Timeline

di JohnnyMignotta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oh, my love, my darling... ***
Capitolo 2: *** Are you still mine? ***
Capitolo 3: *** Wait for me... ***



Capitolo 1
*** Oh, my love, my darling... ***


...OMG! D: No, va be', queste note d'autore necessitano assolutamente di un elenco puntato. è_é Pronti..? Via! XD
1. Ho deciso, dopo un breve referendum per niente democratico (qui XDDD), di dividere quella che doveva essere una one-shot in tre capitoletti, ciascuno di 1300/1400 parole. È stata una scelta abbastanza combattuta, a dir la verità, perché mi secca stare su EFP a rivedere HTML, note d'autore e quant'altro per i capitoli *lazy*, ma insieme a mia sorella sono arrivata alla conclusione che, per una questione di organicità e completezza dello scritto, era necessario dividerlo. E così. *C*
2. Quello che state per leggere, quindi, è il primissimo capitolo, per altro di una tristezza che a confronto Leopardi era un bonaccione XD, di Timeline. Gli altri due capitoli saranno pubblicati secondo l'ordine dettato da questo calendarietto. *Applauso al ritorno del disturbo ossessivo-compulsivo della vecchia S.* XDDDD
3. Questa storia è una PG15: niente sesso, insomma XD ("ODDIO, ZEROSCHIUMA, MA CHE TI STA SUCCEDENDO?! ;_;", "Non lo so-oh! ._."), ma incesto. Ho creduto fosse abbastanza giusto impostare il rating sul giallo, qui sull'EFP, ma proprio dell'atto sessuale non c'è traccia, tranquilli, anche se è più che chiaro che è di Elricest che stiamo parlando. Quindi, nel caso l'argomento dovesse disturbare o non incontrare i gusti, esiste quella graziosa X lì in alto, proprio lì. ♥
4. Ho scritto questa storia in prima persona, pov!Al. Mia sorella dice che sono pazza, Judine stenta a riconoscermi, ma io so perché l'ho fatto: ù.ù La Divina Caska, come la tradizione impone, l'ha fatto prima di me e l'ha fatto meglio. E l'ha fatto qui. Il suo era un omaggio alla scrittrice francese Anaïs Nin; il mio lavoro non è neanche lontanamente paragonabile, ma credo di aver emulato (male ;_;) il tono lirico e qualche altro dettaglio. Il problema è sempre lo stesso, c'è poco da fare: quando si tocca un terreno già marcato dalla Caska, è davvero difficile non cadere nella citazione. Spero di esser stata all'altezza del, mh ò_ò, plagio.
5. La canzone che fa da titoletti a tutta la storia è Unchained Melody. Sì, la colonna sonora di Ghost. Il primo che sfotte se la vedrà col mio pugno! è_é XD
6. ...QUESTO È IL MIO VERO DEBUTTO NEL FANDOM DI FULLMENTAL: non credete agli impostori che vogliono vendervi la notizia che io abbia scritto addirittura una HeidEd a rating verde, perché è una falsità! T_T XD No, davvero, a parte scherzi: io considero Timeline il mio début da queste parti e spero davvero che voi amiate ciò in cui consta come lo amo io, ♥ anche perché l'ho cominciata a scopo puramente ludico, solo per prendere confidenza coi personaggi prima di scrivere un certo regalo di Natale per la più volte citata Caska ♥, e non so veramente come si sia arrivati a questo. "XD
E, OH! Credo sia tutto. O.O ...La prossima volta col cazzo che vi scrivo tutte 'ste note, belli miei. XD *Affetto random*.
E ci vediamo dopodomani, I guess. :3









Timeline

1. Oh, my love, my darling
I've hungered for your touch
A long, lonely time
And time goes by so slowly
And time can do so much

Nii-san ed io siamo lo stesso numero, ma con segno diverso. Come nei calcoli algebrici, sommandoci l'uno all'altro, anzicché addizionarci, ci annulliamo. Completamente. Non esistono corpi, non esistono respiri, non esistono caratteri, voci, ricordi: quando siamo una cosa sola, Nii-san ed io non abbiamo forma, non abbiamo tempo, spazio, colore, dimensione. Non esistiamo neanche.
Più uno, meno uno dà zero. Edward, più Alphonse dà zero.
La mia storia - la nostra storia comincia con uno zero.



