invece, le aveva posato appena la punta delle dita sul fianco, con estrema discrezione. Ballare così sembrava più formale.
- Stai... sei bella. - disse Barry alla fine, la voce rauca. Schiarendosi la voce, domandò: - Che fine hanno fatto gli occhiali?
- Sto usando un Incantesimo d'Invisibilità per nasconderli. - gli spiegò Angie, un poco stordita. Il complimento inaspettato le aveva mandato tutto il sangue alle guance. Sei bella non era stai molto bene. Sei bella era, soprattutto se pronunciato in quello specifico tono usato da Barry, qualcosa che sembrava provenire da un altro universo... ed Angie non era certa di cosa fosse opportuno rispondere ai segnali alieni.
Trascorsero il resto del giro di ballo in silenzio; e, quando la musica si affievolì di nuovo, gradatamente, Barry le trattenne il polso per impedirle di staccarsi subito:
- Posso farti una domanda?
Angie annuì.
- E' Boosworth che stavi aspettando? Sai... quando ti ho chiesto di venire al ballo con me. In biblioteca. La settimana scorsa.
Angie annuì di nuovo.
Barry parve pensarci su per un attimo. Alla fine, sorrise.
- Sono contento che ti abbia invitata.
Le rivolse un cenno del capo che pareva più un mezzo inchino, prima d'arretrare d'un paio di passi e girarsi. Angie lo guardò allontanarsi, una sensazione confusa di farfalle elettriche impegnate nel suo stomaco a sfregarsi l'una contro l'altra. Sono contento si mescolò con sei bella, e sembrava incredibile che appartenessero allo stesso sistema solare di Barry il Grifondoro.
Ma poi vide Kayle venirle incontro, facendosi largo in mezzo alla folla. Come quella prima volta nel cortile sotto l'aula di Incantesimi, come ai piedi delle scale a inizio serata, tutto quel che non era lui, nel mondo di Angie, passò discretamente sullo sfondo.





Note del capitolo: Buon Natale, ragazzi.

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Capitolo 3
*** L'ultima grande avventura ***





Capitolo 3
L'ultima grande avventura




Era in piedi sui gradoni dello stadio di Quidditch ed aspettava che il Campione del Tremaghi uscisse dal labirinto della Terza Prova.
Era una bellissima serata di inizio estate e tutti erano felici ed eccitati; le bandiere che sventolavano dagli spalti avevano i mille colori di una primavera fiorita, ed era come essere tornati nella Sala Grande la sera del Ballo del Ceppo, così, con un'ondata di stoffe a danzare nel vento. Quando in un lampo di luce Harry Potter e Cedric Diggory riapparvero proprio davanti alla tribuna dei giudici, tutto lo stadio esplose in un enorme applauso. Angie sentì Clare strillare il nome di Diggory, alla sua destra, e le fanfare della banda attaccare a suonare; si alzò in piedi e Amelia brontolò:
- Io avevo puntato venti Galeoni sulla Delacour...
Nel mezzo di quel caos festoso la consapevolezza che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato aveva raggiunto lei e tutti gli altri solo gradualmente: quando Cedric Diggory non si era alzato in piedi, quando Harry Potter era strisciato goffamente verso di lui, quando qualcuno era scoppiato in lacrime, giù nello stadio, qualcuno che era abbastanza vicino ai due Campioni da vederli bene...

Era nel soggiorno della sua casa nel Somerset.
Suo padre stava versando ricordi argentati nel Pensatoio di famiglia: l'oro e gli smalti della coppa intarsiata sembravano scintillare nel riflesso come una torcia accesa.
- Devi andare via. - le aveva detto.
Angie aveva paura di andare via. Angie non voleva lasciare la sua casa. Angie non voleva lasciare la sua piccola, ostinata madre, Angie non voleva lasciare suo padre. Angie non voleva rischiare di diventare tutto quel che sarebbe rimasto di Hyerolfus Glacenspark e di Ellen Baldwin.
Ma:
- Preferisco saperti al sicuro. - le aveva detto suo padre, ancora. - Ho bisogno di saperti al sicuro, Angela.
Hyerolfus ed Ellen desideravano essere certi che qualcosa di loro sarebbe rimasto, in un modo o nell'altro, in una forma o nell'altra. Che non tutto quello che erano stati sarebbe andato perduto.
Angie aveva paura di andare via. Angie aveva paura di lasciarli. Angie aveva ancor più paura di deluderli.
E così, per farli felici, li aveva abbandonati.

