Risveglio

di tartufo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** apri gli occhi ***
Capitolo 2: *** Buone notizie? ***
Capitolo 3: *** la triste verità ***
Capitolo 4: *** Sconvolgi il mio mondo ***
Capitolo 5: *** scoperte ***
Capitolo 6: *** Errori ***
Capitolo 7: *** rabbia e decisioni ***
Capitolo 8: *** Famiglia ***
Capitolo 9: *** Lettere ***
Capitolo 10: *** vera visione ***



Capitolo 1
*** apri gli occhi ***


Bip...Bip...Bip...Bip...
Quel rumore insistente lo stava facendo impazzire, continuava a insinuarsi nella sua mente, e lui voleva solo dormire, dannata sveglia, non voleva alzarsi,
non voleva affrontare quella giornata, voleva solo continuare a stare li, nascosto, non voleva prendere nessuna dannata decisione.
Bip...Bip...Bip...Bip...
Provò a muovere il braccio, deciso a mettere fine alla vita di quella stupida sveglia, diede il comando al suo cervello, ma niente, doveva essersi addormentato
in qualche posizione scomoda e adesso il suo braccio non rispondeva, era ancora mezzo stordito dal sonno, eppure gli sembrava di essere disteso a pancia in sù,
strano, lui dormiva sempre accoccolato su se stesso.
Si decise ad aprire gli occhi, ma questi non obbedirono, iniziava a spaventarsi, cosa stava succedendo?
All'improvviso sentì uno spostamento d'aria nella stanza, qualcuno aveva aperto la porta della sua camera, che nervi, tutti in casa sapevano di non avere il
permesso di varcare quella soglia senza permesso.
"Chiunque tu sia, fuori!!!", aveva pronunciato quelle parole, no, non le aveva pronunciate, erano risuonate solo nella sua mente.
Bip...Bip...Bip...Bip...
Non poteva muoversi, non poteva parlare, il suo corpo non rispondeva.
La persona che era entrata nella stanza, si era avvicinata al letto, sentiva che stava scrivendo qualcosa da qualche parte, sentiva che una penna, forse,
stava scorrendo su una qualche superficie, almeno il suo udito funzionava, anzi, sembrava quasi amplificato.
"Che strano" la sentì dire allontanandosi un attimo.
Ora era nuovamente accanto a lui,lo stava toccando?Ma cosa?
Sentiva che stava entrando nel panico, qualcuno lo stava toccando e lui non poteva fare nulla, iniziava seriamente ad avere paura.
Ci mise un pò a calmarsi, quando si accorse che non lo stava toccando, quella persona stava massaggiando i suoi arti, aveva iniziato dalla gamba destra,
l'aveva massaggiata per un pò, ora la stava piegando, una, due, tre volte, aveva perso il conto, poi si era spostata sulla gamba sinistra e aveva ripetuto
l'operazione, aveva delle mani gentili, sembrava che quei gesti fossero naturali, come se fosse stati ripetuti centinaia e centinaia di volte.
Bip...Bip...Bip...Bip...
Di nuovo la sveglia, che fosse ancora nel mezzo di un sogno, e faticasse a svegliarsi?
Provò nuovamente ad aprire gli occhi, e questa volta vide un piccolo spiraglio di luce, doveva aver combinato qualcosa di tremendo la sera prima,
se era combinato in quello stato, ma non ricordava nulla, solo che doveva prendere una decisione, e non sapeva quale.
Questa volta ci mise un pò più impegno, si concentrò, e i suoi occhi si spalancarono.
C'era una donna davanti a lui, una donna che non conosceva,sembrava molto giovane, e aveva un viso dolce, che ispirava fiducia, capelli castano chiaro,
e ochhi dello stesso colore, stava continuando a massaggiargli le gambe, non lo aveva sognato, era reale, provò a muovere
la testa, per capire dove si trovava, ma anche quel gesto gli risultò impossibile.
Voleva richiamare l'attenzione di quella donna, ma la voce non ne voleva sapere di uscire, nessun suono riuscì a trovare una via di fuga dalle sue labbra.
L'unica cosa che poteva fare, era sperare che la donna alzasse gli occhi e incontrasse i suoi, che lo sapeva, erano pieni di domande e paura.
Attese un tempo che gli parve infinito, quando quell'estranea si spostò ancora più vicina ed iniziò a dedicarsi al suo braccio, iniziava davvero a spazientirsi,
possibile che non si accorgesse che era sveglio.
Proprio mentre si domandava quanto ancora dovesse aspettare, la donna si immobilizzo, sollevò lo sguardo e finalmente lo vide, era sveglio.
"Dio mio...", disse mentre lasciava il suo braccio, poi la donna sparì dal suo campo visivo, la sentì correre verso la porta, spalancarla, e poi chiamare
qualcuno.
"Dottore, presto venga...il paziente...".
Dottore? Paziente? Che diavolo era successo.
Poi lo vide, sulla quarantina, capelli neri, con qualche accenno di bianco, e occhi neri come la notte.
"Signore, mi sente?" chiese.
Provai a rispondere ma continuavo ad essere muto, allora strizzai gli occhi per fargli capire che si, lo sentivo.
"Ricorda cos'è successo?".
Questa volta mossì gli occhi da destra verso sinistra, non ricordavo il perchè mi trovassi in quella situazione.
"Le sue corde vocali sono ferme da un pò di tempo, sono sicuro che se si sforza un poco, riuscirà a parlare, provi a schiarirsi la gola..."
Ferme da un pò di tempo, da quanto era li? Provò a mettere da parte quel pensiero per il momento e fece quello che gli era stato detto dal dottore,
provò a schiarire la gola ma fù come sentire una lama che raschiava sulla sua superficie.
"Infermiera per favore, procuri dell'acqua" chiese gentilmente.
Dopo qualche minuto la sentì tornare e aiutarlo a sollevarsi per bere qualche sorso.
"Piano, il corpo non è più abituato ai liquidi...".
Quell'informazione non sembrava promettere nulla di buono.
L'acqua era fresca mentre scendeva nella sua gola, non aveva mai bevuto nulla di più buono, o almeno, così gli sembrava.
"Vogliamo riprovare?" chiese nuovamente il dottore dopo che mi fui dissetato.
"Ricorda niente di quello che è successo?".
Provò a rispondere, e questa volta il dolore, fù qualcosa di sopportabile.
"...N-n... No..." quella semplice sillaba era sembrata un ostacolo insormontabile.
"Bene... ricorda come si chiama?".
Ci mise un pò, ma quella risposta, sembrava molto più semplice, alla fine qualcosa si accese, e il suo cervello trovò la risposta.
"K-k...k" era davvero stressante, prese un respiro e spinse quella parola fuori, con tutta la forza che aveva.
"Kurt...".
"Ricorda qulcos'altro? Riesce a ricordare di quando era bambino? Delle persone? Dei volti".
Si, ricordava qualcuno, due volti, chiuse gli occhi e quei volti diventarono più nitidi, più reali.
"Va bene, per il momento fermiamoci qui...adesso chiamiamo i suoi genitori e poi le spiegheremo tutto, l'infermiera resterà con lei per finire gli esercizi,
va bene Signor Hummel?".
Signor Hummel? Era solo un ragazzo, gli sembrava strano essere trattato come un adulto.
Il dottore uscì dalla camera e l'infermiera ricominciò con i massaggi, dopo che ebbe finito gli sembrava che le braccia avesserò un pò più di energia,
era un buon segno, o almeno lo credeva, cercò di muovere le dita della mano destra e queste reagirono, sulle sue labbra comparve un sorriso, che venne
ricambiato dall'infermiera.
"G-Gra-Grazie" disse, e mentre lo faceva il suo braccio si spostò per toccare quello della donna.
Quello che vide poi non gli piacque affatto.
La testa inizio a fargli molto male, immagini, immagini di un bambino che non conosceva, un bambino che giocava a palla, che veniva stratto in un abbraccio
dalla madre, e poi fuoco, tanto fuoco, e c'era caldo, sentiva la pelle bruciare, contro quel calore che non poteva contrastare.
E poi tutto era sparito come era arrivato, l'infermiera lo guardava preoccupata, aveva urlato? Molto probabilmente l'aveva spaventata a morte.
"vada a casa...vada adesso, presto, è ancora in tempo, il bambino, o mio Dio il bambino, vada da suo figlio" e quella frase era uscita tutta di getto perchè
se avesse fallito avrebbe avuto una vita sulla coscienza, e non aveva la forza per quello.
Dopo il massaggio poteva muovere un pò la testa, e la vide scomparire oltre la soglia della porta.
"Faccia presto", disse prima di cadere in un sonno profondo.

