Opera in musica

di WYWH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Overture ***
Capitolo 2: *** Aria: Madamina, il catalogo è questo ***
Capitolo 3: *** Corale: Libiamo ne' lieti calici ***
Capitolo 4: *** En Travesti: Calbo ***
Capitolo 5: *** Recitativo: Don Magnifico e le figlie ***
Capitolo 6: *** Tagli: Alfredo & Annina ***
Capitolo 7: *** Cabaletta: La Cenerentola ***
Capitolo 8: *** Intervallo ***
Capitolo 9: *** Sillabato: Falstaff ***
Capitolo 10: *** Terzetto: Ping, Pong, Pang ***
Capitolo 11: *** Il Trillo: Amalia ***
Capitolo 12: *** Habanera: l'amour est un oiseau rebelle ***
Capitolo 13: *** Aria: Agitata da due venti ***
Capitolo 14: *** Cavatina: Lindoro ***
Capitolo 15: *** Duetto: Tristan Und Isolde ***
Capitolo 16: *** Duetto: Tristan Und Isolde (IIa Parte) ***
Capitolo 17: *** Intervallo (II) ***
Capitolo 18: *** Recitativo e Aria: Lascia ch'io pianga ***
Capitolo 19: *** La Fuga: Toccata e Fuga in Re Minore ***
Capitolo 20: *** Finale: Vicino a te s'acqueta ***
Capitolo 21: *** Epilogo: Applausi ***



Capitolo 1
*** Prologo: Overture ***


Opera in musica

 

Prologo: Overture

 

Era stato un matrimonio felice, nessuno poteva negarlo: i cinque anni più belli della loro vita. Ma sfortunatamente ogni cosa finisce, e così accadde anche a loro, nonostante tutti erano sempre stati convinti che loro due sarebbero stati insieme anche fossero arrivati i Maya.

Sanae, in prima linea, aveva sempre fatto il tifo per loro: come sempre, lei faceva “l’invincibile paladina”, o più comunemente “lo Tsunami”, e Yayoi sorrise amara pensando che, quando sarebbe venuta a sapere quello che era successo, alla sua amica gli sarebbe venuto un colpo, per poi prendere il telefono e bombardarla di chiamate.

La porta si aprì in quel momento, e il sorriso scomparve, alzando il capo per riconoscere la figura di Jun che entrava nello studio, come al solito gl’impegni lo avevano fatto tardare, come avrebbe affermato nei secondi successivi.

-Scusate il ritardo, ho avuto un impegno di lavoro.-

Yayoi avrebbe sorriso se la situazione non fosse stata così spinosa: l’ultima firma nelle carte del divorzio, un’ultima firma e poi nessuno dei due avrebbe avuto motivo per vedere l’altro. Ma anche in quel momento, la donna conosceva bene i pensieri del marito.

O meglio, ex-marito. Sospirò, cercando di accomodarsi su quella poltrona, ma le parve fatta di spilli e chiodi.

Era strano, ma in quei momenti, mentre Jun si accomodava sulla sedia, elegante come sempre, a Yayoi veniva in mente solo il giorno che si erano conosciuti, quando lei si era presentata in classe e si era accomodata sul banco proprio accanto a quello dell’uomo, che allora era stato un ragazzino dal fragile cuore; e lei in tutti quegl’anni, aveva conosciuto a menadito ogni angolo di quel cuore, innamorandosene.

E ancora adesso Yayoi amava profondamente Jun.

Per tale motivo accettava anche questo, il divorzio.

Lanciò un’occhiata di sottecchi, per vedere l’uomo alla sua sinistra, notandone subito i pantaloni, la giacca e le scarpe, il nodo della cravatta e i gemelli sui polsini; era sempre stato un uomo ordinato ed elegante nel vestire, e una piccola delusione della donna era sempre stata quella di non poter mai aggiustare niente nel vestito di suo marito, come si vedeva nei telefilm o nelle coppie da tempo sposate. Anzi, spesso e volentieri, lei si era sentita a disagio nei suoi confronti, persino nell’abbigliamento; oltretutto la famiglia di Jun era sempre stata molto più agiata della sua, e si notava sempre quella sottile differenza

Yayoi sospirò senza fare alcun rumore, guardando l’espressione calma e seria del suo ex-marito mentre ascoltava le varie clausole dell’avvocato divorzista. Lei oramai le sapeva a memoria, era la quarta volta che si riunivano per discuterne, stomacandola completamente: Jun Misugi, delle volte, era troppo puntiglioso, oltre ad essere un gran testardo, ma la donna, anche in quel momento, non poteva negare che emanasse il solito fascino nei modi, nel rivolgersi alle persone, nel prestare loro la sua totale attenzione. Fin da piccolo aveva avuto questo talento di far sentire le persone importanti.

Al contrario, lei sembrava non sortire più alcun effetto su di lui. Forse perché era diventata solo un’ombra, e niente più.

Per questo divorziavano: Jun la stava lasciando perché lei non era più di alcuna utilità; oramai era guarito dai suoi mali fisici, e si erano sposati solo perché era un passaggio ovvio “del copione”, come oramai lei considerava la sua vita.

Ma non era stato ovvio il fatto che l’uomo si potesse stancare di quella farsa.

Yayoi, in quel caso, dava completamente ragione a Jun: era stata tutta una farsa, per tenersi buoni gli amici e colleghi, e loro l’avevano portata avanti come due bravi attori; ma ogni cosa aveva un finale, com’era giusto che sia.

Il punto era che la donna non sapeva proprio quando era cominciata, la farsa; sapeva solo che, un giorno, ad un certo punto, si era resa conto che l’affetto e l’amore dell’uomo nei suoi confronti si erano raffreddati, ed erano diventati simili all’affetto che un fratello poteva provare per sua sorella minore. Da lì in poi, le cose erano mostruosamente accelerate: le comunicazioni si fecero sempre più rade, gl’incontri si ridussero al minimo, ed ognuno si perse nella propria vita, al punto tale che, ora, quell’elenco di clausole parve inutile alla donna, la quale si limitò a chiudere gli occhi, prendendo un profondo respiro, aspettando pazientemente il suo turno di firmare.

-Ecco, una firma qui signor Misugi.-

Quando Jun prendeva una penna, ecco quello era l’unico momento in cui mostrava una certa grossolanità: era uno sportivo dopotutto, le poche volte che prendeva una penna era per firmare dei contratti di lavoro, e lo faceva sempre in modo sbrigativo e pulito. Lei, al contrario, per il diletto che provava nello scrivere, e soprattutto nel tenere in mano una penna, aveva imparato ad usarla in una certa maniera, e in quel momento quella penna elegante meritava di essere stretta in maniera rispettosa.

-Prego, signora Misugi.-

Alzò stupita lo sguardo all’avvocato, sentendosi chiamare in quel modo.

Una firma, e presto sarebbe tornata ad essere la signorina Aoba, e per quella clausola lei aveva fatto particolarmente pressione: non voleva, in nessun modo, avere legami di alcun genere con Jun, anche fosse stato il cognome. Non perché fosse arrabbiata o altro, ma perché non voleva stare male ogni volta che la chiamavano “Misugi”, un cognome che, in fondo, non le era mai appartenuto.

Non che non fosse affezionata alla famiglia, tuttavia tutto quello che erano lei non era mai riuscita ad esserlo: non era una persona particolarmente elegante, e oltretutto erano persone di un certo rango. La sua famiglia, al contrario, proveniva dalla campagna, dove tutti si conoscevano. Insomma, due mondi completamente diversi.

Ma chissà come, fino a quando non se n’erano resi conto era andato tutto bene; già, nell’adolescenza sembra sempre che tutto possa andare bene, e anche gli ostacoli più difficili possono essere superati senza problemi, com’era successo a Tsubasa e Sanae. Già, peccato che oramai erano diventati adulti, e la cecità dell’amore adolescenziale era svanita, almeno dagl’occhi di Yayoi. Forse per Jun non era mai esistita.

Eppure, solo per un momento, la donna ebbe remora di firmare quella carta, e questo non passò certo inosservato a Jun o all’avvocato; ma non era perché aveva cambiato idea su qualcosa, oramai la donna aveva accettato tutto, anche per sfinimento. È solo solo che, in una remota parte di sé, la donna ancora si ostinava a pensare che le cose si sarebbero risolte; che se magari gli avesse parlato a quattr’occhi, con calma, magari avrebbero fatto qualcosa per evitare tutto questo.

Non solo per loro stessi ...

E poi quello. Le succedeva sempre, quando non sembrava esserci soluzione al problema: all’improvviso, nella sua testa, cominciava a sentire una musica ritmata, allegra, che la faceva sorridere. Era una musica tratta da “L’Elisir D’amore”, forse la sua opera lirica preferita.

Jun, invece, non sopportava la lirica. E non sopportava gl’indecisi, ne coloro che cambiavano idea all’ultimo momento, proprio come era lei ora.

Al passato non si torna, così era solito dire Jun Misugi, e oramai quella formula era diventata parte di Yayoi; premette con forza la penna sulla carta, e con la sua veloce firma, la donna fermò il giradischi della sua testa.

Eh no, questa volta, cara Yayoi, non c’era possibilità che le cose si sistemassero, anche in quella situazione. Ma era giusto così, le cose dovevano andare così.

-Ecco a lei avvocato.-

-Grazie, signora. Bene, posso annunciare ad entrambi che il divorzio è fatto, vi manderò una copia dei documenti al più presto.-

-La ringraziamo avvocato.-

La donna si voltò verso l’uomo, che si stava alzando in piedi a stringere la mano all’avvocato. Ah, la cortesia di Jun: faceva sempre così quando erano in due davanti ad una persona estranea, l’uomo ringraziava, salutava e si scusava per entrambi, anche quando l’errore non era suo ma di Yayoi. E la donna ne aveva fatto di sbagli.

Entrambi strinsero la mano all’avvocato, uscendo fuori dallo studio in silenzio, come due perfetti estranei; oltre la porta elegante, Yayoi strinse le mani innervosita, sapendo che quella era l’ultima volta che vedeva suo suo marito.

Gli rivolse lo sguardo, e ancora una volta riconobbe quelle iridi color cacao, ora in un’espressione gentile ma distaccata, tipica di Misugi quando trattava con con estranei.

Oramai la tristezza era entrata dentro di lei già da tempo, ma quando vide quell’atteggiamento, proprio nei suoi confronti, sentì che il tempo uggioso fuori dal palazzo entrava dentro e avvolgeva i due sul pianerottolo.

-Bene Yayoi, spero spero tu possa avere una vita serena.-

-L’avrò Jun, tranquillo. Grazie di tutto.-

-Ciao Yayoi.-

Lui si sporse, regalandole un ultimo bacio sulla guancia, prima di andarsene di gran carriera, evidentemente aveva altri impegni: oltre ad essere calciatore era anche medico sportivo. La donna lo vide scendere le scale dell’edificio, e sulla rampa ne ammirò la schiena, coperta dalla sua bella giacca nera.

Ancora una volta la donna si prese un profondo respiro, e strinse la mano, gelida, sulla ringhiera, osservando l’uomo sparire dalla sua vista; non lasciò che la tristezza la facesse piangere, né alla rabbia di farla gridare. Non sarebbe servito a niente, l’uomo non sarebbe tornato indietro.

- addio, Jun Misugi. Andrà tutto bene.-

 

Tu, tu piccolo iddio!

Amore, amore mio,
fior di giglio e di rosa.
Non saperlo mai
per te, per i tuoi puri
occhi, muor Butterfly
perché tu possa andare
di là dal mare
senza che ti rimorda ai dì maturi,
il materno abbandono.

O a me, sceso dal trono

dell'alto paradiso,
guarda ben fiso, fiso
di tua madre la faccia!...
che te n' resti una traccia.

Addio! piccolo amor!

(Madama Butterfly, Terzo Atto, ultima scena)

 

**

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Capitolo 2
*** Aria: Madamina, il catalogo è questo ***


Aria:

Madamina, il catalogo è questo.

 

Cinque anni dopo …

 

Squillo a vuoto. Squillo a vuoto. Squillo a vuoto. Toh, segreteria.

Chissà come mai non ne era sorpresa.

*Salve, questa è la segreteria telefonica di Jun Misugi. Al momento non sono in casa, potete lasciare un messaggio dopo in segnale acustico. Vi richiamerò appena mi sarà possibile, grazie.*

Beep.

Adesso la sentiva.

-Jun Misugi, brutto cretino che non sei altro, vedi di tirare su la cornetta del telefono o di aprirmi la porta, o questa volta non te la caverai con una scusa qualsiasi!-

Ma niente, il silenzio assoluto dall’altro lato della cornetta, e poi la segreteria le chiuse la telefonata; la donna sospirò spazientita, chiudendo il cellulare e  incrociando le braccia, guardando la porta d’ingresso dell’appartamento, lasciando un’occhiata veloce al corridoio dietro di lei, voleva certo evitare di fare la figura della barbona con gli altri inquilini.

Oramai era da un’ora che bussava, ed erano spaventosamente in ritardo; sperava di svegliarlo telefonandogli, ma Jun quando dormiva non lo buttavano giù nemmeno le cannonate.

Meno male che aveva tenuto la chiave dopo aver lasciato Jun!

La recuperò dalla piccola borsa, ed aprì la porta, facendo prima una piccola preghiera perché la casa non fosse quel cesso che si ricordava dall’ultima volta che ci era stata; aprì lentamente, e non appena vide la gamba di un pantalone rovinata a terra, la donna perse tutte le speranze, aprendo con un colpo, facendo sbattere la porta contro uno scatolone da imballaggio, probabilmente pieno di cose delicate.

E lui lo teneva lì!

Sospirò pesantemente, chiudendo la porta e notando che le tapparelle erano ancora tutte chiuse.

-Jun? Jun dove ti sei cacciato?! Guarda che siamo in ritardo per la riunione.-

Sentì una specie di rumore gutturale, e lentamente cominciò a muoversi per la stanza, alzando per bene i piedi per non pestare nulla, una volta aveva provato a camminare in quel buio ed era finita con una scarpa nuova di zecca in un cartone della pizza semivuota.

Finalmente raggiunse la finestra, e tastando riuscì a trovare il pulsante delle tapparelle, avviandole e pregando nuovamente che quella stanza non fosse come si era immaginata.

Una linea orizzontale di luce solare di formò sul tappeto morbido, e subito individuò una scarpa slacciata, abbandonata a terra, e già pensò al peggio; fortunatamente non c’erano cartoni di pizza, bibite rovesciate o altre schifezze varie, ma solo abiti stropicciati scaraventati senza alcuna cura a terra.

E lì, abbandonato sul divano, con i chiari segni di una sbronza appena passata, Jun Misugi, l’uomo più disordinato che la donna avesse mai conosciuto.

Oramai la terrazza era completamente tirata su, pertanto la donna si avvicinò al grande e ampio divano, ammirando la sua maestà placidamente immersa nel mondo dei sogni; e lo ammise, in fondo Jun Misugi rimaneva sempre e comunque un bell’uomo, e quando dormiva era un piacere starlo a vedere.

Aveva trentadue, trentatre anni, ma sembrava sempre averne venti, con quel viso che molti uomini gl’invidiavano, perché sebbene avesse dei tratti marcati, come le sopracciglia e gli zigomi, aveva anche dei lineamenti dolci, che gli davano un’aria sempre giovane, quasi adolescenziale.

Si, era bello. Bello … e tremendamente disordinato, sconclusionato e avventuriero; anche per questo motivo lei aveva preferito chiudere la loro storia prima che fosse troppo tardi: meglio rimanere collega e amica di Jun piuttosto che amante o, peggio, fidanzata.

Perché quelle non avrebbero mai preso il posto dell’unica moglie di Jun. Sposato! Ma ci pensate? Quel tizio, sdraiato sul divano, il cui fascino era ridotto solo al suo bel faccino e al suo fisico, aveva avuto una moglie che lo aveva sopportato!

Buon per lei che, alla fine, se n’era andata.

Forse.

Comunque, ara la priorità era svegliare Jun, e con le buone non c’era riuscita.

Poco male, sarebbe passata alle cattive: gli afferrò il polso e una caviglia, e puntando i piedi a terra lo spinse giù dal divano, facendolo cadere di faccia a terra, fortunatamente il tappeto morbido ammorbidì la caduta.

La reazione fu immediata: come un pesce fuor d’acqua, l’uomo si agitò animatamente, riuscendo alla fine ad alzare la faccia e, con le braccia, a mettersi seduto, passandosi una mano sul volto e mettendo a fuoco la presenza davanti a lui, che subito lo redarguì.

-Jun Misugi, comincio a perdere la pazienza con te: vatti immediatamente a lavare a metterti qualcosa, che siamo spaventosamente in ritardo.-

L’uomo ci mise qualche minuto a connettere, poi ebbe due moti: da una parte una crescente incazzatura verso la donna di fronte a lui, ma dall’altra gli salì il panico, ricordandosi che, effettivamente, quel giorno doveva assolutamente presentarsi alla riunione. Le due cose, mescolate insieme, generarono un’energia nel corpo dell’uomo che schizzò in piedi e corse in bagno, parlando alla donna nel frattempo.

-Porca miseria Matilde! Perché cazzo mi hai svegliato solo adesso?!-

-Perche prima ero chiusa fuori di casa.-

-Hai la chiave, merda!-

-Speravo che ti svegliassi, sono stufa di entrarti sempre in casa come una ladra perché non ti sai gestire.-

-Fammi un caffè.-

-Non ne abbiamo il tempo.-

-Ti chiedo solo un caffè, cribbio! Non ti sto chiedendo qualcosa di difficile! Le cialde sono …-

-Nel cassetto in basso, lo so, ti ricordo che sono sempre qui a farti da balia.-

Lui grugnì, e la donna velocemente si diresse in cucina, notando che questa era stranamente pulita, probabilmente non mangiava a casa da un bel po’; velocemente trovò le cialde, optando per qualcosa di bello forte, frugando poi alla ricerca della tazzina e velocemente preparando il caffè istantaneo, meno male che, prendendo quella casa, l’uomo aveva avuto la decenza di comprare solo cose utili.

Ecco, su questo si poteva dire che Jun era un uomo giudizioso.

Il caffè c’impiegò il tempo sufficiente per l’uomo di darsi una rapida lavata, vestirsi e raggiungere la cucina, dove trangugiò il caffè bollente scottandosi la lingua.

-Merda!-

-Dai, muoviti.-

Matilde lo afferrò per un braccio, obbligandolo a prendere al volo almeno le chiavi di casa, portafoglio e cellulare, facendosi trascinare fuori di casa, giù dall’appartamento e prendere il primo taxi al volo, dirigendosi verso la clinica privata dove lavoravano entrambi.

-Allora? Chi era?-

-Chi?-

-Il motivo per cui ti sei preso una sbronza tale da trovarti sul divano.-

-Non capisco di cosa parli.-

-Di CHI parlo, Jun Misugi, guarda che a me non mi freghi. E una che conosciamo?-

Lui non rispose, passandosi una mano tra i capelli, quelli dietro erano umidi per la doccia veloce che si era fatto; Matilde, tuttavia, non si sarebbe accontentata di quel silenzio, gli piaceva vederlo storcere la bocca quando parlava delle sue avventure.

Non perché fosse un tipo particolarmente riservato, ma perché sapeva anche lui che rischiava, sempre.

-No.-

-Ok, l’hai conosciuta solo ieri. E com’era? Alta, bassa, bruna, bionda? O magari rossa?-

-Ma che ti frega della mia vita! Piantala!-

Rossa, aveva reazioni così esplosive solo con le donne dai capelli rossi; Matilde non sapeva perché, ma lui aveva sempre avuto un debole per quel tipo, e lei che era biondissima si sentì al sicuro dalle sue grinfie.

-Ok, è rossa.-

-Ti prego Matilde!-

-Sai bene che non smetterò Jun, almeno fino a quando non parlerai, pertanto sputa il rospo o te lo cavo io di gola.-

Il taxi fermò ad un semaforo rosso, e Jun sbuffò, intrappolato in quelle maniere con quella pazza di una bionda italiana.

-L’ho conosciuta ieri, in un locale.-

Di solito, quando andava all’avventura, ci andava da solo, perché la compagnia lo distraeva, e anche perché Jun Misugi era tendenzialmente inconsistente nelle decisione di tipo sentimentale: era come un bambino, se una cosa gli piaceva la prendeva, ci giocava, e appena c’era qualcosa di più interessata la buttava via. Terrificante una cosa del genere per una donna.

Però una cosa Matilde doveva ammettere: Jun Misugi non era un uomo cattivo.

Ma farfallone di sicuro, ci metteva lei la firma.

-E poi?-

-Vuoi sapere anche i dettagli?-

-Certo!-

Jun sospirò di nuovo, sforzandosi di ricordare, ma il cervello aveva ancora qualche difficoltà a carburare, il caffè non gli era servito a niente.

-Eh, dunque …-

Il taxi ripartì, e fortunatamente il tragitto da casa sua alla clinica non era così lontano, poteva già riconoscere gli edifici che di solito superava a piedi, e l’uomo prese un respiro di sollievo, girandosi verso la donna con aria vittoriosa.

-Spiacente Matilde, ma per questa volta la scampo.-

-Jun Misugi, scommetto che ti sei fatto anche la dea della fortuna.-

-Già, ma non credo che stavolta riuscirà a farmela scampare al ritardo sulla riunione di oggi.-

-Tzè, ti basterà mostrare il tuo solito modo di fare da uomo maturo, e quel vecchiaccio del capo te la perdonerà. Te la cavi sempre tu.-

Jun pagò cavallerescamente il tassista, e con Matilde superò il cancello bianco, entrando dentro la clinica senza guardarsi intorno, salutando i colleghi che conosceva con un cenno del capo, assumendo pian piano il suo solito aplomb: espressione concentrata, schiena dritta, atteggiamento posato.

Perché effettivamente, a Jun piaceva il suo lavoro, sia come medico sportivo che come tecnico della FC Tokyo; aveva smesso di giocare, ma la sua passione per il calcio era rimasta, ed aveva continuato a lavorare nella squadra per cui aveva giocato per molto tempo, riuscendo anche a completare i suoi studi medici.

Quella clinica era, per lo più, il posto dove teneva il suo studio, ma per la maggior parte del tempo l’uomo era sempre fuori: i suoi impegni sportivi, insieme ai suoi studi medici, lo avevano obbligato ad una vita molto più vagabonda  di quanto avesse immaginato, anche perché lui, personalmente, preferiva molto di più starsene in giro, a seguire i suoi vari pazienti, che restare chiuso ad ammuffire nel suo studio o nel suo appartamento.

Salutò le segretarie del primo pian distrattamente, ma Matilde non poté non notare, con un sorriso divertito, che quelle comunque lo guardarono affascinate; e così fu anche per le infermiere e le dottoresse, nemmeno quelle più avanti con l’età si risparmiavano dal lanciargli una veloce occhiata.

-Buongiorno dottor Misugi.-

-Akata-san, buongiorno.-

-In ritardo anche stamane, eh?-

L’anziana donna era il capo del reparto di psicologia, dove ci lavorava Matilde, e tendenzialmente Jun preferiva non starci molto tempo lì perché i medici all’interno tendevano sempre a psicanalizzare chiunque passasse, rendendo difficile la conversazione.

-Capita purtroppo.-

-Tranquillo, anche il tema della riunione di oggi è in ritardo.-

-Il “tema”? abbiamo un nuovo arrivato in clinica?-

-Nuovi arrivati: pare che il capo del reparto fisioterapia abbia richiesto un assistente esterno alla clinica. Inoltre il reparto di pediatria è pronto per essere usato, i nuovi medici dovrebbero arrivare oggi stesso.-

-E immagino che lei si sia documentata su tutti loro e sul loro stato mentale, giusto?-

-Che insinuazioni, dottor Misugi.-

Ma la donna sorrideva divertita, e l’uomo ricambiò con un cenno del capo.

Matilda a quel punto scosse il capo: era inutile, quell’uomo era veramente bravo a rigirarsi qualsiasi essere di sesso femminile nel raggio di cento metri.

-In effetti mi sono documentata: il fisioterapista pare che sia un giovane con molta esperienza, ha lavorato molto all’estero e, negl’ultimi tempi, ha lavorato presso l’Ospedale Centrale.-

-Niente male.-

-Niente male davvero, per questo il dottor Fusako l’ha voluto a tutti i costi.-

-Ma che è successo con la sua precedente assistente?-

-Si è sposata e ha lasciato il lavoro. Motivazione più che discutibile.-

Matilde lanciò un’occhiata attenta a Jun, notando come questo avesse accigliato lo sguardo alla parola magica: matrimonio.

Si sapeva che lui era stato sposato, ma non aveva mai fatto trapelare niente del suo matrimonio, neanche il nome della sua ex-moglie; quello che si conosceva era che aveva divorziato da oramai cinque anni, e che aveva perso completamente i contatti con lei.

Neanche quello sorprendeva l’italiana: quando voleva, Jun Misugi sapeva benissimo scomparire dalla tua vita, anche perché con la vita che faceva era un miracolo se continuava a restare in contatto con i suoi amici, ex compagni di squadra della Nazionale.

-E degl’altri? Che mi può dire?-

-Tutti dottori con ottime credenziali, niente d’interessante a riguardo. Uno degl’infermieri oggi è assente.-

-Come mai?-

-Motivi personali, ha assicurato la sua puntualità per domani.-

Raggiunsero la sala riunioni parlando del più e del meno, e molti dei medici erano già arrivati, erano si e no una decina tra i pezzi grossi della clinica, compreso il capo, un vecchio signore di sessant’anni con due baffi alla Bismarck davvero impressionanti, con un vocione tale che quasi ti arrivava dentro le budella quando parlava.

-Dottoressa Akata. Dottor Misugi. Dottoressa Cecconi.-

-Buongiorno.-

Risposero tutto e tre in sincronia, accomodandosi nelle prime sedie libere che riuscirono a trovare, chiacchierando fra di loro del più e del meno fino a quando il dottor Henrich Guffred non prese la parola, presentando i medici del nuovo reparto di pediatria, senza però accennare all’unica mancanza, solitamente era un uomo tremendamente preciso in queste cose.

-Secondo me è perché l’infermiere è in realtà una infermiera.-

Jun si voltò verso Matilde, che gli aveva bisbigliato all’orecchio. Lui, di rimando, fece spallucce.

-Bah, può darsi. Lui di iscuro è un cavaliere con il gentil sesso.-

-Puoi dirlo forte.-

-Te ne approfitti sempre tu …-

E Matilde sorrise divertita al commento di Jun, facendo anche la linguaccia.

In quel momento il dottor Fusako apparve in sala, accompagnato da un giovane uomo dai capelli neri.

-Buongiorno colleghi, scusate il ritardo. Dottor Guffred.-

-Prego, dottor Fusako, ci presenti il suo nuovo assistente, e poi daremo inizio alla vera e propria riunione.-

-Certo: questo è il dottor Kishimoto, e da questo momento entra ufficialmente a far parte della clinica “Kanon” come mio assistente al reparto di fisioterapia.-

Il giovane salutò con un sorriso, e frettolosamente il dottor Guffred gli diede il benvenuto, invitandolo poi a sedersi ed iniziando a discutere degl’argomenti di quella settimana; Misugi ne approfittò per prendere il suo i-pad e controllare l’agenda, per vedere che appuntamenti aveva quel giorno.

La prima annotazione che vide era persino scritta in rosso sul cellulare, e diceva testualmente “Rimpatriata”; giusto, quel giorno si riunivano tutti i suoi ex-compagni di squadra della FC Tokyo, lo aveva completamente dimenticato. A parte una visita di controllo, fortunatamente, si era ricordato di tenersi libero, pertanto già si pregustò la piccola partitella che sicuramente avrebbero organizzato.

Matilde si sporse verso di lui, mormorandogli.

-Ehi, non scappare come al tuo solito appena finisce la riunione, che dobbiamo parlare di quella rossa.-

-Matilde, piantala.-

-Perché te la prendi tanto? Sei stato tu, ieri, a finire ubriaco sul divano, mica io.-

-Appunto, questo ti fa capire che non è successo niente.-

-Hmm, e pensi che me la beva?-

E l’italiana si allontanò dal giapponese con un sorriso divertito, e l’uomo alzò per un secondo gli occhi al cielo, pregando le divinità perché i suoi piedi fossero abbastanza veloci per riuscire ad evitarsi quella tortura.

Nel caso avrebbe fallito nella fuga, che gli avrebbe detto?

 

Madamina, il catalogo è questo
Delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt'io;
Osservate, leggete con me.

In Italia seicento e quaranta;
In Alemagna duecento e trentuna;
Cento in Francia, in Turchia novantuna;
Ma in Ispagna son già mille e tre.

(Da “Il Don Giovanni” Primo atto, scena cinque)

 

 

-Mamma!! Dov’è il grembiule?-

-Lì vicino alla porta d’ingresso, dove l’abbiamo lasciato ieri amore.-

Il bimbo si sporse verso la porta, e con un sorriso entusiasta vide il suo bel grembiule nuovo con tanto di cappello, sua madre gliel’aveva comrpato apposta per quel primo giorno all’asilo nuovo.

La donna, in quel momento, si affacciò dalla camera e si avvicinò al figlio, mettendoglielo sistemandolo al meglio, il bimbo rimase dritto e fermo come un soldatino, parlandole un po’ incerto.

-Mamma, sicura che a lavoro non si arrabbiano?-

-Ma no, tranquillo: ho parlato con il mio capo, e ha detto che questa è un’occasione troppo importante, e che non devo certo mancare!-

Oddio, non gli aveva detto veramente così il dottor Guffred, ma sotto quei baffoni la bocca aveva assunto un sorriso divertito, e la donna era stata certa che non ci sarebbe stato alcun problema per la sua assenza.

Quell’assunzione era una manna dal cielo: dal suo lavoro all’ospedale non aveva trovato alcuna occupazione decente, e con suo figlio era stata costretta persino a tornare alla casa paterna per almeno un anno, cercando un lavoro decente con cui poter crescere il figlio.

Poi la clinica “Kanon”, quella telefonata, la chiacchierata e alla fine la firma sul contratto, contratto a tempo determinato, certo, ma almeno sarebbero stati tre anni retribuiti, avrebbe avuto tutto il tempo di trovare un altro lavoro e, soprattutto, di far finire l’asilo a suo figlio avviandolo verso la prima elementare.

Cielo, quanto era cresciuto! Le sembrava solo ieri che stringeva quel piccolo fagottino arrossato nella sua camera d’ospedale, ed ora il suo “piccolo principe” stava per fare l’ultimo anno d’asilo in una scuola nuova.

… quando si era dovuta trasferire si era sentita male per lui: lo aveva obbligato a lasciare i suoi amichetti per seguirla in quella regione di campagna, con poca compagnia e con il tempo che non sembrava passare mai.

Tuttavia suo figlio aveva un dono: era straordinariamente tranquillo, o paziente, ma le sembrava che questo pregio fosse un po’ troppo da adulto per un faccino rotondo con quei due occhi color cacao.

-Ecco, sei pronto.-

-Come sto?-

-Benissimo!-

E la donna gli sorrise, restando inginocchiata di fronte a lui e prendendogli una mano, stringendola con dolcezza.

-Senti, Hikaru … sicuro che ce la farai? Se vuoi resto con te.-

Ma il bimbo scosse deciso la testa, non aveva la minima paura negl’occhi.

-Andrà tutto bene mamma. Mi farò un sacco di amici.-

E la donna sorrise, poggiando la sua fronte su quella del figlio.

-Si, lo so. È un talento che hai preso da papà.-

E il bimbo sorrise contento, sorrideva sempre quando la donna accennava a suo padre: ne parlava poco, sporadicamente, ma ogni volta Hikaru sentiva che la mamma ne parlava con grande affetto e tranquillità, e lui restava quasi affascinato da quella figura senza volto, stranamente sua madre non gli aveva mai mostrato una foto di suo padre.

Ma ne parlava sempre, e lui lo conosceva bene. Era sicuro che, se lo avesse incontrato, l’avrebbe riconosciuto subito!

-Allora, andiamo?-

-Si!!-

E la donna si alzò in piedi, afferrando al volo la sua borsa e prendendo per una mano suo figlio, guardandolo con sguardo fiero: era una bambino tranquillo, ma socievole e sempre sorridente, con occhi grandi e curiosi che guardavano il mondo attorno a lui.

E poi aveva il suo grembiule nuovo, e camminava per farlo ammirare al meglio a chiunque si fosse voltato a guardarlo.

Anche in questo assomigliava tanto al padre.

Ma la donna, a quel ricordo, sorrise comunque, chiudendosi la porta dietro e chiudendola a chiave, sistemando la targhetta sopra il campanello.

“Aoba”.

Vedere il suo cognome, ancora una volta, la lasciò per un momento ferma. Poi la voce di suo figlio la risportò all’ordine.

 

E allora eccoci qui. Modificata dall’ultima volta che ho postato, con tante novità in riserbo per voi; la precedente stesura mi era sembrata troppo scialba, destinata a diventare noiosa, specie per la sottoscritta, così ho voluto arricchire il tutto con un personaggio in più, spero vi piaccia!

 

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Capitolo 3
*** Corale: Libiamo ne' lieti calici ***


Libiamo ne’ lieti calici

 

Alfredo:

Libiam libiamo, ne' lieti calici,

che la bellezza infiora;

e la fuggevol fuggevol'ora

s'inebri a voluttà.

Jun ricevette il passaggio, si liberò facilmente dell’avversario e, con il suo solito tocco elegante, tirò in porta di tacco, non aveva bisogno di metterci potenza gli bastava … essere bravo come sempre.

-Ah, porca miseria Misugi!-

-Sei sempre la solita bestia.-

-Smettila di essere così bravo!-

L’uomo sorrise divertito ai suoi compagni, tornando indietro mentre il portiere recuperava il pallone e lo passava al compagno più vicino, il quale lo portò verso il centro del campo. Immediatamente Jun si portò visino al centro con il suo compagno, e la faccia dell’avversario rivelò chiaramente il fastidio di trovarsi il libero a mettergli i bastoni dalle ruote, era quasi certo che avrebbe perso la palla.

L’uomo, in quanto tecnico della TokyoFC, si era fatto dare senza problemi le chiavi dello stadio dal guardiano, e con molta tranquillità lo aveva aperto e ne aveva acceso le luci, permettendo ai suoi vecchi compagni di organizzare la loro partita.

Per rispetto, ai più vecchi era stato dato il ruolo di capitano, e mettendo in fila gli altri, come alle elementari, avevano scelto i loro compagni; ovviamente, il primo che aveva avuto diritto a scegliere si era beccato Jun.

E ancora adesso, nonostante fosse diverso tempo che non giocava più professionalmente, l’uomo era maledettamente bravo nel suo ruolo di … beh, in qualsiasi ruolo che ricoprisse! Non era strano che venisse paragonato a Rinus Michel, il mitico campione olandese.

L’arbitro, uno della squadra che si era offerto “spontaneamente”, fischiò il calcio d’inizio, e Jun ricominciò la sua carrellata di dribbling, passaggi e tattiche per segnare in porta, e proprio perché era una partita tra amici era ancora più fantasioso di quando era in campo.

Effettivamente, nelle ultime partite della sua carriera l’uomo era diventato sempre più schematico, al punto da diventare quasi facile da intuire; dico “quasi”, perché effettivamente quell’uomo riusciva sempre a sorprendere gli altri, anche nella banalità di una tattica: gli bastava, che ne so, un cambio di posizione, un passaggio diverso, un pallonetto invece di un tiro ed ecco che era gol.

Il suo allenatore e i suoi compagni di squadra, pertanto, rimasero al quanto stupiti quando chiese lui stesso il ritiro dalla squadra, e la vera motivazione non la disse mai: usò la scusa di aver oramai impegni seri in ambito medico, che non gli permettevano di essere sempre in campo, e che avrebbe lasciato volentieri il posto alle nuove generazioni.

Persino il compagno con cui aveva legato di più nella squadra, Kishida, non era riuscito ad individuare le reali ragioni di quella scelta; dei presenti a quella rimpatriata, Jun fu il primo a lasciare la squadra. Eppure, nonostante questo, fece il terzo gol come se niente fosse!

-Adesso smettila Misugi!-

-Se continui così ti sbatto fuori dalla squadra.-

-Ma sei stato tu a volermi, capitano.-

-Si, ma tu sei troppo bravo, non ci dai nemmeno il gusto di giocare.-

Jun rise di gusto, lasciando che tutti riprendessero le loro posizioni facendo quella scenata collettiva; la verità era ben diversa, fin da quando l’avevano visto giocare la prima volta i suoi compagni si erano sentiti si, inferiori, ma anche sollevati di avere come compagno un tale mostro di bravura.

Eppure l’uomo, mentre guardava i suoi ex-compagni, fece un lungo respiro, di chi si sente tremendamente insoddisfatto. Perché era quella la vera motivazione che lo aveva spinto a lasciare: negl’ultimi anni il calcio non gli aveva più dato la stessa adrenalina, lo stesso entusiasmo di quando era nella J-League, o quando stava in Nazionale con i suoi amici.

Certo, il calcio era decisamente cambiato negl’ultimi anni: i continui ribaltamenti di mercato, sia per quanto riguardava i giocatori che gli allenatori, spingevano a strategie sempre diverse, dove oramai era il singolo che contava sempre di più, e il gruppo faceva da sfondo. Senza contare i vari scandali che, sfortunatamente, avevano colpito anche il paese del Sol Levante.

Ma nonostante questo, Jun aveva continuato a giocare, fino a quando aveva sentito … come se la stanchezza si fosse accumulata sulle sue spalle, rallentandolo. Nemmeno quando aveva avuto i suoi problemi cardiaci si era sentito in quel modo, aveva sempre lottato; ma dopo che si era reso conto che il suo modo di giocare si era bloccato, e i suoi avversari gli toglievano la palla più facilmente, aveva preferito levarsi di torno il prima possibile, non senza un certo fastidio.

I giornali, come sempre, ci erano andati a nozze con la sua scelta. Qualcuno si era perfino azzardato a dire che gli erano tornati i problemi di cuore.

Neanche a farlo apposta, il primo che lo contattò dei suoi vecchi amici fu proprio Tsubasa; ma anche al suo rivale e capitano Jun era riuscito a mentire. Aveva mentito a tutti.

Non se la sentiva proprio di dire che aveva smesso di giocare … perché si era annoiato … era un insulto a tutti i suoi anni e alla sua passione che, in fondo, non era mai morta. Solo un po’ spenta.

In quel momento, a distrarlo da tali pensieri, l’arbitro fischiò la fine della partita, con grande sollievo dei sconfitti, ma anche da parte dei vincitori, che continuavano a prendere in giro il loro miglior giocatore.

-Scommetto che se tornassi a giocare, rimarresti ancora l’asso della squadra.-

-Nah, meglio di no: con il fisico che mi ritrovo adesso, sarei facilmente superato dagl’avversari.-

-Scherzi?! Sei una scheggia!-

Già, una scheggia che cominciava a perdere colpi, lui stesso lo ammetteva. E per quanto si sforzasse di mantenersi in forma, aveva battuto la fiacca; e soprattutto, da quando aveva lasciato la squadra, aveva perso un po’ la sua routine fatta di allenamenti, visite mediche e diete equilibrate.

A lui piaceva mangiare, non era un mistero per nessuno, e per sua madre era sempre stata fonte di soddisfazione, specie da quando quest’ultima aveva voluto ricominciare a cucinare; fortunatamente, però, il rigido programma sportivo aveva sempre fatto evitare a Misugi di mettere su troppo peso, o di perdere tonicità nei muscoli.

Lasciando la squadra, e avendo una vita notturna più “movimentata” di prima, Jun Misugi aveva acquistato …

-Sarai anche un campione, ma qui vedo una bella pancetta Misugi! Ci siamo dati, eh?-

L’uomo sorrise divertito, proteggendo il ventre dai possibili tocchi dei suoi compagni, soffriva il solletico in quel punto e difficilmente si lasciava toccare; lo permetteva alle donne perché, quando la sua tartaruga era stata più evidente, si sentiva molto orgoglioso di farsela lisciare dalle sue compagnie notturne.

Però, nel pensare questo, non gli venne subito in mente l’immagine della sua ultima fiamma, anzi: ebbe un flash, dove si, c’era una donna con lui, ma di certo non era l’ultima delle sue compagnie. Si passò una mano tra i capelli, facendosi distrarre da Kishida.

-Ah, senti Misugi, conosci un certo Seiji Kishimoto?-

Il nome gli ricordava quel di un attore famoso, mentre il cognome era lo stesso del nuovo assistente del dottor Fusako.

-… non credo parliamo della stessa persona.-

-Ma si invece, è il nuovo arrivato alla tua clinica.-

-Lo conosci?-

L’amico sorrise, infilandosi la maglietta, quella primavera si stava rivelando più calda del solito, e la sera si riusciva a camminare in maniche corte senza sentire particolarmente freddo.

-È stato mio coinquilino fino a quando non è stato assunto alla clinica. Sai io abito vicino all’Ospedale Centrale.

Ti ho chiesto di lui perche volevo sapere se ti andava di venire stasera a bere qualcosa da me, per festeggiare il suo nuovo impiego.-

-Non c’entro molto in questo caso.-

-Beh presto sarai un suo collega, e con il lavoro che fai ti capiterà spesso di parlare con i fisioterapisti, no?-

Un concetto piuttosto abbozzato, ma in qualche modo corretto.

-Stasera potresti conoscerlo un po’ meglio, e magari farci amicizia, sai ti somiglia caratterialmente.-

-In che senso?-

-È un ragazzo molto posato, gentile e disponibile con tutti, ma anche molto intelligente.-

Se in quello si assomigliavano, beh Jun Misugi assomigliava ad almeno un quarto della popolazione del Giappone.

Tuttavia Kishida continuò a fare pressione, e alla fine l’uomo accettò più per sfinimento che per voglia, e seguì l’uomo fino alla sua utilitaria, montando sul sedile davanti e facendosi portare in direzione dell’Ospedale Centrale.

-E quanti siamo a questa festa?-

-Ah tranquillo, non siamo molti: qualche amico in comune e speriamo Ya-chan.-

-È una tua amica?-

-Mia e di Kishimoto. Beh, a dire la verità, a Seiji è sempre piaciuta Ya-chan, e da quando è ritornata a Tokyo lui è al settimo cielo, cerca sempre di coinvolgerla in tutto quello che fa; dopotutto quella ragazza è troppo in gamba perché se lui la lasci scappare.-

Un commento così lo aveva ricevuto anche Jun: era stato Mamoru, in uno di quei giorni d’autunno in cui, dopo l’allenamento, erano rimasti insieme a bere qualche birra, discutendo in quel caso del matrimonio “lampo” di Tsubasa, commentando ognuno le storie degl’altri. Quando era stato il turno di Misugi, Izawa aveva detto chiaramente che “Se Jun non sposa Yayoi, è un uomo davvero stupido”.

Già, peccato che, nonostante l’avesse sposata, confermando la sua intelligenza, le cose fossero andate in quella maniera. Ma la colpa non era di Yayoi, Jun non le aveva mai dato alcuna effettiva responsabilità di quanto era accaduto.

-Ed è carina?-

-Si, molto, e non si direbbe che sia più grande di lui e che abbia un figlio.-

-… Cosa?!-

-Beh si, ha avuto un precedente matrimonio, ma poi il marito ha voluto che divorziassero.-

-E quanti anni ha il figlio?-

-Cinque.-

-E a Kishimoto gli va bene?!-

-Ah, Hikaru si fa amare da tutti! Neanche tu resisteresti a quel piccoletto!-

Jun e i bambini. Beh, lui se la cavava, aiutava anche nel gruppo calcistico Juniores della Tokyo FC, ma pensare di avere una donna con un figlio, questo era al di là delle sue capacità!

Non aveva mai pensato alla possibilità di fare il padre; certo, con Yayoi il discorso dei figli era capitato, ma erano state chiacchiere su cui non si era mai soffermato molto. Non sapeva dire se la sua era paura, fatto sta che, al di fuori dell’ambito calcistico, lui era un disastro con i bambini, specie con i più piccoli.

Intanto Kishida continuava a parlare dal bambino in questione.

-Nonostante la sua età è molto intelligente, Ya-chan lo ha cresciuto nel migliore dei modi; e poi ha legato con Seiji, sono diventati molto amici, per cui sono sicuro che andrà tutto bene.-

-Prevedi i fiori d’arancio?-

-No, per niente. Ya-chan, ovviamente, è allergica al matrimonio.-

-Beh fatti suoi.-

-Hmm, vedo che a qualcun altro non piace l’argomento, eh?-

-Tendo ad evitarlo il più possibile.-

-Beh, tu sei stato fortunato: se non sbaglio non hai avuto più contatti con tua moglie, no?-

Già, ma da un po’ di tempo Jun aveva cominciato a dubitare che quella fosse stata davvero una fortuna: non vedere più Yayoi, che per gran parte della sua vita era sempre stata lì, onnipresente, gli aveva lasciato uno strano senso di smarrimento.

Forse era per questo che, quando vedeva una chioma rossa, era anche capace di lasciar perdere la donna che stava corteggiando per inseguire quella capigliatura. Il suo tallone d’Achille.

Ma fino a quel momento nessuna rossa era stata “naturale”, e nessuna con i capelli simili a quello di Yayoi: tanto morbidi e corposi, che quando l’uomo li prendeva gli sembrava di stringere stoffa pregiata.

La macchina rallentò quando la grande figura dell’Ospedale apparve luminosa davanti ai loro occhi, e appena fu possibile Kishida svoltò a sinistra, infilandosi in uno dei vialetti per cercare un posto dove posteggiare la macchina.

-E Kishimoto continua a vivere con te?-

-Si, ma ora sta cercando casa il più vicino possibile alla clinica, dato che da qui c’impiega parecchio per arrivare.-

In effetti la clinica non aveva degl’eccellenti collegamenti con gli autobus o con la metropolitana, e tutti i dipendenti sprovvisti di macchine facevano sempre i salti mortali per trovare casa nelle vicinanze, o per arrivare comunque in orario.

Scesero dalla macchina con una brezza fresca che soffiò sui loro colli, non era la prima che Jun andava a casa di Kishida, ma non aveva mai visto i coinquilini, indaffarati anche loro per gl’impegni lavorativi.

Il compagno viveva in uno di quei appartamenti economici, stretti e di quel bianco depresso che, fortunatamente, Kishida aveva presto eliminato per colori più sgargianti, specie in cucina e nel micro-salotto, con la tivù munita di console varie per qualsiasi gioco lui, o gli altri abitanti dell’appartamento, volessero usare.

L’ingresso dell’edificio era semplice, con le porte scorrevoli e il pavimento lucido di cera, e l’ascensore, per quanto fosse piccolo, faceva stare comodamente in due.

-Non ti preoccupare, non staremo alzati a lungo: beviamo qualcosa, chiacchieriamo, giochiamo un po’ con la console e poi ti ri accompagno a casa.-

-Posso prendere un taxi.-

-Ma figurati, per una volta che riusciamo a vederci! Oramai sei diventato una specie di presenza fantasma, se non fosse che mi rispondi quando ti chiamo potrei pensare che il tempo trascorso insieme è stato solo un sogno!-

-Ma va là, finiscila.-

Kishida infilò la chiave nella toppa ridacchiando, e quando l’aprì si sentì una musica di sottofondo ritmata che non usciva al di fuori dell’appartamento.

Jun fu subito investito dal rosso mattone del corridoio, e una ragazza apparve e scomparve con un bicchiere di carta in mano, con corti capelli neri.

-Ah, quello che è passata è una dei miei co inquilini. Ishii!-

L’uomo inseguì Kishida per il corridoio, togliendosi velocemente le scarpe e salendo sul pavimento in legno mentre il compagno tornava indietro con la ragazza, questa stava prendendo un sorso dal suo bicchiere di carta rosso acceso.

-Ishii, questo è Misugi Jun, il mio ex-compagno di squadra.-

-Wow, il campione! Piacere!-

-Piacere mio.-

-Benvenuto, serviti e fa come se fossi a casa tua.-

-Ishii, vieni?-

-Aspetta devo andare un attimo di là. Torno subito.-

La giovane si allontanò, e Kishida accompagnò il suo ospite in cucina, dove le pareti erano state tinteggiate di varie tonalità di verde.

-Questo non l’hai fatto tu, vero?-

-Nah, Ishii studia all’accademia delle belle arti, è lei che ha fatto tutto il lavoro, io ho solo dato il mio parere sul colore del corridoio. Bello vero?-

-Molto caldo.-

L’amico sorrise, afferrando due bottiglie di birra e stappandole, consegnandone una a Jun e guidandolo verso il salotto, dove qui si era preferito tingere di un bell’azzurro, il mobilio era per lo più di sfumature simili e nero.

C’erano, Ishii a parte, altri due ragazzi e una ragazza che stavano giocando con Wii agli sport, era il turno di uno dei maschi per tirare a golf.

-Ehi Kishida, ben arrivato.-

-Ciao ragazzi, Kishimoto ancora non c’è?-

-No, ha detto che avrebbe fatto un pochino tardi: voleva convincere assolutamente Ya-chan a venire.-

-Ah, alla fine non riusciva?-

-Ha detto che preferiva stare con Hikaru, sai oggi era il suo primo giorno di asilo.-

-Già, ma Kishimoto non ne era contento, così è andato da lei per convincerla.-

-Accidenti, non la lascia respirare da quando è tornata.-

-Secondo me Ya-chan è una scema a non approfittarne.-

La ragazza, mentre prendeva la parola, si era alzata in piedi in quanto era il suo turno di giocare, e Kishida la seguì con lo sguardo con aria ironica.

-Beh, non tutti sono come te, Suzuki-chan.-

La ragazza gli lanciò uno sguardo altrettanto ironico, decisamente più bellicoso, e l’uomo preferì battersi in ritirata presentando il suo amico, il quale aveva assistito alla scena in assoluto silenzio.

-Ragazzi, Misugi Jun. Jun, questi sono Sato, Suzuki e Tanaka.-

-Cavolo, che piacere! Io sono un tuo grande ammiratore.-

-Già, Tanaka è quello fissato con il calcio.-

-Piacere.-

Salutò tutti con un accennato inchino, e in quel momento si sentì qualcuno aprire e chiudere la porta, richiamando gli altri con un urlo.

-Ehi, eccomi!-

-Ah, è Seiji-kun, vado io.-

-Aspetta vengo con te.-

-Vieni Misugi-san, accomodati.-

-Grazie …-

A dire la verità era ancora sulle sue, dopo la conversazione tra i due era un po’ confuso riguardo i presenti, ma non disdegnò uno dei braccioli, guardando il tiro di Suzuki andare in buca, mettendosi in posa mentre gli altri due uomini le fischiavano contro.

-Tutta fortuna.-

-Allora facciamo la rivincita? Però lo sport lo scelgo io.-

-Nooo, che scegli il tennis!-

-Le regole sono chiare, chi vince sceglie lo sport da giocare. Partecipi anche tu, Misugi-san?-

Non era molto pratico di console, ma quella ragazzetta, perché si sicuro era più giovane di lui, aveva un sorriso intrigante, e delle maniere chiaramente molto invitanti e non le poté proprio dire di no.

Così, mentre la vincitrice prendeva il quarto telecomando e sceglieva lo sport, Kishida e Ishii tornarono in salotto con due vassoi e un’altra persona che li seguiva, tenendo in mano delle bottiglie.

-Ok, ci siamo tutti!-

-Kishimoto, finalmente!-

-Scusatemi, non sono proprio riuscito a convincere Ya-chan.-

-Ah, sarà per un’altra volta.-

-Giusto! L’importante adesso è divertirci tutti quanti!-

In quel lasso di tempo Jun sentiva come una specie di martelletto che gli stava battendo un micro-chiodo nel cervello: Ya-chan, Ya-chan … nessuno sembrava intenzionato a dire il suo nome completo, era come se lo stessero facendo apposta.

Non che gl’interessasse particolarmente, ma osservando Seiji Kishimoto gli era venuta la curiosità di conoscere questa donna che lo aveva spinto perfino ad andare da lei per tentare di convincerla a vedersi con gli amici: l’uomo, dai capelli neri, aveva degl’incredibili occhi azzurri, qualcosa che sembrava possibile solo con le lentine colorate, ma lui li aveva sul serio.

Era bello, e sapeva di esserlo. Che razza di tipa era allora quella di cui era così perso? Probabilmente una bellezza da mozzare il fiato!

 

Violetta:

Tra voi saprò dividere

il tempo mio giocondo;

tutto è follia follia nel mondo

Ciò che non è piacer.

-Dai Hikaru, la cena è pronta.-

Il bambino obbedì, alzandosi dal tavoli dove stava disegnando e raggiungendo la madre in cucina, sedendosi da solo e prendendo le sue bacchette mentre la donna gli porgeva il miso, approfittandone per accarezzargli la chioma rossiccia prima di tornare a preparare l’ultima parte del pasto.

La donna sorrideva, serena, le piaceva tantissimo la tranquillità che respirava nella nuova casa, e anche se in giro c’erano ancora degli scatoloni chiusi, si sedette a tavola con gran piacere, osservando attenta suo figlio che mangiava.

-Allora, non mi racconti più niente dell’asilo? Hai conosciuto nuovi amici?-

Il bimbo annuì, masticando il riso e prendendosi un sorso dal bicchiere.

-Ho giocato tanto con Makoto-kun. Lui è molto simpatico, ma non è molto bravo a disegnare. Però corre più veloce di tutti! Dovevi vederlo oggi, è stato incredibile!-

Yayoi sorrise, divertita, continuando a guardare suo figlio mangiare con gusto: anche Hikaru correva, e tanto. E saltava, e giocava, ed era difficile che si stancava.

Perché Hikaru era sano.

Per un attimo, la donna guardò gli occhi di Hikaru, che si erano rivolti a lei, e le parve di vedersi davanti il volto di Jun, la prima volta che si erano conosciuti.

-Mamma? Tutto bene?-

-Ah, si, si scusami amore. E poi? che altro mi racconti? Come sono i maestri?-

-Il signor Mizuhiko è molto gentile, mentre non mi piace la signora Nobara.-

-E come mai non ti piace?-

-Perché ha sgridato Makoto, quando lui non ha fatto niente! E poi non gli ha chiesto scusa!-

La cosa incuriosì ulteriormente la donna, la quale si era fermata dal mangiare.

-Cos’è successo? Perché la signora Nobara ha sgridato Makoto?-

Hikaru poggiò la sua ciotola di riso sul tavolo, lì accanto c’erano le sue bacchette blu, e si prese il succo di frutta, raccontando la storia.

-Oggi siamo stati fuori a giocare, e noi maschi stavamo giocando con il pallone.

Ad un certo punto Kenta mi ha dato uno spintone per prendersi la palla, e quando volevo che si scusasse mi ha detto che ero una mammoletta.

A quel punto Makoto gli ha dato uno spintone, e quando Kenta si è messo a piangere lui gli ha detto che era più mammoletta di me. E i due … hanno cominciato a litigare.-

Yayoi rimase parecchio sorpresa dal racconto, non si aspettava certo che i bambini potessero avere simili atteggiamenti a quell’età.

-Ti hanno fatto del male?-

-No, no, sono arrivati i maestri e li hanno separati. Però non è colpa di Makoto, è Kenta che ha cominciato!-

-Capisco tesoro, ma Makoto non avrebbe dovuto spingere Kenta. Non si fa comunque, anche se Kenta aveva sbagliato.-

Il bimbo annuì, e la madre gli diede il suo consiglio.

-La prossima volta che Kenta fa qualcosa che non va, tu di a Makoto di dirlo subito al maestro, e va con lui. Sono sicura che così la maestra Nobara non lo sgriderà.

Ora forza, finisci le verdure, così puoi andare a terminare il tuo disegno.-

Hikaru obbedì, riprendendosi le bacchette mentre Yayoi, a sua volta, ricominciava a mangiare, con addosso la sensazione di aver imparato qualcosa di nuovo proprio da suo figlio; da quando era nato, aveva insegnato un sacco di cose alla donna.

Soprattutto a sorridere, e ad essere felice … e a superare gl’incubi del passato.

-Mamma, cosa voleva Kishimoto-kun?-

Le tornò in mente la mezz’ora prima, quando l’uomo era andato a bussarle proprio alla sua porta.

Aveva l’aria di chi aveva corso, ed aveva molto insistito per cercare di convincerla; lei era rimasta salda, ma doveva ammettere che gli occhi dell’uomo aveva un fascino tremendo, era una delle cose che gli era sempre piaciuta di Seiji.

Alla fine Yayoi l’aveva avuta vinta, ma si era fatta strappare la promessa di vedersi a pranzo, in mezzo ai due turni di lavoro. Gliel’avrebbe addirittura offerto.

Una corte così aggressiva Aoba non l’aveva mai subita; con Jun on ce n’era stato effettivamente bisogno, essendo amici fin da piccoli si erano subito trovati, e nel bene e nel male erano sempre andati d’accordo e si erano voluti bene.

Era una cosa che la donna aveva notato nell’ultimo anno, quando si era preparata a trasferirsi di nuovo a Tokyo, con Hikaru: ripensando ai momenti trascorsi con Jun, adesso vedeva molte più ombre e zone grigie di quante non ne avesse viste negl’anni precedenti.

Probabilmente le stava “passando”, come dicevano le sue compagne di liceo quando una di loro aveva rotto con il ragazzo. “Dopo un po’ passa tutto, e ti rendi conto veramente della situazione.”

-Mamma?-

-Ah, mi ha chiesto di andare con lui da amici, ma io non me la sono sentita. Volevo sentirti parlare dell’asilo, ma sei stranamente silenzioso stasera. Sei stanco?-

E il bimbo annuì deciso, arrivando addirittura a sbadigliare mentre la donna gli si avvicinava, prendendolo in braccio e sollevandolo dalla sua sedia, accarezzandogli la testa.

-Allora facciamo il bagno insieme e poi andiamo a nanna, va bene?-

E lui sorrise contento, oramai era diventato abbastanza grande da fare il bagno da solo, ma gli piaceva tanto quando lo faceva con la mamma, specie quando lei gli passava l’asciugamano sui capelli.

Tutti:

Ah! Godiamo, la tazza e il cantico

la notte abbella e il riso,

in questo in questo paradiso

ne scopra il nuovo dì.

Suzuki si avvicinò a Seiji per prima, riuscendo a strappargli un abbraccio veloce, prima di battere in ritirata mentre Jun veniva trascinato da Kishida a salutare ancora una volta il suo nuovo collega di lavoro.

-Ehi Seiji, guarda chi ti ho portato.-

-Ah, dottor Misugi, che sorpresa!-

-Congratulazioni per l’assunzione, Kishimoto.-

-La ringrazio, è un onore.-

Gli dava del “lei” in segno di rispetto, ma Jun si sentiva vecchio quando lo chiamavano così, e soprattutto con l’uomo davanti, che di sicuro non arrivava ad avere nemmeno trent’anni.

-Da quanto lavori?-

-Sono quasi tre anni, con il tirocinio e il contratto all’Ospedale Centrale.-

-Una carriera fortunata.-

-Già, davvero! Immagino che lavori da molto alla clinica, dottor Misugi.-

-Per favore, solo Misugi, e dammi pure del tu.-

Gli sembrava di essere tipo il dottor Guffred senza baffi mentre parlava con quel giovanissimo, e sentire di quella carriera fulminante gli fece salire quasi una leggera invidia, anche perché lui aveva sempre messo davanti la carriera calcistica a quella medica, pertanto ci aveva impiegato più tempo prima di riuscire ad entrare alla clinica “Kanon”.

Kishida intervenne di nuovo, passando una bottiglia a Seiji.

-Anche Ya-chan sarà contenta del suo nuovo incarico.-

-Già.-

-Nuovo incarico? Di che si occupa?-

-Ah è un’infermiera, abbiamo lavorato insieme nello stesso reparto. O meglio, lei era il mio istruttore, io ero il suo allievo.-

Aaah, ora si spiegava: il classico caso dell’allievo che, affascinato dal suo superiore femminile, finisce per esserne innamorato. Non era la prima volta che Jun sentiva una storia del genere.

-Oltretutto è stata assunta anche lei alla clinica, al reparto pediatria, ma quanto meno avremo sempre occasione di vederci.-

Era sinceramente interessato alla donna, ne parlava con talmente tanta felicità sul volto che, per Jun, sembrava un adolescente alle prese con il suo primo amore.

Lui, al contrario, non aveva mai avuto una sensazione simile: è vero, lui era sempre stato assieme a Yayoi, ma la loro relazione si era costruita talmente tanto con il tempo, che quando si era reso conto dell’interesse verso di lei fu come se fossero stati fidanzati già da anni. Ma forse questa non era una cosa da considerare positiva.

Dopotutto, Yayoi aveva sempre avuto la naturale capacità di voler bene alle persone: con lui era stata amica fin da subito, e i suoi sentimenti nei suoi confronti erano sempre stati sinceri, cristallini, specie quando si era fidanzati; lui, al contrario, era sempre stato poco incline all’affetto incondizionato, e spesso aveva provato un certo fastidio nel vedere la ragazza e poi moglie dare confidenza e dare il suo sostegno a chiunque.

E non chiamatela gelosia!

Adesso, dopo il matrimonio, Jun si rifiutava di condividere di nuovo la sua vita con una donna: aveva bisogno dei suoi spazi e della sua libertà, e se voleva compagnia se la teneva per il tempo che gli serviva per stancarsi, e poi cavallerescamente la lasciava.

Soltanto con i suoi amici più cari, i suoi vecchi compagni di avventure, e con Kishida restava in contatto, anche se molto meno di prima. Anche in quel caso era colpa di sua moglie: alla donna non importava quanto lontani fossero i suoi contatti, lei li manteneva sempre vivi e freschi. Misugi era sicuro che, ancora adesso, Aoba parlasse e si vedesse con Sanae, Yukari e le altre.

-Misugi, giochi?-

-… si.-

Doveva distrarsi, questi pensieri non erano certo da lui! Lui stava bene, la sua situazione economica e lavorativa andavano più che bene, e adesso stava ripensando alla sua ex-moglie solo perché Kishida gli aveva detto che lui e Kishimoto erano simili, ma i cosa fu così sbagliata!

Alla fine conclusero la serata che era passata la mezzanotte, e mentre Suzuki-chan riusciva a strappare un altro abbraccio da Kishimoto, Misugi era già sceso verso la macchina di Kishida, il quale si infilò la giacca a vento prima di seguire l’amico.

-Allora, che te ne pare di Seiji?-

-… io non penso che mi assomiglia.-

Lo aveva detto ad alta voce, e l’uomo lo guardò sorpreso, mettendosi gli occhiali da riposo sul naso, prima di sorridere, incamminandosi con l’uomo al suo fianco.

-Hai ragione. Siete molto diversi.-

Quell’affermazione distrasse Jun dai suoi pensieri, facendolo sporgere verso il compagno di squadra, il quale gli parlò con voce tranquilla, attorno a loro il quartiere era molto silenzioso a quell’ora tarda.

-Lui è un tipo che mantiene la calma come te, ma è decisamente molto più espansivo; inoltre ha ancora quell’atteggiamento positivo di chi ancora non ha affrontato i momenti più duri della vita.

Forse ha la nostra età, ma ritengo che sia ancora un ragazzino in certi momenti.-

-… quando parli così sembri suo zio.-

Kishida ridacchiò, divertito, tenendo le mani in tasca mentre l’uomo accanto a lui alzava lo sguardo verso la notte sopra di lui.

-… però è una persona matura.-

Kishida gli rivolse lo sguardo.

-Voglio dire: vuole stare con una donna … che ha un figlio di cinque anni. È come dire che sarebbe pronto ad esserne il padre.-

-Ah, non pensare che sia così maturo in questo senso. Tu lo batti di sicuro.-

E stavolta fu il turno di Jun a voltare lo sguardo. L’altro gli fece spallucce.

-Ma si: tu conosci i tuoi limiti, sai che non saresti in grado, ora come ora, di avere a che fare con una donna, specie se già madre.-

-Hm, non mi fare più santo di quanto non sono.-

-Io non dico che sei un santo. Dico che, quando vuoi, sai essere una persona rispettosa. Seiji no.-

Era primavera, ma la sera faceva freddo, e Misugi nascose il volto nel colletto della giacca, Kishida tirò fuori le chiavi della macchina e aprì le porte, continuando a parlare mentre si metteva comodo e accendeva il motore.

-Lui vuole Ya-chan, ma non credo sia in grado di riuscire a stare con lei per molto tempo.-

-Addirittura …-

-Tu non la conosci Jun: è una persona molto matura nonostante abbia la nostra età, e Hikaru è l’esempio pratico di come lei, in realtà, sia una persona molto più profonda e saggia di quanto non lo dia a vedere.-

“Aaah Jun, possibile?! Eppure la conosci da molto più tempo di noi!”

… chi era stato a dirgli quella frase?

“Yayoi è una persona molto più profonda di quanto pensi! Io stessa rimango sorpresa da lei!”

Ah, giusto, era stata Sanae. A giudicare dal tono con cui formulava quella frase, lo stava sgridando.

“Ma insomma, Jun! Guardala!”

-Se la conosci bene, capisci quello che intendo: lei … affascina. Una donna come quella è difficile non pensarci, io stesso ammetto che più di una volta ho pensato di provarci con lei.-

E Kishida era notoriamente un gran signore con le donne, molto più di Jun; per questo l’uomo rimase sorpreso dalle parole del compagno, ma questo sorrideva con aria divertita.

-Ma sapevo che lei non mi avrebbe mai ricambiato. Sai … ho come la sensazione che, delle volte, ripensa all’ex-marito.-

-Lo conosci?-

-Ah no, e lei si ha sempre evitato di parlarne. Nonostante sia passato il tempo, sembra proprio che quella sia una ferita aperta.-

E da lì i due non si parlarono più, anche perché il tragitto in macchina stava per concludersi: Kishida si fermò accanto al marciapiede, mantenendo la freccia, e Misugi velocemente scese dalla macchina, sporgendosi dal finestrino mezzo aperto.

-Grazie del passaggio.-

-Figurati, ci vediamo alla prossima partita.-

-Contaci, fatemi sapere.-

Guardò la macchina di Kishida allontanarsi, e prese un profondo respiro, dirigendosi velocemente verso casa, ripensando alla serata appena passata: quelle persone, Kishimoto … questa misteriosa Ya-chan …

Avrebbe voluto conoscerla: se Kishida ne parlava così bene, evidentemente era una donna in gamba. Provò ad immaginarsela, e subito pensò alla chioma rossa di Yayoi.

… nah: Aoba era una persona in gamba, certo, ma era così diversa, nei suoi ricordi, dalla donna che gli era stata descritta un po’ da tutti.

Questa era sicura di sé, saggia, oltretutto con un bambino, molto più matura della sua età.

Aoba invece … era sempre stata una donna dall’aria fragile, dolce e disponibile, ma forse troppo riservata.

Misugi, delle volte, aveva avuto la sensazione che aveva il dovere di proteggerla dal resto del mondo, come se qualcosa avesse potuto ferirla o peggio.

Entrò dentro l’appartamento buio, notando che le tapparelle erano ancora alzate, e sbuffando accese la luce del salotto, notando come avesse formato quel tremendo caos di vestiti; lentamente, Jun li raccolse tutti, prima di ammucchiarli e dirigersi verso le tapparelle, guardando la strada sotto di lui illuminata a giorno da lampioni, insegne e luci di altri appartamenti.

Li guardò con aria distaccata, fredda, e velocemente avviò il meccanismo, abbassando le tapparelle e guardando quelle luce artificiale scomparire dalla sua vita.

 

VIOLETTA

Che dite?... ha forse alcuno

cura di me?

 

ALFREDO

(con fuoco)

Perché nessuno al mondo

v'ama...

VIOLETTA

Nessun?...

 

ALFREDO

Tranne sol io.

Yayoi si sporse solo per un momento, guardando dallo spiraglio della porta dentro la camera: Hikaru dormiva profondamente, ben coperto.

Ammirò solo per un breve istante il volto placido, per poi chiudere lentamente la porta, avviandosi verso la cucina, aveva ancora dei piatti da lavare.

Si fermò solo un momento davanti al piccolo comodino tra il corridoio e la stanza, sopra c’era un bel vaso con dei fiori rossi, garofano; poi si avvicinò al comodino, aprendone il piccolo cassetto.

Era ancora lì. Una scatolina di legno laccato, con sopra intarsiati dei motivi e decori.

La guardò in silenzio. Poi, lentamente, chiuse il cassetto, e andò a lavare le stoviglie.

 

Ehilà gente!

Allora, come vedete questo è un capitolo molto ricco, decisamente diverso dalla stesura precedente.

Mi sono resa conto, scrivendolo, che è diventato ancora più introspettivo, e probabilmente sarà anche più cupo di quello che avete letto prima.

Sinceramente mi sto divertendo molto di più adesso, questa lunga pausa mi ha permesso di capire bene che cosa cercavo in questa storia, e spero che le modifiche apportate piacciano anche a voi.

Vi ringrazio di cuore di continuare ancora a seguirmi, un bacione!

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Capitolo 4
*** En Travesti: Calbo ***


En Travesti

Donna che fa uomo:

Calbo

 

Attenzione! Colpo di scena, ho cambiato anche il titolo! Perché? Date le modifiche del capitolo precedente, e le modifiche che verranno effettuate all’interno di questo stesso capitolo, il testo di opera lirica precedente non ci stava più bene, pertanto ho dovuto fare una sostituzione.

Ricordo a tutti che Opera In Musica sta subendo modifiche, alcune (come vedete) anche parecchio pesanti!

 

Non temer: d'un basso affetto

non fu mai quel cor capace…

Matilde individuò subito il suo collega di lavoro nipponico, e subito vide che l’uomo, più del solito, aveva un’aria molto scura in faccia; lei sorrise, divertita, se c’era una cosa che adorava era stuzzicare Misugi quando era di pessimo umore, perché l’uomo non poteva assolutamente perdere il suo aplomb in nessuna situazione, figurati sul lavoro!

-Buongiorno! Non è una splendida giornata?-

Lui le lanciò un’occhiata feroce, avvicinandosi alla macchina del caffè per farsene uno nero, bello forte, nonostante ne avesse bevuto già uno a casa.

La psicologa italiana lo guardò ancora divertita, abbassando la voce mentre degl’infermieri entravano dentro allo spogliatoio – sala ristoro; effettivamente c’era un bar dentro la clinica, ma i due dottori preferivano la macchinetta dello spogliatoio perché era più riservata.

-Comunque siamo mattinieri oggi, che succede?-

-… ho dormito male.-

Parecchio male, quasi per niente.

Era stato assurdo: tornato a casa si era rilassato, aveva bevuto qualcosa ed era andato a dormire, fin qui tutto normale.

Appena aveva cominciato ad addormentarsi, subito aveva cominciato a sognare, e la cosa era strana perché lui non sognava quasi mai, o se gli succedeva non se lo ricordava; invece stavolta ricordava fin troppo bene cos’aveva sognato: il giardino della sua vecchia casa, precisamente i ciliegi della madre, bianchi e fragili, che da piccolo si divertiva a scalare, e poi da grande non se n’era più interessato, non era tipo da pollice verde.

Ma mentre stava per rilassarsi in sogno, ecco da in mezzo ai ciliegi apparire una persona, e lì gli venne un colpo: era Yayoi, quando ancora aveva quattordici anni, con i capelli lunghi e rossi e nel volto un’incredibile voglia di sorridere; non che lei non sorridesse, anzi, ma quello stesso sorriso era strano.

Solitamente, quando sorrideva, Aoba emanava sempre una grande calma e serenità, e i suoi occhi erano molto docili, tranquilli; nel suo sogno, Jun invece vide chiaramente che alla ragazza quasi veniva da ridere, i suoi stessi occhi brillavano di una gioia immensa, qualcosa di così grande che l’uomo si trovò … irretito, quasi turbato.

E poi, così com’era apparsa, Yayoi scomparve dietro il tronco di un ciliegio. E lì Jun si svegliò di colpo, e tanto era la sorpresa che si mise seduto, gli occhi spalancati nel buio e il respiro che quasi gli mancava dai polmoni.

Non aveva mai sognato la sua ex-moglie, non che se lo ricordasse:i suoi sogni, solitamente erano confusi e vaghi, mentre questo era fin troppo preciso, in quello stesso giardino Jun vi aveva trovato dettagli che nemmeno credeva di ricordarsi.

Provò ad addormentarsi di nuovo, ma per altre due volte sognò la stessa identica cosa: il giardino, i ciliegi, Yayoi. Ed ogni volta quel sorriso lo lasciava senza parole, sia per la sorpresa … sia per come illuminasse il volto della giovane, era irriconoscibile.

Quando si era svegliato per la terza volta si era notevolmente innervosito, tanto che aveva dato un pugno al materasso, restando sveglio per un’ora circa; alla fine aveva avuto un sonno nero, cupo, di quelli che in realtà non ti riposano affatto, e ti svegliano con una strana inquietudine addosso. E così Jun si era ritrovato a riaprire gli occhi, quella mattina.

Ed ora l’uomo si bevve il suo caffè nero, gl’infermieri che erano entrati dentro a cambiarsi uscirono dallo spogliatoio, salutando con un cenno i due dottori, Matilde rispose loro con un sorriso mentre Misugi l’ignorò platealmente.

-Accidenti, devi proprio aver dormito male se non riesci a fare nemmeno il tuo sorriso di circostanza.-

-Oggi non ce la faccio a sopportare la tua ironia.-

-Seriamente, Jun, hai una faccia da far paura! Sicuro che hai solo dormito male?-

Non glielo doveva permettere: Jun non doveva permettere a quella psicologa di andare oltre le poche informazioni che gli aveva dato, o sarebbe stata capace di analizzarlo per tutto il resto della mattinata, arrivando poi a formulare una delle sue teorie che, come sempre, ci azzeccavano e lo facevano irritare pesantemente.

Era da due anni che si conoscevano, e ancora l’uomo non era riuscito a farsi dire qualcosa che si potesse definire “carino” da parte di quella bionda italiana.

-Invece, Com’è andata la rimpatriata?-

Meno male, cambio di argomento, Jun era salvo!

-Bene, molto piacevole.-

-Hai fatto il gradasso come al solito?-

-Ho giocato.-

-Jun, mi ricordo ancora quando abbiamo fatto la partita di calcio tra voi dottori maschi: la squadra avversaria non ti ha più parlato per un mese, li hai umiliati.-

L’uomo sorrise divertito e soddisfatto a quel ricordo, cercando però di giustificarsi alla donna facendo un’alzata di spalle.

-Non ci posso fare niente: quando gioco, gioco.-

A quella risposta Matilde sorrise, notando come l’uomo si stava sciogliendo dalla sua posizione di “relitto umano per poco sonno”, assumendo la sua posa da “ex calciatore che faceva il culo a tutti”.

Era facile riuscire a tirare su di morale a Jun Misugi, bastava parlargli della sua passione!

In quei momenti, l’uomo perdeva il suo atteggiamento da “persona profonda”, rivelando la sua anima ancora da ragazzino.

-Giocherai pure, ma non guardi in faccia a nessuno.-

-Non te lo puoi permettere in una partita di campionato.-

-Jun, era una sfida tra medici.-

Ma era come parlare ad un muro in questo caso: Jun prendeva molto in considerazione il calcio, tanto quanto il suo lavoro di medico sportivo.

All’improvviso il suono dell’altoparlante fermò la conversazione dei due medici, i quali ne approfittarono per finire le loro rispettive bevande calde.

> Il dottor Misugi è atteso nell’ufficio del Dottor Guffred. Il dottor Misugi in ufficio del Dottor Guffred.

-Il lavoro mi chiama.-

-Salvato come sempre dalla campanella. Ci vediamo a pranzo?-

-Si, ma facciamo presto oggi, devo andare alla riunione della TokyoFC.-

-Oggi sei di turno anche lì? Come sta andando la situazione?-

Al contrario dell’uomo affianco a lei, Matilde s’interessava di tutto meno che del calcio: dopo aver vissuto per vent’anni in una famiglia italiana dove il padre e i fratelli litigavano perché tifavano tutti squadre diverse, aveva preferito ben altri sport a cui appassionarsi.

Jun sorrise con aria soddisfatta a quella domanda.

-Siamo tra i primi cinque, andando avanti riusciamo ad entrare in finale!-

-Allora buon lavoro. Ci vediamo dopo.-

Né saprebbe la sua pace

mai comprar con la viltà.

Quando Yayoi aveva sentito l’annuncio sull’altoparlante, per un momento si era bloccata: si era documentata, certo, sapeva che il suo ex-marito lavorava lì, non aveva firmato quel contratto senza valutare la situazione. Tuttavia, nonostante quella consapevolezza di essere così vicini, e quindi avere la consapevolezza che prima o poi si sarebbero visti, sentire quell’annuncio … era stata una bella scarica in tutto il corpo.

-Qualcosa non va, Aoba?-

-Ah, no, no Dottor Guffred, mi scusi.-

E la donna riprese la medicazione al piccolo paziente davanti a lei, supervisionata dalla presenza del capo della clinica, il quale oltre ad essere chirurgo era stato anche pediatra, e quindi si era preso molto a cuore la realizzazione del piano inerente alla pediatria, dove i bambini potevano stare assieme e rilassarsi. Precedentemente, dato che era una clinica privata, i piccoli erano abituati a stare da soli in camere piene di macchinari e con poca compagnia.

Adesso c’erano due sale dedicate a loro, una con i letti e l’altra con libri e giochi con cui svagarsi.

La donna terminò la medicazione, rivolgendo completamente la sua attenzione al paziente, il quale si lasciava controllare molto docilmente, facendo notare al dottor Guffred il talento della donna nei confronti dei più piccoli.

-Molto bene, davvero brava signorina … Aoba, giusto?-

-Si, la ringrazio dottore.-

I due uscirono dalla stanza salutando tutti i pazienti, per poi dirigersi verso gl’uffici del piano, e la donna approfittò di quel momento di breve pausa per guardarsi intorno, come sempre affascinata da quel posto.

L’edificio era molto moderno, con parte delle murature sostituite dal vetro, e sul tetto c’erano persino pannelli fotovoltaici, che diminuivano le spese sulla luce delle stanze; c’erano almeno una quarantina di camere tra private e collettive, divise in vari settori, e ai piani sotterranei v’erano le sale per i vari esami clinici.

Era un edificio che, stranamente, si sviluppava in orizzontale, e in una città ammassata come Tokyo quel posto risaltava tantissimo, anche per il suo stile, diverso dagl’edifici bianchi o color metallo che lo circondavano, la maggior parte usati come uffici di varie ditte.

-Mi dica, come sta suo figlio?-

-Ah bene, la ringrazio.-

-Lo sa, ho una nipotina più o meno dell’età di suo figlio. Una vera furia, non sta mai ferma! Immagino che anche il suo sia molto vivace.-

-Ah, Hikaru è un bimbo molto tranquillo. Invece ha una vera e propria passione per il disegno.-

Fin da quando era stato capace di prendere una matita in mano, il bambino aveva mostrato questa suo innato talento, e adesso avevano uno scatolone occupato solo dai tanti, tantissimi disegni di suo figlio; e lei non riusciva a buttarne mai via nessuno, erano tutti preziosi.

-Lo sa? Ho conosciuto diverse madri sole come lei, e tutte erano sempre molto protettive nei confronti dei loro figli.-

-Beh, io di sicuro non faccio eccezione. Ma non voglio opprimere mio figlio con la mia presenza; voglio che impari a cavarsela sempre, anche se sa perfettamente che io sono sempre pronta a dargli una mano.-

Per lei l’indipendenza era qualcosa di sacro. Qualcosa che non aveva mai avuto effettivamente: la sua famiglia, contadina e molto tradizionale, l’aveva profondamente soffocata, specie dopo quanto avvenuto con la madre, e anche quando era scappata dagli zii, che abitavano in città, anche lì non si era mai sentita davvero libera.

Solo quando aveva conosciuto Jun. Lì si che, per la prima volta, aveva avvertito la sensazione di aver fatto qualcosa da sola, di aver preso una decisione da sola.

E anche con Hikaru, anche lì aveva scelto da sola. E proprio come con Jun, anche allora non se n’era minimamente pentita.

Il dottor Guffred fece un cenno d’assenso alla risposta della donna, ed entrambi entrarono dentro l’ufficio, dividendosi le cartelle cliniche del reparto pediatria, Aoba se ne caricò almeno quattro o cinque in braccio, partendo alla volta del settore analisi.

Stava per scendere le scale, quando vide chiaramente, grazie alla struttura in vetrate, una capigliatura castana familiare, seguita da un volto familiare.

… Jun.

La donna agì senza pensare: silenziosamente aprì la porta alla sua sinistra, uno sgabuzzino dove si tenevano i medicinali per quel piano, e chiuse la porta, aprendone solo un piccolo spiraglio, per poter vedere. Un secondo dopo si diede della stupida.

Ma ti pare! Nascondersi dal tuo ex-marito?! Non hai più quattordici anni, dai!

E tuttavia, quando Yayoi vide Jun arrivare a quel piano, e dirigersi proprio dove c’era il dottor Guffred, per un attimo sentì il cuore mancarle: era cambiato, in quei cinque anni suo marito era cambiato, e anche tanto.

Si vedeva che aveva l’aria più matura, e il camice bianco gli conferiva anche maggiore autorità; al tempo stesso aveva ancora quel volto un po’ da ragazzino, e i capelli castani spettinati. Ma quello che colpì maggiormente la donna fu lo sguardo dell’uomo, i suoi occhi: erano … spenti.

La prima volta che vide quegl’occhi, quand’erano piccoli, Yayoi vi aveva visto subito tristezza, dovuta alla condizione di salute, ma soprattutto una grande voglia di vivere e giocare, una grande passione. Adesso, anni dopo, quasi non riconosceva quello sguardo.

Misugi bussò nell’ufficio del Dottor Guffred, ed entrò, e la donna ne approfittò per uscire, guardando per un momento la porta chiudersi, stringendo leggermente le cartelle tra le braccia, prima di allontanarsi, sgridandosi per quel suo comportamento e auto-promettendosi che, la prossima volta, avrebbe affrontato il suo ex-marito a testa alta.

Al piano delle analisi, trovò Seiji, il quale si voltò verso di lei con aria contenta, prendendole parte delle cartelline e offrendosi di accompagnarla, ringraziato con un cenno della testa dalla donna.

-Allora, come va il tuo primo giorno di lavoro?-

-Bene, il dottor Guffred è stato molto gentile, mi ha mostrato per bene la clinica e poi mi ha lasciato fare la medicazione di routine ai pazienti del reparto.-

-E Hikaru? Quando lo vai a prendere?-

-Stacco di lavorare alle quattro, pertanto ho chiesto alla sua maestra se poteva restare un’ora in più. Per fortuna che non c’erano problemi, se no non sapevo come fare.-

-Purtroppo questi turni sono abbastanza problematici, non sono come quelli in Ospedale.-

-Già, ma per lo meno ho la certezza di avere almeno un fine settimana libero ogni due settimane.

Certo, non era come quando stavamo a casa da mio padre, lì c’ero sempre, ma almeno sono tornata a lavorare.-

-Non sei tipa da fare la casalinga, eh?-

-… ho imparato a mie spese che restare in casa non mi fa bene.-

Sposandosi con Jun, era come se si fosse rinchiusa, aveva perfino lasciato perdere gli studi universitari per un certo periodo, dedicandosi completamente alla casa e al marito. Alla fine fu lo stesso Misugi a suggerirle di riprendere gli studi, e lei stessa, dopo il divorzio, si era resa conto che, se non fosse stato per quel consiglio, si sarebbe completamente staccata dal resto del mondo.

Era riuscita a mantenere i rapporti con le vecchie amiche solo perché si conoscevano da tanto.

In questo caso, con quel suo comportamento, era stata proprio uguale a sua madre. E di questo se ne vergognava profondamente, soprattutto perché lei, di sua madre, aveva sempre evitato di parlarne e soprattutto di pensarci.

-Invece, Ya-chan, questo fine settimana ti andrebbe di andare fuori con me e gli altri? Suzu-chan mi chiede spesso di te.-

La donna rivolse per un attimo lo sguardo a Seiji, sorpresa, e poi la venne da sorridere.

-Scusami Seiji, ma ho promesso ad Hikaru di passare un po’ di tempo insieme, anche perché il prossimo fine settimana lavoro.-

Suo figlio. La sua gioia più grande, il suo orgoglio. Il suo segreto da Jun: aveva chiesto, a tutti coloro che conoscevano la coppia, di non dirgli niente. Quando lo chiese a Sanae, la donna ci era rimasta peggio di tutti.

“-Perché non dovrebbe saperlo, scusa? Dopotutto è anche suo figlio!-”

“-… perché se lo venisse a sapere, di sicuro finiremmo per litigare. Ho fatto di tutto per evitare che litigassimo durante il divorzio, non voglio cominciare adesso, soprattutto per nostro figlio.-”

E con questo aveva zittito la donna.

Seiji, invece, si vedeva lontano un miglio che ci era rimasto male.

-Dai! Sei appena tornata e già sei irraggiungibile! Almeno ti ricordi che oggi sei a pranzo con me?-

-Ma certo che me lo ricordo, scemo.-

E Yayoi arrivò a destinazione, di fronte a lei l’ufficio con le cartelle delle analisi, e velocemente si riprese le cartelline, lasciando che l’uomo le aprisse la porta, sorridendogli per ringraziarlo.

-Ci vediamo dopo.-

-A dopo.-

Del periglio al fiero aspetto

ella intrepida già parmi

impugnar lo scudo e l'armi

d'una bella fedeltà.

-È con questo credo che non ci sia altro da dire. Può andare dottor Misugi.-

-La ringrazio dottor Guffred.-

-Ho visto che il TokyoFC ha vinto la scorsa settimana. Ottimo lavoro.-

-Grazie mille, signore. Buona giornata.-

L’uomo chiuse la porta, e quando alzò lo sguardo aveva un sorriso a trentadue denti in faccia: se c’era una cosa che gli piaceva ancora era ricevere commenti positivi sull’andamento della sua squadra.

Certo, lui era solo un tecnico sportivo, ma cavolo che soddisfazione quando vincevano la partita e dicevano “ottimo lavoro”: era in quei momenti che l’uomo ricordava il motivo per cui, nonostante facesse il medico, alla fine non aveva smesso di lavorare in ambito sportivo.

Scese le scale con rinnovata energia, dirigendosi al suo studio, situato accanto al reparto di Fisioterapia; ufficialmente, il suo studio faceva parte del reparto di Medicina Interna, anche perché i suoi studi medici erano stati di quel tipo, anche se spesso aveva contatti anche con medici chirurgi e con il reparto di fisioterapia, a seconda del paziente che aveva.