***





Eravamo una cosa sola perché le nostre giornate erano identiche, quando la mamma morì.
Ci svegliavamo nello stesso battito di ciglia biondissime, mangiavamo in fretta la stessa colazione, starnutivamo per la stessa polvere sugli stessi libri di nostro padre, avevamo addosso gli stessi lividi, lo stesso fiatone per le ore di allenamento sulla collina, la stessa rabbia negli occhi nei quali sarebbe dovuta esserci innocenza. Non eravamo nemmeno gemelli, ma di sicuro eravamo come siamesi: ci eravamo cuciti insieme, l'uno addosso all'altro, a poco a poco, ora dopo ora, man mano che passavano i giorni, raggruppandosi in mesi che presto sarebbero diventati anni.
Eravamo la stessa cosa, quando eravamo a Resembool.
Aprivamo gli occhi ed avevamo dormito un'altra notte abbracciati. Il nostro alito aveva lo stesso cattivo odore, i nostri pigiami erano sgualciti negli stessi punti, le guance avevano tatuata sulla loro pienezza infantile la trama dello stesso cuscino. I nostri incubi, ogni notte, erano identici. Non ce ne sorprendevamo neanche, perché il filo rosso che il tempo aveva tessuto tra il mio cervello ed il suo era lungo quanto le notti che ci tenevano stretti. Mi diceva: "non tornare nel tuo letto". Io semplicemente avrei fatto qualsiasi cosa per il mio Nii-san, ora come allora, e rimanevo accanto a lui, quando i muscoli delle sue braccia erano ancora chiari e lisci come frutti appena nati, quando ancora potevo sentire il suo respiro accarezzarmi, mentre lo guardavo addormentarsi.
I giorni a Resembool erano pieni di sole. Non aveva piovuto un solo giorno, da quando era morta la mamma, ed al mio Nii-san sembrava una maledizione. "Perché il cielo non rispetta il nostro lutto?" sembrava dire la sua rabbia. Ma io avevo dieci anni: non avrei saputo come spiegargli che il mondo se ne infischia dei nostri microscopici dolori.
Winry smise di allenarsi con noi sulla collina; noi smettemmo di cercarla. I suoi capelli crescevano ed aumentavano gli sguardi che, languidi, rivolgeva al mio Nii-san, quando lui non poteva vederla. Ma a me non poteva sfuggire, perché qualsiasi cosa toccasse Edward toccava anche me. Condividevamo il respiro, il destino, il sangue. I suoi occhi, quando si guardava intorno, non vedevano altro che me. Oggi, a posteriori, posso dire che non avevo idea di quanto la mia sorte somigliasse anche a quella di Winry, ma allora non potevo saperlo. Nii-san ed io eravamo solo due bambini che custodivano un segreto.
Zia Pinako disse che studiavamo troppo: i libri di papà erano infiniti. Avevamo il permesso di studiare da mezzogiorno al tramonto, il che ci dava un certo vantaggio d'estate, ma ci penalizzava d'inverno. I libri da consultare sembravano moltiplicarsi sotto le nostre mani avide e d'estate il caldo non ci lasciava leggere in pace. Nii-san diventava sempre più forte; io sempre più bravo. Eravamo una sola cosa, perché divenne chiaro che eravamo indispensabili l'uno per l'altro. Il suo entusiasmo compensava il mio disfattismo, la sua forza colmava le mie debolezze, il mio senso del dovere sostituiva il suo. Ero volenteroso dove Nii-san era predisposto. Lui si faceva in quattro per leggere la mia stessa mole di libri ed io, quando lo rincorrevo, avevo sempre il fiatone. La stretta che ci teneva vicini diventava sempre più salda. Separati, non avevamo senso. Insieme... insieme eravamo perfetti.
Eravamo una cosa sola. Parlavamo una lingua che solo noi potevamo capire. Vedevamo solo ciò che era l'altro a mostrarci. Nii-san mi disse: "che fine farei senza di te, Al?", mentre gli passavo l'olio. Io sorrisi e "una di quelle brutte e tristi" risposi, rubando un boccone dal suo piatto. Mangiavamo le stesse cose, tranne il latte, che lui non beveva mai. Zia Pinako e Winry risero: era proprio vero. Senza l'altro non eravamo niente.
Quella mattina ci svegliammo più stretti del solito. Nii-san aveva dormito con la bocca schiacciata contro il mio petto e dove si erano posate le sue mani la mie pelle scottava. Le lenzuola ci tenevano al letto come guinzagli. "Dobbiamo andare" sussurrai tra i suoi capelli biondi, setosi, profumati, identici ai miei. Tuttavia restammo lì in silenzio ancora a lungo, finché non la sentimmo: la pioggia.
Decidemmo che non ci saremmo allenati, che non avremmo studiato: corremmo al cimitero così in fretta che credemmo di aver volato su ali immaginarie. Ma chi poteva dirlo? Eravamo insieme: forse ci sarebbero spuntate dalle scapole, frantumando la pelle, bianche come neve, ci avrebbero permesso di spiccare il volo. Non portammo neanche gli ombrelli con noi. Io mi tirai su il cappuccio; Nii-san neanche quello. I suoi capelli troppo lunghi si bagnarono così in fretta che sentimmo zia Pinako urlare dalla porta di casa: "vi ammalerete!". Ma noi non davamo ascolto a nessuno. Eravamo belli e giovani e sani. Ed avevamo uno scopo. Nessuno poteva fermarci.
La pioggia cadeva e Nii-san disegnò un cerchio alchemico nel fango. I fiori che trasmutò erano bianchi e lilla, profumavano di primavera. Dissi: "alla mamma piacerebbero". Lui mi disse che non era vero, che la mamma odiava vedere le cose morire. Aveva ragione, ma non glielo dissi. Trasmutai anch'io dei fiori, ma di carta stagnola. "Devi sempre distinguerti" mi disse il mio Nii-san. Io arrossii, perché leggevo nei suoi occhi che era un complimento. Poi guardai la lapide, dove il nome di nostra madre era inciso a caratteri maiuscoli, e piansi. Nii-san non se ne accorse. Stava ancora piovendo. Era inginocchiato nel terreno, aveva i capelli attaccati al viso paffuto, stringeva forte i pugni. Mi sedetti accanto a lui, gli tirai su il cappuccio. Quando "riporteremo la mamma indietro, Al" disse, smise di piovere. A poco a poco. Io non dissi niente, annuii soltanto. Un raggio di sole bucò una nuvola.
Restammo al lì fino al tramonto. Nii-san parlava con la tomba di nostra madre. Le raccontava dei nostri giorni da quando aprivamo gli occhi, abbracciati, a quando li chiudevamo, sempre abbracciati. Io gli accarezzai una spalla. Sentii la sua pelle tremare, poi la voce di Winry chiamarci. Aveva con sé un ombrello chiuso e le scarpe piene di fango. Nii-san smise di parlare alla lapide, ma era chiaro che non si sarebbe mosso di lì. Il sole sarebbe tramontato a momenti ed io feci segno a Winry di andarsene. "Nii-san" sussurrai al suo orecchio, quando Winry fu abbastanza distante, "forse dovremmo tornare a casa".
Lui disse: "casa nostra non esiste più". Se ci penso adesso, mi dà i brividi. Disse: "fa' come se fosse bruciata".
Un'altra cosa mi dà i brividi, ma non so se successe quella notte o è solo la mia mente ad associare i due ricordi a causa del dolore, comun denominatore. Dormivamo quasi tutte le notti, ormai, nello stesso letto. Crescevamo, però, e quel letto diventava più stretto man mano che il tempo passava. I nostri fiati, sempre più vicini, si riscaldavano e si avvolgevano e si mescolavano in un groviglio dolcissimo e soporifero, che era la nostra culla, il nostro grembo materno, il nostro ecosistema. Io ero uno sciocco: temevo sempre di cadere, ma non glielo dicevo. Una notte stavamo così stretti che incidentalmente Nii-san mi colpì col gomito destro. Disse, ridendo, "me lo dovrei tagliare, questo braccio, così ci staremmo meglio". Credo di non avere ricordo più doloroso di questo. Probabilmente, se glielo raccontassi, neanche se lo ricorderebbe.
Perché Nii-san è uno stupido. Certe cose non cambiano: sbatteva la testa contro la pietra e la pietra si crepava. Io allora non ridevo, perché noi eravamo la stessa cosa. Il suo odio scorreva nelle mie vene, avvelenava il mio sangue, si confondeva coi miei pensieri. Mi disse ancora "riporteremo la mamma indietro, Al". Io gli credevo.
Arrivò la notte, arrivarono le stelle. Si riflettevano negli occhi del mio Nii-san come sospetto si riflettessero anche nei miei, che erano identici. Si distese sotto la lapide. Una nuvola di un rosa pallido accarezzò le stelle come la mano di un innamorato. Io sorrisi e mi distesi accanto a lui, le nostre braccia giunte come se fossero cucite l'una all'altra.
Questa volta fui io a parlare. "Nii-san" dissi, con un filo di voce, "insieme possiamo". E potevamo davvero.