 

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Capitolo 2
*** Buone notizie? ***


Erano riuniti a tavola, una famiglia come altre dall'esterno, ma dentro, ognuno a modo suo era distrutto dal
dolore.
Il telefono iniziò a squillare, infrangendo quel silenzio imbarazzante che ormai, era diventata un abitudine
tra quelle mura.
Carole si alzò dalla sedia, dimostrava più anni di quanti in reltà avesse, pur non avendo legami di sangue,
da quel lontano giorno, il suo cuore si era spezzato, come se avesse perso un figlio, e il resto
della famiglia, non era in condizioni migliori, Burt rigettava il suo dolore sul cibo incurante del fatto che così
facendo avrebbe provocato altro dolore alla sua famiglia e Finn, lui si era fatto divorare dal senso di colpa,
non era più il ragazzo sciocco e ingenuo di un tempo, non c'era più spazio per quello.
"Pronto?" rispose mestamente.
"Pronto, famiglia Hummel? Sono il Dottor walsh, chiamo dal Lima Hosphital, in merito alle condizioni del signor
Kurt Hummel...".
Il telefono le sfuggi di mano, cadendo ai suoi piedi, il momento che temevano era arrivato, era la fine, non
sarebberò sopravvissuti a quella notizia.
Il rumore del telefono che toccava il pavimento, attirò l'attenzione dei due uomini seduti a tavola, e sentendosi
osservata, Carole lo raccolse svelta, impaurita da quello che stava per sentire.
"Pronto? C'è ancora qualcuno al telefono? Signora?"
"E'... é morto?" chiese con le lacrime agli occhi.
Quella frase fece scattare Burt e Finn, che si ritrovarono in piedi davanti alla donna.
"Signora mi scusi ma... potrei parlare con il signor Hummel?".
Carole passò il telefono a Burt con mano tremante, e lui lo porto immediatamente all'orecchio.
"Pronto, sono... Burt Hummel...".
"Signor Hummel sono il medico di Kurt, la chiamo per chiederle di recarsi immediatamente all'ospedale...".
"Mio figlio è... morto?".
"Signor Hummel, non potrei proprio darle informazioni al telefono, mah... suo figlio sta bene... potrebbe recarsi
qui? Il prima possibile?".
"Io...si...arriviamo...".
"Cos'è successo?" chiesero all'unisono Carole e Finn.
"Non lo so, non ha potuto dirmi nulla, solo di recarmi all'ospedale...".

Mentre guidava con affianco quello che rimaneva della sua famiglia, la strada per l'ospedale non gli era mai
parsa tanto lunga, era da tanto che non metteva più piede li dentro, se ne vergognava, ma dopo quattro anni di
speranze infrante, non aveva più avuto la forza di vedere suo figlio in quelle condizioni, inerme in quel letto,
e in quella camera che lui avrebbe odiato, perchè il colore alle pareti era un insulto al buon gusto.
Aveva mollato, non era più riuscito ad andare a trovarlo, e anche se tutti lo capivano, e non gliene facevano una colpa,
lui si sentiva sporco dentro.

Vennero ricevuti immediatamente da un dottore dall'aria molto gentile e amichevole che li fece accomodare in
uno studio completamente anonimo, se non fosse stato per le varie foto appese alle pareti, che ritraevano molto
probabilmente la sua famiglia.
"Signori Hummel, vi ho fatto recare qui, per il semplice fatto che quello che devo dirvi non poteva essere riferito per
telefono, il fatto ha dello straordinario, nella mia carriera non ho mai assistito a nulla del genere, ovviamente,
dobbiamo ancora eseguire tutti gli accertamenti del caso, in ogni modo, vostro figlio Kurt, è uscito dal coma poche ore fà..."
A quelle parole Burt scatto in piedi incredulo.
"Sveglio? Mio figlio è sveglio? Voglio vederlo...".
"Signor Hummel, un attimo solo epoi potrà vederlo, deve capire delle cose, Kurt non ricorda nulla di quello che gli
è successo, i ricordi si fermano a qualche minuto prima all'aggressione, è all'oscuro del fatto che sono trascorsi dieci
anni da quel giorno, noi pensiamo che la notizia possa essere meglio assimilata se fosse un suo famigliare a dargliela,
quindi se se la sente, dovrebbe spiegargli tutto".
"Io..." Burt non sapeva che fare, avrebbe voluto chiedere consiglio a Carole, ma non nè aveva diritto, dopotutto
era lì solo per Finn, ancora non glielo avevano detto. Era tutta una falsa.
"va bene, io...ci proverò..." disse debolmente.
"Potrei fare una telefonata prima?" chiese, ma forse sarebbero state due.

Kurt era ancora nella camera dove si era svegliato poche ore prima, aveva dormito ancora, stremato da quelle strane visioni,
l'infermiera che aveva visto per la prima volta, era li con lui, non aveva smesso di ringraziarlo, perchè quando era tornata a casa,
aveva trovato il figlio svenuto sul pavimento, un odore di gas impregnava l'aria, sarebbe bastata una scintilla e tutta
la casa sarebbe stata circondata dal fuoco.
"Come ha fatto Signor Hummel".
"Io...non lo sò, per favore non lo dica a nessuno...".
"...Il dottore lo sà...ma stia tranquillo, è la persona più gentile e onesta che conosco, il suo segreto è al sicuro".
La porta della camera in quel momento si aprì rivelando un volto che Kurt non vedeva da dieci anni, anche se per la sua mente,
era massata solo una mattinata.
"Papà..." disse con le lacrime già pronte a rigargli le guance.
Burt si avvicinò al letto, e senza dire nulla circondò con un abbraccio il suo bambino, perchè poteva anche avere
ventisette anni, ma era comunque il suo bambino, sopratutto dopo quello che era successo.
Kurt sollevo con difficoltà le braccia per ricambiare, appoggiando le mani sulle spalle forti di suo padre.
Come la prima volta, accadde tutto in fretta, il dolore alla testa e poi le immagini.
Kurt era davanti ad un letto, suo padre disteso, dopo l'infarto, si ricordava quel giorno, era stato il più
brutto della sua vita, insieme al funerale della madre, gli parlava, esortandolo a reagire, a combattere per lui,
ora le parti invertite, suo padre davanti ad un letto, e quello disteso era lui, il volto irriconoscibile, tumefatto,
gonfio, era collegato a varie macchine, non se la passava bene, non si aspettava di vedersi così.
E poi ancora suo padre, che ignorava Carole e Finn, che trascurava il lavoro, che si faceva venire un alto infarto trangugiando
schifezze.
"Papà, cos'hai combinato? Ti è venuto un altro infarto?" si era talmente accalorato che sembrava essere tornato
il solito Kurt.
"Ma come?".
"Ah...lascia perdere e dimmi immediatamente che diavolo mi è successo".
 

