Il Demone e l'Agnello di Raika (/viewuser.php?uid=133228)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ali Nere ***
Capitolo 3: *** Un'Offerta Sospetta ***
Capitolo 4: *** L'Honmaru ***
Capitolo 5: *** La Gora Kadan ***
Capitolo 6: *** Appuntamento.. Con il Gatto ***
Capitolo 7: *** L'Agnello ***
Capitolo 8: *** L'Incontro - Parte Prima ***
Capitolo 9: *** L'Incontro - Parte Seconda ***
Capitolo 10: *** Jin Kazama ***
Capitolo 11: *** "Regali" e Regali ***
Capitolo 12: *** The Power of Darkness ***
Capitolo 13: *** Candore ***
Capitolo 14: *** Inquire After ***
Capitolo 15: *** Security Level 6 ***
Capitolo 16: *** Il Compleanno ***
Capitolo 17: *** The Mishima's Blood ***
Capitolo 18: *** La Famiglia Kazama ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Ho
scoperto che a volte i sogni rispecchiano davvero il nostro destino..
Non sono mai stata una ragazza che crede nei fatalismi o nel
soprannaturale, sono sempre stata convinta che siamo noi a scrivere il
nostro destino, a scegliere quale strada intraprendere e non mistiche
forze cosmiche. Eppure mi sbagliavo.
E’ dura dover ammettere che tutte le convinzioni di una vita
sono tremendamente sbagliate, ma la cosa più difficile in
assoluto sicuramente è convincersi che davvero mirabolanti
forze soprannaturali giocano con le nostre vite spingendoci in quella o
in quell’altra direzione. Eppure è
così..
Mai avrei creduto che un semplice sogno potesse cambiare
così la mia vita, che il mio destino fosse legato e
condizionato da quello di un perfetto estraneo e che proprio quello
sconosciuto sarebbe diventato la mia unica ragione di vita.
Il mio nome è Charlotte Elena Hellenton, ma potete chiamarmi
Charlie, e questa è la mia storia...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Ali Nere ***
Ali
Nere
Delle
possenti e lucenti ali nere.. Soffici e scure piume corvine come una
notte senza stelle.. Un volto delicato su cui si apre un malinconico
sorriso.. Ancora quelle affascinanti e oscure ali aperte su una schiena
muscolosa e bianca che prendono il volo.. Una cascata di piume del
colore del buio e tra di loro uno spiraglio di luce candido e
delicato.. E poi un volto.. Un volto dolce e bellissimo, dai profondi
occhi castani.
<<
Proteggili. Proteggili entrambi >>
E
infine un calore, un calore così intenso..
<<
Charlotte! >> esplose un’impaziente voce
femminile spazzando via in un soffio quell’ipnotizzante
sogno.
<<
Mmh.. >> protestò il soffocato suono di
qualcuno da sotto il soffice piumoncino di seta pervinca.
<<
Oh andiamo Charlotte! Non fare la bambina e alzati! >>
<<
Altri cinque minuti. >>
<<
Charlie non farmi venire lì >> la
minacciò la paffuta governante guardando torva la sagoma
nascosta sotto le lenzuola, senza però ottenere il risultato
desiderato. Così esasperata si avvicinò al letto
e prendendo saldamente tra le mani il pregiato tessuto tirò
scoprendo completamente la giovane nascosta sotto, che per
l’improvviso fresco si rannicchiò ancora di
più, nascondendo il volto sotto il cuscino.
<<
Charlotte insomma! Non hai più dici anni! >>
esplose alla fine Amalia strappandole di mano anche il cuscino e
costringendola ad alzarsi. << Su alzati, vado a
prepararti il bagno e quando torno voglio vederti fuori da quel letto.
>>
<<
Mmh.. Che ore sono? >>
<<
Le undici e mezza >> rispose la donna avviandosi verso la
zona bagno, per poi aggiungere prima di sparirvi. << E
non azzardarti a rimetterti a dormire, capito signorinella?
>>
Charlotte
guardò sparire la morbida figura oltre la porta, poi
sbuffando si decise ad alzarsi andando dritta verso il cassettone per
recuperare la nuova essenza a base di Delphiniium Incanum che la madre
le aveva ordinato dall’India.
<<
Autenticity. Sviluppa la capacità d’esprimersi, la
comunicazione verbale, il senso estetico, il piacere e la bellezza e
bla bla bal. Un mucchio di cavolate >> disse la ragazza
leggendo le sue proprietà.
Sua
madre era maledettamente fissata con tutta quella roba assurda dei
Chakra e la spiritualità che non faceva altro che riempire
lei e sua sorella di quelle stupide essenze dalle proprietà
magiche. Ma per favore! Su via, siamo seri, come era possibile che uno
stramaledettissimo fiore o un insulsa pietra riuscisse a guarire
l’ansia, le malattie o i traumi della vita?! Suo padre si era
condannato facendo quella vacanza in India.
<<
E’ pronto Charlie >> la informò la
governante uscendo dal bagno e iniziando a rifare il letto.
<<
Grazie Amalia >> disse la giovane chiudendosi alle spalle
la porta e spogliandosi della finissima camicia da notte di raso per
poi immergersi nella calda acqua profumata.
Una
volta dentro la vasca Charlotte chiuse i grandi occhi color pervinca
poggiando la testa sul bordo sospirando. Anche quella notte aveva
sognato quelle ali nere, così splendide e possenti da
incutere quasi timore, era ormai la terza volta in quella settimana che
le vedeva e stavano iniziando a darle sui nervi. Per quale
accidentaccio di motivo le apparivano in sogno delle stupidissime ali
di piccione?!
“Non
di piccione.. D’angelo” le sussurrò una
timida voce dentro di sé.
<<
E che differenza fa?! >> esclamò la ragazza
stizzita ad alta voce.
<<
Hai detto qualcosa Charlie? >> domandò Amalia
dalla stanza adiacente.
<<
No >> rispose lei, poi abbassando la voce aggiunse
<< Oh andiamo Charlie adesso parli anche da sola?! Che ti
importa di quello stupido sogno? Infondo non ti piacciono neanche i
piccioni? >>
“Angeli”
<<
Si va bé angeli. >>
Eppure
ogni volta che le vedeva, quelle splendide ali scure come due pozze
senza fondo, la ipnotizzavano, esercitavano su di lei un fascino quasi
magnetico che le impedivano di staccargli gli occhi di dosso. E poi
c’era quella voce.. Era la prima volta che la sentiva, o
almeno credeva, era una voce così dolce e melodiosa che era
impossibile dirle di no. Le aveva chiesto di proteggerli, proteggerli
entrambi, ma da che diavolo doveva proteggerli? E soprattutto, chi?!
<<
Che assurdità.. >> sussurrò
Charlotte immergendosi sott’acqua.
Lei
non credeva affatto a tutta quella roba da medium, trovava ridicolo
anche solo il pensiero che i sogni potessero mandare dei messaggi,
sapevano tutti che essi erano la rielaborazione di ciò che
l’inconscio e nient’altro. Non era assolutamente
possibile che quelle stupidissime ali o quella voce avessero voluto
dire qualcosa ed era solo un caso che il sogno si fosse ripetuto,
probabilmente era successo perché ci pensava troppo. Si
sicuramente era così e per evitare che accadesse di nuovo
avrebbe smesso di pensarci.
Con
quella decisione Charlie riemerse finendo di lavarsi e poi
uscì.
Una
volta pettinati e asciugati i lunghi capelli color caramello
tornò in camera e solo per far contenta sua madre
utilizzò l’essenza che le aveva regalato, tutto
sommato, anche se non serviva praticamente a niente, aveva un buon
profumo.
<<
Stai usando l’essenza di tua madre? >>
<<
Già, incredibile vero? >>
<<
Non credevo credessi a queste cose. >>
<<
Infatti, l’ho messo solo per farla stare buona
>> disse la ragazza avviandosi verso l’armadio
e prendendo la prima cosa che le capitò a tiro.
Una
volta vestita e truccata Charlotte recuperò un leggero
soprabito bianco, poi dopo aver salutato Amalia scese in cucina
recuperando un bicchiere di succo d’arancia e una male,
infine si diresse nella serra.
<<
Mamma? >>
<<
Sono qui. >>
La
giovane seguì il suono della voce fino alla parte
più ad est del locale, dove sua madre, con i lunghi capelli
color miele raccolti in una comoda treccia e spessi guanti da
giardiniere, che indosso a lei sembravano elegantissimi, stava
piantando rose dalle modeste dimensioni di colore.. Nero?!
<<
Mamma che stai facendo?! >> esclamò Charlotte
guardando sbalordita i fiori.
<<
Oh tesoro buongiorno. Ti piacciono? >> chiese la donna
dando un lieve bacio sulla guancia della figlia.
<<
Che cosa sono? >>
<<
Sono pregiatissime Chinensis Louis XIV°, ibride rose cinesi.
Non sono bellissime? >>
<<
Ma sono.. Nere.. >>
La
donna rise. << No tesoro, guarda meglio, sono rosso
scuro. Le rose nere non esistono in natura, in realtà sono
rose bianche imbottite di coloranti. >>
Ora
che glielo faceva notare, sua madre aveva ragione, guardando
meglio i fiori erano di un rosso scurissimo che così a prima
vista l’avevano ingannata.
<<
Per un attimo ho temuto che volessi darti alla magia nera, mamma.
>>
<<
Non credo possa fare per me, preferisco la pacifica e benevola
liberazione dei Chakra all’ingannevole magia ciarlatana. E a
proposito di Chakra, è Delphiniium Incanum quello che sento?
>>
<<
Si.. >>
<<
Oh tesoro, sono felice che tu lo abbia utilizzato. Sei molto
più radiosa è bella del solito, inoltre sono
sicura ti aiuterà molto quest’oggi.
>>
<<
Ah si? E come mai? >>
<<
Tuo padre vuole vedere sia te che tua sorella a pranzo. E anche Emily.
L’auto è già pronta, le passerete a
prendere e vi porterà a pranzo. >>
<<
E papà per caso ti ha detto perché ci vuole con
lui? >>
La
donna sorrise maliziosa, poi aggiunse << Lo scoprirai
presto, però credo faresti meglio a indossare qualcosa di
più elegante. >>
Charlotte
alzò gli occhi al cielo, pensava di sapere già
cosa avesse in mente suo padre, poi dopo aver dato un bacio sulla
guancia di sua madre tornò in camera sua per cambiarsi.
<<
Tesoro aspetta. >>
<<
Si mamma. >>
<<
Quel pacchetto sul mobile è per te. >>
Charlie
lo prese, conteneva uno splendida catenina con un ciondolo di tanzanite
a forma di rosa.
<<
E’ bellissima. >>
<<
L’ho vista ieri in centro e ho pensato si intonasse bene con
i tuoi occhi e poi ha la forma del mio fiore preferito.
>>
<<
Grazie mamma, mi piace tantissimo >> disse la ragazza
abbracciando la donna, quella donna il cui nome era Rosalie
“Rose” Hellenton e che non poteva avere nome che
meglio la rappresentasse.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Un'Offerta Sospetta ***
Un’offerta
Sospetta
Come abitudine di Diego, uno egli autisti personali della famiglia
Hellenton, Charlotte arrivò di fronte alla scuola superiore
di Osaka con un quarto d’ora buono di anticipo. Suo padre si
era premurato di affidare alla più piccola delle figlie un
autista che si assicurasse che arrivasse sempre puntuale,
perché se c’era una cosa che Adam Hellenton aveva
insegnato alle sue figlie, ancor prima del parlare o del camminare, era
essere sempre puntuali. Per lui quella era una caratteristica
fondamentale come la lealtà o l’intelligenza e
Diego si assicurava sempre che venisse rispettata.
<< Siamo un po’ in anticipo signorina
Hellenton. >>
<< Non fa niente >> rispose la ragazza
fissando fuori dal finestrino oscurato.
“Ali nere come la notte.. Una cascata di piume scure con al
centro una bianca.. Quel volto.. Quelle parole..”
<< Maledizione basta! >> imprecò
a denti stretti la giovane. Ma che diavolo le stava prendendo?!
<< Va tutto bene signorina Hellenton? >>
chiese l’autista abbassando il divisore della limousine.
<< Si Diego, grazie. Credo che uscirò a
prendere una boccata d’aria. >>
<< Come desidera >> rispose
l’uomo sbloccando la portiera.
Una volta all’aria aperta Charlie si sentì molto
meglio, probabilmente era il profumo dolciastro dell’essenza
che aveva usato ad annebbiarle la mente, così si ripromise
di non utilizzarla più.
“Stupida robaccia indù. Questa è
l’ultima volta che mia madre mi frega con queste
cavolate” pensò la ragazza innervosendosi e
poggiandosi all’automobile.
Annoiata Charlie guardò l’orologio, non erano
passati neanche cinque minuti da quando erano arrivati, così
sbuffando si mise ad osservare la strada. Non era male come posto,
circondato da numerosi alberi di ciliegio che dovevano dare un bello
spettacolo in primavera, ma a parte quello era particolarmente anonimo
come luogo. Non capiva proprio come due personalità
così eccentriche e tremendamente capricciose come Lili e
Maxi avessero potuto scegliere un liceo così
anonimo come quello. Probabilmente si sarebbero trovate più
a loro agio allo stesso istituto privato che aveva frequentato lei, in
cui anche la polvere era lussuosa e loro sarebbero state trattate come
si addice a signorine del loro calibro, invece avevano scelto di andare
lì e la cosa più strana era che i loro genitori
avevano accettato. Quando aveva tentato lei di convincere suo padre a
farle frequentare un liceo normale come tutte le ragazze della sua
età aveva ricevuto solo un secco no e una manfrina infinita
sul perché avrebbe dovuto frequentare le superiori che lui
le aveva scelto e un sacco di altre storie sul fatto che
l’azienda di famiglia pesava sulle sue spalle, tutti
argomenti che non importavano un fico secco ad una quattordicenne
arrabbiata, mentre quelle due sbattendo un po’ i loro
occhioni chiari avevano ottenuto in nemmeno due giorni ciò
che volevano, era davvero incredibile! Il solo pensiero la faceva
innervosire ancora di più, fortuna che a distrarla da
quell’irritante riflessione intervenne il suo secondo
cellulare avvisandola dell’arrivo di una chiamata.
Numero sconosciuto, ma Charlie non si preoccupò, sapeva
esattamente chi era.
<< Si? >>
<< Lunedì. 23.30. La parola d’ordine
è Black Wings. >>
La chiamata terminò.
Ali Nere. Non poteva crederci, era impossibile. Quelle maledettissime
ali da piccione la stavano tormentando sul serio!
“No, calma Charlie, non dare in escandescenza. E’
solo un caso.”
Allora perché era così nervosa? Insomma non
faceva altro che vedere quelle cose piumate e il loro colore da tutte
le parti, che stesse diventando pazza? Doveva smetterla di bere quel
tè cinese di sua madre, era allucinogeno e le provocava dei
seri danni alla salute mentale.
Finalmente dopo quello che sembrò un tempo infinito, un
suono di campanella in lontananza segnò la fine delle
lezioni e gli studenti iniziarono a riversarsi nella strada principale
per tornare a casa.
Tra di loro, una in particolare attirò
l’attenzione di Charlotte: una minuta ragazzina dai
liscissimi capelli neri pettinati in due code sbarazzine.
Così a prima vista non era niente di speciale, certo era
carina, ma rientrava perfettamente nella norma della maggior parte
delle ragazze giapponesi, se non fosse stato per l’enorme
panda dai bracciali rosa shocking che camminava placidamente al suo
fianco.
<< Wow. Questa si che è bella
>> sussurrò la giovane guardandola
sbalordita e ripromettendosi di chiedere chi fosse a sua sorella.
Una miriade di studenti sfrecciò di fronte a lei fissando a
bocca aperta la lussuosissima limousine e la bella ragazza
lì di fianco, ma delle due attese ospiti non c’era
neanche l’ombra.
<< Oh ma dove sono?! >> domandò
Charlie impaziente. << Eppure lo sa che papà
è fissato con la puntualità. >>
Poi finalmente Lili e Maxi apparvero, circondate da una piccola cerchia
di seguaci, neanche fossero state due principesse.
<< Ci diamo una mossa?! >>
esclamò la giovane richiamando la loro attenzione, che dopo
aver salutato la loro piccola “corte”, corsero
verso di lei salutandola con un coro di << Ciao Charlie.
>>
<< Alla buon ora. Lo sai che papà odia
aspettare. >>
<< Si scusa >> rispose sua sorella.
<< Ma, Matthew McConaughey mi ha appena invitato ad
uscire! >>
<< Oh.. Wow >> disse la bionda senza
entusiasmo.
<< Oh non puoi capire Charlie. E’ il
ragazzo più carino della scuola! Quarterback, capitano della
squadra di nuoto, miglior studente dell’anno..
>>
<< E non dimenticare: primo classificato a mister Osaka
dell’anno scorso >> aggiunse Lili.
<< Una vera leggenda. >>
<< Di più! >> urlò la
più piccola delle Hellenton. << Un angelo.
>>
Sentendo le ultime parole la giovane dagli occhi color pervinca si
rabbuiò, di nuovo quegli esseri con le ali da piccione. Ma
cosa prendeva a tutti? Erano diventati una mania!
<< Su andiamo. >>
Le due nuove arrivate annuirono salendo in auto. Erano quasi pronti a
partire quando Maxi esclamò << Aspetta! Ho
dimenticato il libro in classe. >>
<< Non puoi prenderlo domani? >>
<< No >> rispose la ragazzina con radioso
sorriso che le illuminava il bel viso, messo in risalto da un leggero
trucco intorno agli occhi color smeraldo.
