Opera in musica di WYWH (/viewuser.php?uid=62850)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Overture ***
Capitolo 2: *** Aria: Madamina, il catalogo è questo ***
Capitolo 3: *** Corale: Libiamo ne' lieti calici ***
Capitolo 4: *** En Travesti: Calbo ***
Capitolo 5: *** Recitativo: Don Magnifico e le figlie ***
Capitolo 6: *** Tagli: Alfredo & Annina ***
Capitolo 7: *** Cabaletta: La Cenerentola ***
Capitolo 8: *** Intervallo ***
Capitolo 9: *** Sillabato: Falstaff ***
Capitolo 10: *** Terzetto: Ping, Pong, Pang ***
Capitolo 11: *** Il Trillo: Amalia ***
Capitolo 12: *** Habanera: l'amour est un oiseau rebelle ***
Capitolo 13: *** Aria: Agitata da due venti ***
Capitolo 14: *** Cavatina: Lindoro ***
Capitolo 15: *** Duetto: Tristan Und Isolde ***
Capitolo 16: *** Duetto: Tristan Und Isolde (IIa Parte) ***
Capitolo 17: *** Intervallo (II) ***
Capitolo 18: *** Recitativo e Aria: Lascia ch'io pianga ***
Capitolo 19: *** La Fuga: Toccata e Fuga in Re Minore ***
Capitolo 20: *** Finale: Vicino a te s'acqueta ***
Capitolo 21: *** Epilogo: Applausi ***
Capitolo 1 *** Prologo: Overture ***
Opera
in musica
Prologo:
Overture
Era
stato un matrimonio felice,
nessuno poteva negarlo: i cinque anni più belli della loro
vita. Ma
sfortunatamente ogni cosa finisce, e così accadde anche a
loro, nonostante
tutti erano sempre stati convinti che loro due sarebbero stati insieme
anche
fossero arrivati i Maya.
Sanae,
in prima linea, aveva sempre
fatto il tifo per loro: come sempre, lei faceva
“l’invincibile paladina”, o
più
comunemente “lo Tsunami”, e Yayoi sorrise amara
pensando che, quando sarebbe
venuta a sapere quello che era successo, alla sua amica gli sarebbe
venuto un
colpo, per poi prendere il telefono e bombardarla di chiamate.
La
porta si aprì in quel momento, e
il sorriso scomparve, alzando il capo per riconoscere la figura di Jun
che
entrava nello studio, come al solito gl’impegni lo avevano
fatto tardare, come
avrebbe affermato nei secondi successivi.
-Scusate
il ritardo, ho avuto un
impegno di lavoro.-
Yayoi
avrebbe sorriso se la
situazione non fosse stata così spinosa: l’ultima
firma nelle carte del
divorzio, un’ultima firma e poi nessuno dei due avrebbe avuto
motivo per vedere
l’altro. Ma anche in quel momento, la donna conosceva bene i
pensieri del
marito.
O
meglio, ex-marito. Sospirò,
cercando di accomodarsi su quella poltrona, ma le parve fatta di spilli
e
chiodi.
Era
strano, ma in quei momenti,
mentre Jun si accomodava sulla sedia, elegante come sempre, a Yayoi
veniva in
mente solo il giorno che si erano conosciuti, quando lei si era
presentata in
classe e si era accomodata sul banco proprio accanto a quello
dell’uomo, che
allora era stato un ragazzino dal fragile cuore; e lei in tutti
quegl’anni, aveva
conosciuto a menadito ogni angolo di quel cuore, innamorandosene.
E
ancora adesso Yayoi amava
profondamente Jun.
Per
tale motivo accettava anche
questo, il divorzio.
Lanciò
un’occhiata di sottecchi, per
vedere l’uomo alla sua sinistra, notandone subito i
pantaloni, la giacca e le
scarpe, il nodo della cravatta e i gemelli sui polsini; era sempre
stato un
uomo ordinato ed elegante nel vestire, e una piccola delusione della
donna era
sempre stata quella di non poter mai aggiustare niente nel vestito di
suo
marito, come si vedeva nei telefilm o nelle coppie da tempo sposate.
Anzi,
spesso e volentieri, lei si era sentita a disagio nei suoi confronti,
persino
nell’abbigliamento; oltretutto la famiglia di Jun era sempre
stata molto più
agiata della sua, e si notava sempre quella sottile differenza
Yayoi
sospirò senza fare alcun
rumore, guardando l’espressione calma e seria del suo …
ex-marito mentre
ascoltava le varie clausole dell’avvocato divorzista. Lei
oramai le sapeva a
memoria, era la quarta volta che si riunivano per discuterne,
stomacandola
completamente: Jun Misugi, delle volte, era troppo puntiglioso, oltre
ad essere
un gran testardo, ma la donna, anche in quel momento, non poteva negare
che
emanasse il solito fascino nei modi, nel rivolgersi alle persone, nel
prestare
loro la sua totale attenzione. Fin da piccolo aveva avuto questo
talento di far
sentire le persone …
importanti.
Al
contrario, lei sembrava non
sortire più alcun effetto su di lui. Forse perché
era diventata solo …
un’ombra, e
niente più.
Per
questo divorziavano: Jun la stava
lasciando …
perché lei
non era più di alcuna utilità; oramai era guarito
dai suoi mali fisici, e si
erano sposati solo perché era un passaggio ovvio
“del copione”, come oramai lei
considerava la sua vita.
Ma
non era stato ovvio il fatto che
l’uomo si potesse stancare di quella farsa.
Yayoi,
in quel caso, dava
completamente ragione a Jun: era stata tutta una farsa, per tenersi
buoni gli
amici e colleghi, e loro l’avevano portata avanti come due
bravi attori; ma
ogni cosa aveva un finale, com’era giusto che sia.
Il
punto era …
che la donna
non sapeva proprio quando era cominciata, la farsa; sapeva solo che, un
giorno,
ad un certo punto, si era resa conto che l’affetto e
l’amore dell’uomo nei suoi
confronti si erano raffreddati, ed erano diventati simili
all’affetto che un
fratello poteva provare per sua sorella minore. Da lì in
poi, le cose erano
mostruosamente accelerate: le comunicazioni si fecero sempre
più rade,
gl’incontri si ridussero al minimo, ed ognuno si perse nella
propria vita, al
punto tale che, ora, quell’elenco di clausole parve inutile
alla donna, la
quale si limitò a chiudere gli occhi, prendendo un profondo
respiro, aspettando
pazientemente il suo turno di firmare.
-Ecco,
una firma qui signor Misugi.-
Quando
Jun prendeva una penna, ecco
quello era l’unico momento in cui mostrava una certa
grossolanità: era uno
sportivo dopotutto, le poche volte che prendeva una penna era per
firmare dei
contratti di lavoro, e lo faceva sempre in modo sbrigativo e pulito.
Lei, al
contrario, per il diletto che provava nello scrivere, e soprattutto nel
tenere
in mano una penna, aveva imparato ad usarla in una certa maniera, e in
quel
momento quella penna elegante meritava di essere stretta in maniera
rispettosa.
-Prego,
signora Misugi.-
Alzò
stupita lo sguardo all’avvocato,
sentendosi chiamare in quel modo.
Una
firma, e presto sarebbe tornata
ad essere la signorina Aoba, e per quella clausola lei aveva fatto
particolarmente pressione: non voleva, in nessun modo, avere legami di
alcun
genere con Jun, anche fosse stato il cognome. Non perché
fosse arrabbiata o
altro, ma perché non voleva stare male ogni volta che la
chiamavano “Misugi”,
un cognome che, in fondo, non le era mai appartenuto.
Non
che non fosse affezionata alla
famiglia, tuttavia tutto quello che erano …
lei non era mai riuscita ad esserlo:
non era una persona particolarmente elegante, e oltretutto erano
persone di un
certo rango. La sua famiglia, al contrario, proveniva dalla campagna,
dove
tutti si conoscevano. Insomma, due mondi completamente diversi.
Ma
chissà come, fino a quando non se
n’erano resi conto era andato tutto bene; già,
nell’adolescenza sembra sempre
che tutto possa andare bene, e anche gli ostacoli più
difficili possono essere
superati senza problemi, com’era successo a Tsubasa e Sanae.
Già, peccato che
oramai erano diventati adulti, e la cecità
dell’amore adolescenziale era
svanita, almeno dagl’occhi di Yayoi. Forse per Jun non era
mai esistita.
Eppure,
solo per un momento, la donna
ebbe remora di firmare quella carta, e questo non passò
certo inosservato a Jun
o all’avvocato; ma non era perché aveva cambiato
idea su qualcosa, oramai la
donna aveva accettato tutto, anche per sfinimento. È solo …
solo che, in
una remota parte di sé, la donna ancora si ostinava a
pensare che le cose si
sarebbero risolte; che se magari gli avesse parlato a
quattr’occhi, con calma,
magari avrebbero fatto qualcosa per evitare tutto questo.
Non
solo per loro stessi ...
E
poi quello. Le succedeva sempre,
quando non sembrava esserci soluzione al problema:
all’improvviso, nella sua
testa, cominciava a sentire una musica ritmata, allegra, che la faceva
sorridere. Era una musica tratta da “L’Elisir
D’amore”, forse la sua opera
lirica preferita.
Jun,
invece, non sopportava la
lirica. E non sopportava gl’indecisi, ne coloro che
cambiavano idea all’ultimo
momento, proprio come era lei ora.
Al
passato non si torna, così era
solito dire Jun Misugi, e oramai quella formula era diventata parte di
Yayoi; premette
con forza la penna sulla carta, e con la sua veloce firma, la donna
fermò il
giradischi della sua testa.
Eh
no, questa volta, cara Yayoi, non
c’era possibilità che le cose si sistemassero,
anche in quella situazione. Ma
era giusto così, le cose dovevano andare così.
-Ecco
a lei avvocato.-
-Grazie,
signora. Bene, posso
annunciare ad entrambi che il divorzio è fatto, vi
manderò una copia dei
documenti al più presto.-
-La
ringraziamo avvocato.-
La
donna si voltò verso l’uomo, che
si stava alzando in piedi a stringere la mano all’avvocato.
Ah, la cortesia di
Jun: faceva sempre così quando erano in due davanti ad una
persona estranea,
l’uomo ringraziava, salutava e si scusava per entrambi, anche
quando l’errore
non era suo ma di Yayoi. E la donna ne aveva fatto di sbagli.
Entrambi
strinsero la mano all’avvocato,
uscendo fuori dallo studio in silenzio, come due perfetti estranei;
oltre la
porta elegante, Yayoi strinse le mani innervosita, sapendo che quella
era
l’ultima volta che vedeva suo …
suo marito.
Gli
rivolse lo sguardo, e ancora una
volta riconobbe quelle iridi color cacao, ora in
un’espressione gentile ma
distaccata, tipica di Misugi quando trattava con …
con estranei.
Oramai
la tristezza era entrata
dentro di lei già da tempo, ma quando vide
quell’atteggiamento, proprio nei
suoi confronti, sentì che il tempo uggioso fuori dal palazzo
entrava dentro e
avvolgeva i due sul pianerottolo.
-Bene
Yayoi, spero …
spero tu
possa avere una vita serena.-
-…
L’avrò
Jun, tranquillo. Grazie
di tutto.-
-Ciao
Yayoi.-
Lui
si sporse, regalandole un ultimo
bacio sulla guancia, prima di andarsene di gran carriera, evidentemente
aveva
altri impegni: oltre ad essere calciatore era anche medico sportivo. La
donna lo
vide scendere le scale dell’edificio, e sulla rampa ne
ammirò la schiena,
coperta dalla sua bella giacca nera.
Ancora
una volta la donna si prese un
profondo respiro, e strinse la mano, gelida, sulla ringhiera,
osservando l’uomo
sparire dalla sua vista; non lasciò che la tristezza la
facesse piangere, né
alla rabbia di farla gridare. Non sarebbe servito a niente,
l’uomo non sarebbe
tornato indietro.
-…
addio, Jun Misugi. Andrà tutto bene.-
Tu, tu
piccolo iddio!
Amore, amore mio,
fior di giglio e di rosa.
Non saperlo mai
per te, per i tuoi puri
occhi, muor Butterfly
perché tu possa andare
di là dal mare
senza che ti rimorda ai dì maturi,
il materno abbandono.
O a me, sceso dal
trono
dell'alto paradiso,
guarda ben fiso, fiso
di tua madre la faccia!...
che te n' resti una traccia.
Addio! piccolo amor!
(Madama
Butterfly, Terzo Atto, ultima scena)
**
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Capitolo 2 *** Aria: Madamina, il catalogo è questo ***
Aria:
Madamina,
il catalogo è questo.
Cinque
anni dopo …
Squillo
a vuoto. Squillo a vuoto. Squillo
a vuoto. Toh, segreteria.
Chissà
come mai non ne era sorpresa.
*Salve,
questa è la segreteria
telefonica di Jun Misugi. Al momento non sono in casa, potete lasciare
un
messaggio dopo in segnale acustico. Vi richiamerò appena mi
sarà possibile,
grazie.*
Beep.
Adesso
la sentiva.
-Jun
Misugi, brutto cretino che non sei
altro, vedi di tirare su la cornetta del telefono o di aprirmi la
porta, o
questa volta non te la caverai con una scusa qualsiasi!-
Ma
niente, il silenzio assoluto dall’altro
lato della cornetta, e poi la segreteria le chiuse la telefonata; la
donna
sospirò spazientita, chiudendo il cellulare e
incrociando le braccia, guardando la porta
d’ingresso dell’appartamento,
lasciando un’occhiata veloce al corridoio dietro di lei,
voleva certo evitare
di fare la figura della barbona con gli altri inquilini.
Oramai
era da un’ora che bussava, ed
erano spaventosamente in ritardo; sperava di svegliarlo telefonandogli,
ma Jun
quando dormiva non lo buttavano giù nemmeno le cannonate.
Meno
male che aveva tenuto la chiave
dopo aver lasciato Jun!
La
recuperò dalla piccola borsa, ed aprì
la porta, facendo prima una piccola preghiera perché la casa
non fosse quel
cesso che si ricordava dall’ultima volta che ci era stata;
aprì lentamente, e
non appena vide la gamba di un pantalone rovinata a terra, la donna
perse tutte
le speranze, aprendo con un colpo, facendo sbattere la porta contro uno
scatolone da imballaggio, probabilmente pieno di cose delicate.
E
lui lo teneva lì!
Sospirò
pesantemente, chiudendo la porta
e notando che le tapparelle erano ancora tutte chiuse.
-Jun?
Jun dove ti sei cacciato?! Guarda
che siamo in ritardo per la riunione.-
Sentì
una specie di rumore gutturale, e
lentamente cominciò a muoversi per la stanza, alzando per
bene i piedi per non
pestare nulla, una volta aveva provato a camminare in quel buio ed era
finita
con una scarpa nuova di zecca in un cartone della pizza semivuota.
Finalmente
raggiunse la finestra, e
tastando riuscì a trovare il pulsante delle tapparelle,
avviandole e pregando
nuovamente che quella stanza non fosse come si era immaginata.
Una
linea orizzontale di luce solare di
formò sul tappeto morbido, e subito individuò una
scarpa slacciata, abbandonata
a terra, e già pensò al peggio; fortunatamente
non c’erano cartoni di pizza,
bibite rovesciate o altre schifezze varie, ma solo abiti stropicciati
scaraventati senza alcuna cura a terra.
E
lì, abbandonato sul divano, con i
chiari segni di una sbronza appena passata, Jun Misugi,
l’uomo più disordinato
che la donna avesse mai conosciuto.
Oramai
la terrazza era completamente
tirata su, pertanto la donna si avvicinò al grande e ampio
divano, ammirando la
sua maestà placidamente immersa nel mondo dei sogni; e lo
ammise, in fondo Jun
Misugi rimaneva sempre e comunque un bell’uomo, e quando
dormiva era un piacere
starlo a vedere.
Aveva
trentadue, trentatre anni, ma
sembrava sempre averne venti, con quel viso che molti uomini
gl’invidiavano,
perché sebbene avesse dei tratti marcati, come le
sopracciglia e gli zigomi,
aveva anche dei lineamenti dolci, che gli davano un’aria
sempre giovane, quasi
adolescenziale.
Si,
era bello. Bello … e tremendamente
disordinato, sconclusionato e avventuriero; anche per questo motivo lei
aveva
preferito chiudere la loro storia prima che fosse troppo tardi: meglio
rimanere
collega e amica di Jun piuttosto che amante o, peggio, fidanzata.
Perché
quelle non avrebbero mai preso il
posto dell’unica moglie di Jun. Sposato! Ma ci pensate? Quel
tizio, sdraiato
sul divano, il cui fascino era ridotto solo al suo bel faccino e al suo
fisico,
aveva avuto una moglie che lo aveva sopportato!
Buon
per lei che, alla fine, se n’era
andata.
Forse.
Comunque,
ara la priorità era svegliare
Jun, e con le buone non c’era riuscita.
Poco
male, sarebbe passata alle cattive:
gli afferrò il polso e una caviglia, e puntando i piedi a
terra lo spinse giù
dal divano, facendolo cadere di faccia a terra, fortunatamente il
tappeto
morbido ammorbidì la caduta.
La
reazione fu immediata: come un pesce
fuor d’acqua, l’uomo si agitò
animatamente, riuscendo alla fine ad alzare la
faccia e, con le braccia, a mettersi seduto, passandosi una mano sul
volto e
mettendo a fuoco la presenza davanti a lui, che subito lo
redarguì.
-Jun
Misugi, comincio a perdere la
pazienza con te: vatti immediatamente a lavare a metterti qualcosa, che
siamo
spaventosamente in ritardo.-
L’uomo
ci mise qualche minuto a
connettere, poi ebbe due moti: da una parte una crescente incazzatura
verso la
donna di fronte a lui, ma dall’altra gli salì il
panico, ricordandosi che,
effettivamente, quel giorno doveva assolutamente presentarsi alla
riunione. Le
due cose, mescolate insieme, generarono un’energia nel corpo
dell’uomo che
schizzò in piedi e corse in bagno, parlando alla donna nel
frattempo.
-Porca
miseria Matilde! Perché cazzo mi
hai svegliato solo adesso?!-
-Perche
prima ero chiusa fuori di casa.-
-Hai
la chiave, merda!-
-Speravo
che ti svegliassi, sono stufa
di entrarti sempre in casa come una ladra perché non ti sai
gestire.-
-Fammi
un caffè.-
-Non
ne abbiamo il tempo.-
-Ti
chiedo solo un caffè, cribbio! Non
ti sto chiedendo qualcosa di difficile! Le cialde sono …-
-Nel
cassetto in basso, lo so, ti
ricordo che sono sempre qui a farti da balia.-
Lui
grugnì, e la donna velocemente si
diresse in cucina, notando che questa era stranamente pulita,
probabilmente non
mangiava a casa da un bel po’; velocemente trovò
le cialde, optando per
qualcosa di bello forte, frugando poi alla ricerca della tazzina e
velocemente
preparando il caffè istantaneo, meno male che, prendendo
quella casa, l’uomo
aveva avuto la decenza di comprare solo cose utili.
Ecco,
su questo si poteva dire che Jun
era un uomo giudizioso.
Il
caffè c’impiegò il tempo sufficiente
per l’uomo di darsi una rapida lavata, vestirsi e raggiungere
la cucina, dove
trangugiò il caffè bollente scottandosi la lingua.
-Merda!-
-Dai,
muoviti.-
Matilde
lo afferrò per un braccio,
obbligandolo a prendere al volo almeno le chiavi di casa, portafoglio e
cellulare, facendosi trascinare fuori di casa, giù
dall’appartamento e prendere
il primo taxi al volo, dirigendosi verso la clinica privata dove
lavoravano
entrambi.
-Allora?
Chi era?-
-Chi?-
-Il
motivo per cui ti sei preso una
sbronza tale da trovarti sul divano.-
-Non
capisco di cosa parli.-
-Di
CHI parlo, Jun Misugi, guarda che a
me non mi freghi. E una che conosciamo?-
Lui
non rispose, passandosi una mano tra
i capelli, quelli dietro erano umidi per la doccia veloce che si era
fatto;
Matilde, tuttavia, non si sarebbe accontentata di quel silenzio, gli
piaceva vederlo
storcere la bocca quando parlava delle sue avventure.
Non
perché fosse un tipo particolarmente
riservato, ma perché sapeva anche lui che rischiava, sempre.
-No.-
-Ok,
l’hai conosciuta solo ieri. E
com’era? Alta, bassa, bruna, bionda? O magari rossa?-
-Ma
che ti frega della mia vita!
Piantala!-
Rossa,
aveva reazioni così esplosive
solo con le donne dai capelli rossi; Matilde non sapeva
perché, ma lui aveva
sempre avuto un debole per quel tipo, e lei che era biondissima si
sentì al
sicuro dalle sue grinfie.
-Ok,
è rossa.-
-Ti
prego Matilde!-
-Sai
bene che non smetterò Jun, almeno
fino a quando non parlerai, pertanto sputa il rospo o te lo cavo io di
gola.-
Il
taxi fermò ad un semaforo rosso, e
Jun sbuffò, intrappolato in quelle maniere con quella pazza
di una bionda
italiana.
-L’ho
conosciuta ieri, in un locale.-
Di
solito, quando andava all’avventura,
ci andava da solo, perché la compagnia lo distraeva, e anche
perché Jun Misugi
era tendenzialmente inconsistente nelle decisione di tipo sentimentale:
era
come un bambino, se una cosa gli piaceva la prendeva, ci giocava, e
appena
c’era qualcosa di più interessata la buttava via.
Terrificante una cosa del
genere per una donna.
Però
una cosa Matilde doveva ammettere:
Jun Misugi non era un uomo cattivo.
Ma
farfallone di sicuro, ci metteva lei
la firma.
-E
poi?-
-Vuoi
sapere anche i dettagli?-
-Certo!-
Jun
sospirò di nuovo, sforzandosi di
ricordare, ma il cervello aveva ancora qualche difficoltà a
carburare, il caffè
non gli era servito a niente.
-Eh,
dunque …-
Il
taxi ripartì, e fortunatamente il
tragitto da casa sua alla clinica non era così lontano,
poteva già riconoscere
gli edifici che di solito superava a piedi, e l’uomo prese un
respiro di
sollievo, girandosi verso la donna con aria vittoriosa.
-Spiacente
Matilde, ma per questa volta
la scampo.-
-Jun
Misugi, scommetto che ti sei fatto
anche la dea della fortuna.-
-Già,
ma non credo che stavolta riuscirà
a farmela scampare al ritardo sulla riunione di oggi.-
-Tzè,
ti basterà mostrare il tuo solito
modo di fare da uomo maturo, e quel vecchiaccio del capo te la
perdonerà. Te la
cavi sempre tu.-
Jun
pagò cavallerescamente il tassista,
e con Matilde superò il cancello bianco, entrando dentro la
clinica senza
guardarsi intorno, salutando i colleghi che conosceva con un cenno del
capo,
assumendo pian piano il suo solito aplomb: espressione concentrata,
schiena
dritta, atteggiamento posato.
Perché
effettivamente, a Jun piaceva il
suo lavoro, sia come medico sportivo che come tecnico della FC Tokyo;
aveva
smesso di giocare, ma la sua passione per il calcio era rimasta, ed
aveva
continuato a lavorare nella squadra per cui aveva giocato per molto
tempo,
riuscendo anche a completare i suoi studi medici.
Quella
clinica era, per lo più, il posto
dove teneva il suo studio, ma per la maggior parte del tempo
l’uomo era sempre
fuori: i suoi impegni sportivi, insieme ai suoi studi medici, lo
avevano
obbligato ad una vita molto più vagabonda
di quanto avesse immaginato, anche perché lui,
personalmente, preferiva
molto di più starsene in giro, a seguire i suoi vari
pazienti, che restare
chiuso ad ammuffire nel suo studio o nel suo appartamento.
Salutò
le segretarie del primo pian
distrattamente, ma Matilde non poté non notare, con un
sorriso divertito, che
quelle comunque lo guardarono affascinate; e così fu anche
per le infermiere e
le dottoresse, nemmeno quelle più avanti con
l’età si risparmiavano dal
lanciargli una veloce occhiata.
-Buongiorno
dottor Misugi.-
-Akata-san,
buongiorno.-
-In
ritardo anche stamane, eh?-
L’anziana
donna era il capo del reparto
di psicologia, dove ci lavorava Matilde, e tendenzialmente Jun
preferiva non
starci molto tempo lì perché i medici
all’interno tendevano sempre a
psicanalizzare chiunque passasse, rendendo difficile la conversazione.
-Capita
purtroppo.-
-Tranquillo,
anche il tema della
riunione di oggi è in ritardo.-
-Il
“tema”? abbiamo un nuovo arrivato in
clinica?-
-Nuovi
arrivati: pare che il capo del
reparto fisioterapia abbia richiesto un assistente esterno alla
clinica.
Inoltre il reparto di pediatria è pronto per essere usato, i
nuovi medici
dovrebbero arrivare oggi stesso.-
-E
immagino che lei si sia documentata su
tutti loro e sul loro stato mentale, giusto?-
-Che
insinuazioni, dottor Misugi.-
Ma
la donna sorrideva divertita, e
l’uomo ricambiò con un cenno del capo.
Matilda
a quel punto scosse il capo: era
inutile, quell’uomo era veramente bravo a rigirarsi qualsiasi
essere di sesso
femminile nel raggio di cento metri.
-In
effetti mi sono documentata: il
fisioterapista pare che sia un giovane con molta esperienza, ha
lavorato molto
all’estero e, negl’ultimi tempi, ha lavorato presso
l’Ospedale Centrale.-
-Niente
male.-
-Niente
male davvero, per questo il
dottor Fusako l’ha voluto a tutti i costi.-
-Ma
che è successo con la sua precedente
assistente?-
-Si
è sposata e ha lasciato il lavoro.
Motivazione più che discutibile.-
Matilde
lanciò un’occhiata attenta a
Jun, notando come questo avesse accigliato lo sguardo alla parola
magica:
matrimonio.
Si
sapeva che lui era stato sposato, ma
non aveva mai fatto trapelare niente del suo matrimonio, neanche il
nome della
sua ex-moglie; quello che si conosceva era che aveva divorziato da
oramai
cinque anni, e che aveva perso completamente i contatti con lei.
Neanche
quello sorprendeva l’italiana:
quando voleva, Jun Misugi sapeva benissimo scomparire dalla tua vita,
anche
perché con la vita che faceva era un miracolo se continuava
a restare in
contatto con i suoi amici, ex compagni di squadra della Nazionale.
-E
degl’altri? Che mi può dire?-
-Tutti
dottori con ottime credenziali,
niente d’interessante a riguardo. Uno
degl’infermieri oggi è assente.-
-Come
mai?-
-Motivi
personali, ha assicurato la sua
puntualità per domani.-
Raggiunsero
la sala riunioni parlando
del più e del meno, e molti dei medici erano già
arrivati, erano si e no una
decina tra i pezzi grossi della clinica, compreso il capo, un vecchio
signore
di sessant’anni con due baffi alla Bismarck davvero
impressionanti, con un
vocione tale che quasi ti arrivava dentro le budella quando parlava.
-Dottoressa
Akata. Dottor Misugi.
Dottoressa Cecconi.-
-Buongiorno.-
Risposero
tutto e tre in sincronia,
accomodandosi nelle prime sedie libere che riuscirono a trovare,
chiacchierando
fra di loro del più e del meno fino a quando il dottor
Henrich Guffred non
prese la parola, presentando i medici del nuovo reparto di pediatria,
senza
però accennare all’unica mancanza, solitamente era
un uomo tremendamente
preciso in queste cose.
-Secondo
me è perché l’infermiere è
in
realtà una infermiera.-
Jun
si voltò verso Matilde, che gli
aveva bisbigliato all’orecchio. Lui, di rimando, fece
spallucce.
-Bah,
può darsi. Lui di iscuro è un
cavaliere con il gentil sesso.-
-Puoi
dirlo forte.-
-Te
ne approfitti sempre tu …-
E
Matilde sorrise divertita al commento
di Jun, facendo anche la linguaccia.
In
quel momento il dottor Fusako apparve
in sala, accompagnato da un giovane uomo dai capelli neri.
-Buongiorno
colleghi, scusate il
ritardo. Dottor Guffred.-
-Prego,
dottor Fusako, ci presenti il
suo nuovo assistente, e poi daremo inizio alla vera e propria riunione.-
-Certo:
questo è il dottor Kishimoto, e
da questo momento entra ufficialmente a far parte della clinica
“Kanon” come
mio assistente al reparto di fisioterapia.-
Il
giovane salutò con un sorriso, e
frettolosamente il dottor Guffred gli diede il benvenuto, invitandolo
poi a
sedersi ed iniziando a discutere degl’argomenti di quella
settimana; Misugi ne
approfittò per prendere il suo i-pad e controllare
l’agenda, per vedere che
appuntamenti aveva quel giorno.
La
prima annotazione che vide era
persino scritta in rosso sul cellulare, e diceva testualmente
“Rimpatriata”;
giusto, quel giorno si riunivano tutti i suoi ex-compagni di squadra
della FC
Tokyo, lo aveva completamente dimenticato. A parte una visita di
controllo,
fortunatamente, si era ricordato di tenersi libero, pertanto
già si pregustò la
piccola partitella che sicuramente avrebbero organizzato.
Matilde
si sporse verso di lui,
mormorandogli.
-Ehi,
non scappare come al tuo solito
appena finisce la riunione, che dobbiamo parlare di quella rossa.-
-Matilde,
piantala.-
-Perché
te la prendi tanto? Sei stato
tu, ieri, a finire ubriaco sul divano, mica io.-
-Appunto,
questo ti fa capire che non è
successo niente.-
-Hmm,
e pensi che me la beva?-
E
l’italiana si allontanò dal giapponese
con un sorriso divertito, e l’uomo alzò per un
secondo gli occhi al cielo,
pregando le divinità perché i suoi piedi fossero
abbastanza veloci per riuscire
ad evitarsi quella tortura.
Nel
caso avrebbe fallito nella fuga, che
gli avrebbe detto?
Madamina, il
catalogo è questo
Delle belle che amò il padron mio;
un catalogo egli è che ho fatt'io;
Osservate, leggete con me.
In Italia seicento e quaranta;
In Alemagna duecento e trentuna;
Cento in Francia, in Turchia novantuna;
Ma in Ispagna son già mille e tre.
(Da
“Il Don
Giovanni” Primo atto, scena cinque)
-Mamma!!
Dov’è il grembiule?-
-Lì
vicino alla porta d’ingresso, dove l’abbiamo
lasciato ieri amore.-
Il
bimbo si sporse verso la porta, e con
un sorriso entusiasta vide il suo bel grembiule nuovo con tanto di
cappello,
sua madre gliel’aveva comrpato apposta per quel primo giorno
all’asilo nuovo.
La
donna, in quel momento, si affacciò
dalla camera e si avvicinò al figlio, mettendoglielo
sistemandolo al meglio, il
bimbo rimase dritto e fermo come un soldatino, parlandole un
po’ incerto.
-Mamma,
sicura che a lavoro non si
arrabbiano?-
-Ma
no, tranquillo: ho parlato con il
mio capo, e ha detto che questa è un’occasione
troppo importante, e che non
devo certo mancare!-
Oddio,
non gli aveva detto veramente
così il dottor Guffred, ma sotto quei baffoni la bocca aveva
assunto un sorriso
divertito, e la donna era stata certa che non ci sarebbe stato alcun
problema
per la sua assenza.
Quell’assunzione
era una manna dal
cielo: dal suo lavoro all’ospedale non aveva trovato alcuna
occupazione
decente, e con suo figlio era stata costretta persino a tornare alla
casa
paterna per almeno un anno, cercando un lavoro decente con cui poter
crescere
il figlio.
Poi
la clinica “Kanon”, quella
telefonata, la chiacchierata e alla fine la firma sul contratto,
contratto a
tempo determinato, certo, ma almeno sarebbero stati tre anni
retribuiti,
avrebbe avuto tutto il tempo di trovare un altro lavoro e, soprattutto,
di far
finire l’asilo a suo figlio avviandolo verso la prima
elementare.
Cielo,
quanto era cresciuto! Le sembrava
solo ieri che stringeva quel piccolo fagottino arrossato nella sua
camera d’ospedale,
ed ora il suo “piccolo principe” stava per fare
l’ultimo anno d’asilo in una
scuola nuova.
…
quando si era dovuta trasferire si era
sentita male per lui: lo aveva obbligato a lasciare i suoi amichetti
per
seguirla in quella regione di campagna, con poca compagnia e con il
tempo che
non sembrava passare mai.
Tuttavia
suo figlio aveva un dono: era
straordinariamente tranquillo, o paziente, ma le sembrava che questo
pregio
fosse un po’ troppo da adulto per un faccino rotondo con quei
due occhi color
cacao.
-Ecco,
sei pronto.-
-Come
sto?-
-Benissimo!-
E
la donna gli sorrise, restando
inginocchiata di fronte a lui e prendendogli una mano, stringendola con
dolcezza.
-Senti,
Hikaru … sicuro che ce la farai?
Se vuoi resto con te.-
Ma
il bimbo scosse deciso la testa, non
aveva la minima paura negl’occhi.
-Andrà
tutto bene mamma. Mi farò un
sacco di amici.-
E
la donna sorrise, poggiando la sua
fronte su quella del figlio.
-Si,
lo so. È un talento che hai preso
da papà.-
E
il bimbo sorrise contento, sorrideva
sempre quando la donna accennava a suo padre: ne parlava poco,
sporadicamente,
ma ogni volta Hikaru sentiva che la mamma ne parlava con grande affetto
e
tranquillità, e lui restava quasi affascinato da quella
figura senza volto,
stranamente sua madre non gli aveva mai mostrato una foto di suo padre.
Ma
ne parlava sempre, e lui lo conosceva
bene. Era sicuro che, se lo avesse incontrato, l’avrebbe
riconosciuto subito!
-Allora,
andiamo?-
-Si!!-
E
la donna si alzò in piedi, afferrando
al volo la sua borsa e prendendo per una mano suo figlio, guardandolo
con sguardo
fiero: era una bambino tranquillo, ma socievole e sempre sorridente,
con occhi
grandi e curiosi che guardavano il mondo attorno a lui.
E
poi aveva il suo grembiule nuovo, e
camminava per farlo ammirare al meglio a chiunque si fosse voltato a
guardarlo.
Anche
in questo assomigliava tanto al
padre.
Ma
la donna, a quel ricordo, sorrise
comunque, chiudendosi la porta dietro e chiudendola a chiave,
sistemando la
targhetta sopra il campanello.
“Aoba”.
Vedere
il suo cognome, ancora una volta,
la lasciò per un momento ferma. Poi la voce di suo figlio la
risportò all’ordine.
E
allora eccoci qui. Modificata dall’ultima volta che ho
postato, con tante
novità in riserbo per voi; la precedente stesura mi era
sembrata troppo
scialba, destinata a diventare noiosa, specie per la sottoscritta,
così ho
voluto arricchire il tutto con un personaggio in più, spero
vi piaccia!
**
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Capitolo 3 *** Corale: Libiamo ne' lieti calici ***
Libiamo
ne’ lieti calici
Alfredo:
Libiam libiamo,
ne' lieti calici,
che la bellezza
infiora;
e la fuggevol
fuggevol'ora
s'inebri a
voluttà.
Jun
ricevette il passaggio, si liberò
facilmente dell’avversario e, con il suo solito tocco
elegante, tirò in porta
di tacco, non aveva bisogno di metterci potenza gli bastava
… essere bravo come
sempre.
-Ah,
porca miseria Misugi!-
-Sei
sempre la solita bestia.-
-Smettila
di essere così bravo!-
L’uomo
sorrise divertito ai suoi
compagni, tornando indietro mentre il portiere recuperava il pallone e
lo
passava al compagno più vicino, il quale lo portò
verso il centro del campo.
Immediatamente Jun si portò visino al centro con il suo
compagno, e la faccia
dell’avversario rivelò chiaramente il fastidio di
trovarsi il libero a
mettergli i bastoni dalle ruote, era quasi certo che avrebbe perso la
palla.
L’uomo,
in quanto tecnico della TokyoFC,
si era fatto dare senza problemi le chiavi dello stadio dal guardiano,
e con
molta tranquillità lo aveva aperto e ne aveva acceso le
luci, permettendo ai
suoi vecchi compagni di organizzare la loro partita.
Per
rispetto, ai più vecchi era stato
dato il ruolo di capitano, e mettendo in fila gli altri, come alle
elementari,
avevano scelto i loro compagni; ovviamente, il primo che aveva avuto
diritto a
scegliere si era beccato Jun.
E
ancora adesso, nonostante fosse
diverso tempo che non giocava più professionalmente,
l’uomo era maledettamente
bravo nel suo ruolo di … beh, in qualsiasi ruolo che
ricoprisse! Non era strano
che venisse paragonato a Rinus Michel, il mitico campione olandese.
L’arbitro,
uno della squadra che si era
offerto “spontaneamente”, fischiò il
calcio d’inizio, e Jun ricominciò la sua
carrellata di dribbling, passaggi e tattiche per segnare in porta, e
proprio
perché era una partita tra amici era ancora più
fantasioso di quando era in
campo.
Effettivamente,
nelle ultime partite
della sua carriera l’uomo era diventato sempre più
schematico, al punto da
diventare quasi facile da intuire; dico “quasi”,
perché effettivamente
quell’uomo riusciva sempre a sorprendere gli altri, anche
nella banalità di una
tattica: gli bastava, che ne so, un cambio di posizione, un passaggio
diverso,
un pallonetto invece di un tiro ed ecco che era gol.
Il
suo allenatore e i suoi compagni di
squadra, pertanto, rimasero al quanto stupiti quando chiese lui stesso
il
ritiro dalla squadra, e la vera motivazione non la disse mai:
usò la scusa di
aver oramai impegni seri in ambito medico, che non gli permettevano di
essere
sempre in campo, e che avrebbe lasciato volentieri il posto alle nuove
generazioni.
Persino
il compagno con cui aveva legato
di più nella squadra, Kishida, non era riuscito ad
individuare le reali ragioni
di quella scelta; dei presenti a quella rimpatriata, Jun fu il primo a
lasciare
la squadra. Eppure, nonostante questo, fece il terzo gol come se niente
fosse!
-Adesso
smettila Misugi!-
-Se
continui così ti sbatto fuori dalla
squadra.-
-Ma
sei stato tu a volermi, capitano.-
-Si,
ma tu sei troppo bravo, non ci dai
nemmeno il gusto di giocare.-
Jun
rise di gusto, lasciando che tutti
riprendessero le loro posizioni facendo quella scenata collettiva; la
verità
era ben diversa, fin da quando l’avevano visto giocare la
prima volta i suoi
compagni si erano sentiti si, inferiori, ma anche sollevati di avere
come
compagno un tale mostro di bravura.
Eppure
l’uomo, mentre guardava i suoi
ex-compagni, fece un lungo respiro, di chi si sente tremendamente
insoddisfatto.
Perché era quella la vera motivazione che lo aveva spinto a
lasciare:
negl’ultimi anni il calcio non gli aveva più dato
la stessa adrenalina, lo
stesso entusiasmo di quando era nella J-League, o quando stava in
Nazionale con
i suoi amici.
Certo,
il calcio era decisamente
cambiato negl’ultimi anni: i continui ribaltamenti di
mercato, sia per quanto
riguardava i giocatori che gli allenatori, spingevano a strategie
sempre
diverse, dove oramai era il singolo che contava sempre di
più, e il gruppo
faceva da sfondo. Senza contare i vari scandali che, sfortunatamente,
avevano
colpito anche il paese del Sol Levante.
Ma
nonostante questo, Jun aveva
continuato a giocare, fino a quando aveva sentito … come se
la stanchezza si
fosse accumulata sulle sue spalle, rallentandolo. Nemmeno quando aveva
avuto i
suoi problemi cardiaci si era sentito in quel modo, aveva sempre
lottato; ma
dopo che si era reso conto che il suo modo di giocare si era bloccato,
e i suoi
avversari gli toglievano la palla più facilmente, aveva
preferito levarsi di
torno il prima possibile, non senza un certo fastidio.
I
giornali, come sempre, ci erano andati
a nozze con la sua scelta. Qualcuno si era perfino azzardato a dire che
gli
erano tornati i problemi di cuore.
Neanche
a farlo apposta, il primo che lo
contattò dei suoi vecchi amici fu proprio Tsubasa; ma anche
al suo rivale e
capitano Jun era riuscito a mentire. Aveva mentito a tutti.
Non
se la sentiva proprio di dire che
aveva smesso di giocare … perché si era annoiato
… era un insulto a tutti i
suoi anni e alla sua passione che, in fondo, non era mai morta. Solo un
po’
spenta.
In
quel momento, a distrarlo da tali
pensieri, l’arbitro fischiò la fine della partita,
con grande sollievo dei
sconfitti, ma anche da parte dei vincitori, che continuavano a prendere
in giro
il loro miglior giocatore.
-Scommetto
che se tornassi a giocare,
rimarresti ancora l’asso della squadra.-
-Nah,
meglio di no: con il fisico che mi
ritrovo adesso, sarei facilmente superato dagl’avversari.-
-Scherzi?!
Sei una scheggia!-
Già,
una scheggia che cominciava a
perdere colpi, lui stesso lo ammetteva. E per quanto si sforzasse di
mantenersi
in forma, aveva battuto la fiacca; e soprattutto, da quando aveva
lasciato la
squadra, aveva perso un po’ la sua routine fatta di
allenamenti, visite mediche
e diete equilibrate.
A
lui piaceva mangiare, non era un
mistero per nessuno, e per sua madre era sempre stata fonte di
soddisfazione,
specie da quando quest’ultima aveva voluto ricominciare a
cucinare;
fortunatamente, però, il rigido programma sportivo aveva
sempre fatto evitare a
Misugi di mettere su troppo peso, o di perdere tonicità nei
muscoli.
Lasciando
la squadra, e avendo una vita
notturna più “movimentata” di prima, Jun
Misugi aveva acquistato …
-Sarai
anche un campione, ma qui vedo
una bella pancetta Misugi! Ci siamo dati, eh?-
L’uomo
sorrise divertito, proteggendo il
ventre dai possibili tocchi dei suoi compagni, soffriva il solletico in
quel
punto e difficilmente si lasciava toccare; lo permetteva alle donne
perché,
quando la sua tartaruga era stata più evidente, si sentiva
molto orgoglioso di
farsela lisciare dalle sue compagnie notturne.
Però,
nel pensare questo, non gli venne
subito in mente l’immagine della sua ultima fiamma, anzi:
ebbe un flash, dove
si, c’era una donna con lui, ma di certo non era
l’ultima delle sue compagnie.
Si passò una mano tra i capelli, facendosi distrarre da
Kishida.
-Ah,
senti Misugi, conosci un certo
Seiji Kishimoto?-
Il
nome gli ricordava quel di un attore
famoso, mentre il cognome era lo stesso del nuovo assistente del dottor
Fusako.
-…
non credo parliamo della stessa
persona.-
-Ma
si invece, è il nuovo arrivato alla
tua clinica.-
-Lo
conosci?-
L’amico
sorrise, infilandosi la
maglietta, quella primavera si stava rivelando più calda del
solito, e la sera
si riusciva a camminare in maniche corte senza sentire particolarmente
freddo.
-È
stato mio coinquilino fino a quando
non è stato assunto alla clinica. Sai io abito vicino
all’Ospedale Centrale.
Ti
ho chiesto di lui perche volevo
sapere se ti andava di venire stasera a bere qualcosa da me, per
festeggiare il
suo nuovo impiego.-
-Non
c’entro molto in questo caso.-
-Beh
presto sarai un suo collega, e con
il lavoro che fai ti capiterà spesso di parlare con i
fisioterapisti, no?-
Un
concetto piuttosto abbozzato, ma in
qualche modo corretto.
-Stasera
potresti conoscerlo un po’
meglio, e magari farci amicizia, sai ti somiglia caratterialmente.-
-In
che senso?-
-È
un ragazzo molto posato, gentile e
disponibile con tutti, ma anche molto intelligente.-
Se
in quello si assomigliavano, beh Jun
Misugi assomigliava ad almeno un quarto della popolazione del Giappone.
Tuttavia
Kishida continuò a fare
pressione, e alla fine l’uomo accettò
più per sfinimento che per voglia, e
seguì l’uomo fino alla sua utilitaria, montando
sul sedile davanti e facendosi
portare in direzione dell’Ospedale Centrale.
-E
quanti siamo a questa festa?-
-Ah
tranquillo, non siamo molti: qualche
amico in comune e speriamo Ya-chan.-
-È
una tua amica?-
-Mia
e di Kishimoto. Beh, a dire la
verità, a Seiji è sempre piaciuta Ya-chan, e da
quando è ritornata a Tokyo lui
è al settimo cielo, cerca sempre di coinvolgerla in tutto
quello che fa;
dopotutto quella ragazza è troppo in gamba perché
se lui la lasci scappare.-
Un
commento così lo aveva ricevuto anche
Jun: era stato Mamoru, in uno di quei giorni d’autunno in
cui, dopo
l’allenamento, erano rimasti insieme a bere qualche birra,
discutendo in quel
caso del matrimonio “lampo” di Tsubasa, commentando
ognuno le storie
degl’altri. Quando era stato il turno di Misugi, Izawa aveva
detto chiaramente
che “Se Jun non sposa Yayoi, è un uomo davvero
stupido”.
Già,
peccato che, nonostante l’avesse
sposata, confermando la sua intelligenza, le cose fossero andate in
quella
maniera. Ma la colpa non era di Yayoi, Jun non le aveva mai dato alcuna
effettiva responsabilità di quanto era accaduto.
-Ed
è carina?-
-Si,
molto, e non si direbbe che sia più
grande di lui e che abbia un figlio.-
-…
Cosa?!-
-Beh
si, ha avuto un precedente
matrimonio, ma poi il marito ha voluto che divorziassero.-
-E
quanti anni ha il figlio?-
-Cinque.-
-E
a Kishimoto gli va bene?!-
-Ah,
Hikaru si fa amare da tutti!
Neanche tu resisteresti a quel piccoletto!-
Jun
e i bambini. Beh, lui se la cavava,
aiutava anche nel gruppo calcistico Juniores della Tokyo FC, ma pensare
di
avere una donna con un figlio, questo era al di là delle sue
capacità!
Non
aveva mai pensato alla possibilità
di fare il padre; certo, con Yayoi il discorso dei figli era capitato,
ma erano
state chiacchiere su cui non si era mai soffermato molto. Non sapeva
dire se la
sua era paura, fatto sta che, al di fuori dell’ambito
calcistico, lui era un
disastro con i bambini, specie con i più piccoli.
Intanto
Kishida continuava a parlare dal
bambino in questione.
-Nonostante
la sua età è molto
intelligente, Ya-chan lo ha cresciuto nel migliore dei modi; e poi ha
legato
con Seiji, sono diventati molto amici, per cui sono sicuro che
andrà tutto
bene.-
-Prevedi
i fiori d’arancio?-
-No,
per niente. Ya-chan, ovviamente, è
allergica al matrimonio.-
-Beh
fatti suoi.-
-Hmm,
vedo che a qualcun altro non piace
l’argomento, eh?-
-Tendo
ad evitarlo il più possibile.-
-Beh,
tu sei stato fortunato: se non
sbaglio non hai avuto più contatti con tua moglie, no?-
Già,
ma da un po’ di tempo Jun aveva
cominciato a dubitare che quella fosse stata davvero una fortuna: non
vedere
più Yayoi, che per gran parte della sua vita era sempre
stata lì, onnipresente,
gli aveva lasciato uno strano senso di smarrimento.
Forse
era per questo che, quando vedeva
una chioma rossa, era anche capace di lasciar perdere la donna che
stava
corteggiando per inseguire quella capigliatura. Il suo tallone
d’Achille.
Ma
fino a quel momento nessuna rossa era
stata “naturale”, e nessuna con i capelli simili a
quello di Yayoi: tanto
morbidi e corposi, che quando l’uomo li prendeva gli sembrava
di stringere
stoffa pregiata.
La
macchina rallentò quando la grande
figura dell’Ospedale apparve luminosa davanti ai loro occhi,
e appena fu
possibile Kishida svoltò a sinistra, infilandosi in uno dei
vialetti per
cercare un posto dove posteggiare la macchina.
-E
Kishimoto continua a vivere con te?-
-Si,
ma ora sta cercando casa il più
vicino possibile alla clinica, dato che da qui c’impiega
parecchio per arrivare.-
In
effetti la clinica non aveva degl’eccellenti
collegamenti con gli autobus o con la metropolitana, e tutti i
dipendenti
sprovvisti di macchine facevano sempre i salti mortali per trovare casa
nelle
vicinanze, o per arrivare comunque in orario.
Scesero
dalla macchina con una brezza
fresca che soffiò sui loro colli, non era la prima che Jun
andava a casa di
Kishida, ma non aveva mai visto i coinquilini, indaffarati anche loro
per gl’impegni
lavorativi.
Il
compagno viveva in uno di quei
appartamenti economici, stretti e di quel bianco depresso che,
fortunatamente,
Kishida aveva presto eliminato per colori più sgargianti,
specie in cucina e
nel micro-salotto, con la tivù munita di console varie per
qualsiasi gioco lui,
o gli altri abitanti dell’appartamento, volessero usare.
L’ingresso
dell’edificio era semplice,
con le porte scorrevoli e il pavimento lucido di cera, e
l’ascensore, per
quanto fosse piccolo, faceva stare comodamente in due.
-Non
ti preoccupare, non staremo alzati
a lungo: beviamo qualcosa, chiacchieriamo, giochiamo un po’
con la console e
poi ti ri accompagno a casa.-
-Posso
prendere un taxi.-
-Ma
figurati, per una volta che
riusciamo a vederci! Oramai sei diventato una specie di presenza
fantasma, se
non fosse che mi rispondi quando ti chiamo potrei pensare che il tempo
trascorso insieme è stato solo un sogno!-
-Ma
va là, finiscila.-
Kishida
infilò la chiave nella toppa
ridacchiando, e quando l’aprì si sentì
una musica di sottofondo ritmata che non
usciva al di fuori dell’appartamento.
Jun
fu subito investito dal rosso
mattone del corridoio, e una ragazza apparve e scomparve con un
bicchiere di
carta in mano, con corti capelli neri.
-Ah,
quello che è passata è una dei miei
co inquilini. Ishii!-
L’uomo
inseguì Kishida per il corridoio,
togliendosi velocemente le scarpe e salendo sul pavimento in legno
mentre il
compagno tornava indietro con la ragazza, questa stava prendendo un
sorso dal
suo bicchiere di carta rosso acceso.
-Ishii,
questo è Misugi Jun, il mio
ex-compagno di squadra.-
-Wow,
il campione! Piacere!-
-Piacere
mio.-
-Benvenuto,
serviti e fa come se fossi a
casa tua.-
-Ishii,
vieni?-
-Aspetta
devo andare un attimo di là.
Torno subito.-
La
giovane si allontanò, e Kishida
accompagnò il suo ospite in cucina, dove le pareti erano
state tinteggiate di
varie tonalità di verde.
-Questo
non l’hai fatto tu, vero?-
-Nah,
Ishii studia all’accademia delle
belle arti, è lei che ha fatto tutto il lavoro, io ho solo
dato il mio parere
sul colore del corridoio. Bello vero?-
-Molto
caldo.-
L’amico
sorrise, afferrando due
bottiglie di birra e stappandole, consegnandone una a Jun e guidandolo
verso il
salotto, dove qui si era preferito tingere di un
bell’azzurro, il mobilio era
per lo più di sfumature simili e nero.
C’erano,
Ishii a parte, altri due
ragazzi e una ragazza che stavano giocando con Wii agli sport, era il
turno di
uno dei maschi per tirare a golf.
-Ehi
Kishida, ben arrivato.-
-Ciao
ragazzi, Kishimoto ancora non
c’è?-
-No,
ha detto che avrebbe fatto un
pochino tardi: voleva convincere assolutamente Ya-chan a venire.-
-Ah,
alla fine non riusciva?-
-Ha
detto che preferiva stare con
Hikaru, sai oggi era il suo primo giorno di asilo.-
-Già,
ma Kishimoto non ne era contento,
così è andato da lei per convincerla.-
-Accidenti,
non la lascia respirare da
quando è tornata.-
-Secondo
me Ya-chan è una scema a non
approfittarne.-
La
ragazza, mentre prendeva la parola,
si era alzata in piedi in quanto era il suo turno di giocare, e Kishida
la
seguì con lo sguardo con aria ironica.
-Beh,
non tutti sono come te,
Suzuki-chan.-
La
ragazza gli lanciò uno sguardo
altrettanto ironico, decisamente più bellicoso, e
l’uomo preferì battersi in
ritirata presentando il suo amico, il quale aveva assistito alla scena
in
assoluto silenzio.
-Ragazzi,
Misugi Jun. Jun, questi sono
Sato, Suzuki e Tanaka.-
-Cavolo,
che piacere! Io sono un tuo
grande ammiratore.-
-Già,
Tanaka è quello fissato con il
calcio.-
-Piacere.-
Salutò
tutti con un accennato inchino, e
in quel momento si sentì qualcuno aprire e chiudere la
porta, richiamando gli
altri con un urlo.
-Ehi,
eccomi!-
-Ah,
è Seiji-kun, vado io.-
-Aspetta
vengo con te.-
-Vieni
Misugi-san, accomodati.-
-Grazie
…-
A
dire la verità era ancora sulle sue,
dopo la conversazione tra i due era un po’ confuso riguardo i
presenti, ma non
disdegnò uno dei braccioli, guardando il tiro di Suzuki
andare in buca,
mettendosi in posa mentre gli altri due uomini le fischiavano contro.
-Tutta
fortuna.-
-Allora
facciamo la rivincita? Però lo
sport lo scelgo io.-
-Nooo,
che scegli il tennis!-
-Le
regole sono chiare, chi vince
sceglie lo sport da giocare. Partecipi anche tu, Misugi-san?-
Non
era molto pratico di console, ma
quella ragazzetta, perché si sicuro era più
giovane di lui, aveva un sorriso
intrigante, e delle maniere chiaramente molto invitanti e non le
poté proprio
dire di no.
Così,
mentre la vincitrice prendeva il
quarto telecomando e sceglieva lo sport, Kishida e Ishii tornarono in
salotto
con due vassoi e un’altra persona che li seguiva, tenendo in
mano delle
bottiglie.
-Ok,
ci siamo tutti!-
-Kishimoto,
finalmente!-
-Scusatemi,
non sono proprio riuscito a
convincere Ya-chan.-
-Ah,
sarà per un’altra volta.-
-Giusto!
L’importante adesso è
divertirci tutti quanti!-
In
quel lasso di tempo Jun sentiva come
una specie di martelletto che gli stava battendo un micro-chiodo nel
cervello:
Ya-chan, Ya-chan … nessuno sembrava intenzionato a dire il
suo nome completo,
era come se lo stessero facendo apposta.
Non
che gl’interessasse particolarmente,
ma osservando Seiji Kishimoto gli era venuta la curiosità di
conoscere questa
donna che lo aveva spinto perfino ad andare da lei per tentare di
convincerla a
vedersi con gli amici: l’uomo, dai capelli neri, aveva
degl’incredibili occhi
azzurri, qualcosa che sembrava possibile solo con le lentine colorate,
ma lui
li aveva sul serio.
Era
bello, e sapeva di esserlo. Che
razza di tipa era allora quella di cui era così perso?
Probabilmente una
bellezza da mozzare il fiato!
Violetta:
Tra voi
saprò dividere
il tempo mio
giocondo;
tutto è
follia follia nel mondo
Ciò che
non è piacer.
-Dai
Hikaru, la cena è pronta.-
Il
bambino obbedì, alzandosi dal tavoli
dove stava disegnando e raggiungendo la madre in cucina, sedendosi da
solo e
prendendo le sue bacchette mentre la donna gli porgeva il miso,
approfittandone
per accarezzargli la chioma rossiccia prima di tornare a preparare
l’ultima
parte del pasto.
La
donna sorrideva, serena, le piaceva
tantissimo la tranquillità che respirava nella nuova casa, e
anche se in giro
c’erano ancora degli scatoloni chiusi, si sedette a tavola
con gran piacere,
osservando attenta suo figlio che mangiava.
-Allora,
non mi racconti più niente
dell’asilo? Hai conosciuto nuovi amici?-
Il
bimbo annuì, masticando il riso e
prendendosi un sorso dal bicchiere.
-Ho
giocato tanto con Makoto-kun. Lui è
molto simpatico, ma non è molto bravo a disegnare.
Però corre più veloce di
tutti! Dovevi vederlo oggi, è stato incredibile!-
Yayoi
sorrise, divertita, continuando a
guardare suo figlio mangiare con gusto: anche Hikaru correva, e tanto.
E
saltava, e giocava, ed era difficile che si stancava.
Perché
Hikaru era sano.
Per
un attimo, la donna guardò gli occhi
di Hikaru, che si erano rivolti a lei, e le parve di vedersi davanti il
volto
di Jun, la prima volta che si erano conosciuti.
-Mamma?
Tutto bene?-
-Ah,
si, si scusami amore. E poi? che
altro mi racconti? Come sono i maestri?-
-Il
signor Mizuhiko è molto gentile,
mentre non mi piace la signora Nobara.-
-E
come mai non ti piace?-
-Perché
ha sgridato Makoto, quando lui
non ha fatto niente! E poi non gli ha chiesto scusa!-
La
cosa incuriosì ulteriormente la donna,
la quale si era fermata dal mangiare.
-Cos’è
successo? Perché la signora
Nobara ha sgridato Makoto?-
Hikaru
poggiò la sua ciotola di riso sul
tavolo, lì accanto c’erano le sue bacchette blu, e
si prese il succo di frutta,
raccontando la storia.
-Oggi
siamo stati fuori a giocare, e noi
maschi stavamo giocando con il pallone.
Ad
un certo punto Kenta mi ha dato uno
spintone per prendersi la palla, e quando volevo che si scusasse mi ha
detto
che ero una mammoletta.
A
quel punto Makoto gli ha dato uno
spintone, e quando Kenta si è messo a piangere lui gli ha
detto che era più
mammoletta di me. E i due … hanno cominciato a litigare.-
Yayoi
rimase parecchio sorpresa dal
racconto, non si aspettava certo che i bambini potessero avere simili
atteggiamenti a quell’età.
-Ti
hanno fatto del male?-
-No,
no, sono arrivati i maestri e li
hanno separati. Però non è colpa di Makoto,
è Kenta che ha cominciato!-
-Capisco
tesoro, ma Makoto non avrebbe
dovuto spingere Kenta. Non si fa comunque, anche se Kenta aveva
sbagliato.-
Il
bimbo annuì, e la madre gli diede il
suo consiglio.
-La
prossima volta che Kenta fa qualcosa
che non va, tu di a Makoto di dirlo subito al maestro, e va con lui.
Sono
sicura che così la maestra Nobara non lo sgriderà.
Ora
forza, finisci le verdure, così puoi
andare a terminare il tuo disegno.-
Hikaru
obbedì, riprendendosi le
bacchette mentre Yayoi, a sua volta, ricominciava a mangiare, con
addosso la
sensazione di aver imparato qualcosa di nuovo proprio da suo figlio; da
quando
era nato, aveva insegnato un sacco di cose alla donna.
Soprattutto
a sorridere, e ad essere
felice … e a superare gl’incubi del passato.
-Mamma,
cosa voleva Kishimoto-kun?-
Le
tornò in mente la mezz’ora prima,
quando l’uomo era andato a bussarle proprio alla sua porta.
Aveva
l’aria di chi aveva corso, ed
aveva molto insistito per cercare di convincerla; lei era rimasta
salda, ma
doveva ammettere che gli occhi dell’uomo aveva un fascino
tremendo, era una
delle cose che gli era sempre piaciuta di Seiji.
Alla
fine Yayoi l’aveva avuta vinta, ma
si era fatta strappare la promessa di vedersi a pranzo, in mezzo ai due
turni
di lavoro. Gliel’avrebbe addirittura offerto.
Una
corte così aggressiva Aoba non
l’aveva mai subita; con Jun on ce n’era stato
effettivamente bisogno, essendo
amici fin da piccoli si erano subito trovati, e nel bene e nel male
erano
sempre andati d’accordo e si erano voluti bene.
Era
una cosa che la donna aveva notato
nell’ultimo anno, quando si era preparata a trasferirsi di
nuovo a Tokyo, con
Hikaru: ripensando ai momenti trascorsi con Jun, adesso vedeva molte
più ombre
e zone grigie di quante non ne avesse viste negl’anni
precedenti.
Probabilmente
le stava “passando”, come
dicevano le sue compagne di liceo quando una di loro aveva rotto con il
ragazzo. “Dopo un po’ passa tutto, e ti rendi conto
veramente della
situazione.”
-Mamma?-
-Ah,
mi ha chiesto di andare con lui da
amici, ma io non me la sono sentita. Volevo sentirti parlare
dell’asilo, ma sei
stranamente silenzioso stasera. Sei stanco?-
E
il bimbo annuì deciso, arrivando
addirittura a sbadigliare mentre la donna gli si avvicinava,
prendendolo in
braccio e sollevandolo dalla sua sedia, accarezzandogli la testa.
-Allora
facciamo il bagno insieme e poi
andiamo a nanna, va bene?-
E
lui sorrise contento, oramai era diventato
abbastanza grande da fare il bagno da solo, ma gli piaceva tanto quando
lo
faceva con la mamma, specie quando lei gli passava
l’asciugamano sui capelli.
Tutti:
Ah! Godiamo, la
tazza e il cantico
la notte abbella e
il riso,
in questo in
questo paradiso
ne scopra il nuovo
dì.
Suzuki
si avvicinò a Seiji per prima,
riuscendo a strappargli un abbraccio veloce, prima di battere in
ritirata
mentre Jun veniva trascinato da Kishida a salutare ancora una volta il
suo
nuovo collega di lavoro.
-Ehi
Seiji, guarda chi ti ho portato.-
-Ah,
dottor Misugi, che sorpresa!-
-Congratulazioni
per l’assunzione,
Kishimoto.-
-La
ringrazio, è un onore.-
Gli
dava del “lei” in segno di rispetto,
ma Jun si sentiva vecchio quando lo chiamavano così, e
soprattutto con l’uomo
davanti, che di sicuro non arrivava ad avere nemmeno
trent’anni.
-Da
quanto lavori?-
-Sono
quasi tre anni, con il tirocinio e
il contratto all’Ospedale Centrale.-
-Una
carriera fortunata.-
-Già,
davvero! Immagino che lavori da
molto alla clinica, dottor Misugi.-
-Per
favore, solo Misugi, e dammi pure
del tu.-
Gli
sembrava di essere tipo il dottor
Guffred senza baffi mentre parlava con quel giovanissimo, e sentire di
quella
carriera fulminante gli fece salire quasi una leggera invidia, anche
perché lui
aveva sempre messo davanti la carriera calcistica a quella medica,
pertanto ci
aveva impiegato più tempo prima di riuscire ad entrare alla
clinica “Kanon”.
Kishida
intervenne di nuovo, passando
una bottiglia a Seiji.
-Anche
Ya-chan sarà contenta del suo
nuovo incarico.-
-Già.-
-Nuovo
incarico? Di che si occupa?-
-Ah
è un’infermiera, abbiamo lavorato
insieme nello stesso reparto. O meglio, lei era il mio istruttore, io
ero il
suo allievo.-
Aaah,
ora si spiegava: il classico caso
dell’allievo che, affascinato dal suo superiore femminile,
finisce per esserne
innamorato. Non era la prima volta che Jun sentiva una storia del
genere.
-Oltretutto
è stata assunta anche lei
alla clinica, al reparto pediatria, ma quanto meno avremo sempre
occasione di
vederci.-
Era
sinceramente interessato alla donna,
ne parlava con talmente tanta felicità sul volto che, per
Jun, sembrava un
adolescente alle prese con il suo primo amore.
Lui,
al contrario, non aveva mai avuto
una sensazione simile: è vero, lui era sempre stato assieme
a Yayoi, ma la loro
relazione si era costruita talmente tanto con il tempo, che quando si
era reso
conto dell’interesse verso di lei fu come se fossero stati
fidanzati già da
anni. Ma forse questa non era una cosa da considerare positiva.
Dopotutto,
Yayoi aveva sempre avuto la
naturale capacità di voler bene alle persone: con lui era
stata amica fin da
subito, e i suoi sentimenti nei suoi confronti erano sempre stati
sinceri,
cristallini, specie quando si era fidanzati; lui, al contrario, era
sempre
stato poco incline all’affetto incondizionato, e spesso aveva
provato un certo
fastidio nel vedere la ragazza e poi moglie dare confidenza e dare il
suo
sostegno a chiunque.
E
non chiamatela gelosia!
Adesso,
dopo il matrimonio, Jun si
rifiutava di condividere di nuovo la sua vita con una donna: aveva
bisogno dei
suoi spazi e della sua libertà, e se voleva compagnia se la
teneva per il tempo
che gli serviva per stancarsi, e poi cavallerescamente la lasciava.
Soltanto
con i suoi amici più cari, i
suoi vecchi compagni di avventure, e con Kishida restava in contatto,
anche se
molto meno di prima. Anche in quel caso era colpa di sua moglie: alla
donna non
importava quanto lontani fossero i suoi contatti, lei li manteneva
sempre vivi
e freschi. Misugi era sicuro che, ancora adesso, Aoba parlasse e si
vedesse con
Sanae, Yukari e le altre.
-Misugi,
giochi?-
-…
si.-
Doveva
distrarsi, questi pensieri non
erano certo da lui! Lui stava bene, la sua situazione economica e
lavorativa
andavano più che bene, e adesso stava ripensando alla sua
ex-moglie solo perché
Kishida gli aveva detto che lui e Kishimoto erano simili, ma i cosa fu
così
sbagliata!
Alla
fine conclusero la serata che era
passata la mezzanotte, e mentre Suzuki-chan riusciva a strappare un
altro
abbraccio da Kishimoto, Misugi era già sceso verso la
macchina di Kishida, il
quale si infilò la giacca a vento prima di seguire
l’amico.
-Allora,
che te ne pare di Seiji?-
-…
io non penso che mi assomiglia.-
Lo
aveva detto ad alta voce, e l’uomo lo
guardò sorpreso, mettendosi gli occhiali da riposo sul naso,
prima di
sorridere, incamminandosi con l’uomo al suo fianco.
-Hai
ragione. Siete molto diversi.-
Quell’affermazione
distrasse Jun dai
suoi pensieri, facendolo sporgere verso il compagno di squadra, il
quale gli
parlò con voce tranquilla, attorno a loro il quartiere era
molto silenzioso a
quell’ora tarda.
-Lui
è un tipo che mantiene la calma
come te, ma è decisamente molto più espansivo;
inoltre ha ancora quell’atteggiamento
positivo di chi ancora non ha affrontato i momenti più duri
della vita.
Forse
ha la nostra età, ma ritengo che
sia ancora un ragazzino in certi momenti.-
-…
quando parli così sembri suo zio.-
Kishida
ridacchiò, divertito, tenendo le
mani in tasca mentre l’uomo accanto a lui alzava lo sguardo
verso la notte
sopra di lui.
-…
però è una persona matura.-
Kishida
gli rivolse lo sguardo.
-Voglio
dire: vuole stare con una donna …
che ha un figlio di cinque anni. È come dire che sarebbe
pronto ad esserne il
padre.-
-Ah,
non pensare che sia così maturo in
questo senso. Tu lo batti di sicuro.-
E
stavolta fu il turno di Jun a voltare
lo sguardo. L’altro gli fece spallucce.
-Ma
si: tu conosci i tuoi limiti, sai
che non saresti in grado, ora come ora, di avere a che fare con una
donna,
specie se già madre.-
-Hm,
non mi fare più santo di quanto non
sono.-
-Io
non dico che sei un santo. Dico che,
quando vuoi, sai essere una persona rispettosa. Seiji no.-
Era
primavera, ma la sera faceva freddo,
e Misugi nascose il volto nel colletto della giacca, Kishida
tirò fuori le chiavi
della macchina e aprì le porte, continuando a parlare mentre
si metteva comodo
e accendeva il motore.
-Lui
vuole Ya-chan, ma non credo sia in
grado di riuscire a stare con lei per molto tempo.-
-Addirittura
…-
-Tu
non la conosci Jun: è una persona
molto matura nonostante abbia la nostra età, e Hikaru
è l’esempio pratico di
come lei, in realtà, sia una persona molto più
profonda e saggia di quanto non
lo dia a vedere.-
“Aaah
Jun, possibile?! Eppure la conosci da molto più tempo di
noi!”
…
chi era stato a dirgli quella frase?
“Yayoi
è una persona molto più profonda di quanto pensi!
Io stessa rimango sorpresa da
lei!”
Ah,
giusto, era stata Sanae. A giudicare
dal tono con cui formulava quella frase, lo stava sgridando.
“Ma
insomma, Jun! Guardala!”
…
-Se
la conosci bene, capisci quello che
intendo: lei … affascina. Una donna come quella è
difficile non pensarci, io
stesso ammetto che più di una volta ho pensato di provarci
con lei.-
E
Kishida era notoriamente un gran
signore con le donne, molto più di Jun; per questo
l’uomo rimase sorpreso dalle
parole del compagno, ma questo sorrideva con aria divertita.
-Ma
sapevo che lei non mi avrebbe mai
ricambiato. Sai … ho come la sensazione che, delle volte,
ripensa all’ex-marito.-
-Lo
conosci?-
-Ah
no, e lei si ha sempre evitato di
parlarne. Nonostante sia passato il tempo, sembra proprio che quella
sia una
ferita aperta.-
E
da lì i due non si parlarono più,
anche perché il tragitto in macchina stava per concludersi:
Kishida si fermò
accanto al marciapiede, mantenendo la freccia, e Misugi velocemente
scese dalla
macchina, sporgendosi dal finestrino mezzo aperto.
-Grazie
del passaggio.-
-Figurati,
ci vediamo alla prossima
partita.-
-Contaci,
fatemi sapere.-
Guardò
la macchina di Kishida
allontanarsi, e prese un profondo respiro, dirigendosi velocemente
verso casa,
ripensando alla serata appena passata: quelle persone, Kishimoto
… questa
misteriosa Ya-chan …
Avrebbe
voluto conoscerla: se Kishida ne
parlava così bene, evidentemente era una donna in gamba.
Provò ad
immaginarsela, e subito pensò alla chioma rossa di Yayoi.
…
nah: Aoba era una persona in gamba,
certo, ma era così diversa, nei suoi ricordi, dalla donna
che gli era stata
descritta un po’ da tutti.
Questa
era sicura di sé, saggia, oltretutto
con un bambino, molto più matura della sua età.
Aoba
invece … era sempre stata una donna
dall’aria fragile, dolce e disponibile, ma forse troppo
riservata.
Misugi,
delle volte, aveva avuto la
sensazione che aveva il dovere di proteggerla dal resto del mondo, come
se
qualcosa avesse potuto ferirla o peggio.
Entrò
dentro l’appartamento buio,
notando che le tapparelle erano ancora alzate, e sbuffando accese la
luce del
salotto, notando come avesse formato quel tremendo caos di vestiti;
lentamente,
Jun li raccolse tutti, prima di ammucchiarli e dirigersi verso le
tapparelle,
guardando la strada sotto di lui illuminata a giorno da lampioni,
insegne e
luci di altri appartamenti.
Li
guardò con aria distaccata, fredda, e
velocemente avviò il meccanismo, abbassando le tapparelle e
guardando quelle
luce artificiale scomparire dalla sua vita.
VIOLETTA
Che dite?... ha
forse alcuno
cura di me?
ALFREDO
(con fuoco)
Perché nessuno al
mondo
v'ama...
VIOLETTA
Nessun?...
ALFREDO
Tranne sol io.
Yayoi
si sporse solo per un momento,
guardando dallo spiraglio della porta dentro la camera: Hikaru dormiva
profondamente, ben coperto.
Ammirò
solo per un breve istante il
volto placido, per poi chiudere lentamente la porta, avviandosi verso
la
cucina, aveva ancora dei piatti da lavare.
Si
fermò solo un momento davanti al
piccolo comodino tra il corridoio e la stanza, sopra c’era un
bel vaso con dei
fiori rossi, garofano; poi si avvicinò al comodino,
aprendone il piccolo
cassetto.
Era
ancora lì. Una scatolina di legno
laccato, con sopra intarsiati dei motivi e decori.
La
guardò in silenzio. Poi, lentamente,
chiuse il cassetto, e andò a lavare le stoviglie.
Ehilà
gente!
Allora,
come vedete questo è un capitolo molto ricco, decisamente
diverso dalla stesura
precedente.
Mi
sono resa conto, scrivendolo, che è diventato ancora
più introspettivo, e
probabilmente sarà anche più cupo di quello che
avete letto prima.
Sinceramente
mi sto divertendo molto di più adesso, questa lunga pausa mi
ha permesso di
capire bene che cosa cercavo in questa storia, e spero che le modifiche
apportate piacciano anche a voi.
Vi
ringrazio di cuore di continuare ancora a seguirmi, un bacione!
|
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Capitolo 4 *** En Travesti: Calbo ***
En
Travesti
Donna
che fa uomo:
Calbo
Attenzione!
Colpo di scena, ho cambiato anche il titolo! Perché? Date le
modifiche del capitolo
precedente, e le modifiche che verranno effettuate
all’interno di questo stesso
capitolo, il testo di opera lirica precedente non ci stava
più bene, pertanto
ho dovuto fare una sostituzione.
Ricordo
a tutti che Opera In Musica sta subendo modifiche, alcune (come vedete)
anche
parecchio pesanti!
Non
temer: d'un basso affetto
non
fu mai quel cor capace…
Matilde
individuò subito il suo collega
di lavoro nipponico, e subito vide che l’uomo, più
del solito, aveva un’aria
molto scura in faccia; lei sorrise, divertita, se c’era una
cosa che adorava
era stuzzicare Misugi quando era di pessimo umore, perché
l’uomo non poteva
assolutamente perdere il suo aplomb in nessuna situazione, figurati sul
lavoro!
-Buongiorno!
Non è una splendida
giornata?-
Lui
le lanciò un’occhiata feroce,
avvicinandosi alla macchina del caffè per farsene uno nero,
bello forte,
nonostante ne avesse bevuto già uno a casa.
La
psicologa italiana lo guardò ancora
divertita, abbassando la voce mentre degl’infermieri
entravano dentro allo
spogliatoio – sala ristoro; effettivamente c’era un
bar dentro la clinica, ma i
due dottori preferivano la macchinetta dello spogliatoio
perché era più
riservata.
-Comunque
siamo mattinieri oggi, che
succede?-
-…
ho dormito male.-
Parecchio
male, quasi per niente.
Era
stato assurdo: tornato a casa si era
rilassato, aveva bevuto qualcosa ed era andato a dormire, fin qui tutto
normale.
Appena
aveva cominciato ad
addormentarsi, subito aveva cominciato a sognare, e la cosa era strana
perché
lui non sognava quasi mai, o se gli succedeva non se lo ricordava;
invece
stavolta ricordava fin troppo bene cos’aveva sognato: il
giardino della sua
vecchia casa, precisamente i ciliegi della madre, bianchi e fragili,
che da
piccolo si divertiva a scalare, e poi da grande non se n’era
più interessato,
non era tipo da pollice verde.
Ma
mentre stava per rilassarsi in sogno,
ecco da in mezzo ai ciliegi apparire una persona, e lì gli
venne un colpo: era
Yayoi, quando ancora aveva quattordici anni, con i capelli lunghi e
rossi e nel
volto un’incredibile voglia di sorridere; non che lei non
sorridesse, anzi, ma
quello stesso sorriso era strano.
Solitamente,
quando sorrideva, Aoba
emanava sempre una grande calma e serenità, e i suoi occhi
erano molto docili,
tranquilli; nel suo sogno, Jun invece vide chiaramente che alla ragazza
quasi
veniva da ridere, i suoi stessi occhi brillavano di una gioia immensa,
qualcosa
di così grande che l’uomo si trovò
… irretito, quasi turbato.
E
poi, così com’era apparsa, Yayoi
scomparve dietro il tronco di un ciliegio. E lì Jun si
svegliò di colpo, e
tanto era la sorpresa che si mise seduto, gli occhi spalancati nel buio
e il
respiro che quasi gli mancava dai polmoni.
Non
aveva mai sognato la sua ex-moglie,
non che se lo ricordasse:i suoi sogni, solitamente erano confusi e
vaghi,
mentre questo era fin troppo preciso, in quello stesso giardino Jun vi
aveva
trovato dettagli che nemmeno credeva di ricordarsi.
Provò
ad addormentarsi di nuovo, ma per
altre due volte sognò la stessa identica cosa: il giardino,
i ciliegi, Yayoi. Ed
ogni volta quel sorriso lo lasciava senza parole, sia per la sorpresa
… sia per
come illuminasse il volto della giovane, era irriconoscibile.
Quando
si era svegliato per la terza
volta si era notevolmente innervosito, tanto che aveva dato un pugno al
materasso, restando sveglio per un’ora circa; alla fine aveva
avuto un sonno
nero, cupo, di quelli che in realtà non ti riposano affatto,
e ti svegliano con
una strana inquietudine addosso. E così Jun si era ritrovato
a riaprire gli
occhi, quella mattina.
Ed
ora l’uomo si bevve il suo caffè
nero, gl’infermieri che erano entrati dentro a cambiarsi
uscirono dallo
spogliatoio, salutando con un cenno i due dottori, Matilde rispose loro
con un
sorriso mentre Misugi l’ignorò platealmente.
-Accidenti,
devi proprio aver dormito
male se non riesci a fare nemmeno il tuo sorriso di circostanza.-
-Oggi
non ce la faccio a sopportare la
tua ironia.-
-Seriamente,
Jun, hai una faccia da far
paura! Sicuro che hai solo dormito male?-
Non
glielo doveva permettere: Jun non
doveva permettere a quella psicologa di andare oltre le poche
informazioni che
gli aveva dato, o sarebbe stata capace di analizzarlo per tutto il
resto della
mattinata, arrivando poi a formulare una delle sue teorie che, come
sempre, ci
azzeccavano e lo facevano irritare pesantemente.
Era
da due anni che si conoscevano, e
ancora l’uomo non era riuscito a farsi dire qualcosa che si
potesse definire “carino”
da parte di quella bionda italiana.
-Invece,
Com’è andata la rimpatriata?-
Meno
male, cambio di argomento, Jun era
salvo!
-Bene,
molto piacevole.-
-Hai
fatto il gradasso come al solito?-
-Ho
giocato.-
-Jun,
mi ricordo ancora quando abbiamo
fatto la partita di calcio tra voi dottori maschi: la squadra
avversaria non ti
ha più parlato per un mese, li hai umiliati.-
L’uomo
sorrise divertito e soddisfatto a
quel ricordo, cercando però di giustificarsi alla donna
facendo un’alzata di
spalle.
-Non
ci posso fare niente: quando gioco,
gioco.-
A
quella risposta Matilde sorrise,
notando come l’uomo si stava sciogliendo dalla sua posizione
di “relitto umano
per poco sonno”, assumendo la sua posa da “ex
calciatore che faceva il culo a
tutti”.
Era
facile riuscire a tirare su di
morale a Jun Misugi, bastava parlargli della sua passione!
In
quei momenti, l’uomo perdeva il suo
atteggiamento da “persona profonda”, rivelando la
sua anima ancora da
ragazzino.
-Giocherai
pure, ma non guardi in faccia
a nessuno.-
-Non
te lo puoi permettere in una
partita di campionato.-
-Jun,
era una sfida tra medici.-
Ma
era come parlare ad un muro in questo
caso: Jun prendeva molto in considerazione il calcio, tanto quanto il
suo
lavoro di medico sportivo.
All’improvviso
il suono dell’altoparlante
fermò la conversazione dei due medici, i quali ne
approfittarono per finire le
loro rispettive bevande calde.
>
Il dottor Misugi è atteso nell’ufficio
del Dottor Guffred. Il dottor Misugi in ufficio del Dottor Guffred.
-Il
lavoro mi chiama.-
-Salvato
come sempre dalla campanella.
Ci vediamo a pranzo?-
-Si,
ma facciamo presto oggi, devo
andare alla riunione della TokyoFC.-
-Oggi
sei di turno anche lì? Come sta
andando la situazione?-
Al
contrario dell’uomo affianco a lei,
Matilde s’interessava di tutto meno che del calcio: dopo aver
vissuto per vent’anni
in una famiglia italiana dove il padre e i fratelli litigavano
perché tifavano
tutti squadre diverse, aveva preferito ben altri sport a cui
appassionarsi.
Jun
sorrise con aria soddisfatta a
quella domanda.
-Siamo
tra i primi cinque, andando
avanti riusciamo ad entrare in finale!-
-Allora
buon lavoro. Ci vediamo dopo.-
Né
saprebbe la sua pace
mai
comprar con la viltà.
Quando
Yayoi aveva sentito l’annuncio
sull’altoparlante, per un momento si era bloccata: si era
documentata, certo,
sapeva che il suo ex-marito lavorava lì, non aveva firmato
quel contratto senza
valutare la situazione. Tuttavia, nonostante quella consapevolezza di
essere
così vicini, e quindi avere la consapevolezza che prima o
poi si sarebbero
visti, sentire quell’annuncio … era stata una
bella scarica in tutto il corpo.
-Qualcosa
non va, Aoba?-
-Ah,
no, no Dottor Guffred, mi scusi.-
E
la donna riprese la medicazione al
piccolo paziente davanti a lei, supervisionata dalla presenza del capo
della
clinica, il quale oltre ad essere chirurgo era stato anche pediatra, e
quindi
si era preso molto a cuore la realizzazione del piano inerente alla
pediatria,
dove i bambini potevano stare assieme e rilassarsi. Precedentemente,
dato che
era una clinica privata, i piccoli erano abituati a stare da soli in
camere
piene di macchinari e con poca compagnia.
Adesso
c’erano due sale dedicate a loro,
una con i letti e l’altra con libri e giochi con cui svagarsi.
La
donna terminò la medicazione,
rivolgendo completamente la sua attenzione al paziente, il quale si
lasciava
controllare molto docilmente, facendo notare al dottor Guffred il
talento della
donna nei confronti dei più piccoli.
-Molto
bene, davvero brava signorina …
Aoba, giusto?-
-Si,
la ringrazio dottore.-
I
due uscirono dalla stanza salutando
tutti i pazienti, per poi dirigersi verso gl’uffici del
piano, e la donna approfittò
di quel momento di breve pausa per guardarsi intorno, come sempre
affascinata
da quel posto.
L’edificio
era molto moderno, con parte
delle murature sostituite dal vetro, e sul tetto c’erano
persino pannelli
fotovoltaici, che diminuivano le spese sulla luce delle stanze;
c’erano almeno
una quarantina di camere tra private e collettive, divise in vari
settori, e ai
piani sotterranei v’erano le sale per i vari esami clinici.
Era
un edificio che, stranamente, si
sviluppava in orizzontale, e in una città ammassata come
Tokyo quel posto
risaltava tantissimo, anche per il suo stile, diverso
dagl’edifici bianchi o
color metallo che lo circondavano, la maggior parte usati come uffici
di varie
ditte.
-Mi
dica, come sta suo figlio?-
-Ah
bene, la ringrazio.-
-Lo
sa, ho una nipotina più o meno dell’età
di suo figlio. Una vera furia, non sta mai ferma! Immagino che anche il
suo sia
molto vivace.-
-Ah,
Hikaru è un bimbo molto tranquillo.
Invece ha una vera e propria passione per il disegno.-
Fin
da quando era stato capace di
prendere una matita in mano, il bambino aveva mostrato questa suo
innato
talento, e adesso avevano uno scatolone occupato solo dai tanti,
tantissimi
disegni di suo figlio; e lei non riusciva a buttarne mai via nessuno,
erano
tutti preziosi.
-Lo
sa? Ho conosciuto diverse madri sole
come lei, e tutte erano sempre molto protettive nei confronti dei loro
figli.-
-Beh,
io di sicuro non faccio eccezione.
Ma non voglio opprimere mio figlio con la mia presenza; voglio che
impari a
cavarsela sempre, anche se sa perfettamente che io sono sempre pronta a
dargli
una mano.-
Per
lei l’indipendenza era qualcosa di
sacro. Qualcosa che non aveva mai avuto effettivamente: la sua
famiglia,
contadina e molto tradizionale, l’aveva profondamente
soffocata, specie dopo
quanto avvenuto con la madre, e anche quando era scappata dagli zii,
che
abitavano in città, anche lì non si era mai
sentita davvero libera.
Solo
quando aveva conosciuto Jun. Lì si
che, per la prima volta, aveva avvertito la sensazione di aver fatto
qualcosa
da sola, di aver preso una decisione da sola.
E
anche con Hikaru, anche lì aveva
scelto da sola. E proprio come con Jun, anche allora non se
n’era minimamente
pentita.