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Capitolo 3
*** la triste verità ***


In quel momento, un leggero bussare alla porta, distrasse kurt dal lanciare occhiate arrabiate al padre, Carole entrò
titubante all'interno della stanza, e quando il suo sguardo si posò su Kurt, si lasciò travolgere dalle lacrime, senza
pensarci due volte, si avvicinò al letto, e con una mano, tracciò una carezza sul suo volto.
"Come ti senti tesoro?" chiese premurosa.
"Bene, ma starei meglio con un abbraccio...".
Era strana per lui quella richiesta, perchè non amava particolarmente il contatto fisico, ma c'era qualcosa, una sensazione,
che lo spingeva a prendere tutto quello che poteva.
Carole, del tutto sorpresa dalla richiesta, non se lo fece ripetere, abbraccio quel bambino, che ormai, inevitabilmente era
diventato un adulto, lo strinse forte al suo petto e gli sussurrò tra i capelli un ti voglio bene.
E mentre ricambiava l'abbraccio, era già pronto a vedere.
Carole, era da sola, nella camera da letto, singhiozzava piano con il volto nascosto tra le mani, e le lacrime, cercavano
una via di fuga tra le sue dita tremanti, una cartellina faceva bella mostra di sè sulla scrivania vuota, quell'unico
oggetto faceva sembrare quella stanza troppo piccola, sembrava che le pareti si chiudessero, ingoiandolo con il suo
contenuto, si avvicino per leggerne il contenuto.
"State divorziando? ma cosa? perchè?".
A quelle parole Carole e Burt sussultarono, il fatto che Kurt lo sapesse, lo aveva reso reale. 
"Perchè glielo hai detto? Ti sembrava il caso in queste condizioni?".
"Io... non... io non ho detto nulla, lui...".
"Carole, non è stato papà a dirmelo, io... l'ho visto...".
"Come?".
"Non lo sò, ti ho toccata e l'ho visto, come il suo infarto, come... non lo sò, credo  che sia dovuto  a quello che
mi è accaduto, anche se ancora non mi è stato detto di cosa si tratta".
"Oh, si..." Carole prese la sua borsa e sfilò qualcosa, che dopo un'occhiata risultò essere un cd.
"Me lo hanno consegnato poco fa...".
"Cos'è?".
"... E' il filmato di quello che ti è successo, la telecamera di sicurezza ha ripreso ogni cosa...".
"Kurt, il filmato è molto... se non vuoi vederlo lo capiamo...".
"No, va bene...".
Burt non avrebbe mai potuto raccontare a kurt tutto quello che gli avevano fatto, il filmato gli sembrava la
strada più semplice, anche se più dura, ma suo figlio era uscito da un coma, avrebbe sopportato anche quello.
Il cd venne inserito all'interno del lettore, e dopo pochi attimi partirono le immagini prive di audio.
Il parcheggio era sgombro, fatta eccezzione per due figure che aspettavano, erano distanti l'una dall'altra e
sembrava si ignorassero, kurt era uscito poco dopo dalla scuola, si era avvicinato ad entrambi, e avevano iniziato
una dicussione che sembrava molto animata, dopo alcuni minuti, entrambi erano andati via, lasciando Kurt in lacrime.
"Ferma il video, questa parte la ricordo... Blaine e David... volevano che scegliessi...".
-"Devi farlo Kurt" disse Blaine con tono arrabbiato, "Non puoi continuare a pretendere di avere entrambi, devi scegliere,
sono stanco di dividerti con lui... scegli, o lui o me".
-"Per una volta la penso come lui, Kurt, io sono pronto a fare coming out, ma solo se stai al mio fianco...
Ti prego scegli me".
-"Io non sono pronto...".
-"Sono mesi che lo ripeti, io non sono pronto, io, io, io, non ci sei solo tu Kurt, renditene conto!!" queste parole
lo schiaffeggiarono in pieno volto e le lacrime iniziarono a cadere copiose sulle sue guance.
-"Finchè non avrai preso una decisione non chiamarmi, sono stufo", disse Blaine voltandogli le spalle e andando via.
-"Kurt..." Dave lo guardò un'ultima volta e si allontanò.
"Vai avanti papà".
Kurt era rimasto impalato qualche minuto, finchè non aveva mosso qualche passo verso la macchina, pensava di essere
stato l'ultimo ad abbandonare la scuola, invece si sbagliava.
Qualcuno lo aveva strattonato da dietro, e la tracolla della borsa si era lacerata, facendolo cadere rovinosamente
per terra.
In tutto i ragazzi erano in cinque, lo guardavano a terra, e parlavano della situazione.
Il più grosso dei ragazzi lo immobilizzava con le braccia dietro la schiena e poi a turno iniziavano a colpirlo, come
se fosse un sacco da boxe. Si vedeva Kurt che cercava di divincolarsi inutilmente e per questo veniva colpito più forte.
Poi la calma, si erano fermati, l'ultimo colpo al volto gli aveva spaccato il sopraciglio, il ragazzo si guardava
le mani piene di sangue, spaventato, guardava il più grande e dopo poche battute sembrava più tranquillo.
Kurt veniva liberato dalla stretta e di sorpresa veniva colpito con una ginocchiata in pieno volto che gli frantumava il
naso, continuavano ad infierire con calci dopo che era gia a terra, svenuto in una pozza di sangue. Il tutto durava venti
minuti, poi il video lo riprendeva steso in quel parcheggio vuoto per mezz'ora.
"Ti hanno trovato gli inservienti, hanno chiamato l'ambulanza, dopo qualche ora sei entrato in coma".
"Papà da quanto sono qui?" chiese con le lacrime agli occhi.
"Kurt, sei rimasto in coma per dieci anni". 

 

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Capitolo 4
*** Sconvolgi il mio mondo ***


Quelle parole vorticavano nella sua testa e si ripetevano all'infinito come un disco rotto, dieci anni, aveva
perso dieci anni della sua vita, così, in un attimo, senza che se ne rendesse conto, senza poter fare nulla per
modificare la situazione e per cosa poi? Per paura? Rabbia? Ignoranza? Da parte di cinque ragazzini che avevano
agito per punirlo di qualcosa che non poteva cambiare, lui era così, era giusto così, eppure gli avevano portato
via dieci anni.
Dopo che Burt e Carole lo avevano lasciato per riposarsi, Kurt aveva guardato e riguardato quel filmato, e ogni
volta che vedeva quelle immagini scorrere sullo schermo, anche se con grande fatica, ricordava qualcosa di più,
qualcosa che era solo assopita nella sua mente.
-"Adesso capiamo molte cose" sentì mentre veniva afferrato e scagliato a terra.
-"David è andato via per questo, l'hai infettato con le tue stronzate, l'hai fatto diventare un frocetto come te,
è anche peggio di quello che pensavo".
Poi l'avevano immobilizzato e riempito di botte, sentiva dolore ovunque e gli mancava il fiato, aveva provato a
divincolarsi, ma i colpi erano diventati più forti e a quel punto li aveva lasciati fare, sperando che si
stancassero presto.
Si erano fermati, aveva alzato la testa, sentendo il sansue che scivolava dal suo sopraciglio alla guancia, fino
a cadere e macchiare l'asfalto e l'aveva osservato che tremava nel guardarsi le mani piene di sangue, forse si era
pentito, aveva pensato. Ma poi le sue parole gli rivelarono un'altra verità.
-"Sono pieno di sangue, Dio adesso mi sono preso la sua malattia...".
-"Finiscila idiota, non funziona così, è una cosa mentale, sono loro che ti incasinano la testa e ti convincono
che quello che sono è giusto, che non è contro natura, sono come una di quelle sette strane..." disse quello
che lo teneva fermo.
-"Sei sicuro?" chiese l'altro con occhi imploranti.
-"Io non sono malato, e di sicuro non faccio nulla contro natura, sono come tutti voi, che vi piaccia o no, e se
davvero fossimo una setta, non recluteremo certo dei bifolchi come voi...".
Poi la ginocchiata, e da li più nulla, forse se avesse tenuto la bocca chiusa non sarebbe andata a finire così, se
lo era chiesto parecchie volte.
"Kurt?" qualcuno lo chiamava.
Kurt era ancora intrappolato nei suoi ricordi, quando mise a fuoco la persona che gli stava davanti, il dottor Walsh
lo guardava preoccupato.
"Mi scusi dottore, ero sovrapensiero" disse sorridendo.
"Kurt, ho i risultati delle analisi...".
Rimasero a parlare per un pò, e Kurt ascoltò tutto con molta attenzione prima di decidere cosa fare, poi annuì
brevemente in direzione del dottore.
"Quando?" chiese Kurt.
"Al più presto".