Era in una catapecchia nel mezzo del niente.
C'era il verde della primavera fragile e nebbiosa di Scozia, fuori dalla porta, la luce grigia dei primi giorni piovosi di aprile. C'erano le boccette allineate al piano di sopra e le nuvole in corsa sul cielo limpido.
C'erano i Ghermidori dentro la stanza, ed Angie aveva pensato che finiva lì e che finiva così, malgrado tutto quel che Hyerolfus aveva desiderato, malgrado tutto quel che lei aveva fatto per accontentarlo. Aveva stretto la bacchetta con le dita che le tremavano ed aveva cercato di ricordarsi almeno un incantesimo che potesse esserle utile, qualsiasi cosa che potesse rallentarli e fermarli e mandarli via: ma poi uno dei Ghermidori aveva riso, ed un altro aveva fatto una battuta oscena. Angie aveva avuto voglia di piangere. Aveva tremato e la bacchetta quasi le era sfuggita dalle mani.
Però c'era sempre suo padre, in un angolo della sua testa, che le diceva di andare via e di salvarsi. C'era il viso di sua madre, da qualche parte lì accanto, e né lei né lui respiravano più, adesso. Angela era tutto quel che c'era. Tutto quel che era rimasto.
- STUPEFICIUM! - aveva strillato. I Ghermidori non dovevano essersi aspettati resistenza: uno di loro era volato via, e gli altri avevano fatto un balzo indietro. Portavano tutti una maschera e un mantello, che non erano quelli dei Mangiamorte, ma ci assomigliavano. Era difficile distinguerli, così, era impossibile vedere le loro espressioni: ma era parso evidente che la reazione di Angie dovesse averli fatti arrabbiare tutti.
Angie aveva fatto per puntare di nuovo la bacchetta, quando un incantesimo lanciato nella sua direzione gliel'aveva fatta saltare via di mano. Si era tirata indietro, le braccia strette attorno al petto e brividi lunghi giù per la schiena, giù per le gambe, tanto forti che non credeva che le ginocchia avrebbero sorretto il suo peso ancora per molto.
Uno dei Ghermidori si era fatto avanti tra gli altri. Angie aveva alzato una mano per difendersi, per respingerlo. Aveva pensato a quel che suo padre e sua madre avrebbero detto, avrebbero pensato, a sapere che il loro sacrificio aveva portato solo a questo: ad una brutta morte in una catapecchia, ad una morte da sola in mezzo al niente. Avrebbe preferito mille volte andarsene con loro. Davanti alla bacchetta puntata si era aspettata che fosse la Cruciatus – l'aveva provata una volta sola proprio agli inizi della guerra, nel caos di una retata ad Hogsmeade, e l'esperienza le aveva sedimentato in profondità una stramaledetta paura – ma la luce sulla punta era stata verdissima.
Le parole erano arrivate come una benedizione – anche se portavano la morte.
- Avada Kedavra!

Era in una...
Era nella catapecchia nel mezzo del niente.
Aveva scoperto di non essersi mai mossa da lì.

Era nella catapecchia nel mezzo del niente, ancora.
I giorni passavano tutti uguali. L'oggi era come il ieri, e non sembrava esserci speranza che il domani sarebbe stato diverso. Il cielo era sempre grigio. L'erba verde era alta e il vento vi sollevava nel mezzo onde d'alta marea, ma i fiori erano solo quelli dell'erica selvatica: duravano a lungo, ma non c'era molto colore, nel mezzo. Aveva cercato di allontanarsi dalla catapecchia ed aveva scoperto di non poterlo fare. Specchiandosi nel lago Angie non vedeva alcun riflesso, solo lo scintillio pallido di quelle che parevano una manciata di lucciole argentate.
I giorni potevano essere molto lunghi, le notti erano lunghissime e tutto rimaneva uguale.
Fino al pomeriggio in cui era arrivato Harry Potter.