In quel caso, l’uomo che si presentò aveva la pelle nera, e un’aria tesa mentre vedeva il giapponese avvicinarsi e tendergli la mano.

-Piacere, sono il dottor Misugi. Lei dovrebbe essere il Signor … Kama?-

-Kamau.-

-Mi scusi, noi giapponesi tendiamo a non pronunciare certe vocali.-

-Non si preoccupi. Parla un ottimo inglese invece.-

-La ringrazio. Mi dica, come posso aiutarla?-

-Faccio parte della squadra keniota di atletica leggera; siamo venuti qui in Giappone per un ritiro prima dei mondiali di Londra.-

-In bocca al lupo.-

-Grazie.-

-Perché il Giappone?-

-Il nostro allenatore possiede delle conoscenze qui, e ci ha mandato in struttura molto specifiche ad Okinawa.-

-Capisco. E il suo problema sarebbe?-

-Vede, quando ero piccolo ho subito una caduta che mi ha fratturato la gamba, ma fino ad adesso non ho avuto alcun problema a riguardo, tanto che sono riuscito ad entrare a far parte della squadra Nazionale; tuttavia, ultimamente durante gli allenamenti ho forti dolori, proprio lì dove l’osso si è riparato, e temo il peggio.-

-Ha usato analgesici finora?-

-Molto leggeri, non voglio risultare positivo ai testa anti-doping.-

Il giapponese annuì, sulla sua scrivania erano posate le ultime analisi fatte dal keniano, e le sfogliò velocemente, controllando i risultati: le analisi erano praticamente perfette, come ovvio per ogni sportivo che si rispettasse, e Jun passò ad una visita vera e propria, verificando le condizioni della gamba.

Tastò i muscoli, constatando ancora una volta la straordinaria muscolatura degl’africani: era completamente diversa da quella di qualsiasi altro umano, europeo, americano o altro che fosse. Loro erano nati per correre: la loro struttura era tale da non caricare peso inutile sulle gambe, che erano si magre, ma anche scattanti e incredibilmente robuste; i loro arti inferiori erano fatti per macinare chilometri senza affaticare eccessivamente il loro corpo, e permettere loro di vincere maratone e gare di resistenza.

Il ginocchio del keniota, però, era particolarmente gonfio.

-Mi dica, le faccio male se tocco il ginocchio?-

-Si, negl’ultimi giorni ho avuto difficoltà a camminare.-

-… potrebbe aver avuto delle microfratture, per via dello sforzo eccessivo. Mi dica prima del soggiorno qui in Giappone quanto tempo si allenava al giorno?-

-Due o tre ore. Adesso, però, abbiamo aumentato il ritmo degli allenamenti.-

-Capisco. Dovrà fare qualche radiografia, per verificare lo stato del ginocchio, non vorrei ci fossero microfratture che possano compromettere il vostro stato di salute.-

Prese il telefono di servizio, e velocemente preparò una radiografia per il suo paziente, fortunatamente poteva accedere facilmente al reparto di radiologia senza far fare al suo paziente l’interminabile coda.

-Bene, tra un’ora il reparto di radiologia sarà al suo servizio.-

-La ringrazio fin da adesso per l’aiuto dottore.-

-Si figuri.-

Chiacchierarono a lungo a proposito di sport, delle loro carriere, dei loro sogni, delle loro vite: vivevano in posti completamente diversi, ma in certe cose gli sportivi si assomigliavano tutti. Passione, coraggio, testardaggine.

-I miei genitori volevano che continuassi a fare il pastore, ma a quel punto sono letteralmente scappato da loro.-

-Ah, ho fatto più o meno lo stesso: quando la malattia sembrava impedirmi di giocare, ho continuato lo stesso perché amavo troppo il calcio.-

-Anche lei si sentiva dunque libero, quando praticava?-

-Certo: niente ti da quella sensazione di libertà come poter inseguire quello che ami.-

-Ho la stessa identica sensazione. Anche con mia moglie.-

Era sposato?

-È sposato?-

-Si, con due bambini, il mio orgoglio.-

L’uomo davanti a lui aveva entrambe le cose: famiglia e carriera.

Per un momento, pensando a quella cosa, Jun strinse le mani tra loro, in silenzio, mentre l’uomo davanti a lui parlava con aria serena.

-Mia moglie a volte si lamenta che sono sempre via, ma so che è molto orgogliosa di me. Lei ha moglie, dottore?-

Ne aveva avuta una, dal quale aveva divorziato in quanto aveva ritenuto essere la cosa giusta per entrambi; in fondo non c’era più niente che potesse accumunarli, non molto di più di quanto sapessero già.

E allora perché quell’uomo sembrava molto più felice di lui?

-No, al momento no.-

-Le auguro allora di trovare presto la persona giusta.-

L’uomo annuì, e a salvarlo ci pensò il telefono, la segretaria informava che giù, nel reparto di radiologia, era tutto pronto; come sempre, il medico guidò il suo paziente fino ai due piani successivi, salutando con un sorriso l’atleta keniota e lasciandolo alle cure del medico che si sarebbe occupato delle sue radiografie.

-A presto dottore.-

-Signor Kamau.-

Stava per salire al piano di sopra, quando si bloccò di scatto.

L’aveva notato con la coda dell’occhio, ma non poteva certo sbagliarsi: una capigliatura rossa. Strano, era sicuro che di rosse, in clinica, non ce n’erano mai state; provò a guardare, ma così come l’aveva notata di sfuggita, quella capigliatura era scomparsa, tanto che ebbe, per un attimo, la sensazione di essersela sognata.

Oh santo cielo, i discorsi con il signor Kamau lo aveva rincoglionito, adesso aveva pure le visioni!

-Ehi, pianeta Terra a Jun.-

Matilde batté sulla spalla dell’uomo, facendolo voltare, e lei lo guardò con aria incuriosita, era passata di lì per parlare un attimo con la segreteria, e aveva notato l’uomo fermò come uno stoccafisso che guardava il vuoto.

-Ah, Matilde.-

-Beh, che hai? Hai visto un fantasma?-

-… no, no tranquilla. Andiamo a pranzo?-

-Tu va pure a cambiarti e aspettami lì, così tieni il tavolo. Io arrivo fra cinque minuti.-

L’uomo obbedì silenziosamente, e già questo parve una cosa strana alla donna, solitamente Jun non perdeva occasione per frignare un po’, soprattutto con l’italiana; invece lo vide allontanarsi verso lo spogliatoio, e solo l’urgenza dell’impegno la spinse a riprendere quello che stava facendo, cercando di metterci meno tempo possibile, una sottile curiosità aveva cominciato a pizzicarla.

Praticamente uscì dalla clinica correndo, dirigendosi verso la tavola calda dove lei e Jun erano soliti mangiare, trovandolo seduto al tavolo dov’erano soliti pranzare, ancora una volta l’uomo rivelava il suo lato abitudinario.

Cercò di mantenere la calma, avvicinandosi a lui e sedendosi con gli occhi fissi sul suo sguardo.

-Allora? Che c’è?-

-Niente … niente.-

-Jun, tu non sai dire le bugie quando sei pensieroso.-

L’uomo sbuffò infastidito, e la donna sorrise soddisfatta, avvicinandosi ulteriormente all’amico.

-Allora, allora? Riguarda il fatto che non hai dormito stanotte?-

-Senti, non mi va di parlarne, ok?-

E apparentemente Matilde sembrò calmarsi, prendendosi da mangiare mentre Jun continuava ad aspettarla, iniziando cavallerescamente solo quando la donna si accomodò al suo posto.

-Comunque questa reazione c’è l’hai solo quando si tratta dell’ambito affettivo.-

-Insomma, non mi lasci in pace, eh?-

-Che ci vuoi fare, sono curiosa. E se non ti cavo le cose come sto facendo, imploderesti, perciò ringraziami e dimmi che hai.-

-Niente, te l’ho detto.-

-Riguarda la tua ex-moglie?-

-Matilde cavolo!-

-Perché reagisci così?-

-Perché mi assilli!-

-Ti da fastidio parlare di lei? La odi a tal punto?-

-No. Io non ho mai odiato Yayoi.-

-Ah no? E allora perché hai divorziato da lei?-

-Semplicemente non c’era alcun motivo per andare avanti con quella farsa.-

-Sposarla era stata una farsa?-

Il giorno del suo matrimonio avevano scelto una cerimonia occidentale, anche se al posto del prete c’era stato un incaricato dal sindaco; il vestito di Aoba era stato bianco, immacolato, e la donna tra i capelli aveva avuto fiori come fermagli. Aveva avuto gli occhi lucidi dall’emozione, al punto da piangere quando lui disse “lo voglio”; era bellissima.

E dopo … ricordi confusi di una vita che si spegneva.

L’uomo non rispose alla psicologa, che si prese il tempo di prendersi qualche boccone del suo pasto, prima di riprendere a parlare.

-Allora ci tenevi a lei.-

-Certo che ci tenevo a lei! non sono mica una bestia!-

-Però continui a non rispondere alla mia domanda: perché hai divorziato?-

Se avesse dovuto sintetizzarla in poche parole, Jun avrebbe detto che semplicemente un giorno si erano ritrovati a parlarne, e Yayoi era stata d’accordo con lui; la questione delle clausole era stata lunga solo perché voleva essere sicuro che fossero tutte come le aveva enunciate la prima volta dall’avvocato.

-… Ci era sembrata la soluzione migliore.-

-Per tutti e due? Lei che ne pensava?-

-Era d’accordo con me.-

-Ma le hai chiesto la sua opinione?-

-Certo che l’ho fatto, cazzo Matilde! Mi dipingi come se fossi un egoista!-

-Perché lo sei, tendenzialmente.-

-Vaffanculo.-

-La verità fa male, eh?-

-Senti Matilde, piantala di psicanalizzarmi: io e Yayoi abbiamo divorziato di comune accordo, lo volevamo tutti e due ed è stata la scelta più giusta.-

-Lo credi davvero?-

-Si, si!! Dio, ma perché ti ostini tanto?!-

-Perché ti ha sposato, Jun Misugi, e di solito ci si sposa perché ci si ama, non perché è “una farsa”.-

Lui all’amore non ci aveva mai fatto davvero caso: sapeva che Yayoi gli voleva bene, e a lui non dispiaceva per niente la ragazza, che poi era diventata una donna molto bella.

Matilde sbuffò sonoramente, mangiando in quelle brevi pause tra i due.

-Jun, non fare lo stronzo con me, perché ti conosco, e tu sai che io non ti psicoanalizzo, come affermi tu: io ti faccio vedere le cose come stanno.-

L’uomo preferì non rispondere, non gli andava di litigare con l’italiana, pertanto si tenne la bocca chiusa mangiando il suo pasto, mentre la donna scuoteva il capo leggermente delusa, riprendendo anche lei a mangiare: era inutile, quando voleva Jun era peggio di un muro di cemento armato.

Il pranzo proseguì in silenzio, ma se all’inizio era un silenzio infastidito, dopo un po’ la tensione di sciolse, e i due semplicemente preferivano non parlare, godendosi il loro cibo, quel posto non era per niente male, e poi era così vicino alla clinica!

Appena terminò, Jun cavallerescamente pagò il pranzo di entrambi, andando poi a recuperare il suo borsone sportivo, pronto a dirigersi verso lo stadio.

-Dai, ci vediamo domani.-

-Vedi di darci dentro.-

L’uomo sorrise divertito all’italiana, per poi allontanarsi verso la metropolitana mentre Matilde si metteva le mani nelle tasche del camice, senza pensarci era andata alla tavola calda ancora in uniforme, se la beccavano.

Ma in quel momento, mentre guardava la figura dell’uomo, la psicologa rivelò nel volto la sua preoccupazione per l’amico: se continuava così, a tenersi tutto dentro, prima o poi sarebbe esploso, e allora si che sarebbero arrivati i problemi.

-Dottoressa Cecconi!-

La donna si voltò, stupita di essere chiamata, e in quel momento riconobbe la figura di Kishimoto … accompagnato da una donna dai lunghi capelli rossi. Il cervello dell’italiana si mise immediatamente in moto.

-Dottoressa, ha già pranzato?-

-Si, voi invece? Ci state andando in questo momento?-

-Si. Ah, mi scusi, questa è Yayoi Aoba, una delle nuove infermiere del reparto di pediatria. Ya-chan, questa è la dottoressa Matilde Cecconi, del reparto di psicologia.-

Matilde fu abilissima a nascondere il guizzo d’entusiasmo quando collegò, finalmente, un volto a quel nome, mentre l’infermiera fece un educato inchino.

-Piacere.-

-Il piacere è solo mio. Come ti trovi alla clinica?-

-Molto bene! È un posto incredibile.-

-Lo immagino. Scusate, non vi trattengo ulteriormente. Vi auguro buona giornata.-

-Altrettanto dottoressa.-

La donna accelerò il passo, e più si allontanava più le veniva da sorridere … con molto gusto: presto alla clinica ci sarebbe stato qualcosa di molto interessante su cui studiare la psiche umana.

E d'un trono alla speranza

dir, con placida sembianza,

basso affetto ~ nel mio petto

nido aver non mai potrà.

(Maometto II, Rossini)

 

**

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Capitolo 5
*** Recitativo: Don Magnifico e le figlie ***


Recitativo:

Don Magnifico e le figlie

 

Le occasioni di vedersi, fra Jun e Yayoi, furono molte e in svariati momenti. Sfortunatamente tutte evitate abilmente; forse era il fato che si divertiva a giocare con quei due, forse erano i loro turni che non coincidevano mai per paura fortuna, fatto sta che Matilde ne era sconvolta ogni volta.

Poi era questione di pochi secondi: bastava che uno dei due tardasse a scendere le scale, che all’ultimo momento tornasse sui suoi passi, che fosse richiamato da qualcuno, e l’incontro non avveniva.

E dire che l’italiana li vedeva entrambi almeno una volta al giorno, tutti i giorni!

Moriva dalla curiosità, voleva vedere la reazione dell’uomo nei confronti della donna quando l’avrebbe vista; dopotutto lui aveva dei ripensamenti, parecchi ripensamenti, e anche se cercava di non darlo a vedere, la psicologa aveva individuato tutti i segni dello stato d’animo dell’uomo.

In effetti è strano come il fato giochi e si diverta con le vite degli uomini: due persone, che dopo anni di relazione, per 5 anni non si vedono più, adesso hanno occasione di rivedersi, ma forze esterne li tengono l’uno lontano dall’altra.

Don Magnifico 

Mi par che quei birbanti

Ridessero di noi sotto-cappotto.

Corpo del mosto cotto,

Fo un cavaliericidio.

 

Tisbe

Papà, non v'inquietate.

-Aoba, buongiorno.-

-Ah, dottoressa Cecconi.-

-Chiamami pure Matilde, tranquilla. Ti disturbo?-

-Ah no, mi dica pure.-

-Volevo offrirti un caffè nello spogliatoio, sa la nostra macchinetta è migliore di quella del bar.-

-Non mi dispiacerebbe, grazie.-

Per Matilde, Yayoi era davvero interessante: aveva un volto che emanava tranquillità, era certa che persino il paziente più problematico, davanti alla donna, si sarebbe subito calmato; era magnetica, ma non nel senso erotico del termine, il suo magnetismo era dettato proprio dal suo carattere. E poi quel rosso naturale era davvero invidiabile.

La guidò verso lo spogliatoio, situato a piano a terra, e sulla loro strada incrociarono il dottor Guffred.

-Dottore.-

-Dottoressa Cecconi. Ah senta…-

-Mi dica.-

-Dica alla dottoressa Akata che sto ancora aspettando il resoconto del mese sulla mia scrivania.-

-L’avvertirò al più presto.-

-Bene, buongiorno. Aoba.-

-Dottor Guffred.-

E le due donne si allontanarono velocemente, al contrario il capo della clinica procedeva con passo tranquillo, soffermandosi per la seconda volta per salutare proprio Misugi mentre Aoba entrava nello spogliatoio; Matilde si fermò sulla soglia, voltandosi a guardare l’uomo, e si rese conto che avrebbe dovuto cogliere la palla al balzo.

Appena finiva di parlare, lei …

-Jun!-

>Il dottor Misugi è atteso in Fisioterapia.

La donna quasi non ci credeva, e vide l’uomo farle spallucce e allontanarsi, portandola a sbattere il tacco a terra dal fastidio, per poi chiudere la porta dello spogliatoio e ridacchiare, ancora sbalordita.

-Dottoressa Cecconi, qualcosa non va?-

-No, no tranquilla Aoba. Sono solo sconvolta di come a volte il destino sia inoppugnabile.-

La donna dai capelli rossi non comprese le parole dell’italiana, e questa si limitò a farle un cenno con una mano, avvicinandosi alla macchinetta del caffè, situata in bella mostra davanti all’ampia finestra di quel lato.

-Come lo vuoi il caffè, Aoba?-

-Ah decaffeinato se è possibile, grazie.-

La donna preparò il tutto, e cinque minuti dopo porse una tazza fumante alla donna dai capelli rossi, mettendosi comoda sul ripiano della stanza, decisa ad intavolare una conversazione per conoscere meglio l’infermiera davanti a lei.

I genitori di Matilde l’avevano sempre sgridata perché la ragazza, anche al di fuori del campo della medicina, “studiava” il comportamento dei suoi conoscenti. Oltretutto era incredibilmente empatica, pertanto tra lei e la psicologia era stato amore fin da subito; tuttavia non era la classica strizzacervelli come la dottoressa Akata: quando aveva in cura un paziente, la prima cosa che faceva era conoscerne il carattere e le qualità. Poi, in base a quelle, verificava l’effettiva malattia mentale, se poi c’era.

-Posso darti del tu?-

-Ah, certo dottoressa.-

-Allora tu chiamami pure Matilde, non mi offendo. Da quanto fai l’infermiera?-

-Da circa sei-sette anni.-

-E prima della clinica dove lavorava?-

-Al reparto di pediatria dell’Ospedale Centrale.-

-Ah si, ci lavora un mio amico, il dottor Ogheguri.-

-Lo conosce?! Non me l’aspettavo.-

-Si, quel cascamorto nonostante tutto è bravissimo con i bambini. Spero non sia una delle sue vittime.-

Yayoi rise divertita.

-No, fortunatamente l’infermiera Saotome lo teneva a bada, almeno era così l’ultima volta che ci sono stata.-

-Ha dovuto lasciare il lavoro?-

-Purtroppo hanno fatto dei tagli sui dipendenti, e l’anno scorso sono dovuta tornare alla casa paterna, continuando però a cercare un lavoro.-

-Dev’essere stato un momento difficile.-

La donna dai capelli rossi annuì, sorseggiando il suo caffè mentre Matilde la guardava con attenzione, sorridendo soddisfatta per le informazioni che aveva carpito.

-Fortunatamente la clinica mi ha contattato, così io e mio figlio siamo potuti tornare a Tokyo.-

A momento l’italiana si strozzava con il caffè.

-Matilde, tutto bene?-

-Hai … hai un figlio?!-

Yayoi si rese conto di aver trapelato quell’informazione senza pensarci, e imbarazzata si portò una mano alla bocca mentre il cervello della psicologa lavorava febbrilmente, quell’informazione era decisamente una bomba ad orologeria, soprattutto se Jun ne fosse venuto a conoscenza.

Ci fu qualche secondo di silenzio, e l’italiana si rese conto che doveva prendere la parola.

-Scusami, mi sono sorpresa perché sembri molto giovane. Dimmi, quanti anni ha tuo figlio?-

-Ah, Hikaru ha cinque anni.-

Se non ricordava male, era proprio da cinque anni che la donna era divorziata da Misugi; doveva giocarsela.

-Immagino che sia l’orgoglio del padre, il primo figlio maschio!-

-… Hikaru non ha il padre.-

Jun non le aveva mai accennato alla possibilità di avere un figlio, quindi le possibilità che lui sapesse del piccolo erano molto basse. Questo si che era decisamente interessante.

-Uomo poco affidabile?-

-No! No affatto.-

Rapida e negativa, risposta secca, atteggiamento schivo. Non ne voleva parlare, era il caso di battere in ritirata; Matilde alzò le mani verso l’alto, in segno di resa.

-Scusami, scusami, è un mio brutto difetto: tendo a “studiare” la gente. A volte noi psicologi tendiamo a dimenticare il riserbo.-

Yayoi, nel conoscere il ruolo della dottoressa Cecconi, fece uno sguardo interessato, notando l’italiana scendere dal bancone dove si era accomodata per dirigersi verso il suo ufficio.

-Bene, devo tornare alle mie scartoffie. Ci vediamo in giro.-

-Ah, un momento, Matilde.-

La donna si voltò sorpresa, osservando l’atteggiamento imbarazzato di Aoba.

-Ti … ti posso chiedere un favore?-

Don Magnifico:

Ho nella testa quattromila pensieri

Ci mancava quella madama anonima!

 

Clorinda:

E credete che del principe

Il cor ci contrasti?

Somiglia a Cenerentola, e vi basti.

Hikaru correva molto svelto, superando così quel semaforo pedonale e addentrandosi verso il quartiere residenziale, lì dove le vie erano tendenzialmente libere dal traffico cittadino e dove gli alberi adornavano le villette.

Il suo asilo non era molto lontano da lì, e quando ci era andato con la mamma, la prima volta, avevano entrambi scoperto che c’erano anche dei giardinetti attrezzati; ma, quel giorno, non correva in quella direzione per andare a giocare.

Si guardò intorno, prendendo fiato, cercando di trovare qualcosa nelle tre strade di quell’incrocio, anche se scalpitava, suo nonno lo raccomandava sempre di non fermarsi ad un incrocio di quattro strade: era la via che conduceva all’aldilà, e c’era sempre il rischio di fare strani incontri.

Tuttavia doveva cercare per bene, ma alla fine riuscì a trovare quello che stava cercando, e via! ripartì a correre.

Era un’ombra, un’ombra piccola, che si muoveva svelta, frusciando fra le siepi e correndo lungo le murature, ma Hikaru non la perdeva d’occhio neanche per un istante, inseguendola e rischiando di andare a sbattere contro un lampione, evitandolo all’ultimo momento. Se Yayoi lo avesse visto in quel momento, avrebbe giurato che era tutto suo padre!

-Non mi scappi!-

Alla fine l’ombra scese dal muretto, e sotto il sole rivelò la sua natura: pelo grigio, sulla testa e il muso dei segno neri, e due occhi azzurri che è raro vedere.

-Eccoti, signor gatto!-

Il randagio, nel vedere e sentire il bambino, riprese a correre, dirigendosi proprio verso le giostre che Hikaru aveva visto con la sua mamma qualche giorno prima, e abilmente il felino s’infilò nello spazio fra la costruzione in legno e il terreno, in un punto dove nemmeno un bambino sarebbe riuscito a passare, tanto era stretto.

-Ah!-

Hikaru frenò la sua corsa, e fece un giro della costruzione, cercando di trovare un punto dove poter entrare. Ma niente, la costruzione era fatta per giocarci e salirci sopra, non certo per entrarci effettivamente dentro.

Tuttavia il bimbo, noto testardo, continuò lo stesso a cercare di scovare il micio, il quale si era messo comodo all’ombra, per niente intenzionato ad uscire da lì.

Quella mattina il gatto si era fatto vedere all’asilo, e Hikaru con Makoto erano riusciti ad avvicinarsi e ad accarezzarlo, anche perché il felino era piccolo anche lui, forse orfano; quando l’insegnante aveva detto una cosa del genere, al bambino era venuta voglia di prenderlo con sé. In fondo a casa del nonno lui e la mamma erano abituati ad avere animali in casa, pertanto anche in quel caso non ci sarebbero stati problemi.

Solo che, quando era uscito dall’asilo, il micio aveva pensato bene di darsi alla fuga, e lui era stato costretto ad inseguirlo per quelle strade, senza rendersi effettivamente conto di dove stava andando.

Alla fine trovò uno spiraglio, dentro la costruzione, da cui riusciva a vedere il gatto, e notò che questo si era come addormentato.

-Ehi, che stai facendo?-

Hikaru si voltò di scatto, colto di sorpresa, e vide davanti a sé un uomo alto, con un borsone al fianco; il bimbo, immediatamente, saltò in piedi e fece qualche passo indietro, sua mamma gli aveva sempre insegnato a non parlare con estranei.

L’uomo, tuttavia, s’inginocchiò dove prima stava il bimbo, e anche lui sbirciò da quell’apertura, notando la palla di pelo.

-Ah, ho capito. È tuo quel gatto?-

Il bimbo scosse il capo, continuando ad osservare attento l’uomo, si vedeva lontano un miglio che non si fidava; l’uomo, notando quell’atteggiamento, sorrise divertito.

-Tua mamma ti ha insegnato a non parlare con gli estranei, giusto?-

Questa volta il piccolo annuì, e l’uomo ampliò il sorriso, alzandosi in piedi.

-La tua mamma è molto saggia. Ma scommetto che sarà preoccupata di non vederti tornare.-

Scosse la testa, in segno di diniego, e l’uomo se ne sorprese. A quel punto il bimbo decise di parlargli, anche se continuava ad avere uno sguardo diffidente verso lo sconosciuto.

-La mamma sta lavorando, torna più tardi.-

-E il tuo papà?-

-Io non ho il papà.-

E a quel punto Jun si bloccò. Perché si, si trattava di Jun Misugi: aveva notato il bambino mentre stava camminando verso casa, anche se lontano preferiva camminare. Quella mattina era andato a lavorare come tecnico, approfittandone per allenarsi con i giovani della squadra, e ora stava tornando per prepararsi al turno di notte.

Poi c’era stato quell’incontro, e adesso l’uomo si trovava in un situazione parecchio spinosa.

-Ah, mi dispiace.-

-Tanto mamma dice che tornerà.-

Aspetta un momento, allora non era morto! Che sollievo, già si era preoccupato di aver intristito quel bambino; questo, intanto, si mise seduto a terra, togliendosi il cappello che aveva calcato sulle orecchie.

Cappelli … rossi. Oddio, meglio dire che erano rossicci, però comunque un colore che lasciò Jun molto sorpreso, e ovviamente pensò subito a Yayoi.

Parlò con il piccolo, per non pensarci ulteriormente.

-È partito?-

-No. Mamma dice … che quando sono nato lui non c’era.-

Probabilmente l’uomo nemmeno sapeva dell’esistenza del figlio!

A Jun tornò in mente il discorso fatto con Kishida, e gli venne un dubbio. Poi si riscosse, non era possibile, erano fin troppi i bambini con una situazione simile a quello che aveva seduto lì accanto.

-Però mamma mi parla spesso di lui, e mi dice anche che un giorno me lo farà conoscere.-

-… vuoi conoscere il tuo papà?-

-Si!!-

Il bimbo rispose con talmente tanto entusiasmo che Jun quasi si ribaltava, gli occhi del piccolo si erano accesi. A vedere quell’impeto, all’uomo venne da ridere, e istintivamente sfregò la sua mano sulla piccola testa del bambino.

-Allora metticela tutta, sono sicuro che tuo padre sarà felicissimo di fare la tua conoscenza.-

Hikaru annuì, entusiasta, e Jun addolcì il sorriso, restando seduto accanto al suo nuovo, piccolo amico.

-Piuttosto, io mi chiamo Jun Misugi. Qual è il tuo nome?-

-Hikaru. Hikaru Aoba.-

Di nuovo, il volto di Yayoi tornò in mente a Jun, e sentire quel cognome gli provocò una scarica in tutto il corpo; ma ancora, si riscosse: non era possibile. O forse si, ma in quel caso a lui non doveva interessargli. Erano scelte della donna.

E allora perché, nel dirsi questo, sentiva come un profondo senso di amarezza?

A distrarlo, da quei pensieri, ci pensò il bambino alla sua destra: rivelò il suo piccolo cestino del pranzo, e c’infilò la mano, tirando fuori un piccolo sacchettino di plastica, con dei biscotti. Ne prese uno, e lo offrì all’uomo accanto a lui.

-Tieni. Li ha fatti la mia mamma. Assaggia, sono buoni.-

L’uomo lo guardò sorpreso, afferrando poi il biscottino con le dita. Era piccolo di dimensioni, eppure aveva una forma a stella precisa, e il bimbo ne tirò fuori un altro a forma di luna. C’era anche a forma di muso di gatto, di sole; lentamente, un po’ titubante, l’uomo si mise in bocca il dolcetto, masticandolo con incertezza.

-… buono!-

Hikaru sorrise soddisfatto, mangiandosi il suo biscotto e offrendone un altro all’uomo accanto a lui, che se lo mangiò con molto più entusiasmo. Proseguirono senza parlarsi, lasciando che i minuti scorressero in quella quiete, una leggera brezza soffiava e c’era un’atmosfera di pace, come poche volte aveva notato l’uomo in quegl’ultimi anni.

Ad essere sincero, non si era mai particolarmente soffermato a guardare quello stesso parco, e dire che non era la prima volta che faceva quel percorso a piedi; adesso, che stava seduta a masticare biscotti, notava i grandi alberi situati agl’angoli del posto, uno di questi era un ciliegio che stava per fiorire. Effettivamente non mancava molto alla fioritura.

Arrivarono così all’ultimo biscotto, quello a forma di sole, per combinazione lo avevano lasciato entrambi per ultimo, perché a tutti e due piaceva il suo aspetto; gentilmente, Jun sorrise e trattenne la mano.

-Prendilo, sono i tuoi biscotti, no?-

Il piccolo guardò il biscotto dentro il sacchetto, e poi le prese in mano; senza starci a pensare, facendo attenzione, lo prese con entrambe le mani e lo spezzo a metà, offrendone una parte all’uomo alla sua sinistra.

-Mamma dice sempre che sono più buone le cose quando si mangiano insieme.-

“-Le cose hanno un sapore migliore se si condividono.-”

La brezza spettinò leggermente Jun, ma questo non se ne rese conto, troppo sbalordito da ciò che stava vedendo: il volto di Hikaru, serio e imbarazzato mentre gli offriva il biscotto, per un momento gli parve identico a quello di Yayoi, quando si parlarono per la prima volta, un ricordo che l’uomo aveva rimosso da tempo, e che ora era tornato prepotentemente.

Erano alle Medie Inferiori, ed erano in classe insieme; lei era l’ultima arrivata, ed oltretutto pareva una ragazzina molto timida. Lui, in quanto rappresentante di classe, si era fatto avanti, presentandosi e invitandola a mangiare con lui.

Parlando, un po’ faticosamente, avevano fatto conoscenza, e alla fine del pasto lei tirò fuori quei biscotti, offrendoli al ragazzo, fino a quando non arrivarono all’ultimo e lei, senza pensarci, lo spezzò a metà, dandoglielo dicendo quella stessa frase, sorridendo imbarazzata, le guance arrossate.

Di per sé non era un ricordo particolarmente importante, c’erano stati momenti molto più seri o belli tra i due; ma ricordarlo in quel momento, in quel momento di pace, con il volto della donna che gli apparve sia giovane, come la prima volta, che più maturo, come l’ultima volta che l’aveva vista, gli provocò un groppo in gola.

Cos’era quello? Perché quel groppo? Non aveva fatto la cosa più giusta sia per lui che per Yayoi? Che cosa gli stava succedendo?

Ingoiò con forza, cercando di parlare, prendendo quella metà di biscotto con un sorriso stentato.

-Ti ringrazio.-

Usò quello stesso dolcetto per cercare di sciogliere quel nodo mentre il bimbo si alzava in piedi, pulendosi i pantaloncini e rimettendo la plastica dentro il suo sacchettino del pranzo; a quel comportamento anche Misugi scattò in piedi, stupito.

-Vai via?-

Il bimbo annuì, calcandosi il cappello in testa.

-Devo tornare a casa.-

-Aspetta, ti accompagno.-

-Ho cinque anni, ce la faccio da solo, grazie.-

E Hikaru si gonfiò il petto, sorprendendo Jun e facendolo sorridere divertito, osandogli posargli una mano sopra il capello in un gesto affettuoso.

-Scusami, hai ragione: sei un ometto.-

Quell’atteggiamento sorprese il bambino, ma poi lo fece sorridere imbarazzato.

Poi l’uomo lasciò la presa, raccogliendo la sua sacca.

-Allora ti saluto. Sta attento mentre torni a casa.-

E Jun gli sorrise, voltandosi e iniziando ad avviarsi, un po’ gli dispiaceva lasciare solo quel bambino, e non solo perché era così piccolo in una città come Tokyo: in quel poco tempo, passato assieme a condividere dei biscotti, l’uomo aveva provato una profonda … rilassatezza, una sensazione che non ricordava di provare da parecchio tempo.

Era come se … per qualche minuto … qualcuno gli avesse tolto dal corpo una pesante cappa, e ora che se ne stava andando … qualcosa o qualcuno gliela stava rimettendo.

Hikaru guardò quell’uomo avviarsi a passo lento, i suoi grandi occhi castani fissi su quella grande schiena. Poi strinse le manine sul grembiule, e prese un profondo respiro, prima di gridare con tutte le sue forze.

-CI POSSIAMO RIVEDERE?-

All’uomo quasi venne un colpo nel sentirlo, gli era parso un bambino così tranquillo fino a cinque minuti prima, invece senti che voce! Si voltò a guardarlo sbalordito, e il bimbo aveva in faccia un’espressione serissima, quegl’occhi color nocciola sembravano andare a fondo nell’anima dell’uomo, tanto che lui si sentì incredibilmente a disagio.

Non poteva dirgli di no. Non riusciva nemmeno a pensare di dire di no.

-… va bene.-

-Domani?-

-Ah, lavoro.-

-Dopo domani?-

-Sono … libero il pomeriggio.-

-Allora ci vediamo qui. Ti aspetto. Grazie.-

Ed educatamente, il bambino fece un inchino di saluto e di ringraziamento, per poi scappare via di gran carriera, mentre Jun era ancora frastornato da quello che era accaduto negl’ultimi secondi.

Alla fine, quando si riprese, si passò una mano tra i capelli, e lentamente gli salì in gola qualcosa; no, non era un groppo, non era il nodo di prima, era diverso. Qualcosa … di inaspettato … di piacevole, anzi meglio … di frizzante.

E rise. Rise imbarazzato, ma con una contentezza tale che non riusciva a sciogliere quel grande sorriso sulla faccia; era una sensazione tale che nemmeno il gol più bello della sua carriera era paragonabile. Forse solo una cosa era simile, e quando ci pensò sorrise ancora, anche se con nostalgia.

Fu così felice allo stesso modo … la prima volta che riuscì a baciare Yayoi Aoba.

Clorinda

(con aria di mistero)

E paventar potete a noi vicino?

 

Don Magnifico

Vi son buone speranze?

 

Tisbe

Eh! niente niente.

Posso dir ch'è certezza.

 

Clorinda

Io quasi quasi

Potrei dare delle cariche.

-Amore! Hikaru, sono a casa!-

Yayoi si chiuse la porta dietro di sé con una pedata, in mano aveva la borsa e due buste della spesa, i capelli li aveva lasciati andare dalla treccia che era solita farsi per lavoro; sentì dei passi veloci che si avvicinavano, e alzò lo sguardo mentre si sfilava le scarpe, gli occhi erano impazienti di vedere suo figlio arrivare.

Lo vide arrivare dall’angolo che conduceva in camera sua, e fu subito accolta con un gran sorriso, e tale era la contentezza del bambino che le corse incontro, arrivando praticamente a saltarle addosso, con grande stupore della donna.

-Mamma!-

-Ehilà, piano che mi fai cadere! Come siamo allegri, è successo qualcosa di bello?-

Il bimbo annuì entusiasta, e questo contagiò la donna, che finì velocemente di sfilarsi le scarpe, salendo sul pavimento e mostrando uno dei due sacchetti al bambino.

-Allora lo festeggeremo con il gelato! Stracciatella per te e vaniglia per me.-

-Si!-

E il bimbo corse subito in cucina, per aiutare la madre a mettere a posto la spesa e a preparare la tavola.

Vederlo così dinamico, lui che era sempre un bimbo tranquillo, era una gioia per Yayoi: quando si erano trasferiti da suo padre, in campagna, la donna aveva fatto di tutto per non far mai annoiare il piccolo, i pochi bambini della sua età infatti erano parecchio distanti, e le poche volte che si trovavano erano solo per l’asilo, o per incontri di gruppo delle famiglie.

Tuttavia era ovvio che Hikaru, pian piano, si fosse chiuso in un mondo tutto suo, dove si era dedicato in particolare al disegno, e dove la donna vi entrava in punta di piedi per non disturbarlo; a lui non sembrava dare fastidio quelle intrusioni, ma la madre sapeva bene che, crescendo, le sarebbe diventato sempre più difficile conoscere il mondo “segreto” di suo figlio.

Per questo faceva di tutto per tenerlo in movimento. Anche perché era sano, e dunque poteva tutto ciò che ogni bambino poteva fare: correre, saltare, arrampicarsi, in quest’ultimo caso poi suo figlio era bravissimo, con suo grande divertimento.

Tornare a Tokyo, ricominciare la vita qui, avere degl’amici, gli stava facendo anche più bene dell’attività fisica con la madre.

-Allora, che cuciniamo stasera?-

-Uova!-

-Va bene, uova. Come le vuoi?-

-Ah … uhmm … stra … stra …-

-Strapazzate?-

-Si!-

Yayoi aveva l’abitudine di cucinare spesso piatti occidentali, e in particolare quel piatto piaceva tantissimo a suo figlio, sebbene dovevano usare le posate e non le bacchette; questo significava, quando Hikaru preparava la tavola, doversi alzare in punta di piedi perché non arrivava al cassetto, e poi cercare a tentoni le posate giuste, rischiando di farsi male.

-Aspetta, non fare così.-

La donna lo afferrò per i fianchi e lo sollevò, e subito il bambino prese il necessario, mentre la madre constatava che aveva preso peso, con sua soddisfazione. Appena lui ebbe fatto, lei lo mise giù, e lo vide ripartire nel suo importante compito di preparare la tavola, e lei si dedicò ai pasti.

Il bimbo mangiò con gusto, anche perché non vedeva l’ora di gustarsi il dolce, e a quel desiderio impellente la donna sorrise divertita, portando a tavola i cucchiaini e il dessert.

E mentre mangiavano direttamente dalla scatola, perché era molto più buono il gelato secondo entrambi, la donna cominciò a chiedere al figlio.

-Allora, cos’è successo oggi?-

-Ho inseguito un gatto!-

-Ci sei andato da solo?-

-Ho detto alle maestre che tornavo subito a casa, e l’ho fatto! Giuro!-

A volte Yayoi era preoccupata per quella intraprendenza prudente di suo figlio: combinava quelle marachelle come tutti i bimbi della sua età, ma avvertiva sempre gli adulti di quello che faceva, pertanto non lo si poteva nemmeno sgridare di qualcosa.

I suoi parenti, di fronte all’atteggiamento del nipote, non potevano dire niente, perché era un bimbo responsabile; però dicevano sempre alla madre di fare più attenzione.

Lei però tendeva ad ignorarli: suo padre aveva ricevuto troppi consigli da loro quando era venuta al mondo, lei stessa aveva ricevuto troppi consigli sull’evitare “quella poco di buono”, e quando aveva messo al mondo Hikaru aveva sempre evitato di mostrarlo al parentado. Era stato l’ultima spiaggia quel “ritorno a casa” da suo padre.

-Insomma, dove ti ha portato il gatto?-

-Al parco, quello dove ci siamo passati. Quello con le giostre.-

-Ti sei messo a giocare?-

-No, cercavo di prendere il gatto. È piccolo e randagio, volevo portarlo qui.-

Lei sorrise a metà fra il divertito e il rassegnato.

-E sei riuscito a prenderlo?-

-No, non riuscivo a prenderlo.-

Per questa volta niente gatto in casa.

-E poi? sei tornato a casa?-

-No, ho conosciuto una persona.-

-Hai parlato con un estraneo?!-

-Mi ha detto che facevo bene a non parlare con gli estranei, e mi è sembrato molto gentile.-

Eccola di nuovo, la prudente intraprendenza di suo figlio. Era inutile, non poteva dirgli proprio niente; forse perché, in fondo, anche lei avrebbe fatto lo stesso.

-Abbiamo mangiato insieme i tuoi biscotti, gli sono piaciuti.-

-Insomma ci hai fatto amicizia, eh? E come si chiama questo tuo nuovo amico?-

-Jun.-

“-Jun? Obbediente?-”

“-No, Giugno, o meglio Giunone: mia madre è sempre stata affascinata dalla cultura occidentale.

Il tuo, invece, non significa Marzo?-”

“-Già, io sono nata in quel mese.-”

“-Ma guarda, i nostri nomi si assomigliano di significato!-”

Yayoi prese un profondo respiro, cercando di calmarsi dallo stupore; alzò lo sguardo verso il figlio, ma lo vide mangiarsi il gelato tranquillo, e anche lei cercò di prendersene un po’, ingoiandolo a fatica.

-E ti sei trovato bene con lui?-

-Si, mi ha promesso che dopodomani ci vediamo. Posso andarci mamma?-

Avrebbe voluto dirgli di no, inventare una scusa qualunque, anche la meno credibile, pur di non lasciarlo andare; ma vide gli occhi di Hikaru, ed erano supplichevoli come poche volte li aveva visti.

-… certo tesoro. Ricordati che quel giorno avrò solo la mattina, quindi sarò a casa ad aspettarti.-

 

Clorinda

Dite, papà Barone

Voi che avete un testone:

Qual è il vostro pensier? ditelo schietto.

 

Don Magnifico

Giocato ho un ambo e vincerò l'eletto.

Da voi due non si scappa;

C'intenderem fra noi;

Viscere mie, mi raccomando a voi.

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Capitolo 6
*** Tagli: Alfredo & Annina ***


Tagli:

Alfredo & Annina

 

>Perché una madre non può chiedere al proprio figlio di fargli questa semplice cortesia? Non ti vediamo da Capodanno! Pensavo che avrebbe fatto piacere passare l’Hanami con i tuoi genitori.

Ultimamente la vecchiaia sembrava aver peggiorato sua madre, almeno secondo Jun: la sua amorevole preoccupazione per il figlio malato, con il tempo, si era trasformato in un atteggiamento melodrammatico che, da una parte, divertiva molto suo padre, sessantenne che si godeva i suoi anni di vecchiaia, ma d’altra parte stressava lui, trentenne che odiava perdere tempo nell’ascoltare i patemi della genitrice.

Ricordava ancora certi pranzi passati nella casa di famiglia, con la madre che lo obbligava, con occhioni dolci e musi lunghi, a farlo sedere accanto a lei mentre Yayoi era dall’altro lato della tavola; in quei momenti provava un imbarazzo tendente al rabbioso, ma la sua … ex-moglie gli aveva sempre rivolto uno sguardo complice, sorridendogli e facendogli spallucce.

Che ci potevano fare? La signorina Misugi era così!

Fece un giro della scrivania, prendendo il fascicolo dei risultati del paziente Kamau, cercando di parlare con la donna il più tranquillamente possibile, ricordando l’atteggiamento della giovane, ancora adesso gli dava un effetto quasi calmante.

-Mamma, a parte che sono a lavoro in questo momento, e vorrei discuterne con te con più calma …-

>Mi basta un si o un no!

Quando usava quel tono da vittima lo faceva incazzare da morire, e lui trattenne uno sbuffo, passandosi una mano tra i capelli; qualcuno bussò leggermente la porta, e una capigliatura bionda apparve agl’occhi scuri dell’uomo.

Matilde si frenò dall’entrare, ma l’uomo gli fece un cenno, cercando di concludere la telefonata il più velocemente possibile.

-Non posso dirti adesso di si, perché se succede un contrattempo poi ti arrabbi perché hai un figlio che non mantiene le promesse.-

>Non ho mai detto questo! Come puoi pensare che io dica una cosa del genere.

-Mamma, è successo proprio a Capodanno.-

>Ma lì non era un contrattempo di lavoro! Io capisco perfettamente quando si tratta di lavoro e quando si tratta di scuse. E in questo momento stai cercando una scusa.

Ecco, in quei casi sua madre era anche fin troppo sveglia, oramai i trucchi con cui riusciva ad infinocchiarla da ragazzo non valevano più, e inventarsi qualcosa di nuovo risultava difficile; se solo avesse avuto Yayoi, lei incredibilmente sapeva sempre trovare la scusa perfetta per fargli evitare quel tipo d’incontri.

Ci provò con Matilde, lasciando sua madre al suo sproloquio e sussurrando alla collega.

-Qualche idea per una scusa plausibile?-

-Motivazione?-

-Mia madre vuole che passi l’Hannami con lei.-

-… dille che devi uscire con me.

-EH?!-

-Volevi una scusa plausibile?-

Jun a momenti la mandava a quel paese, ma si rese conto che quella era l’ultima spiaggia.

-Mamma, mamma ascolta. Ho un impegno improrogabile … con una mia amica.-

-Che deficiente, così non la convinci. Intendevo “me” come donna!-

Ma al bisbiglio di Matilde Jun rispose facendo segno di zittirsi, in quei secondi sua madre si era fermata e sembrava riflettere sulla situazione.

>… quanto è amica?

-Che domande fai?!-

>Vedi tesoro, il fatto è che voglio farti conoscere la figlia di una mia amica, sai è appena tornata dal suo viaggio in Italia, sono sicura che avreste molto in comune.

Eccola lì, l’uomo sapeva perfettamente che prima o poi la madre avrebbe svelato le sue carte: ultimamente fargli conoscere le “figlie delle sue amiche” era diventato lo sport preferito della signora Misugi, ed ogni volta l’uomo sudava freddo, anche perché le conoscenze di sua madre erano solitamente signore borghesi con figlie borghesi che pertanto si potevano permettere viaggi borghesi in posti borghesi e parlare di cose borghesi. Una noia mortale.

Di conseguenza, tutti gli incontri combinati che aveva realizzato sua madre erano falliti: un po’ perché lui non voleva proprio starci in queste cose, anche perché si sentiva costretto, e poi nonostante quelle giovani fossero si intelligenti … lui non riusciva … come dire, a sentire quella strana sensazione nello stomaco.

E poi, sinceramente, a sua madre non era mai effettivamente piaciuto il matrimonio di suo figlio, ed era stata sollevata nel sapere del divorzio: era grata a Yayoi di essere stata accanto a Jun quando lui aveva avuto i suoi problemi fisici, ma per il resto c’era sempre stato un gentile distacco fra entrambe le donne, e Aoba non aveva dissimulato, preferendo quella situazione.

Quando entrò in quella casa come nuora, fu trattata come un animale di compagnia: con iniziale entusiasmo, seguito dal solito gentile distacco fino ad arrivare alla totale indifferenza di certi padroni nei confronti dei loro “migliori amici”.

Jun lo ammetteva, anche lui era in parte responsabile di quella situazione.

>Jun? Tesoro, sei ancora lì?

-… si mamma.-

>Dimmi che ci penserai, anche a tuo padre farebbe tanto piacere rivederti.

Si stava aggrappando a qualsiasi cosa pur di convincerlo, e in quei momenti l’uomo non sapeva se arrabbiarsi … o sorridere divertito.

-Ti prometto che ci penserò. Ora torno a lavoro mamma.-

>Hm, va bene. Ciao tesoro.

E l’uomo riuscì a chiudere la telefonata, sospirando mentre Matilde era rimasta a guardare la scena, mettendosi comoda su una delle due sedie dall’altro lato della scrivania.

-Lo sai? Potrei offendermi per non essere considerata da te una “donna”. Potrei andare da tua madre e intavolare una piacevole conversazione con lei.-

Jun le lanciò un’occhiata piena di orrore e messaggi come “ti uccido se lo fai, non scherzo!”.

-Conoscendoti riusciresti a convincerla che sei davvero una brava ragazza.-

La donna fece “scivolare” il piede sulla caviglia dell’uomo, senza fargli male, e lui le sorrise divertito, mettendosi al suo posto sulla scrivania.

-Piuttosto, mi stavi cercando?-

-Si, ma solo per romperti le scatole.-

-Beh hai completato la missione.-

-Hm, carino come sempre, eh? Però … non me la dai a bere.-

E la donna si sporse verso di lui, osando arrivargli con il naso a pochi millimetri dal volto, scrutandolo a fondo oltre le lenti dei suoi occhiali, quella era una delle rare volte in cui Jun poteva ancora una volta ammirare gli occhi verdi di Matilde.

-… è successo qualcosa di bello nelle ultime 24 ore?-

-Sono fatti miei.-

-Allora è un si. Chi è? Una nuova cameriera?-

Qui l’uomo sorrise trionfante, per una volta tanto il maledetto intuito dell’italiana non poteva funzionare.

-Spiacente, non rilascio interviste.-

-Non è una donna?! Questa si che è una novità Jun Misugi!-

-Già, e un’altra bella novità è che adesso te ne devi andare.-

E l’uomo, senza farle male, prese la donna e cominciò a spingerla fuori dal suo ufficio, l’italiana però non aveva ancora voglia di gettare la spugna.

-Andiamo dammi un indizio.-

-Niente da fare. Dai fuori!-

-Uffa Jun!-

In quel momento Yayoi raggiunse quel corridoio, e nel sentire Matilde chiamare l’uomo avvertì la sensazione di panico, e accelerò il passo, dando la schiena ai due dottori che sbucavano dalla porta; Misugi alzò lo sguardo, per vedere chi c’era nel corridoio, voleva evitare di essere sgridato dal dottor Guffred.

Vide subito la capigliatura rossa, legata in quel momento in una grossa crocchia, ma un po’ perché stava giocando con Matilde, e un po’ perché la donna gli dava le spalle e aveva l’uniforme da infermiera, non si rese subito conto di chi era, restando comunque sorpreso di rivedere quella capigliatura, l’aveva vista solo una volta.

L’italiana avvertì immediatamente il cambio di umore, e subito cercò lo sguardo dell’uomo: rispetto al solito, lo vide molto meno innervosito, ma comunque stava allungando il collo come una specie di giraffa per vedere meglio. Lei si voltò verso il corridoio, e vide solo di sfuggita la famigliare figura di Aoba, e sorrise divertita, chiedendo e facendo finta di niente con la donna.

-Ah, la nuova infermiera.-

-La conosci?-

-Si, me l’ha presentata Kishimoto, è una sua amica.-

Un’amica di Kishimoto … Kishida gliene aveva parlato …

-Aspetta, non mi viene in mente il nome. Ya … Ya …-

-Ya-chan …-

-Ah, ma allora la conosci anche tu!-

Ya-chan … capelli rossi … infermiera … un momento!

Jun mollò immediatamente Matilde, quasi correndo nel corridoio mentre l’italiana si appoggiava allo stipite della porta, guardando l’uomo allontanarsi da lei, sorridendo con aria compiaciuta.

ALFREDO

Annina, donde vieni?

 

ANNINA

Da Parigi.

 

ALFREDO

Chi te 'l commise?

 

ANNINA

Fu la mia signora.

 

ALFREDO

Perché?

L’uomo svoltò l’angolo, ma l’infermiera sembrava essere scomparsa nel nulla; istintivamente, Misugi la chiamò, continuando a cercare, senza aprire le porte per non entrare e disturbare qualcuno.

-Yayoi!-

La donna tremò quando si sentì chiamare, e si appoggiò ancora di più, con la schiena, alla porta della stanza, stringendosi al petto la cartellina: l’aveva vista, di sicuro l’aveva vista. Adesso l’avrebbe cercata, di sicuro l’avrebbe cercata almeno per tutto il piano. Cosa poteva fare? Doveva farsi vedere? E cosa sarebbe successo? Avrebbe domandato? Avrebbe chiesto?

Per un momento, il volto di Hikaru apparve nella mente della donna, e questa chiuse gli occhi, stringendoli forte come la cartellina che aveva tra le braccia: suo figlio aveva il diritto, e così anche Jun aveva diritto di conoscere la verità.

Doveva … doveva uscire fuori, farsi vedere.

Nello stesso momento, l’uomo aveva fatto l’intero percorso del corridoio, ma della donna vista di sfuggita nessuna traccia, di nuovo, per la seconda volta. Per un attimo pensò di avere le allucinazioni, ma Matilde l’aveva vista a sua volta, pertanto Jun girò sui suoi tacchi e tornò immediatamente al suo ufficio, passando nuovamente per la porta dov’era Aoba.

Questa aveva la mano sulla maniglia, e stava cercando di raccogliere tutto il coraggio possibile per aprirla; strinse gli occhi, pensò a suo figlio, cercò di pensare positiva, e alla fine aprì di scatto, facendo un deciso passo avanti, la sua voce a fatica cavò fuori un suono, guardandosi intorno.

-Jun …-

L’uomo non era più da quel lato del corridoio, e per un attimo Yayoi ebbe la tentazione di cercarlo, tuttavia si bloccò subito, ricordandosi di quella cartellina che aveva in mano, di dove si trovava, e soprattutto di CHI avrebbe voluto cercare; respirò, si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e tornò al lavoro.

Matilde dovette aspettare uno- due minuti, e poi rivide l’uomo tornare da lei, guardandola dritta negl’occhi. Le avrebbe chiesto qualcosa, di sicuro.

-Ehi, dove sei scappato?-

-Non ti ricordi proprio il nome della nuova infermiera?-

Andava subito al punto, era un suo punto di forza ma anche un suo difetti; tuttavia la donna non gliel’avrebbe data vinta così presto, voleva vedere fino a che punto l’uomo era desideroso di ottenere quelle informazioni.

-Ahm, non lo so, so che il nome era tipo quello che hai detto tu, Ya-chan, qualcosa del genere, il cognome invece … ah, lo sai che sono un disastro con i cognomi!-

-Per caso era Aoba?-

-Aoba? Hm … non lo so Jun, davvero non me lo ricordo. Adesso devo davvero andare in ufficio.-

-Aspetta aspetta aspetta! Non ho ancora finito con te!-

E l’uomo arrivò ad acchiapparla per un braccio, trascinandola di nuovo verso di sé; la reazione spinse la donna a sorridere divertita, accidenti non l’aveva mai visto tanto coinvolto in una ricerca!

-Beh? Prima mi scacci e poi non vuoi lasciarmi andare? Sei ben presto Jun!-

-Seriamente Matilde, davvero non ti ricordi il suo nome?-

Lo guardò attenta: aveva l’aria ansiosa, il respiro a metà fra il naso e la bocca, le pupille leggermente dilatate, e la mano che sudava leggermente. Un cambio di stato notevole rispetto all’aria rilassata che aveva cinque minuti prima; la psicologa, tuttavia, pensava anche alla donna, al fatto che non aveva fatto sapere nulla all’uomo, e si trovò ad avere davvero un tormento interno.

-… no, scusami Jun.-

-Almeno l’hai vista? Com’è?-

-Beh, è un pochino più bassa di me … occhi scuri, capelli rossi lunghi.-

A Misugi quelle informazioni parvero delle briciole, aveva conosciuto diverse donne simili in aspetto fisico, e in quel momento si sgridò per essere stato un po’ troppo schematico nelle sue compagnie; la guardò con aria frustrata, e per un momento Matilde ebbe voglia di dirgli tutta la verità, ma si trattenne.

Dopotutto lei era anche sotto giuramento d’Ippocrate nei confronti della donna.

-Non sai altro di lei?-

-Ci siamo viste di sfuggita una sola volta, quando abbiamo pranzato insieme e sei dovuto scappare, è venuto a mangiare nello stesso posto.-

Cinque minuti, cinque fottuti minuti e magari sarebbe riuscito persino a vederla! Jun si sarebbe mangiato le mani, ma si limitò a sbuffare, rilasciando lentamente il braccio della donna, la quale lo guardò per un momento, con aria addirittura intenerita: in fondo voleva solo dare pace ai suoi dubbi, sembrava quasi un ragazzino.

-… scusami Jun.-

E glielo disse con tutta la sincerità che possedeva, tanto che l’uomo ne rimase sinceramente sorpreso, per poi reagire leggermente imbarazzato.

-Non fare così, non ti ho chiesto chissà cosa.-

Ma non aveva idea di quanto la donna sapesse effettivamente.

Questa gli sorrise, per poi allontanarsi e salutarlo con un cenno della mano, mentre lui tornava in ufficio con un po’ di disappunto, mettendosi comodo sulla sua sedia e guardando l’orologio, quel giorno aveva anche appuntamento con Hikaru, non se lo doveva scordare, aveva la sensazione che se fosse arrivato in ritardo il bimbo non glielo avrebbe perdonato.

... ripensando al piccolo l’uomo sorrise intenerito, per poi aprire una delle cartellina che aveva sulla scrivania, iniziando a studiarsela.

Matilde, intanto, stava scendendo le scale senza fretta, salutando con un cenno del capo i vari colleghi di lavoro che passavano, quando si sentì chiamare dalla cima della rampa.

-Cecconi sempai!-

L’italiana si voltò sorpresa, era davvero un evento raro che qualcuno la chiamasse in quel modo, e si voltò a guardare: Yayoi, velocemente, la stava raggiungendo, fermandosi uno scalino sopra di lei.

-Le posso parlare? È impegnata?-

-No, figurati. È per il favore che mi hai chiesto?-

-Ah no, veramente si tratta di altro.-

La psicologa si limitò ad annuire, invitando con un cenno la donna a seguirla giù per le scale, il reparto di psicologia-psichiatria era a piano terra, in fondo all’edificio.

-Dimmi, ti ascolto.-

-Perdoni se glielo chiedo, ma conosce per caso Jun Misugi?-

Anche lei non perdeva tempo e andava dritta al sodo, eh? Matilde d’istinto sorrise a quel punto in comune tra i due.

-Si, è un mio collega e amico. Ti prego dammi del tu, mi fai sentire anziana.-

-Ah scusami.-

-Come mai mi chiedi di Jun? Lo conosci?-

La giapponese rimase molto sorpresa nel sentire l’italiana chiamare l’uomo per nome, evidentemente i due erano davvero molto amici; rispose con imbarazzo, e la psicologa si preparò a reagire nel modo più adatto: sapeva che Aoba aveva un figlio ma, apparentemente, non sapeva che il padre fosse proprio Jun, pertanto doveva fingere di non saperlo. Accidenti, certe volte le persone rendevano le cose più complicate di quanto non lo fossero.

ANNINA

Per alienar cavalli, cocchi,

e quanto ancor possiede...

 

ALFREDO

Che mai sento!

 

ANNINA

Lo spendio è grande a viver qui solinghi.

 

ALFREDO

E tacevi?...

-Ecco, vedi … Misugi è … il mio ex- marito.-

Yayoi vide Matilde bloccarsi per più di un minuto buono, guardandola dritta negl’occhi, tanto che la mise a disagio e le fece distogliere lo sguardo; a quel punto, la psicologa alzò lo sguardo verso l’alto e prese un profondo respiro, passandosi in seguito una mano tra i capelli.

-Accidenti. Lui lo sa che sei qui?-

-Ah no, credo proprio di no. Non gliel’ho detto, io … non me la sono sentita.-

-E non sa nulla di suo figlio oltretutto.-

La giapponese annuì.

Matilde a questo punto si trovò a riflettere bene sulla sua situazione: era amica di Jun, però adesso stava creando un rapporto anche con Aoba, che presto sarebbe diventato più profondo, specie per quello che le aveva chiesto la donna; era giusto dire alla donna davanti a lei che il suo ex-marito la stava pensando? O che comunque l’aveva cercata cinque- dieci minuti prima?

Il silenzio della psicologa allarmò leggermente l’infermiera, che subito cercò di sistemare la situazione.

-Scusa, ti sto coinvolgendo nella mia vita privata senza ritegno, mi dispiace!-

-Ma no, figurati. Immagino mi hai detto una cosa del genere perché sei preoccupata di qualcosa, no?-

Yayoi annuì, e si mordicchiò le labbra nel cercare di trovare le parole giuste con cui rivolgersi all’altra.

-Il fatto … è che ho cercato, per quanto mi fosse possibile, di tenere lontano Misugi dalla mia vita privata: non è cattiveria la mia, solo … non mi sento ancora pronta di affrontarlo.-

-Tuttavia sai che prima o poi gli dovrai dire di vostro figlio, vero?-

-Certo.-

Matilde osservò la donna: ne ammirava quella forza nelle sue decisioni, ma era preoccupata per quella sottile insicurezza che dimostrava ogni volta che si trattava di Jun; la sua mente cominciava già a lavorare a riguardo, ma preferì trattenersi il più possibile dal dare giudizi o iniziare a torchiare Yayoi, anche perché si trovavano in pubblico, sotto gli occhi di tutti.

Pertanto l’italiana si limitò ad incrociare le braccia, aspettando che fosse l’altra a prendere la parola.

Il problema era che la giapponese, in quel momento, si sentiva fortemente a disagio nel chiedere qualcosa alla donna: voleva sapere se lui avesse chiesto di lei, in fondo prima l’aveva cercata nel corridoio, e c’era mancato davvero poco che i due s’incrociassero. E tuttavia l’italiana non sapeva nulla della loro situazione, coinvolgerla le sembrava sgarbato nei suoi confronti.

-Vuoi che faccia qualcosa in particolare?-

Matilde le diede una mano, facendole quella domanda, e Yayoi si calmò leggermente dal suo stato d’ansia, guardando negl’occhi la psicologa, arrivando a formulare la risposta.

-… no, figurati. Ora scusami, devo tornare a lavoro.-

-Certo, non preoccuparti. Ci vediamo Venerdì pomeriggio?-

-Ah si, certo, ti ringrazio.-

E la donna fece un breve inchino, tornando al reparto pediatria in fretta e furia mentre la psicologa la guardava allontanarsi, sospirando e riprendendo ad andare verso il suo studio, tra tutti i pazienti che aveva avuto nella sua carriera di sicuro Yayoi Aoba sarebbe stata certamente la più interessante.

ANNINA

Mi fu il silenzio imposto.

 

ALFREDO

Imposto!... e v'abbisognan?...

 

ANNINA

Mille luigi.

 

ALFREDO

Or vanne... andrò a Parigi...

Questo colloquio ignori la signora...

Il tutto valgo a riparare ancora...

(La Traviata, Verdi)

 

**

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Capitolo 7
*** Cabaletta: La Cenerentola ***


Cabaletta:

Cenerentola

 

ANNUNCIO IMPORTANTISSIMO, DA LEGGERE ASSOLUTAMENTE!

Come avete visto, i capitoli precedenti sono stati modificati pesantemente; effettivamente, la storia ha preso una trama inaspettata, e credo di aver messo diversi avvertimenti per i vari capitoli. Alla fine ho deciso di cancellare i successivi a questo, perché oramai erano inutili.

Lo so che è una scocciatura, ma vi consiglio caldamente di rileggervi la storia, anche perché questo capitolo rischiate di non capirlo.

Grazie per la vostra pazienza, e scusatemi per le profonde modifiche.

 

Hikaru calciò via il sassolino con la scarpa, guardandolo rotolare e allontanarsi velocemente; poi sospirò togliendosi di dosso il capellino della sua uniforme, cercando nuovamente ombra sulla “fortezza” in legno del parco giochi, sbirciando ancora una volta dalla piccola apertura che era riuscito a trovare la volta precedente.

Il gatto era là, con il suo pelo grigio, che in quel momento sbadigliava e guardava assonnato il bambino con i suoi splendidi occhi azzurri; l’umano lo guardò, pian piano un’espressione crucciata si formò su quelle sopracciglia, e un piccolo muso spuntò dalle labbra.

-Sono sicura che verrà, mi ha dato la sua parola.-

Il gatto, per tutta risposta, mosse le orecchie verso la voce, e poi sbadigliò nuovamente, poggiando la testa a terra e rimettendosi a sonnecchiare mentre il bambino, a quella reazione, si rimetteva seduto sul pavimento, stringendo il capello giallo del suo asilo.

Era arrivato anche quel giorno subito dopo l’asilo, assicurando la maestra che la mamma gli aveva dato il permesso di giocare in quel parco, e sebbene la donna avesse fatto una faccia poco convinta, il piccoletto era partito come un razzo, temendo che il suo nuovo amico lo aspettasse e lui fosse in ritardo.

Makoto lo aveva trattenuto più del solito, il bimbo aveva voluto a tutti i costi sapere di più del nuovo amico di Hikaru; ma quest’ultimo aveva mantenuto il segreto, e i due avevano finito per litigare, tanto che quando se n’era andato con sua madre, Makoto non lo aveva neppure salutato.

La maestra aveva chiesto se era successo qualcosa tra i due, ma anche in quel caso Hikaru era stato zitto, mettendosi il berretto in testa e dicendo alla maestra che andava.

Fino a quel momento i due non avevano mai litigato, anzi erano subito diventati molto amici, tanto che difficilmente gl’insegnanti riuscivano a separarli quando si trattava di giocare a squadre; e quando quei due erano insieme, si poteva stare sicuri che avrebbero vinto.

Eh si, perché Makoto era forte, mentre Hikaru era molto sveglio; se Makoto vinceva alla corsa, Hikaru era bravissimo a nascondino, specie a trovare le persone. Se il primo riusciva a tenere testa a Daichi, il secondo non era da meno, rispondendo sempre a tono e con una furbizia che non ci si aspetta da un bambino di cinque anni.

Erano come fratelli. E adesso avevano litigato, e proprio per le loro differenze di carattere si erano arrabbiati l’uno con l’altro proprio tanto, specie Makoto che si sentiva tradito, in quanto si considerava l’amico del cuore di Hikaru; non gli piaceva avere rivali!

La cosa era reciproca per quanto riguardava il piccolo Aoba, ma gli piaceva anche l’idea di avere un amico adulto, e non aveva voglia di condividerlo con nessuno; per questo anche in quel momento, mentre ripensava al litigio, per quanto volesse fare la pace si stava riconfermando che mai a nessuno avrebbe parlato di Jun-san.

Il bambino si guardò intorno, ma attorno a lui il posto era deserto, sebbene ci fossero i segni del passaggio di altri bimbi che avevano giocato; il fatto era che il cielo si stava colorando di arancio, e molti genitori avevano già portati i loro figli, pertanto Hikaru era da solo.

Aveva l’aria preoccupata, e per un attimo pensò che sua madre sarebbe andato a cercarlo, che quando l’avrebbe trovato se lo sarebbe preso in braccio e l’avrebbe riportato a casa; lui non era certo come gli altri bimbi, che piangevano e gridavano “mamma” quando avevano paura. Al contrario, lui stava seduto composto e aspettava tranquillamente, perché sapeva che sua madre sarebbe venuto a prenderlo, sorridendo come sempre.

Possedeva quella fiducia smisurata che i figli hanno per le loro madri, quella sicurezza che non importa dove fossero, sarebbero sempre stati trovati e accompagnati a casa, magari tenuti per mano o presi in braccio. E a lui piaceva molto farsi prendere in braccio dalla mamma, nonostante stesse diventando velocemente sempre più grande.

Solo che adesso il piccolo non aveva molta sicurezza, il tempo passava e dell’uomo non pareva esserci nessuna traccia, tanto che stava per andarsene; forse aveva preteso un po’ troppo da quello sconosciuto, dopotutto gli adulti erano sempre indaffarati a fare mille cose. Lui non voleva certo essere di disturbo a qualcuno.

“-Non preoccuparti amore: la mamma ha sempre tempo per stare con te. La cosa più importante per me sei tu.-”

… quel giorno sua madre era a casa, di sicuro gli avrebbe saputo dire cosa fare con Makoto.

Hikaru si alzò in piedi, pulendosi il grembiule nel punto dove ci si era seduto, e si calcò in testa il capello, pronto ad andare a casa; si sporse solo un attimo sulla piccola apertura, costatando che il gatto stava ronfando placidamente.

-… ci vediamo domani.-

-Hikaru!-

Il bimbo alzò la testa di scatto, allungando il collo per vedere, il sole stava cominciando a calare proprio in quella direzione, e sulle prime la luce gl’impediva di guardare, tanto che si strofinò la manina sugl’occhi, prima di guardare nuovamente: Jun!

L’uomo stava correndo a tutta velocità, era stato trattenuto dall’allenatore, che aveva voluto discutere con lui alcuni punti della strategia da usare per la prossima partita, e il tempo era volato anche troppo velocemente, quando si era reso conto che stava facendo aspettare il bambino gli era venuto un colpo ed era partito a correre.

Fin da subito Hikaru gli era sembrato un tipo molto serio, per quanto avesse pochi anni, e l’uomo aveva la certezza assoluto che lo stava aspettando proprio nello stesso posto dove si erano conosciuti. Se non fosse arrivato, era certo che non gliel’avrebbe mai perdonato.

Forse non lo avrebbe più visto … il solo pensiero lo spinse a correre più in fretta, e quando alla fine era arrivato nel luogo dell’appuntamento aveva subito individuato una piccola ombra, sperando che fosse lui.

L’uomo raggiunse il bambino con il fiatone, tanto che mollò a terra il borsone e si appoggiò sulle ginocchia, prendendo fiato; il bimbo, da parte sua, lo guardò con occhi molto seri, arrivando a proferire solo tre parole.

-Sei in ritardo.-

Jun alzò lo sguardo, sorpreso, e vide il piccolo con le mani sui fianchi e l’aria di chi adesso gli avrebbe dato una bella sgridata; non riuscì a trattenere un sorriso, rimettendosi con la schiena dritta e passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato.

-Hai ragione, scusami.-

-Non farlo più.-

-Promesso, promesso.-

E l’uomo si permise, senza rendersene conto, di poggiare ancora una volta la sua mano sopra la testa del bambino, ancora una volta coperta dal cappello; il piccolo abbassò leggermente lo sguardo, per nascondere sia l’imbarazzo a quel gesto ma anche il piacere che ne provava, gli ricordava tanto quando la sua mamma lo prendeva in braccio.

Rinfrancato da quel calore, il bimbo prese la parola.

-Perché hai fatto tardi?-

-Mi hanno trattenuto a lavoro.-

-Che lavoro fai?-

Ecco, primo problema: come spiegare ad un bambino che si è precisamente un preparatore fisico di una squadra di calcio? Meglio essere vaghi in questo caso.

-Sono un dottore, e … aiuto una squadra di calcio.-

-Sei un calciatore?!-

-Lo sono stato.-

E l’uomo vide subito gli occhi del bimbo illuminarsi come due fari, provocandogli un sorriso.

-Ti piace il calcio?-

-Non molto, ma piace a Makoto. E poi mia madre mi ha detto che il mio papà è un calciatore.-

Quell’informazione in più incuriosì Jun a proposito dell’origine del bambino, e ricordandosi del suo cognome gli venne un leggero brivido dietro la schiena: no, non era possibile, troppe coincidenze. Prima quell’infermiera nuova alla clinica, adesso questo bambino.

Hikaru notò subito che lo sguardo dell’uomo era mutato, adesso aveva un’aria decisamente più diffidente nei suoi confronti, e d’istinto il piccolo fece per allontanarsi, svegliando Misugi dai suoi pensieri.

-… ho detto qualcosa che non va?-

-No, assolutamente no Hikaru! Tranquillo.-

E l’uomo gli sorrise con affetto, non poteva permettere ai suoi dubbi e alle sue domande turbare quel momento tra di loro; spinse il bimbo a fargli domande, a chiedere. Perché stranamente, a lui faceva piacere rispondergli: di solito odiava le domande a raffica, sebbene non avesse problemi a rispondere in modo chiaro e sintetico. Ma con quegl’occhi nocciola, stranamente, sentiva di potersi andare alla chiacchiera.

Dopo tanto tempo, lui parlava di sé in maniera spontanea: l’ultima volta che l’aveva fatto … era stato con Tsubasa, e con gli altri amici della Nazionale. Con loro si era sempre sentito difeso ,e al tempo stesso sentiva che poteva dimostrare tutto il suo valore senza dover venire rinchiuso in una teca di vetro, neanche fosse fatto di cristallo.

Anche perché, come lui, molti di loro avevano avuto mille difficoltà e problemi sulla loro strada, e solo grazie alla loro tigna e alla forza del gruppo erano andati avanti, testardamente, arrivando dov’era arrivati.

-Ora i miei amici sono un po’ lontani, ma ci sentiamo sempre, non ci dimentichiamo mai l’uno dell’altro.-

-E avete mai litigato?-

-Uff! un mucchio di volte! Mi ricordo di due nostri amici che non facevano altro che litigare fra di loro.-

-Non si piacevano?-

Jun ci pensò per bene, stringendo le catene dell’altalena nelle mani, si erano spostati verso un giaciglio più comodo, e Hikaru ne aveva subito approfittato per dondolarsi un pochino, rallentando con i piedini solo perché l’uomo non gli rispondeva subito, ma ci stava pensando.

L’uomo stava rimembrando i volti di Hyuga e Wakabayashi, e senza farlo apposta le cataratte dei suoi ricordi si erano spalancate, lasciando andare ad un mucchio di ricordi che non credeva nemmeno di aver conservato nella sua testa.

-… al contrario, si ammiravano molto. Però erano molto orgogliosi, e molto forti, volevano sempre dimostrare di essere i più forti l’uno contro l’altro. Ma in fondo sono sempre stati amici, nonostante i loro litigi.-

-… nonostante i loro litigi.-

L’uomo si voltò, sentendolo ripetere la sua ultima frase, e notò subito il viso adombrato del suo piccolo amico. Ripensò a quanto aveva detto, e azzardò un’ipotesi, parlando a voce bassa nel timore di farlo innervosire.

-Hai litigato con qualcuno?-

Il bimbo annuì deciso con la testa, adesso la sua altalena era ferma, e come l’uomo strinse le catene nelle sue piccole mani.

-Makoto voleva sapere di te, ma io non gli ho detto niente. Non voglio che lo sappia.-

Sulle prime l’uomo si sentì a disagio da quell’ammissione, pensava che Hikaru non lo volesse dire al suo amico perché si vergognava.

-Lui è il mio migliore amico, ma tu sei MIO amico, non suo. E questa nostra amicizia è il nostro segreto.-

E il bimbo sorrise, un sorriso grande, luminoso, e imbarazzato da morire, tanto che subito il piccolo distolse lo sguardo, continuando però a sorridere contento, dondolandosi con maggiore energia.

Jun, per tutto il tempo, rimase come un ebete: mentre il flusso dei ricordi aveva proseguito la sua corsa come un fiume in piena, l’uomo aveva avvertito, anche nei ricordi più personali, o quando era con i suoi compagni, una presenza, o meglio una sicurezza che aveva perduto da tempo e di cui non ricordava l’origine o il perché. Fu proprio quel sorriso a ricordarglielo.

TUTTI

Mi par d'essere sognando

fra giardini e fra boschetti.

I ruscelli sussurrando,

gorgheggiando gli augelletti

in un mare di delizie

fanno l'animo nuotar.

Sussurrando, sussurrando

Fanno l’animo nuotar.

“-Tu hai la fortuna di avere tanti amici. Io ho la fortuna di avere te.-”

E Yayoi gli aveva sorriso allo stesso modo, luminosa e imbarazzata, tanto che era arrossita e aveva subito distolto lo sguardo, proseguendo a camminare. Lui, allora, forse non aveva provato la stessa sorpresa di quel momento, sull’altalena con quel bambino, ma di certo era stato molto più felice.

Chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, per rimuovere quell’ultimo pensiero, rivolgendosi nuovamente ad Hikaru, questa volta con tono decisamente più maturo rispetto a qualche minuto prima.

-Anche se mi fa piacere quello che mi hai detto, litigare non è mai una cosa bella, lo capisci?-

Hikaru rallentò nuovamente l’altalena, fino a fermarla, per rivolgersi all’uomo con aria decisa.

-Lo so, io non volevo! Lui non mi lasciava andare, voleva venire con me, che avrei dovuto fare?-

-Di certo non dovevi arrabbiarti, non è mai saggio arrabbiarsi.-

-Si, lo so, me lo dice sempre anche la mamma.-

-Beh la tua mamma ha ragione. Domani devi chiedere assolutamente scusa a Makoto, va bene?-

Il bimbo annuì, ma Jun voleva esserne sicuro.

-Me lo prometti?-

-… promesso.-

Sorridendo soddisfatto, l’uomo porse la mano al bambino, il quale la guardò incuriosito.

-Devi stringermi la mano, come fanno gli adulti. È un gesto che dimostra il tuo onore e che dice che mi posso fidare di te.-

Il bimbo guardò nuovamente quella mano, stavolta con aria profondamente affascinata, tanto che si mise meglio sull’altalena e ingoiò a vuoto, prima di allungare la manina.

Jun non aveva avuto molti contatti con i bambini, pertanto rimase sorpreso nel costatare quanto fosse piccola quella mano, ma soprattutto morbida, e tremendamente fragile; temeva di romperla e non strinse molto, ma l’agitò e sorrise divertito mentre Hikaru guardava quel gesto con gli occhi ancora spalancati. Entrambi lasciarono a fatica la presa.

In quel momento si accesero i lampioni, il tempo era letteralmente volato, e Jun scattò in piedi preoccupato, notando che effettivamente il sole era praticamente calato; doveva riportare immediatamente a casa Hikaru, stavolta non l’avrebbe lasciato da solo. La madre poteva pure fidarsi, ma era sempre meglio far vedere che c’era un adulto con lui.

-Forza, ti riaccompagno a casa.-

-Ma …-

-Niente ma! È tardi, non ti lascio andare da solo!-

A quel punto Hikaru annuì, ma prima di andarsene andò a controllare se il gatto era ancora a suo posto; ovviamente il micio se n’era andato, e per un momento al bambino passò in mente di andarlo a cercare. Jun però fu irremovibile, tanto che gli prese la mano, trascinandoselo via.

-Se la saprà cavare, avanti.-

-Va bene, ma dobbiamo andare di qua.-

E il bimbo indicò la direzione opposta a dove stava andando Misugi, e dall’imbarazzo l’uomo lasciò la mano, permettendo ad Hikaru di andare davanti per guidarlo.

Da quel tranquillo quartiere percorsero un tratto di strada trafficata, la gente a quell’ora si stava muovendo verso casa o altri posti, e Jun rischiò più di una volta di non vedere più il bambino, fortunatamente il cappello giallo glielo segnalava; alla fine, spazientito, afferrò di nuovo la manina, stando però molto attento a non stringerla troppo.

-Ehi, non correre, altrimenti ti perdo. Resta accanto a me, ok?-

Solitamente, Hikaru si sentiva dire una cosa del genere da sua madre. Questa, invece, era la prima volta che sentiva una voce maschile; per un momento si emozionò tantissimo, e strinse con ancora più decisione quella grande mano, annuendo energicamente.

Jun, di fronte a quello sguardo stupito, per qualche momento si sentì molto in imbarazzo, non si aspettava una reazione del genere; tossì, tentando di annullare l’impaccio, chiedendo poi ad Hikaru di riprendere la marcia. Il piccolo obbedì come un soldatino, quasi trascinandosi dietro il suo capitano.

-Ehi, piano, piano!-

Ma l’altro non lo ascoltava molto, continuando a tirarlo, anche se effettivamente non aveva abbastanza forza per mettere Misugi in difficoltà; l’uomo guardò quella capigliatura rossiccia sotto il berretto giallo, e gli venne da sorridere divertito, in tutta la sua vita non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere: di solito erano le donne a trascinarlo.

Se qualcuno gliel’avesse detto qualche giorno prima, non ci avrebbe mai creduto!

I due, dopo un tratto di strada, imboccarono un vialetto molto più silenzioso, attorno a loro gli edifici tramutavano in appartamenti dall’aria più ampia e tranquilla, e anche le luci accecanti si affievolivano, rendendo l’atmosfera molto più piacevole; oltretutto, attorno a loro, c’erano diversi alberi che avevano iniziato la fioritura, pertanto l’aria aveva un buon odore.

Jun si guardò intorno, affascinato mentre il bambino lo portava verso uno dei complessi davanti a loro, molto semplice e dalla facciata bianca, con la scala centrale che portava verso i vari piani, ad ogni piano c’era un minimo di tre appartamenti ad un massimo di cinque.

-La mia casa è lassù.-

Ed indicò il quarto piano; Jun annuì, e accompagnò il bambino su per le scale, divertendosi, ogni tanto, a sollevarlo da terra, facendogli così saltare due gradini per volta. Ogni volta Hikaru rideva, entusiasta, e chiedeva di poterlo fare ancora, stringendosi con entrambi le mani su quella grande dell’uomo.

Arrivarono al quarto piano che stavano ancora ridendo, e velocemente il bambino suonò al campanello, mettendosi di fronte a Jun.

La porta si aprì.

Ma ho timor che sotto terra

piano piano, a poco a poco

si sviluppi un certo foco;

e improvviso a tutti ignoto

balzi fuori un terremoto,

che crollando ~ strepitando,

fracassando ~ sconquassando,

poi mi venga a risvegliar.

-Ciao mamma!-

-Tesoro, bentornato! Finalmente, ero un po’ preoccupata.-

La donna abbracciò il figlio contenta, togliendogli con molta gentilezza il capello e accarezzandogli i capelli con estrema dolcezza, restando concentrata sugl’occhi del figlio, il quale aveva un sorriso così gioioso che la donna sentì tutte le preoccupazioni di qualche minuto prima scomparire, sorridendo entusiasta come lui.

-Scusami mamma, ma Jun mi ha riaccompagnato a casa.-

… cosa?

Lentamente, gli occhi Yayoi cominciarono a sollevarsi dal figlio, e si rese conto che effettivamente c’era un’ombra dietro di lui, una figura alta; alzò lo sguardo, e riconobbe le gambe, e poi le mani e le braccia, il torso, il petto, il mento, le labbra, il naso, gli occhi …

-… Jun.-

Non era cambiata, agl’occhi di Jun lei … era rimasta bella come l’aveva ricordata quel pomeriggio: capelli lunghi e rossi, pelle chiara, occhi castani allungati, fisico magro, voce con quel tono gentile e affettuoso, che ti cullava.

Ed era la madre di Hikaru.

Ora, mentre il bambino si voltava verso di lui, a guardare incuriosito perché i due restavano muti, Jun Misugi vedeva perfettamente le somiglianze tra i due, e non solo i capelli o la pelle chiara: molti degl’atteggiamenti del bambino erano il riflesso della madre, a cominciare dalla sua spontaneità, la sua gentilezza. E poi quel sorriso …

Yayoi Aoba, ancora una volta, si rendeva conto di quanto Hikaru assomigliasse a suo padre: i tratti del volto, lo sguardo, e poi la sua forza interiore, la sua intelligenza. Oltretutto il sorriso …

La donna si era immaginata, soprattutto negl’ultimi tempi, come avrebbe potuto parlare all’uomo a proposito del bambino, ma non si sarebbe mai aspettata che l’occasione le sarebbe stata data proprio da suo figlio. Non poteva più evitarlo.

-Tesoro, Hikaru, va dentro che ho preparato il bagno. Stasera ti ho preparato il Katsudon.-

Il bimbo sorrise contento, e togliendosi le scarpe in fretta e furia corse via, girando l’angolo del corridoio e sbattendo la porta del bagno mentre la donna, restando inginocchiata sul’uscio, prendeva le scarpe del figlio e le rimetteva a posto con delicatezza, sorridendo dolce alla loro piccola taglia; poi adombrò leggermente lo sguardo, e si rivolse all’uomo davanti a lei, rimasto ancora con quell’espressione pietrificata.

-Prego Jun, accomodati.-

E ho paura che il mio sogno

vada in fumo a dileguar.

Risvegliato dalle parole della donna, l’uomo sbatté gli occhi e la guardò ancora, notando che lo stava accogliendo in modo tradizionale, in posizione seiza sul pavimento; lui abbassò lo sguardo, confuso, ed entrò dentro, chiudendo dietro di sé la porta, cercando di parlare per primo.

-… tu … lavori alla clinica, giusto?-

-Si, sono una delle infermiere del reparto pediatria.-

-Conosci Kishida Kichiro …-

-Me l’ha presentato Kishimoto.-

-Hai avuto modo di conoscere Matilda?-

-La dottoressa Cecconi? Si.-

L’italiana gliel’avrebbe pagata, questo era poco ma sicuro.

Con calma, Yayoi si alzò in piedi, invitando con un cenno del capo l’uomo ad entrare; questo si tolse le scarpe, e ordinatamente le appoggiò vicine a quelle di Hikaru, e la donna non poté fare a meno di vedere la differenza di numero tra i due, il gigante e Pollicino.

L’uomo seguì quello sguardo, e vide anche lui le scarpe. E a quel punto il suo cervello cominciò a funzionare, e i ricordi divennero schematici, come i dati di un computer.

“-Beh si, ha avuto un precedente matrimonio, ma poi il marito ha voluto che divorziassero.-

-E quanti anni ha il figlio?-

-Cinque.-”

Loro erano divorziati da cinque anni. Oltretutto la chiamavano “Ya-chan”, ed ora che tutti i pezzi si stavano collegando pareva ovvio quel diminutivo; e poi quello che aveva detto Hikaru, il padre che faceva il calciatore … di colpo l’uomo sentì come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco, o peggio l’avessero preso per la gola e stretto forte.

Yayoi lo guardò attenta, seguendone i mutamenti di pensiero sul suo volto, per lei risultava ancora facile capire cosa stava pensando l’uomo: ora ci stava riflettendo … stava mettendo insieme i vari indizi … l’aveva capito … aveva paura.

La donna sapeva, capiva, intuiva quando l’uomo aveva paura; e in quel momento Jun Misugi ne aveva molta.

-Ti prendo un bicchiere d’acqua.-

Aveva il solito tono gentile, ma la voce era atona, spenta, e questo bastò a svegliare nuovamente l’uomo, tanto che questo la bloccò immediatamente, afferrandole un polso e facendola girare di scatto verso di lui. La donna avvertì subito il dolore, ma si limitò a stringere i denti e a venire trascinata a forza verso il volto dell’uomo, guardandone attenta gli occhi.

Ansia, tremenda ansia. E anche rabbia, si quella era di sicuro rabbia.

-Quando?-

Lei socchiuse leggermente gli occhi, ricordando.

-La notte in cui tu hai lasciato “casualmente” sul tavolo i documenti del divorzio.-

… tre mesi prima.

-Te ne sei accorta subito?-

-Si: tu non te lo ricordi, ma avevo smesso di usare la pillola e avevo dimenticato di andarla a comprare in farmacia. Il ciclo era in ritardo, e ho fatto il test.-

Gli stava parlando con voce assente, come se in realtà stessero parlando di tutt’altro, per esempio di lavoro. Anche lo sguardo era molto tranquillo ma vacuo, come se la donna non stesse davvero guardando l’uomo. E questo lo innervosiva ulteriormente, tanto che l’avvicinò ancora di più a sé.