<< Oh Maxi! Su fai presto. Io chiamo papà e lo
avverto. >>
Le sorelle Hellenton scesero dall’auto e Charlotte,
osservando la longilinea figura della ragazzina dai capelli color
miele, prese il suo primo cellulare chiamando il padre.
<< Pronto >> rispose la voce di Adam
Hellenton.
<< Papà sono Charlotte. Arriviamo con cinque
minuti di ritardo, Maxi ha dimenticato un libro in classe ed
è tornata indietro a prenderlo. >>
<< Va bene Charlie >> concluse
l’uomo, particolarmente di buon umore.
<< Okay. A tra poco. >>
<< A tra poco. >>
La ragazza si stupì dell’accondiscendenza che il
padre aveva dimostrato, era strano che fosse così allegro
anche dopo averlo informato che avrebbero infranto una delle sue regole
d’oro. Cosa aveva in mente?
Sospirando Charlotte fece per tornare in auto, ma un volto
attirò la sua attenzione.. No, non poteva essere.. Non
poteva essere la donna del suo sogno! O forse si? Sbalordita e agitata
allo stesso tempo guardò meglio e.. si stava sbagliando, il
volto che aveva attirato la sua attenzione era quello di una brunetta
dai vividi occhi castani, certo era molto simile alla ragazza del suo
sogno, ma non era lei. Insomma, come avrebbe mai potuto essere lei? Era
solo un sogno! Era impossibile che quella donna esistesse davvero o che
la incontrasse quello stesso giorno. Stava diventando paranoica e non
era affatto un buon segno, aveva bisogno di rilassarsi e per farlo
avrebbe chiesto a sua madre di prenotarle in uno di quei centri
benessere in cui ti riempiono di oli e pietre rilassanti che a lei
piacevano tanto.
Finalmente Maxi tornò, aveva il volto accalorato e
sicuramente non per la corsa, così Charlotte, dopo averla
fatta entrare in auto disse << Ci sei davvero affezionata
al libro vedo. >>
<< Già >> rispose la ragazzina
sorridendo e guardandola con gli occhietti furbi, per poi lanciare un
velocissimo sguardo d’intesa verso la cugina. Sguardo che non
sfuggì a Charlie e le fece scuotere la testa sconsolata, sua
sorella non sarebbe mai cambiata, credeva di essere furba, ma non si
accorgeva di quanto risultasse un libro aperto per tutti, o almeno per
tutti quelli che la conoscevano un minimo.
Come previsto arrivarono al ristorante scelto dal padre con cinque
minuti di ritardo. Il locale era situato all’ultimo piano di
una struttura contenente una galleria di lussuosi negozi, in cui
necessitava avere il reddito di un direttore di banca per poter
comprare anche solo una passata per capelli, il genere di posto che
Lili e Maxi adoravano.
Non appena entrarono un attraente cameriere, nella sua perfetta divisa,
le accolse chiedendo << Ben venute al Fitzerman Boutique
Restourant. Avete una prenotazione? >>
<< Siamo attese dal signor Hellenton >>
disse la più grande delle tre.
<< Vi porto subito da lui, se volete seguirmi
>> concluse il ragazzo con un rispettoso inchino
guidandole fino ad un tavolo situato di fronte all’ampia
vetrata, da cui era possibile osservare il panorama e che, conoscendo
Adam Hellenton, doveva essere il migliore.
<< Ecco qua. Buona permanenza >> disse il
giovane congedandosi.
<< Eccole qua le mie ragazze >>
esclamò mister Hellenton alzandosi dal suo posto di
capotavola e andandole ad abbracciare una ad una. << Bene
arrivate. >>
<< Ciao papà >> risposero le
figlie baciandolo su una guancia, per poi fare la stessa cosa con lo
zio.
Adam Hellenton era un elegante e ricco uomo sui
cinquant’anni a capo di una potente azienda produttrice di
armi e ricerche sulla biogenetica. Era di bell’aspetto e
nonostante non fosse più un ragazzino il suo fisico era
sempre tonico e in forma, tanto che persino le giovani ventenni si
voltavano a guardarlo. Era dotato di grande fascino, dovuto dai suoi
magnetici occhi blu e i corti capelli brizzolati, che gli davano
un’aria da divo del cinema, a cui veniva aggiunta una forte
dose di carisma, dando vita così ad un perfetto leader e a
un padre un po‘ meno perfetto.
Allo sesso tavolo del capo della Hellenton Corporation, erano seduti
Claudius Rochefort, il padre di Lili e fratello della signora
Hellenton, a cui somigliava moltissimo, e altri tre uomini.
<< Queste signori sono le mie due splendide figlie:
Charlotte Elena e Maria Ximena. E lei è la mia favolosa
nipote Emily. >>
<< Zio sei sempre così gentile.
>>
<< Dico semplicemente la verità. Venite
sedetevi. >>
Le tre presero posto e Hellenton riprese a parlare finendo le
presentazioni. Per primo indicò un uomo ben piazzato dai
fluenti capelli castani palesemente tinti dicendo << Lui
è George Van der Vak, il dirigente di una nota azienda
produttrice di robot. Il giovanotto di fianco invece è suo
figlio Maximilian. >> Un bel ragazzo dagli stessi capelli
bruni del padre, ma dal fisico molto più atletico.
<< E infine abbiamo Mr. Lee Chaolan, il possessore
dell’azienda che ho citato prima e di tutte le sue azioni.
>>
Quest’ultimo uomo attirò particolarmente
l’attenzione di Charlie, aveva un fisico robusto di chi ha
passato buona parte della sua vita a lottare, i suoi capelli erano
argentei e i suoi sprezzanti occhi castani. Aveva uno
snervante atteggiamento di superiorità da cui trapelava solo
arroganza, atteggiamento che diede subito sui nervi alla ragazza, tanto
che cercò di evitare per tutto il tempo il suo sguardo
indagatore.
<< Bene, visto che le presentazioni sono state fatte,
possiamo anche iniziare a mangiare. >>
Tutti annuirono alla proposta di Hellenton e pochi minuti dopo le
pietanze ordinate, e cucinate in modo eccellente dagli chef, vennero
servite al tavolo.
Il pranzo procedette tranquillo e tutti si comportarono in modo
talmente affabile che alla giovane dai capelli color caramello venne
quasi la nausea. Odiava quei pranzi pieni di falsi sorrisi e ipocrite
gentilezze fatte solo per un secondo fine, odiava tutti quei giochi di
potere e odiava farne parte, ma la cosa che odiava di più
era la consapevolezza che una volata giunta l’età
della pensione di suo padre, tutto quel baraccone sarebbe passato a lei
e a quel punto sarebbe stato suo compito tirare le redini del gioco con
spietata e calcolata freddezza, troppo prima di quanto lei potesse mai
augurarsi sarebbe diventata la burattinai di tutto quel teatrino. E suo
padre lo sapeva, era per questo che la richiedeva sempre più
spesso al suo fianco, per prepararla a succedergli come sua erede
designata alla direzione dell’azienda di famiglia.
<< Pranzo davvero eccellente >> disse alla
fine Adam Hellenton.
<< Già. Devo venirci più spesso.
Van der Vak, segnati il nome e passalo alla mia segretaria
>> esclamò Lee, con il suo tono arrogante.
<< Si signor Chaolan. >>
<< Sono lieto che sia di suo gradimento. Vado
particolarmente fiero di questo posto e pensare che lo ho scoperto per
caso. Da allora è diventato uno dei miei preferiti e ci
vengo a pranzare per le occasioni speciali >> rispose
fiero e allusivo Hellenton.
Lee sorrise malizioso. << Allora perché fare
uno strappo alla regola? Non si possono certo spezzare le trazioni,
porta molta sfortuna e a tal proposito credo di sapere come rendere
questo pranzo davvero.. Eccellente. >>
<< La situazione si fa estremamente interessante Mr.
Chaolan. Perché non ne andiamo a parlare in terrazza,
bevendo magari un buon calice di champagne. >>
<< Con molto piacere >> rispose
l’azionista, facendo un cenno al suo direttore
d’azienda.
<< Charlotte verresti a farci compagnia? >>
<< Certamente papà >> rispose la
ragazza sorridendo affabile.
<< Maria Ximena, Emily, vi andrebbe di intrattenere il
giovane Maximillian? Sono sicuro lo troverete molto interessante.
>>
<< Con immenso piacere >> rispose Maxi.
Esattamente come la sorella, anche la secondogenita di Mr. Hellenton
era stata addestrata a dovere, Maxi infatti, ragazzina molto
affascinante ed estremamente provocante, nonostante i suoi soli sedici
anni di età, aveva il compito di accalappiarsi i favori dei
giovani pargoli dei ricchi imprenditori con cui il padre trattava, in
modo da piegare ai suoi scopi anche i più titubanti. Adam
Hellenton non lasciava mai niente al caso, quando voleva qualcosa
riusciva sempre ad ottenerlo e per farlo aveva plasmato le sue figlie
come due spietate macchine da conquista, che poteva starne certo, non
fallivano mai.
Quando i cinque giunsero sulla favolosa terrazza, trovarono
già pronta una bottiglia di costosissimo champagne, adagiata
nel suo letto di ghiaccio, con accanto cinque finissimi bicchieri,
probabilmente di cristallo.
<< Davvero efficienti >>
commentò con approvazione Van der Vak, non doveva essere
particolarmente sveglio e dall’occhiata che il suo superiore
gli lanciò Charlie ne ebbe la conferma.
I quattro uomini si sedettero ai due lati del tavolo, mentre la
ragazza, con un mezzo sorrisetto, prese il suo calice e si
poggiò alla ringhiera, osservando il direttore e Chaolan,
che non le tolse per un attimo gli occhi di dosso . A quanto pare
capelli d’argento aveva in mente qualcos’altro che
i noiosi discorsi aziendali.
<< Allora signor Chaolan, passando a fatti concreti, mi
illustri la sua proposta >> disse Hellenton, guardando
soddisfatto lo sguardo con cui lui indugiava su sua figlia. Un altro
pesce che aveva abboccato all’amo.
<< Tempo fa, sono per caso venuto a conoscenza dei suoi
studi per la creazione di super soldati attraverso la manipolazione
genetica >> rispose Lee, andando a dedicare la sua
attenzione all’uomo, ma non perdendo mai di vista la ragazza.
<< E devo dire che li trovo davvero molto interessanti.
Mi piacerebbe molto poter vedere i suoi progetti e ancora di
più entrarne a far parte, ed è qui che entra in
gioco la mia proposta. Io ho, come dire, dei particolari interessi
verso una nota compagnia che sicuramente tutti voi conoscete, ma di cui
non farò il nome e vorrei impossessarmene. Purtroppo
però ho un rivale che gioca particolarmente sporco e io
gradirei molto se mi appoggiaste signor Hellenton. In cambio
finanzierei le vostre ricerche con un considerevole
contributo, nel capo biotecnologico. Sapete che costruisco robot e mi
piacerebbe che sperimentaste le vostre scoperte sulle mie creazioni, in
modo che io possa avere un esercito di sofisticatissime armi.
>>
Mr. Hellenton ascoltò tutto con molta attenzione,
sorseggiando di tanto in tanto il liquido dal suo bicchiere, poi dopo
averci riflettuto per qualche minuto chiese << E di
quanto sarebbe il suo generoso contributo? >>
Chaolan sorrise, poi prendendo un pezzo di carta e una penna vi scrisse
sopra la cifra passandola all’uomo che inarcando le
sopracciglia annuì.
<< E’ davvero una considerevole offerta. Tu
Claudius che ne pensi? >>
Rochefort lesse i numeri sul cartoncino, poi i suoi penetranti occhi
verdi si posarono sull’azionista dicendo <<
E’ un’offerta considerevole e questo mi fa
riflettere. Perché un costruttore di robot, a capo di una
famosa azienda come la sua, che può permettersi i migliori
ingegneri e scienziati, viene a chiedere l’appoggio di una
compagnia come questa? Mi fa dedurre che non ci sia niente di legale o
etico nei suoi programmi futuri Mr. Chaolan. Ma chi sono io per
giudicare? Nonostante questo però, la mia esperienza mi ha
insegnato a non fermarsi mai alla prima scoperta, magari andando avanti
potresti trovare qualcosa di molto più ricco, non credi
Adam? >>
Il cognato annuì. << Sono perfettamente
d’accordo con te Claudius. Tu Charlotte invece che ne dici?
>>
Charlie guardò i magnetici occhi blu del padre, qualcosa non
lo convinceva in tutto ciò e anche lei era della sua stessa
opinion. Non le piaceva Chaolan, era arrogante e sprezzante e
sicuramente anche senza scrupoli, non pensava fosse molto saggio
mettere delle tecniche così altamente avanzate e pericolose
nelle mani di uno tipo del genere. C’era il rischio che
potesse perdere il cervello e fare chi sa cosa, inoltre ripensando a
quello che aveva detto suo zio anche a lei sembrava molto strano che si
fosse rivolto ad una agenzia specializzata in manipolazione genetica,
quando poteva pagare degli scienziati. C’era qualcosa che non
la convinceva..
<< Io papà sono d’accordo con lo
zio. Non penso sia saggio accettare subito la prima offerta fatta,
potrebbero esserci altre compagnie interessate alle nostre ricerche,
inoltre non credo che potrebbero essere trasferite su androidi. I
nostri studi riguardano manipolazioni genetiche per migliorare le
abilità e i sensi di esseri viventi, nei robot non
c’è niente su cui lavorare quindi almeno per il
momento io accantonerei quella via. Trovo la proposta del signor
Chaolan interessante e generosa, però non è il
nostro campo e dato che le ricerche stanno andando piuttosto bene
continuerei per questa strada. Il massimo che possiamo fare per lui
è vendergli le nostre armi di ultima generazione.
>>
Hellenton annuì soddisfatto, aveva intravisto nello sguardo
pervinca della figlia i suoi stessi dubbi su quell’uomo.
Così tornando a dedicare la sua attenzione
all’azionista disse << Suppongo signor
Chaolan.. >>
Adam aveva appena iniziato a parlare quando dallo schermo al plasma
situato sotto il gazebo sulla terrazza arrivò una frase che
lasciò tutti a bocca aperta:
<< A circa un mese dalla morte di Heihachi Mishima nella
misteriosa esplosione al tempio di Honmaru, la Mishima Zaibatsu ha
indetto la quinta edizione dell’ormai leggendario King of
Iron First Tourment. La potente compagnia non ha lasciato dichiarazioni
su chi vi sia alla dirigenza, inoltre non si hanno ancora notizie certe
sul presunto ritrovamento del cadavere di Mishima e la Tekken Force ha
occupato l‘Honmaru impedendo alle autorità locali
di svolgere le indagini.. >>
Honmaru.. Perché quel nome suonava così familiare
a Charlie? Eppure era sicura di non averlo mai sentito. Come poteva
suonarle familiare qualcosa di cui non conosceva neanche
l’esistenza? Era davvero strano..
<< Il quinto torneo?! >> esclamò
Lee furioso. << Che ci sia Kazuya dietro? Maledetto..
Sempre ad intralciare i miei piani! >>
Gli altri si voltarono verso di lui, tutti tranne la giovane, che
spaesata osservava lo schermo senza realmente vedere le immagini.
Honmaru.. Quel nome le risuonava nella testa come un lontano ricordo,
come una vecchia melodia che sappiamo di conoscere, ma di cui non
ricordiamo né il ritmo né il suono.
Honmaru.. Honmaru..
Honmaru.. Poi come in un lontano sogno un calore intenso
le salì da dentro il corpo, lo stesso calore che aveva
provato sentendo quella candida voce chiederle di proteggerli, quello
stesso calore che emanava quell’unica piuma bianca in mezzo a
quel mare nero.
<< Di nuovo.. >> sussurrò
Charlie. Di nuovo quelle ali nere..Stavano diventando un tormento
ormai, un’ossessione che non era più possibile
definire semplice casualità. Doveva capire cosa diavolo le
stava succedendo e, ne era certa, era proprio all’Honmaru che
avrebbe trovato le risposte che cercava.
<< Devo andare, è stato un piacere signor
Chaolan >> disse la ragazza, poi dando un live bacio
sulla guancia del padre aggiunse << Ci vediamo a cena.
>>
Senza neanche lasciare il tempo all’uomo di protestare la
giovane scappò dirigendosi verso l’uscita
dell’edificio, dove dopo aver fermato un taxi vi
salì.
<< All’Honmaru per favore. >>
<< La zona è sorvegliata dalla Tekken Force,
non credo sia possibile entrarvi >> disse
l’autista guardandola dallo specchietto retrovisore.
Charlotte sorrise e aprendo la borsetta vi tirò fuori una
banconota da 10000 Yen, che porse al conducente. <<
All’Honmaru, grazie. >>
L’uomo la guardò a bocca aperta, poi prendendo i
soldi esclamò << E Honmaru sia.
>>
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** L'Honmaru ***
L’Honmaru
Come le era stato detto dal taxista tutta la zona
dell’Honmaru era sotto sorveglianza della Tekken Force,
infatti, non appena arrivarono nei pressi del tempio vennero fermati da
una pattuglia con la richiesta di tornare indietro.
L’uomo alla guida del veicolo annuì tornando sui
suoi passi, lui lo aveva detto a quella ragazza che non gli avrebbero
fatti passare, peggio per lei se aveva voluto sborsare tutti quei soldi
per fare un viaggio a vuoto. Ma Charlie non era certo tipo da darsi per
vinta, infatti, non appena furono fuori dalla vista dei
soldati, fermò il conducente e scese. Voleva raggiungere
quel dannatissimo tempio e in un modo o nell’altro ce
l’avrebbe fatta.