"Pronto, sto cercando Blaine Anderson" disse Burt al telefono.
"Chi parla?" chiese.
"Sono Burt Hummel".
"Aspetti in linea per favore".
L'uomo poggio l'unico telefono disponibile del palazzo e percorse il corridoio che portava verso la biblioteca,
la veste frusciava sul pavimento di marmo, creando un debole rumore che contrastava con il silenzio che avvolgeva
quel luogo, varcò in silenzio le sue porte e individuato il ragazzo gli si avvicinò senza disturbare gli altri
studenti.
"Blaine, c'è una telefonata per te, un certo Burt Hummel".
Blaine lasciò cadere la penna che teneva in mano, e dopo aver ringraziato si diresse verso il telefono, avrebbe voluto
mettersi a correre, ma si riscosse in tempo, ricordando dove si trovava.
Raggiunse il telefono e rimase qualche istante a fissarlo prima di prenderlo e portarlo allìorecchio.
"Pronto?" disse, aspettandosi quasi che avesse chiuso la chiamata.
"Blaine, figliolo, sono io, Burt, come stai?".
"Signor Hummel, che piacere sentirla, io... sopravvivo, lei?"
"Sto bene, adesso sto bene, Blaine ascolta, si tratta di kurt".
Blaine trattenne il respiro, erano passati dieci anni, forse kurt aveva trovato la strada e abbandonato il suo corpo,
pensarlo era doloroso, ma almeno non avrebbe più sofferto.
"Blaine, Kurt è sveglio".
Blaine rimase zitto, incapace di parlare, quella semplice frase metteva in discussione tutto quello che stava
costruendo da quel giorno.
"Signor Hummel, le dispiace se chiamo David?".
"Lo farei io, ma non ho il numero, quindi fai pure...".
"Io verrò appena possibile a trovarlo...".
"Lo sò figliolo, lo sò".
La telefonata si concluse, il cuore di Blaine batteva troppo in fretta, troppo forte.
Dopo essersi calmato, Blaine digitò un nuovo numero, il telefono squillo tre, quattro volte, stava per attaccare
quando una voce femminile rispose.
"Pronto?".
"Ehm... Mi scusi,cercavo David, devo aver sbagliato numero...".
"No, aspetti, il numero è giusto, glielo passo".
Un attimo di silenzio e poi la sua voce venne amplificata dalla cornetta.
"Si?".
"David, sono Blaine...".
"... Sono pronto, dimmelo...".
"Kurt è sveglio, potremmo andare insieme a trovarlo se non te la senti..."
"... Io... si... credo che sarebbe meglio...".
"Ti telefono più tardi, per decidere? Va bene?".
"Si, a più tardi".
David chiuse la telefonata ancora sotto shock.
"Chi era tesoro?" chiese la ragazza.
"Solo un vecchio amico". 
Kurt stava nuovamente sconvolgendo la sua vita. 

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Capitolo 5
*** scoperte ***


I due ragazzi si guardavano in imbarazzo, era passato davvero tanto tempo dall'ultima volta che si erano visti,
non erano mai stati amici, l'unica cosa che li legava era Kurt, un legame dovuto e non voluto, che si era spezzato
quando Kurt era entrato in coma.
Si sentivano ogni tanto, più per gentilezza da parte di Blaine che per reale voglia di intraprendere una conversazione
che solitamente era più un monologo da parte di Blaine che lo aggiornava sulla famiglia Hummel.
David avrebbe potuto benissimo andare da Burt e chiedere di persona, ma il senso di colpa non glielo permetteva,
aveva rovinato la vita di Kurt dall'inizio alla fine, prima maltrattandolo e poi innamorandosi di lui, non voleva vedere
l'odio negli occhi del signor Hummel, non avrebbe sopportato quel peso, anche se sapeva che quel sentimento
esisteva, era reale, non affrontarlo lo rendeva meno vero, meno difficile da gestire.
"Senti, ho fatto male a venire qui, lui non vorrà...".
"Se ti riferisci al signor Hummel, stai tranquillo, lo sà, anzi, ti avrebbe chiamato lui se gliene avessi dato
la possibilità" disse semplicemente Blaine.
"Dici davvero?".
"Si, nessuno è arrabbiato con noi David, solo noi stessi" disse con tono triste, distante.
"Vogliamo andare?".
Un cenno d'assenso da parte di David e si incamminarono all'interno dell'ospedale.

Kurt era ancora costretto a letto, anche se il suo corpo sembrava rispondere bene, si stancava molto facilmente, e
aveva sempre un debole mal di testa che lo accompagnava per tutta la giornata.
La stanza era un pochino più allegra adesso che era in compagnia, quando era solo, gli dava un senso di malinconia
e la voglia di tornare a casa, lo assaliva, aveva più volte domandato se poteva lasciare l'ospedale, ma la sua
richiesta non era nemmeno stata presa in considerazione.
Kurt osservava Finn e Rachel che batibeccavano come al solito, aveva sempre pensato che sarebbero finiti insieme
in qualche strano e oscuro modo, erano uno l'opposto dell'altro, eppure era questo che li univa, erano felici, lo
poteva vedere nei loro occhi, oltre quel velo che acomunava tutti i membri della sua famiglia.
"Finn?" lo chiamò piano, quasi pentendosi di rovinare quel bel quadretto.
"Dimmi fratellino" rispose sorridendo.
Lo guardò per un attimo, incerto se chiedere o meno.
"Sai che papà e Carole stanno divorziando?".
Ci mise un pò a rispondere, come se quel poco tempo potesse cambiare la situazione.
"Non me ne hanno parlato, ma anche un tonto come me si è accorto che le cose non vanno più...".
"Sai perchè? Non è possibile che non si amino più... io non lo accetto!!" disse con foga.
Fù rachel a rispondere, sul suo viso una dolce espressione di conforto.
"Kurt, dopo quello che ti è successo... è stato difficile per tutti, tuo padre non si dava pace, il rapporto si è
sgretolato giorno dopo giorno, non per mancanza d'amore, solo perchè non era facile andare avanti, vedrai che le cose
si sistemeranno...".
"Hanno già le carte pronte... Finn devi prenderle e distruggerle" sembrava isterico mentre lo diceva.
"Kurt, non credo sia un bene...".
"Se non interveniamo, quei due faranno un enorme sbaglio, lo sai anche tu Finn che è la cosa giusta".
Finn lanciò uno sguardo a Rachel che per tutta risposta sorrise, l'unica cosa che gli passò per la mente era che
erano due psicopatici, e adesso capiva perchè erano diventati amici.
Rachel passò un braccio intorno alle spalle di Kurt, lui sollevo il braccio e portò la mano ad intrecciarsi con quella
dell'amica.
C'era un bambino, sui cinque anni, aveva un visetto dolce e molto familiare, correva felice sul prato, sfoggiava
la sua piccola divisa da football, si rotolava sull'erba riempiendola di macchie, e rideva, rideva forte, poi tutto
contento si alzava e trotterellava tra le braccia dei suoi genitori, sul bordo del campo che lo guardavano
orgogliosi, "Mio piccolo Kurt" gli sussurrava lei tra i capelli.
"Wow..." disse Kurt con il volto rigato di lacrime e guardando la sua amica in volto.
"Kurt, stai bene?" chiese spaventata.
"Si, solo... sto bene...".
Non ci voleva un genio per capire cosa aveva visto, e non ci voleva un'altra visione per fargli cambiare idea, non
sarebbe servito a nulla, era già deciso, allora perchè si era svegliato?
"Potreste cercare il dottor Walsh? Vorrei parlargli un attimo...".
"Oh... Certo, sicuro di stare bene?" chiese Finn.
"Si, tranquillo, vorrei solo dirgli una cosa".
I due ragazzi lasciarono la stanza in cerca del dottore e Kurt rimase solo con i propri pensieri, con una triste
consapevolezza, eppure si sentiva tranquillo, era strano, ma non aveva paura, non ancora.
La porta si aprì piano, Kurt aveva già pronto il discorso da fare al dottore e quando si girò per parlare, non trovò
il suo viso, ma il volto di due ragazzi che lo guardavano. 