Il
dottor Guffred fece un cenno d’assenso
alla risposta della donna, ed entrambi entrarono dentro
l’ufficio, dividendosi
le cartelle cliniche del reparto pediatria, Aoba se ne
caricò almeno quattro o
cinque in braccio, partendo alla volta del settore analisi.
Stava
per scendere le scale, quando vide
chiaramente, grazie alla struttura in vetrate, una capigliatura castana
familiare, seguita da un volto familiare.
…
Jun.
La
donna agì senza pensare:
silenziosamente aprì la porta alla sua sinistra, uno
sgabuzzino dove si
tenevano i medicinali per quel piano, e chiuse la porta, aprendone solo
un
piccolo spiraglio, per poter vedere. Un secondo dopo si diede della
stupida.
Ma
ti pare! Nascondersi dal tuo
ex-marito?! Non hai più quattordici anni, dai!
E
tuttavia, quando Yayoi vide Jun
arrivare a quel piano, e dirigersi proprio dove c’era il
dottor Guffred, per un
attimo sentì il cuore mancarle: era cambiato, in quei cinque
anni suo marito
era cambiato, e anche tanto.
Si
vedeva che aveva l’aria più matura, e
il camice bianco gli conferiva anche maggiore autorità; al
tempo stesso aveva
ancora quel volto un po’ da ragazzino, e i capelli castani
spettinati. Ma quello
che colpì maggiormente la donna fu lo sguardo
dell’uomo, i suoi occhi: erano … spenti.
La
prima volta che vide quegl’occhi,
quand’erano piccoli, Yayoi vi aveva visto subito tristezza,
dovuta alla
condizione di salute, ma soprattutto una grande voglia di vivere e
giocare, una
grande passione. Adesso, anni dopo, quasi non riconosceva quello
sguardo.
Misugi
bussò nell’ufficio del Dottor
Guffred, ed entrò, e la donna ne approfittò per
uscire, guardando per un
momento la porta chiudersi, stringendo leggermente le cartelle tra le
braccia,
prima di allontanarsi, sgridandosi per quel suo comportamento e
auto-promettendosi che, la prossima volta, avrebbe affrontato il suo
ex-marito
a testa alta.
Al
piano delle analisi, trovò Seiji, il
quale si voltò verso di lei con aria contenta, prendendole
parte delle
cartelline e offrendosi di accompagnarla, ringraziato con un cenno
della testa
dalla donna.
-Allora,
come va il tuo primo giorno di
lavoro?-
-Bene,
il dottor Guffred è stato molto
gentile, mi ha mostrato per bene la clinica e poi mi ha lasciato fare
la
medicazione di routine ai pazienti del reparto.-
-E
Hikaru? Quando lo vai a prendere?-
-Stacco
di lavorare alle quattro,
pertanto ho chiesto alla sua maestra se poteva restare un’ora
in più. Per fortuna
che non c’erano problemi, se no non sapevo come fare.-
-Purtroppo
questi turni sono abbastanza
problematici, non sono come quelli in Ospedale.-
-Già,
ma per lo meno ho la certezza di
avere almeno un fine settimana libero ogni due settimane.
Certo,
non era come quando stavamo a
casa da mio padre, lì c’ero sempre, ma almeno sono
tornata a lavorare.-
-Non
sei tipa da fare la casalinga, eh?-
-…
ho imparato a mie spese che restare
in casa non mi fa bene.-
Sposandosi
con Jun, era come se si fosse
rinchiusa, aveva perfino lasciato perdere gli studi universitari per un
certo
periodo, dedicandosi completamente alla casa e al marito. Alla fine fu
lo
stesso Misugi a suggerirle di riprendere gli studi, e lei stessa, dopo
il
divorzio, si era resa conto che, se non fosse stato per quel consiglio,
si
sarebbe completamente staccata dal resto del mondo.
Era
riuscita a mantenere i rapporti con le
vecchie amiche solo perché si conoscevano da tanto.
In
questo caso, con quel suo
comportamento, era stata proprio uguale a sua madre. E di questo se ne
vergognava profondamente, soprattutto perché lei, di sua
madre, aveva sempre evitato
di parlarne e soprattutto di pensarci.
-Invece,
Ya-chan, questo fine settimana
ti andrebbe di andare fuori con me e gli altri? Suzu-chan mi chiede
spesso di
te.-
La
donna rivolse per un attimo lo sguardo
a Seiji, sorpresa, e poi la venne da sorridere.
-Scusami
Seiji, ma ho promesso ad Hikaru
di passare un po’ di tempo insieme, anche perché
il prossimo fine settimana
lavoro.-
Suo
figlio. La sua gioia più grande, il
suo orgoglio. Il suo segreto da Jun: aveva chiesto, a tutti coloro che
conoscevano
la coppia, di non dirgli niente. Quando lo chiese a Sanae, la donna ci
era
rimasta peggio di tutti.
“-Perché
non dovrebbe saperlo, scusa? Dopotutto è anche suo
figlio!-”
“-…
perché se lo venisse a sapere, di sicuro finiremmo per
litigare. Ho fatto di
tutto per evitare che litigassimo durante il divorzio, non voglio
cominciare adesso,
soprattutto per nostro figlio.-”
E
con questo aveva zittito la donna.
Seiji,
invece, si vedeva lontano un
miglio che ci era rimasto male.
-Dai!
Sei appena tornata e già sei
irraggiungibile! Almeno ti ricordi che oggi sei a pranzo con me?-
-Ma
certo che me lo ricordo, scemo.-
E
Yayoi arrivò a destinazione, di fronte
a lei l’ufficio con le cartelle delle analisi, e velocemente
si riprese le
cartelline, lasciando che l’uomo le aprisse la porta,
sorridendogli per
ringraziarlo.
-Ci
vediamo dopo.-
-A
dopo.-
Del
periglio al fiero aspetto
ella
intrepida già parmi
impugnar
lo scudo e l'armi
d'una
bella fedeltà.
-È
con questo credo che non ci sia altro
da dire. Può andare dottor Misugi.-
-La
ringrazio dottor Guffred.-
-Ho
visto che il TokyoFC ha vinto la
scorsa settimana. Ottimo lavoro.-
-Grazie
mille, signore. Buona giornata.-
L’uomo
chiuse la porta, e quando alzò lo
sguardo aveva un sorriso a trentadue denti in faccia: se
c’era una cosa che gli
piaceva ancora era ricevere commenti positivi sull’andamento
della sua squadra.
Certo,
lui era solo un tecnico sportivo,
ma cavolo che soddisfazione quando vincevano la partita e dicevano
“ottimo
lavoro”: era in quei momenti che l’uomo ricordava
il motivo per cui, nonostante
facesse il medico, alla fine non aveva smesso di lavorare in ambito
sportivo.
Scese
le scale con rinnovata energia, dirigendosi
al suo studio, situato accanto al reparto di Fisioterapia;
ufficialmente, il
suo studio faceva parte del reparto di Medicina Interna, anche
perché i suoi
studi medici erano stati di quel tipo, anche se spesso aveva contatti
anche con
medici chirurgi e con il reparto di fisioterapia, a seconda del
paziente che
aveva.
In
quel caso, l’uomo che si presentò
aveva la pelle nera, e un’aria tesa mentre vedeva il
giapponese avvicinarsi e
tendergli la mano.
-Piacere,
sono il dottor Misugi. Lei
dovrebbe essere il Signor … Kama?-
-Kamau.-
-Mi
scusi, noi giapponesi tendiamo a non
pronunciare certe vocali.-
-Non
si preoccupi. Parla un ottimo
inglese invece.-
-La
ringrazio. Mi dica, come posso
aiutarla?-
-Faccio
parte della squadra keniota di
atletica leggera; siamo venuti qui in Giappone per un ritiro prima dei
mondiali
di Londra.-
-In
bocca al lupo.-
-Grazie.-
-Perché
il Giappone?-
-Il
nostro allenatore possiede delle conoscenze
qui, e ci ha mandato in struttura molto specifiche ad Okinawa.-
-Capisco.
E il suo problema sarebbe?-
-Vede,
quando ero piccolo ho subito una
caduta che mi ha fratturato la gamba, ma fino ad adesso non ho avuto
alcun
problema a riguardo, tanto che sono riuscito ad entrare a far parte
della
squadra Nazionale; tuttavia, ultimamente durante gli allenamenti ho
forti
dolori, proprio lì dove l’osso si è
riparato, e temo il peggio.-
-Ha
usato analgesici finora?-
-Molto
leggeri, non voglio risultare
positivo ai testa anti-doping.-
Il
giapponese annuì, sulla sua scrivania
erano posate le ultime analisi fatte dal keniano, e le
sfogliò velocemente,
controllando i risultati: le analisi erano praticamente perfette, come
ovvio per
ogni sportivo che si rispettasse, e Jun passò ad una visita
vera e propria,
verificando le condizioni della gamba.
Tastò
i muscoli, constatando ancora una
volta la straordinaria muscolatura degl’africani: era
completamente diversa da
quella di qualsiasi altro umano, europeo, americano o altro che fosse.
Loro
erano nati per correre: la loro struttura era tale da non caricare peso
inutile
sulle gambe, che erano si magre, ma anche scattanti e incredibilmente
robuste;
i loro arti inferiori erano fatti per macinare chilometri senza
affaticare
eccessivamente il loro corpo, e permettere loro di vincere maratone e
gare di
resistenza.
Il
ginocchio del keniota, però, era
particolarmente gonfio.
-Mi
dica, le faccio male se tocco il
ginocchio?-
-Si,
negl’ultimi giorni ho avuto
difficoltà a camminare.-
-…
potrebbe aver avuto delle
microfratture, per via dello sforzo eccessivo. Mi dica prima del
soggiorno qui
in Giappone quanto tempo si allenava al giorno?-
-Due
o tre ore. Adesso, però, abbiamo
aumentato il ritmo degli allenamenti.-
-Capisco.
Dovrà fare qualche
radiografia, per verificare lo stato del ginocchio, non vorrei ci
fossero
microfratture che possano compromettere il vostro stato di salute.-
Prese
il telefono di servizio, e
velocemente preparò una radiografia per il suo paziente,
fortunatamente poteva
accedere facilmente al reparto di radiologia senza far fare al suo
paziente
l’interminabile coda.
-Bene,
tra un’ora il reparto di
radiologia sarà al suo servizio.-
-La
ringrazio fin da adesso per l’aiuto
dottore.-
-Si
figuri.-
Chiacchierarono
a lungo a proposito di
sport, delle loro carriere, dei loro sogni, delle loro vite: vivevano
in posti
completamente diversi, ma in certe cose gli sportivi si assomigliavano
tutti.
Passione, coraggio, testardaggine.
-I
miei genitori volevano che
continuassi a fare il pastore, ma a quel punto sono letteralmente
scappato da
loro.-
-Ah,
ho fatto più o meno lo stesso:
quando la malattia sembrava impedirmi di giocare, ho continuato lo
stesso
perché amavo troppo il calcio.-
-Anche
lei si sentiva dunque libero,
quando praticava?-
-Certo:
niente ti da quella sensazione
di libertà come poter inseguire quello che ami.-
-Ho
la stessa identica sensazione. Anche
con mia moglie.-
Era
sposato?
-È
sposato?-
-Si,
con due bambini, il mio orgoglio.-
L’uomo
davanti a lui aveva entrambe le
cose: famiglia e carriera.
Per
un momento, pensando a quella cosa,
Jun strinse le mani tra loro, in silenzio, mentre l’uomo
davanti a lui parlava
con aria serena.
-Mia
moglie a volte si lamenta che sono
sempre via, ma so che è molto orgogliosa di me. Lei ha
moglie, dottore?-
Ne
aveva avuta una, dal quale aveva
divorziato in quanto aveva ritenuto essere la cosa giusta per entrambi;
in
fondo non c’era più niente che potesse
accumunarli, non molto di più di quanto
sapessero già.
E
allora perché quell’uomo sembrava
molto più felice di lui?
-No,
al momento no.-
-Le
auguro allora di trovare presto la
persona giusta.-
L’uomo
annuì, e a salvarlo ci pensò il
telefono, la segretaria informava che giù, nel reparto di
radiologia, era tutto
pronto; come sempre, il medico guidò il suo paziente fino ai
due piani
successivi, salutando con un sorriso l’atleta keniota e
lasciandolo alle cure
del medico che si sarebbe occupato delle sue radiografie.
-A
presto dottore.-
-Signor
Kamau.-
Stava
per salire al piano di sopra,
quando si bloccò di scatto.
L’aveva
notato con la coda dell’occhio,
ma non poteva certo sbagliarsi: una capigliatura rossa. Strano, era
sicuro che
di rosse, in clinica, non ce n’erano mai state;
provò a guardare, ma così come
l’aveva notata di sfuggita, quella capigliatura era
scomparsa, tanto che ebbe,
per un attimo, la sensazione di essersela sognata.
Oh
santo cielo, i discorsi con il signor
Kamau lo aveva rincoglionito, adesso aveva pure le visioni!
-Ehi,
pianeta Terra a Jun.-
Matilde
batté sulla spalla dell’uomo,
facendolo voltare, e lei lo guardò con aria incuriosita, era
passata di lì per
parlare un attimo con la segreteria, e aveva notato l’uomo
fermò come uno
stoccafisso che guardava il vuoto.
-Ah,
Matilde.-
-Beh,
che hai? Hai visto un fantasma?-
-…
no, no tranquilla. Andiamo a pranzo?-
-Tu
va pure a cambiarti e aspettami lì,
così tieni il tavolo. Io arrivo fra cinque minuti.-
L’uomo
obbedì silenziosamente, e già
questo parve una cosa strana alla donna, solitamente Jun non perdeva
occasione
per frignare un po’, soprattutto con l’italiana;
invece lo vide allontanarsi
verso lo spogliatoio, e solo l’urgenza dell’impegno
la spinse a riprendere
quello che stava facendo, cercando di metterci meno tempo possibile,
una
sottile curiosità aveva cominciato a pizzicarla.
Praticamente
uscì dalla clinica
correndo, dirigendosi verso la tavola calda dove lei e Jun erano soliti
mangiare,
trovandolo seduto al tavolo dov’erano soliti pranzare, ancora
una volta l’uomo
rivelava il suo lato abitudinario.
Cercò
di mantenere la calma,
avvicinandosi a lui e sedendosi con gli occhi fissi sul suo sguardo.
-Allora?
Che c’è?-
-Niente
… niente.-
-Jun,
tu non sai dire le bugie quando
sei pensieroso.-
L’uomo
sbuffò infastidito, e la donna
sorrise soddisfatta, avvicinandosi ulteriormente all’amico.
-Allora,
allora? Riguarda il fatto che
non hai dormito stanotte?-
-Senti,
non mi va di parlarne, ok?-
E
apparentemente Matilde sembrò
calmarsi, prendendosi da mangiare mentre Jun continuava ad aspettarla,
iniziando cavallerescamente solo quando la donna si accomodò
al suo posto.
-Comunque
questa reazione c’è l’hai solo
quando si tratta dell’ambito affettivo.-
-Insomma,
non mi lasci in pace, eh?-
-Che
ci vuoi fare, sono curiosa. E se
non ti cavo le cose come sto facendo, imploderesti, perciò
ringraziami e dimmi che
hai.-
-Niente,
te l’ho detto.-
-Riguarda
la tua ex-moglie?-
-Matilde
cavolo!-
-Perché
reagisci così?-
-Perché
mi assilli!-
-Ti
da fastidio parlare di lei? La odi a
tal punto?-
-No.
Io non ho mai odiato Yayoi.-
-Ah
no? E allora perché hai divorziato
da lei?-
-Semplicemente
non c’era alcun motivo
per andare avanti con quella farsa.-
-Sposarla
era stata una farsa?-
Il
giorno del suo matrimonio avevano
scelto una cerimonia occidentale, anche se al posto del prete
c’era stato un
incaricato dal sindaco; il vestito di Aoba era stato bianco,
immacolato, e la
donna tra i capelli aveva avuto fiori come fermagli. Aveva avuto gli
occhi
lucidi dall’emozione, al punto da piangere quando lui disse
“lo voglio”; era
bellissima.
E
dopo … ricordi confusi di una vita che
si spegneva.
L’uomo
non rispose alla psicologa, che si
prese il tempo di prendersi qualche boccone del suo pasto, prima di
riprendere
a parlare.
-Allora
ci tenevi a lei.-
-Certo
che ci tenevo a lei! non sono
mica una bestia!-
-Però
continui a non rispondere alla mia
domanda: perché hai divorziato?-
Se
avesse dovuto sintetizzarla in poche
parole, Jun avrebbe detto che semplicemente un giorno si erano
ritrovati a
parlarne, e Yayoi era stata d’accordo con lui; la questione
delle clausole era
stata lunga solo perché voleva essere sicuro che fossero
tutte come le aveva
enunciate la prima volta dall’avvocato.
-…
Ci era sembrata la soluzione
migliore.-
-Per
tutti e due? Lei che ne pensava?-
-Era
d’accordo con me.-
-Ma
le hai chiesto la sua opinione?-
-Certo
che l’ho fatto, cazzo Matilde! Mi
dipingi come se fossi un egoista!-
-Perché
lo sei, tendenzialmente.-
-Vaffanculo.-
-La
verità fa male, eh?-
-Senti
Matilde, piantala di
psicanalizzarmi: io e Yayoi abbiamo divorziato di comune accordo, lo
volevamo
tutti e due ed è stata la scelta più giusta.-
-Lo
credi davvero?-
-Si,
si!! Dio, ma perché ti ostini
tanto?!-
-Perché
ti ha sposato, Jun Misugi, e di
solito ci si sposa perché ci si ama, non perché
è “una farsa”.-
Lui
all’amore non ci aveva mai fatto
davvero caso: sapeva che Yayoi gli voleva bene, e a lui non dispiaceva
per
niente la ragazza, che poi era diventata una donna molto bella.
Matilde
sbuffò sonoramente, mangiando in
quelle brevi pause tra i due.
-Jun,
non fare lo stronzo con me, perché
ti conosco, e tu sai che io non ti psicoanalizzo, come affermi tu: io
ti faccio
vedere le cose come stanno.-
L’uomo
preferì non rispondere, non gli
andava di litigare con l’italiana, pertanto si tenne la bocca
chiusa mangiando
il suo pasto, mentre la donna scuoteva il capo leggermente delusa,
riprendendo
anche lei a mangiare: era inutile, quando voleva Jun era peggio di un
muro di
cemento armato.
Il
pranzo proseguì in silenzio, ma se
all’inizio era un silenzio infastidito, dopo un po’
la tensione di sciolse, e i
due semplicemente preferivano non parlare, godendosi il loro cibo, quel
posto
non era per niente male, e poi era così vicino alla clinica!
Appena
terminò, Jun cavallerescamente
pagò il pranzo di entrambi, andando poi a recuperare il suo
borsone sportivo,
pronto a dirigersi verso lo stadio.
-Dai,
ci vediamo domani.-
-Vedi
di darci dentro.-
L’uomo
sorrise divertito all’italiana,
per poi allontanarsi verso la metropolitana mentre Matilde si metteva
le mani
nelle tasche del camice, senza pensarci era andata alla tavola calda
ancora in
uniforme, se la beccavano.
Ma
in quel momento, mentre guardava la
figura dell’uomo, la psicologa rivelò nel volto la
sua preoccupazione per l’amico:
se continuava così, a tenersi tutto dentro, prima o poi
sarebbe esploso, e
allora si che sarebbero arrivati i problemi.
-Dottoressa
Cecconi!-
La
donna si voltò, stupita di essere
chiamata, e in quel momento riconobbe la figura di Kishimoto
… accompagnato da
una donna dai lunghi capelli rossi. Il cervello dell’italiana
si mise
immediatamente in moto.
-Dottoressa,
ha già pranzato?-
-Si,
voi invece? Ci state andando in
questo momento?-
-Si.
Ah, mi scusi, questa è Yayoi Aoba,
una delle nuove infermiere del reparto di pediatria. Ya-chan, questa
è la
dottoressa Matilde Cecconi, del reparto di psicologia.-
Matilde
fu abilissima a nascondere il
guizzo d’entusiasmo quando collegò, finalmente, un
volto a quel nome, mentre l’infermiera
fece un educato inchino.
-Piacere.-
-Il
piacere è solo mio. Come ti trovi
alla clinica?-
-Molto
bene! È un posto incredibile.-
-Lo
immagino. Scusate, non vi trattengo
ulteriormente. Vi auguro buona giornata.-
-Altrettanto
dottoressa.-
La
donna accelerò il passo, e più si
allontanava più le veniva da sorridere … con
molto gusto: presto alla clinica
ci sarebbe stato qualcosa di molto interessante su cui studiare la
psiche
umana.
E
d'un trono alla speranza
dir,
con placida sembianza,
basso
affetto ~ nel mio petto
nido
aver non mai potrà.
(Maometto
II, Rossini)
**
|
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Capitolo 5 *** Recitativo: Don Magnifico e le figlie ***
Recitativo:
Don
Magnifico e le figlie
Le
occasioni di vedersi, fra Jun e
Yayoi, furono molte e in svariati momenti. Sfortunatamente tutte
evitate
abilmente; forse era il fato che si divertiva a giocare con quei due,
forse
erano i loro turni che non coincidevano mai per paura fortuna, fatto
sta che
Matilde ne era sconvolta ogni volta.
Poi
era questione di pochi secondi:
bastava che uno dei due tardasse a scendere le scale, che
all’ultimo momento
tornasse sui suoi passi, che fosse richiamato da qualcuno, e
l’incontro non
avveniva.
E
dire che l’italiana li vedeva entrambi
almeno una volta al giorno, tutti i giorni!
Moriva
dalla curiosità, voleva vedere la
reazione dell’uomo nei confronti della donna quando
l’avrebbe vista; dopotutto
lui aveva dei ripensamenti, parecchi ripensamenti, e anche se cercava
di non
darlo a vedere, la psicologa aveva individuato tutti i segni dello
stato
d’animo dell’uomo.
In
effetti è strano come il fato giochi
e si diverta con le vite degli uomini: due persone, che dopo anni di
relazione,
per 5 anni non si vedono più, adesso hanno occasione di
rivedersi, ma forze
esterne li tengono l’uno lontano dall’altra.
Don Magnifico
Mi par che quei
birbanti
Ridessero di noi
sotto-cappotto.
Corpo del mosto
cotto,
Fo un
cavaliericidio.
Tisbe
Papà, non
v'inquietate.
-Aoba,
buongiorno.-
-Ah,
dottoressa Cecconi.-
-Chiamami
pure Matilde, tranquilla. Ti
disturbo?-
-Ah
no, mi dica pure.-
-Volevo
offrirti un caffè nello
spogliatoio, sa la nostra macchinetta è migliore di quella
del bar.-
-Non
mi dispiacerebbe, grazie.-
Per
Matilde, Yayoi era davvero
interessante: aveva un volto che emanava tranquillità, era
certa che persino il
paziente più problematico, davanti alla donna, si sarebbe
subito calmato; era
magnetica, ma non nel senso erotico del termine, il suo magnetismo era
dettato
proprio dal suo carattere. E poi quel rosso naturale era davvero
invidiabile.
La
guidò verso lo spogliatoio, situato a
piano a terra, e sulla loro strada incrociarono il dottor Guffred.
-Dottore.-
-Dottoressa
Cecconi. Ah senta…-
-Mi
dica.-
-Dica
alla dottoressa Akata che sto
ancora aspettando il resoconto del mese sulla mia scrivania.-
-L’avvertirò
al più presto.-
-Bene,
buongiorno. Aoba.-
-Dottor
Guffred.-
E
le due donne si allontanarono
velocemente, al contrario il capo della clinica procedeva con passo
tranquillo,
soffermandosi per la seconda volta per salutare proprio Misugi mentre
Aoba
entrava nello spogliatoio; Matilde si fermò sulla soglia,
voltandosi a guardare
l’uomo, e si rese conto che avrebbe dovuto cogliere la palla
al balzo.
Appena
finiva di parlare, lei …
-Jun!-
>Il
dottor Misugi è atteso in
Fisioterapia.
La
donna quasi non ci credeva, e vide
l’uomo farle spallucce e allontanarsi, portandola a sbattere
il tacco a terra
dal fastidio, per poi chiudere la porta dello spogliatoio e
ridacchiare, ancora
sbalordita.
-Dottoressa
Cecconi, qualcosa non va?-
-No,
no tranquilla Aoba. Sono solo
sconvolta di come a volte il destino sia inoppugnabile.-
La
donna dai capelli rossi non comprese
le parole dell’italiana, e questa si limitò a
farle un cenno con una mano,
avvicinandosi alla macchinetta del caffè, situata in bella
mostra davanti
all’ampia finestra di quel lato.
-Come
lo vuoi il caffè, Aoba?-
-Ah
decaffeinato se è possibile,
grazie.-
La
donna preparò il tutto, e cinque
minuti dopo porse una tazza fumante alla donna dai capelli rossi,
mettendosi
comoda sul ripiano della stanza, decisa ad intavolare una conversazione
per
conoscere meglio l’infermiera davanti a lei.
I
genitori di Matilde l’avevano sempre
sgridata perché la ragazza, anche al di fuori del campo
della medicina,
“studiava” il comportamento dei suoi conoscenti.
Oltretutto era incredibilmente
empatica, pertanto tra lei e la psicologia era stato amore fin da
subito;
tuttavia non era la classica strizzacervelli come la dottoressa Akata:
quando
aveva in cura un paziente, la prima cosa che faceva era conoscerne il
carattere
e le qualità. Poi, in base a quelle, verificava
l’effettiva malattia mentale,
se poi c’era.
-Posso
darti del tu?-
-Ah,
certo dottoressa.-
-Allora
tu chiamami pure Matilde, non mi
offendo. Da quanto fai l’infermiera?-
-Da
circa sei-sette anni.-
-E
prima della clinica dove lavorava?-
-Al
reparto di pediatria dell’Ospedale
Centrale.-
-Ah
si, ci lavora un mio amico, il
dottor Ogheguri.-
-Lo
conosce?! Non me l’aspettavo.-
-Si,
quel cascamorto nonostante tutto è
bravissimo con i bambini. Spero non sia una delle sue vittime.-
Yayoi
rise divertita.
-No,
fortunatamente l’infermiera Saotome
lo teneva a bada, almeno era così l’ultima volta
che ci sono stata.-
-Ha
dovuto lasciare il lavoro?-
-Purtroppo
hanno fatto dei tagli sui
dipendenti, e l’anno scorso sono dovuta tornare alla casa
paterna, continuando
però a cercare un lavoro.-
-Dev’essere
stato un momento difficile.-
La
donna dai capelli rossi annuì,
sorseggiando il suo caffè mentre Matilde la guardava con
attenzione, sorridendo
soddisfatta per le informazioni che aveva carpito.
-Fortunatamente
la clinica mi ha contattato,
così io e mio figlio siamo potuti tornare a Tokyo.-
A
momento l’italiana si strozzava con il
caffè.
-Matilde,
tutto bene?-
-Hai
… hai un figlio?!-
Yayoi
si rese conto di aver trapelato
quell’informazione senza pensarci, e imbarazzata si
portò una mano alla bocca
mentre il cervello della psicologa lavorava febbrilmente,
quell’informazione
era decisamente una bomba ad orologeria, soprattutto se Jun ne fosse
venuto a
conoscenza.
Ci
fu qualche secondo di silenzio, e
l’italiana si rese conto che doveva prendere la parola.
-Scusami,
mi sono sorpresa perché sembri
molto giovane. Dimmi, quanti anni ha tuo figlio?-
-Ah,
Hikaru ha cinque anni.-
Se
non ricordava male, era proprio da
cinque anni che la donna era divorziata da Misugi; doveva giocarsela.
-Immagino
che sia l’orgoglio del padre,
il primo figlio maschio!-
-…
Hikaru non ha il padre.-
Jun
non le aveva mai accennato alla
possibilità di avere un figlio, quindi le
possibilità che lui sapesse del
piccolo erano molto basse. Questo si che era decisamente interessante.
-Uomo
poco affidabile?-
-No!
No affatto.-
Rapida
e negativa, risposta secca,
atteggiamento schivo. Non ne voleva parlare, era il caso di battere in
ritirata;
Matilde alzò le mani verso l’alto, in segno di
resa.
-Scusami,
scusami, è un mio brutto
difetto: tendo a “studiare” la gente. A volte noi
psicologi tendiamo a
dimenticare il riserbo.-
Yayoi,
nel conoscere il ruolo della
dottoressa Cecconi, fece uno sguardo interessato, notando
l’italiana scendere
dal bancone dove si era accomodata per dirigersi verso il suo ufficio.
-Bene,
devo tornare alle mie scartoffie.
Ci vediamo in giro.-
-Ah,
un momento, Matilde.-
La
donna si voltò sorpresa, osservando
l’atteggiamento imbarazzato di Aoba.
-Ti
… ti posso chiedere un favore?-
Don
Magnifico:
Ho nella
testa quattromila pensieri
Ci mancava
quella madama anonima!
Clorinda:
E credete
che del principe
Il cor ci
contrasti?
Somiglia a
Cenerentola, e vi basti.
Hikaru
correva molto svelto, superando
così quel semaforo pedonale e addentrandosi verso il
quartiere residenziale, lì
dove le vie erano tendenzialmente libere dal traffico cittadino e dove
gli
alberi adornavano le villette.
Il
suo asilo non era molto lontano da
lì, e quando ci era andato con la mamma, la prima volta,
avevano entrambi
scoperto che c’erano anche dei giardinetti attrezzati; ma,
quel giorno, non
correva in quella direzione per andare a giocare.
Si
guardò intorno, prendendo fiato,
cercando di trovare qualcosa nelle tre strade di
quell’incrocio, anche se
scalpitava, suo nonno lo raccomandava sempre di non fermarsi ad un
incrocio di
quattro strade: era la via che conduceva
all’aldilà, e c’era sempre il rischio
di fare strani incontri.
Tuttavia
doveva cercare per bene, ma
alla fine riuscì a trovare quello che stava cercando, e via!
ripartì a correre.
Era
un’ombra, un’ombra piccola, che si
muoveva svelta, frusciando fra le siepi e correndo lungo le murature,
ma Hikaru
non la perdeva d’occhio neanche per un istante, inseguendola
e rischiando di
andare a sbattere contro un lampione, evitandolo all’ultimo
momento. Se Yayoi
lo avesse visto in quel momento, avrebbe giurato che era tutto suo
padre!
-Non
mi scappi!-
Alla
fine l’ombra scese dal muretto, e
sotto il sole rivelò la sua natura: pelo grigio, sulla testa
e il muso dei
segno neri, e due occhi azzurri che è raro vedere.
-Eccoti,
signor gatto!-
Il
randagio, nel vedere e sentire il
bambino, riprese a correre, dirigendosi proprio verso le giostre che
Hikaru
aveva visto con la sua mamma qualche giorno prima, e abilmente il
felino
s’infilò nello spazio fra la costruzione in legno
e il terreno, in un punto
dove nemmeno un bambino sarebbe riuscito a passare, tanto era stretto.
-Ah!-
Hikaru
frenò la sua corsa, e fece un
giro della costruzione, cercando di trovare un punto dove poter
entrare. Ma
niente, la costruzione era fatta per giocarci e salirci sopra, non
certo per
entrarci effettivamente dentro.
Tuttavia
il bimbo, noto testardo,
continuò lo stesso a cercare di scovare il micio, il quale
si era messo comodo
all’ombra, per niente intenzionato ad uscire da lì.
Quella
mattina il gatto si era fatto
vedere all’asilo, e Hikaru con Makoto erano riusciti ad
avvicinarsi e ad
accarezzarlo, anche perché il felino era piccolo anche lui,
forse orfano;
quando l’insegnante aveva detto una cosa del genere, al
bambino era venuta
voglia di prenderlo con sé. In fondo a casa del nonno lui e
la mamma erano
abituati ad avere animali in casa, pertanto anche in quel caso non ci
sarebbero
stati problemi.
Solo
che, quando era uscito dall’asilo,
il micio aveva pensato bene di darsi alla fuga, e lui era stato
costretto ad
inseguirlo per quelle strade, senza rendersi effettivamente conto di
dove stava
andando.
Alla
fine trovò uno spiraglio, dentro la
costruzione, da cui riusciva a vedere il gatto, e notò che
questo si era come
addormentato.
-Ehi,
che stai facendo?-
Hikaru
si voltò di scatto, colto di
sorpresa, e vide davanti a sé un uomo alto, con un borsone
al fianco; il bimbo,
immediatamente, saltò in piedi e fece qualche passo
indietro, sua mamma gli
aveva sempre insegnato a non parlare con estranei.
L’uomo,
tuttavia, s’inginocchiò dove
prima stava il bimbo, e anche lui sbirciò da
quell’apertura, notando la palla
di pelo.
-Ah,
ho capito. È tuo quel gatto?-
Il
bimbo scosse il capo, continuando ad
osservare attento l’uomo, si vedeva lontano un miglio che non
si fidava;
l’uomo, notando quell’atteggiamento, sorrise
divertito.
-Tua
mamma ti ha insegnato a non parlare
con gli estranei, giusto?-
Questa
volta il piccolo annuì, e l’uomo
ampliò il sorriso, alzandosi in piedi.
-La
tua mamma è molto saggia. Ma
scommetto che sarà preoccupata di non vederti tornare.-
Scosse
la testa, in segno di diniego, e
l’uomo se ne sorprese. A quel punto il bimbo decise di
parlargli, anche se
continuava ad avere uno sguardo diffidente verso lo sconosciuto.
-La
mamma sta lavorando, torna più tardi.-
-E
il tuo papà?-
-Io
non ho il papà.-
E
a quel punto Jun si bloccò. Perché si,
si trattava di Jun Misugi: aveva notato il bambino mentre stava
camminando
verso casa, anche se lontano preferiva camminare. Quella mattina era
andato a
lavorare come tecnico, approfittandone per allenarsi con i giovani
della
squadra, e ora stava tornando per prepararsi al turno di notte.
Poi
c’era stato quell’incontro, e adesso
l’uomo si trovava in un situazione parecchio spinosa.
-Ah,
mi dispiace.-
-Tanto
mamma dice che tornerà.-
Aspetta
un momento, allora non era
morto! Che sollievo, già si era preoccupato di aver
intristito quel bambino;
questo, intanto, si mise seduto a terra, togliendosi il cappello che
aveva
calcato sulle orecchie.
Cappelli
… rossi. Oddio, meglio dire che
erano rossicci, però comunque un colore che
lasciò Jun molto sorpreso, e
ovviamente pensò subito a Yayoi.
Parlò
con il piccolo, per non pensarci
ulteriormente.
-È
partito?-
-No.
Mamma dice … che quando sono nato
lui non c’era.-
Probabilmente
l’uomo nemmeno sapeva
dell’esistenza del figlio!
A
Jun tornò in mente il discorso fatto
con Kishida, e gli venne un dubbio. Poi si riscosse, non era possibile,
erano
fin troppi i bambini con una situazione simile a quello che aveva
seduto lì
accanto.
-Però
mamma mi parla spesso di lui, e mi
dice anche che un giorno me lo farà conoscere.-
-…
vuoi conoscere il tuo papà?-
-Si!!-
Il
bimbo rispose con talmente tanto
entusiasmo che Jun quasi si ribaltava, gli occhi del piccolo si erano
accesi. A
vedere quell’impeto, all’uomo venne da ridere, e
istintivamente sfregò la sua
mano sulla piccola testa del bambino.
-Allora
metticela tutta, sono sicuro che
tuo padre sarà felicissimo di fare la tua conoscenza.-
Hikaru
annuì, entusiasta, e Jun addolcì
il sorriso, restando seduto accanto al suo nuovo, piccolo amico.
-Piuttosto,
io mi chiamo Jun Misugi.
Qual è il tuo nome?-
-Hikaru.
Hikaru Aoba.-
Di
nuovo, il volto di Yayoi tornò in
mente a Jun, e sentire quel cognome gli provocò una scarica
in tutto il corpo;
ma ancora, si riscosse: non era possibile. O forse si, ma in quel caso
a lui
non doveva interessargli. Erano scelte della donna.
E
allora perché, nel dirsi questo,
sentiva come un profondo senso di amarezza?
A
distrarlo, da quei pensieri, ci pensò
il bambino alla sua destra: rivelò il suo piccolo cestino
del pranzo, e
c’infilò la mano, tirando fuori un piccolo
sacchettino di plastica, con dei
biscotti. Ne prese uno, e lo offrì all’uomo
accanto a lui.
-Tieni.
Li ha fatti la mia mamma.
Assaggia, sono buoni.-
L’uomo
lo guardò sorpreso, afferrando
poi il biscottino con le dita. Era piccolo di dimensioni, eppure aveva
una
forma a stella precisa, e il bimbo ne tirò fuori un altro a
forma di luna.
C’era anche a forma di muso di gatto, di sole; lentamente, un
po’ titubante,
l’uomo si mise in bocca il dolcetto, masticandolo con
incertezza.
-…
buono!-
Hikaru
sorrise soddisfatto, mangiandosi
il suo biscotto e offrendone un altro all’uomo accanto a lui,
che se lo mangiò
con molto più entusiasmo. Proseguirono senza parlarsi,
lasciando che i minuti
scorressero in quella quiete, una leggera brezza soffiava e
c’era un’atmosfera
di pace, come poche volte aveva notato l’uomo in
quegl’ultimi anni.
Ad
essere sincero, non si era mai
particolarmente soffermato a guardare quello stesso parco, e dire che
non era
la prima volta che faceva quel percorso a piedi; adesso, che stava
seduta a
masticare biscotti, notava i grandi alberi situati agl’angoli
del posto, uno di
questi era un ciliegio che stava per fiorire. Effettivamente non
mancava molto
alla fioritura.
Arrivarono
così all’ultimo biscotto,
quello a forma di sole, per combinazione lo avevano lasciato entrambi
per
ultimo, perché a tutti e due piaceva il suo aspetto;
gentilmente, Jun sorrise e
trattenne la mano.
-Prendilo,
sono i tuoi biscotti, no?-
Il
piccolo guardò il biscotto dentro il
sacchetto, e poi le prese in mano; senza starci a pensare, facendo
attenzione,
lo prese con entrambe le mani e lo spezzo a metà, offrendone
una parte all’uomo
alla sua sinistra.
-Mamma
dice sempre che sono più buone le
cose quando si mangiano insieme.-
“-Le
cose hanno un sapore migliore se si condividono.-”
La
brezza spettinò leggermente Jun, ma
questo non se ne rese conto, troppo sbalordito da ciò che
stava vedendo: il
volto di Hikaru, serio e imbarazzato mentre gli offriva il biscotto,
per un
momento gli parve identico a quello di Yayoi, quando si parlarono per
la prima
volta, un ricordo che l’uomo aveva rimosso da tempo, e che
ora era tornato
prepotentemente.
Erano
alle Medie Inferiori, ed erano in
classe insieme; lei era l’ultima arrivata, ed oltretutto
pareva una ragazzina
molto timida. Lui, in quanto rappresentante di classe, si era fatto
avanti,
presentandosi e invitandola a mangiare con lui.
Parlando,
un po’ faticosamente, avevano fatto
conoscenza, e alla fine del pasto lei tirò fuori quei
biscotti, offrendoli al
ragazzo, fino a quando non arrivarono all’ultimo e lei, senza
pensarci, lo
spezzò a metà, dandoglielo dicendo quella stessa
frase, sorridendo imbarazzata,
le guance arrossate.
Di
per sé non era un ricordo
particolarmente importante, c’erano stati momenti molto
più seri o belli tra i
due; ma ricordarlo in quel momento, in quel momento di pace, con il
volto della
donna che gli apparve sia giovane, come la prima volta, che
più maturo, come
l’ultima volta che l’aveva vista, gli
provocò un groppo in gola.
Cos’era
quello? Perché quel groppo? Non
aveva fatto la cosa più giusta sia per lui che per Yayoi?
Che cosa gli stava
succedendo?
Ingoiò
con forza, cercando di parlare,
prendendo quella metà di biscotto con un sorriso stentato.
-Ti
ringrazio.-
Usò
quello stesso dolcetto per cercare
di sciogliere quel nodo mentre il bimbo si alzava in piedi, pulendosi i
pantaloncini e rimettendo la plastica dentro il suo sacchettino del
pranzo; a
quel comportamento anche Misugi scattò in piedi, stupito.
-Vai
via?-
Il
bimbo annuì, calcandosi il cappello
in testa.
-Devo
tornare a casa.-
-Aspetta,
ti accompagno.-
-Ho
cinque anni, ce la faccio da solo,
grazie.-
E
Hikaru si gonfiò il petto,
sorprendendo Jun e facendolo sorridere divertito, osandogli posargli
una mano
sopra il capello in un gesto affettuoso.
-Scusami,
hai ragione: sei un ometto.-
Quell’atteggiamento
sorprese il bambino,
ma poi lo fece sorridere imbarazzato.
Poi
l’uomo lasciò la presa, raccogliendo
la sua sacca.
-Allora
ti saluto. Sta attento mentre
torni a casa.-
E
Jun gli sorrise, voltandosi e
iniziando ad avviarsi, un po’ gli dispiaceva lasciare solo
quel bambino, e non
solo perché era così piccolo in una
città come Tokyo: in quel poco tempo,
passato assieme a condividere dei biscotti, l’uomo aveva
provato una profonda …
rilassatezza, una sensazione che non ricordava di provare da parecchio
tempo.
Era
come se … per qualche minuto …
qualcuno gli avesse tolto dal corpo una pesante cappa, e ora che se ne
stava
andando … qualcosa o qualcuno gliela stava rimettendo.
Hikaru
guardò quell’uomo avviarsi a
passo lento, i suoi grandi occhi castani fissi su quella grande
schiena. Poi
strinse le manine sul grembiule, e prese un profondo respiro, prima di
gridare
con tutte le sue forze.
-CI
POSSIAMO RIVEDERE?-
All’uomo
quasi venne un colpo nel
sentirlo, gli era parso un bambino così tranquillo fino a
cinque minuti prima,
invece senti che voce! Si voltò a guardarlo sbalordito, e il
bimbo aveva in
faccia un’espressione serissima, quegl’occhi color
nocciola sembravano andare a
fondo nell’anima dell’uomo, tanto che lui si
sentì incredibilmente a disagio.
Non
poteva dirgli di no. Non riusciva
nemmeno a pensare di dire di no.
-…
va bene.-
-Domani?-
-Ah,
lavoro.-
-Dopo
domani?-
-Sono
… libero il pomeriggio.-
-Allora
ci vediamo qui. Ti aspetto.
Grazie.-
Ed
educatamente, il bambino fece un
inchino di saluto e di ringraziamento, per poi scappare via di gran
carriera,
mentre Jun era ancora frastornato da quello che era accaduto
negl’ultimi
secondi.
Alla
fine, quando si riprese, si passò
una mano tra i capelli, e lentamente gli salì in gola
qualcosa; no, non era un
groppo, non era il nodo di prima, era diverso. Qualcosa … di
inaspettato … di
piacevole, anzi meglio … di frizzante.
E
rise. Rise imbarazzato, ma con una
contentezza tale che non riusciva a sciogliere quel grande sorriso
sulla
faccia; era una sensazione tale che nemmeno il gol più bello
della sua carriera
era paragonabile. Forse solo una cosa era simile, e quando ci
pensò sorrise
ancora, anche se con nostalgia.
Fu
così felice allo stesso modo … la
prima volta che riuscì a baciare Yayoi Aoba.
Clorinda
(con aria di
mistero)
E paventar potete a
noi vicino?
Don Magnifico
Vi son buone
speranze?
Tisbe
Eh! niente niente.
Posso dir ch'è
certezza.
Clorinda
Io quasi quasi
Potrei dare delle
cariche.
-Amore!
Hikaru, sono a casa!-
Yayoi
si chiuse la porta dietro di sé
con una pedata, in mano aveva la borsa e due buste della spesa, i
capelli li
aveva lasciati andare dalla treccia che era solita farsi per lavoro;
sentì dei
passi veloci che si avvicinavano, e alzò lo sguardo mentre
si sfilava le
scarpe, gli occhi erano impazienti di vedere suo figlio arrivare.
Lo
vide arrivare dall’angolo che
conduceva in camera sua, e fu subito accolta con un gran sorriso, e
tale era la
contentezza del bambino che le corse incontro, arrivando praticamente a
saltarle addosso, con grande stupore della donna.
-Mamma!-
-Ehilà,
piano che mi fai cadere! Come
siamo allegri, è successo qualcosa di bello?-
Il
bimbo annuì entusiasta, e questo
contagiò la donna, che finì velocemente di
sfilarsi le scarpe, salendo sul
pavimento e mostrando uno dei due sacchetti al bambino.
-Allora
lo festeggeremo con il gelato!
Stracciatella per te e vaniglia per me.-
-Si!-
E
il bimbo corse subito in cucina, per
aiutare la madre a mettere a posto la spesa e a preparare la tavola.
Vederlo
così dinamico, lui che era
sempre un bimbo tranquillo, era una gioia per Yayoi: quando si erano
trasferiti
da suo padre, in campagna, la donna aveva fatto di tutto per non far
mai
annoiare il piccolo, i pochi bambini della sua età infatti
erano parecchio
distanti, e le poche volte che si trovavano erano solo per
l’asilo, o per
incontri di gruppo delle famiglie.
Tuttavia
era ovvio che Hikaru, pian
piano, si fosse chiuso in un mondo tutto suo, dove si era dedicato in
particolare al disegno, e dove la donna vi entrava in punta di piedi
per non
disturbarlo; a lui non sembrava dare fastidio quelle intrusioni, ma la
madre
sapeva bene che, crescendo, le sarebbe diventato sempre più
difficile conoscere
il mondo “segreto” di suo figlio.
Per
questo faceva di tutto per tenerlo
in movimento. Anche perché era sano, e dunque poteva tutto
ciò che ogni bambino
poteva fare: correre, saltare, arrampicarsi, in quest’ultimo
caso poi suo
figlio era bravissimo, con suo grande divertimento.
Tornare
a Tokyo, ricominciare la vita
qui, avere degl’amici, gli stava facendo anche più
bene dell’attività fisica
con la madre.
-Allora,
che cuciniamo stasera?-
-Uova!-
-Va
bene, uova. Come le vuoi?-
-Ah
… uhmm … stra … stra …-
-Strapazzate?-
-Si!-
Yayoi
aveva l’abitudine di cucinare
spesso piatti occidentali, e in particolare quel piatto piaceva
tantissimo a
suo figlio, sebbene dovevano usare le posate e non le bacchette; questo
significava, quando Hikaru preparava la tavola, doversi alzare in punta
di
piedi perché non arrivava al cassetto, e poi cercare a
tentoni le posate
giuste, rischiando di farsi male.
-Aspetta,
non fare così.-
La
donna lo afferrò per i fianchi e lo
sollevò, e subito il bambino prese il necessario, mentre la
madre constatava
che aveva preso peso, con sua soddisfazione. Appena lui ebbe fatto, lei
lo mise
giù, e lo vide ripartire nel suo importante compito di
preparare la tavola, e
lei si dedicò ai pasti.
Il
bimbo mangiò con gusto, anche perché
non vedeva l’ora di gustarsi il dolce, e a quel desiderio
impellente la donna
sorrise divertita, portando a tavola i cucchiaini e il dessert.
E
mentre mangiavano direttamente dalla
scatola, perché era molto più buono il gelato
secondo entrambi, la donna
cominciò a chiedere al figlio.
-Allora,
cos’è successo oggi?-
-Ho
inseguito un gatto!-
-Ci
sei andato da solo?-
-Ho
detto alle maestre che tornavo
subito a casa, e l’ho fatto! Giuro!-
A
volte Yayoi era preoccupata per quella
intraprendenza prudente di suo figlio: combinava quelle marachelle come
tutti i
bimbi della sua età, ma avvertiva sempre gli adulti di
quello che faceva,
pertanto non lo si poteva nemmeno sgridare di qualcosa.
I
suoi parenti, di fronte all’atteggiamento
del nipote, non potevano dire niente, perché era un bimbo
responsabile; però
dicevano sempre alla madre di fare più attenzione.
Lei
però tendeva ad ignorarli: suo padre
aveva ricevuto troppi consigli da loro quando era venuta al mondo, lei
stessa
aveva ricevuto troppi consigli sull’evitare “quella
poco di buono”, e quando
aveva messo al mondo Hikaru aveva sempre evitato di mostrarlo al
parentado. Era
stato l’ultima spiaggia quel “ritorno a
casa” da suo padre.
-Insomma,
dove ti ha portato il gatto?-
-Al
parco, quello dove ci siamo passati.
Quello con le giostre.-
-Ti
sei messo a giocare?-
-No,
cercavo di prendere il gatto. È
piccolo e randagio, volevo portarlo qui.-
Lei
sorrise a metà fra il divertito e il
rassegnato.
-E
sei riuscito a prenderlo?-
-No,
non riuscivo a prenderlo.-
Per
questa volta niente gatto in casa.
-E
poi? sei tornato a casa?-
-No,
ho conosciuto una persona.-
-Hai
parlato con un estraneo?!-
-Mi
ha detto che facevo bene a non
parlare con gli estranei, e mi è sembrato molto gentile.-
Eccola
di nuovo, la prudente
intraprendenza di suo figlio. Era inutile, non poteva dirgli proprio
niente;
forse perché, in fondo, anche lei avrebbe fatto lo stesso.
-Abbiamo
mangiato insieme i tuoi
biscotti, gli sono piaciuti.-
-Insomma
ci hai fatto amicizia, eh? E
come si chiama questo tuo nuovo amico?-
-Jun.-
“-Jun?
Obbediente?-”
“-No,
Giugno, o meglio Giunone: mia madre è sempre stata
affascinata dalla cultura
occidentale.
Il
tuo, invece, non significa Marzo?-”
“-Già,
io sono nata in quel mese.-”
“-Ma
guarda, i nostri nomi si assomigliano di significato!-”
Yayoi
prese un profondo respiro,
cercando di calmarsi dallo stupore; alzò lo sguardo verso il
figlio, ma lo vide
mangiarsi il gelato tranquillo, e anche lei cercò di
prendersene un po’,
ingoiandolo a fatica.
-E
ti sei trovato bene con lui?-
-Si,
mi ha promesso che dopodomani ci
vediamo. Posso andarci mamma?-
Avrebbe
voluto dirgli di no, inventare
una scusa qualunque, anche la meno credibile, pur di non lasciarlo
andare; ma
vide gli occhi di Hikaru, ed erano supplichevoli come poche volte li
aveva
visti.
-…
certo tesoro. Ricordati che quel
giorno avrò solo la mattina, quindi sarò a casa
ad aspettarti.-
Clorinda
Dite, papà Barone
Voi che avete un
testone:
Qual è il vostro
pensier? ditelo schietto.
Don Magnifico
Giocato ho un ambo e
vincerò l'eletto.
Da voi due non si
scappa;
C'intenderem fra
noi;
Viscere mie, mi
raccomando a voi.
|
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Capitolo 6 *** Tagli: Alfredo & Annina ***
Tagli:
Alfredo
& Annina
>Perché
una madre non può chiedere al
proprio figlio di fargli questa semplice cortesia? Non ti vediamo da
Capodanno!
Pensavo che avrebbe fatto piacere passare l’Hanami con i tuoi
genitori.
Ultimamente
la vecchiaia sembrava aver
peggiorato sua madre, almeno secondo Jun: la sua amorevole
preoccupazione per
il figlio malato, con il tempo, si era trasformato in un atteggiamento
melodrammatico che, da una parte, divertiva molto suo padre,
sessantenne che si
godeva i suoi anni di vecchiaia, ma d’altra parte stressava
lui, trentenne che
odiava perdere tempo nell’ascoltare i patemi della genitrice.
Ricordava
ancora certi pranzi passati
nella casa di famiglia, con la madre che lo obbligava, con occhioni
dolci e
musi lunghi, a farlo sedere accanto a lei mentre Yayoi era
dall’altro lato
della tavola; in quei momenti provava un imbarazzo tendente al
rabbioso, ma la
sua … ex-moglie gli aveva sempre rivolto uno sguardo
complice, sorridendogli e
facendogli spallucce.
Che
ci potevano fare? La signorina
Misugi era così!
Fece
un giro della scrivania, prendendo
il fascicolo dei risultati del paziente Kamau, cercando di parlare con
la donna
il più tranquillamente possibile, ricordando
l’atteggiamento della giovane,
ancora adesso gli dava un effetto quasi calmante.
-Mamma,
a parte che sono a lavoro in
questo momento, e vorrei discuterne con te con più calma
…-
>Mi
basta un si o un no!
Quando
usava quel tono da vittima lo
faceva incazzare da morire, e lui trattenne uno sbuffo, passandosi una
mano tra
i capelli; qualcuno bussò leggermente la porta, e una
capigliatura bionda
apparve agl’occhi scuri dell’uomo.
Matilde
si frenò dall’entrare, ma l’uomo
gli fece un cenno, cercando di concludere la telefonata il
più velocemente
possibile.
-Non
posso dirti adesso di si, perché se
succede un contrattempo poi ti arrabbi perché hai un figlio
che non mantiene le
promesse.-
>Non
ho mai detto questo! Come puoi
pensare che io dica una cosa del genere.
-Mamma,
è successo proprio a Capodanno.-
>Ma
lì non era un contrattempo di
lavoro! Io capisco perfettamente quando si tratta di lavoro e quando si
tratta
di scuse. E in questo momento stai cercando una scusa.
Ecco,
in quei casi sua madre era anche
fin troppo sveglia, oramai i trucchi con cui riusciva ad infinocchiarla
da
ragazzo non valevano più, e inventarsi qualcosa di nuovo
risultava difficile;
se solo avesse avuto Yayoi, lei incredibilmente sapeva sempre trovare
la scusa
perfetta per fargli evitare quel tipo d’incontri.
Ci
provò con Matilde, lasciando sua
madre al suo sproloquio e sussurrando alla collega.
-Qualche
idea per una scusa plausibile?-
-Motivazione?-
-Mia
madre vuole che passi l’Hannami con
lei.-
-…
dille che devi uscire con me.
-EH?!-
-Volevi
una scusa plausibile?-
Jun
a momenti la mandava a quel paese,
ma si rese conto che quella era l’ultima spiaggia.
-Mamma,
mamma ascolta. Ho un impegno improrogabile
… con una mia amica.-
-Che
deficiente, così non la convinci.
Intendevo “me” come donna!-
Ma
al bisbiglio di Matilde Jun rispose
facendo segno di zittirsi, in quei secondi sua madre si era fermata e
sembrava
riflettere sulla situazione.
>…
quanto è amica?
-Che
domande fai?!-
>Vedi
tesoro, il fatto è che voglio
farti conoscere la figlia di una mia amica, sai è appena
tornata dal suo
viaggio in Italia, sono sicura che avreste molto in comune.
Eccola
lì, l’uomo sapeva perfettamente
che prima o poi la madre avrebbe svelato le sue carte: ultimamente
fargli
conoscere le “figlie delle sue amiche” era
diventato lo sport preferito della
signora Misugi, ed ogni volta l’uomo sudava freddo, anche
perché le conoscenze
di sua madre erano solitamente signore borghesi con figlie borghesi che
pertanto si potevano permettere viaggi borghesi in posti borghesi e
parlare di
cose borghesi. Una noia mortale.
Di
conseguenza, tutti gli incontri
combinati che aveva realizzato sua madre erano falliti: un
po’ perché lui non
voleva proprio starci in queste cose, anche perché si
sentiva costretto, e poi
nonostante quelle giovani fossero si intelligenti … lui non
riusciva … come
dire, a sentire quella strana sensazione nello stomaco.
E
poi, sinceramente, a sua madre non era
mai effettivamente piaciuto il matrimonio di suo figlio, ed era stata
sollevata
nel sapere del divorzio: era grata a Yayoi di essere stata accanto a
Jun quando
lui aveva avuto i suoi problemi fisici, ma per il resto c’era
sempre stato un
gentile distacco fra entrambe le donne, e Aoba non aveva dissimulato,
preferendo quella situazione.
Quando
entrò in quella casa come nuora,
fu trattata come un animale di compagnia: con iniziale entusiasmo,
seguito dal
solito gentile distacco fino ad arrivare alla totale indifferenza di
certi
padroni nei confronti dei loro “migliori amici”.
Jun
lo ammetteva, anche lui era in parte
responsabile di quella situazione.
>Jun?
Tesoro, sei ancora lì?
-…
si mamma.-
>Dimmi
che ci penserai, anche a tuo
padre farebbe tanto piacere rivederti.
Si
stava aggrappando a qualsiasi cosa
pur di convincerlo, e in quei momenti l’uomo non sapeva se
arrabbiarsi … o
sorridere divertito.
-Ti
prometto che ci penserò. Ora torno a
lavoro mamma.-
>Hm,
va bene. Ciao tesoro.
E
l’uomo riuscì a chiudere la telefonata,
sospirando mentre Matilde era rimasta a guardare la scena, mettendosi
comoda su
una delle due sedie dall’altro lato della scrivania.
-Lo
sai? Potrei offendermi per non
essere considerata da te una “donna”. Potrei andare
da tua madre e intavolare
una piacevole conversazione con lei.-
Jun
le lanciò un’occhiata piena di
orrore e messaggi come “ti uccido se lo fai, non
scherzo!”.
-Conoscendoti
riusciresti a convincerla
che sei davvero una brava ragazza.-
La
donna fece “scivolare” il piede sulla
caviglia dell’uomo, senza fargli male, e lui le sorrise
divertito, mettendosi
al suo posto sulla scrivania.
-Piuttosto,
mi stavi cercando?-
-Si,
ma solo per romperti le scatole.-
-Beh
hai completato la missione.-
-Hm,
carino come sempre, eh? Però … non
me la dai a bere.-
E
la donna si sporse verso di lui,
osando arrivargli con il naso a pochi millimetri dal volto, scrutandolo
a fondo
oltre le lenti dei suoi occhiali, quella era una delle rare volte in
cui Jun
poteva ancora una volta ammirare gli occhi verdi di Matilde.
-…
è successo qualcosa di bello nelle
ultime 24 ore?-
-Sono
fatti miei.-
-Allora
è un si. Chi è? Una nuova
cameriera?-
Qui
l’uomo sorrise trionfante, per una
volta tanto il maledetto intuito dell’italiana non poteva
funzionare.
-Spiacente,
non rilascio interviste.-
-Non
è una donna?! Questa si che è una
novità Jun Misugi!-
-Già,
e un’altra bella novità è che
adesso te ne devi andare.-
E
l’uomo, senza farle male, prese la
donna e cominciò a spingerla fuori dal suo ufficio,
l’italiana però non aveva
ancora voglia di gettare la spugna.
-Andiamo
dammi un indizio.-
-Niente
da fare. Dai fuori!-
-Uffa
Jun!-
In
quel momento Yayoi raggiunse quel
corridoio, e nel sentire Matilde chiamare l’uomo
avvertì la sensazione di
panico, e accelerò il passo, dando la schiena ai due dottori
che sbucavano
dalla porta; Misugi alzò lo sguardo, per vedere chi
c’era nel corridoio, voleva
evitare di essere sgridato dal dottor Guffred.
Vide
subito la capigliatura rossa,
legata in quel momento in una grossa crocchia, ma un po’
perché stava giocando
con Matilde, e un po’ perché la donna gli dava le
spalle e aveva l’uniforme da
infermiera, non si rese subito conto di chi era, restando comunque
sorpreso di
rivedere quella capigliatura, l’aveva vista solo una volta.
L’italiana
avvertì immediatamente il
cambio di umore, e subito cercò lo sguardo
dell’uomo: rispetto al solito, lo
vide molto meno innervosito, ma comunque stava allungando il collo come
una
specie di giraffa per vedere meglio. Lei si voltò verso il
corridoio, e vide
solo di sfuggita la famigliare figura di Aoba, e sorrise divertita,
chiedendo e
facendo finta di niente con la donna.
-Ah,
la nuova infermiera.-
-La
conosci?-
-Si,
me l’ha presentata Kishimoto, è una
sua amica.-
Un’amica
di Kishimoto … Kishida gliene
aveva parlato …
-Aspetta,
non mi viene in mente il nome.
Ya … Ya …-
-Ya-chan
…-
-Ah,
ma allora la conosci anche tu!-
Ya-chan
… capelli rossi … infermiera …
un momento!
Jun
mollò immediatamente Matilde, quasi
correndo nel corridoio mentre l’italiana si appoggiava allo
stipite della
porta, guardando l’uomo allontanarsi da lei, sorridendo con
aria compiaciuta.
ALFREDO
Annina,
donde vieni?
ANNINA
Da
Parigi.
ALFREDO
Chi te
'l commise?
ANNINA
Fu la
mia signora.
ALFREDO
Perché?
L’uomo
svoltò l’angolo, ma l’infermiera
sembrava essere scomparsa nel nulla; istintivamente, Misugi la
chiamò,
continuando a cercare, senza aprire le porte per non entrare e
disturbare
qualcuno.
-Yayoi!-
La
donna tremò quando si sentì chiamare,
e si appoggiò ancora di più, con la schiena, alla
porta della stanza,
stringendosi al petto la cartellina: l’aveva vista, di sicuro
l’aveva vista. Adesso
l’avrebbe cercata, di sicuro l’avrebbe cercata
almeno per tutto il piano. Cosa poteva
fare? Doveva farsi vedere? E cosa sarebbe successo? Avrebbe domandato?
Avrebbe chiesto?
Per
un momento, il volto di Hikaru
apparve nella mente della donna, e questa chiuse gli occhi,
stringendoli forte
come la cartellina che aveva tra le braccia: suo figlio aveva il
diritto, e
così anche Jun aveva diritto di conoscere la
verità.
Doveva
… doveva uscire fuori, farsi
vedere.
Nello
stesso momento, l’uomo aveva fatto
l’intero percorso del corridoio, ma della donna vista di
sfuggita nessuna
traccia, di nuovo, per la seconda volta. Per un attimo pensò
di avere le
allucinazioni, ma Matilde l’aveva vista a sua volta, pertanto
Jun girò sui suoi
tacchi e tornò immediatamente al suo ufficio, passando
nuovamente per la porta
dov’era Aoba.
Questa
aveva la mano sulla maniglia, e
stava cercando di raccogliere tutto il coraggio possibile per aprirla;
strinse
gli occhi, pensò a suo figlio, cercò di pensare
positiva, e alla fine aprì di
scatto, facendo un deciso passo avanti, la sua voce a fatica
cavò fuori un
suono, guardandosi intorno.
-Jun
…-
L’uomo
non era più da quel lato del
corridoio, e per un attimo Yayoi ebbe la tentazione di cercarlo,
tuttavia si
bloccò subito, ricordandosi di quella cartellina che aveva
in mano, di dove si
trovava, e soprattutto di CHI avrebbe voluto cercare;
respirò, si sistemò una
ciocca di capelli dietro l’orecchio e tornò al
lavoro.
Matilde
dovette aspettare uno- due minuti,
e poi rivide l’uomo tornare da lei, guardandola dritta
negl’occhi. Le avrebbe
chiesto qualcosa, di sicuro.
-Ehi,
dove sei scappato?-
-Non
ti ricordi proprio il nome della
nuova infermiera?-
Andava
subito al punto, era un suo punto
di forza ma anche un suo difetti; tuttavia la donna non
gliel’avrebbe data
vinta così presto, voleva vedere fino a che punto
l’uomo era desideroso di
ottenere quelle informazioni.
-Ahm,
non lo so, so che il nome era tipo
quello che hai detto tu, Ya-chan, qualcosa del genere, il cognome
invece … ah,
lo sai che sono un disastro con i cognomi!-
-Per
caso era Aoba?-
-Aoba?
Hm … non lo so Jun, davvero non
me lo ricordo. Adesso devo davvero andare in ufficio.-
-Aspetta
aspetta aspetta! Non ho ancora
finito con te!-
E
l’uomo arrivò ad acchiapparla per un
braccio, trascinandola di nuovo verso di sé; la reazione
spinse la donna a
sorridere divertita, accidenti non l’aveva mai visto tanto
coinvolto in una
ricerca!
-Beh?
Prima mi scacci e poi non vuoi
lasciarmi andare? Sei ben presto Jun!-
-Seriamente
Matilde, davvero non ti
ricordi il suo nome?-
Lo
guardò attenta: aveva l’aria ansiosa,
il respiro a metà fra il naso e la bocca, le pupille
leggermente dilatate, e la
mano che sudava leggermente. Un cambio di stato notevole rispetto
all’aria
rilassata che aveva cinque minuti prima; la psicologa, tuttavia,
pensava anche
alla donna, al fatto che non aveva fatto sapere nulla
all’uomo, e si trovò ad
avere davvero un tormento interno.
-…
no, scusami Jun.-
-Almeno
l’hai vista? Com’è?-
-Beh,
è un pochino più bassa di me …
occhi scuri, capelli rossi lunghi.-
A
Misugi quelle informazioni parvero
delle briciole, aveva conosciuto diverse donne simili in aspetto
fisico, e in
quel momento si sgridò per essere stato un po’
troppo schematico nelle sue
compagnie; la guardò con aria frustrata, e per un momento
Matilde ebbe voglia
di dirgli tutta la verità, ma si trattenne.
Dopotutto
lei era anche sotto giuramento
d’Ippocrate nei confronti della donna.
-Non
sai altro di lei?-
-Ci
siamo viste di sfuggita una sola
volta, quando abbiamo pranzato insieme e sei dovuto scappare,
è venuto a
mangiare nello stesso posto.-
Cinque
minuti, cinque fottuti minuti e
magari sarebbe riuscito persino a vederla! Jun si sarebbe mangiato le
mani, ma
si limitò a sbuffare, rilasciando lentamente il braccio
della donna, la quale
lo guardò per un momento, con aria addirittura intenerita:
in fondo voleva solo
dare pace ai suoi dubbi, sembrava quasi un ragazzino.
-…
scusami Jun.-
E
glielo disse con tutta la sincerità
che possedeva, tanto che l’uomo ne rimase sinceramente
sorpreso, per poi
reagire leggermente imbarazzato.
-Non
fare così, non ti ho chiesto chissà
cosa.-
Ma
non aveva idea di quanto la donna
sapesse effettivamente.
Questa
gli sorrise, per poi allontanarsi
e salutarlo con un cenno della mano, mentre lui tornava in ufficio con
un po’
di disappunto, mettendosi comodo sulla sua sedia e guardando
l’orologio, quel
giorno aveva anche appuntamento con Hikaru, non se lo doveva scordare,
aveva la
sensazione che se fosse arrivato in ritardo il bimbo non glielo avrebbe
perdonato.
...
ripensando al piccolo l’uomo sorrise
intenerito, per poi aprire una delle cartellina che aveva sulla
scrivania,
iniziando a studiarsela.
Matilde,
intanto, stava scendendo le
scale senza fretta, salutando con un cenno del capo i vari colleghi di
lavoro
che passavano, quando si sentì chiamare dalla cima della
rampa.
-Cecconi
sempai!-
L’italiana
si voltò sorpresa, era
davvero un evento raro che qualcuno la chiamasse in quel modo, e si
voltò a
guardare: Yayoi, velocemente, la stava raggiungendo, fermandosi uno
scalino
sopra di lei.
-Le
posso parlare? È impegnata?-
-No,
figurati. È per il favore che mi
hai chiesto?-
-Ah
no, veramente si tratta di altro.-
La
psicologa si limitò ad annuire,
invitando con un cenno la donna a seguirla giù per le scale,
il reparto di
psicologia-psichiatria era a piano terra, in fondo
all’edificio.
-Dimmi,
ti ascolto.-
-Perdoni
se glielo chiedo, ma conosce
per caso Jun Misugi?-
Anche
lei non perdeva tempo e andava
dritta al sodo, eh? Matilde d’istinto sorrise a quel punto in
comune tra i due.
-Si,
è un mio collega e amico. Ti prego
dammi del tu, mi fai sentire anziana.-
-Ah
scusami.-
-Come
mai mi chiedi di Jun? Lo conosci?-
La
giapponese rimase molto sorpresa nel
sentire l’italiana chiamare l’uomo per nome,
evidentemente i due erano davvero
molto amici; rispose con imbarazzo, e la psicologa si
preparò a reagire nel
modo più adatto: sapeva che Aoba aveva un figlio ma,
apparentemente, non sapeva
che il padre fosse proprio Jun, pertanto doveva fingere di non saperlo.
Accidenti,
certe volte le persone rendevano le cose più complicate di
quanto non lo
fossero.
ANNINA
Per
alienar cavalli, cocchi,
e
quanto ancor possiede...
ALFREDO
Che
mai sento!
ANNINA
Lo
spendio è grande a viver qui solinghi.
ALFREDO
E tacevi?...
-Ecco,
vedi … Misugi è … il mio ex-
marito.-
Yayoi
vide Matilde bloccarsi per più di
un minuto buono, guardandola dritta negl’occhi, tanto che la
mise a disagio e
le fece distogliere lo sguardo; a quel punto, la psicologa
alzò lo sguardo
verso l’alto e prese un profondo respiro, passandosi in
seguito una mano tra i capelli.
-Accidenti.
Lui lo sa che sei qui?-
-Ah
no, credo proprio di no. Non gliel’ho
detto, io … non me la sono sentita.-
-E
non sa nulla di suo figlio
oltretutto.-
La
giapponese annuì.
Matilde
a questo punto si trovò a
riflettere bene sulla sua situazione: era amica di Jun, però
adesso stava
creando un rapporto anche con Aoba, che presto sarebbe diventato
più profondo,
specie per quello che le aveva chiesto la donna; era giusto dire alla
donna
davanti a lei che il suo ex-marito la stava pensando? O che comunque
l’aveva
cercata cinque- dieci minuti prima?
Il
silenzio della psicologa allarmò
leggermente l’infermiera, che subito cercò di
sistemare la situazione.
-Scusa,
ti sto coinvolgendo nella mia
vita privata senza ritegno, mi dispiace!-
-Ma
no, figurati. Immagino mi hai detto
una cosa del genere perché sei preoccupata di qualcosa, no?-
Yayoi
annuì, e si mordicchiò le labbra
nel cercare di trovare le parole giuste con cui rivolgersi
all’altra.
-Il
fatto … è che ho cercato, per quanto
mi fosse possibile, di tenere lontano Misugi dalla mia vita privata:
non è
cattiveria la mia, solo … non mi sento ancora pronta di
affrontarlo.-
-Tuttavia
sai che prima o poi gli dovrai
dire di vostro figlio, vero?-
-Certo.-
Matilde
osservò la donna: ne ammirava
quella forza nelle sue decisioni, ma era preoccupata per quella sottile
insicurezza che dimostrava ogni volta che si trattava di Jun; la sua
mente
cominciava già a lavorare a riguardo, ma preferì
trattenersi il più possibile
dal dare giudizi o iniziare a torchiare Yayoi, anche perché
si trovavano in
pubblico, sotto gli occhi di tutti.
Pertanto
l’italiana si limitò ad
incrociare le braccia, aspettando che fosse l’altra a
prendere la parola.
Il
problema era che la giapponese, in
quel momento, si sentiva fortemente a disagio nel chiedere qualcosa
alla donna:
voleva sapere se lui avesse chiesto di lei, in fondo prima
l’aveva cercata nel
corridoio, e c’era mancato davvero poco che i due
s’incrociassero. E tuttavia l’italiana
non sapeva nulla della loro situazione, coinvolgerla le sembrava
sgarbato nei
suoi confronti.
-Vuoi
che faccia qualcosa in particolare?-
Matilde
le diede una mano, facendole
quella domanda, e Yayoi si calmò leggermente dal suo stato
d’ansia, guardando
negl’occhi la psicologa, arrivando a formulare la risposta.
-…
no, figurati. Ora scusami, devo tornare
a lavoro.-
-Certo,
non preoccuparti. Ci vediamo
Venerdì pomeriggio?-
-Ah
si, certo, ti ringrazio.-
E
la donna fece un breve inchino,
tornando al reparto pediatria in fretta e furia mentre la psicologa la
guardava
allontanarsi, sospirando e riprendendo ad andare verso il suo studio,
tra tutti
i pazienti che aveva avuto nella sua carriera di sicuro Yayoi Aoba
sarebbe
stata certamente la più interessante.
ANNINA
Mi fu
il silenzio imposto.
ALFREDO
Imposto!...
e v'abbisognan?...
ANNINA
Mille
luigi.
ALFREDO
Or
vanne... andrò a Parigi...
Questo
colloquio ignori la signora...
Il
tutto valgo a riparare ancora...
(La
Traviata, Verdi)
**
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Capitolo 7 *** Cabaletta: La Cenerentola ***
Cabaletta:
Cenerentola
ANNUNCIO
IMPORTANTISSIMO, DA LEGGERE ASSOLUTAMENTE!
Come
avete visto, i capitoli precedenti sono stati modificati pesantemente;
effettivamente, la storia ha preso una trama inaspettata, e credo di
aver messo
diversi avvertimenti per i vari capitoli. Alla fine ho deciso di
cancellare i
successivi a questo, perché oramai erano inutili.
Lo
so che è una scocciatura, ma vi consiglio caldamente di
rileggervi la storia,
anche perché questo capitolo rischiate di non capirlo.
Grazie
per la vostra pazienza, e scusatemi per le profonde modifiche.
Hikaru
calciò via il sassolino con la
scarpa, guardandolo rotolare e allontanarsi velocemente; poi
sospirò
togliendosi di dosso il capellino della sua uniforme, cercando
nuovamente ombra
sulla “fortezza” in legno del parco giochi,
sbirciando ancora una volta dalla
piccola apertura che era riuscito a trovare la volta precedente.
Il
gatto era là, con il suo pelo grigio,
che in quel momento sbadigliava e guardava assonnato il bambino con i
suoi
splendidi occhi azzurri; l’umano lo guardò, pian
piano un’espressione crucciata
si formò su quelle sopracciglia, e un piccolo muso
spuntò dalle labbra.
-Sono
sicura che verrà, mi ha dato la
sua parola.-
Il
gatto, per tutta risposta, mosse le
orecchie verso la voce, e poi sbadigliò nuovamente,
poggiando la testa a terra
e rimettendosi a sonnecchiare mentre il bambino, a quella reazione, si
rimetteva seduto sul pavimento, stringendo il capello giallo del suo
asilo.
Era
arrivato anche quel giorno subito
dopo l’asilo, assicurando la maestra che la mamma gli aveva
dato il permesso di
giocare in quel parco, e sebbene la donna avesse fatto una faccia poco
convinta, il piccoletto era partito come un razzo, temendo che il suo
nuovo amico
lo aspettasse e lui fosse in ritardo.
Makoto
lo aveva trattenuto più del
solito, il bimbo aveva voluto a tutti i costi sapere di più
del nuovo amico di
Hikaru; ma quest’ultimo aveva mantenuto il segreto, e i due
avevano finito per
litigare, tanto che quando se n’era andato con sua madre,
Makoto non lo aveva
neppure salutato.
La
maestra aveva chiesto se era successo
qualcosa tra i due, ma anche in quel caso Hikaru era stato zitto,
mettendosi il
berretto in testa e dicendo alla maestra che andava.
Fino
a quel momento i due non avevano
mai litigato, anzi erano subito diventati molto amici, tanto che
difficilmente
gl’insegnanti riuscivano a separarli quando si trattava di
giocare a squadre; e
quando quei due erano insieme, si poteva stare sicuri che avrebbero
vinto.
Eh
si, perché Makoto era forte, mentre
Hikaru era molto sveglio; se Makoto vinceva alla corsa, Hikaru era
bravissimo a
nascondino, specie a trovare le persone. Se il primo riusciva a tenere
testa a
Daichi, il secondo non era da meno, rispondendo sempre a tono e con una
furbizia che non ci si aspetta da un bambino di cinque anni.
Erano
come fratelli. E adesso avevano
litigato, e proprio per le loro differenze di carattere si erano
arrabbiati
l’uno con l’altro proprio tanto, specie Makoto che
si sentiva tradito, in
quanto si considerava l’amico del cuore di Hikaru; non gli
piaceva avere
rivali!
La
cosa era reciproca per quanto
riguardava il piccolo Aoba, ma gli piaceva anche l’idea di
avere un amico
adulto, e non aveva voglia di condividerlo con nessuno; per questo
anche in
quel momento, mentre ripensava al litigio, per quanto volesse fare la
pace si
stava riconfermando che mai a nessuno avrebbe parlato di Jun-san.
Il
bambino si guardò intorno, ma attorno
a lui il posto era deserto, sebbene ci fossero i segni del passaggio di
altri
bimbi che avevano giocato; il fatto era che il cielo si stava colorando
di
arancio, e molti genitori avevano già portati i loro figli,
pertanto Hikaru era
da solo.
Aveva
l’aria preoccupata, e per un
attimo pensò che sua madre sarebbe andato a cercarlo, che
quando l’avrebbe
trovato se lo sarebbe preso in braccio e l’avrebbe riportato
a casa; lui non
era certo come gli altri bimbi, che piangevano e gridavano
“mamma” quando
avevano paura. Al contrario, lui stava seduto composto e aspettava
tranquillamente, perché sapeva che sua madre sarebbe venuto
a prenderlo,
sorridendo come sempre.
Possedeva
quella fiducia smisurata che i
figli hanno per le loro madri, quella sicurezza che non importa dove
fossero,
sarebbero sempre stati trovati e accompagnati a casa, magari tenuti per
mano o
presi in braccio. E a lui piaceva molto farsi prendere in braccio dalla
mamma,
nonostante stesse diventando velocemente sempre più grande.
Solo
che adesso il piccolo non aveva
molta sicurezza, il tempo passava e dell’uomo non pareva
esserci nessuna
traccia, tanto che stava per andarsene; forse aveva preteso un
po’ troppo da
quello sconosciuto, dopotutto gli adulti erano sempre indaffarati a
fare mille
cose. Lui non voleva certo essere di disturbo a qualcuno.
“-Non
preoccuparti amore: la mamma ha sempre tempo per stare con te. La cosa
più
importante per me sei tu.-”
…
quel giorno sua madre era a casa, di
sicuro gli avrebbe saputo dire cosa fare con Makoto.
Hikaru
si alzò in piedi, pulendosi il
grembiule nel punto dove ci si era seduto, e si calcò in
testa il capello,
pronto ad andare a casa; si sporse solo un attimo sulla piccola
apertura,
costatando che il gatto stava ronfando placidamente.
-…
ci vediamo domani.-
-Hikaru!-
Il
bimbo alzò la testa di scatto, allungando
il collo per vedere, il sole stava cominciando a calare proprio in
quella
direzione, e sulle prime la luce gl’impediva di guardare,
tanto che si strofinò
la manina sugl’occhi, prima di guardare nuovamente: Jun!
L’uomo
stava correndo a tutta velocità,
era stato trattenuto dall’allenatore, che aveva voluto
discutere con lui alcuni
punti della strategia da usare per la prossima partita, e il tempo era
volato
anche troppo velocemente, quando si era reso conto che stava facendo
aspettare
il bambino gli era venuto un colpo ed era partito a correre.
Fin
da subito Hikaru gli era sembrato un
tipo molto serio, per quanto avesse pochi anni, e l’uomo
aveva la certezza
assoluto che lo stava aspettando proprio nello stesso posto dove si
erano
conosciuti. Se non fosse arrivato, era certo che non
gliel’avrebbe mai
perdonato.
Forse
non lo avrebbe più visto … il solo
pensiero lo spinse a correre più in fretta, e quando alla
fine era arrivato nel
luogo dell’appuntamento aveva subito individuato una piccola
ombra, sperando
che fosse lui.
L’uomo
raggiunse il bambino con il
fiatone, tanto che mollò a terra il borsone e si
appoggiò sulle ginocchia,
prendendo fiato; il bimbo, da parte sua, lo guardò con occhi
molto seri,
arrivando a proferire solo tre parole.
-Sei
in ritardo.-
Jun
alzò lo sguardo, sorpreso, e vide il
piccolo con le mani sui fianchi e l’aria di chi adesso gli
avrebbe dato una
bella sgridata; non riuscì a trattenere un sorriso,
rimettendosi con la schiena
dritta e passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato.
-Hai
ragione, scusami.-
-Non
farlo più.-
-Promesso,
promesso.-
E
l’uomo si permise, senza rendersene
conto, di poggiare ancora una volta la sua mano sopra la testa del
bambino,
ancora una volta coperta dal cappello; il piccolo abbassò
leggermente lo sguardo,
per nascondere sia l’imbarazzo a quel gesto ma anche il
piacere che ne provava,
gli ricordava tanto quando la sua mamma lo prendeva in braccio.
Rinfrancato
da quel calore, il bimbo
prese la parola.
-Perché
hai fatto tardi?-
-Mi
hanno trattenuto a lavoro.-
-Che
lavoro fai?-
Ecco,
primo problema: come spiegare ad
un bambino che si è precisamente un preparatore fisico di
una squadra di
calcio? Meglio essere vaghi in questo caso.
-Sono
un dottore, e … aiuto una squadra
di calcio.-
-Sei
un calciatore?!-
-Lo
sono stato.-
E
l’uomo vide subito gli occhi del bimbo
illuminarsi come due fari, provocandogli un sorriso.
-Ti
piace il calcio?-
-Non
molto, ma piace a Makoto. E poi mia
madre mi ha detto che il mio papà è un
calciatore.-
Quell’informazione
in più incuriosì Jun
a proposito dell’origine del bambino, e ricordandosi del suo
cognome gli venne
un leggero brivido dietro la schiena: no, non era possibile, troppe
coincidenze. Prima quell’infermiera nuova alla clinica,
adesso questo bambino.
Hikaru
notò subito che lo sguardo
dell’uomo era mutato, adesso aveva un’aria
decisamente più diffidente nei suoi
confronti, e d’istinto il piccolo fece per allontanarsi,
svegliando Misugi dai
suoi pensieri.
-…
ho detto qualcosa che non va?-
-No,
assolutamente no Hikaru! Tranquillo.-
E
l’uomo gli sorrise con affetto, non
poteva permettere ai suoi dubbi e alle sue domande turbare quel momento
tra di
loro; spinse il bimbo a fargli domande, a chiedere. Perché
stranamente, a lui
faceva piacere rispondergli: di solito odiava le domande a raffica,
sebbene non
avesse problemi a rispondere in modo chiaro e sintetico. Ma con
quegl’occhi
nocciola, stranamente, sentiva di potersi andare alla chiacchiera.
Dopo
tanto tempo, lui parlava di sé in
maniera spontanea: l’ultima volta che l’aveva fatto
… era stato con Tsubasa, e
con gli altri amici della Nazionale. Con loro si era sempre sentito
difeso ,e
al tempo stesso sentiva che poteva dimostrare tutto il suo valore senza
dover
venire rinchiuso in una teca di vetro, neanche fosse fatto di cristallo.
Anche
perché, come lui, molti di loro
avevano avuto mille difficoltà e problemi sulla loro strada,
e solo grazie alla
loro tigna e alla forza del gruppo erano andati avanti, testardamente,
arrivando dov’era arrivati.
-Ora
i miei amici sono un po’ lontani,
ma ci sentiamo sempre, non ci dimentichiamo mai l’uno
dell’altro.-
-E
avete mai litigato?-
-Uff!
un mucchio di volte! Mi ricordo di
due nostri amici che non facevano altro che litigare fra di loro.-
-Non
si piacevano?-
Jun
ci pensò per bene, stringendo le
catene dell’altalena nelle mani, si erano spostati verso un
giaciglio più
comodo, e Hikaru ne aveva subito approfittato per dondolarsi un
pochino,
rallentando con i piedini solo perché l’uomo non
gli rispondeva subito, ma ci
stava pensando.
L’uomo
stava rimembrando i volti di
Hyuga e Wakabayashi, e senza farlo apposta le cataratte dei suoi
ricordi si
erano spalancate, lasciando andare ad un mucchio di ricordi che non
credeva
nemmeno di aver conservato nella sua testa.
-…
al contrario, si ammiravano molto. Però
erano molto orgogliosi, e molto forti, volevano sempre dimostrare di
essere i
più forti l’uno contro l’altro. Ma in
fondo sono sempre stati amici, nonostante
i loro litigi.-
-…
nonostante i loro litigi.-
L’uomo
si voltò, sentendolo ripetere la
sua ultima frase, e notò subito il viso adombrato del suo
piccolo amico. Ripensò
a quanto aveva detto, e azzardò un’ipotesi,
parlando a voce bassa nel timore di
farlo innervosire.
-Hai
litigato con qualcuno?-
Il
bimbo annuì deciso con la testa,
adesso la sua altalena era ferma, e come l’uomo strinse le
catene nelle sue
piccole mani.
-Makoto
voleva sapere di te, ma io non
gli ho detto niente. Non voglio che lo sappia.-
Sulle
prime l’uomo si sentì a disagio da
quell’ammissione, pensava che Hikaru non lo volesse dire al
suo amico perché si
vergognava.