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Capitolo 2
*** Are you still mine? ***


Lo so, lo so. l'attesa vi stava distruggendo. Ma tranquilli, ragazzi, zeroschiuma è arrivata. *Ammicca ammicca*. ...XDDDD No, va be', solo: ciao a tutti, questa è la seconda parte di Timeline e queste note saranno perfettamente pointless, dirò molte cose del tutto random e che non interesseranno pressappoco a nessuno, ma devo pur fillare questo spazio. "XD
...Ok, cose serie: qui c'è il calendarietto delle date di pubblicazione, che vi serve, se volete leggere anche la terza ed ultima parte. ù_ù Poi devo assolutamente ringraziare tutti coloro i quali abbiano recensito, seguito o inserito questa storia tra le preferite: credetemi, se vi dico che avete contribuito alla revisione di questa storia, perché veramente, se non fosse stato per voi, non l'avrei fatto. XD ♥
Così, eccoci qua: valgono gli stessi avvertimenti della prima parte, le stesse dediche e gli stessi credits, quindi nient'altro da aggiungere. XD Anche Unchained Melody è sempre la stessa, quindi mi sembra doveroso dire due parole a proposito, visto che l'altro giorno ho skippato la cosa. *_*;; Prima di tutto, mentre scrivevo, non ascoltavo la versione originale del brano, quella di Ghost ._., ma la pucci-cover degli U2. Poi, ragazzi, suvvia, lo vedete anche voi che questa canzone parla degli Elric! è_é Io veramente non riesco ad ascoltarla senza flasharmi armour!Al che sogna di riabbracciare il suo Nii-san! ;_; ...Ed è da questo, probabilmente, che viene l'ispirazione per questo secondo pezzetto. ù_ù
E così eccoci qua. :3 Inutile dirvi che spero veramente di aver reso ciò che intendevo, nonostante purtroppo non abbia mai vissuto in prima persona l'esperienza di non avere un corpo. XDD A mia difesa devo dire, nel caso XD, che il lavoro dello scrittore sta anche nello scrivere di cose di cui non ha esperienza. Io spero di averlo fatto con una certa cognizione di fatto, visto che Alphonse Elric è il mio personaggio preferito da quando avevo 15 anni. ♥♥♥ ("Ma perché ci sta dicendo queste cose?". "Non so, ma lo dice incredibilmente bene...").
E questo è tutto, gente! Ci vediamo dopodomani, o anche prima su Faccia. Buona lettura! :3 ♥