 

 

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Capitolo 6
*** Errori ***


E in quell'istante l'unico rumore nella stanza, era quello dei loro cuori che battevano, cuori che si erano lasciati
cullare in un freddo intenso e senza via d'uscita, e ora la porta era spalancata, il calore entrava e si diffondeva
nei loro corpi, come per risvegliarli da un brutto sogno.
Era come se il tempo scorresse più lentamente, per far assimilare ai ragazzi ogni gesto, ogni sguardo, ogni respiro,
Blaine e David lo guardavano, come se avessero di fronte un tesoro perso da sempre e riportato in superficie dal
suo nascondiglio, e ora quel tesoro risplendeva, come per recuperare il tempo perso, perchè Kurt era bellissimo, era
il ragazzo più bello su cui i loro occhi si fossero mai posati.
Anche Kurt li osservava, una volta guardava l'uno e poi il suo sguardo si posava sull'altro, avido, in cerca di
cambiamenti, in cerca di quel qualcosa che rivelasse effettivamente lo scorrere del tempo.
"Visto, non ho dovuto scegliere, l'ha fatto qualcun altro per me..." disse, sembrava quasi sollevato.
"Kurt... è tutta colpa mia...".
"Non è colpa tua Dave, e se te lo stai chiedendo, non è nemmeno tua Blaine, solo di chi mi ha ridotto in queste
condizioni... Allora, cosa avete combinato durante la mia assenza? Non mi aspetto certo che mi abbiate aspettato,
sono passati dieci anni, insomma lo capisco dopotutto...".
Il suo sguardo vagava dall'uno all'altro, in cerca di risposte, ma i due erano visibilmente in imbarazzo e non riuscivano
a guardarlo in viso.
Uno strano silenzio si stava diffondendo fra i tre, e insieme all'imbarazzo si percepiva rimpianto? senso di colpa?
"State insieme?".
"No!!!", gridarono i due contemporaneamente.
"Allora perchè non parlate?".
Niente, non avevano intenzione di proferire parola, erano stati sicuri delle scelte che stavano facendo, eppure
era bastato sapere che forse c'era un'altra strada, e tutte le loro convinzioni avevano iniziato a crollare.
Quella situazione iniziava veramente ad infastidirlo.
"Dave, mi verseresti un bicchiere d'acqua per favore?".
Senza dire nulla il ragazzo prese una delle bottiglie messe a disposizione per Kurt e ne versò il contenuto cristallino
in un bicchiere di carta, poi si avvicinò al letto e glielo porse delicatamente, in quel momento le loro dita si
sfiorarono, e come una scossa la mente di Kurt fù investita da ricordi.
Dave che lo minacciava, il pugno pronto a colpirlo, poi le sue labbra che lo baciavano con rabbia, poteva sentirne
il sapore, sapevano di paura e speranza, e occhi che chiedevano aiuto in silenzio, ma come poteva aiutarlo se lui
per primo ne aveva bisogno.
Dave era seduto in sala d'aspetto, la testa tra le mani, lacrime rigavano il suo viso e bassi singhiozzi scuotevano
il suo corpo che in quel momento sembrava piccolo e fragile.
"Mi dispiace per il tuo amico..." una mano tesa con un fazzoletto, una ragazza dal viso dolce, dispiaciuta per qualcuno
che non conosceva, dispiaciuta perchè David sembrava perso, alla deriva, senza sporgenze a cui aggrapparsi.
"David, guarda che buffa..." quella stessa ragazza che rideva, indicando una scimmietta allo zoo, lui le sorrideva,
le voleva bene, si era affezionato a lei, era diventata la sua ancora.
"Ti amo..." silenzio.
Fai la tua scelta, cosa scegli Dave, testa o croce? Vuoi rimanere solo per sempre? Nessuno ti vorrà mai per come sei.
"Anche io...".
15 febbraio segnato sul calendario.
"Ti piace questo tesoro?" chiedeva lei volteggiando nel suo abito bianco.
Kurt perse la presa sul bicchiere che caddè rovinosamente a terra, iniziò a boccheggiare, come se tutta l'aria del
mondo non fosse abbastanza per riempire i suoi polmoni, era entrato nel panico, non riusciva a ragionare.
Blaine era corso al suo fianco, vedendo Kurt in quello stato prese le sue mani.
"Kurt calmati, non è nulla, possiamo asciugare il pavimento...".
Blaine era di fronte ad una vasca colma d'acqua calda, il vapore saliva pigro verso l'alto appannando il vetro e
le finestre.
Un sussurro.
"Kurt...", poi il sangue aveva iniziato a sgorgare da i suoi polsi, ne sentiva l'odore, il sapore si insinuava nella
sua bocca, sapeva di ruggine. Lo vedeva immergere i polsi nell'acqua, da cristallina diventava rosa e man mano che il
tempo passava il colore diventava sempre più intenso e la vita lasciava il suo corpo.
Una porta sbatteva forte, una donna urlava, un uomo prendeva tra le braccia Blaine, e poi era li, in un letto
d'ospedale, i polsi fasciati e lo sguardo perso nel vuoto.
"Figliolo, la vita è un bene prezioso, sappi che non sei solo, Dio è sempre con noi...".
"Dio...".
"Puoi contare anche su di me, sono un bravo ascoltatore...".
Quell'uomo tendeva un amano verso di lui, doveva solo afferrarla.
"Forse potrei intraprendere il seminario...".
"E' davvero quello che vuoi figliolo?".
Fai la tua scelta, cosa scegli Blaine, testa o croce? Vuoi rimanere solo epr sempre? Nessuno ti vorrà mai per come sei.
"Si...".
6 giugno segnato sul calendario.
"Ancora qualche mese e sarai nelle schiere del Signore" diceva il prete con un sorriso bonario.
Kurt strattonò con forza le mani dalla presa di Blaine.
"Questo è un incubo, non è possibile...".
 