-Perché?-

Perché aveva avuto paura che lui le chiedesse di abortire: Jun era un uomo pratico, erano in procinto di divorziare, e lui l’aveva sempre considerata poco adatta a cavarsela da sola, tanto che avevano discusso a proposito del mantenimento. Lei non avrebbe mai accettato i soldi mensilmente come una parassita, sapeva lavorare e avrebbe trovato un modo per cavarsela, anche con il bambino.

Perché, in caso, temeva che questo avrebbe prolungato la sofferenza di quel matrimonio: lui non l’avrebbe lasciata da sola a badare al bambino, e questo non avrebbe fatto altro che far aumentare la voragine tra i due, far aumentare i problemi, i silenzi, i lunghi momenti di separazione. E lei che lo aveva amato non l’avrebbe potuto sopportare.

Perché aveva sempre desiderato avere una famiglia, una famiglia da amare e proteggere con tutta se stessa, senza qualcuno che gli dicesse cosa fare, come comportarsi, senza sguardi di compassione, ma solo occhi che ammiravano quel nucleo; e se Jun non voleva o non poteva far parte di quella famiglia, lei l’avrebbe creata e protetta comunque.

Ma non disse niente di tutto questo a Jun; continuava a guardarlo dritto negl’occhi senza la minima paura, o rabbia nei suoi confronti. Aveva ancora chiara l’immagine di quelle due paia di scarpe vicine.

E Jun … Jun la guardava stralunato, confuso: quegl’occhi riflettevano semplicemente il suo sguardo, senza la minima presenza di sentimento, come se avesse di fronte un robot e non la donna che un tempo aveva sposato. In pochi minuti, con un grande tonfo del suo cuore, l’uomo avvertì il tempo trascorso in quei cinque anni: di come l’assenza di contatto e solo il ricordo aveva trasformato sia lui che lei.

Cosa stava pensando in questo momento? Perché non riusciva a capirlo? Perché non era mai riuscito a capire davvero quella donna?

“-Yayoi è una persona molto più profonda di quanto pensi!-”

Davvero … non era mai riuscito … anche solo ad intuirlo?

Lentamente, con il senso di sconfitta che diventava sempre più chiaro nella sua testa, l’uomo lasciò il polso della donna, e le permise di allontanarsi da lui; questa, con calma, abbassò lo sguardo verso il paio di scarpe, e poi invitò l’uomo a spostarsi in salotto, mentre lei andava in cucina. Tornò subito dopo con due bicchieri d’acqua e una caraffa.

Lui era rimasto in piedi, a girare per la stanza come una bestia in gabbia. Aveva la forza solo per rifarle quella domanda.

-Perché Yayoi? Perché non me l’hai detto?-

-Perché tu non volevi figli. Io si.-

Rimase senza parole a quella risposta, e sentì di nuovo la rabbia montare, alzando anche il tono della voce mentre si rivolgeva alla padrona di casa.

-Questo non ti dava il diritto di scegliere anche per me.-

-Non urlare, spaventi Hikaru.-

Spaventava suo figlio. Suo figlio.

Pensarci lo porto a mettersi una mano in faccia, cercando di scrollare di dosso quei pesanti sentimenti che lo stavano cogliendo impreparato, cercando di rimanere quanto più lucido possibile mentre la donna rispondeva all’attacco.

-Ho fatto come facevi tu: ho analizzato la situazione, e ho capito che dirti del bambino ti avrebbe caricato di una responsabilità che tu non volevi.-

-Non trattarmi come un bambino.-

-Hai fatto lo stesso con me, non ricordi?-

Jun non si aspettava quella insinuazione piccata, e Yayoi respirò profondamente per non cedere alla rabbia.

Erano due persone maledettamente controllate in certi momenti.

-Quella sera, quando sei tornato, hai appoggiato “casualmente” i documenti sul tavolo perché sapevi che li avrei notati e ci avrei dato un’occhiata.-

-Te ne avrei parlato il giorno dopo.-

-Adesso tu non trattare me da bambina.-

E arrivò a puntargli il dito contro, con occhi che cercavano di trattenere le fiamme della sua rabbia.

Era tremendamente arrabbiata con Jun. In quei momenti, mentre gli stava parlando, sentiva la sua voce interna gridare tutti i suoi desideri rivolti all’uomo di fronte a lei.

Voleva vendetta. Per quello che le aveva fatto.

Voleva delle scuse. Quelle che non aveva mai ricevuto da quell’uomo.

Voleva verità. Per esempio a proposito del fatto che il loro matrimonio era stata una buffonata.

Voleva amore. Vero amore questa volta. E se non per lei, almeno quel Hikaru, che lo meritava a chili!

Mantennero il silenzio, un rumore assordante che pareva infinito, e la donna recuperò lucidità, passandosi una mano tra i capelli; vederli ondeggiare risvegliò nuovamente i ricordi dell’uomo, e stavolta facevano molto male, tanto che si sentì in dovere di parlare.

-Forse ho sbagliato, ma così lo hai fatto anche tu.-

Yayoi gli lanciò un’occhiata storta, roba che non era mai successo in tutti gli anni della loro storia.

-Non farmi la paternale, Jun Misugi. Ti avrò anche nascosto la verità su nostro figlio, ma io non mi ricordo che tu mi sia mai venuto a cercare in questi cinque anni.-

Colpito e affondato. Jun sentì irrigidirsi la mascella, e cercò di rispondere a tono.

-Almeno io sono stato chiaro e sincero con te in ogni singolo momento del nostro divorzio.-

-Balle!-

Questa è una di quelle parole che non era MAI, e ripeto MAI uscita dalla bocca di Yayoi Aoba in trent’anni della sua vita. Jun era sconvolto.

-Se davvero eri sincero come affermi, avresti dovuto ammettere che tu non mi hai mai voluta sposare.-

-Che cosa?! Questo non è vero! Quando te l’ho chiesto ci credevo davvero!-

-E allora perché abbiamo divorziato? Te lo dico io: perché ti eri stufato di giocare al marito, ecco perché.-

Yayoi era persa nella sua rabbia, la quale ammontava sempre di più nella sua testa come un fuoco a cui, invece che acqua, veniva lanciata benzina. E Jun era il piromane che lo stava facendo.

-Come ti permetti?!-

-Mi permetto eccome! Cinque anni, Jun, cinque anni passati a non parlarci, a non guardarci, a non fare nient’altro che sesso su quel cazzo di letto. E poi la mattina ti svegliavi, ti lavavi, ti vestivi e te ne andavi, e tornavi solo la sera!-

-Io lavoravo, al contrario di te.-

-Mi hai detto tu di smettere!-

L’uomo questo non se lo ricordava proprio. Ma sapeva che la donna non era tipa da dire le bugie, perciò ci rimase molto sorpreso mentre Yayoi cercava disperatamente di calmare la rabbia e di non lasciare alla sofferenza di mostrarsi sottoforma di lacrime.

-Avevi detto … che era meglio per me se restavo a casa. Per caso ti vergognavi di me?-

-Yayoi questo è ridicolo.-

-E allora dimmi la verità! Non mi serve a niente la tua sincerità, io voglio la verità del nostro rapporto.-

Il problema era che l’uomo non lo sapeva nemmeno perché l’aveva fatto: semplicemente era stata la soluzione migliore per tutti e due.

Yayoi, intanto, si passò una mano in faccia, e Jun vide chiaramente che lei stava iniziando a piangere, ma digrignando i denti cercava disperatamente di trattenersi; una volta si sarebbe andata alle lacrime più facilmente. Ora però no. Era diverso.

Lei era diversa.

-Per questo non ti ho mai detto di Hikaru. Per questo motivo: perché hai sempre voluto fare tutto da solo. Da solo volevi continuare a giocare, da solo hai scelto di operarti, da solo hai scelto di sposarmi e divorziare da me.

Ma non si può fare questo con un bambino, con un figlio: è una cosa che si fa in due, e io ho avuto tutti i diritti di non dirti niente, così come ho avuto le mie colpe.

Cosa sarebbe successo alle prime difficoltà? Avresti scelto l’adozione?-

-Non ti permetto di dire una cosa del genere! È mio figlio!-

-Di cui tu non hai mai saputo niente!-

-Perché tu non me lo hai mai voluto dire!-

E questo ammutolì Yayoi, e Jun ne approfittò per dire la sua.

-Io forse ho fatto sempre di testa mia, ma allora perché tu non ti sei sempre fatta avanti? Perché non ti sei mai ribellata alle mie scelte? Senza contare che la tua è stata una mancanza di fiducia verso di me molto comoda, non pensi?-

Si stavano ferendo a vicenda come due bestie in una gabbia, ruggendo, graffiando e mordendo; prima di quel momento non era mai successo che fossero stati così aperti l’uno verso l’altro. Ora che lo stavano facendo, rivelavano una serie di nefandezze l’uno con l’altro che non si spiegavano perché sentivano il desiderio di riappacificarsi.

-Ora ti sto dicendo la verità?-

A quel punto Yayoi desiderò avere la forza di un uomo per tirargli un pugno, ma si limitò a stringere le dita nei pugni e a trattenersi; Jun, da parte sua, si morse la lingua per quello che aveva detto, ma d’altra parte era come alleggerito di aver detto tutte quelle cose.

-… mamma?-

La donna si voltò terrorizzata verso l’uscio del salotto, di fronte ai due adulti Hikaru si era già messo il pigiama, e aveva un asciugamano sopra la testa, evidentemente aveva i capelli bagnati; subito Yayoi si avvicinò a lui, inginocchiandosi e mettendo dolcemente le mani sull’asciugamano, sfregandoglielo sui capelli senza fargli male.

-Tesoro, che ci fai qui? Ma guarda, hai tutti i capelli bagnati.-

-Mamma, ho fatto qualcosa che non va?-

-No, certo che no amore, perché lo chiedi?-

-Vi … vi ho sentiti gridare prima.-

E Yayoi vide chiaramente che Hikaru si stava trattenendo, i piccoli pugni stretti sui pantaloni del pigiama a righe; con profonda dolcezza, la donna abbracciò il bambino, stringendoselo al petto e sussurrandogli.

-Scusami, scusa amore. Non dovevamo gridare, ti abbiamo spaventato.-

Jun guardò i movimenti della donna: questa, con molta calma, prese il bambino e lo sollevò da terra, tenendolo in braccio e stringendolo a sé, lui immediatamente le cinse il collo con le braccia, nascondendo il volto sulla spalla materna, ora la donna teneva l’asciugamano su un braccio e strofinò la sua guancia sui capelli umidi del figlio.

Lentamente rivolse lo sguardo all’uomo davanti a lei, la calma era tornata sovrana su quelle iridi.

-Direi che possiamo continuare questo discorso un’altra volta. Ora scusaci, ma Hikaru deve mangiare e andare a dormire.-

-… si, capisco certo. Scusami Hikaru, non volevo spaventarti.-

Lui si avvicinò al bambino, e allungò una mano; si aspettò che Yayoi si ritrasse, che non gli lasciasse toccare il figlio. Invece, con sua celata sorpresa, vide la sua mano raggiungere tranquillamente i capelli del piccolo, e glieli accarezzò teneramente.

Suo figlio, suo figlio.

Lentamente, l’uomo lasciò la presa, e fece per allontanarsi, quando Hikaru alzò il volto, chiamandolo.

-J-Jun!-

Questo si girò a guardarlo, notando che il bambino aveva gli occhi arrossati.

-Ci possiamo vedere ancora?-

L’uomo non rispose, ma portò per un attimo lo sguardo la donna, la quale acconsentì con un cenno della testa.

-Certo piccolo. Quando vuoi.-

Hikaru sorrise, e maggiormente sollevato, Jun uscì dalla casa.

 

**

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Capitolo 8
*** Intervallo ***


Intervallo

 

Before…

 

Yayoi sbatté la cornetta del telefono con cattiveria, chiudendo la comunicazione e stringendo i denti, i lunghi capelli rossi erano sciolti sul volto particolarmente pallido: aveva appena litigato con Sanae, non ce la faceva più a sentirsi dire cosa doveva e non doveva fare, si era stancata.

Basta … era finita, voleva farla finita.

Si portò una mano sulla bocca, e cercò di non fare rumore mentre singhiozzava, le spalle si scossero, la schiena si piegò in avanti, l’altra mano si aggrappò al bordo del comodino; attorno a lei tanti scatoloni, pieni zeppi di roba, e tanti altri vuoti o semi-vuoti che aspettavano di essere riempiti. Stava traslocando, o meglio stava lasciando quella casa, senza sapere dove andare.

Ma lei proprio non ce la faceva più, era troppo stanca: oramai erano tre mesi che si era divorziata da Jun, era al sesto mese di gravidanza e la pancia era ben chiara a chiunque, senza contare che i suoi vestiti erano diventati stretti e l’attività fisica cominciava a diventare difficile.

E a quel punto, rendendosi davvero conto del suo stato di gestante, il panico l’aveva assalita.

Cominciava a non guardarsi più allo specchio, ad uscire di casa raramente, ad avvertire quella pancia come ad un corpo estraneo che prendeva possesso di lei fino ad annullarla; il pensiero di essere incinta si stava tramutando in un incubo, e a questo si aggiungeva il senso di smarrimento di non avere accanto Jun.

Jun, suo marito Jun. L’uomo che non riusciva a smettere di amare, Jun. Il padre di quella … cosa che stava crescendo dentro di lei.

Il giorno dopo avrebbe avuto l’appuntamento con il ginecologo, dove avrebbe scoperto il sesso del nascituro, ma lei non voleva andarci. Non voleva proprio uscire di casa: voleva potersi svegliare e ritrovare l’uomo al suo fianco, che magari le chiedeva se stava bene, se aveva avuto un incubo, per poi abbracciarla e stringerla, cullandola.

Quanto avrebbe voluto farsi cullare da Jun ancora una volta, come quando erano ragazzi, come quando facevano l’amore e lei era così imbarazzata che, dopo, arrossiva e quasi non riusciva a parlare, ricevendo in cambio quella stretta d’amore dalle braccia del suo fidanzato.

Yayoi, ancora in lacrime, provò ad abbracciarsi lei stessa, a riscaldarsi allo stesso modo, ma aveva la pelle fredda, aveva dovuto chiudere gli allacci del gas, e presto sarebbe rimasta anche senza luce.

Non che lei la usasse molto, oramai viveva sempre al buio: teneva le tapparelle delle finestre abbassate e le tende ben chiuse, e pochi raggi riuscivano a bucare quell’oscurità.

Non voleva vedere la sua vecchia casa vuota, quando un tempo era stata piena degl’odori, dei suoni che erano appartenuti sia a lei che a suo marito; i mobili le sembravano tanti scheletri e spettri che le urlavano contro tutta la sua solitudine.

Il suo unico rifugio era la camera da letto, dove niente era stato ancora tolto: il letto aveva ancora le lenzuola, l’armadio conteneva ancora i vestiti, nella piccola libreria c’erano ancora i libri …

“-Gli devi restituire tutta la sua roba, lo sai perfettamente!-”

Non voleva, non se la sentiva.

“-Capisco che sei a pezzi, ma non fare la bambina, tu sei in grado di cavartela senza di lui-”

Non era vero, non era vero.

“-Yayoi!-”

No, dovevi lasciarla in pace Sanae, ti prego.

La donna si portò le mani alle orecchie, come se davvero l’amica fosse lì e le stesse parlando faccia a faccia, o meglio praticamente urlando contro, quelle parole non riuscivano ad entrare dentro la testa della donna.

Barcollando, Yayoi si allontanò da quel telefono, cercando di scappare da quella sala, per potersi rifugiare nuovamente in quella camera, per poter di nuovo nascondersi in quelle lenzuola, respirare quegl’odori, perdersi in quei ricordi.

Faceva fatica, si sentiva pesante, era in lacrime, e nell’oscurità non si accorse della sedia del tavolo da pranzo, sbattendoci contro e finendo a terra con un pesante tonfo, battendo la spalla a terra; un dolore lancinante la fece gemere con forza, e le sue mani cercarono il punto dolorante, tastandosi anche il resto del corpo, compreso quel rigonfiamento.

Alzò la testa verso l’alto, oramai era in preda all’angoscia: era incinta, aveva dovuto lasciare il lavoro per quel motivo, ed era sola, si sentiva disperatamente sola. E nel suo egoismo lei non voleva Sanae, ma Jun; voleva che quelle braccia forti la sollevassero da terra e l’aiutassero a stare meglio, che la stringessero e la facessero sentire di nuovo bene.

Ma lui non c’era, se n’era andato, non la voleva più. Era tutto colpa sua, era lei l’unica responsabile di tutto quello che stava accadendo: suo marito aveva divorziato per colpa sua, perché lui si era stufato di lei, era incinta perché non aveva fatto attenzione, perché era una stupida; aveva lasciato il lavoro perché era un incapace.

Era una grassona abbandonata.

Pian piano il pianto cominciò a rallentare, le mani abbandonarono la pancia, e lentamente la donna si rialzò in piedi, la sua voce interna le gridava che sembrava un ippopotamo, una grassa foca, una balena spiaggiata; lentamente si alzò in piedi, e quella voce continuava a gridarle che era sola, che era colpa sua, che non meritava l’affetto di nessuno.

Avrebbe dovuto abortire.

Era l’unica soluzione possibile a tutti i suoi problemi.

Si sentiva male, le sembrava di avere la nausea, ma continuò a trascinarsi verso la camera da letto, la voce interna continuava a gridarle ogni genere d’insulto e offesa che potesse immaginarsi, e a ricordarle quanto fosse un inutile peso quella pancia, di come fosse colpa di quella pancia il suo stato, di come doveva sbarazzarsene.

Si abbandonò sul materasso, i lunghi capelli si sparsero in una corona di fuoco, e i suoi occhi lentamente si chiusero, oramai le sue iridi castane si erano impregnate di quella oscurità, diventando completamente nere, gonfie di lacrime, e vuote, come se la sua anima se ne fosse andata da quel corpo.

Respirava piano, rallentando lentamente, fino a quando non si addormentò.

Una storia d'amore
E' soprattutto una questione di verità

L’oscurità penetrò il suo vestito, dentro la pelle, raggiungendo le vene, e da lì cominciò ad entrare in tutto il suo corpo; la voce, nella sua testa, si fece sempre più fioca, le offese cominciarono a scomparire, fino a quando non ci fu il silenzio assoluto, e Yayoi sentì che lì si stava davvero bene, che da quel posto non se ne sarebbe mai voluta andare.

Non c’era la realtà che martellava sulla sua porta di casa. Non c’era nemmeno una porta di casa.

Era un universo oscuro, ma caldo, dove lei vi era infusa e ne faceva parte; sentì di non poter riuscire a muovere nemmeno un dito, ma non era una sensazione fastidiosa, anzi al contrario, adesso poteva rilassarsi, poteva riposare. Nessuno l’avrebbe cercata, nessuno l’avrebbe disturbata.

Nessuno … nemmeno Jun …

E per entrare
Direttamente nel mio letto e nel mio cuore
Dovrai imparare

A quel pensiero, Yayoi riaprì gli occhi, e vide qualcuno inginocchiato verso di lei; sapeva chi era, e ne cercò subito gli occhi, quei grandi e bellissimi occhi nocciola. Quando li trovò, però, sentì come se la realtà stesse tornando prepotente: lo sguardo dell’uomo era si, affettuoso come sempre, ma non v’era nient’altro, alcun barlume nell’incrociare gli occhi della donna. Niente.

Lei si mise in ginocchio, continuando a guardarlo, e allungò una mano, arrivando a sfiorare quel volto, con le lacrime che minacciavano di nuovo di uscire dai suoi occhi, tanto che li strinse e digrignò i denti, in una smorfia addolorata, chiedendo mentalmente il perché a Jun.

Perché l’aveva lasciata? Davvero non c’era più possibilità di cambiare?

Davvero tutto quel tempo passato insieme non era servito a niente?

Possibile che non fosse stato sufficiente?

Possibile che lei dovesse rinunciare a lui? All’amore per lui?

Lei lo amava, con tutte le sue forze: lo amava così tanto che avrebbe fatto tutto per lui, qualsiasi cosa. Bastava che glielo dicesse cosa fare, e l’avrebbe fatto, senza esitare.

“Mamma”

La donna avvertì il cuore batterle.

Ma no, un momento, non era il suo cuore: il battito era venuto più in basso, molto più basso del suo petto. Era venuto dalla sua pancia.

“Mamma”

Di nuovo, e Yayoi si portò una mano sul ventre, da dove aveva sentito battere. La … la stava chiamando?

Ma lei non era … non era in grado di farlo.

“Mamma”

No, no stava sbagliando, lei non poteva fare questo, da sola non poteva farcela; alzò lo sguardo, per avere l’appoggio di Jun, ma non era più inginocchiato di fronte a lei.

Adesso era lontano, parecchio lontano, e se ne stava andando, senza voltarsi indietro, a passo sicuro, veloce; spaventata, Yayoi si alzò in piedi, e tentò di correre verso di lui, provando a chiamarlo, la sua voce non usciva fuori dalla gola mentre le lacrime correvano fin troppo svelte sulle sue guance.

Ti non abbandonarla, non lasciarla sola, non poteva mettere al mondo quel figlio, non poteva!

“Mamma”

Non la sentivi la sua voce? La voce di quella creatura? Perché non la udivi? Era lì!

“Mamma”

Alla fine Yayoi si fermò, guardando Jun scomparire nell’oscurità, e le parve che una luce fosse scomparsa, che adesso non potesse più orientarsi, non potesse più uscire fuori da quel mondo. Quello che, fino a cinque minuti prima, le era sembrato un luogo caldo e confortevole, adesso si stava rivelando una prigione, dalla quale lei non poteva uscire. Di colpo si rese conto della sua vera solitudine.

Ripensò a Sanae, a tutte le sue severe ed accorate telefonate, ed a tutte le volte che lei era arrivata al limite della nevrosi per niente, per l’affetto di un’amica; e di colpo gli scatoloni della sua casa non sembravano più bombe pronte ad esplodere, o esseri orribili che la volevano distruggere, ma pezzi di vita di cui non sapeva più che fare: vivendo costantemente all’ombra di Jun aveva raccolto di tutto, e ora di quelle cose non sapeva che farsene, e non se ne liberava … perché avevano fatto parte di quella piccola vita, durata più o meno cinque anni, in cui aveva vissuto con l’uomo.

Ma lei aveva davvero vissuto? Guardò l’oscurità attorno a sé, e le sembrò di vedere quello che era diventata.

“Mamma”

… come poteva chiamarla in quel modo? Non vedeva in che razza di posto sarebbe venuto al mondo? Colei che chiamava madre non aveva niente da dargli, nient’altro che buio.

Con amarezza, la donna accarezzò il ventre, e all’improvviso dalla pelle della pancia cominciò ad uscire un bagliore, qualcosa di caldo e tenero, che la lasciò senza parole.

Dovrai imparare a restare
Anche quando il tuo tempo sta per finire
Ed il pretesto sarà il mio nome

“Mamma, mettimi al mondo!”

-… ma non ho niente da darti.-

E nuovamente, la donna accarezzò la pancia, cominciando a parlare alla voce, a quel battito cardiaco che, ad ogni carezza, si faceva più forte, più deciso mentre quella luce diventava sempre più calda, soffusa.

-Questa mamma … non ha da offrirti niente: tuo padre se n’è andato, devo lasciare la casa dove vivevo, non ho un lavoro e pertanto non ho abbastanza soldi per la fine dell’anno.

Che cosa ti può dare una mamma che non ha niente?-

Non sentì alcuna risposta, e la donna sospirò, scoraggiata: forse era davvero meglio abortire. Meglio per il bambino, non meritava una persona del genere. Avrebbe vissuto nella sofferenza.

“Mamma, tu mi ami?”

Rimase molto sorpresa dalla domanda, la sua mano era rimasta sul suo ventre, e rispose di getto, senza starci troppo a pensare.

-Ma certo che ti amo.-

“Anche se non mi vedi?”

-Ovviamente.-

“Perché?”

-Come perché? Perché sei mio figlio, sei stato generato dal mio corpo. Ti amo a prescindere.-

“E se divento una persona cattiva?”

-Non lo diventerai.-

“Perché?”

Era davvero un bambino, con la curiosità tipica dei bambini, con tutte quelle domande che mettevano in difficoltà Yayoi, già affaticata per sé, adesso doveva pure trovare delle risposte a quell’interrogatorio.

Però, nonostante la stanchezza, non pensò di mettere a tacere quella voce, ma anzi rispose con decisione, sforzandosi al massimo.

-Perché la mamma sarà con te, e ti aiuterà sempre: la mamma non ti lascerà mai solo, quando piangerai sarò lì a consolarti, quando riderai sarò li a ridere con te, quando ti arrabbierai sarò li a chiederti il perché e a cercare di calmarti.

Ti sosterrò nelle tue scelte, ti aiuterò nelle difficoltà. e quando ti sentirai scoraggiato, sarò lì … e … ti vorrò bene.-

Pian piano, mentre stava rispondendo, la donna si rese conto delle sue stesse parole, della forza contenuta in esse, e le venne da piangere, commossa, sollevata: forse il suo cuore non era vuoto, forse lei non era così inutile come credeva. Forse c’era ancora qualcosa che poteva fare.

Nel frattempo, la luce nel suo ventre si era fatta più forte, e all’improvviso sentì, oltre al battito cardiaco, anche una risata, felice, del suo bambino. E poi nuovamente la voce.

“E allora mettimi al mondo, mamma!”

E la donna toccò la sua pancia, per poi abbracciarla, sorridendo commossa, avvolta nel calore e nella luminescenza di quella luce; a quel gesto fu come se esplodesse una stella, e l’oscurità fu spazzata via da una vampa dorata.

Quando Yayoi riaprì gli occhi, si trovò in un grande spiazzo, con davanti a sé gli alberi di un parco, e dietro il rumore di altalene che ondeggiavano; sopra di lei c’era un cielo terso, limpido, con poche nuvole bianchissime. Alzò lo sguardo, e rimase a bocca aperta a tale spettacolo. Abbassò lo sguardo, e si accorse che teneva in braccio qualcosa.

O meglio … teneva in braccio qualcuno.

-… Hikaru?-

Aveva sempre desiderato chiamare il suo primo figlio così, fosse stato maschio o femmina: lo trovava un nome carico di speranze, di promesse, di strade che la sua creatura avrebbe potuto percorrere per raggiungere la felicità. Per questo lo chiamò in quel modo, senza starci a pensare.

Il bimbo si staccò a sufficienza per guardarla, aveva tenuto le braccia attorno al collo della madre e si era appoggiato alla sua spalla; due grandi occhi nocciola, adornati da capelli rossicci, la guardavano luminosissimi, come se dentro quel piccolo corpo ci fosse nascosta davvero una stella, o comunque una fonte luminosa.

Lo guardò incredula, e lui di rimando le sorrise, un sorriso bellissimo, che la commosse.

-Mamma!-

Lei, incapace di dire altro, lo strinse di nuovo a sé, respirando a fondo per non piangere ancora, adesso non ne aveva alcun bisogno: suo figlio era lì, tra le sue braccia, sarebbe andato tutto bene, l’avrebbe protetto lei, se ne sarebbe presa cura.

Si sarebbe presa cura di Hikaru, suo figlio …

-Papà!-

… e il figlio di Jun.

Yayoi si voltò verso il bimbo, e lo vide allungare le braccia dietro le spalle della donna; questa si girò, e si vide di fronte … Jun.

Lo guardò dritto negl’occhi, aspettandosi di trovare lo stesso affetto oggettivo di quelli che sembravano anni prima; invece era diverso, tutto il mondo della donna era diverso, ed era diverso anche quell’uomo, il suo sguardo.

C’era affetto, ma molto altro ancora, talmente tante emozioni tutte insieme che Yayoi non seppe dare un nome a tutte; ma di sicuro, quando guardava lei, c’era qualcosa di profondo, talmente tanto da farla arrossire d’imbarazzo, mentre Hikaru allungava le piccole braccia verso il padre, chiamandolo allegro.

-Papà, papà!-

Lei guardò il bambino, e per un attimo le si gelò il sangue: loro erano comunque divorziati, e se gli avesse portato via il bambino? Non voleva, non ci voleva tornare in quel buio. Ma se Hikaru, invece, avesse voluto andare con lui?

Guardò il bambino che teneva fra le braccia, e strinse i denti, cercando di non farsi prendere dallo sconforto: dopotutto era una scelta di suo figlio, e lei doveva rispettarla fino in fondo. Pertanto, quando Jun fu davanti a loro, la donna porse il bambino all’uomo, il quale lo prese con incredibile bravura, sorridendogli affettuoso.

Yayoi stava per fare un passo indietro e allontanarsi, quando suo figlio si rivolse a lei.

-Mamma! Mamma, mamma!-

Lo guardò, stupita da tanta insistenza, e lo vide allungare le braccia nuovamente, stavolta verso di lei; la donna si sporse, e il bimbo le passò il braccio attorno al collo, cercando di spingerla verso di sé, strusciando il suo volto contro il suo.

-Ti voglio bene mamma.-

-… e la mamma ne vuole a te, Hikaru.-

E sorrise, sollevata, accarezzandogli una guancia.

-Ti amo Yayoi.-

Alzò lo sguardo verso Jun , sorpresa. E poi sorrise di nuovo, questa volta accarezzando la guancia dell’uomo.

-E io amo te. Vi amo entrambi.-

Si strinse a loro, con tutte le sue forze. E poi si svegliò.

Imparerai l'amore

Sbatté gli occhi confusa, rendendosi conto che era ancora immersa nel buio, muovendo a fatica la testa verso la sveglia sul comodino. Erano le cinque di pomeriggio, aveva dormito per tutto il giorno.

Lentamente la donna si mosse, e nuovamente si rese conto del suo ventre rigonfio, ricordandosi che era caduta parecchie ore prima; ansiosa, tastò la pancia, controllando se sentisse dolore, che fosse tutto a posto. Apparentemente sembra tutto normale, ma il suo cuore non si calmava, perciò si alzò in piedi, aprendo le tapparelle per cercare uno stetoscopio.

Rimase quasi accecata dalla luce arancio-dorata del tramonto, e aprì le tende e spalancò le finestre, sentendo che l’aria era soffocante; dopodiché uscì fuori, nel salotto, e anche lì era tutto buio.

Aprì le tapparelle, scostò le tende, spalancò le finestre, e s’inginocchiò verso uno degli scatoloni, strappandogli via lo scotch e cercando lo strumento medico tra i vari libri di medicina.

Quando lo ebbe in mano si sedette a terra, se lo mise alle orecchie, e cominciò a verificare, pregando con tutte le sue forze di sentirlo battere.

E lo sentì: un piccolo cuore che, oltre la sua pelle, nel liquido amniotico, stava battendo.

Fece un respiro di sollievo, e poi si fermò un attimo, rendendosi conto che stava sentendo il battito cardiaco … di suo figlio; ascoltò con maggiore attenzione, e notò che era veloce, che non era pesante come il suo, ma leggero, allegro, come se si stesse divertendo, come se … fosse felice.

La donna, lentamente, si tolse lo stetoscopio, e accarezzò la pancia, sussurrando.

-Ehi, Hikaru. Grazie. Hai fatto bene a sgridare la mamma. Osta la mamma sta meglio. Ti prometto … che andrà tutto bene.-

Le parve quasi di sentire un movimento, e si arrestò emozionatissima.

Poi il telefono ruppe l’incantesimo, obbligandola ad alzarsi e ad andare a rispondere.

-Pronto?-

>Yayoi? Sono Sanae. Ascoltami prima di riattaccare: mi dispiace tantissimo di averti urlato ieri, ma davvero sono molto preoccupata per te, non voglio che resti sola.

Già, era vero: non poteva restare sola, aveva avuto un attacco depressivo. Non poteva permetterselo, non dopo che Hikaru l’aveva tanto pregata di metterlo al mondo; doveva proteggerlo, anche da se stessa, era sua madre, no?

-Sanae, hai ragione. Ho bisogno di aiuto.-

 

Ok! Questo è un capitolo speciale, un extra. Torneremo con il prossimo capitolo di nuovo nel flusso temporale di Opera in Musica, ma volevo tanto delineare il rapporto che c’era tra Yayoi e Hikaru, il rapporto tra una madre e un figlio: personalmente ritengo che ci sia molto di più, io ho solo guardato la superficie, anche perché parliamo di un legame profondamente fisico e spirituale.

La canzone è “L’amore si impara” scritta da Roberta di Lorenzo e interpretata da lei e dai Sonohra.

Ci vediamo al prossimo aggiornamento, baci!

 

 

**

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Capitolo 9
*** Sillabato: Falstaff ***


Sillabato:

Falstaff

 

Uno dei più grandi piaceri quotidiani di Yayoi era poter svegliare suo figlio la mattina: fin da quando era nato, infatti, era sempre stato un bambino che di notte faceva ben poche storie, e quando la donna si sporgeva per controllare, la mattina presto, sul lettino, il piccolo apriva gli occhietti, si girava verso di lei, seguendo la voce, e poi faceva il suo sorriso contento.

A quel punto la madre allungava le braccia, e se lo stringeva al petto.

Adesso Hikaru era cresciuto, ma come sempre la mattina si alzava in piedi, e senza fare rumore entrava nella piccola camera, il loro appartamento non era di certo una reggia, ma era sufficiente per starci loro due; pian piano si sedeva sul materasso del lettino, e si sporgeva a dargli una bacio sulla fronte, accarezzandogli i capelli scombinati.

Era un rituale a cui lei non rinunciava mai, nemmeno quella mattina, nonostante la discussione avuta la sera prima con il suo ex-marito; anzi, proprio perché era successo quello che era successo, aveva bisogno di sentire ulteriormente la presenza di suo figlio.

Lo vide, come sempre, aprire gli occhi verso di lei, e gl’offrì il suo sorriso del buongiorno, concedendosi quel giorno di dargli addirittura un secondo bacio, guardandolo poi sfregarsi gli occhi prima di alzarsi dal materasso, andando ad aprire le imposte della finestra della camera, il sole stava diventando più forte, e il meteo aveva annunciato il fiorire dei ciliegi in anticipo di una settimana.

Un raggio creò un piccolo sentiero sul pavimento della stanza, andando in direzione del corridoio; Yayoi si affacciò fuori dalla finestra, e notò che anche altri alberi avevano iniziato a fiorire in anticipo.

Quando riportò lo sguardo sul figlio, lo vide seduto sul suo letto con lo sguardo ancora spento, e affettuosamente la donna si sedette accanto a lui, accarezzandogli i capelli e osservandolo bene: aveva l’aria ancora addormentata, ma ben presto la madre si accorse che gli occhi del figlio erano anche pensosi, molto pensosi.

-Ehi, cosa c’è? Non stai bene?-

Lui scosse la testa, continuando a guardare verso la coperta che gli copriva le gambe. Quella silenziosa risposta cominciò a preoccupare leggermente Yayoi, e cercò di usare un tono di voce il più allegro possibile.

-Allora forza, giù dal letto e a lavarsi i denti, che se no facciamo tardi!-

Hikaru alzò il capo verso di lei, e per un momento la donna ricordò il volto di Jun, quell’espressione incredula e ferita che aveva avuto mentre le aveva ricordato che non era stato solo lui che aveva rovinato tutta la situazione; gl’occhi nocciola del figlio erano, allo stesso modo, afflitti.

-Amore, cosa c’è? perché quello sguardo triste?-

-… a te non piace Jun, vero mamma?-

Al contrario: quando l’aveva rivisto, dopo tanto tempo, così vicino a lei, per un attimo il cuore l’era tremato, perché sebbene il suo sguardo e il suo atteggiamento fossero mutati, per la donna lui rimaneva sempre il suo amore più grande, quello che non si riusciva a cancellare nonostante il tempo. E dopotutto il figlio era la prova vivente di quell’amore.

-Ma no, certo che mi piace tesoro.-

-Perché avete litigato, allora?-

Yayoi s’irrigidì leggermente: non era per lui, ne perché non si piacevano. Ma come spiegare ad un bambino che cinque anni prima lei aveva nascosto a Jun di lui, e che adesso la situazione era diventata molto difficile?

-… vedi tesoro … molto tempo fa io e Jun non ci siamo detti la verità per paura, almeno per la mamma è stato così. E ancora adesso la mamma ha un po’ paura di parlare con Jun, per questo abbiamo litigato.-

No, decisamente lui non capiva, e si vedeva dal suo volto. La donna si preparò ad una mattinata difficile, mentre prendeva il figlio in braccio per portarlo in bagno a lavarsi e prepararsi.

-Perché hai paura di Jun, mamma?-

Non era l’uomo che le faceva paura, ma i sentimenti che le provocava quell’uomo: dall’amore incondizionato verso di lui all’odio più feroce verso di lei e alla sua incapacità di essere stata decisa nel momento più importante; dal desiderio che le cose tornassero a posto tra loro due alla testardaggine della donna di voler pretendere per lo meno delle scuse da parte dell’uomo.

-… perché vedi amore, la mamma vorrebbe far pace con Jun, ma teme che lui sia ancora arrabbiato con lei e che quindi non accetti le sue scuse.-

-Jun è arrabbiato con te? Perché?-

La donna osservò il figlio prendere lo spazzolino e fare tutto da solo, dalla prima volta che lei glielo aveva insegnato, Hikaru era diventato capacissimo di fare tutte quelle operazioni senza alcuno aiuto; Yayoi si passò una mano tra i capelli, sedendosi per terra, per il momento li stava tenendo sciolti, al lavoro poi li avrebbe sistemati.

-Perché la mamma ha fatto una cosa brutta, tesoro: la mamma ha detto una bugia a Jun.-

“Nascondere la verità” era un concetto ancora lontano per il bambino, e per il momento gli aveva spiegato che mentire non era mai bello o utile, mai. Di fatti lei ne stava subendo le conseguenze.

Hikaru, intanto, era rimasto con lo spazzolino nella bocca aperta, occhi pieni di sorpresa a quella scoperta, e imbarazzata la donna sorrise.

-Vedi che anche la mamma sbaglia?-

Lui si lavò velocissimo di denti, sputacchiando in malo modo nel lavabo, a cui ci si aggrappava dato che era ancora un po’ piccolo per arrivarci, e dopo aver lavato lo spazzolino, le mani e la faccia, si avvicinò alla mamma e si sedette a terra con le ginocchia strette al petto, nella stessa posa di Yayoi, quasi a specchio. Il piccolo parlò a voce bassa, quasi a non volersi farsi sentire da qualcuno.

-Perché l’hai fatto?-

Quando Hikaru rivelava la bugia alla mamma, questa s’inginocchiava verso di lui e gli parlava a bassa voce, dandogli la sicurezza che quel loro segreto non l’avrebbe detto a nessuno; pertanto, quando lui si comportò in quel modo, Yayoi si sentì divertita e commossa, e accarezzò i capelli scombinati del figlio, parlandogli a bassa voce.

-Perché si trattava di una cosa molto importante, e la mamma ha avuto paura, come te tesoro.-

Lui abbassò lo sguardo, pensando bene a quello che lei aveva detto, ed annuì gravosamente, facendo sorridere la donna, la quale sciolse lentamente la posizione, allungando le gambe e permettendo al figlio di appoggiare la testa sul suo grembo, mentre lei continuava ad accarezzargli il capo.

-Però a te dispiace di averlo fatto?-

-Certo che mi dispiace! Le bugie sono sempre brutte, sempre.-

-Allora gli chiederai scusa?-

La donna, allora, fermò le carezze, incerta: era lei che voleva le scuse dell’uomo, ma allo stesso tempo era dalla parte del torto forse più di lui. Di questo passo, rifiutandosi di fare il primo passo, rischiava di non avere più la vita serena che desiderava per suo figlio; doveva farlo per lui, perché lui aveva il diritto … di essere felice con suo padre.

-Certo che gli chiederò scusa.-

-Promesso?-

La donna alzò una mano, chiudendo le dita e lasciando alzato solo il mignolo.

-Promesso.-

Hikaru fece lo stesso gesto, e i due s’intrecciarono i mignoli.

-E adesso in piedi! Devi vestirti e ti devo pettinare i capelli.-

-No i capelli noo!!-

-Ah, dove scappi? Torna qui!!-

E Yayoi cominciò a rincorrere Hikaru per tutta casa, riuscendo alla fine ad acchiapparlo e a sollevarlo da terra, con una grande risata da parte del bambino, che si lasciò di nuovo trascinare in bagno a farsi pettinare.

-Oggi pomeriggio la mamma è impegnata, lo sai?-

-Si, lo so.-

-Farai il bravo e mi aspetterai all’asilo?-

Il bimbo annuì, ma la donna sentì chiaramente che questa cosa non andava bene: lasciarlo solo all’asilo, farlo aspettare più di un’ora, le sembrava di abbandonarlo, ma non aveva la minima idea di come risolvere quella situazione.

Poi, immediatamente, la soluzione le apparve chiara in testa, e si bloccò dal pettinarlo, permettendogli di sfuggire da lei per correre a cambiarsi.

Già, era così semplice … eppure pensarci le faceva venire una tale ansia.

-Mamma!! Mi aiuti?-

-Ah, arrivo tesoro.-

Non aveva altra scelta. Era per suo figlio.

“Lo farò per te, Hikaru.”

 

Matilde verificò il numero di pazienti di quel giorno, riscoprendo un paio di nomi che non si aspettava, l’ultima volta che li aveva avuti in cura erano letteralmente fuggiti, e non per colpa sua; verificò l’agenda del suo cellulare, aveva scritto in rosso l’appuntamento con Yayoi, ma non avrebbe avuto problema di accavallamenti.

Ripensando alla donna non poté evitare di pensare al Jun e al suo appuntamento misterioso, chissà chi aveva incontrato, e soprattutto chi era il personaggio misterioso che gli aveva dato quella felicità infantile, che raramente gli aveva visto.

Quel giorno lo avrebbe stuzzicato un po’, giusto per divertirsi.

>La dottoressa Cecconi è attesa dal dottor Misugi. La dottoressa Cecconi è attesa dal dottor Misugi.

Un brivido passò sulla base del collo della donna, di colpo aveva fermato il suo passo veloce, ascoltando quasi incredula la voce dell’altoparlante, e per un momento il suo istinto le urlò di scappare a gambe levate, che una cosa del genere era solo sinonimo di guai.

Tuttavia la donna, per la prima volta, non ascoltò quell’istinto, ma riprese a camminare più lentamente, salendo le scale verso l’ufficio e stringendo al fianco la cartella con le schede dei suoi pazienti, trovando la porta dello studio di Jun chiusa. Brutto segno, di solito la lasciava sempre aperta.

Bussò con estremo rispetto, e sentì l’ “avanti” dell’uomo fin troppo chiaramente; la voce di lui le diede una scarica di brividi che, per qualche istante, paralizzò le sue gambe e le sue braccia, tanto che le fu molto difficile mettere la mano sul pomello e girare la maniglia, aprendo così la porta. Nel fare tutto ciò, ebbe la sensazione di fare uno scempio al suo stesso corpo.

Stavolta sentiva fin troppo bene il campanello d’allarme riecheggiarle in testa, e quando non vide la figura di Jun rimase ancora più bloccata.

-Mi hai chiamato?-

-Chiudi la porta.-

Secco, atono, che le dava le spalle seduto sulla sua poltroncina dietro la scrivania; Matilde obbedì silenziosamente, restando però accanto alla via di fuga.

-Siediti.-

Obbedì nuovamente, il passo ancora più lento di quando era salito sul piano per raggiungere lo studio; si accomodò sulla poltroncina, ma ebbe la sensazione che fosse rivestita di chiodi, ci si trovò immediatamente scomoda, e stava per sistemarsi quando Jun si girò di scatto, sempre seduto sulla sua poltroncina, e la guardò dritta negl’occhi con uno sguardo gelido.

-E ora parliamo.-

Sarà stato il tono con cui l’aveva detto, sarà stato il suo sguardo, fatto sa che, in qualche modo, nel suo meccanismo interno Matilde riuscì a schiacciare il bottone “autodifesa”, e subito prese un profondo respiro che le calmò il battito cardiaco, sporgendosi dalla sedia e poggiando i gomiti sulla scrivania dell’uomo, senza alcuna remore di mantenere il contatto visivo.

-Non ne vedevo l’ora. Di cosa vuoi parlare?-

-Di te. E della tua stronzataggine.-

-Argomento molto interessante. Prego, esplicalo.-

-Molto bene: tu, Matilde Cecconi, sei una stronza bugiarda, che non solo s’impiccia dei miei affari personali, ma oltretutto non mi passa informazioni molto importanti che potrebbero evitare al sottoscritto situazioni spiacevoli.-

La formulazione risvegliò tutti e due i lobi cerebrali della donna, la sua mente si era messa già in moto a formulare la teoria.

Se diceva questo c’erano solo due spiegazioni: o era riuscito ad incontrare Yayoi e lei gli aveva rivelato tutto, anche del figlio, oppure aveva scoperto della donna e del figlio tramite terzi e adesso non aveva idea di come approcciarsi con loro.

Delle offese personali lei non se ne curava, l’era stato anche molto di peggio dai suoi stessi pazienti e anche da terzi di cui non ne aveva saputo più niente, pertanto le parole di Jun le scivolarono addosso come acqua.

-Teoria molto interessante. E dimmi, quali sarebbero le tue prove?-

-Il fatto che, parlando con la mia ex-moglie, sono venuto a sapere che tu eri a conoscenza non solo della sua effettiva presenza alla clinica, ma anche dell’esistenza di mio figlio Hikaru.-

-Ah, si chiama cos? Che bel nome! E l’hai conosciuto? Com’è? Sai, non ho avuto ancora modo di vederlo …-

-Non mi prendere per il culo!-

Quickly (inchinandosi e interrompendo Falstaff)

Reverenza. La bella Alice...

 

Falstaff (alzandosi e scattando)

Al diavolo te con Alice bella!

Ne ho piene le bisacce!

Ne ho piene le budella!

 

Quickly

Voi siete errato...

Jun aveva sbattuto le mani sulla scrivania, e si era alzato in piedi visibilmente irritato; da dietro le lenti dei suoi occhiali, Matilde non mosse un muscolo, e questo irritò sensibilmente l’uomo, che fece molta fatica a non urlare.

-Tu avevi il preciso dovere di dirmi di tutto questo!-

-E dove sarebbe scritta questa regola?-

-Dovrebbe essere scritta nella tua coscienza per quanto riguarda la nostra amicizia.-

Era la prima volta che l’uomo pronunciava la parola “amicizia” nel suo rapporto con Matilde, la quale si limitò ad inarcare un sopracciglio: avevano avuto una tresca, e poi di comune accordo erano rimasti colleghi. Dopo un po’ lei aveva avvertito che il rapporto era diventato molto più “affettivo”, ma non notando alcun mutamento nell’atteggiamento dell’uomo aveva tenuto quella sensazione per sé.

Adesso lui la usava come arma per farla sentire in colpa nei suoi confronti, comodo? Tzé, principiante.

-La mia coscienza è perfettamente a posto con questa situazione.-

-Allora ha qualche problema …-

-Fammi parlare. Ho conosciuto Yayoi, è vero, e te l’ho anche detto che l’avevo conosciuta; ammetto di averti mentito quando mi hai chiesto come si chiamava, ma l’ho fatto per rispetto nei suoi confronti.-

Jun, che fino a quel momento aveva dato la schiena alla donna, come azione di rifiuto a quello che lei avrebbe detto, rizzò le orecchie alla novità, e si girò ancora più infastidito, squadrandola.

-Ti ha detto lei di non dire niente?-

-No, al contrario, mi ha persino chiesto se ti conoscevo.-

E lì, per un momento, Jun non reagì, incerto, e Matilde si morse le labbra per non sorridere soddisfatta: l’uomo aveva la classica reazione da “Si mi fa piacere, però devo continuare a stare incazzato”, aveva distolto lo sguardo, si era passato una mano in faccia e si capiva chiaramente che stava facendo lavorare il cervello il più possibile per riuscire a formulare una risposta decente.

-E … e tu cosa gli hai detto?-

-Niente.-

-Matilde …-

-Te lo giuro, non ho detto niente, anzi è stata lei a dirmi che è la tua ex-moglie.-

-E ti ha parlato anche di Hikaru?-

-Solo durante una chiacchierata, l’è uscito fuori senza pensarci, ma allora non sapevo che fosse la tua ex-moglie. O meglio, l’avevo intuito ma facevo finta di niente.

E non guardarmi così, che io non ho fatto proprio nulla!-

-Per il momento! Almeno sono riuscito ad arrivare in tempo, prima che tu potessi combinarmi qualcosa di strano.-

E a quel punto Jun passò dall’altro lato della scrivania, di fronte alla psicologa, appoggiandosi e usando anche un dito per cercare di avere maggiore autorità sull’italiana, che a quel punto si era accomodata sulla sua poltroncina, i chiodi erano magicamente scomparsi.

-Qualsiasi cosa accada, se scopro che hai detto qualche cosa di strano a Yayoi, giuro che te la faccio pagare.-

-Quanta poca fiducia, non credo che hai mai avuto problemi del genere con me con le tue relazioni precedenti, se possiamo chiamarle tali.-

-Allora avevo maggior controllo su di loro.-

-Vuoi avere controllo sulla vita di Yayoi?-

Questo bloccò Jun per la seconda volta dal parlare, e la donna poggiò comodamente le braccia sui braccioli della poltroncina, osservando il comportamento dell’uomo alla stoccata: dopo qualche secondo fece una smorfia, quasi una specie di ringhio, passandosi una mano sui capelli e alzando lo sguardo verso l’alto.

-Non ho detto questo, cerco soltanto di mantenere i rapporti pacifici.-

-Avete litigato?-

Lui si trattenne dal rispondere a getto, lanciando un’occhiataccia alla psicologa, la quale si limitò a fare spallucce, come a dire “tanto le cose le so, se non me lo vuoi dire pazienza.”

Aaah, quanto non la sopportava quando faceva così! Anche perché la donna sapeva perfettamente che l’avrebbe avuta vinta.

-Di sicuro scoprire di avere un figlio non è una cosa facile da accettare, soprattutto scoprire che la tua ex-moglie era incinta, prima di divorziare, ma non ti ha detto niente non è piacevole.-

-Prima di divorziare?-

-Mi ha detto che era incinta di tre mesi quando ha firmato le carte del divorzio.-

-Accidenti, doveva proprio odiarti se non ti ha detto niente!-

E questo era un pensiero che Jun si era portato dietro fin da quando era uscito da quella casa, la sera precedente, e ancora adesso non se ne faceva una ragione: non sopportava che proprio Yayoi, la persona che gli era rimasta accanto anche nei momenti più difficili, gli avesse rivelato tutta la rabbia e … l’odio effettivo nei suoi confronti. Non lo sopportava … perché sapeva che era sincera.

Un muro con un piccolo spiraglio, grande abbastanza da farci passare Hikaru.

E quel bambino … era assolutamente la cosa più incredibile che gli fosse capitata tra capo e collo, ancora non poteva crederci che una parte di lui era dentro quella creatura, fragile e innocente quanto matura e forte.

Oltretutto quella notte, quando stava per addormentarsi pensando proprio a suo figlio, un pensiero agghiacciante lo aveva svegliato, lasciandolo insonne per molte ore: Hikaru … era sano? Se davvero era suo figlio, forse … no, non poteva proprio pensarci, non se lo sarebbe mai perdonato.

Matilde osservò in silenzio i mutamenti emotivi di Jun, accorgendosi subito che c’era qualcosa che pesava sulla coscienza dell’uomo: il suo volto si era adombrato, e quello stesso dito che fu puntato contro di lei adesso era ben nascosto, assieme al resto della mano, dentro la tasca del suo camice; gli occhi erano rivolti altrove, la sua attenzione persa nei suoi pensieri.

-Pensi a lei?-

Glielo chiese a voce bassa, per non interrompere il flusso, e lui strinse leggermente le palpebre, nelle orecchie di Jun risuonavano le parole di Yayoi, e nella sua mente tornavano, come fantasmi, quegl’occhi pieni di rabbia e sofferenza.

Eppure, quegli stessi occhi, erano come quelli sul volto di Hikaru, ma luminosi e felici, e ora che ci pensava bene l’uomo capiva perché, ogni volta che guardava quel bambino sorridere, la mente gli giocava quel tiro mancino e gli proponeva il volto felice di una giovane ragazza dai capelli rossi che non riusciva a togliersi dalla testa.

-Lui … Hikaru … le assomiglia tremendamente.-

-Credo che Yayoi pensa lo stesso pensando a te.-

Jun si voltò a guardare Matilde, sorpreso.

Lei si era sporta dalla sedia, e i suoi occhi non lo osservavano come una cavia, ne avevano quella solita aria da stronza; anzi erano tremendamente … onesti, come lo erano state le sue parole. Per tanto, lui si sentì in imbarazzo, e scostò lo sguardo mettendo il broncio.

-Non attacca, io non mi sono dimenticato del nostro discorso.-

-Oh nemmeno io, sta tranquillo.-

E la donna tornò a poggiarsi sullo schienale, questa volta intrecciando le dita e poggiandole sulle gambe.

-Insomma, cosa vuoi che faccia? Che non parli di te? … che ti parli di lei?-

-Dubito che faresti quest’ultima cosa, conoscendo il gusto che provi a farmi tribolare.-

-Tribolare, che parolona! Comunque hai ragione, non lo farò, ma non per quello che pensi tu: è il giuramento d’Ippocrate a fermarmi.

Ricordi? “Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell'esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.”-

E Matilde era una psicologa.

Jun, immediatamente, la guardò negl’occhi, sperando che quello fosse una specie di scherzo; purtroppo, la donna sembrava essere fin troppo seria nel restituirgli lo sguardo.

-Yayoi sta male?-

-Non lo so ancora, e comunque non lo verrei a dire a te.-

-E perché mai?!-

-Perché tu non sei più suo marito, Jun. O sbaglio?-

Gli pesava prendere coscienza di questo: quando aveva firmato le carte, parecchio tempo prima, all’uomo era sembrata la cosa più giusta da fare, come si era sempre ribadito ogni volta che ci ripensava, e questo gli succedeva molte volte. Ma sempre alzava gli occhi al cielo e prendeva un respiro profondo, e si auto convinceva che ripensarci era inutile, e che bisognava andare avanti.

Adesso, però, non guardarsi indietro era diventato impossibile.

Matilde prese in mano le redini della situazione.

-Anzi, mi sorprende questo tuo interesse nei suoi confronti: dopotutto sono cinque anni che non vi sentite, giusto? Mi sembra un po’ ipocrita, da parte tua, interessarti a lei solo adesso che è di nuovo qui.-

Jun lanciò un’occhiata incredula all’italiana, la quale però aveva cancellato quell’espressione amichevole di prima, lasciando il posto a occhi duri come lame.

-Quali sono le tue vere intenzioni? Perché adesso vuoi sapere tutto di lei?-

-Che domande fai? Perché sono preoccupato, è ovvio.-

-Oh certo, è ovvio. Ma per chi sei preoccupato? Per te? Per lei? O per il bambino?-

Pensò immediatamente ad Hikaru, a come quel pomeriggio era passato così bene seduti su quelle altalene, o quando si erano conosciuti e avevano condiviso quei biscotti; e poi ripensò ancora, in modo ossessivo, a come la donna si era rivolto a lui, a come gli aveva vomitato addosso tutte le sue “colpe”, a come lei era sembrata così ferita e rabbiosa.

Alla fine pensò a se stesso, a tutto quel tempo passato senza di lei, senza di lui, senza di loro.

-… al bambino ovviamente. Sono suo padre.-

-Scommetto che se tu non avessi saputo di lui non ti saresti preoccupato così tanto.-

-Non cominciare anche tu con questa storia!-

L’uomo alzò la voce, e l’italiana colse la palla al balzo.

-Anch’io? Ah, ma allora anche Yayoi te l’ha fatto notare. Ti brucia, non è vero? Ti brucia che ti venga fatta notare la tua mancanza!-

-Quale mancanza?! Quella là non mi ha nemmeno detto dell’esistenza di Hikaru! Non mi ha detto nemmeno che era incinta quando stavamo divorziando, non mi ha detto nulla!-

La sua voce tuonò in tutto l’ufficio, e la mano che stava per bussare alla sua porta si fermò a mezz’aria, bloccandosi: Yayoi, salita a quel piano proprio per parlare con Jun, sentì chiaramente la voce di quest’ultimo gridare tutto il suo fastidio, come poche volte lo aveva sentito.

-Si è tenuta tutto nascosto, e poi mi ha lanciato addosso la colpa di essere sparito, quando eravamo entrambi d’accordo di non sentirci se non in caso di necessità! Ebbene quella era una necessità, avrebbe dovuto chiamarmi, avrebbe dovuto dirmelo fin da subito!-

-E sentiamo, cosa avresti fatto se te l’avesse detto?-

-Non lo so, ma per lo meno io non avrei fatto la figura dello stronzo e lei della vigliacca!-

L’ultima parola risuonò nel corpo di Yayoi come una scossa elettrica, mozzandole perfino il fiato.

Matilde, intanto, valutò la situazione, abbassando di nuovo il suo tono di voce.

-Bene, adesso lo sai, cosa vuoi fare? Toglierglielo? Portargli via il bambino?-

-Io … io …-

-Parla Jun, dimmelo visto che vuoi così tanto fare l’uomo, dimmi adesso che cosa vuoi fare verso il bambino, perché ti ricordo che è figlio tuo!-

-Lo so che è figlio mio, l’ho capito! Ma non credere che la cosa sia semplice!-

-Ah no, e perché? Non hai mai voluto un figlio da Yayoi?-

La donna dai capelli rossi, ancora dietro la porta, strinse le mani a sé, respirando a fatica e ricordando come l’uomo, molto tempo prima, avesse avuto difficoltà nel risponderle alla classica domanda “se avessimo figli, vorresti prima un maschio o una femmina?”.

E anche adesso, come allora, Jun rimase imbambolato a quella domanda.

Matilde usò quel silenzio come risposta, alzandosi in piedi.

-Sei proprio un debole, Jun.-

Lo voleva provocare, fino in fondo, per vedere fino a che punto l’uomo rimaneva trincerato nelle sue paure; perché in fondo Jun Misugi era un uomo spaventato da quel tipo di responsabilità, come lo sarebbe stato chiunque. Al tempo stesso, però, quello era un uomo molto orgoglioso, e non avrebbe mai ammesso una cosa del genere a se stesso.

Tuttavia, quando si sentì dire una cosa del genere, non ci vide più: andò addosso all’italiana e l’afferrò per una spalla, facendola girare verso di lui e lanciandogli fuoco e fiamme dagl’occhi.

-Come hai detto?-

-Non mi hai sentito? Allora sei anche sordo: ho detto che sei un debole.

Fai una gran protesta perché non sapevi niente di Yayoi o del bambino, ma ti sarebbe bastato prendere il telefono e fare una telefonata, una semplice telefonata per fugare i tuoi dubbi e pensieri anche solo a riguardo della donna.

Invece non l’hai fatto, non hai fatto nient’altro che pensare a te e alla tua vita.-

“-Per questo non ti ho mai detto di Hikaru. Per questo motivo: perché hai sempre voluto fare tutto da solo. Da solo volevi continuare a giocare, da solo hai scelto di operarti, da solo hai scelto di sposarmi e divorziare da me.-”

Jun abbassò il suo tono di voce, ma Yayoi lo sentiva perfettamente dietro il pannello di legno mentre Matilde sentiva la presa stringersi sulle sue spalle.

-Tu non hai la minima idea di quello che stai dicendo: non accusarmi di essere un insensibile egoista, perché se c’è una persona che io ho amato più di me stesso è sempre stata Yayoi!-

La donna si sarebbe commossa se la situazione non fosse stata tanto spinosa, e quella confessione non faceva altro che provocarle un ulteriore peso nel cuore: quello che gli aveva detto l’uomo era la verità, anche lei avrebbe dovuto fare qualcosa, tentare qualcosa, non stare lì impalata a guardare lui che faceva tutto. Era stata debole tanto quanto lui, anzi più di lui.

-Io ho amato lei, mi sono fidanzato con lei, ho sposato lei. E ho divorziato da lei, e da nessun’altra.

E lei non ha fatto niente per fermarmi.-

Si sentiva profondamente ferito dalla discussione che aveva avuto il giorno prima, perché per la prima volta aveva fatto i conti non solo con i suoi errori, ma con quelli della donna che aveva tanto amato: quell’immagine quasi perfetta che aveva avuto nella testa, con i suoi difetti ma con i suoi bellissimi pregi, adesso rivelava le crepe di un essere molto più umano dei suoi ricordi.

Non c’era più solo la bella malinconia attorno al ricordo di quel volto: adesso c’era tanta rabbia e frustrazione, tristezza, un senso d’impotenza che l’uomo credeva di essersi lasciato alle spalle quando si era fatto l’operazione al cuore ed era guarito.

Tutto si era guastato e perché? Perché l’aveva rivista, e non solo.

Lasciò la presa sulle spalle di Matilde, indietreggiando e dandole poi le spalle, parlando a voce molto più normale.

-Lo so che non mi sono comportato bene, lo so. Ma sapere che lei soffrisse e io non lo vedevo … sapere che lei mi aveva nascosto una cosa come Hikaru perché non si fidava … mi ferisce dentro, e non solo per il mio orgoglio, ma anche perché … significa che non vedeva un futuro assieme a me.-

Cadde un silenzio tremendo, nel quale Jun si trovò ad avere a che fare con un tremendo conflitto dentro il suo corpo, che lo sconquassava: da una parte la sorpresa, e l’irrazionale felicità non solo di aver rivisito la donna, ma soprattutto di aver conosciuto Hikaru, suo figlio; dall’altra la presa di coscienza di tutti i problemi a cui, fino a quel momento, aveva evitato di pensarci, ritenendo inutile farlo.

A quel punto Yayoi aveva sentito abbastanza, e approfittando di quella pausa bussò alla porta, prendendo un profondo respiro mentre aspettava il permesso di entrare.

I due dottori sfruttarono quel cambio improvviso per riprendersi dalla litigata, ed ognuno tornò al posto di partenza, seduti sulle loro rispettive poltroncine.

-Avanti.-

Falstaff

Un canchero! Sento ancor le cornate

Di quell'irco geloso!

Ho ancor l'ossa arrembate

D'esser rimasto curvo,

come una buona lama

Di Bilbao, nello spazio

D'un panierin di dama!

Con quel tufo! E quel caldo!

Quando se la videro davanti, a momenti Jun cadeva da seduto, mentre Matilde si convinceva, ancora una volta, che il destino non solo era beffardo, ma anche un po’ carogna.

Yayoi teneva lo sguardo basso, incapace di guardarlo negl’occhi, e parlò con voce tremendamente timida e bassa.

-Scusate il disturbo. Misugi senpai, posso parlarle un attimo?-

Lo chiamava senpai, e questo mise già una certa distanza; che poi lo chiamasse anche per cognome, era proprio come se creasse lei stessa un solco oltre il quale l’uomo non poteva avanzare.

Questo, intanto, aveva la tremenda angoscia che lei lo avesse ascoltato nella sua sfuriata, e a giudicare da come si comportava c’erano buone probabilità che fosse davvero accaduto.

Matilde, sentendo il disagio di entrambi, agì a suo modo, alzandosi in piedi.

-Va bene, allora io torno al lavoro. A più tardi Yayoi.-

-Ah, certo, a dopo.-

E la donna chinò la testa in segno di saluto, guardando l’italiana uscire dall’ufficio e chiudersi dietro di sé la porta. Ciò che entrambi i giapponesi non videro, era l’aria soddisfatta che la psicologa aveva in faccia.

La donna dai capelli rossi, intanto, si stava macerando le mani, la gola si era stretta in un nodo mentre l’uomo teneva gli occhi distanti da lei, angosciato; alla fine la sentì parlare, aveva la voce un po’ tremolante, come se avesse avuto il mal di gola.

-Scusami se ti disturbo durante il tuo orario di lavoro, ma … mi rendo conto che è assurdo, dopo quanto è accaduto … ma ti devo chiedere una cortesia.-

-… certo, dimmi pure, ti ascolto.-

Ogni tanto la donna lanciava delle occhiate all’uomo seduto sulla scrivania, e gli sembrava di vedere la rabbia che provava nei suoi confronti come un’aura rossa che lo avvolgeva, e rendeva impossibile alla donna di avvicinarsi.

Dal canto suo, l’uomo avvertiva la distanza come una prova ulteriore dell’odio della donna, e non la guardava negl’occhi per timore di vedere quel sentimento, com’era successo la sera precedente.

-Io … io oggi pomeriggio … ho un impegno improrogabile … e vorrei … vorrei che … che tu passassi il pomeriggio con Hikaru.-

A quella richiesta, lui alzò lo sguardo parecchio stupito, e subito la donna gli disse la motivazione della richiesta, le guance cominciarono ad arrossire, diventando di un bel rosso vivo.

-Ecco, a Hikaru piace giocare con te, so che non hai impegni, così mi sembrava la cosa migliore, in fondo mi ha chiesto di te anche stamattina così …-

-Ha chiesto … di me?-

La donna alzò la testa, e si trovò davanti l’espressione più tenera che avesse mai visto in Jun Misugi: aveva gli occhi emozionati, la bocca semi aperta, e un’espressione di stupore mista a leggera felicità che la fece sorridere, tanto che annuì emozionata tanto quanto lui.

-Si, proprio stamattina.-

Suo figlio … chiedeva di lui …

-… va bene, lo farò.-

La donna rimase quasi incredula, per poi riscuotersi e prendere un foglietto dalla tasca dell’uniforme, avvicinandosi alla scrivania il tempo sufficiente per poggiare il biglietto, allontanandosi altrettanto rapida.

-Ah, ti ringrazio. Hikaru finisce le sue lezioni alle quattro, questo è l’indirizzo dell’asilo. Se … se vuoi, potete anche andare direttamente a casa nostra, Hikaru sa dove tengo il secondo paio di chiavi.

Ora vado, perdona l’inconveniente. Buona giornata.-

E come un fulmine schizzò via dall’ufficio, cercando di calmare i suoi battiti cardiaci e rifugiandosi nello sgabuzzino dove si era nascosta la seconda volta dall’ex-marito, prendendo fiato e recuperando lucidità: Jun si era emozionato nel sapere che Hikaru chiedeva di lui, il bimbo sarebbe stato tanto contento di giocare con il suo papà.

Ma lei … lei non aveva alcuna possibilità di farsi perdonare; e tuttavia doveva mantenere la promessa fatta al figlio, e avrebbe chiesto scusa all’uomo.

Tuttavia non quel giorno. Non quel giorno.

Jun, intanto, aveva preso il biglietto con l’indirizzo tra le mani, ancora incredulo dalla possibilità di vedere ancora una volta Hikaru, oltretutto il giorno dopo averci parlato e scoperto tutto; gli sembrava che il cielo gli stesse dando un’occasione che non doveva farsi scappare, e fosse cascato il mondo lui l’avrebbe colta quell’occasione!

Eppure … eppure non poteva dimenticare delle parole che aveva gridato contro Matilde, e che forse Yayoi aveva sentito.

Cosa poteva fare adesso?

 

>Questa è una registrazione di Matilde Cecconi, in data 12 Marzo 2012.

Oggi è la prima seduta con la paziente Yayoi, nata il 15 Marzo del 1982.

La paziente ha sofferto in precedenza di depressione pre-parto, pertanto è qui per svolgere delle sedute per verificare il suo stato attuale dopo cinque anni dalla gravidanza.

La paziente ha già svolto una terapia prima e dopo il parto, con due sessioni da dieci seduta l’una, condotte dal dottor Irie Arata.

Dalla cartella clinica risulta che la paziente ha vissuto in una famiglia con un parente affetto da depressione: si tratta della signora Kaoru Aoba, madre della paziente, scomparsa nel 15 Marzo 1987.

Bene, Yayoi, sei pronta a cominciare?

>Si dottoressa.

>Bene, allora cominciamo. Parlami un po’ di te.

 

**

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Capitolo 10
*** Terzetto: Ping, Pong, Pang ***


Terzetto:

Ping, Pong, Pang

 

Ping:

Olà Pang!

Olà Pong!

(e misteriosamente)

Poiché il funesto gong desta la reggia e desta la città,

siam pronti ad ogni evento:

Se lo straniero vince, per le nozze,

e s’egli perde, pel seppellimento.

Yayoi si era tolta l’uniforme da infermiera, e portava una maglietta con lo scollo a barca e un paio di jeans; la sua lunga treccia di capelli scivolava da una spalla, e si stava torturando le mani mentre ascoltava Matilde registrare la prima seduta; non era la prima volta che si sentiva dire, ad alta voce, la sua cartella clinica, ma l’accenno a sua madre le fece storcere la bocca come sempre.

-Bene Yayoi, pronta ad incominciare?-

-Si dottoressa.-

-Bene, allora cominciamo. Parlami un po’ di te.-

E vide l’italiana appoggiare il registratore nel basso tavolino tra loro due.

La prima cosa che la giapponese aveva notato era che la psicologa non aveva una risma di fogli e una penna come il dottore che l’aveva precedentemente seguita nella terapia; inoltre non erano sulla scrivania della donna, bensì in un altro angolo della stanza, con due poltroncine e un tavolinetto, sopra questo, oltre al registratore, una bottiglia d’acqua e due bicchieri.

Inoltre quel punto della stanza non aveva le pareti a vetro, ma solide pareti di calcestruzzo; il vetro era dall’altro lato, oltre la scrivania della psicologa.

Yayoi sapeva rispondere alla prima domanda, ma ci mise qualche secondo a trovare le parole giuste, continuando a torturarsi le dita, i suoi occhi fissi sul piccolo registratore davanti a lei.

Matilde, dall’altra parte, non aveva alcuna fretta, ma anzi quello che vedeva era già un ottimo inizio: i segni di disagio della “paziente” rivelavano aspetti del suo carattere che la psicologa già aveva notato, ma di cui non aveva ancora esplorato le motivazioni.

-… vengo da Okutama, per la precisione molto vicino al confine tra Yamanashi, in una zona rurale.

La mia … è sempre stata una famiglia molto legata alla tradizione: originariamente erano contadini, poi con l’espansione di Tokyo mio nonno è diventato un operario di fabbrica, e così molti suoi fratelli.

Mio padre, invece, è sempre rimasto legato al territorio, e ha fatto il contadino.-

-E tua madre? La famiglia di tua madre?-

Matilde notò subito lo sguardo con cui Yayoi si rivolse a lei: freddo, gelido, come se le sue iridi fossero state ricoperte di ghiaccio da centinaia e migliaia di anni. Non esprimevano alcun sentimento, né rabbia o tristezza, tanto meno gioia o serenità; la voce con cui rispose alla domanda era al pari di quegl’occhi, atona, volume sostenuto ma piatto, frasi semplici e sintetiche.-

-Contadini, come mio padre. Mia madre si è sposata giovane. Ed è morta giovane.-

-Quanto anni aveva?-

-Trenta, come me.-

-E tuo padre? Aveva la stessa età?-

-Si, si erano sposati giovani. Non certo per amore.-

-Perché dici questo? Erano divorziati?-

-No, affatto: mio padre era un uomo fedele.-

-E tua madre lo era?-

-No.-

Questa informazione fu captata da Matilde senza mostrare la benché minima reazione, limitandosi a mettersi comoda sullo schienale della poltroncina, nel frattempo le mani di Yayoi avevano smesso di tormentarsi, restando chiuse e inermi sulle sue gambe; a quella breve pausa, lo sguardo della donna si era abbassato nuovamente, stavolta guardando un punto vuoto sul tavolino davanti a lei.

L’italiana capì subito che era ancora presto per soffermarsi su quell’oggetto, così ricominciò il giro delle domande classiche.

-Parlami della tua casa. Dov’era?-

-… si trova a un quarto d’ora di distanza dalla stazione ferroviaria, bisogna prendere un autobus per arrivarci, o al massimo a piedi ci si mette quaranta minuti.-

-Quindi c’è ancora? Ci vai ogni tanto?-

-Ci sono stata negl’ultimi due anni con Hikaru, quando siamo stati costretti a trasferirci.-

-E vivevate con tuo padre?-

-Si, solo con lui. I miei nonni sono venuti a mancare tempo fa, e i miei zii vivono nei quartieri interni.-

-E com’è con Hikaru? Cosa pensa di suo nipote?-

Per la prima volta, un sorriso rilassato si formò sulle labbra della donna, le mani lentamente si univano fra loro mentre le tornava in mente la prima volta che aveva fatto vedere il bimbo a suo padre: era appena nato, si era fatta accompagnare da Sanae, e delicatamente l’aveva messo sulle gambe dell’uomo.

Questo aveva guardato il nipote con aria stupita, e il piccolo aveva allungato le manine, toccandogli il mento e le guance, sorridendo e agitandosi; di reazione, l’uomo aveva sorriso, e aveva iniziato a sollevarlo verso l’alto, giocandoci mentre Yayoi aveva fatto un respiro di sollievo.

-Lui … adora Hikaru. Gli piace portarlo a fare lunghe passeggiate, gli piace guardarlo disegnare e insegnargli tutto quello che sa sul lavorare la terra; quando eravamo lì … mio padre si faceva aiutare da Hikaru nel suo orto. Ci passavano i pomeriggi interi.-

-A Hikaru piace il nonno, vero?-

-A Hikaru piacciono le persone in generale: è un bambino … molto socievole, come il padre.-

Altro punto importante, e Matilde subito si soffermò anche su quella questione.

-Pensi che sia una caratteristica paterna?-

-Oh, senza dubbio: ricordo che quando lo conobbi, Jun era rappresentante di classe, e capitano della squadra di calcio dove giocava. È sempre stato un leader, gli altri ragazzini lo consideravano quasi un idolo.

Anche per questo … stava sempre da solo.-

Non accigliò lo sguardo, ma la psicologa notò che i ricordi stavano andando in profondità, e provò a farsi dire altro.

-Era un solitario? Gli piaceva stare da solo?-

-Oh no, affatto: amava la compagnia. Tuttavia … proprio per le sue condizioni fisiche e il suo carattere … per quanto fosse ben voluto, si avvertiva che gli altri temevano di farlo stare male, pertanto le sue amicizie non erano così profonde.-

-E tu? Come ti comportavi tu?-

Yayoi alzò lo sguardo, uscendo dai suoi ricordi, e si umettò le labbra, gesto che a Matilde non sfuggì: solitamente si tratta di un gesto che indica piacere, e non solo di tipo sessuale; in quel caso la donna lo classificò come indice di legame affettivo tra la sua paziente e Misugi.

Quegli occhi scuri, intanto, dalla dottoressa si abbassarono di nuovo, le mani avevano ripreso a tormentarsi, e questa volta la donna portò indietro il busto, appoggiandolo sulla poltroncina, in un chiaro segno di rigetto. Ancora una volta, la donna doveva fermarsi dall’indagare troppo in là.

Tuttavia ricevette comunque una risposta.

-Per me lui … era un ragazzo come tutti gli altri: io non seppi subito della sua malattia, fu sua madre a dirmelo, tempo dopo. Però, nonostante questo … volevo trattarlo come tutti gli altri, ed essere sua amica non perché fosse speciale … ma perché, quando ci siamo conosciuti, lui mi rivolse la parola. Tutto qui.-

E fece spallucce senza rendersene conto, e il respiro tornò regolare. Nonostante questo, Matilde ritornò sulla scia principale, sfruttando proprio il punto in comune fra Jun e Yayoi.

-E Hikaru? È un leader?-

Di nuovo, la donna sorrise, e si sporse in avanti, questa volta si portò le dita verso le labbra sorridenti, quasi  trattenersi dallo scoprire la dentatura, parlando con un tono più basso e addolcito.

-… non è un leader, ma sa come far star bene le persone. È un dono che possiede soltanto lui.-

-Non pensi che l’abbia ereditato da te?-

E il sorriso scomparve in pochi istanti, le dita s’intrecciarono, e alla fine le braccia s’incrociarono leggermente, il busto nuovamente tirato indietro, gli occhi lontani sia dalla donna che dal tavolo, a guardare un punto vuoto sul pavimento.

-Io non so far stare bene le persone.-

-Questo lo pensi tu … o ti è stato detto?-

La mascella di Yayoi s’irrigidì, gli occhi tornarono come saette sullo sguardo verdastro della dottoressa, la quale si era sporta in avanti, studiando profondamente interessata il soggetto davanti a lei: quella donna … era un miscuglio di sentimenti contrastanti, adesso aveva appena dimostrato dell’aggressività repressa, e fino a pochi secondi prima era stata felice, il solo pensiero del figlio la rendeva felice.

Quante sfaccettature aveva l’animo umano, e in particolare quello della donna di fronte a lei. Le venne quasi … da invidiarla: capiva perché Jun non poteva fare a meno di lei, sia nell’amore che nella rabbia, era una di quelle poche anime pure che, nonostante i possibili “orrori” che aveva affrontato, non aveva perso la sincerità dei suoi sentimenti, e per tale motivo si nascondeva, spaventata da tutto e tutti, dietro una corazza di “debolezza”.

Se fosse uscita dal guscio, Yayoi avrebbe mostrato uno splendore incredibile.

Per questo le aveva fatto quella domanda: doveva capire da dove proveniva la fonte di quella “debolezza”.

L’altra però, questa volta, non le diede il dono di una risposta, così fu costretta a sviare nuovamente il discorso: era solo la prima seduta, non poteva martellarla troppo.

-Parlami ancora di tuo figlio. Era felice di trasferirsi dal nonno?-

Stavolta la reazione di Yayoi fu diversa rispetto alle precedenti: aveva gli occhi che vagavano da un punto all’altro, e pareva incerta nel dare la risposta, le mani invece di intrecciarsi fra loro si strofinavano sui jeans, e le spalle si stringevano fra loro, in un chiaro segno di insicurezza.

-… quando glielo dissi era molto contento, a lui piaceva stare dal nonno. Tuttavia … ho la sensazione che questo l’abbia reso … un po’ più chiuso: gli altri bambini abitavano lontano, e a parte aiutare il nonno nell’orto … passava molto tempo a disegnare, da solo.-

-La tua è stata una scelta obbligata immagino, quella di doverti trasferire.-

-Ero in difficoltà finanziarie: il mio vecchio lavoro non era abbastanza retribuito e non era più possibile rimanere nella vecchia casa; mio padre, a quel punto, mi propose di tornare da lui, ma a dire la verità …-

-A dire la verità? Non volevi tornare?-

Scosse la testa come risposta.

-Per quello che era successo a tua madre?-

Yayoi alzò lo sguardo, era di nuovo duro, e si stava inasprendo. Matilde però continuò a farle domande: aveva capito qual’era il fulcro, da dove poteva iniziare la sua terapia.

-Puoi parlarmi di lei?-

Fece molta fatica la donna, questa volta, a rispondere: aveva gli occhi induriti da una mistura di sentimenti oscuri: sofferenza, rabbia, amarezza, delusione. E una grande solitudine.

-… cosa vuole sapere di lei?-

-Beh, puoi descrivermela fisicamente? Com’era?-

-… aveva i capelli lunghi e neri. Era magra e debole, si ammalava molto facilmente. Quando le parlavo non mi ascoltava mai, e mi raccontava sempre la stessa storia.-

-Quale storia?-

-Quella in cui ha conosciuto … il mio genitore.-

-Intendi tuo padre?-

-No, intendo colui che, con mia madre, mi ha generato. Padre è colui che genera e se ne rende degno.- (cit. Dostoevskij)

-Puoi spiegarti meglio, Yayoi?-

La donna, a quel punto, fece un profondo respiro di resa, e allungò le mani verso la sua borsa, tirandone fuori una piccola agendina, tenuta ferma con un elastico; l’aprì in un punto preciso, e saltarono due fotografie, ad una delle quale lei sorrise intenerita, poggiandole poi sul tavolino davanti alla psicologa.

Una era una foto molto vecchia, e mostrava una famiglia dall’aria severa, le donne avevano tutte il kimono, la più avanti era inginocchiata su un cuscino e teneva la mano di una bambina, messa al centro tra lei e l’altro genitore, un uomo dall’aria amichevole e tranquilla. Entrambi avevano i capelli e gli occhi neri. La bambina aveva capelli rossi, tenuti indietro da un cerchietto con il fiocco.

L’altra foto era di Yayoi con Hikaru, accanto un signore anziano con i capelli neri e sempre quell’aria amichevole e serena.

-Io non sono figlia di mio padre Mamoru Aoba.-

Pong:

(gaiamente)

Io preparo le nozze!

Jun, solitamente, era un uomo molto paziente, o almeno cercava di darlo a vedere; questa volta, però, era come se avesse avuto addosso il diavolo che lo tormentava: si guardava intorno, guardava costantemente l’orologio, dava un’occhiata alla borsa, si sedeva e si alzava dal muretto della casa dall’altro lato della strada.

Attorno a lui, nel frattempo, si erano radunate le mamme, e ovviamente molti sguardi erano rivolti a lui, e anche di vario tipo: dall’ammirazione e la curiosità di quel giovane uomo (non menziono affascinante perché era sottointeso), ma anche il dubbio e il sospetto che quel tipo fosse poco raccomandabile, dopotutto non l’avevano mai visto.

Nel vedersi quegl’occhi puntati contro, per la prima volta l’uomo si sentì in profondo imbarazzo, e si passò una mano in faccia, cercando di nascondere il disagio; a salvarlo ci pensò il rumore di porte che si aprivano, e i primi bambini che uscivano dall’edificio per andare incontro alle loro mamme, alcune di queste invece entravano otre il cancello principale, uscendo dall’asilo tenendo per mano i figli.

A Jun non era mai capitato di assistere a quella scena, e la osservò con particolare interesse: molte erano mamme di una certa età, che di sicuro avevano più di un figlio, mentre altre erano giovani, e parevano più entusiaste delle prime nel tenere per mano o prendere in braccio i loro bambini. Ma tutte avevano un’espressione serena in comune, anche quella apparentemente più accigliata si prendeva come un respiro di sollievo quando vedeva quel particolare volto.

Era la stessa espressione che aveva trovato anche nel volto di Yayoi, quando aveva accompagnato Hikaru a casa, e a ripensarci l’uomo non sentì più montargli addosso la rabbia di quella mattina, in qualche modo quella fattucchiera di Matilde aveva di nuovo portato a compimento uno dei suoi malefici su di lui.

Ripensando al bambino, l’uomo controllò tutte le presenze in uscita, ma nessuna di loro era suo figlio; a quel punto prese un profondo respiro, facendosi forza, e decise di attraversare quella piccola strada, di varcare il cancello e di dirigersi all’ingresso dell’asilo, osservato dalle mamme rimaste a chiacchierare fra loro, queste si vedeva lontano un miglio che volevano capire chi fosse.

Attraversò le porte dell’asilo, e subito un’insegnante uomo, con addosso il suo grembiule da lavoro, lo notò e si avvicinò a lui, parlandogli con cortesia.

-Posso aiutarla?-

-Ah si, sono qui per Hikaru Aoba.-

-È un suo parente?-

Non credeva che sarebbe mai arrivato, nella sua vita, a dare una risposta del genere.

-Si, sono il padre.-

-Jun!-

L’uomo girò lo sguardo, riconoscendo la voce, e vide una figura corrergli incontro, i capelli rossicci lo fecero sorridere, portandolo ad inginocchiarsi per arrivare all’altezza del bambino.

-Ehi campione!-

-Sei venuto a prendermi??-

-Si, la mamma mi ha chiesto di venire e di tenerti compagnia fino a quando non torna a casa. Sei contento?-

-Si!!-

E il bambino abbracciò di slancio l’uomo, lasciandolo senza parole.

Riconobbe subito, nei vestiti e nei capelli del piccolo, l’odore di Yayoi, quel profumo di sapone che si sentiva solo a distanza ravvicinata; lentamente, quasi per timore di rompere quella creatura, una mano dell’uomo accarezzò la capigliatura, spettinandola leggermente mentre riprendeva fiato e sorrideva.

-Dai, prendi le tue cose che andiamo.-

-Va bene!-

Il piccolo schizzò via verso la sua classe, e l’uomo notò subito un’altra piccola testa, questa volta con i capelli neri, e due occhi scuri lo guardavano con aria diffidente; appena Hikaru si avvicinò questa sparì con lui dietro la parete, e l’uomo si alzò in piedi mentre il maestro, ancora stupito dall’informazione, cercava di riprendere il discorso.

-Ehm, mi scusi la domanda, ma Hikaru sa che lei è il padre? Quando glielo abbiamo chiesto ci ha detto di non sapere chi fosse.-

-Le sembrerà pazzesco, ma è da ieri che so di essere suo padre.-

Il maestro sgranò gli occhi, incredulo mentre Hikaru usciva di corsa dalla sua aula, dietro di lui nuovamente quel bambino dai capelli neri, e Jun portò l’attenzione sui due.

-Jun, lui è il mio amico Makoto. Makoto, questo è il mio amico Jun.-

-Piacere di conoscerti.-

Il bambino lo guardò con aria di sfida, studiandolo per bene mentre l’uomo manteneva fisso lo sguardo, avvertendo la sensazione che distoglierlo non sarebbe stata la cosa giusta da fare; Hikaru intanto si rivolse all’amico, mettendosi le scarpe.

-Ci vediamo domani allora.-

-… si, va bene.-

-Maestro, ci vediamo.-

-Ah, si, ciao Hikaru.-

-Arrivederci.-

Jun salutò con un cenno del capo, e sorridendogli offrì la mano ad Hikaru, il quale gliela prese entusiasta, uscendo con lui fuori dall’edificio.

-Allora, com’è andata oggi? Ti sei divertito?-

-Si, oggi abbiamo fatto un disegno del nostro amico. Io ho disegnato Makoto, e lui ha disegnato me.-

-Che bello, e dov’è il tuo disegno?-

-Lo abbiamo appeso in classe, se vieni la prossima volta te lo faccio vedere.-

-Volentieri.-

I due uscirono fuori dall’edificio, l’ultima coppia di mamme rimaste fuori li guardò molto sorpresa, ma i due “uomini” le ignorarono bellamente, guardandosi intorno.

-Allora, cosa vuoi fare? Ti va se andiamo a prenderci un gelato?-

Il bimbo sgranò i suoi occhi, entusiasta, e annuì con tutta la sua forza, facendo sorridere divertito l’uomo, che subito s’incamminò verso la gelateria più vicina.

Era incredibile: gli bastava vedere quell’espressione di felice sorpresa, e si sentiva leggero, come quando riusciva a rendere felice la stessa Yayoi. E anche lui, come Hikaru, faceva lo stesso sguardo.

Pang:

(cupamente)

Ed io le esequie!

Matilde, apparentemente, non rimase sorpresa di quello che la donna gli aveva detto, mentre questa si portava la mano vicino alla bocca, in un chiaro gesto di rigetto; aspetto qualche minuto, guardando anche le due fotografie sul tavolo, annotando mentalmente l’atteggiamento di Yayoi nella foto sia da bambina che in quella da adulta.