-Lui
è il mio migliore amico, ma tu sei
MIO amico, non suo. E questa nostra amicizia è il nostro
segreto.-
E
il bimbo sorrise, un sorriso grande,
luminoso, e imbarazzato da morire, tanto che subito il piccolo distolse
lo
sguardo, continuando però a sorridere contento, dondolandosi
con maggiore
energia.
Jun,
per tutto il tempo, rimase come un
ebete: mentre il flusso dei ricordi aveva proseguito la sua corsa come
un fiume
in piena, l’uomo aveva avvertito, anche nei ricordi
più personali, o quando era
con i suoi compagni, una presenza, o meglio una sicurezza che aveva
perduto da
tempo e di cui non ricordava l’origine o il
perché. Fu proprio quel sorriso a
ricordarglielo.
TUTTI
Mi par
d'essere sognando
fra
giardini e fra boschetti.
I
ruscelli sussurrando,
gorgheggiando
gli augelletti
in un
mare di delizie
fanno
l'animo nuotar.
Sussurrando,
sussurrando
Fanno
l’animo
nuotar.
“-Tu
hai la fortuna di avere tanti
amici. Io ho la fortuna di avere te.-”
E
Yayoi gli aveva sorriso allo stesso
modo, luminosa e imbarazzata, tanto che era arrossita e aveva subito
distolto
lo sguardo, proseguendo a camminare. Lui, allora, forse non aveva
provato la
stessa sorpresa di quel momento, sull’altalena con quel
bambino, ma di certo
era stato molto più felice.
Chiuse
gli occhi e prese un profondo
respiro, per rimuovere quell’ultimo pensiero, rivolgendosi
nuovamente ad
Hikaru, questa volta con tono decisamente più maturo
rispetto a qualche minuto
prima.
-Anche
se mi fa piacere quello che mi
hai detto, litigare non è mai una cosa bella, lo capisci?-
Hikaru
rallentò nuovamente l’altalena,
fino a fermarla, per rivolgersi all’uomo con aria decisa.
-Lo
so, io non volevo! Lui non mi
lasciava andare, voleva venire con me, che avrei dovuto fare?-
-Di
certo non dovevi arrabbiarti, non è
mai saggio arrabbiarsi.-
-Si,
lo so, me lo dice sempre anche la
mamma.-
-Beh
la tua mamma ha ragione. Domani devi
chiedere assolutamente scusa a Makoto, va bene?-
Il
bimbo annuì, ma Jun voleva esserne
sicuro.
-Me
lo prometti?-
-…
promesso.-
Sorridendo
soddisfatto, l’uomo porse la
mano al bambino, il quale la guardò incuriosito.
-Devi
stringermi la mano, come fanno gli
adulti. È un gesto che dimostra il tuo onore e che dice che
mi posso fidare di
te.-
Il
bimbo guardò nuovamente quella mano,
stavolta con aria profondamente affascinata, tanto che si mise meglio
sull’altalena
e ingoiò a vuoto, prima di allungare la manina.
Jun
non aveva avuto molti contatti con i
bambini, pertanto rimase sorpreso nel costatare quanto fosse piccola
quella
mano, ma soprattutto morbida, e tremendamente fragile; temeva di
romperla e non
strinse molto, ma l’agitò e sorrise divertito
mentre Hikaru guardava quel gesto
con gli occhi ancora spalancati. Entrambi lasciarono a fatica la presa.
In
quel momento si accesero i lampioni,
il tempo era letteralmente volato, e Jun scattò in piedi
preoccupato, notando
che effettivamente il sole era praticamente calato; doveva riportare
immediatamente a casa Hikaru, stavolta non l’avrebbe lasciato
da solo. La madre
poteva pure fidarsi, ma era sempre meglio far vedere che
c’era un adulto con
lui.
-Forza,
ti riaccompagno a casa.-
-Ma
…-
-Niente
ma! È tardi, non ti lascio
andare da solo!-
A
quel punto Hikaru annuì, ma prima di
andarsene andò a controllare se il gatto era ancora a suo
posto; ovviamente il
micio se n’era andato, e per un momento al bambino
passò in mente di andarlo a
cercare. Jun però fu irremovibile, tanto che gli prese la
mano, trascinandoselo
via.
-Se
la saprà cavare, avanti.-
-Va
bene, ma dobbiamo andare di qua.-
E
il bimbo indicò la direzione opposta a
dove stava andando Misugi, e dall’imbarazzo l’uomo
lasciò la mano, permettendo
ad Hikaru di andare davanti per guidarlo.
Da
quel tranquillo quartiere percorsero
un tratto di strada trafficata, la gente a quell’ora si stava
muovendo verso
casa o altri posti, e Jun rischiò più di una
volta di non vedere più il
bambino, fortunatamente il cappello giallo glielo segnalava; alla fine,
spazientito, afferrò di nuovo la manina, stando
però molto attento a non
stringerla troppo.
-Ehi,
non correre, altrimenti ti perdo. Resta
accanto a me, ok?-
Solitamente,
Hikaru si sentiva dire una
cosa del genere da sua madre. Questa, invece, era la prima volta che
sentiva
una voce maschile; per un momento si emozionò tantissimo, e
strinse con ancora
più decisione quella grande mano, annuendo energicamente.
Jun,
di fronte a quello sguardo stupito,
per qualche momento si sentì molto in imbarazzo, non si
aspettava una reazione
del genere; tossì, tentando di annullare
l’impaccio, chiedendo poi ad Hikaru di
riprendere la marcia. Il piccolo obbedì come un soldatino,
quasi trascinandosi
dietro il suo capitano.
-Ehi,
piano, piano!-
Ma
l’altro non lo ascoltava molto,
continuando a tirarlo, anche se effettivamente non aveva abbastanza
forza per
mettere Misugi in difficoltà; l’uomo
guardò quella capigliatura rossiccia sotto
il berretto giallo, e gli venne da sorridere divertito, in tutta la sua
vita
non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere: di solito erano le
donne a
trascinarlo.
Se
qualcuno gliel’avesse detto qualche
giorno prima, non ci avrebbe mai creduto!
I
due, dopo un tratto di strada,
imboccarono un vialetto molto più silenzioso, attorno a loro
gli edifici
tramutavano in appartamenti dall’aria più ampia e
tranquilla, e anche le luci
accecanti si affievolivano, rendendo l’atmosfera molto
più piacevole;
oltretutto, attorno a loro, c’erano diversi alberi che
avevano iniziato la
fioritura, pertanto l’aria aveva un buon odore.
Jun
si guardò intorno, affascinato
mentre il bambino lo portava verso uno dei complessi davanti a loro,
molto
semplice e dalla facciata bianca, con la scala centrale che portava
verso i
vari piani, ad ogni piano c’era un minimo di tre appartamenti
ad un massimo di
cinque.
-La
mia casa è lassù.-
Ed
indicò il quarto piano; Jun annuì, e
accompagnò il bambino su per le scale, divertendosi, ogni
tanto, a sollevarlo
da terra, facendogli così saltare due gradini per volta.
Ogni volta Hikaru
rideva, entusiasta, e chiedeva di poterlo fare ancora, stringendosi con
entrambi le mani su quella grande dell’uomo.
Arrivarono
al quarto piano che stavano
ancora ridendo, e velocemente il bambino suonò al
campanello, mettendosi di
fronte a Jun.
La
porta si aprì.
Ma ho
timor che sotto terra
piano
piano, a poco a poco
si
sviluppi un certo foco;
e
improvviso a tutti ignoto
balzi
fuori un terremoto,
che
crollando ~ strepitando,
fracassando
~ sconquassando,
poi mi
venga a risvegliar.
-Ciao
mamma!-
-Tesoro,
bentornato! Finalmente, ero un
po’ preoccupata.-
La
donna abbracciò il figlio contenta,
togliendogli con molta gentilezza il capello e accarezzandogli i
capelli con
estrema dolcezza, restando concentrata sugl’occhi del figlio,
il quale aveva un
sorriso così gioioso che la donna sentì tutte le
preoccupazioni di qualche
minuto prima scomparire, sorridendo entusiasta come lui.
-Scusami
mamma, ma Jun mi ha riaccompagnato
a casa.-
…
cosa?
Lentamente,
gli occhi Yayoi cominciarono
a sollevarsi dal figlio, e si rese conto che effettivamente
c’era un’ombra
dietro di lui, una figura alta; alzò lo sguardo, e riconobbe
le gambe, e poi le
mani e le braccia, il torso, il petto, il mento, le labbra, il naso,
gli occhi …
-…
Jun.-
Non
era cambiata, agl’occhi di Jun lei …
era rimasta bella come l’aveva ricordata quel pomeriggio:
capelli lunghi e
rossi, pelle chiara, occhi castani allungati, fisico magro, voce con
quel tono
gentile e affettuoso, che ti cullava.
Ed
era la madre di Hikaru.
Ora,
mentre il bambino si voltava verso
di lui, a guardare incuriosito perché i due restavano muti,
Jun Misugi vedeva
perfettamente le somiglianze tra i due, e non solo i capelli o la pelle
chiara:
molti degl’atteggiamenti del bambino erano il riflesso della
madre, a
cominciare dalla sua spontaneità, la sua gentilezza. E poi
quel sorriso …
Yayoi
Aoba, ancora una volta, si rendeva
conto di quanto Hikaru assomigliasse a suo padre: i tratti del volto,
lo
sguardo, e poi la sua forza interiore, la sua intelligenza. Oltretutto
il
sorriso …
La
donna si era immaginata, soprattutto negl’ultimi
tempi, come avrebbe potuto parlare all’uomo a proposito del
bambino, ma non si
sarebbe mai aspettata che l’occasione le sarebbe stata data
proprio da suo
figlio. Non poteva più evitarlo.
-Tesoro,
Hikaru, va dentro che ho
preparato il bagno. Stasera ti ho preparato il Katsudon.-
Il
bimbo sorrise contento, e togliendosi
le scarpe in fretta e furia corse via, girando l’angolo del
corridoio e
sbattendo la porta del bagno mentre la donna, restando inginocchiata
sul’uscio,
prendeva le scarpe del figlio e le rimetteva a posto con delicatezza,
sorridendo dolce alla loro piccola taglia; poi adombrò
leggermente lo sguardo,
e si rivolse all’uomo davanti a lei, rimasto ancora con
quell’espressione
pietrificata.
-Prego
Jun, accomodati.-
E ho
paura che il mio sogno
vada
in fumo a dileguar.
Risvegliato
dalle parole della donna, l’uomo
sbatté gli occhi e la guardò ancora, notando che
lo stava accogliendo in modo
tradizionale, in posizione seiza sul pavimento; lui abbassò
lo sguardo,
confuso, ed entrò dentro, chiudendo dietro di sé
la porta, cercando di parlare
per primo.
-…
tu … lavori alla clinica, giusto?-
-Si,
sono una delle infermiere del
reparto pediatria.-
-Conosci
Kishida Kichiro …-
-Me
l’ha presentato Kishimoto.-
-Hai
avuto modo di conoscere Matilda?-
-La
dottoressa Cecconi? Si.-
L’italiana
gliel’avrebbe pagata, questo
era poco ma sicuro.
Con
calma, Yayoi si alzò in piedi,
invitando con un cenno del capo l’uomo ad entrare; questo si
tolse le scarpe, e
ordinatamente le appoggiò vicine a quelle di Hikaru, e la
donna non poté fare a
meno di vedere la differenza di numero tra i due, il gigante e
Pollicino.
L’uomo
seguì quello sguardo, e vide
anche lui le scarpe. E a quel punto il suo cervello cominciò
a funzionare, e i
ricordi divennero schematici, come i dati di un computer.
“-Beh
si, ha avuto un precedente matrimonio, ma poi
il marito ha voluto che divorziassero.-
-E
quanti anni ha il figlio?-
-Cinque.-”
Loro
erano divorziati da cinque anni. Oltretutto
la chiamavano “Ya-chan”, ed ora che tutti i pezzi
si stavano collegando pareva
ovvio quel diminutivo; e poi quello che aveva detto Hikaru, il padre
che faceva
il calciatore … di colpo l’uomo sentì
come se qualcuno gli avesse dato un pugno
nello stomaco, o peggio l’avessero preso per la gola e
stretto forte.
Yayoi
lo guardò attenta, seguendone i
mutamenti di pensiero sul suo volto, per lei risultava ancora facile
capire
cosa stava pensando l’uomo: ora ci stava riflettendo
… stava mettendo insieme i
vari indizi … l’aveva capito … aveva
paura.
La
donna sapeva, capiva, intuiva quando
l’uomo aveva paura; e in quel momento Jun Misugi ne aveva
molta.
-Ti
prendo un bicchiere d’acqua.-
Aveva
il solito tono gentile, ma la voce
era atona, spenta, e questo bastò a svegliare nuovamente
l’uomo, tanto che
questo la bloccò immediatamente, afferrandole un polso e
facendola girare di
scatto verso di lui. La donna avvertì subito il dolore, ma
si limitò a
stringere i denti e a venire trascinata a forza verso il volto
dell’uomo,
guardandone attenta gli occhi.
Ansia,
tremenda ansia. E anche rabbia,
si quella era di sicuro rabbia.
-Quando?-
Lei
socchiuse leggermente gli occhi,
ricordando.
-La
notte in cui tu hai lasciato “casualmente”
sul tavolo i documenti del divorzio.-
…
tre mesi prima.
-Te
ne sei accorta subito?-
-Si:
tu non te lo ricordi, ma avevo
smesso di usare la pillola e avevo dimenticato di andarla a comprare in
farmacia. Il ciclo era in ritardo, e ho fatto il test.-
Gli
stava parlando con voce assente,
come se in realtà stessero parlando di tutt’altro,
per esempio di lavoro. Anche
lo sguardo era molto tranquillo ma vacuo, come se la donna non stesse
davvero
guardando l’uomo. E questo lo innervosiva ulteriormente,
tanto che l’avvicinò
ancora di più a sé.
-Perché?-
Perché
aveva avuto paura che lui le
chiedesse di abortire: Jun era un uomo pratico, erano in procinto di
divorziare, e lui l’aveva sempre considerata poco adatta a
cavarsela da sola,
tanto che avevano discusso a proposito del mantenimento. Lei non
avrebbe mai
accettato i soldi mensilmente come una parassita, sapeva lavorare e
avrebbe
trovato un modo per cavarsela, anche con il bambino.
Perché,
in caso, temeva che questo
avrebbe prolungato la sofferenza di quel matrimonio: lui non
l’avrebbe lasciata
da sola a badare al bambino, e questo non avrebbe fatto altro che far
aumentare
la voragine tra i due, far aumentare i problemi, i silenzi, i lunghi
momenti di
separazione. E lei che lo aveva amato non l’avrebbe potuto
sopportare.
Perché
aveva sempre desiderato avere una
famiglia, una famiglia da amare e proteggere con tutta se stessa, senza
qualcuno che gli dicesse cosa fare, come comportarsi, senza sguardi di
compassione, ma solo occhi che ammiravano quel nucleo; e se Jun non
voleva o
non poteva far parte di quella famiglia, lei l’avrebbe creata
e protetta
comunque.
Ma
non disse niente di tutto questo a
Jun; continuava a guardarlo dritto negl’occhi senza la minima
paura, o rabbia
nei suoi confronti. Aveva ancora chiara l’immagine di quelle
due paia di scarpe
vicine.
E
Jun … Jun la guardava stralunato,
confuso: quegl’occhi riflettevano semplicemente il suo
sguardo, senza la minima
presenza di sentimento, come se avesse di fronte un robot e non la
donna che un
tempo aveva sposato. In pochi minuti, con un grande tonfo del suo
cuore, l’uomo
avvertì il tempo trascorso in quei cinque anni: di come
l’assenza di contatto e
solo il ricordo aveva trasformato sia lui che lei.
Cosa
stava pensando in questo momento? Perché
non riusciva a capirlo? Perché non era mai riuscito a capire
davvero quella
donna?
“-Yayoi
è una persona molto più profonda di quanto
pensi!-”
Davvero
… non era mai riuscito … anche
solo ad intuirlo?
Lentamente,
con il senso di sconfitta
che diventava sempre più chiaro nella sua testa,
l’uomo lasciò il polso della
donna, e le permise di allontanarsi da lui; questa, con calma,
abbassò lo
sguardo verso il paio di scarpe, e poi invitò
l’uomo a spostarsi in salotto,
mentre lei andava in cucina. Tornò subito dopo con due
bicchieri d’acqua e una
caraffa.
Lui
era rimasto in piedi, a girare per
la stanza come una bestia in gabbia. Aveva la forza solo per rifarle
quella
domanda.
-Perché
Yayoi? Perché non me l’hai
detto?-
-Perché
tu non volevi figli. Io si.-
Rimase
senza parole a quella risposta, e
sentì di nuovo la rabbia montare, alzando anche il tono
della voce mentre si
rivolgeva alla padrona di casa.
-Questo
non ti dava il diritto di
scegliere anche per me.-
-Non
urlare, spaventi Hikaru.-
Spaventava
suo figlio. Suo figlio.
Pensarci
lo porto a mettersi una mano in
faccia, cercando di scrollare di dosso quei pesanti sentimenti che lo
stavano
cogliendo impreparato, cercando di rimanere quanto più
lucido possibile mentre
la donna rispondeva all’attacco.
-Ho
fatto come facevi tu: ho analizzato
la situazione, e ho capito che dirti del bambino ti avrebbe caricato di
una
responsabilità che tu non volevi.-
-Non
trattarmi come un bambino.-
-Hai
fatto lo stesso con me, non
ricordi?-
Jun
non si aspettava quella insinuazione
piccata, e Yayoi respirò profondamente per non cedere alla
rabbia.
Erano
due persone maledettamente controllate
in certi momenti.
-Quella
sera, quando sei tornato, hai
appoggiato “casualmente” i documenti sul tavolo
perché sapevi che li avrei
notati e ci avrei dato un’occhiata.-
-Te
ne avrei parlato il giorno dopo.-
-Adesso
tu non trattare me da bambina.-
E
arrivò a puntargli il dito contro, con
occhi che cercavano di trattenere le fiamme della sua rabbia.
Era
tremendamente arrabbiata con Jun. In
quei momenti, mentre gli stava parlando, sentiva la sua voce interna
gridare
tutti i suoi desideri rivolti all’uomo di fronte a lei.
Voleva
vendetta. Per quello che le aveva
fatto.
Voleva
delle scuse. Quelle che non aveva
mai ricevuto da quell’uomo.
Voleva
verità. Per esempio a proposito
del fatto che il loro matrimonio era stata una buffonata.
Voleva
amore. Vero amore questa volta. E
se non per lei, almeno quel Hikaru, che lo meritava a chili!
Mantennero
il silenzio, un rumore
assordante che pareva infinito, e la donna recuperò
lucidità, passandosi una
mano tra i capelli; vederli ondeggiare risvegliò nuovamente
i ricordi dell’uomo,
e stavolta facevano molto male, tanto che si sentì in dovere
di parlare.
-Forse
ho sbagliato, ma così lo hai
fatto anche tu.-
Yayoi
gli lanciò un’occhiata storta,
roba che non era mai successo in tutti gli anni della loro storia.
-Non
farmi la paternale, Jun Misugi. Ti
avrò anche nascosto la verità su nostro figlio,
ma io non mi ricordo che tu mi
sia mai venuto a cercare in questi cinque anni.-
Colpito
e affondato. Jun sentì
irrigidirsi la mascella, e cercò di rispondere a tono.
-Almeno
io sono stato chiaro e sincero
con te in ogni singolo momento del nostro divorzio.-
-Balle!-
Questa
è una di quelle parole che non
era MAI, e ripeto MAI uscita dalla bocca di Yayoi Aoba in
trent’anni della sua
vita. Jun era sconvolto.
-Se
davvero eri sincero come affermi,
avresti dovuto ammettere che tu non mi hai mai voluta sposare.-
-Che
cosa?! Questo non è vero! Quando te
l’ho chiesto ci credevo davvero!-
-E
allora perché abbiamo divorziato? Te lo
dico io: perché ti eri stufato di giocare al marito, ecco
perché.-
Yayoi
era persa nella sua rabbia, la
quale ammontava sempre di più nella sua testa come un fuoco
a cui, invece che
acqua, veniva lanciata benzina. E Jun era il piromane che lo stava
facendo.
-Come
ti permetti?!-
-Mi
permetto eccome! Cinque anni, Jun,
cinque anni passati a non parlarci, a non guardarci, a non fare
nient’altro che
sesso su quel cazzo di letto. E poi la mattina ti svegliavi, ti lavavi,
ti
vestivi e te ne andavi, e tornavi solo la sera!-
-Io
lavoravo, al contrario di te.-
-Mi
hai detto tu di smettere!-
L’uomo
questo non se lo ricordava
proprio. Ma sapeva che la donna non era tipa da dire le bugie,
perciò ci rimase
molto sorpreso mentre Yayoi cercava disperatamente di calmare la rabbia
e di
non lasciare alla sofferenza di mostrarsi sottoforma di lacrime.
-Avevi
detto … che era meglio per me se
restavo a casa. Per caso ti vergognavi di me?-
-Yayoi
questo è ridicolo.-
-E
allora dimmi la verità! Non mi serve
a niente la tua sincerità, io voglio la verità
del nostro rapporto.-
Il
problema era che l’uomo non lo sapeva
nemmeno perché l’aveva fatto: semplicemente era
stata la soluzione migliore per
tutti e due.
Yayoi,
intanto, si passò una mano in
faccia, e Jun vide chiaramente che lei stava iniziando a piangere, ma
digrignando i denti cercava disperatamente di trattenersi; una volta si
sarebbe
andata alle lacrime più facilmente. Ora però no.
Era diverso.
Lei
era diversa.
-Per
questo non ti ho mai detto di
Hikaru. Per questo motivo: perché hai sempre voluto fare
tutto da solo. Da solo
volevi continuare a giocare, da solo hai scelto di operarti, da solo
hai scelto
di sposarmi e divorziare da me.
Ma
non si può fare questo con un
bambino, con un figlio: è una cosa che si fa in due, e io ho
avuto tutti i
diritti di non dirti niente, così come ho avuto le mie colpe.
Cosa
sarebbe successo alle prime
difficoltà? Avresti scelto l’adozione?-
-Non
ti permetto di dire una cosa del
genere! È mio figlio!-
-Di
cui tu non hai mai saputo niente!-
-Perché
tu non me lo hai mai voluto
dire!-
E
questo ammutolì Yayoi, e Jun ne approfittò
per dire la sua.
-Io
forse ho fatto sempre di testa mia,
ma allora perché tu non ti sei sempre fatta avanti?
Perché non ti sei mai
ribellata alle mie scelte? Senza contare che la tua è stata
una mancanza di
fiducia verso di me molto comoda, non pensi?-
Si
stavano ferendo a vicenda come due
bestie in una gabbia, ruggendo, graffiando e mordendo; prima di quel
momento
non era mai successo che fossero stati così aperti
l’uno verso l’altro. Ora che
lo stavano facendo, rivelavano una serie di nefandezze l’uno
con l’altro che
non si spiegavano perché sentivano il desiderio di
riappacificarsi.
-Ora
ti sto dicendo la verità?-
A
quel punto Yayoi desiderò avere la
forza di un uomo per tirargli un pugno, ma si limitò a
stringere le dita nei
pugni e a trattenersi; Jun, da parte sua, si morse la lingua per quello
che
aveva detto, ma d’altra parte era come alleggerito di aver
detto tutte quelle
cose.
-…
mamma?-
La
donna si voltò terrorizzata verso l’uscio
del salotto, di fronte ai due adulti Hikaru si era già messo
il pigiama, e
aveva un asciugamano sopra la testa, evidentemente aveva i capelli
bagnati;
subito Yayoi si avvicinò a lui, inginocchiandosi e mettendo
dolcemente le mani
sull’asciugamano, sfregandoglielo sui capelli senza fargli
male.
-Tesoro,
che ci fai qui? Ma guarda, hai
tutti i capelli bagnati.-
-Mamma,
ho fatto qualcosa che non va?-
-No,
certo che no amore, perché lo
chiedi?-
-Vi
… vi ho sentiti gridare prima.-
E
Yayoi vide chiaramente che Hikaru si
stava trattenendo, i piccoli pugni stretti sui pantaloni del pigiama a
righe;
con profonda dolcezza, la donna abbracciò il bambino,
stringendoselo al petto e
sussurrandogli.
-Scusami,
scusa amore. Non dovevamo
gridare, ti abbiamo spaventato.-
Jun
guardò i movimenti della donna:
questa, con molta calma, prese il bambino e lo sollevò da
terra, tenendolo in
braccio e stringendolo a sé, lui immediatamente le cinse il
collo con le braccia,
nascondendo il volto sulla spalla materna, ora la donna teneva
l’asciugamano su
un braccio e strofinò la sua guancia sui capelli umidi del
figlio.
Lentamente
rivolse lo sguardo all’uomo
davanti a lei, la calma era tornata sovrana su quelle iridi.
-Direi
che possiamo continuare questo
discorso un’altra volta. Ora scusaci, ma Hikaru deve mangiare
e andare a
dormire.-
-…
si, capisco certo. Scusami Hikaru,
non volevo spaventarti.-
Lui
si avvicinò al bambino, e allungò
una mano; si aspettò che Yayoi si ritrasse, che non gli
lasciasse toccare il
figlio. Invece, con sua celata sorpresa, vide la sua mano raggiungere
tranquillamente i capelli del piccolo, e glieli accarezzò
teneramente.
Suo
figlio, suo figlio.
Lentamente,
l’uomo lasciò la presa, e
fece per allontanarsi, quando Hikaru alzò il volto,
chiamandolo.
-J-Jun!-
Questo
si girò a guardarlo, notando che
il bambino aveva gli occhi arrossati.
-Ci
possiamo vedere ancora?-
L’uomo
non rispose, ma portò per un
attimo lo sguardo la donna, la quale acconsentì con un cenno
della testa.
-Certo
piccolo. Quando vuoi.-
Hikaru
sorrise, e maggiormente
sollevato, Jun uscì dalla casa.
**
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Capitolo 8 *** Intervallo ***
Intervallo
Before…
Yayoi
sbatté la cornetta del telefono
con cattiveria, chiudendo la comunicazione e stringendo i denti, i
lunghi
capelli rossi erano sciolti sul volto particolarmente pallido: aveva
appena
litigato con Sanae, non ce la faceva più a sentirsi dire
cosa doveva e non
doveva fare, si era stancata.
Basta
… era finita, voleva farla finita.
Si
portò una mano sulla bocca, e cercò
di non fare rumore mentre singhiozzava, le spalle si scossero, la
schiena si piegò
in avanti, l’altra mano si aggrappò al bordo del
comodino; attorno a lei tanti
scatoloni, pieni zeppi di roba, e tanti altri vuoti o semi-vuoti che
aspettavano di essere riempiti. Stava traslocando, o meglio stava
lasciando
quella casa, senza sapere dove andare.
Ma
lei proprio non ce la faceva più, era
troppo stanca: oramai erano tre mesi che si era divorziata da Jun, era
al sesto
mese di gravidanza e la pancia era ben chiara a chiunque, senza contare
che i
suoi vestiti erano diventati stretti e l’attività
fisica cominciava a diventare
difficile.
E
a quel punto, rendendosi davvero conto
del suo stato di gestante, il panico l’aveva assalita.
Cominciava
a non guardarsi più allo
specchio, ad uscire di casa raramente, ad avvertire quella pancia come
ad un
corpo estraneo che prendeva possesso di lei fino ad annullarla; il
pensiero di
essere incinta si stava tramutando in un incubo, e a questo si
aggiungeva il
senso di smarrimento di non avere accanto Jun.
Jun,
suo marito Jun. L’uomo che non
riusciva a smettere di amare, Jun. Il padre di quella … cosa
che stava
crescendo dentro di lei.
Il
giorno dopo avrebbe avuto l’appuntamento
con il ginecologo, dove avrebbe scoperto il sesso del nascituro, ma lei
non voleva
andarci. Non voleva proprio uscire di casa: voleva potersi svegliare e
ritrovare l’uomo al suo fianco, che magari le chiedeva se
stava bene, se aveva
avuto un incubo, per poi abbracciarla e stringerla, cullandola.
Quanto
avrebbe voluto farsi cullare da
Jun ancora una volta, come quando erano ragazzi, come quando facevano
l’amore e
lei era così imbarazzata che, dopo, arrossiva e quasi non
riusciva a parlare,
ricevendo in cambio quella stretta d’amore dalle braccia del
suo fidanzato.
Yayoi,
ancora in lacrime, provò ad
abbracciarsi lei stessa, a riscaldarsi allo stesso modo, ma aveva la
pelle
fredda, aveva dovuto chiudere gli allacci del gas, e presto sarebbe
rimasta
anche senza luce.
Non
che lei la usasse molto, oramai
viveva sempre al buio: teneva le tapparelle delle finestre abbassate e
le tende
ben chiuse, e pochi raggi riuscivano a bucare
quell’oscurità.
Non
voleva vedere la sua vecchia casa
vuota, quando un tempo era stata piena degl’odori, dei suoni
che erano
appartenuti sia a lei che a suo marito; i mobili le sembravano tanti
scheletri e
spettri che le urlavano contro tutta la sua solitudine.
Il
suo unico rifugio era la camera da
letto, dove niente era stato ancora tolto: il letto aveva ancora le
lenzuola, l’armadio
conteneva ancora i vestiti, nella piccola libreria c’erano
ancora i libri …
“-Gli
devi restituire tutta la sua roba, lo sai
perfettamente!-”
Non
voleva, non se la sentiva.
“-Capisco
che sei a pezzi, ma non fare la bambina,
tu sei in grado di cavartela senza di lui-”
Non
era vero, non era vero.
“-Yayoi!-”
No,
dovevi lasciarla in pace Sanae, ti
prego.
La
donna si portò le mani alle orecchie,
come se davvero l’amica fosse lì e le stesse
parlando faccia a faccia, o meglio
praticamente urlando contro, quelle parole non riuscivano ad entrare
dentro la
testa della donna.
Barcollando,
Yayoi si allontanò da quel
telefono, cercando di scappare da quella sala, per potersi rifugiare
nuovamente
in quella camera, per poter di nuovo nascondersi in quelle lenzuola,
respirare
quegl’odori, perdersi in quei ricordi.
Faceva
fatica, si sentiva pesante, era
in lacrime, e nell’oscurità non si accorse della
sedia del tavolo da pranzo,
sbattendoci contro e finendo a terra con un pesante tonfo, battendo la
spalla a
terra; un dolore lancinante la fece gemere con forza, e le sue mani
cercarono
il punto dolorante, tastandosi anche il resto del corpo, compreso quel
rigonfiamento.
Alzò
la testa verso l’alto, oramai era
in preda all’angoscia: era incinta, aveva dovuto lasciare il
lavoro per quel
motivo, ed era sola, si sentiva disperatamente sola. E nel suo egoismo
lei non
voleva Sanae, ma Jun; voleva che quelle braccia forti la sollevassero
da terra
e l’aiutassero a stare meglio, che la stringessero e la
facessero sentire di
nuovo bene.
Ma
lui non c’era, se n’era andato, non
la voleva più. Era tutto colpa sua, era lei
l’unica responsabile di tutto
quello che stava accadendo: suo marito aveva divorziato per colpa sua,
perché lui
si era stufato di lei, era incinta perché non aveva fatto
attenzione, perché
era una stupida; aveva lasciato il lavoro perché era un
incapace.
Era
una grassona abbandonata.
Pian
piano il pianto cominciò a
rallentare, le mani abbandonarono la pancia, e lentamente la donna si
rialzò in
piedi, la sua voce interna le gridava che sembrava un ippopotamo, una
grassa
foca, una balena spiaggiata; lentamente si alzò in piedi, e
quella voce
continuava a gridarle che era sola, che era colpa sua, che non meritava
l’affetto
di nessuno.
Avrebbe
dovuto abortire.
Era
l’unica soluzione possibile a tutti
i suoi problemi.
Si
sentiva male, le sembrava di avere la
nausea, ma continuò a trascinarsi verso la camera da letto,
la voce interna
continuava a gridarle ogni genere d’insulto e offesa che
potesse immaginarsi, e
a ricordarle quanto fosse un inutile peso quella pancia, di come fosse
colpa di
quella pancia il suo stato, di come doveva sbarazzarsene.
Si
abbandonò sul materasso, i lunghi
capelli si sparsero in una corona di fuoco, e i suoi occhi lentamente
si
chiusero, oramai le sue iridi castane si erano impregnate di quella
oscurità,
diventando completamente nere, gonfie di lacrime, e vuote, come se la
sua anima
se ne fosse andata da quel corpo.
Respirava
piano, rallentando lentamente,
fino a quando non si addormentò.
Una
storia d'amore
E' soprattutto una questione di verità
L’oscurità
penetrò il suo vestito,
dentro la pelle, raggiungendo le vene, e da lì
cominciò ad entrare in tutto il
suo corpo; la voce, nella sua testa, si fece sempre più
fioca, le offese
cominciarono a scomparire, fino a quando non ci fu il silenzio
assoluto, e Yayoi
sentì che lì si stava davvero bene, che da quel
posto non se ne sarebbe mai
voluta andare.
Non
c’era la realtà che martellava sulla
sua porta di casa. Non c’era nemmeno una porta di casa.
Era
un universo oscuro, ma caldo, dove
lei vi era infusa e ne faceva parte; sentì di non poter
riuscire a muovere
nemmeno un dito, ma non era una sensazione fastidiosa, anzi al
contrario, adesso
poteva rilassarsi, poteva riposare. Nessuno l’avrebbe
cercata, nessuno l’avrebbe
disturbata.
Nessuno
… nemmeno Jun …
E
per entrare
Direttamente nel mio letto e nel mio cuore
Dovrai imparare
A
quel pensiero, Yayoi riaprì gli occhi,
e vide qualcuno inginocchiato verso di lei; sapeva chi era, e ne
cercò subito
gli occhi, quei grandi e bellissimi occhi nocciola. Quando li
trovò, però,
sentì come se la realtà stesse tornando
prepotente: lo sguardo dell’uomo era
si, affettuoso come sempre, ma non v’era
nient’altro, alcun barlume nell’incrociare
gli occhi della donna. Niente.
Lei
si mise in ginocchio, continuando a
guardarlo, e allungò una mano, arrivando a sfiorare quel
volto, con le lacrime
che minacciavano di nuovo di uscire dai suoi occhi, tanto che li
strinse e
digrignò i denti, in una smorfia addolorata, chiedendo
mentalmente il perché a
Jun.
Perché
l’aveva lasciata? Davvero non c’era
più possibilità di cambiare?
Davvero
tutto quel tempo passato insieme
non era servito a niente?
Possibile
che non fosse stato sufficiente?
Possibile
che lei dovesse rinunciare a
lui? All’amore per lui?
Lei
lo amava, con tutte le sue forze: lo
amava così tanto che avrebbe fatto tutto per lui, qualsiasi
cosa. Bastava che
glielo dicesse cosa fare, e l’avrebbe fatto, senza esitare.
“Mamma”
La
donna avvertì il cuore batterle.
Ma
no, un momento, non era il suo cuore:
il battito era venuto più in basso, molto più
basso del suo petto. Era venuto
dalla sua pancia.
“Mamma”
Di
nuovo, e Yayoi si portò una mano sul
ventre, da dove aveva sentito battere. La … la stava
chiamando?
Ma
lei non era … non era in grado di
farlo.
“Mamma”
No,
no stava sbagliando, lei non poteva
fare questo, da sola non poteva farcela; alzò lo sguardo,
per avere l’appoggio
di Jun, ma non era più inginocchiato di fronte a lei.
Adesso
era lontano, parecchio lontano, e
se ne stava andando, senza voltarsi indietro, a passo sicuro, veloce;
spaventata, Yayoi si alzò in piedi, e tentò di
correre verso di lui, provando a
chiamarlo, la sua voce non usciva fuori dalla gola mentre le lacrime
correvano
fin troppo svelte sulle sue guance.
Ti
non abbandonarla, non lasciarla sola,
non poteva mettere al mondo quel figlio, non poteva!
“Mamma”
Non
la sentivi la sua voce? La voce di
quella creatura? Perché non la udivi? Era lì!
“Mamma”
Alla
fine Yayoi si fermò, guardando Jun
scomparire nell’oscurità, e le parve che una luce
fosse scomparsa, che adesso
non potesse più orientarsi, non potesse più
uscire fuori da quel mondo. Quello che,
fino a cinque minuti prima, le era sembrato un luogo caldo e
confortevole,
adesso si stava rivelando una prigione, dalla quale lei non poteva
uscire. Di colpo
si rese conto della sua vera solitudine.
Ripensò
a Sanae, a tutte le sue severe
ed accorate telefonate, ed a tutte le volte che lei era arrivata al
limite della
nevrosi per niente, per l’affetto di un’amica; e di
colpo gli scatoloni della
sua casa non sembravano più bombe pronte ad esplodere, o
esseri orribili che la
volevano distruggere, ma pezzi di vita di cui non sapeva più
che fare: vivendo costantemente
all’ombra di Jun aveva raccolto di tutto, e ora di quelle
cose non sapeva che
farsene, e non se ne liberava … perché avevano
fatto parte di quella piccola
vita, durata più o meno cinque anni, in cui aveva vissuto
con l’uomo.
Ma
lei aveva davvero vissuto? Guardò
l’oscurità
attorno a sé, e le sembrò di vedere quello che
era diventata.
“Mamma”
…
come poteva chiamarla in quel modo? Non
vedeva in che razza di posto sarebbe venuto al mondo? Colei che
chiamava madre
non aveva niente da dargli, nient’altro che buio.
Con
amarezza, la donna accarezzò il
ventre, e all’improvviso dalla pelle della pancia
cominciò ad uscire un
bagliore, qualcosa di caldo e tenero, che la lasciò senza
parole.
Dovrai
imparare a
restare
Anche quando il tuo tempo sta per finire
Ed il pretesto sarà il mio nome
“Mamma,
mettimi al mondo!”
-…
ma non ho niente da darti.-
E
nuovamente, la donna accarezzò la
pancia, cominciando a parlare alla voce, a quel battito cardiaco che,
ad ogni
carezza, si faceva più forte, più deciso mentre
quella luce diventava sempre
più calda, soffusa.
-Questa
mamma … non ha da offrirti
niente: tuo padre se n’è andato, devo lasciare la
casa dove vivevo, non ho un
lavoro e pertanto non ho abbastanza soldi per la fine
dell’anno.
Che
cosa ti può dare una mamma che non
ha niente?-
Non
sentì alcuna risposta, e la donna
sospirò, scoraggiata: forse era davvero meglio abortire.
Meglio per il bambino,
non meritava una persona del genere. Avrebbe vissuto nella sofferenza.
“Mamma,
tu mi ami?”
Rimase
molto sorpresa dalla domanda, la
sua mano era rimasta sul suo ventre, e rispose di getto, senza starci
troppo a
pensare.
-Ma
certo che ti amo.-
“Anche
se non mi vedi?”
-Ovviamente.-
“Perché?”
-Come
perché? Perché sei mio figlio, sei
stato generato dal mio corpo. Ti amo a prescindere.-
“E
se divento una persona cattiva?”
-Non
lo diventerai.-
“Perché?”
Era
davvero un bambino, con la curiosità
tipica dei bambini, con tutte quelle domande che mettevano in
difficoltà Yayoi,
già affaticata per sé, adesso doveva pure trovare
delle risposte a quell’interrogatorio.
Però,
nonostante la stanchezza, non
pensò di mettere a tacere quella voce, ma anzi rispose con
decisione,
sforzandosi al massimo.
-Perché
la mamma sarà con te, e ti
aiuterà sempre: la mamma non ti lascerà mai solo,
quando piangerai sarò lì a
consolarti, quando riderai sarò li a ridere con te, quando
ti arrabbierai sarò
li a chiederti il perché e a cercare di calmarti.
Ti
sosterrò nelle tue scelte, ti aiuterò
nelle difficoltà. e quando ti sentirai scoraggiato,
sarò lì … e … ti
vorrò
bene.-
Pian
piano, mentre stava rispondendo, la
donna si rese conto delle sue stesse parole, della forza contenuta in
esse, e
le venne da piangere, commossa, sollevata: forse il suo cuore non era
vuoto,
forse lei non era così inutile come credeva. Forse
c’era ancora qualcosa che
poteva fare.
Nel
frattempo, la luce nel suo ventre si
era fatta più forte, e all’improvviso
sentì, oltre al battito cardiaco, anche
una risata, felice, del suo bambino. E poi nuovamente la voce.
“E
allora mettimi al mondo, mamma!”
E
la donna toccò la sua pancia, per poi
abbracciarla, sorridendo commossa, avvolta nel calore e nella
luminescenza di
quella luce; a quel gesto fu come se esplodesse una stella, e
l’oscurità fu spazzata
via da una vampa dorata.
Quando
Yayoi riaprì gli occhi, si trovò
in un grande spiazzo, con davanti a sé gli alberi di un
parco, e dietro il
rumore di altalene che ondeggiavano; sopra di lei c’era un
cielo terso, limpido,
con poche nuvole bianchissime. Alzò lo sguardo, e rimase a
bocca aperta a tale
spettacolo. Abbassò lo sguardo, e si accorse che teneva in
braccio qualcosa.
O
meglio … teneva in braccio qualcuno.
-…
Hikaru?-
Aveva
sempre desiderato chiamare il suo
primo figlio così, fosse stato maschio o femmina: lo trovava
un nome carico di
speranze, di promesse, di strade che la sua creatura avrebbe potuto
percorrere
per raggiungere la felicità. Per questo lo chiamò
in quel modo, senza starci a
pensare.
Il
bimbo si staccò a sufficienza per guardarla,
aveva tenuto le braccia attorno al collo della madre e si era
appoggiato alla
sua spalla; due grandi occhi nocciola, adornati da capelli rossicci, la
guardavano luminosissimi, come se dentro quel piccolo corpo ci fosse
nascosta
davvero una stella, o comunque una fonte luminosa.
Lo
guardò incredula, e lui di rimando le
sorrise, un sorriso bellissimo, che la commosse.
-Mamma!-
Lei,
incapace di dire altro, lo strinse
di nuovo a sé, respirando a fondo per non piangere ancora,
adesso non ne aveva alcun
bisogno: suo figlio era lì, tra le sue braccia, sarebbe
andato tutto bene, l’avrebbe
protetto lei, se ne sarebbe presa cura.
Si
sarebbe presa cura di Hikaru, suo
figlio …
-Papà!-
…
e il figlio di Jun.
Yayoi
si voltò verso il bimbo, e lo vide
allungare le braccia dietro le spalle della donna; questa si
girò, e si vide di
fronte … Jun.
Lo
guardò dritto negl’occhi,
aspettandosi di trovare lo stesso affetto oggettivo di quelli che
sembravano
anni prima; invece era diverso, tutto il mondo della donna era diverso,
ed era
diverso anche quell’uomo, il suo sguardo.
C’era
affetto, ma molto altro ancora,
talmente tante emozioni tutte insieme che Yayoi non seppe dare un nome
a tutte;
ma di sicuro, quando guardava lei, c’era qualcosa di
profondo, talmente tanto
da farla arrossire d’imbarazzo, mentre Hikaru allungava le
piccole braccia
verso il padre, chiamandolo allegro.
-Papà,
papà!-
Lei
guardò il bambino, e per un attimo
le si gelò il sangue: loro erano comunque divorziati, e se
gli avesse portato
via il bambino? Non voleva, non ci voleva tornare in quel buio. Ma se
Hikaru,
invece, avesse voluto andare con lui?
Guardò
il bambino che teneva fra le
braccia, e strinse i denti, cercando di non farsi prendere dallo
sconforto:
dopotutto era una scelta di suo figlio, e lei doveva rispettarla fino
in fondo.
Pertanto, quando Jun fu davanti a loro, la donna porse il bambino
all’uomo, il
quale lo prese con incredibile bravura, sorridendogli affettuoso.
Yayoi
stava per fare un passo indietro e
allontanarsi, quando suo figlio si rivolse a lei.
-Mamma!
Mamma, mamma!-
Lo
guardò, stupita da tanta insistenza,
e lo vide allungare le braccia nuovamente, stavolta verso di lei; la
donna si
sporse, e il bimbo le passò il braccio attorno al collo,
cercando di spingerla
verso di sé, strusciando il suo volto contro il suo.
-Ti
voglio bene mamma.-
-…
e la mamma ne vuole a te, Hikaru.-
E
sorrise, sollevata, accarezzandogli
una guancia.
-Ti
amo Yayoi.-
Alzò
lo sguardo verso Jun , sorpresa. E
poi sorrise di nuovo, questa volta accarezzando la guancia
dell’uomo.
-E
io amo te. Vi amo entrambi.-
Si
strinse a loro, con tutte le sue
forze. E poi si svegliò.
Imparerai
l'amore
Sbatté
gli occhi confusa, rendendosi
conto che era ancora immersa nel buio, muovendo a fatica la testa verso
la
sveglia sul comodino. Erano le cinque di pomeriggio, aveva dormito per
tutto il
giorno.
Lentamente
la donna si mosse, e
nuovamente si rese conto del suo ventre rigonfio, ricordandosi che era
caduta
parecchie ore prima; ansiosa, tastò la pancia, controllando
se sentisse dolore,
che fosse tutto a posto. Apparentemente sembra tutto normale, ma il suo
cuore
non si calmava, perciò si alzò in piedi, aprendo
le tapparelle per cercare uno
stetoscopio.
Rimase
quasi accecata dalla luce
arancio-dorata del tramonto, e aprì le tende e
spalancò le finestre, sentendo
che l’aria era soffocante; dopodiché
uscì fuori, nel salotto, e anche lì era
tutto buio.
Aprì
le tapparelle, scostò le tende,
spalancò le finestre, e s’inginocchiò
verso uno degli scatoloni, strappandogli
via lo scotch e cercando lo strumento medico tra i vari libri di
medicina.
Quando
lo ebbe in mano si sedette a
terra, se lo mise alle orecchie, e cominciò a verificare,
pregando con tutte le
sue forze di sentirlo battere.
E
lo sentì: un piccolo cuore che, oltre
la sua pelle, nel liquido amniotico, stava battendo.
Fece
un respiro di sollievo, e poi si
fermò un attimo, rendendosi conto che stava sentendo il
battito cardiaco … di
suo figlio; ascoltò con maggiore attenzione, e
notò che era veloce, che non era
pesante come il suo, ma leggero, allegro, come se si stesse divertendo,
come se
… fosse felice.
La
donna, lentamente, si tolse lo
stetoscopio, e accarezzò la pancia, sussurrando.
-Ehi,
Hikaru. Grazie. Hai fatto bene a
sgridare la mamma. Osta la mamma sta meglio. Ti prometto …
che andrà tutto
bene.-
Le
parve quasi di sentire un movimento,
e si arrestò emozionatissima.
Poi
il telefono ruppe l’incantesimo,
obbligandola ad alzarsi e ad andare a rispondere.
-Pronto?-
>Yayoi?
Sono Sanae. Ascoltami prima
di riattaccare: mi dispiace tantissimo di averti urlato ieri, ma
davvero sono
molto preoccupata per te, non voglio che resti sola.
Già,
era vero: non poteva restare sola,
aveva avuto un attacco depressivo. Non poteva permetterselo, non dopo
che
Hikaru l’aveva tanto pregata di metterlo al mondo; doveva
proteggerlo, anche da
se stessa, era sua madre, no?
-Sanae,
hai ragione. Ho bisogno di
aiuto.-
Ok!
Questo è un capitolo speciale, un extra. Torneremo con il
prossimo capitolo di
nuovo nel flusso temporale di Opera in Musica, ma volevo tanto
delineare il
rapporto che c’era tra Yayoi e Hikaru, il rapporto tra una
madre e un figlio:
personalmente ritengo che ci sia molto di più, io ho solo
guardato la
superficie, anche perché parliamo di un legame profondamente
fisico e
spirituale.
La
canzone è “L’amore si impara”
scritta da Roberta di Lorenzo e interpretata da
lei e dai Sonohra.
Ci
vediamo al prossimo aggiornamento, baci!
**
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Capitolo 9 *** Sillabato: Falstaff ***
Sillabato:
Falstaff
Uno
dei più grandi piaceri quotidiani di
Yayoi era poter svegliare suo figlio la mattina: fin da quando era
nato,
infatti, era sempre stato un bambino che di notte faceva ben poche
storie, e
quando la donna si sporgeva per controllare, la mattina presto, sul
lettino, il
piccolo apriva gli occhietti, si girava verso di lei, seguendo la voce,
e poi
faceva il suo sorriso contento.
A
quel punto la madre allungava le
braccia, e se lo stringeva al petto.
Adesso
Hikaru era cresciuto, ma come
sempre la mattina si alzava in piedi, e senza fare rumore entrava nella
piccola
camera, il loro appartamento non era di certo una reggia, ma era
sufficiente
per starci loro due; pian piano si sedeva sul materasso del lettino, e
si
sporgeva a dargli una bacio sulla fronte, accarezzandogli i capelli
scombinati.
Era
un rituale a cui lei non rinunciava
mai, nemmeno quella mattina, nonostante la discussione avuta la sera
prima con
il suo ex-marito; anzi, proprio perché era successo quello
che era successo,
aveva bisogno di sentire ulteriormente la presenza di suo figlio.
Lo
vide, come sempre, aprire gli occhi
verso di lei, e gl’offrì il suo sorriso del
buongiorno, concedendosi quel
giorno di dargli addirittura un secondo bacio, guardandolo poi
sfregarsi gli
occhi prima di alzarsi dal materasso, andando ad aprire le imposte
della
finestra della camera, il sole stava diventando più forte, e
il meteo aveva
annunciato il fiorire dei ciliegi in anticipo di una settimana.
Un
raggio creò un piccolo sentiero sul
pavimento della stanza, andando in direzione del corridoio; Yayoi si
affacciò
fuori dalla finestra, e notò che anche altri alberi avevano
iniziato a fiorire
in anticipo.
Quando
riportò lo sguardo sul figlio, lo
vide seduto sul suo letto con lo sguardo ancora spento, e
affettuosamente la
donna si sedette accanto a lui, accarezzandogli i capelli e
osservandolo bene:
aveva l’aria ancora addormentata, ma ben presto la madre si
accorse che gli
occhi del figlio erano anche pensosi, molto pensosi.
-Ehi,
cosa c’è? Non stai bene?-
Lui
scosse la testa, continuando a
guardare verso la coperta che gli copriva le gambe. Quella silenziosa
risposta
cominciò a preoccupare leggermente Yayoi, e cercò
di usare un tono di voce il
più allegro possibile.
-Allora
forza, giù dal letto e a lavarsi
i denti, che se no facciamo tardi!-
Hikaru
alzò il capo verso di lei, e per
un momento la donna ricordò il volto di Jun,
quell’espressione incredula e
ferita che aveva avuto mentre le aveva ricordato che non era stato solo
lui che
aveva rovinato tutta la situazione; gl’occhi nocciola del
figlio erano, allo
stesso modo, afflitti.
-Amore,
cosa c’è? perché quello sguardo
triste?-
-…
a te non piace Jun, vero mamma?-
Al
contrario: quando l’aveva rivisto,
dopo tanto tempo, così vicino a lei, per un attimo il cuore
l’era tremato,
perché sebbene il suo sguardo e il suo atteggiamento fossero
mutati, per la
donna lui rimaneva sempre il suo amore più grande, quello
che non si riusciva a
cancellare nonostante il tempo. E dopotutto il figlio era la prova
vivente di
quell’amore.
-Ma
no, certo che mi piace tesoro.-
-Perché
avete litigato, allora?-
Yayoi
s’irrigidì leggermente: non era
per lui, ne perché non si piacevano. Ma come spiegare ad un
bambino che cinque
anni prima lei aveva nascosto a Jun di lui, e che adesso la situazione
era
diventata molto difficile?
-…
vedi tesoro … molto tempo fa io e Jun
non ci siamo detti la verità per paura, almeno per la mamma
è stato così. E ancora
adesso la mamma ha un po’ paura di parlare con Jun, per
questo abbiamo
litigato.-
No,
decisamente lui non capiva, e si
vedeva dal suo volto. La donna si preparò ad una mattinata
difficile, mentre
prendeva il figlio in braccio per portarlo in bagno a lavarsi e
prepararsi.
-Perché
hai paura di Jun, mamma?-
Non
era l’uomo che le faceva paura, ma i
sentimenti che le provocava quell’uomo: dall’amore
incondizionato verso di lui
all’odio più feroce verso di lei e alla sua
incapacità di essere stata decisa
nel momento più importante; dal desiderio che le cose
tornassero a posto tra
loro due alla testardaggine della donna di voler pretendere per lo meno
delle
scuse da parte dell’uomo.
-…
perché vedi amore, la mamma vorrebbe
far pace con Jun, ma teme che lui sia ancora arrabbiato con lei e che
quindi
non accetti le sue scuse.-
-Jun
è arrabbiato con te? Perché?-
La
donna osservò il figlio prendere lo
spazzolino e fare tutto da solo, dalla prima volta che lei glielo aveva
insegnato, Hikaru era diventato capacissimo di fare tutte quelle
operazioni
senza alcuno aiuto; Yayoi si passò una mano tra i capelli,
sedendosi per terra,
per il momento li stava tenendo sciolti, al lavoro poi li avrebbe
sistemati.
-Perché
la mamma ha fatto una cosa
brutta, tesoro: la mamma ha detto una bugia a Jun.-
“Nascondere
la verità” era un concetto
ancora lontano per il bambino, e per il momento gli aveva spiegato che
mentire
non era mai bello o utile, mai. Di fatti lei ne stava subendo le
conseguenze.
Hikaru,
intanto, era rimasto con lo spazzolino
nella bocca aperta, occhi pieni di sorpresa a quella scoperta, e
imbarazzata la
donna sorrise.
-Vedi
che anche la mamma sbaglia?-
Lui
si lavò velocissimo di denti,
sputacchiando in malo modo nel lavabo, a cui ci si aggrappava dato che
era
ancora un po’ piccolo per arrivarci, e dopo aver lavato lo
spazzolino, le mani
e la faccia, si avvicinò alla mamma e si sedette a terra con
le ginocchia
strette al petto, nella stessa posa di Yayoi, quasi a specchio. Il
piccolo
parlò a voce bassa, quasi a non volersi farsi sentire da
qualcuno.
-Perché
l’hai fatto?-
Quando
Hikaru rivelava la bugia alla
mamma, questa s’inginocchiava verso di lui e gli parlava a
bassa voce, dandogli
la sicurezza che quel loro segreto non l’avrebbe detto a
nessuno; pertanto,
quando lui si comportò in quel modo, Yayoi si
sentì divertita e commossa, e
accarezzò i capelli scombinati del figlio, parlandogli a
bassa voce.
-Perché
si trattava di una cosa molto
importante, e la mamma ha avuto paura, come te tesoro.-
Lui
abbassò lo sguardo, pensando bene a
quello che lei aveva detto, ed annuì gravosamente, facendo
sorridere la donna,
la quale sciolse lentamente la posizione, allungando le gambe e
permettendo al
figlio di appoggiare la testa sul suo grembo, mentre lei continuava ad
accarezzargli il capo.
-Però
a te dispiace di averlo fatto?-
-Certo
che mi dispiace! Le bugie sono
sempre brutte, sempre.-
-Allora
gli chiederai scusa?-
La
donna, allora, fermò le carezze,
incerta: era lei che voleva le scuse dell’uomo, ma allo
stesso tempo era dalla
parte del torto forse più di lui. Di questo passo,
rifiutandosi di fare il
primo passo, rischiava di non avere più la vita serena che
desiderava per suo
figlio; doveva farlo per lui, perché lui aveva il diritto
… di essere felice
con suo padre.
-Certo
che gli chiederò scusa.-
-Promesso?-
La
donna alzò una mano, chiudendo le
dita e lasciando alzato solo il mignolo.
-Promesso.-
Hikaru
fece lo stesso gesto, e i due
s’intrecciarono i mignoli.
-E
adesso in piedi! Devi vestirti e ti
devo pettinare i capelli.-
-No
i capelli noo!!-
-Ah,
dove scappi? Torna qui!!-
E
Yayoi cominciò a rincorrere Hikaru per
tutta casa, riuscendo alla fine ad acchiapparlo e a sollevarlo da
terra, con
una grande risata da parte del bambino, che si lasciò di
nuovo trascinare in
bagno a farsi pettinare.
-Oggi
pomeriggio la mamma è impegnata,
lo sai?-
-Si,
lo so.-
-Farai
il bravo e mi aspetterai all’asilo?-
Il
bimbo annuì, ma la donna sentì
chiaramente che questa cosa non andava bene: lasciarlo solo
all’asilo, farlo
aspettare più di un’ora, le sembrava di
abbandonarlo, ma non aveva la minima
idea di come risolvere quella situazione.
Poi,
immediatamente, la soluzione le
apparve chiara in testa, e si bloccò dal pettinarlo,
permettendogli di sfuggire
da lei per correre a cambiarsi.
Già,
era così semplice … eppure pensarci
le faceva venire una tale ansia.
-Mamma!!
Mi aiuti?-
-Ah,
arrivo tesoro.-
Non
aveva altra scelta. Era per suo
figlio.
“Lo
farò per te, Hikaru.”
Matilde
verificò il numero di pazienti
di quel giorno, riscoprendo un paio di nomi che non si aspettava,
l’ultima
volta che li aveva avuti in cura erano letteralmente fuggiti, e non per
colpa
sua; verificò l’agenda del suo cellulare, aveva
scritto in rosso l’appuntamento
con Yayoi, ma non avrebbe avuto problema di accavallamenti.
Ripensando
alla donna non poté evitare
di pensare al Jun e al suo appuntamento misterioso, chissà
chi aveva
incontrato, e soprattutto chi era il personaggio misterioso che gli
aveva dato
quella felicità infantile, che raramente gli aveva visto.
Quel
giorno lo avrebbe stuzzicato un
po’, giusto per divertirsi.
>La
dottoressa Cecconi è attesa dal
dottor Misugi. La dottoressa Cecconi è attesa dal dottor
Misugi.
Un
brivido passò sulla base del collo
della donna, di colpo aveva fermato il suo passo veloce, ascoltando
quasi
incredula la voce dell’altoparlante, e per un momento il suo
istinto le urlò di
scappare a gambe levate, che una cosa del genere era solo sinonimo di
guai.
Tuttavia
la donna, per la prima volta,
non ascoltò quell’istinto, ma riprese a camminare
più lentamente, salendo le scale
verso l’ufficio e stringendo al fianco la cartella con le
schede dei suoi
pazienti, trovando la porta dello studio di Jun chiusa. Brutto segno,
di solito
la lasciava sempre aperta.
Bussò
con estremo rispetto, e sentì l’
“avanti” dell’uomo fin troppo
chiaramente; la voce di lui le diede una scarica
di brividi che, per qualche istante, paralizzò le sue gambe
e le sue braccia,
tanto che le fu molto difficile mettere la mano sul pomello e girare la
maniglia, aprendo così la porta. Nel fare tutto
ciò, ebbe la sensazione di fare
uno scempio al suo stesso corpo.
Stavolta
sentiva fin troppo bene il campanello
d’allarme riecheggiarle in testa, e quando non vide la figura
di Jun rimase
ancora più bloccata.
-Mi
hai chiamato?-
-Chiudi
la porta.-
Secco,
atono, che le dava le spalle
seduto sulla sua poltroncina dietro la scrivania; Matilde
obbedì silenziosamente,
restando però accanto alla via di fuga.
-Siediti.-
Obbedì
nuovamente, il passo ancora più
lento di quando era salito sul piano per raggiungere lo studio; si
accomodò
sulla poltroncina, ma ebbe la sensazione che fosse rivestita di chiodi,
ci si
trovò immediatamente scomoda, e stava per sistemarsi quando
Jun si girò di
scatto, sempre seduto sulla sua poltroncina, e la guardò
dritta negl’occhi con
uno sguardo gelido.
-E
ora parliamo.-
Sarà
stato il tono con cui l’aveva
detto, sarà stato il suo sguardo, fatto sa che, in qualche
modo, nel suo
meccanismo interno Matilde riuscì a schiacciare il bottone
“autodifesa”, e
subito prese un profondo respiro che le calmò il battito
cardiaco, sporgendosi
dalla sedia e poggiando i gomiti sulla scrivania dell’uomo,
senza alcuna remore
di mantenere il contatto visivo.
-Non
ne vedevo l’ora. Di cosa vuoi
parlare?-
-Di
te. E della tua stronzataggine.-
-Argomento
molto interessante. Prego,
esplicalo.-
-Molto
bene: tu, Matilde Cecconi, sei
una stronza bugiarda, che non solo s’impiccia dei miei affari
personali, ma
oltretutto non mi passa informazioni molto importanti che potrebbero
evitare al
sottoscritto situazioni spiacevoli.-
La
formulazione risvegliò tutti e due i
lobi cerebrali della donna, la sua mente si era messa già in
moto a formulare
la teoria.
Se
diceva questo c’erano solo due
spiegazioni: o era riuscito ad incontrare Yayoi e lei gli aveva
rivelato tutto,
anche del figlio, oppure aveva scoperto della donna e del figlio
tramite terzi
e adesso non aveva idea di come approcciarsi con loro.
Delle
offese personali lei non se ne
curava, l’era stato anche molto di peggio dai suoi stessi
pazienti e anche da
terzi di cui non ne aveva saputo più niente, pertanto le
parole di Jun le
scivolarono addosso come acqua.
-Teoria
molto interessante. E dimmi,
quali sarebbero le tue prove?-
-Il
fatto che, parlando con la mia
ex-moglie, sono venuto a sapere che tu eri a conoscenza non solo della
sua
effettiva presenza alla clinica, ma anche dell’esistenza di
mio figlio Hikaru.-
-Ah,
si chiama cos? Che bel nome! E l’hai
conosciuto? Com’è? Sai, non ho avuto ancora modo
di vederlo …-
-Non
mi prendere per il culo!-
Quickly
(inchinandosi e interrompendo Falstaff)
Reverenza. La bella
Alice...
Falstaff (alzandosi
e scattando)
Al diavolo te con
Alice bella!
Ne ho piene le
bisacce!
Ne ho piene le
budella!
Quickly
Voi siete errato...
Jun
aveva sbattuto le mani sulla
scrivania, e si era alzato in piedi visibilmente irritato; da dietro le
lenti
dei suoi occhiali, Matilde non mosse un muscolo, e questo
irritò sensibilmente
l’uomo, che fece molta fatica a non urlare.
-Tu
avevi il preciso dovere di dirmi di
tutto questo!-
-E
dove sarebbe scritta questa regola?-
-Dovrebbe
essere scritta nella tua
coscienza per quanto riguarda la nostra amicizia.-
Era
la prima volta che l’uomo
pronunciava la parola “amicizia” nel suo rapporto
con Matilde, la quale si
limitò ad inarcare un sopracciglio: avevano avuto una
tresca, e poi di comune
accordo erano rimasti colleghi. Dopo un po’ lei aveva
avvertito che il rapporto
era diventato molto più “affettivo”, ma
non notando alcun mutamento
nell’atteggiamento dell’uomo aveva tenuto quella
sensazione per sé.
Adesso
lui la usava come arma per farla
sentire in colpa nei suoi confronti, comodo? Tzé,
principiante.
-La
mia coscienza è perfettamente a
posto con questa situazione.-
-Allora
ha qualche problema …-
-Fammi
parlare. Ho conosciuto Yayoi, è
vero, e te l’ho anche detto che l’avevo conosciuta;
ammetto di averti mentito
quando mi hai chiesto come si chiamava, ma l’ho fatto per
rispetto nei suoi
confronti.-
Jun,
che fino a quel momento aveva dato
la schiena alla donna, come azione di rifiuto a quello che lei avrebbe
detto,
rizzò le orecchie alla novità, e si
girò ancora più infastidito, squadrandola.
-Ti
ha detto lei di non dire niente?-
-No,
al contrario, mi ha persino chiesto
se ti conoscevo.-
E
lì, per un momento, Jun non reagì,
incerto, e Matilde si morse le labbra per non sorridere soddisfatta:
l’uomo
aveva la classica reazione da “Si mi fa piacere,
però devo continuare a stare
incazzato”, aveva distolto lo sguardo, si era passato una
mano in faccia e si
capiva chiaramente che stava facendo lavorare il cervello il
più possibile per
riuscire a formulare una risposta decente.
-E
… e tu cosa gli hai detto?-
-Niente.-
-Matilde
…-
-Te
lo giuro, non ho detto niente, anzi
è stata lei a dirmi che è la tua ex-moglie.-
-E
ti ha parlato anche di Hikaru?-
-Solo
durante una chiacchierata, l’è
uscito fuori senza pensarci, ma allora non sapevo che fosse la tua
ex-moglie. O
meglio, l’avevo intuito ma facevo finta di niente.
E
non guardarmi così, che io non ho fatto
proprio nulla!-
-Per
il momento! Almeno sono riuscito ad
arrivare in tempo, prima che tu potessi combinarmi qualcosa di strano.-
E
a quel punto Jun passò dall’altro lato
della scrivania, di fronte alla psicologa, appoggiandosi e usando anche
un dito
per cercare di avere maggiore autorità
sull’italiana, che a quel punto si era
accomodata sulla sua poltroncina, i chiodi erano magicamente scomparsi.
-Qualsiasi
cosa accada, se scopro che
hai detto qualche cosa di strano a Yayoi, giuro che te la faccio
pagare.-
-Quanta
poca fiducia, non credo che hai
mai avuto problemi del genere con me con le tue relazioni precedenti,
se
possiamo chiamarle tali.-
-Allora
avevo maggior controllo su di
loro.-
-Vuoi
avere controllo sulla vita di
Yayoi?-
Questo
bloccò Jun per la seconda volta
dal parlare, e la donna poggiò comodamente le braccia sui
braccioli della
poltroncina, osservando il comportamento dell’uomo alla
stoccata: dopo qualche
secondo fece una smorfia, quasi una specie di ringhio, passandosi una
mano sui
capelli e alzando lo sguardo verso l’alto.
-Non
ho detto questo, cerco soltanto di
mantenere i rapporti pacifici.-
-Avete
litigato?-
Lui
si trattenne dal rispondere a getto,
lanciando un’occhiataccia alla psicologa, la quale si
limitò a fare spallucce,
come a dire “tanto le cose le so, se non me lo vuoi dire
pazienza.”
Aaah,
quanto non la sopportava quando
faceva così! Anche perché la donna sapeva
perfettamente che l’avrebbe avuta
vinta.
-Di
sicuro scoprire di avere un figlio
non è una cosa facile da accettare, soprattutto scoprire che
la tua ex-moglie
era incinta, prima di divorziare, ma non ti ha detto niente non
è piacevole.-
-Prima
di divorziare?-
-Mi
ha detto che era incinta di tre mesi
quando ha firmato le carte del divorzio.-
-Accidenti,
doveva proprio odiarti se
non ti ha detto niente!-
E
questo era un pensiero che Jun si era
portato dietro fin da quando era uscito da quella casa, la sera
precedente, e
ancora adesso non se ne faceva una ragione: non sopportava che proprio
Yayoi,
la persona che gli era rimasta accanto anche nei momenti più
difficili, gli
avesse rivelato tutta la rabbia e … l’odio
effettivo nei suoi confronti. Non lo
sopportava … perché sapeva che era sincera.
Un
muro con un piccolo spiraglio, grande
abbastanza da farci passare Hikaru.
E
quel bambino … era assolutamente la
cosa più incredibile che gli fosse capitata tra capo e
collo, ancora non poteva
crederci che una parte di lui era dentro quella creatura, fragile e
innocente
quanto matura e forte.
Oltretutto
quella notte, quando stava
per addormentarsi pensando proprio a suo figlio, un pensiero
agghiacciante lo
aveva svegliato, lasciandolo insonne per molte ore: Hikaru …
era sano? Se
davvero era suo figlio, forse … no, non poteva proprio
pensarci, non se lo
sarebbe mai perdonato.
Matilde
osservò in silenzio i mutamenti
emotivi di Jun, accorgendosi subito che c’era qualcosa che
pesava sulla coscienza
dell’uomo: il suo volto si era adombrato, e quello stesso
dito che fu puntato
contro di lei adesso era ben nascosto, assieme al resto della mano,
dentro la
tasca del suo camice; gli occhi erano rivolti altrove, la sua
attenzione persa
nei suoi pensieri.
-Pensi
a lei?-
Glielo
chiese a voce bassa, per non interrompere
il flusso, e lui strinse leggermente le palpebre, nelle orecchie di Jun
risuonavano le parole di Yayoi, e nella sua mente tornavano, come
fantasmi,
quegl’occhi pieni di rabbia e sofferenza.
Eppure,
quegli stessi occhi, erano come
quelli sul volto di Hikaru, ma luminosi e felici, e ora che ci pensava
bene l’uomo
capiva perché, ogni volta che guardava quel bambino
sorridere, la mente gli
giocava quel tiro mancino e gli proponeva il volto felice di una
giovane
ragazza dai capelli rossi che non riusciva a togliersi dalla testa.
-Lui
… Hikaru … le assomiglia
tremendamente.-
-Credo
che Yayoi pensa lo stesso
pensando a te.-
Jun
si voltò a guardare Matilde,
sorpreso.
Lei
si era sporta dalla sedia, e i suoi
occhi non lo osservavano come una cavia, ne avevano quella solita aria
da
stronza; anzi erano tremendamente … onesti, come lo erano
state le sue parole. Per
tanto, lui si sentì in imbarazzo, e scostò lo
sguardo mettendo il broncio.
-Non
attacca, io non mi sono dimenticato
del nostro discorso.-
-Oh
nemmeno io, sta tranquillo.-
E
la donna tornò a poggiarsi sullo
schienale, questa volta intrecciando le dita e poggiandole sulle gambe.
-Insomma,
cosa vuoi che faccia? Che non
parli di te? … che ti parli di lei?-
-Dubito
che faresti quest’ultima cosa,
conoscendo il gusto che provi a farmi tribolare.-
-Tribolare,
che parolona! Comunque hai
ragione, non lo farò, ma non per quello che pensi tu:
è il giuramento d’Ippocrate
a fermarmi.
Ricordi?
“Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio
esercizio o anche fuori
dell'esercizio sulla vita degli uomini, tacerò
ciò che non è necessario sia
divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.”-
E
Matilde era una psicologa.
Jun,
immediatamente, la guardò negl’occhi,
sperando che quello fosse una specie di scherzo; purtroppo, la donna
sembrava
essere fin troppo seria nel restituirgli lo sguardo.
-Yayoi
sta male?-
-Non
lo so ancora, e comunque non lo
verrei a dire a te.-
-E
perché mai?!-
-Perché
tu non sei più suo marito, Jun. O
sbaglio?-
Gli
pesava prendere coscienza di questo:
quando aveva firmato le carte, parecchio tempo prima,
all’uomo era sembrata la
cosa più giusta da fare, come si era sempre ribadito ogni
volta che ci
ripensava, e questo gli succedeva molte volte. Ma sempre alzava gli
occhi al
cielo e prendeva un respiro profondo, e si auto convinceva che
ripensarci era
inutile, e che bisognava andare avanti.
Adesso,
però, non guardarsi indietro era
diventato impossibile.
Matilde
prese in mano le redini della
situazione.
-Anzi,
mi sorprende questo tuo interesse
nei suoi confronti: dopotutto sono cinque anni che non vi sentite,
giusto? Mi sembra
un po’ ipocrita, da parte tua, interessarti a lei solo adesso
che è di nuovo
qui.-
Jun
lanciò un’occhiata incredula
all’italiana,
la quale però aveva cancellato quell’espressione
amichevole di prima, lasciando
il posto a occhi duri come lame.
-Quali
sono le tue vere intenzioni? Perché
adesso vuoi sapere tutto di lei?-
-Che
domande fai? Perché sono
preoccupato, è ovvio.-
-Oh
certo, è ovvio. Ma per chi sei
preoccupato? Per te? Per lei? O per il bambino?-
Pensò
immediatamente ad Hikaru, a come
quel pomeriggio era passato così bene seduti su quelle
altalene, o quando si
erano conosciuti e avevano condiviso quei biscotti; e poi
ripensò ancora, in
modo ossessivo, a come la donna si era rivolto a lui, a come gli aveva
vomitato
addosso tutte le sue “colpe”, a come lei era
sembrata così ferita e rabbiosa.
Alla
fine pensò a se stesso, a tutto
quel tempo passato senza di lei, senza di lui, senza di loro.
-…
al bambino ovviamente. Sono suo
padre.-
-Scommetto
che se tu non avessi saputo
di lui non ti saresti preoccupato così tanto.-
-Non
cominciare anche tu con questa
storia!-
L’uomo
alzò la voce, e l’italiana colse
la palla al balzo.
-Anch’io?
Ah, ma allora anche Yayoi te l’ha
fatto notare. Ti brucia, non è vero? Ti brucia che ti venga
fatta notare la tua
mancanza!-
-Quale
mancanza?! Quella là non mi ha
nemmeno detto dell’esistenza di Hikaru! Non mi ha detto
nemmeno che era incinta
quando stavamo divorziando, non mi ha detto nulla!-
La
sua voce tuonò in tutto l’ufficio, e
la mano che stava per bussare alla sua porta si fermò a
mezz’aria, bloccandosi:
Yayoi, salita a quel piano proprio per parlare con Jun,
sentì chiaramente la
voce di quest’ultimo gridare tutto il suo fastidio, come
poche volte lo aveva
sentito.
-Si
è tenuta tutto nascosto, e poi mi ha
lanciato addosso la colpa di essere sparito, quando eravamo entrambi
d’accordo di
non sentirci se non in caso di necessità! Ebbene quella era
una necessità,
avrebbe dovuto chiamarmi, avrebbe dovuto dirmelo fin da subito!-
-E
sentiamo, cosa avresti fatto se te l’avesse
detto?-
-Non
lo so, ma per lo meno io non avrei
fatto la figura dello stronzo e lei della vigliacca!-
L’ultima
parola risuonò nel corpo di
Yayoi come una scossa elettrica, mozzandole perfino il fiato.
Matilde,
intanto, valutò la situazione,
abbassando di nuovo il suo tono di voce.
-Bene,
adesso lo sai, cosa vuoi fare? Toglierglielo?
Portargli via il bambino?-
-Io
… io …-
-Parla
Jun, dimmelo visto che vuoi così
tanto fare l’uomo, dimmi adesso che cosa vuoi fare verso il
bambino, perché ti
ricordo che è figlio tuo!-
-Lo
so che è figlio mio, l’ho capito! Ma
non credere che la cosa sia semplice!-
-Ah
no, e perché? Non hai mai voluto un
figlio da Yayoi?-
La
donna dai capelli rossi, ancora
dietro la porta, strinse le mani a sé, respirando a fatica e
ricordando come l’uomo,
molto tempo prima, avesse avuto difficoltà nel risponderle
alla classica
domanda “se avessimo figli, vorresti prima un maschio o una
femmina?”.
E
anche adesso, come allora, Jun rimase
imbambolato a quella domanda.
Matilde
usò quel silenzio come risposta,
alzandosi in piedi.
-Sei
proprio un debole, Jun.-
Lo
voleva provocare, fino in fondo, per
vedere fino a che punto l’uomo rimaneva trincerato nelle sue
paure; perché in
fondo Jun Misugi era un uomo spaventato da quel tipo di
responsabilità, come lo
sarebbe stato chiunque. Al tempo stesso, però, quello era un
uomo molto
orgoglioso, e non avrebbe mai ammesso una cosa del genere a se stesso.
Tuttavia,
quando si sentì dire una cosa
del genere, non ci vide più: andò addosso
all’italiana e l’afferrò per una
spalla, facendola girare verso di lui e lanciandogli fuoco e fiamme
dagl’occhi.
-Come
hai detto?-
-Non
mi hai sentito? Allora sei anche
sordo: ho detto che sei un debole.
Fai
una gran protesta perché non sapevi
niente di Yayoi o del bambino, ma ti sarebbe bastato prendere il
telefono e
fare una telefonata, una semplice telefonata per fugare i tuoi dubbi e
pensieri
anche solo a riguardo della donna.
Invece
non l’hai fatto, non hai fatto
nient’altro che pensare a te e alla tua vita.-
“-Per
questo non ti ho mai detto di Hikaru. Per
questo motivo: perché hai sempre voluto fare tutto da solo.
Da solo volevi
continuare a giocare, da solo hai scelto di operarti, da solo hai
scelto di
sposarmi e divorziare da me.-”
Jun
abbassò il suo tono di voce, ma
Yayoi lo sentiva perfettamente dietro il pannello di legno mentre
Matilde sentiva
la presa stringersi sulle sue spalle.
-Tu
non hai la minima idea di quello che
stai dicendo: non accusarmi di essere un insensibile egoista,
perché se c’è una
persona che io ho amato più di me stesso è sempre
stata Yayoi!-
La
donna si sarebbe commossa se la
situazione non fosse stata tanto spinosa, e quella confessione non
faceva altro
che provocarle un ulteriore peso nel cuore: quello che gli aveva detto
l’uomo
era la verità, anche lei avrebbe dovuto fare qualcosa,
tentare qualcosa, non
stare lì impalata a guardare lui che faceva tutto. Era stata
debole tanto
quanto lui, anzi più di lui.
-Io
ho amato lei, mi sono fidanzato con
lei, ho sposato lei. E ho divorziato da lei, e da
nessun’altra.
E
lei non ha fatto niente per fermarmi.-
Si
sentiva profondamente ferito dalla
discussione che aveva avuto il giorno prima, perché per la
prima volta aveva
fatto i conti non solo con i suoi errori, ma con quelli della donna che
aveva
tanto amato: quell’immagine quasi perfetta che aveva avuto
nella testa, con i
suoi difetti ma con i suoi bellissimi pregi, adesso rivelava le crepe
di un
essere molto più umano dei suoi ricordi.
Non
c’era più solo la bella malinconia
attorno al ricordo di quel volto: adesso c’era tanta rabbia e
frustrazione,
tristezza, un senso d’impotenza che l’uomo credeva
di essersi lasciato alle
spalle quando si era fatto l’operazione al cuore ed era
guarito.
Tutto
si era guastato e perché? Perché
l’aveva
rivista, e non solo.
Lasciò
la presa sulle spalle di Matilde,
indietreggiando e dandole poi le spalle, parlando a voce molto
più normale.
-Lo
so che non mi sono comportato bene,
lo so. Ma sapere che lei soffrisse e io non lo vedevo …
sapere che lei mi aveva
nascosto una cosa come Hikaru perché non si fidava
… mi ferisce dentro, e non
solo per il mio orgoglio, ma anche perché …
significa che non vedeva un futuro
assieme a me.-
Cadde
un silenzio tremendo, nel quale
Jun si trovò ad avere a che fare con un tremendo conflitto
dentro il suo corpo,
che lo sconquassava: da una parte la sorpresa, e
l’irrazionale felicità non
solo di aver rivisito la donna, ma soprattutto di aver conosciuto
Hikaru, suo
figlio; dall’altra la presa di coscienza di tutti i problemi
a cui, fino a quel
momento, aveva evitato di pensarci, ritenendo inutile farlo.
A
quel punto Yayoi aveva sentito
abbastanza, e approfittando di quella pausa bussò alla
porta, prendendo un
profondo respiro mentre aspettava il permesso di entrare.
I
due dottori sfruttarono quel cambio
improvviso per riprendersi dalla litigata, ed ognuno tornò
al posto di
partenza, seduti sulle loro rispettive poltroncine.
-Avanti.-
Falstaff
Un canchero! Sento
ancor le cornate
Di quell'irco
geloso!
Ho ancor l'ossa
arrembate
D'esser rimasto
curvo,
come una buona lama
Di Bilbao, nello
spazio
D'un panierin di
dama!
Con quel tufo! E
quel caldo!
Quando
se la videro davanti, a momenti
Jun cadeva da seduto, mentre Matilde si convinceva, ancora una volta,
che il
destino non solo era beffardo, ma anche un po’ carogna.
Yayoi
teneva lo sguardo basso, incapace
di guardarlo negl’occhi, e parlò con voce
tremendamente timida e bassa.
-Scusate
il disturbo. Misugi senpai,
posso parlarle un attimo?-
Lo
chiamava senpai, e questo mise già
una certa distanza; che poi lo chiamasse anche per cognome, era proprio
come se
creasse lei stessa un solco oltre il quale l’uomo non poteva
avanzare.
Questo,
intanto, aveva la tremenda
angoscia che lei lo avesse ascoltato nella sua sfuriata, e a giudicare
da come si
comportava c’erano buone probabilità che fosse
davvero accaduto.
Matilde,
sentendo il disagio di
entrambi, agì a suo modo, alzandosi in piedi.
-Va
bene, allora io torno al lavoro. A più
tardi Yayoi.-
-Ah,
certo, a dopo.-
E
la donna chinò la testa in segno di
saluto, guardando l’italiana uscire dall’ufficio e
chiudersi dietro di sé la
porta. Ciò che entrambi i giapponesi non videro, era
l’aria soddisfatta che la
psicologa aveva in faccia.
La
donna dai capelli rossi, intanto, si
stava macerando le mani, la gola si era stretta in un nodo mentre
l’uomo teneva
gli occhi distanti da lei, angosciato; alla fine la sentì
parlare, aveva la
voce un po’ tremolante, come se avesse avuto il mal di gola.
-Scusami
se ti disturbo durante il tuo
orario di lavoro, ma … mi rendo conto che è
assurdo, dopo quanto è accaduto …
ma ti devo chiedere una cortesia.-
-…
certo, dimmi pure, ti ascolto.-
Ogni
tanto la donna lanciava delle
occhiate all’uomo seduto sulla scrivania, e gli sembrava di
vedere la rabbia
che provava nei suoi confronti come un’aura rossa che lo
avvolgeva, e rendeva
impossibile alla donna di avvicinarsi.
Dal
canto suo, l’uomo avvertiva la
distanza come una prova ulteriore dell’odio della donna, e
non la guardava negl’occhi
per timore di vedere quel sentimento, com’era successo la
sera precedente.
-Io
… io oggi pomeriggio … ho un impegno
improrogabile … e vorrei … vorrei che
… che tu passassi il pomeriggio con
Hikaru.-
A
quella richiesta, lui alzò lo sguardo
parecchio stupito, e subito la donna gli disse la motivazione della
richiesta,
le guance cominciarono ad arrossire, diventando di un bel rosso vivo.
-Ecco,
a Hikaru piace giocare con te, so
che non hai impegni, così mi sembrava la cosa migliore, in
fondo mi ha chiesto
di te anche stamattina così …-
-Ha
chiesto … di me?-
La
donna alzò la testa, e si trovò
davanti l’espressione più tenera che avesse mai
visto in Jun Misugi: aveva gli
occhi emozionati, la bocca semi aperta, e un’espressione di
stupore mista a
leggera felicità che la fece sorridere, tanto che
annuì emozionata tanto quanto
lui.
-Si,
proprio stamattina.-
Suo
figlio … chiedeva di lui …
-…
va bene, lo farò.-
La
donna rimase quasi incredula, per poi
riscuotersi e prendere un foglietto dalla tasca
dell’uniforme, avvicinandosi
alla scrivania il tempo sufficiente per poggiare il biglietto,
allontanandosi
altrettanto rapida.
-Ah,
ti ringrazio. Hikaru finisce le sue
lezioni alle quattro, questo è l’indirizzo
dell’asilo. Se … se vuoi, potete
anche andare direttamente a casa nostra, Hikaru sa dove tengo il
secondo paio
di chiavi.
Ora
vado, perdona l’inconveniente. Buona
giornata.-
E
come un fulmine schizzò via dall’ufficio,
cercando di calmare i suoi battiti cardiaci e rifugiandosi nello
sgabuzzino
dove si era nascosta la seconda volta dall’ex-marito,
prendendo fiato e
recuperando lucidità: Jun si era emozionato nel sapere che
Hikaru chiedeva di
lui, il bimbo sarebbe stato tanto contento di giocare con il suo
papà.
Ma
lei … lei non aveva alcuna
possibilità di farsi perdonare; e tuttavia doveva mantenere
la promessa fatta
al figlio, e avrebbe chiesto scusa all’uomo.
Tuttavia
non quel giorno. Non quel giorno.
Jun,
intanto, aveva preso il biglietto
con l’indirizzo tra le mani, ancora incredulo dalla
possibilità di vedere
ancora una volta Hikaru, oltretutto il giorno dopo averci parlato e
scoperto
tutto; gli sembrava che il cielo gli stesse dando
un’occasione che non doveva
farsi scappare, e fosse cascato il mondo lui l’avrebbe colta
quell’occasione!
Eppure
… eppure non poteva dimenticare
delle parole che aveva gridato contro Matilde, e che forse Yayoi aveva
sentito.
Cosa
poteva fare adesso?
>Questa
è una registrazione di Matilde
Cecconi, in data 12 Marzo 2012.
Oggi
è la prima seduta con la paziente
Yayoi, nata il 15 Marzo del 1982.
La
paziente ha sofferto in precedenza di
depressione pre-parto, pertanto è qui per svolgere delle
sedute per verificare
il suo stato attuale dopo cinque anni dalla gravidanza.