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Capitolo 7
*** rabbia e decisioni ***


"Questo è un incubo, non è possibile..." continuava a ripeterlo, come una cantilena, come se dirlo all'infinito,
potesse modificare quello che aveva visto.
"Non è possibile che io sia rimasto in coma dieci anni per questo... io ho perso dieci anni della mia vita per questo?".
Aveva iniziato a urlare, la collera che modificava i dolci tratti del suo viso, Blaine e David lo guardavano, non sapendo,
non capendo cos'era accaduto.
Le urla lo facevano stare meglio, coprivano quel dolore alla testa che non lo abbandonava mai, che era diventato
insistente, e anche se aveva fatto una scelta, in realtà voleva solo stare meglio.
"Tu..." si era rivolto a David, lo sguardo colmo di dolore e ribrezzo.
"Cos'hai combinato? Ti stai sposando? Tu sei gay!!! Io sono ridotto così perchè tu sei gay!!".
"Hai detto che non era colpa mia..." disse David quasi senza fiato.
"Infatti non lo è, non interpretare le mie parole secondo i tuoi sensi di colpa!!".
Continuava a guardarlo, gli occhi di cui si era innamorato, che gli avevano scaldato l'anima con il loro calore
adesso erano due gemme di ghiaccio, freddi, occhi che lo giudicavano.
"La ami?".
"Si... a modo mio".
"E questo modo le basta?".
Nessuna risposta, un rapporto fatto di mezze verità, un unico segreto che provocava dolore, ma lo provava solo lui,
e tanto bastava.
"Sei un bugiardo, avevi detto che saresti cambiato, sei rimasto il solito codardo...".
Se l'avesse colpito, avrebbe sentito meno dolore.
"Sarei cambiato... per te l'avrei fatto... ma tu non c'eri...".
Sentiva gli occhi pizzicare, ed era strano perchè l'ultima volta che aveva pianto si trovava oltre quella porta e la
sua vita era cambiata, si chiese se il destino avesse qualche altra sorpresa in serbo per lui.
David prese un respiro profondo, non avrebbe permesso alle lacrime di cadere, ma quando tornò a guardare il suo volto
vi trovò solo scetticismo, non gli credeva, Kurt non credeva alle sue parole, non aveva tutti i torti vista la situazione.
"E tu? La chiesa Blaine? Quelli come noi li mette al rogo Blaine...le cose sono cambiate?".
"No, non sono cambiate... ma non mi sono avvicinata alla chiesa, ma a Dio, al suo amore...".
"Commovente, direi quasi struggente... e dimmi, il tuo Dio ti permette di essere quello che sei?".
"...No".
"L'amore del tuo Dio ti scalda come farebbe il mio?".
"E' diverso, molto diverso...".
"Lo prendo per un no...avevi così tanto da dare Blaine".
Kurt poggiò stremato la schiena alla testata del letto, una goccia di sangue si fece strada dal suo naso, fermandosi
sul suo labbro superiore, a quella vista entrambi i ragazzi si avvicinarono a lui per soccorrerlo.
"Non toccatemi, non mi serve il vostro aiuto... io... solo andate via".
Con il dorso della mano Kurt cancellò quella scia, rimanendono come incantato.
Mancava poco.
Blaine e David lasciarono la stanza, non c'erano parole che potessero risolvere la situazione in quel momento, forse
col tempo tutto si sarebbe sistemato.
David poggiò la schiena alla parete fredda dell'ospedale, non sollevò la testa ma sapeva che era ancora li.
"Cosa pensi di fare?".
"Penso che entrambi siamo giunti alla stessa conclusione...".
"Credi che sia possibile... che un fatto stravolga così le nostre vite?".
"Hai già la risposta... non è la prima volta, no?".
"No, non lo è... hai paura?".
"... Ho fiducia nell'amore del mio Dio, lui capirà... tu?".
"Penso... anzi sono sicuro che andrà bene... in qualche modo...".
"Lui... era solo ferito, qualunque cosa tu creda di aver visto nei suoi occhi... non farti abbattere, gli passerà".
Dave alzò la testa a quelle parole, vide la sua schiena svoltare l'angolo e andare via, era la prima volta che
aveva avuto parole gentili per lui.

 

 
 

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Capitolo 8
*** Famiglia ***


"Potrei uscire da qui?" chiese quasi in una supplica.
"Kurt non credo sia il caso... non sappiamo quando..." rispose il dottor Walsh.
"Cosa cambierebbe? Insomma ormai ci siamo... no?".
Il dottore lo guardò a lungo prima di sospirare e venire meno al buon senso.
"Immagino che non cambi nulla, se è quello che vuoi...".
"Non vorrei ma... l'ho visto...".
C'era paura nella sua voce, paura e consapevolezza, nel bene e nel male tutto sarebbe tornato alla normalità.

Si sentiva stanco e senza energie, ma appena venne sospinto fuori da quelle mura tristi l'aria calda e gradevole
lo fece sentire meglio, respirò piano e a pieni polmoni, la giornata non poteva essere migliore di così,
il cielo di un limpido azzurro e il sole che scaldava meravigliosamente la sua pelle.
Avrebbe voluto camminare per conto suo, ma era stato costreto su una sedia a rotelle, aveva protestato per il
gusto di farlo, per apparire come in realtà non era, ma sapeva che non avrebbe fatto molta strada sulle sue gambe.
Si sentiva stranamente leggero, in pace, era circondato dalla sua famiglia e anche se era ancora arrabbiato, era
contento che suo padre avesse invitato a quella gita i due ragazzi che avevano stravolto la sua vita.
Kurt non conosceva la meta del viaggio, ma quando arrivarono l'odore della salsedine e il pigro rumore delle onde
che si riversarsavano sulla spiaggia gli rivelarono dove si trovavano.
Il luogo dove aveva passato tutte le estati della sua infanzia, dove non doveva fingere di essere ciò che non era,
dove ricordava i suoi genitori insieme, che si amavano, che lo amavano e tutto era perfetto.
"Ricordavo ci fosse una passerella qui da qualche parte...", Burt guardò verso destra e poi verso sinistra.
"Non si preoccupi, ci penso io...", Dave si avvicinò a Kurt, senza alcuna fatica lo sollevò dalla sedia a rotelle
e lo strinse forte per non farlo cadere, Kurt sollevò la testa, ma non incontrò il suo sguardo.
"... Grazie..." mormorò piano, poi poggiò la testa sulla sua spalla e le mani al suo petto e si lasciò trasportare
 come un bambino, non poteva davvero credere a quello che vedeva, se si fermava a rifletterci lo trovava
impossibile, eppure lo sapeva, era la verità.
Carole stese un enorme coperta sulla sabbia e Dave dovette a malincuore depositare e terra Kurt, il contatto fisico,
seppur innocente lo aveva scaldato più di quanto avesse potuto fare il sole, avrebbe voluto tenerlo stretto tra le
sue braccia ancora per un pò.
Quando iniziarono a mangiare, Kurt si soffermò a guardare i visi e le espressioni dei suoi cari, suo padre ogni tanto
gli lanciava uno sguardo preoccupato o colmo di apprensione, era molto dolce, non era cambiato dopo tutti quegli anni,
Carole ogni tanto gli toccava la fronte o gli stringeva la mano, per controllare se era tutto ok, aveva sempre cercato
di essere una seconda mamma per lui, ma senza pretenderlo, forse era per quello che aveva conquistato così in fretta
il suo affetto.
Sembravano in imbarazzo tra di loro, ma in realtà, Kurt lo vedeva, era solo perchè sentivano la mancanza l'uno
dell'altra, si amavano ancora, non potè fare a meno di sorridere all'idea.
Finn guardava Rachel come in adorazione, mentre lei farneticava su chissa quali assurde idee.
"Ricordi quando vinsi la sfida di Defying Gravity?" disse riportandolo alla realtà.
"Si... ricordo di averti lasciata vincere..." disse lui con il suo tipico fare altezzoso.
Tutti scoppiarono a ridere nel vedere il broncio comparso sulle labbra della ragazza.
"Rachel mi sbaglio o le tue forme sono più... prosperose?" disse con finta ignoranza.
"Beh ecco, veramente...".
"Finn reggi mio padre o potrebbe venirgli un altro infarto... se non viene prima a te...", concluse sottovoce.
"Aspettiamo un bambino..." concluse lei.
Carole scoppio in lacrime, mentre Burt assestava manate vigorose alla spalla di Finn che ancora mezzo scombussolato
era rimasto senza parole, mentre Blaine e David si congratulavano con il futuro papà Kurt abbraccio forte Rachel,
alle immagini che aveva già visto se ne aggiunsero altre, raffiguravano tutte un quadro familiare colmo di gioia e
amore, una nuova famigli allargata, non potè fare a meno di farsi scappare una lacrima.
"Hai già pensato al nome?" chiese lui.
"No, volevo farlo insieme a Finn...".
"Sono sicuro che sarà splendido...".