Era in una casa scura nel mezzo di Londra.
Non sapeva bene dove fosse e non si era premurata di chiederlo perché non era come se importasse. Non importava. Davvero, non importava. Poteva permettersi di non saperlo.
Aveva Harry Potter –Harry – davanti a sé e gli stava confessando di aver avuto paura, tanta paura, un attimo prima di morire. Aveva tremato e aveva pensato che avrebbe supplicato i Ghermidori di risparmiarla e di non ucciderla e, soprattutto, di non farle del male.
Angie conosceva il suo assassino. Angie ne conosceva il nome, e la faccia, perché la voce che gridato le due parole che avevano tagliato via tutta la sua vita, tutti i milioni di miliardi di possibilità che avrebbe potuto avere davanti negli anni a venire che per lei non sarebbero mai trascorsi, era stata una voce familiare che risvegliava ricordi dei tempi di scuola. Erano stati compagni di classe. Avevano diviso gli ingredienti durante l'ora di Pozioni. Lo ricordava chino con la testa su un banco, rosso in faccia davanti alla McGranitt. Era parte di Hogwarts: ed anche se non erano mai stati veramente amici, persi nel mezzo del caos della scuola, erano stati compagni. Vicini.
Per un po' la voce dell'altro – voce da compagno di scuola, voce d'assassino – era stata l'ossessione dei suoi giorni da spettro: li aveva saturati di rabbia, ed Angie era stata piena di rancore, piena di delusione, piena di tristezza e di rimpianto... Ma aveva avuto tempo per vedere le cose in prospettiva. Aveva avuto molto tempo per perdonare.
Ricordava solo, adesso, che quella voce e quelle due parole le avevano permesso di morire senza violenza e senza sangue, senza dover gridare e piangere e urlare. Era morta in una catapecchia ed era morta da sola – ma non era stata una brutta morte. Il suo trapasso interrotto era arrivato privo di dolore e non era stato come morire veramente, così, più come... più come passare dall'altra parte.
Angie voleva davvero, davvero, davvero riuscire a passare dall'altra parte. Del tutto. Interamente. Stare a questo mondo era bello, ma sapeva che ci doveva essere altro ad aspettarla, dopo – e il suo vero tempo, qui, era finito.
- Anche io ho avuto molta paura di morire... - le stava dicendo Harry - ... e che facesse male. -
Angie se n'era sentita rincuorata.

Era davanti al Memoriale di Hogwarts.
Stava piangendo. Stava piangendo da un po'. Ogni tanto cercava di smettere, di fermare le lacrime, si premeva le mani inconsistenti contro la bocca per tenere dentro i singhiozzi – e si stupiva di poter provare tanto dolore. Non si era aspettata che ce ne fosse, dall'altra parte. Non si era aspettata di poter soffrire anche da morta.
Sulla lapide bianca c'erano una fila di nomi che non conosceva e una fila di nomi che conosceva, e c'era quello del buon professor Lupin da qualche parte lì nel mezzo, quello del professor Piton, meno buono, sicuro, ma il professor Piton!, e poi Anthony Tipperary, nella lista, e Barry Miller e Amelia Hughes, più giù, Amelia Hughes...
Non era giusto che fosse andata così, aveva pensato colma di dolore, non era giusto, non era giusto, non era giusto...