2. Are you still mine?
I need your love,
I need your love
God speed your love to me


Lo capimmo già, guardandola attraverso i finestrini impolverati del treno: Resembool non era cambiata. Né le colline, né il suo sole arrogante; neanche le case, le persone, le abitudini. Era tutto identico a come l'avevamo lasciato in quella notte di ottobre, Nii-san con l'odore di bruciato impigliato addosso ed io che non potevo neanche sentirlo. Era frustrante. Noi, lontani, rischiavamo ogni giorno per riavere indietro ciò che avevamo perduto, dai nostri corpi alle nostre vite, e Resembool se ne stava impassibile, a ridosso delle colline, verde ed azzurra com'era sempre stata nei nostri ricordi.
Ma non c'era più rabbia, negli occhi di Nii-san, verso quel cielo indifferente, verso quel panorama austero, verso ciò che Resembool rappresentava. Lo guardai, mentre il maggiore Armstrong mi teneva in braccio, e vidi che stava sorridendo. Il suo profilo, affilato come una lama, tagliava a metà l'orizzonte.
Quando tornammo, io ero dentro una cassa. Ero grigio ed enorme, sgraziato, informe e rotto, ma il sole rifletteva sulla mia superficie bagnata cangianti pezzetti d'arcobaleno. "Nii-san" mi lamentavo, perché quel matto mi lavava come avrebbe lavato un oggetto senza vita, "mi faresti male!". La sua risata amara, i suoi capelli raccolti in una treccia doppia e lunga oltre le spalle, il suo braccio muscoloso attraverso la canotta di un celeste sbiadito.
"Vorrei proprio farti male" pronunciò lentamente, con una serietà quasi ipnotica, e mi tolse la testa. La lanciò a Den, che ci guardava coi suoi occhi umidi, da cane fedele, stando dritto sulle sue tre zampe, inclinando la testa come per guardare il nostro strano quadretto familiare da una prospettiva differente. Ignorò la mia testa. Per Nii-san era una questione di principio: non poteva non volerci giocare. Rideva della mia disperazione il testardo, ma Den era più testardo di lui e venne a leccare la cassa nella quale la mia armatura, mutilata e decapitata, giaceva ancora. Io ero un mostro di ferro; Nii-san era la più luminosa delle stelle. Lui poteva specchiarsi dentro di me ed io brillare della sua luce. Ma quel cane zoppo venne ai miei piedi e stette lì per un po', rannicchiato, come riappacificandosi con la mia forma.
Come spiegarlo? Non avevo un corpo e provavo i desideri di un corpo. La paura, anche, insieme alla rabbia, non mi facevano battere i denti, tremare o piangere, ma potevo sentirle. Non ero immune a nessuno dei sentimenti che avevo provato quando un corpo ce l'avevo. Purtroppo. Il corpo di Nii-san, nonostante i pezzi mancanti, era ogni giorno più bello. I muscoli si levigavano sotto la stoffa pesante del suo cappotto rosso come il sangue, l'oro dei suoi capelli invecchiava, si illuminava, e la frangia gli ricadeva sugli occhi di giada, d'ambra, di sabbia come una tempesta terribile ed affascinante insieme. Più gli allenamenti lo levigavano, più diventava prezioso come una pietra; più le nostre sfortune corrucciavano le sue espressioni, più i suoi occhi diventavano duri e luminosi, come meravigliosi diamanti gialli. Il mio desidero strisciava attraverso le fenditure dell'armatura, come spiragli di luce, fino al suo petto striato dalle cicatrici biancastre, sottilissime. Non avevo un corpo e desideravo il suo corpo. Era così assurdo? Allora lo credevo. L'armatura non poteva arrossire, ma io potevo; non poteva volere, ma io sì. Non poteva temere, stancarsi, arrabbiarsi, vivere. Io potevo e tutto grazie al mio Nii-san. Strofinava con una spugna la mia superfice pesante e sgraziata ed io desideravo con tutto me stesso di sentire il suo tocco. E di ringraziarlo. E di sentire il suo odore di miele bruciato.
Non ero sensibile, ma il ricordo dei sensi era la mia personale condanna. Divenne chiaro quando vederlo nudo mi sembrò per la prima volta una sorta di rituale, il rinnovo quasi sacro di un voto. Vuoi tu Edward Elric prendere come tuo sposo tuo fratello Alphonse per amarlo, onorarlo e ritrovare il suo corpo ed amare anche quello nonostante la sorte avversa e il vento contrario, nella salute e nella malattia, perché neanche la morte possa separarvi? Nii-san lo voleva, mentre l'acqua scrosciava sul suo corpo nudo, nonostante fossimo nel giardino della casa di zia Pinako, sui sui bellissimi capelli sciolti e lunghi. Vuoi tu Alphonse Elric passare le dita tra quei capelli come un fiume impetuoso, baciare quel corpo martoriato come una pioggia di stelle cadenti, essere stretto dal braccio muscoloso e da quello di ferro come da un anello, contro quel petto meraviglioso, mappa del tesoro che è il cuore di Nii-san? Si, lo volevo. Sì sì sì, io lo volevo. Lo voglio. Ma, se avessi accarezzato quei capelli d'oro e giada con le mani dell'armatura, li avrei di certo spezzati; se avessi toccato quella pelle coi miei movimenti senza grazia, l'avrei strappata; se avessi baciato quella bocca con quella del mio elmo, avrei frantumato l'avorio di quei dentini aguzzi e perfetti. Io ero la balena; Nii-san il cavalluccio marino.