<< Grazie. >>
<< Desidera che l’aspetti? >>
<< No, vada pure. >>
<< Come desidera. Buona giornata. >>
<< Anche a lei >> rispose la giovane
voltandogli le spalle e dirigendosi verso il posto di blocco, dove non
appena i due uomini la videro arrivare le intimarono di fermarsi.
Charlie si portò di fronte a loro e sorridendo disse
<< Vorrei poter accedere all’area per favore.
>>
<< E’ impossibile. Tutta lo zona è
sotto custodia della Tekken Force. >>
<< Questo lo so, ma vorrei dare solo
un’occhiata veloce, niente di sospetto o illegale
>> rispose lei sbattendo innocentemente le ciglia,
riuscendo ad ammorbidire uno dei due soldati.
<< Bé se fa una cosa veloce.. >>
<< Neanche per idea >> lo interruppe
l’altro. << Abbiamo degli ordini da rispettare
e poi, quale interesse potrebbe mai avere una civile per un tempio
esploso? >>
<< Semplice curiosità. >>
<< O interesse? Molti giornali pagherebbero ingenti somme
per qualche foto dell’Honmaru. >>
La giovane sorrise. Poi aprendo la borsetta vi tirò fuori
quattro banconote da 10000 Yen che porse ai due uomini dicendo
<< Crede davvero che abbia bisogno di qualche foto per
fare soldi? >>
I soldati la guardarono a bocca aperta, erano un sacco di soldi!
<< Adesso posso passare? >>
<< Ce..Certo >> balbettò uno dei
due.
<< Grazie >> rispose Charlie sorridendo e
passando tra i due uomini per poi incamminarsi verso il luogo
dell’esplosione.
Esattamente come ci si aspetta da un disastro di quella portata, tutta
l’area circostante era in condizioni disastrose. Nonostante
fosse passato ormai un mese dal fatto, era ancora percepibile
nell’aria la carica elettrica dovuta
all’esplosione, ma non fu questo che colpì la
ragazza. A colpirla fu più che altro la strana sensazione
che quel luogo le dava, un opprimente senso di qualcosa di oscuro, ma
soprattutto un irragionevole sensazione di paura. Paura del tutto
insensata dato che probabilmente non c’era essere umano o
animale vivo, al di fuori dei soldati della Tekken Force,
nell’arco di almeno un kilometro.
Charlotte continuò a camminare verso il centro di quel
disastro sentendo la sensazione di malessere aumentare e più
si avvicinava al cento più la consapevolezza di conoscere
quel posto, nonostante fosse la prima volta che lo vedeva, aumentava. O
meglio, la prima volta dal vivo, dato che in sogno ci era
già stata più volte. Ormai ne era quasi certa,
quello era il tempi in cui ogni notte vedeva quelle splendide ali nere
prendere il volo. Doveva solo trovare la prova per esserne sicura e se
l’avesse trovata, beh, allora si sarebbe iniziata a
preoccupare sul serio.
Con molta cautela la ragazza iniziò ad esplorare il terreno
annerito dallo scoppio. In un certo senso aveva quasi paura di trovare
ciò che cercava, infondo se avesse avuto successo tutto
ciò che aveva sempre creduto, tutte le sue certezze le
sarebbero crollate di fronte come un castello di carta. Era davvero
pronta? Ovviamente no, ma ormai era troppo tardi per tirarsi
indietro.
Lentamente percorse il terreno osservandolo attentamente. Con cautela
spostò ogni ramoscello o pietra che sembrava nascondere
qualcosa di scuro, senza mai trovare niente. O almeno, senza mai
trovare niente fino a che non raggiunse il centro di quelle macerie.
Lì infatti tra pezzi di antico legno annerito una piccola
ombra scura attirò la sua attenzione.
Charlotte spostò a fatica le macerie permettendo al sole di
illuminare il piccolo spiazzo di terra che fino a quel momento era
rimasta nascosto e dove, adagiata come se non aspettasse altro che
essere trovata, stava una piuma nera.
<< Non è possibile.. >>
sussurrò la giovane portandosi una mano davanti alla bocca.
<< E’ del tutto illogico.. >>
“Ok” pensò. “Sto diventando
pazza!”
Si, quella era l’unica spiegazione, stava dando di matto. Non
era assolutamente possibile che quella piuma si trovasse lì
e soprattutto non poteva esistere davvero. Era solo un maledettissimo
sogno! I sogni non sono la realtà e quella penna di piccione
non poteva essere vera.
<< E’ solo un brutto sogno.. >>
sussurrò la giovane, senza però avere il coraggio
di toccarla. << Andiamo Charlie, non può
essere vero. E’ solo la tua immaginazione. >>
Era del tutto illogico e lei lo sapeva. Nonostante questo
però, non poté fare a meno di allungare una mani
e prendere con delicatezza la piuma nera.
Non appena la penna fu tra le sue mani, essa iniziò a
fumare, come se qualcosa di corrosivo l’avesse colpita.
Contemporaneamente Charlotte sentì un forte calore
sostituirsi alla sensazione di malessere che fino a quel momento
l’aveva oppressa. Fu una sensazione così
improvvisa e inaspettata che ella fece fatica ad affrontare, tanto che
improvvisamente le forze le vennero meno e lei svenne.
Una
schiena possente sormontata da lucenti ali nere.
Un
sorriso malinconico e appena accennato.
Le
oscure ali che spiccano il volo, allontanandosi nel buio della notte.
E
infine quel volto. Quel bellissimo volto di donna che insistentemente
le ripeteva quelle parole: << Proteggili. Proteggili
entrambi. >>
E
poi quel calore.. Quel calore intenso e rassicurante.
Quando Charlotte riaprì gli occhi probabilmente, dal buio
che la circondava, dovevano essere passate varie ore. Lentamente si
mise a sede ed aspettando che gli occhi si abituassero alla poco luce,
si portò una mano alla testa per massaggiarsi le tempie. Nel
farlo sentì qualcosa strattonarle il polso e preoccupata lo
guardò: intorno alla sua pelle era legata una stretta
cinghia collegata ad un lettino
<< Ma cosa..?! >> esclamò la
giovane cercando di forzare il laccio, ma con poco successo. Di nuovo
provò a strattonare la cinghia, ma esso non cedette,
così presa dal panico iniziò ad urlare
<< Aiuto! Qualcuno mi aiuti! >>
Per vari minuti nessuno arrivò in suo soccorso, poi
all’improvviso la luce nella stana si accese illuminandola di
colpo e qualcuno entrò.
Charlotte si schermò gli occhi, poi quando si furono
abituati fissò il nuovo arrivato. Era un uomo alto dai
capelli castani e gli occhi scuri con indosso una tuta nera e rossa
come quella che aveva visto addosso a quei due soldati che aveva pagato
per entrare. Bene, quindi quel tizio era della Tekken Force. Oh oh, non
prometteva niente di buono.
<< Senta mi dispiace aver pagato quei soldati, io..
>>
<< Silenzio! >> urlò
l’uomo.
La giovane sussultò ubbidendo e lui soddisfatto
iniziò a girarle intorno con un passo lento e
snervante.
<< Chi sei? >> le chiese il soldato.
<< Mi chiamo Charlotte Hellenton. >>
<< Hellenton? >> chiese l’uomo.
Lei annuì, cosa di cui il suo aguzzino non fu molto
contento, infatti, infuriato esclamò << Sati
mentendo! >>
<< Cosa?! Non è vero! >>
<< Si invece! Chi sei veramente?! >>
<< Glielo ho detto sono Charlotte Hellenton!
>>
<< Bugiarda! >> gridò lui
sbattendo le mani sul lettino dove Charlie era seduta, facendola
sussultare spaventata. << Non ti conviene fare la furba
con me ragazzina. >>
La giovane annuì trattenendo il respiro.
<< Bene >> continuò lui.
<< Adesso ci riproviamo. Chi sei? E voglio la
verità questa volta. >>
<< Che lei ci creda o meno, mi chiamo Charlotte
Hellenton. >>
L’uomo urlò di rabbia. << Adesso mi
hai stancato! Ora ti faccio vedere io cosa succede a mentire!
>>
Charlotte a quelle parole dette con tutta quella cattiveria
impallidì. Senza riuscire a muovere neanche un muscolo
rimase immobile a fissare la mano del soldato alzarsi per caricare e
poi dirigersi verso il suo volto con forza. Immediatamente chiuse gli
occhi, non ricordava quando era stata l’ultima volta che suo
padre le aveva dato uno schiaffo, e quando credette che il colpo stesse
per abbattersi su di lei la porta si aprì di nuovo e una
voce maschile esclamò << Soldato!
>>
L’uomo si bloccò all’improvviso e
scattando sull’attenti esclamò << Si
signore. >>
<< Sai con chi stai parlano? >>
<< Non ancora capitano. >>
<< Allora te lo dico io: il suo nome è
Charlotte Elena Hellenton. >>
Il soldato a quelle parole impallidì. La ragazza era la
figlia di uno degli uomini più potenti del paese.
<< Adesso liberala e restituiscile i suoi averi
>> concluse il capitano.
<< Si signore. >>
<< E sergente, noi non picchiamo le donne, men che meno
se sono signorine di rispettabili famiglie. >>
Il sottoposto abbassò lo sguardo annuendo e a testa bassa
slacciò il polso di Charlie, che una volta scesa dal lettino
si massaggiò la parte indolenzita.
<< Signorina Hellenton. Se vuole seguirmi
>> disse il capitano.
La ragazza annuì voltandosi verso di lui e guardandolo per
la prima volta con attenzione. Il suo salvatore era un uomo dalla
discreta prestanza fisica, con ritti capelli color sabbia e gli occhi
azzurri. Charlotte notò che doveva essere piuttosto giovane
per essere un capitano, oltre ad essere anche piuttosto di
bell’aspetto.
La ragazza lo seguì fuori dalla stanza e una volta fuori il
capitano disse << Adesso dovremo bendarla signorina
Hellenton, ma non appena saremo fuori dalla struttura gliela
toglierò. >>
<< Okay >> rispose lei chiudendo gli occhi.
Quando tutto divenne bui Charlotte sentì qualcuno prenderla
delicatamente per un braccio e insieme si avviarono verso
l’uscita di quel posto sconosciuto.
Passarono vari minuti prima che le permettessero di togliersi la bende
e quando avvenne la giovane si trovava in una costosissima berlina
dagli spessi vetri oscurati in compagnia dell’ufficiale dai
capelli color sabbia.
<< Tenga >> disse lui porgendole la sua
borsa.
<< Grazie >> rispose la ragazza
prendendola.
<< Mi dispiace moltissimo per l’inconveniente
signorina Hellenton. >>
<< Non si preoccupi capitano. Vorrei solo sapere come mai
mi trovavo.. Ovunque mi trovavo e dove. >>
<< Allora prima dovrò chiederle cosa ci faceva
in un’area sotto custodia della Tekken Force. >>
<< Io.. Ero curiosa. >>
<< Curiosa? >>
<< Si, volevo vedere il luogo dell’esplosione.
>>
<< E perché? >>
Charlie si aspettava quella domanda, però nonostante sapesse
che prima o poi sarebbe arrivata non aveva ancora pensato ad una
risposta. Non poteva certo dirgli di essere andata lì
perché aveva visto in sogno un tizio con le ali da piccione
prendervi il volo e una voce le aveva detto di proteggere chi sa chi.
L’avrebbe sicuramente presa per pazza, così
cercando di trovare la scusa più credibile possibile disse
<< Bé perché.. Se ne è
sentito così tanto parlare e volevo vedere con i miei stessi
occhi cosa c’era di così interessante da far
muovere la stampa di tutto il paese. >>
Il capitano la guardò intensamente senza dire niente e la
giovane per un attimo ebbe paura che percepisse la sua bugia,
così a disagio cambiò numerose volte
posizione. Alla fine dopo quella che sembrò un
eternità l’uomo annuì concludendo
<< Se non foste la figlia di un
rispettabilissimo uomo in vista come il signor Hellenton stenterei a
credere ad una scusa così scarsa, però date le
circostanze non la metto in dubbio. >>
Charlotte tirò un sospiro di sollievo, non la faceva
particolarmente impazzire essere trattata con più riguardo
solo per il nome che portava, ma in quel momento ringraziò
silenziosamente suo padre di essere quello che era e in silenzio si
voltò fissando il suo riflesso nel vetro oscurato.
Tra i due cadde il silenzio e la giovane si ritrovò ad
osservare il profilo del bel volto del capitano dal vetro. Quando se ne
accorse l’uomo sorrideva divertito e lei distolse
immediatamente lo sguardo imbarazzata.
“Charlie ma che diavolo fai?!”
pensò. “Da quando in qua ti metti a fissare gli
uomini e per di più ti fai anche sorprendere?!”
<< Allora non vuole sapere perché eravate in
una delle basi della Tekken Force? >>
<< Come? >> chiese lei colta alla
sprovvista.
<< Non ho ancora risposto alla domanda che mi ha fatto,
non le interessa? >>
<< Ah si, certo. >>
<< La zona come sa è sotto la custodia della
Tekken Force e non è permesso a nessuno l’accesso,
soprattutto ai civili. I nostri artificieri stanno analizzando la zona
alla ricerca di prove su chi sia l’artefice
dell’attentato, quindi trovandola lì abbiamo
pensato fosse qualche agente incaricato di sabotare le prove e
l’abbiamo arrestata per interrogarla. >>
<< Capisco.. >> disse Charlie riflettendo.
<< Ma perché qualcuno vorrebbe far saltare un
tempio? >>
<< Sicuramente come avrà sentito dai giornali
la notte dell’esplosione Heihachi Mishima si trovava
lì.. >>
<< Ed essendo a capo della Mishima Zaibatsu qualcuno ha
pensato bene di farlo saltare in aria e sbarazzarsi così di
lui. >>
L’uomo annuì sorridendo. <<
E’ una ragazza sveglia. >>
<< Sono abituata ai giochi di potere.. Ma chi potrebbe
essere stato? >>
<< Non le viene in mente nessuno? >>
Charlotte ci pensò un po’ su. Il primo pensiero
corse a Lee Chaolan, ma cosa ci avrebbe guadagnato a disfarsi del
vecchio facendo un bel polverone se non fosse stato sicuro di ottenere
la Zaibatsu? No, non poteva certo essere stato lui. Non le sembrava il
tipo che facesse cose del genere, le sembrava più un subdolo
e sadico vendicativo. Allora forse poteva essere stato il figlio di
Heihachi: Kazuya Mishima. Anche lui però non avrebbe avuto
motivo di un’azione del genere senza avere nessuna garanzia
di successo, e poi se fosse stato lui sicuramente non avrebbe tenuto
nascosto il suo successo rimanendo nell’ombra. Allora chi?
Chi era stato?
Improvvisamente le tornò in mente una vecchia conversazione
tra suo padre e suo zio:
“La Mishima Zaibatsu e la G-Corporation sono le agenzie
più potenti al mondo Claudius. Spera che non si decidano a
dichiararsi guerra aperta, altrimenti per il mondo sarebbe la
fine.”
<< La G-Corporation.. >>
sussurrò la ragazza.
<< E’ ciò che pensiamo anche noi
>> disse il capitano, poi aggiunse << Come
mai ha pensato subito alla G? >>
Charlie stava per rispondere, ma poi ci ripensò
<< Cos’è un interrogatorio per caso?
>>
Il soldato rise. << No, mi interessa solo sapere il suo
pensiero. Ha un buon cervello, credo farebbe carriera tra i nostri
strateghi. >>
La giovane lo fissò inarcando le sopracciglia, chi sa
perché ma qui furbi occhi azzurri non la convincevano
affatto. << Mmm.. Sa capitano, ora che ci penso, mio
padre mi ha sempre detto di non parlare di cose strettamente
confidenziali con gli sconosciuti. >>
<< Ma non stiamo parlando di questioni private
>> disse l’uomo ridendo.
<< Vero, però è pur sempre uno
sconosciuto. >>
<< A questo possiamo rimediare subito, il mio nome
è Lars Alexandersson >> rispose lui porgendole
la mano.
Charlie la strinse rispondendo << Piacere, ma
ciò non toglie che lei è ancora un estraneo per
me. >>
Lars rise nuovamente. << Oltre che intelligente
è anche testarda vedo. >>
<< Non è il primo che me lo dice.
>>
<< A buon ragione. >>
Charlotte sorrise e quando l’uomo stette per dirle qualcosa
l’auto si fermò e la voce del conducente si sparse
nell’abitacolo dicendo << Siamo arrivato
capitano. >>
<< Si grazie >> rispose lui, poi
rivolgendosi alla giovane aggiunse << Sarò
anche uno sconosciuto, ma non può dire che non mi
sono comportato da cavaliere. >>
Charlotte rise, poi accettando l’aiuto di Lars per scendere
dall’auto disse << Kazuya Mishima non si
nasconderebbe se avesse ottenuto il comando della Zaibatsu e Lee
Chaolan non arriverebbe a tanto se non fosse sicuro di ottenere il
comando. Per il resto non mi viene in mente nessun altro che
possa organizzare un attentato di quella portata. >>
Lars Alexandersson la guardò sorpreso e soddisfatto allo
stesso tempo. << Osservazioni pressoché
esatte, ma si sta dimenticando di una persona: Jin Kazama.
>>
<< Jin Kazama? >>
<< Anche lui voleva la morte di Heihachi Mishima, anche
se per motivi diversi. >>
Charlotte ascoltò quelle parole in silenzio, anche quel
nome, come l’Honmaru, le dava una strana sensazione.
<< Buona notte miss Hellenton, è stato un
piacere. >>
<< Buona notte.. >> sussurrò la
ragazza stringendo la mano che Lars le porgeva. << Ah,
capitano, grazie. >>
<< E’ mio dovere >> concluse
l’uomo chiudendo la portiera e partendo.