Era sulla riva di un mare grigio, bellissimo e inquieto.
C'era un profluvio di papaveri, drappeggiati sulla scogliera come un manto sontuoso e fiammeggiante, e nel mezzo di tutto quel rosso l'oro dei fiori d'erba medica formavano come un cielo invertito, un cielo in terra, stelle di semi e di verde e di sabbia. Le onde riflettevano le nuvole e il vento e si orlavano di spuma nel punto in cui andavano a spezzarsi sul bagnasciuga.
- Spero che tu non ti offenda, perciò... -aveva detto Angie. - … se dico che vorrei rivederti il più tardi possibile.
Harry le aveva sorriso. Era strano pensare a lui come ad Harry, semplicemente Harry, niente di più che Harry, ma andava bene così. Gli ultimi mesi erano stati strani: era stato come vivere una seconda, mezza, vita. Era stato come avere una possibilità di vedere tutto sotto un'altra luce. In un altro modo.
Nessun rancore, si era detta Angie, aggrappandosi a quel pensiero come ad un'ancora di salvezza. Nessun rimpianto.
- Ci rivediamo a King's Cross, Angie.
A King's Cross, aveva detto lei, sul binario 9 e ¾. Il treno per Hogwarts passava fischiando proprio in quel momento.


Si svegliò nel cortile delle coppiette sotto all'aula di Incantesimi. Doveva essere inverno, perché c'era una nebbia lieve e bianca a coprire in un drappo evanescente tutte le cose, a smussare e ingentilire i contorni antichi delle mura di Hogwarts e a trasformare le colonne del porticato in tronchi scuri di pietra, stranamente alti e lunghi e contorti, che si perdevano verso il cielo grigio. Angie si tirò a sedere e si sistemò distrattamente gli occhiali sul naso.
Le sembrava di aver dormito a lungo: ma, quando cercò di mettersi in piedi, scoprì di non sentirsi né stanca, né indolenzita, né, malgrado la neve spessa, infreddolita. L'aria aveva un buon profumo, lievissimo, che ricordava vagamente cioccolata e vischio: con uno spasmo di nostalgia che parve agitarle le viscere, Angie lo riconobbe come il profumo del Ballo del Ceppo – la torta nei piatti e le decorazioni verdi e odorose appese al soffitto, le fate scintillanti nelle loro sfere di vetro e Kayle Boosworth chino su di lei mentre ballavano, ballavano, ballavano. Si spazzolò i vestiti, una volta in piedi, e si accorse con infinita sorpresa di avere indosso il vestito verde pallido della festa, che, con le sue falde ampie e la sottile filigrana scintillante intessuta nella stoffa, faceva un ben strano contrasto con il cortile spoglio. Alzando la mano per strofinarsi il viso si trovò gli occhiali sul naso, però, e le dita che si fece passare sulla testa incontrarono capelli troppo corti per poter essere intrecciati.
Era come un mosaico di ricordi. Si guardò intorno, e non vide nessuno. Come un mosaico di ricordi fuori posto, i capelli corti dei giorni di scuola e le vesti del Ballo del Ceppo e l'odore e il cortile e la neve bellissima della Hogwarts d'inverno. Non ricordava come fosse arrivata fin lì e si chiese, dubbiosa, se la McGranitt si sarebbe arrabbiata per il ritardo – era lunedì, non era lunedì? I Corvonero avevano due ore di Trasfigurazione al mattino – e se le avrebbero tolto punti per il vestito, perché non era in divisa. Non ricordava di essersi cambiata, ma forse Amelia... forse uno scherzo...
- Ciao.
Colta di sorpresa dalla voce inaspettata, Angie lanciò un gridolino e fece un balzo indietro, girandosi freneticamente per vedere chi aveva parlato: con le mani tese avanti a sé ed un'espressione di scuse sul viso, Barry il Grifondoro ricambiò il suo sguardo.
- Barry...? - bisbigliò lei. Qualcosa nella sua testa l'informò nervosamente che c'era qualcosa di sbagliato nella situazione, ma la maggior parte dei suoi neuroni erano già troppo impegnati a cercare di elaborare una scusa plausibile per la McGranitt.
Il ragazzo le sorrise e ripeté:
- Ciao. - E poi, scuotendo la testa: - Scusa. Non volevo spaventarti.
- Non... non è colpa tua. - Angie si strinse le braccia attorno al petto. Il cortile sembrava più deserto del solito: era una sensazione strana da spiegare, e che aveva a che fare con la nebbia e il silenzio e con la sensazione confusa che non ci fosse nessuno dietro le finestre della classe di Incantesimi, ma proprio nessuno. - Mi hai presa un po' di sorpresa, tutto qui. Sai, uh, sai che ore sono? Credo di essere in ritardo...