Kurt si sentiva sempre più debole, ma non voleva che la giornata finisse, non voleva tornare all'ospedale, tra quelle
mura opprimenti, gli serviva solo un appoggio, qualcosa per non accasciarsi al suolo stremato.
Come se avesse letto nei suoi pensieri Blaine gli circondò con un braccio la vita, lo fece sedere tra le sue gambe
e con gentilezza gli permise di riposare senza che gli altri notassero nient'altro che un gesto d'affetto.
"Blaine...", senza dire nulla il ragazzo lo strinse un pò di più.
Nuove immagini, diverse angolazioni, altre conferme.
"Kurt se nasce una bambina la potrai portare a fare compere...", disse Finn con convinzione.
"Anche se è un bambino?".
Finn rise pensando a quella richiesta, ma non potè fare a meno di sorridere.
"Si, però niente cose troppo... luccicanti...".
"Affare fatto...", disse in un sussurro.
Quando Burt decise che era ora di tornare per far riposare Kurt, il ragazzo provò debolmente a convincerlo a
rimanere un altrò pò senza ricavare nulla.
Burt lo sollevò in un attimo con grande dispiacere di Dave, Kurt si lasciò stringere, l'odore di suo padre era
così familiare che gli sembrò per un attimo di essere tornato bambino, poi le immagini che gli passarono davanti
agli occhi gli fecero vedere cose che non avrebbe mai immaginato di ricordare, la sua prima caduta dalla bici,
il primo giorno di scuola, la prima volta che i bambini lo avevano deriso, e lui era sempre li, per consolarlo,
per dirgli che sarebbe andato tutto bene.
"Papà... ti voglio bene...".
"Te ne voglio anche io figliolo, saremo sempre io e te...".
Kurt si addormentò così, felice per aver trascorso la migliore giornata della sua vita, quando lo lasciarono nel
letto d'ospedale e se ne andarono, tutti erano sereni, convinti che quello fosse il primo di molti giorni che
avrebbero trascorso insieme, avrebbero recuperato il tempo perduto e creato nuovi ricordi.
Poi il corpo di Kurt iniziò a tremare.

 


 
  

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Capitolo 9
*** Lettere ***


Quando quella mattina Burt varcò la soglia della camera di suo figlio, tutto si sarebbe aspettato, meno di vederlo
inerme su quel letto.
Bip... Bip... Bip...
La macchina che lo aveva tenuto in vita per tanti anni era nuovamente li, si era ripresentata come una vecchia
amicizia di cui non sentivi la mancanza, lo avvolgeva con i suoi fili, senza lasciargli scampo, come un predatore
fa con la sua preda.
Burt portò istintivamente la mano al petto, lo sapeva, in un momento sarebbe arrivato quel dolore al petto, quello
che conosceva bene, e magari si sarebbe portato via il dolore che si stava espandendo come olio sull'acqua, molto
lentamente si avvicinò al letto e osservò il viso di suo figlio.
Stava dormento, il suo viso era troppo sereno per essere altrimenti, si, si era sbagliato, stava solo dormendo.
Molto delicatamente gli prese la mano, la strinse forte e lo chiamò.
"Kurt...".
Iniziò a scuoterlo, prima piano, poi con sempre maggiore insistenza e irruenza.
"Kurt, no, ti prego...".
Stava urlando e non se ne rendeva conto, ancora aggrappato al corpo del figlio il suo corpo era scosso, i gemiti
che uscivano dalle sue labbra sembravano quelli di un animale in gabbia, senza via di fuga, senza scampo.
L'ultima cosa che vide prima di svenire era il volto di Carole immobile sulla porta, e le gambe di Finn che cercavano
aiuto, poi buio, familiare e confortante buio che lo trasportarono in un mondo dove tutto ancora andava bene.

Quando aprì gli occhi, il primo pensiero fù che aveva fatto un tremendo incubo, ma nell'istante in cui i suoi occhi
incontrarono quelli del Dottor Walsch, realizzò immediatamente che quello che aveva visto era reale, lo aveva perso
un altra volta.
"Signor Hummel, come si sente? No, non si alzi...".
"Kurt, cosa... perchè è... la macchina...".
Il Dottore lo guardò, il voltò disteso, gli occhi colmi di compassione.
"Signor Hummel... Kurt è entrato in uno stato di coma, dovuto a complicazioni riguardanti una vasta area del cervello,
crediamo che quando Kurt si è svegliato, le funzioni che erano rimaste assopite si siano risvegliate in modo anomalo
dati i seri danni in cui era arrivato qui sui figlio dieci anni fa... Io credo che, quelle specie di... visioni?
Possano essere imputate...".
"Non capisco...", disse Burt, come se non fosse davvero presente.
"Lui può svegliarsi nuovamente, come ha già fatto, non è così".
"Signor Hummel, suo figlio non si sveglierà, lo stato in cui si trova è troppo avanzato, l'unica cosa che lo tiene
in vita è quella macchina...".
"Perchè non avete fatto qualcosa? Potevate curarlo, fare in modo che non accadesse...".
"All'inizio aveva accettato di sottoporsi all'operazione, nonostante la percentuale di riuscita fosse molto bassa, poi
un giorno mi ha detto che aveva cambiato idea, che era inutile, lui l'aveva visto... ha firmato un foglio contro
l'accanimento terapeutico Signor Hummel...".
Poi dalla tasca estrasse una busta bianca, l'unica traccia di colore era una scritta, Papà.
"Spero che questa riesca a spiegarle meglio cosa voleva kurt è perchè ha agito cosi...".
Burt la prese, con mani tremanti estrasse un foglio.

Papà,
se stai leggendo questa lettera significa che il mio tempo è scaduto,
perdonami per non averti detto nulla, perdonami per averti portato a
questo punto, ma sò che se te ne avessi parlato, mi avresti convinto
a subire un operazione che mi avrebbe precluso giorni preziosi, giorni
che ho avuto la fortuna di trascorrere con te, con la mia famiglia, con
le persone che amo e che amerò sempre.
Sapevo che sarebbe stato inutile, perchè ho visto tutto, il passsato, il
futuro, e in quel futuro io non ci sono Papà, ma ti prometto che quello che
ti aspetta, che vi aspetta... non immagini nemmeno, sarà stupendo.
Ho avuto la possibilità di avere altro tempo, non sò chi devo ringraziare
per questo, ma nelle ore che ho trascorso solo, in questa stanza che fà
da sfondo ai miei pensieri, ho capito che se ho avuto un'altra occasione,
era perchè dovevo sistemare quello che per colpa del mio incidente avevo
creato, ho rovinato la tua vita, quella di David e quella di Blaine.
Me ne vado nella speranza che tu apra gli occhi, non sacrificare il tuo
matrimonio, vai avanti con la tua vita, perchè Carole è la cosa migliore
che ti potesse capitare, e lo vedo che vi amate, non sprecare questo
sentimento per piangere al mio capezzale e prenditi cura di Finn come se
avessi davanti me, perchè anche se è un testone, è il figlio che ogni
genitore vorrebbe avere.
Papà, ti prego, stacca quella macchina, lei mi tiene in vita, ma lo sai
è solo una triste illusione, lasciami andare perchè io non sono più
in questo corpo, non tornerò più.
Sei il padre migliore del mondo è sò che anche se è doloroso farai quello
che ti chiedo, ti voglio bene, tuo Kurt.

Burt iniziò a piangere, come poteva chiedergli di lasciarlo andare? Come avrebbe potuto farlo? Mentre pensava
questo la busta gli cadde dalle mani, l'angolo di un'altra lettera aveva fatto capolino attirando l'attenzione
di Burt, A David e Blaine diceva la scritta, gli si strinse il cuore.