La giovane rimase per alcuni attimi a fissare l’auto
allontanarsi, poi quando i fari sparirono oltre il cancello di Villa
Hellenton si diresse verso casa.
Ad attenderla trovò uno dei maggiordomi di servizio che
vedendola entrare esclamò << Signorina
Hellenton, ben tornata. >>
<< Grazie Armand. Mio padre e mia madre sono
già a letto? >>
<< Si signorina, i signori si sono ritirati poco fa.
Vuole che glieli vada a chiamare? >>
<< No, non importa, grazie. >>
<< Come desidera. La signora Hellenton le ha fatto
lasciare la cena nel forno, vuole che chieda alla cuoca di
scaldargliela? >>
<< No, non ho molta fame. Penso che prenderò un
arancio e andrò a letto. >>
<< Come desidera. Buona notte allora.>>
<< Buona notte Armand >> rispose la ragazza
dirigendosi in cucina dove prese un arancio ed una bottiglietta
d’acqua. Poi si ritirò in camera sua.
Una volta al sicuro nelle sue stanze Charlie si lasciò
finalmente andare. Per prima cosa si tolse quei maledettissimi tacchi
che le stavano martoriando i piedi, poi si tolse il soprabito e infine
lasciò cadere ai suoi piedi il vestito.
<< Casa dolce casa >> sussurrò
saltando sul letto.
Era stata una giornata davvero stressante, prima l’incontro
con quel viscido di Chaolan, poi l’Honmaru con quelle strane
sensazioni, il sogno, la prigione, il risveglio tutt’altro
che tranquillo, il dialogo con Lara Alexandersson e infine quel nome:
Jin Kazama.
Era sicurissima che fosse la prima volta che lo sentiva nominare,
eppure aveva come la sensazione di averlo già sentito,
magari molto tempo prima senza farci molto caso, oppure da sua sorella.
Chi sa, forse era un suo compagno di scuola e aveva sentito il suo nome
da Maxi e Lili, cosa molto probabile, soprattutto se era carino, ma che
legame poteva avere con Heihachi Mishima?
<< Oh ma chi se ne importa! >>
esclamò infine Charlotte.
Quegli stupidi sogni sul piccione la stavano facendo diventare
paranoica. Che accidenti le importava se un vecchio riccone era morto
assassinato e nessuno sapeva chi era stato?! Sicuramente, visto la fine
che aveva fatto, non doveva essere una persona molto per bene. E poi
non era certo un problema suo. Così, dopo aver indossato la
camicia da notte, entrò nel letto e pazientemente attese che
il sonno la portasse con sé.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** La Gora Kadan ***
La Gora Kadan
<<
Mi fa davvero piacere che tu mi abbai chiesto di organizzare questo
week-end alla Gora Kadan. Non credevo ti piacessero i luoghi come
quello >> disse Rosalie Hellenton rivolgendosi alla
figlia, che però, immersa com’era nei suoi
pensieri, non aveva sentito neanche una parola.
La
donna se ne accorse e dolcemente chiamò la ragazza
<< Charlotte? >>
<<
Mmh? >> mugolò Charlie voltandosi verso la
madre.
<<
Mi stai ascoltando? >>
<<
Si Charlie, stai ascoltando?! >> ripeté
stizzita Maxi, la quale era stata costretta a seguire le due donne
rinunciando così al suo appuntamento da favola con Matthew
McConaughey. Cosa che l’aveva messa di cattivissimo umore.
<<
Si scusa.. Ero distratta.. >>
<<
Ho notato >> disse la signora Hellenton. <<
C’è qualcosa che ti preoccupa? >>
<<
No, no. Stavo solo pensando ad una persona. >>
A
quelle parole gli occhi di Maria Ximena si illuminarono e come per
incanto il cattivo umore sparì, lasciando il posto ad una
vivace curiosità. Charlotte Hellenton che pensava ad una
persona?! Questo era davvero uno scoop! Charlie non pensava mai
così intensamente da non essere attenta e vigile a qualcuno,
non era una cosa da Charlie quella. Al massimo i pensieri della ragazza
potevano essere leggermente disturbati da un individuo, ma mai
così occupati.
<<
E chi è il fortunato? E’ carino? >>
si informò subito la più piccola.
<<
E chi ti dice che è un ragazzo? >>
<<
Non lo è? >>
<<
Beh.. Si.. Ma.. >>
<<
Allora racconta! >> esclamò eccitata Maxi.
<< Nome, cognome, età, aspetto fisico, dove
l’hai conosciuto, quando lo vedi.. Cose così,
insomma! >>
Charlotte
guardò con sguardo supplichevole la madre, sperando che
mettesse un freno a quella macchina da gossip di sua sorella, ma la
donna sembrava altrettanto desiderosa di sapere il
più possibile sul misterioso sconosciuto, tanto che la
giovane fu costretta a rispondere << Ad essere sincera
non lo so.. >>
L’esaltazione
di Maxi calò e accigliata chiese << Cosa non
sai? Quando lo rivedrai? >>
<<
Anche.. Faccio prima a dirti cosa so ad essere sincera. >>
A
quella affermazione l’interesse della ragazzina cedette del
tutto e annoiata tornò a poggiarsi scomposta allo schienale,
ricevendo però un’occhiataccia dalla madre che le
fece assumere una posa più dignitosa.
<<
Dicci cosa sai allora >> la incoraggiò la
signora Hellenton.
<<
Il suo nome: Jin Kazama. >>
<<
Jin Kazama hai detto? >> chiese Maxi.
<<
Si! Lo conosci?! >>
<<
No. Però è un bel nome, suona bene.
>>
Charlotte
guardò sua sorella di traverso, per un attimo aveva sperato
di potersi dare una spiegazione razionale sul perché le
sembrava di averlo già sento e invece anche stavolta tutto
era a favore del suo principio di pazzia nascente in lei.
“Accidenti
Charlie! Stai davvero impazzendo! Ora oltre a sognare situazioni
realmente accadute in luoghi esistenti, ti metti anche a ricordare nomi
di sconosciuti?!”
Il
viaggio verso la SPA procedette tranquillo, almeno per le altre due
esponenti del gentil sesso di casa Hellenton e terminò verso
mezzogiorno con l’arrivo al lussuosissimo centro benessere.
Nel
vederlo gli occhi di Maria Ximena si illuminarono, ovviamente era il
tipo di posto che faceva per lei: gigantesco, costosissimo e
lussuosissimo.
Forse,
forse non era stato poi un gran male rinunciare a
Matthew McConaughey, lui sicuramente non l’avrebbe mai
portata in un posto come quello.
Non
appena entrarono una donna dai lisci capelli neri le accolse con un
profondo inchino dicendo << Signora Hellenton, ben
arrivata. >>
<<
Grazie Aiko >> rispose la donna inchinandosi a sua volta.
<<
E’ in compagnia quest’oggi. >>
<<
Già. Queste sono le mie due figlie. >>
<<
Onorata signorine >> disse la donna ripetendo
l’omaggio che aveva fatto alla loro madre.
Charlotte
ogni volta si stupiva di quanto i giapponesi tenessero alle
formalità di quel genere. Da quando si era trasferita nel
paese del Sol Levante gli inchini e gli ossequi erano
all’ordine del giorno, in Inghilterra e a Monaco un
trattamento del genere se lo sognava. Non che ci tenesse
particolarmente, tutt’altro, odiava tutte quelle
moine obbligatorie, aveva persino imposto ai suoi domestici
di eliminarle nei suoi confronti. I giapponesi però avevano
l’innata capacità di far sembrare quelle stantie
tradizioni così naturali, tanto da apparire quasi normali.
<<
Venite vi accompagno al vostro alloggio >> disse la
donna, battendo poi le mai e ordinando qualcosa in uno stretto dialetto
ai due giovani ragazzi accorsi al richiamo, i quali si caricarono in
spalla le valige e si incamminarono.
L’alloggio
destinato alle signore Hellenton era un vero e proprio appartamento
situato nella parte est dell’edificio. Esso comprendeva due
diverse camere da letto - una matrimoniale e una doppia - un salottino
e una sala da bagno degna di una regina. Il tutto finemente arredato in
stile orientale.
La
cosa che fece impazzire più in assoluto Maxi
però non fu la località, la camera, il lusso o
l’arredamento, ciò che mandò su di giri
la ragazzina fu il kimono che trovò steso sul letto e che la
fece catapultare nella stanza urlando di gioia.
<<
Maxi.. >> sussurrò Charlotte esasperata.
Aiko
sorrise, probabilmente doveva trovarla piuttosto stupida, ma le rigide
regole imposte dal contratto lavorativo e le cifre esorbitanti pagate
dagli ospiti non le permettevano di esprimere quel pensiero
apertamente, così dopo essersi voltata verso Rosalie disse
<< Desidera che il pranzo le venga servito in camera?
>>
<<
No niente pranzo. >>
<<
Cosa?! >> sussultò Maxi. << Come
niente pranzo?! >>
<<
Prenderemo il tè più tardi. E poi digiunare
purifica il corpo. >>
<<
Vi accompagno subito alla Thalasso Therapy allora >>
concluse Aiko inchinandosi e attendendo fuori.
Rose
sorrise. << Sarà rilassante. >>
<<
Sarà sfiancante >> sussurrò Charlie
andando ad indossare il costume da bagno.
<<
Ehm ragazze >> disse la donna allungando le belle e
curate mani. << I cellulari. Emettono vibrazioni negative
che vanno a disturbare i Chakra provocando lo stress. >>
<<
Stai scherzando spero. >>
Rosalie
scosse la testa e quando le figlie eseguirono l’ordine
sorrise soddisfatta.
<<
Charlotte, anche l’altro. >>
Charlie
alzò gli occhi al cielo ed esasperata le affidò
anche il suo secondo cellulare. Si prospettavano due giorni da incubo,
o come preferiva dire la signora Hellenton: da paradiso.
<<
Vedrai che sarà rilassante. Ti piacerà
>> aveva detto Rosalie Hellenton sorridendo maliziosa e
sparendo nella sala per la Thalasso Therapy con Maxi, lasciando sola la
sua primogenita in attesa di Aiko.
Charlie
si stava già pentendo di aver chiesto alla madre di
organizzare quel week-end, ma che diavolo le era venuto in mente?!
Eppure lo sapeva che ogni volta che aveva a che fare con stramberie
orientali non ne ricavava niente di buono e invece di stargli lontana
cosa faceva? Gli andava pure incontro.
“Ma
brava Charlie!” pensò la giovane indispettita con
se stessa. “Qualsiasi cosa ti aspetta, ti sta bene!
Così impari!”
I
pensieri della giovane furono interrotti dall’arrivo di Aiko
che inchinandosi disse << Signorina Hellenton venga
l’accompagno al suo appuntamento. >>
Charlotte
la guardò non molto convinta e sospirando annuì
seguendo la donna fino ad una stanza - arredata ovviamente alla maniera
orientale - dove al centro stava un lettino per massaggi, destinato a
lei.
<<
Vada pure ad accomodarsi. Se ha bisogno di cambiarsi troverà
un separé là in fondo >> concluse
la donna chiudendosi poi la porta alle spalle, senza lasciare alla
giovane il tempo di replicare.
Charlotte
sospirò, perfetto era in trappola. Così
rassegnatasi al suo destino si tolse l’abito rimanendo in
costume da bagno e andando a sdraiarsi sulla sua postazione.
I
minuti passarono senza novità, poi quando Charlie stava per
tranquillizzarsi del tutto, una rilassante musica orientale si espanse
nella stanza, facendola sussultare.
<<
Oh no.. >> sussurrò. << Non
promette niente di buono. >>
La
porta alle sue spalle si aprì e qualcuno entrò
facendo voltare la ragazza stupita. Il novo arrivato, infatti, era un
giovane uomo dai capelli scuri e gli occhi chiari, che nel vedere il
suo sguardo sorrise dicendo << Lei deve essere la
signorina Hellenton. >>
<<
Charlotte. >>
<<
Piacere Charlotte. Il mio nome è Michael. >>
<<
Piacere. >>
<<
Bene, adesso sdraiati. Posso darti del tu? >>
<<
Si certo >> rispose Charlie obbedendo.
Non
appena la ragazza si fu stesa le calde mani di Michael iniziarono a
massaggiarla. Aveva un tocco così delicato e rassicurante
che Charlie, dopo un primo momento di rigidezza si sciolse lasciandosi
completamente andare a quelle carezze così sensuali.
Il
giovane continuò a sfiorarla per svariati minuti, poi dopo
averle sciolto la chiusura del reggiseno le cosparse il corpo con oli
profumati eseguendo sulla sua schiena una serie di disegni ripetuti.
<<
Come ti senti? >>
<<
Molto meglio. >>
<<
Bene. Adesso chiudi gli occhi e non pensare a niente. Rilassati
completamente. >>
Charlotte
fece come le era stato ordinato. Subito distolse la mente da ogni
pensiero vagando in una totale assenza di preoccupazioni e
immediatamente si rilassò.
Era
in uno stato di completa atarassia quando un familiare calore
iniziò a percorrerle il corpo.
<<
Proteggili.
Proteggili entrambi.
>>
La calda
voce esplose nella mente della giovane come una supplichevole melodia.
Charlie avrebbe voluto aprire gli occhi e riprendersi da quello stato
di trance, ma più ci provava più non ci riusciva.
Un sorriso
malinconico.
Delle
possenti ali nere aperte su una muscolosa schiena.
Il
volo.
Una
cascata di piume nere che dolcemente scendono al suolo e tra di esse un
unico spiraglio di luce.. Una piuma bianca..
<<
Basta! >> esclamò Charlotte scattando a
sedere.
Aveva
il respiro affaticato e il corpo percorso da brividi a causa della
scomparsa del calore. << Basta..
>>
Michael
la guardò perplesso. << Va tutto bene?
>>
<<
Io.. >> sussurrò lei tenendosi la testa con
una mano. << Devo andare.. >>
<<
Sei sicura di sentirti bene? >>
<<
Si >> rispose la giovane rivestendosi in tutta fretta.
Nel farlo però l’occhio le cadde verso una delle
finestre che illuminavano la stanza, dove una donna con una maschera da
gatto bianca la stava fissando.
<<
Ma che diavolo..?! >> esclamò lei
catapultandosi letteralmente fuori dalla stanza, non trovando
però niente, o meglio, niente che assomigliasse ad una donna
con una stramba maschera da felino.
Sotto
il tetto dell’Edificio Tre della Gora Kadan, infatti, stava
solo un tenero micino bianco, che guardando la giovane con i grandi
occhioni celesti miagolò infastidito per
l’improvvisa apparizione.
Charlotte
osservò sorpresa l’animale, allora ciò
che aveva visto era il suo musetto, non una guardona sconosciuta in
maschera.
<<
Non è possibile.. >> sussurrò. Era
assolutamente sicura che lì fuori ci fosse qualcuno e che
quel qualcuno la stesse fissando.
Insomma,
non aveva mai dubitato della sua salute visiva, quella era
assolutamente sicura di averla apposto, cosa che non si poteva dire
della sua salute mentale. A quanto pareva, infatti, stava davvero dando
di matto!
“Accidenti
Charlie! Stai andando in escandescenza! Datti una calmata!”
pensò lei massaggiandosi le tempi.
“Eppure..
Eppure un corno! Adesso Basta Charlotte! Non c’era nessuna
donna che ti fissava da fuori la finestra! Era solo un gatto! Datti una
calmata okay?!”
Indispettita
la ragazza fece per andarsene da quello stramaledetto padiglione e nel
voltarsi finì proprio addosso a Michael, il quale
l’afferrò per la vita impedendole di cadere.
<<
Ehi.. Mi sembri un po’ nervosa sai? >>
<<
Cosa?! Io non sono affatto nervosa. >>
<<
Ah no? >> domandò il ragazzo ridendo.
<< La scenata di poco prima diceva tutto il contrario
sai? >>
A
quelle parole Charlotte arrossì violentemente, ma che
diavolo le prendeva? Ultimamente si era trovata fin troppo spesso in
imbarazzo di fronte ad un uomo, non era affatto da lei. Non era
così che suo padre l’aveva
“addestrata”. Il suo compito era mostrarsi sempre
attenta e vigile, ma con un pizzico di malizia e charm. Doveva
diventare la dirigente di un’importante azienda globale e
come tale non poteva certo permettersi “debolezze”.
<<
E va bene >> acconsentì alla fine la giovane.
<< Forse sono un po’ stressata.
>>
<<
Un po’?! >>
<<
Ehi, ma non ti pagano per fare massaggi e non commentare?
>>
<<
A dire la verità in questo caso sono stato pagato per farti
rilassare e questo prevede, se necessario, anche conversare..
>>
<<
Beh >> commentò indispettita Charlie
liberandosi dalla sua prese. << Allora caro mio, mi sa
che non ci sei riuscito affatto. >>
Michael
osservò ridendo la figura imbronciata della bella biondina,
non era solito lavorare oltre orario, ma per lei poteva fare
un’eccezione, era sicuro che ne sarebbe valsa la pena.
<<
Quel che giusto è giusto. Allora perché non mi
dai l’opportunità di riprovarci? Sono certo che
dopo qualche altra ora passata con me non saprai neanche più
cosa significa la parola stress. >>
Charlie
lo guardò inarcando le sopracciglia, ecco che stavano
ritornando gli insegnamenti di quando era bambina: “Malizia,
un pizzico di ingenuità e charme. Ecco quello che fa di una
donna una grande donna”
<<
Però, ci diamo un po’ troppe arie, non credi?
>>
<<
Io penso di no. Provare per credere >> rispose lui
incrociando le braccia al petto.