Barry la guardò in silenzio per un istante. Angie ebbe l'impressione di vedere qualcosa di incomprensibile passargli fugacemente nel fondo degli occhi – era stata pietà, quella? Pietà? – ma non ebbe il tempo di farsi domande in proposito, prima che Barry le chiedesse:
- Sai come sei arrivata qui, Angie?
Angie realizzò che Barry non l'aveva mai chiamata per nome, prima. Era un pensiero strano. Realizzò anche che c'era qualcosa di bizzarro nella domanda, nello sguardo, nella situazione, ma non riusciva proprio ad afferrare di cosa si trattasse:
- Amelia. - tentò, cautamente. - Uno scherzo...
Barry scosse la testa.
- No?
Barry la guardò.
E improvvisamente tornò tutto: la catapecchia e il Pensatoio e la luce verde, la guerra, fuggire, Harry Potter, ricordi in bottiglia, la ciminiera riflessa nel lago grigio, la voce di suo padre che la pregava di vivere e quelle due parole che l'avevano... l'avevano...
- Cribbio. - esalò. Le passò per la testa, nel mezzo della confusione che sembrava aver annichilito qualunque altro pensiero, che cribbio non era precisamente la parola più adatta a definire il concetto; ma non gliene vennero in mente altre e così lo ripeté: - Cribbio.
Barry le rivolse il più triste dei sorrisi.
- Mi dispiace. - Si passò una mano tra i capelli, goffamente. - Mi dispiace tanto, Angie.
- Questo vuol dire ha funzionato? Voglio dire, il ricordo... Harry... ha funzionato? Sono morta? Ma già mentre lo diceva si rese conto che era la domanda sbagliata. Era già stata morta. Aveva avuto solo bisogno di una spintarella per poter passare del tutto oltre. E poi Angie guardò Barry e si ricordò di aver visto il suo nome sulla pietra del Memoriale, perso nel mezzo di una lista che era sembrata non avere mai fine.
- Oddio... - bisbigliò, lo stomaco e il petto pieni d'un improvviso orrore che non era stato lì nemmeno nell'istante in cui aveva realizzato il proprio stesso trapasso. - Barry. Tu sei morto.
Il sorriso di Barry si fece un po' più ampio. Il ragazzo strisciò un piede per terra, a disagio, ed Angie si accorse per la prima volta che anche lui aveva le vesti con le quali l'aveva visto al Ballo del Ceppo. Il ricordo della serata, bellissimo e lontano come una memoria di un milione di anni prima, portava con sé un carico di nostalgia struggente.
- Già. - replicò lui, scrollando le spalle. - Sono morto da un po'. Ti stavo aspettando.
Gli occhi di Angie si sgranarono:
- Aspettavi me?
- Be', sì. - Barry le rivolse un'occhiata di sottecchi. - C'erano molte persone che volevano venirti... venirti a prendere, ma... ecco, io speravo tanto di rivederti. Di rivederti qui.
La nostalgia in Angie si fece dolore:
- Qui?
- Qui. Prima di andare avanti, capisci? - Barry si esibì in un gesto vago.
- E dove si va, avanti?
Lui le sorrise:
- Possiamo andare a vedere insieme, se vuoi. Quando sei pronta.
Angie si strinse le braccia attorno al petto. La neve nel cortile sembrava vera, e così la brezza, l'odore. I vestiti sotto le sue dita sembravano veri, il lievissimo riflesso color del bronzo nei capelli di Barry sembrava vero: ma non era vero il freddo – che non si sentiva – né la nebbia, troppo lieve, troppo eterea. Si rese conto, tutto ad un tratto, che quel posto era un mosaico di ricordi – tutti i ricordi che voleva avere, di tutti i momenti in cui avrebbe voluto vivere.
Il dolore di tutte le possibilità perdute e irrealizzabili si fece atroce, per un attimo, intollerabile. Non era così che aveva immaginato che sarebbe stata la morte, così piena di mancanze, di cose vuote che nessuno avrebbe mai riempito, posti che non avrebbe mai visto, cose che non avrebbe mai fatto, figli che non avrebbe mai tenuto in braccio. Non si era sposata. Non era stata al fianco di Amelia il giorno del suo matrimonio. Non aveva dato un nipote ad Ellen. Non sarebbe mai entrata alla Gringott, c'era un posto di Spezzaincantesimi che non avrebbe mai avuto il suo nome sopra. Non avrebbe mai visto il tramonto dalla cima di una montagna. Mai fatto un bagno sotto ad una cascata in un posto dove gli alberi erano alti come colonne e verdi come il primo mare dell'alba. Mai diviso odore e sudore, la notte, con qualcuno che avrebbe scelto per sé.