La
paziente ha già svolto una terapia
prima e dopo il parto, con due sessioni da dieci seduta
l’una, condotte dal
dottor Irie Arata.
Dalla
cartella clinica risulta che la
paziente ha vissuto in una famiglia con un parente affetto da
depressione: si
tratta della signora Kaoru Aoba, madre della paziente, scomparsa nel 15
Marzo
1987.
Bene,
Yayoi, sei pronta a cominciare?
>Si
dottoressa.
>Bene,
allora cominciamo. Parlami un
po’ di te.
**
|
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Capitolo 10 *** Terzetto: Ping, Pong, Pang ***
Terzetto:
Ping, Pong, Pang
Ping:
Olà
Pang!
Olà
Pong!
(e
misteriosamente)
Poiché
il
funesto gong desta la reggia e desta la città,
siam
pronti ad ogni evento:
Se lo
straniero vince, per le nozze,
e s’egli
perde, pel seppellimento.
Yayoi
si era tolta l’uniforme da
infermiera, e portava una maglietta con lo scollo a barca e un paio di
jeans;
la sua lunga treccia di capelli scivolava da una spalla, e si stava
torturando
le mani mentre ascoltava Matilde registrare la prima seduta; non era la
prima
volta che si sentiva dire, ad alta voce, la sua cartella clinica, ma
l’accenno
a sua madre le fece storcere la bocca come sempre.
-Bene
Yayoi, pronta ad incominciare?-
-Si
dottoressa.-
-Bene,
allora cominciamo. Parlami un po’
di te.-
E
vide l’italiana appoggiare il
registratore nel basso tavolino tra loro due.
La
prima cosa che la giapponese aveva
notato era che la psicologa non aveva una risma di fogli e una penna
come il
dottore che l’aveva precedentemente seguita nella terapia;
inoltre non erano
sulla scrivania della donna, bensì in un altro angolo della
stanza, con due
poltroncine e un tavolinetto, sopra questo, oltre al registratore, una
bottiglia d’acqua e due bicchieri.
Inoltre
quel punto della stanza non
aveva le pareti a vetro, ma solide pareti di calcestruzzo; il vetro era
dall’altro lato, oltre la scrivania della psicologa.
Yayoi
sapeva rispondere alla prima
domanda, ma ci mise qualche secondo a trovare le parole giuste,
continuando a
torturarsi le dita, i suoi occhi fissi sul piccolo registratore davanti
a lei.
Matilde,
dall’altra parte, non aveva
alcuna fretta, ma anzi quello che vedeva era già un ottimo
inizio: i segni di
disagio della “paziente” rivelavano aspetti del suo
carattere che la psicologa
già aveva notato, ma di cui non aveva ancora esplorato le
motivazioni.
-…
vengo da Okutama, per la precisione
molto vicino al confine tra Yamanashi, in una zona rurale.
La
mia … è sempre stata una famiglia
molto legata alla tradizione: originariamente erano contadini, poi con
l’espansione di Tokyo mio nonno è diventato un
operario di fabbrica, e così
molti suoi fratelli.
Mio
padre, invece, è sempre rimasto
legato al territorio, e ha fatto il contadino.-
-E
tua madre? La famiglia di tua madre?-
Matilde
notò subito lo sguardo con cui
Yayoi si rivolse a lei: freddo, gelido, come se le sue iridi fossero
state
ricoperte di ghiaccio da centinaia e migliaia di anni. Non esprimevano
alcun
sentimento, né rabbia o tristezza, tanto meno gioia o
serenità; la voce con cui
rispose alla domanda era al pari di quegl’occhi, atona,
volume sostenuto ma
piatto, frasi semplici e sintetiche.-
-Contadini,
come mio padre. Mia madre si
è sposata giovane. Ed è morta giovane.-
-Quanto
anni aveva?-
-Trenta,
come me.-
-E
tuo padre? Aveva la stessa età?-
-Si,
si erano sposati giovani. Non certo
per amore.-
-Perché
dici questo? Erano divorziati?-
-No,
affatto: mio padre era un uomo
fedele.-
-E
tua madre lo era?-
-No.-
Questa
informazione fu captata da
Matilde senza mostrare la benché minima reazione,
limitandosi a mettersi comoda
sullo schienale della poltroncina, nel frattempo le mani di Yayoi
avevano
smesso di tormentarsi, restando chiuse e inermi sulle sue gambe; a
quella breve
pausa, lo sguardo della donna si era abbassato nuovamente, stavolta
guardando
un punto vuoto sul tavolino davanti a lei.
L’italiana
capì subito che era ancora
presto per soffermarsi su quell’oggetto, così
ricominciò il giro delle domande
classiche.
-Parlami
della tua casa. Dov’era?-
-…
si trova a un quarto d’ora di
distanza dalla stazione ferroviaria, bisogna prendere un autobus per
arrivarci,
o al massimo a piedi ci si mette quaranta minuti.-
-Quindi
c’è ancora? Ci vai ogni tanto?-
-Ci
sono stata negl’ultimi due anni con
Hikaru, quando siamo stati costretti a trasferirci.-
-E
vivevate con tuo padre?-
-Si,
solo con lui. I miei nonni sono
venuti a mancare tempo fa, e i miei zii vivono nei quartieri interni.-
-E
com’è con Hikaru? Cosa pensa di suo
nipote?-
Per
la prima volta, un sorriso rilassato
si formò sulle labbra della donna, le mani lentamente si
univano fra loro
mentre le tornava in mente la prima volta che aveva fatto vedere il
bimbo a suo
padre: era appena nato, si era fatta accompagnare da Sanae, e
delicatamente
l’aveva messo sulle gambe dell’uomo.
Questo
aveva guardato il nipote con aria
stupita, e il piccolo aveva allungato le manine, toccandogli il mento e
le
guance, sorridendo e agitandosi; di reazione, l’uomo aveva
sorriso, e aveva
iniziato a sollevarlo verso l’alto, giocandoci mentre Yayoi
aveva fatto un
respiro di sollievo.
-Lui
… adora Hikaru. Gli piace portarlo
a fare lunghe passeggiate, gli piace guardarlo disegnare e insegnargli
tutto
quello che sa sul lavorare la terra; quando eravamo lì
… mio padre si faceva
aiutare da Hikaru nel suo orto. Ci passavano i pomeriggi interi.-
-A
Hikaru piace il nonno, vero?-
-A
Hikaru piacciono le persone in
generale: è un bambino … molto socievole, come il
padre.-
Altro
punto importante, e Matilde subito
si soffermò anche su quella questione.
-Pensi
che sia una caratteristica
paterna?-
-Oh,
senza dubbio: ricordo che quando lo
conobbi, Jun era rappresentante di classe, e capitano della squadra di
calcio
dove giocava. È sempre stato un leader, gli altri ragazzini
lo consideravano
quasi un idolo.
Anche
per questo … stava sempre da
solo.-
Non
accigliò lo sguardo, ma la psicologa
notò che i ricordi stavano andando in profondità,
e provò a farsi dire altro.
-Era
un solitario? Gli piaceva stare da
solo?-
-Oh
no, affatto: amava la compagnia.
Tuttavia … proprio per le sue condizioni fisiche e il suo
carattere … per
quanto fosse ben voluto, si avvertiva che gli altri temevano di farlo
stare
male, pertanto le sue amicizie non erano così profonde.-
-E
tu? Come ti comportavi tu?-
Yayoi
alzò lo sguardo, uscendo dai suoi
ricordi, e si umettò le labbra, gesto che a Matilde non
sfuggì: solitamente si
tratta di un gesto che indica piacere, e non solo di tipo sessuale; in
quel
caso la donna lo classificò come indice di legame affettivo
tra la sua paziente
e Misugi.
Quegli
occhi scuri, intanto, dalla
dottoressa si abbassarono di nuovo, le mani avevano ripreso a
tormentarsi, e
questa volta la donna portò indietro il busto, appoggiandolo
sulla poltroncina,
in un chiaro segno di rigetto. Ancora una volta, la donna doveva
fermarsi
dall’indagare troppo in là.
Tuttavia
ricevette comunque una
risposta.
-Per
me lui … era un ragazzo come tutti
gli altri: io non seppi subito della sua malattia, fu sua madre a
dirmelo,
tempo dopo. Però, nonostante questo … volevo
trattarlo come tutti gli altri, ed
essere sua amica non perché fosse speciale … ma
perché, quando ci siamo
conosciuti, lui mi rivolse la parola. Tutto qui.-
E
fece spallucce senza rendersene conto,
e il respiro tornò regolare. Nonostante questo, Matilde
ritornò sulla scia
principale, sfruttando proprio il punto in comune fra Jun e Yayoi.
-E
Hikaru? È un leader?-
Di
nuovo, la donna sorrise, e si sporse
in avanti, questa volta si portò le dita verso le labbra
sorridenti, quasi trattenersi
dallo scoprire la dentatura,
parlando con un tono più basso e addolcito.
-…
non è un leader, ma sa come far star
bene le persone. È un dono che possiede soltanto lui.-
-Non
pensi che l’abbia ereditato da te?-
E
il sorriso scomparve in pochi istanti,
le dita s’intrecciarono, e alla fine le braccia
s’incrociarono leggermente, il
busto nuovamente tirato indietro, gli occhi lontani sia dalla donna che
dal
tavolo, a guardare un punto vuoto sul pavimento.
-Io
non so far stare bene le persone.-
-Questo
lo pensi tu … o ti è stato
detto?-
La
mascella di Yayoi s’irrigidì, gli
occhi tornarono come saette sullo sguardo verdastro della dottoressa,
la quale
si era sporta in avanti, studiando profondamente interessata il
soggetto
davanti a lei: quella donna … era un miscuglio di sentimenti
contrastanti,
adesso aveva appena dimostrato dell’aggressività
repressa, e fino a pochi
secondi prima era stata felice, il solo pensiero del figlio la rendeva
felice.
Quante
sfaccettature aveva l’animo
umano, e in particolare quello della donna di fronte a lei. Le venne
quasi … da
invidiarla: capiva perché Jun non poteva fare a meno di lei,
sia nell’amore che
nella rabbia, era una di quelle poche anime pure che, nonostante i
possibili
“orrori” che aveva affrontato, non aveva perso la
sincerità dei suoi
sentimenti, e per tale motivo si nascondeva, spaventata da tutto e
tutti,
dietro una corazza di “debolezza”.
Se
fosse uscita dal guscio, Yayoi
avrebbe mostrato uno splendore incredibile.
Per
questo le aveva fatto quella
domanda: doveva capire da dove proveniva la fonte di quella
“debolezza”.
L’altra
però, questa volta, non le diede
il dono di una risposta, così fu costretta a sviare
nuovamente il discorso: era
solo la prima seduta, non poteva martellarla troppo.
-Parlami
ancora di tuo figlio. Era
felice di trasferirsi dal nonno?-
Stavolta
la reazione di Yayoi fu diversa
rispetto alle precedenti: aveva gli occhi che vagavano da un punto
all’altro, e
pareva incerta nel dare la risposta, le mani invece di intrecciarsi fra
loro si
strofinavano sui jeans, e le spalle si stringevano fra loro, in un
chiaro segno
di insicurezza.
-…
quando glielo dissi era molto
contento, a lui piaceva stare dal nonno. Tuttavia … ho la
sensazione che questo
l’abbia reso … un po’ più
chiuso: gli altri bambini abitavano lontano, e a
parte aiutare il nonno nell’orto … passava molto
tempo a disegnare, da solo.-
-La
tua è stata una scelta obbligata
immagino, quella di doverti trasferire.-
-Ero
in difficoltà finanziarie: il mio
vecchio lavoro non era abbastanza retribuito e non era più
possibile rimanere
nella vecchia casa; mio padre, a quel punto, mi propose di tornare da
lui, ma a
dire la verità …-
-A
dire la verità? Non volevi tornare?-
Scosse
la testa come risposta.
-Per
quello che era successo a tua
madre?-
Yayoi
alzò lo sguardo, era di nuovo
duro, e si stava inasprendo. Matilde però
continuò a farle domande: aveva
capito qual’era il fulcro, da dove poteva iniziare la sua
terapia.
-Puoi
parlarmi di lei?-
Fece
molta fatica la donna, questa
volta, a rispondere: aveva gli occhi induriti da una mistura di
sentimenti
oscuri: sofferenza, rabbia, amarezza, delusione. E una grande
solitudine.
-…
cosa vuole sapere di lei?-
-Beh,
puoi descrivermela fisicamente?
Com’era?-
-…
aveva i capelli lunghi e neri. Era
magra e debole, si ammalava molto facilmente. Quando le parlavo non mi
ascoltava mai, e mi raccontava sempre la stessa storia.-
-Quale
storia?-
-Quella
in cui ha conosciuto … il mio genitore.-
-Intendi
tuo padre?-
-No,
intendo colui che, con mia madre,
mi ha generato. Padre è colui
che
genera e se ne rende
degno.- (cit.
Dostoevskij)
-Puoi
spiegarti meglio, Yayoi?-
La
donna, a quel punto, fece un profondo
respiro di resa, e allungò le mani verso la sua borsa,
tirandone fuori una
piccola agendina, tenuta ferma con un elastico;
l’aprì in un punto preciso, e
saltarono due fotografie, ad una delle quale lei sorrise intenerita,
poggiandole poi sul tavolino davanti alla psicologa.
Una
era una foto molto vecchia, e
mostrava una famiglia dall’aria severa, le donne avevano
tutte il kimono, la
più avanti era inginocchiata su un cuscino e teneva la mano
di una bambina,
messa al centro tra lei e l’altro genitore, un uomo
dall’aria amichevole e
tranquilla. Entrambi avevano i capelli e gli occhi neri. La bambina
aveva
capelli rossi, tenuti indietro da un cerchietto con il fiocco.
L’altra
foto era di Yayoi con Hikaru,
accanto un signore anziano con i capelli neri e sempre
quell’aria amichevole e
serena.
-Io
non sono figlia di mio padre Mamoru
Aoba.-
Pong:
(gaiamente)
Io preparo
le nozze!
Jun,
solitamente, era un uomo molto
paziente, o almeno cercava di darlo a vedere; questa volta,
però, era come se
avesse avuto addosso il diavolo che lo tormentava: si guardava intorno,
guardava costantemente l’orologio, dava un’occhiata
alla borsa, si sedeva e si
alzava dal muretto della casa dall’altro lato della strada.
Attorno
a lui, nel frattempo, si erano
radunate le mamme, e ovviamente molti sguardi erano rivolti a lui, e
anche di
vario tipo: dall’ammirazione e la curiosità di
quel giovane uomo (non menziono
affascinante perché era sottointeso), ma anche il dubbio e
il sospetto che quel
tipo fosse poco raccomandabile, dopotutto non l’avevano mai
visto.
Nel
vedersi quegl’occhi puntati contro,
per la prima volta l’uomo si sentì in profondo
imbarazzo, e si passò una mano
in faccia, cercando di nascondere il disagio; a salvarlo ci
pensò il rumore di
porte che si aprivano, e i primi bambini che uscivano
dall’edificio per andare
incontro alle loro mamme, alcune di queste invece entravano otre il
cancello
principale, uscendo dall’asilo tenendo per mano i figli.
A
Jun non era mai capitato di assistere
a quella scena, e la osservò con particolare interesse:
molte erano mamme di
una certa età, che di sicuro avevano più di un
figlio, mentre altre erano
giovani, e parevano più entusiaste delle prime nel tenere
per mano o prendere
in braccio i loro bambini. Ma tutte avevano un’espressione
serena in comune,
anche quella apparentemente più accigliata si prendeva come
un respiro di sollievo
quando vedeva quel particolare volto.
Era
la stessa espressione che aveva
trovato anche nel volto di Yayoi, quando aveva accompagnato Hikaru a
casa, e a
ripensarci l’uomo non sentì più
montargli addosso la rabbia di quella mattina, in
qualche modo quella fattucchiera di Matilde aveva di nuovo portato a
compimento
uno dei suoi malefici su di lui.
Ripensando
al bambino, l’uomo controllò
tutte le presenze in uscita, ma nessuna di loro era suo figlio; a quel
punto
prese un profondo respiro, facendosi forza, e decise di attraversare
quella
piccola strada, di varcare il cancello e di dirigersi
all’ingresso dell’asilo,
osservato dalle mamme rimaste a chiacchierare fra loro, queste si
vedeva
lontano un miglio che volevano capire chi fosse.
Attraversò
le porte dell’asilo, e subito
un’insegnante uomo, con addosso il suo grembiule da lavoro,
lo notò e si
avvicinò a lui, parlandogli con cortesia.
-Posso
aiutarla?-
-Ah
si, sono qui per Hikaru Aoba.-
-È
un suo parente?-
Non
credeva che sarebbe mai arrivato,
nella sua vita, a dare una risposta del genere.
-Si,
sono il padre.-
-Jun!-
L’uomo
girò lo sguardo, riconoscendo la
voce, e vide una figura corrergli incontro, i capelli rossicci lo
fecero
sorridere, portandolo ad inginocchiarsi per arrivare
all’altezza del bambino.
-Ehi
campione!-
-Sei
venuto a prendermi??-
-Si,
la mamma mi ha chiesto di venire e
di tenerti compagnia fino a quando non torna a casa. Sei contento?-
-Si!!-
E
il bambino abbracciò di slancio
l’uomo, lasciandolo senza parole.
Riconobbe
subito, nei vestiti e nei
capelli del piccolo, l’odore di Yayoi, quel profumo di sapone
che si sentiva
solo a distanza ravvicinata; lentamente, quasi per timore di rompere
quella
creatura, una mano dell’uomo accarezzò la
capigliatura, spettinandola leggermente
mentre riprendeva fiato e sorrideva.
-Dai,
prendi le tue cose che andiamo.-
-Va
bene!-
Il
piccolo schizzò via verso la sua
classe, e l’uomo notò subito un’altra
piccola testa, questa volta con i capelli
neri, e due occhi scuri lo guardavano con aria diffidente; appena
Hikaru si
avvicinò questa sparì con lui dietro la parete, e
l’uomo si alzò in piedi
mentre il maestro, ancora stupito dall’informazione, cercava
di riprendere il
discorso.
-Ehm,
mi scusi la domanda, ma Hikaru sa
che lei è il padre? Quando glielo abbiamo chiesto ci ha
detto di non sapere chi
fosse.-
-Le
sembrerà pazzesco, ma è da ieri che
so di essere suo padre.-
Il
maestro sgranò gli occhi, incredulo
mentre Hikaru usciva di corsa dalla sua aula, dietro di lui nuovamente
quel
bambino dai capelli neri, e Jun portò l’attenzione
sui due.
-Jun,
lui è il mio amico Makoto. Makoto,
questo è il mio amico Jun.-
-Piacere
di conoscerti.-
Il
bambino lo guardò con aria di sfida,
studiandolo per bene mentre l’uomo manteneva fisso lo
sguardo, avvertendo la
sensazione che distoglierlo non sarebbe stata la cosa giusta da fare;
Hikaru
intanto si rivolse all’amico, mettendosi le scarpe.
-Ci
vediamo domani allora.-
-…
si, va bene.-
-Maestro,
ci vediamo.-
-Ah,
si, ciao Hikaru.-
-Arrivederci.-
Jun
salutò con un cenno del capo, e
sorridendogli offrì la mano ad Hikaru, il quale gliela prese
entusiasta,
uscendo con lui fuori dall’edificio.
-Allora,
com’è andata oggi? Ti sei
divertito?-
-Si,
oggi abbiamo fatto un disegno del
nostro amico. Io ho disegnato Makoto, e lui ha disegnato me.-
-Che
bello, e dov’è il tuo disegno?-
-Lo
abbiamo appeso in classe, se vieni
la prossima volta te lo faccio vedere.-
-Volentieri.-
I
due uscirono fuori dall’edificio,
l’ultima coppia di mamme rimaste fuori li guardò
molto sorpresa, ma i due
“uomini” le ignorarono bellamente, guardandosi
intorno.
-Allora,
cosa vuoi fare? Ti va se
andiamo a prenderci un gelato?-
Il
bimbo sgranò i suoi occhi,
entusiasta, e annuì con tutta la sua forza, facendo
sorridere divertito l’uomo,
che subito s’incamminò verso la gelateria
più vicina.
Era
incredibile: gli bastava vedere
quell’espressione di felice sorpresa, e si sentiva leggero,
come quando
riusciva a rendere felice la stessa Yayoi. E anche lui, come Hikaru,
faceva lo
stesso sguardo.
Pang:
(cupamente)
Ed io le
esequie!
Matilde,
apparentemente, non rimase
sorpresa di quello che la donna gli aveva detto, mentre questa si
portava la
mano vicino alla bocca, in un chiaro gesto di rigetto; aspetto qualche
minuto,
guardando anche le due fotografie sul tavolo, annotando mentalmente
l’atteggiamento di Yayoi nella foto sia da bambina che in
quella da adulta.
Aveva
l’aspetto di una bambolina, con
quel kimono con disegnati fiori di ciliegio e il cerchietto sulla
testa; aveva
gli occhi che guardavano decisi la macchina fotografica, eppure era in
una
posizione scomoda ma rispettosa, con quella mano che sembrava obbligata
a stare
sulla gamba della madre, la quale gliela teneva in un chiaro gesto di
affetto …
e possessione.
Da
adulta, invece, era in piedi accanto
a suo padre, l’aria molto più serena, un sorriso
felice sulle labbra, e questa
volta era suo figlio Hikaru che le prendeva la mano, sorridendo forse
più di
lei; v’era comunque un leggero spazio tra la donna e
l’anziano signore, come
nella foto da giovane, dove lui era seduto non troppo distante da lei,
ma senza
alcun contatto fisico, guardando dritto davanti a sé.
Rispetto,
certo, ma probabilmente c’era
qualcosa di più.
A
quel punto, quando aveva osservato per
bene le due foto, l’italiana alzò lo sguardo,
notando che la giapponese l’aveva
tenuta d’occhio tutto il tempo, tenendo sempre una mano a
coprirle la bocca,
come ad impedirsi di parlare.
-…
chi era? L’hai mai conosciuto?-
-No,
non l’ho mai visto.-
E
calcò, decisa, su quel “mai”,
incrociando le braccia; al contrario, Matilde aprì le
braccia e le gambe in un
chiaro gesto di apertura: doveva e voleva far sentire tranquilla la
donna di
fronte a lei, aveva la sensazione che il precedente dottore avesse
avuto un
approccio troppo distaccato, portandola a tenersi sulla difensiva
quando si
andava al di là delle domande di routine.
-Mi
hai detto … che tua madre ti
raccontava sempre di come l’aveva conosciuto. Te la ricordi
ancora quella
storia?-
-Si,
certo che me la ricordo.-
La
sapeva a memoria, parola per parola,
come se lo spirito di sua madre, ogni notte, gliela sussurrasse
all’orecchio;
nei momenti più bui l’aveva sempre ricordata, e
ogni volta la temeva e si
arrabbiava. E pensava sempre che non sarebbe finita come sua madre,
pertanto si
riprendeva e andava avanti, sempre e comunque.
Ma
mentre era stata sposata con Jun,
quando avvertiva che le cose non stavano andando bene, quella storia le
tornava
in mente, e la spingeva a far finta di niente, a non dargli peso, a
darsi della
sciocca.
-Me
la racconteresti? Te la senti?-
Il
suo flusso di pensieri fu interrotto
dalle parole della psicologa, la quale si era sporta in avanti e
guardava con
aria amichevole la donna; questa irrigidì leggermente la
mascella, e le mani si
strinsero nei pugni. I suoi occhi scesero a quelle due fotografie,
osservando
il viso serio di sua madre e suo padre, e poi il sorriso felice di
Hikaru.
-…
mia madre diceva sempre … che l’aveva
conosciuto un anno prima di mettermi al mondo, all’Hanami.
Era Marzo …-
“-Ti
svelo un segreto, bambina mia: il tuo nome è
Yayoi perché è il mese in cui ho conosciuto il
tuo papà. E un giorno, a Marzo,
lui verrà a prenderci e ci porterà via.-
-Perché
papà dovrebbe portarci via? papà è qui
con
noi.-
-No
quel papà, sciocchina. Il tuo vero papà.-
-Il
mio vero papà? Mamma, non capisco.-
-Kaoru!
Smettila di raccontare queste sciocchezze
alla piccola, così la confondi e basta!-
-Ha
il diritto di sapere chi è il suo vero padre!-
-Suo
padre è tuo marito, e ringrazialo per non
averti allontanata dopo quello che gli hai fatto!-
-Il
padre di Yayoi è l’uomo che amo, e che un giorno
verrà a prenderci!-
-Sei
una vergogna, provo pena per quella creatura.-
-Non
toccare mia figlia! Lei è solo mia! Mia e del
mio amore!-”
-Yayoi,
stai bene?-
La
donna aveva cominciato a parlare, per
poi interrompersi ed entrare in una specie di trans, gli occhi sbarrati
fissi
sul tavolino, le mani irrigidite nei pugni e il respiro che si faceva
sempre
più assente, tanto che la psicologa aveva deciso di
intervenire, alzandosi dal
suo posto e scuotendole una spalla.
Yayoi
alzò lo sguardo, stupita, e
riprese a respirare normalmente, riuscendo dopo qualche minuto ad
annuire,
portandosi una mano verso la fronte, confusa: cos’era
successo qualche minuto
prima? Quelle cose … non se l’era mai ricordate.
-Ce
la fai a continuare? Vuoi che ci
fermiamo?-
-…
no, ce la faccio. Scusami.-
-Figurati.
forza, prendi un po’ d’acqua
e poi riprendiamo la seduta.-
E
la psicologa mise in pausa il
registratore.
Pong:
Le rosse
lanterne di festa!
-Allora?
Com’è? Buono?-
Hikaru
annuì, sporcandosi le labbra e le
guance con il gelato alla stracciatella, e Jun sorrise soddisfatto,
tornando
poi al suo cono, anche questo alla stracciatella, era rimasto stupito
quando
aveva scoperto che ad entrambi piaceva lo stesso gusto. Gli venne da
chiedersi
se anche quello faceva parte del codice genetico che condividevano, o
se era
solo un caso.
-Vuoi
assaggiarlo?-
E
il bimbo gli offrì il suo cono, che in
fondo era lo stesso gusto dell’uomo; nonostante
ciò, Jun assaggiò, e lo tastò
con accuratezza mentre il bimbo aspettava, impaziente, il verdetto.
-Hai
ragione: è davvero buono. Vuoi un
po’ del mio?-
Il
bimbo annuì, e assaggiò il gelato
dell’uomo. Lo tastò anche con attenzione, e alla
fine sentenziò.
-Anche
il tuo è molto buono.-
L’uomo
fu soddisfatto della risposta, e
i due ripresero a mangiare i loro gelati in silenzio, godendosi quella
panchina, guardando la gente che camminava.
Quelli
che si voltavano a guardarli
notavano subito le somiglianze tra i due, a cominciare da come si erano
seduti:
entrambi con la schiena appoggiata sulla panchina, tenevano il gelato
con la
destra e la sinistra era abbandonata lungo il fianco, oltretutto Hikaru
faceva
dondolare le gambe avanti e indietro, concentratissimo a mangiare il
suo cono.
Jun
si voltò a guardarlo, e gli venne da
ridacchiare: adesso aveva il naso bianco, e due grossi baffi sopra le
barba,
assieme ad un pizzetto di stracciatella sul mento. Senza pensarci,
tirò fuori
dalla tasca della giacca un fazzoletto, e un po’ rozzamente
pulì il muso del
bambino, il quale fece una leggera smorfia ai modi poco delicati
dell’uomo.
-Di
certo ti stai gustando il gelato
fino in fondo, eh? Attento a non macchiarti il grembiule.-
E
quando il bimbo si voltò verso di lui,
l’uomo si rese conto di quello che aveva appena fatto: si era
preso cura di suo
figlio. Anche quel semplice gesto, unito a quelle parole, era stato il
suo
primo e vero gesto d’affetto verso … suo figlio.
Scostò
leggermente la mano dal piccolo,
arrossendo lievemente e voltando lo sguardo di nuovo verso la gente che
camminava,
una coppia di ragazze avevano sorriso divertite e intenerite da quello
che
avevano visto, e l’uomo s’imbarazzò
ancora di più, sprofondando ulteriormente
nella panchina e quasi affondando la faccia nel gelato, sporcandosi il
naso.
Hikaru
subito lo indicò con il dito,
sorridendo.
-Anche
tu sei sporco adesso.-
E
l’uomo, a quel punto, non poté fare
altro che sorridere divertito.
-È
vero, hai ragione.-
Si
ripulì, e di nuovo cadde il silenzio
tra i due. Ma era un suono tremendamente piacevole per le orecchie
dell’uomo,
gli faceva venire in mente quando lui e Yayoi, ancora ragazzi,
restavano in
silenzio per ore quando studiavano, alzando lo sguardo e scambiandosi
una
semplice occhiata e un sorriso. Non avevano bisogno di altro per
comunicare.
Forse,
chi lo sa, un giorno avrebbe
avuto quello stesso rapporto con il bambino alla sua sinistra, che si
stava
mangiando il suo gelato alla stracciatella.
Forse,
chi lo sa … sarebbe riuscito a
recuperare quel rapporto con la sua ex-moglie …
-Ah!
Mi stavo dimenticando di una cosa!-
Il
bambino l’aveva detto ad alta voce,
per poi voltarsi verso l’uomo, guardandolo con sguardo
tremendamente serio.
-La
mia mamma ti ha chiesto scusa?-
-…
come?-
L’uomo
era rimasto leggermente
intontito, tanto che non si accorse che il gelato si stava sciogliendo,
almeno
fino a quando non gli colò sulle dita, portandolo a
distogliere lo sguardo e a
velocemente mangiarselo prima che si guastasse.
Alla
fine, quando la situazione fu più
stabile, tornò a guardare il bambino, che nel frattempo
aveva continuato a
mangiarsi il suo cono, con gli occhi però verso
l’uomo accanto a lui.
-Puoi
ripetere, scusa?-
-Ti
ho chiesto se mia mamma ti ha
chiesto scusa.
Stamattina
mi ha detto che sarebbe
venuta da te per chiederti scusa.-
-Scusa
… di cosa?-
A
quel punto il bimbo s’interruppe e si
guardò intorno, con aria diffidente; poi si
avvicinò a Jun, e si allungò il più
possibile per sussurrargli all’orecchio.
-Per
averti detto quella bugia.-
“-Perché
Yayoi? Perché non me l’hai detto?-
-Perché
tu non volevi figli. Io si.-”
…
in fondo al suo cuore, nella parte più
scura, Jun sentì chiaramente che ancora non riusciva e non
poteva perdonarla;
eppure, al tempo stesso, sentire da quella bocca che lei voleva
chiedergli
scusa lo commosse profondamente: di colpo quelle parole dette,
trattenute e
urlate di quella sera non perdevano pesantezza, restando immutate ma
più
sopportabili.
Tuttavia
il perdono era ben lontano:
quella bugia aveva il peso di cinque anni di ignoranza nei riguardi di
quel
bambino che, ora, stava mangiando quel gelato senza preoccupazione
alcuna.
Poteva anche essere stato un uomo orribile, ma aveva sempre avuto il
diritto di
saperlo, per poter fare qualcosa.
Istintivamente,
la mano sinistra
dell’uomo accarezzò la capigliatura rossiccia del
bambino, sospirando: forse
adesso non poteva perdonare, ma forse un giorno si. Solo il tempo
poteva dirlo.
-…
quando la mamma mi chiederà scusa, la
perdonerò. Va bene?-
Il
bimbo annuì, con aria decisamente
soddisfatta, finendo di sgranocchiare il cono. E copiandolo,
l’uomo finì anche
il suo gelato.
-Forza,
avviamoci verso casa, va bene?-
E
si alzò in piedi, offrendo nuovamente
la mano al bambino, il quale l’accettò senza
remore.
Pang:
e bianche
lanterne di lutto!
-Come
va? Un po’ meglio?-
La
donna annuì, leggermente imbarazzata,
posando sul tavolino il bicchiere d’acqua e aggiustandosi
qualche piccola
ciocca di capelli, che sfuggiva dalla treccia. Matilde le sorrise,
accomodandosi di nuovo al suo posto e accedendo nuovamente il
registratore.
-Va
bene, Yayoi, riprendiamo da dov’eravamo
rimaste, hm? Mi stavi raccontando la storia che tua madre era solita
dirti.-
Solitamente
accadeva quando la bimba e
la donna erano sole in camera. Poteva succedere in qualsiasi momento:
mentre la
donna pettinava i capelli alla piccola, mentre si sistemava il kimono,
anche
semplicemente mentre guardava fuori dalla finestra. Ma iniziava sempre
allo
stesso modo.
-…
era Marzo, ed era la festa
dell’Hanami. Mia madre era andata a guardare i ciliegi in
fiore, come faceva
tutti gli anni; indossava un furisode verde, con i dettagli in argento
e
bianco, perché doveva incontrarsi con il suo fidanzato
Mamoru.
Aveva
un ombrello rosso, e stava
aspettando sotto un ciliegio; all’improvviso si
alzò una brezza, e spostò
l’ombrello per vedere i petali che cadevano. Quando
abbassò lo sguardo, vide …
un ragazzo che la guardava …-
“-Aveva
i capelli rossi come il fuoco, e la pelle
chiara come la neve. E gli occhi azzurri come il cielo
…-”
-Era
uno straniero, e lei si spaventò,
nascondendosi subito sotto l’ombrello; lui le si
avvicinò lentamente, e gli
spiegò che si era perso, e le chiese se per caso era lo
spirito di
quell’albero.
Si
parlarono fino a quando Mamoru non
arrivò.-
A
quel punto la donna si fermò un
momento, proprio nello stesso punto dove era solita fermarsi sua madre
nel
raccontare; si guardò le mani, e poi riprese a raccontare.
-S’incontrarono
ancora: lui era uno
studente venuto a studiare le tradizioni giapponesi, e mia madre lo
aiuto,
rispondendo ad ogni sua domanda.
La
gente cominciò a mormorare, e i
genitori di mia madre iniziarono a proibirle di vedersi con quel
ragazzo …-
“-Ma
più insistevano, più io dovevo vederlo.
Capisci? Era più forte di me: sentivo quasi … di
non poter respirare senza di
lui. Io, con lui, mi sentivo … viva.-”
-…
ma i due si videro ancora, anche di
nascosto; e di nascosto decisero d’incontrarsi …
al Tanabata Matsuri.-
“-Era
destino, capisci tesoro? Come Kengyu e Shokujo
…-”
-E
lì … mi hanno concepito.-
“-E
lì ci siamo amati.-”
-…
o meglio: si sono uniti, e
accidentalmente sono capitata io.-
Quell’appunto
colpì immediatamente
Matilde, che fino a quel momento aveva seguito la storia con
particolare
interesse verso chi la stava raccontando: mano a mano che proseguiva
nel
racconto, Yayoi perdeva la parte più poetica della storia,
probabilmente
insegnatagli dalla madre, per raggiungere quello stato di rabbia e
sofferenza
con cui aveva risposta alle domande a proposito di
quell’argomento.
Il
commento finale era la prova più
evidente del suo fastidio. E il seguito della storia fu ancora
più sbrigativo.
-Lui,
dopo, ritornò da dov’era venuto. I
genitori di mia madre volevano cacciarla di casa quando lo scoprirono,
ma … ma
Mamoru, nonostante quello che era successo, decise di sposarla
ugualmente, e di
accettarmi.-
Quando
parlava del padre, ecco lì si
notava come un senso di colpa nei confronti dell’uomo.
-La
famiglia di lui, ovviamente, fece di
tutto per tenerci lontane da lui; oltretutto, dopo il parto, mia madre
era
diventata debole fisicamente, e si ammalava spesso. Diceva sempre che
non
sarebbe morta, e che avrebbe aspettato … che
quell’uomo tornasse a prendere
entrambe.
Alla
fine cominciarono ad allontanarmi
da lei, e a quel punto è impazzita.-
-In
che senso?-
-…
mi teneva con lei in camera,
facendomi saltare spesso l’asilo. Passava tutto il giorno a
pettinarmi e
vestirmi, e se qualcuno si avvicinava troppo dava di matto; ogni giorno
mi
ripeteva sempre la stessa storia, e diceva di non fidarmi di nessuno
dei miei
parenti, e di restare sempre assieme a lei.
Poi
… un giorno … mia madre era sparita.
La cercarono dappertutto … e la trovarono …
appesa al ciliegio fuori casa.-
Lei
lo vide proprio dalla camera della
madre: vide l’albero, il corpo, e la gente attorno. E non
capì cos’era successo
per tutto il giorno, arrivando alla sera dove finalmente, con una
dolcezza così
stucchevole che ancora adesso la stomacava il ricordo, le avevano detto
che sua
madre era morta.
Matilde,
però, non aveva ancora finito,
nonostante il tempo a loro disposizione stesse scadendo; aveva ancora
una
domanda per la donna.
-Com’era
il funerale? Te lo ricordi?
Dov’eri?-
Vide
chiaramente lo stupore di Yayoi,
fino a quel momento non l’era mai stata fatta una domanda del
genere, e
c’impiegò un po’ prima di rispondere.
-…
ero accanto a mio padre, che mi
teneva la mano e salutava i presenti che erano venuti; ricordo
… che tutti mi
guardavano con una gran pena, e mi dicevano quanto ero stata
sfortunata.-
-E
ti sentivi sfortunata?-
La
donna alzò lo sguardo, e la psicologa
vide chiaramente che i suoi occhi erano vuoti a quel ricordo.
-No.
Mi sentivo … mi sentivo …-
E
ci pensò accuratamente, ricordando
quel giorno con molta fatica: ricordava la mano di suo padre, calda,
che
stringeva la sua piccola mano. Ricordava i volti che passavano, le
parole che
sentiva, ma soprattutto gli sguardi: quegli stessi sguardi che
l’avevano
guardata con dubbio e con diffidenza, adesso erano pieni di
pietà nei suoi
confronti.
-Mi
sentivo arrabbiata.-
-Per
cosa?-
-…
per come mia madre era morta. Per
come la gente mi stava guardando. Per come io … non potevo
fare nulla.-
Bingo.
Finalmente Matilde aveva ottenuto
quello che voleva: l’inizio di quella sua debolezza:
l’obbligo di dover
sopportare l’ipocrisia altrui senza reagire aveva mutato
quella rabbia repressa
in una forma di accettazione di tutto quello che le accadeva intorno,
in una
forma di debolezza di cui non riusciva a liberarsi.
Yayoi,
invece, si rese conto che quelle
emozioni erano state le stesse che aveva provato durante i mesi in cui
aveva
divorziato da Jun: l’incredulità della situazione.
Il fastidio, la rabbia per
come le cose si stavano svolgendo. Il senso d’impotenza di
non saper cosa fare.
Nel
suo volto si vedeva chiaramente
questa intuizione, e l’italiana sorrise, riprendendo il
registratore e
spegnendolo, segnando così la fine della seduta.
-Bene,
per il momento basta così Yayoi.-
La
donna prese un profondo respiro
liberatorio, alzandosi a fatica da quella poltroncina, recuperando le
due foto
sul tavolino e rimettendole dentro l’agenda, prendendosi la
borsa e aspettando
che l’italiana le rivolgesse di nuovo la parola.
-Allora,
noi due ci vediamo la prossima
settimana, sempre a questo stesso orario, va bene?-
-Si,
va bene.-
-Ah
senti, posso darti un suggerimento?
Poi se vuoi seguirlo o meno scegli tu.-
-Certo,
dimmi.-
-Perché
non provi a raccontare ad Hikaru
com’è venuto al mondo?-
Era
una cosa che, sinceramente, lei
aveva fatto molto poco: gli parlava sempre del padre, certo, ma non gli
aveva
mai detto come l’aveva concepito, perché non era
stato un momento felice
quello; pertanto guardò la psicologa con aria scettica, ma
questa si limitò a
sorridere.
-È
solo un consiglio, decidi tu. Ci
vediamo a lavoro.-
-Si,
ci vediamo. Buona serata.-
-Altrettanto.-
Pong,
Pang:
Gli
incensi e le offerte…
Pong:
Monete di
carta dorate…
Pang:
Thé,
zucchero, noci moscate!
Pong:
Il bel
palanchino scarlatto!
Pang:
Il feretro
grande, ben fatto!
Pong:
I bonzi
che cantano …
Pang:
I bonzi
che gemono …
Jun
sentì la porta della casa aprirsi,
seguita subito dopo dalla voce della donna.
-Hikaru!
Sei a casa?-
-Mamma!-
Il
bimbo scattò subito in piedi e corse
verso l’ingresso mentre Yayoi posava a terra la borsa della
spesa, sorridendo
ed abbracciando suo figlio, dandogli un bacio sui capelli.
-Amore,
che bello vederti! Com’è andata
la giornata?-
-Tutto
bene!-
-Sono
contenta! Che stavi facendo di
bello? Disegnavi?-
-Si,
con Jun!-
A
sentire il nome, per un momento, la
donna si ghiacciò, e subito controllò le scarpe
all’ingresso: c’erano quelle
del figlio … e anche quelle dell’uomo. Si, era in
casa; appoggiò il bimbo a
terra, e si tolse rapidamente le sue calzature, cercando di continuare
a
parlare con il piccolo con il tono allegro di poco prima.
-Oggi
la mamma voleva fare un po’ di
Teriyaki, che ne dici?-
-Jun
può restare a mangiare con noi?-
Nuovamente,
la donna si bloccò, e questa
volta Jun decise d’intervenire, alzandosi in piedi e facendo
la sua entrata in
scena dal salotto.
-Purtroppo
non posso restare Hikaru: ho
un altro impegno.-
-Ah,
va bene.-
-Però
la prossima volta vediamo, ok?-
E
l’uomo accarezzò i capelli del
piccolo, sorridendogli affettuoso, per poi rivolgere lo sguardo alla
donna;
questa l’osservò per un momento, e le
tornò in mente l’intuizione avuta alla
seduta, e al racconto di sua madre, e ai suoi pensieri e sentimenti nei
confronti dell’uomo, e al fatto che era lì, a
camminare nella sua casa, come un
tempo lo avevano fatto da marito e moglie.
Lui
pensò che l’aveva vista quella
mattina, ma che stranamente le sembrava più bella del
solito: aveva le guance
arrossate dalla fatica di trasportare la spesa, i capelli avevano
iniziato a
scappare dalla treccia, e alcune ciocche le adornavano il volto;
ripensò al suo
sfogo, alla richiesta di lei, al pomeriggio passato con Hikaru, e al
fatto che
era tornata a casa. Per un attimo pensò che sarebbe stato
bello se quella fosse
stata la loro casa.
Sorrise,
e questo sorprese la donna.
-Allora,
com’è andata con Matilde? Ti ha
strizzato per bene?-
-…
come un panno bagnato.-
Ricambiò
il sorriso, per poi spostarsi
leggermente con le borse della spesa.
-Devi
… devi proprio andare? Non puoi
restare ancora un po’?-
La
richiesta sorprese invece l’uomo.
-…
no, mi dispiace, non posso proprio:
Domenica la squadra gioca, tra stasera e domani devo aiutare a
preparare i
giocatori.-
-Ah
certo, capisco. Allora ti auguro
buon lavoro.-
-Grazie.
Passa un buon fine settimana. Ci
vediamo Hikaru.-
E
il bimbo lo salutò con la mano mentre
l’uomo s’infilava velocemente le scarpe e prendeva
il suo borsone, aprendo la
porta.
-Jun!-
L’uomo
si voltò immediatamente al
richiamo, sorprendendosi non solo che lei lo chiamasse, ma anche di
come era
stato veloce a reagire. Lei, di rimando, rimase colpita non solo dalla
sua
stessa voce, ma del fatto che lui l’avesse ascoltata; il
silenzio durò un
momento, e poi lei chinò la testa.
-Grazie
per esserti preso cura di Hikaru.-
-…
è il mio dovere, no?-
La
donna sentì come una stoccata all’altezza
dello stomaco, e alzò lo sguardo con aria colpevole;
tuttavia, l’uomo sorrise nuovamente,
passandosi imbarazzato la mano tra i capelli.
-In
ogni caso, chiamami se hai bisogno
di me, va bene?-
-Si.
Grazie.-
E
lo vide uscire.
Pong
e Pang:
E tutto
quanto il resto,
secondo
vuole il rito,
minuzioso,
infinito!
Ping:
O Cina, o
Cina,
che or
sussulti e trasecoli
inquieta!
Come
dormivi lieta,
gonfia dei
tuoi settantamila secoli!
**
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Capitolo 11 *** Il Trillo: Amalia ***
Il
Trillo:
Amalia
Il
meteo, per quel fine settimana, aveva
previsto addirittura un temporale, e una delle preoccupazione per tale
fenomeno
era che i ciliegi avrebbero subito danni, e pertanto
l’Hanami, che quell’anno
risultava in anticipo, rischiava di andare perso, visto che i boccioli
non
avrebbero retto le raffiche di vento e pioggia. E si trattava di un
evento
troppo importante per permettere che questo avvenisse.
Per
tale motivo il comune aveva attuato
un piano di salvaguardia dei ciliegi nelle zone verdi più
importanti della
città, applicando sugl’alberi
degl’enormi teli per difendere le chiome
degl’alberi; pertanto, affacciandosi dal piccolo e stretto
terrazzo di casa,
Hikaru poté vedere perfettamente gli alberi venir coperti da
degl’enormi
cappucci verde militare.
Il
piccolo naso sporgeva tra le sbarre
in ferro battuto del terrazzo mentre la madre, sorridendo tranquilla,
procedeva
a ritirare i panni, piegando per bene una delle magliette del figlio,
rossa,
per evitare che si formassero delle pieghe inutili.
Dentro
casa la radio mandava musica non
stop. Il piccolo televisore, in cucina, era spesso e volentieri
lasciato
spento, il bambino lo accendeva solo in determinati orari e per un
periodo non
più lungo di un’ora.
-Mamma,
perché gli alberi sono coperti?-
-Perché
così si proteggono i fiori di
ciliegio. Stasera dovrebbe esserci un temporale.-
Ad
Hikaru non piacevano i temporali, li
aveva sempre detestati, e nel sentire quella sgradevole notizia si
accucciò
ulteriormente a terra, guardando il piccolo furgoncino dove un uomo,
con
l’uniforme da operaio, si stava facendo aiutare da un collega
a preparare il
telo per l’ultimo ciliegio rimasto scoperto.
Yayoi
si affacciò dalle magliette del
bambino, notando l’assenza di risposta da parte di lui, e
tenendo i capi
piegati tra le braccia s’inginocchiò verso di lui,
parlandogli a voce bassa.
-Se
vuoi, stanotte, dormi con me sul
lettone. Ti va?-
-No,
sono grande, dormo del mio letto da
solo.-
La
donna sorrise, intenerita da quella
dimostrazione di fierezza, le faceva tanto ricordare Jun quando lei lo
punzecchiava: anche l’uomo, infatti, detestava i temporali, e
anche se non lo
voleva ammettere faceva davvero fatica ad addormentarsi la notte.
Però,
piuttosto che ammetterlo, faceva la figura del presuntuoso. Ma alla
ragazza
faceva sempre sorridere quell’atteggiamento, e alla fine
amava anche questo di
lui.
Dalla
seduta con Matilde la testa di
Yayoi si era come stappata, e adesso tutti i ricordi che aveva
soffocato con il
suo ex-marito tornavano fuori molto più luminosi e freschi,
come avessero preso
aria.
Accarezzò
la testa del figlio, sentendo
anche il sottile rimpianto di quella situazione tra lei e Jun.
-…
dai una mano alla mamma a finire di
ritirare i panni, Hikaru?-
Il
bimbo annuì, alzandosi in piedi e
prendendo il cesto delle mollette, tenendolo mentre la donna si
occupava della
biancheria intima, ricordando il “consiglio” che
Matilde le aveva detto:
parlare a Hikaru di come era venuto al mondo … come?
Quando
aveva concepito suo figlio …
quella stessa sera Jun aveva preso i documenti del divorzio. Doveva
dire a suo
figlio che, in realtà, non era stato previsto? Che la sua
nascita era stata una
casualità?
…
però era quello che era accaduto anche
a lei, no? E come le aveva sempre parlato sua madre?
La
donna fermò il movimento, alzando lo
sguardo verso il paesaggio al di là del piccolo terrazzo,
oltre la lingua di
cielo azzurro cominciavano a formarsi i primi ammassamenti di nubi
grigi;
mentre quel paesaggio si rifletteva sulle sue iridi castane, Yayoi
sentì che il
suo cuore e la sua mente avevano gli stessi colori.
-Mamma?-
-…
guarda amore, guarda il cielo.-
Hikaru
alzò lo sguardo, e guardò stupito
quelle grosse nubi che si ammassavano tra di loro, tanti grigi che si
fondevano
e sembravano diventare più scuri e cupi. Anche
l’aria cominciò a farsi più
fredda, il vento iniziava già ad alzarsi.
-Temo
che il brutto tempo arriverà prima
di quanto pensato.-
-Credi
che Jun riuscirà a giocare oggi?-
Ah,
era vero: c’era la partita, il bimbo
glielo aveva accennato il giorno prima, chiedendole di vederla in Tv.
Sulle
prime la donna aveva fatto
resistenza: non era ancora pronta a rivedere quello sport, o meglio di
rivedere
il suo ex-marito giocare; poi, però, si ricordò
che l’uomo si era ritirato, e
ancora un po’ incerta aveva dato il suo consenso.
Non
aveva mai visto suo figlio tanto
contento.
Ora,
però, c’erano quelle nubi in
lontananza che non solo si avvicinavano, ma sembravano proprio correre.
La
donna guardò il volto di Hikaru, e prese
un profondo respiro, inginocchiandosi verso di lui.
-Non
ti so dire cosa vogliono fare,
tesoro, ma in caso è sempre meglio che nessuno si faccia
male o si ammali per
il temporale, no?-
-Però
… io volevo vedere la partita.-
-Lo
sai che Jun non gioca, si?-
-Voglio
vedere la partita!-
Non
era un bimbo da fare i capricci,
pertanto la madre rimase molto stupita quando lo vide accigliarsi e
sbattere
perfino un piede a terra, deciso.
Yayoi
guardò nuovamente quelle nubi, e di
nuovo il bambino, e poi osservò i panni che ancora non aveva
ritirato, tra di
questi c’erano degli stracci per la cucina, di cui uno bianco
e rovinato.
E
le venne un’idea, sorridendo
entusiasta e rivolgendosi al bambino, ancora imbronciato.
-Allora
cerchiamo di aiutare Jun, così
che possa giocare, che ne dici?-
Il
bimbo rimase sorpreso, ma la donna
non gli diede il tempo di chiedere, o quanto meno di reagire, che lo
afferrò
tra le braccia, con lui che teneva il cestino delle mollette ancora tra
le
braccia, e lo trascinò in cucina, tenendo la porta del
terrazzo spalancata, in
modo che il vento soffiasse dentro casa.
Lo
fece sedere sul tavolo della cucina,
e poi uscì a prendere quel vecchio straccio, correndo in
seguito in camera sua
per cercare altra stoffa bianca, frugando poi tra i cassetti del
piccolo
salotto mentre Hikaru restava seduta sul tavolo, muovendo avanti e
indietro i
piedi e cercando di sporgersi per vedere cosa stava combinando la mamma.
Quando
la vide tornare, notò che aveva
in braccio stoffa, carta, pennarelli e spago. Posò tutto
accanto al bambino, e
cominciò a parlare a voce bassa, iniziando a prendere il
primo pezzo di stoffa,
lo straccio rovinato, distendendolo sul tavolo.
-Devi
sapere che quando c’era brutto
tempo e io volevo giocare, il mio papà mi diceva sempre che
dovevo spaventare
Amefushi.-
-Amefushi?-
-È
lo spirito della pioggia. Ma non è
cattivo, anzi lui vorrebbe giocare con i bambini, e scommetto che
adesso
vorrebbe giocare la partita con Jun. Ma se lo fa porta la pioggia, e
allora non
si può giocare.-
-Accidenti,
com’è sfortunato!-
-Si,
lo penso anch’io.-
E
la donna riconobbe in
quell’affermazione un po’ di sé: quando
Mamoru gli raccontò quella storia, per
la prima volta, anche a lei dispiacque per il “signor
spirito”, tanto che pensò
di andare a giocare comunque sotto la pioggia, nella speranza di fargli
compagnia. A quell’affermazione, suo padre aveva sorriso
divertito.
Intanto
, con Hikaru, Yayoi aveva preso
della carta e l’aveva appallottolata, per poi metterla al
centro dello straccio
e coprirla; tenne lo straccio in modo che la pallina fosse coperta, e
legò la
parte sotto con dello spago, continuando a parlare.
-Comunque
… quando bisogna spaventare un
Amefushi, si usa un Teru Teru Bozu. Sono sicura che presto comincerete
a farli
all’asilo.
Ecco
qua. Questo è il mio.-
Ci
aveva disegnato due occhi grandi e
una bocca sorridente con il pennarello, e lo tenne per lo spago
rimanente;
praticamente era un fantasmino con la testa enorme, e la donna fece
vedere ad Hikaru
come lo appendeva fuori dal terrazzo, lì doveva prima
c’erano stati i panni. Il
vento soffiava e faceva agitare il pupazzetto.
-Ah,
ma non è finita qui: il nonno,
quando facevamo un Teru Teru Bozu, mi cantava sempre una filastrocca,
così
funzionava meglio.
Che
ne dici, facciamo qualche altro
pupazzetto per Jun? Così t’insegno la filastrocca.-
Già
quando aveva visto la madre
appendere il pupazzo il bambino era rimasto affascinato, e quando le
propose di
farli assieme non stava più nella pelle, tanto che
appoggiò immediatamente il
cestino delle mollette sul tavolo, concentrandosi sul lavoro che
avrebbe dovuto
fare.
Yayoi
si mise dietro di lui,
prendendogli le manine con le sue lunghe dita, e mentre canticchiava
indicò al
figlio cosa doveva fare.
Stesero
il secondo panno bianco sul
tavolo, e poi Hikaru ci mise molta cura nell’appallottolare
la carta, facendosi
aiutare quel tanto che bastava per renderla più sferica
possibile; poi mise la
palla al centro del fazzoletto, e delicatamente la coprì con
la stoffa,
tenendola ferma mentre la madre prendeva del filo colorato, legando ben
stretto.
Alla
fine il bimbo prese il pennarello,
e ci disegnò sopra due occhi e una bocca con lunghi denti.
Nel vederla Yayoi
rimase colpita, e il bimbo si affrettò a spiegare.
-Così
Amefushi scappa presto!-
Alla
donna le venne quasi da ridere, e
continuando a canticchiare andò ad appendere il pupazzetto,
seguendo le
istruzioni del figlio e mettendolo un po’ più in
alto rispetto al primo. Ora
c’erano due fantasmini a dondolare al vento.
-Un
altro, facciamolo un altro! Uno per
te, uno per e uno per Jun!-
E
la donna annuì, tornando dentro con il
figlio.
Il
panno steso, la pallina accartocciata,
il filo, la filastrocca che Hikaru cominciò a canticchiare;
tutto fuso insieme,
assieme al vento freddo che sapeva un po’ di umido.
Yayoi
guardò quel cielo grigio, e le
venne in mente quel pomeriggio passato con il padre a fare quei
pupazzetti: era
stata una delle prime volte in cui la bimba, dopo il funerale della
madre,
aveva cominciato a parlare con l’uomo, chiamandolo
“padre” con molta timidezza,
non riuscendo mai ad andare oltre quell’appellativo.
Adesso
c’erano perfino delle volte che
lo chiamava “Mamoru-san”.
La
donna strinse leggermente suo figlio
mentre lo vedeva fare tutto da solo, completando l’ultimo
Teru Teru Bozu con
un’espressione decisamente meno minacciosa del secondo.
-Posso
appenderlo io?-
Lei
gli sorrise, prendendoselo in
braccio e portandolo fuori dal terrazzo, dove il piccolo lo
legò saldamente
vicino agl’altri due.
-Hai
stretto bene?-
-Si!-
-Bene,
adesso bisogna solo aspettare che
il signor Teru Teru Bozu faccia il suo dovere.
Che
cosa si fa se ci riesce?-
-Gli
si offre del sakè!-
-E
se non lo fa?-
-…
gli si toglie la testa?-
Si,
l’immagine era abbastanza macabra,
ma così recitava sfortunatamente quella filastrocca; Yayoi
sorrise divertita.
-Limitiamoci
a toglierlo dal terrazzo,
va bene? Dai, ora rientriamo.
Chiudi
tu la porta per favore.-
Il
bimbo si sporse leggermente dalle
braccia della madre, chiudendo la porta scorrevole, rimanendo qualche
minuto,
con lei, a guardare quei nuvoloni grigi.
O
meglio: Hikaru si guardava i suoi
fantasmini, i quali si agitavano al vento; Yayoi, invece,
guardò quelle nubi
grigie, ricordando che, il giorno dopo aver fatto quei pupazzetti con
il padre,
aveva davvero smesso di piovere.
Si
era sporta dalla finestra a guardare
il sole entusiasta, tanto da saltellare e correre dove aveva lasciato i
Teru
Bozu, trovandoli dondolanti; era stata così contenta che era
corsa a prendere
la bottiglia di liquore, senza farsi vedere dagl’altri
parenti perché l’avrebbero
sgridata, posandola con due bicchierini sotto i pupazzi, lasciando poi
che il
padre lo scoprisse e, sorridendo, si servisse accanto al
“signor Bozu”, mentre
lei era corsa a giocare fuori.
Lentamente,
la donna lasciò andare il
figlio, e cominciò a mettere a posto i vari attrezzi che
aveva usato, guardando
Hikaru tenere ancora il naso appiccicato al vetro del terrazzo,
osservava i tre
Teru Bozu, sventolanti come bandiere, e teneva d’occhio al
tempo stesso le
nuvole grigie, che nel frattempo si gonfiavano pesantemente.
-Mamma.-
-Dimmi
amore.-
-Hai
mai fatto il signor Bozu con papà?-
Il
bambino stava chiedendo sempre di
più, e per quanto fosse piccolo era fin troppo intelligente
da non cominciare
ad intuire qualcosa; la cosa strana era che sembrava aspettare proprio
che
fosse la madre a dirglielo, imbeccandola continuamente con quelle
domande.
Però
questo era impossibile: aveva solo
cinque anni!
Yayoi
ci pensò, iniziando a trafficare
in cucina per preparare qualcosa da sgranocchiare. E le parole di
Matilde le
spalancarono il ricordo completo, e sorpresa guardò verso i
tre Teru Bozu sul
suo piccolo balcone. Accidenti, lo aveva completamente dimenticato quel
dettaglio.
Hikaru
vide la madre sorridere, e notò
che aveva l’aria contenta, e questo lo stimolò:
negl’ultimi giorni la mamma era
stata troppo cupa, aveva voglia di rivederla sorridere come prima, e di
solito
quando parlavano di papà ci riusciva sempre.
-Si,
ne abbiamo fatto uno una volta.
Purtroppo non ce l’ho più.
Vuoi
mangiare qualcosa mentre preparo il
pranzo?-
Il
bimbo annuì, mettendosi a tavola
composto, continuando però a tenere d’occhio i
suoi tre fantasmini di stoffa.
AMALIA
Arrèstati!.
.
.gran Dìo!
[dopo
un momento
di stupore]
Carlo
vive? O
caro accento,
melodia
di
paradiso!
Dio
raccolse il
mio lamento,
fu
pietoso al
mio dolor.
Jun
osservò quelle nuvole storcendo la
bocca infastidito, ci mancava solo il tempo a complicare la situazione
della
squadra: uno dei giocatori di punta si era infortunato, e avevano
già una
sospensione sulle spalle. La riserva era buona, ma fino a quel momento
non
aveva giocato granché, e la partita era decisiva per
mantenere la classifica
così com’era, bastava anche solo un punto per
mantenere il distacco dalle
avversarie sotto di loro.
Sbuffò,
bevendosi il suo caffè, seduto
su uno degli spalti più alti dello stadio, attorno a lui i
tecnici avevano già
cominciato a montare le prime telecamere, facendo prove tecniche di
ripresa,
parlando continuamente sulle radio con la sala principale, in alto.
All’uomo
fece quasi strano trovarsi da
quella prospettiva, di solito lui era uno di quelli che “si
faceva riprendere”,
adesso era dietro le cineprese, quando tutto cominciava a muoversi ma
ancora
non c’era la tremenda calca del pubblico; da quel punto di
vista, sporgendosi,
vedeva il campo come un grande appezzamento verde acceso, avevano
appena
sostituito l’erba e rifatto le strisce bianche, le quali
risultavano quasi
fosforescenti nonostante il grigiume della giornata.
Vedere
quel campo vuoto non gli metteva
tristezza, ma tanta malinconia: ultimamente aveva voluto nuovamente
riprendere
a giocare, e anche all’ultima partita con i suoi ex-compagni
di squadra ci
aveva dato più dentro del solito, beccandosi come sempre le
male parole di
tutti, avversari e non.
Oltretutto
… gli sarebbe tanto piaciuto
insegnare ad Hikaru qualcosa. Chissà com’era negli
sport, sembrava un bambino
troppo tranquillo, ma anche lui aveva sempre dovuto mantenere una certa
calma a
causa dei suoi problemi fisici.
A
proposito, non aveva ancora avuto modo
di parlare con Yayoi di quell’argomento: voleva assolutamente
sapere se suo
figlio … il solo pensarci lo agitava tremendamente, e di
colpo la seggiola
dov’era seduto si riempì di spilli, portandolo a
sedersi con la schiena in
avanti, lo sguardo torvo.
Però
se lei non gli aveva detto niente,
forse non c’era problema. In fondo non si diceva che, queste
cose, solitamente
saltavano una generazione? Nella sua famiglia, però, non
aveva mai sentito dire
che il nonno soffrisse di cuore; e se la donna non gli avesse voluto
dire
niente sempre perché non si fidava di lui? No, questa era
una sciocchezza:
Yayoi aveva il diritto di portare rancore, ma non dirgli che il figlio
stava
male era un contro senso. Sarebbe stato sensato che, anzi, glielo
avesse
rinfacciato.
…
ora pensava perfino che la donna
avesse avuto ragione!
Jun
si passò una mano in faccia, di
colpo il suo mondo aveva subito una scossa feroce da quando era
ritornata
quella creatura dai capelli rossi, oltretutto accompagnata dalla sua
fotocopia
maschile, da grande di sicuro Hikaru avrebbe infranto più di
un cuore se fosse
diventato bello come la madre.
Ora
che ci pensava, effettivamente gli
era capitato di sentire i suoi compagni di classe, al liceo, esaltare
la beltà
della loro compagna Aoba; e forse allora, molto più di
prima, il giovane Misugi
si era ritrovata a fissarla, delle volte anche senza rendersene conto,
tanto da
far arrossire sia lei che se stesso quando se ne accorgeva.
Chiuse
gli occhi, prendendo un respiro
profondo, buttando il capo indietro, ripensando a quella figura
longilinea con
i capelli rossi. E di colpo si sentì riavere sedici,
diciassette anni, quando
cominciava a pensare a Yayoi molto più come una donna che
solo come un’amica,
quando toccarla iniziava a diventare un’esperienza speciale,
e non solo per il
feeling che c’era tra i due.
Ma
per tutto quello che mancava.
-Ehilà,
si batte la fiacca?-
L’uomo
si voltò, stupito di sentire
qualcuno interrompere il flusso dei suoi pensieri; Kishida
alzò una mano a
salutarlo, sedendosi in seguito accanto a lui e lanciando uno sguardo
verso il
campo da calcio, adesso c’erano gli addetti che stavano
controllando un’ultima
volta.
-Tu
che ci fai qua?-
-Beh,
non sei solo tu ad avere
l’esclusiva di entrare ed uscire dallo stadio quando ti pare.-
E
il nuovo venuto sorseggiò il suo
caffè. Jun sorrise divertito, scuotendo leggermente il capo,
piazzando i suoi
occhi castani sul quel manto erboso.
Kishida
alzò lo sguardo verso il cielo,
con aria corrucciata.
-Si
preannuncia brutto tempo …-
-Non
me lo ricordare, se oggi perdiamo
rischiamo di scendere dalle prime tre in classifica.-
-Eh
già, si sente che manca il
“principe”.-
-Dai,
mi porto questo nomignolo dalle
elementari, pietà!-
-Guarda
che eri tu quello con i modi da
gran signore.-
E
Kishida imitò Jun mentre camminava,
tenendo il muso alto e rischiando, pertanto, d’incespicare
ogni due per tre;
nel vederlo, l’uomo dai capelli castani rise divertito, e i
due cominciarono a
ricordare la vecchia squadra, attirando l’attenzione di
qualche cameraman che,
non visto, riprese il tutto.
-Comunque
mi fa piacere vedere che,
nonostante il ritiro, non smetti d’interessarti al calcio:
quando te ne sei
andato non sembravi intenzionato anche solo a parlarne.-
-Davvero
ho dato questa impressione?-
-Alto
che! Ricordo ancora bene il giorno
in cui hai preso le tue cose: avevi uno sguardo così torvo
che quasi non ti
riconoscevo.-
L’uomo
alzò lo sguardo, ricordandosi
quel giorno mentre l’amico continuava a parlare.
-Non
ti chiesi mai perché l’hai fatto,
perché non sono fatti miei. Ma davvero Jun: tu non davi
l’idea di uno che
avrebbe mollato.-
La
domanda era implicita, e d’istinto
l’uomo sorrise divertito, senza però trovare una
risposta valida al dubbio di
Kishida.
-Se
devo essere sincero … ho lasciato
perché semplicemente, continuando a giocare, non sentivo
più quella … fantasia,
quell’entusiasmo che avevo una volta.
Probabilmente
il divorzio mi ha fatto
male.-
E
provò a buttarla sul ridere, ma l’uomo
non parve convinto di quel tentativo, sporgendosi verso di lui e
lanciandogli
un’occhiata chiara, come a dire “non
scherzarci”; Jun prese un profondo
respiro, alzando lo sguardo verso l’alto, era tutto
così confuso da quelli che
erano stati soltanto cinque anni dalla firma sulle carte. Gli sembrava
che il
tutto fosse avvenuto almeno vent’anni prima!
-Davvero,
dall’ultima volta che vidi
Yayoi … le cose sembrarono tornare a posto: avevo sempre la
mia routine, la
squadra, il mio lavoro. Eppure …-
-Già,
succede sempre.-
-Hai
qualche esperienza a riguardo,
dottor Kishida?-
-Più
di quanto tu possa immaginare,
paziente Misugi.-
Kichiro,
a quel punto, prese un profondo
respiro mentre l’amico si sistemava meglio sulla poltroncina.
-Capita
a chiunque di perdere qualcosa
d’importante senza rendersene conto: io ho perso
completamente l’occasione di
avere un rapporto con mio padre.-
Questo
era qualcosa di davvero
inaspettato per Jun, il quale sporse verso l’amico per
poterlo ascoltare con
attenzione mentre questo si metteva a posto il cappellino, calcando la
visiera
sullo sguardo.
-Mio
padre … è sempre stato contrario al
calcio, lo odiava proprio: l’ho trovava uno sport inutile,
una delle tante
stramberie occidentali. Era un uomo all’antica.-
Lentamente,
mentre Kishida continuava a
parlare, nella mente di Misugi si profilavano le immagini di diversi
volti, di
situazioni avvenute: ricordò subito il signor Aoba, il padre
di Yayoi, e il suo
atteggiamento posato mentre accoglieva l’uomo nella sua casa.
Ripensò
poi a suo padre, a come invece
fosse stato decisamente più dinamico e, al tempo stesso,
più rigido quando la
giovane donna si presentò a lui come moglie del figlio.
-Lui
voleva … che io facessi l’avvocato,
o comunque che mi procurassi un lavoro, come diceva lui; invece
continuai gli
allenamenti, i sacrifici, e alla fine entrai in squadra qui a Tokyo.
Lui non mi
volle parlare più.-
Per
i problemi cardiaci del figlio, il
signor Misugi,tanto quanto la sua consorte, aveva sempre cercato di far
vivere
il ragazzino nella bambagia, di permettergli sempre un po’ di
più del dovuto,
in modo da non farlo sforzare in niente; ma quando c’era
stato il calcio, lì si
era trovato in crisi.
Jun
ricordava ancora, con un sorriso
imbarazzato ma divertito, come l’uomo era rimasto
… irretito quando lui,
ragazzino, aveva espresso il desiderio di giocare a calcio. Il signor
Misugi
non parlò per i successivi cinque minuti, mentre la donna
provava inizialmente
a dissuadere il figlio con la dolcezza, per poi andare di matto.
Alla
fine, quando riprese la parola,
l’uomo si limitò a chiedere conferma al figlio
della sua decisione, per poi
ammonirlo.
“Quando
ti fermerai, io ti farò
smettere.”
Anche
per questo lottò tenacemente.
Sempre.
E
a quel pensiero gli venne in mente
Hikaru. E il fatto che lui ne era il padre, quindi un giorno, forse,
avrebbe
dovuto affrontare una situazione simile. Come l’avrebbe
affrontata?
-Io
… ero così arrabbiato con lui: avevo
sempre cercato di mostrargli che il calcio era un bello sport, e
pensavo che,
dopo tutta la fatica, lui non mi avrebbe mai capito.-
Jun
fece un’espressione chiaramente
sorpresa, e stese la schiena indietro, facendola aderire al piccolo
schienale
della poltroncina, Kichiro gli rivolse un’occhiata
tranquilla, arrivando
perfino a sorridere, anche se non c’era alcuna gioia o
sollievo nella piega
delle labbra; tornò ad osservare il campo, tenendo le
braccia appoggiate sulle
ginocchia.
-Decisi
che non volli più rivederlo: mi
trasferii definitivamente qua, e persi i contatti.
Qualche
anno fa decisi … di recuperare
il legame. Ma era troppo tardi: la vecchiaia fu più veloce
di me.-
L’amico
lo guardò leggermente
stralunato: la vecchiaia? L’altro gli rispose velocemente.
-Io
sono l’ultimo di cinque figli, e io
sono arrivato quando lui era già avanti con
l’età.-
-…
uomo arzillo, eh?-
-In
quel senso di sicuro. Peccato non
aver preso da lui.-
E
Kishida ridacchiò, ma anche stavolta
non c’era effettiva allegria. Jun tirò verso
l’alto gli angoli della bocca, ma
il silenzio tra i due fu davvero pesante. A provare a smorzarlo, il
vento umido
soffiò dentro il campo, ed entrambi gli uomini alzarono lo
sguardo, osservando
quelle nubi grigie e fastidiose gonfiarsi sempre di più.
-Hmm,
sembra proprio che stasera vi
toccherà giocare sotto la pioggia.-
-Teru-Teru
Bouzu, Teru Bouzu, ashita tenki
ni shite o-kure …-
-Di
un po’, non sarai un po’ vecchio per
questo? E poi il bel tempo dovresti chiederlo per oggi.-
-Ah,
scusami, è solo che Yayoi la
canticchiava sempre quando era brutto tempo.-
-…
è già la seconda volta che la nomini,
se non ho capito male è la tua ex-moglie, giusto?-
Ah
già. Kishida non ne sapeva niente. E
non era un uomo stupido, Misugi individuò subito quella
scintilla d’intuizione
negl’occhi dell’amico, e velocemente nascose il
sorriso che stava formando con
le mani, sporgendosi in avanti e poggiando i gomiti sulle ginocchia,
annuendo.
-Sai,
è strano, ma anche la mia amica
Ya-chan, sai te ne ho parlato … beh, anche lei si chiama
Yayoi. Che strana
coincidenza …-
Jun
si morse le labbra dentro la bocca, ma
davvero non riusciva a scacciare quel sorriso dalla bocca, e a
quell’atteggiamento Kichiro sentì la sua
intuizione farsi certezza, tanto che
strinse i pugni sulle ginocchia, sentendo la schiena irrigidirsi.
-Ma
… per caso tua moglie … di cognome si
chiama Aoba?-
-Si.-
-…-
-Dai
Kichiro, ti conosco, so che l’hai
capito.-
-No
dai … dammi un momento.-
-Ti
posso assicurare che sono rimasto
sconvolto anch’io quando l’ho scoperto.-
-Parli
di Hikaru? Non lo sapevi?-
Jun
scosse la testa, infilandosi le mani
nelle tasche della giacca, sentendo le dita gelarsi.
-Non
me l’ha voluto dire. Il nostro
divorzio … è stata una mia scelta non molto
condivisa da lei; credo che non mi
abbia detto niente di Hikaru … perché temeva
avrei fatto ancora una volta di
testa mia.-
-Non
volevi figli?-
-Non
ci ho mai pensato. Pensavo solo alla
carriera sportiva.-
E
la conversazione s’interruppe per i
successivi due minuti. Poi Kishida domandò.
-Dunque
hai visto Hikaru. Come ti è
sembrato?-
Misugi
ci pensò, ricordando dalla prima
volta che lo aveva conosciuto fino all’ultima volta che lo
aveva visto. E
sorrise.
-È
un bimbo in gamba.-
-Ah!
Lo sapevo, anche tu non hai resistito
al suo fascino! Beh, adesso posso dire che ha preso dal padre.-
E
i due uomini risero della battuta.
Poi
il cellulare di Misugi squillò:
l’allenatore lo voleva negli spogliatoi, per aiutare il resto
della squadra a
prepararsi. In effetti mancava davvero poco, presto i primi tifosi
sarebbero
entrati.
Kichiro
si alzò assieme all’amico,
salutandolo con aria tranquilla.
-Bene,
in bocca al lupo per stasera.-
-Crepi,
ti ringrazio.-
-Ah,
senti …-
Jun
si voltò immediatamente, non si era
neanche avviato. Vide l’amico fare una faccia leggermente
imbarazzata,
passandosi una mano sul collo.
-A
proposito … di quello che penso di
Yayoi … non mi rimangio niente di quello che ti ho detto
quella sera, a
proposito di lei … e dei suoi pensieri.-
“-Ma
sapevo che lei non mi avrebbe mai ricambiato. Sai … ho come
la sensazione che,
delle volte, ripensa all’ex-marito.-”
Jun,
nel ricordarlo, si sentì
imbarazzato come l’uomo, e si limitò a fare un
cenno del capo, avviandosi
nuovamente in direzione degli spogliatoi, tenendo le mani in tasca;
pochi
minuti dopo, quando fu certo di essere solo, ricominciò a
fischiettare la
melodia del “signor Teru Teru Bozu”.
Aveva
ancora in faccia un’aria
imbarazzata, ma gli veniva da sorridere come prima, e
fischiettò per
trattenersi il più possibile.
Carlo
vive?. .
.Or terra e cielo
si
riveston d'un
sorriso;
gli
astri, il
sol non han più velo;
l'universo
è
tutto amor.
(I
Masnadieri,
Verdi)
Per
tutta la partita Hikaru rimase
praticamente con il naso incollato allo schermo, tanto che Yayoi fu
costretta a
richiamarlo più di una volta per spingerlo a finire di
mangiare; al tempo
stesso, però, anche lei rimase molto affascinata
nell’assistere all’evento, era
davvero passato tanto tempo dall’ultima volta.
Ovviamente,
quando la telecamera riprese
Jun, in un momento in cui stava parlando l’allenatore, sia il
figlio che la
madre saltarono sulla sedia, ovviamente con sentimenti ben diversi: il
bimbo
era entusiasta, voleva tanto avere avuto Makoto al suo fianco per
indicarglielo
e ricordargli che quello era “il suo amico”; Yayoi,
al contrario, aveva sentito
il cuore sobbalzarle, e di colpo le parve di vedere, sulla sedia
accanto alla
sua, quella giovane moglie che assisteva, nel silenzio e solitudine,
alle
prodezze del marito.
Ma
le bastò il primo commento di suo
figlio, seguito da molti altri, per spazzare via
quell’immagine dai suoi occhi:
no, adesso non era sola, e di certo quella casa non era silenziosa,
tanto che
raccomandò il bambino di non fare troppo rumore, che
rischiava di disturbare i
vicini.
Tuttavia
Hikaru era veramente su di giri:
ogni volta che vedeva un giocatore avvicinarsi alla porta si agitava
tantissimo, chiedendo alla madre se quello era un giocatore
“di Jun” o no; se
la risposta era affermativa, allora tifava con tutte le sue forze,
altrimenti
si concentrava, stringeva i pugni, e pensava con tutte le sue forze che
quell’attaccante sbagliasse.
E
poi domandava del fuori gioco, del
fallo, della rimessa laterale, del calcio d’angolo, dei nomi
dei giocatori … in
poche parole, Yayoi si ritrovò a spiegare al bambino,
sedutosi sulle sue ginocchia,
per filo e per segno tutte le regole del gioco, e ogni volta che
chiedeva se
lui aveva capito, Hikaru annuiva deciso.
A
lei, nel vederlo così, veniva da
sorridere divertita.
Pian
piano, continuando a guardare la
partita, parlando al figlio, Yayoi si rese conto che aveva dimenticato
ben
poco, quasi nulla di quello sport, nonostante fossero cinque anni che
cercasse
di tenersene il più lontano possibile: ricordava ancora i
nomi tecnici di certi
tiri, riconosceva ogni ruolo e ogni errore da parte dei giocatori o
dell’arbitro, arrivando perfino ad agitarsi quando vide un
attaccante del Tokyo
sbagliare tiro, rivalutandone l’errore e trovandone la
soluzione.
Se
non fosse stato per Hikaru sulle sue
gambe, eccitato e chiacchiericcio, le sarebbe sembrato di tornare ad
avere
vent’anni e anche meno, che soffriva e gioiva mentre vedeva
il suo grande amore
alla televisione.
Il
suo grande amore …
Ripensò
ancora una volta a sua madre, al
suo comportamento, alle sue “bizzarrie”, e si rese
conto di quanto le
somigliasse: anche lei, pur di non rinunciare all’amore, si
era pian piano
chiusa in una bolla.
Strofinò
la sua guancia sulla testa di
Hikaru: lei, però, aveva preferito rinunciare a Jun per il
bambino, mentre sua
madre non era riuscita a rinunciare a nessuno dei due. E adesso la
donna era
nel regno dei morti, mentre Yayoi …
Chissà
se alla madre sarebbe piaciuto il
suo nipotino, o anche solo il suo genero …
L’arbitro
fischiò la fine della partita
e distrasse Yayoi da quel pensiero. Hikaru saltellò allegro
sulle ginocchia
della madre: il Tokyo FC era riuscito a segnare un gol, andando in
vantaggio al
secondo tempo, e quindi aveva vinto. Oltretutto, il tempo aveva retto
fino a
quel momento, perché proprio allora, mentre tutti si
ritiravano negli
spogliatoi, si sentì rombare il temporale, e la pioggia
iniziare a scrosciare.
-Hanno
funzionato! I Teru Bozu hanno
funzionato!-
-Bene,
allora bisogna offrirgli del
saké. Vallo a prendere mentre io li porto dentro, non
vogliamo che si bagnino,
no?-
E
il bimbo obbedì mentre la donna usciva
velocemente in terrazzo, recuperando i tre pupazzetti, sentendo la
pioggia batterle
leggermente sulla spalla; assieme ad Hikaru preparò tre
bicchierini, mettendoci
del liquore, e poi con il piccolo pregò e
ringraziò i Teru Bozu, guidando in
seguito il figlio a letto.
Lei,
Yayoi Aoba, era ben viva. E stava
cercando, ora, di recuperare quello che aveva dovuto lasciarsi alle
spalle: il
rapporto con Jun, con l’uomo che aveva tanto amato, per tanto
tempo. Si diceva
che lo faceva soprattutto per suo figlio, per il diritto che aveva il
bambino
di conoscere e frequentare suo padre; tuttavia, mentre rimuginava sotto
le
coperte, la donna dovette ammettere che le faceva piacere.
Si,
le faceva piacere aver ripreso a
parlare con Jun, vedere come lui era così bravo con il
bambino. Ma certamente,
non poteva sperare nel lieto fine, nel “e vissero felici e
contenti” dei
classici film per famiglie: dopo tutto aveva mentito, e anche se aveva
le sue
ragioni non era stata giusta nei confronti dell’uomo.
Ne
era stata spaventata, sfiduciata, e
adesso pagava quell’atteggiamento con il dover stare lontana
dall’uomo, il
dover lasciare i suoi spazi. E il suo avere a che fare con la propria
coscienza
con le sedute di psicologia.
E
sebbene fosse solo la prima seduta, la
donna dai capelli rossi aveva già appreso una parte
importante di sé: il suo
senso d’impotenza, derivato da qualcosa di più
vecchio e profondo del semplice
divorzio con Jun.
Ripensò
nuovamente al funerale di sua
madre, e di nuovo le parve grigio, e i personaggi che sfilavano davanti
a lei
erano nuovamente alti, scuri, i cui volti si scolorivano mentre la
guadavano
pietosi, sussurrando quanto quella piccola era
“sfortunata” o “disgraziata”;
lei, personalmente, aveva sentito quei giudizi come un peso per le
spalle di
Mamoru.
Ancora
adesso non le pareva vero che
quell’uomo, nonostante non fosse sua figlia,
l’avesse comunque tenuta con sé.
Cosa pensava davvero di lei? Le voleva davvero bene?
Yayoi
vide il lampo attraverso le tende
della finestra, e il rombo lo seguì pochi minuti dopo;
pensò ad Hikaru, ma
decise di aspettare ad andare a controllare, magari il bimbo stava
già
dormendo. Un altro lampo, un altro tuono, stavolta più
vicino.
Il
vento spinse la pioggia a battere sul
vetro della stanza della donna, e questa restò ferma ad
ascoltare, tornando a
ripensare al suo padre adottivo: le aveva sempre voluto bene,
l’aveva sempre
trattata con profondo affetto, e quando conobbe Hikaru l’era
sembrato davvero
felice.
Anche
Jun era stato, a suo modo, felice
che il bimbo parlasse di lui, ne ricordava bene l’espressione
emozionata quando
glielo aveva detto in ufficio.
Lei
era sempre stata sicura che, se si
fosse presentata la situazione, l’uomo sarebbe stato un buon
padre. E non
sapeva ancora che Hikaru era sano, di sicuro Jun avrebbe fatto i salti
di gioia
nel saperlo, quella malattia era sempre stato il suo incubo.
C’erano delle
notti in cui …
Un
lampo e un tuono, stavolta
praticamente uno dietro l’altro. Il dietro la testiera del
letto tremò, lo
sentì chiaramente, ed a quel punto la donna si
alzò in piedi, dirigendosi
silenziosa verso la stanza del bambino.
Aprì
uno spiraglio della porta, e vide
un involucro di coperte su quel letto; sorrise intenerita, ed
entrò in stanza.
Si
avvicinò al letto, e un altro fulmine
illuminò la scena, stavolta il rumore fu così
forte da intimidire anche lei
mentre le coperte facevano un piccolo scatto, e le parve quasi di
sentire un
rumore.
Posò
una mano sul copriletto, e lo sentì
chiaramente tremare.
-…
Hikaru, amore, sono io, sono mamma.-
Molto
lentamente, e spaventato, il bimbo
tirò fuori la testa, e alla donna parve vedere i segni delle
lacrime che
facevano capolino da quei grandi occhi brillanti. Un altro fulmine, e
stavolta
sentì davvero il suo bambino esclamare spaventato, cercando
rifugio pressando
la faccia sul cuscino.
-Shh,
calma, calma amore, ci sono qua io
…-
Quando
gli aveva proposto di dormire
insieme, lui coraggiosamente le aveva detto che “avrebbe
dormito da solo”.
Sorrise, ripensando al suo piccolo e coraggioso ometto.
-Forza,
vieni qui.-
Lo
guidò alle sue braccia, e lentamente
si alzò in piedi, portandosi in camera il bambino,
stringendolo forte quando un
fulmine cadde ancora, stavolta il rombo ci mise qualche secondo, segno
che il
temporale si muoveva veloce.
Adagiò
Hikaru nelle coperte, coprendo
sia lui che lei per bene, stringendolo a sé, sentendolo
ancora tremolante
mentre gli accarezzava i capelli, sussurrandogli e mormorando la
filastrocca
del Teru Bozu; ma il tempo passò, e il temporale sembrava
non finire mai, e ad
ogni rombo, ad ogni fulmine, il bimbo faceva sempre più
fatica a dormire. Di
questo passo rischiava di passare la notte in bianco.
Yayoi
ci pensò un attimo, e poi decise
di parlare, tenendo sempre un volume di voce basso e tranquillo.
-Sai
… io e papà ti abbiamo creato
proprio in un giorno di pioggia.-
Il
bimbo fece un movimento, nel buio
della camera lei non poteva vederlo, ma ne sentiva chiaramente il
calore.
Sorridendo incoraggiata, e riprese a parlare.
-Era
un giorno grigio come oggi, e il
tuo papà, quando vide il brutto tempo, disse che forse non
riusciva a tornare a
casa, dato che giocava distante da casa.-
“-Ho
una trasferta, e se il tempo è brutto come hanno predetto
probabilmente tornerò
a casa domani. Pertanto non mi aspettare alzata.-
-Ah,
va bene. In bocca al lupo.-
-Grazie.