La
giovane fece la stessa cosa e dopo averci pensato un po’ su,
rispose << Ma si, perché no. Vediamo cosa sai
fare. >>
<<
Perfetto >> rispose il ragazzo e tirando fuori dalla
tasca un foglio vi scrisse sopra qualcosa, porgendolo poi
all’altra. << Ecco a te. Ci vediamo stasera
allora. >>
Charlie
lesse il nome sul biglietto e sorridendo con quel pizzico di malizia
rispose << A stasera Michael.
>>
Poi
se ne andò, sentendo su di sé lo sguardo di un
altro pesce che aveva abboccato all’amo. Adam Hellenton
sarebbe stato molto soddisfatto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Appuntamento.. Con il Gatto ***
Appuntamento..
Con il gatto
Quella stessa sera Charlotte sdraiata sul letto di camera sua ignorava
volutamente le suppliche di Maxi, facendo finta di osservare
interessata il quadro posizionato sopra di lei.
<< E dai Charlie! Per favore! Andiamo! >>
La ragazza non rispose continuando nel suo operato e suscitando nella
sorella ancora più irritazione di quanta già non
ne provasse.
Maria, infatti, piazzandosi di fronte all’altra
esclamò << E’ inutile che fai finta
di interessarti a quel coso.. >>
<< Si chiama quadro Maxi. >>
<< E chi se ne importa! Tanto lo sappiamo tutti che non
ti interessa. >>
<< E chi te lo ha detto? >>
<< Il buon senso. >>
<< Solo perché tu sei allergica
all’arte non significa che tutti lo siano. >>
Maria Ximena a quel punto piantò le mani sui fianchi e con
tono da saputella esclamò << Tutti no, ma tu
hai gli stessi miei geni perciò non ti importa un fico secco
di insulsi disegni. >>
Charlotte sospirò esasperata e tirandosi su a sedere disse
<< Se mai sei tu ad avere gli stessi geni miei dato che
la maggiore sono io.. >>
<< Mmh.. Come siamo critiche questa sera!
>>
<< E poi.. >> continuò la
giovane ignorandola. << Un senso sicuramente lo hanno..
Per gli autori almeno.. >>
<< Ma non per te >> concluse
l’altra soddisfatta.
Se uno sguardo avesse potuto uccidere probabilmente Maxi sarebbe morta
in una maniera molto lenta e dolorosa, ma fortunatamente per lei gli
occhi possono solo esprimere emozioni e quelli di Charlotte facevano
trapelare soltanto esasperazione.
<< Lo sai che sei davvero insopportabile?!
>>
<< E tu lo sai che sei noiosa?! >>
<< E tu.. >> fece per rispondere la
ragazza, venendo però interrotta dalla voce di Rosalie che
dall’altra stanza esclamò << E voi
lo sapete che state disturbando la mia meditazione? >>
Le due giovani si guardarono, poi ridendo risposero <<
Scusa mamma. >>
Rose apparve sulla porta. << Volete spiegarmi quale
è il problema? >>
<< Il problema >> si affrettò a
dire Maxi. << E’ che Charlie non vuole mai fare
niente. Questa sera ha un appuntamento e non vuole andarci!
>>
<< Non vedo perché dovrebbe essere
un problema che riguarda te allora. >>
<< Beh perché, l’appuntamento
è in un locale strepitoso! >>
La donna inarcò le sopracciglia aggiungendo <<
Continuo a non vedere il nesso con te. >>
Maria Ximena sbuffò. << Ma mamma, mi sembra
ovvio che voglia andarlo a vedere. E’ un locale strepitoso!
Musica, bei ragazzi, alcool, che ovviamente non berrò..
>>
<< Capisco, tutte azioni che disturbano la pace
interiore. >>
<< Oh andiamo mamma! Mi sono rilassata abbastanza! E poi
non penso proprio che un paio d’ore di divertimento possano
andare ad intaccare la mia “pace interiore”, anzi
penso proprio che le possa fare bene. >>
<< Io invece penso che un paio d’ore di
meditazione ti possa fare molto meglio. >>
La ragazzina guardò la sorella con uno sguardo tra il
supplichevole e il furioso, e sibilando disse << Charlie!
Fa qualcosa! >>
Charlotte ci pensò un po’ su, ad essere sincere
non le dispiaceva godersi lo spettacolo di sua sorella obbligata in
ginocchio a meditare per almeno le due ore successive, però,
riflettendoci bene, le conseguenza di quella piccola rivincita
sarebbero state tragiche. No, non era decisamente pronta per sentirla
lamentarsi per i successivi trent’anni, così
sbuffando disse << E va bene, andiamo. Ma non torniamo
tardi. >>
<< Si certo! >> esclamò Maxi
eccitata correndo verso il bagno e chiudendosi la porta alle spalle.
Perfetto, il proposito di Charlie di rientrare alla Spa il prima
possibile era appena sfumato, sua sorella si era chiusa in bagno per
grandi preparativi e non avrebbe certo permesso che tutto il suo lavoro
di un’ora e mezzo servisse solo per alcune misere ore. No
signore, era in programma una lunga serata!
Un’ora e mezzo dopo le due ragazze salirono su un taxi
dirette al locale che Michael aveva indicato a Charlie: il Red Dragon.
Già dal nome non prometteva niente di buono, inoltre a
peggiorare la situazione si aggiunse, alla già scarsa voglia
di Charlotte, uno strano presentimento. Era una strana sensazione, che
faceva sentire la ragazza inquieta. In condizioni normali non le
avrebbe dato molto peso, ma dati gli avvenimenti dell’ultimo
periodo non era più sicura di niente.
<< Red Dragon.. >> sussurrò
Charlie leggendo nuovamente l’ordinata calligrafia del
ragazzo. << Sei sicura che sia un bel posto Maxi?
>>
<< Bo! E chi lo ha mai visto >> ripose la
giovane alzando le spalle e sorridendo innocentemente.
<< Cosa?! Come sarebbe a dire che non lo sai?!
>>
<< Che non lo so. Su andiamo Charlie usa il cervello. E
si che dicono che sei tanto intelligente.. A volte hai delle uscite che
mi fanno venire dei seri dubbi. >>
La primogenita di casa Hellenton la guardò con sguardo
omicida dicendo << Invece tu hai sempre delle uscite che
mi fanno venire seri dubbi sul tuo quoziente intellettivo Maxi.
>>
Maria Ximena per niente turbata dall’offesa la
ignorò, voltandosi verso il finestrino del vicolo e
specchiandosi nel vetro per sistemarsi i capelli biondi già
perfettamente acconciati.
Charlie osservò il riflesso irritata, poi dopo
l’ennesimo ciuffo platinato tolto e ricacciato nelle prese di
una molletta, sbottò << Mi spieghi allora per
quale maledettissimo motivo ci stiamo andando?! >>
<< Beh, perché tu hai un’un
appuntamento. >>
<< E’ ovvio che non ti importa niente del mio
appuntamento. Tu non fai mai niente senza un tornaconto.
>>
<< Sai che quasi quasi mi offendo? >>
<< Maxi! >>
<< E va bene >> sbuffò la
ragazzina. << Visto che venendo qui perdevo
l’appuntamento con Matthew McConaughey ho pensato di far
conciliare entrambe le cose invitandolo al Red Dragon. Dì la
verità, sono perspicace?! >>
<< Io Maxi a volte.. >> iniziò a
dire Charlie sempre più arrabbiata, venendo però
interrotta dal taxista, che timidamente disse << Ehm.. Mi
dispiace interrompervi, però siamo arrivati.
>>
<< Si grazie >> rispose la secondogenita di
casa Hellenton. << Su sorellina paga. >>
Charlotte provò il violento desiderio di strozzarla, oltre
ad averla trascinata in quel maledetto posto contro la sua
volontà doveva anche sborsare! Questa gliela avrebbe fatta
pagare, quant’era vero che il suo nome era Charlotte
Hellenton.
Il Red Dragon era un locale situato in una struttura in stile
nipponico, contornato da numerose decorazioni che richiamavano il nome.
L’interno invece era tutta un’altra cosa, il volto
del locale infatti cambiava drasticamente assumendo un accento quasi
medievale.
<< Carino.. commentò Charlie per
niente convinta del luogo.
<< Carino?! E’ una bomba! >>
esclamò invece Maxi poco prima di individuare il suo tanto
atteso ospite e sparire nella folla. << Ci vediamo
più tardi! >>
<< Maxi! Tieni il cellulare a portata di mano!
>>
<< Si! >> disse la ragazzina con un cenno
che però faceva intendere che avrebbe fatto tutto tranne
quello che la sorella le aveva detto.
Una volta rimasta sola Charlotte si sentì persa, quello non
era il genere di posti che era abituata a frequentare, non che non le
piacessero, solo che le sue amiche erano troppo altezzosamente chic per
andare in locali del genere, quindi era raro che gli frequentasse.
“Maledettissima Maxi!” pensò la giovane
cercando di farsi strada tra le numerose persone già
presenti nella stanza.
Perfetto, si trovava da sola in un posto sconosciuto alla ricerca di un
tizio che aveva visto una volta sola e che per di più non
sapeva neanche come rintracciare. Ottimo no, tutto faceva prospettare
una serata da favola!
“Accidenti a me! Ma perché diavolo gli ho detto di
si?! Come minimo sarà uno di quei palloni gonfiati a cui
piace darsi tante arie.. Uno di quelli che parla parla, ma poi non
conclude mai niente.”
<< Signorina Hellenton >> chiamò
all’improvviso una voce maschile dietro di lei facendola
sussultare.
Charlie si voltò spaventata, trovandosi faccia a faccia con
il bel volto di Michael, che sorridendo aggiunse << Ormai
pensavo non saresti venuta. >>
<< Non è poi così tardi.
>>
Il giovane rise. << Hai ragione. Vieni troviamo
un posto a sedere. >>
La ragazza si lasciò guidare verso la parte del locale dove
probabilmente erano soliti risiedere i “vip” del
posto, infatti, là i tavoli erano tutti posizionati su
piccoli piedistalli e contrassegnati da cartellini con i nomi degli
occupanti.
<< Un tavolo privato addirittura. Non badi proprio a
spese vedo. >> disse Charlie accomodandosi al posto
indicato.
<< E’ il minimo per un’ospite di
riguardo come te >> rispose Michael sedendosi al suo
fianco. << Beviamo qualcosa? >>
<< Volentieri. >>
Il ragazzo annuì e con un cenno
richiamò l’attenzione di una cameriera.
<< Il solito Jody. >>
La ragazza annuì tornando poco dopo con una bottiglia di
champagne che Michael servì in due calici.
<< Vuoi davvero farmi credere che questo >>
disse Charlotte indicando la costosa bottiglia. <<
E’ il tuo “solito”? >>
<< Certo. >>
Lei lo guardò scettica, quello non era certo un posto dove
erano soliti servire champagne e inoltre il giovane non le sembrava
proprio il tipo da poterselo permettere tutte le sere.
Michael vedendo il suo sguardo rise, poi disse << Su
sentiamo allora, per quale motivo miss Hellenton pensa che io non possa
permettermi champagne? >>
<< Non ho detto questo. >>
<< Però lo hai pensato. >>
La ragazza fece per ribattere, ma vedendo il bel sorriso di lui ci
ripensò dicendo << E va bene.
Perché penso tu non possa permettertelo è?
Diciamo che questo non è il genere di posto dove si serve
champagne. >>
<< L’apparenza inganna. >>
<< Giusto. Però è molto costoso.
>>
<< Mi pagano bene. >>
<< Mmm.. Allora devo pensare che tu sia implicato in
azioni poco legali.. >>
<< Non sia mai >> disse il giovane alzando
le mani come a voler dimostrare la sua innocenza. << Sono
solo un onesto massaggiatore. >>
Charlie rise. << Allora dove è il trucco?
>>
La risposta arrivò da una ragazza dai lunghi capelli scuri e
gli occhi chiari, la quale con in mano un vassoio colmo di bicchieri
disse, fermandosi al loro tavolo << Quella hai intenzione
di pagarmela Mike o sarà come sempre un prestito a fondo
perduto?! >>
Il giovane rise e voltandosi verso Charlie disse << Ecco
qua il trucco. Signorina Hellenton vi presento Katherine
Heigl, proprietaria del Red Dragon, nonché mia sorella.
>>
<< E dispensatrice di favori gratuiti >>
aggiunse Katherine porgendo la mano alla ragazza.
Charlotte la strinse, poi ridendo disse << Ora si
chiariscono molte cose. >>
<< Dia retta me, non ci perda tempo con questo fannullone
>> disse la giovane.
<< Kate così mi fai passare male.
>>
<< Dico solo la verità >>
rispose la sorella sorridendo, poi andandosene aggiunse
<< Buona serata. >>
La Hellenton rise divertita e voltandosi verso Michael, che la stava
guardando senza dire niente, chiese << Che
c’è? >>
<< Mi piace quando ridi. >>
La giovane abbassò leggermente lo sguardo, con quel misto di
malizia mista a dolcezza, poi sorrise.
<< Beh, ti ho fatta venire qui per rilassarti giusto? Che
ne dici di provvedere subito allora? >>
<< Con piacere, ma non vedo come sia possibile.
>>
<< Per un Heigl tutto è possibile
>> disse il ragazzo prendendole la mano. <<
Vieni. >>
Charlotte si lasciò guidare verso la seconda parte
dell’edificio dove erano situati dei privè
destinati a facoltosi clienti che volevano divertirsi lontano dagli
occhi di tutti.
<< Sai qual è il bello di essere il fratello
della proprietaria? >>
La ragazza scosse la testa.
<< E’ che puoi avere il miglior
privè di tutto il locale >> rispose lui
spingendola gentilmente nella stanza dedicata a loro.
Charlotte osservò la sala con attenzione. Era di modeste
dimensioni ed arredata con colori caldi che ricordavano molto il
deserto. Al centro era posizionato un tavolo con sopra
un’altra bottiglia di champagne, questa però
più economica della prima. Al lato, sotto una finestra
seminascosta da tende color cioccolato, stava un morbido divanetto dove
lei si sedette ascoltando distrattamente la rilassante musica
proveniente da delle casse situate in punti strategici del soffitto.
<< Allora? Che ne pensa miss Hellenton? >>
chiese Michel avvicinandosi con due bicchieri colmi di vino.
<< Non male.. Ah Michael, non riempire mai il bicchiere
di una donna fino all‘orlo, potrebbe pensare che tu voglia
farla ubriacare. >>
Il giovane osservò il calice poi annuendo glielo porse.
<< Non hai ancora visto la parte migliore della stanza.
>>
<< Ah si? >>
<< Già, guarda fuori. >>
Charlotte fece come le era stato consigliato ed il panorama la
lasciò a bocca aperta. La stanza, infatti, dava su uno
splendido giardino zen dai favolosi alberi di ciliegio, accompagnati da
un piccolo laghetto nel quale si tuffava un’elegante cascata
proveniente dal corso d’acqua che saliva verso i monti.
<< E’.. E’ magnifico..
>>
<< Dovresti vederlo in primavera quando i ciliegi sono in
fiore, il lago si tinge di rosa e sembra di essere in una fiaba..
>> sussurrò Michel scansandole i
lunghi capelli color caramello dalla schiena e iniziando a massaggiarle
le spalle.
Charlie chiuse gli occhi, farsi sfiorare da mani così
esperte era estremamente rilassante. Su una cosa doveva dare ragione a
sua madre, i massaggi erano davvero lo strumento per sentirsi
più vicini agli dei.
Michael inoltre era così abile da far volare la giovane in
uno stato di completa assenza di preoccupazione e stress. Infatti, ogni
volta che le dita di lui le sfioravano la pelle ella non
poteva fare a meno di distendere ulteriormente la mente allontanandosi
da qualsiasi turbamento terreno che fino a quel momento
l’aveva afflitta.
Neanche quando le labbra di lui si posarono sul suo collo quel completo
stato di atarassia terminò, era come trovarsi in un
piacevole e distensivo trance.
Charlie era calma.. Tranquilla come mai era stata nell’ultimo
periodo.. Charlie era..
<<
Proteggili. Proteggili entrambi. >>
E poi quel magnifico stato venne interrotto da quelle calde parole, a
cui immancabilmente seguì il consueto calore che ogni volta
emanavano.
<< No! >> urlò la ragazza
aprendo di scatto gli occhi.
<< Che c’è? >>
domandò Michael preoccupato.
<< Apri la finestra. Ho bisogno d’aria..
>>
Il ragazzo eseguì l’ordine osservandola sempre
più turbato, mentre Charlie cercava di riacquistare la
tranquillità perduta.
<< Basta… >>
sussurrò. << Non ne posso più..
>>
<< Di cosa non ne puoi più? Non capisco.. Che
sta succedendo Charlotte? >>
La giovane non rispose limitandosi a guardare un indistinto punto fisso
nell’illuminato giardino di fronte a sé. Poi
all’improvviso qualcosa attirò la sua attenzione.
Ella osservò meglio mettendo a fuoco l’immagine
per essere sicura di non sbagliare e quando i suoi occhi schiarirono la
figura il cuore iniziò a batterle all’impazzata.
<< Non è possibile! >>
esclamò Charlotte scattando in piedi.
<< Cosa?! >>
<< Adesso basta! E’ ora di farla finita!
>> urlò la giovane salendo sul divano ed
usandolo per gettarsi fuori dalla finestra.
<< Charlotte aspetta! >> urlò
Michael, ma la ragazza lo ignorò.
Charlie, infatti, partì a corsa verso la zona in ombra in
cui aveva visto quella donna gatto fissarla. Quella stessa sconosciuta
con la maschera da felino che aveva sorpreso nel pomeriggio durante la
seduta massaggi e che adesso era sicura di non essersi immaginata.