Aveva l’aspetto di una bambolina, con quel kimono con disegnati fiori di ciliegio e il cerchietto sulla testa; aveva gli occhi che guardavano decisi la macchina fotografica, eppure era in una posizione scomoda ma rispettosa, con quella mano che sembrava obbligata a stare sulla gamba della madre, la quale gliela teneva in un chiaro gesto di affetto … e possessione.

Da adulta, invece, era in piedi accanto a suo padre, l’aria molto più serena, un sorriso felice sulle labbra, e questa volta era suo figlio Hikaru che le prendeva la mano, sorridendo forse più di lei; v’era comunque un leggero spazio tra la donna e l’anziano signore, come nella foto da giovane, dove lui era seduto non troppo distante da lei, ma senza alcun contatto fisico, guardando dritto davanti a sé.

Rispetto, certo, ma probabilmente c’era qualcosa di più.

A quel punto, quando aveva osservato per bene le due foto, l’italiana alzò lo sguardo, notando che la giapponese l’aveva tenuta d’occhio tutto il tempo, tenendo sempre una mano a coprirle la bocca, come ad impedirsi di parlare.

-… chi era? L’hai mai conosciuto?-

-No, non l’ho mai visto.-

E calcò, decisa, su quel “mai”, incrociando le braccia; al contrario, Matilde aprì le braccia e le gambe in un chiaro gesto di apertura: doveva e voleva far sentire tranquilla la donna di fronte a lei, aveva la sensazione che il precedente dottore avesse avuto un approccio troppo distaccato, portandola a tenersi sulla difensiva quando si andava al di là delle domande di routine.

-Mi hai detto … che tua madre ti raccontava sempre di come l’aveva conosciuto. Te la ricordi ancora quella storia?-

-Si, certo che me la ricordo.-

La sapeva a memoria, parola per parola, come se lo spirito di sua madre, ogni notte, gliela sussurrasse all’orecchio; nei momenti più bui l’aveva sempre ricordata, e ogni volta la temeva e si arrabbiava. E pensava sempre che non sarebbe finita come sua madre, pertanto si riprendeva e andava avanti, sempre e comunque.

Ma mentre era stata sposata con Jun, quando avvertiva che le cose non stavano andando bene, quella storia le tornava in mente, e la spingeva a far finta di niente, a non dargli peso, a darsi della sciocca.

-Me la racconteresti? Te la senti?-

Il suo flusso di pensieri fu interrotto dalle parole della psicologa, la quale si era sporta in avanti e guardava con aria amichevole la donna; questa irrigidì leggermente la mascella, e le mani si strinsero nei pugni. I suoi occhi scesero a quelle due fotografie, osservando il viso serio di sua madre e suo padre, e poi il sorriso felice di Hikaru.

-… mia madre diceva sempre … che l’aveva conosciuto un anno prima di mettermi al mondo, all’Hanami. Era Marzo …-

“-Ti svelo un segreto, bambina mia: il tuo nome è Yayoi perché è il mese in cui ho conosciuto il tuo papà. E un giorno, a Marzo, lui verrà a prenderci e ci porterà via.-

-Perché papà dovrebbe portarci via? papà è qui con noi.-

-No quel papà, sciocchina. Il tuo vero papà.-

-Il mio vero papà? Mamma, non capisco.-

-Kaoru! Smettila di raccontare queste sciocchezze alla piccola, così la confondi e basta!-

-Ha il diritto di sapere chi è il suo vero padre!-

-Suo padre è tuo marito, e ringrazialo per non averti allontanata dopo quello che gli hai fatto!-

-Il padre di Yayoi è l’uomo che amo, e che un giorno verrà a prenderci!-

-Sei una vergogna, provo pena per quella creatura.-

-Non toccare mia figlia! Lei è solo mia! Mia e del mio amore!-”

-Yayoi, stai bene?-

La donna aveva cominciato a parlare, per poi interrompersi ed entrare in una specie di trans, gli occhi sbarrati fissi sul tavolino, le mani irrigidite nei pugni e il respiro che si faceva sempre più assente, tanto che la psicologa aveva deciso di intervenire, alzandosi dal suo posto e scuotendole una spalla.

Yayoi alzò lo sguardo, stupita, e riprese a respirare normalmente, riuscendo dopo qualche minuto ad annuire, portandosi una mano verso la fronte, confusa: cos’era successo qualche minuto prima? Quelle cose … non se l’era mai ricordate.

-Ce la fai a continuare? Vuoi che ci fermiamo?-

-… no, ce la faccio. Scusami.-

-Figurati. forza, prendi un po’ d’acqua e poi riprendiamo la seduta.-

E la psicologa mise in pausa il registratore.

Pong:

Le rosse lanterne di festa!

-Allora? Com’è? Buono?-

Hikaru annuì, sporcandosi le labbra e le guance con il gelato alla stracciatella, e Jun sorrise soddisfatto, tornando poi al suo cono, anche questo alla stracciatella, era rimasto stupito quando aveva scoperto che ad entrambi piaceva lo stesso gusto. Gli venne da chiedersi se anche quello faceva parte del codice genetico che condividevano, o se era solo un caso.

-Vuoi assaggiarlo?-

E il bimbo gli offrì il suo cono, che in fondo era lo stesso gusto dell’uomo; nonostante ciò, Jun assaggiò, e lo tastò con accuratezza mentre il bimbo aspettava, impaziente, il verdetto.

-Hai ragione: è davvero buono. Vuoi un po’ del mio?-

Il bimbo annuì, e assaggiò il gelato dell’uomo. Lo tastò anche con attenzione, e alla fine sentenziò.

-Anche il tuo è molto buono.-

L’uomo fu soddisfatto della risposta, e i due ripresero a mangiare i loro gelati in silenzio, godendosi quella panchina, guardando la gente che camminava.

Quelli che si voltavano a guardarli notavano subito le somiglianze tra i due, a cominciare da come si erano seduti: entrambi con la schiena appoggiata sulla panchina, tenevano il gelato con la destra e la sinistra era abbandonata lungo il fianco, oltretutto Hikaru faceva dondolare le gambe avanti e indietro, concentratissimo a mangiare il suo cono.

Jun si voltò a guardarlo, e gli venne da ridacchiare: adesso aveva il naso bianco, e due grossi baffi sopra le barba, assieme ad un pizzetto di stracciatella sul mento. Senza pensarci, tirò fuori dalla tasca della giacca un fazzoletto, e un po’ rozzamente pulì il muso del bambino, il quale fece una leggera smorfia ai modi poco delicati dell’uomo.

-Di certo ti stai gustando il gelato fino in fondo, eh? Attento a non macchiarti il grembiule.-

E quando il bimbo si voltò verso di lui, l’uomo si rese conto di quello che aveva appena fatto: si era preso cura di suo figlio. Anche quel semplice gesto, unito a quelle parole, era stato il suo primo e vero gesto d’affetto verso … suo figlio.

Scostò leggermente la mano dal piccolo, arrossendo lievemente e voltando lo sguardo di nuovo verso la gente che camminava, una coppia di ragazze avevano sorriso divertite e intenerite da quello che avevano visto, e l’uomo s’imbarazzò ancora di più, sprofondando ulteriormente nella panchina e quasi affondando la faccia nel gelato, sporcandosi il naso.

Hikaru subito lo indicò con il dito, sorridendo.

-Anche tu sei sporco adesso.-

E l’uomo, a quel punto, non poté fare altro che sorridere divertito.

-È vero, hai ragione.-

Si ripulì, e di nuovo cadde il silenzio tra i due. Ma era un suono tremendamente piacevole per le orecchie dell’uomo, gli faceva venire in mente quando lui e Yayoi, ancora ragazzi, restavano in silenzio per ore quando studiavano, alzando lo sguardo e scambiandosi una semplice occhiata e un sorriso. Non avevano bisogno di altro per comunicare.

Forse, chi lo sa, un giorno avrebbe avuto quello stesso rapporto con il bambino alla sua sinistra, che si stava mangiando il suo gelato alla stracciatella.

Forse, chi lo sa … sarebbe riuscito a recuperare quel rapporto con la sua ex-moglie …

-Ah! Mi stavo dimenticando di una cosa!-

Il bambino l’aveva detto ad alta voce, per poi voltarsi verso l’uomo, guardandolo con sguardo tremendamente serio.

-La mia mamma ti ha chiesto scusa?-

-… come?-

L’uomo era rimasto leggermente intontito, tanto che non si accorse che il gelato si stava sciogliendo, almeno fino a quando non gli colò sulle dita, portandolo a distogliere lo sguardo e a velocemente mangiarselo prima che si guastasse.

Alla fine, quando la situazione fu più stabile, tornò a guardare il bambino, che nel frattempo aveva continuato a mangiarsi il suo cono, con gli occhi però verso l’uomo accanto a lui.

-Puoi ripetere, scusa?-

-Ti ho chiesto se mia mamma ti ha chiesto scusa.

Stamattina mi ha detto che sarebbe venuta da te per chiederti scusa.-

-Scusa … di cosa?-

A quel punto il bimbo s’interruppe e si guardò intorno, con aria diffidente; poi si avvicinò a Jun, e si allungò il più possibile per sussurrargli all’orecchio.

-Per averti detto quella bugia.-

“-Perché Yayoi? Perché non me l’hai detto?-

-Perché tu non volevi figli. Io si.-”

… in fondo al suo cuore, nella parte più scura, Jun sentì chiaramente che ancora non riusciva e non poteva perdonarla; eppure, al tempo stesso, sentire da quella bocca che lei voleva chiedergli scusa lo commosse profondamente: di colpo quelle parole dette, trattenute e urlate di quella sera non perdevano pesantezza, restando immutate ma più sopportabili.

Tuttavia il perdono era ben lontano: quella bugia aveva il peso di cinque anni di ignoranza nei riguardi di quel bambino che, ora, stava mangiando quel gelato senza preoccupazione alcuna. Poteva anche essere stato un uomo orribile, ma aveva sempre avuto il diritto di saperlo, per poter fare qualcosa.

Istintivamente, la mano sinistra dell’uomo accarezzò la capigliatura rossiccia del bambino, sospirando: forse adesso non poteva perdonare, ma forse un giorno si. Solo il tempo poteva dirlo.

-… quando la mamma mi chiederà scusa, la perdonerò. Va bene?-

Il bimbo annuì, con aria decisamente soddisfatta, finendo di sgranocchiare il cono. E copiandolo, l’uomo finì anche il suo gelato.

-Forza, avviamoci verso casa, va bene?-

E si alzò in piedi, offrendo nuovamente la mano al bambino, il quale l’accettò senza remore.

Pang:

e bianche lanterne di lutto!

-Come va? Un po’ meglio?-

La donna annuì, leggermente imbarazzata, posando sul tavolino il bicchiere d’acqua e aggiustandosi qualche piccola ciocca di capelli, che sfuggiva dalla treccia. Matilde le sorrise, accomodandosi di nuovo al suo posto e accedendo nuovamente il registratore.

-Va bene, Yayoi, riprendiamo da dov’eravamo rimaste, hm? Mi stavi raccontando la storia che tua madre era solita dirti.-

Solitamente accadeva quando la bimba e la donna erano sole in camera. Poteva succedere in qualsiasi momento: mentre la donna pettinava i capelli alla piccola, mentre si sistemava il kimono, anche semplicemente mentre guardava fuori dalla finestra. Ma iniziava sempre allo stesso modo.

-… era Marzo, ed era la festa dell’Hanami. Mia madre era andata a guardare i ciliegi in fiore, come faceva tutti gli anni; indossava un furisode verde, con i dettagli in argento e bianco, perché doveva incontrarsi con il suo fidanzato Mamoru.

Aveva un ombrello rosso, e stava aspettando sotto un ciliegio; all’improvviso si alzò una brezza, e spostò l’ombrello per vedere i petali che cadevano. Quando abbassò lo sguardo, vide … un ragazzo che la guardava …-

“-Aveva i capelli rossi come il fuoco, e la pelle chiara come la neve. E gli occhi azzurri come il cielo …-”

-Era uno straniero, e lei si spaventò, nascondendosi subito sotto l’ombrello; lui le si avvicinò lentamente, e gli spiegò che si era perso, e le chiese se per caso era lo spirito di quell’albero.

Si parlarono fino a quando Mamoru non arrivò.-

A quel punto la donna si fermò un momento, proprio nello stesso punto dove era solita fermarsi sua madre nel raccontare; si guardò le mani, e poi riprese a raccontare.

-S’incontrarono ancora: lui era uno studente venuto a studiare le tradizioni giapponesi, e mia madre lo aiuto, rispondendo ad ogni sua domanda.

La gente cominciò a mormorare, e i genitori di mia madre iniziarono a proibirle di vedersi con quel ragazzo …-

“-Ma più insistevano, più io dovevo vederlo. Capisci? Era più forte di me: sentivo quasi … di non poter respirare senza di lui. Io, con lui, mi sentivo … viva.-”

-… ma i due si videro ancora, anche di nascosto; e di nascosto decisero d’incontrarsi … al Tanabata Matsuri.-

“-Era destino, capisci tesoro? Come Kengyu e Shokujo …-”

-E lì … mi hanno concepito.-

“-E lì ci siamo amati.-”

-… o meglio: si sono uniti, e accidentalmente sono capitata io.-

Quell’appunto colpì immediatamente Matilde, che fino a quel momento aveva seguito la storia con particolare interesse verso chi la stava raccontando: mano a mano che proseguiva nel racconto, Yayoi perdeva la parte più poetica della storia, probabilmente insegnatagli dalla madre, per raggiungere quello stato di rabbia e sofferenza con cui aveva risposta alle domande a proposito di quell’argomento.

Il commento finale era la prova più evidente del suo fastidio. E il seguito della storia fu ancora più sbrigativo.

-Lui, dopo, ritornò da dov’era venuto. I genitori di mia madre volevano cacciarla di casa quando lo scoprirono, ma … ma Mamoru, nonostante quello che era successo, decise di sposarla ugualmente, e di accettarmi.-

Quando parlava del padre, ecco lì si notava come un senso di colpa nei confronti dell’uomo.

-La famiglia di lui, ovviamente, fece di tutto per tenerci lontane da lui; oltretutto, dopo il parto, mia madre era diventata debole fisicamente, e si ammalava spesso. Diceva sempre che non sarebbe morta, e che avrebbe aspettato … che quell’uomo tornasse a prendere entrambe.

Alla fine cominciarono ad allontanarmi da lei, e a quel punto è impazzita.-

-In che senso?-

-… mi teneva con lei in camera, facendomi saltare spesso l’asilo. Passava tutto il giorno a pettinarmi e vestirmi, e se qualcuno si avvicinava troppo dava di matto; ogni giorno mi ripeteva sempre la stessa storia, e diceva di non fidarmi di nessuno dei miei parenti, e di restare sempre assieme a lei.

Poi … un giorno … mia madre era sparita. La cercarono dappertutto … e la trovarono … appesa al ciliegio fuori casa.-

Lei lo vide proprio dalla camera della madre: vide l’albero, il corpo, e la gente attorno. E non capì cos’era successo per tutto il giorno, arrivando alla sera dove finalmente, con una dolcezza così stucchevole che ancora adesso la stomacava il ricordo, le avevano detto che sua madre era morta.

Matilde, però, non aveva ancora finito, nonostante il tempo a loro disposizione stesse scadendo; aveva ancora una domanda per la donna.

-Com’era il funerale? Te lo ricordi? Dov’eri?-

Vide chiaramente lo stupore di Yayoi, fino a quel momento non l’era mai stata fatta una domanda del genere, e c’impiegò un po’ prima di rispondere.

-… ero accanto a mio padre, che mi teneva la mano e salutava i presenti che erano venuti; ricordo … che tutti mi guardavano con una gran pena, e mi dicevano quanto ero stata sfortunata.-

-E ti sentivi sfortunata?-

La donna alzò lo sguardo, e la psicologa vide chiaramente che i suoi occhi erano vuoti a quel ricordo.

-No. Mi sentivo … mi sentivo …-

E ci pensò accuratamente, ricordando quel giorno con molta fatica: ricordava la mano di suo padre, calda, che stringeva la sua piccola mano. Ricordava i volti che passavano, le parole che sentiva, ma soprattutto gli sguardi: quegli stessi sguardi che l’avevano guardata con dubbio e con diffidenza, adesso erano pieni di pietà nei suoi confronti.

-Mi sentivo arrabbiata.-

-Per cosa?-

-… per come mia madre era morta. Per come la gente mi stava guardando. Per come io … non potevo fare nulla.-

Bingo. Finalmente Matilde aveva ottenuto quello che voleva: l’inizio di quella sua debolezza: l’obbligo di dover sopportare l’ipocrisia altrui senza reagire aveva mutato quella rabbia repressa in una forma di accettazione di tutto quello che le accadeva intorno, in una forma di debolezza di cui non riusciva a liberarsi.

Yayoi, invece, si rese conto che quelle emozioni erano state le stesse che aveva provato durante i mesi in cui aveva divorziato da Jun: l’incredulità della situazione. Il fastidio, la rabbia per come le cose si stavano svolgendo. Il senso d’impotenza di non saper cosa fare.

Nel suo volto si vedeva chiaramente questa intuizione, e l’italiana sorrise, riprendendo il registratore e spegnendolo, segnando così la fine della seduta.

-Bene, per il momento basta così Yayoi.-

La donna prese un profondo respiro liberatorio, alzandosi a fatica da quella poltroncina, recuperando le due foto sul tavolino e rimettendole dentro l’agenda, prendendosi la borsa e aspettando che l’italiana le rivolgesse di nuovo la parola.

-Allora, noi due ci vediamo la prossima settimana, sempre a questo stesso orario, va bene?-

-Si, va bene.-

-Ah senti, posso darti un suggerimento? Poi se vuoi seguirlo o meno scegli tu.-

-Certo, dimmi.-

-Perché non provi a raccontare ad Hikaru com’è venuto al mondo?-

Era una cosa che, sinceramente, lei aveva fatto molto poco: gli parlava sempre del padre, certo, ma non gli aveva mai detto come l’aveva concepito, perché non era stato un momento felice quello; pertanto guardò la psicologa con aria scettica, ma questa si limitò a sorridere.

-È solo un consiglio, decidi tu. Ci vediamo a lavoro.-

-Si, ci vediamo. Buona serata.-

-Altrettanto.-

Pong, Pang:

Gli incensi e le offerte…

 

Pong:

Monete di carta dorate…

 

Pang:

Thé, zucchero, noci moscate!

 

Pong:

Il bel palanchino scarlatto!

 

Pang:

Il feretro grande, ben fatto!

 

Pong:

I bonzi che cantano …

 

Pang:

I bonzi che gemono …

Jun sentì la porta della casa aprirsi, seguita subito dopo dalla voce della donna.

-Hikaru! Sei a casa?-

-Mamma!-

Il bimbo scattò subito in piedi e corse verso l’ingresso mentre Yayoi posava a terra la borsa della spesa, sorridendo ed abbracciando suo figlio, dandogli un bacio sui capelli.

-Amore, che bello vederti! Com’è andata la giornata?-

-Tutto bene!-

-Sono contenta! Che stavi facendo di bello? Disegnavi?-

-Si, con Jun!-

A sentire il nome, per un momento, la donna si ghiacciò, e subito controllò le scarpe all’ingresso: c’erano quelle del figlio … e anche quelle dell’uomo. Si, era in casa; appoggiò il bimbo a terra, e si tolse rapidamente le sue calzature, cercando di continuare a parlare con il piccolo con il tono allegro di poco prima.

-Oggi la mamma voleva fare un po’ di Teriyaki, che ne dici?-

-Jun può restare a mangiare con noi?-

Nuovamente, la donna si bloccò, e questa volta Jun decise d’intervenire, alzandosi in piedi e facendo la sua entrata in scena dal salotto.

-Purtroppo non posso restare Hikaru: ho un altro impegno.-

-Ah, va bene.-

-Però la prossima volta vediamo, ok?-

E l’uomo accarezzò i capelli del piccolo, sorridendogli affettuoso, per poi rivolgere lo sguardo alla donna; questa l’osservò per un momento, e le tornò in mente l’intuizione avuta alla seduta, e al racconto di sua madre, e ai suoi pensieri e sentimenti nei confronti dell’uomo, e al fatto che era lì, a camminare nella sua casa, come un tempo lo avevano fatto da marito e moglie.

Lui pensò che l’aveva vista quella mattina, ma che stranamente le sembrava più bella del solito: aveva le guance arrossate dalla fatica di trasportare la spesa, i capelli avevano iniziato a scappare dalla treccia, e alcune ciocche le adornavano il volto; ripensò al suo sfogo, alla richiesta di lei, al pomeriggio passato con Hikaru, e al fatto che era tornata a casa. Per un attimo pensò che sarebbe stato bello se quella fosse stata la loro casa.

Sorrise, e questo sorprese la donna.

-Allora, com’è andata con Matilde? Ti ha strizzato per bene?-

-… come un panno bagnato.-

Ricambiò il sorriso, per poi spostarsi leggermente con le borse della spesa.

-Devi … devi proprio andare? Non puoi restare ancora un po’?-

La richiesta sorprese invece l’uomo.

-… no, mi dispiace, non posso proprio: Domenica la squadra gioca, tra stasera e domani devo aiutare a preparare i giocatori.-

-Ah certo, capisco. Allora ti auguro buon lavoro.-

-Grazie. Passa un buon fine settimana. Ci vediamo Hikaru.-

E il bimbo lo salutò con la mano mentre l’uomo s’infilava velocemente le scarpe e prendeva il suo borsone, aprendo la porta.

-Jun!-

L’uomo si voltò immediatamente al richiamo, sorprendendosi non solo che lei lo chiamasse, ma anche di come era stato veloce a reagire. Lei, di rimando, rimase colpita non solo dalla sua stessa voce, ma del fatto che lui l’avesse ascoltata; il silenzio durò un momento, e poi lei chinò la testa.

-Grazie per esserti preso cura di Hikaru.-

-… è il mio dovere, no?-

La donna sentì come una stoccata all’altezza dello stomaco, e alzò lo sguardo con aria colpevole; tuttavia, l’uomo sorrise nuovamente, passandosi imbarazzato la mano tra i capelli.

-In ogni caso, chiamami se hai bisogno di me, va bene?-

-Si. Grazie.-

E lo vide uscire.

Pong e Pang:

E tutto quanto il resto,

secondo vuole il rito,

minuzioso, infinito!

 

Ping:

O Cina, o Cina,

che or sussulti e trasecoli

inquieta!

Come dormivi lieta,

gonfia dei tuoi settantamila secoli!

 

**

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Capitolo 11
*** Il Trillo: Amalia ***


Il Trillo:

Amalia

 

Il meteo, per quel fine settimana, aveva previsto addirittura un temporale, e una delle preoccupazione per tale fenomeno era che i ciliegi avrebbero subito danni, e pertanto l’Hanami, che quell’anno risultava in anticipo, rischiava di andare perso, visto che i boccioli non avrebbero retto le raffiche di vento e pioggia. E si trattava di un evento troppo importante per permettere che questo avvenisse.

Per tale motivo il comune aveva attuato un piano di salvaguardia dei ciliegi nelle zone verdi più importanti della città, applicando sugl’alberi degl’enormi teli per difendere le chiome degl’alberi; pertanto, affacciandosi dal piccolo e stretto terrazzo di casa, Hikaru poté vedere perfettamente gli alberi venir coperti da degl’enormi cappucci verde militare.

Il piccolo naso sporgeva tra le sbarre in ferro battuto del terrazzo mentre la madre, sorridendo tranquilla, procedeva a ritirare i panni, piegando per bene una delle magliette del figlio, rossa, per evitare che si formassero delle pieghe inutili.

Dentro casa la radio mandava musica non stop. Il piccolo televisore, in cucina, era spesso e volentieri lasciato spento, il bambino lo accendeva solo in determinati orari e per un periodo non più lungo di un’ora.

-Mamma, perché gli alberi sono coperti?-

-Perché così si proteggono i fiori di ciliegio. Stasera dovrebbe esserci un temporale.-

Ad Hikaru non piacevano i temporali, li aveva sempre detestati, e nel sentire quella sgradevole notizia si accucciò ulteriormente a terra, guardando il piccolo furgoncino dove un uomo, con l’uniforme da operaio, si stava facendo aiutare da un collega a preparare il telo per l’ultimo ciliegio rimasto scoperto.

Yayoi si affacciò dalle magliette del bambino, notando l’assenza di risposta da parte di lui, e tenendo i capi piegati tra le braccia s’inginocchiò verso di lui, parlandogli a voce bassa.

-Se vuoi, stanotte, dormi con me sul lettone. Ti va?-

-No, sono grande, dormo del mio letto da solo.-

La donna sorrise, intenerita da quella dimostrazione di fierezza, le faceva tanto ricordare Jun quando lei lo punzecchiava: anche l’uomo, infatti, detestava i temporali, e anche se non lo voleva ammettere faceva davvero fatica ad addormentarsi la notte. Però, piuttosto che ammetterlo, faceva la figura del presuntuoso. Ma alla ragazza faceva sempre sorridere quell’atteggiamento, e alla fine amava anche questo di lui.

Dalla seduta con Matilde la testa di Yayoi si era come stappata, e adesso tutti i ricordi che aveva soffocato con il suo ex-marito tornavano fuori molto più luminosi e freschi, come avessero preso aria.

Accarezzò la testa del figlio, sentendo anche il sottile rimpianto di quella situazione tra lei e Jun.

-… dai una mano alla mamma a finire di ritirare i panni, Hikaru?-

Il bimbo annuì, alzandosi in piedi e prendendo il cesto delle mollette, tenendolo mentre la donna si occupava della biancheria intima, ricordando il “consiglio” che Matilde le aveva detto: parlare a Hikaru di come era venuto al mondo … come?

Quando aveva concepito suo figlio … quella stessa sera Jun aveva preso i documenti del divorzio. Doveva dire a suo figlio che, in realtà, non era stato previsto? Che la sua nascita era stata una casualità?

… però era quello che era accaduto anche a lei, no? E come le aveva sempre parlato sua madre?

La donna fermò il movimento, alzando lo sguardo verso il paesaggio al di là del piccolo terrazzo, oltre la lingua di cielo azzurro cominciavano a formarsi i primi ammassamenti di nubi grigi; mentre quel paesaggio si rifletteva sulle sue iridi castane, Yayoi sentì che il suo cuore e la sua mente avevano gli stessi colori.

-Mamma?-

-… guarda amore, guarda il cielo.-

Hikaru alzò lo sguardo, e guardò stupito quelle grosse nubi che si ammassavano tra di loro, tanti grigi che si fondevano e sembravano diventare più scuri e cupi. Anche l’aria cominciò a farsi più fredda, il vento iniziava già ad alzarsi.

-Temo che il brutto tempo arriverà prima di quanto pensato.-

-Credi che Jun riuscirà a giocare oggi?-

Ah, era vero: c’era la partita, il bimbo glielo aveva accennato il giorno prima, chiedendole di vederla in Tv.

Sulle prime la donna aveva fatto resistenza: non era ancora pronta a rivedere quello sport, o meglio di rivedere il suo ex-marito giocare; poi, però, si ricordò che l’uomo si era ritirato, e ancora un po’ incerta aveva dato il suo consenso.

Non aveva mai visto suo figlio tanto contento.

Ora, però, c’erano quelle nubi in lontananza che non solo si avvicinavano, ma sembravano proprio correre.

La donna guardò il volto di Hikaru, e prese un profondo respiro, inginocchiandosi verso di lui.

-Non ti so dire cosa vogliono fare, tesoro, ma in caso è sempre meglio che nessuno si faccia male o si ammali per il temporale, no?-

-Però … io volevo vedere la partita.-

-Lo sai che Jun non gioca, si?-

-Voglio vedere la partita!-

Non era un bimbo da fare i capricci, pertanto la madre rimase molto stupita quando lo vide accigliarsi e sbattere perfino un piede a terra, deciso.

Yayoi guardò nuovamente quelle nubi, e di nuovo il bambino, e poi osservò i panni che ancora non aveva ritirato, tra di questi c’erano degli stracci per la cucina, di cui uno bianco e rovinato.

E le venne un’idea, sorridendo entusiasta e rivolgendosi al bambino, ancora imbronciato.

-Allora cerchiamo di aiutare Jun, così che possa giocare, che ne dici?-

Il bimbo rimase sorpreso, ma la donna non gli diede il tempo di chiedere, o quanto meno di reagire, che lo afferrò tra le braccia, con lui che teneva il cestino delle mollette ancora tra le braccia, e lo trascinò in cucina, tenendo la porta del terrazzo spalancata, in modo che il vento soffiasse dentro casa.

Lo fece sedere sul tavolo della cucina, e poi uscì a prendere quel vecchio straccio, correndo in seguito in camera sua per cercare altra stoffa bianca, frugando poi tra i cassetti del piccolo salotto mentre Hikaru restava seduta sul tavolo, muovendo avanti e indietro i piedi e cercando di sporgersi per vedere cosa stava combinando la mamma.

Quando la vide tornare, notò che aveva in braccio stoffa, carta, pennarelli e spago. Posò tutto accanto al bambino, e cominciò a parlare a voce bassa, iniziando a prendere il primo pezzo di stoffa, lo straccio rovinato, distendendolo sul tavolo.

-Devi sapere che quando c’era brutto tempo e io volevo giocare, il mio papà mi diceva sempre che dovevo spaventare Amefushi.-

-Amefushi?-

-È lo spirito della pioggia. Ma non è cattivo, anzi lui vorrebbe giocare con i bambini, e scommetto che adesso vorrebbe giocare la partita con Jun. Ma se lo fa porta la pioggia, e allora non si può giocare.-

-Accidenti, com’è sfortunato!-

-Si, lo penso anch’io.-

E la donna riconobbe in quell’affermazione un po’ di sé: quando Mamoru gli raccontò quella storia, per la prima volta, anche a lei dispiacque per il “signor spirito”, tanto che pensò di andare a giocare comunque sotto la pioggia, nella speranza di fargli compagnia. A quell’affermazione, suo padre aveva sorriso divertito.

Intanto , con Hikaru, Yayoi aveva preso della carta e l’aveva appallottolata, per poi metterla al centro dello straccio e coprirla; tenne lo straccio in modo che la pallina fosse coperta, e legò la parte sotto con dello spago, continuando a parlare.

-Comunque … quando bisogna spaventare un Amefushi, si usa un Teru Teru Bozu. Sono sicura che presto comincerete a farli all’asilo.

Ecco qua. Questo è il mio.-

Ci aveva disegnato due occhi grandi e una bocca sorridente con il pennarello, e lo tenne per lo spago rimanente; praticamente era un fantasmino con la testa enorme, e la donna fece vedere ad Hikaru come lo appendeva fuori dal terrazzo, lì doveva prima c’erano stati i panni. Il vento soffiava e faceva agitare il pupazzetto.

-Ah, ma non è finita qui: il nonno, quando facevamo un Teru Teru Bozu, mi cantava sempre una filastrocca, così funzionava meglio.

Che ne dici, facciamo qualche altro pupazzetto per Jun? Così t’insegno la filastrocca.-

Già quando aveva visto la madre appendere il pupazzo il bambino era rimasto affascinato, e quando le propose di farli assieme non stava più nella pelle, tanto che appoggiò immediatamente il cestino delle mollette sul tavolo, concentrandosi sul lavoro che avrebbe dovuto fare.

Yayoi si mise dietro di lui, prendendogli le manine con le sue lunghe dita, e mentre canticchiava indicò al figlio cosa doveva fare.

Stesero il secondo panno bianco sul tavolo, e poi Hikaru ci mise molta cura nell’appallottolare la carta, facendosi aiutare quel tanto che bastava per renderla più sferica possibile; poi mise la palla al centro del fazzoletto, e delicatamente la coprì con la stoffa, tenendola ferma mentre la madre prendeva del filo colorato, legando ben stretto.

Alla fine il bimbo prese il pennarello, e ci disegnò sopra due occhi e una bocca con lunghi denti. Nel vederla Yayoi rimase colpita, e il bimbo si affrettò a spiegare.

-Così Amefushi scappa presto!-

Alla donna le venne quasi da ridere, e continuando a canticchiare andò ad appendere il pupazzetto, seguendo le istruzioni del figlio e mettendolo un po’ più in alto rispetto al primo. Ora c’erano due fantasmini a dondolare al vento.

-Un altro, facciamolo un altro! Uno per te, uno per e uno per Jun!-

E la donna annuì, tornando dentro con il figlio.

Il panno steso, la pallina accartocciata, il filo, la filastrocca che Hikaru cominciò a canticchiare; tutto fuso insieme, assieme al vento freddo che sapeva un po’ di umido.

Yayoi guardò quel cielo grigio, e le venne in mente quel pomeriggio passato con il padre a fare quei pupazzetti: era stata una delle prime volte in cui la bimba, dopo il funerale della madre, aveva cominciato a parlare con l’uomo, chiamandolo “padre” con molta timidezza, non riuscendo mai ad andare oltre quell’appellativo.

Adesso c’erano perfino delle volte che lo chiamava “Mamoru-san”.

La donna strinse leggermente suo figlio mentre lo vedeva fare tutto da solo, completando l’ultimo Teru Teru Bozu con un’espressione decisamente meno minacciosa del secondo.

-Posso appenderlo io?-

Lei gli sorrise, prendendoselo in braccio e portandolo fuori dal terrazzo, dove il piccolo lo legò saldamente vicino agl’altri due.

-Hai stretto bene?-

-Si!-

-Bene, adesso bisogna solo aspettare che il signor Teru Teru Bozu faccia il suo dovere.

Che cosa si fa se ci riesce?-

-Gli si offre del sakè!-

-E se non lo fa?-

-… gli si toglie la testa?-

Si, l’immagine era abbastanza macabra, ma così recitava sfortunatamente quella filastrocca; Yayoi sorrise divertita.

-Limitiamoci a toglierlo dal terrazzo, va bene? Dai, ora rientriamo.

Chiudi tu la porta per favore.-

Il bimbo si sporse leggermente dalle braccia della madre, chiudendo la porta scorrevole, rimanendo qualche minuto, con lei, a guardare quei nuvoloni grigi.

O meglio: Hikaru si guardava i suoi fantasmini, i quali si agitavano al vento; Yayoi, invece, guardò quelle nubi grigie, ricordando che, il giorno dopo aver fatto quei pupazzetti con il padre, aveva davvero smesso di piovere.

Si era sporta dalla finestra a guardare il sole entusiasta, tanto da saltellare e correre dove aveva lasciato i Teru Bozu, trovandoli dondolanti; era stata così contenta che era corsa a prendere la bottiglia di liquore, senza farsi vedere dagl’altri parenti perché l’avrebbero sgridata, posandola con due bicchierini sotto i pupazzi, lasciando poi che il padre lo scoprisse e, sorridendo, si servisse accanto al “signor Bozu”, mentre lei era corsa a giocare fuori.

Lentamente, la donna lasciò andare il figlio, e cominciò a mettere a posto i vari attrezzi che aveva usato, guardando Hikaru tenere ancora il naso appiccicato al vetro del terrazzo, osservava i tre Teru Bozu, sventolanti come bandiere, e teneva d’occhio al tempo stesso le nuvole grigie, che nel frattempo si gonfiavano pesantemente.

-Mamma.-

-Dimmi amore.-

-Hai mai fatto il signor Bozu con papà?-

Il bambino stava chiedendo sempre di più, e per quanto fosse piccolo era fin troppo intelligente da non cominciare ad intuire qualcosa; la cosa strana era che sembrava aspettare proprio che fosse la madre a dirglielo, imbeccandola continuamente con quelle domande.

Però questo era impossibile: aveva solo cinque anni!

Yayoi ci pensò, iniziando a trafficare in cucina per preparare qualcosa da sgranocchiare. E le parole di Matilde le spalancarono il ricordo completo, e sorpresa guardò verso i tre Teru Bozu sul suo piccolo balcone. Accidenti, lo aveva completamente dimenticato quel dettaglio.

Hikaru vide la madre sorridere, e notò che aveva l’aria contenta, e questo lo stimolò: negl’ultimi giorni la mamma era stata troppo cupa, aveva voglia di rivederla sorridere come prima, e di solito quando parlavano di papà ci riusciva sempre.

-Si, ne abbiamo fatto uno una volta. Purtroppo non ce l’ho più.

Vuoi mangiare qualcosa mentre preparo il pranzo?-

Il bimbo annuì, mettendosi a tavola composto, continuando però a tenere d’occhio i suoi tre fantasmini di stoffa.

AMALIA

Arrèstati!. . .gran Dìo!

[dopo un momento di stupore]

Carlo vive? O caro accento,

melodia di paradiso!

Dio raccolse il mio lamento,

fu pietoso al mio dolor.

Jun osservò quelle nuvole storcendo la bocca infastidito, ci mancava solo il tempo a complicare la situazione della squadra: uno dei giocatori di punta si era infortunato, e avevano già una sospensione sulle spalle. La riserva era buona, ma fino a quel momento non aveva giocato granché, e la partita era decisiva per mantenere la classifica così com’era, bastava anche solo un punto per mantenere il distacco dalle avversarie sotto di loro.

Sbuffò, bevendosi il suo caffè, seduto su uno degli spalti più alti dello stadio, attorno a lui i tecnici avevano già cominciato a montare le prime telecamere, facendo prove tecniche di ripresa, parlando continuamente sulle radio con la sala principale, in alto.

All’uomo fece quasi strano trovarsi da quella prospettiva, di solito lui era uno di quelli che “si faceva riprendere”, adesso era dietro le cineprese, quando tutto cominciava a muoversi ma ancora non c’era la tremenda calca del pubblico; da quel punto di vista, sporgendosi, vedeva il campo come un grande appezzamento verde acceso, avevano appena sostituito l’erba e rifatto le strisce bianche, le quali risultavano quasi fosforescenti nonostante il grigiume della giornata.

Vedere quel campo vuoto non gli metteva tristezza, ma tanta malinconia: ultimamente aveva voluto nuovamente riprendere a giocare, e anche all’ultima partita con i suoi ex-compagni di squadra ci aveva dato più dentro del solito, beccandosi come sempre le male parole di tutti, avversari e non.

Oltretutto … gli sarebbe tanto piaciuto insegnare ad Hikaru qualcosa. Chissà com’era negli sport, sembrava un bambino troppo tranquillo, ma anche lui aveva sempre dovuto mantenere una certa calma a causa dei suoi problemi fisici.

A proposito, non aveva ancora avuto modo di parlare con Yayoi di quell’argomento: voleva assolutamente sapere se suo figlio … il solo pensarci lo agitava tremendamente, e di colpo la seggiola dov’era seduto si riempì di spilli, portandolo a sedersi con la schiena in avanti, lo sguardo torvo.

Però se lei non gli aveva detto niente, forse non c’era problema. In fondo non si diceva che, queste cose, solitamente saltavano una generazione? Nella sua famiglia, però, non aveva mai sentito dire che il nonno soffrisse di cuore; e se la donna non gli avesse voluto dire niente sempre perché non si fidava di lui? No, questa era una sciocchezza: Yayoi aveva il diritto di portare rancore, ma non dirgli che il figlio stava male era un contro senso. Sarebbe stato sensato che, anzi, glielo avesse rinfacciato.

… ora pensava perfino che la donna avesse avuto ragione!

Jun si passò una mano in faccia, di colpo il suo mondo aveva subito una scossa feroce da quando era ritornata quella creatura dai capelli rossi, oltretutto accompagnata dalla sua fotocopia maschile, da grande di sicuro Hikaru avrebbe infranto più di un cuore se fosse diventato bello come la madre.

Ora che ci pensava, effettivamente gli era capitato di sentire i suoi compagni di classe, al liceo, esaltare la beltà della loro compagna Aoba; e forse allora, molto più di prima, il giovane Misugi si era ritrovata a fissarla, delle volte anche senza rendersene conto, tanto da far arrossire sia lei che se stesso quando se ne accorgeva.

Chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo, buttando il capo indietro, ripensando a quella figura longilinea con i capelli rossi. E di colpo si sentì riavere sedici, diciassette anni, quando cominciava a pensare a Yayoi molto più come una donna che solo come un’amica, quando toccarla iniziava a diventare un’esperienza speciale, e non solo per il feeling che c’era tra i due.

Ma per tutto quello che mancava.

-Ehilà, si batte la fiacca?-

L’uomo si voltò, stupito di sentire qualcuno interrompere il flusso dei suoi pensieri; Kishida alzò una mano a salutarlo, sedendosi in seguito accanto a lui e lanciando uno sguardo verso il campo da calcio, adesso c’erano gli addetti che stavano controllando un’ultima volta.

-Tu che ci fai qua?-

-Beh, non sei solo tu ad avere l’esclusiva di entrare ed uscire dallo stadio quando ti pare.-

E il nuovo venuto sorseggiò il suo caffè. Jun sorrise divertito, scuotendo leggermente il capo, piazzando i suoi occhi castani sul quel manto erboso.

Kishida alzò lo sguardo verso il cielo, con aria corrucciata.

-Si preannuncia brutto tempo …-

-Non me lo ricordare, se oggi perdiamo rischiamo di scendere dalle prime tre in classifica.-

-Eh già, si sente che manca il “principe”.-

-Dai, mi porto questo nomignolo dalle elementari, pietà!-

-Guarda che eri tu quello con i modi da gran signore.-

E Kishida imitò Jun mentre camminava, tenendo il muso alto e rischiando, pertanto, d’incespicare ogni due per tre; nel vederlo, l’uomo dai capelli castani rise divertito, e i due cominciarono a ricordare la vecchia squadra, attirando l’attenzione di qualche cameraman che, non visto, riprese il tutto.

-Comunque mi fa piacere vedere che, nonostante il ritiro, non smetti d’interessarti al calcio: quando te ne sei andato non sembravi intenzionato anche solo a parlarne.-

-Davvero ho dato questa impressione?-

-Alto che! Ricordo ancora bene il giorno in cui hai preso le tue cose: avevi uno sguardo così torvo che quasi non ti riconoscevo.-

L’uomo alzò lo sguardo, ricordandosi quel giorno mentre l’amico continuava a parlare.

-Non ti chiesi mai perché l’hai fatto, perché non sono fatti miei. Ma davvero Jun: tu non davi l’idea di uno che avrebbe mollato.-

La domanda era implicita, e d’istinto l’uomo sorrise divertito, senza però trovare una risposta valida al dubbio di Kishida.

-Se devo essere sincero … ho lasciato perché semplicemente, continuando a giocare, non sentivo più quella … fantasia, quell’entusiasmo che avevo una volta.

Probabilmente il divorzio mi ha fatto male.-

E provò a buttarla sul ridere, ma l’uomo non parve convinto di quel tentativo, sporgendosi verso di lui e lanciandogli un’occhiata chiara, come a dire “non scherzarci”; Jun prese un profondo respiro, alzando lo sguardo verso l’alto, era tutto così confuso da quelli che erano stati soltanto cinque anni dalla firma sulle carte. Gli sembrava che il tutto fosse avvenuto almeno vent’anni prima!

-Davvero, dall’ultima volta che vidi Yayoi … le cose sembrarono tornare a posto: avevo sempre la mia routine, la squadra, il mio lavoro. Eppure …-

-Già, succede sempre.-

-Hai qualche esperienza a riguardo, dottor Kishida?-

-Più di quanto tu possa immaginare, paziente Misugi.-

Kichiro, a quel punto, prese un profondo respiro mentre l’amico si sistemava meglio sulla poltroncina.

-Capita a chiunque di perdere qualcosa d’importante senza rendersene conto: io ho perso completamente l’occasione di avere un rapporto con mio padre.-

Questo era qualcosa di davvero inaspettato per Jun, il quale sporse verso l’amico per poterlo ascoltare con attenzione mentre questo si metteva a posto il cappellino, calcando la visiera sullo sguardo.

-Mio padre … è sempre stato contrario al calcio, lo odiava proprio: l’ho trovava uno sport inutile, una delle tante stramberie occidentali. Era un uomo all’antica.-

Lentamente, mentre Kishida continuava a parlare, nella mente di Misugi si profilavano le immagini di diversi volti, di situazioni avvenute: ricordò subito il signor Aoba, il padre di Yayoi, e il suo atteggiamento posato mentre accoglieva l’uomo nella sua casa.

Ripensò poi a suo padre, a come invece fosse stato decisamente più dinamico e, al tempo stesso, più rigido quando la giovane donna si presentò a lui come moglie del figlio.

-Lui voleva … che io facessi l’avvocato, o comunque che mi procurassi un lavoro, come diceva lui; invece continuai gli allenamenti, i sacrifici, e alla fine entrai in squadra qui a Tokyo. Lui non mi volle parlare più.-

Per i problemi cardiaci del figlio, il signor Misugi,tanto quanto la sua consorte, aveva sempre cercato di far vivere il ragazzino nella bambagia, di permettergli sempre un po’ di più del dovuto, in modo da non farlo sforzare in niente; ma quando c’era stato il calcio, lì si era trovato in crisi.

Jun ricordava ancora, con un sorriso imbarazzato ma divertito, come l’uomo era rimasto … irretito quando lui, ragazzino, aveva espresso il desiderio di giocare a calcio. Il signor Misugi non parlò per i successivi cinque minuti, mentre la donna provava inizialmente a dissuadere il figlio con la dolcezza, per poi andare di matto.

Alla fine, quando riprese la parola, l’uomo si limitò a chiedere conferma al figlio della sua decisione, per poi ammonirlo.

“Quando ti fermerai, io ti farò smettere.”

Anche per questo lottò tenacemente. Sempre.

E a quel pensiero gli venne in mente Hikaru. E il fatto che lui ne era il padre, quindi un giorno, forse, avrebbe dovuto affrontare una situazione simile. Come l’avrebbe affrontata?

-Io … ero così arrabbiato con lui: avevo sempre cercato di mostrargli che il calcio era un bello sport, e pensavo che, dopo tutta la fatica, lui non mi avrebbe mai capito.-

Jun fece un’espressione chiaramente sorpresa, e stese la schiena indietro, facendola aderire al piccolo schienale della poltroncina, Kichiro gli rivolse un’occhiata tranquilla, arrivando perfino a sorridere, anche se non c’era alcuna gioia o sollievo nella piega delle labbra; tornò ad osservare il campo, tenendo le braccia appoggiate sulle ginocchia.

-Decisi che non volli più rivederlo: mi trasferii definitivamente qua, e persi i contatti.

Qualche anno fa decisi … di recuperare il legame. Ma era troppo tardi: la vecchiaia fu più veloce di me.-

L’amico lo guardò leggermente stralunato: la vecchiaia? L’altro gli rispose velocemente.

-Io sono l’ultimo di cinque figli, e io sono arrivato quando lui era già avanti con l’età.-

-… uomo arzillo, eh?-

-In quel senso di sicuro. Peccato non aver preso da lui.-

E Kishida ridacchiò, ma anche stavolta non c’era effettiva allegria. Jun tirò verso l’alto gli angoli della bocca, ma il silenzio tra i due fu davvero pesante. A provare a smorzarlo, il vento umido soffiò dentro il campo, ed entrambi gli uomini alzarono lo sguardo, osservando quelle nubi grigie e fastidiose gonfiarsi sempre di più.

-Hmm, sembra proprio che stasera vi toccherà giocare sotto la pioggia.-

-Teru-Teru Bouzu, Teru Bouzu, ashita tenki ni shite o-kure …-

-Di un po’, non sarai un po’ vecchio per questo? E poi il bel tempo dovresti chiederlo per oggi.-

-Ah, scusami, è solo che Yayoi la canticchiava sempre quando era brutto tempo.-

-… è già la seconda volta che la nomini, se non ho capito male è la tua ex-moglie, giusto?-

Ah già. Kishida non ne sapeva niente. E non era un uomo stupido, Misugi individuò subito quella scintilla d’intuizione negl’occhi dell’amico, e velocemente nascose il sorriso che stava formando con le mani, sporgendosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia, annuendo.

-Sai, è strano, ma anche la mia amica Ya-chan, sai te ne ho parlato … beh, anche lei si chiama Yayoi. Che strana coincidenza …-

Jun si morse le labbra dentro la bocca, ma davvero non riusciva a scacciare quel sorriso dalla bocca, e a quell’atteggiamento Kichiro sentì la sua intuizione farsi certezza, tanto che strinse i pugni sulle ginocchia, sentendo la schiena irrigidirsi.

-Ma … per caso tua moglie … di cognome si chiama Aoba?-

-Si.-

-…-

-Dai Kichiro, ti conosco, so che l’hai capito.-

-No dai … dammi un momento.-

-Ti posso assicurare che sono rimasto sconvolto anch’io quando l’ho scoperto.-

-Parli di Hikaru? Non lo sapevi?-

Jun scosse la testa, infilandosi le mani nelle tasche della giacca, sentendo le dita gelarsi.

-Non me l’ha voluto dire. Il nostro divorzio … è stata una mia scelta non molto condivisa da lei; credo che non mi abbia detto niente di Hikaru … perché temeva avrei fatto ancora una volta di testa mia.-

-Non volevi figli?-

-Non ci ho mai pensato. Pensavo solo alla carriera sportiva.-

E la conversazione s’interruppe per i successivi due minuti. Poi Kishida domandò.

-Dunque hai visto Hikaru. Come ti è sembrato?-

Misugi ci pensò, ricordando dalla prima volta che lo aveva conosciuto fino all’ultima volta che lo aveva visto. E sorrise.

-È un bimbo in gamba.-

-Ah! Lo sapevo, anche tu non hai resistito al suo fascino! Beh, adesso posso dire che ha preso dal padre.-

E i due uomini risero della battuta.

Poi il cellulare di Misugi squillò: l’allenatore lo voleva negli spogliatoi, per aiutare il resto della squadra a prepararsi. In effetti mancava davvero poco, presto i primi tifosi sarebbero entrati.

Kichiro si alzò assieme all’amico, salutandolo con aria tranquilla.

-Bene, in bocca al lupo per stasera.-

-Crepi, ti ringrazio.-

-Ah, senti …-

Jun si voltò immediatamente, non si era neanche avviato. Vide l’amico fare una faccia leggermente imbarazzata, passandosi una mano sul collo.

-A proposito … di quello che penso di Yayoi … non mi rimangio niente di quello che ti ho detto quella sera, a proposito di lei … e dei suoi pensieri.-

“-Ma sapevo che lei non mi avrebbe mai ricambiato. Sai … ho come la sensazione che, delle volte, ripensa all’ex-marito.-”

Jun, nel ricordarlo, si sentì imbarazzato come l’uomo, e si limitò a fare un cenno del capo, avviandosi nuovamente in direzione degli spogliatoi, tenendo le mani in tasca; pochi minuti dopo, quando fu certo di essere solo, ricominciò a fischiettare la melodia del “signor Teru Teru Bozu”.

Aveva ancora in faccia un’aria imbarazzata, ma gli veniva da sorridere come prima, e fischiettò per trattenersi il più possibile.

Carlo vive?. . .Or terra e cielo

si riveston d'un sorriso;

gli astri, il sol non han più velo;

l'universo è tutto amor.

(I Masnadieri, Verdi)

Per tutta la partita Hikaru rimase praticamente con il naso incollato allo schermo, tanto che Yayoi fu costretta a richiamarlo più di una volta per spingerlo a finire di mangiare; al tempo stesso, però, anche lei rimase molto affascinata nell’assistere all’evento, era davvero passato tanto tempo dall’ultima volta.

Ovviamente, quando la telecamera riprese Jun, in un momento in cui stava parlando l’allenatore, sia il figlio che la madre saltarono sulla sedia, ovviamente con sentimenti ben diversi: il bimbo era entusiasta, voleva tanto avere avuto Makoto al suo fianco per indicarglielo e ricordargli che quello era “il suo amico”; Yayoi, al contrario, aveva sentito il cuore sobbalzarle, e di colpo le parve di vedere, sulla sedia accanto alla sua, quella giovane moglie che assisteva, nel silenzio e solitudine, alle prodezze del marito.

Ma le bastò il primo commento di suo figlio, seguito da molti altri, per spazzare via quell’immagine dai suoi occhi: no, adesso non era sola, e di certo quella casa non era silenziosa, tanto che raccomandò il bambino di non fare troppo rumore, che rischiava di disturbare i vicini.

Tuttavia Hikaru era veramente su di giri: ogni volta che vedeva un giocatore avvicinarsi alla porta si agitava tantissimo, chiedendo alla madre se quello era un giocatore “di Jun” o no; se la risposta era affermativa, allora tifava con tutte le sue forze, altrimenti si concentrava, stringeva i pugni, e pensava con tutte le sue forze che quell’attaccante sbagliasse.

E poi domandava del fuori gioco, del fallo, della rimessa laterale, del calcio d’angolo, dei nomi dei giocatori … in poche parole, Yayoi si ritrovò a spiegare al bambino, sedutosi sulle sue ginocchia, per filo e per segno tutte le regole del gioco, e ogni volta che chiedeva se lui aveva capito, Hikaru annuiva deciso.

A lei, nel vederlo così, veniva da sorridere divertita.

Pian piano, continuando a guardare la partita, parlando al figlio, Yayoi si rese conto che aveva dimenticato ben poco, quasi nulla di quello sport, nonostante fossero cinque anni che cercasse di tenersene il più lontano possibile: ricordava ancora i nomi tecnici di certi tiri, riconosceva ogni ruolo e ogni errore da parte dei giocatori o dell’arbitro, arrivando perfino ad agitarsi quando vide un attaccante del Tokyo sbagliare tiro, rivalutandone l’errore e trovandone la soluzione.

Se non fosse stato per Hikaru sulle sue gambe, eccitato e chiacchiericcio, le sarebbe sembrato di tornare ad avere vent’anni e anche meno, che soffriva e gioiva mentre vedeva il suo grande amore alla televisione.

Il suo grande amore …

Ripensò ancora una volta a sua madre, al suo comportamento, alle sue “bizzarrie”, e si rese conto di quanto le somigliasse: anche lei, pur di non rinunciare all’amore, si era pian piano chiusa in una bolla.

Strofinò la sua guancia sulla testa di Hikaru: lei, però, aveva preferito rinunciare a Jun per il bambino, mentre sua madre non era riuscita a rinunciare a nessuno dei due. E adesso la donna era nel regno dei morti, mentre Yayoi …

Chissà se alla madre sarebbe piaciuto il suo nipotino, o anche solo il suo genero …

L’arbitro fischiò la fine della partita e distrasse Yayoi da quel pensiero. Hikaru saltellò allegro sulle ginocchia della madre: il Tokyo FC era riuscito a segnare un gol, andando in vantaggio al secondo tempo, e quindi aveva vinto. Oltretutto, il tempo aveva retto fino a quel momento, perché proprio allora, mentre tutti si ritiravano negli spogliatoi, si sentì rombare il temporale, e la pioggia iniziare a scrosciare.

-Hanno funzionato! I Teru Bozu hanno funzionato!-

-Bene, allora bisogna offrirgli del saké. Vallo a prendere mentre io li porto dentro, non vogliamo che si bagnino, no?-

E il bimbo obbedì mentre la donna usciva velocemente in terrazzo, recuperando i tre pupazzetti, sentendo la pioggia batterle leggermente sulla spalla; assieme ad Hikaru preparò tre bicchierini, mettendoci del liquore, e poi con il piccolo pregò e ringraziò i Teru Bozu, guidando in seguito il figlio a letto.

Lei, Yayoi Aoba, era ben viva. E stava cercando, ora, di recuperare quello che aveva dovuto lasciarsi alle spalle: il rapporto con Jun, con l’uomo che aveva tanto amato, per tanto tempo. Si diceva che lo faceva soprattutto per suo figlio, per il diritto che aveva il bambino di conoscere e frequentare suo padre; tuttavia, mentre rimuginava sotto le coperte, la donna dovette ammettere che le faceva piacere.

Si, le faceva piacere aver ripreso a parlare con Jun, vedere come lui era così bravo con il bambino. Ma certamente, non poteva sperare nel lieto fine, nel “e vissero felici e contenti” dei classici film per famiglie: dopo tutto aveva mentito, e anche se aveva le sue ragioni non era stata giusta nei confronti dell’uomo.

Ne era stata spaventata, sfiduciata, e adesso pagava quell’atteggiamento con il dover stare lontana dall’uomo, il dover lasciare i suoi spazi. E il suo avere a che fare con la propria coscienza con le sedute di psicologia.

E sebbene fosse solo la prima seduta, la donna dai capelli rossi aveva già appreso una parte importante di sé: il suo senso d’impotenza, derivato da qualcosa di più vecchio e profondo del semplice divorzio con Jun.

Ripensò nuovamente al funerale di sua madre, e di nuovo le parve grigio, e i personaggi che sfilavano davanti a lei erano nuovamente alti, scuri, i cui volti si scolorivano mentre la guadavano pietosi, sussurrando quanto quella piccola era “sfortunata” o “disgraziata”; lei, personalmente, aveva sentito quei giudizi come un peso per le spalle di Mamoru.

Ancora adesso non le pareva vero che quell’uomo, nonostante non fosse sua figlia, l’avesse comunque tenuta con sé. Cosa pensava davvero di lei? Le voleva davvero bene?

Yayoi vide il lampo attraverso le tende della finestra, e il rombo lo seguì pochi minuti dopo; pensò ad Hikaru, ma decise di aspettare ad andare a controllare, magari il bimbo stava già dormendo. Un altro lampo, un altro tuono, stavolta più vicino.

Il vento spinse la pioggia a battere sul vetro della stanza della donna, e questa restò ferma ad ascoltare, tornando a ripensare al suo padre adottivo: le aveva sempre voluto bene, l’aveva sempre trattata con profondo affetto, e quando conobbe Hikaru l’era sembrato davvero felice.

Anche Jun era stato, a suo modo, felice che il bimbo parlasse di lui, ne ricordava bene l’espressione emozionata quando glielo aveva detto in ufficio.

Lei era sempre stata sicura che, se si fosse presentata la situazione, l’uomo sarebbe stato un buon padre. E non sapeva ancora che Hikaru era sano, di sicuro Jun avrebbe fatto i salti di gioia nel saperlo, quella malattia era sempre stato il suo incubo. C’erano delle notti in cui …

Un lampo e un tuono, stavolta praticamente uno dietro l’altro. Il dietro la testiera del letto tremò, lo sentì chiaramente, ed a quel punto la donna si alzò in piedi, dirigendosi silenziosa verso la stanza del bambino.

Aprì uno spiraglio della porta, e vide un involucro di coperte su quel letto; sorrise intenerita, ed entrò in stanza.

Si avvicinò al letto, e un altro fulmine illuminò la scena, stavolta il rumore fu così forte da intimidire anche lei mentre le coperte facevano un piccolo scatto, e le parve quasi di sentire un rumore.

Posò una mano sul copriletto, e lo sentì chiaramente tremare.

-… Hikaru, amore, sono io, sono mamma.-

Molto lentamente, e spaventato, il bimbo tirò fuori la testa, e alla donna parve vedere i segni delle lacrime che facevano capolino da quei grandi occhi brillanti. Un altro fulmine, e stavolta sentì davvero il suo bambino esclamare spaventato, cercando rifugio pressando la faccia sul cuscino.

-Shh, calma, calma amore, ci sono qua io …-

Quando gli aveva proposto di dormire insieme, lui coraggiosamente le aveva detto che “avrebbe dormito da solo”. Sorrise, ripensando al suo piccolo e coraggioso ometto.

-Forza, vieni qui.-

Lo guidò alle sue braccia, e lentamente si alzò in piedi, portandosi in camera il bambino, stringendolo forte quando un fulmine cadde ancora, stavolta il rombo ci mise qualche secondo, segno che il temporale si muoveva veloce.

Adagiò Hikaru nelle coperte, coprendo sia lui che lei per bene, stringendolo a sé, sentendolo ancora tremolante mentre gli accarezzava i capelli, sussurrandogli e mormorando la filastrocca del Teru Bozu; ma il tempo passò, e il temporale sembrava non finire mai, e ad ogni rombo, ad ogni fulmine, il bimbo faceva sempre più fatica a dormire. Di questo passo rischiava di passare la notte in bianco.

Yayoi ci pensò un attimo, e poi decise di parlare, tenendo sempre un volume di voce basso e tranquillo.

-Sai … io e papà ti abbiamo creato proprio in un giorno di pioggia.-

Il bimbo fece un movimento, nel buio della camera lei non poteva vederlo, ma ne sentiva chiaramente il calore. Sorridendo incoraggiata, e riprese a parlare.

-Era un giorno grigio come oggi, e il tuo papà, quando vide il brutto tempo, disse che forse non riusciva a tornare a casa, dato che giocava distante da casa.-

“-Ho una trasferta, e se il tempo è brutto come hanno predetto probabilmente tornerò a casa domani. Pertanto non mi aspettare alzata.-

-Ah, va bene. In bocca al lupo.-

-Grazie. A domani.-”

-Lo vidi uscire di casa, e poi controllai il tempo fuori dalla finestra: era davvero brutto, nuvoloni neri oscuravano il cielo, e mi sembrava già di vedere qualche lampo.

Amefushi avrebbe obbligato il papà a non tornare a casa quella sera, e la cosa mi rendeva triste, non sapevo che fare. Poi mi ricordai del signor Teru Bozu.-

Aveva cercato tutto il materiale, e sebbene fosse una sciocchezza, un gioco per bambini, e sebbene fosse stata certa che non avrebbe funzionato, si applicò lo stesso per creare un pupazzo bello grosso e ben fatto, appendendolo in seguito al terrazzo proprio come aveva fatto con Hikaru quella mattina.

-Era grande più di quelli fatti insieme, con due grossi e rossi occhi. Lo appesi al terrazzo e cantai la filastrocca per tutto il giorno, restando a casa.-

Lavò il pavimenti e cantò la filastrocca. Pulì i panni e cantò ancora. Rassettò, stirò, cucinò e fece altro sempre canticchiando quella canzone, guardando ogni due per tre dalla finestra del terrazzo.

-E com’è andata?-

Hikaru mormorò quella frase con voce stanca, e Yayoi sperò che il bimbo si stesse addormentando, abbassando ulteriormente il tono di voce, scendendo bene le parole.

-Non cadde neanche una goccia di pioggia per tutto il giorno.-

-Papà … tornò?-

-Oh si, puntuale come sempre.-

“-Com’è andata la partita?-

-Un pareggio, niente di che.-

-Fortuna che non ha piovuto.-

-Già.-”

Non notò il Teru Bozu, né chiese alla donna come avesse passato la giornata; a quel pensiero Yayoi strinse le labbra, e decise di rischiare.

-Vide il Teru Bozu, e mi prese un po’ in giro, per poi ringraziarlo come abbiamo fatto io e te, offrendogli del saké.

Però, quando lo tolsi dal terrazzo, prese a piovere come adesso. E faceva tanto freddo.

Sai, al tuo papà non piacciono i temporali, proprio come te: lui odia il rumore del tuono.

Per questo motivo mi abbracciò e mi tenne stretta a sé tutto il tempo. Io allora gli canticchiai la filastrocca,  e lui mi ringraziò, sussurrandomi … quanto mi volesse bene …-

“-Yayoi …-”

Lei canticchiò davvero quella filastrocca, ma lui non fece altro che chiamarla e baciarla, quasi a tappargli la bocca, per poi stringerla a sé e amarla una sola volta, prima di addormentarsi mentre lei aveva fatto fatica a prendere sonno, ascoltando il rumore della pioggia che, finalmente, si allontanava.

-E in quell’abbraccio ti abbiamo pensato, e sei venuto al mondo.-

A quel punto sentì chiaramente il respiro di Hikaru profondo e regolare, e sorrise sollevata, era riuscita a farlo addormentare, e anche il temporale fuori sembrava essersi calmato; per prudenza, però, preferì continuare a tenere Hikaru abbracciato a sé, baciandogli un’ultima volta i capelli, mormorandogli senza farsi sentire.

-Però devi scusarmi, amore: non ho detto nulla di te a papà.

Ma rimedierò, piccolo mio. Ti prometto che rimedierò.-

Quando sua madre le raccontava la storia di come aveva conosciuto suo padre, Yayoi finiva sempre in grembo alla donna, con i capelli pettinati ed acconciati sempre in modi diversi; ed ogni volta che terminava il suo racconto, la donna le baciava il capo, tenendola abbracciata a sé.

Ora che aveva finito quella storia, mentre il sonno cominciava a pesare anche a lei, Yayoi si domandò quanto, effettivamente, era vero di quella storia che sapeva a memoria, e quanto l’era stato raccontato con la fantasia … per non farla soffrire? O meglio … perché la madre non sentisse la sofferenza di quanto le era successo.

“Mamma … chi sei stata davvero?”

E una lacrima scivolò dagl’occhi di Yayoi. E continuando a stringere il bambino, la donna si addormentò.

 

Jun continuò a mormorare quella filastrocca anche durante il temporale, non riuscendo a prendere sonno: a lui non piaceva molto i temporali, il rumore in particolare gli dava fastidio, e quando sentì il rombo proprio sopra la sua testa, avvertì i muri vibrare leggermente, mettendogli una leggera ansia. Così, per distrarsi, borbottò la canzoncina.

E mentre la stava canticchiando ripensò a tutte le volte che si era ritrovato ad affrontare un temporale, e a quello che faceva: da piccolo andava nel letto di sua madre, poi cominciò a leggere fino ad addormentarsi con la luce accesa, oppure parlava con il suo compagno di stanza, fino a quando non cominciò a vivere con Yayoi.

Ricordò che, quando ci fu il primo temporale serio, la donna costruì un Teru Bozu, appendendolo al terrazzo e canticchiando la filastrocca; e incredibilmente l’uomo riuscì a restare tranquillo, dormendo sereno. Così quella cerimonia avvenne tutte le volte che pioveva.

Ah, ora che si pensava … anche quella volta …

Aveva minacciato temporale, e i treni di sicuro avrebbero avuto problemi, provocando ritardi; lui disse alla moglie di non aspettarlo alzata, usando come scusa il fatto che comunque era una partita che si svolgeva in trasferta. In verità, prima di tornare a casa, sarebbe passato dall’avvocato divorzista a prendere i documenti per la separazione.

Si era deciso a fare quel passo, e quel giorno il tempo sembrava dipingere in cielo il suo umore: non gli andava di fare una cosa del genere, era una burocrazia fastidiosa e lunga. Però gli era sembrata la cosa giusta da fare.

Eppure, quando si rese conto che poteva tornare, che il temporale vero e proprio non si era ancora scatenato, non esitò a salire sul primo treno, arrivando perfino a correre per non rischiare di perderlo, domandandosi se, per caso, Yayoi aveva preferito aspettarlo per cena.

E sua moglie lo aveva davvero aspettato, accogliendolo con il suo solito sorriso; Jun provò un grande sollievo, ma non le disse niente, avvertendo come delle spine sulla schiena, stringendo in mano la borsa con dentro la cartella dei documenti.

Lei lo aveva aspettato, e lui aveva con sé i documenti del divorzio; gli sembrò di fargli una crudeltà, e preferì non discutere della questione quella sera, ci avrebbe pensato il giorno dopo, se lo ripromise.

Ma quando lui si sedette a tavola, alzò lo sguardo e notò quella piccola figura bianca appesa sul vetro, che lo guardava con i suoi occhi tondi e rossi; e Jun tentennò nella sua scelta. Pensò di lasciar perdere, di piuttosto provare a fare qualcosa con Yayoi. Alla fine, però, il raziocinio prese di nuovo il sopravvento, e cancellò quelle sensazioni, cominciando a mangiare con la moglie di fronte a lui, come sempre in silenzio.

Jun prese un profondo respiro, mettendosi le mani dietro la testa e guardando il soffitto buio, guardando il lampo illuminarlo per pochi secondi, e sentendo il rombo farsi più lontano, segno che stava passando il temporale.

Quella notte, invece, il temporale sembrò proprio non voler passare, e di colpo si era come scatenato l’inferno, quel rumore lo stava tenendo completamente sveglio.

Ad un tratto, dopo che si era girato l’ennesima volta, sentì proprio Yayoi mormorare quel motivetto, e ancora una volta il suo cuore sembrò cedere, ricordandogli quei documenti sul tavolo, sussurrandogli di tutto il tempo passato insieme a quella donna.

Tuttavia, ancora una volta il suo cervello la fece da padrone, e cercò nel calore della moglie un po’ di conforto, facendole interrompere quella filastrocca. Un gesto davvero egoista.

Ma, adesso, non c’era niente da fare: sembrava che, questa volta, quella filastrocca non riuscisse a sortire alcune effetto su di lui; si mise sul letto, sentendo il temporale calmarsi e allontanarsi, completamente sveglio.

Poi, all’improvviso, si alzò in piedi, vagando per casa e frugando tra i cassetti, fino a trovare quella che cercava; nel semibuio, senza accendersi le luci ma sfruttando quella proveniente dai lampioni all’esterno, appallottolò un po’ carta, la coprì con un fazzoletto che legò con dello scotch. Poi, con una penna, disegno due occhi ed una bocca.

Usò un altro pezzo di scotch per appenderlo sulla finestra della camera, e poi tornò a sdraiarsi sul materasso, guardandolo con aria scettica: gli era venuto proprio brutto, Yayoi era più brava di lui in quelle cose.

Ricominciò a mormorare la filastrocca, e finalmente un’oretta dopo si addormentò, quando oramai la pioggia era passata.

 

*La canzone del Teru Teru Bozu è possibile trovarla su youtube, mentre il testo si trova su wikipedia.

 

**

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Capitolo 12
*** Habanera: l'amour est un oiseau rebelle ***


Habanera:

L’amour est un oiseau rebelle

 

L’Habanera è una danza di origine spagnola molto simile al tango; oltre alla “Carmen”, anche il musicista Ravel ne ha fatto uso, e persino Debussy!

Bene, e adesso buona lettura!

 

Yayoi aprì lentamente gli occhi, e si sentì come avvolta nell’ovatta; provò a muoversi, ma si rese subito conto che c’era qualcuno accanto a lei, e per un attimo pensò che si trattava di Jun, che doveva svegliarlo perché se no faceva tardi … quando abbassò lo sguardo e riconobbe Hikaru, rimase particolarmente sorpresa.

Poi si riscosse, dando come motivazione il fatto che, la sera prima, lei e suo figlio si erano messi a guardare la partita alla televisione; continuò ad osservare suo figlio, notando come questo sembrasse dormire tranquillo, abbracciato a lei, i pugni vicino al volto e il respiro pesante.

Era riuscito a farlo addormentare raccontandogli quella storia, e stranamente quel ricordo non le aveva fatto il male che pensava di ricordare; anzi, forse proprio perché l’aveva cambiato per suo figlio, la tristezza che emanava era diventata meno pesante.

Sorrise, continuando a guardare la capigliatura di suo figlio: fin da quando era stato concepito aveva avuto il talento di fare quei piccoli miracoli sulla donna, aiutandola a superare ogni ostacolo. Lentamente, la madre strofinò la guancia sul capo del piccolo, disturbandogli il sonno e facendolo svegliare, dandogli un bacio sulla fronte.

Hikaru alzò lo sguardo, trovandosi il sorriso e gli occhi della mamma a pochi centimetri.

-Buongiorno amore. Dormito bene?-

Lui annuì, strofinandosi gli occhi con i pugni mentre la donna, sempre con molta calma, iniziò a scostare le coperte, facendo scivolare via il braccio con cui stava abbracciando il figlio per potersi alzare e scostare le tende della finestra; un raggio di sole la colpì immediatamente, e il cielo azzurro le aprì il cuore.

-Hikaru, vieni a vedere.-

Il bimbo a fatica scostò le coperte, scendendo dal letto e avvicinandosi con ancora lo sguardo assonnato; delicatamente, la donna lo prese tra le braccia, e lo sollevò, facendolo affacciare alla finestra, guardando verso il cielo.

-Guarda, laggiù.-

Il bimbo alzò lo sguardo. E un secondo dopo era ben sveglio.

Un piccolo arcobaleno si era formato verso l’orizzonte. Aveva solo una leggera curvatura, e i colori stavano andando a sfumarsi, ma quando lo vide il bimbo si agitò leggermente nelle braccia della mamma, sporgendosi su quella finestra mentre la donna sorrideva contenta.

-Wahhh, waaahhh l’arcobaleno!!-

-Hai visto che bello? Vedi che il temporale ha portato anche qualcosa di bello?-

Hikaru annuì, e madre e figlio rimasero qualche minuto ad osservarlo, il bimbo sembrava studiarlo in ogni minimo dettaglio, continuando a muovere leggermente i piedi per l’emozione, cercando di ricordarne tutto, dal colore alla forma; Yayoi, intanto, si ritrovò a pensare che, la sera dopo il temporale, aveva trovato le carte del divorzio, ed era certa di non aver visto nessun arcobaleno.

E adesso stava tenendo tra le braccia il suo bambino.

Di colpo, quei cinque anni le sembrarono un’infinita di tempo; tanto tempo era passato dall’ultima volta che era stata davvero con quell’uomo. E da quell’ultima volta … era venuto al mondo Hikaru.

-Amore.-

Il bimbo si voltò verso la madre, la quale gli sorrideva, felice, accarezzandogli i capelli. Avrebbe voluto dirgli quanto gli voleva bene, quanto si sentiva fortunata … e quanto gli sarebbe piaciuto che Jun fosse con loro.

Invece si schiarì la voce.

-Che ne dici di prepararci, eh?-

In quel momento suonò la sveglia sul comodino della donna, e questa sorrise divertita, facendo scendere suo figlio a terra.

-Forza, a lavarsi e vestirsi, che oggi arriviamo prima all’asilo!-

Il bimbo corse via, e la donna ne approfittò per spegnere la sveglia, aprendo il suo armadio per preparare la roba da mettersi.

-Mamma!!-

Yayoi si voltò, sorpresa, e non ebbe il tempo di fare o dire niente che Hikaru le si buttò letteralmente addosso, abbracciandola le gambe mentre la donna, a momenti, cadeva all’indietro.

-Hikaru! Amore, che c’è?-

Il piccolo alzò il volto, sorridendo entusiasta.

-BUON COMPLEANNO MAMMA!-

… ah, davvero? Era … era già il 15 Marzo?

Alla scoperta la donna rimase quasi pietrificata, per poi inginocchiarsi verso il figlio, il quale l’abbracciò, stringendola forte, entusiasta.

-Auguri mamma! Hai visto che me lo sono ricordato?!-

Era … era la prima volta che suo figlio le faceva gli auguri così: fino all’anno scorso il suo compleanno era passato via come un colpo di spugna, senza che niente o nessuno glielo ricordasse o altro. Lei, personalmente, ogni volta che se ne ricordava cercava di non pensarci, concentrandosi su suo figlio o il suo lavoro.

Ed ora proprio lui glielo aveva ricordato. Con un tale entusiasmo che, la donna, non poté fare altro che ricambiare l’abbraccio, stringendolo forte a sé.

-Grazie. Grazie amore, sono così contenta.

Ma ora vai a prepararti, se no si fa tardi.-

Il bimbo annuì, ma diede prima un bacio sulla guancia alla donna, per poi tornare in bagno a finire di lavarsi mentre la donna, lentamente, si rialzava in piedi, adesso l’energia di prima si era persa, e scegliere cosa mettersi risultò un po’ più arduo.

Aveva come la testa ovattata, tanto che, quando andò in bagno e si preparò, non perse tempo a legarsi i capelli, tanto in caso ci avrebbe pensato alla clinica.

Il suo compleanno … l’anniversario della morte di sua madre …

Ricordava bene che, da piccola, aveva sempre festeggiato l’evento in maniera molto riservata: le congratulazioni dei parenti, un pranzo in compagnia ma nel silenzio, e poi di nuovo lei e suo padre da soli, ad andare alla tomba della madre per pulirla e metterle fiori ed incenso.

Poi, quando si era trasferita dagli zii … di colpo il suo compleanno si era rivelato un giorno che, per tutti, era grandioso: i suoi compagni di classe che le facevano gli auguri, le feste, i regali. L’affetto.

Eppure, in fondo al suo cuore, c’era ancora quella tomba, e quel ciliegio. E quella donna appesa.

Erano stati pochi secondi, poi suo padre le aveva impedito di guardare oltre, ma lei ricordava fin troppo bene. Ancora adesso.

Le bastava chiudere gli occhi, pensarci un momento, e subito le sembrava di vedere la scena, come in uno spettacolo di ombre cinesi: un albero con i rami coperti da piccoli boccioli, alcuni che stavano fiorendo. Un albero vecchio, ed elegante.

E su uno dei rami più grandi e forti, un nodo di una coda, che scendeva verticale, a tenere saldo il collo di una donna, vestita di un kimono, con i capelli sciolti, che leggermente dondolava nell’aria.

Yayoi si passò una mano sugl’occhi.

-Mamma! Mi aiuti?-

La forte e giovane voce di Hikaru, e la madre lo raggiunse, aiutandolo a sistemarsi con i vestiti, alzando gli occhi verso il suo volto, il piccolo si stava allacciando i bottoni del colletto della camicia.

-Amore, come mai ti sei messo la camicia? Non starai scomodo?-

-Ma oggi è il compleanno della mamma! È importante! Mi dici sempre che nei giorni importanti bisogna vestirsi bene!-

La donna alzò lo sguardo, e per un attimo vide il volto di Jun riflesso in quello di suo figlio.

E gli tornò in mente.

“-Oggi è il compleanno di Aoba-chan. È un giorno importante! E ogni giorno importante va festeggiato.-

Dieci anni.

-Allora … auguri … Yayoi.-

Sedici anni. Era la prima volta che mi chiamava per nome.

-Auguri amore.-

Vent’anni.

-Auguri.-

L’ultima volta che festeggiai il compleanno con lui. Non mi fece nessun regalo, ma trascorsi l’intera giornata assieme a lui. Ero felice.”

-Mamma? Come mai sei tutta rossa?-

La donna, nel sentire la domanda del figlio, si portò una mano alla bocca, e il rossore a quel punto rimase indelebile sulle sue guance, mentre scuoteva il capo, sorridendo e cercando di calmarsi.

-Niente amore, niente. Solo un ricordo felice.

Dai, andiamo.-

Yayoi accompagnò Hikaru all’asilo tenendolo saldamente per la mano, salutandolo poi con un sorriso affettuoso, osservandolo entrare dentro l’edificio, salutando per primo il suo migliore amico, Makoto, e poi l’insegnante, che salutò Aoba con un cenno del capo.

Questa ricambiò, e poi si diresse a piedi verso la clinica privata, riconoscendola una volta che girò l’ultimo angolo del suo solito tragitto, trovando nella struttura in vetro e cemento una sorta di spazio luminoso rispetto ai grigi edifici attorno.

La donna si avvicinò alle strisce pedonali, guardando le macchine che correvano, la folla cominciò ad accerchiarla, fino a quasi a nasconderla alla vista.

Nello stesso momento Jun era arrivato alla clinica, anche lui a piedi, ma notò quella figura per quella chioma rossa, che alla luce del sole sembrava risplendere ulteriormente, rispetto alle capigliature scure lì attorno.

Si fermò dall’entrare in clinica, ed osservò la donna alzare lo sguardo verso il semaforo, il quale segnalò il permesso di passare, e lui camminò sulle strisce, dirigendosi verso di lui.

Circondata da almeno quattro persone, dai capelli neri e lo sguardo distante o spento, la donna apparve come una macchia di colore su una tela bianca; lei si passò una mano tra i capelli, una leggera brezza glieli spettinava, portandoli verso il volto. Indossava una camicetta azzurra con i fiori bianchi, con una gonna chiara a pieghe.

Guardandola, all’uomo tornò in mente il liceo, quando c’erano quelle mattine di sole e la vedeva arrivare, nella folla degli studenti, con l’uniforme e la cartella, portava sempre la giacca e la toglieva solamente una volta arrivata in classe.

E forse era perché, all’epoca, aveva iniziato ad ascoltare i commenti dei suoi compagni di squadra e classe a proposito delle ragazze, e in particolare di quella ragazza; forse perché era il periodo in cui nascevano e morivano tante storie d’amore nel suo liceo. O forse, semplicemente, oramai quella ragazza gli appariva non più come una semplice amica. Fatto sta che Jun, ogni volta che la guardava, gli sembrava di vederla diversa dal giorno prima, dalle poche ore prima in cui si erano salutati.

La stessa sensazione, adesso, risalì dalle profondità dell’animo di Jun fino alla superficie del suo corpo, in una strana fibrillazione che lo bloccò lì dov’era.

Yayoi alzò lo sguardo verso la clinica, e riconobbe l’uomo a poca distanza dalle porte a vetro. E la prima cosa che le venne in mente e che era proprio bello, non c’era niente da fare; i pensieri di quella mattina, a proposito del suo compleanno, tornavano a balenarle in testa, imbarazzandole.

Anche per questo pensiero, oltre che per la sorpresa di vedere che la stava guardando, arrestò per il passo, sobbalzando. Era sul bordo della strada, e il suo arresto improvviso provocò un problema con una persona dietro di lei: colto impreparato, e distratto da una chiamata al cellulare, un uomo sulla quarantina d’anno spintonò la donna lì davanti, facendole perdere l’equilibrio.

Questa cadde in ginocchio, sporcandosi la gonna, e Jun immediatamente corse di lei, per aiutarla.

Già, peccato che quest’ultima si sentì tremendamente in imbarazzo: che brutta figura che aveva fatto, proprio di fronte a Misugi!

-Stia attenta!-

-Ah, mi scusi.-

-Yayoi stai bene?-

-Si, si non c’è problema.-

E velocemente la donna scattò in piedi, recuperando la borsa e cercando di togliersi un po’ di sporco dalla gonna, voltandosi poi verso l’uomo che l’aveva spinta, piegando il capo.

-Le chiedo ancora scusa.-

L’altro rimase senza parole, notando solo in quel momento il volto e i lunghi capelli ramati. Si vide chiaramente che arrossì, cercando di darsi un contegno mentre Jun guardava la scena.

-S-si figuri.-

Velocemente lo sconosciuto girò i tacchi e si allontanò, ancora in imbarazzo nei confronti di quella donna.

Questa alzò il capo per vederlo andare via, in impaccio per quello che era successo, era dai tempi del liceo che non era così maldestra; e questo le succedeva sempre … quando vedeva Jun.

Sentiva che lui era ancora dietro di lei, e lentamente si girò verso di lui, mostrandogli inizialmente una prima parte, poi il profilo, poi i tre terzi, e alla fine tutto il viso.

Per Jun parve una tortura, perché non riuscì a staccare gli occhi di dosso dalla donna, peggio di un maniaco!

-B-buongiorno.-

-A te. Sicura di stare bene?-

-Si, non preoccuparti. Certo che ho fatto proprio una bella figura!-

E si passo una mano in faccia, sorridendo imbarazzata.

Ancora una volta, Jun pensò che lei fosse davvero bellissima.

L'amour est un oiseau rebelle

Que nul ne peut apprivoiser,

Et c'est bien en vain qu'on l'appelle

S'il lui convient de refuser.

-… direi che è il caso di entrare.-

-Si, hai ragione.-

L’uomo, cavallerescamente, si fece da parte, facendo passare per prima la donna, la quale ringraziò con un cenno del capo, entrando nella clinica.

Neanche a farlo apposta, la prima persona che incontrarono sulla loro strada, con in bocca una penna e in mano dei fogli, fu Matilde.

-Ah, buongiorno ad entrambi!-

-Buongiorno Matilde.-

-‘giorno.-

-Sempre espansivo con me, eh Jun? Spero non ti abbia importunato Ya-chan.-

L’uomo le lanciò un’occhiata stupita e infastidita, ah lui adesso era quello che importunava?!

La donna dai capelli rossi, invece, sorrise divertita, ricordandosi poi di quanto era avvenuto il giorno prima, parlandone senza pensarci alla donna davanti a lei.

-Lo sai che ho seguito il tuo consiglio?-

-Davvero?! E com’è andata?-

-Beh … all’inizio era strano … ma il temporale mi ha aiutato a ricordare bene il tutto, perciò parlare con Hikaru si è rivelato … illuminante.-

-Sono contenta di sentirtelo dire.-

Jun avrebbe voluto sapere di che parlavano, ma si ricordava chiaramente che la psicologa aveva citato il giuramento d’Ippocrate, pertanto si trattava di una faccenda inerente alle sedute della donna; gli faceva strano vedere Yayoi sorridente, ed immaginarsi che quella stessa persona avesse bisogno di una seduta psicoterapeutica.

-Venerdì rimaniamo sullo stesso orario?-

-Si, tanto con Hikaru ci sarà una mia amica, li raggiungerò dopo all’Hanami.-

-Una tua amica?-

La donna alzò lo sguardo, l’uomo si era avvicinato fino quasi a sfiorarle la schiena, e in quel momento si poteva notare effettivamente la differenza di altezza tra i due; Matilde li osservò attenta, osservando quel semplice avvicinamento di corpi, e come il possibile imbarazzo nipponico non fosse percepibile mentre la rossa rispondeva a Misugi, sorridendo.

-Sanae. Arriverà con l’aereo Giovedì. Vuole assolutamente rivedere Hikaru dopo tanto tempo, e anche vedere l’Hanami. Sai, a Barcellona non ha spesso occasione di vedere ciliegi in fiore.-

-E come fa con i ragazzi? Non li vorrà mica lasciare davvero con Tsubasa?-

-Può non sembrare, ma so che il signor Oozora se la cava bene con i suoi figli.-

E stava per dire che anche lui non se la stava cavando male, ma si bloccò, rendendosi conto della loro situazione; e quella pausa fece rendere conto anche al’uomo della situazione. Soprattutto per quanto riguardava la loro vicinanza fisica: Jun praticamente si sporgeva dalla spalla di Yayoi, e questa lo stava osservando sentendone il respiro a poca distanza dalla sua faccia.

Matilde pensò … che fossero come due ragazzini: complici, amici … e innamorati come fosse stata la prima volta.

Jun fece un passo indietro, distogliendo lo sguardo, e Yayoi si avvicinò ulteriormente a Matilde, distogliendo gli occhi dall’uomo, arrossendo. L’italiana andò in aiuto dell’amica giapponese.

-E quindi passerai il weekend con la tua amica, che meraviglia.-

-Ah, ma se vuoi sei invitata anche tu!

E anche tu Jun!-

L’uomo guardò Aoba voltarsi verso di lui, i capelli si aprirono quasi come la gonna che stava indossando.

-Sono sicura che ad Hikaru farebbe molto piacere se tu venissi con noi all’Hanami. E non dispiacerebbe nemmeno a Sanae.-

Se Sanae sapeva di Hikaru, significava che sapeva anche di COME era venuto al mondo Hikaru; dunque lei era a conoscenza della situazione fra i due. Nel pensarci, non sentì una particolare sensazione di fastidio.