L'acqua scorreva sul suo corpo mutilato. Anche senza un braccio, coi cavi dell'automail in vista, la gamba d'acciaio traballante, era la cosa più bella sulla quale avessi mai posato i miei piccoli occhi rossi, immonde spie senza luce. I capelli bagnati accarezzavano la nuca come un guanto, quando si voltò verso di me. Sussurrò "l'acqua è fredda", perché mi descriveva sempre tutto: i sapori come i dolori, il freddo ed il caldo, l'odore del sangue e quello dell'erba e tutto ciò che col mio corpo mostruoso non potevo percepire. Avevo la vista, è vero, ma potevo vedere solo lui, perché era il mio punto di vista, il mio capo visivo, la lente neutra attraverso la quale guardavo ogni cosa. Era una stella a miliardi di anni luce e l'insetto più microscopico sulla spalliera del letto disfatto in cui non potevo dormire. Nii-san era la mia unità di misura. Contavo i suoi nei come fossero stelle. Mi consumavo nel desiderio di toccarlo ancora.
Guardavo sempre Nii-san addormentarsi, come prima che la mamma morisse. I suoi capelli creavano sempre arabeschi suggestivi sul cuscino bianchissimo. Il suo viso, sotto la luce della lampada, mi sembrava il più bello del mondo. Forse, semplicemente, lo era. Ma era come guardarlo dalla Terra, mentre lui era una stella: il pesce rosso che sogna di giocare col bambino oltre il vetro. Potevo guardarlo, ma non toccarlo; potevo chiamarlo "Nii-san" con un sorriso, ma non invocare il suo nome perché mi toccasse. Il gigante si era innamorato un'altra volta del bambino. Solo che il bambino addormentato al mio fianco, coi capelli chiarissimi a risplendere insieme all'alba, era sempre il mio Nii-san. Nii-san, Nii-san, Nii-san: la mia prima parola, il mio grido d'amore, il ritmo a cui batteva il cuore che non possedevo. Nii-san. Nii-san. A volte anche adesso ha ancora lo stesso suono del mio nome.
Afferrò con quella sua arroganza sensuale la spugna con la quale aveva lavato il mio contenitore grigio e vuoto. Den abbaiò e lui gli fece una smorfia, la stessa che avrebbe fatto da bambino. Si insaponò, si risciacquò. Mi chiese, con quella voce da adulto che aveva, da qualche tempo, quando lasciava che partisse dal diaframma per scaldarsi all'altezza della gola: "quand'è che ti manca di più il tuo corpo?".
Risposi: "quando guardo il tuo". La mia voce dentro l'acciaio dell'armatura, la sua mano nodosa contro lo stesso metallo, la sua fronte chinata: se avessi avuto un cuore, sarebbe esploso come fuochi d'artificio. L'armatura si sarebbe fusa col mio desiderio. Nii-san affondava nella mia carne anche se non ne avevo una. Lui mi stava sorridendo, le sue labbra carnose ed umide, inarcate nel più rassicurante e temibile insieme dei sorrisi.
Ricordo che Winry ci passò davanti, con la chiave inglese nell'elastico dei pantaloni informi, i capelli biondissimi ad accarezzarle la schiena ed un sorriso così diverso da quello di Nii-san, così innocente, così incoerentemente radioso. Averci a Resembool era l'unica forma di felicità che conoscesse. Arrossì, vedendo che Nii-san era nudo, ma lui l'aveva dimenticato, perché "ritroverò il tuo corpo, Al" mi stava dicendo. Io ero il suo unico interlocutore. Le sue parole parlavano solo per me.
Dentro l'armatura, la mia voce disse: "ed io il tuo, Nii-san".
Winry lo chiamava Edward. Era l'unica, insieme a zia Pinako, a farlo, da quando era morta la mamma. Per il Colonnello e gli altri era Fullmetal; per me era sempre, soltanto il mio meraviglioso Nii-san dalla pelle di neve, gli occhi d'oro zecchino, il coraggio indomabile. Le mani nodose. Il respiro mozzato, quando nel sonno diceva, quasi piangendo, "ti voglio, Al".
La verità è che neanche noi eravamo cambiati, proprio come Resembool: Nii-san avrebbe dato ancora l'altra gamba, l'altro braccio, il cuore per me. Ma non lo fece. Quella volta sussurrò, come il più prezioso dei segreti, mentre il sole dipingeva arcobaleni minuscoli sul mio corpo, informe, e sul suo, divino, "rivoglio il tuo corpo, Al". E forse eravamo entrambi dentro l'armatura, come dentro quel letto troppo stretto; eravamo nella stessa boccia, a guardare il mondo attraverso un vetro; languivamo per lo stesso tocco. Forse non eravamo cambiati. Forse eravamo ancora la stessa cosa.
Den ci abbaiava contro, mentre Winry ci diceva che era pronta la cena. Io, se avessi potuto, avrei soltanto sorriso. Ma ero solo un'armatura senza testa.