“Adesso mi hai stufata Cat Woman dei miei
stivali!” pensò la giovane.
“Vedrai quando ti prendo!”
Ma, quando arrivò all’albero di ciliegio a cui la
sua Cat Woman era appoggiata non trovò nessuno, o meglio
nessuna donna con una maschera da gatto. Al suo posto, infatti, Charlie
trovò ad attenderla un micio bianco dai grandi occhioni
azzurri che nel vederla miagolò indispettito, a quanto
pareva non gradiva molto le sue improvvise entrate di scena.
<< Ancora tu?! >>
<< Miao
>> fu la risposta del gattino, che
ondeggiando la sua peloso coda si andò a strusciare alle
gambe di lei.
<< E’ inutile che cerchi di accalappiarti il
mio favore sia?! Non mi sei per niente simpatico. >>
<< Miao.
>>
<< Miao?! Non sai dire altro?! >>
<< E’ un gatto, cos’altro dovrebbe
dire? >> disse Michel poggiando le mani alle ginocchia
per riprendere fiato. << Mi spieghi che diavolo ti
prende?! >>
<< Io.. Ho visto una cosa.. >>
<< Cosa?! Ti sembra normale saltare fuori da una finestra
come una pazza?! >>
<< Beh.. Senti un po’ ma che diavolo ti importa
di quel che faccio?! >>
<< Niente. Ma non è certo da sani di mente
dare di matto così! >>
Charlotte lo guardo per un attimo, poi alzando il mento con fare
leggermente troppo altezzoso per i suoi gusti aggiunse <<
E allora? Magari sono davvero pazza. >>
Il ragazzo la guardò sbalordito, poi ridendo disse
<< Eh no. Lo so a che gioco stai giocando e non
ci casco. >>
<< Io non sto giocando a nessun gioco. >>
<< Si certo. Su sentiamo allora, cosa avresti visto da
farti dare in escandescenza? >>
<< Ho visto.. >> iniziò a dire
la giovane fermandosi però a metà frase. Non
poteva certo confessargli di aver visto una tizia con una maschera da
gatto che la stava spiando, l’avrebbe sicuramente presa per
pazza, ma infondo la considerava già fuori di testa, quindi
tanto valeva dire la verità.
<< Ho visto una donna. Con una maschera da gatto che mi
stava fissando. Non è la prima volta che succede. Anche
questo pomeriggio durante il massaggio l’ho vista.
>>
<< Una donna gatto? >> domandò
lui serio. Il suo tono non era ironico né scherzoso, non la
stava affatto prendendo in giro, anzi sembrava piuttosto preoccupato.
<< Si.. >>
Il gattino ai piedi di Charlotte miagolò e lei distogliendo
lo sguardo dagli occhi chiari del giovane esclamò
<< Che accidenti vuoi tu?! >>
<< Miao.
>>
<< Sai che ti dico?! Visto che hai l’abitudine
di pedinarmi adesso te ne vieni a casa con me! >> disse
la giovane afferrando il micetto e prendendolo tra le braccia, dove lui
si accoccolò beato.
<< Non è possibile >>
sbottò alla fine Michael. << Nessuno se ne va
in giro con una maschera da gatto bianca a fissare la gente.
Probabilmente l’avrai confuso con il gatto. >>
Charlie intenta a coccolare la palla di pelo tra le sue braccia si
fermò. Non sapeva di preciso perché,
però c’era qualcosa che non andava nelle parole di
lui, qualcosa di troppo che non avrebbe dovuto esserci.
“Nessuno se ne
va in giro con una maschera da gatto bianca..”
Lei non aveva mai parlato del colore della maschera. Come diavolo
faceva a sapere che era bianca?!
Involontariamente la giovane fece un passo indietro. Michael se ne
accorse e avvicinandosi chiese << Charlotte che..
>>
Il micio tra le braccia della ragazza soffiò, non gli
piaceva quel tipo e voleva tenerlo lontano dalla sua nuova padrona.
<< Io.. >> disse Charlie.
<< Devo andare. Grazie per la serata >>
concluse lei andandosene con passo tutt’altro che rilassato
da lì.
Quando fu sicura di aver messo più distanza possibile tra
lei e il ragazzo tirò fuori il cellulare, compose il numero
e attese.
<< Pronto. >>
<< Andiamo a casa. Muoviti! >>
Meno di cinque minuti dopo Charlotte Elena e Maria Ximena Hellenton
erano su un taxi dirette alla Spa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** L'Agnello ***
L’Agnello
<< Mi
spieghi che diavolo ti è preso?! Ci stavamo divertendo!
>> esclamò Maxi entrando nel loro appartamento
alla Gora Kadan e sbattendo la porta.
<<
Tu ti stavi divertendo! E fai piano, non vorrai svegliare la mamma?!
>>
<<
Non preoccuparti Charlie sono già sveglia >>
disse Rose apparendo dal bagno come un fantasma con in dosso solo una
leggera e svolazzante tunica di seta.
Il micetto nel
vederla soffiò spaventato, sembrava quasi uno spirito appena
tornato dall’aldilà con quella sua pelle candida e
i lunghi capelli color miele sciolti sulla schiena.
Per chi non
conosceva Rosalie Hellenton probabilmente sarebbe apparso strano
vederla svegli a quell’ora della notte, ma per chi, come
Charlie e Maxi, ci conviveva da una vita non era affatto una
novità, probabilmente sua madre era impegnata in qualche
strana usanza buddista o indù o di chi sa quale altra
spiritualissima religione che l’avrebbe tenuta svegli ancora
per molto.
<<
Ti abbiamo disturbata? >> domandò Charlotte
accarezzando il micio per farlo calmare.
<<
Oh no, avevo appena finito >> disse Rosalie, poi
avvicinandosi al gattino chiese << E questo chi
è? >>
<<
Miao. >>
La ragazza
osservò il felino alzando gli occhi al cielo, poi
grattandogli il musetto rispose << E’ un
piccolo orfanello con manie da stalker. >>
La madre la
guardò stranita e lei facendo cenno di lasciar perdere
continuò << Io vado a letto. >>
<<
Come scusa?! Eh no cara! Adesso ti fermi >>
esclamò Maria Ximena inviperita. << Tu non hai
idea di cosa hai combinato! >>
<<
Buona notte Maxi >> tagliò corto la bionda
sparendo in camera sua.
Una volta
sola, Charlotte lasciò che il gattino le scendesse dalle
braccia con un’elegante salto, restandolo a guardare mentre,
ondeggiando la sua pelosa coda, andava ad accoccolarsi sul suo letto.
A Charlie
piacevano i gatti, erano belli ed eleganti, ricordava che da piccola ne
era rimasta affascinata durante una lezione di storia
sull’antico Egitto, dove essi venivano venerati per essere
portatori di fortuna e protettori delle persone a cui erano legati. Con
il crescere però anche quell’affascinante credenza
aveva finito per risultarle senza senso come le favole, la fatina dei
denti, Babbo Natele e così via. Forse non era un caso che le
fosse tornata in mente proprio in quel momento, dopo tutto
quello che le stava succedendo.
<<
Quindi sei un gatto criminale è.. >>
sussurrò alla fine al ragazza andando verso il letto e
sedendosi al fianco del micetto che infastidito miagolò.
Charlie
alzò gli occhi al cielo sbuffando, lo aveva adottato da
nemmeno un’ora e già faceva il padrone. No, non
avrebbero mai potuto andare d’accordo.
<<
Lo sai che sei noioso? >>
<<
Miao. >>
<<
E pure ripetitivo. >>
Gli occhioni
celesti del gatto la fissarono strafottenti, come a volerle far capire
che non gli importava niente del suo giudizio, poi alzandosi
zampettò fino al cuscino dove dopo, essersi stiracchiato per
bene, si acciambellò voltando le spalle alla ragazza.
Charlotte
osservò sbalordita il gatto prendere possesso del suo letto.
Non era stata affatto una buona idea adottare quell’animale,
e poi per quale motivo lo aveva fatto?! Sperava che così
quella donna gatto non sarebbe più apparsa? Si, forse era
così, ma ad essere sincera non ci credeva neanche un
po’.
La donna
gatto.. Davvero non l’aveva solo immaginata? No, era
impossibile, non poteva essersela inventata, non due volte
nell’arco di una giornata. Doveva esserci per forza,
altrimenti Michael come avrebbe fatto a sapere che aveva una maschera
bianca? Non si spiegava altrimenti, anzi non si spiegava nemmeno
così. Lei non aveva parlato di colori eppure lui lo sapeva.
Come accidenti era possibile?! Chi diavolo era in realtà
quel tizio?!
“Ah
domande, domande e ancora domande!” pesò
Charlotte. “E per di più neanche una
risposta.”
Charlie odiava
sentirsi così impotente, odiava non capire. Era una delle
cose che non sopportava di più al mondo e ultimamente si
sentiva così fin troppo spesso.
<<
Oh accidenti! >>
<<
Miao >> protestò
il micio.
La ragazza lo
fulminò con lo sguardo. Era mai possibile sentire un gatto
lamentarsi sentendo parlare?!
<<
Questo è davvero il colmo.. >>
La testolina
bianca si alzò dal cuscino pronta a miagolare nuovamente, ma
Charlotte battendolo sul tempo esclamò <>
Un
sorriso malinconico.
Delle
possenti ali nere che spiccano il volo.
Una
donna.. Un bellissimo e delicato volto di donna..
<<
Proteggili. Proteggili entrambi. >>
Quella
dolce voce.. E poi il calore.. Un rassicurante e piacevole calore..
<<
Ra. >>
Il suono di
una voce sconosciuta arrivò nella mente di Charlie. Era come
un suono in lontananza, un suono appena sussurrato e condotto dal
vento.
Chi sa da dove
proveniva realmente?
Charlotte si
stupì di quanto i suoi sogni sembrassero reali,
perché stava sognando, vero?
Ma si, senza
ombra di dubbio era solo un sogno. Aveva visto le ali nere e il volto
di donna, tutto ciò succedeva quando era incosciente, quindi
di conseguenza stava per forza dormendo.
Eppure..
Eppure aveva come la sensazione di non essere nel bel mezzo di un
sogno. Si sentiva come sospesa tra sogno e realtà, in uno
stato di assurdo dormiveglia. Un dormiveglia più complesso
però.. Nel dormiveglia, infatti, l’irreale si
mischia al reale creando delle situazioni paradossali in cui si
è coscienti di non essere realmente svegli. Lì
invece era come essere nel sogno di un sogno.
Charlie sapeva
di essere sveglia, sapeva di non dormire, eppure non riusciva a
rendersi completamente conto di ciò che la circondava, dello
spazio fisico che le stava intorno. Era una sensazione bruttissima.. Le
sembrava quasi si essere un fantasma..
“Forse
è così che ci si sente quando si
muore..” pensò la ragazza. “Oh Charlie!
Ma che diavolo vai a pensare?!”
<<
Ne sei sicura? >> chiese improvvisamente con un sussurro
una voce femminile proveniente da chi sa dove. Forse lontano.. Forse
vicino..
<<
Si >> fu la risposta che giunse alla mente della ragazza.
Era stata la stessa voce iniziale a parlare.
“Sto
sognando.. E’ sicuramente un sogno..”
“Sicura?"
chiese
all’improvviso una vocina dentro di lei. "Sicura
che sia un sogno? Andiamo Charlie pensaci.. I sogni hanno immagini, non
suoni..”
Immagini.. Non
c’era nessuna immagine nel suo stato di semi-incoscienza,
solo parole insensate ed echi lontani.. Suoni, ma non immagini.
<<
Kunimitsu dobbiamo esserne certe, non passiamo rischiare di sbagliare.
>>
<<
Sta tranquilla. È lei. >>
<<
Ma.. >>
<<
Ho detto che è lei, Aiko. >>
Aiko?! La commessa della
Spa?! Cosa accidenti ci faceva nel sogno di Charlie?!
“Ah
è assurdo!”
<<
Sai chi è suo padre, non possiamo sbagliare.
>>
<<
E infatti non sbaglieremo >> disse Kunimitsu.
<< Ra! >>
Ancora quella
sillaba: Ra. Chi sa cosa significava?
La prima cosa
a cui Charlotte pensò fu al dio del sole egizio. Ra, il
Dio-Sole di Eliopoli conosciuto anche come Amon-Ra, il quale, secondo
le leggende, poteva assumere numerose forme, una delle quali era quella
di gatto.
<<
Miao. >>
Gatto. Era stato un gatto a
miagolare e Charlotte era sicura fosse il micio che aveva adottato. Che
diavolo ci faceva pure lui nel suo sogno?!
“E
se non fosse un sogno?” Domandò la
vocina dentro di lei.
<<
O ki, Ra. O ki Kuzu deyil. >>
<<
Miao. >>
Charlotte
stava letteralmente dando di matto, o meglio, la sua mente lo stava
facendo dato che in quel momento solo il suo cervello era cosciente, o
semicosciente.
“Che
diavolo sta succedendo?!”
<<
Credi che basterà? >> domandò Aiko.
<<
Finché lui non farà la sua prima mossa si.
>>
<<
Kunimitsu.. >>
<<
Fidati Aiko, lei è ki Kuzu.. >>
Ki
Kuzu.. Ki Kuzu.. Ki Kuzu.. Quelle parole
iniziarono a risuonare nella mente di Charlotte in modo basso e
persistente, era come se nella sua testa ci fosse una piccola orchestra
di tamburi, che come in un rituale scandiva a suon di percussioni
quell’unica parola.. Ki Kuzu..
Lei
è ki Kuzu.. Tu sei ki Kuzu..
Quando
Charlotte aprì gli occhi il sole illuminava già
buona parte della stanza, segno che sicuramente era mezzogiorno o poco
più.
<<
Accidenti.. >> sussurrò la ragazza
schermandosi gli occhi. Maxi doveva aver tirato le tende per vendicarsi
della sera prima, era davvero impossibile.
Lentamente si
alzò dal letto stirandosi i muscoli intorpiditi, poi
recuperando un asciugamano e i saponi si diresse verso il bagno. Aveva
proprio bisogno di una bella doccia rilassante.
Charlie aveva
sempre amato sentire la calda acqua accarezzarle la pelle con quel suo
getto continuo, le piaceva così tanto che quando era
piccola, e a volte tutt’ora, ci passava ore intere osservando
poi divertita le sue mani avvizzite per la troppa esposizione
all’acqua. Quello era uno di quei momenti e ci sarebbe
rimasta molto volentieri sotto il getto caldo e rilassante della
doccia, se non fosse stato per il suo cellulare, che finalmente sua
madre si era decisa a ridarle.
<<
Ah che noia.. >> borbottò la ragazza
recuperando l’accappatoio e uscendo dalla cabina dove, seduto
con i grandi occhi celesti che la fissavano trovò il suo
gatto.
Charlotte
sussultò spaventata. << Ra! Che
accidenti ci fai nel bagno?! >>
Ra.
All’improvviso
il sogno di quella notte le tornò in mente, appena si era
svegliata non se lo ricordava, ma adesso che aveva visto il micio ogni
singola parola riaffiorò nella sua memoria come un ricordo
lontano.
<<
Ki Kuzu.. >> sussurrò la ragazza fissando il
gatto, che come se avesse capito abbassò la testolina
bianca.
Allora non era
stato un sogno.. Era successo davvero.
<<
Charlie! >> urlò improvvisamente la soave voce
di Maria Ximena riportandola drasticamente alla realtà.
<< Vuoi rispondere?! >>
<<
Eh?! Si arrivo! >> esclamò la giovane correndo
nell’altra stanza e trovando sua sorella sulla
porta.
<<
Buongiorno eh. >>
<<
Dov’è il cellulare? >>
Maxi le porse
l’apparecchio dicendo << Ero io che ti
chiamavo., la mamma ha detto di prepararsi, partiamo. >>
Charlie
annuì tornando in camera, dove dopo aver riunito il suo
bagaglio si vestì. Aveva appena finito di pettinare i lunghi
capelli color caramello quando le parole del suo sogno-non sogno le
tornarono in mente.
Ho
detto che è lei, Aiko.
Aiko, la
commessa della Spa. Se quello non era stato un sogno allora significava
che lei e quella Kunimitsu erano fuori dalla sua finestra quella notte.
Perché?! Che diavolo stava succedendo? E cosa accidenti
voleva dire ki Kuzu?
<<
Charlie! >> urlò Maxi.
<<
Arrivo! >> rispose lei osservando per alcuni attimi la
finestra, le cui ante erano leggermente accostate. << Io
le avevo.. >>
<<
Charlie! >>
La giovane
alzò gli occhi al cielo e dopo aver dato una leggera spinto
al vetro lo chiuse. Non era stato un sogno.
<<
Ra >> chiamò Charlotte una volta nel salone.
<< Andiamo. >>
Il micio
arrivò zampettando elegantemente al suo fianco.
<<
Hai deciso di adottarlo allora? >>
<<
Già. >>
Maxi
annuì. << Però gli hai dato davvero
un nome strano. >>
<<
E’ il suo nome >> rispose la ragazza uscendo.
Maria Ximena
osservò la sorella senza capire realmente l’ultima
frase, poi facendo spallucce la seguì. Il gatto era suo e
poteva chiamarlo come le pareva.
All’entrata
della Gora Kadan la limousine di casa Hellenton era già
parcheggiata e carica di bagagli, gli unici che mancavano erano quelli
di Charlotte, che non appena arrivò, furono presi da
Batista, l’autista personale della signora Hellenton.
<<
Charlie, Maxi, finalmente >> le chiamò Rosalie
facendogli cenno di avvicinarsi.