-Purtroppo non mi è possibile: mia madre mi ha chiesto di passare l’Hanami a casa sua.-

-Ah, capisco …-

Matilde vide Yayoi rimanere leggermente delusa dalla notizia, e lanciò un’occhiata fin troppo chiara all’uomo davanti a lei, il quale rimase stupito e infastidito.

-Immagino che tua madre voglia farti conoscere un’altra delle figlie delle sue amiche …-

Jun avrebbe voluto uccidere l’italiana, ma preferì controllare Yayoi; apparentemente non ci fu alcune reazione visibile nella donna, ma l’uomo preferì comunque correre ai ripari.

-Non ha mai smesso di fare la parte dell’assillante “madre-che-si-preoccupa-per-il-suo-povero-figlio-malato”. La conosci Yayoi, fa sempre così.-

-Si, lo so.-

Oh se lo sapeva bene lei: si era dovuta subire, molto più di Jun, l’atteggiamento apprensivo e soprattutto snob della signora Misugi nei suoi confronti: era nata in campagna, da una famiglia di contadini, niente a che vedere quindi con i borghesi di città. Senza contare che il suo aspetto fisico aveva sempre provocato l’invidia dell’anziana donna verso la giovane signorina.

Ma questo Yayoi non poteva saperlo.

Quello che Aoba sapeva era che, fin da quando Misugi aveva fatto sapere a tutti del suo fidanzamento con la ragazza, la madre aveva sempre avuto un atteggiamento … beh non proprio serafico verso la futura nuora.

Adesso che lei era fuori gioco, chiaramente la signora Misugi cercava un partito adatto per quel suo bel figlio.

Perché si, Yayoi lo ammetteva: Jun era ancora bello.

Si sforzò di sorridere il più naturale possibile, rivolgendosi all’uomo.

-Pazienza, sono sicura che Hikaru capirà: è un bimbo molto intelligente.-

Sdeng!

Il senso di colpa colpì dritto il costato di Jun, un po’ più sotto di dove si trovava il cuore.

Matilde si gustò quel tiro mancino, trattenendo un sorriso mentre Yayoi, continuando a sorridere come se niente fosse, si allontanava verso lo spogliatoio; a quel punto l’italiana si avvicinò all’amico, dandogli qualche pacca sulla spalla.

-Colpito e affondato.-

-Ma che ti è saltato in mente di dirle di mia madre?!-

-Senti, se proprio le devi fare gli occhi dolci, falli con un minimo di onestà, chiaro? Lei non è una delle tante signorine da “wham-bam-thank-you-ma’am”*-

-Lo so perfettame … aspetta un momento, occhi dolci a chi?!-

La psicologa prese un profondo respiro, passandosi la mano sui capelli per non passarla sulla faccia di Jun Misugi in modo veloce e doloroso.

-Jun, ti prego non prendermi per scema, va bene? Io lo so che ti piace Yayoi, lo so e lo vedo, punto.

Quello che voglio dire è che non ti nego il permesso di provare a … ristabilire i rapporti con la tua ex-moglie, ma di farlo in modo onesto.

Tu non hai la minima di quanto quella donna sia stata male, e soprattutto quanto stia male oggi.-

-Oggi? Che ne sai tu di oggi?-

Matilde era quasi inorridita da quella domanda, ma si trattenne dal dire o fare qualcosa, prendendo un altro respiro e parlando a Jun.

-Che giorno è oggi?-

-Lunedì .-

-Il numero, il mese.-

-15 Marzo … oh cazzo.-

-Meno male, almeno te ne sei ricordato.-

Il compleanno di Yayoi.

-Però un momento, perché dovrebbe soffrire oggi? E il suo compleanno, no ?-

A quel punto l’italiana lo guardò attenta, pensando davvero che quel giorno il cervello di Jun fosse spento; ma quando si rese conto che l’uomo sinceramente non stava capendo, la psicologa ne rimase comunque impressionata.

-Accidenti, è riuscita a non dirtelo per tutto questo tempo …-

Quello preoccupò non poco l’uomo: già Yayoi le aveva tenuto nascosto il figlio, quale altro segreto non le aveva rivelato? Per di più collegato al suo compleanno, pertanto era una cosa ancora più vecchia. Guardò il volto di Matilde, chiedendole silenziosamente spiegazioni, ma la donna corrugò lo sguardo, quello sguardo pensieroso non piaceva proprio a Jun.

-Mi spiace, ma questo entra nel giuramento. Dovrai chiedergli tu stesso di cosa si tratta.-

Una cosa che la fa soffrire, proprio il giorno del suo compleanno. Gli sembrò molto più facile prendere e scalare l’Himalaya con addosso un paio di jeans e una maglietta.

-Scusami, devo tornare a lavoro.-

E la donna si allontanò velocemente, lasciando l’uomo solo nella hall.

Sbuffando, Jun si diresse verso lo spogliatoio, ci mancava anche questa rogna!

… ricordò che, la prima volta che fece gli auguri a Yayoi, erano ancora bambini, ed era stato lui stesso a comprarle il regalo; lei, a quella scatola con il fiocco rosso era rimasta interdetta, stupendolo, tanto che si domandò se la ragazzina avesse mai ricevuto regali.

Poi, lentamente, l’aveva vista prendere la scatola e aprire il pacchetto facendo attenzione a non sgualcire fiocco e carta colorata; quando ebbe il libro illustrato in mano aveva un’aria talmente contenta che le guance le arrossirono emozionate.

“-… è bellissimo. Grazie, grazie davvero Jun!-

-… ogni anno. Ti farò un regalo ogni anno! Promesso!-”

Era da più di cinque anni che non manteneva quella promessa.

Jun lo ricordò con amarezza, e con altrettanta tristezza lo ricordò Yayoi.

La donna finì di allacciarsi l’uniforme da infermiera, dedicandosi ai capelli, dentro il suo armadio aveva un pettine, un piccolo specchio, delle forcine e delle mollette, per casi come quella mattina; si guardò nel riflesso, e come sempre rimaneva sorpresa di non trovare più occhiaie o sfoghi cutanei come l’era accaduto tempo prima.

Lo stress del divorzio le aveva fatto venire degl’arrossamenti, oltre al poco sonno; per Hikaru si era sforzata di stare meglio, ed ora quei segni non sembravano mai essere esistiti sulla sua pelle. Tuttavia se girava lo specchio e usava la parte ingrandita, poteva ancora vedere qualche piccola cicatrice in alto, ai lati delle tempie.

Spostò lo sguardo, e s’immerse nella sua pupilla nera, di quell’iride castano scura, su quell’occhio a mandorla. Lo stesso taglio di sua madre.

“-Auguri amore mio. Diventi sempre più bella, sempre più simile a tuo padre.  Che meraviglia …-”

Yayoi cambiò nuovamente specchio, prendendo il pettine e iniziando a sistemarsi i capelli, creando una treccia e tramutandola in un’elegante crocchia, che tenne ferma con delle forcine.

-Ah, Ya-chan! Buongiorno!-

La donna si voltò a guardare, finendo di sistemarsi l’acconciatura, sorridendo al nuovo arrivato dello spogliatoio.

-Seiji, buongiorno a te.-

-E tanti auguri.-

E l’uomo rivelò, da dietro la schiena, una rosa bianca, porgendola alla donna, che stupita la prese delicatamente tra le dita.

-Che bella, grazie!-

Jun si avvicinò allo spogliatoio, e immediatamente vide la donna dai capelli rossi, con quel fiore in mano, che lo affascinò; cinque secondi dopo sentì il fascino trasformarsi in fastidio quando riconobbe Kishimoto come l’uomo che stava parlando con lei ad una distanza decisamente TROPPO limitata.

Rien n’y fait menace ou prière,

L’un parle bien, l’autre se tait,

Et c’est l’autre que je préfère,

Il n’a rien dit mais il me plaît.

Aprì la porta in modo particolarmente silenzioso, muovendosi peggio di un ladro mentre stava ad ascoltare la conversazione tra i due.

-Senti, non ti andrebbe di passare da noi, per festeggiare? Ci saranno anche Suzuki e Tanaka oggi.

Pare che adesso si stanno frequentando.-

-Davvero?! Ma che sorpresa!-

-Allora? Sei dei nostri?-

-Ahm, mi dispiace Seiji … ma non posso proprio, lo sai che devo pensare ad Hikaru …-

Jun, ancora una volta, benedì la nascita di suo figlio mentre restava davanti al suo armadietto, continuando ad ascoltare; Yayoi, intanto, ripose delicatamente la rosa accanto allo specchio, chiudendo la porta del suo scomparto e tentando di dirigersi fuori dallo spogliatoio. Peccato che Seiji la tenesse bloccata lì, restandola davanti a poca distanza.

-Perché non lo lascia da qualche amico? Andiamo Ya-chan, da quando sei tornata non ha più tempo per stare un po’ con noi!-

Sia Misugi che Aoba furono alquanto infastiditi dall’atteggiamento di Kishimoto nei confronti del bambino, ma al contrario dell’ex-marito, la donna non lo diede a vedere, cercando di restare quanto più cortese possibile verso l’amico, con gli occhi però estremamente decisi.

-Seiji … stamattina la prima persona che mi ha fatto gli auguri di compleanno è stato Hikaru; pertanto, lui ha il diritto, su tutti gli altri, di passare la giornata con me.-

-… ho capito. Tuo figlio è fortunato.

Ci vediamo.-

-Buona giornata.-

E la donna lo vide allontanarsi, prendendo un respiro profondo e appoggiando la schiena sull’armadietto. Poi alzò lo sguardo verso l’alto, e sorridendo parlò ad alta voce.

-Jun, esci fuori. Se n’è andato.-

L’uomo quasi esclamò dalla sorpresa, spuntando qualche minuto dopo.

-Ma come hai fatto?-

Lei lo guardò, e le venne da ridere: aveva la stessa aria scanzonata di quando, al liceo, stava nel corridoio con i suoi compagni durante la pausa pranzo.

Alla fine anche l’uomo sorrise divertito, avvicinandosi poi con aria imbarazzata, non riuscendo a trovare nessuna scusa o scappatoia con cui uscire da quella situazione.

Rimasero a guardarsi ma, complice il fatto che erano soli, non provarono alcun imbarazzo, anzi: era come se provassero nostalgia per quei piccoli momenti, quando non avevano bisogno di parlarsi, ma bastava loro guardarsi negl’occhi.

Ed entrambi videro, nell’altro, gli occhi di Hikaru. E a quel punto, Jun si ricordò della sua ansia più grande, incupendo leggermente lo sguardo.

-Senti, Yayoi … posso chiederti una cosa … riguardo Hikaru?-

La donna osservò il mutato atteggiamento dell’uomo, e si limitò ad annuire, aspettando in silenzio; osservò Jun guardarsi intorno, prendere un respiro profondo, arrivare a passarsi una mano in faccia, fino ad infilarsi le mani delle tasche. Ecco, in quell’ultimo gesto, la fu certa che l’uomo fosse a disagio: non metteva mai le mani in tasca, e succedeva solo quando irrigidiva le spalle, solitamente per ansia, nervosismo o preoccupazione.

Pertanto la donna aspettò; forse avrebbe fatto tardi nel turno, ma avrebbe lasciato il tempo all’uomo di formulare la sua domanda.

Misugi cercò le parole, lanciando continue occhiate alla donna di fronte a lui, guardandone l’uniforme, il volto, gli occhi, l’acconciatura; che cosa sarebbe accaduto se avesse dato fondamento alle sue paure? Cos’avrebbe dovuto fare, che responsabilità avrebbe aggiunto, a quelle che aveva nei confronti della sua ex-moglie?

-… Yayoi … Hikaru … è sano?-

Vide la donna guardarlo con molta sorpresa negl’occhi; poi, con calma, un sorriso sereno si formò su quelle labbra.

-Si.-

Vide l’uomo prendere un respiro profondo, a pieni polmoni, e d’istinto la donna si guardò intorno, notando che c’erano delle presenze che stavano per entrare dentro lo spogliatoio; senza starci a pensare, afferrò il polso dell’uomo e lo trascinò in fondo alla stanza, lì dove il vetro veniva sostituito dal cemento.

Lo lasciò appoggiarsi al muro, e gli mise le mani sul volto, bisbigliandogli.

-Shhh, non fare rumore.-

Lui annuì, ma sentì chiaramente il nodo nello stomaco salirgli alla gola, e afferrò quelle mani sul suo volto, stringendole forte, poggiando le sue labbra su uno dei due palmi, chiudendo e stringendo gli occhi.

Era sano. Suo figlio era sano. Non avrebbe sofferto di cuore. Non avrebbe avuto alcuna malattia che gli avrebbe impedito di vivere appieno la vita. Sarebbe vissuto a lungo, sarebbe cresciuto forte. Suo figlio sarebbe stato forte.

Ed era merito di Yayoi.

Alzò lo sguardo, e la guardò come fosse stata la prima volta che l’aveva davanti a sé: guardò quei capelli, che solo Dio sapeva quanto gli piacevano, in ogni loro aspetto, dal colore alla lunghezza alla consistenza. Guardò quegl’occhi, così brillanti e grandi, su quel volto dalla pelle chiara ma non spenta.

E poi riuscì come a guardarci dentro, e vide un pezzetto di Yayoi: e vide un arcobaleno, piccolo forse, ma dai colori così vividi che quasi non riusciva a distoglierne gli occhi di dosso. E gli sembrava così familiare, che l’avesse già visto da qualche parte?

Lentamente, una delle sue mani si avvicinò al volto della donna, accarezzandone molto delicatamente i lineamenti, mentre i suoi occhi continuavano a guardare quell’arcobaleno. Si, certo, ora ricordava: quell’arcobaleno lo vide quando si rese conto … che era completamente innamorato perso di Yayoi Aoba.

Da parte sua, la donna già quando aveva visto gli occhi dell’uomo entrare dentro di lei si era come pietrificata dalla sorpresa; poi quella mano sul volto, e di colpo sentì il suo cuore accelerare, fino quasi ad uscire dal suo petto.

Avrebbe voluto chiamarlo per nome, tante, tante volte.

-… grazie Yayoi. Tanti auguri di buon compleanno.-

La vide spalancare gli occhi dalla sorpresa, e la bocca si aprì leggermente dallo stupore; lentamente, la donna indietreggiò di qualche passo, e sciolse la presa da quel volto, portando le mani verso il suo petto.

Nel vedere quell’atteggiamento, l’uomo si rese conto della situazione, e ben presto si rese conto di quello che era accaduto negl’ultimi cinque minuti; fu incredibile quanto riuscì a diventare rosso, quasi quanto la donna davanti a lui, e lei aveva le guance dello stesso colore dei suoi capelli!

-Ah, ecco, io …-

Nessuno dei due riusciva effettivamente a pensare di quanto era accaduto, pertanto l’uomo preferì battere in ritirata, allontanandosi il più velocemente che poté mentre la donna restava bloccata nell’angolo di quello spogliatoio, tenendo le mani al petto e cercando di calmare il respiro.

La sua testa era diventata tremendamente leggera, il mondo attorno a lei era fatto di ovatta; alzò lo sguardo verso l’alto, e sentì chiaramente un paio di lacrime scenderle dagl’occhi e correre rapidissime sulle sue guance.

Mai, prima di allora, aveva provato tanta gioia nel sentirsi dire parole semplici come “grazie”, o “buon compleanno”.

Pensò ad Hikaru, e le venne da sorridere entusiasta: suo figlio davvero faceva sempre piccoli miracoli.

Prese fiato, si asciugò gli occhi, e uscì fuori dallo spogliatoio, correndo veloce al reparto pediatria, per iniziare finalmente il suo turno.

Jun la vide sfuggire via oltre la porta del suo studio, e sentì di nuovo l’imbarazzo salirgli alle stelle, tanto che si passò per l’ennesima volta la mano in faccia: quello che era successo poco prima, tutto quello che era successo, era stato … strano, molto strano. E familiare al tempo stesso.

Sentiva ancora che il cuore gli batteva nel petto, e stavolta era sicuro che gli sarebbe pigliato un infarto, altro che guarito! Lui era ancora più malato, molto di più!

I sintomi c’erano tutti: tachicardia, giramento di testa, affaticamento nel respirare. La diagnosi era chiara: Jun era nuovamente malato di cuore.

O meglio: Jun Misugi aveva il cuore malato … per Yayoi Aoba. Roba che nemmeno al liceo …

A dire la verità, quando scoprì di essere ammalato, il suo cuore non ancora operato gli aveva fatto sentire i segnali molto prima di adesso, ed era riuscito subito a controllarsi.

Ma adesso, adesso che era sano, essere innamorati era peggio di prima!!

Pensò a tutto questo, cercando di sbirciare ancora dalla porta se, per caso, Aoba sarebbe passata di nuovo.

Pensò ad Hikaru, ad il fatto che era sano. E gli venne da sorridere.

E poi pensò a quei due insieme, madre e figlio. Moglie e figlio.

Alzò lo sguardo verso l’alto, e sentì una lacrima scorrere veloce dalla sua guancia.

Se l’asciugò velocemente, e riprese a lavorare.

L'amour est enfant de Bohème,

Il n'a jamais jamais connu de loi,

Si tu ne m'aimes pas je t'aime,

Si je t'aime prends garde à toi.

*La citazione viene da una nota da un manga yaoi chiamato “The tyrant who fall in love” (koisuru boukun) molto carino che mi è molto piaciuto, consiglio la lettura a tutti.

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Capitolo 13
*** Aria: Agitata da due venti ***


Aria:

Agitata da due venti

 

Hikaru uscì di corsa dall’asilo, tenendosi il berretto in testa, precipitandosi verso le braccia di Yayoi, che lo strinse con forza.

Nel vedere quella scena, molte mamme presenti vennero prese dalla tenerezza e da una mistura di orgoglio e invidia: l’orgoglio di essere, proprio come quella donna, madri, ma anche l’invidia per quel rapporto così speciale.

Vedevano sempre quella donna aspettare, assieme a loro, l’uscita del figlio, con un misto di tranquillità ed emozione, e fin dalla prima volta erano rimaste colpite dal suo aspetto: molte di loro erano giovani quanto lei, ma possedeva una freschezza tale da apparire sempre più sorridente rispetto a loro; persino quando aveva una giornata storta non lo dava mai a vedere.

E poi, quando vedeva e riconosceva suo figlio, mostrava sempre il suo affetto, abbracciandolo e sorridendogli con tali sentimenti che tutti dubitavano che lei fosse effettivamente giapponese.

-Mamma!-

-Ciao amore! Allora, com’è andata?-

-Guarda! Questo è per te!-

Con orgoglio, il bambino mostrò un foglio piegato alla donna, la quale rimase in ginocchio, aprendolo: era bellissimo, coloratissimo, come poteva essere l’immaginazione di suo figlio. C’erano disegnate tre persone, di cui una piccola e sorridente che la donna riconobbe subito; da una parte c’era lei, con i capelli lunghi fatti con un pennarello rosso fuoco, la sua grande mano che teneva quella di suo figlio.

Dall’altro lato una persona nuova, che la stupì: solitamente, infatti, i disegni di suo figlio ritraevano lei e lui insieme, al massimo con la presenza del nonno o della “zia Sanae”. Stavolta c’era un uomo, giovane, con i capelli castani, che sorrideva e aveva le mani libere, pronte a stringere quelle del bambino … e forse della donna.

Adesso anche Jun entrava, di diritto, nella fantasia e nei disegni del bambino.

“-È mio figlio!-”

Il sorriso, sul viso di Yayoi, si era bloccato, e si sciolse con fatica, nonostante lei cercasse di non darlo a vedere al piccolo.

-… è bellissimo amore, ti ringrazio.-

-Ho fatto anche Jun!-

-Si, lo vedo, sei stato bravissimo.-

La donna tolse il berretto al bambino, accarezzandogli i capelli, per poi alzarsi in piedi e offrirgli la mano, sempre sorridente.

-Andiamo?-

Lui annuì, prendendo due dita della donna con la sua piccola manina, ed entrambi si fermarono un momento per salutare le altre mamme con i loro bimbi; tra di loro c’era Makoto, aggrappato alla gonna della madre, la quale rivolse un saluto e un sorriso a Yayoi.

-Buongiorno signora Aoba.-

-Signora Yamano, buongiorno a lei. Ciao Makoto-chan.-

Il bimbo guardò il sorriso della donna, e arrossì leggermente, cercando riparo dietro le gambe della madre, il quale sorrise divertita mentre Yayoi sbuffava, leggermente delusa.

-È inutile, non gli piaccio proprio.-

-Ma no, sono sicura che le piace moltissimo. Vero Makoto?-

Il bimbo annuì leggermente, restando però sempre dietro le gambe della madre mentre Hikaru restava fieramente in avanti, tenendo strette le dita nella sua presa mentre la signora Yamano gli rivolgeva la parola.

-E allora, Hikaru-chan? Contento di tornare a casa con la mamma?-

-Si! Oggi è il suo compleanno!-

-Ah, ma allora auguri Aoba-san.-

-Grazie. E per festeggiare ci andiamo a prendere le crepes, ti va?-

-Sii!!-

-Volete venire con noi?-

-La ringrazio, ma oggi mio marito torna a casa prima dal lavoro, per passare un po’ di tempo con Makoto e il fratellino. Siamo tanto contenti, vero?-

E di nuovo il bambino annuì mentre Yayoi subiva leggermente la notizia, continuando però a sorridere, limitandosi a stringere delicatamente la presa sulla mano di suo figlio, salutando ancora una volta e allontanandosi.

Ci fu uno strano silenzio tra i due, e Hikaru se ne accorse subito, alzando lo sguardo verso la madre; questa aveva lo sguardo cupo e un po’ perso sulla strada davanti a loro, sembrava immersa in strani pensieri; il bimbo tirò leggermente le dita, e Yayoi si riprese immediatamente, rivolgendo la sua completa attenzione al figlio.

-Ah, scusa Hikaru. Mamma era pensierosa.-

-Non vuoi prendere le crepes?-

-Ma no, certo che no, anzi sbrighiamoci, su.-

E la donna accelerò il passo, facendo correre il piccolino, il quale ancora una volta si strinse il berretto in testa; arrivarono in una strada trafficata, e si strinsero l’uno all’altra, facendosi largo, per poi preferire una strada secondaria, prendendo fiato.

-Ah, aspetta amore, hai il grembiule un po’ scombinato.-

La donna s’inginocchiò, sistemandolo, e ne approfittò per ammirare, ancora una volta, il suo piccolo ometto: oramai aveva cinque anni, le sembrava ieri che si abbracciava quel piccolo fagotto addormentato.

gli sorrise, rialzandosi in piedi e offrendogli nuovamente la mano, parlandogli.

-Tu e Makoto oramai siete grandi amici, eh?-

-Si.-

-E con gli altri? Hai altri amici tra i bambini dell’asilo?-

-Ai-chan.-

E quello non era certo un nome da maschio. Yayoi sorrise, notando come Hikaru avesse risposto in maniera decisamente stringata, per lui che era sempre un chiacchierone.

-Ai-chan è amica tua e di Makoto?-

Hikaru annuì, deciso. Yayoi sorrise ancora, abbassando leggermente il tono di voce mentre arrivavano al negozio di dolciumi.

-E ti piace molto giocare con lei?-

-Si.-

-E a lei piace giocare con te?-

-Le piace più giocare con Makoto.-

Ah, ecco spiegato il mistero di quelle risposte così secche.

Cinque anni, e suo figlio aveva già trovato una ragazzina, le veniva quasi da ridere; alla sua età lei era notata dagl’altri, ma aveva trovato amici con molto difficoltà, sopratutto per quello che lei era agl’occhi della gente.

Scacciò via quei pensieri non appena entrò dentro il negozio, e rinfrancata dall’odore dei dolci prese in braccio suo figlio, strofinandogli affettuosa il naso sulla guancia. Una tale dimostrazione d’affetto, in pubblico, fece girare qualche testa.

-Dai, adesso ci prendiamo delle crepes con il cioccolato, e poi andiamo al parco giochi a mangiarcele prima di tornare a casa, che ne pensi?-

Il bimbo guardò la madre, per poi sorridere ed annuire, strofinando di risposta il suo naso sulla guancia di Yayoi, che sorrise contenta, nella borsa aveva piegato e sistemato con cura il disegno, in modo che non si rovinasse troppo.

Ordinarono insieme, la donna teneva fieramente in braccio il figlio, che con il dito indicava le cose da aggiungere alle due crepes, facendole diventare più simili a dei calzoni, tanto erano gonfi alla fine.

Nonostante questo erano davvero buone, come constatò a donna una volta che si era accomodata sull’altalena e aveva dato metà del dolce al bambino, raccomandandogli di fare attenzione a non sporcarsi il grembiule. L’altro lo avrebbero tenuto da parte per la cena.

Il bimbo, dopo il primo minuto di silenzio, riprese a parlare.

-Jun ti ha fatto gli auguri?-

Se non fosse stata per Ai-chan, Yayoi era certa che Hikaru si sarebbe innamorato di Jun.

Però era giusto così, pertanto la donna annuì, sorridendo il più possibile.

-Certo, me li ha fatti. Anche Seiji mi ha fatto gli auguri, e la mia amica Matilde. E sono sicura che, tornati a casa, troveremo il messaggio della zia Sanae. Avanti, mangia adesso, che si raffredda.-

E il bambino annuì, dando un bel morso alla sua metà, facendosi venire due bei baffi di cioccolata.

Yayoi prese a sua volta un bel morso e si dipinse anche lei due baffi sopra il labbro; quando si guardarono, i due ridacchiarono divertiti, e la donna pulì entrambi con un fazzoletto di carta, lasciando poi che il bambino mangiasse ancora.

Si guardò attorno, una gran pace li stava accompagnando quel pomeriggio, e il sole sembrava non volersene ancora andare; quel breve momento di silenzio, i pensieri che vagavano e il bambino accanto a lei che faceva dondolare leggermente l’altalena, finendo di mangiare il suo dolce, aprivano il cuore della donna.

Rivolse lo sguardo al figlio, e pensò a Jun, a quella sua domanda, fatta con il cuore praticamente tenuto in mano.

“-…Yayoi … Hikaru … è sano?-”

Lei non immaginava che le condizioni fisiche di Hikaru lo avessero tenuto così tanto sulle spine, e vederlo sciogliersi dal sollievo le aveva riportato alla mente tutte le volte che lui era stato male proprio sotto i suoi occhi, in campo come nella vita di tutti i giorni.

Ora c’era Hikaru. Sano, intelligente, fantasioso, che in quel momento si stava leccando le dita dalla cioccolata.

-Aspetta amore.-

La donne porse il fazzoletto di carta al bambino, il quale si pulì diligentemente le mani, sfruttando anche l’acqua della piccola bottiglia che la donna teneva nella borsa, raggiungendo di corsa il cestino più vicino. Ma invece di tornare subito accanto alla madre, il piccolo corse verso il fortino, probabilmente per giocare.

Più lo guardava, più vedeva in lui Jun, e una volta che sarebbe cresciuto quel bimbo sarebbe stato di sicuro il ritratto del padre, proprio come l’uomo era adesso: forte, sicuro di sé, e forse … distante.

A quel pensiero Yayoi sentiva il peso della responsabilità di non aver ancora detto, a suo figlio, che il suo “amico” era in realtà suo padre. Erano come dei piccoli piombini che, mano a mano il tempo passava, aumentava di numero nel suo stomaco.

Continuava a ripetersi “un giorno lo verrà a sapere”, “sarà una cosa semplice e naturale”, “lo capirà da sé”, e tutte le volte si sgridava quasi con la stessa forza con cui Sanae era solita rimproverarla di “non prendere quel cavolo di telefono e chiamare il futuro padre!”: era ovvio che Hikaru era piccolo, era scontato che forse non avrebbe capito la situazione al momento, ed era naturale che lui non potesse comprendere che il suo caro amico era in realtà suo padre. Doveva dirglielo lei.

Ma una cosa la bloccava ogni volta: la possibilità che suo figlio si arrabbiasse con lei. E più passava il tempo, più quella possibilità cresceva, fino a quando un giorno, sicuramente, Hikaru davvero l’avrebbe scoperto da solo e le avrebbe chiesto giustamente perché era rimasta in silenzio tutto quel tempo; e quando lei avrebbe raccontato tutto, lui come avrebbe reagito?

-Mamma!!-

La donna si alzò di scatto dall’altalena, e si voltò a guardare, allarmata: suo figlio le stava facendo cenno con la mano, chiamandola a gran voce.

-Mamma, vieni!-

Velocemente raggiunse il figlio con la borsa sottobraccio, e lo trovò accovacciato davanti ad un muro del fortino, che guardava attraverso un buco.

-Che c’è Hikaru?-

-Guarda! Guarda mamma.-

Lui indicò animatamente il buco, e la donna si sporse incerta, facendo attenzione che la gonna non si sporcasse; all’inizio non vide molto, perché la luce era limitata, e guardò un po’ dappertutto, fino a quando non la notò.

Una palla di pelo grigia con due orecchie rivolte verso di lei, un muso e due occhi azzurri con la pupilla nera, rotonda, che guardava stupita la donna, a sua volta sorpresa.

-… che piccolo.-

-Mamma!-

Yayoi si voltò verso il figlio, e lo vide stringere i pugni e guardarla con aria decisa. In un secondo lei capì perfettamente cosa gl’avrebbe chiesto, e cercò subito di frenarlo.

-Amore …-

-È per te!-

La frase le bloccò tutto il discorso, e il piccolo approfittò della pausa, stringendo forte i pugni e alzando la voce.

-Io non posso tenere un animale, me lo dici sempre. Pertanto io lo regalo a te!

Tu sei grande mamma, e ti sei presa cura di me; io imparerò a fare molte più cose da solo, perciò puoi prenderti cura di lui!

Te lo affido perché lui è piccolo, come me, e tu dici sempre che i bambini e i cuccioli hanno bisogno della loro mamma. E lui non c’è l’ha!

Per favore, accettalo!-

Hikaru fece un inchino profondo, la sua testa a momenti toccava le ginocchia.

Yayoi lo guardò … senza parole, ancora una volta “abbagliata” da suo figlio, dalla forza che emanava, e soprattutto da quella ingenua saggezza. Forse lei era quella grande tra i due, ma suo figlio era il vero adulto, e nemmeno lo sapeva.

La donna allungò le braccia verso di lui e lo tirò a sé, abbracciandolo con tutte le sue forze, stringendolo al suo petto.

Non aveva ancora detto niente ad Hikaru riguardante suo padre … perché temeva di finire come sua madre: abbandonata da coloro che amava.

Ricordava perfettamente quando, in certe giornate, sua madre rimaneva ore in silenzio, seduta di fronte alla veduta sul giardino, sul ciliegio in particolare, aspettando che lui tornasse; e Yayoi, bambina, aspettava muta che la donna le desse attenzione, che si voltasse verso di lei.

E quando si voltava … la bambina vedeva chiaramente la vita scivolare via dal volto pallido della donna.

“-Mamma, stai male?-

-… no Yayoi. Vieni, ti acconcio i capelli.-”

Non le aveva mai permesso di curare la ferita del suo cuore. E alla fine la donna si era arresa, e l’aveva lasciata.

E lei aveva fatto la stessa cosa con Jun: non era stata in grado di cambiare la situazione, e anche lui, alla fine, si era arreso con lei

Ma non Hikaru, lui era completamente diverso da Yayoi. Lui anche se non aveva una grande forza fisica, aveva una grande forza interiore, e se la madre stava male faceva di tutto per aiutarla.

-Mamma?-

-… grazie amore, grazie. È bellissimo.-

-Allora … lo accetti?!-

-Certo amore. Non si rifiuta un così bel regalo.-

-Evviva!!-

Le piccole braccia di Hikaru avvolsero il collo della madre, e lei sentì chiaramente il sorriso di suo figlio sul suo collo, sorridendo a sua volta e stringendolo ancora di più a sé.

Quando si sciolsero dall’abbraccio notarono qualcosa muoversi e avvicinarsi a loro, e quale non fu la meraviglia del bambino nel vedere il micino fuori dal nascondiglio, che miagolava richiedendo la loro attenzione.

Yayoi, lentamente, porse la mano, e sulle prime la bestiolina fece qualche passo indietro; con un cenno, la donna avvertì il bambino di fare silenzio, e lui annuì, stringendo però i pugni emozionato.

Furono i cinque minuti più lunghi della loro vita: il gattino guardava molto sospettoso, ma la donna non cedeva di un millimetro, restando ferma quasi quanto una statua, dietro di lei il bimbo cercava di fare meno movimenti possibili.

Alla fine, con molta cautela, il gattino si avvicinò a quella mano, annusandola; poi, con grande entusiasmo di Hikaru, si strusciò contro quelle dita, e con molta delicatezza la donna lo accarezzò, fino a riuscire a prenderlo in braccio.

Yayoi sentì chiaramente il pelo morbido, nonostante fosse un po’ sporco, e si sentì contenta quasi quanto suo figlio, alzandosi lentamente in piedi con quel fagotto tra le braccia.

Si fece tenere la borsa da quel cavaliere di suo figlio, e come prima fermata andarono dal veterinario più vicino, il quale controllò lo stato di salute del piccolo, assicurando che sembrava sano, dando appuntamento alla donna per fare le vaccinazioni e le registrazioni necessarie, lasciando ai due un trasportino della clinica.

Quando arrivarono a casa, subito Hikaru cominciò a cercare tutto il necessario per accogliere al meglio il nuovo arrivato: prese un vecchio cuscino che non usava più, come lettiera momentanea sfruttò una scatola bassa, tagliandone ulteriormente i lati troppo alti con una forbice, con fogli di giornali sul fondo, e un piattino sbeccato come ciotola.

Yayoi, nel vedere suo figlio tanto attivo ed entusiasta, sorrise intenerita, appoggiando delicatamente il trasportino a terra, aprendolo e lasciando che fosse il micino a muoversi per i fatti suoi, aiutandolo ad aggiustare soltanto la lettiera, il cartone era comunque abbastanza duro.

-Ah, Hikaru.-

-Si?-

-Che ne dici se gli dai tu il nome? Tu sei molto più bravo di me in questi casi.-

-… posso davvero?-

-Certo!-

Il bambino quasi arrossì di gioia, e quando fu tutto sistemato si prese una sedia accanto al tavolo, sedendosi e iniziando ad osservare il gatto, studiandone ogni mossa; il piccolo, intanto, aveva raggiunto il cuscino, e lo stava graffiando e a mordicchiando leggermente, giocando soprattutto con dei fili che scappavano da una cucitura.

Dal veterinario gli era stato passato un panno umido, pertanto il pelo risultava molto più pulito e soffice, con un colore grigio che lo faceva tanto assomigliare … ad una piccola nuvola di pioggia.

-… Kumo.- (nuvola n.d.a.)

Hikaru lo disse come se volesse chiamarlo.

Per tutta risposta le orecchie del gatto si mossero, e i due occhi grandi e gialli rivolsero uno sguardo verso il bambino, come ad approvare la scelta; questo, a quella reazione, si girò entusiasta verso la madre, che annuì.

-Allora benvenuto, Kumo.-

Il micio la ignorò, dedicandosi nuovamente al suo cuscino.

Yayoi sorrise divertita, mettendosi il grembiule per iniziare preparare da mangiare, con Hikaru che dondolava le gambe sulla sedia, le braccia appoggiate al tavolo e sopra la testa, i suoi occhi castani continuavano a tenere d’occhio il piccolo Kumo, tutto preso nel suo gioco.

-… Mamma.-

-Dimmi amore.-

-Perché mi hai chiamato Hikaru?-

Si fermò un momento, sorpresa da quelle parole; osservò i capelli castano-rossicci, e ricordo chiaramente la prima volta che l’avevo tenuto tra le braccia, accogliendolo al mondo con le lacrime e un sorriso, lo stesso che ora le addolciva il volto.

Riprese, lentamente, ad accendere il fuoco sotto il riso, prendendo poi il coltello e affettando le verdure per fare il curry.

-… perché fin da quando ti ho sentito nella mia pancia è stato come se ogni giorno ci fosse una grande luce. E poi mi è sempre piaciuto il nome Hikaru.-

-Papà era d’accordo?-

Le mani si fermarono, ma la mente accelerò: quando ne parlò la prima volta, Jun aveva sorriso, abbracciandola a sé e baciandole i capelli, affermando che “era un nome splendido, e sarebbe stato felice di chiamare suo figlio così”; la seconda volta che accennarono al discorso, lui sembrò un po’ più pensieroso, affermando che “era presto per pensare ad un figlio, prima era il caso di pensare a loro stessi”.

Alla terza volta, quando voleva dirgli del suo stato interessante, pronta a mostrargli il test di gravidanza, ricordandogli di quel nome, lui le telefonò e le disse che “i documenti erano pronti, mancavano solo le loro firme”.

-… certo. Lo trovava un nome … un nome bellissimo.-

Un’altra bugia, ed era come se avesse aggiunto un piombino al peso che portava sulla sua coscienza; e la testa le parlò con la voce di Jun.

“-Io forse ho fatto sempre di testa mia, ma allora perché tu non ti sei sempre fatta avanti? Perché non ti sei mai ribellata alle mie scelte? Senza contare che la tua è stata una mancanza di fiducia verso di me molto comoda, non pensi?-”

Si voltò a guardare suo figlio, e lo vide intento ad ammirare il micio, il quale si era acciambellato sul cuscino e si stava addormentando, si potevano notare le orecchie abbassarsi leggermente.

Più che comodità, il non fidarsi di Jun, fino a quel momento, le aveva permesso di poter mantenere il “possesso” di suo figlio; ora, invece, che lasciava suo figlio giocare con l’uomo, che gli lasciava parlare di lui e interagire con lui, Yayoi avvertiva che la sua sfiducia stava diventando solo un muro che, presto, le avrebbe creato solo problemi.

Doveva abbatterlo. E c’era un solo modo per farlo.

Nel pensarlo le scese un brivido lungo la schiena, e ingoiò a vuoto: si sentiva pronta? Era certa di volerlo fare? Quali sarebbero state le conseguenze? Aspetta, aspetta un attimo!

-Mamma.-

-… dimmi amore.-

-Pensi che a Jun piacerà Kumo?-

Hikaru le rivolse lo sguardo, aveva degl’occhi così grandi e innocenti che Yayoi si sentiva annegare in quel mare scuro, e prese un profondo respiro, ricordando come l’uomo fosse sempre stato un estimatore dei felini.

-Si, ne sono più che sicura.-

Il bimbo sorrise, entusiasta, e la donna sentì i polsi tremarle leggermente.

No, oramai era impossibile tacere, tornare indietro: Hikaru … era troppo affezionato a suo padre, nonostante lo avesse incontrato non più di tre volte. Se davvero esisteva il fato, quella era la sua dimostrazione più evidente. E lei non poteva più evitarlo.

Senza contare … che i suoi stessi sentimenti le facevano pesare ulteriormente la responsabilità del suo silenzio.

Si avvicinò lentamente a suo figlio, accarezzandogli dolcemente la testa, sentendo come i capelli del piccolo fossero morbidi e lisci; lui accettò di buon grado quelle coccole, e senza smettere di accarezzarlo la donna si mise seduta, prendendo un altro, profondo respiro, chiudendo un momento gli occhi per concentrarsi e riuscire a trovare le parole giuste.

-Senti, tesoro.-

Agitata da due venti

freme l'onda in mar turbato
e'l nocchiero spaventato
già s'aspetta naufragar.

Dal dovere, e dall'amore

combattuto questo core
non resiste; par, che ceda,
e cominci a disperar.

Gli occhi grandi di Hikaru, rivolti verso di lei, erano colmi della stessa voglia di vivere di Jun Misugi.

-Si?-

-… a te piace molto Jun, vero?-

A quella domanda il bimbo sorrise, ed annuì deciso, alzando il capo verso la madre e parlando con voce entusiasta.

-Lui è molto gentile, mi offre sempre il gelato, e poi mi ha detto che un giorno m’insegnerà a giocare a calcio! Imparerò a giocare come papà!-

La donna sentì il fiato venirle meno, la paura salirle e farle tremare leggermente le mani; pertanto ne appoggiò una sul tavolo, con tutto il braccio, e l’altra fermò per qualche momento le carezze sul capo del bambino, scivolando verso la guancia.

Continuava a sorridere, ma sentiva che quella maschera non sarebbe durata, non riusciva mai a fingere con suo figlio.

Cosa sarebbe accaduto? Cosa le avrebbe chiesto Hikaru?

-È bellissimo amore. Sono così contenta per te.

Anche perché … c’è una cosa che devo dirti … a proposito di Jun …-

Perché si erano lasciati? Perché lui non era con loro in quel momento? perché avevano litigato? Cos’aveva fatto per lei per aver allontanato suo padre?

Come l’avrebbero guardata quegl’occhi castani, così puliti e brillanti?

Il bimbo la guardava e l’ascoltava attento, e la donna prese un terzo, profondo respiro, senza mai staccare gli occhi dallo sguardo del figlio, parlando però con un tono di voce basso, come se temeva che qualcuno li stesse ascoltando.

-Jun … lui … lui è tuo padre, Hikaru.-

Uno, due, tre, Yayoi contava i secondi di silenzio, osservando quasi spasmodicamente gli occhi di suo figlio, cercando di percepire in essi i mutamenti d’animo del bambino: e vide, per qualche momento, l’incomprensione, sostituita poi dalla consapevolezza, che cresceva diventando stupore, e alla fine il bambino parlò, con aria intontita.

-Jun … è il mio papà?-

La donna ingoiò a fatica, ed ebbe solo la forza di annuire decisa, mormorando un “si” con voce roca.

Aspettò ancora, il silenzio era tale che la donna si sentì congelare tutto il sangue che aveva in corpo.

Alla fine, Hikaru prese la mano di sua madre, ancora appoggiata alla sua guancia, e il tocco allarmò Yayoi, che lo guardò spaventata a morte.

Lui parlò con voce decisa, e sollevò in aria quella mano.

-Si! Lo sapevo!!-

Il sorriso entusiasta del bambino impressionò la madre molto più della sua risposta, il piccolo stava praticamente saltando sulla sedia, felice come mai lei lo aveva visto in quei cinque anni di vita; velocemente, influenzata anche dai gridolini di gioia e dall’agitazione del figlio, la donna si riprese dalla sorpresa, afferrandolo con la mano libera.

-Hikaru, aspetta un momento. Calmati Hikaru.

Come … come lo sapevi? Te l’ha detto lui?-

Lui scosse la testa, continuando a sorridere contento, e Yayoi si sentì ancora più confusa: come … ?

Il piccolo, però, era in preda all’entusiasmo, aveva un sorriso così grande che quasi gli copriva il naso e le guance, e pertanto i dubbi della donna non potevano ottenere risposta; tuttavia, guardando quella felicità, il muro di paure cominciò a trasformarsi in sabbia asciutta, e a disgregarsi.

-Non sei arrabbiato con mamma?-

-Perché?-

-Beh … la mamma non te l’ha detto subito.-

Il bimbo guardò stupito la madre, come se non capisse il senso di quella frase. Alla fine domandò con aria incerta.

-Non me lo volevi dire?-

-Certo che no!-

Yayoi non capiva, era tutta ancora agitata, si sentiva tremendamente confusa: come poteva suo figlio aver intuito che Jun era suo padre senza saperlo, e come poteva ora non farle domande che era suo diritto chiedere.

La risposta gli arrivò proprio dal suo stesso figlio.

-Mamma, io non capisco. Sei triste di avermelo detto?-

… suo figlio aveva cinque anni. Era intelligente, certo, e un giorno le avrebbe posto tutte quelle domande a cui lei avrebbe risposto con sincerità, senza bugie; ma ora come ora, Hikaru aveva trovato il padre di cui aveva tanto sentito parlare, ed era proprio la persona di cui si era tanto affezionata e in cui aveva sperato.

Ancora una volta, quel raggio di luce illuminò gli occhi e la mente della donna, liberandola dalla massa confusa delle sue paure, che di certo non erano scomparse, ma per il momento si erano zittite.

Sorrise, imbarazzata, e scosse la testa, accarezzando di nuovo le guance e i capelli di suo figlio.

-No, no tesoro. Anzi: sono felice che tu sia felice.-

E per confermarlo strofinò il suo naso su quello del figlio, in un gesto affettuoso e complice, che fece tornare il sorriso al bambino, il quale però si fermò un momento, guardando dubbioso la mamma.

-… credi che Jun mi permetterà di chiamarlo papà?-

Yayoi guardò suo figlio, e ripensò ad ogni volta che i due avevano parlato di Hikaru, a tutti i sentimenti: rabbia, frustrazione, sorpresa, gioia, colpa, sollievo. Amore, sconfinato amore.

-Ne sono più che sicura tesoro.-

(Atto II Scena II, Aria di Costanza dalla “Griselda” di Vivaldi su testo di Goldoni)

 

Io chiedo tante scuse per il ritardo nell’aggiornamento, questo è stato il capitolo più complicato da scrivere, perché effettivamente era venuto il momento di sciogliere l’annosa questione del “dirlo ad Hikaru”.

Spero che, d’ora in poi, gli aggiornamenti risulteranno più liberi.

Un abbraccio e un saluto particolare a sissi e sailorgemini, grazie di seguirmi e sostenermi!

 

**

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Capitolo 14
*** Cavatina: Lindoro ***


Cavatina:

Lindoro

 

>E così glielo hai detto? Wow! Sono strabiliata! Tre mesi passati a dirti “diglielo”, e ti è bastato un suo sguardo e cinque minuti per convincerti! Diamine quel bimbo è davvero un portento!

Yayoi ridacchiò, mettendosi sul divano e notando la presenza di Kumo lì accanto. Oramai il gatto stava cominciando a prendere possesso dell’intera casa, permettendosi anche di fare il prepotente in alcune occasioni, specie con Hikaru; il bimbo, però, era troppo contento di avere quel nuovo amico, e lasciava correre, giocandoci quasi tutto il giorno.

La donna non sapeva dire chi dei due avesse più energie: la sera prima, per esempio, dopo aver saputo che Jun era suo padre, il bambino era così emozionato da giocare con il micio, fino ad addormentarsi sfinito sul pavimento del piccolo salotto, con quella palla di pelo accanto.

Yayoi accarezzò, con la punta delle dita, le orecchie e la testolina del felino, che accettò di buon grado, le fusa vibravano in tutto il suo corpo.

>Come ti senti adesso?

-Non lo so. Il fatto … è che mi ha sorpresa quando mi ha detto che se lo sentiva …-

>I bambini sono creature bizzarre, io ne ho tre e ancora sono un mistero! Pensa, oggi finalmente Saki non si è messa in bocca la sabbia del parco giochi, e lo ha fatto di sua spontanea volontà, dopo che ho passato un anno da incubo in cui ho cercato di fargli perdere l’abitudine in tutti i modi!

Aoba sorrise ancora, la sua mano si muoveva da sola su Kumo, il quale cominciava ad agitarsi leggermente, disturbato; eppure se le dita si allontanavano lui subito le cercava con il musetto, strofinandosi.

-Mi pare di capire che Saki oramai è diventata una signorina.-

>Si, mia madre oggi mi ha telefonato chiedendomi se tornavamo per il Shichi-Go-San di Saki. Mi sembra che sia ora anche per Hikaru, no?

-Ah, preferirei aspettare i sette anni: quest’estate ti ricordo che ne  compirà solo sei anni.-

>Solo sei?! Cavolo, quanto cresce in fretta. Hai già visto per la scuola elementare?

-Si si, ho trovato un istituto non troppo lontano da qui, comodo da raggiungere a piedi e con i mezzi.-

>Il piccolo Hikaru che andrà all’elementari! Vorrei essere lì!!

Oramai Sanae aveva preso in pieno il ruolo di zia, anzi si poteva dire che era quasi la “papà sostitutiva” del bambino.

-Invece Ichirou? Come se la sta cavando con la scuola spagnola?-

>Bah, lui è come il padre, non ha mai avuto problemi: si è fatto subito degl’amici, e ovviamente è subito entrato nella squadra di calcio della scuola.

-Tale padre …-

>Meno male che Hideki non prenderà le orme del “capofamiglia”, se possiamo chiamarlo così.

-Noi due sappiamo bene chi ha i pantaloni in casa.-

E le due donne risero divertite.

Kumo nel frattempo si girò supino, mettendosi a giocherellare con le dita della donna, la quale si preoccupò di non farsi graffiare, le unghiette di quel micino erano non poco affilate.

>Comunque mi fa piacere di sentirti serena: quando mi hai detto che avresti lavorato nella stessa clinica di Jun ho temuto il peggio.

-Lo so, mi spiace di averti fatto preoccupare.-

>E come sta andando la convivenza a lavoro?

“-… grazie Yayoi. Tanti auguri di buon compleanno.-”

>Ehi, Yayoi, mi senti?

-Ah, scusa Sanae, puoi ripetere?-

>Ti ho chiesto come sta andando con Jun. Ti sta creando problemi?

-No. No, affatto …-

Kumo, miagolando, afferrò con le zampine le dita di Yayoi, avvicinandole a sé.

>Quindi va tutto bene.

-Si certo.-

>Quanto va bene?

-In che senso?-

>Nel senso che va bene tipo “lui accetta Hikaru, ma praticamente non mi parla”, o tipo “lui accetta Hikaru, e siamo buoni amici”, o del tipo “accetta Hikaru, ci amiamo e vogliamo diventare una famiglia”?

Alle ultime parole Yayoi arrossì vistosamente, e il suo corpo s’irrigidì; a quel cambi odi umore si aggiunse Kumo, che giocò un po’ più pesante, mordendo e graffiando leggermente le dita della donna, facendole male.

-Ahi, Kumo!-

Il micino indietreggiò leggermente, e la donna constatò che uno dei graffi, fatto sull’indice, sanguinava leggermente, alzandosi dal divano per dirigersi veloce in cucina.

>Che succede? Ti ha graffiato?

-Si, ma niente di che.

Piuttosto che ti viene da pensare! È chiaro … che Jun accetta Hikaru, anzi i due hanno un bellissimo rapporto!-

>Questo lo so. Io voglio capire però il rapporto tra voi due. E lo voglio capire perché sono preoccupata per te. Allora?

-Jun … io e lui … siamo semplicemente conoscenti. Lui pensa solo al bene di Hikaru.

Io non gli ho detto nulla, e quando lo ha scoperto … si è giustamente arrabbiato, e io non posso negare le mie responsabilità, né le mie decisione, giuste o sbagliate che sono.

Non gli ho detto una cosa così importante come suo figlio, mi sembra già tanto che mi rivolga anche solo la parola.-

>Non cominciare con questo atteggiamento, lui non è “Santo Jun Misugi da Tokyo a mare”, non è più il ragazzino col cuore malato già da PARECCHIO tempo; e non assumerti colpe così alla leggera, vogliamo parlare della sua “saggia decisione” di lasciarti? Se ci ripenso …

Ah, si, lei era sempre stata la paladina dell’amore.

Yayoi aprì il rubinetto e lasciò scorrere un po’ d’acqua sul dito, per poi chiuderlo e appoggiarsi al bancone.

-Dai Sanae, sono passati cinque anni.-

>Possono passarne anche cento, Yayoi, ma non mi è piaciuto quanto ha fatto. Così come non mi è piaciuto come ti sei comportata tu.

Il sorriso sempre presente della donna si spense, e il volto assunse un’espressione amara; strinse leggermente il cellulare nella mano, e incupì lo sguardo.

-Sai, Sanae, sto seguendo di nuovo le seduta con una psicologa.

Abbiamo parlato di mia madre, però, questa volta, è stato diverso: per quanto io non posso perdonarla di quanto è successo, mi sono accorta … che le assomiglio molto.-

Non sentì l’amica risponderle, e lei si spostò dalla cucina verso il terrazzo, aprendo la tendina per vedere la finestra; sotto di lei, i ciliegi avevano cominciato a fiorire, quel fine settimana l’Hanami sarebbe stato davvero rigoglioso, poteva vedere gli alberi carichi di boccioli.

-Anch’io, come lei, ho paura di perdere il mio amore e di restare sola.-

>Ma tu non sarai mai sola: ci sono io, c’è Hikaru, e sono sicura che ci sono anche le persone che ti sono amiche lì a Tokyo.

-E tuttavia, Sanae, non posso dipendere da te o da gli altri: già una volta ho dipeso la mia vita sui sogni e intenzioni di Jun, e mi sono trasformata in una sua silenziosa ombra, che lo seguiva ovunque andava.

Adesso devo cavarmela da sola. Devo farlo anche per Jun: lui deve preoccuparsi interamente di Hikaru. È suo figlio.-

>Ma tu lo ami ancora, non è vero?

La donna sentì qualcosa sulle sue gambe, e vide Kumo strofinarsi a lei, facendo le fusa; lei si abbassò, accarezzandogli il muso, sentendo quel piccolo corpo vibrare mentre manifestava la sua contentezza.

-Si. Ogni giorno di più, come con Hikaru..

Sentì la donna sbuffare dall’altro capo della cornetta.

>Sei davvero impossibile.

-Beh, tu hai dovuto aspettare molto più di me, ed ora hai tre bambini a cui badare.-

Più il padre. Sentì Sanae fare uno sbuffo divertito, e anche la donna sorrise a suo volta.

>E va bene, per stavolta l’hai vinta tu. Ascoltami invece, cambiando discorso: partirò Giovedì pomeriggio, in modo da arrivare Venerdì in mattinata a Narita.

Yayoi si diresse verso il calendario, appeso al muro accanto alla finestra del terrazzo, e controllò i suoi turni: aveva la notte, e doveva anche pensare a portare e andare a riprendere Hikaru all’asilo. Forse, in quel caso, avrebbe potuto chiedere a Jun …

Ah, no: era a casa da sua madre quel giorno.

>Ci sono problemi?

… forse doveva saltare la seconda seduta con Matilde.

-No, affatto: verrò a prenderti puntuale, come sempre, con Hikaru.-

>Bene, allora ci vediamo.

-Dai un bacio a Ichirou, Hideki e Saki da parte mia. E salutami Tsubasa.-

>Tu dai un abbraccio a Hikaru da parte mia, e digli che gli porterò un bel regalo.

-Ah Sanae! Non viziarmelo così!-

>La zia ha il diritto e dovere di viziare il nipote. Un bacio.

-Ciao.-

Si lasciarono con il sorriso sulle labbra, e la donna chiuse la telefonata sbuffando divertita, notando poi Kumo che ancora era tra le sue gambe, prendendoselo in braccio.

-Forza, ti porto di là, che tra poco devo uscire.-

 

-Aah! Che bello!! È primavera!-

Matilde si stiracchiò la schiena, davanti a lei il suo espresso fumante; Jun, dall’altro lato del tavolo, la osservò sorridendo divertito, tenendo una mano sulla guancia, il gomito appoggiato sul piano.

Erano in pausa pranzo, entrambi oggi avevano il turno lungo, ma si stavano godendo quella mezz’ora di buco alla tavola calda dov’erano soliti andare; sulla vetrata vedevano passarsi davanti la gente, un fiume che scorreva a tratti veloce e in piena, a tratti lento e vuoto.

L’italiana sembrava non voler bere la sua bevanda, guardando con aria assonnata quel via vai, il fumo nella tazzina si sollevava in una scia bianca e profumata; il giapponese, di fronte a lei, ancora non aveva proferito parola, osservandola paziente, e la donna alla fine prese un profondo respiro, rivolgendogli lo sguardo.

-Allora, che c’è? Dubito che sia la primavera ad averti spinto ad offrirmi il pasto e il caffè.-

-Non credi che per una volta tanto voglia fare il buon amico?-

-Con me? Nah, non credo proprio.-

Jun sorrise divertito.

-Almeno ammetti le tue colpe.-

-Colpe? Quali colpe? Io sono la povera vittima innocente qui.-

-Si si, sei credibile quanto può essere italiano quell’espresso.-

-E secondo te perché non lo sto ancora bevendo?-

L’uomo, questa volta, aprì il sorriso e ridacchiò, e Matilde portò le mani sotto il mento, appoggiandosi al piano e squadrando per bene il suo “amico” con i suoi occhi, più verdi del solito.

-Allora? Che c’è?-

Si guardarono negl’occhi per un momento, ma poi lui distolse lo sguardo e unì le mani,stringendo tra di loro le dita, in una posizione di chiaro sbarramento: voleva parlare di un argomento serio ma, come al solito, tendeva a fare il riccio. E a Matilde toccava l’arduo compito di cavargli fuori le parole, avesse avuto una tenaglia vera e propria avrebbe fatto prima.

-Facciamo così: io faccio le domande e tu mi dici solo “si” o “no”. Va bene?-

-Si.-

-Bene, almeno fin qui ci arrivi.-

Lui si morse le labbra per non risponderle e cadere nel suo gioco, e lei gli fece una piccola linguaccia, prima di prendere la sua tazza e arrischiarsi, finalmente, a bersi quella bevanda.

-Riguarda Yayoi?-

-Si.-

Non ne era sorpresa: le aveva offerto il pranzo e il caffè, dubitava fortemente che si trattasse di qualcosa inerente alla madre.

-Qualche problema?-

-No.-

Ma non lo disse con tono particolarmente convinto, pertanto Matilde bloccò a metà quel sorso, scrutandolo per bene: lui continuava ad avere le mani serrate, e lo sguardo adesso andava verso il basso, di solito usato per il senso di colpa o l’imbarazzo.

-Cos’è successo? Qualcosa di brutto?-

-Certo che no!-

Ok, allora era imbarazzo. La cosa stimolò ulteriormente l’interesse dell’italiana, che poggiò la tazzina e si sporse sul tavolo, affilando leggermente lo sguardo e sorridendo con aria malefica; quell’immagine fece pentire di Jun di averle offerto anche il caffè.

-Che hai combinato, mandrillone?-

-Ma che ti viene in mente!-

-Ma stai arrossendo! Allora qualcosa hai combinato!-

-Niente che ti passa per la testa!-

-Perché? Cosa pensi che io pensi?-

-Ah! Lasciamo perdere!-

-Dai su, non prendertela. Accidenti, se sei così sulle spinse è una questione seria!-

Lo vide arrossire, e questo la impressionò non poco: in più di tre anni che lo conosceva non l’aveva mai visto cambiare colore di faccia dal suo solito “affascinante pallore” al “rosso da ragazzino con la prima cotta”. Perché quello ERA un rossore da prima cotta.

-Questa poi …-

Jun si rese conto che gli era aumentata la temperatura corporea, e passò una mano in faccia, rendendosi conto che scottava, e se ne sorprese ancora di più, e guardò la donna davanti a lui; questa osservò gli occhi di lui brillare, e poi spalancarsi di nuovo nel ricordare, e il rosso divenne viola, tanto che la donna a stento trattenne una risata, alzandosi in piedi per chiamare una cameriera.

-Ehi, frena bello, se no finisce che mi svieni!

Mi scusi, può portarmi un coca con ghiaccio? Tanto ghiaccio, grazie.-

La giovane cameriera obbedì, e Matilde si sedette al suo posto, guardando la testa dell’uomo sprofondare tre le braccia; sghignazzando, lei allungò una mano e gli accarezzò la capigliatura, cercando di non ridere mentre parlava.

-Caro mio, sei in un bel guaio.-

-… maledizione.-

-Ti va di continuare la conversazione facendomi i cenni con la testa?-

Lui annuì, e lei trattenne ancora il ridere mentre l’altro respirava a fondo, cercando di calmarsi, sembrava quasi che uscisse vapore da dietro la sua schiena, talmente tanto era arrossito.

-Allora, è successo qualcosa … di interessante tra te e Yayoi. È successo ieri?-

Un cenno positiva della testa. Forse riguardava il compleanno? O magari la cosa era nata da Hikaru? A giudicare però da come ancora non sembrava riprendersi, era stato qualcosa che lo aveva toccato davvero a fondo.

-Dimmi un po’ Jun: da quanto tempo non sei stato più innamorato? Immagino da prima del matrimonio.-

La cameriera arrivò giusto in quel momento, portando un bicchiere bello alto di coca con talmente tanto ghiaccio da sembrare l’iceberg del Titanic; Jun allungò lentamente una mano verso la bevanda, e appena ne sentì la freddezza alzò il capo.

Matilde si mise una mano sulla bocca per non mettersi di nuovo a ridere: non era rosso, era di più, aveva praticamente tutta la parte centrale della faccia, zigomi, naso e orecchie completamente bordeaux, chi si voltava a guardarlo pensava più ad uno sfogo che ad un semplice rossore.

L’uomo non la guardò nemmeno, sentiva come lo stomaco sottosopra mentre portava il bicchiere sul suo naso, sentendolo subito gelare, sospirando di sollievo e spostando il vetro verso le guance, prima di berne un sorso mentre l’italiana sorrideva divertita, facendosi portare via la tazzina vuota.

-E da quanto tempo non arrossisci, eh?-

-Non mi è mai successo: cuore troppo debole, dovevo tenere a bada le emozioni.-

-Bugiardo: tutti arrossiamo, anche quando siamo “deboli di cuore”. Dai, quando è stato? Scommetto che c’era lo zampino di Yayoi anche quella volta.-

E via di nuovo: come quando si butta l’alcol sul fuoco, il rossore di Jun riprese possesso della zona centrale della faccia, e stavolta l’italiana ne rise di gusto, facendo imbarazzare ulteriormente l’uomo, che quasi scattò in piedi, sbattendo il bicchiere sul tavolo e versandosi un po’ di coca sulla mano.

-E dacci un taglio!-

-Scusa, scusa, sei troppo divertente!-

Lui sbuffò, prendendosi un altro sorso, passandosi nuovamente il bicchiere gelido sulla faccia, e lei si calmò, mettendosi più composta sulla sedia, osservandolo quasi con una certa invidia. No, non nei confronti dell’uomo, da di Aoba: lei, a farlo sciogliere così, non c’era mai riuscita, e si che erano usciti spesso e lei era pure psicologa.

-Che invidia.-

-Eh?-

-Niente, pensavo che Yayoi invidierebbe quel rossore, nemmeno i suoi capelli sono così!-

Jun sbuffò lo sguardo, voltandolo da un lato, e questo risvegliò nuovamente la curiosità di Matilde, se evitava lo sguardo su quell’argomento i capelli della donna c’entravano e come!

-No, dai, cos’hai fatto con i suoi capelli?-

-Niente!!-

-E allora perché eviti il mio sguardo? Dai, confessa, oramai non puoi più nasconderti.-

Sospirò, si guardò intorno, bevve un altro sorso, si passò le mani in faccia e sui capelli, e alla fine si arrese all’attacco della psicologa.

-Al primo anno di liceo … lei era solita tenersi i capelli legati, diceva che erano più pratici; però … i miei compagni di classe l’avevano notata quando li aveva sciolti, e cominciarono a fare apprezzamenti.-

“-Ehi, ma davvero conosci Aoba Jun?-

-Dai presentacela!-

-Perché?!-

-Ma come perché?? Ce li hai gli occhi?-

-È così carina!-

-Già, e quando ha i capelli sciolti? Cavolo sembra una straniera!-

-Gia!-”

-Non me n’ero reso conto: fino ad allora era sempre stata una mia cara amica, che conosceva i miei problemi ma mi trattava come tutti gli altri, niente più.

Poi, un giorno, accadde che eravamo rimasti entrambi a scuola fino a tardi: io per gli allenamenti, lei in quanto capoclasse.-

“-Yayoi.-

-Ah Jun, finiti gli allenamenti?-

-Si, e tu hai finito? Torniamo a casa insieme?-

-Si, solo un momento, queste forcine mi cominciano a dare noia.-”

Le tolse una ad una molto velocemente, ma quando alla fine prese l’elastico, facendolo scivolare via dai capelli, Jun vide tutto rallentare di colpo: avevano la fine del tramonto alle spalle, e per un attimo il ragazzo pensò che quei capelli in realtà fossero l’ultimo riverbero del sole. Invece caddero sulle spalle di Yayoi, e la ragazza fece un espressione sollevata che ammazzò definitivamente la ragione del povero Misugi.

Quando alzò lo sguardo su di lui una ciocca carogna si spostò verso un occhio, e la ragazza la sistemò senza pensarci con la punta delle dita. Solo Dio sa cosa pensò Jun in quel momento (persino per me che sono l’autrice è fin troppo Harmony, se mi capite).

E quando ci ripensò, puff! Il rossore arrivò come la prima volta che lo aveva pensato.

Matilde sorrise, nascondendo parte delle labbra tra le dita mentre l’uomo cercava di mantenere il contegno, sorseggiando la sua bevanda; allora, da ragazzino, si era invece beccato lo sguardo stupito di Aoba, che subito corse verso di lui, allarmata.

“-Jun?! Stai male?!-

-… eh?!-

-Sei tutto rosso! Cielo scotti! Non ti sarai sforzato troppo?!-”

 Maledetta, era lei che l’aveva fatto sforzare, altro che!

Comunque Matilde fu soddisfatta della risposta. Però c’era ancora qualcosa che mancava alla conversazione.

-E questa volta? Sono sempre stati i suoi capelli?-

Lui non arrossì più, sembrava che il ricordo, ma soprattutto la bevanda, lo avessero calmato. Però si umettò leggermente le labbra, e subito Matilde ricordò come anche Yayoi, nel pensare all’uomo, avesse compiuto lo stesso gesto senza rendersene conto.

Nel frattempo, l’uomo giocherellò con il bicchiere, ripensando alla mattinata prima, quando aveva fatto la spinosa domanda e la donna gli aveva dato forse la risposta più bella che avesse mai sentita, forse ancora più di quando gli avevano detto che l’operazione era riuscita ed era guarito: suo figlio, infatti, non avrebbe mai avuto bisogno di un’operazione chirurgica. Era sano.

Il ricordo mutò leggermente il suo sguardo, e stavolta Matilde non sorrise, che affilò lo sguardo, anzi era sinceramente sorpresa: per la prima volta, vide nello sguardo di Jun qualcosa di tremendamente … dolce, che scioglieva quelle iridi castane, in un espressione che gli toglieva anni, rendendolo quasi un ragazzino, e al tempo stesso lo rendeva affascinante, un uomo.

-Jun …-

-Yayoi mi ha detto … che Hikaru è sano di cuore. Lui non dovrà mai avere problemi.

Credevo che, dopo il sollievo, lo avrei invidiato; invece … sono ancora così felice che mio figlio crescerà forte.

Mio figlio, non avrei mai creduto che … sarei arrivato a dire una cosa del genere.-

E lei non riusciva a credere che Jun Misugi fosse capace di una tale espressione nel viso, era tale da risultare indescrivibile; e la cosa allarmò leggermente l’italiana, perché sentiva quella sottile invidia crescere ulteriormente, mettendo in serio pericolo il suo ruolo di psicologa di Yayoi.

Pertanto si alzò in piedi di scatto, interrompendo e stupendo l’uomo davanti a lei, che la vide tenere le mani appoggiate al tavolo e restare ferma, con gli occhi bassi, per qualche momento.

-Matilde?-

-… andiamo: è ora di riprendere il turno.-

Si allontanò senza nemmeno aspettarlo, ficcandosi le mani nel camice che si era tenuta addosso, e l’uomo ebbe solo il tempo di lasciare gli spicci per la bevanda, seguendola fuori dal locale e bloccandola con una mano sulla spalla.

-Ehi, che ti prende?!-

-… Jun Misugi, devi fare attenzione: sei un uomo che manifesta troppo vivamente i tuoi sentimenti, positivi e negativi che siano.

Tu non sai fare l’eterno gelido.-

E glielo disse voltandosi verso di lui e facendogli un espressione a metà fra il duro e l’affranto, che lo lasciò senza parole, tanto che la sua mano perse forza, e lasciò andare la donna, che prendendo un profondo respiro riprese la marcia, senza voltarsi indietro.

Languir per una bella

e star lontan da quella,

è il più crudel tormento

che provar possa un cor.

Forse verrà il momento;

ma non lo spero ancor.

-Ah! Buongiorno Matilde!-

La donna guardò Yayoi, e si diede mentalmente della cretina, doveva aver fatto una gran bella figura di *** con l’uomo, quando sapeva perfettamente che quel suo atteggiamento non l’avrebbe portata da nessuna parte: non poteva certo mettersi in competizione con la persona che l’aveva salutata con quel sorriso sulle labbra.

Ricambiò, un po’ imbarazzata.

-Buongiorno a te, come va?-

-Tutto bene? Non mi sembri in forma.-

-No, tranquilla. È solo che non sono abituata a questo tempo, è così sereno.-

-Già, i ciliegi hanno già cominciato a fiorire. A proposito, verrai all’Hanami con me e Hikaru? Volevo invitare anche Kishimoto.-

-… perché no? Possiamo raggiungere gli altri una volta finito con il nostro appuntamento.-

-Ah, senti, a proposito …-

-Yayoi!-

Aoba spostò leggermente lo sguardo, e sorrise leggermente, socchiudendo gli occhi un’espressione contenta. Matilde, nel vederla, prese un profondo respiro, aspettandosi adesso qualche atteggiamento d’imbarazzo da parte dell’uomo, o che lui evitasse il contatto visivo; invece, inaspettatamente, Jun posò un braccio sulla spalla dell’italiana, parlando con aria contenta all’altra donna.

-Buongiorno!-

-A te, avete pranzato?-

-Si, ho offerto io.-

-… già, non ti sembra incredibile? Lui che offre!-

-Ehi!-

E Yayoi sorrise mentre Matilde, con una semplice occhiata, ringraziava silenziosamente Jun, il quale non diede a vedere niente ma si limitò a fare una faccia soddisfatta, per poi incrinare l’espressione e guardare un punto preciso sul corpo della donna davanti a loro.

-Che hai fatto al dito?-

Le due guardarono il punto, e l’italiana effettivamente notò il brutto graffio che c’era sull’indice della giapponese, la quale lo guardò senza starci troppo a pensare, facendo spallucce.

-Ah, niente, è solo Kumo, il nostro gatto.-

-Gatto? Hai un gatto?-

-Si, me l’ha regalato Hikaru.-

-… te l’ha regalato?-

Aoba, alla confusione di Misugi, sorrise divertita, e si spiegò mentre Matilde osservava la scena dal suo punto di vista, con ancora il braccio dell’uomo sulla sua spalla.

Lei aveva avuto diverse relazioni, persino il grande amore; ma una volta che lui se n’era andato, l’italiana aveva proseguito per la sua strada, senza più starci a pensare. Invece in quel momento, sembrava che attorno a lei non ci fossero un uomo e una donna con trent’anni e un figlio: le sembrava, al contrario, di essere di colpo tornata al liceo.

Jun era un suo compagno di classe, con la giacca slacciata e la camicia in bella mostra, la cartella tenuta dietro la schiena; Yayoi, davanti a lei, aveva l’uniforme alla marinara, con la gonna a pieghe e il fiocco rosso, e teneva i capelli legati in due trecce.

E attorno a loro era primavera.

-Dunque il gatto è tuo?-

-Beh, è un suo regalo dopotutto.-

-Quel bimbo è davvero incredibile.-

-Già.-

Le piaceva davvero tanto quell’atmosfera, però vedeva, anzi avvertiva bene un’altra cosa: l’uomo, dietro di lei, stava “scalpitando” nei confronti della ex-moglie; probabilmente aveva qualche cosa di urgente da dirle, perché il braccio sulla sua spalla spingeva leggermente.

Sorrise leggermente, era la classica situazione dove il compare doveva dare la “spintarella” per aiutare l’amico con la ragazza carina. E sia!

-Beh signori, non so voi ma io sto facendo aspettare un paziente. Jun, dato che hai tempo da perdere, che ne dici di aiutare Aoba-san e di mettere un cerotto su quel dito? Sempre che tu lo sappia fare …-

-Sempre gentile lei, eh?-

-Ci vediamo, Yayoi.-

-A più tardi, Matilde.-

-E a me non mi saluti?-

-Perché mai? Tanto verrò a romperti le scatole appena mi sarò possibile.-

-E ti pareva. Prima o poi metterò un chiavistello su quella porta.-

-No non lo farai. Tu mi adori.-

E così dicendo la dottoressa partì, limitandosi a fare un cenno con la mano ai due, dirigendosi al suo ufficio decisa, quel giorno, a non vedere più l’uomo: sarebbe stata di troppo.

Quando videro l’italiana allontanarsi, i due rimasero qualche momento in silenzio, anche perché l’uomo si sentì leggermente a disagio: ancora non aveva dimenticato com’era arrossito fino a cinque minuti prima dentro al locale, e proprio per quella donna che, di sicuro, non se ne rendeva conto.

Fu proprio lei, infatti, a prendere la parola.

-È … una donna forte.-

-Già, ed è anche una gran rompiscatole. Ma ha ragione: andiamo a controllare quel graffio.-

-Ma no, davvero non ce n’è bisogno, e poi Kumo è stato vaccinato.-

-La prudenza non è mai troppa, quando hai fatto il richiamo?-

-Ehm … non ricordo.-

-Appunto, dai vieni.-

La donna fu obbligata a seguirlo, le fu lasciato solo il tempo di mettere la borsa nel suo armadietto e d’indossare l’uniforme, seguendo subito dopo il medico al piano di sopra; Jun entrò nello stesso sgabuzzino dove lei, solitamente, si nascondeva proprio da lui, e ripensarci ora, mentre lo guardava cercare l’indispensabile, la fece ridacchiare leggermente, attirando su di sé l’attenzione.

-Che c’è?-

-Ah no, niente.-

-Dai, vieni in ufficio da me.-

Chiuse la porta, e già quando sentì il rumore Yayoi si sentì leggermente sulle spine: l’ultima volta che era entrata in quell’ufficio, beh … la situazione era stata parecchio spinosa. Tornarci adesso le dava ancora quella leggera sensazione di disagio, ed osservò i movimenti dell’uomo.

Questo la invitò a sedersi sulla sua poltrona dietro la scrivania, ma la donna preferì restare appoggiata al tavolo, e l’uomo preparò il disinfettante e il cerotto, offrendole poi la mano; Yayoi l’accettò in silenzio, e sentì chiaramente, sulla pelle, l’alcol bruciare leggermente.

-Certo che il piccoletto ha delle belle unghie, eh?-

-Già, ha già quasi distrutto il cuscino che Hikaru gli aveva ceduto. Bisogna comprargli qualcosa a riguardo, compreso un altro cuscino.-

-So che alla fine di questa strada c’è un buon negozio di animali. Se vuoi dopo ti accompagno.-

-… davvero?-

Lui alzò lo sguardo, e vide che anche la donna era sorpresa quanto lui dell’affermazione; distolse immediatamente gli occhi, aveva paura di arrossire troppo per l’ennesima volta, prendendo invece il cerotto.

-Beh, sempre che tu lo voglia ovviamente.-

-Ah si, mi piacerebbe.-

-Davvero?-

Le stava per mettere il cerotto quando sentì quella frase, e la guardò stupito; questa volta fu lei a distogliere lo sguardo per prima, sentendo chiaramente la faccia iniziare già ad accaldarsi. Eh no, arrossire non era proprio il caso!

Imbarazzati, leggermente arrossiti, riuscirono a sistemare bene il cerotto al terzo tentativo: ogni volta che le loro mani si sfioravano, infatti, era sempre un passo indietro per entrambi, e ogni volta la donna cozzava contro la scrivania, diventata di colpo una tremenda barriera.

L’uomo era così vicino a lei in quei momenti, poteva sentire perfettamente il suo profumo; d’altro canto, lei ancora non si era acconciata i capelli, pertanto alcune ciocche inevitabilmente accarezzavano la mano o il braccio di Jun, distraendolo e facendogli venire voglia di passarci le dita.

Si appellò a tutta la sua forza per fare per bene l’iniezione, fortunatamente Yayoi era una brava paziente, ma appena sentì l’ago dentro la carne non poté evitare di guardare altrove, incuriosendo e facendo sorridere Misugi.

-Sei un infermiera e non ti piacciono gli aghi?-

-Di sicuro non mi piace farmi fare le iniezioni, non sono piacevoli.-

-Non dirlo a me.

Invece, Hikaru ha già fatto i richiami?-

-Ancora no, purtroppo da mio padre non c’è stata l’occasione, il dottore abitava troppo lontano e dovevamo usare i mezzi pubblici.-

-Hai vissuto da tuo padre? E la vecchia casa?-

-… l’ho venduta: non riuscivo più a pagare il mutuo.-

Appena lui le lasciò il braccio, Yayoi si allontanò, tenendo premuto il cotone sul punto dove era stato l’ago. Jun, invece, la guardava stupito: aveva avuto problemi di soldi? Era andata a vivere con suo padre? Quante cose di lei non sapeva?

-… senti, Yayoi.-

Lei si voltò a guardarlo, e gli vide in volto un’espressione tremendamente seria, che la bloccò leggermente; lui, intanto, buttava via la siringa e la piccola boccetta di anti-tetano, cercando le parole giuste.

-Quando … quando ce ne sarà l’occasione … vorrei che tu mi parlassi di questi cinque anni: voglio sapere tutto quello che tu e Hikaru avete passato.

… sono suo padre dopotutto, anche se non lo sa.-

Avrebbe voluto dirle “sono il tuo ex-marito”, ma pensare al divorzio adesso lo amareggiava tremendamente, e temeva che lei gli rinfacciasse qualcosa.

Dal suo punto di vista, Yayoi ne rimase colpita, e si ricordò ancora una volta di Sanae, della sua insistenza a convincerla a chiamarlo in quei momenti, quando i soldi diventavano sempre meno ed era necessario, per lei, cercare posto altrove con il bimbo a carico.

Non gli aveva permesso di aiutarla in quel momento così delicato, lei stessa aveva sbarrato ogni possibilità all’uomo.

Si, era un suo diritto.

Era il padre di Hikaru.

E Hikaru.

-Lo sa. Gliel’ho detto.-

Lui alzò lo sguardo sconvolto verso quella donna, e lei cercò di sorridere, anche se era leggermente imbarazzata, rendendosi conto che non era effettivamente quello il modo in cui avrebbe voluto dirglielo: le sarebbe piaciuto averglielo detto subito, con entusiasmo, fuori dalla clinica, ma la presenza di Matilde aveva reso la situazione un po’ più complicata.

Se non glielo avesse detto subito, di sicuro avrebbe lasciato correre, un po’ come aveva fatto fino a quel momento con Hikaru, e questo non se lo sarebbe mai perdonata; perciò Yayoi prese un respiro, alzò la testa, guardò l’uomo dritto negl’occhi e, con aria tranquilla, si ripeté.

-Gliel’ho detto. Ieri.-

L’uomo ancora era sconvolto, bloccato dalla sorpresa: di colpo le cose si erano come messe a correre, come una valanga, uno tsunami, e da dottore ex-giocatore di calcio divorziato si era ritrovato dottore che lavorava con la sua ex-moglie e padre di un figlio che, adesso, sapeva che lui era il suo genitore!

Lentamente l’uomo andò a sedersi, e la donna ne approfittò per avvicinarsi alla scrivania, restando però questa volta dall’alto lato, il legno laccato li separava.

Jun si passò una mano fra i capelli, ancora intontito, e poi glielo chiese.

-E lui? Come l’ha presa?-

A quel punto la donna ricordò la gioia di Hikaru, e sorrise.

-Beh, posso assicurarti che, dalla felicità, non la finiva più di correre per casa. Sarebbe perfino andato dai vicini a dirlo se non fosse che è un bambino educato.-

Era contento. Suo figlio era contento che lui fosse suo padre.

Yayoi vide l’uomo passarsi una mano in faccia e tenerla, per coprirsi gli occhi, e si limitò a sorridere intenerita, decisa a quel punto di allontanarsi, tanto quello che doveva fare l’aveva fatto. Ma poté fare solo tre passi, che l’uomo la bloccò.

-Tu … possibile che tu riesca sempre a rendermi felice?-

Contenta quest'alma

in mezzo alle pene

sol trova la calma

pensando al suo bene,

che sempre costante

si serba in amor.

Out of the blue. È un’espressione inglese con cui s’indica una cosa che “esce dal nulla”, inaspettata.

Ebbene, proprio come una cosa che non si aspetta, nessuno dei due seppe come reagire a quella frase: Yayoi, era bloccata, aveva la porta a tre passi da lei, ma non riusciva a muovere un singolo muscolo delle gambe, le mano lasciare scappare via il cotone dal braccio, rivelando il segno della puntura.

Jun, dal canto suo, si portò una mano alla bocca, stralunato, e rimase bloccato sulla sua sedia, fermo immobile come fatto di gesso.

Ed entrambi arrossirono così tanto che, davvero, uno dei due rischiò di svenire.

Aoba, alla fine, solo perché non riusciva a sopportare il silenzio e l’imbarazzo di farsi vedere così rossa, riuscì a muoversi come un robot, aprire e chiudere la porta alle sue spalle; quando fu fuori dall’ufficio, schizzò via come un razzo, cercando riparo proprio nello stesso ripostiglio dove si era fermata con l’uomo dieci minuti prima.

Il suo cuore, tra poco, le sarebbe uscito dal seno. La situazione si era fatta … confusa per lei.

Misugi, quando la vide allontanarsi, avrebbe voluto dirle di fermarsi, che quello che aveva detto era stato uno sbaglio, una cosa senza senso, ma non appena riuscì ad alzarsi in piedi lei era giù fuori dal suo studio; a quel punto si accasciò sulla poltroncina come un sacco di patate, e si passò le mani fra i capelli, spettinandoli mentre mugugnava dandosi del perfetto idiota.

Quando si calmò, aveva in volta un’espressione un po’ sofferente: non ci stava capendo più niente.

Ed entrambi si chiesero.

“E adesso? Cosa faccio?? Sono … troppo felice …”

 

Shichi-Go-San: è il tradizionale rito di passaggio dove i bimbi a tre, cinque e sette anni, il 15 Novembre, vengono festeggiati affinché abbiano buona salute e lunga vita.

 

**

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Capitolo 15
*** Duetto: Tristan Und Isolde ***


Duetto:

Tristan und Isolde

(Prima Parte)

 

Nei giorni a seguire gl’incontri tra Jun e Yayoi erano al pari di una bibita frizzante bevuta in una torrida giornata di Agosto: c’era sempre, da parte di entrambi, uno stato di leggero imbarazzo, che scatenava però l’entusiasmo a parlarsi ed a incontrarsi, arrivando in alcune occasioni a dimenticarsi che erano in servizio nella clinica, spingendo il primario, il dottor Guffred, a riprenderli piuttosto severamente.

-Questa clinica è una delle più stimate ed importanti non solo della capitale, ma dell’intero Giappone; e abbiamo un dovere nei confronti dei nostri pazienti, quello di essere completamente a loro disposizione, sempre.

Con questo non le voglio impedire di avere relazioni “amichevoli” con gli altri colleghi, ma vorrei che, durante il suo turno, non dimenticasse che lei è qui principalmente per occuparsi della salute dei pazienti, e di fare in modo che possano uscire da questa clinica sulle loro gambe.

Non si dimentichi che opera nel reparto più importante e delicato. Sono stato chiaro?-

-Si dottor Guffred.-

-Bene. Può andare ora.-

E Aoba uscì dall’ufficio, trattenendo a fatica un sospiro, buttandolo fuori solo quando era certa che la porta dietro di lei fosse chiusa e che si fosse allontanata a sufficienza.

Alzò lo sguardo, e rimase sorpresa nel vedere chi la stava aspettando, appoggiato al muro.

-Seiji-kun.-

-Ehi, com’è andata?-

-Sono stata sgridata.-

-Che ti prende? È da un po’ di tempo che hai la testa per le nuvole. Problemi con Hikaru?-

-No, assolutamente. È solo che sono stata distratta.-

-Wow, la super seriosa e professionale Ya-chan distratta, questa è una novità!-

Jun, nello stesso momento, si stava dirigendo verso l’ufficio del dottor Guffred: aveva saputo che Yayoi era stata richiamata, e siccome anche lui era stato sgridato si sentiva responsabile della situazione, e voleva andare a vedere e a parlare con la sua … amica.

Si oramai poteva dire, con franchezza, che erano di nuovo amici.

Certo, quello che gli era scappato da dire qualche giorno prima ancora tornava nella sua testa, imbarazzandolo ogni volta che incrociava gli occhi scuri di Yayoi; però, al tempo stesso, non poteva proprio fare a meno di chiamarla se la incrociava nei corridoi, di chiacchierarci ogni volta che se ne presentava l’occasione, insomma di ricominciare a conoscerla.

Con quel pensiero fece gli ultimi scalini due a due, impaziente d’incontrarla, sentendo oltretutto venire verso di lui proprio la voce della donna; la seconda voce che rispondeva, tuttavia, lo bloccò all’istante: era un uomo, e c’era un solo uomo, in tutta la clinica, che quando la chiamava diceva …

-Sai, Ya-chan, ieri abbiamo provato quel nuovo ristorante coreano proprio vicino a casa tua.-

-Davvero? E com’era? Mi piacerebbe far provare ad Hikaru la cucina.-

-Uh, piano, temo che sia ancora piccolo per quel piccante.-

-Dipende dai piatti, scommetto che voi ragazzi ci siete andati pesante!-

-Beh, c’è stato un momento in cui credevo di far diventare biondo Kichiro.-

E Jun sentì la donna ridere, sempre più vicina a lui, tanto che quando i due girarono verso la scalinata, a momento lei sbatteva contro l’uomo.

-Jun!-

-Ehi, Yayoi. Kishimoto.-

-Buongiorno Misugi-sempai.-

La donna subito accigliò leggermente lo sguardo, preoccupata.

-Come mai da queste parti? … non mi dire che il dottor Guffred ti ha richiamato di nuovo?!-

-No, tranquilla.-

Avrebbe voluto dirle il motivo molto tranquillamente ma l’altra presenza maschile, e soprattutto il modo in cui si rivolgeva alla donna, lo portò a crearsi una scusa in meno di cinque secondi, appoggiandosi “casualmente” al corrimano in legno della scala.

-… volevo discutere di un caso di un mio paziente con il dottor Guffred.

E tu? Che ci fai qui?-

Yayoi a quella domanda, s’imbarazzò leggermente, al contrario del suo ex-marito non riusciva ad inventarsi scuse in meno di cinque secondi, pertanto fece spallucce e disse la verità nuda e cruda.

-Diciamo che ho preso una lavata di capo dal dottor Guffred.-

-Già, chissà come mai poi, solitamente Ya-chan è un’ottima infermiera.-

Se avesse potuto, Jun avrebbe alzato gli occhi al cielo in un’espressione a metà fra l’annoiato e l’infastidito: Kishimoto aveva usato la classica tattica di mettere, in una sola frase, una frecciatina a uno dei due ascoltatori e un complimento tutto infiocchettato all’altro, per mettere in chiaro le sue intenzioni nei confronti di Misugi.