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Capitolo 10
*** vera visione ***


I due ragazzi percorrevano il corridoio, pronti a intraprendere una nuova vita, una vita che per un incidente aveva
tardato ad arrivare, ma che ora era li, davanti a loro e attendeva solo di essere vissuta.
"Sembri sconvolto... è andata male?", sentirsi porre certe domande era strano, sopratutto se ha pronunciarle era Blaine,
lo stesso Blaine che poteva portargli via Kurt.
"...no, non proprio... è stato strano, mi ero aspettato il peggio, invece non avrei dovuto, non con lei...".
Blaine rimase in silenzio aspettando che continuasse.
"Le ho detto che non potevo sposarla, che ero gay, che sapevo di esserlo ben prima di conoscerla, le ho parlato di Kurt,
lei ha fatto il resto, ha ricordato come ci siamo conosciuti, in che stato ero... ha detto che mi capiva... non ha urlato,
non mi ha aggredito come pensavo... non mi ha detto che gli facevo schifo, che ero un mostro, che l'avevo illusa e ingannata,
lei... mi ha detto... le parole che avevo bisogno di sentire...".
"Sono felice per te, sembra che tutto stia tornando alla normalità...".
"... tu?", non sapeva perchè ma voleva ricambiare la gentilezza, si era sempre chiesto cosa Kurt avesse visto in quel ragazzo
e forse era riuscito a scorgere qualcosa.
"Io? Finirò il seminario... ma non prenderò i voti".
"Non mi lasci strada libera?", chiese David con un sorrisino.
"Non contarci...", rispose serio Blaine.
Quando arrivarono davanti alla camera di Kurt bussarono piano, poterono sentire distintamente qualcuno piangere, senza aspettare
risposta varcarono la soglia della camera, Burt era chino sul letto, una mano portata a nascondere il volto e l'altra stretta a
quella di Kurt, Finn con gli occhi gonfi teneva stretta al petto Rachel che sussultava ad ogni nuovo respiro e con un braccio
cingeva le spalle di Carole che immobile guardava suo marito scambiare gli ultimi gesti d'affetto con suo figlio.
"Cosa...?".
I due ragazzi rimasero paralizzati alla vista di Kurt nuovamente collegato ai macchinari, c'era qualcosa di sbagliato in quello che
vedevano, era come essere tornati indietro nel tempo, erano di nuovo dei ragazzini che piangevano e si disperavano, erano nuovamente
impotenti, nuovamente soggiogati dagli eventi.
Burt sollevò la testa, richiamato da quella voce improvvisa, non era stata forte, solo che dopo tanto silenzio aveva come spezzato
quel momento, realizzando finalmente chi aveva davanti, guardò prima loro, poi la lettera sul tavolo e poi la mano di suo figlio,
non voleva lasciarla andare, non poteva farlo, Carole intercetto quello sguardo colmo di terrore, si sollevò piano, allontanandosi
dal conforto che fino a quel momento l'aveva sostenuta, guardò i due ragazzi negli occhi, prima l'uno poi l'altro e con mano tremante
consegnò la lettera a Blaine.
Una lettera, Blaine la voltò, sulla spessa carta l'inchiostro aveva lasciato una scritta, A David e Blaine, su quella spessa carta
Kurt aveva fatto scorrere la sua mano e tracciato quelle parole nella sua bella grafia.
La lettera era indirizzata ad entrambi, Blaine prese David per un braccio e lo invitò a leggere con lui.

Cari Dave e Blaine,
vi devo delle scuse, mi vergogno per come vi ho trattato,
per come ho preso le vostre vite e analizzate come se fossero
spazzatura, pensavo di avere il diritto di arrabbiarmi, di
urlarvi contro, pensavo che mi fosse stata rubata la vita, e che
il modo in cui stavate gestendo le vostre fosse un insulto, uno
sputare su quello che mi era stato fatto, ho realizzato solo
dopo che in qualche modo anche voi stavate sprecando le vostre,
non per incapacità o stupidità, ma per me, questo mi ha fatto
soffrire ancora di più.
La verità è che se non mi fosse accaduto nulla avreste capito subito
che persona sono, mi dispiace perchè non avete visto prima quanto
sono meschino, geloso, possessivo, non avrei mai potuto scegliere
tra voi due, vi amo entrambi in modi diversi, Blaine tu mi hai
aiutato a essere forte, a non arrendermi mai, David, con te mi sentivo
la persona più coraggiosa del mondo, come se niente potesse arrestare
il mio cammino, con voi ero completo, con entrambi.
Vi amavo quando eravamo solo adolescenti e vi amo ora che scrivo
questa lettera, sarete felici, è l'unica cosa che posso promettervi.
Vostro Kurt.

Mentre finiva di leggere Blaine si sentì trascinare a terra, David si era accasciato al suolo portandoselo dietro, aveva iniziato a
piangere, il volto coperto di lacrime senza la minima vergogna di quello che stava provando.
"Andrà meglio... vedrai...", Blaine aveva abbracciato David per cercare di tranquillizzarlo, poi era crollato anche lui e insieme
avevano tirato fuori tutte le loro lacrime.

C'era un bambino, sui cinque anni, aveva un visetto dolce e molto familiare, correva felice sul prato, sfoggiava
la sua piccola divisa da football, si rotolava sull'erba riempiendola di macchie, e rideva, rideva forte, poi tutto
contento si alzava e trotterellava tra le braccia dei suoi genitori, sul bordo del campo che lo guardavano
orgogliosi, "Mio piccolo Kurt" gli sussurrava lei tra i capelli.
"Nonno, nonna, venite a giocare con me?", gridava lui da lontano, Burt lo salutava con la mano.
"Sono troppo vecchio per rotolarmi sull'erba...", diceva lui di rimando scatenando le risate di Carole.
"Andiamo tesoro, non siamo poi così vecchi dopo tutto...".
Una macchina si affiancava sul prato, il bambinò sgranò gli occhi entusiasta, glielo avevano promesso ed erano venuti davvero a
vederlo giocare con la sua nuova divisa.
"Zio Dave!!", il piccolo Kurt si mise a correre contento fino a catapultarsi nelle braccia di David che lo sollevò in aria
facendolo volare.
"Ehi mostriciattolo, che combini?", chiese divertito.
"Stavo giocando, ma papà e il nonno sono già stanchi", disse mettendo su il broncio
"Che ne dici se aspettiamo che si riposino e poi facciamo una partita tutti insieme?".
"Si!!", si divincolò per essere messo a terra.
"Zio Blaine tu giochi vero?".
"Certo... senti ti ho portato un regalo...", disse con fare misterioso.
"Si!!! Dai, dai, dai, dammelo...".
Blaine tirò fuori dalla schiena un piccolo papillon mentre Kurt spalancava gli occhi.
"E' uguale al tuo!!", Kurt corse verso il padre tutto contento.
"Papà hai visto? E' proprio bello, ti piace?".
Finn si batte la mano sul viso suscitando le risate generali.
"Hai ringraziato lo zio?".
Kurt si avvicinò nuovamente a Blaine tirando una gamba dei pantaloni per farlo abbassare.
"Grazie zio...", disse timidamente.
"Zio... mi racconti un'altra volta la storia del mio nome?".
Il ragazzo guardò il piccolo Kurt negli occhi, non avevano quell'intenso colore blu, eppure amava quel bambino, fece segno agli
altri di avvicinarsi e tutti insieme si sedettero sull'erba.
Blaine prese la mano di Dave e apoggiò la testa nella sua spalla mentre Kurt si accoccolava al suo petto.
"Tu hai il nome di una persona davvero speciale, una persona che riusciva a farsi amare da tutti...".

 

 

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