A domani.-”
-Lo
vidi uscire di casa, e poi
controllai il tempo fuori dalla finestra: era davvero brutto, nuvoloni
neri
oscuravano il cielo, e mi sembrava già di vedere qualche
lampo.
Amefushi
avrebbe obbligato il papà a non
tornare a casa quella sera, e la cosa mi rendeva triste, non sapevo che
fare.
Poi mi ricordai del signor Teru Bozu.-
Aveva
cercato tutto il materiale, e
sebbene fosse una sciocchezza, un gioco per bambini, e sebbene fosse
stata
certa che non avrebbe funzionato, si applicò lo stesso per
creare un pupazzo
bello grosso e ben fatto, appendendolo in seguito al terrazzo proprio
come
aveva fatto con Hikaru quella mattina.
-Era
grande più di quelli fatti insieme,
con due grossi e rossi occhi. Lo appesi al terrazzo e cantai la
filastrocca per
tutto il giorno, restando a casa.-
Lavò
il pavimenti e cantò la
filastrocca. Pulì i panni e cantò ancora.
Rassettò, stirò, cucinò e fece altro
sempre canticchiando quella canzone, guardando ogni due per tre dalla
finestra
del terrazzo.
-E
com’è andata?-
Hikaru
mormorò quella frase con voce
stanca, e Yayoi sperò che il bimbo si stesse addormentando,
abbassando
ulteriormente il tono di voce, scendendo bene le parole.
-Non
cadde neanche una goccia di pioggia
per tutto il giorno.-
-Papà
… tornò?-
-Oh
si, puntuale come sempre.-
“-Com’è
andata la partita?-
-Un
pareggio, niente di che.-
-Fortuna
che non ha piovuto.-
-Già.-”
Non
notò il Teru Bozu, né chiese alla
donna come avesse passato la giornata; a quel pensiero Yayoi strinse le
labbra,
e decise di rischiare.
-Vide
il Teru Bozu, e mi prese un po’ in
giro, per poi ringraziarlo come abbiamo fatto io e te, offrendogli del
saké.
Però,
quando lo tolsi dal terrazzo,
prese a piovere come adesso. E faceva tanto freddo.
Sai,
al tuo papà non piacciono i temporali,
proprio come te: lui odia il rumore del tuono.
Per
questo motivo mi abbracciò e mi
tenne stretta a sé tutto il tempo. Io allora gli canticchiai
la
filastrocca, e lui
mi ringraziò,
sussurrandomi … quanto mi volesse bene …-
“-Yayoi
…-”
Lei
canticchiò davvero quella
filastrocca, ma lui non fece altro che chiamarla e baciarla, quasi a
tappargli
la bocca, per poi stringerla a sé e amarla una sola volta,
prima di
addormentarsi mentre lei aveva fatto fatica a prendere sonno,
ascoltando il
rumore della pioggia che, finalmente, si allontanava.
-E
in quell’abbraccio ti abbiamo
pensato, e sei venuto al mondo.-
A
quel punto sentì chiaramente il
respiro di Hikaru profondo e regolare, e sorrise sollevata, era
riuscita a
farlo addormentare, e anche il temporale fuori sembrava essersi
calmato; per
prudenza, però, preferì continuare a tenere
Hikaru abbracciato a sé,
baciandogli un’ultima volta i capelli, mormorandogli senza
farsi sentire.
-Però
devi scusarmi, amore: non ho detto
nulla di te a papà.
Ma
rimedierò, piccolo mio. Ti prometto
che rimedierò.-
Quando
sua madre le raccontava la storia
di come aveva conosciuto suo padre, Yayoi finiva sempre in grembo alla
donna,
con i capelli pettinati ed acconciati sempre in modi diversi; ed ogni
volta che
terminava il suo racconto, la donna le baciava il capo, tenendola
abbracciata a
sé.
Ora
che aveva finito quella storia,
mentre il sonno cominciava a pesare anche a lei, Yayoi si
domandò quanto,
effettivamente, era vero di quella storia che sapeva a memoria, e
quanto l’era
stato raccontato con la fantasia … per non farla soffrire? O
meglio … perché la
madre non sentisse la sofferenza di quanto le era successo.
“Mamma
… chi sei stata davvero?”
E
una lacrima scivolò dagl’occhi di
Yayoi. E continuando a stringere il bambino, la donna si
addormentò.
Jun
continuò a mormorare quella
filastrocca anche durante il temporale, non riuscendo a prendere sonno:
a lui
non piaceva molto i temporali, il rumore in particolare gli dava
fastidio, e
quando sentì il rombo proprio sopra la sua testa,
avvertì i muri vibrare
leggermente, mettendogli una leggera ansia. Così, per
distrarsi, borbottò la
canzoncina.
E
mentre la stava canticchiando ripensò
a tutte le volte che si era ritrovato ad affrontare un temporale, e a
quello
che faceva: da piccolo andava nel letto di sua madre, poi
cominciò a leggere
fino ad addormentarsi con la luce accesa, oppure parlava con il suo
compagno di
stanza, fino a quando non cominciò a vivere con Yayoi.
Ricordò
che, quando ci fu il primo
temporale serio, la donna costruì un Teru Bozu, appendendolo
al terrazzo e
canticchiando la filastrocca; e incredibilmente l’uomo
riuscì a restare
tranquillo, dormendo sereno. Così quella cerimonia avvenne
tutte le volte che
pioveva.
Ah,
ora che si pensava … anche quella
volta …
Aveva
minacciato temporale, e i treni di
sicuro avrebbero avuto problemi, provocando ritardi; lui disse alla
moglie di
non aspettarlo alzata, usando come scusa il fatto che comunque era una
partita
che si svolgeva in trasferta. In verità, prima di tornare a
casa, sarebbe
passato dall’avvocato divorzista a prendere i documenti per
la separazione.
Si
era deciso a fare quel passo, e quel
giorno il tempo sembrava dipingere in cielo il suo umore: non gli
andava di
fare una cosa del genere, era una burocrazia fastidiosa e lunga.
Però gli era sembrata
la cosa giusta da fare.
Eppure,
quando si rese conto che poteva
tornare, che il temporale vero e proprio non si era ancora scatenato,
non esitò
a salire sul primo treno, arrivando perfino a correre per non rischiare
di
perderlo, domandandosi se, per caso, Yayoi aveva preferito aspettarlo
per cena.
E
sua moglie lo aveva davvero aspettato,
accogliendolo con il suo solito sorriso; Jun provò un grande
sollievo, ma non
le disse niente, avvertendo come delle spine sulla schiena, stringendo
in mano
la borsa con dentro la cartella dei documenti.
Lei
lo aveva aspettato, e lui aveva con
sé i documenti del divorzio; gli sembrò di fargli
una crudeltà, e preferì non
discutere della questione quella sera, ci avrebbe pensato il giorno
dopo, se lo
ripromise.
Ma
quando lui si sedette a tavola, alzò
lo sguardo e notò quella piccola figura bianca appesa sul
vetro, che lo
guardava con i suoi occhi tondi e rossi; e Jun tentennò
nella sua scelta. Pensò
di lasciar perdere, di piuttosto provare a fare qualcosa con Yayoi.
Alla fine,
però, il raziocinio prese di nuovo il sopravvento, e
cancellò quelle sensazioni,
cominciando a mangiare con la moglie di fronte a lui, come sempre in
silenzio.
Jun
prese un profondo respiro,
mettendosi le mani dietro la testa e guardando il soffitto buio,
guardando il
lampo illuminarlo per pochi secondi, e sentendo il rombo farsi
più lontano,
segno che stava passando il temporale.
Quella
notte, invece, il temporale
sembrò proprio non voler passare, e di colpo si era come
scatenato l’inferno, quel
rumore lo stava tenendo completamente sveglio.
Ad
un tratto, dopo che si era girato l’ennesima
volta, sentì proprio Yayoi mormorare quel motivetto, e
ancora una volta il suo
cuore sembrò cedere, ricordandogli quei documenti sul
tavolo, sussurrandogli di
tutto il tempo passato insieme a quella donna.
Tuttavia,
ancora una volta il suo
cervello la fece da padrone, e cercò nel calore della moglie
un po’ di conforto,
facendole interrompere quella filastrocca. Un gesto davvero egoista.
Ma,
adesso, non c’era niente da fare:
sembrava che, questa volta, quella filastrocca non riuscisse a sortire
alcune
effetto su di lui; si mise sul letto, sentendo il temporale calmarsi e
allontanarsi, completamente sveglio.
Poi,
all’improvviso, si alzò in piedi,
vagando per casa e frugando tra i cassetti, fino a trovare quella che
cercava;
nel semibuio, senza accendersi le luci ma sfruttando quella proveniente
dai
lampioni all’esterno, appallottolò un
po’ carta, la coprì con un fazzoletto che
legò con dello scotch. Poi, con una penna, disegno due occhi
ed una bocca.
Usò
un altro pezzo di scotch per
appenderlo sulla finestra della camera, e poi tornò a
sdraiarsi sul materasso,
guardandolo con aria scettica: gli era venuto proprio brutto, Yayoi era
più
brava di lui in quelle cose.
Ricominciò
a mormorare la filastrocca, e
finalmente un’oretta dopo si addormentò, quando
oramai la pioggia era passata.
*La
canzone del Teru Teru Bozu è
possibile trovarla su youtube, mentre il testo si trova su wikipedia.
**
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Capitolo 12 *** Habanera: l'amour est un oiseau rebelle ***
Habanera:
L’amour est un oiseau rebelle
L’Habanera
è una danza di origine spagnola molto
simile al tango; oltre alla “Carmen”, anche il
musicista Ravel ne ha fatto uso,
e persino Debussy!
Bene,
e adesso buona lettura!
Yayoi
aprì lentamente gli occhi, e si
sentì come avvolta nell’ovatta; provò a
muoversi, ma si rese subito conto che
c’era qualcuno accanto a lei, e per un attimo
pensò che si trattava di Jun, che
doveva svegliarlo perché se no faceva tardi …
quando abbassò lo sguardo e
riconobbe Hikaru, rimase particolarmente sorpresa.
Poi
si riscosse, dando come motivazione
il fatto che, la sera prima, lei e suo figlio si erano messi a guardare
la
partita alla televisione; continuò ad osservare suo figlio,
notando come questo
sembrasse dormire tranquillo, abbracciato a lei, i pugni vicino al
volto e il
respiro pesante.
Era
riuscito a farlo addormentare
raccontandogli quella storia, e stranamente quel ricordo non le aveva
fatto il
male che pensava di ricordare; anzi, forse proprio perché
l’aveva cambiato per
suo figlio, la tristezza che emanava era diventata meno pesante.
Sorrise,
continuando a guardare la
capigliatura di suo figlio: fin da quando era stato concepito aveva
avuto il
talento di fare quei piccoli miracoli sulla donna, aiutandola a
superare ogni
ostacolo. Lentamente, la madre strofinò la guancia sul capo
del piccolo,
disturbandogli il sonno e facendolo svegliare, dandogli un bacio sulla
fronte.
Hikaru
alzò lo sguardo, trovandosi il
sorriso e gli occhi della mamma a pochi centimetri.
-Buongiorno
amore. Dormito bene?-
Lui
annuì, strofinandosi gli occhi con i
pugni mentre la donna, sempre con molta calma, iniziò a
scostare le coperte,
facendo scivolare via il braccio con cui stava abbracciando il figlio
per
potersi alzare e scostare le tende della finestra; un raggio di sole la
colpì
immediatamente, e il cielo azzurro le aprì il cuore.
-Hikaru,
vieni a vedere.-
Il
bimbo a fatica scostò le coperte,
scendendo dal letto e avvicinandosi con ancora lo sguardo assonnato;
delicatamente, la donna lo prese tra le braccia, e lo
sollevò, facendolo
affacciare alla finestra, guardando verso il cielo.
-Guarda,
laggiù.-
Il
bimbo alzò lo sguardo. E un secondo
dopo era ben sveglio.
Un
piccolo arcobaleno si era formato
verso l’orizzonte. Aveva solo una leggera curvatura, e i
colori stavano andando
a sfumarsi, ma quando lo vide il bimbo si agitò leggermente
nelle braccia della
mamma, sporgendosi su quella finestra mentre la donna sorrideva
contenta.
-Wahhh,
waaahhh l’arcobaleno!!-
-Hai
visto che bello? Vedi che il
temporale ha portato anche qualcosa di bello?-
Hikaru
annuì, e madre e figlio rimasero
qualche minuto ad osservarlo, il bimbo sembrava studiarlo in ogni
minimo
dettaglio, continuando a muovere leggermente i piedi per
l’emozione, cercando
di ricordarne tutto, dal colore alla forma; Yayoi, intanto, si
ritrovò a
pensare che, la sera dopo il temporale, aveva trovato le carte del
divorzio, ed
era certa di non aver visto nessun arcobaleno.
E
adesso stava tenendo tra le braccia il
suo bambino.
Di
colpo, quei cinque anni le sembrarono
un’infinita di tempo; tanto tempo era passato
dall’ultima volta che era stata
davvero con quell’uomo. E da quell’ultima volta
… era venuto al mondo Hikaru.
-Amore.-
Il
bimbo si voltò verso la madre, la
quale gli sorrideva, felice, accarezzandogli i capelli. Avrebbe voluto
dirgli
quanto gli voleva bene, quanto si sentiva fortunata … e
quanto gli sarebbe
piaciuto che Jun fosse con loro.
Invece
si schiarì la voce.
-Che
ne dici di prepararci, eh?-
In
quel momento suonò la sveglia sul
comodino della donna, e questa sorrise divertita, facendo scendere suo
figlio a
terra.
-Forza,
a lavarsi e vestirsi, che oggi
arriviamo prima all’asilo!-
Il
bimbo corse via, e la donna ne
approfittò per spegnere la sveglia, aprendo il suo armadio
per preparare la
roba da mettersi.
-Mamma!!-
Yayoi
si voltò, sorpresa, e non ebbe il
tempo di fare o dire niente che Hikaru le si buttò
letteralmente addosso,
abbracciandola le gambe mentre la donna, a momenti, cadeva
all’indietro.
-Hikaru!
Amore, che c’è?-
Il
piccolo alzò il volto, sorridendo
entusiasta.
-BUON
COMPLEANNO MAMMA!-
…
ah, davvero? Era … era già il 15
Marzo?
Alla
scoperta la donna rimase quasi
pietrificata, per poi inginocchiarsi verso il figlio, il quale
l’abbracciò,
stringendola forte, entusiasta.
-Auguri
mamma! Hai visto che me lo sono
ricordato?!-
Era
… era la prima volta che suo figlio
le faceva gli auguri così: fino all’anno scorso il
suo compleanno era passato
via come un colpo di spugna, senza che niente o nessuno glielo
ricordasse o
altro. Lei, personalmente, ogni volta che se ne ricordava cercava di
non
pensarci, concentrandosi su suo figlio o il suo lavoro.
Ed
ora proprio lui glielo aveva
ricordato. Con un tale entusiasmo che, la donna, non poté
fare altro che
ricambiare l’abbraccio, stringendolo forte a sé.
-Grazie.
Grazie amore, sono così
contenta.
Ma
ora vai a prepararti, se no si fa
tardi.-
Il
bimbo annuì, ma diede prima un bacio
sulla guancia alla donna, per poi tornare in bagno a finire di lavarsi
mentre
la donna, lentamente, si rialzava in piedi, adesso l’energia
di prima si era
persa, e scegliere cosa mettersi risultò un po’
più arduo.
Aveva
come la testa ovattata, tanto che,
quando andò in bagno e si preparò, non perse
tempo a legarsi i capelli, tanto
in caso ci avrebbe pensato alla clinica.
Il
suo compleanno … l’anniversario della
morte di sua madre …
Ricordava
bene che, da piccola, aveva
sempre festeggiato l’evento in maniera molto riservata: le
congratulazioni dei
parenti, un pranzo in compagnia ma nel silenzio, e poi di nuovo lei e
suo padre
da soli, ad andare alla tomba della madre per pulirla e metterle fiori
ed
incenso.
Poi,
quando si era trasferita dagli zii
… di colpo il suo compleanno si era rivelato un giorno che,
per tutti, era
grandioso: i suoi compagni di classe che le facevano gli auguri, le
feste, i
regali. L’affetto.
Eppure,
in fondo al suo cuore, c’era
ancora quella tomba, e quel ciliegio. E quella donna appesa.
Erano
stati pochi secondi, poi suo padre
le aveva impedito di guardare oltre, ma lei ricordava fin troppo bene.
Ancora
adesso.
Le
bastava chiudere gli occhi, pensarci
un momento, e subito le sembrava di vedere la scena, come in uno
spettacolo di
ombre cinesi: un albero con i rami coperti da piccoli boccioli, alcuni
che
stavano fiorendo. Un albero vecchio, ed elegante.
E
su uno dei rami più grandi e forti, un
nodo di una coda, che scendeva verticale, a tenere saldo il collo di
una donna,
vestita di un kimono, con i capelli sciolti, che leggermente dondolava
nell’aria.
Yayoi
si passò una mano sugl’occhi.
-Mamma!
Mi aiuti?-
La
forte e giovane voce di Hikaru, e la
madre lo raggiunse, aiutandolo a sistemarsi con i vestiti, alzando gli
occhi
verso il suo volto, il piccolo si stava allacciando i bottoni del
colletto
della camicia.
-Amore,
come mai ti sei messo la
camicia? Non starai scomodo?-
-Ma
oggi è il compleanno della mamma! È
importante! Mi dici sempre che nei giorni importanti bisogna vestirsi
bene!-
La
donna alzò lo sguardo, e per un
attimo vide il volto di Jun riflesso in quello di suo figlio.
E
gli tornò in mente.
“-Oggi
è il compleanno di Aoba-chan. È un giorno
importante! E ogni giorno importante va festeggiato.-
Dieci
anni.
-Allora
… auguri … Yayoi.-
Sedici
anni. Era la prima volta che mi chiamava per
nome.
-Auguri
amore.-
Vent’anni.
-Auguri.-
L’ultima
volta che festeggiai il compleanno con lui.
Non mi fece nessun regalo, ma trascorsi l’intera giornata
assieme a lui. Ero
felice.”
-Mamma?
Come mai sei tutta rossa?-
La
donna, nel sentire la domanda del
figlio, si portò una mano alla bocca, e il rossore a quel
punto rimase
indelebile sulle sue guance, mentre scuoteva il capo, sorridendo e
cercando di
calmarsi.
-Niente
amore, niente. Solo un ricordo
felice.
Dai,
andiamo.-
Yayoi
accompagnò Hikaru all’asilo
tenendolo saldamente per la mano, salutandolo poi con un sorriso
affettuoso,
osservandolo entrare dentro l’edificio, salutando per primo
il suo migliore
amico, Makoto, e poi l’insegnante, che salutò Aoba
con un cenno del capo.
Questa
ricambiò, e poi si diresse a
piedi verso la clinica privata, riconoscendola una volta che
girò l’ultimo
angolo del suo solito tragitto, trovando nella struttura in vetro e
cemento una
sorta di spazio luminoso rispetto ai grigi edifici attorno.
La
donna si avvicinò alle strisce
pedonali, guardando le macchine che correvano, la folla
cominciò ad
accerchiarla, fino a quasi a nasconderla alla vista.
Nello
stesso momento Jun era arrivato alla
clinica, anche lui a piedi, ma notò quella figura per quella
chioma rossa, che
alla luce del sole sembrava risplendere ulteriormente, rispetto alle
capigliature
scure lì attorno.
Si
fermò dall’entrare in clinica, ed
osservò la donna alzare lo sguardo verso il semaforo, il
quale segnalò il
permesso di passare, e lui camminò sulle strisce,
dirigendosi verso di lui.
Circondata
da almeno quattro persone,
dai capelli neri e lo sguardo distante o spento, la donna apparve come
una
macchia di colore su una tela bianca; lei si passò una mano
tra i capelli, una
leggera brezza glieli spettinava, portandoli verso il volto. Indossava
una
camicetta azzurra con i fiori bianchi, con una gonna chiara a pieghe.
Guardandola,
all’uomo tornò in mente il
liceo, quando c’erano quelle mattine di sole e la vedeva
arrivare, nella folla
degli studenti, con l’uniforme e la cartella, portava sempre
la giacca e la
toglieva solamente una volta arrivata in classe.
E
forse era perché, all’epoca, aveva
iniziato ad ascoltare i commenti dei suoi compagni di squadra e classe
a
proposito delle ragazze, e in particolare di quella ragazza; forse
perché era
il periodo in cui nascevano e morivano tante storie d’amore
nel suo liceo. O
forse, semplicemente, oramai quella ragazza gli appariva non
più come una
semplice amica. Fatto sta che Jun, ogni volta che la guardava, gli
sembrava di
vederla diversa dal giorno prima, dalle poche ore prima in cui si erano
salutati.
La
stessa sensazione, adesso, risalì
dalle profondità dell’animo di Jun fino alla
superficie del suo corpo, in una
strana fibrillazione che lo bloccò lì
dov’era.
Yayoi
alzò lo sguardo verso la clinica,
e riconobbe l’uomo a poca distanza dalle porte a vetro. E la
prima cosa che le venne
in mente e che era proprio bello, non c’era niente da fare; i
pensieri di
quella mattina, a proposito del suo compleanno, tornavano a balenarle
in testa,
imbarazzandole.
Anche
per questo pensiero, oltre che per
la sorpresa di vedere che la stava guardando, arrestò per il
passo,
sobbalzando. Era sul bordo della strada, e il suo arresto improvviso
provocò un
problema con una persona dietro di lei: colto impreparato, e distratto
da una
chiamata al cellulare, un uomo sulla quarantina d’anno
spintonò la donna lì
davanti, facendole perdere l’equilibrio.
Questa
cadde in ginocchio, sporcandosi la
gonna, e Jun immediatamente corse di lei, per aiutarla.
Già,
peccato che quest’ultima si sentì
tremendamente in imbarazzo: che brutta figura che aveva fatto, proprio
di
fronte a Misugi!
-Stia
attenta!-
-Ah,
mi scusi.-
-Yayoi
stai bene?-
-Si,
si non c’è problema.-
E
velocemente la donna scattò in piedi,
recuperando la borsa e cercando di togliersi un po’ di sporco
dalla gonna,
voltandosi poi verso l’uomo che l’aveva spinta,
piegando il capo.
-Le
chiedo ancora scusa.-
L’altro
rimase senza parole, notando
solo in quel momento il volto e i lunghi capelli ramati. Si vide
chiaramente
che arrossì, cercando di darsi un contegno mentre Jun
guardava la scena.
-S-si
figuri.-
Velocemente
lo sconosciuto girò i tacchi
e si allontanò, ancora in imbarazzo nei confronti di quella
donna.
Questa
alzò il capo per vederlo andare
via, in impaccio per quello che era successo, era dai tempi del liceo
che non
era così maldestra; e questo le succedeva sempre
… quando vedeva Jun.
Sentiva
che lui era ancora dietro di
lei, e lentamente si girò verso di lui, mostrandogli
inizialmente una prima
parte, poi il profilo, poi i tre terzi, e alla fine tutto il viso.
Per
Jun parve una tortura, perché non
riuscì a staccare gli occhi di dosso dalla donna, peggio di
un maniaco!
-B-buongiorno.-
-A
te. Sicura di stare bene?-
-Si,
non preoccuparti. Certo che ho
fatto proprio una bella figura!-
E
si passo una mano in faccia,
sorridendo imbarazzata.
Ancora
una volta, Jun pensò che lei
fosse davvero bellissima.
L'amour
est un oiseau rebelle
Que
nul ne peut apprivoiser,
Et
c'est bien en vain qu'on l'appelle
S'il
lui convient de refuser.
-…
direi che è il caso di entrare.-
-Si,
hai ragione.-
L’uomo,
cavallerescamente, si fece da
parte, facendo passare per prima la donna, la quale
ringraziò con un cenno del
capo, entrando nella clinica.
Neanche
a farlo apposta, la prima
persona che incontrarono sulla loro strada, con in bocca una penna e in
mano
dei fogli, fu Matilde.
-Ah,
buongiorno ad entrambi!-
-Buongiorno
Matilde.-
-‘giorno.-
-Sempre
espansivo con me, eh Jun? Spero
non ti abbia importunato Ya-chan.-
L’uomo
le lanciò un’occhiata stupita e
infastidita, ah lui adesso era quello che importunava?!
La
donna dai capelli rossi, invece,
sorrise divertita, ricordandosi poi di quanto era avvenuto il giorno
prima,
parlandone senza pensarci alla donna davanti a lei.
-Lo
sai che ho seguito il tuo
consiglio?-
-Davvero?!
E com’è andata?-
-Beh
… all’inizio era strano … ma il
temporale
mi ha aiutato a ricordare bene il tutto, perciò parlare con
Hikaru si è
rivelato … illuminante.-
-Sono
contenta di sentirtelo dire.-
Jun
avrebbe voluto sapere di che
parlavano, ma si ricordava chiaramente che la psicologa aveva citato il
giuramento d’Ippocrate, pertanto si trattava di una faccenda
inerente alle
sedute della donna; gli faceva strano vedere Yayoi sorridente, ed
immaginarsi
che quella stessa persona avesse bisogno di una seduta psicoterapeutica.
-Venerdì
rimaniamo sullo stesso orario?-
-Si,
tanto con Hikaru ci sarà una mia
amica, li raggiungerò dopo all’Hanami.-
-Una
tua amica?-
La
donna alzò lo sguardo, l’uomo si era
avvicinato fino quasi a sfiorarle la schiena, e in quel momento si
poteva
notare effettivamente la differenza di altezza tra i due; Matilde li
osservò
attenta, osservando quel semplice avvicinamento di corpi, e come il
possibile
imbarazzo nipponico non fosse percepibile mentre la rossa rispondeva a
Misugi,
sorridendo.
-Sanae.
Arriverà con l’aereo Giovedì.
Vuole assolutamente rivedere Hikaru dopo tanto tempo, e anche vedere
l’Hanami.
Sai, a Barcellona non ha spesso occasione di vedere ciliegi in fiore.-
-E
come fa con i ragazzi? Non li vorrà
mica lasciare davvero con Tsubasa?-
-Può
non sembrare, ma so che il signor Oozora
se la cava bene con i suoi figli.-
E
stava per dire che anche lui non se la
stava cavando male, ma si bloccò, rendendosi conto della
loro situazione; e
quella pausa fece rendere conto anche al’uomo della
situazione. Soprattutto per
quanto riguardava la loro vicinanza fisica: Jun praticamente si
sporgeva dalla
spalla di Yayoi, e questa lo stava osservando sentendone il respiro a
poca
distanza dalla sua faccia.
Matilde
pensò … che fossero come due
ragazzini: complici, amici … e innamorati come fosse stata
la prima volta.
Jun
fece un passo indietro, distogliendo
lo sguardo, e Yayoi si avvicinò ulteriormente a Matilde,
distogliendo gli occhi
dall’uomo, arrossendo. L’italiana andò
in aiuto dell’amica giapponese.
-E
quindi passerai il weekend con la tua
amica, che meraviglia.-
-Ah,
ma se vuoi sei invitata anche tu!
E
anche tu Jun!-
L’uomo
guardò Aoba voltarsi verso di
lui, i capelli si aprirono quasi come la gonna che stava indossando.
-Sono
sicura che ad Hikaru farebbe molto
piacere se tu venissi con noi all’Hanami. E non dispiacerebbe
nemmeno a Sanae.-
Se
Sanae sapeva di Hikaru, significava
che sapeva anche di COME era venuto al mondo Hikaru; dunque lei era a
conoscenza della situazione fra i due. Nel pensarci, non
sentì una particolare
sensazione di fastidio.
-Purtroppo
non mi è possibile: mia madre
mi ha chiesto di passare l’Hanami a casa sua.-
-Ah,
capisco …-
Matilde
vide Yayoi rimanere leggermente
delusa dalla notizia, e lanciò un’occhiata fin
troppo chiara all’uomo davanti a
lei, il quale rimase stupito e infastidito.
-Immagino
che tua madre voglia farti
conoscere un’altra delle figlie delle sue amiche …-
Jun
avrebbe voluto uccidere l’italiana,
ma preferì controllare Yayoi; apparentemente non ci fu
alcune reazione visibile
nella donna, ma l’uomo preferì comunque correre ai
ripari.
-Non
ha mai smesso di fare la parte dell’assillante
“madre-che-si-preoccupa-per-il-suo-povero-figlio-malato”.
La conosci Yayoi, fa
sempre così.-
-Si,
lo so.-
Oh
se lo sapeva bene lei: si era dovuta
subire, molto più di Jun, l’atteggiamento
apprensivo e soprattutto snob della signora
Misugi nei suoi confronti: era nata in campagna, da una famiglia di
contadini,
niente a che vedere quindi con i borghesi di città. Senza
contare che il suo
aspetto fisico aveva sempre provocato l’invidia
dell’anziana donna verso la
giovane signorina.
Ma
questo Yayoi non poteva saperlo.
Quello
che Aoba sapeva era che, fin da
quando Misugi aveva fatto sapere a tutti del suo fidanzamento con la
ragazza,
la madre aveva sempre avuto un atteggiamento … beh non
proprio serafico verso
la futura nuora.
Adesso
che lei era fuori gioco,
chiaramente la signora Misugi cercava un partito adatto per quel suo
bel
figlio.
Perché
si, Yayoi lo ammetteva: Jun era
ancora bello.
Si
sforzò di sorridere il più naturale
possibile, rivolgendosi all’uomo.
-Pazienza,
sono sicura che Hikaru capirà:
è un bimbo molto intelligente.-
Sdeng!
Il
senso di colpa colpì dritto il
costato di Jun, un po’ più sotto di dove si
trovava il cuore.
Matilde
si gustò quel tiro mancino,
trattenendo un sorriso mentre Yayoi, continuando a sorridere come se
niente
fosse, si allontanava verso lo spogliatoio; a quel punto
l’italiana si avvicinò
all’amico, dandogli qualche pacca sulla spalla.
-Colpito
e affondato.-
-Ma
che ti è saltato in mente di dirle
di mia madre?!-
-Senti,
se proprio le devi fare gli
occhi dolci, falli con un minimo di onestà, chiaro? Lei non
è una delle tante
signorine da “wham-bam-thank-you-ma’am”*-
-Lo
so perfettame … aspetta un momento,
occhi dolci a chi?!-
La
psicologa prese un profondo respiro,
passandosi la mano sui capelli per non passarla sulla faccia di Jun
Misugi in
modo veloce e doloroso.
-Jun,
ti prego non prendermi per scema,
va bene? Io lo so che ti piace Yayoi, lo so e lo vedo, punto.
Quello
che voglio dire è che non ti nego
il permesso di provare a … ristabilire i rapporti con la tua
ex-moglie, ma di
farlo in modo onesto.
Tu
non hai la minima di quanto quella
donna sia stata male, e soprattutto quanto stia male oggi.-
-Oggi?
Che ne sai tu di oggi?-
Matilde
era quasi inorridita da quella
domanda, ma si trattenne dal dire o fare qualcosa, prendendo un altro
respiro e
parlando a Jun.
-Che
giorno è oggi?-
-Lunedì
.-
-Il
numero, il mese.-
-15
Marzo … oh cazzo.-
-Meno
male, almeno te ne sei ricordato.-
Il
compleanno di Yayoi.
-Però
un momento, perché dovrebbe
soffrire oggi? E il suo compleanno, no ?-
A
quel punto l’italiana lo guardò
attenta, pensando davvero che quel giorno il cervello di Jun fosse
spento; ma
quando si rese conto che l’uomo sinceramente non stava
capendo, la psicologa ne
rimase comunque impressionata.
-Accidenti,
è riuscita a non dirtelo per
tutto questo tempo …-
Quello
preoccupò non poco l’uomo: già
Yayoi le aveva tenuto nascosto il figlio, quale altro segreto non le
aveva
rivelato? Per di più collegato al suo compleanno, pertanto
era una cosa ancora
più vecchia. Guardò il volto di Matilde,
chiedendole silenziosamente
spiegazioni, ma la donna corrugò lo sguardo, quello sguardo
pensieroso non
piaceva proprio a Jun.
-Mi
spiace, ma questo entra nel
giuramento. Dovrai chiedergli tu stesso di cosa si tratta.-
Una
cosa che la fa soffrire, proprio il
giorno del suo compleanno. Gli sembrò molto più
facile prendere e scalare l’Himalaya
con addosso un paio di jeans e una maglietta.
-Scusami,
devo tornare a lavoro.-
E
la donna si allontanò velocemente,
lasciando l’uomo solo nella hall.
Sbuffando,
Jun si diresse verso lo
spogliatoio, ci mancava anche questa rogna!
…
ricordò che, la prima volta che fece
gli auguri a Yayoi, erano ancora bambini, ed era stato lui stesso a
comprarle
il regalo; lei, a quella scatola con il fiocco rosso era rimasta
interdetta,
stupendolo, tanto che si domandò se la ragazzina avesse mai
ricevuto regali.
Poi,
lentamente, l’aveva vista prendere
la scatola e aprire il pacchetto facendo attenzione a non sgualcire
fiocco e
carta colorata; quando ebbe il libro illustrato in mano aveva
un’aria talmente
contenta che le guance le arrossirono emozionate.
“-…
è bellissimo. Grazie, grazie davvero Jun!-
-…
ogni anno. Ti farò un regalo ogni anno! Promesso!-”
Era
da più di cinque anni che non
manteneva quella promessa.
Jun
lo ricordò con amarezza, e con
altrettanta tristezza lo ricordò Yayoi.
La
donna finì di allacciarsi l’uniforme
da infermiera, dedicandosi ai capelli, dentro il suo armadio aveva un
pettine,
un piccolo specchio, delle forcine e delle mollette, per casi come
quella
mattina; si guardò nel riflesso, e come sempre rimaneva
sorpresa di non trovare
più occhiaie o sfoghi cutanei come l’era accaduto
tempo prima.
Lo
stress del divorzio le aveva fatto
venire degl’arrossamenti, oltre al poco sonno; per Hikaru si
era sforzata di
stare meglio, ed ora quei segni non sembravano mai essere esistiti
sulla sua
pelle. Tuttavia se girava lo specchio e usava la parte ingrandita,
poteva
ancora vedere qualche piccola cicatrice in alto, ai lati delle tempie.
Spostò
lo sguardo, e s’immerse nella sua
pupilla nera, di quell’iride castano scura, su
quell’occhio a mandorla. Lo stesso
taglio di sua madre.
“-Auguri
amore mio. Diventi sempre più bella, sempre
più simile a tuo padre.
Che meraviglia …-”
Yayoi
cambiò nuovamente specchio,
prendendo il pettine e iniziando a sistemarsi i capelli, creando una
treccia e
tramutandola in un’elegante crocchia, che tenne ferma con
delle forcine.
-Ah,
Ya-chan! Buongiorno!-
La
donna si voltò a guardare, finendo di
sistemarsi l’acconciatura, sorridendo al nuovo arrivato dello
spogliatoio.
-Seiji,
buongiorno a te.-
-E
tanti auguri.-
E
l’uomo rivelò, da dietro la schiena,
una rosa bianca, porgendola alla donna, che stupita la prese
delicatamente tra
le dita.
-Che
bella, grazie!-
Jun
si avvicinò allo spogliatoio, e
immediatamente vide la donna dai capelli rossi, con quel fiore in mano,
che lo
affascinò; cinque secondi dopo sentì il fascino
trasformarsi in fastidio quando
riconobbe Kishimoto come l’uomo che stava parlando con lei ad
una distanza
decisamente TROPPO limitata.
Rien
n’y fait menace ou prière,
L’un
parle bien, l’autre se tait,
Et
c’est l’autre que je préfère,
Il
n’a rien dit mais il me plaît.
Aprì
la porta in modo particolarmente
silenzioso, muovendosi peggio di un ladro mentre stava ad ascoltare la
conversazione tra i due.
-Senti,
non ti andrebbe di passare da
noi, per festeggiare? Ci saranno anche Suzuki e Tanaka oggi.
Pare
che adesso si stanno frequentando.-
-Davvero?!
Ma che sorpresa!-
-Allora?
Sei dei nostri?-
-Ahm,
mi dispiace Seiji … ma non posso
proprio, lo sai che devo pensare ad Hikaru …-
Jun,
ancora una volta, benedì la nascita
di suo figlio mentre restava davanti al suo armadietto, continuando ad
ascoltare; Yayoi, intanto, ripose delicatamente la rosa accanto allo
specchio,
chiudendo la porta del suo scomparto e tentando di dirigersi fuori
dallo
spogliatoio. Peccato che Seiji la tenesse bloccata lì,
restandola davanti a
poca distanza.
-Perché
non lo lascia da qualche amico? Andiamo
Ya-chan, da quando sei tornata non ha più tempo per stare un
po’ con noi!-
Sia
Misugi che Aoba furono alquanto
infastiditi dall’atteggiamento di Kishimoto nei confronti del
bambino, ma al
contrario dell’ex-marito, la donna non lo diede a vedere,
cercando di restare
quanto più cortese possibile verso l’amico, con
gli occhi però estremamente decisi.
-Seiji
… stamattina la prima persona che
mi ha fatto gli auguri di compleanno è stato Hikaru;
pertanto, lui ha il
diritto, su tutti gli altri, di passare la giornata con me.-
-…
ho capito. Tuo figlio è fortunato.
Ci
vediamo.-
-Buona
giornata.-
E
la donna lo vide allontanarsi,
prendendo un respiro profondo e appoggiando la schiena
sull’armadietto. Poi alzò
lo sguardo verso l’alto, e sorridendo parlò ad
alta voce.
-Jun,
esci fuori. Se n’è andato.-
L’uomo
quasi esclamò dalla sorpresa,
spuntando qualche minuto dopo.
-Ma
come hai fatto?-
Lei
lo guardò, e le venne da ridere:
aveva la stessa aria scanzonata di quando, al liceo, stava nel
corridoio con i
suoi compagni durante la pausa pranzo.
Alla
fine anche l’uomo sorrise
divertito, avvicinandosi poi con aria imbarazzata, non riuscendo a
trovare
nessuna scusa o scappatoia con cui uscire da quella situazione.
Rimasero
a guardarsi ma, complice il
fatto che erano soli, non provarono alcun imbarazzo, anzi: era come se
provassero nostalgia per quei piccoli momenti, quando non avevano
bisogno di
parlarsi, ma bastava loro guardarsi negl’occhi.
Ed
entrambi videro, nell’altro, gli
occhi di Hikaru. E a quel punto, Jun si ricordò della sua
ansia più grande,
incupendo leggermente lo sguardo.
-Senti,
Yayoi … posso chiederti una cosa
… riguardo Hikaru?-
La
donna osservò il mutato atteggiamento
dell’uomo, e si limitò ad annuire, aspettando in
silenzio; osservò Jun guardarsi
intorno, prendere un respiro profondo, arrivare a passarsi una mano in
faccia,
fino ad infilarsi le mani delle tasche. Ecco, in quell’ultimo
gesto, la fu
certa che l’uomo fosse a disagio: non metteva mai le mani in
tasca, e succedeva
solo quando irrigidiva le spalle, solitamente per ansia, nervosismo o
preoccupazione.
Pertanto
la donna aspettò; forse avrebbe
fatto tardi nel turno, ma avrebbe lasciato il tempo all’uomo
di formulare la
sua domanda.
Misugi
cercò le parole, lanciando
continue occhiate alla donna di fronte a lui, guardandone
l’uniforme, il volto,
gli occhi, l’acconciatura; che cosa sarebbe accaduto se
avesse dato fondamento
alle sue paure? Cos’avrebbe dovuto fare, che
responsabilità avrebbe aggiunto, a
quelle che aveva nei confronti della sua ex-moglie?
-…
Yayoi … Hikaru … è sano?-
Vide
la donna guardarlo con molta
sorpresa negl’occhi; poi, con calma, un sorriso sereno si
formò su quelle
labbra.
-Si.-
Vide
l’uomo prendere un respiro
profondo, a pieni polmoni, e d’istinto la donna si
guardò intorno, notando che
c’erano delle presenze che stavano per entrare dentro lo
spogliatoio; senza
starci a pensare, afferrò il polso dell’uomo e lo
trascinò in fondo alla
stanza, lì dove il vetro veniva sostituito dal cemento.
Lo
lasciò appoggiarsi al muro, e gli
mise le mani sul volto, bisbigliandogli.
-Shhh,
non fare rumore.-
Lui
annuì, ma sentì chiaramente il nodo
nello stomaco salirgli alla gola, e afferrò quelle mani sul
suo volto,
stringendole forte, poggiando le sue labbra su uno dei due palmi,
chiudendo e
stringendo gli occhi.
Era
sano. Suo figlio era sano. Non avrebbe
sofferto di cuore. Non avrebbe avuto alcuna malattia che gli avrebbe
impedito
di vivere appieno la vita. Sarebbe vissuto a lungo, sarebbe cresciuto
forte. Suo
figlio sarebbe stato forte.
Ed
era merito di Yayoi.
Alzò
lo sguardo, e la guardò come fosse
stata la prima volta che l’aveva davanti a sé:
guardò quei capelli, che solo
Dio sapeva quanto gli piacevano, in ogni loro aspetto, dal colore alla
lunghezza alla consistenza. Guardò quegl’occhi,
così brillanti e grandi, su
quel volto dalla pelle chiara ma non spenta.
E
poi riuscì come a guardarci dentro, e
vide un pezzetto di Yayoi: e vide un arcobaleno, piccolo forse, ma dai
colori
così vividi che quasi non riusciva a distoglierne gli occhi
di dosso. E gli
sembrava così familiare, che l’avesse
già visto da qualche parte?
Lentamente,
una delle sue mani si
avvicinò al volto della donna, accarezzandone molto
delicatamente i lineamenti,
mentre i suoi occhi continuavano a guardare quell’arcobaleno.
Si, certo, ora
ricordava: quell’arcobaleno lo vide quando si rese conto
… che era
completamente innamorato perso di Yayoi Aoba.
Da
parte sua, la donna già quando aveva
visto gli occhi dell’uomo entrare dentro di lei si era come
pietrificata dalla
sorpresa; poi quella mano sul volto, e di colpo sentì il suo
cuore accelerare,
fino quasi ad uscire dal suo petto.
Avrebbe
voluto chiamarlo per nome,
tante, tante volte.
-…
grazie Yayoi. Tanti auguri di buon
compleanno.-
La
vide spalancare gli occhi dalla
sorpresa, e la bocca si aprì leggermente dallo stupore;
lentamente, la donna
indietreggiò di qualche passo, e sciolse la presa da quel
volto, portando le
mani verso il suo petto.
Nel
vedere quell’atteggiamento, l’uomo si
rese conto della situazione, e ben presto si rese conto di quello che
era
accaduto negl’ultimi cinque minuti; fu incredibile quanto
riuscì a diventare
rosso, quasi quanto la donna davanti a lui, e lei aveva le guance dello
stesso
colore dei suoi capelli!
-Ah,
ecco, io …-
Nessuno
dei due riusciva effettivamente
a pensare di quanto era accaduto, pertanto l’uomo
preferì battere in ritirata,
allontanandosi il più velocemente che poté mentre
la donna restava bloccata
nell’angolo di quello spogliatoio, tenendo le mani al petto e
cercando di
calmare il respiro.
La
sua testa era diventata tremendamente
leggera, il mondo attorno a lei era fatto di ovatta; alzò lo
sguardo verso l’alto,
e sentì chiaramente un paio di lacrime scenderle
dagl’occhi e correre
rapidissime sulle sue guance.
Mai,
prima di allora, aveva provato
tanta gioia nel sentirsi dire parole semplici come
“grazie”, o “buon compleanno”.
Pensò
ad Hikaru, e le venne da sorridere
entusiasta: suo figlio davvero faceva sempre piccoli miracoli.
Prese
fiato, si asciugò gli occhi, e
uscì fuori dallo spogliatoio, correndo veloce al reparto
pediatria, per
iniziare finalmente il suo turno.
Jun
la vide sfuggire via oltre la porta
del suo studio, e sentì di nuovo l’imbarazzo
salirgli alle stelle, tanto che si
passò per l’ennesima volta la mano in faccia:
quello che era successo poco
prima, tutto quello che era successo, era stato … strano,
molto strano. E familiare
al tempo stesso.
Sentiva
ancora che il cuore gli batteva
nel petto, e stavolta era sicuro che gli sarebbe pigliato un infarto,
altro che
guarito! Lui era ancora più malato, molto di più!
I
sintomi c’erano tutti: tachicardia,
giramento di testa, affaticamento nel respirare. La diagnosi era
chiara: Jun
era nuovamente malato di cuore.
O
meglio: Jun Misugi aveva il cuore
malato … per Yayoi Aoba. Roba che nemmeno al liceo
…
A
dire la verità, quando scoprì di
essere ammalato, il suo cuore non ancora operato gli aveva fatto
sentire i
segnali molto prima di adesso, ed era riuscito subito a controllarsi.
Ma
adesso, adesso che era sano, essere
innamorati era peggio di prima!!
Pensò
a tutto questo, cercando di
sbirciare ancora dalla porta se, per caso, Aoba sarebbe passata di
nuovo.
Pensò
ad Hikaru, ad il fatto che era
sano. E gli venne da sorridere.
E
poi pensò a quei due insieme, madre e
figlio. Moglie e figlio.
Alzò
lo sguardo verso l’alto, e sentì
una lacrima scorrere veloce dalla sua guancia.
Se
l’asciugò velocemente, e riprese a
lavorare.
L'amour est enfant
de Bohème,
Il n'a jamais jamais
connu de loi,
Si tu ne m'aimes pas
je t'aime,
Si je t'aime prends garde à toi.
*La
citazione viene da una nota da un
manga yaoi chiamato “The tyrant who fall in love”
(koisuru boukun) molto carino
che mi è molto piaciuto, consiglio la lettura a tutti.
**
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Capitolo 13 *** Aria: Agitata da due venti ***
Aria:
Agitata
da due venti
Hikaru
uscì di corsa dall’asilo,
tenendosi il berretto in testa, precipitandosi verso le braccia di
Yayoi, che
lo strinse con forza.
Nel
vedere quella scena, molte mamme
presenti vennero prese dalla tenerezza e da una mistura di orgoglio e
invidia:
l’orgoglio di essere, proprio come quella donna, madri, ma
anche l’invidia per
quel rapporto così speciale.
Vedevano
sempre quella donna aspettare,
assieme a loro, l’uscita del figlio, con un misto di
tranquillità ed emozione, e
fin dalla prima volta erano rimaste colpite dal suo aspetto: molte di
loro erano
giovani quanto lei, ma possedeva una freschezza tale da apparire sempre
più
sorridente rispetto a loro; persino quando aveva una giornata storta
non lo
dava mai a vedere.
E
poi, quando vedeva e riconosceva suo
figlio, mostrava sempre il suo affetto, abbracciandolo e sorridendogli
con tali
sentimenti che tutti dubitavano che lei fosse effettivamente giapponese.
-Mamma!-
-Ciao
amore! Allora, com’è andata?-
-Guarda!
Questo è per te!-
Con
orgoglio, il bambino mostrò un
foglio piegato alla donna, la quale rimase in ginocchio, aprendolo: era
bellissimo, coloratissimo, come poteva essere l’immaginazione
di suo figlio. C’erano
disegnate tre persone, di cui una piccola e sorridente che la donna
riconobbe
subito; da una parte c’era lei, con i capelli lunghi fatti
con un pennarello
rosso fuoco, la sua grande mano che teneva quella di suo figlio.
Dall’altro
lato una persona nuova, che
la stupì: solitamente, infatti, i disegni di suo figlio
ritraevano lei e lui
insieme, al massimo con la presenza del nonno o della “zia
Sanae”. Stavolta
c’era un uomo, giovane, con i capelli castani, che sorrideva
e aveva le mani
libere, pronte a stringere quelle del bambino … e forse
della donna.
Adesso
anche Jun entrava, di diritto,
nella fantasia e nei disegni del bambino.
“-È
mio figlio!-”
Il
sorriso, sul viso di Yayoi, si era bloccato,
e si sciolse con fatica, nonostante lei cercasse di non darlo a vedere
al piccolo.
-…
è bellissimo amore, ti ringrazio.-
-Ho
fatto anche Jun!-
-Si,
lo vedo, sei stato bravissimo.-
La
donna tolse il berretto al bambino,
accarezzandogli i capelli, per poi alzarsi in piedi e offrirgli la
mano, sempre
sorridente.
-Andiamo?-
Lui
annuì, prendendo due dita della
donna con la sua piccola manina, ed entrambi si fermarono un momento
per
salutare le altre mamme con i loro bimbi; tra di loro c’era
Makoto, aggrappato
alla gonna della madre, la quale rivolse un saluto e un sorriso a Yayoi.
-Buongiorno
signora Aoba.-
-Signora
Yamano, buongiorno a lei. Ciao
Makoto-chan.-
Il
bimbo guardò il sorriso della donna,
e arrossì leggermente, cercando riparo dietro le gambe della
madre, il quale
sorrise divertita mentre Yayoi sbuffava, leggermente delusa.
-È
inutile, non gli piaccio proprio.-
-Ma
no, sono sicura che le piace
moltissimo. Vero Makoto?-
Il
bimbo annuì leggermente, restando
però sempre dietro le gambe della madre mentre Hikaru
restava fieramente in
avanti, tenendo strette le dita nella sua presa mentre la signora
Yamano gli
rivolgeva la parola.
-E
allora, Hikaru-chan? Contento di
tornare a casa con la mamma?-
-Si!
Oggi è il suo compleanno!-
-Ah,
ma allora auguri Aoba-san.-
-Grazie.
E per festeggiare ci andiamo a
prendere le crepes, ti va?-
-Sii!!-
-Volete
venire con noi?-
-La
ringrazio, ma oggi mio marito torna
a casa prima dal lavoro, per passare un po’ di tempo con
Makoto e il
fratellino. Siamo tanto contenti, vero?-
E
di nuovo il bambino annuì mentre Yayoi
subiva leggermente la notizia, continuando però a sorridere,
limitandosi a
stringere delicatamente la presa sulla mano di suo figlio, salutando
ancora una
volta e allontanandosi.
Ci
fu uno strano silenzio tra i due, e Hikaru
se ne accorse subito, alzando lo sguardo verso la madre; questa aveva
lo
sguardo cupo e un po’ perso sulla strada davanti a loro,
sembrava immersa in
strani pensieri; il bimbo tirò leggermente le dita, e Yayoi
si riprese
immediatamente, rivolgendo la sua completa attenzione al figlio.
-Ah,
scusa Hikaru. Mamma era
pensierosa.-
-Non
vuoi prendere le crepes?-
-Ma
no, certo che no, anzi sbrighiamoci,
su.-
E
la donna accelerò il passo, facendo
correre il piccolino, il quale ancora una volta si strinse il berretto
in
testa; arrivarono in una strada trafficata, e si strinsero
l’uno all’altra,
facendosi largo, per poi preferire una strada secondaria, prendendo
fiato.
-Ah,
aspetta amore, hai il grembiule un
po’ scombinato.-
La
donna s’inginocchiò, sistemandolo, e
ne approfittò per ammirare, ancora una volta, il suo piccolo
ometto: oramai
aveva cinque anni, le sembrava ieri che si abbracciava quel piccolo
fagotto
addormentato.
gli
sorrise, rialzandosi in piedi e
offrendogli nuovamente la mano, parlandogli.
-Tu
e Makoto oramai siete grandi amici,
eh?-
-Si.-
-E
con gli altri? Hai altri amici tra i
bambini dell’asilo?-
-Ai-chan.-
E
quello non era certo un nome da
maschio. Yayoi sorrise, notando come Hikaru avesse risposto in maniera
decisamente stringata, per lui che era sempre un chiacchierone.
-Ai-chan
è amica tua e di Makoto?-
Hikaru
annuì, deciso. Yayoi sorrise
ancora, abbassando leggermente il tono di voce mentre arrivavano al
negozio di
dolciumi.
-E
ti piace molto giocare con lei?-
-Si.-
-E
a lei piace giocare con te?-
-Le
piace più giocare con Makoto.-
Ah,
ecco spiegato il mistero di quelle
risposte così secche.
Cinque
anni, e suo figlio aveva già
trovato una ragazzina, le veniva quasi da ridere; alla sua
età lei era notata
dagl’altri, ma aveva trovato amici con molto
difficoltà, sopratutto per quello
che lei era agl’occhi della gente.
Scacciò
via quei pensieri non appena
entrò dentro il negozio, e rinfrancata dall’odore
dei dolci prese in braccio
suo figlio, strofinandogli affettuosa il naso sulla guancia. Una tale
dimostrazione d’affetto, in pubblico, fece girare qualche
testa.
-Dai,
adesso ci prendiamo delle crepes
con il cioccolato, e poi andiamo al parco giochi a mangiarcele prima di
tornare
a casa, che ne pensi?-
Il
bimbo guardò la madre, per poi
sorridere ed annuire, strofinando di risposta il suo naso sulla guancia
di
Yayoi, che sorrise contenta, nella borsa aveva piegato e sistemato con
cura il
disegno, in modo che non si rovinasse troppo.
Ordinarono
insieme, la donna teneva
fieramente in braccio il figlio, che con il dito indicava le cose da
aggiungere
alle due crepes, facendole diventare più simili a dei
calzoni, tanto erano gonfi
alla fine.
Nonostante
questo erano davvero buone,
come constatò a donna una volta che si era accomodata
sull’altalena e aveva
dato metà del dolce al bambino, raccomandandogli di fare
attenzione a non
sporcarsi il grembiule. L’altro lo avrebbero tenuto da parte
per la cena.
Il
bimbo, dopo il primo minuto di
silenzio, riprese a parlare.
-Jun
ti ha fatto gli auguri?-
Se
non fosse stata per Ai-chan, Yayoi
era certa che Hikaru si sarebbe innamorato di Jun.
Però
era giusto così, pertanto la donna annuì,
sorridendo il più possibile.
-Certo,
me li ha fatti. Anche Seiji mi
ha fatto gli auguri, e la mia amica Matilde. E sono sicura che, tornati
a casa,
troveremo il messaggio della zia Sanae. Avanti, mangia adesso, che si
raffredda.-
E
il bambino annuì, dando un bel morso
alla sua metà, facendosi venire due bei baffi di cioccolata.
Yayoi
prese a sua volta un bel morso e si
dipinse anche lei due baffi sopra il labbro; quando si guardarono, i
due
ridacchiarono divertiti, e la donna pulì entrambi con un
fazzoletto di carta,
lasciando poi che il bambino mangiasse ancora.
Si
guardò attorno, una gran pace li
stava accompagnando quel pomeriggio, e il sole sembrava non volersene
ancora andare;
quel breve momento di silenzio, i pensieri che vagavano e il bambino
accanto a
lei che faceva dondolare leggermente l’altalena, finendo di
mangiare il suo
dolce, aprivano il cuore della donna.
Rivolse
lo sguardo al figlio, e pensò a
Jun, a quella sua domanda, fatta con il cuore praticamente tenuto in
mano.
“-…Yayoi
… Hikaru … è sano?-”
Lei
non immaginava che le condizioni
fisiche di Hikaru lo avessero tenuto così tanto sulle spine,
e vederlo
sciogliersi dal sollievo le aveva riportato alla mente tutte le volte
che lui
era stato male proprio sotto i suoi occhi, in campo come nella vita di
tutti i
giorni.
Ora
c’era Hikaru. Sano, intelligente,
fantasioso, che in quel momento si stava leccando le dita dalla
cioccolata.
-Aspetta
amore.-
La
donne porse il fazzoletto di carta al
bambino, il quale si pulì diligentemente le mani, sfruttando
anche l’acqua
della piccola bottiglia che la donna teneva nella borsa, raggiungendo
di corsa
il cestino più vicino. Ma invece di tornare subito accanto
alla madre, il
piccolo corse verso il fortino, probabilmente per giocare.
Più
lo guardava, più vedeva in lui Jun,
e una volta che sarebbe cresciuto quel bimbo sarebbe stato di sicuro il
ritratto del padre, proprio come l’uomo era adesso: forte,
sicuro di sé, e
forse … distante.
A
quel pensiero Yayoi sentiva il peso
della responsabilità di non aver ancora detto, a suo figlio,
che il suo “amico”
era in realtà suo padre. Erano come dei piccoli piombini
che, mano a mano il
tempo passava, aumentava di numero nel suo stomaco.
Continuava
a ripetersi “un giorno lo
verrà a sapere”, “sarà una
cosa semplice e naturale”, “lo capirà da
sé”, e
tutte le volte si sgridava quasi con la stessa forza con cui Sanae era
solita
rimproverarla di “non prendere quel cavolo di telefono e
chiamare il futuro
padre!”: era ovvio che Hikaru era piccolo, era scontato che
forse non avrebbe capito
la situazione al momento, ed era naturale che lui non potesse
comprendere che
il suo caro amico era in realtà suo padre. Doveva dirglielo
lei.
Ma
una cosa la bloccava ogni volta: la
possibilità che suo figlio si arrabbiasse con lei. E
più passava il tempo, più
quella possibilità cresceva, fino a quando un giorno,
sicuramente, Hikaru
davvero l’avrebbe scoperto da solo e le avrebbe chiesto
giustamente perché era
rimasta in silenzio tutto quel tempo; e quando lei avrebbe raccontato
tutto,
lui come avrebbe reagito?
-Mamma!!-
La
donna si alzò di scatto
dall’altalena, e si voltò a guardare, allarmata:
suo figlio le stava facendo
cenno con la mano, chiamandola a gran voce.
-Mamma,
vieni!-
Velocemente
raggiunse il figlio con la
borsa sottobraccio, e lo trovò accovacciato davanti ad un
muro del fortino, che
guardava attraverso un buco.
-Che
c’è Hikaru?-
-Guarda!
Guarda mamma.-
Lui
indicò animatamente il buco, e la
donna si sporse incerta, facendo attenzione che la gonna non si
sporcasse;
all’inizio non vide molto, perché la luce era
limitata, e guardò un po’
dappertutto, fino a quando non la notò.
Una
palla di pelo grigia con due
orecchie rivolte verso di lei, un muso e due occhi azzurri con la
pupilla nera,
rotonda, che guardava stupita la donna, a sua volta sorpresa.
-…
che piccolo.-
-Mamma!-
Yayoi
si voltò verso il figlio, e lo
vide stringere i pugni e guardarla con aria decisa. In un secondo lei
capì
perfettamente cosa gl’avrebbe chiesto, e cercò
subito di frenarlo.
-Amore
…-
-È
per te!-
La
frase le bloccò tutto il discorso, e
il piccolo approfittò della pausa, stringendo forte i pugni
e alzando la voce.
-Io
non posso tenere un animale, me lo
dici sempre. Pertanto io lo regalo a te!
Tu
sei grande mamma, e ti sei presa cura
di me; io imparerò a fare molte più cose da solo,
perciò puoi prenderti cura di
lui!
Te
lo affido perché lui è piccolo, come
me, e tu dici sempre che i bambini e i cuccioli hanno bisogno della
loro mamma.
E lui non c’è l’ha!
Per
favore, accettalo!-
Hikaru
fece un inchino profondo, la sua
testa a momenti toccava le ginocchia.
Yayoi
lo guardò … senza parole, ancora
una volta “abbagliata” da suo figlio, dalla forza
che emanava, e soprattutto da
quella ingenua saggezza. Forse lei era quella grande tra i due, ma suo
figlio
era il vero adulto, e nemmeno lo sapeva.
La
donna allungò le braccia verso di lui
e lo tirò a sé, abbracciandolo con tutte le sue
forze, stringendolo al suo
petto.
Non
aveva ancora detto niente ad Hikaru
riguardante suo padre … perché temeva di finire
come sua madre: abbandonata da
coloro che amava.
Ricordava
perfettamente quando, in certe
giornate, sua madre rimaneva ore in silenzio, seduta di fronte alla
veduta sul
giardino, sul ciliegio in particolare, aspettando che lui tornasse; e
Yayoi,
bambina, aspettava muta che la donna le desse attenzione, che si
voltasse verso
di lei.
E
quando si voltava … la bambina vedeva
chiaramente la vita scivolare via dal volto pallido della donna.
“-Mamma,
stai male?-
-…
no Yayoi. Vieni, ti acconcio i capelli.-”
Non
le aveva mai permesso di curare la
ferita del suo cuore. E alla fine la donna si era arresa, e
l’aveva lasciata.
E
lei aveva fatto la stessa cosa con
Jun: non era stata in grado di cambiare la situazione, e anche lui,
alla fine,
si era arreso con lei
Ma
non Hikaru, lui era completamente
diverso da Yayoi. Lui anche se non aveva una grande forza fisica, aveva
una
grande forza interiore, e se la madre stava male faceva di tutto per
aiutarla.
-Mamma?-
-…
grazie amore, grazie. È bellissimo.-
-Allora
… lo accetti?!-
-Certo
amore. Non si rifiuta un così bel
regalo.-
-Evviva!!-
Le
piccole braccia di Hikaru avvolsero
il collo della madre, e lei sentì chiaramente il sorriso di
suo figlio sul suo
collo, sorridendo a sua volta e stringendolo ancora di più a
sé.
Quando
si sciolsero dall’abbraccio notarono
qualcosa muoversi e avvicinarsi a loro, e quale non fu la meraviglia
del
bambino nel vedere il micino fuori dal nascondiglio, che miagolava
richiedendo
la loro attenzione.
Yayoi,
lentamente, porse la mano, e
sulle prime la bestiolina fece qualche passo indietro; con un cenno, la
donna
avvertì il bambino di fare silenzio, e lui annuì,
stringendo però i pugni
emozionato.
Furono
i cinque minuti più lunghi della
loro vita: il gattino guardava molto sospettoso, ma la donna non cedeva
di un
millimetro, restando ferma quasi quanto una statua, dietro di lei il
bimbo
cercava di fare meno movimenti possibili.
Alla
fine, con molta cautela, il gattino
si avvicinò a quella mano, annusandola; poi, con grande
entusiasmo di Hikaru,
si strusciò contro quelle dita, e con molta delicatezza la
donna lo accarezzò,
fino a riuscire a prenderlo in braccio.
Yayoi
sentì chiaramente il pelo morbido,
nonostante fosse un po’ sporco, e si sentì
contenta quasi quanto suo figlio,
alzandosi lentamente in piedi con quel fagotto tra le braccia.
Si
fece tenere la borsa da quel
cavaliere di suo figlio, e come prima fermata andarono dal veterinario
più
vicino, il quale controllò lo stato di salute del piccolo,
assicurando che
sembrava sano, dando appuntamento alla donna per fare le vaccinazioni e
le
registrazioni necessarie, lasciando ai due un trasportino della clinica.
Quando
arrivarono a casa, subito Hikaru
cominciò a cercare tutto il necessario per accogliere al
meglio il nuovo
arrivato: prese un vecchio cuscino che non usava più, come
lettiera momentanea sfruttò
una scatola bassa, tagliandone ulteriormente i lati troppo alti con una
forbice,
con fogli di giornali sul fondo, e un piattino sbeccato come ciotola.
Yayoi,
nel vedere suo figlio tanto
attivo ed entusiasta, sorrise intenerita, appoggiando delicatamente il
trasportino a terra, aprendolo e lasciando che fosse il micino a
muoversi per i
fatti suoi, aiutandolo ad aggiustare soltanto la lettiera, il cartone
era
comunque abbastanza duro.
-Ah,
Hikaru.-
-Si?-
-Che
ne dici se gli dai tu il nome? Tu
sei molto più bravo di me in questi casi.-
-…
posso davvero?-
-Certo!-
Il
bambino quasi arrossì di gioia, e
quando fu tutto sistemato si prese una sedia accanto al tavolo,
sedendosi e
iniziando ad osservare il gatto, studiandone ogni mossa; il piccolo,
intanto,
aveva raggiunto il cuscino, e lo stava graffiando e a mordicchiando
leggermente, giocando soprattutto con dei fili che scappavano da una
cucitura.
Dal
veterinario gli era stato passato un
panno umido, pertanto il pelo risultava molto più pulito e
soffice, con un
colore grigio che lo faceva tanto assomigliare … ad una
piccola nuvola di
pioggia.
-…
Kumo.- (nuvola n.d.a.)
Hikaru
lo disse come se volesse
chiamarlo.
Per
tutta risposta le orecchie del gatto
si mossero, e i due occhi grandi e gialli rivolsero uno sguardo verso
il
bambino, come ad approvare la scelta; questo, a quella reazione, si
girò
entusiasta verso la madre, che annuì.
-Allora
benvenuto, Kumo.-
Il
micio la ignorò, dedicandosi
nuovamente al suo cuscino.
Yayoi
sorrise divertita, mettendosi il
grembiule per iniziare preparare da mangiare, con Hikaru che dondolava
le gambe
sulla sedia, le braccia appoggiate al tavolo e sopra la testa, i suoi
occhi
castani continuavano a tenere d’occhio il piccolo Kumo, tutto
preso nel suo
gioco.
-…
Mamma.-
-Dimmi
amore.-
-Perché
mi hai chiamato Hikaru?-
Si
fermò un momento, sorpresa da quelle
parole; osservò i capelli castano-rossicci, e ricordo
chiaramente la prima
volta che l’avevo tenuto tra le braccia, accogliendolo al
mondo con le lacrime
e un sorriso, lo stesso che ora le addolciva il volto.
Riprese,
lentamente, ad accendere il
fuoco sotto il riso, prendendo poi il coltello e affettando le verdure
per fare
il curry.
-…
perché fin da quando ti ho sentito
nella mia pancia è stato come se ogni giorno ci fosse una
grande luce. E poi mi
è sempre piaciuto il nome Hikaru.-
-Papà
era d’accordo?-
Le
mani si fermarono, ma la mente accelerò:
quando ne parlò la prima volta, Jun aveva sorriso,
abbracciandola a sé e
baciandole i capelli, affermando che “era un nome splendido,
e sarebbe stato
felice di chiamare suo figlio così”; la seconda
volta che accennarono al
discorso, lui sembrò un po’ più
pensieroso, affermando che “era presto per
pensare ad un figlio, prima era il caso di pensare a loro
stessi”.
Alla
terza volta, quando voleva dirgli
del suo stato interessante, pronta a mostrargli il test di gravidanza,
ricordandogli
di quel nome, lui le telefonò e le disse che “i
documenti erano pronti,
mancavano solo le loro firme”.
-…
certo. Lo trovava un nome … un nome
bellissimo.-
Un’altra
bugia, ed era come se avesse
aggiunto un piombino al peso che portava sulla sua coscienza; e la
testa le
parlò con la voce di Jun.
“-Io
forse ho fatto sempre di testa mia, ma allora
perché tu non ti sei sempre fatta avanti? Perché
non ti sei mai ribellata alle
mie scelte? Senza contare che la tua è stata una mancanza di
fiducia verso di
me molto comoda, non pensi?-”
Si
voltò a guardare suo figlio, e lo
vide intento ad ammirare il micio, il quale si era acciambellato sul
cuscino e
si stava addormentando, si potevano notare le orecchie abbassarsi
leggermente.
Più
che comodità, il non fidarsi di Jun,
fino a quel momento, le aveva permesso di poter mantenere il
“possesso” di suo
figlio; ora, invece, che lasciava suo figlio giocare con
l’uomo, che gli
lasciava parlare di lui e interagire con lui, Yayoi avvertiva che la
sua sfiducia
stava diventando solo un muro che, presto, le avrebbe creato solo
problemi.
Doveva
abbatterlo. E c’era un solo modo
per farlo.
Nel
pensarlo le scese un brivido lungo
la schiena, e ingoiò a vuoto: si sentiva pronta? Era certa
di volerlo fare? Quali
sarebbero state le conseguenze? Aspetta, aspetta un attimo!
-Mamma.-
-…
dimmi amore.-
-Pensi
che a Jun piacerà Kumo?-
Hikaru
le rivolse lo sguardo, aveva degl’occhi
così grandi e innocenti che Yayoi si sentiva annegare in
quel mare scuro, e
prese un profondo respiro, ricordando come l’uomo fosse
sempre stato un
estimatore dei felini.
-Si,
ne sono più che sicura.-
Il
bimbo sorrise, entusiasta, e la donna
sentì i polsi tremarle leggermente.
No,
oramai era impossibile tacere,
tornare indietro: Hikaru … era troppo affezionato a suo
padre, nonostante lo
avesse incontrato non più di tre volte. Se davvero esisteva
il fato, quella era
la sua dimostrazione più evidente. E lei non poteva
più evitarlo.
Senza
contare … che i suoi stessi
sentimenti le facevano pesare ulteriormente la
responsabilità del suo silenzio.
Si
avvicinò lentamente a suo figlio,
accarezzandogli dolcemente la testa, sentendo come i capelli del
piccolo
fossero morbidi e lisci; lui accettò di buon grado quelle
coccole, e senza
smettere di accarezzarlo la donna si mise seduta, prendendo un altro,
profondo
respiro, chiudendo un momento gli occhi per concentrarsi e riuscire a
trovare
le parole giuste.
-Senti,
tesoro.-
Agitata da due venti
freme l'onda in mar turbato
e'l nocchiero spaventato
già s'aspetta naufragar.
Dal dovere, e dall'amore
combattuto questo core
non resiste; par, che
ceda,
e cominci a disperar.
Gli
occhi grandi
di Hikaru, rivolti verso di lei, erano colmi della stessa voglia di
vivere di
Jun Misugi.
-Si?-
-…
a te piace
molto Jun, vero?-
A
quella domanda
il bimbo sorrise, ed annuì deciso, alzando il capo verso la
madre e parlando
con voce entusiasta.
-Lui
è molto
gentile, mi offre sempre il gelato, e poi mi ha detto che un giorno
m’insegnerà
a giocare a calcio! Imparerò a giocare come papà!-
La
donna sentì
il fiato venirle meno, la paura salirle e farle tremare leggermente le
mani;
pertanto ne appoggiò una sul tavolo, con tutto il braccio, e
l’altra fermò per
qualche momento le carezze sul capo del bambino, scivolando verso la
guancia.
Continuava
a sorridere,
ma sentiva che quella maschera non sarebbe durata, non riusciva mai a
fingere
con suo figlio.
Cosa
sarebbe
accaduto? Cosa le avrebbe chiesto Hikaru?
-È
bellissimo
amore. Sono così contenta per te.
Anche
perché … c’è
una cosa che devo dirti … a proposito di Jun …-
Perché
si erano
lasciati? Perché lui non era con loro in quel momento?
perché avevano litigato?
Cos’aveva fatto per lei per aver allontanato suo padre?
Come
l’avrebbero
guardata quegl’occhi castani, così puliti e
brillanti?
Il
bimbo la
guardava e l’ascoltava attento, e la donna prese un terzo,
profondo respiro,
senza mai staccare gli occhi dallo sguardo del figlio, parlando
però con un
tono di voce basso, come se temeva che qualcuno li stesse ascoltando.
-Jun
… lui … lui
è tuo padre, Hikaru.-
Uno,
due, tre,
Yayoi contava i secondi di silenzio, osservando quasi spasmodicamente
gli occhi
di suo figlio, cercando di percepire in essi i mutamenti
d’animo del bambino: e
vide, per qualche momento, l’incomprensione, sostituita poi
dalla
consapevolezza, che cresceva diventando stupore, e alla fine il bambino
parlò,
con aria intontita.
-Jun
… è il mio papà?-
La
donna ingoiò
a fatica, ed ebbe solo la forza di annuire decisa, mormorando un
“si” con voce
roca.
Aspettò
ancora,
il silenzio era tale che la donna si sentì congelare tutto
il sangue che aveva
in corpo.
Alla
fine,
Hikaru prese la mano di sua madre, ancora appoggiata alla sua guancia,
e il
tocco allarmò Yayoi, che lo guardò spaventata a
morte.
Lui
parlò con
voce decisa, e sollevò in aria quella mano.
-Si!
Lo
sapevo!!-
Il
sorriso
entusiasta del bambino impressionò la madre molto
più della sua risposta, il
piccolo stava praticamente saltando sulla sedia, felice come mai lei lo
aveva
visto in quei cinque anni di vita; velocemente, influenzata anche dai
gridolini
di gioia e dall’agitazione del figlio, la donna si riprese
dalla sorpresa,
afferrandolo con la mano libera.
-Hikaru,
aspetta
un momento. Calmati Hikaru.
Come
… come lo sapevi?
Te l’ha detto lui?-
Lui
scosse la
testa, continuando a sorridere contento, e Yayoi si sentì
ancora più confusa:
come … ?
Il
piccolo,
però, era in preda all’entusiasmo, aveva un
sorriso così grande che quasi gli
copriva il naso e le guance, e pertanto i dubbi della donna non
potevano
ottenere risposta; tuttavia, guardando quella felicità, il
muro di paure
cominciò a trasformarsi in sabbia asciutta, e a disgregarsi.
-Non
sei
arrabbiato con mamma?-
-Perché?-
-Beh
… la mamma
non te l’ha detto subito.-
Il
bimbo guardò
stupito la madre, come se non capisse il senso di quella frase. Alla
fine
domandò con aria incerta.
-Non
me lo
volevi dire?-
-Certo
che no!-
Yayoi
non
capiva, era tutta ancora agitata, si sentiva tremendamente confusa:
come poteva
suo figlio aver intuito che Jun era suo padre senza saperlo, e come
poteva ora
non farle domande che era suo diritto chiedere.
La
risposta gli
arrivò proprio dal suo stesso figlio.
-Mamma,
io non
capisco. Sei triste di avermelo detto?-
…
suo figlio
aveva cinque anni. Era intelligente, certo, e un giorno le avrebbe
posto tutte
quelle domande a cui lei avrebbe risposto con sincerità,
senza bugie; ma ora
come ora, Hikaru aveva trovato il padre di cui aveva tanto sentito
parlare, ed
era proprio la persona di cui si era tanto affezionata e in cui aveva
sperato.
Ancora
una
volta, quel raggio di luce illuminò gli occhi e la mente
della donna,
liberandola dalla massa confusa delle sue paure, che di certo non erano
scomparse, ma per il momento si erano zittite.
Sorrise,
imbarazzata, e scosse la testa, accarezzando di nuovo le guance e i
capelli di
suo figlio.
-No,
no tesoro. Anzi:
sono felice che tu sia felice.-
E
per
confermarlo strofinò il suo naso su quello del figlio, in un
gesto affettuoso e
complice, che fece tornare il sorriso al bambino, il quale
però si fermò un
momento, guardando dubbioso la mamma.
-…
credi che Jun
mi permetterà di chiamarlo papà?-
Yayoi
guardò suo
figlio, e ripensò ad ogni volta che i due avevano parlato di
Hikaru, a tutti i
sentimenti: rabbia, frustrazione, sorpresa, gioia, colpa, sollievo.
Amore, sconfinato
amore.
-Ne
sono più che
sicura tesoro.-
(Atto II
Scena II, Aria di Costanza dalla “Griselda” di
Vivaldi su testo di Goldoni)
Io
chiedo tante scuse per il ritardo nell’aggiornamento,
questo è stato il capitolo più complicato da
scrivere, perché effettivamente
era venuto il momento di sciogliere l’annosa questione del
“dirlo ad Hikaru”.
Spero
che, d’ora in poi, gli aggiornamenti
risulteranno più liberi.
Un
abbraccio e un saluto particolare a sissi e
sailorgemini, grazie di seguirmi e sostenermi!
**
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Capitolo 14 *** Cavatina: Lindoro ***
Cavatina:
Lindoro
>E
così
glielo hai detto? Wow! Sono strabiliata! Tre mesi passati a dirti
“diglielo”, e
ti è bastato un suo sguardo e cinque minuti per convincerti!
Diamine quel bimbo
è davvero un portento!
Yayoi
ridacchiò,
mettendosi sul divano e notando la presenza di Kumo lì
accanto. Oramai il gatto
stava cominciando a prendere possesso dell’intera casa,
permettendosi anche di
fare il prepotente in alcune occasioni, specie con Hikaru; il bimbo,
però, era
troppo contento di avere quel nuovo amico, e lasciava correre,
giocandoci quasi
tutto il giorno.
La
donna non
sapeva dire chi dei due avesse più energie: la sera prima,
per esempio, dopo
aver saputo che Jun era suo padre, il bambino era così
emozionato da giocare
con il micio, fino ad addormentarsi sfinito sul pavimento del piccolo
salotto,
con quella palla di pelo accanto.
Yayoi
accarezzò,
con la punta delle dita, le orecchie e la testolina del felino, che
accettò di
buon grado, le fusa vibravano in tutto il suo corpo.
>Come
ti
senti adesso?
-Non
lo so. Il
fatto … è che mi ha sorpresa quando mi ha detto
che se lo sentiva …-
>I
bambini
sono creature bizzarre, io ne ho tre e ancora sono un mistero! Pensa,
oggi
finalmente Saki non si è messa in bocca la sabbia del parco
giochi, e lo ha
fatto di sua spontanea volontà, dopo che ho passato un anno
da incubo in cui ho
cercato di fargli perdere l’abitudine in tutti i modi!
Aoba
sorrise
ancora, la sua mano si muoveva da sola su Kumo, il quale cominciava ad
agitarsi
leggermente, disturbato; eppure se le dita si allontanavano lui subito
le
cercava con il musetto, strofinandosi.
-Mi
pare di
capire che Saki oramai è diventata una signorina.-
>Si,
mia
madre oggi mi ha telefonato chiedendomi se tornavamo per il
Shichi-Go-San di
Saki. Mi sembra che sia ora anche per Hikaru, no?
-Ah,
preferirei
aspettare i sette anni: quest’estate ti ricordo che ne compirà solo sei
anni.-
>Solo
sei?! Cavolo,
quanto cresce in fretta. Hai già visto per la scuola
elementare?
-Si
si, ho
trovato un istituto non troppo lontano da qui, comodo da raggiungere a
piedi e
con i mezzi.-
>Il
piccolo
Hikaru che andrà all’elementari! Vorrei essere
lì!!
Oramai
Sanae
aveva preso in pieno il ruolo di zia, anzi si poteva dire che era quasi
la
“papà sostitutiva” del bambino.
-Invece
Ichirou?
Come se la sta cavando con la scuola spagnola?-
>Bah,
lui è
come il padre, non ha mai avuto problemi: si è fatto subito
degl’amici, e
ovviamente è subito entrato nella squadra di calcio della
scuola.
-Tale
padre …-
>Meno
male
che Hideki non prenderà le orme del
“capofamiglia”, se possiamo chiamarlo
così.
-Noi
due
sappiamo bene chi ha i pantaloni in casa.-
E
le due donne
risero divertite.
Kumo
nel
frattempo si girò supino, mettendosi a giocherellare con le
dita della donna,
la quale si preoccupò di non farsi graffiare, le unghiette
di quel micino erano
non poco affilate.
>Comunque
mi
fa piacere di sentirti serena: quando mi hai detto che avresti lavorato
nella
stessa clinica di Jun ho temuto il peggio.
-Lo
so, mi
spiace di averti fatto preoccupare.-
>E
come sta
andando la convivenza a lavoro?
“-…
grazie Yayoi. Tanti auguri di buon compleanno.-”
>Ehi,
Yayoi,
mi senti?
-Ah,
scusa
Sanae, puoi ripetere?-
>Ti
ho
chiesto come sta andando con Jun. Ti sta creando problemi?
-No.
No, affatto
…-
Kumo,
miagolando, afferrò con le zampine le dita di Yayoi,
avvicinandole a sé.
>Quindi
va
tutto bene.
-Si
certo.-
>Quanto
va
bene?
-In
che senso?-
>Nel
senso
che va bene tipo “lui accetta Hikaru, ma praticamente non mi
parla”, o tipo
“lui accetta Hikaru, e siamo buoni amici”, o del
tipo “accetta Hikaru, ci
amiamo e vogliamo diventare una famiglia”?
Alle
ultime
parole Yayoi arrossì vistosamente, e il suo corpo
s’irrigidì; a quel cambi odi
umore si aggiunse Kumo, che giocò un po’
più pesante, mordendo e graffiando
leggermente le dita della donna, facendole male.
-Ahi,
Kumo!-
Il
micino
indietreggiò leggermente, e la donna constatò che
uno dei graffi, fatto sull’indice,
sanguinava leggermente, alzandosi dal divano per dirigersi veloce in
cucina.
>Che
succede?
Ti ha graffiato?
-Si,
ma niente
di che.
Piuttosto
che ti
viene da pensare! È chiaro … che Jun accetta
Hikaru, anzi i due hanno un
bellissimo rapporto!-
>Questo
lo
so. Io voglio capire però il rapporto tra voi due. E lo
voglio capire perché
sono preoccupata per te. Allora?
-Jun
… io e lui …
siamo semplicemente conoscenti. Lui pensa solo al bene di Hikaru.
Io
non gli ho
detto nulla, e quando lo ha scoperto … si è
giustamente arrabbiato, e io non
posso negare le mie responsabilità, né le mie
decisione, giuste o sbagliate che
sono.
Non
gli ho detto
una cosa così importante come suo figlio, mi sembra
già tanto che mi rivolga anche
solo la parola.-
>Non
cominciare con questo atteggiamento, lui non è
“Santo Jun Misugi da Tokyo a
mare”, non è più il ragazzino col cuore
malato già da PARECCHIO tempo; e non
assumerti colpe così alla leggera, vogliamo parlare della
sua “saggia
decisione” di lasciarti? Se ci ripenso …
Ah,
si, lei era
sempre stata la paladina dell’amore.
Yayoi
aprì il
rubinetto e lasciò scorrere un po’
d’acqua sul dito, per poi chiuderlo e
appoggiarsi al bancone.
-Dai
Sanae, sono
passati cinque anni.-
>Possono
passarne anche cento, Yayoi, ma non mi è piaciuto quanto ha
fatto. Così come
non mi è piaciuto come ti sei comportata tu.
Il
sorriso sempre
presente della donna si spense, e il volto assunse
un’espressione amara;
strinse leggermente il cellulare nella mano, e incupì lo
sguardo.
-Sai,
Sanae, sto
seguendo di nuovo le seduta con una psicologa.
Abbiamo
parlato
di mia madre, però, questa volta, è stato
diverso: per quanto io non posso
perdonarla di quanto è successo, mi sono accorta
… che le assomiglio molto.-
Non
sentì
l’amica risponderle, e lei si spostò dalla cucina
verso il terrazzo, aprendo la
tendina per vedere la finestra; sotto di lei, i ciliegi avevano
cominciato a
fiorire, quel fine settimana l’Hanami sarebbe stato davvero
rigoglioso, poteva
vedere gli alberi carichi di boccioli.
-Anch’io,
come lei,
ho paura di perdere il mio amore e di restare sola.-
>Ma
tu non
sarai mai sola: ci sono io, c’è Hikaru, e sono
sicura che ci sono anche le
persone che ti sono amiche lì a Tokyo.
-E
tuttavia,
Sanae, non posso dipendere da te o da gli altri: già una
volta ho dipeso la mia
vita sui sogni e intenzioni di Jun, e mi sono trasformata in una sua
silenziosa
ombra, che lo seguiva ovunque andava.
Adesso
devo
cavarmela da sola. Devo farlo anche per Jun: lui deve preoccuparsi
interamente
di Hikaru. È suo figlio.-
>Ma
tu lo ami
ancora, non è vero?
La
donna sentì
qualcosa sulle sue gambe, e vide Kumo strofinarsi a lei, facendo le
fusa; lei
si abbassò, accarezzandogli il muso, sentendo quel piccolo
corpo vibrare mentre
manifestava la sua contentezza.
-Si.
Ogni giorno
di più, come con Hikaru..
Sentì
la donna
sbuffare dall’altro capo della cornetta.
>Sei
davvero impossibile.
-Beh,
tu hai
dovuto aspettare molto più di me, ed ora hai tre bambini a
cui badare.-
Più
il padre.
Sentì Sanae fare uno sbuffo divertito, e anche la donna
sorrise a suo volta.
>E
va bene,
per stavolta l’hai vinta tu. Ascoltami invece, cambiando
discorso: partirò
Giovedì pomeriggio, in modo da arrivare Venerdì
in mattinata a Narita.
Yayoi
si diresse
verso il calendario, appeso al muro accanto alla finestra del terrazzo,
e
controllò i suoi turni: aveva la notte, e doveva anche
pensare a portare e
andare a riprendere Hikaru all’asilo. Forse, in quel caso,
avrebbe potuto
chiedere a Jun …
Ah,
no: era a
casa da sua madre quel giorno.
>Ci
sono
problemi?
…
forse doveva
saltare la seconda seduta con Matilde.
-No,
affatto:
verrò a prenderti puntuale, come sempre, con Hikaru.-
>Bene,
allora
ci vediamo.
-Dai
un bacio a
Ichirou, Hideki e Saki da parte mia. E salutami Tsubasa.-
>Tu
dai un
abbraccio a Hikaru da parte mia, e digli che gli porterò un
bel regalo.