Tuttavia Aoba non era più la “bella principessina”, e di fronte al commento del giovane uomo si limito ad un sorriso grato, prendendo la parola.

-Il dottor Guffred mi ha giustamente fatto notare che ultimamente non sono stata presente nei confronti dei miei pazienti, e per il reparto pediatrico, appena nato in questa clinica, non è proprio il caso, non credi?-

Nonostante rivolgesse la parola a Misugi sembrò aver preso le orecchie di entrambi con la punta delle dita, tirandole con la stessa forza di un bue; li zittì in men che non si dica, e stavolta sì che Jun avvertì i sensi di colpa per la situazione che aveva creato.

-… mi dispiace.-

La donna gli rivolse i suoi occhi scuri, sorpresa di sentirgli dire una frase del genere: lui, proprio perché era sempre stato considerato un leader, un “principe”, era molto orgoglioso, e quando aveva la responsabilità di qualcosa l’accettava, ma era difficile sentirgli effettivamente dire parole come “è colpa mia”, “scusami” e simili.

Osservò quegl’occhi castani, e si rese conto di quanto fosse sincero; sorrise, e scosse leggermente la testa.

-È anche colpa mia. Starò più attenta.-

E cominciò a scendere le scale.

Ma a sentire quelle parole l’uomo non si sentì soddisfatto: che intendeva dire con “più attenta”? Voleva dire che avrebbe di nuovo messo distanza tra lei e lui? Ah no, questo lui non l’avrebbe certo permesso!

-Ehi senti.-

-Si?-

Aveva sceso già i primi cinque scalini, Seiji l’affiancava.

-A che ora stacchi oggi?-

-Finisco il turno all’una.-

-Allora … ti posso offrire qualcosa? Così … andiamo a prendere Hikaru insieme all’asilo.-

Yayoi sentì la sua testa esplodere come in quei giochi da fiera, dove quando raggiungevi il punteggio più alto usciva la scritta “Jackpot”, s’illuminavano tutte le luci e suonava una campanella.

Avrebbe voluto saltare di gioia, ma era sulle scale e rischiava di capitombolare, pertanto fece solo una faccia esterrefatta, con le guance che s’arrossavano leggermente.

-Davvero verresti?-

Jun sentì che, ancora una volta, era in imbarazzo, e si portò una mano sul fianco, per darsi un contegno; tuttavia l’altra mano non ebbe la minima idea di dove andarsi a mettere, e per tanto girovagò nell’aria, sul corrimano, alla base del collo, un po’ dappertutto insomma.

-Certo, perché no?-

-Allora va bene. Ci vediamo all’una fuori dagli spogliatoi, va bene?-

-Si, va bene.-

-Bene. Buona giornata Jun.-

-Altrettanto, altrettanto.-

E la vide dargli le spalle e scendere le scale, con Seiji che lanciava una chiara occhiata infastidita, di cui lui non se ne curò minimamente, restando però bloccato sulla cima della scalinata: non poteva certo scendere in quel momento e far scoprire alla donna la sua balla, no?

Quando l’uomo scomparve dietro la scalinata, Kishimoto parlò alla donna, mantenendo un tono di voce basso per non farsi sentire dal “rivale”.

-Vuoi davvero che ti accompagni? Di solito preferisci andare da sola a prendere Hikaru.-

-Sono convinta che Hikaru farà i salti di gioia. Dopotutto, non vedeva l’ora di rivedere il suo amico … specialmente adesso che gli ho detto che è suo padre.-

Sentì l’uomo fermarsi, e si rese subito conto che lui non sapeva effettivamente niente di quella storia, e che aveva sganciato la bomba con fin troppa tranquillità; sentì la schiena irrigidirsi leggermente, e una sensazione di disagio le crebbe nella pancia. Si girò molto lentamente, e gli vide un’espressione sconvolta in faccia.

-Lui … lui è il tuo ex-marito?-

-Si.

… Seiji, mi dispiace non avertelo detto prima, e solo … non mi aspettavo che le cose sarebbero andate in questo modo.-

-In che senso?-

-Beh, sai, non ci sentivamo da cinque anni, e poi c’era la questione di Hikaru.

Invece … credo che le cose stiano prendendo la giusta piega.-

-Hai intenzione quindi di tornare con lui?-

La donna bloccò la sua camminata, si stava dirigendo verso il reparto di pediatria con affianco l’uomo.

Tornare insieme? Possibile?

No, non era fattibile: troppo tempo era passato uno lontana dall’altra, c’erano troppi problemi non risolti in mezzo, senza contare la questione del bambino in cui lei non gli aveva detto niente, e lui non poteva fidarsi, e ne aveva il diritto.

Era stata decisamente troppo debole, e provare a ricostruire adesso un rapporto era … era impossibile.

-A me basta che sia presente per Hikaru, tutto qui.

Ci sono stati … non pochi problemi, di cui sono in parte responsabile, e ora come ora è tardi per provare a sistemarli.-

-Ma tu provi qualcosa per lui, no?-

-… si.-

A quel punto Seiji si mise davanti alla donna, e la guardò molto seriamente, impedendole di passare.

Yayoi lo guardò, prendendo un profondo respiro e cercando di essere il più gentile ma diretta possibile.

-Senti Seiji, so che non ti sono indifferente, e ne sono lusingata, perché sei davvero un uomo in gamba; ma per me c’è solo Hikaru, lui è la mia priorità.

E poi … non ho voglia d’innamorarmi di nuovo.-

Ma nel dire questa frase, Yayoi Aoba non era per niente convinta; tuttavia lo disse ad alta voce, quasi ad imporselo, come un memento.

Guardandola, Seiji prese un profondo respiro, passandosi una mano tra i capelli.

-Speravo di non essere rifiutato senza neanche avere avuto un appuntamento, però sei sempre stata così diretta tu.-

Sorrideva, ma si vedeva che stava raccogliendo i cocci, e la donna capì di non poter fare nient’altro che allontanarsi, e facendo un piccolo cenno del capo superò il giovane uomo e si diresse al suo reparto, cercando di concentrarsi il più possibile sui suoi pazienti.

Tuttavia le parole di Seiji non erano andate a vuoto: senza rendersene conto, la donna aveva ricominciato ad avvicinarsi troppo a quell’uomo, e come una falena alla lampada rischiava di rimanere bruciata un’altra volta. Anche perché sapeva, era sicura, che sarebbe finita come prima: lei sarebbe diventata un’ombra, ancora una volta, di quell’uomo, e non poteva permetterlo, non con la presenza di Hikaru.

Prima di ogni altra cosa era madre. E prima di ogni altra cosa, Jun era padre.

Un rapporto genitoriale, con entrambi concentrati a dare al bambino una vita il più felice e serena possibile. Tutto il resto … doveva passare in secondo piano.

“-Tu … possibile che tu riesca sempre a rendermi felice?-”

Adesso, quel vedersi all’una, la stava mettendo sulle spine.

Ma forse Jun era molto più nervoso di lei: guardò costantemente l’orologio sulla sua scrivania, inizialmente ogni mezz’ora, poi ogni dieci minuti, e poi ogni cinque, fino a quando non vide quella dannata stanghetta dei secondi far scoccare la fine del suo turno; a quel punto prese un profondo respiro, come se fino a quel momento fosse stato in apnea, e si alzò dal suo posto.

E proprio in quel momento, il cellulare cominciò ad agitarsi e ad illuminarsi sul suo tavolo.

“Madre”.

Ma come faceva, ogni volta? Era sempre così poi: ogni volta che c’era qualcosa d’importante, ecco che arrivava la sua diabolica presenza! Non si sarebbe stupito se, in realtà, sua madre avesse messo delle cimici all’interno del suo studio o nei suoi stessi vestiti!

Prese il cellulare con molto fastidio, pronto a chiudere la telefonata il più velocemente possibile.

-Pronto? Mamma?-

>Ehi tesoro! Come stai?

-Tutto bene, scusa ma ora devo scappare.-

>Solo un momento, hai poi deciso se vieni o no all’Hanami?

Sospirò pesantemente, voleva chiudere in fretta la telefonata ma lei non sembrava del suo stesso parere; prese le sue cose e uscì dalla stanza, cominciando a correre giù per le scale, sperando che Yayoi non lo stesse aspettando come sua abitudine, era sempre così maledettamente puntuale!

-Si, si vengo.-

>Che meraviglia!! Ero così preoccupata che mi dicessi di no!

L’uomo fece una faccia a dire “non ci credo nemmeno un pochino”, e arrivò alla fine delle scale quasi saltando gli ultimi tre gradini, dirigendosi frettolosamente allo spogliatoio, guardandovi all’interno e trattenendo a fatica il fastidio: era già pronta.

Si tolse di fretta il camice, tenendo quasi a fatica il cellulare sul suo orecchio.

>Allora, noi l’appuntamento con loro c’è l’abbiamo alle due, pertanto cerca di venire per pranzo, così mangiamo insieme, va bene?

-Si, ho capito, verrò per l’una.-

>Oh cielo no! Per mezzogiorno come minimo!

L’uomo alzò gli occhi al cielo, quasi buttando il camice dentro il suo armadietto e sbattendo la porta poco elegantemente, recuperando con l’unico braccio libero le sue cose e uscendo dallo spogliatoio.

-Va bene, a mezzogiorno.-

>Tutto bene tesoro? Ti sento nervoso, qualcosa non va?

È la tua telefonata che non va!

Ma non lo disse, perché gli bastò vedere Aoba, che parlava con Matilde, e subito la sua ansia e il suo nervoso si diressero verso altre direzioni.

La psicologa vide subito l’amico, e l’altra donna ne seguì lo sguardo, restando qualche momento ferma a guardarlo.

Aveva i capelli rossi sciolti lungo le spalle, solo due fermagli ai lati della testa a rivelare quel volto dagl’occhi scuri. Quella pettinatura gli ricordava tanto quando lei lo incrociava al liceo, nei corridoi.

Il tempo l’aveva resa solo più affascinante.

-No, mamma. Va tutto bene.-

>Bene, allora ti lascio. Un bacio tesoro.

-Un … bacio.-

La fretta di prima scomparve, e respirando a fondo l’uomo cominciò a camminare, raggiungendo la donna mentre la psicologa si allontanava, scambiando un veloce occhiolino con l’uomo; lui si sentì preso in giro, ma non appena fu di fronte alla ex-moglie si dimenticò anche di quello, sorridendo con aria contenta.

-Eccomi, scusa l’attesa.-

-No, figurati. Vogliamo andare?-

-Certo!-

TRISTANO

(entra precipitosamente)

Isolda! Cara!

 

ISOLDA

(balzandogli incontro)

Tristano! Caro! 

 

ISOLDA

Sei tu mio?

 

TRISTANO

Ti ho nuovamente?

 

ISOLDA

Ti posso abbracciare? 

 

TRISTANO

Posso credere a me stesso? 

 

ISOLDA

Finalmente! Finalmente! 

Inizialmente, tra i due, non volò nemmeno una mosca: era come se tutte le cose che volevano sempre dirsi e scambiarsi fossero improvvisamente scomparse. Come se, cinque minuti prima di uscire dalla clinica, fosse stato fatto loro il lavaggio del cervello, per cui si trattavano come due estranei. E non solo per l’imbarazzo.

Da una parte c’era Yayoi, che stringeva spasmodicamente la borsa mentre rivedeva, a raffica, una serie d’immagini confuse di varia natura: vedeva la sua adolescenza, la sua amicizia con l’uomo e tutti i momenti felici, compresi la sua guarigione e le sue vittorie, ma anche il loro fidanzamento, i momenti passati insiemi, fino al loro matrimonio.

Ma dopo vedeva, chiaramente e con velocità doppia, tutti i problemi, i silenzi, le difficoltà incontrate, i momenti passati ognuno in stanze diverse, prima e dopo il matrimonio; e di colpo sembravano essere molti di più questi istanti dei momenti felici. Senza contare il divorzio, e il primo periodo in cui lei era incinta.

Qualche breve frase scambiata con Kishimoto e di colpo … tutte quelle frizzanti sensazioni si erano dissipate nell’aria, proprio come una bibita sgasata, lasciando solo il sapore troppo dolciastro, che ti lasciava poi nella bocca l’amarezza. E per la donna era la stessa cosa: dopo il primo entusiasmo di un riavvicinamento, si era di nuovo ricordata della pesante realtà che c’era fra di loro.

Una differenza di cinque anni, dove due vite erano mutate profondamente, e dove il passato non poteva più aiutare.

E con questa massa di pensieri la donna camminava affianco all’uomo, tenendo lo sguardo verso terra; Jun, dal canto suo, notata perfettamente il silenzio e il volto della donna, ma credeva che, proprio come lui, fosse imbarazzata per quella situazione: insomma, dopo cinque anni eccoli lì di nuovo, uno vicino all’altra.

Però, mentre la guardava, l’uomo si ricordava bene l’ultima conversazione avuta insieme, e soprattutto la storia che lei aveva venduto la casa, che aveva avuto problemi finanziari, che si era perfino trasferita a casa del padre.

Voleva capire meglio, voleva sapere di più. E spinto da quella curiosità, alla fine l’uomo riuscì a prendere la parola, guidando la donna verso una caffetteria che non era lontanissima dall’asilo di Hikaru, dove l’ultima volta aveva proprio preso il gelato con il bambino.

-Senti, Yayoi …-

La donna non gli rispose subito, e lui si voltò a guardarla, notando che era ancora persa nei suoi pensieri, tanto che si sporse a guardarla.

-Ehi, Yayoi?-

Richiamata, lei si voltò, e si trovò gli occhi di Jun così vicini che quasi le mancò il fiato; lui, intanto, l’aveva fatta fermare, e la gente passava intorno a loro incurante della scena.

-Tutto bene? Che c’è?-

-Ah, ecco, io …-

Non aveva la minima idea di cosa potergli dire, pertanto scosse il capo, sforzandosi di sorridere.

-Scusami, ero sovrappensiero. Dicevi?-

L’uomo non fu convinto, ma ripensando a quello che le voleva chiedere rinunciò ad indagare ulteriormente, invitandola nuovamente a riprendere il cammino, oramai non mancava molto, si poteva già vedere in lontananza l’insegna della caffetteria.

-Vorrei che tu mi raccontassi … cos’hai fatto in questi ultimi cinque anni.-

Lei alzò lo sguardo a guardarlo, sorpresa. Lui aveva l’aria tranquilla, e una volta giunti alla caffetteria le aprì la porta, invitandola ad entrare dentro, lasciandole scegliere il tavolo; Yayoi ne trovò uno un po’ più appartato, verso il fondo della sala, distante dalla vetrata ma ben illuminato.

Si accomodarono mentre la cameriera porgeva loro i menù, e la donna lo aprì, prendendo un profondo respiro, alzando lo sguardo verso l’uomo davanti a lei, che pareva attendere paziente mentre leggeva.

In verità stava smaniando di sapere, un minuto in più di silenzio da parte della donna aumentava il suo nervosismo; pertanto strinse quel menù rischiando di spaccarlo.

Lentamente, Yayoi posò il foglio plastificato davanti a lei, “lisciando” la pagina con le mani per cercare di calmare il nervoso, fino ad avere la forza per alzare lo sguardo e domandare a Jun, seduto di fronte a lei.

-Da dove vuoi che cominci?-

Misugi sembrò pensarci un momento, ma sapeva già come rispondere.

-L’ultima volta che ci siamo visti … eravamo dall’avvocato. Dopo cos’hai fatto?-

-Ho continuato a lavorare fino … fino al quinto mese, poi ho dovuto lasciare ed entrare in maternità.-

-Già dal quinto mese?-

-Si, beh … anche se avessi continuato a lavorare i soldi non sarebbero stati sufficienti, e nel trasferirmi da Mamoru sarei stata troppo lontana; pertanto ho preso la maternità in anticipo, anche per avere tempo di svuotare la casa.-

Jun ricordò bene che, dopo tre mesi dal divorzio, aveva ricevuto dalla donna gli scatoloni con le sue cose; e tuttavia, ancora adesso aveva quelle scatole abbandonate in un angolo della sua camera, alcune aperte e altre ancora chiuse con lo scotch.

-Eri … eri davvero in così grave condizioni?-

La cameriera passò a prendere gli ordini, e i due si presero qualcosa senza starci a pensare, proseguendo il discorso.

-Non dicendoti nulla mi sono presa interamente le spese mediche della gravidanza e del trasloco, pertanto quando fu tutto pronto mi rimase ben poco.-

-Ma se non sbaglio poi sei tornata a Tokyo, no?-

Yayoi annuì, accogliendo il suo the freddo con un sorriso mentre Jun a malapena notò il caffè; la donna giocherellò con la cannuccia.

-Passai i tre mesi successivi a trovarmi un posto meno costoso e un incarico adatto per le mie condizioni, e appena potei lasciai di nuovo la casa paterna.-

-La tua … la tua famiglia ti ha dato problemi?-

La donna alzò lo sguardo verso l’uomo, e sentì che oramai non era più possibile nascondergli tutti suoi segreti; tuttavia fece molta fatica a rispondere a quella domanda, prendendosi un sorso di the freddo e stringendosi le dita con forza, fino a far diventare bianche le nocche.

-Loro … mi hanno mostrato una pietà insopportabile: non facevano altro che vedere in me … mia madre. Pertanto, appena ho potuto, me ne sono andata.-

Sua madre. Jun non sapeva niente della signora Aoba, sapeva solo che era morta molto tempo prima; altre domande cominciarono a sopraggiungere, ma l’uomo le frenò immediatamente, stringendo il pugno sotto al tavolo, lanciando uno sguardo anche all’orologio sopra di loro: non c’era il tempo per questo, e la priorità era la donna e Hikaru.

Poi, un giorno, avrebbe chiesto anche della signora Aoba.

Adesso veniva la questione più “fastidiosa”.

-Come … come hai conosciuto Kishida?-

E Kishimoto.

La donna alzò lo sguardo, stupita di quella domanda, ma lo vide guardare altrove, con una mano che gli copriva parte del volto, in un chiaro segno di disagio, e quell’atteggiamento lei sapeva bene cosa poteva significare; ma se da una parte era divertita da quella gelosia, dall’altra si sentì piegare nuovamente dai pensieri cupi di prima.

Scacciò il tutto scuotendo leggermente la chioma, potando qualche ciocca indietro.

-Ho ricominciato a lavorare all’Ospedale Centrale, al reparto pediatria, e lì ho conosciuto Kishimoto che faceva il tirocinio; tramite lui ho conosciuto Kishida.-

-Dunque ci sei uscita insieme?-

Aveva un tono di voce secco, lo sguardo ancora infastidito rivolto altrove, e la donna poté solo sospirare paziente, tenendo le mani sul tavolo, che accarezzavano e toccavano il bicchiere di the freddo.

-Solo come amica, Jun.-

-E ci sei solo amica anche adesso?-

-Ma certo: ti ricordo che io ho Hikaru con me.-

-Che c’entra? Potevi comunque cercarti un altro, no?-

A quella sottile insinuazione lei strinse i pugni e li sbatté leggermente sul tavolo, attirando gli occhi di Jun. Notò Yayoi incupirsi leggermente, lanciandogli uno sguardo che sapeva di fiele, aspra fiele.

-… non voglio nessun per Hikaru se non suo padre. Solo suo padre.-

E strinse i denti per non lasciare il suo cuore confessare oltre, ma già quelle parole furono sufficiente per Misugi, che si sentì in colpa e spense subito quello sciocco fastidio, rivolgendosi direttamente alla donna, posando anche lui le mani sul tavolo, talmente vicine a quelle della donna che gli bastava allungare le dita per sfiorarla. Ma si trattenne.

-Scusami. Scusami Yayoi.-

Ed era la seconda volta, in quella giornata, che lo sentiva pronunciare quelle parole.

La donna respirò, ed annuì, riprendendo il suo racconto.

-Comunque ho cominciato a lavorare e crescere Hikaru.

Tuttavia … non mi era possibile prendere molti turni di lavoro, Hikaru era piccolo e aveva bisogno di me, pertanto … ben presto mi resi conto che non potei più lavorare, e nuovamente … non fui in grado di provvedere economicamente al sostentamento del bambino.-

-E ti sei trasferita di nuovo da tuo padre?-

Lei annuì, stavolta con sincera vergogna in volto, le mani di nuovo stretta fra loro.

L’uomo posò una sua mano su quelle di lei, per sostenerla.

-Perché non mi hai chiamato? Perché non mi hai cercato?-

Yayoi alzò lo sguardo, guardò a lungo quelle iridi castane, respirando e cercando una scusa il più plausibile possibile; ma lentamente le sue mani si sciolsero, e cercarono le dita di lui, stringendole molto lentamente.

-… avevo paura. Avevo una paura folle Jun.-

-Di cosa?-

-Di te.-

L’uomo divenne di gesso. Di tutte le risposte, quella era la più inaspettata; tuttavia non sciolse la presa della mano, e la donna si spiegò meglio che poté.

-Avevo paura che, se ti avessi detto di Hikaru, ti saresti sentito in obbligo di aiutarmi, di tornare con me per occuparti del bambino. E io non potevo sopportare che tornassi dopo che eri stato proprio tu a proporre il divorzio, mi sembrava di obbligarti a fare qualcosa che non avevi mai voluto.

Certo, era tuo figlio ma … io mi ricordo i nostri discorsi, Jun: quando parlavamo di figli, di famiglia … non riuscivi mai a mostrarti sicuro, eri sempre molto incerto, e temevo che tu potessi considerarci … dei pesi. E pertanto … dirti di Hikaru … significava spingerti a prenderti delle responsabilità che non volevi.-

-Yayoi …-

-Lo so che ho sbagliato. E mi dispiace. Mi dispiace tremendamente Jun.-

Portò la mano dell’uomo verso di sé, e appoggiò la sua fronte alle dita di lui, stringendo gli occhi e la presa per qualche momento, per poi staccarsi e lasciarlo andare, portando le proprie mani a sé, le spalle le tremavano leggermente mentre parlava con sguardo basso.

-Mi dispiace. Lo so che è tardi, e che ti è difficile, ma … io ti chiedo scusa.-

E chinò la testa in avanti, lasciando che i capelli le scivolassero ai lati della testa, nascondendola così agl’occhi dell’uomo.

Jun, da parte sua, era interdetto, non sapeva proprio cosa fare: da una parte c’era il suo orgoglio, i suoi diritti che gli dicevano di tenere i denti stretti, di non cedere, di non perdonarla.

Dall’altra parte c’era il suo cuore che gli chiedeva quasi disperatamente di accettare quelle scuse, di dirle anzi che l’era mancata, e che da quel momento in poi le cose sarebbero andate bene.

Ma nemmeno lui era certo di questo.

Vedeva quei capelli rossi, e si sentiva pulsare le tempie e stringere il cuore.

Alla fine fu sempre la donna a riprendere la parola, alzando la testa e tenendo le mani strette sul grembo.

-Lo so che non puoi perdonarmi. Però, sai … ho promesso ad Hikaru che ti avrei chiesto scusa, e non voglio mancargli una promessa così importante.-

E sorrise incerta, con gli occhi leggermente arrossati per le lacrime trattenute.

L’uomo, a quel punto, si sentì come se la sua squadra fosse stata battuta con cinque reti a zero; eppure, al tempo stesso, gli parve di aver recuperato qualcosa di tremendamente importante, che non ricordava nemmeno di aver perso, e di cui non aveva idea cosa fosse.

Prese un profondo respiro, si passò una mano dietro la testa, e la donna restò ancora qualche momento sulle spine, non sapendo cosa pensare; alla fine, però, vide l’uomo sorridere con aria sollevata, anzi perfino divertita.

-Sai? Anch’io ho fatto una promessa simile ad Hikaru: gli ho detto che se tu mi avessi mai chiesto scusa, io ti avrei perdonata.-

Yayoi spalancò lo sguardo, e alla fine le spuntò un timido sorriso, che pian piano si ampliò mano a mano che l’uomo iniziò a ridacchiare.

Alla fine i due si ritrovarono a ridere divertiti, entusiasti entrambi di quella creatura che, in fondo, avevano generato assieme.

ISOLDA

Veramente ti sento? 

 

TRISTANO

Proprio ti vedo? 

 

ISOLDA

Sono questi i tuoi occhi? 

 

TRISTANO

Questa la tua bocca? 

 

ISOLDA

Qui la tua mano? 

 

TRISTANO

Qui il tuo cuore? 

 

ISOLDA

Sono proprio io? Sei proprio tu?

Ti tengo stretto? 

 

TRISTANO

Sono proprio io? Sei proprio tu?

Non è un inganno? 

 

AMBEDUE

Non è un sogno?

O delizia dell'anima,

o dolce, nobilissima,

arditissima, bellissima,

beatissima gioia! 

 

I due restarono nel bar ancora un’oretta, il tempo di calmarsi e bere le loro bevande cercando di alleggerire, nuovamente, la situazione con chiacchiere molto più spensierate; quando poi si sentirono pronti, si alzarono per andare a prendere Hikaru, e cavallerescamente Misugi pagò il conto.

-In fondo sono più di cinque anni che non ti offro da bere, no?-

Yayoi non poté non sorridere, e uscì dal locale prendendo una boccata d’aria, avviandosi con accanto l’uomo, sorridendo.

Quando le altre madri, all’asilo, videro quella coppia, rimasero molto colpite, talmente tanto che ad alcune rischiò di slogarsi la mascella. Erano giovani e tremendamente belli, e purtroppo questo era un fatto che nemmeno la vita reale (e la sottoscritta scrittrice) poteva piegare.

Aspettarono in silenzio, appoggiati al muretto dall’altro lato della strada, ma quando la campanella suonò entrambi si staccarono all’unisono, impazienti di vedere la faccia del bambino; questa apparve dopo qualche momento, non vedevano l’ora di vederlo sorpreso.

E sorpreso lo fu davvero: spalancò occhi e bocca talmente tanto da diventare una strana maschera greca, e Yayoi sorrise divertita mentre Jun s’inginocchiava verso di lui, offrendo le sue braccia; a quel gesto il bambino scattò entusiasta, e si tuffò in quell’abbraccio urlando.

-PAPA’!!!-

A sentire quella parola Jun quasi rimase senza fiato, e per riprendersi sollevò il bambino con tutta la sua forza, rischiando quasi di farlo volare, stringendolo a sé mentre Yayoi assisteva alla scena con il cuore che traballava dalla cassa toracica, dovette prendere un respiro profondo mentre Hikaru riusciva, anche se a fatica, ad uscire fuori dalle braccia del padre, come un delfino dall’acqua.

-Papà! Mi fai male!-

-Ah, scusami Hikaru.-

-Mamma, hai visto papà?!-

-Si, si amore.-

E la donna sorrise mentre il bambino restava aggrappato al collo di suo padre; suo padre, che non voleva proprio lasciarlo andare, tanto che i tre si avviarono in quel modo, Yayoi a fianco di Jun con Hikaru in braccio, in mezzo ai due.

-Allora, com’è andata all’asilo?-

-Tutto bene! Oggi io e Makoto abbiamo vinto nella corsa!-

-Bravissimi!-

-Ah, senti papà!-

Jun, ogni volta che si sentiva chiamare così si sentiva fremere dall’emozione.

-Dimmi Hikaru.-

-Verrai all’Hanami questo Venerdì? C’è anche la zia Sanae.-

L’uomo stava per dire di si, ma subito si ricordò che non poteva, e che il motivo era più grave del previsto. Dire di no a suo figlio per la prima volta, tuttavia, gli sembrò molto peggio.

Yayoi intervenne.

-Amore, papà deve andare a visitare la sua mamma per l’Hanami, e purtroppo non può esserci con noi.-

-Papà, vai dalla tua mamma?-

-… eh si, Hikaru.-

-Quindi dalla mia nonna?-

-Già.-

-… wow, ho una nonna, mamma!-

A quell’affermazione, e quell’espressione così entusiasta, i due adulti non poterono fare a meno di ridere, divertiti. Ma il bambino non sembrò soffrire del fatto che suo padre sarebbe stato assente.

Al contrario, era Jun che ne soffriva di più in quel momento, e stringendo quel bambino, suo figlio, tra le braccia, e lanciando un’occhiata alla donna alla sua sinistra, che lo ricambiava con aria tranquilla, si rese conto di quello che voleva davvero.

-Senti, Hikaru.-

-Si papà.-

-Jun … no, papà dovrà andare dalla nonna, ma cercherà comunque di raggiungervi all’Hannami.

Promesso.-

-Davvero?!-

-Si, davvero.-

-Che bello! Hai sentito mamma?! Ci sarà anche papà!!-

La donna annuì, sorridendo contenta, e il bimbo quasi saltava fra le braccia del padre mentre quest’ultimo rivolgeva lo sguardo alla donna; gli fece uno sguardo grato, mormorando fra le labbra.

-Ti ringrazio Jun.-

No, era lui, in quel momento, a doverla ringraziare. Ma si trattenne, e accompagnò i due a casa.

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Capitolo 16
*** Duetto: Tristan Und Isolde (IIa Parte) ***


Duetto:

Tristan und Isolde

(Parte Seconda)

 

Da quando erano tornati a Tokyo, ma soprattutto da quando aveva trovato in Jun, il padre che aveva sempre desiderato, Hikaru era diventato molto più attivo e allegro; per questo, quando vide Sanae affacciarsi dall’arrivo, all’aeroporto, il bimbo schizzò via dalle gambe della madre, precipitandosi tra le braccia della “zia”.

-Zia Sanae!!-

-Hikaru, accidenti, piano ragazzo, m’investi! Quanta energia!-

Lei lo sollevò in aria e il bimbo la strinse con tutte le sue forze.

Sanae fece un sorriso enorme, tale che bastava ad illuminare metà di quella sala, alcune persone accanto a lei si fermavano a guardare la scena, colpite.

Aveva sempre voluto un sorriso così sul suo volto: grande, brillante, che sprizzava energia e riusciva a migliorare anche la giornata degl’altri passeggeri.

Alla fine “zia e nipote” raggiunsero Yayoi, la quale li aspettava con aria divertita, e abbracciò affettuosamente l’amica, la quale la osservò per bene, il sorriso si addolcì leggermente, e gli occhi si fecero un po’ più seriosi.

-Ti trovo benissimo.-

-È bello vederti. Come stanno Tsubasa e gli altri?-

-Oh non ti preoccupare, quelli non li ammazza nessuno.-

-Sempre pieni di energie, eh?-

-Anche troppo! Però vedo che anche qui non siamo da meno, eh Hikaru?-

La donna strofinò energicamente la capigliatura rossiccia del bambino, il quale si teneva saldamente ai suoi pantaloni sfoggiando un’espressione impaziente e contenta; se non fosse stato un bambino così bene educato avrebbe iniziato a correre avanti a indietro.

Yayoi, per dargli un po’ di tregua, iniziò a camminare verso l’esterno dell’aeroporto, il bimbo teneva la mano alla “zia” e questa, con l’altra, si portava dietro il trolley.

Sanae aspettò che uscissero dall’aeroporto, prendendosi una boccata della “buona e vecchia aria giapponese”, prima di cominciare il suo piccolo interrogatorio circa le ultime novità.

-Allora? Come sta andando con Jun?-

-Bene, molto bene. Ieri siamo andati a prendere insieme Hikaru, e lui era così felice, giusto?-

Il bimbo annuì, sorridendo felice, tirando un pochino la mano della “zia” invitando in silenzio le due ad accelerare il passo. Tuttavia la nuova arrivata non sembrava ancora soddisfatta.

-Era felice Hikaru … o Jun?-

-Beh entrambi.-

Sanae non era tipa da lasciare andare così una risposta del genere; ma forse era il jet-lag, o il fatto che non vedeva da tempo l’amica, o qualsiasi altro motivo, fatto sta che si limitò ad annuire, facendo ondeggiare leggermente il caschetto di capelli scuri. Yayoi, però, la conosceva bene, e si affrettò a cercare di deviare il discorso in una direzione non imbarazzante o intima.

-Dovevi vederlo Hikaru, a momenti urlava di gioia! Ha fatto i capricci perché Jun restasse a cena e anche dopo, per la prima volta, non riuscivo a tenerlo a bada, farlo dormire è stata un’operazione molto dura.-

-Hikaru, da te non me l’aspettavo!-

Il bimbo alzò lo sguardo verso le due donne, ma continuava a mantenere un’aria sicura e attenta, e in quel momento Sanae notò che il volto del piccolo era pallido, anche se era difficile dire quanto lo fosse, considerando la carnagione della madre.

-Ma sta bene?-

L’altra alzò le spalle in segno di resa, da quella mattina lo teneva d’occhio, ed era certa che non stesse bene; ma tante erano state le insistenze del bambino che alla fine si era limitata a fargli prendere un farmaco leggero.

-Stamattina era caldo, ma quando ho provato a misurargli la febbre mi ha assicurato che è tutto a posto.-

-Sto bene infatti!-

E il piccolo fece una faccia sicura, arricciando leggermente le labbra, provocando sia nella madre che nella zia un’espressione divertita.

-Comunque sono sicura che saprai occupartene anche durante la mia assenza.-

-A che ora hai l’appuntamento?-

-L’ho spostato in modo da arrivare per l’Hanami alle quattro. Faremo un piccolo spuntino a casa, poi sarete voi a scegliere il posto migliore al parco. Mi fido delle vostre scelte.-

-Dobbiamo trovare il punto più bello di tutto il parco, chiaro soldato?-

Il bimbo annuì deciso, e la piccola comitiva raggiunse l’autobus che li avrebbe portati in città. Sanae, come sempre, scelse il posto con il finestrino mentre Hikaru si mise in braccio alla madre, Yayoi constatò ancora una volta che il volto del piccolo si era scaldato, ma non poté esplicarlo che l’amica subito riprese la conversazione.

-E saremo solo noi tre? O Jun si unisce?-

-Purtroppo il papà ha un impegno, giusto Hikaru?-

Il bimbo annuì, ma non sembrava molto deluso dalla notizia, anche perché subito dopo parlò con aria entusiasta.

-Va a trovare la nonna. Io ho una nonna, sai Sanae?-

-Wow, che bello Hikaru!-

Ma né Sanae, né Yayoi, furono convinte di quella frase: quanto poteva essere fortunato il bambino ad avere come nonna la signora Misugi?

-Comunque papà mi ha promesso cha farà in modo di arrivare al nostro Hanami.-

-E tu credi che papà ce la farà?-

-Si!-

-Bene, allora ci credo anch’io.-

E i due si sorrisero.

Yayoi li osservò, accarezzando i capelli del figlio mentre l’autobus si muoveva verso la città, durante lo spostamento il sole colpì il loro finestrino, illuminando i tre e portando la donna ad alzare il capo verso il paesaggio esterno, fatto di palazzi, macchine e la lingua grigia dell’asfalto.

Eppure non aveva mai visto Tokyo così brillante di vita.

-Sai, ti trovo davvero bene.-

Hikaru si era appoggiato alla spalla della madre, senza addormentarsi, e questa alzò lo sguardo verso l’amica, Sanae aveva il volto in ombra.

-L’ultima volta che ti ho vista eri si, decisa, ma molto più in ansia. Di sicuro non avresti lasciarto correre Hikaru in aeroporto, tenendolo per mano.-

La donna abbassò lo sguardo verso il figlio, e si rese conto che il bambino si teneva da solo a lei, a parte una sua mano che ne accarezzava la capigliatura; mentre lo osservava si accorse della maglietta leggermente sollevata, e gliel’abbassò senza starci a pensare, parlando a bassa voce, come se lui stesse dormendo su di lei.

-Oramai è diventato un ometto, e per quanto lo accompagno all’asilo sa fare la strada da solo. Presto andrà alle elementari, e a quel punto sarà grande abbastanza da farsi tutto il tragitto senza di me, giusto amore?-

Il bimbo annuì, strofinandosi sulla spalla della donna, e questa gli diede un bacio sui capelli.

-E per quanto riguarda Jun?-

Era sempre una domanda così spinosa che la stessa Sanae la pronunciò a bassa voce. Ma, al contrario di quanto si aspettava, Yayoi non reagì arrossendo o facendo una faccia contrita; si limitò a guardare il figlio, il quale si stava lentamente addormentando sulla sua spalla, e lei velocemente spostò le braccia, in modo da poterlo sostenere in caso dovevano alzarsi in piedi per scendere alla fermata.

-Beh, è suo padre, ed ora che sono entrambi coscienti della situazione hanno voglia di passare del tempo assieme. In fondo ho sempre sperato che lui accettasse Hikaru nella sua vita, e mi ha sorpresa: il suo attaccamento e interessamento è stato più veloce del previsto.

Pensa, aveva paura che Hikaru fosse malato come lui. Dovevi vederne la faccia quando gli ho detto che il bimbo era sano, un’espressione così non gliel’avevo mai vista.-

-Non hai paura che sia solo una situazione momentanea? Dopotutto lui di sicuro non è lo stesso uomo di cinque anni fa.-

-Si, lo so, ma lo conosco fin da quando eravamo piccoli, e di una cosa sono sicura: quando s’interessa, s’affeziona o s’appassiona a qualcosa, arriva a darci tutto se stesso. E sono sicura che sarà lo stesso con Hikaru.-

Gli occhi di Sanae scrutarono attentamente il volto dell’amica, alla ricerca del più piccolo segno di cedimento di quella che poteva anche essere una maschera di sicurezza; invece, parlando, le guance della donna si tirarono ancora più su, in un’espressione contenta, frizzante.

-… quell’espressione … è nuova.-

Yayoi si voltò verso l’amica, sorpresa, ma questa preferì cambiare subito il discorso, chiedendole di suo padre, per poi parlarle di quello che accadeva in Spagna.

Chiacchierarono per tutto il tragitto, Sanae con la sua energia era sempre prorompente, e spesso la sua risata arrivava anche ai sedili vicini, impressionando la gente che si faceva i fatti suoi.

Se inizialmente Yayoi era imbarazzata da quell’atteggiamento, pian piano non se ne curò più, continuando a tenere il figlio che dormiva tranquillo, distraendosi solo un momento quando riconobbe una delle strade principali di Tokyo, segno che erano quasi arrivate.

 

La casa Misugi si trovava in periferia e, dato che Jun era da molto tempo che non usciva dai confini di cemento del centro, quando quel raggio di sole lo prese in faccia, svegliandolo, rimase molto sorpreso di trovarsi circondato da un paesaggio molto più verde e pulito di quello solito e grigio a cui era abituato.

Lo spazio si apriva, le case diventavano meno imponenti e cupe, e veniva quasi la voglia di aprire il finestrino e prendere una boccata d’aria; dietro di lui, per la prima volta, sentiva che c’era altra gente che faceva il suo stesso viaggio. Per essere precisi un gruppo di ragazzi, probabilmente studenti che avevano finito il liceo, li sentiva chiaramente ridere e divertirsi.

Girò leggermente la testa, per origliare, e sentì che parlavano di progetti futuri, del fatto che avrebbero preso università diverse, ma di come questo non li stesse spaventando.

-Ma voi due come farete? In fondo Nana-chan andrà a Kyoto a studiare.-

-Ci sentiremo tutti i giorni, andrò a trovarla, lei verrà da me.-

-Mah, io sento spesso dire che le relazioni a distanza non durano mai.-

-Dipende dalla forza e dalla voglia della persona: se davvero ci si ama, ci si vuole bene, allora non esistono effettive distanze, che siano tempo o spazio. In fondo anche noi amici ci perderemo di vista, eppure questo non sembra intaccare le nostre relazioni, giusto?-

-Ecco la Nanami secchiona che mi ricordavo!-

-Bah, hai rovinato il momento magico! Sempre il solito!-

E giù a ridere, a cambiare argomento.

Jun avrebbe voluto voltarsi, vedere il volto di questa “secchiona Nanami”, vedere in quegl’occhi se le parole che aveva pronunciato attecchivano davvero nel suo animo: è sempre facile dire frasi di questo genere, ma era difficile farle proprie. Lui, ad esempio, per quanto potesse dare ragione alla giovane, non sentiva che queste parole facevano parte del suo modo di vivere.

Per esempio, in quel momento, la prima cosa che aveva pensato non erano stati certo Yayoi o Hikaru, e per quanto considerasse il bimbo suo figlio, al momento gli era difficile pensare alla donna … come qualcosa diverso da una … amica?

Il divorzio era stato come un incendio, aveva bruciato ogni cosa di loro due, lasciandone solo il ricordo senza sostanza.

L’autobus decise d’interrompere quei pensieri frenando brusco, spingendo l’uomo in avanti; i ragazzi dietro Misugi, a quella frenata, scattarono tutti in piedi, ricordandosi che quella era la loro fermata, e velocemente presero le loro borse, chiedendo all’autista di aspettare, che ora scendevano.

Per primi sfrecciarono una ragazza con una coda di capelli chiari, seguita da un ragazzo che di sicuro faceva basket, i capelli a spazzola e un orecchino nero; subito dopo passò, con un passo più tranquillo, un giovanotto con i capelli neri, lunghi sulla fronte, e la pelle parecchio pallida, forse troppo, come troppa era la magrezza del suo corpo.

Si fermò proprio davanti a Jun, parlando a bassa voce all’ultimo membro del gruppo.

-Vuoi che ti porti la borsa Nanami?-

La prima cosa che l’uomo notò in “Nanami” era la montatura, spessa e rosso fuoco, dei suoi occhiali, seguita dal suo taglio corto di capelli castani. Il tutto incorniciava due grandi occhi, brillanti come quelli di una bimba, ma seri e tranquilli come quelli di un adulto.

-No no, ce la faccio.-

E sorrise, toccando la spalla del ragazzo.

-Ehi, piccioncini, muovetevi!-

-Si arriviamo!-

Non si erano scambiati baci, o parole cariche d’affetto, ma cavolo, Jun si sentì quasi sopraffare dalla sicurezza e maturità di quella ragazza, che aveva più di dieci anni in meno di lui.

Com’erano cambiati i giovani … e come si sentiva vecchio lui!

Si passò una mano tra i capelli, imbarazzato, guardando quella piccola compagnia allontanarsi dal finestrino dell’autobus. E ripensò ai suoi compagni di squadra, quando era al liceo, ai viaggi che si facevano durante la pausa estiva, o prima di ricominciare la scuola.

E mentre il mezzo ripartiva vide in quella compagnia una figura con i capelli rossi, sorridente, che si voltava proprio nella sua irezione, sorridendogli felice, arrivando a salutarlo con la mano. Di reazione, lui quasi scattò in piedi, perché lo salutava? Se ne stava andando?! Ma come, ora che si erano rivisti?

Poi si rese conto delle sciocchezze che stava pensando, e di nuovo quei ragazzi tornarono ad essere sconosciuti; guarda caso, era proprio la ragazza con la montatura rossa che gli aveva ricordato Yayoi. Forse perché, nell’ultimo periodo, aveva trovato una donna ben diversa dalla giovane che aveva lasciato cinque anni prima, ma al tempo stesso aveva ritrovato la liceale con cui aveva condiviso tante esperienze.

Allora poteva sembrare incerta, quasi smarrita delle volte, ma quando faceva una scelta niente poteva farla tornare indietro. Ed era questo a cui l’uomo, da giovane, si era più aggrappato: trovava in lei la sicurezza che non aveva sentito con sua madre, perché per quanto fosse stata una donna amorevole, infatti, la signora Misugi aveva sempre cercato di convincere il figlio a frenarsi, a cambiare, o addirittura a smettere.

Yayoi no: volevi fare qualcosa? Lei te la faceva fare. E se ti stancavi ti sosteneva, ma non ti diceva mai di smettere.

Ancora una volta, l’autobus volle fermare il flusso di pensieri dell’uomo, e questo guardò fuori, riconoscendo la fermata e iniziando a scendere.

Da tempo, da quando aveva iniziato la carriera medica e si era sposato, i genitori avevano deciso di trasferirsi alla periferia di Tokyo, e da un certo punto di vista all’uomo non dispiaceva tale scelta: di sicuro non si sentiva la madre addosso. Inoltre, per quanto avesse la patente, gli piaceva usare i mezzi di trasporto, anche per quella leggera tirchieria che si portava fin da giovane.

Vide l’autobus sfrecciargli davanti, e subito dopo riconobbe la figura di suo padre, appoggiato alla sua vettura che lo aspettava con le mani in tasca.

Lui e il signor Misugi si assomigliavano spaventosamente: i capelli, gli occhi, i lineamenti del volto. L’unica differenza era che il padre, con il tempo, si era fatto più magro e leggermente più curvo, risultando qualche centimetro più basso rispetto al figlio.

-Ehi, eccoti.-

-Ciao papà. Sei da solo?-

-Le ospiti di tua madre sono già arrivate, lei le sta intrattenendo aspettando il tuo arrivo.-

Jun alzò lo sguardo verso il cielo mentre entrava in macchina, e il padre sorrise divertito alla reazione, accedendo il motore e iniziando a guidare.

-Perché fa sempre così? Me lo puoi spiegare?-

-Jun, lo sai che la mamma è preoccupata per te.-

-Per cosa?!-

-In generale. Lo è sempre stata, è una condizione oramai insita in lei, non ci puoi fare niente.-

-Così mi fai sentire in colpa.-

Ripensò ai suoi giorni da malato, e poi a quelli da sano.

Hikaru non avrebbe subito tutto quello. Suo figlio era sano. Suo figlio. Sano.

Ed era merito di Yayoi.

-… sai papà … ho rivisto Yayoi.-

-Ah, davvero? E come sta?-

-Bene, lavora con me alla clinica.-

Il padre fece un’espressione meravigliata, e poi sorrise divertito, imboccando una strada nascosta da delle case, oramai erano quasi arrivati, si potevano scorgere bene le chiome bianche dei ciliegi del giardino.

-Siete incredibili, riuscite sempre a trovarvi voi due. E soprattutto riuscite sempre a sorprendermi, dopo il vostro divorzio avete preso completamente i contatti, no?-

-Si, esatto.-

-Beh, si vede che doveva andare così. Di certo non mi sembri dispiaciuto, giusto?-

Jun sorrise divertito, e il padre ricambiò, abbassando però la voce subito dopo.

-… vedi però di non dirlo a tua madre. Purtroppo ha sempre avuto le sue idee riguardo Yayoi.-

-Le sue … idee?-

Il signor Misugi sbuffò all’aria stranita di suo figlio, ma non poté dire altro dato che oramai erano arrivati, e una figura uscì fuori dalla casa, vestita con un abito a fiori da signora, le scarpe con il tacco color crema e l’immancabile chignon che le teneva fermi i capelli castani; un filo di perle ad adornarle il collo.

Jun la guardò uscendo dalla macchina, e doveva ammettere che sua madre era sempre una signora: elegante, dalla bellezza che sfioriva ma non svaniva, con modi sempre delicati quando si trattava di suo figlio. Anche in quel momento, nell’abbracciarlo, quasi non lo stringeva, per paura di fargli male.

-Bentornato amore.-

-Dai mamma, non sono mica andato in guerra.-

-Guarda che vederti è sempre un’impresa! Meno male che questa volta sono riuscita a convincerti. Giusto caro?-

Sua madre chiamava il marito sempre “caro”. Così come lui la chiamava sempre “tesoro”. Un po’ come gli umani di “Lilli e il Vagabondo”; c’era stato un periodo in cui Jun nemmeno si ricordava i loro nomi, aveva dovuto arrivare a chiederglielo.

-Certo tesoro.-

-Dai, vieni, le nostre ospiti ti stanno aspettando!-

Per la seconda volta il figlio alzò gli occhi al cielo, preparandosi psicologicamente a quello che gli sarebbe aspettato. Dietro di lui, suo padre sogghignava divertito.

 

-Aspetta Hikaru, ti sei macchiato tutto.-

Yayoi porse un fazzoletto al bambino, che subito si pulì il viso mentre Sanae sorrideva divertita, continuando a masticare.

Erano riusciti a tornare a casa in tempo per uno spuntino leggero e senza troppe pretese.

-Incredibile, a me Saki ancora fa i capricci perché vuole che sia il suo papà a pulirle la bocca, e invece guarda Hikaru com’è bravo!-

-Eddai, sapevi che Saki sarebbe diventata la principessina del papà.-

-Ti giuro, ci sono delle volte che non riesco ad avvicinarmi a quei due! Delle volte penso che Tsubasa potrebbe arrivare a scappare via con Saki lasciando me e gli altri due da soli.-

Yayoi ridacchiò mentre Hikaru finiva la sua porzione nel piatto, porgendo la stoviglia alla madre, la quale ne approfittò per accarezzargli ancora una volta la testa: sembrava fresco adesso, ma mentre dormiva in autobus l’aveva sentito chiaramente caldo.

-… Hikaru, oggi vedi di non affaticarti troppo, intesi?-

Il bimbo annuì, e la donna si rivolse all’amica.

-Puoi portarti dietro la sua felpa azzurra? Vorrei che gliela facessi mettere quando siete seduti all’ombra.-

-Certo, non preoccuparti. Tu piuttosto, non devi andare?-

-Ah è vero. Devo ancora pulire i piatti.-

-Tranquilla, ci pensiamo io e Hikaru, giusto?-

Il bimbo annuì, rivolgendo poi la sua attenzione a Kumo, il quale aveva girellato tra le gambe del tavolo, incuriosito dalla nuova presenza della casa, accettandola con uno sguardo sospettoso.

La donna dai capelli rossi si slacciò il grembiule, letteralmente volando in camera per togliersi l’abito a fiori che aveva addosso, decisa a mettersi i jeans, quando l’amica la fermò.

-Dai non togliertelo, ti sta così bene! Tanto non devi lavorare.-

-È che non mi sembra adatto per una seduta.-

Era un abito leggero, vaporoso, con lo sfondo bianco e una stampa a fiori dai colori oro e verde oliva, elegante, ma anche leggero, con quella piccola cintura a sottolineare la vita sottile della donna.

-Mica devi fare jogging, devi parlare! E poi il colore non ti ha mai fatto male, sei sempre stata così pallida!-

Yayoi sorrise divertita, prendendo una spazzola e passandosela sui capelli mentre Hikaru sbucava in camera, in braccio teneva Kumo.

-Mamma, Kumo può venire con noi?-

-No Hikaru, Kumo-chan potrebbe allontanarsi troppo, e poi dovremmo metterci a cercarlo, e da solo si sentirà solo.-

Il bimbo annuì, abbassando la testa, e la donna si voltò verso di lui, si era messa velocemente un fermaglio dietro il capo, tenendo ferme le ciocche ai lati della testa.

Calmandosi dalla fretta di qualche momento prima si avvicinò al piccolo, e s’inginocchiò verso di lui mentre Sanae faceva qualche passo indietro.

-Allora? Cosa c’è? Da quando siamo andati a prendere la zia sei molto silenzioso. Non stai bene? Vuoi restare a casa oggi?-

Lui scosse la testa, deciso, e la donna gli accarezzò i capelli, preoccupata.

-E allora cosa c’è?-

-… farai in tempo a tornare?-

La donna rimase sorpresa, ma nel guardare il volto del figlio si rese conto che, per quanto fosse indipendente, Hikaru era sempre e comunque un bambino. E come tutti, voleva la mamma.

Con molta calma, la donna strinse a sé suo figlio, baciandogli il capo e stando attenta a non soffocare Kumo, in mezzo a loro.

-Credimi, ti porterei con me, ma ti annoieresti. E poi con te c’è la zia, che ti aiuterà in tutto, giusto zia?-

Sanae annuì, sorridendo.

Yayoi guardò suo figlio, e questo aveva gli occhi lucidi; sorrise intenerita, e strofinò il suo naso contro quello del bambino, dandogli praticamente il via libera alle lacrime; due grandi gocce d’acqua salata cominciarono a scivolare dagl’occhi, e lei li asciugò con i pollici.

-Ti prometto che farò più presto che posso, appena sarò uscita correrò da te. Inoltre avrò sempre il cellulare acceso, per cui qualsiasi cosa tu e Sanae potrete telefonarmi, va bene?

Inoltre non verrò da sola: mi porterò un’amica che voglio farti conoscere.

E non dimenticare che forse c’è anche papà!-

Hikaru tirò su con il naso, e ci passò il dorso della mano; Sanae passò un fazzoletto di carta a Yayoi, la quale lo posizionò sul naso del bambino, facendolo soffiarci contro. Nonostante questo movimento e rumore, il gatto continuava a rimanere placidamente sulle braccia del bimbo, facendo le fusa senza sosta.

-Hai visto? Anche Kumo ti sta dicendo che andrà tutto bene.

Allora, facciamo l’Hanami?-

I due si guardarono per un pochino, e alla fine il bambino annuì, arrossito leggermente sul naso e le guance.

Soddisfatta, la donna gli diede un bacio sulla guancia, alzandosi in piedi e finendo di prepararsi mentre Sanae accarezzava i capelli del suo “nipotino”.

-Allora, dovrei finire per le quattro al massimo. I bento e le bevande sono in frigo, e la coperta la trovi nel mio armadio.-

-Va bene. Appena hai finito mandami un messaggio.-

-Se succede qualcosa chiamami.-

-Si, tranquilla.-

-A dopo amore. Farò più in fretta che posso, promesso.-

Gli diede un altro bacio prima d’infilarsi le scarpe, e stava per uscire quando il piccolo le parlò con il micio ancora in braccio.

-Mamma! Senti … papà verrà davvero?-

La donna lo guardò sorpresa per qualche momento; poi, sotto lo sguardo sorpreso di Sanae, si lasciò andare ad un sorriso sicuro, quasi brillante.

-Assolutamente.-

Ed uscì fuori di casa.

TRISTANO

Senza pari! 

 

ISOLDA

Traboccante! 

 

TRISTANO

Sovrumana! 

 

ISOLDA

Eterna!

Le ospiti della signora Misugi erano una sua cara amica con la figlia, questa era appena tornata da un viaggio in Italia; aveva un nome molto classico, Aiko, e di per sé aveva il tipico fascino orientale: occhi a mandorla particolarmente scuri e piacevoli, capelli neri corti e un sorriso bianco ed educato, oltre a dei modi che ovviamente piacevano molto alla padrona di casa.

A Jun non dispiaceva, era piacevole conversare con lei, anche perché nel suo viaggio era riuscita a catturare un po’ di quello spirito allegro del “Bel Paese”.

-Sono stata a Venezia per gli studi d’arte, ma poi ho avuto modo di visitare Firenze e Roma.-

-A Roma ci sono stato un paio di volte, quando giocavo ancora.-

-Hai visitato la città?-

-Si, sono stato nei luoghi tipici. Sai, Colosseo, San Pietro … e tu?-

-Ah, io per architettura ho visitato soprattutto edifici, come il Teatro dell’Opera.-

Opera … già, quel tipo di musica che piaceva tanto a Yayoi.

-E hai avuto modo di assistere a qualche messa in scena?-

-Ah si! Ho visto la Tosca. Davvero splendida.-

Lui non sapeva nemmeno la trama. Ma sentirne parlare lo faceva sentire in qualche modo “connesso” a quel modo così lontano, sfiorato solo tramite quella donna dai rossi capelli.

Aiko continuò a parlare della bellezza degl’edifici romani, della città, delle stranezze degl’italiani, e quella breve connessione, nella testa dell’uomo, venne interrotta definitivamente dai commenti della signora Misugi e dalla madre della giovane.

-Te l’avevo detto che era una ragazza interessante Jun? Devi essere davvero fiera di lei, amica mia.-

-Si, non puoi immaginarti quando ha preso la laurea!-

-E adesso dove lavori cara?-

-Sono stata assunta in uno studio d’architettura a Tokyo.-

-Ah, dove lavora Jun!-

L’uomo trattenne un sospiro mentre vedeva la giovane ospite, davanti a lui, imbarazzarsi leggermente; a quell’atteggiamento, ovviamente, le due signore sorrisero soddisfatte, cercando di spingere ulteriormente i due a parlarsi, con il signor Misugi che osservava la scena sorseggiando un bicchiere di saké.

Alla fine fu perché scambiò un’occhiata con il figlio, che praticamente lo stava supplicando, che decise di mettere parola alla situazione.

-Sentite, ma visto che è l’Hanami, che ne dite di continuare il discorso in giardino? Sarebbe un peccato perdersi i ciliegi, non lo pensi anche tu tesoro?-

-Ah, hai ragione caro! Jun, accompagna Aiko in giardino, noi ti raggiungiamo subito.-

Bene, aveva cinque minuti di pausa prima del prossimo match; si alzò velocemente dal tavolo, seguito dalla donna, e le fece strada, accompagnandola oltre la porta a vetri che divideva la sala dal pranzo con una parte dell’ampio giardino.

Era molto simile a quello della casa prima, se non fosse stato che gli alberi erano stati collocati quasi a semicerchio, lasciando libero lo spazio erboso, dove si trovavano delle sdraio bianche e un piccolo tavolino.

Quello piaceva poco all’uomo, affezionato al vecchio giardino, con i ciliegi sistemati apparentemente a caso in uno spazio decisamente più piccolo, e che quando passava il vento sembrava quasi che nevicasse in primavera.

-Che spettacolo!-

L’uomo guardò la donna accanto a lui, e la vide sorridere affascinata, gl’alberi quell’anno erano particolarmente carichi di fiori, e c’era una leggera brezza in quel momento che faceva muovere i ramoscelli più sottili, facendoli ondeggiare. Il movimento era quasi ipnotizzante per Jun, che li osservò a lungo.

Fiori bianchi, piccoli, che ondeggiavano come gonne di lino in massa, delle volte facendosi scappare petali che scivolavano sul prato verde; un leggero profumo, quasi impercettibile a quella distanza, ma se si andava sotto le fronde si rimaneva quasi intossicati. Un fruscio simile a bisbigli, che trasmetteva una grande quiete.

L’Hanami …

-Andiamo sotto, ti va?-

“-Andiamo sotto, ti va?-”

-Come?-

L’uomo si voltò, sorpreso, ma davanti a lui vide gli occhi scuri di Aiko, la quale sorrise sorpresa, indicando uno degl’alberi più grossi.

-Andiamo sotto quell’albero?-

-Ah, si … certo.-

La donna partì per prima, e Jun la guardò stranito, scuotendo leggermente la testa mentre s’infilava le mani nelle tasche, prendendo un profondo respiro, accorgendosi che aveva le spalle rigide mentre s’incamminava verso il fondo del giardino.

 

-Hai le spalle rigide. Sei nervosa?-

-Eh? Ah, non me n’ero accorta.-

Yayoi prese un profondo respiro, cercando di sciogliere la tensione mentre Matilde le poggiava la tazza di the sul tavolino. Prese in seguito il registratore, aspettando ad accenderlo mentre la donna dai capelli rossi parlava.

-Scusa, è che pensavo ad Hikaru: si è un po’ turbato del fatto che venivo qui e non lo accompagnavo a scegliere il posto per l’Hanami.-

-È una cosa che fate sempre insieme?-

-Beh si, anche se da mio padre c’era solo un albero di ciliegio …-

Matilde vide gli occhi della sua “paziente” intristirsi, ma mentre la seduta prima si sarebbe chiusa in un ostico silenzio, stavolta sembrava molto più propensa ad accennare il fatto. Solo ad accennarlo però, si capisce.

-È il ciliegio dove è stata trovata tua madre?-

-Si.-

-… ti capita mai di ripensarci? Adesso, per esempio, durante l’Hanami, ci hai mai pensato?-

Yayoi guardò Matilde, per poi abbassare lo sguardo, giocherellando con le sue unghie mentre pensava a quella domanda.

-… quando ero piccola ci pensavo, e ne avevo un po’ paura, credevo che lo spirito di mia madre fosse ancora lì. E lo penso tutt’ora.

Però, adesso, non lo pensò più con tanta angoscia.-

-Secondo te cos’è cambiato?-

-Beh, il fatto è che, quando ho portato Hikaru sotto quel ciliegio la prima volta, lui sembrava molto tranquillo, sorrideva e addirittura rideva spesso. Allora ho pensato che mia madre non volesse fare del male al suo nipotino.-

Matilde sorrise leggermente mentre Yayoi s’imbarazzava, una cosa del genere non l’era mai capitato di dirla.

-Perché Jun non sa di quello che è successo a tua madre? Come mai non gliene hai mai parlato?-

Stavolta le dita di Yayoi s’intrecciarono fra loro, e la donna irrigidì leggermente la mascella, tenendo lo sguardo basso, portando le gambe verso la poltrona in un atteggiamento di chiusura. Matilde, tuttavia, aspettò in silenzio.

-… avevo paura che mi giudicasse, che pensasse che io volevo la sua amicizia solo perché avevamo entrambi una disgrazia alle spalle.-

-Ed era così? Eri sua amica per questo?-

La paziente reagì subito a quella provocazione, raddrizzando la schiena.

-No, certo che no.-

Poi fece una piccola pausa, e alla fine concluse la frase.

-Io ero sua amica … perché lui mi piaceva.-

E si formò un sorriso rilassato. Nel vederlo, Matilde quasi sorrise soddisfatta: aveva aspettato tanto quel momento, con pazienza, continuando a seguirla e a monitorarla giorno per giorno, diventandone amica e dimostrandole che poteva fidarsi di lei.

Si trattava di una procedura che non seguiva mai sui suoi pazienti, dove la priorità era mantenere il distacco per aiutarli nelle loro patologie; con lei lo aveva fatto perché voleva sinceramente essere amica di Yayoi, e voleva davvero aiutarla, anche se il coinvolgimento emotivo non era una delle strategie più intelligenti da seguire.

-E ti piace ancora? Voglio dire, adesso che lo hai rivisto, hai ritrovato qualcosa di quando eravate amici?-

All’inizio la donna si era un po’ imbarazzata alla domanda, ma quando ne capì il senso ci pensò qualche momento, prima di alzare lo sguardo con aria leggermente sorpresa.

-No, affatto, è molto cambiato.-

-E questo ti spaventa?-

-No, per niente. Mi piace poterlo conoscere di nuovo, vedere altri aspetti di lui. Scoprirlo.-

-Finora cos’hai scoperto?-

-… non molto probabilmente.-

Ridacchiò, leggermente imbarazzata, e Matilde volle andare ancora più a fondo.

-Sei in imbarazzo? Come mai?-

-Beh, è da molto tempo che non parlavo di Jun a qualcuno.-

-Parlarne come? Come amico? O come ex-marito?-

-… come conoscente.-

Nessuna delle due.

Yayoi prese un sorso di the, adesso cominciava a sentire un leggero imbarazzo, una palpitazione che le rendeva difficile controllare il tamburellare delle dita sulla tazza, movimento che fu osservato e analizzato da Matilde, la quale rimase seduta con atteggiamento aperto e rilassato, cambiando leggermente il tono delle domande.

-Con chi ne parlavi? Immagino con le tue amiche.-

-Ah si, la mia migliore amica, Sanae. Lei ha fatto, per un po’, il tuo mestiere.-

-Oh, spero che non mi rubi il posto allora.-

Una leggera risata, per stemperare il nervosismo.

Gli occhi di Yayoi, approffitando di quella pausa, si spostarono all’orologio, controllando l’ora: avevano appena iniziato, pertanto non era passato troppo tempo.

-Tranquilla, ho la sveglia oggi, non faremo tardi, promesso.-

-… scusami, ti ringrazio.-

-Figurati. Riprendiamo?-

La rossa annuì.

-Parlami dei tuoi anni di liceo, ti va?-

 

-Lo sai che ci siamo conosciuti al liceo?-

Jun fu distratto dall’ammirare una fronda sopra la sua testa, lì i petali avevano un leggero spruzzo di rosa, come un velo che passava sopra il ramo, lasciando gli altri fiori candidi; si voltò verso Aiko, la quale si era appoggiata alla corteccia dell’albero, guardandolo con aria interessata.

-… davvero?-

Lei rispose con un sorriso divertito, sollevando leggermente le spalle.

-Sapevo che non ti saresti ricordato, all’epoca eri così preso dal calcio. E dire che eravamo anche nella stessa classe.-

L’uomo aveva la bocca leggermente spalancata in un’espressione totalmente sbigottita, e la donna ne rise divertita, muovendosi dalla corteccia dell’albero verso le fronde dove l’uomo era rimasto fermo a guardare quella sua compagna di classe, cercando di metterla a fuoco.

E forse qualcosa si smosse dentro di lui, i ricordi si mettevano a fuoco.

 

-Tu ricordi ancora i tuoi compagni di classe?! Davvero?-

-Beh, essendo stata rappresentante era mio dovere ricordare i miei compagni.-

-E ti piaceva farlo?-

-… si. mi piaceva, mi faceva sentire utile.-

Matilde memorizzò quella risposta, collegandola al grande piano mentale che riguardava la donna davanti a lei, continuando le domande ma mantenendo il più possibile quel tono colloquiale.

-Ma non eri impegnata anche con il club di manager?-

-Beh si.-

-Dunque rappresentante, manager e studentessa. Immagino che tornavi tardi a casa, non ti pesava?-

-I miei zii non erano preoccupati, e onestamente mi piaceva stare a scuola nel pomeriggio.-

-Cosa ti ricordi particolarmente di quei pomeriggi?-

La donna alzò lo sguardo verso l’orologio, oramai a furia di fare quel movimento era diventato istintivo, ogni volta che sentiva di fare una pausa teneva d’occhio il tempo, e poi si metteva a pensare. E in quel caso ci pensò a lungo, e qualcosa le venne in mente, tanto che si lasciò scappare un sorriso imbarazzato e malinconico, che attirò subito la psicologa.

-Hai dei bei ricordi?-

-… si, ne ho uno.-

 

-Ti devo sembrare il peggiore degli uomini dopo una figura del genere.-

-Ma figurati! Io sono rimasta molto sorpresa quando mia madre mi disse chi aveva conosciuto e di chi era diventata amica. Inoltre non mi aspettavo che la signora Misugi fosse così … umana.-

A quel commento Jun rimase sorpreso, e Aiko subito si spiegò meglio che poteva.

-Sai, tu per noi eri sempre “il principe”, quindi immaginavo tua madre molto più … diciamo più “Lady”.-

Sentire il suo vecchio nomignolo non gli fece molto piacere, ma cercò di non darlo a vedere, sorridendo amichevole.

-In effetti giravano tante voci allora.-

 

-… A Jun non era mai piaciuto il soprannome “Principe”.-

-No? Come mai?-

A Yayoi non piaceva parlare dell’uomo quando non era presente, però si sforzò, stringendo i pugni sulle ginocchia.

-Lui sentiva che quel nomignolo gli creava distanza con i suoi compagni: non solo era una figura carismatica, ma era anche di bell’aspetto, ed educato, pertanto tutti provavano rispetto nei suoi confronti.-

-E forse anche un po’ di diffidenza?-

-Si, è quello che pensavo anch’io. Però i suoi compagni di squadra lo stimavano davvero, e le ragazze … beh …-

 

-Lo sai che avevamo creato un fan club su di te?-

Da una parte fece molto piacere al virile ego di Jun, ma dall’altro l’uomo si sentì imbarazzato, anche perché era decisamente cambiato dagl’anni del liceo, e sentirsi dire una cosa del genere gli faceva quasi sentire la nostalgia di una sindrome di Peter Pan.

Aiko, però, rideva molto divertita mentre i due continuavano ad andare avanti e indietro tra i ciliegi, alcuni petali erano caduti sulle spalle del ragazzo, sopra la sua giacca beige.

-Ovviamente i maschi non erano ammessi, e si poteva entrare solo seguendo rigide regole nei tuoi confronti. Ammetto che, ripensandoci, ti saremo sembrate stupide.-

Onestamente quello era stato un periodo in cui Jun aveva guardato ben poco le ragazze; anche perché, alla fine, si era interessato solo ad una, all’unica che, fin da subito, gli aveva dimostrato che lei non era interessata al suo status di “principe”.

 

-In quanto rappresentante di classe era mio dovere fare in modo che tutti andassero più o meno d’accordo, pertanto ho sempre cercato di coinvolgere Jun nelle attività di gruppo, specie durante i festival, quando non era impegnato con gli allenamenti.-

 

-Ti ricordi al festival culturale, quando abbiamo preparato quella rappresentazione in maschera?-

-Ah si, ricordo che mi diedi da fare con le scenografie, perché il cast era fatto tutto da voi ragazze.-

-Si, è vero. Avevamo deciso di rappresentare la principessa Kaguya.-

-… già, Yayoi faceva la madre adottiva.-

Con un semplice kimono addosso e i capelli legati e colorati con una bomboletta spray grigia. Ma nonostante questo, in alcuni momenti si poteva notare il rosso della sia capigliatura, specie quando la rgazza andava sotto uno dei fari del teatro.

-Ah, Aoba. Era la tua ragazza, no?-

-Beh, non proprio.-

 

-Ci siamo messi insieme solo verso il terzo anno.-

E lo disse sorridendo divertita, anche perché Matilde rimase molto sorpresa dall’informazione.

-Mi davate l’idea di essere stati insieme da più tempo.-

-Il fatto era che non avevamo il tempo di frequentarci, anche perché il più delle volte lui era impegnato con la squadra … e con i suoi problemi cardiaci …-

 

-Ma era vero che avevi problemi di cuore? Era una voce che girava per la scuola, ma nessuno l’aveva mai confermata. Pensa che, ad un certo punto, abbiamo chiesto ad Aoba informazioni a riguardo.-

-Davvero? Avete chiesto a Yayoi?-

-Oh certo, alcune ragazze del club l’hanno tartassata almeno un’ora e mezza un giorno, ma lei continuava a dire che non ne sapeva niente. A quel punto abbiamo dubitato che fosse la tua ragazza.-

Jun, nel sentire questo, poggiò la schiena sul tronco dell’albero, sorpreso: non si aspettava che la ragazza avesse mantenuto il riserbo fino a quel punto. Ancora una volta scopriva cose inaspettate riguardanti la persona con cui aveva diviso quasi metà della sua vita; si sentì come se non avesse mai capito niente di lei. E questo lo faceva sentire decisamente in colpa.

-Però la vedevamo spesso in tua compagnia, e molte di noi la invidiavano per il modo in cui riusciva a parlarti senza problemi; anch’io, lo ammetto, la invidiavo molto, tu mi sei sempre piaciuto.-

Sentire quella confessione a brucia pelo sorprese molto l’uomo, e Aiko a quel punto abbassò leggermente lo sguardo, imbarazzata, continuando a parlare per stemperare il momento.

-Spesso, dopo le attività pomeridiane, passavo per la nostra classe, e la vedevo sempre alle prese con il registro o con i libri di studio. Yayoi intendo. Delle volte era distratta a guardare fuori dalla finestra, sembrava persa nel suo mondo.-

La finestra … Yayoi alla finestra …

 

-E il bel ricordo di prima? A cos’era legato?-

La rossa rimase qualche momento in silenzio. Poi sorrise con aria imbarazzata, coprendosi la bocca con le dita, gli occhi vagavano davanti a lei mentre la mente le riproponeva quell’immagine.

-… ricordo che un’estate preferivo sempre studiare a scuola, e rimanevo fino all’ultimo, tanto che il guardiano mi veniva sempre ad avvisare che chiudeva i cancelli.

La mia classe, le finestre della stanza, erano rivolte verso i campi sportivi dell’istituto, quello di calcio era proprio sotto di noi; e in alcuni pomeriggi, mentre il sole tramontava, vedevo gli altri ragazzi della squadra andare a casa … e Jun restare ancora un po’, ad allenarsi, cercando di non sforzarsi troppo.

Vederlo giocare, vedergli … quella voglia di continuare, di dare il massimo per quanto poteva … mi faceva venire anche a me la voglia di dare il meglio.-

 

-Lei si che era un genio! Ricordi ai risultati dell’ultimo anno, al primo quadrimestre? Era in cima alla classifica, con uno stacco incredibile rispetto agl’altri! Persino da te!-

Jun non stava più seguendo quel discorso: in mezzo ai quei ciliegi aveva alzato lo sguardo, e la facciata della casa dei suoi genitori era diventata una delle facciate della sua vecchia scuola.

Spesso si allenava fino a tardi, semplicemente perché non voleva tornare a casa, dove lo aspettava una madre che lo avrebbe supplicato, ancora una volta, di diminuire gli sforzi, di concentrarsi sugli studi, di non peggiorare le sue condizioni fisiche. La sola idea di sentire quelle implorazioni gli dava la spinta per andare ancora più a fondo.

Poi, ad un certo punto, sentiva chiaramente la fitta al petto che l’obbligava ad arrestarsi ,a prendere fiato, a non tirare quell’ennesimo pallone; e gli sembrava che quella sfera ridesse di lui, del suo ridicolo impegno, quando non sarebbe mai riuscito ad andare oltre la barriera del suo muscolo cardiaco.

A quel punto voltava lo sguardo, e vedeva le finestre della facciata brillare per il tramonto del sole.

E su una di quelle finestre, quando metteva a fuoco, vedeva chiaramente il volto di una ragazza con i capelli lunghi, che l’osservava in silenzio; questa, scoperta, delle volte distoglieva lo sguardo, prendeva le cose e se ne andava via, ma altre volte alzava la mano, per salutarlo.

Guardandola, a volte rispondendole, il ragazzo si sentiva sempre meno solo: non era solo ad affrontare il male fisico, non era solo in quegl’allentamenti pomeridiani, non era solo ad affrontare la sua vita scolastica.

Si, Yayoi era sempre stata un’amica … una persona … una ragazza capace di vederlo fino in fondo all’anima, e di capirlo, e di aiutarlo senza far pesare la sua presenza.

La sua presenza.

-Jun? Tutto bene?-

L’uomo si voltò alla sua sinistra, e una folata di vento smosse i ciliegi attorno a lui, facendo piovere petali tra lui e Aiko, la quale si era avvicinata con sguardo preoccupato.

Aiko, i ciliegi, l’Hanami …

“-Ti ringrazio Jun.-”

… era tardi.

-Che hai? Perso nei tuoi ricordi?-

La donna sorrise, per stemperare il silenzio, ma si rese subito conto che si era giocata l’uomo, che oramai questo non la stava quasi più a sentire; quando si rivolse a lei, infatti, aveva uno sguardo tremendamente deciso, affascinante, che la bloccò sul posto.

-… devi scusarmi Aiko, ma devo andare, ho un impegno importante.-

-… un impegno?-

L’uomo sorrise, pensando non solo al volto della donna, ma a quello di Hikaru che, probabilmente, avrebbe fatto un sorriso enorme nel vedere suo padre.

-Ho fatto la promessa di vedere l’Hanami con mia moglie e mio figlio. Quindi, se vuoi scusarmi.-

La donna spalancò occhi e bocca sorpresa, e l’uomo stava per allontanarsi quando la voce di lei lo richiamò un’ultima volta.

-Sei sposato? Con Yayoi?-

Forse avrebbe dovuto dire che, in realtà, era divorziato, e che aveva scoperto di essere padre da poco tempo; ma forse era il caldo che si cominciava a sentire, forse era la giornata in sé, o forse aver ricordato una cosa così semplice eppure … piacevole. Fatto sta che sorrise con aria contenta.

-Si, e ho un figlio di cinque anni.-

-… io sono fidanzata con un italiano da un anno e mezzo.-

L’uomo la guardò sorpresa, e poi entrambi si misero a ridere divertiti: i piani delle loro madri erano “tragicamente” andati in fumo!

Jun entrò in casa come una furia, i suoi genitori erano rimasti dentro a parlare, suo padre seduto comodamente sul divano.

-Papà prestami la macchina per faovre, devo tornare urgentemente in città.-

A sentire quelle parole la signora Misugi scattò immediatamente in avanti, la sua amica lì davanti sorpresa quanto lei.

-E perché Jun?-

-Ho un impegno improrogabile mamma.-

-Con Yayoi?-

Il padre, al contrario della signora Misugi, aveva sempre avuto il dono delle buone intuizioni, e il figlio annuì deciso. Per la seconda volta la padrona di casa scattò, stavolta alzandosi in piedi.

-Yayoi?! E da quando hai ricominciato a vederla?!-

-Lavora in clinica con me già da due mesi mamma.-

-Le chiavi della macchina sono vicino alla porta d’ingresso.-

-Grazie papà.-

-Aspetta un attimo caro! Jun, si può sapere che stai facendo? Mi avevi promesso di restare per l’Hanami.-

-Mi dispiace mamma, ma davvero devo andare.-

-Te lo proibisco, ti ricordo che sei divorziato da quella donna, e che noi siamo i tuoi genitori.-

Quella frase scatenò l’indignazione e l’incazzatura di Jun, il quale rivolse un’occhiataccia a sua madre, spingendola quasi a sedersi di nuovo sulla poltrona mentre parlava con tono di voce calmo ed educato: c’era comunque una ospite ad osservare la scena.

-Ti chiedo scusa, mamma, ma ho promesso a Yayoi e a mio figlio Hikaru di vedere l’Hanami assieme a loro. Se vuoi scusarmi, torno dalla mia famiglia. Papà.-

Fece un cenno del capo al genitore, il quale lo osservò sbigottito, prima di sorridere sorpreso mentre la signora Misugi sbiancava visibilmente.

-… tuo … figlio?-

-Io vado!-

Sentirono la porta di casa sbattere, e ci fu qualche secondo di assoluto silenzio.

Poi, il signor Misugi prese la parola.

-Ah, come vede, amica mia, nostro figlio è sempre pieno di sorprese. Adesso scopro con piacere che sono persino nonno!-

 

-Posso farti solo un’ultima domanda, Yayoi?-

La donna si era già alzata in piedi e aveva preso la borsa, ma si voltò verso Matilde, che si tolse gli occhiali per sfregarsi gli occhi, la seduta quel giorno era stata particolarmente proficua, e i miglioramenti dell’altra donna erano stati così sensibili che dubitava che la paziente avesse subito depressione pre parto.

-Cosa pensi del Jun di adesso?-

Aoba pensò seriamente alla risposta, appoggiandosi sullo schienale della poltrona.

-… non lo riconosco dal ragazzo del liceo. Ma è normale, non ci vediamo da cinque anni.-

-Non ti spaventa questo?-

-… no, affatto: sono molto curiosa di conoscerlo, di sapere com’è fatto adesso.-

-E ti sentiresti di dire che i tuoi sentimenti, per lui, sono cambiati?-

Yayoi rimase qualche secondo in silenzio, e in quel momento il cellulare di Matilde squillò deciso, interrompendo la conversazione e facendo sobbalzare la giapponese; l’italiana controllò il display, e sorrise divertita.

-Toh, parli del diavolo … Misugi! Che c’è?-

L’altra donna rimase sorpresa, e forse anche un po’ in ansia da quell’improvviso cambio di scena. La psicologa davanti a lei, invece, era molto tranquilla mentre rispondeva all’uomo.

-Abbiamo finito giusto adesso. Si, è qui con me. Aspetta, ora glielo chiedo.

Jun dice che, se vuoi, ci può dare uno strappo in macchina per l’Hanami, ti va?-

-Ah … prima devo andare a prendere il saké, c’è un negozio qui vicino. Voi andate avanti, io vi raggiungo, non è lontano a piedi.-

-Ok! Juuun, ha detto che prima deve prendere il saké.

Ah no, mi spiace, non te la posso passare, è scappata via dalla clinica come un razzo. Certo che fai strani effetti alle donne tu, eh?-

ISOLDA

Non presentita,

mai conosciuta! 

 

TRISTANO

Sconfinata,

alta, sublime! 

 

ISOLDA

Ebrezza di gioia! 

 

TRISTANO

Estasi di piacere! 

 

ISOLDA

Altissimo celeste

rapimento dal mondo!

Mio! Tristano! mio!

Mio e tuo!

Eternamente, eternamente uno! 

 

TRISTANO

Altissimo celeste

rapimento dal mondo!

Mio! Isolda! mio!

Mio e tuo!

Eternamente, eternamente uno!

“-E ti sentiresti di dire che i tuoi sentimenti, per lui, sono cambiati?-”

Yayoi correva con la borsa sulla spalla e il sacchetto con il liquore in mano, facendosi largo fra la gente, non voleva fare assolutamente tardi, senza volerlo era proprio l’ultima ad arrivare, forse suo figlio l’avrebbe perfino sgridata!

Il problema era stata, più della domanda di Matilde, la telefonata improvvisa di Jun: era stata completamente inaspettata, e la sua offerta di usare la sua macchina le sembrava così “voluta” da un fato strano che si era categoricamente rifiutata. Le pareva che tutto il mondo, in quel momento, le avesse gridato “di si! Si ai tuoi sentimenti, si al passaggio in macchina, si!”.

Ma lei non poteva dire si: dopotutto erano passati cinque anni, e i tre precedenti non li avevano certo passati amandosi alla follia!

C’erano troppe cose in ballo da tirare fuori, e le sembrava quasi che non ci fosse il tempo sufficiente per parlarne, per discuterne; non che lei stesse scappando chissà dove, ma presto ci sarebbero state le vacanze estive, e di sicuro lei e Hikaru non sarebbero rimasti a Tokyo, così come Jun.

Le loro strade si sarebbero di sicuro divise.

Riconobbe i cancelli del parco e accellerò la corsa. Vide alcune persone andarsene dall’Hanami, e cercò in lungo e in largo con foga, ma c’era ancora tanta gente e la folla la confondeva tremendamente.

Strinse il sacchetto con il liquore, turbata: sarebbe mai riuscita a trovarli?

-Mamma!-

La donna si voltò di scatto, e in quel momento Jun voltò lo sguardo dove Hikaru stava sbracciando.

Il vento ancora una volta diede una leggera scossa agl’alberi, facendo piovere petali bianchi e rosa.

I due si guardarono negl’occhi, e sembrò loro di vedersi per la prima volta.

“-Ero andata a guardare i ciliegi in fiore, come facevo tutti gli anni.

Indossavo un furisode verde, con i dettagli in argento e bianco, il mio preferito, e con me avevo il mio ombrello rosso, perché i ciliegi lasciano tanti petali.

Dovevo incontrarmi con Mamoru, perciò mi fermai sotto l’albero più grande, era così carico di fiori che bastava un niente perché piovessero petali. C’era un odore così buono nell’aria.

Alzai lo sguardo, guardai i petali, sembravano fatti di seta. Inspirai il profumo, ascoltavo il suono del vento. Era una giornata bellissima.

E poi, quando abbassai lo sguardo, lo vidi.

Aveva i capelli rossi come il fuoco, e la pelle chiara come la neve. E gli occhi azzurri come il cielo … -

 

**

 

Mi dispiace tantissimo per il ritardo di questo capitolo, ma tra il viaggio in Pakistan e gli esami non ho avuto un momento per continuare a scrivere. Ora che sto ricominciando le lezioni spero di finire Opera, anche perché ci sono altri progetti in ballo.

A seguire ci sarà il secondo intervallo, e poi l’ultima sezione della storia.

Un bacio a tutte, ci vediamo!

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Capitolo 17
*** Intervallo (II) ***


Intervallo

 

That evening…

 

 “Tieni, per te.

A dire la verità le avevo portate a Yayoi, per farle una sorpresa, ma ho altre copie, gliele darò la prossima volta.”

Jun rientrò in casa tenendo tra le mani la busta gialla che Sanae gli aveva consegnato quel pomeriggio, alla fine dell’Hanami; la donna aveva avuto in faccia un’espressione attenta, che studiava ogni minima reazione dell’uomo, e a quel punto lui si sentì circondato, già bastava Matilde con quell’atteggiamento!

Nonostante le due donne (che nel frattempo avevano fatto una silenziosa comunella), il pomeriggio era passato bellissimo come l’uomo aveva potuto solo immaginare: suo figlio che, appena lo aveva riconosciuto, era corso ad abbracciarlo, entusiasta, i giochi e le chiacchiere fatte con lui aspettando Yayoi. L’arrivo della donna, tra quei petali di ciliegio…

E tornando a casa in macchina, ad ogni semaforo o Stop segnalato, l’uomo non perdeva occasione di cercare, con lo sguardo, le chiome di quegl’alberi, a volte facendosi anche richiamare dal clacson di qualche impaziente. Oramai, lo sentiva, quell’albero stava diventando il suo preferito: gli sembrava che, ogni volta che ne vedeva uno, la donna dalla chioma rossa sarebbe apparsa da dietro il fusto, sorridendogli, magari con in braccio suo figlio.

Aveva anche avuto un sogno simile, e anche tra i suoi ricordi c’era qualcosa del genere, ma ogni volta che si sforzava di dare forma a quel ricordo lo sentiva sbriciolarsi nella sua mente. Allora preferì ripensare a quel pomeriggio, all’emozione provate mentre si alzava in piedi e faceva accomodare l’ex-moglie accanto ad Hikaru, prendendogli cavallerescamente la bottiglia di saké per distribuirla alle donne presenti.

Probabilmente, vista dall’esterno, risultava una scenetta interessante: un solo uomo, tre donne ed un bambino.

Sorrise divertito, immaginando la scenetta da quel punto di vista, facendo girare la chiave nella toppa della porta di casa, facendosi accogliere dal silenzio e dal buio.

Chiuse la porta dietro di sé, restando fermo a sentire l’atmosfera intorno a lui, prima di togliersi le scarpe e muoversi felpato. Conosceva quell’appartamento abbastanza bene da girarlo a passo sicuro, pertanto doppiò il grande divano, superò il tavolino nero e si avvicinò alle finestre, avviando le persiane con un tasto; queste si alzarono senza fretta, e una striscia arancione colorò il mobile dietro di lui.

Il divano aveva i cuscini spiegazzati, e in generale aveva un’aria stravolta, segno che il suo proprietario ne faceva un uso proprio ed improprio. Jun gli lanciò un’occhiata un po’ colpevole, ammettendo che almeno i copricuscini poteva metterli a lavare.

L’uomo si avvicinò al mobile, accarezzando la stoffa bianca e notando, nell’arancio del tramonto, i piccoli segni dello sporco. Eh si, era davvero messo male …

Guardò la busta gialla nella sua mano, ripensando alle parole di Sanae, e raddrizzò la schiena, aprendola e infilando delicatamente una mano all’interno, tastando qualcosa che sembravano ritagli plastificati.

Fotografie?

Ne tirò fuori una, girandola per vedere il soggetto immortalato.

Yayoi, con il pancione.

La vista lo sorprese tanto che s’immobilizzò in quella posizione, solo gli occhi si muovevano, andando un po’ dappertutto lungo l’immagine, cercando di carpire da dove provenisse quella foto: il fondale scuro e le luci gli fecero subito capire che si trattava di uno studio fotografico. La donna aveva le spalle e il seno coperto da uno scialle, ma la pancia era scoperta, bellissima nel suo gonfiore di nove mesi.

Di sicuro Sanae aveva insistito, una cosa del genere la donna, da sola, non l’avrebbe mai fatta.