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Capitolo 3
*** Wait for me... ***


...Sono una persona così triste! ;_; Il nostro calendarietto dice 13/1? S. non solo pubblica in tempo, ma alla mezzanotte della data prestabilita. è_é ...Questo fa o non fa di me la peggior sfigata delle terre emerse? ;OOOO; Non-ricordo-chi scrisse che la vita del puntuale è fatta di solitudini immeritate. ...Seriously, che tristezza. ._.
Ok ok ok, vi spiego. XD Domani sono in giro con mia moglie, che deve disegnare non so che facciata di non so che palazzo ;_;, e così... beccatevi la terza ed ultima parte di Timeline con qualcosa come 14 ore di anticipo. XD
Di questa terza parte devo dire veramente poco, quindi strappiamoci in fretta 'sto cerotto e facciamola finita. ù_ù
Alla fine di questa storia, c'è la lemon. Cioé non c'è: diciamo che c'è una wannabe!lemon. XD ...Il motivo per cui non l'ho scritta è semplice: non avrei saputo proprio come mantenere questi toni, questo stile e la prima persona. Alzo le mani: è un mio limite! ;___; E dire che l'avrei fatta Al/Ed, 'sta scena di sesso, proprio in quest'ordine. ù_ù
Il resto, my friends, lo sapete: non so quando rimetterò penna in questo fandom, non so in che termini (anche se sto scrivendo una cosaccia...), ma vivibbì e spero di aver fatto un buon lavoro con questa prima sciocchezza. Intanto vi ringrazio. *Inchino*. ♥
EDIT! - Ho dimenticato di dire che sì, in questa storia Roy Mustang resta cieco. E questo perché secondo mia sorella (...secondo me non so, non ci ho pensato XD) è OOC che decida di usare delle vite umane per riacquistare la vista. ...E le gambe di Jean, sì. T_T
Ok, passo e chiudo. (:
EDIT #2 ! ...STAVO PER DIMENTICARE UN'ALTRA COSA IMPORTANTISSIMA. ;_; Ma perché la mia testa funziona così male? -.-" Da qualche parte, in una delle (molte, ammettiamolo XD) similitudini, paragono Ed ad un cavalluccio marino - ve ne siete accorti, sì? Be', non sono stata la prima a farlo: prima di me l'ha fatto la Caska e l'ha fatto meglio. ...Bisognava dirlo. Io ci tengo a 'ste cose. u_ù Ciao, Caska, grazie! ♥