-Ah
Sanae! Non
viziarmelo così!-
>La
zia ha il
diritto e dovere di viziare il nipote. Un bacio.
-Ciao.-
Si
lasciarono
con il sorriso sulle labbra, e la donna chiuse la telefonata sbuffando
divertita, notando poi Kumo che ancora era tra le sue gambe,
prendendoselo in
braccio.
-Forza,
ti porto
di là, che tra poco devo uscire.-
-Aah!
Che
bello!! È primavera!-
Matilde
si
stiracchiò la schiena, davanti a lei il suo espresso
fumante; Jun, dall’altro
lato del tavolo, la osservò sorridendo divertito, tenendo
una mano sulla
guancia, il gomito appoggiato sul piano.
Erano
in pausa
pranzo, entrambi oggi avevano il turno lungo, ma si stavano godendo
quella
mezz’ora di buco alla tavola calda dov’erano soliti
andare; sulla vetrata vedevano
passarsi davanti la gente, un fiume che scorreva a tratti veloce e in
piena, a
tratti lento e vuoto.
L’italiana
sembrava non voler bere la sua bevanda, guardando con aria assonnata
quel via
vai, il fumo nella tazzina si sollevava in una scia bianca e profumata;
il
giapponese, di fronte a lei, ancora non aveva proferito parola,
osservandola
paziente, e la donna alla fine prese un profondo respiro, rivolgendogli
lo
sguardo.
-Allora,
che c’è?
Dubito che sia la primavera ad averti spinto ad offrirmi il pasto e il
caffè.-
-Non
credi che
per una volta tanto voglia fare il buon amico?-
-Con
me? Nah,
non credo proprio.-
Jun
sorrise
divertito.
-Almeno
ammetti
le tue colpe.-
-Colpe?
Quali colpe?
Io sono la povera vittima innocente qui.-
-Si
si, sei
credibile quanto può essere italiano
quell’espresso.-
-E
secondo te perché
non lo sto ancora bevendo?-
L’uomo,
questa
volta, aprì il sorriso e ridacchiò, e Matilde
portò le mani sotto il mento,
appoggiandosi al piano e squadrando per bene il suo
“amico” con i suoi occhi,
più verdi del solito.
-Allora?
Che c’è?-
Si
guardarono
negl’occhi per un momento, ma poi lui distolse lo sguardo e
unì le
mani,stringendo tra di loro le dita, in una posizione di chiaro
sbarramento:
voleva parlare di un argomento serio ma, come al solito, tendeva a fare
il
riccio. E a Matilde toccava l’arduo compito di cavargli fuori
le parole, avesse
avuto una tenaglia vera e propria avrebbe fatto prima.
-Facciamo
così:
io faccio le domande e tu mi dici solo “si” o
“no”. Va bene?-
-Si.-
-Bene,
almeno
fin qui ci arrivi.-
Lui
si morse le
labbra per non risponderle e cadere nel suo gioco, e lei gli fece una
piccola
linguaccia, prima di prendere la sua tazza e arrischiarsi, finalmente,
a bersi
quella bevanda.
-Riguarda
Yayoi?-
-Si.-
Non
ne era
sorpresa: le aveva offerto il pranzo e il caffè, dubitava
fortemente che si
trattasse di qualcosa inerente alla madre.
-Qualche
problema?-
-No.-
Ma
non lo disse
con tono particolarmente convinto, pertanto Matilde bloccò a
metà quel sorso,
scrutandolo per bene: lui continuava ad avere le mani serrate, e lo
sguardo
adesso andava verso il basso, di solito usato per il senso di colpa o
l’imbarazzo.
-Cos’è
successo?
Qualcosa di brutto?-
-Certo
che no!-
Ok,
allora era
imbarazzo. La cosa stimolò ulteriormente
l’interesse dell’italiana, che poggiò
la tazzina e si sporse sul tavolo, affilando leggermente lo sguardo e
sorridendo con aria malefica; quell’immagine fece pentire di
Jun di averle
offerto anche il caffè.
-Che
hai
combinato, mandrillone?-
-Ma
che ti viene
in mente!-
-Ma
stai
arrossendo! Allora qualcosa hai combinato!-
-Niente
che ti
passa per la testa!-
-Perché?
Cosa pensi
che io pensi?-
-Ah!
Lasciamo
perdere!-
-Dai
su, non
prendertela. Accidenti, se sei così sulle spinse
è una questione seria!-
Lo
vide arrossire,
e questo la impressionò non poco: in più di tre
anni che lo conosceva non l’aveva
mai visto cambiare colore di faccia dal suo solito
“affascinante pallore” al “rosso
da ragazzino con la prima cotta”. Perché quello
ERA un rossore da prima cotta.
-Questa
poi …-
Jun
si rese
conto che gli era aumentata la temperatura corporea, e passò
una mano in
faccia, rendendosi conto che scottava, e se ne sorprese ancora di
più, e guardò
la donna davanti a lui; questa osservò gli occhi di lui
brillare, e poi
spalancarsi di nuovo nel ricordare, e il rosso divenne viola, tanto che
la
donna a stento trattenne una risata, alzandosi in piedi per chiamare
una
cameriera.
-Ehi,
frena
bello, se no finisce che mi svieni!
Mi
scusi, può
portarmi un coca con ghiaccio? Tanto ghiaccio, grazie.-
La
giovane
cameriera obbedì, e Matilde si sedette al suo posto,
guardando la testa dell’uomo
sprofondare tre le braccia; sghignazzando, lei allungò una
mano e gli accarezzò
la capigliatura, cercando di non ridere mentre parlava.
-Caro
mio, sei
in un bel guaio.-
-…
maledizione.-
-Ti
va di
continuare la conversazione facendomi i cenni con la testa?-
Lui
annuì, e lei
trattenne ancora il ridere mentre l’altro respirava a fondo,
cercando di
calmarsi, sembrava quasi che uscisse vapore da dietro la sua schiena,
talmente
tanto era arrossito.
-Allora,
è
successo qualcosa … di interessante tra te e Yayoi.
È successo ieri?-
Un
cenno
positiva della testa. Forse riguardava il compleanno? O magari la cosa
era nata
da Hikaru? A giudicare però da come ancora non sembrava
riprendersi, era stato
qualcosa che lo aveva toccato davvero a fondo.
-Dimmi
un po’
Jun: da quanto tempo non sei stato più innamorato? Immagino
da prima del
matrimonio.-
La
cameriera
arrivò giusto in quel momento, portando un bicchiere bello
alto di coca con
talmente tanto ghiaccio da sembrare l’iceberg del Titanic;
Jun allungò
lentamente una mano verso la bevanda, e appena ne sentì la
freddezza alzò il
capo.
Matilde
si mise
una mano sulla bocca per non mettersi di nuovo a ridere: non era rosso,
era di
più, aveva praticamente tutta la parte centrale della
faccia, zigomi, naso e
orecchie completamente bordeaux, chi si voltava a guardarlo pensava
più ad uno
sfogo che ad un semplice rossore.
L’uomo
non la
guardò nemmeno, sentiva come lo stomaco sottosopra mentre
portava il bicchiere
sul suo naso, sentendolo subito gelare, sospirando di sollievo e
spostando il
vetro verso le guance, prima di berne un sorso mentre
l’italiana sorrideva
divertita, facendosi portare via la tazzina vuota.
-E
da quanto
tempo non arrossisci, eh?-
-Non
mi è mai
successo: cuore troppo debole, dovevo tenere a bada le emozioni.-
-Bugiardo:
tutti
arrossiamo, anche quando siamo “deboli di cuore”.
Dai, quando è stato? Scommetto
che c’era lo zampino di Yayoi anche quella volta.-
E
via di nuovo: come
quando si butta l’alcol sul fuoco, il rossore di Jun riprese
possesso della
zona centrale della faccia, e stavolta l’italiana ne rise di
gusto, facendo
imbarazzare ulteriormente l’uomo, che quasi scattò
in piedi, sbattendo il
bicchiere sul tavolo e versandosi un po’ di coca sulla mano.
-E
dacci un
taglio!-
-Scusa,
scusa,
sei troppo divertente!-
Lui
sbuffò,
prendendosi un altro sorso, passandosi nuovamente il bicchiere gelido
sulla
faccia, e lei si calmò, mettendosi più composta
sulla sedia, osservandolo quasi
con una certa invidia. No, non nei confronti dell’uomo, da di
Aoba: lei, a
farlo sciogliere così, non c’era mai riuscita, e
si che erano usciti spesso e
lei era pure psicologa.
-Che
invidia.-
-Eh?-
-Niente,
pensavo
che Yayoi invidierebbe quel rossore, nemmeno i suoi capelli sono
così!-
Jun
sbuffò lo
sguardo, voltandolo da un lato, e questo risvegliò
nuovamente la curiosità di
Matilde, se evitava lo sguardo su quell’argomento i capelli
della donna c’entravano
e come!
-No,
dai, cos’hai
fatto con i suoi capelli?-
-Niente!!-
-E
allora perché
eviti il mio sguardo? Dai, confessa, oramai non puoi più
nasconderti.-
Sospirò,
si
guardò intorno, bevve un altro sorso, si passò le
mani in faccia e sui capelli,
e alla fine si arrese all’attacco della psicologa.
-Al
primo anno
di liceo … lei era solita tenersi i capelli legati, diceva
che erano più
pratici; però … i miei compagni di classe
l’avevano notata quando li aveva
sciolti, e cominciarono a fare apprezzamenti.-
“-Ehi,
ma davvero conosci
Aoba Jun?-
-Dai
presentacela!-
-Perché?!-
-Ma
come perché?? Ce li hai
gli occhi?-
-È
così carina!-
-Già,
e quando ha i capelli
sciolti? Cavolo sembra una straniera!-
-Gia!-”
-Non
me n’ero reso
conto: fino ad allora era sempre stata una mia cara amica, che
conosceva i miei
problemi ma mi trattava come tutti gli altri, niente più.
Poi,
un giorno,
accadde che eravamo rimasti entrambi a scuola fino a tardi: io per gli
allenamenti, lei in quanto capoclasse.-
“-Yayoi.-
-Ah
Jun, finiti gli
allenamenti?-
-Si,
e tu hai finito? Torniamo
a casa insieme?-
-Si,
solo un momento, queste
forcine mi cominciano a dare noia.-”
Le
tolse una ad
una molto velocemente, ma quando alla fine prese l’elastico,
facendolo
scivolare via dai capelli, Jun vide tutto rallentare di colpo: avevano
la fine
del tramonto alle spalle, e per un attimo il ragazzo pensò
che quei capelli in
realtà fossero l’ultimo riverbero del sole. Invece
caddero sulle spalle di
Yayoi, e la ragazza fece un espressione sollevata che
ammazzò definitivamente
la ragione del povero Misugi.
Quando
alzò lo
sguardo su di lui una ciocca carogna si spostò verso un
occhio, e la ragazza la
sistemò senza pensarci con la punta delle dita. Solo Dio sa
cosa pensò Jun in
quel momento (persino per me che sono l’autrice è
fin troppo Harmony, se mi capite).
E
quando ci
ripensò, puff! Il rossore arrivò come la prima
volta che lo aveva pensato.
Matilde
sorrise,
nascondendo parte delle labbra tra le dita mentre l’uomo
cercava di mantenere
il contegno, sorseggiando la sua bevanda; allora, da ragazzino, si era
invece
beccato lo sguardo stupito di Aoba, che subito corse verso di lui,
allarmata.
“-Jun?!
Stai male?!-
-…
eh?!-
-Sei
tutto rosso! Cielo scotti!
Non ti sarai sforzato troppo?!-”
Maledetta, era lei che
l’aveva fatto sforzare,
altro che!
Comunque
Matilde
fu soddisfatta della risposta. Però c’era ancora
qualcosa che mancava alla
conversazione.
-E
questa volta?
Sono sempre stati i suoi capelli?-
Lui
non arrossì
più, sembrava che il ricordo, ma soprattutto la bevanda, lo
avessero calmato. Però
si umettò leggermente le labbra, e subito Matilde
ricordò come anche Yayoi, nel
pensare all’uomo, avesse compiuto lo stesso gesto senza
rendersene conto.
Nel
frattempo, l’uomo
giocherellò con il bicchiere, ripensando alla mattinata
prima, quando aveva
fatto la spinosa domanda e la donna gli aveva dato forse la risposta
più bella
che avesse mai sentita, forse ancora più di quando gli
avevano detto che l’operazione
era riuscita ed era guarito: suo figlio, infatti, non avrebbe mai avuto
bisogno
di un’operazione chirurgica. Era sano.
Il
ricordo mutò
leggermente il suo sguardo, e stavolta Matilde non sorrise, che
affilò lo
sguardo, anzi era sinceramente sorpresa: per la prima volta, vide nello
sguardo
di Jun qualcosa di tremendamente … dolce, che scioglieva
quelle iridi castane,
in un espressione che gli toglieva anni, rendendolo quasi un ragazzino,
e al
tempo stesso lo rendeva affascinante, un uomo.
-Jun
…-
-Yayoi
mi ha
detto … che Hikaru è sano di cuore. Lui non
dovrà mai avere problemi.
Credevo
che,
dopo il sollievo, lo avrei invidiato; invece … sono ancora
così felice che mio
figlio crescerà forte.
Mio
figlio, non
avrei mai creduto che … sarei arrivato a dire una cosa del
genere.-
E
lei non
riusciva a credere che Jun Misugi fosse capace di una tale espressione
nel
viso, era tale da risultare indescrivibile; e la cosa
allarmò leggermente l’italiana,
perché sentiva quella sottile invidia crescere
ulteriormente, mettendo in serio
pericolo il suo ruolo di psicologa di Yayoi.
Pertanto
si alzò
in piedi di scatto, interrompendo e stupendo l’uomo davanti a
lei, che la vide
tenere le mani appoggiate al tavolo e restare ferma, con gli occhi
bassi, per
qualche momento.
-Matilde?-
-…
andiamo: è
ora di riprendere il turno.-
Si
allontanò
senza nemmeno aspettarlo, ficcandosi le mani nel camice che si era
tenuta
addosso, e l’uomo ebbe solo il tempo di lasciare gli spicci
per la bevanda,
seguendola fuori dal locale e bloccandola con una mano sulla spalla.
-Ehi,
che ti
prende?!-
-…
Jun Misugi,
devi fare attenzione: sei un uomo che manifesta troppo vivamente i tuoi
sentimenti, positivi e negativi che siano.
Tu
non sai fare
l’eterno gelido.-
E
glielo disse
voltandosi verso di lui e facendogli un espressione a metà
fra il duro e l’affranto,
che lo lasciò senza parole, tanto che la sua mano perse
forza, e lasciò andare
la donna, che prendendo un profondo respiro riprese la marcia, senza
voltarsi
indietro.
Languir
per una bella
e
star lontan da quella,
è
il più crudel tormento
che
provar possa un cor.
Forse
verrà il momento;
ma
non lo spero ancor.
-Ah!
Buongiorno
Matilde!-
La
donna guardò
Yayoi, e si diede mentalmente della cretina, doveva aver fatto una gran
bella
figura di *** con l’uomo, quando sapeva perfettamente che
quel suo
atteggiamento non l’avrebbe portata da nessuna parte: non
poteva certo mettersi
in competizione con la persona che l’aveva salutata con quel
sorriso sulle
labbra.
Ricambiò,
un po’
imbarazzata.
-Buongiorno
a
te, come va?-
-Tutto
bene? Non
mi sembri in forma.-
-No,
tranquilla.
È solo che non sono abituata a questo tempo, è
così sereno.-
-Già,
i ciliegi
hanno già cominciato a fiorire. A proposito, verrai
all’Hanami con me e Hikaru?
Volevo invitare anche Kishimoto.-
-…
perché no? Possiamo
raggiungere gli altri una volta finito con il nostro appuntamento.-
-Ah,
senti, a
proposito …-
-Yayoi!-
Aoba
spostò
leggermente lo sguardo, e sorrise leggermente, socchiudendo gli occhi
un’espressione
contenta. Matilde, nel vederla, prese un profondo respiro, aspettandosi
adesso
qualche atteggiamento d’imbarazzo da parte
dell’uomo, o che lui evitasse il
contatto visivo; invece, inaspettatamente, Jun posò un
braccio sulla spalla
dell’italiana, parlando con aria contenta all’altra
donna.
-Buongiorno!-
-A
te, avete
pranzato?-
-Si,
ho offerto
io.-
-…
già, non ti
sembra incredibile? Lui che offre!-
-Ehi!-
E
Yayoi sorrise
mentre Matilde, con una semplice occhiata, ringraziava silenziosamente
Jun, il
quale non diede a vedere niente ma si limitò a fare una
faccia soddisfatta, per
poi incrinare l’espressione e guardare un punto preciso sul
corpo della donna
davanti a loro.
-Che
hai fatto
al dito?-
Le
due
guardarono il punto, e l’italiana effettivamente
notò il brutto graffio che c’era
sull’indice della giapponese, la quale lo guardò
senza starci troppo a pensare,
facendo spallucce.
-Ah,
niente, è
solo Kumo, il nostro gatto.-
-Gatto?
Hai un
gatto?-
-Si,
me l’ha
regalato Hikaru.-
-…
te l’ha
regalato?-
Aoba,
alla
confusione di Misugi, sorrise divertita, e si spiegò mentre
Matilde osservava
la scena dal suo punto di vista, con ancora il braccio
dell’uomo sulla sua
spalla.
Lei
aveva avuto
diverse relazioni, persino il grande amore; ma una volta che lui se
n’era
andato, l’italiana aveva proseguito per la sua strada, senza
più starci a
pensare. Invece in quel momento, sembrava che attorno a lei non ci
fossero un
uomo e una donna con trent’anni e un figlio: le sembrava, al
contrario, di
essere di colpo tornata al liceo.
Jun
era un suo
compagno di classe, con la giacca slacciata e la camicia in bella
mostra, la
cartella tenuta dietro la schiena; Yayoi, davanti a lei, aveva
l’uniforme alla
marinara, con la gonna a pieghe e il fiocco rosso, e teneva i capelli
legati in
due trecce.
E
attorno a loro
era primavera.
-Dunque
il gatto
è tuo?-
-Beh,
è un suo
regalo dopotutto.-
-Quel
bimbo è
davvero incredibile.-
-Già.-
Le
piaceva
davvero tanto quell’atmosfera, però vedeva, anzi
avvertiva bene un’altra cosa:
l’uomo, dietro di lei, stava
“scalpitando” nei confronti della ex-moglie;
probabilmente
aveva qualche cosa di urgente da dirle, perché il braccio
sulla sua spalla
spingeva leggermente.
Sorrise
leggermente,
era la classica situazione dove il compare doveva dare la
“spintarella” per
aiutare l’amico con la ragazza carina. E sia!
-Beh
signori,
non so voi ma io sto facendo aspettare un paziente. Jun, dato che hai
tempo da
perdere, che ne dici di aiutare Aoba-san e di mettere un cerotto su
quel dito? Sempre
che tu lo sappia fare …-
-Sempre
gentile
lei, eh?-
-Ci
vediamo,
Yayoi.-
-A
più tardi,
Matilde.-
-E
a me non mi
saluti?-
-Perché
mai? Tanto
verrò a romperti le scatole appena mi sarò
possibile.-
-E
ti pareva. Prima
o poi metterò un chiavistello su quella porta.-
-No
non lo
farai. Tu mi adori.-
E
così dicendo
la dottoressa partì, limitandosi a fare un cenno con la mano
ai due,
dirigendosi al suo ufficio decisa, quel giorno, a non vedere
più l’uomo:
sarebbe stata di troppo.
Quando
videro l’italiana
allontanarsi, i due rimasero qualche momento in silenzio, anche
perché l’uomo
si sentì leggermente a disagio: ancora non aveva dimenticato
com’era arrossito
fino a cinque minuti prima dentro al locale, e proprio per quella donna
che, di
sicuro, non se ne rendeva conto.
Fu
proprio lei,
infatti, a prendere la parola.
-È
… una donna
forte.-
-Già,
ed è anche
una gran rompiscatole. Ma ha ragione: andiamo a controllare quel
graffio.-
-Ma
no, davvero
non ce n’è bisogno, e poi Kumo è stato
vaccinato.-
-La
prudenza non
è mai troppa, quando hai fatto il richiamo?-
-Ehm
… non
ricordo.-
-Appunto,
dai
vieni.-
La
donna fu
obbligata a seguirlo, le fu lasciato solo il tempo di mettere la borsa
nel suo
armadietto e d’indossare l’uniforme, seguendo
subito dopo il medico al piano di
sopra; Jun entrò nello stesso sgabuzzino dove lei,
solitamente, si nascondeva
proprio da lui, e ripensarci ora, mentre lo guardava cercare
l’indispensabile,
la fece ridacchiare leggermente, attirando su di sé
l’attenzione.
-Che
c’è?-
-Ah
no, niente.-
-Dai,
vieni in
ufficio da me.-
Chiuse
la porta,
e già quando sentì il rumore Yayoi si
sentì leggermente sulle spine: l’ultima
volta che era entrata in quell’ufficio, beh … la
situazione era stata parecchio
spinosa. Tornarci adesso le dava ancora quella leggera sensazione di
disagio,
ed osservò i movimenti dell’uomo.
Questo
la invitò
a sedersi sulla sua poltrona dietro la scrivania, ma la donna
preferì restare
appoggiata al tavolo, e l’uomo preparò il
disinfettante e il cerotto,
offrendole poi la mano; Yayoi l’accettò in
silenzio, e sentì chiaramente, sulla
pelle, l’alcol bruciare leggermente.
-Certo
che il
piccoletto ha delle belle unghie, eh?-
-Già,
ha già
quasi distrutto il cuscino che Hikaru gli aveva ceduto. Bisogna
comprargli qualcosa
a riguardo, compreso un altro cuscino.-
-So
che alla
fine di questa strada c’è un buon negozio di
animali. Se vuoi dopo ti
accompagno.-
-…
davvero?-
Lui
alzò lo
sguardo, e vide che anche la donna era sorpresa quanto lui
dell’affermazione;
distolse immediatamente gli occhi, aveva paura di arrossire troppo per
l’ennesima
volta, prendendo invece il cerotto.
-Beh,
sempre che
tu lo voglia ovviamente.-
-Ah
si, mi
piacerebbe.-
-Davvero?-
Le
stava per
mettere il cerotto quando sentì quella frase, e la
guardò stupito; questa volta
fu lei a distogliere lo sguardo per prima, sentendo chiaramente la
faccia
iniziare già ad accaldarsi. Eh no, arrossire non era proprio
il caso!
Imbarazzati,
leggermente arrossiti, riuscirono a sistemare bene il cerotto al terzo
tentativo: ogni volta che le loro mani si sfioravano, infatti, era
sempre un passo
indietro per entrambi, e ogni volta la donna cozzava contro la
scrivania,
diventata di colpo una tremenda barriera.
L’uomo
era così
vicino a lei in quei momenti, poteva sentire perfettamente il suo
profumo; d’altro
canto, lei ancora non si era acconciata i capelli, pertanto alcune
ciocche
inevitabilmente accarezzavano la mano o il braccio di Jun, distraendolo
e
facendogli venire voglia di passarci le dita.
Si
appellò a
tutta la sua forza per fare per bene l’iniezione,
fortunatamente Yayoi era una
brava paziente, ma appena sentì l’ago dentro la
carne non poté evitare di
guardare altrove, incuriosendo e facendo sorridere Misugi.
-Sei
un
infermiera e non ti piacciono gli aghi?-
-Di
sicuro non
mi piace farmi fare le iniezioni, non sono piacevoli.-
-Non
dirlo a me.
Invece,
Hikaru
ha già fatto i richiami?-
-Ancora
no,
purtroppo da mio padre non c’è stata
l’occasione, il dottore abitava troppo
lontano e dovevamo usare i mezzi pubblici.-
-Hai
vissuto da
tuo padre? E la vecchia casa?-
-…
l’ho venduta:
non riuscivo più a pagare il mutuo.-
Appena
lui le
lasciò il braccio, Yayoi si allontanò, tenendo
premuto il cotone sul punto dove
era stato l’ago. Jun, invece, la guardava stupito: aveva
avuto problemi di
soldi? Era andata a vivere con suo padre? Quante cose di lei non sapeva?
-…
senti,
Yayoi.-
Lei
si voltò a
guardarlo, e gli vide in volto un’espressione tremendamente
seria, che la
bloccò leggermente; lui, intanto, buttava via la siringa e
la piccola
boccetta di anti-tetano, cercando le parole giuste.
-Quando
… quando
ce ne sarà l’occasione … vorrei che tu
mi parlassi di questi cinque anni:
voglio sapere tutto quello che tu e Hikaru avete passato.
…
sono suo padre
dopotutto, anche se non lo sa.-
Avrebbe
voluto
dirle “sono il tuo ex-marito”, ma pensare al
divorzio adesso lo amareggiava tremendamente,
e temeva che lei gli rinfacciasse qualcosa.
Dal
suo punto di
vista, Yayoi ne rimase colpita, e si ricordò ancora una
volta di Sanae, della
sua insistenza a convincerla a chiamarlo in quei momenti, quando i
soldi
diventavano sempre meno ed era necessario, per lei, cercare posto
altrove con
il bimbo a carico.
Non
gli aveva permesso
di aiutarla in quel momento così delicato, lei stessa aveva
sbarrato ogni
possibilità all’uomo.
Si,
era un suo
diritto.
Era
il padre di
Hikaru.
E
Hikaru.
-Lo
sa. Gliel’ho
detto.-
Lui
alzò lo
sguardo sconvolto verso quella donna, e lei cercò di
sorridere, anche se era
leggermente imbarazzata, rendendosi conto che non era effettivamente
quello il
modo in cui avrebbe voluto dirglielo: le sarebbe piaciuto averglielo
detto
subito, con entusiasmo, fuori dalla clinica, ma la presenza di Matilde
aveva
reso la situazione un po’ più complicata.
Se
non glielo
avesse detto subito, di sicuro avrebbe lasciato correre, un
po’ come aveva
fatto fino a quel momento con Hikaru, e questo non se lo sarebbe mai
perdonata;
perciò Yayoi prese un respiro, alzò la testa,
guardò l’uomo dritto negl’occhi
e, con aria tranquilla, si ripeté.
-Gliel’ho
detto.
Ieri.-
L’uomo
ancora
era sconvolto, bloccato dalla sorpresa: di colpo le cose si erano come
messe a
correre, come una valanga, uno tsunami, e da dottore ex-giocatore di
calcio
divorziato si era ritrovato dottore che lavorava con la sua ex-moglie e
padre
di un figlio che, adesso, sapeva che lui era il suo genitore!
Lentamente
l’uomo
andò a sedersi, e la donna ne approfittò per
avvicinarsi alla scrivania,
restando però questa volta dall’alto lato, il
legno laccato li separava.
Jun
si passò una
mano fra i capelli, ancora intontito, e poi glielo chiese.
-E
lui? Come l’ha
presa?-
A
quel punto la
donna ricordò la gioia di Hikaru, e sorrise.
-Beh,
posso
assicurarti che, dalla felicità, non la finiva
più di correre per casa. Sarebbe
perfino andato dai vicini a dirlo se non fosse che è un
bambino educato.-
Era
contento. Suo
figlio era contento che lui fosse suo padre.
Yayoi
vide l’uomo
passarsi una mano in faccia e tenerla, per coprirsi gli occhi, e si
limitò a
sorridere intenerita, decisa a quel punto di allontanarsi, tanto quello
che
doveva fare l’aveva fatto. Ma poté fare solo tre
passi, che l’uomo la bloccò.
-Tu
… possibile
che tu riesca sempre a rendermi felice?-
Contenta
quest'alma
in
mezzo alle pene
sol
trova la calma
pensando
al suo bene,
che sempre costante
si serba in amor.
Out
of the blue.
È un’espressione inglese con cui
s’indica una cosa che “esce dal nulla”,
inaspettata.
Ebbene,
proprio
come una cosa che non si aspetta, nessuno dei due seppe come reagire a
quella
frase: Yayoi, era bloccata, aveva la porta a tre passi da lei, ma non
riusciva
a muovere un singolo muscolo delle gambe, le mano lasciare scappare via
il
cotone dal braccio, rivelando il segno della puntura.
Jun,
dal canto
suo, si portò una mano alla bocca, stralunato, e rimase
bloccato sulla sua
sedia, fermo immobile come fatto di gesso.
Ed
entrambi
arrossirono così tanto che, davvero, uno dei due
rischiò di svenire.
Aoba,
alla fine,
solo perché non riusciva a sopportare il silenzio e
l’imbarazzo di farsi vedere
così rossa, riuscì a muoversi come un robot,
aprire e chiudere la porta alle
sue spalle; quando fu fuori dall’ufficio, schizzò
via come un razzo, cercando
riparo proprio nello stesso ripostiglio dove si era fermata con
l’uomo dieci
minuti prima.
Il
suo cuore,
tra poco, le sarebbe uscito dal seno. La situazione si era fatta
… confusa per
lei.
Misugi,
quando
la vide allontanarsi, avrebbe voluto dirle di fermarsi, che quello che
aveva
detto era stato uno sbaglio, una cosa senza senso, ma non appena
riuscì ad
alzarsi in piedi lei era giù fuori dal suo studio; a quel
punto si accasciò
sulla poltroncina come un sacco di patate, e si passò le
mani fra i capelli, spettinandoli
mentre mugugnava dandosi del perfetto idiota.
Quando
si calmò,
aveva in volta un’espressione un po’ sofferente:
non ci stava capendo più
niente.
Ed
entrambi si
chiesero.
“E
adesso? Cosa faccio??
Sono … troppo felice …”
Shichi-Go-San:
è il
tradizionale rito di passaggio dove i bimbi a tre, cinque e sette anni,
il 15
Novembre, vengono festeggiati affinché abbiano buona salute
e lunga vita.
**
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Capitolo 15 *** Duetto: Tristan Und Isolde ***
Duetto:
Tristan
und Isolde
(Prima
Parte)
Nei
giorni a
seguire gl’incontri tra Jun e Yayoi erano al pari di una
bibita frizzante
bevuta in una torrida giornata di Agosto: c’era sempre, da
parte di entrambi,
uno stato di leggero imbarazzo, che scatenava però
l’entusiasmo a parlarsi ed a
incontrarsi, arrivando in alcune occasioni a dimenticarsi che erano in
servizio
nella clinica, spingendo il primario, il dottor Guffred, a riprenderli
piuttosto severamente.
-Questa
clinica
è una delle più stimate ed importanti non solo
della capitale, ma dell’intero
Giappone; e abbiamo un dovere nei confronti dei nostri pazienti, quello
di
essere completamente a loro disposizione, sempre.
Con
questo non
le voglio impedire di avere relazioni “amichevoli”
con gli altri colleghi, ma
vorrei che, durante il suo turno, non dimenticasse che lei è
qui principalmente
per occuparsi della salute dei pazienti, e di fare in modo che possano
uscire
da questa clinica sulle loro gambe.
Non
si
dimentichi che opera nel reparto più importante e delicato.
Sono stato chiaro?-
-Si
dottor
Guffred.-
-Bene.
Può
andare ora.-
E
Aoba uscì
dall’ufficio, trattenendo a fatica un sospiro, buttandolo
fuori solo quando era
certa che la porta dietro di lei fosse chiusa e che si fosse
allontanata a
sufficienza.
Alzò
lo sguardo,
e rimase sorpresa nel vedere chi la stava aspettando, appoggiato al
muro.
-Seiji-kun.-
-Ehi,
com’è
andata?-
-Sono
stata
sgridata.-
-Che
ti prende?
È da un po’ di tempo che hai la testa per le
nuvole. Problemi con Hikaru?-
-No,
assolutamente.
È solo che sono stata distratta.-
-Wow,
la super
seriosa e professionale Ya-chan distratta, questa è una
novità!-
Jun,
nello
stesso momento, si stava dirigendo verso l’ufficio del dottor
Guffred: aveva
saputo che Yayoi era stata richiamata, e siccome anche lui era stato
sgridato
si sentiva responsabile della situazione, e voleva andare a vedere e a
parlare
con la sua … amica.
Si
oramai poteva
dire, con franchezza, che erano di nuovo amici.
Certo,
quello
che gli era scappato da dire qualche giorno prima ancora tornava nella
sua
testa, imbarazzandolo ogni volta che incrociava gli occhi scuri di
Yayoi; però,
al tempo stesso, non poteva proprio fare a meno di chiamarla se la
incrociava
nei corridoi, di chiacchierarci ogni volta che se ne presentava
l’occasione,
insomma di ricominciare a conoscerla.
Con
quel
pensiero fece gli ultimi scalini due a due, impaziente
d’incontrarla, sentendo oltretutto
venire verso di lui proprio la voce della donna; la seconda voce che
rispondeva,
tuttavia, lo bloccò all’istante: era un uomo, e
c’era un solo uomo, in tutta la
clinica, che quando la chiamava diceva …
-Sai,
Ya-chan,
ieri abbiamo provato quel nuovo ristorante coreano proprio vicino a
casa tua.-
-Davvero?
E
com’era? Mi piacerebbe far provare ad Hikaru la cucina.-
-Uh,
piano, temo
che sia ancora piccolo per quel piccante.-
-Dipende
dai
piatti, scommetto che voi ragazzi ci siete andati pesante!-
-Beh,
c’è stato
un momento in cui credevo di far diventare biondo Kichiro.-
E
Jun sentì la
donna ridere, sempre più vicina a lui, tanto che quando i
due girarono verso la
scalinata, a momento lei sbatteva contro l’uomo.
-Jun!-
-Ehi,
Yayoi.
Kishimoto.-
-Buongiorno
Misugi-sempai.-
La
donna subito
accigliò leggermente lo sguardo, preoccupata.
-Come
mai da
queste parti? … non mi dire che il dottor Guffred ti ha
richiamato di nuovo?!-
-No,
tranquilla.-
Avrebbe
voluto
dirle il motivo molto tranquillamente ma l’altra presenza
maschile, e
soprattutto il modo in cui si rivolgeva alla donna, lo portò
a crearsi una
scusa in meno di cinque secondi, appoggiandosi
“casualmente” al corrimano in
legno della scala.
-…
volevo
discutere di un caso di un mio paziente con il dottor Guffred.
E
tu? Che ci fai
qui?-
Yayoi
a quella
domanda, s’imbarazzò leggermente, al contrario del
suo ex-marito non riusciva
ad inventarsi scuse in meno di cinque secondi, pertanto fece spallucce
e disse
la verità nuda e cruda.
-Diciamo
che ho
preso una lavata di capo dal dottor Guffred.-
-Già,
chissà
come mai poi, solitamente Ya-chan è un’ottima
infermiera.-
Se
avesse
potuto, Jun avrebbe alzato gli occhi al cielo in
un’espressione a metà fra
l’annoiato e l’infastidito: Kishimoto aveva usato
la classica tattica di
mettere, in una sola frase, una frecciatina a uno dei due ascoltatori e
un
complimento tutto infiocchettato all’altro, per mettere in
chiaro le sue
intenzioni nei confronti di Misugi.
Tuttavia
Aoba
non era più la “bella principessina”, e
di fronte al commento del giovane uomo
si limito ad un sorriso grato, prendendo la parola.
-Il
dottor
Guffred mi ha giustamente fatto notare che ultimamente non sono stata
presente
nei confronti dei miei pazienti, e per il reparto pediatrico, appena
nato in
questa clinica, non è proprio il caso, non credi?-
Nonostante
rivolgesse la parola a Misugi sembrò aver preso le orecchie
di entrambi con la punta
delle dita, tirandole con la stessa forza di un bue; li
zittì in men che non si
dica, e stavolta sì che Jun avvertì i sensi di
colpa per la situazione che
aveva creato.
-…
mi dispiace.-
La
donna gli
rivolse i suoi occhi scuri, sorpresa di sentirgli dire una frase del
genere:
lui, proprio perché era sempre stato considerato un leader,
un “principe”, era
molto orgoglioso, e quando aveva la responsabilità di
qualcosa l’accettava, ma
era difficile sentirgli effettivamente dire parole come
“è colpa mia”,
“scusami” e simili.
Osservò
quegl’occhi castani, e si rese conto di quanto fosse sincero;
sorrise, e scosse
leggermente la testa.
-È
anche colpa
mia. Starò più attenta.-
E
cominciò a
scendere le scale.
Ma
a sentire
quelle parole l’uomo non si sentì soddisfatto: che
intendeva dire con “più
attenta”? Voleva dire che avrebbe di nuovo messo distanza tra
lei e lui? Ah no,
questo lui non l’avrebbe certo permesso!
-Ehi
senti.-
-Si?-
Aveva
sceso già
i primi cinque scalini, Seiji l’affiancava.
-A
che ora
stacchi oggi?-
-Finisco
il
turno all’una.-
-Allora
… ti
posso offrire qualcosa? Così … andiamo a prendere
Hikaru insieme all’asilo.-
Yayoi
sentì la
sua testa esplodere come in quei giochi da fiera, dove quando
raggiungevi il
punteggio più alto usciva la scritta
“Jackpot”, s’illuminavano tutte le luci e
suonava una campanella.
Avrebbe
voluto
saltare di gioia, ma era sulle scale e rischiava di capitombolare,
pertanto
fece solo una faccia esterrefatta, con le guance che
s’arrossavano leggermente.
-Davvero
verresti?-
Jun
sentì che,
ancora una volta, era in imbarazzo, e si portò una mano sul
fianco, per darsi
un contegno; tuttavia l’altra mano non ebbe la minima idea di
dove andarsi a
mettere, e per tanto girovagò nell’aria, sul
corrimano, alla base del collo, un
po’ dappertutto insomma.
-Certo,
perché
no?-
-Allora
va bene.
Ci vediamo all’una fuori dagli spogliatoi, va bene?-
-Si,
va bene.-
-Bene.
Buona
giornata Jun.-
-Altrettanto,
altrettanto.-
E
la vide dargli
le spalle e scendere le scale, con Seiji che lanciava una chiara
occhiata
infastidita, di cui lui non se ne curò minimamente, restando
però bloccato
sulla cima della scalinata: non poteva certo scendere in quel momento e
far
scoprire alla donna la sua balla, no?
Quando
l’uomo
scomparve dietro la scalinata, Kishimoto parlò alla donna,
mantenendo un tono
di voce basso per non farsi sentire dal “rivale”.
-Vuoi
davvero
che ti accompagni? Di solito preferisci andare da sola a prendere
Hikaru.-
-Sono
convinta
che Hikaru farà i salti di gioia. Dopotutto, non vedeva
l’ora di rivedere il
suo amico … specialmente adesso che gli ho detto che
è suo padre.-
Sentì
l’uomo
fermarsi, e si rese subito conto che lui non sapeva effettivamente
niente di
quella storia, e che aveva sganciato la bomba con fin troppa
tranquillità;
sentì la schiena irrigidirsi leggermente, e una sensazione
di disagio le crebbe
nella pancia. Si girò molto lentamente, e gli vide
un’espressione sconvolta in
faccia.
-Lui
… lui è il
tuo ex-marito?-
-Si.
…
Seiji, mi
dispiace non avertelo detto prima, e solo … non mi aspettavo
che le cose
sarebbero andate in questo modo.-
-In
che senso?-
-Beh,
sai, non
ci sentivamo da cinque anni, e poi c’era la questione di
Hikaru.
Invece
… credo
che le cose stiano prendendo la giusta piega.-
-Hai
intenzione
quindi di tornare con lui?-
La
donna bloccò
la sua camminata, si stava dirigendo verso il reparto di pediatria con
affianco
l’uomo.
Tornare
insieme?
Possibile?
No,
non era
fattibile: troppo tempo era passato uno lontana dall’altra,
c’erano troppi
problemi non risolti in mezzo, senza contare la questione del bambino
in cui
lei non gli aveva detto niente, e lui non poteva fidarsi, e ne aveva il
diritto.
Era
stata
decisamente troppo debole, e provare a ricostruire adesso un rapporto
era … era
impossibile.
-A
me basta che
sia presente per Hikaru, tutto qui.
Ci
sono stati …
non pochi problemi, di cui sono in parte responsabile, e ora come ora
è tardi
per provare a sistemarli.-
-Ma
tu provi
qualcosa per lui, no?-
-…
si.-
A
quel punto
Seiji si mise davanti alla donna, e la guardò molto
seriamente, impedendole di
passare.
Yayoi
lo guardò,
prendendo un profondo respiro e cercando di essere il più
gentile ma diretta
possibile.
-Senti
Seiji, so
che non ti sono indifferente, e ne sono lusingata, perché
sei davvero un uomo
in gamba; ma per me c’è solo Hikaru, lui
è la mia priorità.
E
poi … non ho
voglia d’innamorarmi di nuovo.-
Ma
nel dire
questa frase, Yayoi Aoba non era per niente convinta; tuttavia lo disse
ad alta
voce, quasi ad imporselo, come un memento.
Guardandola,
Seiji prese un profondo respiro, passandosi una mano tra i capelli.
-Speravo
di non
essere rifiutato senza neanche avere avuto un appuntamento,
però sei sempre
stata così diretta tu.-
Sorrideva,
ma si
vedeva che stava raccogliendo i cocci, e la donna capì di
non poter fare
nient’altro che allontanarsi, e facendo un piccolo cenno del
capo superò il
giovane uomo e si diresse al suo reparto, cercando di concentrarsi il
più
possibile sui suoi pazienti.
Tuttavia
le
parole di Seiji non erano andate a vuoto: senza rendersene conto, la
donna
aveva ricominciato ad avvicinarsi troppo a quell’uomo, e come
una falena alla
lampada rischiava di rimanere bruciata un’altra volta. Anche
perché sapeva, era
sicura, che sarebbe finita come prima: lei sarebbe diventata
un’ombra, ancora
una volta, di quell’uomo, e non poteva permetterlo, non con
la presenza di
Hikaru.
Prima
di ogni
altra cosa era madre. E prima di ogni altra cosa, Jun era padre.
Un
rapporto
genitoriale, con entrambi concentrati a dare al bambino una vita il
più felice
e serena possibile. Tutto il resto … doveva passare in
secondo piano.
“-Tu
… possibile che tu
riesca sempre a rendermi felice?-”
Adesso,
quel
vedersi all’una, la stava mettendo sulle spine.
Ma
forse Jun era
molto più nervoso di lei: guardò costantemente
l’orologio sulla sua scrivania,
inizialmente ogni mezz’ora, poi ogni dieci minuti, e poi ogni
cinque, fino a
quando non vide quella dannata stanghetta dei secondi far scoccare la
fine del
suo turno; a quel punto prese un profondo respiro, come se fino a quel
momento
fosse stato in apnea, e si alzò dal suo posto.
E
proprio in
quel momento, il cellulare cominciò ad agitarsi e ad
illuminarsi sul suo
tavolo.
“Madre”.
Ma
come faceva, ogni
volta? Era sempre così poi: ogni volta che c’era
qualcosa d’importante, ecco
che arrivava la sua diabolica presenza! Non si sarebbe stupito se, in
realtà, sua
madre avesse messo delle cimici all’interno del suo studio o
nei suoi stessi
vestiti!
Prese
il
cellulare con molto fastidio, pronto a chiudere la telefonata il
più
velocemente possibile.
-Pronto?
Mamma?-
>Ehi
tesoro!
Come stai?
-Tutto
bene,
scusa ma ora devo scappare.-
>Solo
un
momento, hai poi deciso se vieni o no all’Hanami?
Sospirò
pesantemente, voleva chiudere in fretta la telefonata ma lei non
sembrava del
suo stesso parere; prese le sue cose e uscì dalla stanza,
cominciando a correre
giù per le scale, sperando che Yayoi non lo stesse
aspettando come sua
abitudine, era sempre così maledettamente puntuale!
-Si,
si vengo.-
>Che
meraviglia!! Ero così preoccupata che mi dicessi di no!
L’uomo
fece una
faccia a dire “non ci credo nemmeno un pochino”, e
arrivò alla fine delle scale
quasi saltando gli ultimi tre gradini, dirigendosi frettolosamente allo
spogliatoio, guardandovi all’interno e trattenendo a fatica
il fastidio: era
già pronta.
Si
tolse di
fretta il camice, tenendo quasi a fatica il cellulare sul suo orecchio.
>Allora,
noi
l’appuntamento con loro c’è
l’abbiamo alle due, pertanto cerca di venire per
pranzo, così mangiamo insieme, va bene?
-Si,
ho capito,
verrò per l’una.-
>Oh
cielo no!
Per mezzogiorno come minimo!
L’uomo
alzò gli
occhi al cielo, quasi buttando il camice dentro il suo armadietto e
sbattendo
la porta poco elegantemente, recuperando con l’unico braccio
libero le sue cose
e uscendo dallo spogliatoio.
-Va
bene, a
mezzogiorno.-
>Tutto
bene
tesoro? Ti sento nervoso, qualcosa non va?
È
la tua
telefonata che non va!
Ma
non lo disse,
perché gli bastò vedere Aoba, che parlava con
Matilde, e subito la sua ansia e
il suo nervoso si diressero verso altre direzioni.
La
psicologa
vide subito l’amico, e l’altra donna ne
seguì lo sguardo, restando qualche
momento ferma a guardarlo.
Aveva
i capelli
rossi sciolti lungo le spalle, solo due fermagli ai lati della testa a
rivelare
quel volto dagl’occhi scuri. Quella pettinatura gli ricordava
tanto quando lei lo
incrociava al liceo, nei corridoi.
Il
tempo l’aveva
resa solo più affascinante.
-No,
mamma. Va
tutto bene.-
>Bene,
allora
ti lascio. Un bacio tesoro.
-Un
… bacio.-
La
fretta di
prima scomparve, e respirando a fondo l’uomo
cominciò a camminare, raggiungendo
la donna mentre la psicologa si allontanava, scambiando un veloce
occhiolino
con l’uomo; lui si sentì preso in giro, ma non
appena fu di fronte alla
ex-moglie si dimenticò anche di quello, sorridendo con aria
contenta.
-Eccomi,
scusa
l’attesa.-
-No,
figurati.
Vogliamo andare?-
-Certo!-
TRISTANO
(entra
precipitosamente)
Isolda!
Cara!
ISOLDA
(balzandogli
incontro)
Tristano!
Caro!
ISOLDA
Sei
tu mio?
TRISTANO
Ti
ho nuovamente?
ISOLDA
Ti
posso abbracciare?
TRISTANO
Posso
credere a me stesso?
ISOLDA
Finalmente!
Finalmente!
Inizialmente,
tra i due, non volò nemmeno una mosca: era come se tutte le
cose che volevano
sempre dirsi e scambiarsi fossero improvvisamente scomparse. Come se,
cinque
minuti prima di uscire dalla clinica, fosse stato fatto loro il
lavaggio del
cervello, per cui si trattavano come due estranei. E non solo per
l’imbarazzo.
Da
una parte c’era
Yayoi, che stringeva spasmodicamente la borsa mentre rivedeva, a
raffica, una
serie d’immagini confuse di varia natura: vedeva la sua
adolescenza, la sua
amicizia con l’uomo e tutti i momenti felici, compresi la sua
guarigione e le
sue vittorie, ma anche il loro fidanzamento, i momenti passati insiemi,
fino al
loro matrimonio.
Ma
dopo vedeva,
chiaramente e con velocità doppia, tutti i problemi, i
silenzi, le difficoltà
incontrate, i momenti passati ognuno in stanze diverse, prima e dopo il
matrimonio; e di colpo sembravano essere molti di più questi
istanti dei
momenti felici. Senza contare il divorzio, e il primo periodo in cui
lei era
incinta.
Qualche
breve
frase scambiata con Kishimoto e di colpo … tutte quelle
frizzanti sensazioni si
erano dissipate nell’aria, proprio come una bibita sgasata,
lasciando solo il
sapore troppo dolciastro, che ti lasciava poi nella bocca
l’amarezza. E per la
donna era la stessa cosa: dopo il primo entusiasmo di un
riavvicinamento, si
era di nuovo ricordata della pesante realtà che
c’era fra di loro.
Una
differenza
di cinque anni, dove due vite erano mutate profondamente, e dove il
passato non
poteva più aiutare.
E
con questa
massa di pensieri la donna camminava affianco all’uomo,
tenendo lo sguardo
verso terra; Jun, dal canto suo, notata perfettamente il silenzio e il
volto
della donna, ma credeva che, proprio come lui, fosse imbarazzata per
quella
situazione: insomma, dopo cinque anni eccoli lì di nuovo,
uno vicino all’altra.
Però,
mentre la
guardava, l’uomo si ricordava bene l’ultima
conversazione avuta insieme, e soprattutto
la storia che lei aveva venduto la casa, che aveva avuto problemi
finanziari,
che si era perfino trasferita a casa del padre.
Voleva
capire
meglio, voleva sapere di più. E spinto da quella
curiosità, alla fine l’uomo
riuscì a prendere la parola, guidando la donna verso una
caffetteria che non
era lontanissima dall’asilo di Hikaru, dove
l’ultima volta aveva proprio preso
il gelato con il bambino.
-Senti,
Yayoi …-
La
donna non gli
rispose subito, e lui si voltò a guardarla, notando che era
ancora persa nei
suoi pensieri, tanto che si sporse a guardarla.
-Ehi,
Yayoi?-
Richiamata,
lei
si voltò, e si trovò gli occhi di Jun
così vicini che quasi le mancò il fiato;
lui, intanto, l’aveva fatta fermare, e la gente passava
intorno a loro
incurante della scena.
-Tutto
bene? Che
c’è?-
-Ah,
ecco, io …-
Non
aveva la
minima idea di cosa potergli dire, pertanto scosse il capo, sforzandosi
di
sorridere.
-Scusami,
ero
sovrappensiero. Dicevi?-
L’uomo
non fu
convinto, ma ripensando a quello che le voleva chiedere
rinunciò ad indagare ulteriormente,
invitandola nuovamente a riprendere il cammino, oramai non mancava
molto, si
poteva già vedere in lontananza l’insegna della
caffetteria.
-Vorrei
che tu
mi raccontassi … cos’hai fatto in questi ultimi
cinque anni.-
Lei
alzò lo sguardo
a guardarlo, sorpresa. Lui aveva l’aria tranquilla, e una
volta giunti alla
caffetteria le aprì la porta, invitandola ad entrare dentro,
lasciandole
scegliere il tavolo; Yayoi ne trovò uno un po’
più appartato, verso il fondo
della sala, distante dalla vetrata ma ben illuminato.
Si
accomodarono
mentre la cameriera porgeva loro i menù, e la donna lo
aprì, prendendo un
profondo respiro, alzando lo sguardo verso l’uomo davanti a
lei, che pareva
attendere paziente mentre leggeva.
In
verità stava
smaniando di sapere, un minuto in più di silenzio da parte
della donna
aumentava il suo nervosismo; pertanto strinse quel menù
rischiando di
spaccarlo.
Lentamente,
Yayoi posò il foglio plastificato davanti a lei,
“lisciando” la pagina con le
mani per cercare di calmare il nervoso, fino ad avere la forza per
alzare lo
sguardo e domandare a Jun, seduto di fronte a lei.
-Da
dove vuoi che
cominci?-
Misugi
sembrò
pensarci un momento, ma sapeva già come rispondere.
-L’ultima
volta
che ci siamo visti … eravamo dall’avvocato. Dopo
cos’hai fatto?-
-Ho
continuato a
lavorare fino … fino al quinto mese, poi ho dovuto lasciare
ed entrare in
maternità.-
-Già
dal quinto
mese?-
-Si,
beh … anche
se avessi continuato a lavorare i soldi non sarebbero stati
sufficienti, e nel
trasferirmi da Mamoru sarei stata troppo lontana; pertanto ho preso la
maternità
in anticipo, anche per avere tempo di svuotare la casa.-
Jun
ricordò bene
che, dopo tre mesi dal divorzio, aveva ricevuto dalla donna gli
scatoloni con le
sue cose; e tuttavia, ancora adesso aveva quelle scatole abbandonate in
un
angolo della sua camera, alcune aperte e altre ancora chiuse con lo
scotch.
-Eri
… eri
davvero in così grave condizioni?-
La
cameriera
passò a prendere gli ordini, e i due si presero qualcosa
senza starci a
pensare, proseguendo il discorso.
-Non
dicendoti
nulla mi sono presa interamente le spese mediche della gravidanza e del
trasloco, pertanto quando fu tutto pronto mi rimase ben poco.-
-Ma
se non sbaglio
poi sei tornata a Tokyo, no?-
Yayoi
annuì,
accogliendo il suo the freddo con un sorriso mentre Jun a malapena
notò il caffè;
la donna giocherellò con la cannuccia.
-Passai
i tre
mesi successivi a trovarmi un posto meno costoso e un incarico adatto
per le
mie condizioni, e appena potei lasciai di nuovo la casa paterna.-
-La
tua … la tua
famiglia ti ha dato problemi?-
La
donna alzò lo
sguardo verso l’uomo, e sentì che oramai non era
più possibile nascondergli
tutti suoi segreti; tuttavia fece molta fatica a rispondere a quella
domanda,
prendendosi un sorso di the freddo e stringendosi le dita con forza,
fino a far
diventare bianche le nocche.
-Loro
… mi hanno
mostrato una pietà insopportabile: non facevano altro che
vedere in me … mia
madre. Pertanto, appena ho potuto, me ne sono andata.-
Sua
madre. Jun
non sapeva niente della signora Aoba, sapeva solo che era morta molto
tempo
prima; altre domande cominciarono a sopraggiungere, ma l’uomo
le frenò
immediatamente, stringendo il pugno sotto al tavolo, lanciando uno
sguardo
anche all’orologio sopra di loro: non c’era il
tempo per questo, e la priorità
era la donna e Hikaru.
Poi,
un giorno,
avrebbe chiesto anche della signora Aoba.
Adesso
veniva la
questione più “fastidiosa”.
-Come
… come hai
conosciuto Kishida?-
E
Kishimoto.
La
donna alzò lo
sguardo, stupita di quella domanda, ma lo vide guardare altrove, con
una mano
che gli copriva parte del volto, in un chiaro segno di disagio, e
quell’atteggiamento
lei sapeva bene cosa poteva significare; ma se da una parte era
divertita da
quella gelosia, dall’altra si sentì piegare
nuovamente dai pensieri cupi di
prima.
Scacciò
il tutto
scuotendo leggermente la chioma, potando qualche ciocca indietro.
-Ho
ricominciato
a lavorare all’Ospedale Centrale, al reparto pediatria, e
lì ho conosciuto
Kishimoto che faceva il tirocinio; tramite lui ho conosciuto Kishida.-
-Dunque
ci sei
uscita insieme?-
Aveva
un tono di
voce secco, lo sguardo ancora infastidito rivolto altrove, e la donna
poté solo
sospirare paziente, tenendo le mani sul tavolo, che accarezzavano e
toccavano
il bicchiere di the freddo.
-Solo
come
amica, Jun.-
-E
ci sei solo
amica anche adesso?-
-Ma
certo: ti
ricordo che io ho Hikaru con me.-
-Che
c’entra? Potevi
comunque cercarti un altro, no?-
A
quella sottile
insinuazione lei strinse i pugni e li sbatté leggermente sul
tavolo, attirando
gli occhi di Jun. Notò Yayoi incupirsi leggermente,
lanciandogli uno sguardo
che sapeva di fiele, aspra fiele.
-…
non voglio
nessun per Hikaru se non suo padre. Solo suo padre.-
E
strinse i
denti per non lasciare il suo cuore confessare oltre, ma già
quelle parole
furono sufficiente per Misugi, che si sentì in colpa e
spense subito quello
sciocco fastidio, rivolgendosi direttamente alla donna, posando anche
lui le mani
sul tavolo, talmente vicine a quelle della donna che gli bastava
allungare le
dita per sfiorarla. Ma si trattenne.
-Scusami.
Scusami
Yayoi.-
Ed
era la
seconda volta, in quella giornata, che lo sentiva pronunciare quelle
parole.
La
donna respirò,
ed annuì, riprendendo il suo racconto.
-Comunque
ho
cominciato a lavorare e crescere Hikaru.
Tuttavia
… non
mi era possibile prendere molti turni di lavoro, Hikaru era piccolo e
aveva
bisogno di me, pertanto … ben presto mi resi conto che non
potei più lavorare,
e nuovamente … non fui in grado di provvedere economicamente
al sostentamento
del bambino.-
-E
ti sei
trasferita di nuovo da tuo padre?-
Lei
annuì,
stavolta con sincera vergogna in volto, le mani di nuovo stretta fra
loro.
L’uomo
posò una
sua mano su quelle di lei, per sostenerla.
-Perché
non mi
hai chiamato? Perché non mi hai cercato?-
Yayoi
alzò lo
sguardo, guardò a lungo quelle iridi castane, respirando e
cercando una scusa
il più plausibile possibile; ma lentamente le sue mani si
sciolsero, e
cercarono le dita di lui, stringendole molto lentamente.
-…
avevo paura. Avevo
una paura folle Jun.-
-Di
cosa?-
-Di
te.-
L’uomo
divenne
di gesso. Di tutte le risposte, quella era la più
inaspettata; tuttavia non
sciolse la presa della mano, e la donna si spiegò meglio che
poté.
-Avevo
paura
che, se ti avessi detto di Hikaru, ti saresti sentito in obbligo di
aiutarmi,
di tornare con me per occuparti del bambino. E io non potevo sopportare
che tornassi
dopo che eri stato proprio tu a proporre il divorzio, mi sembrava di
obbligarti
a fare qualcosa che non avevi mai voluto.
Certo,
era tuo
figlio ma … io mi ricordo i nostri discorsi, Jun: quando
parlavamo di figli, di
famiglia … non riuscivi mai a mostrarti sicuro, eri sempre
molto incerto, e
temevo che tu potessi considerarci … dei pesi. E pertanto
… dirti di Hikaru …
significava spingerti a prenderti delle responsabilità che
non volevi.-
-Yayoi
…-
-Lo
so che ho
sbagliato. E mi dispiace. Mi dispiace tremendamente Jun.-
Portò
la mano
dell’uomo verso di sé, e appoggiò la
sua fronte alle dita di lui, stringendo gli
occhi e la presa per qualche momento, per poi staccarsi e lasciarlo
andare,
portando le proprie mani a sé, le spalle le tremavano
leggermente mentre
parlava con sguardo basso.
-Mi
dispiace. Lo
so che è tardi, e che ti è difficile, ma
… io ti chiedo scusa.-
E
chinò la testa
in avanti, lasciando che i capelli le scivolassero ai lati della testa,
nascondendola
così agl’occhi dell’uomo.
Jun,
da parte
sua, era interdetto, non sapeva proprio cosa fare: da una parte
c’era il suo
orgoglio, i suoi diritti che gli dicevano di tenere i denti stretti, di
non
cedere, di non perdonarla.
Dall’altra
parte
c’era il suo cuore che gli chiedeva quasi disperatamente di
accettare quelle
scuse, di dirle anzi che l’era mancata, e che da quel momento
in poi le cose
sarebbero andate bene.
Ma
nemmeno lui
era certo di questo.
Vedeva
quei
capelli rossi, e si sentiva pulsare le tempie e stringere il cuore.
Alla
fine fu
sempre la donna a riprendere la parola, alzando la testa e tenendo le
mani
strette sul grembo.
-Lo
so che non
puoi perdonarmi. Però, sai … ho promesso ad
Hikaru che ti avrei chiesto scusa,
e non voglio mancargli una promessa così importante.-
E
sorrise
incerta, con gli occhi leggermente arrossati per le lacrime trattenute.
L’uomo,
a quel
punto, si sentì come se la sua squadra fosse stata battuta
con cinque reti a
zero; eppure, al tempo stesso, gli parve di aver recuperato qualcosa di
tremendamente importante, che non ricordava nemmeno di aver perso, e di
cui non
aveva idea cosa fosse.
Prese
un profondo
respiro, si passò una mano dietro la testa, e la donna
restò ancora qualche
momento sulle spine, non sapendo cosa pensare; alla fine,
però, vide l’uomo
sorridere con aria sollevata, anzi perfino divertita.
-Sai?
Anch’io ho
fatto una promessa simile ad Hikaru: gli ho detto che se tu mi avessi
mai
chiesto scusa, io ti avrei perdonata.-
Yayoi
spalancò
lo sguardo, e alla fine le spuntò un timido sorriso, che
pian piano si ampliò
mano a mano che l’uomo iniziò a ridacchiare.
Alla
fine i due
si ritrovarono a ridere divertiti, entusiasti entrambi di quella
creatura che,
in fondo, avevano generato assieme.
ISOLDA
Veramente
ti sento?
TRISTANO
Proprio
ti vedo?
ISOLDA
Sono
questi i tuoi occhi?
TRISTANO
Questa
la tua bocca?
ISOLDA
Qui
la tua mano?
TRISTANO
Qui
il tuo cuore?
ISOLDA
Sono
proprio io? Sei proprio tu?
Ti
tengo stretto?
TRISTANO
Sono
proprio io? Sei proprio tu?
Non
è un inganno?
AMBEDUE
Non
è un sogno?
O
delizia dell'anima,
o
dolce, nobilissima,
arditissima,
bellissima,
beatissima
gioia!
I
due restarono
nel bar ancora un’oretta, il tempo di calmarsi e bere le loro
bevande cercando
di alleggerire, nuovamente, la situazione con chiacchiere molto
più spensierate;
quando poi si sentirono pronti, si alzarono per andare a prendere
Hikaru, e
cavallerescamente Misugi pagò il conto.
-In
fondo sono
più di cinque anni che non ti offro da bere, no?-
Yayoi
non poté
non sorridere, e uscì dal locale prendendo una boccata
d’aria, avviandosi con
accanto l’uomo, sorridendo.
Quando
le altre
madri, all’asilo, videro quella coppia, rimasero molto
colpite, talmente tanto
che ad alcune rischiò di slogarsi la mascella. Erano giovani
e tremendamente
belli, e purtroppo questo era un fatto che nemmeno la vita reale (e la
sottoscritta scrittrice) poteva piegare.
Aspettarono
in
silenzio, appoggiati al muretto dall’altro lato della strada,
ma quando la
campanella suonò entrambi si staccarono
all’unisono, impazienti di vedere la
faccia del bambino; questa apparve dopo qualche momento, non vedevano
l’ora di
vederlo sorpreso.
E
sorpreso lo fu
davvero: spalancò occhi e bocca talmente tanto da diventare
una strana maschera
greca, e Yayoi sorrise divertita mentre Jun s’inginocchiava
verso di lui,
offrendo le sue braccia; a quel gesto il bambino scattò
entusiasta, e si tuffò
in quell’abbraccio urlando.
-PAPA’!!!-
A
sentire quella
parola Jun quasi rimase senza fiato, e per riprendersi
sollevò il bambino con
tutta la sua forza, rischiando quasi di farlo volare, stringendolo a
sé mentre
Yayoi assisteva alla scena con il cuore che traballava dalla cassa
toracica,
dovette prendere un respiro profondo mentre Hikaru riusciva, anche se a
fatica,
ad uscire fuori dalle braccia del padre, come un delfino
dall’acqua.
-Papà!
Mi fai
male!-
-Ah,
scusami
Hikaru.-
-Mamma,
hai
visto papà?!-
-Si,
si amore.-
E
la donna
sorrise mentre il bambino restava aggrappato al collo di suo padre; suo
padre,
che non voleva proprio lasciarlo andare, tanto che i tre si avviarono
in quel
modo, Yayoi a fianco di Jun con Hikaru in braccio, in mezzo ai due.
-Allora,
com’è
andata all’asilo?-
-Tutto
bene! Oggi
io e Makoto abbiamo vinto nella corsa!-
-Bravissimi!-
-Ah,
senti
papà!-
Jun,
ogni volta
che si sentiva chiamare così si sentiva fremere
dall’emozione.
-Dimmi
Hikaru.-
-Verrai
all’Hanami
questo Venerdì? C’è anche la zia Sanae.-
L’uomo
stava per
dire di si, ma subito si ricordò che non poteva, e che il
motivo era più grave
del previsto. Dire di no a suo figlio per la prima volta, tuttavia, gli
sembrò
molto peggio.
Yayoi
intervenne.
-Amore,
papà
deve andare a visitare la sua mamma per l’Hanami, e purtroppo
non può esserci
con noi.-
-Papà,
vai dalla
tua mamma?-
-…
eh si,
Hikaru.-
-Quindi
dalla mia
nonna?-
-Già.-
-…
wow, ho una
nonna, mamma!-
A
quell’affermazione,
e quell’espressione così entusiasta, i due adulti
non poterono fare a meno di
ridere, divertiti. Ma il bambino non sembrò soffrire del
fatto che suo padre
sarebbe stato assente.
Al
contrario,
era Jun che ne soffriva di più in quel momento, e stringendo
quel bambino, suo
figlio, tra le braccia, e lanciando un’occhiata alla donna
alla sua sinistra,
che lo ricambiava con aria tranquilla, si rese conto di quello che
voleva
davvero.
-Senti,
Hikaru.-
-Si
papà.-
-Jun
… no, papà
dovrà andare dalla nonna, ma cercherà comunque di
raggiungervi all’Hannami.
Promesso.-
-Davvero?!-
-Si,
davvero.-
-Che
bello! Hai sentito
mamma?! Ci sarà anche papà!!-
La
donna annuì,
sorridendo contenta, e il bimbo quasi saltava fra le braccia del padre
mentre
quest’ultimo rivolgeva lo sguardo alla donna; gli fece uno
sguardo grato,
mormorando fra le labbra.
-Ti
ringrazio
Jun.-
No,
era lui, in
quel momento, a doverla ringraziare. Ma si trattenne, e
accompagnò i due a
casa.
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Capitolo 16 *** Duetto: Tristan Und Isolde (IIa Parte) ***
Duetto:
Tristan
und Isolde
(Parte
Seconda)
Da
quando erano
tornati a Tokyo, ma soprattutto da quando aveva trovato in Jun, il
padre che aveva
sempre desiderato, Hikaru era diventato molto più attivo e
allegro; per questo,
quando vide Sanae affacciarsi dall’arrivo,
all’aeroporto, il bimbo schizzò via
dalle gambe della madre, precipitandosi tra le braccia della
“zia”.
-Zia
Sanae!!-
-Hikaru,
accidenti,
piano ragazzo, m’investi! Quanta energia!-
Lei
lo sollevò
in aria e il bimbo la strinse con tutte le sue forze.
Sanae
fece un
sorriso enorme, tale che bastava ad illuminare metà di
quella sala, alcune
persone accanto a lei si fermavano a guardare la scena, colpite.
Aveva
sempre
voluto un sorriso così sul suo volto: grande, brillante, che
sprizzava energia
e riusciva a migliorare anche la giornata degl’altri
passeggeri.
Alla
fine “zia e
nipote” raggiunsero Yayoi, la quale li aspettava con aria
divertita, e abbracciò
affettuosamente l’amica, la quale la osservò per
bene, il sorriso si addolcì
leggermente, e gli occhi si fecero un po’ più
seriosi.
-Ti
trovo
benissimo.-
-È
bello
vederti. Come stanno Tsubasa e gli altri?-
-Oh
non ti
preoccupare, quelli non li ammazza nessuno.-
-Sempre
pieni di
energie, eh?-
-Anche
troppo!
Però vedo che anche qui non siamo da meno, eh Hikaru?-
La
donna
strofinò energicamente la capigliatura rossiccia del
bambino, il quale si
teneva saldamente ai suoi pantaloni sfoggiando un’espressione
impaziente e
contenta; se non fosse stato un bambino così bene educato
avrebbe iniziato a
correre avanti a indietro.
Yayoi,
per
dargli un po’ di tregua, iniziò a camminare verso
l’esterno dell’aeroporto, il
bimbo teneva la mano alla “zia” e questa, con
l’altra, si portava dietro il
trolley.
Sanae
aspettò
che uscissero dall’aeroporto, prendendosi una boccata della
“buona e vecchia
aria giapponese”, prima di cominciare il suo piccolo
interrogatorio circa le
ultime novità.
-Allora?
Come
sta andando con Jun?-
-Bene,
molto
bene. Ieri siamo andati a prendere insieme Hikaru, e lui era
così felice,
giusto?-
Il
bimbo annuì,
sorridendo felice, tirando un pochino la mano della
“zia” invitando in silenzio
le due ad accelerare il passo. Tuttavia la nuova arrivata non sembrava
ancora
soddisfatta.
-Era
felice Hikaru
… o Jun?-
-Beh
entrambi.-
Sanae
non era
tipa da lasciare andare così una risposta del genere; ma
forse era il jet-lag,
o il fatto che non vedeva da tempo l’amica, o qualsiasi altro
motivo, fatto sta
che si limitò ad annuire, facendo ondeggiare leggermente il
caschetto di
capelli scuri. Yayoi, però, la conosceva bene, e si
affrettò a cercare di
deviare il discorso in una direzione non imbarazzante o intima.
-Dovevi
vederlo
Hikaru, a momenti urlava di gioia! Ha fatto i capricci
perché Jun restasse a
cena e anche dopo, per la prima volta, non riuscivo a tenerlo a bada,
farlo
dormire è stata un’operazione molto dura.-
-Hikaru,
da te
non me l’aspettavo!-
Il
bimbo alzò lo
sguardo verso le due donne, ma continuava a mantenere un’aria
sicura e attenta,
e in quel momento Sanae notò che il volto del piccolo era
pallido, anche se era
difficile dire quanto lo fosse, considerando la carnagione della madre.
-Ma
sta bene?-
L’altra
alzò le
spalle in segno di resa, da quella mattina lo teneva
d’occhio, ed era certa che
non stesse bene; ma tante erano state le insistenze del bambino che
alla fine
si era limitata a fargli prendere un farmaco leggero.
-Stamattina
era
caldo, ma quando ho provato a misurargli la febbre mi ha assicurato che
è tutto
a posto.-
-Sto
bene
infatti!-
E
il piccolo
fece una faccia sicura, arricciando leggermente le labbra, provocando
sia nella
madre che nella zia un’espressione divertita.
-Comunque
sono
sicura che saprai occupartene anche durante la mia assenza.-
-A
che ora hai
l’appuntamento?-
-L’ho
spostato
in modo da arrivare per l’Hanami alle quattro. Faremo un
piccolo spuntino a
casa, poi sarete voi a scegliere il posto migliore al parco. Mi fido
delle
vostre scelte.-
-Dobbiamo
trovare il punto più bello di tutto il parco, chiaro
soldato?-
Il
bimbo annuì
deciso, e la piccola comitiva raggiunse l’autobus che li
avrebbe portati in
città. Sanae, come sempre, scelse il posto con il finestrino
mentre Hikaru si
mise in braccio alla madre, Yayoi constatò ancora una volta
che il volto del
piccolo si era scaldato, ma non poté esplicarlo che
l’amica subito riprese la
conversazione.
-E
saremo solo
noi tre? O Jun si unisce?-
-Purtroppo
il
papà ha un impegno, giusto Hikaru?-
Il
bimbo annuì,
ma non sembrava molto deluso dalla notizia, anche perché
subito dopo parlò con
aria entusiasta.
-Va
a trovare la
nonna. Io ho una nonna, sai Sanae?-
-Wow,
che bello
Hikaru!-
Ma
né Sanae, né
Yayoi, furono convinte di quella frase: quanto poteva essere fortunato
il
bambino ad avere come nonna la signora Misugi?
-Comunque
papà
mi ha promesso cha farà in modo di arrivare al nostro
Hanami.-
-E
tu credi che
papà ce la farà?-
-Si!-
-Bene,
allora ci
credo anch’io.-
E
i due si
sorrisero.
Yayoi
li
osservò, accarezzando i capelli del figlio mentre
l’autobus si muoveva verso la
città, durante lo spostamento il sole colpì il
loro finestrino, illuminando i
tre e portando la donna ad alzare il capo verso il paesaggio esterno,
fatto di
palazzi, macchine e la lingua grigia dell’asfalto.
Eppure
non aveva
mai visto Tokyo così brillante di vita.
-Sai,
ti trovo
davvero bene.-
Hikaru
si era
appoggiato alla spalla della madre, senza addormentarsi, e questa
alzò lo sguardo
verso l’amica, Sanae aveva il volto in ombra.
-L’ultima
volta
che ti ho vista eri si, decisa, ma molto più in ansia. Di
sicuro non avresti
lasciarto correre Hikaru in aeroporto, tenendolo per mano.-
La
donna abbassò
lo sguardo verso il figlio, e si rese conto che il bambino si teneva da
solo a
lei, a parte una sua mano che ne accarezzava la capigliatura; mentre lo
osservava si accorse della maglietta leggermente sollevata, e
gliel’abbassò
senza starci a pensare, parlando a bassa voce, come se lui stesse
dormendo su
di lei.
-Oramai
è
diventato un ometto, e per quanto lo accompagno all’asilo sa
fare la strada da
solo. Presto andrà alle elementari, e a quel punto
sarà grande abbastanza da
farsi tutto il tragitto senza di me, giusto amore?-
Il
bimbo annuì,
strofinandosi sulla spalla della donna, e questa gli diede un bacio sui
capelli.
-E
per quanto
riguarda Jun?-
Era
sempre una
domanda così spinosa che la stessa Sanae la
pronunciò a bassa voce. Ma, al contrario
di quanto si aspettava, Yayoi non reagì arrossendo o facendo
una faccia
contrita; si limitò a guardare il figlio, il quale si stava
lentamente
addormentando sulla sua spalla, e lei velocemente spostò le
braccia, in modo da
poterlo sostenere in caso dovevano alzarsi in piedi per scendere alla
fermata.
-Beh,
è suo
padre, ed ora che sono entrambi coscienti della situazione hanno voglia
di
passare del tempo assieme. In fondo ho sempre sperato che lui
accettasse Hikaru
nella sua vita, e mi ha sorpresa: il suo attaccamento e interessamento
è stato
più veloce del previsto.
Pensa,
aveva
paura che Hikaru fosse malato come lui. Dovevi vederne la faccia quando
gli ho
detto che il bimbo era sano, un’espressione così
non gliel’avevo mai vista.-
-Non
hai paura
che sia solo una situazione momentanea? Dopotutto lui di sicuro non
è lo stesso
uomo di cinque anni fa.-
-Si,
lo so, ma
lo conosco fin da quando eravamo piccoli, e di una cosa sono sicura:
quando s’interessa,
s’affeziona o s’appassiona a qualcosa, arriva a
darci tutto se stesso. E sono
sicura che sarà lo stesso con Hikaru.-
Gli
occhi di
Sanae scrutarono attentamente il volto dell’amica, alla
ricerca del più piccolo
segno di cedimento di quella che poteva anche essere una maschera di
sicurezza;
invece, parlando, le guance della donna si tirarono ancora
più su, in
un’espressione contenta, frizzante.
-…
quell’espressione … è nuova.-
Yayoi
si voltò
verso l’amica, sorpresa, ma questa preferì
cambiare subito il discorso,
chiedendole di suo padre, per poi parlarle di quello che accadeva in
Spagna.
Chiacchierarono
per tutto il tragitto, Sanae con la sua energia era sempre prorompente,
e
spesso la sua risata arrivava anche ai sedili vicini, impressionando la
gente
che si faceva i fatti suoi.
Se
inizialmente
Yayoi era imbarazzata da quell’atteggiamento, pian piano non
se ne curò più,
continuando a tenere il figlio che dormiva tranquillo, distraendosi
solo un
momento quando riconobbe una delle strade principali di Tokyo, segno
che erano
quasi arrivate.
La
casa Misugi
si trovava in periferia e, dato che Jun era da molto tempo che non
usciva dai
confini di cemento del centro, quando quel raggio di sole lo prese in
faccia,
svegliandolo, rimase molto sorpreso di trovarsi circondato da un
paesaggio
molto più verde e pulito di quello solito e grigio a cui era
abituato.
Lo
spazio si
apriva, le case diventavano meno imponenti e cupe, e veniva quasi la
voglia di
aprire il finestrino e prendere una boccata d’aria; dietro di
lui, per la prima
volta, sentiva che c’era altra gente che faceva il suo stesso
viaggio. Per
essere precisi un gruppo di ragazzi, probabilmente studenti che avevano
finito
il liceo, li sentiva chiaramente ridere e divertirsi.
Girò
leggermente
la testa, per origliare, e sentì che parlavano di progetti
futuri, del fatto
che avrebbero preso università diverse, ma di come questo
non li stesse
spaventando.
-Ma
voi due come
farete? In fondo Nana-chan andrà a Kyoto a studiare.-
-Ci
sentiremo
tutti i giorni, andrò a trovarla, lei verrà da
me.-
-Mah,
io sento
spesso dire che le relazioni a distanza non durano mai.-
-Dipende
dalla
forza e dalla voglia della persona: se davvero ci si ama, ci si vuole
bene,
allora non esistono effettive distanze, che siano tempo o spazio. In
fondo
anche noi amici ci perderemo di vista, eppure questo non sembra
intaccare le
nostre relazioni, giusto?-
-Ecco
la Nanami
secchiona che mi ricordavo!-
-Bah,
hai
rovinato il momento magico! Sempre il solito!-
E
giù a ridere,
a cambiare argomento.
Jun
avrebbe
voluto voltarsi, vedere il volto di questa “secchiona
Nanami”, vedere in
quegl’occhi se le parole che aveva pronunciato attecchivano
davvero nel suo
animo: è sempre facile dire frasi di questo genere, ma era
difficile farle
proprie. Lui, ad esempio, per quanto potesse dare ragione alla giovane,
non
sentiva che queste parole facevano parte del suo modo di vivere.
Per
esempio, in
quel momento, la prima cosa che aveva pensato non erano stati certo
Yayoi o
Hikaru, e per quanto considerasse il bimbo suo figlio, al momento gli
era
difficile pensare alla donna … come qualcosa diverso da una
… amica?
Il
divorzio era
stato come un incendio, aveva bruciato ogni cosa di loro due,
lasciandone solo
il ricordo senza sostanza.
L’autobus
decise
d’interrompere quei pensieri frenando brusco, spingendo
l’uomo in avanti; i
ragazzi dietro Misugi, a quella frenata, scattarono tutti in piedi,
ricordandosi che quella era la loro fermata, e velocemente presero le
loro
borse, chiedendo all’autista di aspettare, che ora scendevano.
Per
primi
sfrecciarono una ragazza con una coda di capelli chiari, seguita da un
ragazzo
che di sicuro faceva basket, i capelli a spazzola e un orecchino nero;
subito
dopo passò, con un passo più tranquillo, un
giovanotto con i capelli neri,
lunghi sulla fronte, e la pelle parecchio pallida, forse troppo, come
troppa
era la magrezza del suo corpo.
Si
fermò proprio
davanti a Jun, parlando a bassa voce all’ultimo membro del
gruppo.
-Vuoi
che ti
porti la borsa Nanami?-
La
prima cosa
che l’uomo notò in “Nanami”
era la montatura, spessa e rosso fuoco, dei suoi
occhiali, seguita dal suo taglio corto di capelli castani. Il tutto
incorniciava due grandi occhi, brillanti come quelli di una bimba, ma
seri e
tranquilli come quelli di un adulto.
-No
no, ce la
faccio.-
E
sorrise,
toccando la spalla del ragazzo.
-Ehi,
piccioncini, muovetevi!-
-Si
arriviamo!-
Non
si erano
scambiati baci, o parole cariche d’affetto, ma cavolo, Jun si
sentì quasi
sopraffare dalla sicurezza e maturità di quella ragazza, che
aveva più di dieci
anni in meno di lui.
Com’erano
cambiati i giovani … e come si sentiva vecchio lui!
Si
passò una
mano tra i capelli, imbarazzato, guardando quella piccola compagnia
allontanarsi dal finestrino dell’autobus. E
ripensò ai suoi compagni di
squadra, quando era al liceo, ai viaggi che si facevano durante la
pausa
estiva, o prima di ricominciare la scuola.
E
mentre il
mezzo ripartiva vide in quella compagnia una figura con i capelli
rossi,
sorridente, che si voltava proprio nella sua irezione, sorridendogli
felice,
arrivando a salutarlo con la mano. Di reazione, lui quasi
scattò in piedi, perché
lo salutava? Se ne stava andando?! Ma come, ora che si erano rivisti?
Poi
si rese
conto delle sciocchezze che stava pensando, e di nuovo quei ragazzi
tornarono ad
essere sconosciuti; guarda caso, era proprio la ragazza con la
montatura rossa
che gli aveva ricordato Yayoi. Forse perché,
nell’ultimo periodo, aveva trovato
una donna ben diversa dalla giovane che aveva lasciato cinque anni
prima, ma al
tempo stesso aveva ritrovato la liceale con cui aveva condiviso tante
esperienze.
Allora
poteva
sembrare incerta, quasi smarrita delle volte, ma quando faceva una
scelta niente
poteva farla tornare indietro. Ed era questo a cui l’uomo, da
giovane, si era più
aggrappato: trovava in lei la sicurezza che non aveva sentito con sua
madre,
perché per quanto fosse stata una donna amorevole, infatti,
la signora Misugi
aveva sempre cercato di convincere il figlio a frenarsi, a cambiare, o
addirittura a smettere.
Yayoi
no: volevi
fare qualcosa? Lei te la faceva fare. E se ti stancavi ti sosteneva, ma
non ti
diceva mai di smettere.
Ancora
una
volta, l’autobus volle fermare il flusso di pensieri
dell’uomo, e questo guardò
fuori, riconoscendo la fermata e iniziando a scendere.
Da
tempo, da
quando aveva iniziato la carriera medica e si era sposato, i genitori
avevano
deciso di trasferirsi alla periferia di Tokyo, e da un certo punto di
vista
all’uomo non dispiaceva tale scelta: di sicuro non si sentiva
la madre addosso.
Inoltre, per quanto avesse la patente, gli piaceva usare i mezzi di
trasporto,
anche per quella leggera tirchieria che si portava fin da giovane.
Vide
l’autobus
sfrecciargli davanti, e subito dopo riconobbe la figura di suo padre,
appoggiato alla sua vettura che lo aspettava con le mani in tasca.
Lui
e il signor
Misugi si assomigliavano spaventosamente: i capelli, gli occhi, i
lineamenti
del volto. L’unica differenza era che il padre, con il tempo,
si era fatto più
magro e leggermente più curvo, risultando qualche centimetro
più basso rispetto
al figlio.
-Ehi,
eccoti.-
-Ciao
papà. Sei
da solo?-
-Le
ospiti di
tua madre sono già arrivate, lei le sta intrattenendo
aspettando il tuo
arrivo.-
Jun
alzò lo
sguardo verso il cielo mentre entrava in macchina, e il padre sorrise
divertito
alla reazione, accedendo il motore e iniziando a guidare.
-Perché
fa
sempre così? Me lo puoi spiegare?-
-Jun,
lo sai che
la mamma è preoccupata per te.-
-Per
cosa?!-
-In
generale. Lo
è sempre stata, è una condizione oramai insita in
lei, non ci puoi fare
niente.-
-Così
mi fai sentire
in colpa.-
Ripensò
ai suoi
giorni da malato, e poi a quelli da sano.
Hikaru
non
avrebbe subito tutto quello. Suo figlio era sano. Suo figlio. Sano.
Ed
era merito di Yayoi.
-…
sai papà … ho
rivisto Yayoi.-
-Ah,
davvero? E
come sta?-
-Bene,
lavora
con me alla clinica.-
Il
padre fece
un’espressione meravigliata, e poi sorrise divertito,
imboccando una strada
nascosta da delle case, oramai erano quasi arrivati, si potevano
scorgere bene
le chiome bianche dei ciliegi del giardino.
-Siete
incredibili, riuscite sempre a trovarvi voi due. E soprattutto riuscite
sempre
a sorprendermi, dopo il vostro divorzio avete preso completamente i
contatti,
no?-
-Si,
esatto.-
-Beh,
si vede
che doveva andare così. Di certo non mi sembri dispiaciuto,
giusto?-
Jun
sorrise
divertito, e il padre ricambiò, abbassando però
la voce subito dopo.
-…
vedi però di
non dirlo a tua madre. Purtroppo ha sempre avuto le sue idee riguardo
Yayoi.-
-Le
sue … idee?-
Il
signor Misugi
sbuffò all’aria stranita di suo figlio, ma non
poté dire altro dato che oramai
erano arrivati, e una figura uscì fuori dalla casa, vestita
con un abito a
fiori da signora, le scarpe con il tacco color crema e
l’immancabile chignon
che le teneva fermi i capelli castani; un filo di perle ad adornarle il
collo.
Jun
la guardò
uscendo dalla macchina, e doveva ammettere che sua madre era sempre una
signora: elegante, dalla bellezza che sfioriva ma non svaniva, con modi
sempre
delicati quando si trattava di suo figlio. Anche in quel momento,
nell’abbracciarlo, quasi non lo stringeva, per paura di
fargli male.
-Bentornato
amore.-
-Dai
mamma, non
sono mica andato in guerra.-
-Guarda
che
vederti è sempre un’impresa! Meno male che questa
volta sono riuscita a
convincerti. Giusto caro?-
Sua
madre
chiamava il marito sempre “caro”. Così
come lui la chiamava sempre “tesoro”. Un
po’ come gli umani di “Lilli e il
Vagabondo”; c’era stato un periodo in cui Jun
nemmeno si ricordava i loro nomi, aveva dovuto arrivare a chiederglielo.