Le due
obbedirono e Charlie notò che a chiacchierare amabilmente
con la madre, stava proprio Aiko.
<<
Signorine >> le salutò la commessa.
<<
Salve >> risposero le ragazze.
<<
Spero abbiate trovato il vostro soggiorno presso la nostra Spa di
vostro gradimento, Saremmo molto felici di vedervi tornare in compagnia
di vostra madre. >>
<<
Sicuramente >> disse Maxi. Era incredibile come riuscisse
a fingere, quella era una mastra della bugia.
<<
Voi signorina Charlotte invece? >>
<<
Si.. Certo.. >> borbottò
l’interpellata, poi sorridendo disse << Sai
Aiko, questa notte ho fatto un sogno e c’eri anche tu.
>>
<<
Davvero signorina Hellenton? Mi stupisce. >>
<<
Anche a me mi ha lasciato piuttosto perplessa, anche se.. Nel sogno
veniva ripetuta spesso una parola strana, forse tu sai cosa significa?
>>
<<
Può darsi, qual è questa parola? >>
Charlotte la
guardò dritta negli occhi, poi dopo alcuni attimi di
silenzio rispose << Ki Kuzu. >>
Aiko
osservò gli occhi chiari della ragazza senza mai abbassare
lo sguardo, poi con assoluta tranquillità disse
<< No, mi dispiace. >>
<<
Peccato >> rispose Charlie delusa. Aveva sperato di poter
vedere qualche reazione in quei particolari occhi scuri e invece era
rimasta del tutto impassibile.
Il silenzio
cadde pesante tra le quattro donne, poi Maxi, stanca di non poter
sentire la sua fantastica voce esclamò << E va
bene, direi che adesso possiamo anche andare, no? >>
Rosalie
distogliendo lo sguardo dalla figlia maggiore annuì e dopo
aver salutato Aiko entrò in macchina, seguita da Maria.
<<
Arrivederci signorina Hellenton. >>
<<
Arrivederci >> rispose Charlotte, poi rivolgendosi al
gatto, che per tutto il tempo era rimasto ai suoi piedi,
ordinò << Ra sali in auto. >>
<<
Miao. >>
<<
Non vorrai mica che ti ci porti in collo spero! >>
esclamò la ragazza fissando torva il micio, che imperterrito
la guardava con aria di sfida.
Aiko rise e
accucciandosi prese in collo l’animale adagiandolo
delicatamente nell’abitacolo. << Ecco fatto.
E’ davvero un micio particolare. >>
<<
Già. Grazie >> rispose Charlie sorridendole,
nel farlo notò dietro le spalle dell’orientale una
familiare figura maschile, che sorridendo la fissava poggiato allo
stipite di una della porta d’entrata. Era Michael.
<<
Charlotte andiamo >> chiamò Rosalie.
<<
Arrivo subito >> disse la ragazza chiudendo la portiera e
incamminandosi verso il massaggiatore. << Ehi.
>>
<<
Avevo pensato che te ne saresti andata senza salutarmi.>>
<< Se
non ti avessi trovato lo avrei fatto. >>
<<
Così mi ferisci >> scherzò il
giovane. << Ed io che volevo soddisfare una tua
curiosità.. >>
La primogenita
di casa Hellenton osservò incuriosita il bel volto di lui.
<< In che senso? >>
<<
Vuoi sapere cosa significa ki Kuzu, giusto? >>
<<
Si, ma.. >>
<<
Io lo so. E’ una paralo di un antico dialetto egizio che
significa Agnello. >>
<<
Agnello? >>
<<
Già, ki Kuzu. >>
<<
Come.. Come fai a saperlo? >>
Michael
sorrise facendo spallucce, poi porgendo alla ragazza un foglietto di
carta disse << E’ il mio numero, se mai avrai
bisogno di qualcosa, chiamami. >>
<<
Grazie >> rispose Charlie osservando il pezzo di carta.
Poi dopo averlo salutato ritornò verso
l’automobile.
<<
Possiamo partire signora? >> domandò
l’autista.
<<
Si Batista. >>
La vettura si
mosse e Charlotte osservò il paesaggio scorrere con
progressiva velocità fuori dal suo finestrino.
Ra le si
adagiò in collo, poggiando la testolina bianca sulla mano in
cui era stretto il foglietto di carta. La giovane osservò
gli occhioni celesti del micio, i quali sembravano trasmettere
disappunto, a lui non era mai piaciuto Michael e ad essere sincera
nemmeno Charlie si fidava più di tanto. Quel ragazzo le dava
una strana sensazione, così senza neanche rendersene conto
accartocciò il numero e aprendo il finestrino lo
gettò fuori.
Adesso si
sentiva più tranquilla.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** L'Incontro - Parte Prima ***
L’Incontro
-Parte
Prima-
<<
Siamo arrivati signorina Hellenton >> disse la voce
dell’autista dall’altoparlante che collegava lo
scompartimento del passeggero a quello del guidatore nella limousine
della primogenita di casa Hellenton.
<<
Grazie Ricardo >> rispose Charlie attendendo che la
portiera venisse aperta dall’uomo, che
l’aiutò a scendere.
<<
A che ore devo tornarla a prendere? >>
<<
Verso le quattro. >>
<<
Come desidera >> rispose l’autista inclinando
la testa in avanti in segno di rispetto e salendo nuovamente in auto.
Charlotte
osservò alcuni attimi la limousine nera allontanarsi, poi
portando la borsetta davanti a sé entrò al
ristorante Rosanjin.
I ristornati
Rosanjin facevano parte di una catena di boutique sparse in tutto il
mondo, in cui i clienti, ovviamente tutti ricchissimi, potevano
intrattenere il loro tempo in una vasta quantità di negozi
di lusso prima di andare a pranzare.
Non appena
entrò Charlotte andrò dritta verso
l’ultimo piano, non era lì per fare e shopping e
ad essere sincera non la faceva neanche impazzire l’idea di
girare per ore e ore in negozi tutti uguali, quella era più
un’attività da Maxi e Lili.
Senza esitare
si diresse all’ultimo piano, dove una cameriera
l’accolse facendola accomodare ad uno dei tavoli che davano
sull’ampia vetrata dalla quale era possibile vedere la
città sottostante. La ragazza guardò la vita
scorrere sotto di lei e senza sapere perché
ripensò al numero che il giorno precedente aveva
accartocciato. Aveva davvero fatto bene a non fidarsi di Michael? Lui
sapeva qualcosa e forse se l’avesse chiamato le avrebbe
chiarito qualche dubbio, però.. Il suo sesto senso le diceva
che qualcosa non andava in lui e Charlie si era sempre fidata delle sue
impressioni, perché non farlo neanche questa volta? Si,
senza dubbio aveva fatto bene, ma nonostante ne fosse certa una leggera
punta di incertezza la pizzicava nel profondo lasciandole
quell’alono di insicurezza, come una lontana nuvola nera in
un cielo sereno.
<<
Charlotte! >> esclamò improvvisamente una
squillante voce femminile facendo sussultare la ragazza.
<< Scusa il ritardo. >>
La giovane
sorrise guardando la nuova arrivata dirigersi verso di lei insieme ad
almeno dieci buste provenienti dalle lussuose boutique dei piani
inferiori. << Non preoccuparti Camila, non sei poi
così in ritardo. >>
<<
Oh per fortuna >> rispose lei sedendosi e ordinando
all’uomo che l’aveva scortata di portare le borse
nell’automobile.
Camila Toledo,
eccentrica ragazza dai fluenti ricci color mogano e secondogenita di un
ricco politico discendente da un’antica casata nobiliare
spagnola, osservò il suo dipendente allontanarsi con i suoi
averi assicurandosi che venissero trattati con dovere, poi si
voltò verso Charlotte esclamando << Allora? Che
ordiniamo? >>
Charlie
sorrise, ogni volta che la vedeva non poteva fare a meno di chiedersi
come aveva fatto a diventare amica di una persona così
opposta a lei come Camila.
<<
Io prendo un caffè. >>
<<
Un caffè? Sai che fa invecchiare la pelle? >>
<<
Camila, non iniziamo. >>
<<
Okay, okay >> rispose la ragazza richiamando poi
l’attenzione di un cameriere e ordinando un caffè
e un succo di melograno. << Io lo dicevo per te.
>>
<<
Non ti preoccupare, ci pensa già mia madre. >>
<<
Oh, la cara Rosalie, come sta? >>
<<
Una favola, siamo tornate proprio ieri dalla sua Spa preferita.
>>
<<
Come? Ho sentito bene? Tornate hai detto? >>
domandò Camila ridendo, ovviamente sapeva che
l’amica odiava quel genere di posti.
<<
Si >> rispose Charlie in tono lugubre.
<<
Non credo alle mie orecchie! Come ha fatto a convincerti?
>>
Charlotte la
fulminò con lo sguardo facendola di nuovo scoppiare a
ridere.
<<
Avrei dato qualsiasi cosa per vederti! >>
<<
Ah, ah, molto simpatica. >>
<<
Su via Charlie, non sarà mica stata la fine del mondo farsi
coccolare da bei maschioni muscolosi. >>
La bionda non
rispose limitandosi a girare il caffè bollente appena
ricevuto in modo da far sciogliere lo zucchero. No che non era stato
rilassante, quella breve vacanza l’aveva stressata ancor
più di quanto lo era prima, facendole guadagnare una
presuntuosa palla di pelo bianca che ogni notte si impossessava del suo
cuscino.
<<
Comunque, credo che mio fratello voglia dichiararsi a te durante la
festa di compleanno di tua sorella >> disse la giovane
cambiando discorso di punto in bianco.
Charlotte
storse la bocca, non che non le piacesse Raul Toledo, infondo era un
ragazzo piuttosto bello, l’unico problema stava nel suo ego
smisurato, continuamente pompato dalla fortuna di appartenere ad una
delle più antiche dinastie della nobiltà
spagnola.
<<
Ne sei sicura? >>
Camila
annuì. << Da quel che so ha recentemente
visitato le gioiellerie di mezzo Giappone alla ricerca del regalo
perfetto. >>
<<
Allora fa sul serio. >>
<<
Già. Sei una preda ambita Charlotte, gli Hellenton hanno
potere e prestigio, ogni rampollo di qualsiasi famiglia che
può permetterselo cerca di entrare nelle tue grazie.
>>
Charlie
sospirò, purtroppo era proprio così. Essere la
primogenita del ricco e influente casato degli Hellenton
l’aveva resa oggetto del desiderio di molti rampolli, le cui
famiglie aspiravano ad aumentare il loro prestigio cercando di
accattivarsi il suo favore. In quei momenti Charlotte odiava suo padre,
odiava il fatto di essere ciò che era e avrebbe dato
qualsiasi cosa per essere solo una semplice ragazza come tante altre,
una ragazza libera di innamorarsi, sbagliare, vivere.. Una sconosciuta
ragazza comune con la possibilità di scegliere chi
diventare.
<<
Non preoccuparti >> disse alla fine Camila, sorseggiando
elegantemente il suo salutare succo al melograno. << Non
me la prendo se decidi di rifiutare, anzi te ne sarei davvero grata.
Raul è un pallone gonfiato, si merita proprio una lezione.
>>
La bionda
osservò incerta il volto dell’amica, la quale
sorridendo continuò << E poi non sarebbe
divertente se tu acconsentissi subito, non trovi? >>
Charlotte
rise, probabilmente Camila aveva ragione, sarebbe stato molto
più divertente vedere l’ego di Don Toledo
sgonfiarsi lentamente per i suoi rifiuti. Il solo pensiero le faceva
quasi apprezzare la situazione.
<<
Sai, vista sotto questo aspetto.. >> iniziò a
dire la giovane Hellenton venendo però interrotta
dall’arrivo di un nuovo ospite, il quale si
catapultò senza tanti complimenti al fianco delle due
ragazze esclamando << Signore, sareste così
gentili da aiutare un povero forestiero? >>
Charlotte e
Camila lo guardarono con un misto di stupore e divertimento, poi quando
lo sbraitare di un paio di agenti della security arrivò alle
loro orecchie la Toledo chiese << Ce l’anno con
te? >>
Il nuovo
arrivato, che Charlie notò essere un bel ragazzo dai tratti
orientali, annuì sorridendo quasi imbarazzato e Camila,
divertita da tutta quella situazione ordinò <<
Charlotte cappotto e sciarpa. >>
La bionda
annuì e in un attimo l’ospite inatteso si
ritrovò con addosso un fine soprabito bianco, un pregiato
foulard color pervinca e un bel cappellino marrone.
<<
Sai che come ragazza sei pure carina >> disse la rossa
ridendo.
Lo sconosciuto
le fece un occhiolino malizioso e quando gli agenti della sicurezza si
avvicinarono abbassò veloce la testa per nascondere il
volto. Il movimento però non sfuggì ad uno dei
gendarmi, che insospettito si avvicinò al loro tavolo
chiedendo << Ragazze avete per caso visto passare un
giovane orientale dai capelli rossi, alto circa un metro e ottanta e
dal fisico ben allenato? >>
Il diretto
interessato si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto e
Charlie intravedendolo gli pestò un piede rispondendo
<< No agente. Tu Cami? >>
La Toledo
scosse la testa, guardando il gendarme così innocentemente
da far insospettire ancora di più l’uomo, il quale
per niente convinto da quelle due facce angelicamente diaboliche
continuò << E lei signorina? >>
A quelle
parole probabilmente chiunque sarebbe entrato nel panico di fronte ad
un esponente delle forze dell’ordine, ma non loro, Camila,
infatti, mantenendo il suo tono tranquillo e il suo sguardo innocente
sussurrò << Non capisce, non parla la nostra
lingua. >>
<<
Ah si? E che lingua parla? >> domandò il
poliziotto palesemente irritato.
<<
Beh, provenendo dalla Spagna, mi sembra più che ovvio no? Lo
spagnolo. No es cierto,
mi primo? >>
<<
E’ sua cugina, è venuta qui in vacanza
>> spiegò Charlotte.
L’uomo
a quell’ultima frase sbottò, quelle ragazzine si
stavano apertamente prendendo gioco di lui. << Allora,
perché non ci mostra il suo viso la sua cara cugina?!
>>
<<
Beh, perché.. Purtroppo ha un brutto brufolo..
>> inventò la Hellenton, venendo poi aiutata
dall’amica che sorridendo aggiunse <>
<<
Adesso basta! >> sbraitò l’agente.
<< Forse non avete ben chiaro chi avete di fronte.
>>
<<
No! >> esclamò Camila. << Forse
non ha chiaro lei con chi sta parlando. Ha per caso la più
pallida idea di chi sia io?! >>
<<
Sa che potrei arrestarla per oltraggio a pubblico ufficiale?
>>
<<
Lei sa invece che potrei farla licenziare in tronco facendo una
semplice chiamata?! Non penso voglia rischiare il posto di lavoro per
aver messo in dubbio le parole di una Toledo! >>
<<
Io le darei retta se fossi in lei >> si intromise
Charlie.
<<
Se ancora non lo ha capito il mio nome è Camila Cateyna
Pilar Toledo, figlia dell’ambasciatore spagnolo Delmar Garcia
Toledo, futuro duca d’Alba e d’Arjona. La signorina
qui presente invece è mia cugina Margherita Alvarez,
marchesa di Algaba >> aggiunse poi la rossa.
<< E anzi, cedo proprio che farò una
telefonata a mio padre. >>
A quelle
parole un secondo agente, arrivato pochi attimi prima, mise una mano
sulla spalla del collega e trascinandolo via disse <<
Andiamo Dean, non ne vale la pena. >>
Dean
guardò in cagnesco le due ragazze, poi sconfitto dal potere
dei signori dell’economia se ne andò lasciando
l’amico a scusarsi.
<<
Perdonate l’inconveniente signorina Toledo, vi prego anche di
scusarci con sua cugina. Arrivederci e buona giornata. >>
<<
Lo farò sicuramente. Buona giornata a lei agente
>> rispose Camila innocentemente osservando i poliziotti
allontanarsi uno ad uno.
Nei pochi
attimi che seguirono l’uscita di scena della squadra della
security nessuno al tavolo parlò, generando
quell’innaturale silenzio in cui si fa fatica a star seri e
immancabilmente qualche sorrisetto trattenuto prende forma,
nell’attesa di poter essere liberato.
Attesa che per
il trio durò appena un paio di minuti, infatti, non appena
anche l’ultimo poliziotto fu uscito dalla sala i tre
scoppiarono a ridere, attirando su di loro gli sguardi curiosi e forse
un po’ infastiditi degli altri clienti.
<<
Questa è stata davvero bella! >>
esclamò divertito il ragazzo iniziando a togliersi il
travestimento improvvisato. << Forse non ha presente lei
con chi sta parlando! Io sono Camila Cateyna Pilar Toledo!
Sei un’attrice nata ragazza! Ma come ti è venuta?
>>
Camila e
Charlotte osservarono il giovane inarcando le sopracciglia, sul serio
quel tipo credeva che scherzasse? Insomma era piuttosto scontato che un
ristorante come quello venisse frequentato da persone altolocate.
<<
Che c’è? >> domandò lui,
notando i loro sguardi.
<<
Non stavo scherzando, io sono davvero la figlia del futuro duca
d’Alba. >>
Il rosso
scoppiò nuovamente a ridere. << Si, e la
biondina chi è? La regina d’Inghilterra?
>>
<<
No, però sono l’erede dell’impero
finanziario degli Hellenton. >>
A
quell’ultima affermazione il ragazzo si fece improvvisamente
serio, la Hellenton corpration era una compagnia molto conosciuta,
quasi a livello della Mishima Zaibatsu o della G-corporation.