Jun, a quel punto, si svegliò e controllò l’interno della busta: foto, tante altre foto, alcune di misure diverse, poteva vederne di sfuggita una che non sembrava fatta in uno studio, e le fece sfilare via dalla busta gialla, tornando però ad osservare quella di prima.

Aveva spesso sentito Sanae e Yoshiko dire a Yayoi che, se avesse voluto, avrebbe potuto fare la modella: non solo per quei capelli, ma anche per il viso e il fisico, tali da renderla molto fotogenica.

Ed ora che ci pensava, anche al liceo la donna aveva fatto un piccolo servizio fotografico per il club della scuola, chissà dov’erano finite quelle foto; se non ricordava male, di solito la donna ordinava tutte le loro fote in diversi album, ma alcune volte le metteva in scatole di latta, in attesa del posto giusto dove metterle.

Scatole di latta …

Jun si alzò in piedi, dirigendosi verso la camera da letto. Lì, in un angolo, c’erano delle scatole di cartone, dal divorzio non erano ancora state aperte, anche perché contenevano oggetti di abbellimento, cosa che l’uomo non utilizzava: per lui il mobilio doveva essere solo quello necessario, tutto il resto era di troppo.

Le scatole non erano molto grandi ma erano piene, lo poteva sentire chiaramente mentre ne prendeva una, facendo forza sullo scotch e aprendola con brutalità, rovistando dentro. Niente.

Provò con la seconda, ma anche lì rovistò nelle cianfrusaglie, senza trovare quello che cercava.

Guardò la terza e ultima scatola con aria scettica: e se le avesse tenute lei le foto? In fondo ne aveva diritto, erano di entrambi.

Inoltre lui non era tipo da album o cose di questo tipo; però, in quel momento, sentiva l’incredibile voglia di rivedere quegli scatti, quei momenti passati, di avere la certezza nelle mani di aver vissuto davvero qualche momento con lei.

Per far diminuire quella distanza fra di loro.

Fece un profondo respiro, di solito tre era il numero magico, magari funzionava anche in quel caso; prese lentamente la scatola, e l’aprì con meno cattiveria, infilando una mano con incertezza. Toccò qualcosa di metallico, e gli occhi gli si acceserò.

Eccole. Anzi, eccola, ce c’era solo una.

Era la classica scatola di latta dei cestini da pranzo, e l’uomo effettivamente riconobbe la sua azzurra, che aveva usato da piccolo. Sotto di questa c’era un album di foto, con la copertina in cuoio nero.

Quando, da bambini, Jun e Yayoi avevano scoperto di usare entrambi quel tipo di cestini si erano entusiasmati, e da quel giorno era iniziata la loro amicizia. Mangiavano sempre insieme, mettendo vicini i cestini, e i loro compagni glieli invidiavano.

Jun, come pranzo, aveva spesso la frittata o la carne, e poco riso perché non gli piaceva troppo, a volte lo lasciava pure; Yayoi, invece, tendeva molto verso la verdura, e se aveva i classici wurstel li passava al bambino, facendosi dare in cambio più riso, di cui lei invece era ghiotta.

L’uomo, lentamente, controllò la sua scatola, constatando che era ancora in buono stato, aprendone i ganci e sollevandone il coperchio.

La prima cosa che trovò era una foto di lui, da piccolo. Ma quello che lo fece sorridere era che, in quella foto, c’era anche lei, piccola e sorridente, con i capelli rossi legati in due alte codine.

-… Yayoi.-

Certo che tempo io ne avro'
nonostante il mio lavoro
quando mi chiami ci saro'
e mandero' via le tue paure

Lentamente chiuse la scatola e si alzò in piedi, tenendo la latta per il manico, piegandosi solo per raccogliere anche il vecchio album, grande e pesante, tenendolo sottobraccio e ritornando in salotto, dove oramai era calata la sera.

Abbassò nuovamente le persiane e accese una lampada, poggiando tutte le foto sul tavolino basso e nero, e stava per mettersi seduto quando guardò, nuovamente, quel divano e la stoffa bianca rovinata.

Si portò i pugni sui fianchi, e prese un profondo respiro.

-… ma ti pare che mi vengano queste voglie a quest’ora. Va beh …-

Liberò l’intero divano dalla fodera bianca e sporca e portò questa alla lavatrice in cucina, ficcandola in malo modo e cercando di fare il bravo “donnino di casa”, misurando il detersivo e scegliendo quello che, forse, era il programma più adatto. L’infernale elettrodomestico partì con un “click”, e l’uomo pregò che le cose andasserò bene, preparandosi una bevanda calda e portandosela in salotto.

Senza la fodera il divano aveva un aspetto nudo e imbarazzato, gli sembrava quasi di vederlo arrossire e guardarlo in malo modo; lui sorrise divertito, accomodandosi sul tappeto morbido e peloso, sorseggiando la sua bevanda calda e iniziando a sfogliare, per prime, le foto della scatola di latta, giudicandole a colpo d’occhio le più vecchie.

La foto di loro due da bambini era durante la giornata dello sport, e i due avevano fatto insieme la corsa con una gamba legata; sorridevano con aria tremendamente soddisfatta, e tenevano la bandierina con il numero 1.

Fin da piccolo Jun aveva avuto problemi di cuore, quindi ricordare quella giornata, e ricordare soprattutto che lui aveva CORSO gli sembrò incredibile, ci aveva davvero dato dentro, con accanto la bimba che, a sua volta, aveva dato il massimo. Cavolo, e chi se lo ricordava più?!

Si vedeva che erano davvero piccoli, e l’uomo si domandò chi avesse fatto le foto, tanto che la girò, sperando che qualcuno avesse annotato qualcosa con la penna.

“Jun e Yayoi, primi alla corsa a tre gambe. 10 Ottobre”

La calligrafia non era quella della donna, e guardando bene non era nemmeno dei suoi genitori. Che fosse stato il signor Mamoru? In effetti l’uomo era sempre stato presente a quel tipo di attività …

Continuò a sfogliare le foto, e vide i giorni delle elementari, assieme a Yayoi, passare in un momento, e quando riconobbe la sua prima divisa calcistica si fermò, sorridendo divertito.

Aveva almeno tre foto con quella divisa, una con i suoi genitori, e una con lei, Aoba, allora aveva i capelli lunghi fino alle spalle, e sembrava già così cambiata rispetto alla foto di prima, quando avevano corso insieme: qui aveva la gonna lunga, le mani unite in una posa educata, il sorriso un po’ più timido e una leggera distanza tra i due, in quella di prima erano quasi appiccicati.

Prese un altro sorso, e continuò a sfogliare le foto, la maggior parte era di tipo calcistico, lui che giocava, in partita o agli allenamenti.

Ce n’era perfino una dove si stava facendo visitare dal medico. Quella se la ricordava bene, era quando il medico aveva deciso di fargli qualche esame in più, scoprendo che i problemi al cuore si erano acutizzati.

Storse la bocca in un’espressione infastidita, e cominciò a sfogliare quelle foto, cercando uno scatto dove non era solo lui, o la sua squadra. Mano a mano accellerò, fino ad arrestarsi ad una foto di gruppo.

Eccola, eccola di nuovo, meno male.

Stavolta erano con la classe del loro ultimo anno delle elementari, ed erano davanti ad un autobus, segno che stavano andando in gita; avevano tutti un cappellino, e sia Jun che Yayoi, nello scatto, si stavano stuzzicando tirandosi giù il berretto a vicenda, ridendo divertiti.

L’uomo sorrise, divertito a sua volta.

Stavano andando in campagna, in una zona non molto lontana da dove aveva abitato la donna, e la gita era durata tutta la giornata, con uno scatto particolare durante il momento del pranzo; lì i due si erano seduti vicino, con le loro scatole di latta in bella mostra.

A vederli, quei piccoli momenti di complicità, sembravano così buffi nella loro semplicità, così infantili … eppure l’uomo, mentre continuava a sfogliare gli scatti, si sentì investire da una serie di ricordi che lui aveva rimosso per lasciare spazio a … a cosa? I problemi probabilmente, non sapeva pensare ad altro.

Dimmi amore
cosa pensi quando mi guardi
cosa sogni
sul mio petto un po' stanco
sei cosi serena
sta sicura mi troverai
saro' con te
se ti sveglierai

I sorrisi di Yayoi cambiavano sempre ad ogni foto. Non era sempre e solo timida, o educata come capitava in molte foto di circostanza, come l’inizio delle medie e del liceo; lì aveva addosso l’uniforme, stavano davanti al cancello della scuola, e si vedeva chiaramente che c’era una certa distanza tra i due, una cosa che però, a pelle, Jun non aveva mai avvertito.

Invece, in altre foto, la ragazza sprizzava un’energia incredibile: ad ogni festa dello sport, e anche durante le prove teatrali al liceo. In particolare c’era una foto dove Jun aveva in mano un martello, visto che stava sistemando una scena, e stava ridendo con gli altri per via di un attore che era scivolato clamorosamente sul palco.

Lì la risata di Yayoi sembrava far esplodere la fotografia, l’uomo aveva la sensazione di poterla ancora sentire mentre alzava la testa per cercare di clamarsi, facendo così scivolare indietro i lunghi capelli, oramai superavano di netto le spalle.

C’era anche una foto dopo lo spettacolo, lì la donna aveva il suo vestito da vecchia, ma il suo sorriso era fin troppo giovane e fresco.

Ovviamente, siccome erano foto nella sua scatola di latta, la maggior parte degli scatti erano solo per lui, pertanto c’erano tantissimi ritagli della sua carriera di giocatore di calcio; quelle le scorreva senza soffermarcisi troppo, dopo i primi scatti di lui bimbo non gl’interessava altro, la sua vita da calciatore la conosceva fin troppo bene.

Invece cercava sempre, in ogni foto, la presenza della donna, e delle volte si ricordava che alcune foto era stata lei stessa a farle, poteva dirlo dall’espressione facciale che lui, ragazzo, aveva nelle immagini: erano divertite, imbarazzate, ma mai serie e statiche.

Si … Yayoi era sempre stata capace di tirare fuori da lui ogni possibile emozione. Solo lei ci riusciva in modo così naturale.

L’uomo alzò lo sguardo verso l’alto, sentendo all’improvviso un vuoto tremendo che partiva dal petto e arrivava al centro del corpo, come una voragine; prese fiato, e prese un altro sorso della bevanda, ma il vuoto era ancora percepibile. Si alzò in piedi, decidendo di fermarsi un attimo, portando così la tazza vuota in cucina e controllando la lavatrice, che ne avrebbe avuto ancora per un po’.

Tornò alle foto solo quando si sentì più tranquillo, e richiuse la scatola di latta, oramai aveva visto tutte le immagini al suo interno, e afferrò il grosso album nero, aprendolo e trovandosi subito la sua squadra dei mondiali juniores.

Sorrise nostalgico, si soffermò a lungo ad osservare tutti quei volti, a ricordarsi tutti i momenti trascorsi insieme, e sfogliando l’album ne riconobbe alcuni e ritrovato altri: era stato fatto tutto con ordine, giorno per giorno, e l’uomo era sicuro che questa era opera di Yayoi.

Sembrava particolarmente legata a quel tipo di attività, e sentirne la presenza solo perché aveva ordinato quell’album fece sorridere Jun, il quale si soffermava a lungo su ogni immagine, sforzandosi di ricordarsi ogni momento.

A volte sbucava anche quella capigliatura rossa, tendenzialmente nella tifoseria o assieme alle sue amiche Sanae e Yoshiko, c’era anche una foto con Kumi, Yukari e la moglie di Kojiro, Maki. Ed erano tutte quante sorridenti.

Voltò l’ennesima pagina, e per un momento gli mancò il fiato: la chioma del ciliegio, e sotto di questa la chioma rossa della ragazza, che sorrideva felice appoggiata al tronco, addosso un vestito pastello.

Eccola, eccola davvero, allora non era stato solo un sogno, non era un ricordo sbiadito; timidamente, l’uomo liberò la foto dall’album, e la girò, sperando di trovare qualche appunto scritto dietro. “Casa Misugi. Hanami.”

A momenti il cuore di Jun esplodeva dall’emozione, e l’uomo si passò una mano in bocca, e poi sugl’occhi, tenendo stretta quella foto.

Penso se fossi dentro te
capire come soffri o sei felice
se dentro canti come me
se dormi al suono dolce
della radio

La tenne lontana dall’album, appoggiandola sul tavolino, e passò oltre.

Il diploma, e poi l’università.

Adesso vedeva chiaramente che Yayoi era felice, entusiasta della vita mentre gli scatti con i loro compagni di studio si susseguivano uno dietro l’altro, in ogni possibile attività, dal semplice studio all’uscita serale o, addirittura, ad una strana grigliata fatta a casa di Misugi, prima che i suoi si trasferissero.

E poi Jun li trovò, un po’ nascosti, alcuni scatti mescolati fra loro, in fondo alle ultime pagine dell’album: la danza di gruppo durante la festa della cultura del liceo, quando i due si erano cimentati nel ballo attorno al fuoco, lui sicuro anche se un po’ rigido e lei con le guance arrossate, l’aria emozionata.

Oppure la vittoria di una partita del campionato regionale, dove lui le stava sorridendo entusiasta e lei era felice, persino sorpresa di quell’attenzione. E poi i momenti di studio all’università, dove erano seduti vicino, lui le teneva la mano senza farci attenzione, ma lei aveva un sorriso leggero sulle labbra.

E poi sguardi che lui non aveva notato, attenzioni che solo la donna aveva nei suoi confronti, e ogni volta che veniva beccata dalla macchina fotografica arrossiva e distoglieva lo sguardo, impacciata. Momenti che lui non aveva mai notato.

Ma adesso li aveva davanti, chiari come il sole, e si portò una mano sulle labbra, arrivando a coprire la bocca: era arrossito, anche in modo vistoso, distogliendo lo sguardo.

Tienimi dentro te
Tienimi dentro te
vorrei vedere il mondo
con i tuoi occhi per un po'
Amero' come te
piangero' come te
gridero' come te
se non mi stanno ad ascoltare...

Era un viziato, e adesso se n’era reso conto fin troppo chiaramente. Ma ora cosa poteva fare, in cambio? Adesso non poteva fare altro … che … che amarla. Era l’unico modo di ricambiare tutto quello che aveva fatto nei suoi confronti.

Maledizione, si sentiva imbarazzato come se fosse stato nudo di fronte a lei, in debito nei confronti della donna e al tempo stesso incapace di ripagarla, come se fosse stato al verde. Ed era felice, incredibilmente e stupidamente tanto felice. Girò l’ultima pagina dell’album, e quella foto smorzò, per qualche momento, l’emozione.

Era la foto del loro matrimonio, l’unica che lui aveva, tutte le altre forse ce le aveva ancora Yayoi, e non si sarebbe stupito se, in caso, la donna le avesse buttate via.

Accarezzò l’immagine con le dita, la donna in abito bianco era stupenda: aveva due grandi fermagli a fiore ai lati della testa, da dove partiva il velo che scendeva giù, bianchissimo, i capelli rossi sciolti sulle spalle, il vestito con il busto a cuore e la gonna vaporosa semplice, non c’era bisogno di ricami o decori sfarzosi. In mando un mazzo di rose bianche, i guanti lunghi fino al gomito. Un sorriso rilassato, ma traboccante di felicità.

Lui, invece, era decisamente più serio, con il suo abito nero e la camicia bianca, il farfallino nero che gli dava un’aria formale. Un sorriso quasi tirato su quel volto, gli occhi induriti.

L’uomo ricordò quel giorno, e ripensò ai suoi sentimenti, a come si era sentito.

Tutto ciò che ricordava … era l’ansia che tutta l’organizzazione andasse bene, in quanto avevano preparato il tutto in poco tempo, e c’era sempre il rischio di qualche problema. Invece era stato tutto perfetto.

Ripensandoci adesso, forse qualche problema sarebbe stato meglio fosse avvenuto: probabilmente, così, si sarebbe scaricato della tensione, e avrebbe goduto molto di più di quel giorno, come aveva fatto Yayoi. Magari avrebbe riso della situazione, si sarebbero divertiti, sarebbe stato un momento così felice che la donna avrebbe pianto commossa, e lui l’avrebbe abbracciata a sé, promettendogli…

Jun fermò i pensieri, e con un’espressione amara chiuse l’album: indietro non si torna, era una cosa che era solito ripetersi, e anche in quel caso dovette dirselo per non lasciarsi trascinare dalla tristezza.

Erano rimaste solo le ultime foto, e prese un profondo respiro, raccogliendo tutto il suo coraggio per prenderle ed a sfogliarle, cercando la prima della serie, fortunatamente Sanae aveva segnato tutte le date.

“Quarto mese”. Un mese dopo il divorzio.

La girò, la pancia aveva cominciato a gonfiarsi leggermente, ma Yayoi sembrava solo ingrassata mentre sorrideva con la donna davanti ad un grande piatto di Paella, attorno a loro i figli di Sanae che sorrideva divertiti, probabilmente Tsubasa aveva fatto la foto.

Aoba sembrava pallida, e Jun si domandò se era per la gravidanza … o forse, molto più probabilmente, per il divorzio.

Eppure, in ogni scatto successivo, l’uomo non vide mai quel volto cedere alla sofferenza, ma sorridere sempre con convinzione: Yayoi non sorrideva mai per finta, non simulava mai la felicità, ma sembrava sempre cercarla dentro di sé, per mostrarla poi all’obbiettivo.

E così in giro per Barcellona, davanti alla Sagrada Familia, abbracciata ai figli di Sanae, in cucina con l’amica o al mare, a mostrare le sue rotondità di donna gravida, la donna sorrideva sicura, senza il minimo cedimento mentre entrava nel quinto mese, e la pancia diventava grande a vista d’occhio.

Sono lontano e stai con me
amore sei buffa sul leggio
tu che dicevi nella tasca
ti ho messo una mia fotografia

Jun provò quasi invidia nel vedere il lungo viaggio della donna mentre lasciava scorrere tra le dita i giorni e la vedeva mutare d’aspetto: i capelli che, ad un certo punto, si accorciavano perché troppo lunghi, i vestiti che si facevano più larghi, i suoi atteggiamenti che si facevano … più calmi e composti.

Stava cambiando davanti ai suoi occhi, in quelle foto, eppure c’erano anche momenti in cui tornava ad essere la Aoba che aveva sempre conosciuto. Proprio come in quel momento.

Era seduta sul cornicione della finestra, il vestito lungo estivo che nascondeva e rivelava la sua pancia, il libro aperto tra le mani e lo sguardo perso fuori dalla stanza, i capelli legati in una treccia che scivolava morbida sulla spalla.

Chiunque, guardandola, poteva pensare ad una foto fatta apposta, ad un quadro.

E chiunque, Jun era certo, si sarebbe potuto innamorare di quel volto, di quella figura, del silenzioso tormento e dell’apparente quiete che emanava. Per questo strinse un po’ più forte quella foto, ringraziando Sanae di aver dato quegli scatti soltanto a lui, e a nessun altro. Non avrebbe potuto sopportarlo.

Aveva avuto ragione, allora, la donna a dire che era stato un idiota.

Poggiò quella nuova foto accanto a quella con il ciliegio e riprese a sfogliarle, trovandone alcune mentre Yayoi traslocava, con il pancione che continuava a crescere.

E poi un’altra, dall’impatto emotivo così forte che Jun quasi trattenne il fiato, il suo profilo scuro alla luce della lampada.

Era all’ospedale, nel letto, il volto arrossato e sudato, i capelli spettinati nonostante fossero legati in una treccia; gli occhi brillanti, una lacrima che scivolava sulla guancia, il sorriso che si stava formando sulle labbra stanche. Bellissima.

E lì, accanto a lei, un bimbo così piccolo che non sembrava nemmeno vero, arrossato quanto la madre, con gli occhi chiusi e una delle manine che aveva preso un dito della donna; avvolto nell’asciugamano bianco era incredibilmente delicato, fragile. E bellissimo.

Jun si fermò, guardando quella foto muto: non era stato là a sostenerla, non era stato là ad accoglierlo al mondo. Lui non c’era in quella foto, non c’era nessun altro che lei e il bimbo, e il letto, la stanza, sembravano giganteschi in confronto a quelle due figure.

La solitudine della donna, di colpo, gli arrivò addosso come uno schiaffo, graffiandogli il petto; eppure, nonostante quella sensazione, la vedeva felice, commossa, con quel sorriso che stava nascendo e, di sicuro, era radioso.

Jun, lentamente, abbassò il volto, e si passò la mano tra i capelli, stringendo leggermente i denti per non singhiozzare, ma le lacrime scapparono comunque dai suoi occhi, colme di diverse emozioni.

Rabbia, perché lei gli aveva nascosto la gravidanza e i suoi problemi, e anche perché nessuno dei due si era sforzato di spingere l’altro a guardare in faccia i problemi, a trovare insieme una soluzione; dalla rabbia, poi, alla frustrazione di non averle potuto dare una mano, e il dolore nel vedere quella solitudine.

Ma anche commozione, e felicità: perché lui quella donna l’aveva conosciuta fin da piccola, perché sapeva com’era fatta, era ancora in grado di riconoscerla in quelle foto, di ricordare i momenti passati assieme. Perché l’aveva sposata, e perché quel figlio era suo.

E poi perché lui, quella donna, l’amava ancora. Forse più di prima.

E mi guardi
gli occhi grandi un po' severi
io t'aspetto
abbi cura di te
e poi non mi tradire
ho fiducia in cio' che farai
saro' con te
se ti sveglierai

Guardò le foto di Yayoi e Hikaru come un affamato, osservando e memorizzando ogni dettaglio di madre e figlio mentre lei lo teneva in braccio, lo nutriva dal suo seno in un gesto naturale che spiazzava, lasciava muti ad osservare quel piccolo miracolo, quel profondo legame, quello scambio di sguardi immortalati nello scatto.

Lo vestiva, lo faceva addormentare, lo faceva ridere o lo consolava. Sembrava che Sanae avesse scattato ogni possibile foto proprio per quel momento, per quella sera. Per Jun.

E Hikaru cresceva, a vista d’occhio, sorridendo mentre alzava le braccia, oppure giocando tranquillo, gattonando fino ad imparare a stare in piedi, con Yayoi in ginocchio che lo sosteneva sorridendo entusiasta. Mangiava facendo le boccacce e ridendo con la madre, correva scoordinato e si rialzava in piedi senza lacrime.

Aveva occhi grandi che, alla macchina fotografica, teneva sempre spalancati, sorridendo come solo un bambino piccolo può fare.

Un anno, due anni, tre, quattro, scorrevano via in mille e più istanti, la busta sembrava contenere pochi scatti che invece, nelle mani di Jun, sembravano moltiplicarsi fino a sparpagliarsi per terra sul tappetto in un patchwork d’istanti che l’uomo avrebbe conservato per sempre.

E l’alba lo colse addormentato sul tappetto, attorno a lui le foto di quegl’anni lontano da Yayoi, ma vicino a se le sue tre preferite, quelle che non avrebbe mai lasciato a nessuno: Yayoi ragazza, sotto al ciliegio, sorridente. Yayoi donna incinta, alla finestra, che guarda lontano.

Infine Yayoi e Hikaru stretti nell’abbraccio, il bimbo sorridente nei suoi cinque anni mentre la donna teneva entranbi avvolti in un grande scialle dalle sfumature arancio, rosse e dorate, i capelli di lei che quasi si confondevano nella capigliatura di lui, gli occhi di entrambi grandi e brillanti.

E i sorrisi identici, rivolti alla macchina fotografica, come se stessero sorridendo all’uomo addormentato lì accanto.

Tienimi dentro te
Tienimi dentro te
vorrei vedere il mondo
con i tuoi occhi per un po'
Amero' come te
piangero' come te
gridero' come te
se non mi stanno ad ascoltare

La canzone usata è “Tienimi dentro te”, di Fabio Concato.

Io non sono madre, ma una mia amica è diventata madre, e mi è capitato di lavorare con i bimbi; ho cercato di trasmettere le mie sensazioni all’interno della storia attraverso Jun, perché mi sento molto vicina a lui in questo capitolo. Ci vediamo al prossimo aggiornamento!!

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Capitolo 18
*** Recitativo e Aria: Lascia ch'io pianga ***


Recitativo e Aria:

Lascia ch’io pianga

 

Yayoi prese il termometro dalle labbra di Hikaru, e controllò la temperatura: trentotto e mezzo. Sospirò, guardando il bimbo muoversi leggermente, con espressione contrita.

-Beh, almeno adesso posso confermare che non sta bene.-

Sanae rimase sull’uscio della camera, tenendo Kumo tra le braccia.

La madre accarezzò la guancia del figlio, sentendola bollente; sospirò, bisbigliando al bambino, nonostante sapesse che lui non le avrebbe risposto.

-Sei un testone. Proprio come papà.-

Si alzò lentamente dal letto, dirigendosi fuori dalla camera, Sanae la seguì in silenzio con il micio in braccio, che dormiva tranquillo.

Si spostarono al bagno, dove Yayoi aprì l’armadietto dietro lo specchio, controllando i medicinali che aveva con sé; frugò per qualche minuto, e poi prese delle pastiglie, richiudendo il piccolo mobile con un secondo sospiro, attirando l’attenzione dell’amica.

-Tutto bene?-

-Non ho antiinfiammatori adatti a lui, solo un antistaminico che però non ha molto effetto; potrei passare in clinica a prendere qualcosa …-

-Ci penso io a lui. Oppure puoi mandare me e tu resti con Hikaru.-

-Te la sentiresti davvero?-

Sanae sorrise divertita, continuando a tenere Kumo in braccio.

-Mamma, ti ricordo che ho la tua stessa età, posso cavarmela benissimo.-

A quel punto Yayoi si lasciò andare ad un sorriso sollevato, uscendo fuori dal bagno per dirigersi nel piccolo salotto, prendendo carta e penna e iniziando a scribacchiare sul Kotatsu vicino al divano.

-Parla con il desk e digli che ti mando io, e che devi farti dare dei medicinali dal dottor Guffred; probabilmente dovrai aspettare un pochino, ma appena ti riceve dagli questo foglietto e la mia tessera sanitaria. Al resto ci penserà lui.-

-Aspetta, mi è venuta in mente un’idea ancora più geniale.-

La donna si fermò dallo scrivere, guardando incuriosita l’amica. Questa aveva un’espressione furba sul volto.

-Perché non chiedi a Jun?-

Fino a quel momento la donna non aveva proprio pensato a quella possibilità: fino ad ora, infatti, aveva sempre curato da sola Hikaru.

Sanae proseguì.

-In fondo adesso sa che ha un figlio, non pensi sia ora di fargli fare qualcosa a riguardo, oltre a passare il tempo a giocare con Hikaru?-

-Non parlare in questo modo.-

Usò un tono duro per richiamare l’amica, e questa rimase sorpresa: era raro che Yayoi rimbrottasse qualcuno, con Hikaru non ne aveva mai avuto effettivo bisogno.

La vide distogliere lo sguardo e controllare quello che aveva scritto sul foglietto, prima di alzarsi dal Kotatsu per dirigersi al telefono dell’appartamento.

A quel punto l’amica cercò di aggiustare il tiro di poco prima.

-Comunque è la soluzione migliore: tu ed io rimaniamo a casa per badare ad Hikaru, e lui ci raggiunge con le medicine.-

-Però non so se lavora tutto il giorno o no, potrebbe non farcela.-

-In caso passo io in clinica a prendere le medicine.-

Yayoi era davanti all’apparecchio telefonico, bigliettino in mano, ma ancora non aveva preso la cornetta e digitato il numero; Sanae, dietro di lei, avvertiva la sua tensione, tanto che le sue successive parole furono dette in un misto di ansia e fastidio.

-Dai Ya-chan, non mi sembra il momento di farsi venire delle paturnie a riguardo: qui si tratta di Hikaru con la febbre!-

L’immagine di suo figlio a letto risvegliò la donna, la quale si voltò verso l’amica ed annuì, prendendo dal cassetto del piccolo comò l’agenda con tutti i numeri telefonici.

-Spero che Jun usi ancora il suo vecchio numero.-

Afferrò la cornetta e l’appoggiò all’orecchio digitando veloce il numero, non aveva avuto nemmeno bisogno di frugare nel piccolo libricino. Lo ricordava ancora a memoria.

Attese qualche momento, e poi sentì la linea libera, e già questo la irrigidì leggermente; uno squillo, poi il secondo, e alla fine il terzo. Solitamente l’uomo rispondeva a questo punto, ma appena sentì il quarto la donna ebbe il dubbio che il numero fosse sbagliato.

>Pronto?

La voce dell’uomo le irrigidì la schiena, le mancò il fiato nel rispondergli.

-Pronto, Jun?-

>…Yayoi?

Sorrise leggermente, le faceva piacere sentire che l’aveva riconosciuta. Tuttavia il foglietto in mano la riportò alla realtà.

-Scusami se ti chiamo, stai lavorando?-

>In questo momento no, come mai? Che succede?

Provò conforto nel sentire che l’uomo s’interessava, e la preoccupazione nei confronti di Hikaru non l’attanagliò più come prima, sentiva di poterla gestire.

-Hikaru ha un po’ di febbre, e io a casa non antiinfiammatori adatti alla sua età. Potresti prenderne dalla clinica al reparto di pediatria? Se non puoi venire Sanae può passare a prenderli.-

>No, vengo io.

Una risposta secca, con chiaro tono preoccupato. La donna poteva perfino vedere le sopracciglia di Jun corrucciarsi leggermente in un’espressione turbata.

>Cosa devo prendergli?

Yayoi alzò il foglietto con la piccola lista.

-Mi servono dei farmaci con ketoprofene o paracetamolo, e anche acido acetilsalicilico.-

>Ha la febbre? Quanto è alta?

Non poteva mentirgli, perché si sarebbe arrabbiato, ma aveva la sensazione che se glielo avesse detto lo avrebbe messo in ansia. Vale a dire che si sarebbe dovuta prendere cura non solo di suo figlio, ma anche di un altro bambino; prese un respiro.

-Trentotto e mezzo, probabilmente ha l’influenza.-

>Dici che è a causa di ieri?

-Anche, ma questi sono stati giorni molto emozionanti, probabilmente si è molto stancato e un suo compagno d’asilo lo ha contagiato, capita ai bambini di quell’età.-

>Si certo, capisco.

Non era per niente tranquillo, lo si capiva chiaramente. Yayoi si voltò a guardare Sanae, e questa le parlò con il labbiale.

“Fallo venire qui.”

La rossa spalancò gli occhi e scosse leggermente la testa, ma l’altra insistette.

Kumo, intanto, si era svegliato tra le braccia della bruna, e muoveva la piccola coda guardando la scena incuriosito.

“Digli di venire.”

“Sta lavorando!”

“È suo figlio, fallo venire!”

Entrambe sbuffarono quasi simultaneamente, per poi sorridere divertite mentre Jun, dall’altra parte del telefono, chiamava nuovamente la ex-moglie.

>Yayoi? Ci sei?

-Si, si Jun, dimmi pure.-

>Passerò con le medicine tra un quarto d’ora.

-Ma scusa, non sei a lavoro?-

>Non ti preoccupare. Ci vediamo fra poco.

-No, aspetta Jun!-

Ma l’uomo chiuse la telefonata, e la donna si ritrovò a parlare con il suono della chiamata interrotta; sospirò, rimettendo a posto la cornetta mentre Sanae lasciava andare Kumo, sorridendo soddisfatta.

-E allora?-

-…viene qui lui.-

-Bene! Visto? Non era così difficile.-

L’occhiata che la rossa lanciò all’amica era più che eloquente, scuotendo leggermente il capo e riponendo la piccola agenda nel comò del telefono.

Sanae buttò l’occhio dentro il cassetto, e notò qualcosa, parlando all’amica.

-Ce le hai ancora tu?-

L’altra non si girò a guardarla, sapeva bene a cosa si riferiva: lentamente, prese dal cassetto la piccola scatolina di legno laccato, oramai al posto del vaso aveva spostato il telefono, per comodità, ma quell’oggetto era rimasto al suo posto. Lo aprì, guardandone il contenuto.

Dentro la scatola era foderata di nero, e al suo interno riposavano le fedi nuziali.

-Ho preferito tenermele io, sono sicura che lui le avrebbe buttate.-

-O magari le avrebbe conservate come te.-

-Nah, non credo: lui non è tipo da guardare al passato.-

Sanae avrebbe voluto dirle “Ne sei sicura? Se così fosse non si sarebbe interessato a te o ad Hikaru.”, ma questo tipo di aggressione alla donna l’avrebbe solo fatta chiudere in sé, pertanto si passò una mano sulla labbra, trattenendosi mentre vedeva l’amica richiudere la piccola scatola e rimetterla dentro il comò, dirigendosi alla cucina per preparare la bacinella con l’acqua fredda.

Almirena:

Armida dispietata!

Colla forza d’abbisso rapirmi

Al caro ciel de’ miei contenti!

E quì con duolo eterno

Viva mi tieni in tormentoso inferno!

 

Argante:

Non funestar, oh bella,

di due luci divine il dolce raggio,

che per pietà mi sento il cor frangere.

Yayoi sentì il campanello dell’ingresso suonare mezz’ora dopo, e si alzò di scatto. Era seduta accanto al letto di Hikaru, monitorando il suo stato di salute; Sanae, invece, sbucò dal salotto, era intenta a leggere un libro, con Kumo lì accanto a lei.

-Vuoi che vada ad aprire io?-

La donna si liscò la gonna che stava indossando, ma non si avvicinò all’ingresso, annuendo all’amica; questa prese un respiro, appoggiando il libro in modo da non perdere il segno, sistemandosi i jeans e andando ad aprire la porta d’ingresso, parlando a bassa voce.

-Ciao Jun.-

-Sanae, ciao. Come sta Hikaru?-

-Tutto tranquillo, Yayoi è con lui nella sua cameretta. Prego, entra.-

-Ah, grazie.-

Istintivamente Aoba sbirciò dalla porta della camera, notando l’uomo entrare in casa e poggiare a terra un sacchetto bianco, sicuramente conteneva i medicinali per il bambino; si tolse le scarpe e il giaccone, salendo sullo scalino dell’ingresso e abbandonando la borsa sul pavimento, recuperando il sacchetto mentre Sanae gl’indicava la stanza di Hikaru.

Yayoi si nascose, e poi si diede mentalmente della stupida; prese un respiro profondo e tornò dal bambino, bagnandogli la pezza con acqua fresca.

Il piccolo ancora non aveva sudato, e di sicuro la temperatura si stava alzando; gli accarezzò una guancia con il dorso delle dita, spostandogli una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Sentì Jun affacciarsi all’uscio, e il suo bisbiglio, per un momento, le contorse lo stomaco, obbligandola a restare ferma per prendere fiato, spingendolo a chiamarla una seconda volta.

-Yayoi.-

Si voltò, e la prima cosa che notò fu che l’uomo aveva corso, o quanto meno si era affannato: aveva i capelli scompigliati e l’aria affaticata mentre restava sull’uscio della camera, come incapace di entrare.

-Ciao.-

-Ciao.-

-Scusa il ritardo.-

-Figurati.-

-Come sta?-

La donna si alzò lentamente, facendo cenno all’uomo di sedersi al suo posto mentre gli parlava a bassa voce; questo non sembrava aspettare altro, entrando e sedendosi sul picccolo sgabello, lasciando a terra il sacchetto con i medicinali.

-Stavo per controllargli di nuovo la febbre. Per il momento dorme, ma non riesce ancora a sudare.-

-Non gli hai fatto prendere niente?-

-Per ora gli ho dato una piccola dose di antiinfiammatorio che avevo io, ma temo sia troppo forte per lui. Hai preso quello che ti ho chiesto?-

-Ah si.-

L’uomo si sporse sul sacchetto, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla donna mentre controllava per l’ennesima volta che avesse preso tutto il necessario.

-Ho trovato il ketoprofene solo in supposte, mentre il paracetamolo e l’acetisalicilico sono in bustine solubili.-

-Va benissimo, ti ringrazio.-

-Ah, senti …-

La donna si voltò a guardarlo mentre prendeva il sacchetto, per portarlo in bagno. L’uomo era visibilmente imbarazzato.

-Ti … ti dispiace se rimango? Sono preoccupato per Hikaru.-

-E per il lavoro?-

-Mi sono fatto dare il resto della giornata. Ti da fastidio?-

Erano quelle piccole e sincere richieste, quei gesti un po’ pazzi che riempivano il cuore di Yayoi, e la donna sorrise intenerita, scuotendo leggermente il capo.

-No, anzi. Ti ringrazio molto.-

Si allontanò dalla camera rasserenata, andando in bagno e mettendo in ordine i medicinali dentro il mobile mentre Sanae si sporgeva sull’uscio, parlandole con il labbiale.

“Visto?”

L’altra la guardò di sbieco, per poi spostarsi in cucina per preparare qualcosa da mangiare per tutti e tre, e anche per il gatto, al quale non fu permesso di entrare nella stanza di Hikaru.

Questo, sul letto, apparentemente sembrava dormire tranquillo, ma ad ogni suo movimento, anche il più leggero, Jun scattava come una molla, visibilmente preoccupato. Ma era comprensibile: non gli era mai capitato di doversi occupare di qualcun altro in quel modo, e in questo caso si trattava niente meno che di suo figlio. Di colpo tutta la sua conoscenza medica scomparve dalla sua mente, si era fatta tabula rasa mentre la donna, la contrario, sapeva sempre esattamente cosa fare, istruendo l’uomo a dovere.

-Cambia l’acqua in cucina, metticene di fresca.-

-Si, va bene.-

-Direi che possiamo provargli a dargli un po’ di paracetamolo. Solo mezza bustina però.-

-Faccio subito.-

-Ha un po’ di sete, occhio a non farlo sbrodolare.-

-Si, certo.-

-Non ti preoccupare, si agita molto quando dorme.-

-Ah, ok.-

Sanae, ogni tanto, sbirciava dall’uscio della stanza, e senza farsi vedere dall’uomo scambiava occhiate divertite con l’amica, che all’inizio la rimproverava con lo sguardo, per poi cominciare a sorridere; anche se la situazione era delicata, allo stesso tempo c’era un equilibrio tale da permettere momenti di sorriso.

E poi, ad un tratto, la donna dai capelli corti si fece avanti.

-Senti Yayoi, visto che ci siete voi due io ne approfitto per andare a fare spese, ti da fastidio?-

-No, figurati Sanae. Se puoi prendi qualcosa per stasera.-

-Lascia fare a me, ci vediamo dopo.-

-A dopo.-

-Ciao Jun.-

-… ah ciao Sanae.-

Ma questa si era già chiusa la porta alle spalle, e i due ex coniugi si ritrovarono da soli a badare a loro figlio.

La donna guardò di sfuggita l’uomo e sorrise, attirando l’attenzione dell’altro, il quale si rese conto della situazione e ricambiò l’espressione.

-E così, ora, sei sola a badare a due bimbi invece di uno solo, eh?-

-Già, ma è molto divertente.-

Ridacchiarono, e poi si zittirono di nuovo, tornando a concentrarsi sul bambino, che sembrava riposare con più tranquillità, a giudicare dal respiro dormiva profondamente.

Istintivamente Yayoi gli prese una piccola mano, accarezzandogli il dorso con il pollice, per poi rivolgersi a Jun.

-Fallo anche tu, lo rilassa.-

L’uomo rimase sorpreso dalla richiesta ma alla fine, timidamente, allungò una mano, prendendo quella di Hikaru e iniziando, molto timidamente, ad accarezzare il dorso della mano; la donna guardò in silenzio la scena, osservando attenta la differenza fra la grande mano del padre e quella piccola del figlio, sorridendo intenerita.

-Hai davvero le mani enormi.-

Jun lanciò un’occhiata alla donna, per poi osservare anche lui la differenza di dimensione. E sorrise.

-Ricordo che, quando ero piccolo e stavo male, mia madre mi prendeva sempre per mano.-

-Un bambino guarisce più facilmente se ha accanto la presenza del genitore: lo fa sentire protetto.-

-Questo te lo ha detto Matilde?-

Yayoi ridacchiò leggermente alla battuta mentre Jun guardava prima lei e poi la sua mano su quella di Hikaru.

-Si è ammalato spesso?-

La donna continuò a sorridere tranquilla.

-Si, ma è normale per i bambini, anzi io sono convinta che sia meglio per loro ammallarsi, per permettere agl’anticorpi di svilupparsi. È il corso naturale della vita.-

-Mi fai venire in mente quella volta all’università, in biblioteca, che abbiamo avuto quella discussione a proposito della medicina omeopatica, ricordi?-

Yayoi spalancò gli occhi sorpresa, per poi portarsi una mano alla bocca.

-Ah si, è vero!-

-Io ricordo che abbiamo discusso talmente tanto che il bibliotecario ci ha cacciato fuori.-

-Eravamo completamente opposti di idee, e quasi non ci parlavamo più.-

Allora la situazione fu così spinosa che minacciò effettivamente la relazione dei due, ma adesso nel ricordarlo entrambi ridacchiarono cercando di non fare rumore, continuando a tenere le mani del bambino addormentato.

-Alla fine, però, abbiamo fatto pace.-

-Si, è vero: ci siamo guardati negl’occhi e ci siamo detti che non valeva la pena litigare per quello.-

-Già.-

Non si dissero altro, anche perché dopo aver fatto pace avevano fatto … altro.

Jun cercò di riportare il discorso sull’argomento di prima, osservando la mano di Yayoi stretta su quella di Hikaru.

-Invece, ora che guardo, le tue mani e quelle di Hikaru si assomigliano, avete lo stesso colore di pelle.-

-Beh, però ha il tuo volto, sembra te da piccolo.-

-A proposito, ieri sera ho trovato una foto di noi due da bambini, quando abbiamo vinto la corsa a tre gambe.-

-Davvero?! Che bello, temevo di aver perso quella foto!-

Il sorriso entusiasta di Yayoi spinse Jun a parlarle anche delle altre foto che aveva ritrovato, quelle riguardanti i loro anni delle elementari, medie e liceo, compreso gli anni delle Nazionali e successivi, inerenti all’università. (Ovviamente Jun non accennò alle foto che Sanae gli aveva dato)

-Ti devo ringraziare: in fondo è merito tuo se ho ritrovato quelle foto.-

-Ma figurati, mi sembrava giusto restituirtele, riguardano la tua vita.-

All’uomo sarebbe piaciuto sapere e ricordare anche la vita della donna, quegli scatti dove lui non era presente.

-E tu? Hai qualche foto di te con le altre ragazze?-

-Ah si, ne ho qualcuna.-

-Dopo, semmai, mi piacerebbe vederle.-

-… volentieri.-

Si scambiarono una lunga occhiata.

Jun era là, davanti a Yayoi.

Alla donna sarebbe piaciuto tanto … non sapeva nemmeno lei: dal parlargli per tutto il tempo al semplicemente abbracciarlo e dirgli … che le era mancato tremendamente; invece prese un profono respiro e distolse lo sguardo, cambiando argomento.

-E da tua madre? Com’è andata, come sta?-

Almirena:

Signor, deh!

Per pietà, lasciami piangere!

 

Argante:

Oscura questo pianto il bel fuoco d’amor,

ch’in me s’accese per te, mia cara.

 

Almirena:

In questi lacci avolta,

non è il mio cuor soggetto d’un amoroso affetto

L’uomo ripensò alle ultime parole scambiate con la madre, e si rese conto dell’effettivo rapporto tra la signora Misugi e Yayoi davanti a lui.

-… sta bene, ma sono certo di avergli fatto venire un infarto quando gli ho detto che ero padre.-

La giovane donna, alla confessione, annuì gravemente, voltandosi verso il volto del figlio, usando la mano libera per accarezzargli il volto; era ancora caldo, ma almeno non scottava come quella mattina.

-… la mia scelta di non dire niente immagino non deve’esserle piaciuta.-

-Non ti saprei dire, quando gliel’ho detto ero di fretta perché volevo raggiungerti.-

Le sue parole provocarono un certo imbarazzo e piacere nella donna, ma l’uomo non ci fece caso, dato che era entrato nella parte più importante del suo monologo.

-Anche perché, dopo il modo in cui ha parlato di te, preferisco che davvero gli pigli un infarto.-

-Ma che dici! Povera signora Misugi.-

-Povera un corno, perché non mi hai detto che avevi dei problemi con lei?-

-Perché non ne avevo, semplicemente avevamo pensieri diversi.-

-Ma sentitela, “pensieri diversi”!-

-Non alzare la voce.-

L’uomo dovette stare zitto, l’ultima frase gli ricordò che era lì perché suo figlio stava male. Però continuò la sua arringa, bisbigliando.

-E sentiamo, di quali “pensieri” parli?-

La donna non rispose subito, rivolgendo lo sguardo al figlio.

-… tua madre era convinta che io ti spingessi a rischiare la tua salute dopo l’operazione, ma io le ho sempre spiegato che, dal punto di vista medico, tu eri guarito.-

-Tzé, sempre la solita.-

-Dai, non sgridarla, lei era sinceramente preoccupata per te.-

-Questo però non significa che tu sei un mostro con tre teste che vuole uccidermi!-

-Jun!-

-Scusami.-

Hikaru si mosse leggermente, e la donna lanciò un’occhiata all’uomo, che si scusò con un cenno del capo; Yayoi si alzò velocemente, sistemando le coperte al figlio, il quale lasciò la presa del padre, sistemandosi meglio e ricominciando a dormire profondamente. Poi prese la bacinella e fece cenno a Jun di seguirla, dirigendosi in cucina.

Lui cercò di giustificarsi con la frase di prima.

-Voglio dire, tu mi conosci bene, sapevi qual’era il mio stato di salute, poteva fidarsi di te.-

-Una madre è sempre una madre, anche se qualcuno gli dice che va tutto bene sarà sempre preoccupata per suo figlio. Per me è lo stesso con Hikaru.-

-Si, ma tu non vuoi tenerlo segregato in casa!-

-Tua madre non ha mai inteso questo.-

-Dici?-

-Insomma Jun, lei è tua madre, e ti ama molto, per questo fa così.-

-Anche tu mi amavi molto, no?-

-Certo!-

E poi, di colpo, entrambi si bloccarono.

Yayoi arrossì per prima, e si tappò la mano con la bocca, arrossendo così tanto da diventare dello stesso colore dei capelli; anche Jun arrossì, e distolse lo sguardo passandosi una mano in faccia. Entrambi si chiesero “ma come mi è venuto in mente?!”, e poi si guardarono intimiditi.

Il primo a mettersi a ridere fu Jun, e la donna si sentì ancora più in imbarazzo.

-Che c’è?-

-Sei … sei paonazza, hai lo stesso colore dei tuoi capelli.-

Lei ci pensò su, e cominciò a ridere a sua volta. E risero di gusto.

-Per noi due litigare è sempre stato strano.-

-Già, non sapevamo mai cosa sarebbe uscito fuori, come ora.-

Pian piano si calmarono, e Yayoi versò dell’acqua in due bicchieri, offrendone uno a Jun per aiutarlo a calmarsi. Aspettarono qualche momento in silenzio, e poi la donna tornò seria.

-Comunque Jun, sul serio: lei ti vuole davvero bene, non trattarla così.-

-Però non posso sopportare il suo modo di fare, né che lei ti abbia offeso in qualche maniera.-

-Ti assicuro che non mi ha mai offeso in nessun modo.-

-Spero bene.-

Lui restituì il bicchiere, e lei lo poggiò nel lavabo, pronta a tornare dal figlio, quando Jun prese la palla al balzo.

-Ah, a proposito.-

-Si?-

Lo vide incerto per qualche momento, e s’incuriosì; da parte sua, l’uomo non sapeva proprio come iniziare il discorso, ma sapeva che quella era una buona occasione per saperne di più. Rischiava di non aver più un’occasione simile.

-Ascolta … a proposito di madri …-

Un brivido scese lungo la schiena di Yayoi, ma la donna sentì che non provava panico o disagio.

-Vuoi sapere della mia?-

-… Matilde mi ha accennato che hai avuto problemi, ma più di questo non mi ha detto.-

Non era arrabbiata con la pisocologa, anzi forse doveva ringraziarla: se non avesse messo la pulce nell’orecchio a Jun, probabilmente non avrebbe mai avuto modo di parlarne.

Gli fece cenno di seguirla, e si spostarono nel corridoio, lì dove c’era il comò con il telefono; la donna aprì il cassetto, tirando fuori la scatola laccata e frugando mentre l’uomo rimase incuriosito da quell’oggetto, gli sembrava familiare.

Non fece in tempo a ricordare: Yayoi trovò quello che cercava e rimise la scatolina al suo posto, passando una foto a Jun. Era quella che aveva mostrato a Matilde.

L’uomo all’inizio rimase affascinato da quella bimba, il suo aspetto ricordava una bambolina di porcellana; poi rivolse l’attenzione alla signora Aoba, e si rese conto che tutta la bellezza di Yayoi era stata ereditata da quella donna. Alla fine, però, si rese conto dell’effettiva differenza fisica: per quanto fosse simile alla madre, infatti, non aveva gli stessi colori di occhi e capelli. E sicuramente la piccola non assomigliava al padre.

Non se n’era mai accorto prima, forse perché aveva sempre trovato nel signor Aoba lo stesso atteggiamento gentile della donna; questa, intanto, si era allontanata, tornando in camera del figlio, accarezzandogli il volto e sentendolo ancora caldo.

Sentì l’uomo avvicinarsi alla camera, restando però sull’uscio, la foto ancora tra le mani.

-... hanno divorziato come noi?-

Yayoi sorrise amara, sarebbe stato davvero incredibile se, proprio come loro, anche i suoi genitori fossero divorziati, sarebbe stata una ripetizione di eventi clamorosa; ma lei scosse il capo, parlando a bassa voce.

-Quando si scoprì che mia madre era incinta Mamoru la sposò ugualmente: l’amava, ed era promesso a lei.-

-… e tuo padre?-

-Se ne andò alla stessa velocità con cui era apparso.-

Lo disse secca, infastidita solo al sentirlo nominare.

Jun si fece avanti, avvicinandosi alla donna e guardandola negl’occhi, lei aveva ancora quell’espressione amara e infastidita, gl’angoli della bocca che curvavano in basso e gli occhi leggermente stretti, la pupilla nera era enorme su quelle iridi castane.

Argante:

Tu, del mio cor Reina con dispotico impero,

puoi dar legge a quest’alma.

 

Almirena:

Ah! Non è vero.

 

Argante:

Vuoi che questo ferro t’apra il varco a quel seno,

ove il mio cor trapassi?

 

Almirena:

Ah! Nò, tanto non chiedo;

eh! Ma se m’amassi!

-E poi? Che accadde?-

S’inginocchiò lì di fronte e le posò, senza pensarci, una mano sopra le sue, ma lei non distolse lo sguardo, sciogliendo il fastidio e restando con l’amarezza, quegl’occhi così scuri e profondi brillavano, ora, di tristezza.

Prese un respiro profondo, il suo petto si alzò leggermente, per poi parlare con un filo di voce, rauca.

-Mia madre … cadde in depressione post parto, ma nessuno voleva aiutarla, considerandola una … una donna non fedele.-

Fedifraga.

Ricordava ancora bene quel giorno, quando sua madre litigò con i suoi parenti e quelli di Mamoru, subito dopo aver fatto la foto che Jun teneva tra le mani.

Con una scusa,Yayoi era stata portata in un’altra stanza, ma le urla l’avevano incuriosita, e si era avvicinata alla sala, facendo un piccolo buco nella parete di carta di riso e sbirciando da lì; vide sua madre alzarsi in piedi, i capelli scomposti dall’acconciatura, e gridava con tutta la sua forza contro gli altri. Tuttavia le sue urla non sembrarono fare differenza, perché un dito di donna fu puntato contro di lei, e la parola risuonò violenta.

“-Tu sei solo una fedifraga, e sia tu che quella bastarda dovete andarvene!-”

La violenza di quelle parole fu tale che ancora adesso, nel ricordarle, Yayoi scosse leggermente le spalle, e chiuse gli occhi, passandoci sopra la mano mentre cercava di riprendersi; quella volta, nel sentire questo, non aveva avuto nemmeno la forza di piangere, anche perché sua madre aveva risposto con altrettanti insulti, affermando che era pronta ad andarsene.

Quando aprì la porta e si vide la bambina davanti, per un istante Yayoi era stata certa che la madre avesse cercato di ucciderla con lo sguardo, per poi calmarsi e prenderla in braccio, portandosela in camera in assoluto silenzio.

-Yayoi.-

Jun strinse leggermente la sua presa sulla mano libera della donna, e questa gli mostrò di nuovo gli occhi, senza però riuscire a sorridere, sulle sue spalle sentiva non solo il peso del suo passato, ma anche delle conseguenze di quel segreto, celato all’uomo davanti a lei.

E dire che aveva sempre detto di amarlo, come aveva potuto non dirgli niente? Possibile che non si fosse mai fidata di lui?

-Alla fine, a causa delle mancate cure, si è tolta la vita.-

Cercava di parlarne in modo serio, composto, addirittura professionale. Doveva dirglielo, ma non aveva bisogno di mostrare chissà quale debolezza, dopotutto erano passati anni, oramai non ne soffriva più o almeno questo si diceva.

Ma Jun strinse più forte la mano, e guardò quasi con cattiveria la donna seduta lì di fronte, arrivando ad alzarsi in piedi e ad avvicinare il suo volto a quello di lei, per meglio far penetrare il suo sguardo.

-Non provare a fare la furba, Yayoi. Non volevi essere sempre sincera con me?-

-Infatti lo sono.-

-No, non lo sei. Non mi stai dicendo le cose come stanno.-

-Mia madre è morta, è un dato di fatto. Ed è un dato di fatto che è dovuto dalla depressione.-

-Non m’interessa il parere di un’infermiera, voglio sentire Yayoi.-

-E che cosa dovrei dirti? Di come mia madre, ogni giorno, mi raccontava di un uomo che per me non esiste?-

Parlavano entrambi a bassa voce, sussurrando, ma la rabbia crescente della donna era evidente, e pian piano le sue parole cominciarono a correre nella sua bocca mentre si alzava in piedi, affrontando senza remora l’uomo che aveva di fronte.

-Di come lei mi raccontava fino alla nausea il giorno in cui si erano conosciuti? Il fatto che mi ha sempre detto che Mamoru non era mio padre, o il fatto che lei non voleva farmi uscire di casa, fino a farmi saltare l’asilo? O come lei mi considerava prima un effetto collaterale, per poi diventare possessiva nei miei confronti?-

C’erano giorni in cui sua madre la ignorava completamente, fino a quasi spingerla via se si avvicinava troppo, o facendola morire di fame quando era più piccola, perché non l’allattava, almeno così l’era stato detto da suo padre e il parentado; poi, quando era diventata più grande, la donna aveva cominciato a considerarla come un’arma, contro Mamoru e i loro parenti, o come il prezioso ricordo di quel suo grande amore.

Qualsiasi cosa, tranne pensarla come sua figlia.

-Vuoi che ti dica di come, quel giorno, ha deciso d’impiccarsi sul ciliegio di casa? Di come, per una volta, mi ha trattato come figlia per poi abbandonarmi?! Vuoi che ti parli di questo?!-

Per non urlare aveva ricacciato tutta la voce in gola fino a diventare davvero rauca, anche perché il nodo che, per anni, aveva tenuto in gola, stava pericolosamente uscendo fuori, e un semplice pianto non sarebbe bastato a scioglierlo; Jun lo intuiva, e per questo si stava preparando, aprendo leggermente le braccia per meglio accogliere quello che sarebbe arrivato.

-Si. Voglio che tu mi dica tutto questo.-

Per qualche secondo Yayoi rimase sconvolta: una risposta del genere non se l’aspettava dall’uomo di fronte a lei, era quasi sicura che, con quella sparata, lo avrebbe spinto alla ritirata; invece era là che le aveva risposto in quel modo, e nella sua visione vagamente distorta gli sembrava che Jun, sul suo volto, stesse formando un sorriso di scherno.

No, questo non poteva sopportarlo!

-Brutto stronzo!-

Lo disse convinta, andandogli addosso con i pugni, e Jun gli afferrò i polsi senza problemi, sentendola però dibattersi e spingerlo, cercando di fargli perdere l’equilibrio.

Poiché erano troppo vicini ad Hikaru, con il rischio di coinvolgerlo o svegliarlo, l’uomo si spostò, mollando subito dopo i polsi di Yayoi, la quale quasi s’inginocchiò a terra, tornando però all’assalto dell’ex marito. Questo si era spinto verso la parte più lontana della camera di Hikaru, lì dove c’era l’armadio.

Litigavano, eppure il rumore che emettevano era tale che Hikaru non pareva disturbato, limitandosi a dare loro la schiena e a dormire profondamente.

-Sei solo un bastardo, ti prendi gioco di me solo perché mi credi una stupida debole!

Non sai niente, niente di me!-

Jun, a quel punto, si arrabbiò con Yayoi: era ovvio che non sapesse niente di lei, non gli aveva detto niente! Una cosa così importante non gliel’aveva mai rivelata, un po’ come la storia di Hikaru; era una brutta abitudine della donna, e l’uomo gliela voleva far passare una volta per tutte, con le buone o con le cattive.

-Se non so niente è perché tu non mi hai mai voluto dire niente! Mi hai sempre tenuto nascosto tutto di te!-

-Ma tu ti sei mai interessato di me?! No!-

Stavolta il pugno sul petto Jun lo sentì fin troppo bene, e rabbioso le afferrò nuovamente i polsi; lei, però, era più combattiva di quanto lui si aspettasse.

-Tu non mi hai fatto domande, non ti sei mai interessato, ti bastava che ti facessi l’infermierina per stare bene, ti bastava che qualcuno continuasse a pulirti il culo come quando avevi tre anni e stavi a posto, no?!-

La volgarità era dovuta alla rabbia, ma Jun non ci fece caso, quasi ringhiando rabbioso.

-Tu però non ti sei mai lamentata, in fondo ti piaceva non è vero?!-

-Stronzo!-

-Senti chi parla!-

La fece indietreggiare, girare e poggiare, malamente, spalle e schiena contro il muro accanto all’armadio, uno spazio piccolo tra il mobile e l’altra parete.

La guardò furioso, dritto negl’occhi.

-Potevi dirmi tutto, ogni cosa che ti dava fastidio, che non ti piaceva, che ti faceva arrabbiare.-

-Credi che non l’abbia mai fatto?!!-

C’era mancato molto poco che urlasse, e si morse le labbra guardando verso il cielo, per poi abbassare di nuovo il volume.

-Io ti ho sempre detto tutto, ma guarda caso tu non te lo ricordi, sempre appresso ai tuoi problemi personali e a quel cazzo di pallone da calcio.-

A questa l’uomo non riuscì a rispondere, e Yayoi parlò velenosa, senza distogliere lo sguardo, smettendola di combattere per la libertà, tenendo però i pugni serrati.

-Jun Misugi, tu sei un viziato, egocentrico egoista, e io l’ho sempre saputo. Eppure mai, nemmeno per un momento di tutto il tempo passato insieme, ho pensato di lasciarti.

È vero, avrei dovuto sgridarti, ma non sarei stata migliore di tua madre o del tuo medico nel dirti cosa fare o non fare; se poi l’avessi fatto, mi avresti davvero ascoltata? Tu ascolti solo chi vuoi tu.

Pertanto ti ho lasciato fare, e ho cercato in altri modi di mostrarti che un problema al cuore non ti avrebbe impedito di avere una vita sociale.

Tuttavia non puoi aspettarti da me la totale sincerità se tu non la desideri per te stesso, ti pare?-

Argante:

Della mia fedeltate qual fia un pegno sicur?

 

Almirena:

La libertate.

 

Argante:

Malagevol commando!

 

Almirena:

Amor mentito!

L’uomo era bloccato: da una parte sentiva l’urlo del suo orgoglio spingerlo a reagire, a rinfacciarle tutto quello che gli passava in testa. Ma dall’altra sentiva una voce nuova, che già da un po’ di tempo aveva cominciato a parlare dentro di lui; e quella voce gli stava dicendo che quella donna aveva ragione.

Yayoi si mosse per prima, appoggiando lentamente il suo capo al petto dell’uomo, i pugni avevano perso forza, e adesso le mani cadevano come morte sui polsi stretti da Jun; questo vide quella chioma rossa spargersi su di lui e sentì, inoltre, il respiro della donna farsi spezzettato.

La donna parlò tra i singhiozzi.

-Dio … scusami, scusami Jun … perché … perché è tutto finito così? Noi … noi non eravamo felici? Non ero … non ero quella giusta per te? Io … io volevo tanto …-

Pian piano la ragione ricominciò a farsi strada nel cervello spento di lei, e si staccò dal petto dell’uomo, distogliendo lo sguardo e cercando di sciogliere, dolcemente, la presa di lui sui suoi polsi; si vergognava profondamente, mostrargli tutta quella rabbia e debolezza, scaricargli tutto quello sporco quando lei, per prima, gli aveva sempre nascosto la verità.

Rivolse l’attenzione al figlio, nascosto da una spalla di Jun.

Hikaru, adesso doveva esserci solo Hikaru. Basta con quelle sciocchezze, quelle speranze; suo figlio doveva venire prima di tutto.

Tuttavia l’uomo non aveva sciolto la presa, e la donna si accorse, sorpresa, che lui non si era ancora allontanato.

Alzò lo sguardo, e rimase senza parole: tanto quanto lei l’uomo stava piangendo, delle lacrime stavano scorrendo dalle sue guance, e tutta la rabbia di prima si era trasformata in un dolore palpabile, che avvertiva lei stessa.

-Anch’io … anch’io lo volevo Yayoi … ma … avevo paura … ho sempre avuto paura.-

Come lei. Proprio come lei.

-Mi dispiace … mi dispiace così tanto … non sono … non puoi perdonarmi …-

Alla fine mollò i polsi di Yayoi, e si vedeva chiaramente il segno del suo passaggio: la pelle si era arrossata vistosamente. Lui guardò quei segni con tristezza, e abbassò il capo sofferente, le lacrime continuavano ad uscirgli dagl’occhi.

-… ti perdono.-

Guardò la donna, anche lei non smetteva di piangere, le spalle scosse dai singhiozzi.

-Ti perdono di tutto. Troppe bugie, troppi errori, troppi problemi non risolti.

Semplicemente … non andava bene in quel modo. Ed è finita in quel modo.

È colpa tua, ed è colpa mia.-

Si avvicinò di un passo, e gli accarezzò il volto, guardandolo negl’occhi e prendendo un respiro profondo, riuscendo a sorridere; a quella piega delle labbra Jun si sentì confortato.

-Però, Jun … sono felice. Sono tanto felice che siamo riusciti a ritrovarci.-

Jun portò le sue braccia dietro la schiena di Yayoi e la spinse contro il suo petto, poggiando la sua guancia tra quei capelli rossi.

-Anch’io, anch’io sono felice.-

La donna, rasserenata, portò le sue mani dietro la schiena dell’uomo, e si appoggiò a lui.

Quanto, quanto tempo che non abbracciavano qualcuno in quel modo. Sembrava essere passata l’eternità in soli cinque anni.

-Mamma …-

Yayoi si sporse dall’abbraccio dell’uomo, e vide Hikaru muoversi e strofinarsi lentamente gli occhi, facendole sciogliere la presa e avvicinamdosi, sorridendo, al letto del bambino, accarezzandogli la fronte.

-Ehi, ciao amore. Come ti senti?-

-Ho caldo.-

-Bene, se sudi la febbre ti scenderà più in fretta. Altro?-

-Ho sete.-

-Vuoi l’acqua? O un succo di frutta?-

-… succo.-

-Te lo prendo subito. Ah, indovina chi c’è a prendersi cura di te?-

La donna si voltò verso Jun, e il bimbo seguì il suo movimento, sorridendo poi contento, agitandosi leggermente sul letto.

-Papà!-

Richiamato, l’uomo si avvicinò subito al figlio, e Yayoi gli fece posto, dirigendosi in cucina per prendere la bevanda.

-Ehi, campione, ben svegliato. Come ti senti?-

-Bene.-

-Ah si? E questa fronte calda?-

Il bimbo nascose leggermente il viso sotto le lenzuola, e il padre sorrise intenerito, arruffandogli dolcemente i capelli, sgridandolo in modo molto bonario.

-Non si dicono le bugie, lo sai vero?-

-La mamma lo dice sempre.-

-La mamma ha ragione. Ma tu sei bravo, vero? Tu non dici le bugie.-

-No, non le dice. È un bravo bambino.-

Argante:

E se ad Armida, oh cara,

nel procurar al tuo bel pié lo scampo,

note fien quel fiamme, che per te,

mio tesor, struggono il core?

Scopo saremo entrambi d’amor geloso e d’infernal furore;

e pur mi sento il cor frangere.

 

Almirena

Dunque, lasciami piangere.

La donna si avvicinò al letto mettendosi accanto a Jun, e l’uomo subito aiutò il bambino a mettersi seduto mentre Yayoi gli porgeva il bicchiere con il succo d’arancia, facendoglielo bere a piccoli sorsi.

-Piano, va bene?-

Il bimbo bevve assetato, finendo tutto il bicchiere.

Jun stava per rimetterlo sdraiato quando il piccolo cercò la protezione del suo petto, bloccandolo; l’uomo non seppe cosa fare e cercò aiuto nello sguardo di Yayoi.

-Prendilo in braccio.-

L’uomo ci mise tutta la delicatezza che aveva, sollevandolo dal letto e tenendolo appoggiato a sé mentre la donna, velocemente, prendeva la coperta sopra il copriletto, mettendola sul bambino in modo da non fargli prendere freddo.

-Ecco, così siete a posto. Ne approfittiamo per prendere la medicina amore?-

Il bimbo annuì, e la donna guidò i due al bagno, dove c’erano le supposte di ketoprofene; all’idea, giustamente, Hikaru fece storie, ma subito suo padre cercò di consolarlo e di fargli forza.

-Io resto qui, e se ti fa male stringi forte la mia mano, va bene?-

Un altro si con la testa, e la piccola mano del bimbo prese quella gigante del padre, il quale lo fece sistemare sulle sue gambe mentre Yayoi preparava la medicina, provando a scaldare la supposta nelle sue mani.

Furono i cinque minuti più difficili dell’intera vita di Jun Misugi: mai, e ripeto mai si era immaginato di fare una cosa del genere; guardò Yayoi, e si sentì sollevato nel vedere che la donna, al contrario, non aveva problemi, anzi rivelava la sua esperienza. Hikaru strinse le dita del padre solo una volta, tenendo gli occhi e la bocca serrati.

-Ecco, ho fatto. Ora torniamo a letto.-

Stavolta fu la donna a prendere in braccio il bambino, e Jun copiò i suoi movimenti nel sistemare la coperta addosso al figlio, seguendo subito dopo i due nella cameretta.

In quel silenzio, l’uomo sentì chiaramente la donna mormorare una ninna nanna, guidando il piccolo di nuovo tra le braccia di Morfeo, aiutata anche dal medicinale; Yayoi sistemò il bambino e le coperte, e si accorse che, in tutto quel tempo, la foto di lei e della sua famiglia era finita a terra, probabilmente era caduta durante il litigio.

La prese in mano, e la guardò con tristezza; Jun la osservò lì vicino.

-Jun, mi spiace per la scenata di prima. E mi dispiace di non averti detto niente a riguardo per tutto questo tempo.-

-… avevi il diritto di non dirmelo. In fondo io non te l’ho mai chiesto.-

Lei annuì ma non era convinta, uscendo dalla stanza del bambino e facendosi seguire dall’uomo, chiudendo la porta per far riposare in pace il piccolo, fino a quel momento non avevano fatto altro che disturbarlo, poverino!

Yayoi tornò al comò, e di nuovo tirò fuori la scatola laccata per sistemare la foto in fondo al cassetto; Jun, questa volta, si avvicinò alla scatola, e la esaminò mentre la donna, a quel movimento, s’irrigidì leggermente, osservando quella mano accarezzare i decori. Da un lato ebbe l’impulso di nascondere l’oggetto, dall’altro provò la curiosità di vedere la reazione di Jun quando l’avrebbe aperta.

-Che cos’è?-

-… aprila.-

Lo disse con un filo di voce, ma l’uomo non ci fece caso, aprendo il coperchio: due anelli d’oro, di misure diverse. L’uomo ci mise qualche momento a riconoscere la sua fede nuziale.

Le aveva conservate.

-… le hai tenute.-

Lei annuì, incapace di dirgli il motivo, era già abbastanza imbarazzante il fatto che lui le avesse viste, se gli avesse spiegato che le aveva tenute per … perché sperava di …

Chiuse il coperchio della scatolina e ripose quest’ultima nel cassetto, chiudendolo decisa mentre parlava per riprendere il controllo.

-Lo so, è sciocco, ma mi dispiaceva … buttarle.-

Si era voltata, e aveva trovato il volto di Jun a pochi centimetri dal suo che la studiava attento.

-È la verità Yayoi?-

Il fiato di lei cominciò a farsi affannoso, quella vicinanza era diversa rispetto a quella di prima, in camera del bambino: qui non c’era la rabbia a guidare i loro movimenti, e il silenzio che si stava alzando generava, in Yayoi, impulsi fisici che controllava a stento, facendo tremare i polsi.

Gli occhi ancora arrossati di Jun le facevano venire voglia di togliergli le ultime lacrime dalle palpebre, i capelli arruffati la spingevano ad accarezzarglieli e sistemarglieli, l’aria stanca a toccarlo per controllare … che stesse bene … e se scendeva alla bocca i suoi pensieri la portavano ad arrossire, tanto che distolse lo sguardo, cercando di rispondergli.

-Io … io …-

Lo sentì prenderle il mento con due dita, e il suo cuore cominciò a battere così forte che temeva l’uomo lo sentisse; la obbligò a portare di nuovo gli occhi verso di lui.

-Jun …-

Yayoi aveva gli occhi lucidi, in uno sguardo… no, non era spaventato. Era molto, molto emozionato

Jun pensò alla discussione avuta prima, alla foto, alla tristezza della donna, la sua rabbia, il suo dolore; tutte cose nuove di lei, che lui non conosceva. Di quella donna non conosceva niente, nonostante gli anni passati insieme, solo la superficie. Quale immenso mondo celava dentro di sé?

Voleva essere l’unico a scoprirlo e a conoscerlo, perché era un viziato, egocentrico egoista.

Le mani di Yayoi fremevano, sentiva l’istinto di toccarlo; lo fece piano, temeva che lo avrebbe allontanato, ma alla fine sentì, con i polpastrelli, la camicia. Ora le sarebbe bastato solo alzarsi in punta di piedi. Ma lui come avrebbe reagito?

Jun sentì quel tocco, e l’altra mano si mosse sul braccio di lei, prendendoglielo senza far male e spingendola verso di lui, adesso gli bastava solo chinarsi un pochino, e avrebbe azzerato la distanza.

-… Yayoi …-

Lei ingoiò, senza riuscire a chiudere gli occhi. Lui si avvicinò.

Ma entrambi si bloccarono a pochi millimetri dalla faccia: Kumo, sotto di loro, aveva iniziato a strofinarsi sulle loro gambe, mordicchiando e usando le unghie con il piede di Jun, prendendosela anche con la ciabatta di Yayoi.

Lo guardarono entrambi, all’unisono, e ridacchiarono divertiti, sentendo poi qualcuno bussare alla porta d’ingresso.

-Ah, è Sanae.-

-Vai pure.-

La lasciò andare, e prese un profondo respiro.

Almirena:

Lascia ch’io pianga

mia cruda sorte,

e che sospiri la libertà!

Il duolo infranga

queste ritorte

dei miei martiri

sol per pietà.

Lascia ch’io pianga

mia cruda sorte,

e che sospiri la libertà!

**

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Capitolo 19
*** La Fuga: Toccata e Fuga in Re Minore ***


La Fuga: Toccata e Fuga in Re Minore

 

“Alt!! Questo non è un pezzo di opera lirica!”

Si lo so, ma la fuga esiste in lirica: se cercate in Falstaff o, ancora meglio, nella Carmen, troverete delle fughe (nel secondo caso il coro delle sigaraie quando avviene il litigio).

“E perché non usi quelli?”

I testi non coincidevano con quello che sto per scrivere. Detto questo avverto che siamo prossimi al finale, manca davvero poco!

“Finalmente!”

Siete spietati ç_ç

 

Lo stato di salute di Hikaru spinse molte volte Jun a tornare da Yayoi, ma non ci fu mai occasione per i due di avere un po’ di privacy, o quanto meno di avere il tempo di scambiare qualche parola.

La necessità veniva soprattutto da Jun: dopo quanto accaduto, infatti, aveva la sensazione che le cose non si fossero ben spiegate tra i due, perché vedeva la ex moglie continuare ad essere si, gentile e amichevole, ma di tenersi comunque sempre a distanza, quasi evitando il contatto fisico. Gli venne il dubbio che il suo tentativo non fosse stato ben compreso, doveva chiarirsi.

In ogni caso non era solo la presenza di Sanae a disturbare l’uomo: ogni giorno, infatti, i compagni d’asilo del bambino andavano a trovarlo, e con la presenza di Kumo i piccoli finivano per rimanere più a lungo, e le madri ne approfittavano per chiacchierare con la donna dai capelli rossi.

Jun era sempre spazientito da quella confusione, anche perché Yayoi doveva occuparsi di Hikaru, e poi non vedeva il motivo per cui quegl’estranei rimanessero più a lungo del dovuto.

-Si chiama “creare utili rapporti”, e sarebbe giusto che anche tu lo facessi un pochino.-

-Non ne vedo la motivazione.-

La donna sbuffò, avvicinandosi alla camera del figlio, il bambino in quel momento si stava facendo imboccare dal padre, anche se gran parte del passato era sul bavaglino del malato, e sul suo muso; tuttavia l’uomo era concentratissimo nell’azione, e così il bambino aveva gli occhi fissi sul genitore.

A Yayoi, nel vedere la scena, le scappava da ridere, e incrociò le braccia restando sull’uscio.

-Ti assicuro che è molto più utile di quanto sembri: ad esempio sono venuta a sapere che alcuni dei compagni d’asilo di Hikaru andranno alla sua stessa scuola elementare, così potrà ritrovare i suoi amichetti.-

-Anche Makoto?-

-Si tesoro, anche Makoto: sua madre abita non molto lontano da qui.-

-Evvai!-

-Ah Hikaru fermo, se no sbrodoli sul letto.-

-Come se non fosse già sporco di suo.-

La donna, nel frattempo, si era avvicinata ai due, e con l’ultima frase si era sporta verso Hikaru, pulendogli la faccia con un lembo del bavaglino ancora pulito; nel fare questo movimento la sua coda di capelli rossi sfiorò le dita e le mani dell’uomo seduto lì vicino, facendogli salire l’impulso di afferrare quei boccoli, e per trattenersi strinse con più forta il cucchiaio e il piatto, tanto che le nocche tremarono leggermente.

-Ecco fatto. Tra te e papà chissà chi è il più sbrodoloso, eh?-

-Papà!-

-Ehi!-

Madre e figlio si voltarono all’unisono, sorridendo divertiti. Alla fine anche il padre sorrise, non riusciva a resistere a nessuna di quelle due espressioni da briganti.

-Yayoi?-

La donna alzò il capo, Sanae la stava chiamando dall’uscio della camera, facendole un cenno con il capo; immediatamente Yayoi le si avvicinò, ricordandosi che quella notte la sua amica sarebbe partita.

-Hai già preparato tutto?-

-Si, tanto non avevo molto bagaglio.-

-Sei proprio sicura che non puoi restare?-

-Scherzi? Sono sciura che quando rimetterò piede in casa sarò sommersa dai disastri di quei quattro!-

La donna dai capelli rossi sorrise, divertita all’idea, effettivamente quando aveva fatto il suo viaggio a Barcellona si era scontrata con la realtà colorata e chiassosa di casa Tsubasa, impressionandosi ma anche divertendosi molto.

La bruna, poi, abbassò leggermente il tono di voce, sporgendosi in avanti.

-E poi è ora che mi levi dalle scatole, altrimenti chissà quando avrete un momento per voi due, eh?-

Yayoi, quando l’uomo era tornato a casa sua, le aveva parlato della litigata avuta quel pomeriggio, senza entrare nei dettagli di quello che era accaduto dopo, accennando solo al fatto che aveva visto le fedi; da quel momento Sanae aveva osservato con maggiore attenzione i movimenti dei due, a volte arrivando a disturbare, perfidamente, il silenzio che si creava, sorridendo sotto i baffi nel vedere Jun innervosirsi e cercare di trattenersi dal lanciarle qualche occhiataccia.

Aoba arrossì leggermente, cercando subito di battere in ritirata.

-Ma che dici!-

-Yayoi, parliamoci chiaro: io non perdono quello che ha fatto Jun, così come non perdono quello che hai fatto tu di conseguenza.-

Sanae incrociò le braccia, guardando storta l’amica, la quale chinò leggermente il capo, le dita cominciarono a giocare nervosamente fra di loro. A quell’atteggiamento la bruna sospirò, ammorbidendo il tono delle sue parole.

-Tuttavia, nonostante siano passati cinque anni, sembra proprio che non riuscite a fare a meno l’uno dell’altra.-

-… ed è un bene questo?-

Yayoi non rialzò lo sguardo da terra, ma le dita smisero di giocherellare, suscitando l’interesse della bruna. E questa rimase colpita dall’espressione della donna di fronte a lei.

Solitamente, quando si trattava di Jun, la rossa arrossiva, sorrideva, si preoccupava, piangeva, ma questa volta aveva un’espressione cupa, triste … persino dubbiosa. Teneva gli occhi bassi, e si limitò a lanciare un’occhiata alla stanza dove si trovavano i due, poteva sentire Hikaru parlare.

-… non voglio pensare a nessun altro che a mio figlio.

Lo so, tu pensi che io e Jun … ma no, non è possibile. E in ogni caso non ha funzionato prima, non credo funzionerà ora.-

-Yayoi …-

-In fondo non si dice che la minestra riscaldata due volte non è mai buona?-

-Che cosa vuoi dire?-

-Voglio dire che quello che è successo, qualche giorno fa, è stato solo perché eravamo presi … dagl’eventi. In realtà non credo d’interessare a Jun.-

-Spero tu stia scherzando.-

-Sanae, l’hai detto anche tu: fosse stato interessato mi avrebbe cercata in questi cinque anni. Non è possibile che, di punto in bianco, le cose cambino.-

-Però non puoi negare che in questi, quanti? Due mesi? Non sia successo niente!-

-È sempre riguardato Hikaru, e solo lui. Quello che riguarda noi due … oramai è passato.-

-Ma sei davvero convinta di questo? E il desiderio di fargli conoscere Hikaru? Le fedi? Le foto? -

Yayoi si morse il labbro inferiore, stavolta le mani si stringevano tra loro con forza, fino a tremare leggermente, gli occhi bassi ancora rivolti a quella stanza. Sanae la guardò preoccupata, aspettando una sua risposta.

Alla fine usò un tono di voce basso, così diverso dalla sua solita voce; sembrava nascere dalla parte più buia di lei, quell’angolo che nemmeno la sua cara amica conosceva.

-Io non voglio essere come mia madre: non voglio ossessionarmi per qualcuno che non mi desidera, e che me lo ha fatto comprendere tempo fa. Ciò che interessa a Jun è solo il bene di suo figlio.-

-Ma che dici!-

-Dico, Sanae, che la priorità è Hikaru: il bene di mio figlio prima di tutto. E a mio figlio serve suo padre. Non gli serve un uomo per me.-

Questa volta la donna aveva alzato, decisa, la testa, e guardava dritta negl’occhi l’amica, rivelando tutta la sua paura: quello che era successo qualche giorno prima l’aveva scossa, e parecchio. Se da una parte il parlare a Jun l’aveva aiutata a mettere in chiaro tutto quello che era successo fra di loro, dall’altro l’atteggiamento dell’uomo l’aveva spinta a rivalutare bene tutto quello che aveva ottenuto in questi cinque anni lontana da lui: un figlio, un lavoro, e adesso finalmente una casa e un po’ di stabilità economica.

Tentare con Jun significava di nuovo rischiare di buttare tutto all’aria, senza contare che l’uomo, probabilmente, si stava facendo prendere dalla foga del momento, come gli succedeva sempre in quei casi: non sembrava, ma era molto passionale, e con tutti gli avvenimenti che gli stavano piombando addosso, probabilmente, si stava facendo prendere la mano. Il tempo di abituarsi alla nuova realtà, e l’uomo si sarebbe di nuovo stancato di lei.

Come sempre Yayoi doveva essere la razionale dei due, mettere dei paletti, cercare di far concentrare l’uomo soltanto sul figlio. Perché era quello ciò che contava di più al momento: Hikaru.

Sanae guardò l’amica, osservandone gli occhi decisi, e prese un profondo respiro, tenendo le braccia incrociate.

-Mi pare di capire che sei convinta della tua decisione, pertanto non andrò avanti in questa discussione.-

L’altra la ringraziò con un piccolo cenno del capo, mantenendo però l’espressione un po’ dura.

-Cambiando discorso, oggi vai da Matilde?-

-Si, ho appuntamento alle sei, dopo il turno. Chiederò a Jun di rimanere con te, cerco di tornare il più presto possibile.-

E così dicendo la donna si mosse verso la sua stanza, iniziando a prepararsi mentre la bruna la guardava dubbiosa, e dire che sembrava essersi così lanciata verso questa nuova situazione, adesso stava pericolosamente tornando sui suoi passi; sinceramente, temeva che cadesse di nuovo nella depressione.

Quando l’aveva vista, in quel periodo, si era davvero spaventata: era dimagrita molto di viso, nonostante la gravidanza, e sembrava non essere più in grado di compiere le azioni più semplici, nemmeno sorridere; l’aveva trascinata a asa sua, a Barcellona, quasi di prepotenza, per farle riprendere un po’ le forze, ma non era riuscita a restarle accanto durante il trasferimento dal padre.

Era stata presente quando aveva ammesso di non stare bene, e anche nel suo percorso per uscirne e partorire senza problemi, e ancora dopo, e sembrava essersi finalmente ripresa.

Ora aveva di nuovo quell’atteggiamento. Chissà cosa aveva combinato quello stupido. Perché di sicuro era colpa sua!

Yayoi, prima di uscire, tornò nella stanza del bambino, questo e Jun stavano giocando con un gioco da tavola, e sembrava che il piccolo stesse vincendo.

-Si!-

-Ah, sei troppo bravo.-

-Ehi, voi due, andateci piano, o gli si alza di nuovo la febbre.-

-Ma no tranquilla, facciamo i bravi, vero Hikaru?-

-Si si.-

La donna accarezzò i capelli del figlio sorridendogli tenera, constatando ancora una volta che la sua fronte era molto più fresca rispetto ai giorni scorsi, oramai era quasi guarito.

Il bimbo guardò la madre con aria seriosa, il sorriso gli scomparve velocemente.

-Vai via mamma?-

-Solo per un po’: devo andare a lavoro, e poi devo andare dalla mia dottoressa.-

-Ma stasera torni?-

-Certo che torno amore, promesso.-

E la donna diede un bacio al figlio, accarezzandogli il volto e parlandogli un con sorriso tranquillo.

-Non sarai solo: ci saranno la zia Sanae e papà, si prenderanno cura di te. Giusto papà?-

Yayoi si voltò tranquilla verso l’uomo, chiamandolo in quel modo; il nomignolo fece venire un brivido di piacere lunga la schiena di Jun, e lui annuì, accarezzando a sua volta i capelli del figlio.

Al gesto, la donna si scostò in modo evidente, ma l’uomo non poté dirle niente, concentrandosi sul bambino.

-Resterò tutto il tempo qui con te, vedrai ci divertiremo.-

-Mi raccomando, prendi le medicine e resta a letto, va bene?-

-Ancora a letto?-

-Lo so che sei annoiato amore, ma resisti: se domani la febbre è ancora bassa, ti prometto che puoi scendere dal letto. Ce la fai per domani?-

Il bimbo annuì, e la donna gli diede un altro bacio, alzandosi e muovendosi verso l’ingresso, seguita subito dopo dal padre, che scambiò un occhiolino con il figlio, prima di rivolgersi alla donna.

-Per che ora torni?-

-Se tutto va bene per le nove avrei finito. Sanae parte da qui alle otto e mezza per andare all’aeroporto.-

-Va bene.-

-Per la cena te la sai cavare?-

-Scherzi? Sono un ottimo cuoco!-

La donna sorrise, scuotendo la testa poco convinta, infilandosi le scarpe mentre Jun la guardava dall’alto del gradino d’ingresso.

-Allora … ci vediamo dopo?-

Ci vediamo dopo … era una di quelle frasi che solitamente era la donna a dire all’uomo, quando questo usciva per andare a lavoro; sentirsela dire proprio da lui la stupiì, facendola voltare indietro, per guardarlo.

Lui sorrise, leggermente imbarazzato.

-Sai, è una sensazione strana: sembra quasi che ci siamo scambiati di ruolo.-

La donna si fermò, guardando l’uomo sorpresa di quelle parole: scambiarsi … di ruolo? In che senso?

Non sapeva perché, ma l’idea la metteva a disagio. Pertanto si limitò ad annuire, dando nuovamente le spalle a Jun.

-Si, è strano.-

Lui notò questa nuova reazione, ma non poté dire niente che la donna era già uscita di casa, lasciandolo in piedi di fronte alla porta; lentamente, si mise le mani nelle tasche dei jeans, rimanendo a guardare la porta lì di fronte, attirando l’attenzione di Sanae, tornata per un momento nella sua stanza.

-Tutto ok?-

-… Yayoi ti ha detto qualcosa?-

La bruna guardò colpita l’uomo lì di fronte, per poi sorridere divertita.

-Siamo diventati intuitivi, eh Jun?-

A quel commento l’uomo chinò il capo imbarazzato mentre la donna si dirigeva in cucina, decisa a preparare qualcosa da mangiare dato che l’ora di pranzo si avvicinava velocemente.

-Comunque mi dispiace, non posso dirtelo: dev’essere lei a parlare, dopotutto si tratta di te con lei, no?-

-Ah, a tale proposito … grazie delle foto.-

-Sono belle, vero?-

Lui annuì mentre la bruna sorrideva soddisfatta, tagliando le verdure mentre aveva acceso la pentola per il riso, chiacchierando mentre cucinava, le sue mani si muovevano veloci.

-Tenni Yayoi con me per almeno un mese. Ma purtroppo il cambio d’aria non bastò per farla tornare subito a posto.-

-Cioè?-

La donna si fermò dalla sua attività, prendendo un profondo respiro prima di parlarne all’uomo alle sue spalle.