-Certo
tesoro.-
-Dai,
vieni, le
nostre ospiti ti stanno aspettando!-
Per
la seconda volta
il figlio alzò gli occhi al cielo, preparandosi
psicologicamente a quello che
gli sarebbe aspettato. Dietro di lui, suo padre sogghignava divertito.
-Aspetta
Hikaru,
ti sei macchiato tutto.-
Yayoi
porse un
fazzoletto al bambino, che subito si pulì il viso mentre
Sanae sorrideva
divertita, continuando a masticare.
Erano
riusciti a
tornare a casa in tempo per uno spuntino leggero e senza troppe pretese.
-Incredibile,
a
me Saki ancora fa i capricci perché vuole che sia il suo
papà a pulirle la
bocca, e invece guarda Hikaru com’è bravo!-
-Eddai,
sapevi
che Saki sarebbe diventata la principessina del papà.-
-Ti
giuro, ci
sono delle volte che non riesco ad avvicinarmi a quei due! Delle volte
penso
che Tsubasa potrebbe arrivare a scappare via con Saki lasciando me e
gli altri
due da soli.-
Yayoi
ridacchiò
mentre Hikaru finiva la sua porzione nel piatto, porgendo la stoviglia
alla
madre, la quale ne approfittò per accarezzargli ancora una
volta la testa:
sembrava fresco adesso, ma mentre dormiva in autobus l’aveva
sentito
chiaramente caldo.
-…
Hikaru, oggi
vedi di non affaticarti troppo, intesi?-
Il
bimbo annuì,
e la donna si rivolse all’amica.
-Puoi
portarti
dietro la sua felpa azzurra? Vorrei che gliela facessi mettere quando
siete
seduti all’ombra.-
-Certo,
non
preoccuparti. Tu piuttosto, non devi andare?-
-Ah
è vero. Devo
ancora pulire i piatti.-
-Tranquilla,
ci
pensiamo io e Hikaru, giusto?-
Il
bimbo annuì,
rivolgendo poi la sua attenzione a Kumo, il quale aveva girellato tra
le gambe
del tavolo, incuriosito dalla nuova presenza della casa, accettandola
con uno
sguardo sospettoso.
La
donna dai
capelli rossi si slacciò il grembiule, letteralmente volando
in camera per
togliersi l’abito a fiori che aveva addosso, decisa a
mettersi i jeans, quando
l’amica la fermò.
-Dai
non
togliertelo, ti sta così bene! Tanto non devi lavorare.-
-È
che non mi
sembra adatto per una seduta.-
Era
un abito
leggero, vaporoso, con lo sfondo bianco e una stampa a fiori dai colori
oro e
verde oliva, elegante, ma anche leggero, con quella piccola cintura a
sottolineare la vita sottile della donna.
-Mica
devi fare
jogging, devi parlare! E poi il colore non ti ha mai fatto male, sei
sempre
stata così pallida!-
Yayoi
sorrise
divertita, prendendo una spazzola e passandosela sui capelli mentre
Hikaru
sbucava in camera, in braccio teneva Kumo.
-Mamma,
Kumo può
venire con noi?-
-No
Hikaru,
Kumo-chan potrebbe allontanarsi troppo, e poi dovremmo metterci a
cercarlo, e
da solo si sentirà solo.-
Il
bimbo annuì,
abbassando la testa, e la donna si voltò verso di lui, si
era messa velocemente
un fermaglio dietro il capo, tenendo ferme le ciocche ai lati della
testa.
Calmandosi
dalla
fretta di qualche momento prima si avvicinò al piccolo, e
s’inginocchiò verso
di lui mentre Sanae faceva qualche passo indietro.
-Allora?
Cosa
c’è? Da quando siamo andati a prendere la zia sei
molto silenzioso. Non stai
bene? Vuoi restare a casa oggi?-
Lui
scosse la
testa, deciso, e la donna gli accarezzò i capelli,
preoccupata.
-E
allora cosa
c’è?-
-…
farai in
tempo a tornare?-
La
donna rimase
sorpresa, ma nel guardare il volto del figlio si rese conto che, per
quanto
fosse indipendente, Hikaru era sempre e comunque un bambino. E come
tutti,
voleva la mamma.
Con
molta calma,
la donna strinse a sé suo figlio, baciandogli il capo e
stando attenta a non
soffocare Kumo, in mezzo a loro.
-Credimi,
ti
porterei con me, ma ti annoieresti. E poi con te
c’è la zia, che ti aiuterà in
tutto, giusto zia?-
Sanae
annuì,
sorridendo.
Yayoi
guardò suo
figlio, e questo aveva gli occhi lucidi; sorrise intenerita, e
strofinò il suo
naso contro quello del bambino, dandogli praticamente il via libera
alle
lacrime; due grandi gocce d’acqua salata cominciarono a
scivolare dagl’occhi, e
lei li asciugò con i pollici.
-Ti
prometto che
farò più presto che posso, appena sarò
uscita correrò da te. Inoltre avrò
sempre il cellulare acceso, per cui qualsiasi cosa tu e Sanae potrete
telefonarmi, va bene?
Inoltre
non
verrò da sola: mi porterò un’amica che
voglio farti conoscere.
E
non
dimenticare che forse c’è anche papà!-
Hikaru
tirò su
con il naso, e ci passò il dorso della mano; Sanae
passò un fazzoletto di carta
a Yayoi, la quale lo posizionò sul naso del bambino,
facendolo soffiarci contro.
Nonostante questo movimento e rumore, il gatto continuava a rimanere
placidamente sulle braccia del bimbo, facendo le fusa senza sosta.
-Hai
visto?
Anche Kumo ti sta dicendo che andrà tutto bene.
Allora,
facciamo
l’Hanami?-
I
due si
guardarono per un pochino, e alla fine il bambino annuì,
arrossito leggermente
sul naso e le guance.
Soddisfatta,
la
donna gli diede un bacio sulla guancia, alzandosi in piedi e finendo di
prepararsi mentre Sanae accarezzava i capelli del suo
“nipotino”.
-Allora,
dovrei
finire per le quattro al massimo. I bento e le bevande sono in frigo, e
la
coperta la trovi nel mio armadio.-
-Va
bene. Appena
hai finito mandami un messaggio.-
-Se
succede
qualcosa chiamami.-
-Si,
tranquilla.-
-A
dopo amore.
Farò più in fretta che posso, promesso.-
Gli
diede un
altro bacio prima d’infilarsi le scarpe, e stava per uscire
quando il piccolo
le parlò con il micio ancora in braccio.
-Mamma!
Senti …
papà verrà davvero?-
La
donna lo
guardò sorpresa per qualche momento; poi, sotto lo sguardo
sorpreso di Sanae,
si lasciò andare ad un sorriso sicuro, quasi brillante.
-Assolutamente.-
Ed
uscì fuori di
casa.
TRISTANO
Senza
pari!
ISOLDA
Traboccante!
TRISTANO
Sovrumana!
ISOLDA
Eterna!
Le
ospiti della
signora Misugi erano una sua cara amica con la figlia, questa era
appena
tornata da un viaggio in Italia; aveva un nome molto classico, Aiko, e
di per
sé aveva il tipico fascino orientale: occhi a mandorla
particolarmente scuri e
piacevoli, capelli neri corti e un sorriso bianco ed educato, oltre a
dei modi
che ovviamente piacevano molto alla padrona di casa.
A
Jun non
dispiaceva, era piacevole conversare con lei, anche perché
nel suo viaggio era
riuscita a catturare un po’ di quello spirito allegro del
“Bel Paese”.
-Sono
stata a
Venezia per gli studi d’arte, ma poi ho avuto modo di
visitare Firenze e Roma.-
-A
Roma ci sono
stato un paio di volte, quando giocavo ancora.-
-Hai
visitato la
città?-
-Si,
sono stato
nei luoghi tipici. Sai, Colosseo, San Pietro … e tu?-
-Ah,
io per
architettura ho visitato soprattutto edifici, come il Teatro
dell’Opera.-
Opera
… già, quel
tipo di musica che piaceva tanto a Yayoi.
-E
hai avuto
modo di assistere a qualche messa in scena?-
-Ah
si! Ho visto
la Tosca. Davvero splendida.-
Lui
non sapeva
nemmeno la trama. Ma sentirne parlare lo faceva sentire in qualche modo
“connesso” a quel modo così lontano,
sfiorato solo tramite quella donna dai
rossi capelli.
Aiko
continuò a
parlare della bellezza degl’edifici romani, della
città, delle stranezze
degl’italiani, e quella breve connessione, nella testa
dell’uomo, venne
interrotta definitivamente dai commenti della signora Misugi e dalla
madre
della giovane.
-Te
l’avevo
detto che era una ragazza interessante Jun? Devi essere davvero fiera
di lei,
amica mia.-
-Si,
non puoi
immaginarti quando ha preso la laurea!-
-E
adesso dove
lavori cara?-
-Sono
stata
assunta in uno studio d’architettura a Tokyo.-
-Ah,
dove lavora
Jun!-
L’uomo
trattenne
un sospiro mentre vedeva la giovane ospite, davanti a lui, imbarazzarsi
leggermente; a quell’atteggiamento, ovviamente, le due
signore sorrisero
soddisfatte, cercando di spingere ulteriormente i due a parlarsi, con
il signor
Misugi che osservava la scena sorseggiando un bicchiere di
saké.
Alla
fine fu
perché scambiò un’occhiata con il
figlio, che praticamente lo stava
supplicando, che decise di mettere parola alla situazione.
-Sentite,
ma
visto che è l’Hanami, che ne dite di continuare il
discorso in giardino?
Sarebbe un peccato perdersi i ciliegi, non lo pensi anche tu tesoro?-
-Ah,
hai ragione
caro! Jun, accompagna Aiko in giardino, noi ti raggiungiamo subito.-
Bene,
aveva
cinque minuti di pausa prima del prossimo match; si alzò
velocemente dal
tavolo, seguito dalla donna, e le fece strada, accompagnandola oltre la
porta a
vetri che divideva la sala dal pranzo con una parte
dell’ampio giardino.
Era
molto simile
a quello della casa prima, se non fosse stato che gli alberi erano
stati
collocati quasi a semicerchio, lasciando libero lo spazio erboso, dove
si trovavano
delle sdraio bianche e un piccolo tavolino.
Quello
piaceva
poco all’uomo, affezionato al vecchio giardino, con i ciliegi
sistemati
apparentemente a caso in uno spazio decisamente più piccolo,
e che quando
passava il vento sembrava quasi che nevicasse in primavera.
-Che
spettacolo!-
L’uomo
guardò la
donna accanto a lui, e la vide sorridere affascinata,
gl’alberi quell’anno
erano particolarmente carichi di fiori, e c’era una leggera
brezza in quel
momento che faceva muovere i ramoscelli più sottili,
facendoli ondeggiare. Il
movimento era quasi ipnotizzante per Jun, che li osservò a
lungo.
Fiori
bianchi,
piccoli, che ondeggiavano come gonne di lino in massa, delle volte
facendosi
scappare petali che scivolavano sul prato verde; un leggero profumo,
quasi
impercettibile a quella distanza, ma se si andava sotto le fronde si
rimaneva
quasi intossicati. Un fruscio simile a bisbigli, che trasmetteva una
grande
quiete.
L’Hanami
…
-Andiamo
sotto,
ti va?-
“-Andiamo
sotto, ti va?-”
-Come?-
L’uomo
si voltò,
sorpreso, ma davanti a lui vide gli occhi scuri di Aiko, la quale
sorrise
sorpresa, indicando uno degl’alberi più grossi.
-Andiamo
sotto
quell’albero?-
-Ah,
si …
certo.-
La
donna partì
per prima, e Jun la guardò stranito, scuotendo leggermente
la testa mentre
s’infilava le mani nelle tasche, prendendo un profondo
respiro, accorgendosi che
aveva le spalle rigide mentre s’incamminava verso il fondo
del giardino.
-Hai
le spalle
rigide. Sei nervosa?-
-Eh?
Ah, non me
n’ero accorta.-
Yayoi
prese un
profondo respiro, cercando di sciogliere la tensione mentre Matilde le
poggiava
la tazza di the sul tavolino. Prese in seguito il registratore,
aspettando ad
accenderlo mentre la donna dai capelli rossi parlava.
-Scusa,
è che
pensavo ad Hikaru: si è un po’ turbato del fatto
che venivo qui e non lo
accompagnavo a scegliere il posto per l’Hanami.-
-È
una cosa che
fate sempre insieme?-
-Beh
si, anche
se da mio padre c’era solo un albero di ciliegio …-
Matilde
vide gli
occhi della sua “paziente” intristirsi, ma mentre
la seduta prima si sarebbe
chiusa in un ostico silenzio, stavolta sembrava molto più
propensa ad accennare
il fatto. Solo ad accennarlo però, si capisce.
-È
il ciliegio
dove è stata trovata tua madre?-
-Si.-
-…
ti capita mai
di ripensarci? Adesso, per esempio, durante l’Hanami, ci hai
mai pensato?-
Yayoi
guardò
Matilde, per poi abbassare lo sguardo, giocherellando con le sue unghie
mentre
pensava a quella domanda.
-…
quando ero
piccola ci pensavo, e ne avevo un po’ paura, credevo che lo
spirito di mia
madre fosse ancora lì. E lo penso tutt’ora.
Però,
adesso,
non lo pensò più con tanta angoscia.-
-Secondo
te cos’è
cambiato?-
-Beh,
il fatto è
che, quando ho portato Hikaru sotto quel ciliegio la prima volta, lui
sembrava
molto tranquillo, sorrideva e addirittura rideva spesso. Allora ho
pensato che
mia madre non volesse fare del male al suo nipotino.-
Matilde
sorrise
leggermente mentre Yayoi s’imbarazzava, una cosa del genere
non l’era mai
capitato di dirla.
-Perché
Jun non
sa di quello che è successo a tua madre? Come mai non gliene
hai mai parlato?-
Stavolta
le dita
di Yayoi s’intrecciarono fra loro, e la donna
irrigidì leggermente la mascella,
tenendo lo sguardo basso, portando le gambe verso la poltrona in un
atteggiamento di chiusura. Matilde, tuttavia, aspettò in
silenzio.
-…
avevo paura
che mi giudicasse, che pensasse che io volevo la sua amicizia solo
perché
avevamo entrambi una disgrazia alle spalle.-
-Ed
era così? Eri
sua amica per questo?-
La
paziente
reagì subito a quella provocazione, raddrizzando la schiena.
-No,
certo che
no.-
Poi
fece una
piccola pausa, e alla fine concluse la frase.
-Io
ero sua
amica … perché lui mi piaceva.-
E
si formò un
sorriso rilassato. Nel vederlo, Matilde quasi sorrise soddisfatta:
aveva
aspettato tanto quel momento, con pazienza, continuando a seguirla e a
monitorarla giorno per giorno, diventandone amica e dimostrandole che
poteva
fidarsi di lei.
Si
trattava di
una procedura che non seguiva mai sui suoi pazienti, dove la
priorità era
mantenere il distacco per aiutarli nelle loro patologie; con lei lo
aveva fatto
perché voleva sinceramente essere amica di Yayoi, e voleva
davvero aiutarla,
anche se il coinvolgimento emotivo non era una delle strategie
più intelligenti
da seguire.
-E
ti piace
ancora? Voglio dire, adesso che lo hai rivisto, hai ritrovato qualcosa
di
quando eravate amici?-
All’inizio
la
donna si era un po’ imbarazzata alla domanda, ma quando ne
capì il senso ci
pensò qualche momento, prima di alzare lo sguardo con aria
leggermente
sorpresa.
-No,
affatto, è
molto cambiato.-
-E
questo ti
spaventa?-
-No,
per niente.
Mi piace poterlo conoscere di nuovo, vedere altri aspetti di lui.
Scoprirlo.-
-Finora
cos’hai
scoperto?-
-…
non molto
probabilmente.-
Ridacchiò,
leggermente imbarazzata, e Matilde volle andare ancora più a
fondo.
-Sei
in
imbarazzo? Come mai?-
-Beh,
è da molto
tempo che non parlavo di Jun a qualcuno.-
-Parlarne
come?
Come amico? O come ex-marito?-
-…
come
conoscente.-
Nessuna
delle
due.
Yayoi
prese un
sorso di the, adesso cominciava a sentire un leggero imbarazzo, una
palpitazione che le rendeva difficile controllare il tamburellare delle
dita
sulla tazza, movimento che fu osservato e analizzato da Matilde, la
quale
rimase seduta con atteggiamento aperto e rilassato, cambiando
leggermente il tono
delle domande.
-Con
chi ne
parlavi? Immagino con le tue amiche.-
-Ah
si, la mia
migliore amica, Sanae. Lei ha fatto, per un po’, il tuo
mestiere.-
-Oh,
spero che
non mi rubi il posto allora.-
Una
leggera
risata, per stemperare il nervosismo.
Gli
occhi di Yayoi,
approffitando di quella pausa, si spostarono all’orologio,
controllando l’ora:
avevano appena iniziato, pertanto non era passato troppo tempo.
-Tranquilla,
ho
la sveglia oggi, non faremo tardi, promesso.-
-…
scusami, ti
ringrazio.-
-Figurati.
Riprendiamo?-
La
rossa annuì.
-Parlami
dei
tuoi anni di liceo, ti va?-
-Lo
sai che ci
siamo conosciuti al liceo?-
Jun
fu distratto
dall’ammirare una fronda sopra la sua testa, lì i
petali avevano un leggero
spruzzo di rosa, come un velo che passava sopra il ramo, lasciando gli
altri
fiori candidi; si voltò verso Aiko, la quale si era
appoggiata alla corteccia
dell’albero, guardandolo con aria interessata.
-…
davvero?-
Lei
rispose con
un sorriso divertito, sollevando leggermente le spalle.
-Sapevo
che non
ti saresti ricordato, all’epoca eri così preso dal
calcio. E dire che eravamo
anche nella stessa classe.-
L’uomo
aveva la
bocca leggermente spalancata in un’espressione totalmente
sbigottita, e la
donna ne rise divertita, muovendosi dalla corteccia
dell’albero verso le fronde
dove l’uomo era rimasto fermo a guardare quella sua compagna
di classe,
cercando di metterla a fuoco.
E
forse qualcosa
si smosse dentro di lui, i ricordi si mettevano a fuoco.
-Tu
ricordi
ancora i tuoi compagni di classe?! Davvero?-
-Beh,
essendo
stata rappresentante era mio dovere ricordare i miei compagni.-
-E
ti piaceva
farlo?-
-…
si. mi
piaceva, mi faceva sentire utile.-
Matilde
memorizzò quella risposta, collegandola al grande piano
mentale che riguardava
la donna davanti a lei, continuando le domande ma mantenendo il
più possibile
quel tono colloquiale.
-Ma
non eri
impegnata anche con il club di manager?-
-Beh
si.-
-Dunque
rappresentante, manager e studentessa. Immagino che tornavi tardi a
casa, non
ti pesava?-
-I
miei zii non
erano preoccupati, e onestamente mi piaceva stare a scuola nel
pomeriggio.-
-Cosa
ti ricordi
particolarmente di quei pomeriggi?-
La
donna alzò lo
sguardo verso l’orologio, oramai a furia di fare quel
movimento era diventato
istintivo, ogni volta che sentiva di fare una pausa teneva
d’occhio il tempo, e
poi si metteva a pensare. E in quel caso ci pensò a lungo, e
qualcosa le venne
in mente, tanto che si lasciò scappare un sorriso
imbarazzato e malinconico,
che attirò subito la psicologa.
-Hai
dei bei ricordi?-
-…
si, ne ho
uno.-
-Ti
devo
sembrare il peggiore degli uomini dopo una figura del genere.-
-Ma
figurati! Io
sono rimasta molto sorpresa quando mia madre mi disse chi aveva
conosciuto e di
chi era diventata amica. Inoltre non mi aspettavo che la signora Misugi
fosse
così … umana.-
A
quel commento
Jun rimase sorpreso, e Aiko subito si spiegò meglio che
poteva.
-Sai,
tu per noi
eri sempre “il principe”, quindi immaginavo tua
madre molto più … diciamo più
“Lady”.-
Sentire
il suo
vecchio nomignolo non gli fece molto piacere, ma cercò di
non darlo a vedere,
sorridendo amichevole.
-In
effetti
giravano tante voci allora.-
-…
A Jun non era
mai piaciuto il soprannome “Principe”.-
-No?
Come mai?-
A
Yayoi non
piaceva parlare dell’uomo quando non era presente,
però si sforzò, stringendo i
pugni sulle ginocchia.
-Lui
sentiva che
quel nomignolo gli creava distanza con i suoi compagni: non solo era
una figura
carismatica, ma era anche di bell’aspetto, ed educato,
pertanto tutti provavano
rispetto nei suoi confronti.-
-E
forse anche
un po’ di diffidenza?-
-Si,
è quello
che pensavo anch’io. Però i suoi compagni di
squadra lo stimavano davvero, e le
ragazze … beh …-
-Lo
sai che avevamo
creato un fan club su di te?-
Da
una parte
fece molto piacere al virile ego di Jun, ma dall’altro
l’uomo si sentì
imbarazzato, anche perché era decisamente cambiato
dagl’anni del liceo, e
sentirsi dire una cosa del genere gli faceva quasi sentire la nostalgia
di una
sindrome di Peter Pan.
Aiko,
però,
rideva molto divertita mentre i due continuavano ad andare avanti e
indietro
tra i ciliegi, alcuni petali erano caduti sulle spalle del ragazzo,
sopra la
sua giacca beige.
-Ovviamente
i
maschi non erano ammessi, e si poteva entrare solo seguendo rigide
regole nei
tuoi confronti. Ammetto che, ripensandoci, ti saremo sembrate stupide.-
Onestamente
quello era stato un periodo in cui Jun aveva guardato ben poco le
ragazze;
anche perché, alla fine, si era interessato solo ad una,
all’unica che, fin da
subito, gli aveva dimostrato che lei non era interessata al suo status
di
“principe”.
-In
quanto
rappresentante di classe era mio dovere fare in modo che tutti
andassero più o
meno d’accordo, pertanto ho sempre cercato di coinvolgere Jun
nelle attività di
gruppo, specie durante i festival, quando non era impegnato con gli
allenamenti.-
-Ti
ricordi al
festival culturale, quando abbiamo preparato quella rappresentazione in
maschera?-
-Ah
si, ricordo
che mi diedi da fare con le scenografie, perché il cast era
fatto tutto da voi
ragazze.-
-Si,
è vero.
Avevamo deciso di rappresentare la principessa Kaguya.-
-…
già, Yayoi
faceva la madre adottiva.-
Con
un semplice
kimono addosso e i capelli legati e colorati con una bomboletta spray
grigia.
Ma nonostante questo, in alcuni momenti si poteva notare il rosso della
sia
capigliatura, specie quando la rgazza andava sotto uno dei fari del
teatro.
-Ah,
Aoba. Era
la tua ragazza, no?-
-Beh,
non
proprio.-
-Ci
siamo messi
insieme solo verso il terzo anno.-
E
lo disse
sorridendo divertita, anche perché Matilde rimase molto
sorpresa dall’informazione.
-Mi
davate
l’idea di essere stati insieme da più tempo.-
-Il
fatto era
che non avevamo il tempo di frequentarci, anche perché il
più delle volte lui
era impegnato con la squadra … e con i suoi problemi
cardiaci …-
-Ma
era vero che
avevi problemi di cuore? Era una voce che girava per la scuola, ma
nessuno
l’aveva mai confermata. Pensa che, ad un certo punto, abbiamo
chiesto ad Aoba
informazioni a riguardo.-
-Davvero?
Avete
chiesto a Yayoi?-
-Oh
certo,
alcune ragazze del club l’hanno tartassata almeno
un’ora e mezza un giorno, ma
lei continuava a dire che non ne sapeva niente. A quel punto abbiamo
dubitato
che fosse la tua ragazza.-
Jun,
nel sentire
questo, poggiò la schiena sul tronco dell’albero,
sorpreso: non si aspettava
che la ragazza avesse mantenuto il riserbo fino a quel punto. Ancora
una volta
scopriva cose inaspettate riguardanti la persona con cui aveva diviso
quasi metà
della sua vita; si sentì come se non avesse mai capito
niente di lei. E questo
lo faceva sentire decisamente in colpa.
-Però
la
vedevamo spesso in tua compagnia, e molte di noi la invidiavano per il
modo in
cui riusciva a parlarti senza problemi; anch’io, lo ammetto,
la invidiavo
molto, tu mi sei sempre piaciuto.-
Sentire
quella
confessione a brucia pelo sorprese molto l’uomo, e Aiko a
quel punto abbassò
leggermente lo sguardo, imbarazzata, continuando a parlare per
stemperare il
momento.
-Spesso,
dopo le
attività pomeridiane, passavo per la nostra classe, e la
vedevo sempre alle
prese con il registro o con i libri di studio. Yayoi intendo. Delle
volte era
distratta a guardare fuori dalla finestra, sembrava persa nel suo
mondo.-
La
finestra …
Yayoi alla finestra …
-E
il bel ricordo
di prima? A cos’era legato?-
La
rossa rimase
qualche momento in silenzio. Poi sorrise con aria imbarazzata,
coprendosi la
bocca con le dita, gli occhi vagavano davanti a lei mentre la mente le
riproponeva quell’immagine.
-…
ricordo che
un’estate preferivo sempre studiare a scuola, e rimanevo fino
all’ultimo, tanto
che il guardiano mi veniva sempre ad avvisare che chiudeva i cancelli.
La
mia classe,
le finestre della stanza, erano rivolte verso i campi sportivi
dell’istituto,
quello di calcio era proprio sotto di noi; e in alcuni pomeriggi,
mentre il
sole tramontava, vedevo gli altri ragazzi della squadra andare a casa
… e Jun
restare ancora un po’, ad allenarsi, cercando di non
sforzarsi troppo.
Vederlo
giocare,
vedergli … quella voglia di continuare, di dare il massimo
per quanto poteva …
mi faceva venire anche a me la voglia di dare il meglio.-
-Lei
si che era
un genio! Ricordi ai risultati dell’ultimo anno, al primo
quadrimestre? Era in
cima alla classifica, con uno stacco incredibile rispetto
agl’altri! Persino da
te!-
Jun
non stava
più seguendo quel discorso: in mezzo ai quei ciliegi aveva
alzato lo sguardo, e
la facciata della casa dei suoi genitori era diventata una delle
facciate della
sua vecchia scuola.
Spesso
si
allenava fino a tardi, semplicemente perché non voleva
tornare a casa, dove lo
aspettava una madre che lo avrebbe supplicato, ancora una volta, di
diminuire
gli sforzi, di concentrarsi sugli studi, di non peggiorare le sue
condizioni
fisiche. La sola idea di sentire quelle implorazioni gli dava la spinta
per andare
ancora più a fondo.
Poi,
ad un certo
punto, sentiva chiaramente la fitta al petto che l’obbligava
ad arrestarsi ,a
prendere fiato, a non tirare quell’ennesimo pallone; e gli
sembrava che quella
sfera ridesse di lui, del suo ridicolo impegno, quando non sarebbe mai
riuscito
ad andare oltre la barriera del suo muscolo cardiaco.
A
quel punto
voltava lo sguardo, e vedeva le finestre della facciata brillare per il
tramonto del sole.
E
su una di
quelle finestre, quando metteva a fuoco, vedeva chiaramente il volto di
una
ragazza con i capelli lunghi, che l’osservava in silenzio;
questa, scoperta,
delle volte distoglieva lo sguardo, prendeva le cose e se ne andava
via, ma
altre volte alzava la mano, per salutarlo.
Guardandola,
a
volte rispondendole, il ragazzo si sentiva sempre meno solo: non era
solo ad
affrontare il male fisico, non era solo in quegl’allentamenti
pomeridiani, non
era solo ad affrontare la sua vita scolastica.
Si,
Yayoi era
sempre stata un’amica … una persona …
una ragazza capace di vederlo fino in
fondo all’anima, e di capirlo, e di aiutarlo senza far pesare
la sua presenza.
La
sua presenza.
-Jun?
Tutto
bene?-
L’uomo
si voltò
alla sua sinistra, e una folata di vento smosse i ciliegi attorno a
lui,
facendo piovere petali tra lui e Aiko, la quale si era avvicinata con
sguardo
preoccupato.
Aiko,
i ciliegi,
l’Hanami …
“-Ti
ringrazio Jun.-”
…
era tardi.
-Che
hai? Perso
nei tuoi ricordi?-
La
donna sorrise,
per stemperare il silenzio, ma si rese subito conto che si era giocata
l’uomo,
che oramai questo non la stava quasi più a sentire; quando
si rivolse a lei,
infatti, aveva uno sguardo tremendamente deciso, affascinante, che la
bloccò
sul posto.
-…
devi scusarmi
Aiko, ma devo andare, ho un impegno importante.-
-…
un impegno?-
L’uomo
sorrise, pensando
non solo al volto della donna, ma a quello di Hikaru che,
probabilmente,
avrebbe fatto un sorriso enorme nel vedere suo padre.
-Ho
fatto la
promessa di vedere l’Hanami con mia moglie e mio figlio.
Quindi, se vuoi
scusarmi.-
La
donna
spalancò occhi e bocca sorpresa, e l’uomo stava
per allontanarsi quando la voce
di lei lo richiamò un’ultima volta.
-Sei
sposato?
Con Yayoi?-
Forse
avrebbe
dovuto dire che, in realtà, era divorziato, e che aveva
scoperto di essere
padre da poco tempo; ma forse era il caldo che si cominciava a sentire,
forse
era la giornata in sé, o forse aver ricordato una cosa
così semplice eppure …
piacevole. Fatto sta che sorrise con aria contenta.
-Si,
e ho un
figlio di cinque anni.-
-…
io sono
fidanzata con un italiano da un anno e mezzo.-
L’uomo
la guardò
sorpresa, e poi entrambi si misero a ridere divertiti: i piani delle
loro madri
erano “tragicamente” andati in fumo!
Jun
entrò in
casa come una furia, i suoi genitori erano rimasti dentro a parlare,
suo padre
seduto comodamente sul divano.
-Papà
prestami
la macchina per faovre, devo tornare urgentemente in città.-
A
sentire quelle
parole la signora Misugi scattò immediatamente in avanti, la
sua amica lì
davanti sorpresa quanto lei.
-E
perché Jun?-
-Ho
un impegno
improrogabile mamma.-
-Con
Yayoi?-
Il
padre, al
contrario della signora Misugi, aveva sempre avuto il dono delle buone
intuizioni, e il figlio annuì deciso. Per la seconda volta
la padrona di casa
scattò, stavolta alzandosi in piedi.
-Yayoi?!
E da quando
hai ricominciato a vederla?!-
-Lavora
in
clinica con me già da due mesi mamma.-
-Le
chiavi della
macchina sono vicino alla porta d’ingresso.-
-Grazie
papà.-
-Aspetta
un
attimo caro! Jun, si può sapere che stai facendo? Mi avevi
promesso di restare
per l’Hanami.-
-Mi
dispiace
mamma, ma davvero devo andare.-
-Te
lo
proibisco, ti ricordo che sei divorziato da quella donna, e che noi
siamo i
tuoi genitori.-
Quella
frase scatenò
l’indignazione e l’incazzatura di Jun, il quale
rivolse un’occhiataccia a sua
madre, spingendola quasi a sedersi di nuovo sulla poltrona mentre
parlava con tono
di voce calmo ed educato: c’era comunque una ospite ad
osservare la scena.
-Ti
chiedo
scusa, mamma, ma ho promesso a Yayoi e a mio figlio Hikaru di vedere
l’Hanami
assieme a loro. Se vuoi scusarmi, torno dalla mia famiglia.
Papà.-
Fece
un cenno
del capo al genitore, il quale lo osservò sbigottito, prima
di sorridere
sorpreso mentre la signora Misugi sbiancava visibilmente.
-…
tuo …
figlio?-
-Io
vado!-
Sentirono
la
porta di casa sbattere, e ci fu qualche secondo di assoluto silenzio.
Poi,
il signor
Misugi prese la parola.
-Ah,
come vede,
amica mia, nostro figlio è sempre pieno di sorprese. Adesso
scopro con piacere
che sono persino nonno!-
-Posso
farti
solo un’ultima domanda, Yayoi?-
La
donna si era
già alzata in piedi e aveva preso la borsa, ma si
voltò verso Matilde, che si
tolse gli occhiali per sfregarsi gli occhi, la seduta quel giorno era
stata
particolarmente proficua, e i miglioramenti dell’altra donna
erano stati così
sensibili che dubitava che la paziente avesse subito depressione pre
parto.
-Cosa
pensi del
Jun di adesso?-
Aoba
pensò
seriamente alla risposta, appoggiandosi sullo schienale della poltrona.
-…
non lo
riconosco dal ragazzo del liceo. Ma è normale, non ci
vediamo da cinque anni.-
-Non
ti spaventa
questo?-
-…
no, affatto:
sono molto curiosa di conoscerlo, di sapere com’è
fatto adesso.-
-E
ti sentiresti
di dire che i tuoi sentimenti, per lui, sono cambiati?-
Yayoi
rimase
qualche secondo in silenzio, e in quel momento il cellulare di Matilde
squillò
deciso, interrompendo la conversazione e facendo sobbalzare la
giapponese;
l’italiana controllò il display, e sorrise
divertita.
-Toh,
parli del
diavolo … Misugi! Che c’è?-
L’altra
donna rimase
sorpresa, e forse anche un po’ in ansia da
quell’improvviso cambio di scena. La
psicologa davanti a lei, invece, era molto tranquilla mentre rispondeva
all’uomo.
-Abbiamo
finito
giusto adesso. Si, è qui con me. Aspetta, ora glielo chiedo.
Jun
dice che, se
vuoi, ci può dare uno strappo in macchina per
l’Hanami, ti va?-
-Ah
… prima devo
andare a prendere il saké, c’è un
negozio qui vicino. Voi andate avanti, io vi
raggiungo, non è lontano a piedi.-
-Ok!
Juuun, ha
detto che prima deve prendere il saké.
Ah
no, mi
spiace, non te la posso passare, è scappata via dalla
clinica come un razzo.
Certo che fai strani effetti alle donne tu, eh?-
ISOLDA
Non
presentita,
mai
conosciuta!
TRISTANO
Sconfinata,
alta,
sublime!
ISOLDA
Ebrezza
di gioia!
TRISTANO
Estasi
di piacere!
ISOLDA
Altissimo
celeste
rapimento
dal mondo!
Mio!
Tristano! mio!
Mio
e tuo!
Eternamente,
eternamente uno!
TRISTANO
Altissimo
celeste
rapimento
dal mondo!
Mio!
Isolda! mio!
Mio
e tuo!
Eternamente,
eternamente uno!
“-E
ti sentiresti di dire
che i tuoi sentimenti, per lui, sono cambiati?-”
Yayoi
correva
con la borsa sulla spalla e il sacchetto con il liquore in mano,
facendosi
largo fra la gente, non voleva fare assolutamente tardi, senza volerlo
era
proprio l’ultima ad arrivare, forse suo figlio
l’avrebbe perfino sgridata!
Il
problema era
stata, più della domanda di Matilde, la telefonata
improvvisa di Jun: era stata
completamente inaspettata, e la sua offerta di usare la sua macchina le
sembrava così “voluta” da un fato strano
che si era categoricamente rifiutata.
Le pareva che tutto il mondo, in quel momento, le avesse gridato
“di si! Si ai
tuoi sentimenti, si al passaggio in macchina, si!”.
Ma
lei non
poteva dire si: dopotutto erano passati cinque anni, e i tre precedenti
non li
avevano certo passati amandosi alla follia!
C’erano
troppe
cose in ballo da tirare fuori, e le sembrava quasi che non ci fosse il
tempo
sufficiente per parlarne, per discuterne; non che lei stesse scappando
chissà
dove, ma presto ci sarebbero state le vacanze estive, e di sicuro lei e
Hikaru
non sarebbero rimasti a Tokyo, così come Jun.
Le
loro strade
si sarebbero di sicuro divise.
Riconobbe
i
cancelli del parco e accellerò la corsa. Vide alcune persone
andarsene
dall’Hanami, e cercò in lungo e in largo con foga,
ma c’era ancora tanta gente
e la folla la confondeva tremendamente.
Strinse
il
sacchetto con il liquore, turbata: sarebbe mai riuscita a trovarli?
-Mamma!-
La
donna si
voltò di scatto, e in quel momento Jun voltò lo
sguardo dove Hikaru stava
sbracciando.
Il
vento ancora
una volta diede una leggera scossa agl’alberi, facendo
piovere petali bianchi e
rosa.
I
due si
guardarono negl’occhi, e sembrò loro di vedersi
per la prima volta.
“-Ero
andata a guardare i ciliegi in fiore, come
facevo tutti gli anni.
Indossavo
un furisode verde, con i dettagli in argento
e bianco, il mio preferito, e con me avevo il mio ombrello rosso,
perché i
ciliegi lasciano tanti petali.
Dovevo
incontrarmi con Mamoru, perciò mi fermai
sotto l’albero più grande, era così
carico di fiori che bastava un niente
perché piovessero petali. C’era un odore
così buono nell’aria.
Alzai
lo sguardo, guardai i petali, sembravano fatti
di seta. Inspirai il profumo, ascoltavo il suono del vento. Era una
giornata
bellissima.
E
poi, quando abbassai lo sguardo, lo vidi.
Aveva
i capelli rossi come il fuoco, e la pelle
chiara come la neve. E gli occhi azzurri come il cielo … -
**
Mi
dispiace
tantissimo per il ritardo di questo capitolo, ma tra il viaggio in
Pakistan e
gli esami non ho avuto un momento per continuare a scrivere. Ora che
sto ricominciando
le lezioni spero di finire Opera, anche perché ci sono altri
progetti in ballo.
A
seguire ci
sarà il secondo intervallo, e poi l’ultima sezione
della storia.
Un
bacio a
tutte, ci vediamo!
|
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Capitolo 17 *** Intervallo (II) ***
Intervallo
That
evening…
“Tieni, per te.
A
dire la verità le avevo
portate a Yayoi, per farle una sorpresa, ma ho altre copie, gliele
darò la
prossima volta.”
Jun
rientrò in
casa tenendo tra le mani la busta gialla che Sanae gli aveva consegnato
quel
pomeriggio, alla fine dell’Hanami; la donna aveva avuto in
faccia
un’espressione attenta, che studiava ogni minima reazione
dell’uomo, e a quel
punto lui si sentì circondato, già bastava
Matilde con quell’atteggiamento!
Nonostante
le
due donne (che nel frattempo avevano fatto una silenziosa comunella),
il
pomeriggio era passato bellissimo come l’uomo aveva potuto
solo immaginare: suo
figlio che, appena lo aveva riconosciuto, era corso ad abbracciarlo,
entusiasta, i giochi e le chiacchiere fatte con lui aspettando Yayoi.
L’arrivo
della donna, tra quei petali di ciliegio…
E
tornando a
casa in macchina, ad ogni semaforo o Stop segnalato, l’uomo
non perdeva
occasione di cercare, con lo sguardo, le chiome di
quegl’alberi, a volte
facendosi anche richiamare dal clacson di qualche impaziente. Oramai,
lo
sentiva, quell’albero stava diventando il suo preferito: gli
sembrava che, ogni
volta che ne vedeva uno, la donna dalla chioma rossa sarebbe apparsa da
dietro
il fusto, sorridendogli, magari con in braccio suo figlio.
Aveva
anche
avuto un sogno simile, e anche tra i suoi ricordi c’era
qualcosa del genere, ma
ogni volta che si sforzava di dare forma a quel ricordo lo sentiva
sbriciolarsi
nella sua mente. Allora preferì ripensare a quel pomeriggio,
all’emozione
provate mentre si alzava in piedi e faceva accomodare
l’ex-moglie accanto ad
Hikaru, prendendogli cavallerescamente la bottiglia di saké
per distribuirla
alle donne presenti.
Probabilmente,
vista dall’esterno, risultava una scenetta interessante: un
solo uomo, tre
donne ed un bambino.
Sorrise
divertito, immaginando la scenetta da quel punto di vista, facendo
girare la
chiave nella toppa della porta di casa, facendosi accogliere dal
silenzio e dal
buio.
Chiuse
la porta
dietro di sé, restando fermo a sentire l’atmosfera
intorno a lui, prima di
togliersi le scarpe e muoversi felpato. Conosceva
quell’appartamento abbastanza
bene da girarlo a passo sicuro, pertanto doppiò il grande
divano, superò il
tavolino nero e si avvicinò alle finestre, avviando le
persiane con un tasto; queste
si alzarono senza fretta, e una striscia arancione colorò il
mobile dietro di
lui.
Il
divano aveva
i cuscini spiegazzati, e in generale aveva un’aria stravolta,
segno che il suo
proprietario ne faceva un uso proprio ed improprio. Jun gli
lanciò un’occhiata
un po’ colpevole, ammettendo che almeno i copricuscini poteva
metterli a
lavare.
L’uomo
si avvicinò
al mobile, accarezzando la stoffa bianca e notando,
nell’arancio del tramonto,
i piccoli segni dello sporco. Eh si, era davvero messo male …
Guardò
la busta
gialla nella sua mano, ripensando alle parole di Sanae, e
raddrizzò la schiena,
aprendola e infilando delicatamente una mano all’interno,
tastando qualcosa che
sembravano ritagli plastificati.
Fotografie?
Ne
tirò fuori
una, girandola per vedere il soggetto immortalato.
Yayoi,
con il
pancione.
La
vista lo
sorprese tanto che s’immobilizzò in quella
posizione, solo gli occhi si
muovevano, andando un po’ dappertutto lungo
l’immagine, cercando di carpire da
dove provenisse quella foto: il fondale scuro e le luci gli fecero
subito
capire che si trattava di uno studio fotografico. La donna aveva le
spalle e il
seno coperto da uno scialle, ma la pancia era scoperta, bellissima nel
suo
gonfiore di nove mesi.
Di
sicuro Sanae
aveva insistito, una cosa del genere la donna, da sola, non
l’avrebbe mai
fatta.
Jun,
a quel
punto, si svegliò e controllò l’interno
della busta: foto, tante altre foto,
alcune di misure diverse, poteva vederne di sfuggita una che non
sembrava fatta
in uno studio, e le fece sfilare via dalla busta gialla, tornando
però ad
osservare quella di prima.
Aveva
spesso
sentito Sanae e Yoshiko dire a Yayoi che, se avesse voluto, avrebbe
potuto fare
la modella: non solo per quei capelli, ma anche per il viso e il
fisico, tali
da renderla molto fotogenica.
Ed
ora che ci
pensava, anche al liceo la donna aveva fatto un piccolo servizio
fotografico
per il club della scuola, chissà dov’erano finite
quelle foto; se non ricordava
male, di solito la donna ordinava tutte le loro fote in diversi album,
ma alcune
volte le metteva in scatole di latta, in attesa del posto giusto dove
metterle.
Scatole
di latta
…
Jun
si alzò in
piedi, dirigendosi verso la camera da letto. Lì, in un
angolo, c’erano delle
scatole di cartone, dal divorzio non erano ancora state aperte, anche
perché
contenevano oggetti di abbellimento, cosa che l’uomo non
utilizzava: per lui il
mobilio doveva essere solo quello necessario, tutto il resto era di
troppo.
Le
scatole non
erano molto grandi ma erano piene, lo poteva sentire chiaramente mentre
ne
prendeva una, facendo forza sullo scotch e aprendola con
brutalità, rovistando
dentro. Niente.
Provò
con la
seconda, ma anche lì rovistò nelle cianfrusaglie,
senza trovare quello che cercava.
Guardò
la terza
e ultima scatola con aria scettica: e se le avesse tenute lei le foto?
In fondo
ne aveva diritto, erano di entrambi.
Inoltre
lui non
era tipo da album o cose di questo tipo; però, in quel
momento, sentiva
l’incredibile voglia di rivedere quegli scatti, quei momenti
passati, di avere
la certezza nelle mani di aver vissuto davvero qualche momento con lei.
Per
far
diminuire quella distanza fra di loro.
Fece
un profondo
respiro, di solito tre era il numero magico, magari funzionava anche in
quel
caso; prese lentamente la scatola, e l’aprì con
meno cattiveria, infilando una
mano con incertezza. Toccò qualcosa di metallico, e gli
occhi gli si acceserò.
Eccole.
Anzi,
eccola, ce c’era solo una.
Era
la classica
scatola di latta dei cestini da pranzo, e l’uomo
effettivamente riconobbe la
sua azzurra, che aveva usato da piccolo. Sotto di questa
c’era un album di foto,
con la copertina in cuoio nero.
Quando,
da
bambini, Jun e Yayoi avevano scoperto di usare entrambi quel tipo di
cestini si
erano entusiasmati, e da quel giorno era iniziata la loro amicizia.
Mangiavano
sempre insieme, mettendo vicini i cestini, e i loro compagni glieli
invidiavano.
Jun,
come
pranzo, aveva spesso la frittata o la carne, e poco riso
perché non gli piaceva
troppo, a volte lo lasciava pure; Yayoi, invece, tendeva molto verso la
verdura, e se aveva i classici wurstel li passava al bambino, facendosi
dare in
cambio più riso, di cui lei invece era ghiotta.
L’uomo,
lentamente, controllò la sua scatola, constatando che era
ancora in buono
stato, aprendone i ganci e sollevandone il coperchio.
La
prima cosa
che trovò era una foto di lui, da piccolo. Ma quello che lo
fece sorridere era
che, in quella foto, c’era anche lei, piccola e sorridente,
con i capelli rossi
legati in due alte codine.
-…
Yayoi.-
Certo che tempo io
ne avro'
nonostante il mio lavoro
quando mi chiami ci saro'
e mandero' via le tue paure
Lentamente
chiuse
la scatola e si alzò in piedi, tenendo la latta per il
manico, piegandosi solo
per raccogliere anche il vecchio album, grande e pesante, tenendolo
sottobraccio e ritornando in salotto, dove oramai era calata la sera.
Abbassò
nuovamente le persiane e accese una lampada, poggiando tutte le foto
sul
tavolino basso e nero, e stava per mettersi seduto quando
guardò, nuovamente,
quel divano e la stoffa bianca rovinata.
Si
portò i pugni
sui fianchi, e prese un profondo respiro.
-…
ma ti pare
che mi vengano queste voglie a quest’ora. Va beh …-
Liberò
l’intero
divano dalla fodera bianca e sporca e portò questa alla
lavatrice in cucina,
ficcandola in malo modo e cercando di fare il bravo “donnino
di casa”,
misurando il detersivo e scegliendo quello che, forse, era il programma
più
adatto. L’infernale elettrodomestico partì con un
“click”, e l’uomo pregò che
le cose andasserò bene, preparandosi una bevanda calda e
portandosela in
salotto.
Senza
la fodera
il divano aveva un aspetto nudo e imbarazzato, gli sembrava quasi di
vederlo
arrossire e guardarlo in malo modo; lui sorrise divertito,
accomodandosi sul
tappeto morbido e peloso, sorseggiando la sua bevanda calda e iniziando
a
sfogliare, per prime, le foto della scatola di latta, giudicandole a
colpo
d’occhio le più vecchie.
La
foto di loro
due da bambini era durante la giornata dello sport, e i due avevano
fatto
insieme la corsa con una gamba legata; sorridevano con aria
tremendamente
soddisfatta, e tenevano la bandierina con il numero 1.
Fin
da piccolo
Jun aveva avuto problemi di cuore, quindi ricordare quella giornata, e
ricordare soprattutto che lui aveva CORSO gli sembrò
incredibile, ci aveva
davvero dato dentro, con accanto la bimba che, a sua volta, aveva dato
il
massimo. Cavolo, e chi se lo ricordava più?!
Si
vedeva che
erano davvero piccoli, e l’uomo si domandò chi
avesse fatto le foto, tanto che
la girò, sperando che qualcuno avesse annotato qualcosa con
la penna.
“Jun
e Yayoi,
primi alla corsa a tre gambe. 10 Ottobre”
La
calligrafia
non era quella della donna, e guardando bene non era nemmeno dei suoi
genitori.
Che fosse stato il signor Mamoru? In effetti l’uomo era
sempre stato presente a
quel tipo di attività …
Continuò
a sfogliare
le foto, e vide i giorni delle elementari, assieme a Yayoi, passare in
un
momento, e quando riconobbe la sua prima divisa calcistica si
fermò, sorridendo
divertito.
Aveva
almeno tre
foto con quella divisa, una con i suoi genitori, e una con lei, Aoba,
allora
aveva i capelli lunghi fino alle spalle, e sembrava già
così cambiata rispetto
alla foto di prima, quando avevano corso insieme: qui aveva la gonna
lunga, le
mani unite in una posa educata, il sorriso un po’
più timido e una leggera
distanza tra i due, in quella di prima erano quasi appiccicati.
Prese
un altro
sorso, e continuò a sfogliare le foto, la maggior parte era
di tipo calcistico,
lui che giocava, in partita o agli allenamenti.
Ce
n’era perfino
una dove si stava facendo visitare dal medico. Quella se la ricordava
bene, era
quando il medico aveva deciso di fargli qualche esame in
più, scoprendo che i
problemi al cuore si erano acutizzati.
Storse
la bocca
in un’espressione infastidita, e cominciò a
sfogliare quelle foto, cercando uno
scatto dove non era solo lui, o la sua squadra. Mano a mano
accellerò, fino ad
arrestarsi ad una foto di gruppo.
Eccola,
eccola
di nuovo, meno male.
Stavolta
erano
con la classe del loro ultimo anno delle elementari, ed erano davanti
ad un
autobus, segno che stavano andando in gita; avevano tutti un
cappellino, e sia
Jun che Yayoi, nello scatto, si stavano stuzzicando tirandosi
giù il berretto a
vicenda, ridendo divertiti.
L’uomo
sorrise,
divertito a sua volta.
Stavano
andando
in campagna, in una zona non molto lontana da dove aveva abitato la
donna, e la
gita era durata tutta la giornata, con uno scatto particolare durante
il
momento del pranzo; lì i due si erano seduti vicino, con le
loro scatole di
latta in bella mostra.
A
vederli, quei
piccoli momenti di complicità, sembravano così
buffi nella loro semplicità,
così infantili … eppure l’uomo, mentre
continuava a sfogliare gli scatti, si
sentì investire da una serie di ricordi che lui aveva
rimosso per lasciare
spazio a … a cosa? I problemi probabilmente, non sapeva
pensare ad altro.
Dimmi amore
cosa pensi quando mi guardi
cosa sogni
sul mio petto un po' stanco
sei cosi serena
sta sicura mi troverai
saro' con te
se ti sveglierai
I
sorrisi di
Yayoi cambiavano sempre ad ogni foto. Non era sempre e solo timida, o
educata
come capitava in molte foto di circostanza, come l’inizio
delle medie e del
liceo; lì aveva addosso l’uniforme, stavano
davanti al cancello della scuola, e
si vedeva chiaramente che c’era una certa distanza tra i due,
una cosa che
però, a pelle, Jun non aveva mai avvertito.
Invece,
in altre
foto, la ragazza sprizzava un’energia incredibile: ad ogni
festa dello sport, e
anche durante le prove teatrali al liceo. In particolare
c’era una foto dove Jun
aveva in mano un martello, visto che stava sistemando una scena, e
stava
ridendo con gli altri per via di un attore che era scivolato
clamorosamente sul
palco.
Lì
la risata di
Yayoi sembrava far esplodere la fotografia, l’uomo aveva la
sensazione di poterla
ancora sentire mentre alzava la testa per cercare di clamarsi, facendo
così
scivolare indietro i lunghi capelli, oramai superavano di netto le
spalle.
C’era
anche una
foto dopo lo spettacolo, lì la donna aveva il suo vestito da
vecchia, ma il suo
sorriso era fin troppo giovane e fresco.
Ovviamente,
siccome erano foto nella sua scatola di latta, la maggior parte degli
scatti
erano solo per lui, pertanto c’erano tantissimi ritagli della
sua carriera di
giocatore di calcio; quelle le scorreva senza soffermarcisi troppo,
dopo i
primi scatti di lui bimbo non gl’interessava altro, la sua
vita da calciatore
la conosceva fin troppo bene.
Invece
cercava
sempre, in ogni foto, la presenza della donna, e delle volte si
ricordava che
alcune foto era stata lei stessa a farle, poteva dirlo
dall’espressione
facciale che lui, ragazzo, aveva nelle immagini: erano divertite,
imbarazzate,
ma mai serie e statiche.
Si
… Yayoi era
sempre stata capace di tirare fuori da lui ogni possibile emozione.
Solo lei ci
riusciva in modo così naturale.
L’uomo
alzò lo
sguardo verso l’alto, sentendo all’improvviso un
vuoto tremendo che partiva dal
petto e arrivava al centro del corpo, come una voragine; prese fiato, e
prese
un altro sorso della bevanda, ma il vuoto era ancora percepibile. Si
alzò in
piedi, decidendo di fermarsi un attimo, portando così la
tazza vuota in cucina
e controllando la lavatrice, che ne avrebbe avuto ancora per un
po’.
Tornò
alle foto
solo quando si sentì più tranquillo, e richiuse
la scatola di latta, oramai
aveva visto tutte le immagini al suo interno, e afferrò il
grosso album nero,
aprendolo e trovandosi subito la sua squadra dei mondiali juniores.
Sorrise
nostalgico,
si soffermò a lungo ad osservare tutti quei volti, a
ricordarsi tutti i momenti
trascorsi insieme, e sfogliando l’album ne riconobbe alcuni e
ritrovato altri:
era stato fatto tutto con ordine, giorno per giorno, e l’uomo
era sicuro che
questa era opera di Yayoi.
Sembrava
particolarmente legata a quel tipo di attività, e sentirne
la presenza solo
perché aveva ordinato quell’album fece sorridere
Jun, il quale si soffermava a
lungo su ogni immagine, sforzandosi di ricordarsi ogni momento.
A
volte sbucava
anche quella capigliatura rossa, tendenzialmente nella tifoseria o
assieme alle
sue amiche Sanae e Yoshiko, c’era anche una foto con Kumi,
Yukari e la moglie
di Kojiro, Maki. Ed erano tutte quante sorridenti.
Voltò
l’ennesima
pagina, e per un momento gli mancò il fiato: la chioma del
ciliegio, e sotto di
questa la chioma rossa della ragazza, che sorrideva felice appoggiata
al
tronco, addosso un vestito pastello.
Eccola,
eccola
davvero, allora non era stato solo un sogno, non era un ricordo
sbiadito;
timidamente, l’uomo liberò la foto
dall’album, e la girò, sperando di trovare
qualche appunto scritto dietro. “Casa Misugi.
Hanami.”
A
momenti il
cuore di Jun esplodeva dall’emozione, e l’uomo si
passò una mano in bocca, e
poi sugl’occhi, tenendo stretta quella foto.
Penso se fossi
dentro te
capire come soffri o sei felice
se dentro canti come me
se dormi al suono dolce
della radio
La
tenne lontana
dall’album, appoggiandola sul tavolino, e passò
oltre.
Il
diploma, e
poi l’università.
Adesso
vedeva
chiaramente che Yayoi era felice, entusiasta della vita mentre gli
scatti con i
loro compagni di studio si susseguivano uno dietro l’altro,
in ogni possibile
attività, dal semplice studio all’uscita serale o,
addirittura, ad una strana
grigliata fatta a casa di Misugi, prima che i suoi si trasferissero.
E
poi Jun li
trovò, un po’ nascosti, alcuni scatti mescolati
fra loro, in fondo alle ultime
pagine dell’album: la danza di gruppo durante la festa della
cultura del liceo,
quando i due si erano cimentati nel ballo attorno al fuoco, lui sicuro
anche se
un po’ rigido e lei con le guance arrossate, l’aria
emozionata.
Oppure
la vittoria
di una partita del campionato regionale, dove lui le stava sorridendo
entusiasta e lei era felice, persino sorpresa di
quell’attenzione. E poi i
momenti di studio all’università, dove erano
seduti vicino, lui le teneva la
mano senza farci attenzione, ma lei aveva un sorriso leggero sulle
labbra.
E
poi sguardi
che lui non aveva notato, attenzioni che solo la donna aveva nei suoi
confronti, e ogni volta che veniva beccata dalla macchina fotografica
arrossiva
e distoglieva lo sguardo, impacciata. Momenti che lui non aveva mai
notato.
Ma
adesso li
aveva davanti, chiari come il sole, e si portò una mano
sulle labbra, arrivando
a coprire la bocca: era arrossito, anche in modo vistoso, distogliendo
lo
sguardo.
Tienimi dentro te
Tienimi dentro te
vorrei vedere il mondo
con i tuoi occhi per un po'
Amero' come te
piangero' come te
gridero' come te
se non mi stanno ad ascoltare...
Era
un viziato,
e adesso se n’era reso conto fin troppo chiaramente. Ma ora
cosa poteva fare,
in cambio? Adesso non poteva fare altro … che …
che amarla. Era l’unico modo di
ricambiare tutto quello che aveva fatto nei suoi confronti.
Maledizione,
si
sentiva imbarazzato come se fosse stato nudo di fronte a lei, in debito
nei
confronti della donna e al tempo stesso incapace di ripagarla, come se
fosse
stato al verde. Ed era felice, incredibilmente e stupidamente tanto
felice. Girò
l’ultima pagina dell’album, e quella foto
smorzò, per qualche momento,
l’emozione.
Era
la foto del
loro matrimonio, l’unica che lui aveva, tutte le altre forse
ce le aveva ancora
Yayoi, e non si sarebbe stupito se, in caso, la donna le avesse buttate
via.
Accarezzò
l’immagine con le dita, la donna in abito bianco era
stupenda: aveva due grandi
fermagli a fiore ai lati della testa, da dove partiva il velo che
scendeva giù,
bianchissimo, i capelli rossi sciolti sulle spalle, il vestito con il
busto a
cuore e la gonna vaporosa semplice, non c’era bisogno di
ricami o decori
sfarzosi. In mando un mazzo di rose bianche, i guanti lunghi fino al
gomito. Un
sorriso rilassato, ma traboccante di felicità.
Lui,
invece, era
decisamente più serio, con il suo abito nero e la camicia
bianca, il farfallino
nero che gli dava un’aria formale. Un sorriso quasi tirato su
quel volto, gli
occhi induriti.
L’uomo
ricordò
quel giorno, e ripensò ai suoi sentimenti, a come si era
sentito.
Tutto
ciò che
ricordava … era l’ansia che tutta
l’organizzazione andasse bene, in quanto
avevano preparato il tutto in poco tempo, e c’era sempre il
rischio di qualche
problema. Invece era stato tutto perfetto.
Ripensandoci
adesso, forse qualche problema sarebbe stato meglio fosse avvenuto:
probabilmente, così, si sarebbe scaricato della tensione, e
avrebbe goduto
molto di più di quel giorno, come aveva fatto Yayoi. Magari
avrebbe riso della
situazione, si sarebbero divertiti, sarebbe stato un momento
così felice che la
donna avrebbe pianto commossa, e lui l’avrebbe abbracciata a
sé,
promettendogli…
Jun
fermò i
pensieri, e con un’espressione amara chiuse
l’album: indietro non si torna, era
una cosa che era solito ripetersi, e anche in quel caso dovette dirselo
per non
lasciarsi trascinare dalla tristezza.
Erano
rimaste
solo le ultime foto, e prese un profondo respiro, raccogliendo tutto il
suo coraggio
per prenderle ed a sfogliarle, cercando la prima della serie,
fortunatamente
Sanae aveva segnato tutte le date.
“Quarto
mese”. Un
mese dopo il divorzio.
La
girò, la
pancia aveva cominciato a gonfiarsi leggermente, ma Yayoi sembrava solo
ingrassata mentre sorrideva con la donna davanti ad un grande piatto di
Paella,
attorno a loro i figli di Sanae che sorrideva divertiti, probabilmente
Tsubasa
aveva fatto la foto.
Aoba
sembrava
pallida, e Jun si domandò se era per la gravidanza
… o forse, molto più
probabilmente, per il divorzio.
Eppure,
in ogni
scatto successivo, l’uomo non vide mai quel volto cedere alla
sofferenza, ma
sorridere sempre con convinzione: Yayoi non sorrideva mai per finta,
non
simulava mai la felicità, ma sembrava sempre cercarla dentro
di sé, per
mostrarla poi all’obbiettivo.
E
così in giro
per Barcellona, davanti alla Sagrada Familia, abbracciata ai figli di
Sanae, in
cucina con l’amica o al mare, a mostrare le sue
rotondità di donna gravida, la
donna sorrideva sicura, senza il minimo cedimento mentre entrava nel
quinto
mese, e la pancia diventava grande a vista d’occhio.
Sono lontano e stai
con me
amore sei buffa sul leggio
tu che dicevi nella tasca
ti ho messo una mia fotografia
Jun
provò quasi
invidia nel vedere il lungo viaggio della donna mentre lasciava
scorrere tra le
dita i giorni e la vedeva mutare d’aspetto: i capelli che, ad
un certo punto,
si accorciavano perché troppo lunghi, i vestiti che si
facevano più larghi, i
suoi atteggiamenti che si facevano … più calmi e
composti.
Stava
cambiando
davanti ai suoi occhi, in quelle foto, eppure c’erano anche
momenti in cui
tornava ad essere la Aoba che aveva sempre conosciuto. Proprio come in
quel
momento.
Era
seduta sul
cornicione della finestra, il vestito lungo estivo che nascondeva e
rivelava la
sua pancia, il libro aperto tra le mani e lo sguardo perso fuori dalla
stanza,
i capelli legati in una treccia che scivolava morbida sulla spalla.
Chiunque,
guardandola, poteva pensare ad una foto fatta apposta, ad un quadro.
E
chiunque, Jun
era certo, si sarebbe potuto innamorare di quel volto, di quella
figura, del
silenzioso tormento e dell’apparente quiete che emanava. Per
questo strinse un
po’ più forte quella foto, ringraziando Sanae di
aver dato quegli scatti
soltanto a lui, e a nessun altro. Non avrebbe potuto sopportarlo.
Aveva
avuto
ragione, allora, la donna a dire che era stato un idiota.
Poggiò
quella nuova
foto accanto a quella con il ciliegio e riprese a sfogliarle,
trovandone alcune
mentre Yayoi traslocava, con il pancione che continuava a crescere.
E
poi un’altra,
dall’impatto emotivo così forte che Jun quasi
trattenne il fiato, il suo
profilo scuro alla luce della lampada.
Era
all’ospedale, nel letto, il volto arrossato e sudato, i
capelli spettinati
nonostante fossero legati in una treccia; gli occhi brillanti, una
lacrima che
scivolava sulla guancia, il sorriso che si stava formando sulle labbra
stanche.
Bellissima.
E
lì, accanto a
lei, un bimbo così piccolo che non sembrava nemmeno vero,
arrossato quanto la
madre, con gli occhi chiusi e una delle manine che aveva preso un dito
della
donna; avvolto nell’asciugamano bianco era incredibilmente
delicato, fragile. E
bellissimo.
Jun
si fermò,
guardando quella foto muto: non era stato là a sostenerla,
non era stato là ad
accoglierlo al mondo. Lui non c’era in quella foto, non
c’era nessun altro che
lei e il bimbo, e il letto, la stanza, sembravano giganteschi in
confronto a
quelle due figure.
La
solitudine
della donna, di colpo, gli arrivò addosso come uno schiaffo,
graffiandogli il
petto; eppure, nonostante quella sensazione, la vedeva felice,
commossa, con
quel sorriso che stava nascendo e, di sicuro, era radioso.
Jun,
lentamente,
abbassò il volto, e si passò la mano tra i
capelli, stringendo leggermente i
denti per non singhiozzare, ma le lacrime scapparono comunque dai suoi
occhi,
colme di diverse emozioni.
Rabbia,
perché
lei gli aveva nascosto la gravidanza e i suoi problemi, e anche
perché nessuno
dei due si era sforzato di spingere l’altro a guardare in
faccia i problemi, a
trovare insieme una soluzione; dalla rabbia, poi, alla frustrazione di
non
averle potuto dare una mano, e il dolore nel vedere quella solitudine.
Ma
anche commozione,
e felicità: perché lui quella donna
l’aveva conosciuta fin da piccola, perché
sapeva com’era fatta, era ancora in grado di riconoscerla in
quelle foto, di
ricordare i momenti passati assieme. Perché
l’aveva sposata, e perché quel
figlio era suo.
E
poi perché
lui, quella donna, l’amava ancora. Forse più di
prima.
E mi guardi
gli occhi grandi un po' severi
io t'aspetto
abbi cura di te
e poi non mi tradire
ho fiducia in cio' che farai
saro' con te
se ti sveglierai
Guardò
le foto
di Yayoi e Hikaru come un affamato, osservando e memorizzando ogni
dettaglio di
madre e figlio mentre lei lo teneva in braccio, lo nutriva dal suo seno
in un
gesto naturale che spiazzava, lasciava muti ad osservare quel piccolo
miracolo,
quel profondo legame, quello scambio di sguardi immortalati nello
scatto.
Lo
vestiva, lo
faceva addormentare, lo faceva ridere o lo consolava. Sembrava che
Sanae avesse
scattato ogni possibile foto proprio per quel momento, per quella sera.
Per
Jun.
E
Hikaru
cresceva, a vista d’occhio, sorridendo mentre alzava le
braccia, oppure giocando
tranquillo, gattonando fino ad imparare a stare in piedi, con Yayoi in
ginocchio
che lo sosteneva sorridendo entusiasta. Mangiava facendo le boccacce e
ridendo
con la madre, correva scoordinato e si rialzava in piedi senza lacrime.
Aveva
occhi
grandi che, alla macchina fotografica, teneva sempre spalancati,
sorridendo
come solo un bambino piccolo può fare.
Un
anno, due anni,
tre, quattro, scorrevano via in mille e più istanti, la
busta sembrava
contenere pochi scatti che invece, nelle mani di Jun, sembravano
moltiplicarsi
fino a sparpagliarsi per terra sul tappetto in un patchwork
d’istanti che l’uomo
avrebbe conservato per sempre.
E
l’alba lo
colse addormentato sul tappetto, attorno a lui le foto di
quegl’anni lontano da
Yayoi, ma vicino a se le sue tre preferite, quelle che non avrebbe mai
lasciato
a nessuno: Yayoi ragazza, sotto al ciliegio, sorridente. Yayoi donna
incinta,
alla finestra, che guarda lontano.
Infine
Yayoi e
Hikaru stretti nell’abbraccio, il bimbo sorridente nei suoi
cinque anni mentre
la donna teneva entranbi avvolti in un grande scialle dalle sfumature
arancio, rosse
e dorate, i capelli di lei che quasi si confondevano nella capigliatura
di lui,
gli occhi di entrambi grandi e brillanti.
E
i sorrisi
identici, rivolti alla macchina fotografica, come se stessero
sorridendo
all’uomo addormentato lì accanto.
Tienimi dentro te
Tienimi dentro te
vorrei vedere il mondo
con i tuoi occhi per un po'
Amero' come te
piangero' come te
gridero' come te
se non mi stanno ad ascoltare
La
canzone usata è “Tienimi dentro te”, di
Fabio
Concato.
Io
non sono madre, ma una mia amica è diventata madre,
e mi è capitato di lavorare con i bimbi; ho cercato di
trasmettere le mie
sensazioni all’interno della storia attraverso Jun,
perché mi sento molto
vicina a lui in questo capitolo. Ci vediamo al prossimo aggiornamento!!
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Capitolo 18 *** Recitativo e Aria: Lascia ch'io pianga ***
Recitativo
e Aria:
Lascia
ch’io pianga
Yayoi
prese il
termometro dalle labbra di Hikaru, e controllò la
temperatura: trentotto e
mezzo. Sospirò, guardando il bimbo muoversi leggermente, con
espressione
contrita.
-Beh,
almeno
adesso posso confermare che non sta bene.-
Sanae
rimase
sull’uscio della camera, tenendo Kumo tra le braccia.
La
madre
accarezzò la guancia del figlio, sentendola bollente;
sospirò, bisbigliando al
bambino, nonostante sapesse che lui non le avrebbe risposto.
-Sei
un testone.
Proprio come papà.-
Si
alzò
lentamente dal letto, dirigendosi fuori dalla camera, Sanae la
seguì in
silenzio con il micio in braccio, che dormiva tranquillo.
Si
spostarono al
bagno, dove Yayoi aprì l’armadietto dietro lo
specchio, controllando i
medicinali che aveva con sé; frugò per qualche
minuto, e poi prese delle
pastiglie, richiudendo il piccolo mobile con un secondo sospiro,
attirando
l’attenzione dell’amica.
-Tutto
bene?-
-Non
ho
antiinfiammatori adatti a lui, solo un antistaminico che
però non ha molto
effetto; potrei passare in clinica a prendere qualcosa …-
-Ci
penso io a
lui. Oppure puoi mandare me e tu resti con Hikaru.-
-Te
la
sentiresti davvero?-
Sanae
sorrise
divertita, continuando a tenere Kumo in braccio.
-Mamma,
ti
ricordo che ho la tua stessa età, posso cavarmela benissimo.-
A
quel punto
Yayoi si lasciò andare ad un sorriso sollevato, uscendo
fuori dal bagno per
dirigersi nel piccolo salotto, prendendo carta e penna e iniziando a
scribacchiare sul Kotatsu vicino al divano.
-Parla
con il
desk e digli che ti mando io, e che devi farti dare dei medicinali dal
dottor
Guffred; probabilmente dovrai aspettare un pochino, ma appena ti riceve
dagli
questo foglietto e la mia tessera sanitaria. Al resto ci
penserà lui.-
-Aspetta,
mi è
venuta in mente un’idea ancora più geniale.-
La
donna si
fermò dallo scrivere, guardando incuriosita
l’amica. Questa aveva
un’espressione furba sul volto.
-Perché
non
chiedi a Jun?-
Fino
a quel
momento la donna non aveva proprio pensato a quella
possibilità: fino ad ora,
infatti, aveva sempre curato da sola Hikaru.
Sanae
proseguì.
-In
fondo adesso
sa che ha un figlio, non pensi sia ora di fargli fare qualcosa a
riguardo,
oltre a passare il tempo a giocare con Hikaru?-
-Non
parlare in
questo modo.-
Usò
un tono duro
per richiamare l’amica, e questa rimase sorpresa: era raro
che Yayoi
rimbrottasse qualcuno, con Hikaru non ne aveva mai avuto effettivo
bisogno.
La
vide distogliere
lo sguardo e controllare quello che aveva scritto sul foglietto, prima
di
alzarsi dal Kotatsu per dirigersi al telefono
dell’appartamento.
A
quel punto
l’amica cercò di aggiustare il tiro di poco prima.
-Comunque
è la
soluzione migliore: tu ed io rimaniamo a casa per badare ad Hikaru, e
lui ci
raggiunge con le medicine.-
-Però
non so se
lavora tutto il giorno o no, potrebbe non farcela.-
-In
caso passo
io in clinica a prendere le medicine.-
Yayoi
era
davanti all’apparecchio telefonico, bigliettino in mano, ma
ancora non aveva
preso la cornetta e digitato il numero; Sanae, dietro di lei, avvertiva
la sua
tensione, tanto che le sue successive parole furono dette in un misto
di ansia
e fastidio.
-Dai
Ya-chan,
non mi sembra il momento di farsi venire delle paturnie a riguardo: qui
si
tratta di Hikaru con la febbre!-
L’immagine
di
suo figlio a letto risvegliò la donna, la quale si
voltò verso l’amica ed
annuì, prendendo dal cassetto del piccolo comò
l’agenda con tutti i numeri
telefonici.
-Spero
che Jun
usi ancora il suo vecchio numero.-
Afferrò
la
cornetta e l’appoggiò all’orecchio
digitando veloce il numero, non aveva avuto
nemmeno bisogno di frugare nel piccolo libricino. Lo ricordava ancora a
memoria.
Attese
qualche
momento, e poi sentì la linea libera, e già
questo la irrigidì leggermente; uno
squillo, poi il secondo, e alla fine il terzo. Solitamente
l’uomo rispondeva a
questo punto, ma appena sentì il quarto la donna ebbe il
dubbio che il numero
fosse sbagliato.
>Pronto?
La
voce
dell’uomo le irrigidì la schiena, le
mancò il fiato nel rispondergli.
-Pronto,
Jun?-
>…Yayoi?
Sorrise
leggermente, le faceva piacere sentire che l’aveva
riconosciuta. Tuttavia il
foglietto in mano la riportò alla realtà.
-Scusami
se ti
chiamo, stai lavorando?-
>In
questo
momento no, come mai? Che succede?
Provò
conforto
nel sentire che l’uomo s’interessava, e la
preoccupazione nei confronti di
Hikaru non l’attanagliò più come prima,
sentiva di poterla gestire.
-Hikaru
ha un
po’ di febbre, e io a casa non antiinfiammatori adatti alla
sua età. Potresti
prenderne dalla clinica al reparto di pediatria? Se non puoi venire
Sanae può
passare a prenderli.-
>No,
vengo
io.
Una
risposta
secca, con chiaro tono preoccupato. La donna poteva perfino vedere le
sopracciglia di Jun corrucciarsi leggermente in
un’espressione turbata.
>Cosa
devo
prendergli?
Yayoi
alzò il
foglietto con la piccola lista.
-Mi
servono dei
farmaci con ketoprofene o paracetamolo, e anche acido acetilsalicilico.-
>Ha
la
febbre? Quanto è alta?
Non
poteva
mentirgli, perché si sarebbe arrabbiato, ma aveva la
sensazione che se glielo
avesse detto lo avrebbe messo in ansia. Vale a dire che si sarebbe
dovuta
prendere cura non solo di suo figlio, ma anche di un altro bambino;
prese un
respiro.
-Trentotto
e
mezzo, probabilmente ha l’influenza.-
>Dici
che è a
causa di ieri?
-Anche,
ma
questi sono stati giorni molto emozionanti, probabilmente si
è molto stancato e
un suo compagno d’asilo lo ha contagiato, capita ai bambini
di quell’età.-
>Si
certo,
capisco.
Non
era per
niente tranquillo, lo si capiva chiaramente. Yayoi si voltò
a guardare Sanae, e
questa le parlò con il labbiale.
“Fallo
venire
qui.”
La
rossa
spalancò gli occhi e scosse leggermente la testa, ma
l’altra insistette.
Kumo,
intanto,
si era svegliato tra le braccia della bruna, e muoveva la piccola coda
guardando la scena incuriosito.
“Digli
di
venire.”
“Sta
lavorando!”
“È
suo figlio,
fallo venire!”
Entrambe
sbuffarono quasi simultaneamente, per poi sorridere divertite mentre
Jun,
dall’altra parte del telefono, chiamava nuovamente la
ex-moglie.
>Yayoi?
Ci
sei?
-Si,
si Jun,
dimmi pure.-
>Passerò
con
le medicine tra un quarto d’ora.
-Ma
scusa, non
sei a lavoro?-
>Non
ti
preoccupare. Ci vediamo fra poco.
-No,
aspetta
Jun!-
Ma
l’uomo chiuse
la telefonata, e la donna si ritrovò a parlare con il suono
della chiamata
interrotta; sospirò, rimettendo a posto la cornetta mentre
Sanae lasciava
andare Kumo, sorridendo soddisfatta.
-E
allora?-
-…viene
qui
lui.-
-Bene!
Visto? Non
era così difficile.-
L’occhiata
che
la rossa lanciò all’amica era più che
eloquente, scuotendo leggermente il capo
e riponendo la piccola agenda nel comò del telefono.
Sanae
buttò
l’occhio dentro il cassetto, e notò qualcosa,
parlando all’amica.
-Ce
le hai
ancora tu?-
L’altra
non si
girò a guardarla, sapeva bene a cosa si riferiva:
lentamente, prese dal
cassetto la piccola scatolina di legno laccato, oramai al posto del
vaso aveva
spostato il telefono, per comodità, ma
quell’oggetto era rimasto al suo posto.
Lo aprì, guardandone il contenuto.
Dentro
la
scatola era foderata di nero, e al suo interno riposavano le fedi
nuziali.
-Ho
preferito
tenermele io, sono sicura che lui le avrebbe buttate.-
-O
magari le
avrebbe conservate come te.-
-Nah,
non credo:
lui non è tipo da guardare al passato.-
Sanae
avrebbe
voluto dirle “Ne sei sicura? Se così fosse non si
sarebbe interessato a te o ad
Hikaru.”, ma questo tipo di aggressione alla donna
l’avrebbe solo fatta
chiudere in sé, pertanto si passò una mano sulla
labbra, trattenendosi mentre
vedeva l’amica richiudere la piccola scatola e rimetterla
dentro il comò,
dirigendosi alla cucina per preparare la bacinella con
l’acqua fredda.
Almirena:
Armida
dispietata!
Colla
forza d’abbisso rapirmi
Al
caro ciel de’ miei contenti!
E
quì con duolo eterno
Viva
mi tieni in tormentoso inferno!
Argante:
Non
funestar, oh bella,
di
due luci divine il dolce raggio,
che
per pietà mi sento il cor frangere.
Yayoi
sentì il
campanello dell’ingresso suonare mezz’ora dopo, e
si alzò di scatto. Era seduta
accanto al letto di Hikaru, monitorando il suo stato di salute; Sanae,
invece,
sbucò dal salotto, era intenta a leggere un libro, con Kumo
lì accanto a lei.
-Vuoi
che vada
ad aprire io?-
La
donna si
liscò la gonna che stava indossando, ma non si
avvicinò all’ingresso, annuendo
all’amica; questa prese un respiro, appoggiando il libro in
modo da non perdere
il segno, sistemandosi i jeans e andando ad aprire la porta
d’ingresso,
parlando a bassa voce.
-Ciao
Jun.-
-Sanae,
ciao.
Come sta Hikaru?-
-Tutto
tranquillo, Yayoi è con lui nella sua cameretta. Prego,
entra.-
-Ah,
grazie.-
Istintivamente
Aoba sbirciò dalla porta della camera, notando
l’uomo entrare in casa e
poggiare a terra un sacchetto bianco, sicuramente conteneva i
medicinali per il
bambino; si tolse le scarpe e il giaccone, salendo sullo scalino
dell’ingresso
e abbandonando la borsa sul pavimento, recuperando il sacchetto mentre
Sanae
gl’indicava la stanza di Hikaru.
Yayoi
si nascose,
e poi si diede mentalmente della stupida; prese un respiro profondo e
tornò dal
bambino, bagnandogli la pezza con acqua fresca.
Il
piccolo
ancora non aveva sudato, e di sicuro la temperatura si stava alzando;
gli
accarezzò una guancia con il dorso delle dita, spostandogli
una ciocca di
capelli dietro l’orecchio.
Sentì
Jun
affacciarsi all’uscio, e il suo bisbiglio, per un momento, le
contorse lo
stomaco, obbligandola a restare ferma per prendere fiato, spingendolo a
chiamarla una seconda volta.
-Yayoi.-
Si
voltò, e la
prima cosa che notò fu che l’uomo aveva corso, o
quanto meno si era affannato:
aveva i capelli scompigliati e l’aria affaticata mentre
restava sull’uscio
della camera, come incapace di entrare.
-Ciao.-
-Ciao.-
-Scusa
il
ritardo.-
-Figurati.-
-Come
sta?-
La
donna si alzò
lentamente, facendo cenno all’uomo di sedersi al suo posto
mentre gli parlava a
bassa voce; questo non sembrava aspettare altro, entrando e sedendosi
sul
picccolo sgabello, lasciando a terra il sacchetto con i medicinali.
-Stavo
per
controllargli di nuovo la febbre. Per il momento dorme, ma non riesce
ancora a
sudare.-
-Non
gli hai
fatto prendere niente?-
-Per
ora gli ho
dato una piccola dose di antiinfiammatorio che avevo io, ma temo sia
troppo
forte per lui. Hai preso quello che ti ho chiesto?-
-Ah
si.-
L’uomo
si sporse
sul sacchetto, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla donna mentre
controllava
per l’ennesima volta che avesse preso tutto il necessario.
-Ho
trovato il
ketoprofene solo in supposte, mentre il paracetamolo e
l’acetisalicilico sono
in bustine solubili.-
-Va
benissimo,
ti ringrazio.-
-Ah,
senti …-
La
donna si
voltò a guardarlo mentre prendeva il sacchetto, per portarlo
in bagno. L’uomo
era visibilmente imbarazzato.
-Ti
… ti
dispiace se rimango? Sono preoccupato per Hikaru.-
-E
per il
lavoro?-
-Mi
sono fatto
dare il resto della giornata. Ti da fastidio?-
Erano
quelle
piccole e sincere richieste, quei gesti un po’ pazzi che
riempivano il cuore di
Yayoi, e la donna sorrise intenerita, scuotendo leggermente il capo.
-No,
anzi. Ti
ringrazio molto.-
Si
allontanò
dalla camera rasserenata, andando in bagno e mettendo in ordine i
medicinali
dentro il mobile mentre Sanae si sporgeva sull’uscio,
parlandole con il
labbiale.
“Visto?”
L’altra
la
guardò di sbieco, per poi spostarsi in cucina per preparare
qualcosa da
mangiare per tutti e tre, e anche per il gatto, al quale non fu
permesso di
entrare nella stanza di Hikaru.
Questo,
sul
letto, apparentemente sembrava dormire tranquillo, ma ad ogni suo
movimento,
anche il più leggero, Jun scattava come una molla,
visibilmente preoccupato. Ma
era comprensibile: non gli era mai capitato di doversi occupare di
qualcun
altro in quel modo, e in questo caso si trattava niente meno che di suo
figlio.
Di colpo tutta la sua conoscenza medica scomparve dalla sua mente, si
era fatta
tabula rasa mentre la donna, la contrario, sapeva sempre esattamente
cosa fare,
istruendo l’uomo a dovere.
-Cambia
l’acqua
in cucina, metticene di fresca.-
-Si,
va bene.-
-Direi
che
possiamo provargli a dargli un po’ di paracetamolo. Solo
mezza bustina però.-
-Faccio
subito.-
-Ha
un po’ di
sete, occhio a non farlo sbrodolare.-
-Si,
certo.-
-Non
ti
preoccupare, si agita molto quando dorme.-
-Ah,
ok.-
Sanae,
ogni
tanto, sbirciava dall’uscio della stanza, e senza farsi
vedere dall’uomo
scambiava occhiate divertite con l’amica, che
all’inizio la rimproverava con lo
sguardo, per poi cominciare a sorridere; anche se la situazione era
delicata,
allo stesso tempo c’era un equilibrio tale da permettere
momenti di sorriso.
E
poi, ad un
tratto, la donna dai capelli corti si fece avanti.
-Senti
Yayoi,
visto che ci siete voi due io ne approfitto per andare a fare spese, ti
da
fastidio?-
-No,
figurati
Sanae. Se puoi prendi qualcosa per stasera.-
-Lascia
fare a
me, ci vediamo dopo.-
-A
dopo.-
-Ciao
Jun.-
-…
ah ciao
Sanae.-
Ma
questa si era
già chiusa la porta alle spalle, e i due ex coniugi si
ritrovarono da soli a
badare a loro figlio.
La
donna guardò
di sfuggita l’uomo e sorrise, attirando
l’attenzione dell’altro, il quale si
rese conto della situazione e ricambiò
l’espressione.
-E
così, ora,
sei sola a badare a due bimbi invece di uno solo, eh?-
-Già,
ma è molto
divertente.-
Ridacchiarono,
e
poi si zittirono di nuovo, tornando a concentrarsi sul bambino, che
sembrava
riposare con più tranquillità, a giudicare dal
respiro dormiva profondamente.
Istintivamente
Yayoi gli prese una piccola mano, accarezzandogli il dorso con il
pollice, per
poi rivolgersi a Jun.
-Fallo
anche tu,
lo rilassa.-
L’uomo
rimase
sorpreso dalla richiesta ma alla fine, timidamente, allungò
una mano, prendendo
quella di Hikaru e iniziando, molto timidamente, ad accarezzare il
dorso della
mano; la donna guardò in silenzio la scena, osservando
attenta la differenza
fra la grande mano del padre e quella piccola del figlio, sorridendo
intenerita.
-Hai
davvero le
mani enormi.-
Jun
lanciò un’occhiata
alla donna, per poi osservare anche lui la differenza di dimensione. E
sorrise.
-Ricordo
che,
quando ero piccolo e stavo male, mia madre mi prendeva sempre per mano.-
-Un
bambino
guarisce più facilmente se ha accanto la presenza del
genitore: lo fa sentire
protetto.-
-Questo
te lo ha
detto Matilde?-
Yayoi
ridacchiò
leggermente alla battuta mentre Jun guardava prima lei e poi la sua
mano su
quella di Hikaru.
-Si
è ammalato
spesso?-
La
donna
continuò a sorridere tranquilla.