Il dolore di tutte le possibilità perdute e irrealizzabili si fece atroce, per un attimo, intollerabile: ma poi Barry si allungò e le prese la mano, ed anche il dolore parve stemperarsi in quella stretta.
- Mi dispiace. - le disse lui, e si vedeva che gli dispiaceva veramente.
Angie scosse la testa.
- Mi stavi davvero aspettando? - bisbigliò.
Sentiva qualcosa di umido bagnarle il viso: dovevano essere lacrime e – e si poteva piangere, dopo? Dall'altra parte della morte, si poteva provare ancora tutto questo dolore?
Barry le accarezzò le guance con cauta gentilezza, usando una manica per asciugarle, e rispose:
- Ti avevo detto che non mi dispiaceva essere la tua seconda scelta.
E le aveva detto che era bella. Che era felice se lei era felice. Che poteva aspettare. Angie si guardò intorno – fioccava la neve nel cortile, lievissima e impalpabile, eterea come una pioggia di minuscole scintille bianche – e gli strinse la mano tra le proprie. Sotto al porticato si addensavano ombre buie che non sembravano nascondere incubi e paure, nulla che fosse spaventoso: solo troppa malinconia, una lunga scala che saliva verso l'alto, verso le sale di Hogwarts, e l'incognita più grande che si potesse immaginare, lì, in cima agli scalini.
- Credi, uh... credi che potresti baciarmi? - chiese a Barry. - Mi piacerebbe se tu mi baciassi. Adesso. Qui.
Barry parve sorpreso, per un attimo; ma poi tutto il suo viso sembrò trasfigurarsi per la felicità, e quando si chinò su di lei, con le labbra fresche, il respiro tiepido, le guance calde e arrossate, goffo e impacciato ed era bellissimo così, i loro nasi sbatterono l'uno contro l'altro. Angie rise. Alzò la testa per andargli incontro e baciarlo, e gli tenne le mani, perché quello poteva essere il suo ultimo bacio – ed era il primo che dava a Barry, doveva essere una cosa speciale. Quel che restava del dolore sporco delle possibilità perdute si sciolse e scomparve.
Quando fu finita, Barry esitò per un attimo con la fronte contro quella di lei.
- Grazie. - bisbigliò ad occhi chiusi.
Lei scosse la testa:
- Non dirmi grazie.
Barry aprì gli occhi e la guardò. Così da vicino Angie scoprì che aveva degli occhi bellissimi, molto, molto, molto blu. Gli sorrise, e lui ricambiò.
- Vogliamo andare?
Angie annuì:
- Credo di essere pronta.
Si tennero per mano mentre attraversavano il cortile. Angie passò le dita tra le colonne sotto al porticato e non fu stupita quando queste parvero attraversare la pietra senza incontrare resistenza. Sorrise alla vista dell'espressione curiosa di Barry, ma non gli disse niente.
- Sai...? - iniziò lui dopo un attimo di silenzio, il tono incerto. - Boosworth è vivo. Non ha partecipato alla Battaglia. Sta bene.
Angie annuì. L'esitazione di Barry durò più a lungo, e la sua incertezza apparve più evidente, prima che parlasse ancora:
- Anche Singh-Powell è sopravvissuto. Non ha mai preso parte a nessuno dei veri scontri.
Angie ricordò la voce che aveva pronunciato le due parole che avevano posto fine a tutta la sua vita. Irvine Singh-Powell, Tassorosso, quello che nella sua memoria aveva la testa china su un calderone nell'aula di Pozioni o un mantello nero da Ghermidore, indistintamente, passando dall'una all'altra forma senza soluzione di continuità. Ricordò di aver provato rancore, e odio, e di avere desiderato che morisse e soffrisse per quel che le aveva tolto. Ricordò anche di aver provato gratitudine perché quel che le era stato tolto non era stato tutto: aveva potuto morire senza dolore. Morire senza il terrore di una orribile, orribile, ferocissima morte.
- Lo so. - replicò perciò, serenamente. - Neanche il suo nome c'era, sul Memoriale.
Barry esitò:
- Il Memoriale...?
Angie gli strinse la mano e ridacchiò:
- E' una lunga storia.
Le pieghe d'incertezza sulla fronte di Barry si rilassarono:
- Me la racconterai?
Angie aveva già un piede sul primo gradino. La scalinata che si stendeva di fronte a lei, salendo, sembrava non avere fine: ma lei sapeva che doveva essere solo un'impressione, quella, niente di cui avere veramente paura. Niente da temere.
Si girò e sorrise a Barry dagli Occhi Blu, Barry il Grifondoro. Niente da temere. Nessuna possibilità perduta. Tutto quel che aveva potuto fare, lo capì con la mano di lui nella propria, era già stato fatto.
- Suppongo di avere tutto il tempo che occorre per raccontartela bene.