3. Lonely rivers sigh: "wait for me, wait for me".
I'll be coming home,
Wait for me.

La mia storia comincia con un lieto fine. Un'immagine: Nii-san ed io, stessi occhi, stesso sangue, stessa sorte, in un treno diretto a Resembool.
La prima cosa che sentii col corpo fu il suo tocco. Non era stato il suo ultimo atto da alchimista a ridarmi alla vita, ma il suo sorriso. I nostri occhi, identici, si erano guardati per un tempo che non esiste, in un luogo che non esiste, in tutti i modi esistenti. "Sono venuto per te, Al" aveva detto ed il calco di entrambe le sue mani mi aveva schiuso come un bocciolo: era la combinazione giusta, non avrei resistito un istante senza aprirmi. La mia serratura era scattata. "Torniamo a casa: ci stanno aspettando". Ma c'eravamo solo noi al mondo: Nii-san ed io. I suoi abbracci erano gli unici che non facessero male. Il suo sguardo mi sfiorava, come fossi fatto di vetro. Le sue mani, tutte e due, erano come veli sul mio corpo nudo. Tutti gli altri erano troppo rudi, le loro mani sul mio corpo erano violente, le loro voci troppo alte, le loro lacrime troppo calde. Nii-san era lento come la primavera, accorto come la carezza di un giglio, silenzioso come un bacio senza malizia. Mi disse che aveva fame. Io non lo facevo da anni, ma tutto ciò che volevo mangiare era la sua bocca. Non osai dirglielo, ma la sensazione che lui lo sapesse mi tormentò finché un soldato non ci portò della frutta fresca, un pezzo di pane e dell'acqua. Nii-san aveva detto di aver fame, ma restò a guardarmi mentre mangiavo, con un acino d'uva tra le dita ed un sorriso, finché non ebbi finito. "Bentornato" sussurrò. Da come lo disse, capii che l'aveva sognato a lungo quanto me.
Mi aveva detto: "ci stanno aspettando", ma era chiaro dal suo sorriso che eravamo noi due, quelli in attesa.
In una camera d'ospedale, dormii finché non venne un altro giorno. Poi ne venne ancora un altro, ma io facevo fatica a svegliarmi: sognai di distruggere l'armatura con le mie ossa e, quando mi svegliai, era notte fonda. Nii-san mi aveva promesso che avrebbe acchiappato i miei incubi a mani nude perché dormissi in pace, ma si era addormentato accanto al mio letto. Aveva i capelli sciolti. Sorrideva.
Il terzo giorno Nii-san aprì le finestre. Disse: "questo sì che si chiama recuperare il sonno perduto" e mi strappò le coperte. Sul mio comodino c'era la colazione: latte per due. Brindammo a qualcosa, ma non ricordo cosa. Aveva una canotta nera che gli lasciava nude le braccia muscolose. Mi disse che gesticolavo, mentre parlavo. Io gli dissi che era cresciuto e questo lo riempì di orgoglio. Rilanciò con un "i tuoi capelli sono lunghissimi" ed un sorriso beffardo, complice, che m'ipnotizzò per qualche istante. Poi presi la palla al balzo e dissi, sorprendendomi, quando il riverbero della mia voce non colpì l'armatura, infrangendosi: "tu sei sempre bellissimo, Nii-san". E lo era.
Abbassò lo sguardo. Arrossì. L'avevo mai visto arrossire, prima? Era un bellissimo angelo. Le sue ali profumate di zucchero solleticavano il mio olfatto nuovo come quello di un neonato. Il suo era l'odore del ventre materno, quello a cui associavo tutto ciò che è buono e giusto. Avrei cercato per sempre quell'odore su tutte le cose. "Al" disse. Poi stette zitto, perché arrivò un telegramma del Colonnello, perché dovevo provare a camminare, perché il mondo bussava continuamente alla porta della nostra camera ed a noi non era permesso tenerlo fuori. Questa volta mi addormentai, contando i suoi nei, mentre lui guardava il soffitto con solo le bende addosso. Era una stella vicinissima al mio cannocchiale, 'sta volta, potevo toccarla solo tendendo il braccio. Il suo calore si irradiava sulla mia pelle. E la mia pelle era tutta per lui.
Il quarto giorno ci dissero al telefono che nostro padre era morto. Nii-san fece quello che faceva sempre, quando voleva fingere che il dolore non lo scalfisse: prese una decisione. "Ti taglierò i capelli, Al" disse, come in passato aveva detto: "riporteremo nostra madre indietro" e "ritroveremo i nostri corpi". Lo presi in giro e ridere fu bellissimo. L'aria entrava nei miei polmoni ed io potevo sentirla; la mia bocca si apriva e la mia gola gemeva, facendomi chiudere gli occhi.