-Si,
ma è
normale per i bambini, anzi io sono convinta che sia meglio per loro
ammallarsi, per permettere agl’anticorpi di svilupparsi.
È il corso naturale
della vita.-
-Mi
fai venire in
mente quella volta all’università, in biblioteca,
che abbiamo avuto quella
discussione a proposito della medicina omeopatica, ricordi?-
Yayoi
spalancò
gli occhi sorpresa, per poi portarsi una mano alla bocca.
-Ah
si, è vero!-
-Io
ricordo che
abbiamo discusso talmente tanto che il bibliotecario ci ha cacciato
fuori.-
-Eravamo
completamente opposti di idee, e quasi non ci parlavamo più.-
Allora
la
situazione fu così spinosa che minacciò
effettivamente la relazione dei due, ma
adesso nel ricordarlo entrambi ridacchiarono cercando di non fare
rumore,
continuando a tenere le mani del bambino addormentato.
-Alla
fine,
però, abbiamo fatto pace.-
-Si,
è vero: ci
siamo guardati negl’occhi e ci siamo detti che non valeva la
pena litigare per
quello.-
-Già.-
Non
si dissero
altro, anche perché dopo aver fatto pace avevano fatto
… altro.
Jun
cercò di
riportare il discorso sull’argomento di prima, osservando la
mano di Yayoi
stretta su quella di Hikaru.
-Invece,
ora che
guardo, le tue mani e quelle di Hikaru si assomigliano, avete lo stesso
colore
di pelle.-
-Beh,
però ha il
tuo volto, sembra te da piccolo.-
-A
proposito,
ieri sera ho trovato una foto di noi due da bambini, quando abbiamo
vinto la
corsa a tre gambe.-
-Davvero?!
Che
bello, temevo di aver perso quella foto!-
Il
sorriso
entusiasta di Yayoi spinse Jun a parlarle anche delle altre foto che
aveva
ritrovato, quelle riguardanti i loro anni delle elementari, medie e
liceo,
compreso gli anni delle Nazionali e successivi, inerenti
all’università. (Ovviamente
Jun non accennò alle foto che Sanae gli aveva dato)
-Ti
devo
ringraziare: in fondo è merito tuo se ho ritrovato quelle
foto.-
-Ma
figurati, mi
sembrava giusto restituirtele, riguardano la tua vita.-
All’uomo
sarebbe
piaciuto sapere e ricordare anche la vita della donna, quegli scatti
dove lui
non era presente.
-E
tu? Hai
qualche foto di te con le altre ragazze?-
-Ah
si, ne ho
qualcuna.-
-Dopo,
semmai,
mi piacerebbe vederle.-
-…
volentieri.-
Si
scambiarono
una lunga occhiata.
Jun
era là,
davanti a Yayoi.
Alla
donna sarebbe
piaciuto tanto … non sapeva nemmeno lei: dal parlargli per
tutto il tempo al
semplicemente abbracciarlo e dirgli … che le era mancato
tremendamente; invece
prese un profono respiro e distolse lo sguardo, cambiando argomento.
-E
da tua madre?
Com’è andata, come sta?-
Almirena:
Signor,
deh!
Per
pietà, lasciami piangere!
Argante:
Oscura
questo pianto il bel fuoco d’amor,
ch’in
me s’accese per te, mia cara.
Almirena:
In
questi lacci avolta,
non
è il mio cuor soggetto d’un amoroso affetto
L’uomo
ripensò
alle ultime parole scambiate con la madre, e si rese conto
dell’effettivo
rapporto tra la signora Misugi e Yayoi davanti a lui.
-…
sta bene, ma
sono certo di avergli fatto venire un infarto quando gli ho detto che
ero
padre.-
La
giovane
donna, alla confessione, annuì gravemente, voltandosi verso
il volto del
figlio, usando la mano libera per accarezzargli il volto; era ancora
caldo, ma
almeno non scottava come quella mattina.
-…
la mia scelta
di non dire niente immagino non deve’esserle piaciuta.-
-Non
ti saprei
dire, quando gliel’ho detto ero di fretta perché
volevo raggiungerti.-
Le
sue parole
provocarono un certo imbarazzo e piacere nella donna, ma
l’uomo non ci fece
caso, dato che era entrato nella parte più importante del
suo monologo.
-Anche
perché,
dopo il modo in cui ha parlato di te, preferisco che davvero gli pigli
un
infarto.-
-Ma
che dici!
Povera signora Misugi.-
-Povera
un
corno, perché non mi hai detto che avevi dei problemi con
lei?-
-Perché
non ne avevo,
semplicemente avevamo pensieri diversi.-
-Ma
sentitela, “pensieri
diversi”!-
-Non
alzare la
voce.-
L’uomo
dovette
stare zitto, l’ultima frase gli ricordò che era
lì perché suo figlio stava
male. Però continuò la sua arringa, bisbigliando.
-E
sentiamo, di
quali “pensieri” parli?-
La
donna non
rispose subito, rivolgendo lo sguardo al figlio.
-…
tua madre era
convinta che io ti spingessi a rischiare la tua salute dopo
l’operazione, ma io
le ho sempre spiegato che, dal punto di vista medico, tu eri guarito.-
-Tzé,
sempre la
solita.-
-Dai,
non
sgridarla, lei era sinceramente preoccupata per te.-
-Questo
però non
significa che tu sei un mostro con tre teste che vuole uccidermi!-
-Jun!-
-Scusami.-
Hikaru
si mosse
leggermente, e la donna lanciò un’occhiata
all’uomo, che si scusò con un cenno
del capo; Yayoi si alzò velocemente, sistemando le coperte
al figlio, il quale
lasciò la presa del padre, sistemandosi meglio e
ricominciando a dormire
profondamente. Poi prese la bacinella e fece cenno a Jun di seguirla,
dirigendosi in cucina.
Lui
cercò di
giustificarsi con la frase di prima.
-Voglio
dire, tu
mi conosci bene, sapevi qual’era il mio stato di salute,
poteva fidarsi di te.-
-Una
madre è
sempre una madre, anche se qualcuno gli dice che va tutto bene
sarà sempre
preoccupata per suo figlio. Per me è lo stesso con Hikaru.-
-Si,
ma tu non
vuoi tenerlo segregato in casa!-
-Tua
madre non
ha mai inteso questo.-
-Dici?-
-Insomma
Jun,
lei è tua madre, e ti ama molto, per questo fa
così.-
-Anche
tu mi
amavi molto, no?-
-Certo!-
E
poi, di colpo,
entrambi si bloccarono.
Yayoi
arrossì
per prima, e si tappò la mano con la bocca, arrossendo
così tanto da diventare
dello stesso colore dei capelli; anche Jun arrossì, e
distolse lo sguardo
passandosi una mano in faccia. Entrambi si chiesero “ma come
mi è venuto in
mente?!”, e poi si guardarono intimiditi.
Il
primo a
mettersi a ridere fu Jun, e la donna si sentì ancora
più in imbarazzo.
-Che
c’è?-
-Sei
… sei
paonazza, hai lo stesso colore dei tuoi capelli.-
Lei
ci pensò su,
e cominciò a ridere a sua volta. E risero di gusto.
-Per
noi due
litigare è sempre stato strano.-
-Già,
non
sapevamo mai cosa sarebbe uscito fuori, come ora.-
Pian
piano si
calmarono, e Yayoi versò dell’acqua in due
bicchieri, offrendone uno a Jun per
aiutarlo a calmarsi. Aspettarono qualche momento in silenzio, e poi la
donna
tornò seria.
-Comunque
Jun,
sul serio: lei ti vuole davvero bene, non trattarla così.-
-Però
non posso
sopportare il suo modo di fare, né che lei ti abbia offeso
in qualche maniera.-
-Ti
assicuro che
non mi ha mai offeso in nessun modo.-
-Spero
bene.-
Lui
restituì il
bicchiere, e lei lo poggiò nel lavabo, pronta a tornare dal
figlio, quando Jun
prese la palla al balzo.
-Ah,
a
proposito.-
-Si?-
Lo
vide incerto
per qualche momento, e s’incuriosì; da parte sua,
l’uomo non sapeva proprio
come iniziare il discorso, ma sapeva che quella era una buona occasione
per
saperne di più. Rischiava di non aver più
un’occasione simile.
-Ascolta
… a
proposito di madri …-
Un
brivido scese
lungo la schiena di Yayoi, ma la donna sentì che non provava
panico o disagio.
-Vuoi
sapere
della mia?-
-…
Matilde mi ha
accennato che hai avuto problemi, ma più di questo non mi ha
detto.-
Non
era
arrabbiata con la pisocologa, anzi forse doveva ringraziarla: se non
avesse
messo la pulce nell’orecchio a Jun, probabilmente non avrebbe
mai avuto modo di
parlarne.
Gli
fece cenno
di seguirla, e si spostarono nel corridoio, lì dove
c’era il comò con il
telefono; la donna aprì il cassetto, tirando fuori la
scatola laccata e
frugando mentre l’uomo rimase incuriosito da
quell’oggetto, gli sembrava
familiare.
Non
fece in
tempo a ricordare: Yayoi trovò quello che cercava e rimise
la scatolina al suo
posto, passando una foto a Jun. Era quella che aveva mostrato a Matilde.
L’uomo
all’inizio
rimase affascinato da quella bimba, il suo aspetto ricordava una
bambolina di
porcellana; poi rivolse l’attenzione alla signora Aoba, e si
rese conto che
tutta la bellezza di Yayoi era stata ereditata da quella donna. Alla
fine,
però, si rese conto dell’effettiva differenza
fisica: per quanto fosse simile
alla madre, infatti, non aveva gli stessi colori di occhi e capelli. E
sicuramente la piccola non assomigliava al padre.
Non
se n’era mai
accorto prima, forse perché aveva sempre trovato nel signor
Aoba lo stesso
atteggiamento gentile della donna; questa, intanto, si era allontanata,
tornando in camera del figlio, accarezzandogli il volto e sentendolo
ancora
caldo.
Sentì
l’uomo
avvicinarsi alla camera, restando però sull’uscio,
la foto ancora tra le mani.
-...
hanno
divorziato come noi?-
Yayoi
sorrise
amara, sarebbe stato davvero incredibile se, proprio come loro, anche i
suoi
genitori fossero divorziati, sarebbe stata una ripetizione di eventi
clamorosa;
ma lei scosse il capo, parlando a bassa voce.
-Quando
si
scoprì che mia madre era incinta Mamoru la sposò
ugualmente: l’amava, ed era
promesso a lei.-
-…
e tuo padre?-
-Se
ne andò alla
stessa velocità con cui era apparso.-
Lo
disse secca,
infastidita solo al sentirlo nominare.
Jun
si fece
avanti, avvicinandosi alla donna e guardandola negl’occhi,
lei aveva ancora
quell’espressione amara e infastidita, gl’angoli
della bocca che curvavano in
basso e gli occhi leggermente stretti, la pupilla nera era enorme su
quelle
iridi castane.
Argante:
Tu,
del mio cor Reina con dispotico impero,
puoi
dar legge a quest’alma.
Almirena:
Ah!
Non è vero.
Argante:
Vuoi
che questo ferro t’apra il varco a quel seno,
ove
il mio cor trapassi?
Almirena:
Ah!
Nò, tanto non chiedo;
eh!
Ma se m’amassi!
-E
poi? Che
accadde?-
S’inginocchiò
lì
di fronte e le posò, senza pensarci, una mano sopra le sue,
ma lei non distolse
lo sguardo, sciogliendo il fastidio e restando con
l’amarezza, quegl’occhi così
scuri e profondi brillavano, ora, di tristezza.
Prese
un respiro
profondo, il suo petto si alzò leggermente, per poi parlare
con un filo di
voce, rauca.
-Mia
madre …
cadde in depressione post parto, ma nessuno voleva aiutarla,
considerandola una
… una donna non fedele.-
Fedifraga.
Ricordava
ancora
bene quel giorno, quando sua madre litigò con i suoi parenti
e quelli di Mamoru,
subito dopo aver fatto la foto che Jun teneva tra le mani.
Con
una
scusa,Yayoi era stata portata in un’altra stanza, ma le urla
l’avevano
incuriosita, e si era avvicinata alla sala, facendo un piccolo buco
nella
parete di carta di riso e sbirciando da lì; vide sua madre
alzarsi in piedi, i
capelli scomposti dall’acconciatura, e gridava con tutta la
sua forza contro
gli altri. Tuttavia le sue urla non sembrarono fare differenza,
perché un dito
di donna fu puntato contro di lei, e la parola risuonò
violenta.
“-Tu
sei solo una fedifraga,
e sia tu che quella bastarda dovete andarvene!-”
La
violenza di
quelle parole fu tale che ancora adesso, nel ricordarle, Yayoi scosse
leggermente le spalle, e chiuse gli occhi, passandoci sopra la mano
mentre
cercava di riprendersi; quella volta, nel sentire questo, non aveva
avuto
nemmeno la forza di piangere, anche perché sua madre aveva
risposto con
altrettanti insulti, affermando che era pronta ad andarsene.
Quando
aprì la
porta e si vide la bambina davanti, per un istante Yayoi era stata
certa che la
madre avesse cercato di ucciderla con lo sguardo, per poi calmarsi e
prenderla
in braccio, portandosela in camera in assoluto silenzio.
-Yayoi.-
Jun
strinse
leggermente la sua presa sulla mano libera della donna, e questa gli
mostrò di
nuovo gli occhi, senza però riuscire a sorridere, sulle sue
spalle sentiva non
solo il peso del suo passato, ma anche delle conseguenze di quel
segreto,
celato all’uomo davanti a lei.
E
dire che aveva
sempre detto di amarlo, come aveva potuto non dirgli niente? Possibile
che non
si fosse mai fidata di lui?
-Alla
fine, a
causa delle mancate cure, si è tolta la vita.-
Cercava
di
parlarne in modo serio, composto, addirittura professionale. Doveva
dirglielo,
ma non aveva bisogno di mostrare chissà quale debolezza,
dopotutto erano
passati anni, oramai non ne soffriva più o almeno questo si
diceva.
Ma
Jun strinse
più forte la mano, e guardò quasi con cattiveria
la donna seduta lì di fronte,
arrivando ad alzarsi in piedi e ad avvicinare il suo volto a quello di
lei, per
meglio far penetrare il suo sguardo.
-Non
provare a
fare la furba, Yayoi. Non volevi essere sempre sincera con me?-
-Infatti
lo
sono.-
-No,
non lo sei.
Non mi stai dicendo le cose come stanno.-
-Mia
madre è
morta, è un dato di fatto. Ed è un dato di fatto
che è dovuto dalla
depressione.-
-Non
m’interessa
il parere di un’infermiera, voglio sentire Yayoi.-
-E
che cosa
dovrei dirti? Di come mia madre, ogni giorno, mi raccontava di un uomo
che per me
non esiste?-
Parlavano
entrambi a bassa voce, sussurrando, ma la rabbia crescente della donna
era
evidente, e pian piano le sue parole cominciarono a correre nella sua
bocca
mentre si alzava in piedi, affrontando senza remora l’uomo
che aveva di fronte.
-Di
come lei mi
raccontava fino alla nausea il giorno in cui si erano conosciuti? Il
fatto che
mi ha sempre detto che Mamoru non era mio padre, o il fatto che lei non
voleva
farmi uscire di casa, fino a farmi saltare l’asilo? O come
lei mi considerava
prima un effetto collaterale, per poi diventare possessiva nei miei
confronti?-
C’erano
giorni
in cui sua madre la ignorava completamente, fino a quasi spingerla via
se si
avvicinava troppo, o facendola morire di fame quando era più
piccola, perché
non l’allattava, almeno così l’era stato
detto da suo padre e il parentado;
poi, quando era diventata più grande, la donna aveva
cominciato a considerarla
come un’arma, contro Mamoru e i loro parenti, o come il
prezioso ricordo di
quel suo grande amore.
Qualsiasi
cosa,
tranne pensarla come sua figlia.
-Vuoi
che ti
dica di come, quel giorno, ha deciso d’impiccarsi sul
ciliegio di casa? Di
come, per una volta, mi ha trattato come figlia per poi abbandonarmi?!
Vuoi che
ti parli di questo?!-
Per
non urlare
aveva ricacciato tutta la voce in gola fino a diventare davvero rauca,
anche
perché il nodo che, per anni, aveva tenuto in gola, stava
pericolosamente
uscendo fuori, e un semplice pianto non sarebbe bastato a scioglierlo;
Jun lo
intuiva, e per questo si stava preparando, aprendo leggermente le
braccia per
meglio accogliere quello che sarebbe arrivato.
-Si.
Voglio che
tu mi dica tutto questo.-
Per
qualche
secondo Yayoi rimase sconvolta: una risposta del genere non se
l’aspettava
dall’uomo di fronte a lei, era quasi sicura che, con quella
sparata, lo avrebbe
spinto alla ritirata; invece era là che le aveva risposto in
quel modo, e nella
sua visione vagamente distorta gli sembrava che Jun, sul suo volto,
stesse
formando un sorriso di scherno.
No,
questo non
poteva sopportarlo!
-Brutto
stronzo!-
Lo
disse
convinta, andandogli addosso con i pugni, e Jun gli afferrò
i polsi senza
problemi, sentendola però dibattersi e spingerlo, cercando
di fargli perdere
l’equilibrio.
Poiché
erano
troppo vicini ad Hikaru, con il rischio di coinvolgerlo o svegliarlo,
l’uomo si
spostò, mollando subito dopo i polsi di Yayoi, la quale
quasi s’inginocchiò a
terra, tornando però all’assalto dell’ex
marito. Questo si era spinto verso la
parte più lontana della camera di Hikaru, lì dove
c’era l’armadio.
Litigavano,
eppure il rumore che emettevano era tale che Hikaru non pareva
disturbato,
limitandosi a dare loro la schiena e a dormire profondamente.
-Sei
solo un
bastardo, ti prendi gioco di me solo perché mi credi una
stupida debole!
Non
sai niente,
niente di me!-
Jun,
a quel
punto, si arrabbiò con Yayoi: era ovvio che non sapesse
niente di lei, non gli
aveva detto niente! Una cosa così importante non
gliel’aveva mai rivelata, un
po’ come la storia di Hikaru; era una brutta abitudine della
donna, e l’uomo
gliela voleva far passare una volta per tutte, con le buone o con le
cattive.
-Se
non so
niente è perché tu non mi hai mai voluto dire
niente! Mi hai sempre tenuto
nascosto tutto di te!-
-Ma
tu ti sei
mai interessato di me?! No!-
Stavolta
il
pugno sul petto Jun lo sentì fin troppo bene, e rabbioso le
afferrò nuovamente
i polsi; lei, però, era più combattiva di quanto
lui si aspettasse.
-Tu
non mi hai fatto
domande, non ti sei mai interessato, ti bastava che ti facessi
l’infermierina
per stare bene, ti bastava che qualcuno continuasse a pulirti il culo
come
quando avevi tre anni e stavi a posto, no?!-
La
volgarità era
dovuta alla rabbia, ma Jun non ci fece caso, quasi ringhiando rabbioso.
-Tu
però non ti
sei mai lamentata, in fondo ti piaceva non è vero?!-
-Stronzo!-
-Senti
chi
parla!-
La
fece indietreggiare,
girare e poggiare, malamente, spalle e schiena contro il muro accanto
all’armadio, uno spazio piccolo tra il mobile e
l’altra parete.
La
guardò
furioso, dritto negl’occhi.
-Potevi
dirmi
tutto, ogni cosa che ti dava fastidio, che non ti piaceva, che ti
faceva
arrabbiare.-
-Credi
che non
l’abbia mai fatto?!!-
C’era
mancato
molto poco che urlasse, e si morse le labbra guardando verso il cielo,
per poi
abbassare di nuovo il volume.
-Io
ti ho sempre
detto tutto, ma guarda caso tu non te lo ricordi, sempre appresso ai
tuoi
problemi personali e a quel cazzo di pallone da calcio.-
A
questa l’uomo
non riuscì a rispondere, e Yayoi parlò velenosa,
senza distogliere lo sguardo,
smettendola di combattere per la libertà, tenendo
però i pugni serrati.
-Jun
Misugi, tu
sei un viziato, egocentrico egoista, e io l’ho sempre saputo.
Eppure mai,
nemmeno per un momento di tutto il tempo passato insieme, ho pensato di
lasciarti.
È
vero, avrei
dovuto sgridarti, ma non sarei stata migliore di tua madre o del tuo
medico nel
dirti cosa fare o non fare; se poi l’avessi fatto, mi avresti
davvero
ascoltata? Tu ascolti solo chi vuoi tu.
Pertanto
ti ho
lasciato fare, e ho cercato in altri modi di mostrarti che un problema
al cuore
non ti avrebbe impedito di avere una vita sociale.
Tuttavia
non
puoi aspettarti da me la totale sincerità se tu non la
desideri per te stesso,
ti pare?-
Argante:
Della
mia fedeltate qual fia un pegno sicur?
Almirena:
La
libertate.
Argante:
Malagevol
commando!
Almirena:
Amor
mentito!
L’uomo
era
bloccato: da una parte sentiva l’urlo del suo orgoglio
spingerlo a reagire, a
rinfacciarle tutto quello che gli passava in testa. Ma
dall’altra sentiva una
voce nuova, che già da un po’ di tempo aveva
cominciato a parlare dentro di lui;
e quella voce gli stava dicendo che quella donna aveva ragione.
Yayoi
si mosse
per prima, appoggiando lentamente il suo capo al petto
dell’uomo, i pugni
avevano perso forza, e adesso le mani cadevano come morte sui polsi
stretti da
Jun; questo vide quella chioma rossa spargersi su di lui e
sentì, inoltre, il
respiro della donna farsi spezzettato.
La
donna parlò
tra i singhiozzi.
-Dio
… scusami,
scusami Jun … perché …
perché è tutto finito così? Noi
… noi non eravamo
felici? Non ero … non ero quella giusta per te? Io
… io volevo tanto …-
Pian
piano la
ragione ricominciò a farsi strada nel cervello spento di
lei, e si staccò dal
petto dell’uomo, distogliendo lo sguardo e cercando di
sciogliere, dolcemente,
la presa di lui sui suoi polsi; si vergognava profondamente, mostrargli
tutta
quella rabbia e debolezza, scaricargli tutto quello sporco quando lei,
per
prima, gli aveva sempre nascosto la verità.
Rivolse
l’attenzione
al figlio, nascosto da una spalla di Jun.
Hikaru,
adesso
doveva esserci solo Hikaru. Basta con quelle sciocchezze, quelle
speranze; suo
figlio doveva venire prima di tutto.
Tuttavia
l’uomo
non aveva sciolto la presa, e la donna si accorse, sorpresa, che lui
non si era
ancora allontanato.
Alzò
lo sguardo,
e rimase senza parole: tanto quanto lei l’uomo stava
piangendo, delle lacrime
stavano scorrendo dalle sue guance, e tutta la rabbia di prima si era
trasformata in un dolore palpabile, che avvertiva lei stessa.
-Anch’io
…
anch’io lo volevo Yayoi … ma … avevo
paura … ho sempre avuto paura.-
Come
lei. Proprio
come lei.
-Mi
dispiace …
mi dispiace così tanto … non sono …
non puoi perdonarmi …-
Alla
fine mollò
i polsi di Yayoi, e si vedeva chiaramente il segno del suo passaggio:
la pelle
si era arrossata vistosamente. Lui guardò quei segni con
tristezza, e abbassò
il capo sofferente, le lacrime continuavano ad uscirgli
dagl’occhi.
-…
ti perdono.-
Guardò
la donna,
anche lei non smetteva di piangere, le spalle scosse dai singhiozzi.
-Ti
perdono di
tutto. Troppe bugie, troppi errori, troppi problemi non risolti.
Semplicemente
…
non andava bene in quel modo. Ed è finita in quel modo.
È
colpa tua, ed
è colpa mia.-
Si
avvicinò di
un passo, e gli accarezzò il volto, guardandolo
negl’occhi e prendendo un
respiro profondo, riuscendo a sorridere; a quella piega delle labbra
Jun si
sentì confortato.
-Però,
Jun …
sono felice. Sono tanto felice che siamo riusciti a ritrovarci.-
Jun
portò le sue
braccia dietro la schiena di Yayoi e la spinse contro il suo petto,
poggiando
la sua guancia tra quei capelli rossi.
-Anch’io,
anch’io sono felice.-
La
donna,
rasserenata, portò le sue mani dietro la schiena
dell’uomo, e si appoggiò a lui.
Quanto,
quanto
tempo che non abbracciavano qualcuno in quel modo. Sembrava essere
passata
l’eternità in soli cinque anni.
-Mamma
…-
Yayoi
si sporse
dall’abbraccio dell’uomo, e vide Hikaru muoversi e
strofinarsi lentamente gli
occhi, facendole sciogliere la presa e avvicinamdosi, sorridendo, al
letto del
bambino, accarezzandogli la fronte.
-Ehi,
ciao amore.
Come ti senti?-
-Ho
caldo.-
-Bene,
se sudi
la febbre ti scenderà più in fretta. Altro?-
-Ho
sete.-
-Vuoi
l’acqua? O
un succo di frutta?-
-…
succo.-
-Te
lo prendo
subito. Ah, indovina chi c’è a prendersi cura di
te?-
La
donna si
voltò verso Jun, e il bimbo seguì il suo
movimento, sorridendo poi contento,
agitandosi leggermente sul letto.
-Papà!-
Richiamato,
l’uomo si avvicinò subito al figlio, e Yayoi gli
fece posto, dirigendosi in
cucina per prendere la bevanda.
-Ehi,
campione,
ben svegliato. Come ti senti?-
-Bene.-
-Ah
si? E questa
fronte calda?-
Il
bimbo nascose
leggermente il viso sotto le lenzuola, e il padre sorrise intenerito,
arruffandogli dolcemente i capelli, sgridandolo in modo molto bonario.
-Non
si dicono
le bugie, lo sai vero?-
-La
mamma lo
dice sempre.-
-La
mamma ha
ragione. Ma tu sei bravo, vero? Tu non dici le bugie.-
-No,
non le
dice. È un bravo bambino.-
Argante:
E
se ad Armida, oh cara,
nel
procurar al tuo bel pié lo scampo,
note
fien quel fiamme, che per te,
mio
tesor, struggono il core?
Scopo
saremo entrambi d’amor geloso e d’infernal furore;
e
pur mi sento il cor frangere.
Almirena
Dunque,
lasciami piangere.
La
donna si
avvicinò al letto mettendosi accanto a Jun, e
l’uomo subito aiutò il bambino a
mettersi seduto mentre Yayoi gli porgeva il bicchiere con il succo
d’arancia,
facendoglielo bere a piccoli sorsi.
-Piano,
va
bene?-
Il
bimbo bevve
assetato, finendo tutto il bicchiere.
Jun
stava per
rimetterlo sdraiato quando il piccolo cercò la protezione
del suo petto, bloccandolo;
l’uomo non seppe cosa fare e cercò aiuto nello
sguardo di Yayoi.
-Prendilo
in
braccio.-
L’uomo
ci mise
tutta la delicatezza che aveva, sollevandolo dal letto e tenendolo
appoggiato a
sé mentre la donna, velocemente, prendeva la coperta sopra
il copriletto,
mettendola sul bambino in modo da non fargli prendere freddo.
-Ecco,
così
siete a posto. Ne approfittiamo per prendere la medicina amore?-
Il
bimbo annuì,
e la donna guidò i due al bagno, dove c’erano le
supposte di ketoprofene;
all’idea, giustamente, Hikaru fece storie, ma subito suo
padre cercò di
consolarlo e di fargli forza.
-Io
resto qui, e
se ti fa male stringi forte la mia mano, va bene?-
Un
altro si con
la testa, e la piccola mano del bimbo prese quella gigante del padre,
il quale
lo fece sistemare sulle sue gambe mentre Yayoi preparava la medicina,
provando
a scaldare la supposta nelle sue mani.
Furono
i cinque
minuti più difficili dell’intera vita di Jun
Misugi: mai, e ripeto mai si era
immaginato di fare una cosa del genere; guardò Yayoi, e si
sentì sollevato nel
vedere che la donna, al contrario, non aveva problemi, anzi rivelava la
sua
esperienza. Hikaru strinse le dita del padre solo una volta, tenendo
gli occhi
e la bocca serrati.
-Ecco,
ho fatto.
Ora torniamo a letto.-
Stavolta
fu la
donna a prendere in braccio il bambino, e Jun copiò i suoi
movimenti nel
sistemare la coperta addosso al figlio, seguendo subito dopo i due
nella
cameretta.
In
quel
silenzio, l’uomo sentì chiaramente la donna
mormorare una ninna nanna, guidando
il piccolo di nuovo tra le braccia di Morfeo, aiutata anche dal
medicinale; Yayoi
sistemò il bambino e le coperte, e si accorse che, in tutto
quel tempo, la foto
di lei e della sua famiglia era finita a terra, probabilmente era
caduta
durante il litigio.
La
prese in
mano, e la guardò con tristezza; Jun la osservò
lì vicino.
-Jun,
mi spiace per
la scenata di prima. E mi dispiace di non averti detto niente a
riguardo per
tutto questo tempo.-
-…
avevi il
diritto di non dirmelo. In fondo io non te l’ho mai chiesto.-
Lei
annuì ma non
era convinta, uscendo dalla stanza del bambino e facendosi seguire
dall’uomo,
chiudendo la porta per far riposare in pace il piccolo, fino a quel
momento non
avevano fatto altro che disturbarlo, poverino!
Yayoi
tornò al
comò, e di nuovo tirò fuori la scatola laccata
per sistemare la foto in fondo
al cassetto; Jun, questa volta, si avvicinò alla scatola, e
la esaminò mentre
la donna, a quel movimento, s’irrigidì
leggermente, osservando quella mano accarezzare
i decori. Da un lato ebbe l’impulso di nascondere
l’oggetto, dall’altro provò
la curiosità di vedere la reazione di Jun quando
l’avrebbe aperta.
-Che
cos’è?-
-…
aprila.-
Lo
disse con un
filo di voce, ma l’uomo non ci fece caso, aprendo il
coperchio: due anelli
d’oro, di misure diverse. L’uomo ci mise qualche
momento a riconoscere la sua
fede nuziale.
Le
aveva
conservate.
-…
le hai
tenute.-
Lei
annuì,
incapace di dirgli il motivo, era già abbastanza
imbarazzante il fatto che lui
le avesse viste, se gli avesse spiegato che le aveva tenute per
… perché
sperava di …
Chiuse
il
coperchio della scatolina e ripose quest’ultima nel cassetto,
chiudendolo
decisa mentre parlava per riprendere il controllo.
-Lo
so, è
sciocco, ma mi dispiaceva … buttarle.-
Si
era voltata,
e aveva trovato il volto di Jun a pochi centimetri dal suo che la
studiava
attento.
-È
la verità
Yayoi?-
Il
fiato di lei
cominciò a farsi affannoso, quella vicinanza era diversa
rispetto a quella di
prima, in camera del bambino: qui non c’era la rabbia a
guidare i loro
movimenti, e il silenzio che si stava alzando generava, in Yayoi,
impulsi
fisici che controllava a stento, facendo tremare i polsi.
Gli
occhi ancora
arrossati di Jun le facevano venire voglia di togliergli le ultime
lacrime
dalle palpebre, i capelli arruffati la spingevano ad accarezzarglieli e
sistemarglieli, l’aria stanca a toccarlo per controllare
… che stesse bene … e
se scendeva alla bocca i suoi pensieri la portavano ad arrossire, tanto
che
distolse lo sguardo, cercando di rispondergli.
-Io
… io …-
Lo
sentì
prenderle il mento con due dita, e il suo cuore cominciò a
battere così forte
che temeva l’uomo lo sentisse; la obbligò a
portare di nuovo gli occhi verso di
lui.
-Jun
…-
Yayoi
aveva gli
occhi lucidi, in uno sguardo… no, non era spaventato. Era
molto, molto
emozionato
Jun
pensò alla
discussione avuta prima, alla foto, alla tristezza della donna, la sua
rabbia,
il suo dolore; tutte cose nuove di lei, che lui non conosceva. Di
quella donna
non conosceva niente, nonostante gli anni passati insieme, solo la
superficie. Quale
immenso mondo celava dentro di sé?
Voleva
essere l’unico
a scoprirlo e a conoscerlo, perché era un viziato,
egocentrico egoista.
Le
mani di Yayoi
fremevano, sentiva l’istinto di toccarlo; lo fece piano,
temeva che lo avrebbe
allontanato, ma alla fine sentì, con i polpastrelli, la
camicia. Ora le sarebbe
bastato solo alzarsi in punta di piedi. Ma lui come avrebbe reagito?
Jun
sentì quel
tocco, e l’altra mano si mosse sul braccio di lei,
prendendoglielo senza far
male e spingendola verso di lui, adesso gli bastava solo chinarsi un
pochino, e
avrebbe azzerato la distanza.
-…
Yayoi …-
Lei
ingoiò,
senza riuscire a chiudere gli occhi. Lui si avvicinò.
Ma
entrambi si
bloccarono a pochi millimetri dalla faccia: Kumo, sotto di loro, aveva
iniziato
a strofinarsi sulle loro gambe, mordicchiando e usando le unghie con il
piede
di Jun, prendendosela anche con la ciabatta di Yayoi.
Lo
guardarono
entrambi, all’unisono, e ridacchiarono divertiti, sentendo
poi qualcuno bussare
alla porta d’ingresso.
-Ah,
è Sanae.-
-Vai
pure.-
La
lasciò
andare, e prese un profondo respiro.
Almirena:
Lascia
ch’io pianga
mia
cruda sorte,
e
che sospiri la libertà!
Il
duolo infranga
queste
ritorte
dei
miei martiri
sol
per pietà.
Lascia
ch’io pianga
mia
cruda sorte,
e
che sospiri la libertà!
**
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Capitolo 19 *** La Fuga: Toccata e Fuga in Re Minore ***
La
Fuga: Toccata e Fuga in Re Minore
“Alt!!
Questo non è un pezzo di opera lirica!”
Si
lo so, ma la fuga esiste in lirica: se cercate in Falstaff o, ancora
meglio,
nella Carmen, troverete delle fughe (nel secondo caso il coro delle
sigaraie
quando avviene il litigio).
“E
perché non usi quelli?”
I
testi non coincidevano con quello che sto per scrivere. Detto questo
avverto
che siamo prossimi al finale, manca davvero poco!
“Finalmente!”
Siete
spietati ç_ç
Lo
stato di salute di Hikaru spinse
molte volte Jun a tornare da Yayoi, ma non ci fu mai occasione per i
due di
avere un po’ di privacy, o quanto meno di avere il tempo di
scambiare qualche
parola.
La
necessità veniva soprattutto da Jun:
dopo quanto accaduto, infatti, aveva la sensazione che le cose non si
fossero
ben spiegate tra i due, perché vedeva la ex moglie
continuare ad essere si,
gentile e amichevole, ma di tenersi comunque sempre a distanza, quasi
evitando
il contatto fisico. Gli venne il dubbio che il suo tentativo non fosse
stato
ben compreso, doveva chiarirsi.
In
ogni caso non era solo la presenza di
Sanae a disturbare l’uomo: ogni giorno, infatti, i compagni
d’asilo del bambino
andavano a trovarlo, e con la presenza di Kumo i piccoli finivano per
rimanere
più a lungo, e le madri ne approfittavano per chiacchierare
con la donna dai
capelli rossi.
Jun
era sempre spazientito da quella
confusione, anche perché Yayoi doveva occuparsi di Hikaru, e
poi non vedeva il
motivo per cui quegl’estranei rimanessero più a
lungo del dovuto.
-Si
chiama “creare utili rapporti”, e
sarebbe giusto che anche tu lo facessi un pochino.-
-Non
ne vedo la motivazione.-
La
donna sbuffò, avvicinandosi alla
camera del figlio, il bambino in quel momento si stava facendo
imboccare dal
padre, anche se gran parte del passato era sul bavaglino del malato, e
sul suo
muso; tuttavia l’uomo era concentratissimo
nell’azione, e così il bambino aveva
gli occhi fissi sul genitore.
A
Yayoi, nel vedere la scena, le
scappava da ridere, e incrociò le braccia restando
sull’uscio.
-Ti
assicuro che è molto più utile di
quanto sembri: ad esempio sono venuta a sapere che alcuni dei compagni
d’asilo
di Hikaru andranno alla sua stessa scuola elementare, così
potrà ritrovare i
suoi amichetti.-
-Anche
Makoto?-
-Si
tesoro, anche Makoto: sua madre
abita non molto lontano da qui.-
-Evvai!-
-Ah
Hikaru fermo, se no sbrodoli sul
letto.-
-Come
se non fosse già sporco di suo.-
La
donna, nel frattempo, si era
avvicinata ai due, e con l’ultima frase si era sporta verso
Hikaru, pulendogli
la faccia con un lembo del bavaglino ancora pulito; nel fare questo
movimento
la sua coda di capelli rossi sfiorò le dita e le mani
dell’uomo seduto lì
vicino, facendogli salire l’impulso di afferrare quei
boccoli, e per trattenersi
strinse con più forta il cucchiaio e il piatto, tanto che le
nocche tremarono
leggermente.
-Ecco
fatto. Tra te e papà chissà chi è
il più sbrodoloso, eh?-
-Papà!-
-Ehi!-
Madre
e figlio si voltarono all’unisono,
sorridendo divertiti. Alla fine anche il padre sorrise, non riusciva a
resistere a nessuna di quelle due espressioni da briganti.
-Yayoi?-
La
donna alzò il capo, Sanae la stava
chiamando dall’uscio della camera, facendole un cenno con il
capo;
immediatamente Yayoi le si avvicinò, ricordandosi che quella
notte la sua amica
sarebbe partita.
-Hai
già preparato tutto?-
-Si,
tanto non avevo molto bagaglio.-
-Sei
proprio sicura che non puoi
restare?-
-Scherzi?
Sono sciura che quando
rimetterò piede in casa sarò sommersa dai
disastri di quei quattro!-
La
donna dai capelli rossi sorrise,
divertita all’idea, effettivamente quando aveva fatto il suo
viaggio a
Barcellona si era scontrata con la realtà colorata e
chiassosa di casa Tsubasa,
impressionandosi ma anche divertendosi molto.
La
bruna, poi, abbassò leggermente il
tono di voce, sporgendosi in avanti.
-E
poi è ora che mi levi dalle scatole,
altrimenti chissà quando avrete un momento per voi due, eh?-
Yayoi,
quando l’uomo era tornato a casa
sua, le aveva parlato della litigata avuta quel pomeriggio, senza
entrare nei
dettagli di quello che era accaduto dopo, accennando solo al fatto che
aveva
visto le fedi; da quel momento Sanae aveva osservato con maggiore
attenzione i
movimenti dei due, a volte arrivando a disturbare, perfidamente, il
silenzio
che si creava, sorridendo sotto i baffi nel vedere Jun innervosirsi e
cercare
di trattenersi dal lanciarle qualche occhiataccia.
Aoba
arrossì leggermente, cercando
subito di battere in ritirata.
-Ma
che dici!-
-Yayoi,
parliamoci chiaro: io non
perdono quello che ha fatto Jun, così come non perdono
quello che hai fatto tu
di conseguenza.-
Sanae
incrociò le braccia, guardando
storta l’amica, la quale chinò leggermente il
capo, le dita cominciarono a
giocare nervosamente fra di loro. A quell’atteggiamento la
bruna sospirò,
ammorbidendo il tono delle sue parole.
-Tuttavia,
nonostante siano passati
cinque anni, sembra proprio che non riuscite a fare a meno
l’uno dell’altra.-
-…
ed è un bene questo?-
Yayoi
non rialzò lo sguardo da terra, ma
le dita smisero di giocherellare, suscitando l’interesse
della bruna. E questa
rimase colpita dall’espressione della donna di fronte a lei.
Solitamente,
quando si trattava di Jun,
la rossa arrossiva, sorrideva, si preoccupava, piangeva, ma questa
volta aveva
un’espressione cupa, triste … persino dubbiosa.
Teneva gli occhi bassi, e si
limitò a lanciare un’occhiata alla stanza dove si
trovavano i due, poteva
sentire Hikaru parlare.
-…
non voglio pensare a nessun altro che
a mio figlio.
Lo
so, tu pensi che io e Jun … ma no,
non è possibile. E in ogni caso non ha funzionato prima, non
credo funzionerà
ora.-
-Yayoi
…-
-In
fondo non si dice che la minestra
riscaldata due volte non è mai buona?-
-Che
cosa vuoi dire?-
-Voglio
dire che quello che è successo,
qualche giorno fa, è stato solo perché eravamo
presi … dagl’eventi. In realtà
non credo d’interessare a Jun.-
-Spero
tu stia scherzando.-
-Sanae,
l’hai detto anche tu: fosse
stato interessato mi avrebbe cercata in questi cinque anni. Non
è possibile
che, di punto in bianco, le cose cambino.-
-Però
non puoi negare che in questi,
quanti? Due mesi? Non sia successo niente!-
-È
sempre riguardato Hikaru, e solo lui.
Quello che riguarda noi due … oramai è passato.-
-Ma
sei davvero convinta di questo? E il
desiderio di fargli conoscere Hikaru? Le fedi? Le foto? -
Yayoi
si morse il labbro inferiore,
stavolta le mani si stringevano tra loro con forza, fino a tremare
leggermente,
gli occhi bassi ancora rivolti a quella stanza. Sanae la
guardò preoccupata,
aspettando una sua risposta.
Alla
fine usò un tono di voce basso,
così diverso dalla sua solita voce; sembrava nascere dalla
parte più buia di
lei, quell’angolo che nemmeno la sua cara amica conosceva.
-Io
non voglio essere come mia madre:
non voglio ossessionarmi per qualcuno che non mi desidera, e che me lo
ha fatto
comprendere tempo fa. Ciò che interessa a Jun è
solo il bene di suo figlio.-
-Ma
che dici!-
-Dico,
Sanae, che la priorità è Hikaru:
il bene di mio figlio prima di tutto. E a mio figlio serve suo padre.
Non gli
serve un uomo per me.-
Questa
volta la donna aveva alzato,
decisa, la testa, e guardava dritta negl’occhi
l’amica, rivelando tutta la sua
paura: quello che era successo qualche giorno prima l’aveva
scossa, e
parecchio. Se da una parte il parlare a Jun l’aveva aiutata a
mettere in chiaro
tutto quello che era successo fra di loro, dall’altro
l’atteggiamento dell’uomo
l’aveva spinta a rivalutare bene tutto quello che aveva
ottenuto in questi
cinque anni lontana da lui: un figlio, un lavoro, e adesso finalmente
una casa
e un po’ di stabilità economica.
Tentare
con Jun significava di nuovo
rischiare di buttare tutto all’aria, senza contare che
l’uomo, probabilmente,
si stava facendo prendere dalla foga del momento, come gli succedeva
sempre in
quei casi: non sembrava, ma era molto passionale, e con tutti gli
avvenimenti
che gli stavano piombando addosso, probabilmente, si stava facendo
prendere la
mano. Il tempo di abituarsi alla nuova realtà, e
l’uomo si sarebbe di nuovo
stancato di lei.
Come
sempre Yayoi doveva essere la
razionale dei due, mettere dei paletti, cercare di far concentrare
l’uomo
soltanto sul figlio. Perché era quello ciò che
contava di più al momento:
Hikaru.
Sanae
guardò l’amica, osservandone gli
occhi decisi, e prese un profondo respiro, tenendo le braccia
incrociate.
-Mi
pare di capire che sei convinta
della tua decisione, pertanto non andrò avanti in questa
discussione.-
L’altra
la ringraziò con un piccolo
cenno del capo, mantenendo però l’espressione un
po’ dura.
-Cambiando
discorso, oggi vai da
Matilde?-
-Si,
ho appuntamento alle sei, dopo il
turno. Chiederò a Jun di rimanere con te, cerco di tornare
il più presto
possibile.-
E
così dicendo la donna si mosse verso
la sua stanza, iniziando a prepararsi mentre la bruna la guardava
dubbiosa, e
dire che sembrava essersi così lanciata verso questa nuova
situazione, adesso stava
pericolosamente tornando sui suoi passi; sinceramente, temeva che
cadesse di
nuovo nella depressione.
Quando
l’aveva vista, in quel periodo,
si era davvero spaventata: era dimagrita molto di viso, nonostante la
gravidanza, e sembrava non essere più in grado di compiere
le azioni più
semplici, nemmeno sorridere; l’aveva trascinata a asa sua, a
Barcellona, quasi
di prepotenza, per farle riprendere un po’ le forze, ma non
era riuscita a
restarle accanto durante il trasferimento dal padre.
Era
stata presente quando aveva ammesso
di non stare bene, e anche nel suo percorso per uscirne e partorire
senza
problemi, e ancora dopo, e sembrava essersi finalmente ripresa.
Ora
aveva di nuovo quell’atteggiamento. Chissà
cosa aveva combinato quello stupido. Perché di sicuro era
colpa sua!
Yayoi,
prima di uscire, tornò nella
stanza del bambino, questo e Jun stavano giocando con un gioco da
tavola, e
sembrava che il piccolo stesse vincendo.
-Si!-
-Ah,
sei troppo bravo.-
-Ehi,
voi due, andateci piano, o gli si
alza di nuovo la febbre.-
-Ma
no tranquilla, facciamo i bravi,
vero Hikaru?-
-Si
si.-
La
donna accarezzò i capelli del figlio
sorridendogli tenera, constatando ancora una volta che la sua fronte
era molto
più fresca rispetto ai giorni scorsi, oramai era quasi
guarito.
Il
bimbo guardò la madre con aria
seriosa, il sorriso gli scomparve velocemente.
-Vai
via mamma?-
-Solo
per un po’: devo andare a lavoro,
e poi devo andare dalla mia dottoressa.-
-Ma
stasera torni?-
-Certo
che torno amore, promesso.-
E
la donna diede un bacio al figlio,
accarezzandogli il volto e parlandogli un con sorriso tranquillo.
-Non
sarai solo: ci saranno la zia Sanae
e papà, si prenderanno cura di te. Giusto papà?-
Yayoi
si voltò tranquilla verso l’uomo,
chiamandolo in quel modo; il nomignolo fece venire un brivido di
piacere lunga
la schiena di Jun, e lui annuì, accarezzando a sua volta i
capelli del figlio.
Al
gesto, la donna si scostò in modo
evidente, ma l’uomo non poté dirle niente,
concentrandosi sul bambino.
-Resterò
tutto il tempo qui con te,
vedrai ci divertiremo.-
-Mi
raccomando, prendi le medicine e
resta a letto, va bene?-
-Ancora
a letto?-
-Lo
so che sei annoiato amore, ma
resisti: se domani la febbre è ancora bassa, ti prometto che
puoi scendere dal
letto. Ce la fai per domani?-
Il
bimbo annuì, e la donna gli diede un altro
bacio, alzandosi e muovendosi verso l’ingresso, seguita
subito dopo dal padre,
che scambiò un occhiolino con il figlio, prima di rivolgersi
alla donna.
-Per
che ora torni?-
-Se
tutto va bene per le nove avrei
finito. Sanae parte da qui alle otto e mezza per andare
all’aeroporto.-
-Va
bene.-
-Per
la cena te la sai cavare?-
-Scherzi?
Sono un ottimo cuoco!-
La
donna sorrise, scuotendo la testa
poco convinta, infilandosi le scarpe mentre Jun la guardava
dall’alto del
gradino d’ingresso.
-Allora
… ci vediamo dopo?-
Ci
vediamo dopo … era una di quelle
frasi che solitamente era la donna a dire all’uomo, quando
questo usciva per
andare a lavoro; sentirsela dire proprio da lui la stupiì,
facendola voltare
indietro, per guardarlo.
Lui
sorrise, leggermente imbarazzato.
-Sai,
è una sensazione strana: sembra
quasi che ci siamo scambiati di ruolo.-
La
donna si fermò, guardando l’uomo
sorpresa di quelle parole: scambiarsi … di ruolo? In che
senso?
Non
sapeva perché, ma l’idea la metteva
a disagio. Pertanto si limitò ad annuire, dando nuovamente
le spalle a Jun.
-Si,
è strano.-
Lui
notò questa nuova reazione, ma non
poté dire niente che la donna era già uscita di
casa, lasciandolo in piedi di
fronte alla porta; lentamente, si mise le mani nelle tasche dei jeans,
rimanendo a guardare la porta lì di fronte, attirando
l’attenzione di Sanae,
tornata per un momento nella sua stanza.
-Tutto
ok?-
-…
Yayoi ti ha detto qualcosa?-
La
bruna guardò colpita l’uomo lì di
fronte, per poi sorridere divertita.
-Siamo
diventati intuitivi, eh Jun?-
A
quel commento l’uomo chinò il capo
imbarazzato mentre la donna si dirigeva in cucina, decisa a preparare
qualcosa
da mangiare dato che l’ora di pranzo si avvicinava
velocemente.
-Comunque
mi dispiace, non posso
dirtelo: dev’essere lei a parlare, dopotutto si tratta di te
con lei, no?-
-Ah,
a tale proposito … grazie delle
foto.-
-Sono
belle, vero?-
Lui
annuì mentre la bruna sorrideva
soddisfatta, tagliando le verdure mentre aveva acceso la pentola per il
riso,
chiacchierando mentre cucinava, le sue mani si muovevano veloci.
-Tenni
Yayoi con me per almeno un mese.
Ma purtroppo il cambio d’aria non bastò per farla
tornare subito a posto.-
-Cioè?-
La
donna si fermò dalla sua attività,
prendendo un profondo respiro prima di parlarne all’uomo alle
sue spalle.
-Vedi,
Yayoi ha sofferto di depressione
pre-parto.-
Jun
non era fatto per le malattie
mentali, era una frase che spesso gli diceva Matilde: essendo uno
sportivo era
in grado di poter guarire al meglio i pazienti che avevano problemi
fisici, e
nessuno era migliore di lui, lo sapevano tutti in clinica. Ma per la
sua natura
mancava della capacità di comprensione nei confronti di
tutti quei pazienti che
non avevano uno strappo muscolare o un appendicite; sapeva che non
stavano
bene, ma non lo capiva davvero.
Ora,
quando Sanae gli disse quelle parole,
la sua mente non le comprese subito; poi, in un breve momento di
silenzio,
l’uomo ripensò ad una delle spiegazioni che la
psicologa gli fece a proposito
della depressione.
“-Immagina
una stanza buia. Non vedi niente, giusto?
Non vedi i muri, gli angoli o il pavimento. Prova a camminare in quella
stanza,
e ti accorgerai che lo spazio è distorto: le distanze che
conosci non le percepisci,
tutto sembra più lontano o vicino, e rischi di farti del
male, perché non sai
dove stai andando.
Ecco,
una persona depressa vede così il mondo: non
sa cosa sta facendo, non ne trova più il motivo per farlo,
la forza che aveva
l’ha persa.
In
realtà questa è una spiegazione semplicistica.
C’è molto più, in
quell’oscurità, che in una mente piena di luce e
vigore …-”
Pensò
a Yayoi, incinta, e al giorno del
divorzio; provò a immaginare quel giorno
negl’occhi della donna, e lo vide
tutto grigio. E poi, lentamente, la vista si offuscava sempre di
più.
Sanae
gli stava dando la schiena mentre
raccontava, perciò non vide l’espressione
dell’uomo: mano a mano che continuava
con quella specie di esercizio, il suo sguardo s’incupiva
sempre di più.
-Era
al sesto mese quando ci fu la crisi
più forte: il fattore scatenante, secondo lo psicologo, fu
il trasferimento
dalla vostra casa a quella di suo padre, e il fatto che doveva
restituirti
tutti i tuoi oggeti.
Devo
essere sincera: ho temuto che
facesse una sciocchezza.-
-Tipo
… tipo abortire?-
Silenzio
assenso.
L’uomo
chiuse gli occhi, e quando li
riaprì era di nuovo nella cucina, con davanti
agl’occhi la schiena, si era
voltata per riuscire a vederlo con la coda dell’occhio, prima
di tornare alla
sua azione. Continuò a parlare, tagliando le verdure.
-Però
Yayoi è più tenace di quanto
pensi: seguì le sedute, portò avanti la
gravidanza e fece nascere Hikaru.-
-…
tu sapevi delle sue difficoltà
finanziarie?-
-Si,
anche fin troppo bene: ho cercato
più di una volta di aiutarla, ma si è sempre
rifiutata, voleva farcela da sola.
Si è sempre sentita … dipendere da te.-
Ma
chi era davvero quello o quella che
dipendeva dall’altro?
Nella
testa di Jun i ruoli si erano
davvero scambiati: adesso era lui che era seduto su quella sedia, in
cucina,
aspettando che il tempo passasse e che lei tornasse a casa, per essere
certo …
che fosse davvero lì.
-Papà!-
La
voce di Hikaru arrivò fino in cucina,
spingendo l’uomo ad alzarsi in piedi mentre Sanae gli
sorrideva.
-Dai,
va da tuo figlio. Ti chiamo quando
è pronto il pranzo.-
-Si,
ti ringrazio.-
La
bruna sospirò, guardando quella
figura alzarsi e incomminarsi; lo fermò giusto prima che
scomparisse dall’uscio
della stanza.
-Jun!-
-Si?-
-…
Yayoi … lei ha sempre avuto il vizio
di non dire sempre quello che pensava o sentiva, ma non lo fa sempre
perché non
si fida degl’altri, anzi se potesse offrirebbe cuore e anima
a chi vuole bene.-
Sanae
aveva l’aria afflitta nel parlare
di questo, un’espressione che era raro trovare in quel volto
sempre energico.
Gli rivolse lo sguardo, e Jun capì che quelle parole erano
rivolte in
particolare a lui. E a nessun altro.
-Però,
ecco, lei ha sempre avuto paura
di essere come sua madre: possessiva, tremendamente fragile, incapace
di andare
avanti. Per lei è un’ombra scura, e per quanto si
sforzi non credo possa
riuscire, da sola, a superarlo.-
-Mi
stia chiedendo di aiutarla?
Davvero?-
Sorrise
amara, lanciando anche
un’occhiata incattivita.
-Non
ho mai perdonato nessuno dei due
per quello che avete fatto, ma mi rendo conto che avevate i vostri
motivi. Ora
però avete un’altra occasione, e Yayoi sta
tornando sui suoi passi,
nascondendosi dietro al fatto che Hikaru ha solo bisogno di un padre e
di una
madre.
Ma
non sarebbe meglio per Hikaru avere
due genitori che non solo lo amano, ma si amano tra di loro?-
La
domanda restò sospesa nel silenzio
per qualche secondo, Jun stava stringendo con la mano l’uscio
della cucina,
vibrando a quelle parole: un’altra occasione per entrambi,
c’era davvero, lo
sapeva. Non doveva farsela scappare.
-Papà
…-
L’uomo
si voltò, e vide suo figlio in
piedi, lontano dal letto, con addosso il pigiama e a piedi nudi sul
pavimento;
lo prese velocemente in braccio, sollevandolo in aria.
-Ehi,
campione, che ci fai qua? La mamma
non ti ha detto di stare a letto?-
-Ti
ho chiamato e non venivi.-
-Hai
ragione, scusami piccolo, ma adesso
sono qui.
Allora,
torniamo a giocare?-
Il
bimbo annuì, abbracciando il padre
mentre questo ricambiava, trasportandolo in camera mentre Sanae si
sporgeva a
guardare la scena.
-Papà.-
-Dimmi
Hikaru.-
-Tu
e la mamma vi volete bene, vero?-
L’uomo
si fermò un momento, poi posò il
figlio nel letto, rimboccandogli le coperte.
-Certo
campione, ci vogliamo molto
bene.-
-Allora
verrai a stare con noi?-
Jun
si bloccò di nuovo, sedendosi molto
lentamente sul suo sgabello, osservando il bambino preparare le carte
per la
partita, aveva deciso di cambiare gioco.
-…
beh, prima bisogna chiedere il
permesso alla mamma. Se lei dice che va bene, mi farebbe davvero
piacere.-
-Allora
quando torna glielo chiediamo!-
-Va
bene campione. Ora gioca, tocca a te
pescare.-
Il
bimbo tenne le sue cinque carte in
mano, le dita erano così piccole in confronto.
Tuttavia
si distrasse un momento,
guardando fuori dalla finestra; accanto a lui l’uomo
notò il movimento, seguendo
lo sguardo.
La
pioggia cominciò a picchiettare sulla
finestra della camera.
-Ah,
si è messo a piovere.-
-La
mamma avrà l’ombrello?-
-Hai
un ombrello Yayoi?-
-No,
ma aspetterò che smetta.-
-D’accordo.-
Come
sempre, Matilde tirò fuori il suo
registratore, accendendolo e poggiandolo sul tavolinetto fra loro due.
Quel
giorno iniziò subito a parlare, senza aspettare che la
paziente si
tranquillizzasse.
-Come
sta Hikaru?-
La
rossa rimase sorpresa dalla domanda.
-Bene,
grazie, ma come fai a saperlo?-
-Ah,
intuizione: ho visto Jun, qualche
giorno fa, sfrecciare giù dalle scale con aria molto
preoccupata, a momenti
investiva me e un’infermiera.-
Yayoi
sorrise divertita, immaginandosi
la scena e ricordandosi che, anche al liceo, Jun faceva di pazzie
simili, rischiando
sempre di travolgere insegnanti e studenti, una volta il professore di
fisica
provò ad inseguirlo per fermarlo, a momenti si rompeva una
caviglia!
-Dunque
adesso Hikaru sta bene?-
-Si.-
-Immagino
che Jun sia venuto spesso da
voi.-
-Praticamente
tutti i giorni.-
-Il
bambino sarà stato contento.-
-Si,
delle volte temevo che la febbre
gli tornasse su per l’agitazione.-
-E
tu? Sei contenta?-
L’impulso
del suo corpo fu frenato
bruscamente, e Matilde lo vide benissimo, cominciando a studiare il
soggetto:
doveva essere successo qualcosa di forte, vedeva Yayoi metterci
più tempo nel
rispondere, essere sulle spine.
-Certo
che lo sono.-
-Ne
avete approfittato per parlare?-
Ancora
più sulle spine, probabilmente si
erano parlati davvero.
-Beh,
abbiamo chiacchierato. Lui … lui
mi ha detto che ha ritrovato delle vecchie foto di noi da piccoli.-
Stava
cercando di sviare il discorso
della psicologa verso un altro argomento; Matilde decise di seguire il
tentativo della donna, pronta ad usare la prima buona occasione.
-Che
bello, e che foto erano?-
-Ah,
principalmente dei nostri anni
scolastici, quando ci siamo conosciuti da piccoli fino
all’Università.-
-Wow,
sono molti scatti!-
-Già,
mio padre ci teneva a farci tante
foto.-
-È
sempre stato presene immagino.-
-Per
quanto poteva si, lo è stato.-
-Ha
mai parlato con Jun?-
Riuscì
a far venire un dubbio nella
mente di Yayoi, la vide alzare lo sguardo e rivolgerle
un’occhiata stupita,
prima di rispondere.
-Beh,
si, credo di si. Non ero presente
in quei momenti.-
-Allora
credi che Jun sia venuto a
sapere di tua madre da lui?-
La
donna dai capelli rossi gli rivolse
un’occhiata un po’ offesa, sapeva perfettamente che
era stata la psicologa ad
accennare a Jun di sua madre. Matilde, però, voleva una
risposta.
-No,
a mio padre non piace parlare di
questo.-
-Per
tuo padre dev’essere stato
difficile.-
Yayoi
ripensò al funerale, e ricordava
chiaramente che suo padre le teneva la mano e che il suo volto era
tranquillo.
Certo triste, ma non sofferente.
-…
si, lo è stato.-
-Non
ti vedo convinta, perché?-
Quella
sera avrebbe scavato più a fondo
in quell’oscurità, fino a toccarne il fondo.
Di
reazione, la paziente strinse
leggermente le mani tra di loro, gli occhi erano rivolti in basso, la
memoria
le stava mostrando le immagini di quel funerale, fatto di fiori e
persone che
erano davanti a lei, rivolgendole quegl’odiosi sguardi di
pietà.
Lei,
allora, alzava lo sguardo verso il
padre, e lei ricambiava, arrivando perfino a sorridere e ad
accarezzarle la
testa.
-…
mio padre è una persona riservata:
non mostra mai le sue emozioni, e lo fece anche allora.-
-Quindi
dici che, in realtà, soffriva?-
Continuava
a non essere sicura di dire
“si”; l’espressione negl’occhi
dell’uomo era stata troppo tranquilla. Come se …
un pensiero sfrecciò nella mente della donna, bloccandola
per un momento, e
mille più dubbi cominciarono a gonfiarsi nel suo cervello.
Matilde,
notando il mutamento, la
richiamò a sé.
-Yayoi.-
La
donna alzò lo sguardo, e cercò di
rispondere.
-Ah
si, credo di si.-
Ma
non ne fu mai certa.
Ma
Matilde non le lasciò il tempo di
pensarci, perché approfittò di quella debolezza
per attaccare. A scopo
terapeutico, si capisce.
-Tu
credi che l’amasse tua madre, tuo
padre?-
L’insinuazione
mise subito Yayoi
sull’attenti, e la donna rispose come se avesse voluto
tagliare la lingua della
dottoressa con le sue parole.
-Si,
certo.-
-E
lei ha mai provato affetto per lui?-
Questo
frenò la sicurezza della donna,
la quale però si chiuse nell’orgoglio nei
confronti della psicologa.
-Si,
ne sono sicura.-
La
risposta fece sorridere leggermente
Matilde, la quale cercò una breccia in quella corazza.
-E
secondo te perché si è uccisa? In
fondo aveva l’amore di suo marito.-
Non
aveva usato zucchero, non aveva
indorato la pillola, perché aveva capito che quel modo di
fare portava la
paziente a chiudersi in sé, dato che le dava fastidio
qualsiasi cosa
assomigliasse alla pietà.
Yayoi
si morse il labbro inferiore, le
sue mani cercarono l’appoglio dei braccioli della
poltroncina. Per Matilde fu
come se avesse abboccato un pesce enorme al suo amo, ma non le bastava:
voleva
andare ancora più a fondo.
-…
non lo so.-
-Non
credi che fosse per tuo padre? In
fondo la vostra non era una situazione facile, e in questi casi capita
di
mescolare l’amore con la pietà.-
Fu
come se avesse sparato un colpo di
cannone in mezzo ad una landa desolata, e il rumore riecheggia per
molto tempo.
L’occhiata
che ricevette da Yayoi era
tale che avrebbe potuto congelare tutta la stanza e poi farla a pezzi;
ma gli
occhi di Matilde, al contrario, brillarono entusiasti, era risucita a
toccare
il nervo scoperto della donna. Questa, infatti, gli rispose con voce
bassa e
ostile.
-Mamoru
ha amato sinceramente mia
madre.-
-E
nei tuoi confronti? Amava anche te.-
-Si.-
Decisa,
bassa, dura.
-Se
è così perché lo chiami per nome? Te
lo ha chiesto lui?-
Stavolta
non arrivò nessuna risposta, e
Matilde andò più a fondo.
-È
stata una tua scelta?-
Silenzio
assenso.
-Perché
Yayoi? Pensi che non fosse un
buon padre per te?-
-Era
il miglior padre che potessi
avere!-
La
reazione fu più violenta delle altre,
alzò perfino la voce nel tenttivo di far tacere la donna
davanti a lei; Matilde
sentiva di essere molto vicina al fondo, e osò ancora di
più, iniziando a fare
una serie veloce di domande.
-Come
Jun?-
-Si
…-
-Dici
che è un buon padre per Hikaru?-
-Certo
che lo è!-
-Però
non ti ha cercato in questi anni,
giusto?-
-L’ho
voluto io!-
-Davvero?-
-Si!-
-Non
volevi che conoscesse suo figlio?-
-No!-
-Allora
lo volevi o non lo volevi?-
-Lo
volevo! È suo figlio!-
-Lo
volevi solo per Hikaru?-
-Io
…-
Yayoi
si frenò, rendendosi conto di dove
sarebbe andata a finire con le sue parole, ma Matilde non gli permise
di
restare muta a lungo ,a costo di risultare offensiva.
-Lo
volevi solo per Hikaru?-
-…-
-Allora
lo volevi per qualche altro
motivo. Ti serviva aiuto? Problemi finanziari? In fondo lui
è benestante.-
-Non
era per questo!-
Scattò
in piedi irritata, ma Matilde
insistette.
-E
allora per cosa? Volevi vederlo?-
-Si,
lo volevo!-
-E
perché, in fondo vi siete lasciati di
comune accordo, no?-
-Mi
mancava.-
-Come?
Non ho sentito.-
-Mi
mancava maledizione! Che lo devo
gridare?-
-Ti
mancava? E allora perché non l’avevi
sentito prima.-
-Io
… io …-
-Allora
non ti mancava davvero.-
-Si
che mi mancava, da morire!-
-Perché
non l’hai chiamato prima allora?-
-PERCHE’
NON SAREI PIU’ RIUSCITA A
LASCIARLO ANDARE! LO AMO!!-
Lo
urlò con tutte le sue forze, e le
lacrime le scapparono dagl’occhi.
Tuttavia
per Matilde non bastava, aveva
rotto solo metà del coperchio di quella scatola.
-Perché
non lo avresti più lasciato
andare?-
-…
io …-
-Tu
cosa, Yayoi?-
Piangeva,
singhiozzava anche forte, ma
la psicologa non l’avrebbe lasciata scaricarsi fino a quando
non avrebbe
parlato e tirato fuori tutto.
-Hai
paura che ti abbandoni?-
Scosse
la testa.
-Che
ti odi?-
Annuì.
-Perché?-
-…
perché sono come mia madre.-
Lo
aveva detto. Finalmente.
La
vedeva in piedi, in lacrime, con i
pugni stretti, e Matilde vide tutta l’oscurità
uscire fuori da quel corpo,
impedendole quasi di respirare. Al tempo stesso però,
proprio perché si erano
rotte le sue barriere, la donna stava continuando a parlare, anche se
faceva
fatica con gli singhiozzi che le mozzavano il respiro.
-…
per anni mia madre … ha inseguito il
ricordo di un uomo che … non è mai tornato a
prenderla; mi è stato detto che
non mi voleva … che non mi nutriva … ma al tempo
stesso lei aveva una tale cura
di me … e il giorno in cui è morta …
mi ha anche chiesto scusa … mi ha detto …
che non era adatta a farmi da madre … che si scusava
… mi ha anche abbracciata
… ed io … io non capivo …-
Matilde
sospirò, appoggiando la schiena
sulla poltrona, sistemandosi gli occhiali sul naso, ne aveva sentiti
diversi di
casi come questo, ma ogni volta era dura avvertire quel flusso di
emozioni
negative.
-Io
… ho amato … e amo profondamente Jun
… ma non posso sperare che torni, con tutti gli sbagli che
abbiamo fatto.
E
Hikaru … è mio figlio, sono sua madre,
e voglio sempre dimostrargli che lo amo, sempre. Ma sono single, con un
reddito
basso, che ha meno garanzie di dare al proprio figlio
stabilità, come invece
può fare Jun.-
-Quindi
dici che, in caso, tu lasceresti
che Jun ti portasse via tuo figlio?-
La
donna annuì. Matilde si sporse verso
di lei, la sua faccia non era per niente convinta di quelle parole.
-Cosa
vuoi davvero, Yayoi? Cosa DAVVERO vuoi
tu?-
La
donna prese un profondo respiro, e si
vedeva che si rifiutava di dirlo. Matilde insistette, alzandosi in
piedi per
avvicinarsi e insistere per farglielo sputare fuori.
-Dillo
Yayoi! Dillo cosa vuoi! Dillo!-
L’altra
cercava di allontanarsi ma la
psicologa, senza toccarla, le stava addosso, confondendola e
attaccandola con
quella semplice parola.
-Dillo,
dillo Yayoi. Avanti dillo!-
Alla
fine la rossa le urlò contro,
arrivando quasi a spingerla via pur di farla allontanare.
-Voglio
Jun con me, voglio Hikaru con
me, li voglio tutti e due con me! Tutti e due!-
-E
quanto sei disposta a fare per
questo? Quanto?!-
-Darei
la vita per questo!-
-E
perché lo faresti? Perché?-
-Perché
li amo entrambi!-
-E
ne sei fiera?!-
-Certo!
Ne sarò sempre fiera! Io amo mio
figlio Hikaru e amo Jun Misugi!-
A
quel punto cadde il silenzio; le due
si guardarono negl’occhi, prendendo fiato dato che avevano
praticamente
litigato, restando ferme nelle loro posizioni; alla fine, Matilde
tornò al
tavolino, prendando il registratore e portandoselo alla bocca, parlando
con
aria tranquilla.
-Questa
è l’ultima registrazione della
paziente Yayoi Aoba. Ritengo che possano concludersi qui le sedute.-
La
rossa la guardò sorpresa, ancora con
le lacrime agl’occhi e l’altra chiuse il
registratore, alzandosi in piedi e
mettendosi le mani sui fianchi, parlando con voce sfiancata
all’altra donna.
-Tu
non sarai mai come tua madre, Yayoi:
lei, per amore, è morta. Tu, per amore, vuoi vivere,
ficcatelo bene in testa. E
se io non ti convinco, beh, spero che almeno Jun ci riesca.-
E
dopo aver detto questo la psicologa si
portò alla scrivania, sedendosi sulla sua sedia, togliendosi
gli occhiali per
massaggiarsi gli occhi; per tutto il tempo, la rossa rimase a guardarla
stranita.
-…
Puoi andare ora Yayoi.-
A
quel punto la rossa si svegliò, e
velocemente si asciugò gli occhi e prese la sua borsa e la
giacca, fermandosi
sull’uscio della porta: lentamente, con
un’espressione grata, la donna fece un
ultimo inchino, chiudendo in seguito la porta dietro di sé.
Quando
fu sola, Matilde sbuffò
sonoramente, guardando il nastro del registratore.
-…
di questo che me ne faccio?-
Yayoi
uscì di corsa dalla clinica, e si
rese conto di due cose: prima di tutto che stava ancora piovendo, e di
sera la
pioggia le dava ancora più malinconia. La seconda cosa era
che Jun Misugi era
lì che la stava aspettando, sotto un grande ombrello.
Era
più sorpresa che mai.
-Jun
…-
Lui
l’accolse con un sorriso.
-Eccoti
qui.-
-Che
ci fai qui?-
La
donna si avvicinò all’uomo, e questo
le porse l’ombrello, facendo in modo che non si bagnasse.
-Sanae
mi ha detto che eri uscita senza
ombrello, e così ho pensato di venirti a prendere.-
-Ma
Hikaru?-
-C’è
ancora Sanae con lui, ma dobbiamo
fare presto che lei probabilmente sta per andare
all’aeroporto.-
-Ah,
va bene. Ma ha cenato, si?-
-Si
si, tranquilla. Probabilmente adesso
sta dormendo.-
La
donna annuì, e i due cominciarono a
camminare a passo svelto.
Attorno
a loro la città sembrava
rallentare nel suo andirivieni quotidiano, per via della pioggia,
vedevano
tanti ombrelli passare e scansarli, così come gente che si
riparava in tutti i
modi, con le borse o i giornali, alcuni erano fermi sotto piccoli tetti
aspettando, pazienti, che il tempo si calmasse.
Le
macchine che sfrecciavano avevano i
fari accesi, e le gocce di pioggia venivano illuminate nella loro
caduta;
l’asfalto brillava alla luce dei lampioni, le pozzanghere che
si formavano
vibravano e si agitavano, come se avessero vita propria.
Jun
e Yayoi, lungo il tragittol non si parlarono,
camminando l’uno accanto all’altra senza sfiorarsi,
anche se per la donna era
difficile restare riparata sotto l’ombrello senza rischiare
di toccare il
braccio dell’uomo, irrigidendo le spalle per la tensione.
L’uomo
parlò solo quando si trovarono in
una via secondaria, più buia e solitaria rispetto alla
caotica strada
principale.
-Com’è
andata con Matilde?-
-…
mi ha detto che questa era l’ultima
seduta.-
-Ah,
davvero? Quindi … quindi stai bene
ora.-
Lei
annuì, anche se nemmeno lei ne era
certa, era successo tutto in un modo così strano e veloce
che le stesse parole
della psicologa non le erano rimaste particolarmente impresse;
alzò lo sguardo,
guardando l’uomo con aria incerta, e lui subito
cercò di giustificare la frase
appena detta, credendo che lo sguardo fosse per la frase poco carina.
-Cioè,
non che tu non sia normale, è
solo che hai affrontato tanti problemi, non dev’essere stato
facile … insomma,
quello che voglio dire è che ora sei più
tranquilla, no?-
Yayoi
ascoltò quelle parole colpita, e
lentamente sorrise, il volto s’illuminò a quel
cambiamento, e Jun ne rimase
affascinato, arrossendo subito dopo e distogliendo lo sguardo, cercando
di
continuare a parlare.
-In
ogni caso, quando vuoi, ci sono
anch’io se ne vuoi parlare.-
-…
non sei mai stato un buon
ascoltatore, sai?-
-Ah,
ma come?! Adesso ti sistemo io.-
E
l’uomo spostò l’ombrello verso di
sé,
facendo bagnare la donna. Questa, d’istinto, si
attaccò al suo braccio,
cercando di coprirsi sotto il riparo.
-Ehi
che fai?!-
-Così
impari.-
-Guarda
che era la verità!-
-Allora
lo faccio di nuovo.-
-Ah
no! Ti faccio vedere io!-
E
lei afferrò il bastone dell’ombrello
evitando di beccarsi di nuovo la pioggia, e nello slancio lo
tiraò verso di sé,
e stavolta metà del corpo dell’uomo fu solo la
pioggia, Jun a fatica cercò di
riprendere il controllo dell’oggetto.
-Ehi,
molla!-
-Sei
stato tu a cominciare!-
Continuarono
per una buona mezz’ora, arrivando
anche a ridere divertiti fino a quando l’ombrello, a furia di
strattoni e
movimenti, non si ruppe, lasciando i due a bagnarsi in mezzo alla
strada;
nonostante ciò, quando si guardarono, si misero a ridere di
gusto, e alla fine
Jun afferrò la mano di Yayoi, trascinandola verso il primo
riparo, una tenda di
un negozio chiuso.
A
quella presa, per qualche momento, la
donna si emozionò, per poi avere l’istinto di
strattonarsi via, quei contatti
ancora le provocavano la scossa; tuttavia la presa dell’uomo
e la sua spinta in
avanti le impedivano di fare altro se non correre con lui, fino a
quando non
arrivarono al riparo. A quel punto, lui la lasciò andare.
La
donna ebbe quasi freddo a quelle
dita, cercando velocemente un fazzoletto per non pensarci e soprattutto
per
asciugarsi, aveva i capelli umidi.
Guardò
in direzione di Jun, e vide che
anche il volto di lui era umido, come i capelli; arrossendo
leggermente, la
donna pose delicatamente la mano con il fazzoletto sulla guancia di
lui, per
tamponargliela e asciugarlo.
L’uomo
si voltò, stupito, ma non
indietreggiò, e lasciò fare la donna, restando in
silenzio e osservandola
mentre lei evitava il più possibile il suo sguardo.
Con
la pioggia, la colonia di Jun si
sentiva molto, così come lo shampoo che usava Yayoi.
Il
rosso dei capelli di lei sembrava più
vivo, così come le spalle di lui sembravano più
grandi.
La
donna si rese conto che, andando avanti
così, ci sarebbe cascata, e velocemente
indietreggiò, mettendo il fazzoletto
nella borsa, mormorando qualcosa d’indefinito.
-Yayoi.-
Diede
la schiena all’uomo, avvampando
nel sentire quella voce chiamarla per nome, le sembrava di tornare di
nuovo
ragazzina, on la sua prima cotta; rispose con voce flebile, ricordando
quanto
ci era mancato poco qualche giorno prima, a casa sua.
-Si?-
L’uomo
vide quelle piccole spalle, la
figura magra con quei lunghi capelli rossi, e cominciò a
mancargli il coraggio;
al tempo stesso, però, non poteva permettere a nessun altro
uomo di portargli
via l’amore della sua vita.
Ma
che dirle in un momento simile? Che
l’amava e che non l’avrebbe più
lasciata? Di colpo tutte le parole di questo
mondo sembravano così banali, retoriche, vuote.
Yayoi,
lentamente, si voltò verso di
lui, con aria preoccupata, non l’aveva più sentito
da quando aveva pronunciato
il suo nome. Ma fece appena in tempo a girarsi che lui le
andò addosso,
abbracciandola e stringendola a sé, sorprendendola.
-Jun?!-
-Yayoi,
ti amo.-
…
inizialmente la donna non reagì,
troppo sorpresa da quelle parole e da quel calore che sentiva addosso;
poi,
pian piano, cominciò a spingere via l’uomo,
scuotendo leggermente il capo.
-No,
non è vero Jun. È solo perché ci
siamo rivisti che dici questo.-
-Vuol
dire che credi che non possa
amarti?-
-Io
… io credo che dobbiamo pensarci
bene.-
-Io
non ci voglio pensare bene, io ti
amo e basta!-
Quella
reazione un po’ infantile la
finastidì, e alzò leggermente la voce,
l’imbarazzo cominciava a svanire.
-Beh
io non voglio finire come cinque
anni fa!-
-E
cosa ti fa credere che finiremo come
allora?!-
-Il
fatto che tu, come al
solito, pesti i piedi quando vieni
contraddetto!-
-Io
pesto i piedi perché tu non vuoi
accettare la realtà!-
Si
erano staccati l’una dall’altra, e
mentre Yayoi teneva le mani sui fianchi in posizione da combattimento
Jun aveva
aperto le braccia stravolto.
-E
comunque sono cambiato in questi
cinque anni!-
-Ah
si, si vede che sei cambiato!-
-Senti
chi ha parlato, quella che continua
ad avere i complessi!-
-Sarò
una complessata ma di certo non
sono una stronza come qualcuno qui presente!-
-Hai
voglia di litigare?!-
-Certo
che voglio litigare!-
-Avanti
allora sentiamo! Quel’è il
problema? Che io possa fare come l’amante di tua madre?!-
-Come
cazzo ti permetti?!-
-Perché,
non lo pensi anche tu?! Non
pensi che tua madre sia stata stupida e il tuo vero padre un
vigliacco?!-
-Certo
che lo penso!-
-E
tu pensi che io sia come lui?-
-No!-
-E
allora cosa pensi?!-
Yayoi
si sentì frenare a quella domanda.
-Penso
… penso che potresti cercare una
donna mille volte migliore di me!-
-Ma
io desidero e voglio solo te!-
Yayoi
distolse lo sguardo, lanciando la
bomba.
-Solo
perché sono la madre di tuo
figlio.-
Jun,
incazzato come una bestia, la scrollò
con la mano sul polso, obbligandola a guardarlo di nuovo.
-Sei
stupida?! Pensi davvero che sia
solo questo?!
Stammi
bene a sentire Yayoi Aoba, tu sei
la ragazza che ho sempre amato, la donna che ho sposato e che ora
rivoglio per
me!-
-Ma
… ma mia madre …-
-Del
tuo passato, al di fuori di me, non
me ne frega niente: io sono qua, e ci sarò sempre, con te e
Hikaru, ficcatelo
bene in testa maledizione!-
E
l’uomo si fermò per prendere diato, si
vedevano chiaramente le spalle salire e scendere.
La
pioggia continuò a scendere, tappando
le loro orecchie.
Le
mani erano immobili in quella
posizione, ricordava una scultura d’arte moderna.
Nel
loro respiro sentivano ognuno
l’odore dell’altra.
I
loro occhi si cercavano continuamente,
fissandosi per qualche momento, per poi separarsi e cercarsi di nuovo
nei
dettagli dei volti e dei capelli.
Alla
fine Yayoi prese per prima la
parola.
-…
mi ami ancora?-
-…
e tu?-
Di
nuovo a respirare, a sentire la
pioggia attorno a loro, a non sapere cosa fare se non continuare a
guardarsi,
di sicuro stavano facendo tardi nel tornare a casa.
Dovevano
tornare da Hikaru, dovevano.
Però
prima dovevano capire cosa fare.
Alla
fine, con un piccolo movimento, la
donna annuì, non sapendo rispondere a voce. Poi
annuì più forte.
Jun
prese un profondo respiro, lasciando
lentamente andare il polso della donna.
-…
e io amo te.-
Restarono
immobili, a gustarsi quel
momento, a contemplare quello che stavano vedendo, a prendere coscienza
di
quanto era stato detto; poi, lentamente, entrambi si avvicinarono,
passo dopo
passo, fino a quando la donna dovette alzare la testa per continuare a
guardare
l’uomo negl’occhi, le mani strette a sé
un po’ incerta.
Lentamente,
senza aver bisogno di
afferrarla, l’uomo si abbassò, e la donna si
alzò in punta di piedi; rimasero
fermi a pochi millimetri l’uno dalla bocca
dell’altro, continuando a guardarsi
negl’occhi, cercando incertezze vicendevolmente. Quando fu
sicuro di non
trovarne in Yayoi, Jun le sfiorò le labbra, con molta
lentezza. Lei lo lasciò
fare.
Fu
un bacio lento, a stampo, e durò
pochi secondi.
Sciolse
le mani di Yayoi, la quale si
aggrappaò alle braccia dell’uomo, cercando di
nuovo quella bocca, stavolta
chiudendo gli occhi. Ancora a stampo, ma stavolta la donna
c’impiegò di più
prima di riuscire a separarsi.
Poi
si staccò, e Jun l’afferrò con una
mano sulla nuca, spingendola a baciarlo di nuovo, stavolta con
più passione,
stavolta le labbra si schiusero, restando a lungo ad assaggiarsi,
ritrovando
quei sapori che avevano dimenticato, trovandone quasi qualcuno in
più.
E
quando lui lasciò andare, e lei gli
afferrò la camicia, trascinandolo a sé, arrivando
a sorridere divertita e
ricambiata da lui.
E
così, in un gioco di spinte,
parlandosi fra un bacio e l’altro.
-Mi
sei mancato.-
-E
tu a me. Tanto. Da morire-
-Bugiardo,
sei un bugiardo.-
-È
vero. Ma ti amo, ti amo Yayoi.-
-E
io amo te, solo te Jun.-
-Non
ti lascio andare, non ti lascio
più.-
-Non
farlo, non farlo ti prego.-
Si
staccarono faticosamente, ma quando
si ritrovarono, con gli sguardi, entrambi pensarono a Hikaru, solo a
casa; ed
entrambi, a quel pensiero, si misero a correre come pazzi, tenendosi
per mano
sotto la pioggia, percorrendo l’ultimo tratto di strada con
il cuore in gola,
salendo le scale praticamente due a due. Ma non erano preoccupati:
correvano
perché erano così felici che volevano che la
tristezza, il dolore, la
sofferenza restassero lì, sotto la tenda di quel negozio
dov’erano stati fino a
qualche minuto prima.
A
Yayoi tremavano le mani mentre cercava
la chiave di casa, e Jun ne approfittò per strapparle ancora
qualche bacio,
facendola ridere divertita.
Finalmente
riuscì ad aprire la porta,
rischiando di cadere in avanti dato che ci si era appoggiata con la
spalla e si
accorserò subito che la casa era buia.
Jun,
togliendosi le scarpe, corse veloce
dal figlio mentre Yayoi si accorse che, sopra il comò dove
c’era il telefono,
Sanae aveva lasciato un biglietto.
“Hikaru
dorme, io vado. Buona fortuna a tutti e
due.”
Lesse
il biglietto con il sorriso sulle
labbra.
Alzò
lo sguardo, e vide Jun indicarle la
stanza del bambino; la donna la raggiunse svelta, senza fare rumore, e
nell’oscurità
raggiunse il letto del figlio, non toccandolo per paura di svegliarlo,
ascoltando quel respiro tranquillo e profondo.
Scambiò
uno sguardo con l’uomo,
sorridendo serena, e quasi non le sembrava vero che lui fosse
lì con lei, non
le sembrava vero di quanto era successo. E se ora si fosse svegliata e
fosse
stato tutto un sogno?
Lentamente,
Jun le offrì la mano, e per
un momento ebbe una sensazione di deja-vu mentre, d’istinto,
accettava l’offerta,
alzandosi in piedi e facendosi guidare, lanciando solo un ultimo
sguardo al
figlio.
Arrivò
davanti alla porta di camera sua,
e si arrestò, facendo voltare l’uomo verso di lei:
vide quegl’occhi grandi
brillare di una leggera incertezza, e lui le sorrise tenero, baciandole
i
capelli e accarezzandole il volto, stringendola a se con forza.
Lei
accettò quelle coccole e si strinse
maggiormente a lui, salendo sulle punte per sussurrargli
all’orecchio.
Gli
disse qualcosa, e lui sorrise
felice, annuendo prima di stringerla fra le braccia con tutte le sue
forze,
mormorandole tutto quello che gli stava passando per la testa,
facendola
sorridere e perfino rodere a bassa voce.
Alla
fine, entrambi si nascosero dietro
la porta della camera della donna.
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