-Vedi, Yayoi ha sofferto di depressione pre-parto.-

Jun non era fatto per le malattie mentali, era una frase che spesso gli diceva Matilde: essendo uno sportivo era in grado di poter guarire al meglio i pazienti che avevano problemi fisici, e nessuno era migliore di lui, lo sapevano tutti in clinica. Ma per la sua natura mancava della capacità di comprensione nei confronti di tutti quei pazienti che non avevano uno strappo muscolare o un appendicite; sapeva che non stavano bene, ma non lo capiva davvero.

Ora, quando Sanae gli disse quelle parole, la sua mente non le comprese subito; poi, in un breve momento di silenzio, l’uomo ripensò ad una delle spiegazioni che la psicologa gli fece a proposito della depressione.

“-Immagina una stanza buia. Non vedi niente, giusto? Non vedi i muri, gli angoli o il pavimento. Prova a camminare in quella stanza, e ti accorgerai che lo spazio è distorto: le distanze che conosci non le percepisci, tutto sembra più lontano o vicino, e rischi di farti del male, perché non sai dove stai andando.

Ecco, una persona depressa vede così il mondo: non sa cosa sta facendo, non ne trova più il motivo per farlo, la forza che aveva l’ha persa.

In realtà questa è una spiegazione semplicistica. C’è molto più, in quell’oscurità, che in una mente piena di luce e vigore …-”

Pensò a Yayoi, incinta, e al giorno del divorzio; provò a immaginare quel giorno negl’occhi della donna, e lo vide tutto grigio. E poi, lentamente, la vista si offuscava sempre di più.

Sanae gli stava dando la schiena mentre raccontava, perciò non vide l’espressione dell’uomo: mano a mano che continuava con quella specie di esercizio, il suo sguardo s’incupiva sempre di più.

-Era al sesto mese quando ci fu la crisi più forte: il fattore scatenante, secondo lo psicologo, fu il trasferimento dalla vostra casa a quella di suo padre, e il fatto che doveva restituirti tutti i tuoi oggeti.

Devo essere sincera: ho temuto che facesse una sciocchezza.-

-Tipo … tipo abortire?-

Silenzio assenso.

L’uomo chiuse gli occhi, e quando li riaprì era di nuovo nella cucina, con davanti agl’occhi la schiena, si era voltata per riuscire a vederlo con la coda dell’occhio, prima di tornare alla sua azione. Continuò a parlare, tagliando le verdure.

-Però Yayoi è più tenace di quanto pensi: seguì le sedute, portò avanti la gravidanza e fece nascere Hikaru.-

-… tu sapevi delle sue difficoltà finanziarie?-

-Si, anche fin troppo bene: ho cercato più di una volta di aiutarla, ma si è sempre rifiutata, voleva farcela da sola. Si è sempre sentita … dipendere da te.-

Ma chi era davvero quello o quella che dipendeva dall’altro?

Nella testa di Jun i ruoli si erano davvero scambiati: adesso era lui che era seduto su quella sedia, in cucina, aspettando che il tempo passasse e che lei tornasse a casa, per essere certo … che fosse davvero lì.

-Papà!-

La voce di Hikaru arrivò fino in cucina, spingendo l’uomo ad alzarsi in piedi mentre Sanae gli sorrideva.

-Dai, va da tuo figlio. Ti chiamo quando è pronto il pranzo.-

-Si, ti ringrazio.-

La bruna sospirò, guardando quella figura alzarsi e incomminarsi; lo fermò giusto prima che scomparisse dall’uscio della stanza.

-Jun!-

-Si?-

-… Yayoi … lei ha sempre avuto il vizio di non dire sempre quello che pensava o sentiva, ma non lo fa sempre perché non si fida degl’altri, anzi se potesse offrirebbe cuore e anima a chi vuole bene.-

Sanae aveva l’aria afflitta nel parlare di questo, un’espressione che era raro trovare in quel volto sempre energico. Gli rivolse lo sguardo, e Jun capì che quelle parole erano rivolte in particolare a lui. E a nessun altro.

-Però, ecco, lei ha sempre avuto paura di essere come sua madre: possessiva, tremendamente fragile, incapace di andare avanti. Per lei è un’ombra scura, e per quanto si sforzi non credo possa riuscire, da sola, a superarlo.-

-Mi stia chiedendo di aiutarla? Davvero?-

Sorrise amara, lanciando anche un’occhiata incattivita.

-Non ho mai perdonato nessuno dei due per quello che avete fatto, ma mi rendo conto che avevate i vostri motivi. Ora però avete un’altra occasione, e Yayoi sta tornando sui suoi passi, nascondendosi dietro al fatto che Hikaru ha solo bisogno di un padre e di una madre.

Ma non sarebbe meglio per Hikaru avere due genitori che non solo lo amano, ma si amano tra di loro?-

La domanda restò sospesa nel silenzio per qualche secondo, Jun stava stringendo con la mano l’uscio della cucina, vibrando a quelle parole: un’altra occasione per entrambi, c’era davvero, lo sapeva. Non doveva farsela scappare.

-Papà …-

L’uomo si voltò, e vide suo figlio in piedi, lontano dal letto, con addosso il pigiama e a piedi nudi sul pavimento; lo prese velocemente in braccio, sollevandolo in aria.

-Ehi, campione, che ci fai qua? La mamma non ti ha detto di stare a letto?-

-Ti ho chiamato e non venivi.-

-Hai ragione, scusami piccolo, ma adesso sono qui.

Allora, torniamo a giocare?-

Il bimbo annuì, abbracciando il padre mentre questo ricambiava, trasportandolo in camera mentre Sanae si sporgeva a guardare la scena.

-Papà.-

-Dimmi Hikaru.-

-Tu e la mamma vi volete bene, vero?-

L’uomo si fermò un momento, poi posò il figlio nel letto, rimboccandogli le coperte.

-Certo campione, ci vogliamo molto bene.-

-Allora verrai a stare con noi?-

Jun si bloccò di nuovo, sedendosi molto lentamente sul suo sgabello, osservando il bambino preparare le carte per la partita, aveva deciso di cambiare gioco.

-… beh, prima bisogna chiedere il permesso alla mamma. Se lei dice che va bene, mi farebbe davvero piacere.-

-Allora quando torna glielo chiediamo!-

-Va bene campione. Ora gioca, tocca a te pescare.-

Il bimbo tenne le sue cinque carte in mano, le dita erano così piccole in confronto.

Tuttavia si distrasse un momento, guardando fuori dalla finestra; accanto a lui l’uomo notò il movimento, seguendo lo sguardo.

La pioggia cominciò a picchiettare sulla finestra della camera.

-Ah, si è messo a piovere.-

-La mamma avrà l’ombrello?-

 

-Hai un ombrello Yayoi?-

-No, ma aspetterò che smetta.-

-D’accordo.-

Come sempre, Matilde tirò fuori il suo registratore, accendendolo e poggiandolo sul tavolinetto fra loro due. Quel giorno iniziò subito a parlare, senza aspettare che la paziente si tranquillizzasse.

-Come sta Hikaru?-

La rossa rimase sorpresa dalla domanda.

-Bene, grazie, ma come fai a saperlo?-

-Ah, intuizione: ho visto Jun, qualche giorno fa, sfrecciare giù dalle scale con aria molto preoccupata, a momenti investiva me e un’infermiera.-

Yayoi sorrise divertita, immaginandosi la scena e ricordandosi che, anche al liceo, Jun faceva di pazzie simili, rischiando sempre di travolgere insegnanti e studenti, una volta il professore di fisica provò ad inseguirlo per fermarlo, a momenti si rompeva una caviglia!

-Dunque adesso Hikaru sta bene?-

-Si.-

-Immagino che Jun sia venuto spesso da voi.-

-Praticamente tutti i giorni.-

-Il bambino sarà stato contento.-

-Si, delle volte temevo che la febbre gli tornasse su per l’agitazione.-

-E tu? Sei contenta?-

L’impulso del suo corpo fu frenato bruscamente, e Matilde lo vide benissimo, cominciando a studiare il soggetto: doveva essere successo qualcosa di forte, vedeva Yayoi metterci più tempo nel rispondere, essere sulle spine.

-Certo che lo sono.-

-Ne avete approfittato per parlare?-

Ancora più sulle spine, probabilmente si erano parlati davvero.

-Beh, abbiamo chiacchierato. Lui … lui mi ha detto che ha ritrovato delle vecchie foto di noi da piccoli.-

Stava cercando di sviare il discorso della psicologa verso un altro argomento; Matilde decise di seguire il tentativo della donna, pronta ad usare la prima buona occasione.

-Che bello, e che foto erano?-

-Ah, principalmente dei nostri anni scolastici, quando ci siamo conosciuti da piccoli fino all’Università.-

-Wow, sono molti scatti!-

-Già, mio padre ci teneva a farci tante foto.-

-È sempre stato presene immagino.-

-Per quanto poteva si, lo è stato.-

-Ha mai parlato con Jun?-

Riuscì a far venire un dubbio nella mente di Yayoi, la vide alzare lo sguardo e rivolgerle un’occhiata stupita, prima di rispondere.

-Beh, si, credo di si. Non ero presente in quei momenti.-

-Allora credi che Jun sia venuto a sapere di tua madre da lui?-

La donna dai capelli rossi gli rivolse un’occhiata un po’ offesa, sapeva perfettamente che era stata la psicologa ad accennare a Jun di sua madre. Matilde, però, voleva una risposta.

-No, a mio padre non piace parlare di questo.-

-Per tuo padre dev’essere stato difficile.-

Yayoi ripensò al funerale, e ricordava chiaramente che suo padre le teneva la mano e che il suo volto era tranquillo. Certo triste, ma non sofferente.

-… si, lo è stato.-

-Non ti vedo convinta, perché?-

Quella sera avrebbe scavato più a fondo in quell’oscurità, fino a toccarne il fondo.

Di reazione, la paziente strinse leggermente le mani tra di loro, gli occhi erano rivolti in basso, la memoria le stava mostrando le immagini di quel funerale, fatto di fiori e persone che erano davanti a lei, rivolgendole quegl’odiosi sguardi di pietà.

Lei, allora, alzava lo sguardo verso il padre, e lei ricambiava, arrivando perfino a sorridere e ad accarezzarle la testa.

-… mio padre è una persona riservata: non mostra mai le sue emozioni, e lo fece anche allora.-

-Quindi dici che, in realtà, soffriva?-

Continuava a non essere sicura di dire “si”; l’espressione negl’occhi dell’uomo era stata troppo tranquilla. Come se … un pensiero sfrecciò nella mente della donna, bloccandola per un momento, e mille più dubbi cominciarono a gonfiarsi nel suo cervello.

Matilde, notando il mutamento, la richiamò a sé.

-Yayoi.-

La donna alzò lo sguardo, e cercò di rispondere.

-Ah si, credo di si.-

Ma non ne fu mai certa.

Ma Matilde non le lasciò il tempo di pensarci, perché approfittò di quella debolezza per attaccare. A scopo terapeutico, si capisce.

-Tu credi che l’amasse tua madre, tuo padre?-

L’insinuazione mise subito Yayoi sull’attenti, e la donna rispose come se avesse voluto tagliare la lingua della dottoressa con le sue parole.

-Si, certo.-

-E lei ha mai provato affetto per lui?-

Questo frenò la sicurezza della donna, la quale però si chiuse nell’orgoglio nei confronti della psicologa.

-Si, ne sono sicura.-

La risposta fece sorridere leggermente Matilde, la quale cercò una breccia in quella corazza.

-E secondo te perché si è uccisa? In fondo aveva l’amore di suo marito.-

Non aveva usato zucchero, non aveva indorato la pillola, perché aveva capito che quel modo di fare portava la paziente a chiudersi in sé, dato che le dava fastidio qualsiasi cosa assomigliasse alla pietà.

Yayoi si morse il labbro inferiore, le sue mani cercarono l’appoglio dei braccioli della poltroncina. Per Matilde fu come se avesse abboccato un pesce enorme al suo amo, ma non le bastava: voleva andare ancora più a fondo.

-… non lo so.-

-Non credi che fosse per tuo padre? In fondo la vostra non era una situazione facile, e in questi casi capita di mescolare l’amore con la pietà.-

Fu come se avesse sparato un colpo di cannone in mezzo ad una landa desolata, e il rumore riecheggia per molto tempo.

L’occhiata che ricevette da Yayoi era tale che avrebbe potuto congelare tutta la stanza e poi farla a pezzi; ma gli occhi di Matilde, al contrario, brillarono entusiasti, era risucita a toccare il nervo scoperto della donna. Questa, infatti, gli rispose con voce bassa e ostile.

-Mamoru ha amato sinceramente mia madre.-

-E nei tuoi confronti? Amava anche te.-

-Si.-

Decisa, bassa, dura.

-Se è così perché lo chiami per nome? Te lo ha chiesto lui?-

Stavolta non arrivò nessuna risposta, e Matilde andò più a fondo.

-È stata una tua scelta?-

Silenzio assenso.

-Perché Yayoi? Pensi che non fosse un buon padre per te?-

-Era il miglior padre che potessi avere!-

La reazione fu più violenta delle altre, alzò perfino la voce nel tenttivo di far tacere la donna davanti a lei; Matilde sentiva di essere molto vicina al fondo, e osò ancora di più, iniziando a fare una serie veloce di domande.

-Come Jun?-

-Si …-

-Dici che è un buon padre per Hikaru?-

-Certo che lo è!-

-Però non ti ha cercato in questi anni, giusto?-

-L’ho voluto io!-

-Davvero?-

-Si!-

-Non volevi che conoscesse suo figlio?-

-No!-

-Allora lo volevi o non lo volevi?-

-Lo volevo! È suo figlio!-

-Lo volevi solo per Hikaru?-

-Io …-

Yayoi si frenò, rendendosi conto di dove sarebbe andata a finire con le sue parole, ma Matilde non gli permise di restare muta a lungo ,a costo di risultare offensiva.

-Lo volevi solo per Hikaru?-

-…-

-Allora lo volevi per qualche altro motivo. Ti serviva aiuto? Problemi finanziari? In fondo lui è benestante.-

-Non era per questo!-

Scattò in piedi irritata, ma Matilde insistette.

-E allora per cosa? Volevi vederlo?-

-Si, lo volevo!-

-E perché, in fondo vi siete lasciati di comune accordo, no?-

-Mi mancava.-

-Come? Non ho sentito.-

-Mi mancava maledizione! Che lo devo gridare?-

-Ti mancava? E allora perché non l’avevi sentito prima.-

-Io … io …-

-Allora non ti mancava davvero.-

-Si che mi mancava, da morire!-

-Perché non l’hai chiamato prima allora?-

-PERCHE’ NON SAREI PIU’ RIUSCITA A LASCIARLO ANDARE! LO AMO!!-

Lo urlò con tutte le sue forze, e le lacrime le scapparono dagl’occhi.

Tuttavia per Matilde non bastava, aveva rotto solo metà del coperchio di quella scatola.

-Perché non lo avresti più lasciato andare?-

-… io …-

-Tu cosa, Yayoi?-

Piangeva, singhiozzava anche forte, ma la psicologa non l’avrebbe lasciata scaricarsi fino a quando non avrebbe parlato e tirato fuori tutto.

-Hai paura che ti abbandoni?-

Scosse la testa.

-Che ti odi?-

Annuì.

-Perché?-

-… perché sono come mia madre.-

Lo aveva detto. Finalmente.

La vedeva in piedi, in lacrime, con i pugni stretti, e Matilde vide tutta l’oscurità uscire fuori da quel corpo, impedendole quasi di respirare. Al tempo stesso però, proprio perché si erano rotte le sue barriere, la donna stava continuando a parlare, anche se faceva fatica con gli singhiozzi che le mozzavano il respiro.

-… per anni mia madre … ha inseguito il ricordo di un uomo che … non è mai tornato a prenderla; mi è stato detto che non mi voleva … che non mi nutriva … ma al tempo stesso lei aveva una tale cura di me … e il giorno in cui è morta … mi ha anche chiesto scusa … mi ha detto … che non era adatta a farmi da madre … che si scusava … mi ha anche abbracciata … ed io … io non capivo …-

Matilde sospirò, appoggiando la schiena sulla poltrona, sistemandosi gli occhiali sul naso, ne aveva sentiti diversi di casi come questo, ma ogni volta era dura avvertire quel flusso di emozioni negative.

-Io … ho amato … e amo profondamente Jun … ma non posso sperare che torni, con tutti gli sbagli che abbiamo fatto.

E Hikaru … è mio figlio, sono sua madre, e voglio sempre dimostrargli che lo amo, sempre. Ma sono single, con un reddito basso, che ha meno garanzie di dare al proprio figlio stabilità, come invece può fare Jun.-

-Quindi dici che, in caso, tu lasceresti che Jun ti portasse via tuo figlio?-

La donna annuì. Matilde si sporse verso di lei, la sua faccia non era per niente convinta di quelle parole.

-Cosa vuoi davvero, Yayoi? Cosa DAVVERO vuoi tu?-

La donna prese un profondo respiro, e si vedeva che si rifiutava di dirlo. Matilde insistette, alzandosi in piedi per avvicinarsi e insistere per farglielo sputare fuori.

-Dillo Yayoi! Dillo cosa vuoi! Dillo!-

L’altra cercava di allontanarsi ma la psicologa, senza toccarla, le stava addosso, confondendola e attaccandola con quella semplice parola.

-Dillo, dillo Yayoi. Avanti dillo!-

Alla fine la rossa le urlò contro, arrivando quasi a spingerla via pur di farla allontanare.

-Voglio Jun con me, voglio Hikaru con me, li voglio tutti e due con me! Tutti e due!-

-E quanto sei disposta a fare per questo? Quanto?!-

-Darei la vita per questo!-

-E perché lo faresti? Perché?-

-Perché li amo entrambi!-

-E ne sei fiera?!-

-Certo! Ne sarò sempre fiera! Io amo mio figlio Hikaru e amo Jun Misugi!-

A quel punto cadde il silenzio; le due si guardarono negl’occhi, prendendo fiato dato che avevano praticamente litigato, restando ferme nelle loro posizioni; alla fine, Matilde tornò al tavolino, prendando il registratore e portandoselo alla bocca, parlando con aria tranquilla.

-Questa è l’ultima registrazione della paziente Yayoi Aoba. Ritengo che possano concludersi qui le sedute.-

La rossa la guardò sorpresa, ancora con le lacrime agl’occhi e l’altra chiuse il registratore, alzandosi in piedi e mettendosi le mani sui fianchi, parlando con voce sfiancata all’altra donna.

-Tu non sarai mai come tua madre, Yayoi: lei, per amore, è morta. Tu, per amore, vuoi vivere, ficcatelo bene in testa. E se io non ti convinco, beh, spero che almeno Jun ci riesca.-

E dopo aver detto questo la psicologa si portò alla scrivania, sedendosi sulla sua sedia, togliendosi gli occhiali per massaggiarsi gli occhi; per tutto il tempo, la rossa rimase a guardarla stranita.

-… Puoi andare ora Yayoi.-

A quel punto la rossa si svegliò, e velocemente si asciugò gli occhi e prese la sua borsa e la giacca, fermandosi sull’uscio della porta: lentamente, con un’espressione grata, la donna fece un ultimo inchino, chiudendo in seguito la porta dietro di sé.

Quando fu sola, Matilde sbuffò sonoramente, guardando il nastro del registratore.

-… di questo che me ne faccio?-

 

Yayoi uscì di corsa dalla clinica, e si rese conto di due cose: prima di tutto che stava ancora piovendo, e di sera la pioggia le dava ancora più malinconia. La seconda cosa era che Jun Misugi era lì che la stava aspettando, sotto un grande ombrello.

Era più sorpresa che mai.

-Jun …-

Lui l’accolse con un sorriso.

-Eccoti qui.-

-Che ci fai qui?-

La donna si avvicinò all’uomo, e questo le porse l’ombrello, facendo in modo che non si bagnasse.

-Sanae mi ha detto che eri uscita senza ombrello, e così ho pensato di venirti a prendere.-

-Ma Hikaru?-

-C’è ancora Sanae con lui, ma dobbiamo fare presto che lei probabilmente sta per andare all’aeroporto.-

-Ah, va bene. Ma ha cenato, si?-

-Si si, tranquilla. Probabilmente adesso sta dormendo.-

La donna annuì, e i due cominciarono a camminare a passo svelto.

Attorno a loro la città sembrava rallentare nel suo andirivieni quotidiano, per via della pioggia, vedevano tanti ombrelli passare e scansarli, così come gente che si riparava in tutti i modi, con le borse o i giornali, alcuni erano fermi sotto piccoli tetti aspettando, pazienti, che il tempo si calmasse.

Le macchine che sfrecciavano avevano i fari accesi, e le gocce di pioggia venivano illuminate nella loro caduta; l’asfalto brillava alla luce dei lampioni, le pozzanghere che si formavano vibravano e si agitavano, come se avessero vita propria.

Jun e Yayoi, lungo il tragittol non si parlarono, camminando l’uno accanto all’altra senza sfiorarsi, anche se per la donna era difficile restare riparata sotto l’ombrello senza rischiare di toccare il braccio dell’uomo, irrigidendo le spalle per la tensione.

L’uomo parlò solo quando si trovarono in una via secondaria, più buia e solitaria rispetto alla caotica strada principale.

-Com’è andata con Matilde?-

-… mi ha detto che questa era l’ultima seduta.-

-Ah, davvero? Quindi … quindi stai bene ora.-

Lei annuì, anche se nemmeno lei ne era certa, era successo tutto in un modo così strano e veloce che le stesse parole della psicologa non le erano rimaste particolarmente impresse; alzò lo sguardo, guardando l’uomo con aria incerta, e lui subito cercò di giustificare la frase appena detta, credendo che lo sguardo fosse per la frase poco carina.

-Cioè, non che tu non sia normale, è solo che hai affrontato tanti problemi, non dev’essere stato facile … insomma, quello che voglio dire è che ora sei più tranquilla, no?-

Yayoi ascoltò quelle parole colpita, e lentamente sorrise, il volto s’illuminò a quel cambiamento, e Jun ne rimase affascinato, arrossendo subito dopo e distogliendo lo sguardo, cercando di continuare a parlare.

-In ogni caso, quando vuoi, ci sono anch’io se ne vuoi parlare.-

-… non sei mai stato un buon ascoltatore, sai?-

-Ah, ma come?! Adesso ti sistemo io.-

E l’uomo spostò l’ombrello verso di sé, facendo bagnare la donna. Questa, d’istinto, si attaccò al suo braccio, cercando di coprirsi sotto il riparo.

-Ehi che fai?!-

-Così impari.-

-Guarda che era la verità!-

-Allora lo faccio di nuovo.-

-Ah no! Ti faccio vedere io!-

E lei afferrò il bastone dell’ombrello evitando di beccarsi di nuovo la pioggia, e nello slancio lo tiraò verso di sé, e stavolta metà del corpo dell’uomo fu solo la pioggia, Jun a fatica cercò di riprendere il controllo dell’oggetto.

-Ehi, molla!-

-Sei stato tu a cominciare!-

Continuarono per una buona mezz’ora, arrivando anche a ridere divertiti fino a quando l’ombrello, a furia di strattoni e movimenti, non si ruppe, lasciando i due a bagnarsi in mezzo alla strada; nonostante ciò, quando si guardarono, si misero a ridere di gusto, e alla fine Jun afferrò la mano di Yayoi, trascinandola verso il primo riparo, una tenda di un negozio chiuso.

A quella presa, per qualche momento, la donna si emozionò, per poi avere l’istinto di strattonarsi via, quei contatti ancora le provocavano la scossa; tuttavia la presa dell’uomo e la sua spinta in avanti le impedivano di fare altro se non correre con lui, fino a quando non arrivarono al riparo. A quel punto, lui la lasciò andare.

La donna ebbe quasi freddo a quelle dita, cercando velocemente un fazzoletto per non pensarci e soprattutto per asciugarsi, aveva i capelli umidi.

Guardò in direzione di Jun, e vide che anche il volto di lui era umido, come i capelli; arrossendo leggermente, la donna pose delicatamente la mano con il fazzoletto sulla guancia di lui, per tamponargliela e asciugarlo.

L’uomo si voltò, stupito, ma non indietreggiò, e lasciò fare la donna, restando in silenzio e osservandola mentre lei evitava il più possibile il suo sguardo.

Con la pioggia, la colonia di Jun si sentiva molto, così come lo shampoo che usava Yayoi.

Il rosso dei capelli di lei sembrava più vivo, così come le spalle di lui sembravano più grandi.

La donna si rese conto che, andando avanti così, ci sarebbe cascata, e velocemente indietreggiò, mettendo il fazzoletto nella borsa, mormorando qualcosa d’indefinito.

-Yayoi.-

Diede la schiena all’uomo, avvampando nel sentire quella voce chiamarla per nome, le sembrava di tornare di nuovo ragazzina, on la sua prima cotta; rispose con voce flebile, ricordando quanto ci era mancato poco qualche giorno prima, a casa sua.

-Si?-

L’uomo vide quelle piccole spalle, la figura magra con quei lunghi capelli rossi, e cominciò a mancargli il coraggio; al tempo stesso, però, non poteva permettere a nessun altro uomo di portargli via l’amore della sua vita.

Ma che dirle in un momento simile? Che l’amava e che non l’avrebbe più lasciata? Di colpo tutte le parole di questo mondo sembravano così banali, retoriche, vuote.

Yayoi, lentamente, si voltò verso di lui, con aria preoccupata, non l’aveva più sentito da quando aveva pronunciato il suo nome. Ma fece appena in tempo a girarsi che lui le andò addosso, abbracciandola e stringendola a sé, sorprendendola.

-Jun?!-

-Yayoi, ti amo.-

… inizialmente la donna non reagì, troppo sorpresa da quelle parole e da quel calore che sentiva addosso; poi, pian piano, cominciò a spingere via l’uomo, scuotendo leggermente il capo.

-No, non è vero Jun. È solo perché ci siamo rivisti che dici questo.-

-Vuol dire che credi che non possa amarti?-

-Io … io credo che dobbiamo pensarci bene.-

-Io non ci voglio pensare bene, io ti amo e basta!-

Quella reazione un po’ infantile la finastidì, e alzò leggermente la voce, l’imbarazzo cominciava a svanire.

-Beh io non voglio finire come cinque anni fa!-

-E cosa ti fa credere che finiremo come allora?!-

-Il fatto che tu, come  al solito, pesti i piedi quando vieni contraddetto!-

-Io pesto i piedi perché tu non vuoi accettare la realtà!-

Si erano staccati l’una dall’altra, e mentre Yayoi teneva le mani sui fianchi in posizione da combattimento Jun aveva aperto le braccia stravolto.

-E comunque sono cambiato in questi cinque anni!-

-Ah si, si vede che sei cambiato!-

-Senti chi ha parlato, quella che continua ad avere i complessi!-

-Sarò una complessata ma di certo non sono una stronza come qualcuno qui presente!-

-Hai voglia di litigare?!-

-Certo che voglio litigare!-

-Avanti allora sentiamo! Quel’è il problema? Che io possa fare come l’amante di tua madre?!-

-Come cazzo ti permetti?!-

-Perché, non lo pensi anche tu?! Non pensi che tua madre sia stata stupida e il tuo vero padre un vigliacco?!-

-Certo che lo penso!-

-E tu pensi che io sia come lui?-

-No!-

-E allora cosa pensi?!-

Yayoi si sentì frenare a quella domanda.

-Penso … penso che potresti cercare una donna mille volte migliore di me!-

-Ma io desidero e voglio solo te!-

Yayoi distolse lo sguardo, lanciando la bomba.

-Solo perché sono la madre di tuo figlio.-

Jun, incazzato come una bestia, la scrollò con la mano sul polso, obbligandola a guardarlo di nuovo.

-Sei stupida?! Pensi davvero che sia solo questo?!

Stammi bene a sentire Yayoi Aoba, tu sei la ragazza che ho sempre amato, la donna che ho sposato e che ora rivoglio per me!-

-Ma … ma mia madre …-

-Del tuo passato, al di fuori di me, non me ne frega niente: io sono qua, e ci sarò sempre, con te e Hikaru, ficcatelo bene in testa maledizione!-

E l’uomo si fermò per prendere diato, si vedevano chiaramente le spalle salire e scendere.

La pioggia continuò a scendere, tappando le loro orecchie.

Le mani erano immobili in quella posizione, ricordava una scultura d’arte moderna.

Nel loro respiro sentivano ognuno l’odore dell’altra.

I loro occhi si cercavano continuamente, fissandosi per qualche momento, per poi separarsi e cercarsi di nuovo nei dettagli dei volti e dei capelli.

Alla fine Yayoi prese per prima la parola.

-… mi ami ancora?-

-… e tu?-

Di nuovo a respirare, a sentire la pioggia attorno a loro, a non sapere cosa fare se non continuare a guardarsi, di sicuro stavano facendo tardi nel tornare a casa.

Dovevano tornare da Hikaru, dovevano.

Però prima dovevano capire cosa fare.

Alla fine, con un piccolo movimento, la donna annuì, non sapendo rispondere a voce. Poi annuì più forte.

Jun prese un profondo respiro, lasciando lentamente andare il polso della donna.

-… e io amo te.-

Restarono immobili, a gustarsi quel momento, a contemplare quello che stavano vedendo, a prendere coscienza di quanto era stato detto; poi, lentamente, entrambi si avvicinarono, passo dopo passo, fino a quando la donna dovette alzare la testa per continuare a guardare l’uomo negl’occhi, le mani strette a sé un po’ incerta.

Lentamente, senza aver bisogno di afferrarla, l’uomo si abbassò, e la donna si alzò in punta di piedi; rimasero fermi a pochi millimetri l’uno dalla bocca dell’altro, continuando a guardarsi negl’occhi, cercando incertezze vicendevolmente. Quando fu sicuro di non trovarne in Yayoi, Jun le sfiorò le labbra, con molta lentezza. Lei lo lasciò fare.

Fu un bacio lento, a stampo, e durò pochi secondi.

Sciolse le mani di Yayoi, la quale si aggrappaò alle braccia dell’uomo, cercando di nuovo quella bocca, stavolta chiudendo gli occhi. Ancora a stampo, ma stavolta la donna c’impiegò di più prima di riuscire a separarsi.

Poi si staccò, e Jun l’afferrò con una mano sulla nuca, spingendola a baciarlo di nuovo, stavolta con più passione, stavolta le labbra si schiusero, restando a lungo ad assaggiarsi, ritrovando quei sapori che avevano dimenticato, trovandone quasi qualcuno in più.

E quando lui lasciò andare, e lei gli afferrò la camicia, trascinandolo a sé, arrivando a sorridere divertita e ricambiata da lui.

E così, in un gioco di spinte, parlandosi fra un bacio e l’altro.

-Mi sei mancato.-

-E tu a me. Tanto. Da morire-

-Bugiardo, sei un bugiardo.-

-È vero. Ma ti amo, ti amo Yayoi.-

-E io amo te, solo te Jun.-

-Non ti lascio andare, non ti lascio più.-

-Non farlo, non farlo ti prego.-

Si staccarono faticosamente, ma quando si ritrovarono, con gli sguardi, entrambi pensarono a Hikaru, solo a casa; ed entrambi, a quel pensiero, si misero a correre come pazzi, tenendosi per mano sotto la pioggia, percorrendo l’ultimo tratto di strada con il cuore in gola, salendo le scale praticamente due a due. Ma non erano preoccupati: correvano perché erano così felici che volevano che la tristezza, il dolore, la sofferenza restassero lì, sotto la tenda di quel negozio dov’erano stati fino a qualche minuto prima.

A Yayoi tremavano le mani mentre cercava la chiave di casa, e Jun ne approfittò per strapparle ancora qualche bacio, facendola ridere divertita.

Finalmente riuscì ad aprire la porta, rischiando di cadere in avanti dato che ci si era appoggiata con la spalla e si accorserò subito che la casa era buia.

Jun, togliendosi le scarpe, corse veloce dal figlio mentre Yayoi si accorse che, sopra il comò dove c’era il telefono, Sanae aveva lasciato un biglietto.

“Hikaru dorme, io vado. Buona fortuna a tutti e due.”

Lesse il biglietto con il sorriso sulle labbra.

Alzò lo sguardo, e vide Jun indicarle la stanza del bambino; la donna la raggiunse svelta, senza fare rumore, e nell’oscurità raggiunse il letto del figlio, non toccandolo per paura di svegliarlo, ascoltando quel respiro tranquillo e profondo.

Scambiò uno sguardo con l’uomo, sorridendo serena, e quasi non le sembrava vero che lui fosse lì con lei, non le sembrava vero di quanto era successo. E se ora si fosse svegliata e fosse stato tutto un sogno?

Lentamente, Jun le offrì la mano, e per un momento ebbe una sensazione di deja-vu mentre, d’istinto, accettava l’offerta, alzandosi in piedi e facendosi guidare, lanciando solo un ultimo sguardo al figlio.

Arrivò davanti alla porta di camera sua, e si arrestò, facendo voltare l’uomo verso di lei: vide quegl’occhi grandi brillare di una leggera incertezza, e lui le sorrise tenero, baciandole i capelli e accarezzandole il volto, stringendola a se con forza.

Lei accettò quelle coccole e si strinse maggiormente a lui, salendo sulle punte per sussurrargli all’orecchio.

Gli disse qualcosa, e lui sorrise felice, annuendo prima di stringerla fra le braccia con tutte le sue forze, mormorandole tutto quello che gli stava passando per la testa, facendola sorridere e perfino rodere a bassa voce.

Alla fine, entrambi si nascosero dietro la porta della camera della donna.

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Capitolo 20
*** Finale: Vicino a te s'acqueta ***


Finale:

Vicino a te s’acqueta

 

Chénier
Vicino a te s'acqueta
l'irrequieta anima mia;
tu sei la meta d'ogni desio,
d'ogni sogno, d'ogni poesia!
Entro al tuo sguardo
l'iridescenza scerno
de li spazi infiniti.
Ti guardo; in questo fiotto verde
di tua larga pupilla erro coll'anima!

Il primo a svegliarsi fu Jun, e la prima cosa che vide fu una massa rossa e morbida di capelli, che scendevano dalla sua spalla fino al petto, alcune ciocce s’intrecciavano alle sue dita; ne sentì chiaramente il profumo, e mosse il capo sul morbido cuscino, cercando di vedere il volto della sua proprietaria.

Vide una fronte dalla pelle chiara, due palpebre con ciglia nere, chiuse, e un naso che nascondeva le labbra e il mento; nonostante quei pochi dettagli l’uomo si emozionò, sorridendo felice mentre la sua mano sinistra, lentamente, si alzava e si muoveva, arrivando a sfiorare una delle guance. Era morbida, e calda. Continuando a sfiorarla, man mano che la vista e l’udito si svegliavano, Jun avvertì il respiro della donna, il movimento del suo petto e il suono leggero che emetteva.

Avrebbe voluto toccarla ancora di più, fino a svegliarla, ma preferì trattenersi, avvolto com’era in quell’atmosfera di pace: lui e Yayoi che riposavano assieme, con il loro figlio nell’altra stanza, proprio come una vera famiglia.

Già, a proposito, la famiglia, o meglio la sua famiglia: da quando se n’era andato, all’Hanami, non aveva più risposto alle diverse e continue chiamate di sua madre, la donna lo aveva chiamato fino a cinque volte al giorno, sempre ignorata.

Jun era sicuro che fosse arrabbiata, e si rese conto che doveva prepararsi mentalmente ad uno dei suoi interventi più aspri contro di lui e contro quella donna stesa al suo fianco, a cui si sentiva nuovamente legato, forse più di prima. Di sicuro l’amava molto più di prima.

Yayoi si mosse leggermente, strofinando la guancia sul petto dell’uomo, e lui sorrise, passando dalla guancia ai capelli, accarezzandoli e sentendoli morbidi sotto le sue dita; la donna si mosse ancora, e dal suo punto di vista Jun vide le palpebre aprirsi e le ciglia sbattere, fino a quando il volto non si spostò verso di lui.

Aveva dimenticato quanto poteva essere bella appena sveglia la mattina, con gli occhi ancora sonnolenti e la pelle chiara. Sentì chiaramente il battito cardiaco accellerargli mentre le parola a bassa voce.

-Buongiorno.-

Era ancora intontita dal sonno, e lo guardò con stupore; poi l’uomo le vide gli occhi accendersi, la consapevolezza farsi strada, e di conseguenza le guance cominciarono ad arrossare, fino a quando non abbassò il capo, e sulle prime provò addirittura a scnsarsi, bloccata dal braccio dell’uomo attorno alla sua schiena.

-Ah no, tu non scappi!-

-Ah! Lasciami!-

Jun la trascinò a sé, in modo da far aderire i loro corpi, e la sentì fragile per quanto era magra, ma anche morbida mentre le dava un bacio sui capelli, allungando anche l’altro braccia per catturarla.

-Ecco, adesso non ti potrai muovere.-

Yayoi, sulle prime, fece effettivamente resistenza, spingendo le mani sul petto di Jun, ma lui tenne salda la presa, e anzi sorrise divertito ai tentativi della donna.

-Su, su che ce la fai.-

-Dai Jun lasciami!-

-Ma dai, se ti impegni ce la fai da sola.-

-Smettila.-

-Guarda che sei tu la deboluccia.-

-Ah, io sarei debole?!-

Le mani della donna cambiarono improvvisamente posizione, e da piatte sul petto andarono alle ascelle e cominciarono a salire e scendere lungo i lato del corpo dell’uomo, muovendo veloci le dita.

La reazione di Jun fu esplosiva: cominciò ad agitarsi, e subito le braccia persero forza mentre la risata gli cresceva incontrollata.

-No, ferma! Ferma!!-

-Ti arrendi?! Ti arrendi??-

Tentò di ripararsi, andando a pancia in giù, ma Yayoi insistette, mettendosi seduta e continuando a fare il solletico, sorridendo vittoriosa.

-Allora ti arrendi?!-

-Ah si, si!!-

A quelle parole la donna mollò la presa, ma subito l’uomo passò al contrattacco, afferrandole il polso per farla sdraiare, iniziando a sua volta a farle il solletico, con più forza di lei; lei cominciò a lanciare gridolini e a muoversi come un pesce fuor d’acqua mentre cercava di battere in ritirata.

-Non vale! Non vale!-

-Non dovevi provocarmi!!-

Yayoi riuscì ad acchiappare un cuscino, e lo tirò in faccia all’uomo, facendolo allontanare; a quel punto tornò a seduta, continuando però ad attaccarlo mentre lui si riparava la testa, tastando a fatica sul letto per recuperare l’altro cuscino.

Da lì scoppiò la battaglia: Yayoi colpiva un po’ alla rinfusa ma di continuo, e questo obbligava Jun a colpire poche volte, anche se deciso, evitando però di farle male. Alla fine i due si presero a vicenda, e finirono sdraiati con i cuscini che cadevano fuori dal letto e le lenzuola completamente sfatte.

Si guardarono a vicenda, senza fiato, i capelli rossi i Yayoi erano tutti spettinati e Jun aveva le guance arrossate. E si misero a ridere, tornando ad abbracciarsi e a stringersi nelle risate.

Pian piano si calmarono, e alle risate fecero posto i baci. Tanti tipi diversi di baci: baci silenziosi, lenti, baci dati con affetto, baci dispettosi in punti strani, baci dati di raffica, baci per giocare, baci pieni di parole, di promesse. Baci per perdere il senso del tempo. Fino a quando non ci fu più bisogno di baci, ma solo di sentirsi l’uno tra le braccia dell’altro, respirando assieme, con gli occhi chiusi.

Purtroppo la luce del giorno cominciò ad essere un po’ più forte, segno che dovevano alzarsi.

Yayoi parlò per prima.

-Che succederà adesso?-

L’uomo strofinò la guancia sulla capigliatura rossa, respirando ancora il profumo del sapone, prima di parlarle.

-Non lo so. Ma sinceramente … non mi dispiace non saperlo.-

La donna annuì, cercando di nascondersi ancora di più nell’incavo del collo dell’uomo.

Restarono qualche minuto in silenzio, e poi Yayoi sentì Jun muoversi leggermente, e poi parlare divertito.

-Ah, abbiamo visite.-

La donna alzò lo sguardo, e vide Hikaru sulla soglia della porta, con in braccio uno dei suoi pupazzi preferiti, un coniglietto in jeans azzurro.

-Ehi, buongiorno amore. Vieni qui.-

La donna batté sul letto, e il bimbo sorrise contento, precipitandosi e balzando sul materasso.

Yayoi sgusciò dalla presa di Jun per prendere il piccolo in braccio, controllandogli subito la temperatura.

-Beh, sembra che siamo guariti. Tu come stai?-

-Bene. Posso andare a scuola mamma?-

-Direi di si. Sono gli ultimi giorni prima dell’inizio delle elementari, non è il caso di fare assenze.-

-E papà viene con noi?!-

Si vedeva lontano un miglio che il bimbo era entusiasta di vedere il papà sul letto con la mamma, aveva gli occhi luminosi e il volto carico di aspettativa mentre Jun sbuffava divertito, accarezzandogli la chioma.

-Ma certo che vengo campione.-

-Evviva!-

E si tuffò in mezzo ai due genitori, i quali sorrisero divertiti, accaezzandolo chi sui capelli chi alla schiena.

Maddalena
Per non lasciarti son qui;
non è un addio!
Vengo a morire con te!
Finì il soffrire!
La morte nell'amarti!
Ah! Chi la parola estrema dalle labbra
raccoglie, è Lui, l'Amor!

Rimasero ancora tutti e tre nel letto, almeno fino a quando la donna non prese in braccio Hikaru per portarlo al bagno, a prepararsi mentre l’uomo prendeva il suo tempo per alzarsi e raccogliere i suoi “resti”.

Dico solo che lui, in quel momento, aveva solo i boxer addosso, mentre la donna aveva anche una canottiera.

Questa, nel frattempo, assistette il figlio, che si sciacquò il collo e il viso, e prese un panno per togliergli via il sudore dalla schiena, guardandolo togliersi la camica del pigiama e piegarla meglio che poté sopra il cesto della biancheria.

Posò il panno umido con delicatezza su quella pelle chiara.

-È freddo?-

Il piccolo scosse il capo, e la donna veloce compì l’operazione, facendo anche il solletico al bambino per farlo un po’ divertire.

-Senti mamma.-

-Dimmi amore.-

-Papà può venire a stare con noi?-

Yayoi fu meno sorpresa del solito, oramai le richieste del piccolo riguardante il suo genitore non la imbarazzavano più così tanto; tuttavia la richiesta era particolare.

-Papà ha un’altra casa amore.-

-Però dice che gli piacerebbe venire a stare qui.-

Jun doveva imparare che non sempre poteva accontentare tutte le richieste del figlio, meno che mai in una situazione come la loro: a prima vista sembrava facile, adesso che si erano chiariti sarebbero vissuti tutti insieme felici e contenti. Ma mica stavano così le cose.

-Tesoro, non voglio dirti di no, ma è ancora presto perché papà venga a stare con noi.-

-Perché?-

Come spiegarglielo?

-Vedi, è vero che io e papà abbiamo fatto pace da poco, ma è passato molto tempo, e siamo cambiati. Dobbiamo prima imparare a conoscerci bene.-

Lo fece voltare verso di lei, consegnandogli la spugna, e lui cominciò a lavarsi il petto, le braccia e le gambe mentre la madre prese un profondo respiro.

Ad aiutarla ulteriormente, in modo inaspettato, ci pensò Jun alle sue spalle.

-Vedi Hikaru, io ho la mia casa, e se dovessi venire qua dovrei portare tutte le mie cose, e non ci sarebbe più spazio per noi; e se voi veniste da me dovreste allontanarvi dall’asilo, e risulterebbe scomodo.-

L’uomo posò una mano sulla spalla della donna, e questa l’accettò di buon grado, vedendo che il piccolo si faceva convincere molto di più da quella spiegazione.

-Anche io e papà vogliamo che stiamo tutti insieme, ma per fare ciò dobbiamo trovare un’altra casa, e al momento non abbiamo abbastanza soldi per farlo.-

-… però un giorno staremo tutti insieme?-

-Ma certo! Certo amore.-

La donna gli accarezzò i capelli e il volto, e Jun s’inginocchiò accanto a lei, sorridendo e facendo un buffetto alla guancia del piccolo.

-Te lo promettiamo campione. Ti sei già lavato i denti?-

Il piccolo scosse la testa, e l’uomo si alzò in piedi, prendendo il posto della donna in bagno, continuando a tenere una mano sul capo del figlio.

-E allora veloce, che se no facciamo tardi.-

-Allora io vi preparò la colazione.-

Risposero entrambi con un “siii”, e Yayoi sorrise divertita, fermandosi solo un momento in camera per potersi mettere qualcosa sopra le gambe nude, dirigendosi subito dopo in cucina a preparare il caffè, succo di frutta e da mangiare.

Sentì chiaramente dei rumori venire dal bagno, comprese le risate del figlio, e le venne a sua volta da sorridere entusiasta.

Non avrebbe mai creduto che una situazione del genere sarebbe mai successa: da giovane aveva sempre pensato ad una casa condivisa con Jun e con dei figli, ma dopo il divorzio l’era sembrato impossibile.

E ora, invece, eccoci qui.

Chénier
Tu sei la meta dell'esistenza mia!

 

Chénier, Maddalena
Il nostro è amore d'anime!

Il primo a raggiungerla fu Jun, lavato e vestito di tutto punto, i vestiti che indossava avevano ancora l’odore della sua colonia; si avvicinò alla donna e le baciò una guancia, un gesto così familiare che la sorprese, facendola voltare verso di lui. Questo la guardò con aria incerta.

-Ti ha dato fastidio quello che ho detto ad Hikaru?-

-No, no per niente.-

-Allora … credi che sarà possibile, un giorno?-

Lei si mordicchiò leggermente le labbra, parlando a voce bassa.

-Beh … formalmente siamo divorziati … però questo non significa che non possiamo riprovarci.

Però!-

E dicendo quella parola rizzò la schiena e guardò Jun dritto negl’occhi, parlando con voce convinta, un dito puntato contro di lui.

-D’ora in poi niente cose lasciate a metà, intesi? Quando c’è un problema si litiga, si discute e si trova una soluzione, chiaro?-

Prese i due piatti con la colazione, parlando mentre li appoggiava sul tavolo.

-Non ho nessuna intenzione di essere di nuovo la “depressa signora Misugi”, e non ho nessuna voglia di tornare ad essere una semplice casalinga: continuerò il mio lavoro, ad educare Hikaru e, al massimo, dovrò ricominciare a gestirti.-

Jun, per tutto il tempo, l’aveva seguita con lo sguardo, sorridendo divertito al discorsetto della donna, avvicinandosi a lei e bloccandola al tavolo, obbligandola a guardarlo da vicinissimo, occhi negl’occhi.

-E dunque sarai la “forte e sicura signora Misugi”, eh? Intendi dire questo?-

Signora Misugi … di nuovo. Yayoi avvertì le farfalle nello stomaco, una sensazione che non sentiva da tempo.

-Forse … o forse continuerò ad essere la “forte e sicura Aoba” che è tornata frequentare il “principe Misugi”.-

-Ah no, non quel nomignolo.-

Il tentativo di rubare un bacio alla donna sfuggì, e lui poggiò la testa sulla spalla della donna, la quale sorrise divertita, battendo la mano sulla spalla dell’uomo.

-Su su, in fondo è solo da una ventina d’anni che ti chiamano così.-

-Per fortuna, da quando ho smesso di giocare, non lo usano più.-

-Ah, a proposito: perché hai smesso?-

Lui alzò il volto, e lentamente rivolse lo sguardo alla donna. Questa, tranquillamente, si liberò dalla presa dell’uomo e tornò verso il ripiano della cucina, finendo di preparare il caffè e passandone una grossa tazza a Jun, il quale lo annusò e lo sorseggiò in silenzio, avvicinandosi al ripiano e appogiandocisi.

Il silenzio si allungò di secondo in secondo, e Yayoi cominciò a pensare di aver toccato un tasto dolente nella vita dell’uomo.

-Scusa, non importa: è la tua vita dopotutto.-

-Ho smesso perché mancavi tu.-

La donna lo guardò sorpresa, e lui sorrise divertito.

-Si, è vero, può suonare molto banale questa frase, molto facile in questo momento; però, ripensando a quanto è accaduto, effettivamente ho lasciato la carriera sportiva … perché non avevo più il tuo supporto: fin dall’inizio mi hai sempre incoraggiato, nonostante i miei problemi fisici.

Forse, senza di te … non sarei arrivato dove sono ora.-

E si voltò a guardarla con ammirazione: Yayoi aveva sempre posseduto, fin da piccola, una straordinaria forza di volontà, e gliel’aveva trasmessa senza sforzo, come se fosse stato naturale, per loro, avere quella sorta di connessione.

Lei arrossì a quello sguardo, distogliendo gli occhi e allontanandosi dal bancone.

-Non ti sembra un po’ troppo conveniente questa motivazione?-

Lui ridacchiò.

-Si, forse è vero.-

Si avvicinò ancora una volta, ma non la circondò con le braccia, ne cercò di strapparle baci o carezze; si limitò a guardarla negl’occhi, sorridendole affettuoso.

-Però sono sincero, Yayoi. Lo sarò sempre con te.-

-Promesso?-

-Promesso.-

-Hm, chissà se mi posso fidare …-

La donna sbuffò, sorridendo, e si sporse verso di lui, per dargli un bacio sulla tempia.

Hikaru arrivò subito dopo vestito di tutto punto, e Yayoi lasciò i due “ometti” fare colazione mentre lei andava in bagno a cambiarsi.

In quel momento ebbe modo di guardarsi allo specchio, e per qualche istante si soffermò sulla sua immagine: il suo colorito, solitamente pallido, quel giorno era più rosato, le sue guance erano decisamente più colorate del solito, tanto che controllò se non avesse la febbre. Ma no, era sana, come un pesce.

Anche i suoi occhi le sembravano più grandi, le iridi castane parevano più chiare; senza contare i capelli, nonostante la coda bassa, erano arruffati e il colore rosso era più accesso. Che fosse il sole che proveniva dalla finestra del bagno?

No, no lei sapeva bene perché aveva quell’aspetto, qual’era il motivo; e forse per questo era così sorpresa, felice ma anche preoccupata: quanto sarebbe durata questa volta? Era un pensiero che non riusciva proprio a levarsi dalla testa mentre si pettinava, lavava la faccia e preparava, raggiungendo gli altri due in cucina, stavano terminando di mangiare.

-Allora, pronti ad andare?-

-Tu non mangi mamma?-

-Prenderò qualcosa fuori amore, altrimenti farò tardi a lavoro così come tu stai facendo tardi all’asilo! Su, forza, grembiule e cappello!-

Il bimbo scese giù dalla sua sedia e corse via mentre i due adulti si spostavano verso il corridoio.

-Posso offrirti la colazione? In fondo tu l’hai offerta a me.-

La donna annuì mentre il bimbo tornava a da loro pronto per andare.

Maddalena
Salvo una madre.
Maddalena all'alba ha nome
per la morte Idia Legray.
Vedi? La luce incerta del crepuscolo
giù pe' squallidi androni già lumeggia.
Abbracciami! Baciami! Amante!

I due ex coniugi fecero insieme la strada per l’asilo e, successivamente, per la clinica, con lunghi silenzi e poche chiacchiere, scambi di sguardi e sorrisi tranquilli; l’imbarazzo c’era sempre, ma faceva parte di quella strana atmosfera che li stava accompagnando fin dalla mattina.

Era una sensazione molto familiare, che avevano già sperimentato, eppure riviverla dopo cinque anni li faceva sentire come al primo appuntamaneto, incapaci perfino di parlarsi. Ma non si sentivano per niente a disagio per questo.

Anche la colazione passò nella quiete di quelle emozioni, di quei pensieri. E nei dubbi di Yayoi.

Arrivarono alla clinica accolti dalla sua solita atmosfera; Matilde li vide arrivare, ma preferì non interromperli, continuando a discutere con l’infermiere che la seguiva.

I due si diressero allo spogliatoio, e senza scambiarsi una parola indossarono i loro camici.

Prima di uscire, però, Jun si avvicinò alla donna, prendendole la mano con una stretta dolce, in modo che lei potesse avere la possibilità, se avesse voluto, di liberarsi.

-… ti posso vedere a pranzo?-

Yayoi guardò quella mano, prendendo un respiro profondo, prima di alzare lo sguardo agl’occhi dell’uomo; erano profondamente sinceri, lo si vedeva chiaramente, e questo la spinse, dopo qualche secondo, ad annuire decisa con il capo.

Jun ne fu entusiasta, aveva un’espressione quasi infantile: non ci sperava in quella risposta, e tanto ne fu contento da baciare la guancia della donna di getto, prima di andare in ufficio a passo sicuro, lasciando la donna con la guancia in fiamme e il cuore in tumulto.

Quasi corse, iniziando a fare i gradini della scalinata due alla volta, come un ragazzino.

A fermarlo ci pensò lo squillo del suo cellulare e, soprattutto, il nome scritto sul display.

“Mamma”.

Frenò la corsa, fino a fermarsi del tutto, a metà della scalinata per il secondo piano, osservando quella schermata e tenendo il dito fermo a pochi centimetri dalla tastiera.

Sapeva di cosa avrebbero parlato, o meglio sapeva di che cosa lei lo avrebbe accusato; tuttavia non poteva lasciare squillare il telefono per sempre, lo avrebbe torturato per il resto della giornata. O della sua vita.

Prese un profondo respiro, e accettò la chiamata.

-Buongiorno mamma.-

> Finalmente! Finalmente ti degni di rispondere!

-Scusami, ero impegnato.-

> Con il lavoro o con tuo figlio?

Lo disse con tale dispetto che l’uomo reagì immediatamente, rispondendo piccato e storcendo la bocca.

-Pensavo ti facesse piacere diventare nonna, o forse ti fa sentire troppo vecchia?-

> Modera i termini Jun! Mi devi spiegare un po’ di cose!

Come se ne sarebbe stato capace: quella situazione si era evoluta in maniera talmente tanto inaspettata che nemmeno lui sapeva cosa dire esattamente. O meglio, sapeva cosa dire, ma questo avrebbe messo in cattiva luce Yayoi al’occhi di sua madre, e ora che l’uomo desiderava riprendere la vita con il suo grande amore non aveva nessuna intenzione di farsi mettere i bastoni fra le ruote.

> Jun, Jun! Mi stai ascoltando?!

-… si mamma.-

> Vedi bene che voglio parlare con te al più presto.

Aprì la porta dell’ufficio e la richiuse velocemente, senza riuscire a salutare nessuno dei colleghi.

-A proposito di cosa, mamma? Del fatto che sono padre? Scusa se lo dico, ma questi sono anche affari miei.-

> Jun, sei padre di un figlio della tua ex-moglie! Sei sicuro che sia tuo? Non voglio che tu venga …

-Che io venga cosa, mamma? Ingannato da Yayoi?!-

La rabbia gli stava cominciando a salire in fretta, pertanto prese qualche respiro, passandosi una mano in faccia mentre cercava di mantenere la calma. Ma oramai le sue parole era avvelenate.

-Posso assicurarti che Hikaru è figlio mio molto più di quanto io mi senta tuo figlio.-

La sentì prendere il colpo in piena pancia, e gli rispose con voce spezzata, facendolo quasi sentire in colpa. “Quasi”.

> Come puoi dirmi questo?

-Sei stata tu a spingermi a dirtelo.-

> Io sono preoccupata per te!

-Mi ritengo abbastanza grande da cavarmela da sola, ti ringrazio mamma.-

> Non chiudere la telefonata, non ho finito!

Obbedì soltanto perché altrimenti la donna avrebbe ricominciato a torturarlo di telefonate; sospirò, mettendosi comodo sulla poltrona nera.

-Che altro c’è?-

> Voglio parlare con te, e io e tuo padre stiamo venendo in città, hai ancora la nostra macchina. Ti è possibile, in caso, raggiungerci a pranzo?

E dire che era sembrata una buona giornata fino a pochi minuti prima!

Non poteva rifiutarsi, perché sapeva che i suoi avevano bisogno del mezzo di trasporto, ma l’idea di rimandare l’appuntamento con Yayoi gli sembrava ancora peggio: rischiava di perdere la poca fiducia che era riuscito ad ottenere dalla donna.

O forse … poteva usare la situazione a suo vantaggio.

-… si, posso, ma non sarò solo: Yayoi verrà con me.-

Gli sembrò di vedere sua madre strozzarsi da sola, e il silenzio che ne seguì lo fece sentire soddisfatto, facendolo parlare ulteriormente.

-Vedi, le avevo promesso che avremo pranzato insieme. Mi rendo conto che vi devo restituire la macchina, ma non voglio mancare alla parola data.-

> È proprio necessario questo?

-Si, mamma.-

E lui non avrebbe cambiato idea.

Sentì la donna sospirare in modo melodrammatico.

> Va bene, ma solo perché sei tu.

-Bene, per che ora?-

Fu secco: questi piccoli ricatti non funzionavano più da molto tempo.

> Mezzogiorno?

-Certo, ora devo andare.-

> Jun aspe …

Chiuse la telefonata, guardando l’oggetto con aria pensierosa, vagamente cupa. Poi lo strinse, uscendo dal suo ufficio, deciso a cercare Yayoi: doveva dirglielo subito.

La donna, nel frattempo, era arrivata al suo reparto, dove i piccoli pazienti l’avevano accolta entusiasti, stufi di farsi fare le iniezioni da quel vecchio baffuto del dottor Guffred; l’infermiera si occupò di loro con entusiasmo, chiacchierando e giocando, cambiando flebo e fasciature, somministrando farmaci e dando attenzione a tutti. Quando terminò si rese conto che già un’ora e mezza era passata, e velocemente si apprestò a passare al suo prossimo impegno, quando una figura con il camice la fermò dal trascinare il carrello lungo il corridoio.

-Ya-chan!-

Seiji l’affiancò, offrendosi di spingere al suo posto, e i due si avviarono verso il magazzino del piano, dove venivano buttati anche i rifiuti.

L’uomo attaccò bottone.

-Come sta Hikaru? Ho saputo che aveva la febbre.-

-Ah sta bene, oggi è tornato all’asilo.-

-Presto andrà all’elementari, come si sente?-

-Bene! È molto impaziente a riguardo.-

-… e Jun come si comporta con lui?-

La donna ripensò agl’ultimi giorni, e d’istinto sorrise intenerita.

-Sta imparando a fare il papà.-

-E con te? Come si comporta?-

Yayoi lanciò un’occhiata a Seiji prima di aprire la porta del magazzino ed entrare; il medico alzò le mani e continuò a parlare, giustificandosi.

-Sono solo preoccupato per te!-

-Seiji, mi sembra che abbiamo già fatto questo discorso.-

-E allora non mi sembravi convinta del suo modo di fare, no? È cambiato qualcosa?-

Forse tutto. Lei però non rispose alla domanda, lasciandola sospesa e permettendo così a Seiji d’incalzarla ulteriormente.

-Cosa ti ha detto? Cosa ti ha fatto?-

-Se non ti spiace non sono affari tuoi! Non siamo mica nella clinica dell’amore!-

-Però sembra essersi trasformata in tale da quando tu e quell’uomo vi siete rivisti.-

-Che vorresti insinuare? Che lui stia cercando di sedurmi? Mi sembra di averti già detto che so com’è fatto e so come gestirlo.-

-Io non insinuo niente, dico solo che le sue attenzioni verso di te potrebbero dipendere solo dal bambino.-

-Anche se così fosse non m’importerebbe.-

Non lo guardò in faccia mentre stava gettando le siringhe usate e le flebo, passando alle garze e ai cateteri per poi riempire di nuovo il carrello, lasciando il medico fuori dallo stanzino, dato che era stretto nelle misure e lasciava entrare solo una persona alla volta.

-Non m’importerebbe, perché lo amo a prescindere.-

La donna si voltò verso il giovane, guardandolo decisa, la treccia di capelli appoggiata sulla sua spalla.

-E questo quello che volevi sentirti dire, Seiji?-

Chénier
Orgoglio di bellezza!  
Trionfo tu, de l'anima!
Il tuo amor, sublime amante,
è mare, è ciel, luce di sole
e d'astri ...
... È il mondo! È il mondo!

Il medico rimase in silenzio, e la donna lo imbeccò ancora mentre Jun raggiungeva il reparto, accigliandosi nel sentire e riconoscere la donna, la quale stava usando un tono di voce diverso dal consueto: era affannata, infastidita, sulla difensiva.

-Vuoi farmi dire che hai ragione? Vuoi farmi dire che lo lascerò perdere? Non mi è mai stato possibile Seiji. Mai.

Io ho sempre amato Jun, anche dopo il nostro divorzio. E anche se questo mi procurerà altri problemi, altri dolori, i miei sentimenti non cambieranno.

Fine della questione.-

Lo disse con forza, in modo tale che Seiji ne fosse pienamente convinto; tuttavia, come tanti giovani innamorati, il giovane uomo non sembrava avere intenzione di mollare, tanto che afferrò il braccio dell’infermiera, per obbligarla a guardarlo nei suoi occhi azzurri.

-Yayoi.-

-Lasciami Seiji.-

-Non puoi fidarti di un uomo che è scomparso per cinque anni, lasciandoti da sola a crescere un bambino.-

-Sono stata io a voler questo. Io l’ho voluto.-

-Perché sapevi che non era affidabile, come può esserlo ora?-

-Lasciami subito il braccio Seiji!-

-Prima rispondimi, come puoi fidarti?-

-Non può.-

I due si voltarono all’unisono, e in quel momento Jun si fece avanti, afferrando il polso del giovane e obbligandolo a lasciare la presa su Yayoi, la quale rimase sorpresa da quell’arrivo; cavallerescamente, Misugi si frappose tra la donna, il carrello e il medico, guardando quest’ultimo dritto negl’occhi, parlando con voce decisa.

-Non può fidarsi, Kishimoto: sono stato io a scegliere il divorzio, quando la soluzione migliore sarebbe stata parlarsi e chiarirsi. E questo l’ha spinta a non dirmi niente riguardo ad Hikaru.

Non può fidarsi perché sono passati cinque anni, dall’ultima volta che ci siamo visti e sentiti, e non mi sono preoccupato di mantenere i contatti.

Non può fidarsi perché sono piombato di nuovo nella sua vita e le ho detto che l’amavo ancora, nonostante tutto quello che gli ho fatto.

Ma di una cosa può essere certa: io farò di tutto per dimostrarle che c’è ancora una possibilità tra di noi. E per fare questo sono pronto anche a prenderti a pugni se ti azzardi di nuovo a toccarla in quel modo, chiaro?-

Sibilò quella minaccia, e Seiji potè essere certo che l’avrebbe fatto subito se non si fosse allontanato all’istante; lanciò un’ultima occhiata ferita alla donna, e se ne andò a passo svelto, permettendo così alla coppia di prendere fiato.

Jun la guardò preoccupato, ma la vide subito rasserenarsi, e fece un passo indietro, chinando il capo in segno di scuse, stupendola.

-Mi dispiace, probabilmente potevi cavartela da sola.-

-Ah no, io … mi ha fatto piacere.-

-Ascolta, per pranzo … abbiamo un problemino.-

-Un problema? Cioè?-

-Ecco …-

Velocemente, Jun spiegò a Yayoi la situazione con la madre, il come era venuta a conoscenza di Hikaru e di come lei volesse parlare con lui … e di come lui l’aveva obbligata ad incontrarlo per pranzo con la donna dai capelli rossi; il volto di questa mutò velocemente ad ogni passaggio, dal divertito, al sorpeso, al preoccupato, fino a che non prese un respiro e mostrò un’espressione rassegnata.

-Beh, immagino di non avere altra scelta.-

-Puoi, ma sarà una questione di tempo prima che mia madre decida a parlare con te.

Ascolta, non voglio obbligarti a fare niente …-

L’uomo fu frenato da una mano della donna a pochi centimetri dalla faccia, e dall’espressione decisa che questa aveva negl’occhi.

-Ah non cominciare per favore, “non voglio obbligarti”! So perfettamente che se non mi metto in mezzo prenderai in mano la situazione e farai di testa tua. Ti conosco, Jun Misugi.-

-… e sono lieto di questo.-

Per quanto l’uomo avesse usato un tono di voce basso, la donna lo sentì perfettamente, imbarazzandosi tanto da borbottare ed evitare lo sguardo dell’uomo.

-Non usare questi giochetti con me, o “principe”, e torna al lavoro.-

-Agl’ordini “principessa”. Ti vengo a prendere all’inizio della pausa agli spogliatoi.-

-Va bene, va bene.-

E l’uomo si allontanò velocemente mentre Yayoi cercava di riprendersi dall’imbarazzo, tornando a lavoro.

Maddalena
Amante! Amante!

 

Chénier, Maddalena
La nostra morte è il trionfo dell'amor!

 

Chénier
Ah benedico, benedico la sorte!

 

Maddalena
Nell'ora che si muore
eterni diveniamo!

 

Chénier
Morte!

 

Maddalena
Infinito!

 

Maddalena, Chénier
Amore! Amore!

(il rullo dei tamburi annuncia l’arrivo della carretta)

-Pranzo con i parenti? Non starete correndo un po’? In fondo vi frequentate da, quanto? Una decina di anni?-

Yayoi ringraziò e benedì mentalmente l’ironia di Matide, scambiando con lei un’espressione divertita mentre l’italiana si sedeva sul bancone sul bancone degli spogliatoi; la rossa sbuffò, sorseggiando il suo the caldo.

Era stata la stessa psicologa a decidere di tenere compagnia all’infermiera, e l’altra aveva accettato con molto piacere, lieta che il rapporto tra loro due non avesse subito mutamenti dopo le loro sedute.

-Sapevo che, prima o poi, avrei affrontato nuovamente sua madre, ma speravo che le cose accadessero meno frettolosamente.-

-Beh, pensala in questo modo: via il dente via il dolore! Parlerai con lei e dopo non dovrai pensarci più.-

-La signora Misugi non accetterà la presenza di Hikaru.-

-Non deve farlo lei, deve farlo Jun: lui è il padre. E da quel che so lui è entusiasta del figlio, o sbaglio?-

Yayoi scosse la testta, passandosi una mano tra i capelli mentre pensava ad ogni possibile scenario che le sarebbe capitato da lì a mezz’ora circa; Matilde la osservò, per poi mettersi di fronte al suo raggio visivo.

-Andrà tutto bene: tu non sei più sola, c’è Jun con te. E conoscendolo, dovrai stare più attenta a badare a lui che alle critiche di tua suocera. O meglio, ex-suocera.-

E dopo aver detto questo si allontanò dall’amica, riprendendo la sua tazza di the.

-Lo sai, a volte penso che uno dei vantaggi del divorzio è proprio il non dover più gestire la tua situazione con la madre di tuo marito. Ogni volta che penso che dovrei avere rapporti con una signora di mezza età, tendenzialmente protettiva, che ti guarda dall’alto in basso, ringrazio il mio status di zitella!-

La rossa rise divertita, annuendo nei confronti dell’italiana e non sapendo rispondere in modo da difendere la signora Misugi.

In quel momento Jun apparve da dietro la porta, entrando nello spogliatoio e levandosi il camice tutto in un solo gesto, avvicinandosi alla donna dai capelli rossi pronta ad uscire.

-Eccomi, scusa il ritardo.-

-Figurati.-

-Quanto abbiamo di pausa?-

-Un’ora, sbrighiamoci.-

-Ok. A dopo Matilde.-

-In bocca al lupo!-

L’italiana sollevò la tazza, guardando i due uscire e seguendoli con lo sguardo fino a quando non scomparvero nella folla.

Sbuffò, alzandosi dal suo posto per tornare al suo ufficio quando, mentre stava uscendo, Seiji entrò nello spogliatoio con una faccia lugubre.

-… vuoi fare quattro chiacchiere? Ti assicuro che aiuta.-

Lui la guardò con aria depressa, e si limitò ad annuire, facendosi offrire una tazza di the.

-Dove hai preso appuntamento?-

-In un ristorante qui vicino. Ecco, qua dietro l’angolo.-

Non appena il posto apparve allo sguardo dei due la donna s’arrestò, il panico le attangliò lo stomaco, suggerendole di scappare a gambe levate; Jun si voltò a guardarla, notando che aveva irrigidito la mascella e le spalle, e lo guardò con sguardo fisso, quasi supplicandolo.

Ripensò a cinque anni prima, al loro divorzio, e anche all’anno precedente alla firma dell’ultimo documento. E poi pensò al giorno in cui fece il test di gravidanza chiusa nel bagno della loro vecchia casa, restando senza parola al risultato positivo.

Avrebbero rivissuto tutto quanto? Di nuovo?

L’uomo le si avvicinò, e le prese delicatamente la mano, stringendole dolcemente le dita.

-Ehi, che succede?-

-Possiamo farcela stavolta?-

-Che intendi dire?-

-Io non voglio che se la prenda con Hikaru, non voglio che ci attacchi sui nostri errori. Non voglio che ci dica … che non siamo fatti per stare insieme.-

-Se si azzarda possiamo anche alzarci e andarcene.-

-Però non si risolve la faccenda in questo modo …-

Jun annuì, dandole ragione. Le strinse ancora la mano.

-Tu cosa vuoi per noi?-

Lo guardò, pensandoci a lungo prima di dare una risposta.

-… voglio che siamo felici. Tutti e tre assieme.-

-Allora faremo in modo di esserlo. E se mia madre vorrà partecipare sarà la benvenuta, altrimenti può anche andare al diavolo.-

-Ma che dici, è tua madre!-

-Si lo so, non è un buon esempio per Hikaru. Ma lui ha te.-

-Ah, queste sono moine! Non ci provare!-

-Va bene, va bene.-

E i due ridacchiarono, alleggerendo la tensione. Continuando a tenerla per mano, Jun guidò Yayoi al ristorante, aprendole cavallerescamente la porta per farla entrare per prima.

Appena i due furono dentro la signora Misugi scattò in piedi, e dietro di lei il marito la seguì con più calma, riuscendo perfino a scambiare un sorriso affettuoso con la sua ex-nuora. La moglie, al contrario, la guardava con molta diffidenza, quasi sdegno, e fu regarduita da un’occhiataccia del figlio.

I giovani si sedettero, e i quattro aspettarono che il cameriere prendesse loro le ordinazioni prima di parlare. Ovviamente, la prima che prese la parola fu la signora Misugi.

-Insomma, da quel che ho capito, è da tempo che avete questo figlio. Quanti anni ha?-

-… cinque.-

Fece il calcolo mentale, e rimase molto sorpresa, lo si vedeva chiaramente sulla sua faccia.

Yayoi si strinse le mani sotto la tavola, ma Jun posò una sua mano sopra le sue, per farle sentire la sua presenza, prendendo la parola.

-Quando scoprì di essere incinta avevo già chiesto il divorzio, e non le permisi di dirmi del bambino. Lo ha cresciuto da sola.-

-E perché non ti ha detto niente in questi cinque anni? Come mai non hai informato Jun del fatto?-

Cercava d’insinuare, la rossa lo sapeva bene; prese un respiro prima di rispondere, tenendo la testa alta.

-Perché con il divorzio ho pensato che Jun non fosse interessato ad avere figli.-

-E cosa ti fa credere che lo voglia adesso?-

-Il fatto che sono stato io a chiedere di lui a Yayoi.-

L’uomo era certamente più pronto della donna al suo fianco, ma questa mantenne lo sguardo tranquillo e freddo nei confronti della signora Misugi. Quest’ultima guardò il “suo bambino” con sguardo pietoso, come se lui non fosse in grado di capire la situazione.

-Però è stata lei a dirti per prima che avevi un figlio, no?-

-No: Hikaru ha conosciuto per caso suo padre, e poi lo ha portato a casa, dove Jun ha scoperto che ero io la madre.-

-Hikaru? Si chiama così?-

La domanda fu fatta dal padre di Jun, eb ebbe l’effetto di calmare immediatamente gli animi; Yayoi sorrise all’uomo, annuendo con il capo. Questo sembrò rimuginare sul nome, per poi sorridere con aria contenta.

-È davvero un bellissimo nome.-

La madre di Jun interruppe il loro discorso, visibilmente infastidita nel vedere suo marito “parteggiare” per quella donna.

-Anche se ha un bel nome rimane comunque il fatto che lo hai tenuto nascosto da Jun per cinque anni!-

-Me ne rendo conto signora Misugi.-

-Allora capisci i miei dubbi riguardanti la sua paternità. Senza contare che la tua situazione econimica e familiare non è mai stata molto “stabile”.-

-Mamma che dici?!-

L’uomo si era alzato in piedi, scandalizzato, ma lo sguardo della donna fu duro e convinto.

-Dico la verità Jun. Tu forse non vuoi vedere la realtà dei fatti, ma io si.-

E poi parlò guardando dritta in faccia Yayoi, come se cercasse di ferirla con la sola forza delle parole e delle sue pupille.

-Costei è figlia di una famiglia di contadini, con un reddito fisso molto basso, e non voglio accennare alla sua situazione familiare perché siamo in pubblico.

Dimmi, quali garanzie può dare ad un bambino? Di certo non potrà mandarlo in una scuola facoltosa, o assicurargli un futuro sempre sereno. Che cosa può dargli allora?-

-Tutto l’amore che posso. E tutto l’impegno e la volontà per permettergli di vivere giorno dopo giorno.-

Parlò con voce sicura, senza distogliere lo sguardo, le mani sul grembo.

Il cameriere interruppe la loro conversazione, portando i piatti ordinati, ma la donna dai capelli rossi aspettò che la presenza estranea si allontanasse prima di continuare il discorso, continuando a guardare la signora Misugi.

-Amo profondamente mio figlio, e voglio dargli il miglior futuro, e sono convinta che nel suo futuro c’è suo padre. E suo padre è Jun.-

-Ma voi siete divorziati. E di solito si divorzia perché non ci si ama più, o sbaglio?-

Stava usando tutte le frecce del suo arco. Ma questa, rispetto alle precedenti, fece meno male ai due giovani, e fu Jun a rispondere, riprendendo una delle mani di Yayoi sotto il tavolo.

-Oppure perché si è confusi. In questo caso, basterà spiegarci.-

-Ma l’amore?-

-Tu non credi che ci amiamo?-

-Io credo che come hai detto tu, Jun, siete “confusi”: la presenza di Hikaru vi ha portato a pensare che, tra di voi, potesse nascere di nuovo qualcosa. Ma è stato dimostrato che quel qualcosa non è durato.-

Stavolta fu il marito a prendere la parola.

-Se fosse davvero così noi avremo dovuto divorziare tempo fa, mia cara.-

Cadde un silenzio tremendo, e la signora si voltò verso il marito, guardandolo sconvolta.

Jun e Yayoi, dall’altro capo del tavolo, si tennero le mani nervosi, non sapendo cosa si sarebbero dovuto aspettare da questa affermazione.

Tuttavia il signor Misugi sorrise tranquillo, riprendendo a parlare.

-E tuttavia, mia cara, abbiamo imparato a conoscerci di nuovo e ad amarci di nuovo, giusto?-

Lei non poté rispondere, mordicchiandosi le labbra e, alla fine, chinando il capo imbarazzata mentre l’uomo alla sua sinistra continuava a parlare, sorridendo alla giovane coppia davanti a lui.

-Io sono convinto che questo possa accadere anche a voi, ragazzi miei: in fondo Yayoi è sempre stata accanto a Jun, e mio figlio … beh, io sono convinto che può essere un ottimo padre, oltre ad un ottimo marito. Basta dargli la possibilità di dimostrarlo.-

E gli altri tre rimasero muti, incapace di contraddirlo o fare altro.

In poche battute l’atmosfera attorno a loro si alleggerì, e dopo un sorriso scambiato con il figlio e la donna l’uomo iniziò a mangiare, seguito subito dopo dagl’altri presenti in tavola, ancora stupiti di come la situazione, all’improvviso, si fosse capovolta in quel modo.

La signora Misugi si permise solo di fare un’ultima domanda.

-Hikaru … è sano?-

Yayoi scambiò un’occhiata con Jun, e sorrise intenerita, annuendo in seguito alla donna.

-Si. si è sano.-

Chénier, Maddalena

È la morte!

 

Chénier

Ella vien col sole!

 

Maddalena

Ella vien col mattino!

 

Chénier

Ah, viene come l'aurora!

 

Maddalena

Col sole che la indora!

 

Chénier

Ne viene a noi dal cielo,

entro un vel di rose e viole!

 

Maddalena, Chénier

Amor! Amor! Infinito!

Amor! Amor!

Jun restituì le chiavi e la macchina al padre, il quale rivolse al figlio e alla giovane donna un ultimo sguardo bonario mentre la moglie, ancora indispettita, si allontanava senza rivolgere la parola a nessuno dei due.

I giovani li videro allontanarsi, diretti verso l’appartamento di Jun, dove li aspettava il veicolo.

Fu l’uomo a parlare per primo, passandosi una mano tra i capelli.

-Beh, tutto mi aspettavo, tranne che mio padre sedasse così le cose.-

-… Sono sempre stata convinta che fosse un uomo davvero forte d’animo.-

Jun annuì, rivolgendo lo sguardo a Yayoi. Questa stava ancora guardando in direzione di dove si erano allontanati i signori Misugi, e aveva un’aria profonda e lontana, che affascinava tremendamente l’uomo lì accanto.

Alla fine la donna gli rivolse lo sguardo, sorridendo serena, e a quel punti lui ricambiò, stiracchiandosi un momento dopo mentre lei controllava l’orario.

-Dobbiamo tornare alla clinica, fra poco ricomincia il turno.-

-Si, hai ragione.-

E s’incamminarono in silenzio. Almeno fino a quando Jun non prese la parola.

-Ehi stavo pensando ad una cosa.-

-?Cosa?-

-Visto come sono andate le cose, a questo punto ti conviene sposarmi.-

-EH?! Ma che dici?!-

-Ma si, pensaci: con il mio reddito potremo aiutare Hikaru con la scuola, e inoltre potremmo farlo stare in una casa più grande, magari con un giardino!-

-Non mi sembra una motivazione valida per sposarci. Se ti sposo voglio che sia per amore, e solo per quello.-

-Anche se vivessimo in una bicocca abbandonata?-

-Anche se vivessimo tutti e tre insieme sotto un ponte, lontano dai tuoi genitori e da mio padre.-

-E tu mi amaresti comunque?-

-Certo!-

-… quindi ci sposiamo?-

La donna fermò la camminata, guardando l’uomo. Questo le rivolse uno sguardo profondo e deciso, che la emozionò; ma, alla fine, Yayoi sorrise divertita, facendo qualche pacca sulla spalla di Jun mentre riprendeva a camminare.

-Si vedrà.-

-Quindi è un si?-

-Forse.-

-Si? Si??-

Alla donna venne da ridere mentre l’uomo cominciava ad agitarsi, afferrandola per la vita pur di fermarla, parlandole con aria impermalosita.

-Yayoi Aoba, giuro che ti dimostrerò che ti puoi fidare di me! Dimmi di si!-

-Prima dimostrami che posso avere tale fiducia, e poi ti farò sapere!-

Schmidt

Andrea Chénier!

 

Chénier

Son io!

 

Schmidt

Idia Legray!

 

Maddalena

Son io!

 

Maddalena, Chénier

Viva la morte insiem!

**

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Capitolo 21
*** Epilogo: Applausi ***


Epilogo:

Applausi

 

E Jun dovette dimostrarle a lungo di essere meritevole di fiducia: quasi sei mesi di dimostrazioni. Il tempo sufficiente per far iniziare ad Hikaru l’asilo, di stabilizzare il loro rapporto e di riuscire a trovare una casa che non costasse troppo e che permettesse di raggiungere scuola e clinica senza troppi problemi.

A quel punto era fatta, mancava solo il matrimonio. Ma fu un matrimonio diverso dagl’altri.

Anzitutto si sposarono in primavera, rispetto alla prima volta, che invece si era svolto d’estate; e poi non organizzarono nessuna cerimonia, nessun ricevimento, niente. Semplicemente andarono in comune e firmarono dei nuovi documenti assieme ai testimoni, dando dimostrazione del loro “affetto” alla signorina al banco.

Punto primo: il cognome.

-Ma perché non vuoi prenderti il mio cognome?-

-Perché mi piace il mio, Aoba, e poi perché voglio che Hikaru abbia la libertà di scegliere se farsi chiamare Misugi o Aoba!-

-Ma non è giusto!-

-Non mi farai cambiare idea: o ci sposiamo così oppure non se ne fa niente.-

E la donna era convinta fino in fondo, pertanto l’uomo non riuscì a contrastarla.

Secondo punto: le fedi.

-E dai mettiamole!-

-Ma tanto a te non ti è mai piaciuto indossarla!-

-Solo perché non ci era abituato, ma ora è diverso!-

-Se è diverso perché usiamo le stesse? Ti ricordo che dentro è incisa la data del primo matrimonio!-

-Perché sono le fedi che ho comprato con i soldi del mio primo stipendio da professionista per la squadra del Tokyo, quindi metteremo quelle!-

E stavolta, complice anche il broncio dell’uomo, la donna accettò, anche se le veniva parecchio da ridere.

Punto terzo: i testimoni.

-Vedi bene di non fare cazzate Jun, o giuro che mi porto via Yayoi e non la riporto più in Giappone!-

-Provaci e vengo a Barcellona di persona!-

-Buoni voi due, per favore!-

-Per essere un matrimonio è uno dei più divertenti che abbia mai assistito!-

-Grazie per essere venuto Tsubasa.-

-Ehi, a me non mi ringrazi? Sei voi due state insieme è anche merito mio!-

-Zitta e firma, italiana.-

-Ah, razzista!-

-Dai sbrighiamoci!-

La signorina dall’altra parte della scrivania guardò quella compagnia stranita, sembravano un gruppo di adolescenti e non dei trentenni che si sposavano per la seconda volta!

I due firmarono il contratto, e quando fu ufficializzato con il timbro lo guardarono con aria soddisfatta, scambiandosi sguardi e sorrisi divertiti; quando uscirono fuori dal municipio saltarono letteralmente giù dai gradini, a momenti Jun cadeva faccia a terra mentre Yayoi rideva divertita, inginoccchiandosi quando Hikaru andò loro incontro.

-Papà, mamma!-

-Tesoro!!-

Lo strinse con forza a sé, arrivando a fare una giravolta, e il bimbo li guardò fremente, cercando con la mano la spalla del padre, afferrandogliela.

-Allora?-

I due gli mostrarono le mani con le fedi agli anulari.

-È fatta: siamo ufficialmente una famiglia!-

-EVVIVA!-

E il bimbo si aggrappò a tutti e due, rischiando di fargli dare una testata, ma i tre erano così entusiasti di quanto fatto che non ci fecero caso, ridendo e schiamazzando a più non posso mentre Matilde scuoteva il capo, ufficializzando che erano “andati fuori di testa”.

Alla fine Hikaru prese per primo la parola.

-Quando avvertiamo il nonno?!-

-Lo chiameremo stasera, e poi lo andremo a trovare questa estate, va bene?-

-SI!! E i nonni?-

Al primo incontro con il nipotino la signora Misugi si era letteralmente “innamorata” di lui, riuscendo a riversare su di lui tutto “l’affetto materno” che gli era rimasto sospeso da quando il figlio aveva iniziato a giocare a calcio, allontanandosi; ad una tale reazione, stranamente, Jun si dimostrò geloso del figlio, scatenando il divertimento di Yayoi, che lo stuzzicava ogni volta se ne presentava l’occasione.

-Beh, bisogna chiederlo al papà. Tu che ne dici, signor gelosone?-

-Dico che li telefoneremo stasera.-

-Ah no, il solletico!-

Alla fine sciolsero l’abbraccio, e la donna posò a terra il bambino, che subito ricominciò a giocare con i due figli di Ozora, il resto del gruppo era andato avanti, deciso a cercare il posto migliore per festeggiare quell’incredibile Hanami.

Yayoi stava per raggiungerli, quando Jun le prese la mano, trascinandola nel suo abbraccio e guardandola negl’occhi.

-Ti amo. E ti adoro. Lo sai?-

La donna sorrise felice, prendendo quel volto tra le mani e baciandolo.

-Ora lo so.-

Si guardarono negl’occhi, e poi si strinsero con tutte le loro forze, prima di sciogliere l’abbraccio.

-Non sarà per niente facile.-

-E quando mai lo è stato?-

-Mamma! Papà!-

-Arriviamo!-

E i due, tenendosi per mano, raggiunsero il figlio e il resto del gruppo.

 

Tu mi piaci... questa è l'attitudine mia,

di cantare, cantare per te.

Io ti adoro, a me piace tutto di te.

Sono pazzo, e lo sono di te.

 

Ed anche se ci sei, vorrei tu fossi qui,

e quando te ne vai, sei ancora qui con me,

perchè sei bella da morire,

e nulla al mondo mai ci dividerà.

 

Sei l'aurora, sei l'arcobaleno per me,

e pur di averti, io t'inventerei!

Oh...

(Figaro qua, Figaro là,

sono un barbiere di qualità, la, la, la, la.)

 

A volte io vorrei ti allontanassi

per godere in quel momento quando tu ritornerai,

sentire quella gioia come un bimbo

che oggi a scuola non andrà.

 

Ed una vita no, bastare non mi può,

per dirti tutto ciò che vibra nel mio cuor.

Ma in tre minuti di questa arietta

ti convincerò che sei tutto per me.

 

Ti adoro, e non so spiegarti il perché.

Vivo bene, se tu sei con me.

Sei luce quando è buio dentro di me,

sei calore nel freddo che c'è.

 

(Ho capito che d'amore a volte poi si muore,

soprattuto che l'effetto più importante è nel rispetto)

nella voglia di partire, nella gioia di tornare,

nell'istinto primordiale di riuscire ad amare.

Oh...

Tu sei luce quando è buio dentro di me,

sei calore nel freddo che c'è.

 

Ti adoro.

 

Finitoooo!!! Non posso crederci, è stato uno dei progetti più difficili a cui ho lavorato, e adesso vedere che è finito mi fa tirare un sospiro di sollievo, così come mi fa storcere un po’ la bocca: forse avrei potuto scrivere un po’ di più e meglio di come l’ho conclusa, ma sono comunque contenta di essere risucita a metterci la parola “fine”, mi ha fatto davvero tribolare!

Allora, ringraziamenti!

Ringrazio Krys, Melanto, sailorgemini, sissi, reggina, capitanhyuga, eldarion, thabit, mimi18, rubysage, sara90, shike e a tutte le altre che lo hanno letto!!

Ora mi fermerò per un po’, per riordinare le idee e per impostare i nuovi progetti, in modo che non finiscano arenati come questo!

Un bacio a tutte, siete fantastiche, scrivere per voi è sempre un piacere!

Alla prossima!

 

W

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