Mi aiutò ad alzarmi, fece cambiare le mie lenzuola. Qualcuno gli portò un paio di forbici. Io lo guardavo attraverso lo specchio. I nostri occhi, due diamanti gialli gemelli, si specchiavano gli uni negli altri. Gli chiesi se l'avesse mai fatto. Lui rise. "Al" mi ricordò, "non ci siamo mai separati, quando avrei dovuto farlo?". A me non faceva ridere. Mi riscaldava. Era una sensazione così nuova: non l'avevo mai provata da bambino. All'altezza dello stomaco, il mio corpo cambiava. Diventava fluido. Sotto il suo tocco ogni mio gesto cambiava nome. Muovendomi, lo sfioravo; guardandomi intorno, cercavo lui; mangiando, bevendo, cercando i miei appunti dentro il cassetto accanto al mio letto: tutto ciò che facevo era per lui. Nii-san esisteva e cambiava i nomi alle cose. Le ribattezzava. Sminuzzava gli angoli del mondo coi denti perché non mi ferissero. Mi guardava e tutto era infiammato, bollente, senza forma. Avevo un corpo e quel corpo fremeva per lui. Quando Nii-san tagliò la prima ciocca dei miei capelli, "non saprò mai come ripagarti" sussurrai. Pareva che il suo tocco mi salvasse ogni volta, da quando aveva dato il suo portale per riavermi.
Nii-san è buffo, quando è concentrato: tira fuori la lingua, strabuzza gli occhi, si tocca in continuazione i capelli. Quella volta si fermò con le forbici a mezz'aria e cambiò espressione. "Al" sussurrò, percorrendo con un dito la distanza tra il mio collo e la mia spalla, sopra il cotone chiarissimo della camicia che era stato lui a mettermi addosso, "sei tu la mia ricompensa".
Quella notte dormii con la nuca nuda contro il cuscino. Nii-san rideva tra sé e sé, mentre mi addormentavo, e la mattina del quinto giorno mi disse di non aver chiuso occhio, spalmando della marmellata sul mio pane. Era a petto nudo: gli avevano tolto le bende. Le sue cicatrici risplendevano al sole come chiedendo di essere leccate ad una ad una. Il Colonnello ci fece visita. Aveva con sé una lettera scritta a mano dalla piccola Elycia, una torta della signora Glacier, un mazzo di fiori e la sua cecità. Nii-san fece lo stronzo per tutto il tempo, ma il Colonnello sapeva tenergli testa. Lo ringraziai per tutto quello che aveva fatto per noi. Lui disse: "vorrei vederti. Devi essere bellissimo". Nii-san è uno stupido. Quando il Colonnello lasciò la stanza, stringendomi la mano, non gli fece neanche il saluto. "Prendetevi cura l'uno dell'altro, fratelli Elric" si raccomandò, come gli stesse profondamente a cuore, con Black Hayate a mostrargli la strada.
Il tenente Hawkaye aveva gli occhi lucidi. Nii-san la abbracciò, ma stava facendo le linguacce alle spalle del Colonnello. Era il Generale Mustang, ma noi non ascoltavamo la radio, non leggevamo i giornali, non eravamo stati informati. Per noi sarebbe stato sempre il Colonnello Mustang. Mio fratello avrebbe continuato a prenderlo in giro anche quando sarebbe stato vecchio e sciatto, quando gli avrebbe stretto la mano dal letto di morte. Io sapevo solo che gli dovevamo tutto; Nii-san solo che non avrebbe permesso che le cose cambiassero tra loro. Però quella sera volle andare a dormire presto. Io mi alzai, barcollando, e mi sedetti sul suo letto. "Torniamo a casa" gli dissi, scuotendo la testa. Avevo freddo ed anche quella mi sembrava la più bella delle cose. Era bello avere sonno, avere fame, sentire dolore alle gambe quando provavo a camminare. Era bello sentire il mio cuore che, come per magia, batteva. Era bello vivere. E dovevo a Nii-san tutta questa incontenibile bellezza.
Lui disse: "noi non abbiamo una casa, ricordi?". Io gli sorrisi nel buio. Le sue dita presero a scorrere lungo la mia spina dorsale, lasciandomi brividi minuscoli per tutto il tempo. Lo sentii sospirare così distintamente che mi sembrò di aver sospirato io stesso. Dopotutto eravamo sempre la stessa cosa. "Hai ragione" sussurrò. E lo sentii sorridere. "Ci stanno aspettando" ripeté. Io dovetti mordermi le labbra, per non ricordargli che esistevamo solo noi due, al mondo.
Ancora quell'immagine: Nii-san ed io, stessi occhi, stesso sangue, stessa sorte, in un treno diretto a Resembool.
Ci restammo per due brevissimi anni, ma in quel tempo piovve, grandinò, fece troppo caldo, scese la nebbia, la bruma, ci furono mille tempeste e tutto il sole del mondo: un'infinita varietà di espressioni possibili. Le colline avevano smesso di esserci indifferenti. In qualche modo il più grande sacrificio di Nii-san aveva commosso anche loro.
Io di quei due anni ricordo due cose: il tetto della casa di zia Pinako, che Nii-san non finì mai di aggiustare, e poi la mia carne spaccata in due e Nii-san dentro la ferita, doloroso e bellissimo come un lieto fine.



***





La mia storia - la nostra storia comincia con uno zero.
Aphonse è il più uno; Edward, il meno uno. Le nostre rispettive distanze dallo zero sono le stesse ed è per questo che è proprio allo zero che c'incontriamo.
Il nostro zero è sempre stato Resembool. I suoi colori pastello, la sua aria pungente, i suoi sapori salati. Ci incontreremmo anche all'altro mondo, in capo al mondo, in un altro mondo, se necessario, ma siamo nati per quello zero: Resembool è il nostro posto, anche se non abbiamo più una casa. Continueremo a cercarci, nei secoli dei secoli, ed è sempre lì che ci troveremo.

Nii-san ed io ricominciamo ogni volta da zero.
Nii-san, sto tornando a casa.

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