“In fin dei conti, per una mente ben organizzata, la morte non è che una nuova, grande avventura.”







Note della storia: L'8 Gennaio 2011, un'ora prima di mezzanotte, si spegneva mia nonna, la madre di mia madre.
Dal 1929 ad oggi era passata attraverso una lunga guerra, una brutta malattia che nessuno dovrebbe avere mai ed ottant'anni abbondanti di una vita piena, non sempre facile, sempre estremamente attiva. Sperava di morire a pancia piena e di non pesare mai su nessuno in vecchiaia: non è stata accontentata né nell'una, né nell'altra cosa, ma ho la certezza che adesso non se ne sta troppo male, ovunque lei sia, con chiunque lei sia.
Personalmente, avrei voluto pesasse da queste parti un altro po'; ho cominciato a pensare da qualche tempo a questa parte, tuttavia, che la cosa migliore che si possa fare da vivi sia godere di quel che c'è finché ce n'è.

… ad ogni modo, per essere uno che parlava tanto bene dell'ultima, grande avventura, Silente il suo treno l'ha fatto aspettare parecchio a lungo, eh?

Come già accennato nelle Note nel primo capitolo, quest'ultima parte è probabilmente incomprensibile per chiunque non abbia letto Prima di King's Cross: desideravo regalare una conclusione, tuttavia, a tutti coloro che mi hanno lasciato il loro apprezzamento per quella storia, per ringraziarli delle loro meravigliose parole, del loro supporto, della gentilezza dimostrata.
Grazie a tutti voi.

Ne approfitto per segnalare che io e l'amabile dierrevi abbiamo iniziato a Pseudopolis Yard una piccola raccolta ispirata ad uno dei personaggi che più abbiamo amato nelle pagine di Terry Pratchett - e a tutti quelli che abbiamo rimpianto in quelle di J.K.Rowling. Giusto per fare un po' di Pubblicità Progresso!

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