<<
Sul serio? >>
<<
Già, ma la domanda migliore adesso è chi sei tu?
>> disse Charlie insospettita
dall’improvviso cambio d’umore del rosso, il quale
assumendo un espressione maledettamente strafottente rispose
<< Non vedo proprio il motivo per cui dovrei dirlo a te
biondina. >>
<<
Perché la biondina, come la chiami tu, ha contribuito ha
salvarti la pelle >> esclamò Camila,
improvvisamente irritata da quel tizio, che fino a pochi attimi prima
aveva trovato divertente.
<<
Non per questo però vi devo rispondere. >>
<<
Io invece credo di si, a meno che >> disse Charlie
richiamando l’attenzione di un cameriere. << Mi
scusi, potrebbe chiamarmi un agente della security? >>
<<
Ehi aspetta! Diamoci una calmata okay? >> disse il
ragazzo innervosendosi. << Non c’è
bisogno di farli tornare. >>
<<
Allora rispondi >> incalzò la Toledo.
Charlotte
osservò il volto del rosso scurirsi, non gli stava piacendo
per niente quella situazione e ad essere sinceri nemmeno a lei. Non
amava particolarmente abusare della sua posizione sociale o del suo
denaro per ottenere ciò che desiderava, la faceva sentire
meschina, però a volta le circostanze lo richiedevano ed era
proprio in quei momenti che si rendeva conto quanto potere realmente
avesse tra le mani.
<<
Puoi scegliere: nome o polizia >> rincarò
Charlie.
<<
Questo è ricatto! >>
<<
Questa è la situazione. >>
<<
Vatti a fidare dei ricchi >> imprecò il
giovane. << Hwoarang. >>
<<
Hwoarang >> ripeté Camila. << Mi
piace. >>
Il ragazzo la
fissò non molto convinto, probabilmente pensava lo stesse
prendendo in giro, poi si voltò verso la Hellenton, la quale
avendo però perso ogni interesse per lui fissava il vuoto al
di fuori dell’ampia vetrata.
<<
Contente adesso? >>
<<
Mmm.. Si, direi di si >> rispose la Toledo con non
curanza, facendo sorridere l’amica.
Hwoarang
borbottò qualcosa contrariato, poi alzandosi in piedi
informò << Bene, credo proprio sia arrivato il
momento di svignarmela. >>
<<
Cosa? E non ci offri niente? >>
<<
Neanche per sogno! Siete entrambe ricche sfondate, pagatevelo da sole
il conto. Ci si vede >> concluse lui andandosene, facendo
così sbuffare Camila che contrariata disse <<
Che taccagno, lo salviamo e non ci offre neanche un succo di frutta.
Però è carino, non trovi Charlie?
>>
<<
Non è esattamente il mio tipo, ma non è male.
>>
<<
Giusto, mi ero dimentica che tu cerchi il principe azzurro..
>>
Charlotte
rise. << Ma smettila, cerco solo qualcuno che voglia
stare con me per come sono e non per il cognome che porto..
>>
Camila sorrise
amaramente, anche lei, come Charlie, doveva fare i conti con il cognome
che aveva. << Sarebbe bello.. E vedrai che
succederà prima o poi. >>
L’altra
annuì e tra le due cadde il silenzio, quello era un
argomento sempre delicato per le ragazze come loro.
<<
Stasera c’è la prima di Antonio e Cleopatra, mi
accompagni? >> chiese improvvisamente la Toledo.
<<
Scusa, stasera non posso. >>
<<
Non fa niente, andrò da sola >> disse Camila
con un largo sorriso, non si sarebbe mai persa il debutto di
Alexander Gensberg, l’uomo che l’amava solo per
ciò che era.
<<
Al prossimo ti accompagno, promesso. >>
<<
Voglio farti conoscere Alex, sono sicura che ti piacerà.
>>
<<
Perché non lo porti al compleanno di mia sorella? Posso
convincere Maxi a dire che è stata una sua idea.
>>
<<
No, non è il tipo, ma grazie lo stesso. >>
<<
Come vuoi.. >> rispose Charlotte venendo però
interrotta da un annuncio proveniente dalla tv al plasma poco lontana
dal loro tavolo.
<<
Questa notte i vigili del fuoco hanno estinto un incendio scoppiato in
un locale di Himeji, radendolo al suolo: il Red Dragon. Le cause non
sono state accertate, ma si pensa che l’origine sia dolosa.
<< Lo scoppio è avvenuto durante
l’orario di chiusura, ma sfortunatamente la proprietaria
Katherine Heigl e suo fratello Michael Heigl erano ancora nella
struttura. I cadaveri dei due sono stati ritrovati quasi completamente
carbonizzati. La polizia di Himeji si sta occupando delle indagini.
<<
Adesso passiamo alla politica.. >>
<<
Oh mio Dio.. >> sussurrò Charlie portandosi
una mano alle labbra.
<<
Li conoscevi? >>
<<
Si.. Michael era un massaggiatore della Gora Kadan.. la spa dove sono
stata. >>
<<
Capisco.. Mi dispiace moltissimo Charlie.. >>
La ragazza
scosse la testa e lentamente si alzò da tavolo.
<< Scusa.. Devo andare.. >>
<<
Vai, non preoccuparti >> rispose Camila.
<<
Ci vediamo al compleanno di Maxi.. >>> rispose la
ragazza lasciando i soldi per il caffè e uscendo dal locale
nello stesso momento in cui la foto delle due vittime apparve sullo
schermo: un uomo e una donna dai capelli biondi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** L'Incontro - Parte Seconda ***
L'Incontro
-
Parte Seconda -
Per
tutto il resto della giornata Charlotte rimase scossa
dall’improvviso annuncio della morte di Michael e sua
sorella. Anche se non si fidava molto del ragazzo era rimasta
fortemente colpita dall’accaduto, non si sarebbe mai
aspettata una tragedia del genere, né gliela avrebbe mai
augurata.
<< Poveracci.. >> sussurrò la
ragazza fissando il soffitto di camera sua. << Morire
bruciati deve essere bruttissimo.. Non vorrei mai che succedesse
così.. >>
Sul davanzale della finestra Ra, sdraiati beatamente, alzò
placidamente la testa e fissandola quasi annoiato miagolò in
risposta.
<< Sai che sei davvero un gatto antipatico!
>> esclamò la ragazza lanciandoli un cuscino,
che però venne evitato dal gatto con un agile salto.
Il mici miagolò offeso e sventolando altezzosamente la
pelosa coda si diresse verso la porta della camera, trovandola
però chiusa e iniziando così a protestare
animatamente.
Charlie sbuffò, ma per quale maledettissimo motivo
l’aveva adottato?! Era davvero un rompiscatole!
<< Va bene! Va bene! Ti apro >> disse la
giovane alzandosi per far uscire l’animale, il quale dopo
averla fissata con i grandi occhioni celesti arrabbiati se ne
andò, lasciandola finalmente sola. << Stupido
gatto. >>
Da dietro la porta Ra miagolò protestando per
l’offesa ricevuta e lei alzando gli occhi al cielo rispose
<< E va bene, scusa! >>. A volte
quell’animale era davvero permaloso.
Quando fu sicura che il mici si fosse allontanato la giovane
tornò a sedersi sul letto fissando l’orologio,
mancava ancora mezz’ora all’orario della sua
partenza, così per ammazzare il tempo decise di consultare
il notiaziario online per accertarsi se ci fossero novità
sull’incendio al Red Dragon.
Lentamente accese il suo computer portatile, poi quando fu pronto
entrò in internet accedendo al sito del telegiornale
nazionale.
La pagina si aprì e Charlotte iniziò a
leggere le varie notizie, fino a che dopo circa un quarto
d’ora trovò l’articolo che le
interessava. Sospirando lo aprì e velocemente lo scorse, non
c’era niente di nuovo rispetto al pomeriggio, così
fece scendere la pagina fino in fondo dove erano state caricate le fote
delle due vitime: un uomo e una donna dai capelli biondi.
<< Cosa?! >> esclamò la ragazza.
<< Non è possibile.. >>
Charlie si ricordava perfettamente il viso di Michel Heigl, era un
virile volto dai profondi occhi azzurri e i capelli neri. Neri non
biondi.
<< Che accidenti.. >> sussurrò.
Come era possibile che il defunto Michael Heigl avesse i capelli
chiari, lei lo aveva conosciuto e il Michael Heigl con cui era stata al
Red Dragon aveva i capelli scuri.
Ma se, il vero Michael Heigl aveva i capelli color dell’oro,
allora chi era l’uomo che aveva conosciuto? Chi era il
ragazzo con cui aveva passato il sabato sera e che le aveva lasciato il
numero di cellulare?
<< Chi accidenti sei? >>
sussurrò Charlotte fissando lo sconosciuto volto sullo
schermo del suo computer.
Improvvisamente il suo secondo cellulare suonò e lei si
lasciò sfuggire un gridolino spaventata, era così
concentrata sulla foto da essersi completamente dimenticata di aver
rimesso la sveglia per non rischiare di fare tardi.
Imprecando contro l’apparecchio spense la suoneria e dopo
aver dato un’ultima occhiata all’immagine
arrestò il sistema, poi scese in garage, dove Ricardo la
stava spettando.
Come previsto arrivò al luogo desiderato alle 23e30, come
sempre era in perfetto orario e non appena l’auto si
fermò Charlotte scese.
Dietro di lei Ricardo ripartì immediatamente, quegli
incontri andavano avanti da svariati mesi orma e il suo autista aveva
imparato la prassi: accompagnare miss Hellenton al luogo concordato e
andarla a riprendere alla sua chiamata.
Come sempre la ragazza attese alcuni attimi, poi si avviò
decisa per uno stretto vicolo secondario, sporco e poco illuminato.
I primi tempi in cui suo padre la mandava al fight club di Tyler
Durden, Charlie rabbrividiva all’idea di dover camminare da
sola in quel vicolo quasi buio, ora invece non le faceva più
nessun effetto, aveva imparato che non c’era niente di
più spaventoso della semplice idea di aver paura e col tempo
aveva imparato a gestirla, diventandone, almeno apparentemente, quasi
immune.
Il luogo in cui si svolgevano gli incontri clandestini era protetto da
una vecchia porta dalla cadente vernice blu dove uno scagnozzo di
mister Durden era sempre di guardia. Conoscere il luogo però
non bastava a garantire l’accesso, per potervi entrare era
necessaria una parola d’ordine che a Charlotte veniva
comunicata attraverso telefonate anonime, come quella che aveva
ricevuto alcuni giorni prima.
<< Parola d’ordine? >>
domandò la roca voce di un uomo, una volta che la giovane
ebbe bussato.
<< Black Wings. >>
La porta si aprì e la ragazza entrò in un angusto
corridoio in cui probabilmente non venivano fatte le pulizie da almeno
cinquanta anni. La sentinella vedendola la riconobbe e facendole un
cenno disse << La strada la sai. >>
<< Non affaticarti troppo per indicarmela.
>>
<< Non mi pagano per questo. >>
<< Fanno anche bene direi. >>
Il tizio grugni qualcosa, poi tornando alla sua mansione
girò le spalle a Charlie, la quale scuotendo la testa
iniziò a scendere per una lunga scalinata diretta nel
seminterrato.
Al contrario di ciò che ci si potrebbe aspettare,
quella parte della struttura era in condizioni molto migliori rispetto
alla precedente, in quanto era lì che si svolgevano gli
incontri. Il luogo, infatti, era stato predisposto come
un’arena romana: con il campo da combattimento al centro e
gli spettatori posizionati tutti intorno. Nella parte più a
nord della sala inoltre, su una pedana leggermente rialzata e in ombra
rispetto al resto, era stato posizionato un divano in pelle nera
accompagnato a ad un tavolo in vetro sul quale erano adagiati un
vassoio con dei cocktail, era quello il luogo in cui era solito sedersi
il boss o, come nella maggior parte dei casi, Alexis Durden, sua
figlia.
Nonostante l’ora il figth club era già al completo
e Charlotte, dirigendosi alla sua solita postazione, poté
notare varie facce nuove che con sorpresa guardarono lei. Probabilmente
si chiedevano cosa ci facesse una così giovane ragazza in un
postaccio come quello e a volta anche Charlie se lo chiedeva, ma il
dovere era dovere e se suo padre le ordinava di partecipare a quegli
incontri per trovare soggetti idonei alle loro ricerche sulla
biogenetica, lei lo faceva. Adam Hellenton non era certo un tipo da
accettare rifiuti, inoltre riteneva che sua figlia, in quanto futura
presidentessa della Hellenton Corporation, dovesse conoscere in prima
persona i loro alleati, anche quando si trattava di pericolosi signori
del crimine come Tyler Durden.
Charlotte arrivò al luogo dove era solita sedere e salendo
sulla pedana notò la presenza di un giovane ragazzo dai
capelli biondi tirati all’indietro.
<< Charlie >> la salutò.
<< Steve. Anche oggi nel ring? >>
<< Già. A quanto pare nessuno è
ancora è all’altezza dell’ex campione
del mondo dei pesi medi. >>
La giovane si voltò verso di lui e sorridendo disse
<< Che arie da presuntuoso che ci diamo. >>
Steve rise. << Presuntuoso o meno, è la
verità. >>
<< Può darsi. Sai già chi
è il tuo avversario stasera? >>
<< No, Alexis ha voluto mantenere il segreto.
>>
Charlotte scosse la testa, era proprio da Alexis, lei adorava il
mistero. << E’ già arrivata?
>>
<< Non l’ho vista, ma credo di si.
>>
La giovane annuì, probabilmente si stava preparando per
qualche entrata teatrale tipica del suo stile, come figlia del boss
doveva mantenere l’attenzione viva sul faigth club e quale
modo migliore di sfruttare la sua avvenenza? Alexis, infatti, era
solita mantenere alto l’interesse dei suoi spettatori con
scenografiche entrate in scena che ad ogni incontro si svolgevano in
maniera diversa, facendo da preludio al combattimento e lasciando tutti
a bocca aperta.
Improvvisamente le luci si abbassarono e una musica orientale si
espanse nel seminterrato: era arrivato il momento
dell’entrata di miss Durden.
Alexis arrivò seduta su un antico trono in legno sostenuto
da quattro sacerdoti, i quali la condussero fino all’arena al
centro della sala. Una volta di fronte al ring gli uomini si fermarono
permettendo alla ragazza di scendere con un agile salto e atterrare
sinuosa al centro della padana dove incrociando le mani al petto
attese. Dietro di lei i sacerdoti adagiarono il seggio sul pavimento,
poi si posizionarono dietro Alexis porgendole due lunghi bastoni, che
lei afferrò.
Tutto intorno il silenzio era assoluto e quando la giovane scosse le
due aste accendendole su entrambi i lati un boato esplose nella stanza.
Alexis per niente impressionata continuò a guardare fisso di
fronte a sé oltre la rete del suo cappellino, poi quando
raggiunse l’attacco della musica iniziò a far
volteggiare i due scettri in perfetto stile majorette. Lo spettacolo
durò circa un minuto e dopo una quantità
incredibile di giravolte, lanci e passi di danza la giovane
incrociò le torce sopra la sua testa e prendendo una breve
rincorsa fece una verticale scendendo poi con un elegante spaccata.
Alle sue spalle i quattro uomini si posizionarono davanti al fuoco
delle torce e insieme lasciarono cadere della polvere azzurra, che a
contatto con le fiamme scoppiò circondando tutto il ring con
del fumo celestino che lentamente si disperse mostrando la snella
figura di Alexis al centro del palco.
<< Ben venuti signori! >> disse la ragazza
con un leggero inchino, scansando leggermente il velo che le scendeva
dal fiore applicato al suo fianco.
Ogni volta che la vedeva Charlie si stupiva della naturalezza con cui
ella indossava quei mini abiti che era solita mettere per quelle
occasioni. Era incredibile come riuscisse a sentirsi a suo agio con
indosso solo quella specie di salopette di raso accompagnata da lunghi
guanti e vertiginosi stivali, non provava vergogna di fronte a tutti
quegli uomini che palesemente indugiavano sul suo scollo sproporzionato
o sul suo fondoschiena, si muoveva con naturalezza e Charlotte
provò un po’ di invidia per la sua disinibizione,
lei non ci sarebbe mai riuscita.
<< Questa sera >> continuò
Alexis. << Vedremo l’ormai pluricampione del
ring, Steve Fox contro un nuovo avversario: Miguel Caballero Rojo!
>>
Urla euforiche invasero il seminterrato, poi quando si furono calmate
la ragazza continuò << Riuscirà
questo focoso matador ispanico a detronizzare l’ex campione
mondiale dei pesi medi? Le scommesse sono aperte
signori! >>
Nuovamente grida eccitate esplosero nella stanza.
<< Steve, Miguel fatevi avanti >>
ordinò la giovane facendo un cenno ai due combattenti che
seri si portarono l’uno di fronte all’altro.
<< Le regole le sapete: si combatte per neutralizzare
l’avversario, non per ucciderlo. Niente colpi scorretti, non
ci sono limiti di tempo e vince chi dei due riesce a rimanere in piedi.
<< Buona fortuna ad entrambi e che
l’incontro abbia inizio! >>
Charlotte osservò i due atleti fronteggiarsi muovendosi in
cerchio per studiarsi a vicenda, sembravano come due leoni in gabbia.
Poi quando Alexis si sedette al suo fianco disse <<
Entrata particolarmente teatrale questa sera. >>
<< Le vittorie di Steve sono ormai quasi scontate e
l’attenzione degli spettatori sta calando, così
come le scommesse, serviva qualcosa che gli rianimasse un po’
>> spiegò tranquilla la ragazza prendendo due
bicchieri da cocktail e riempiendoli di Whisky irlandese, Vermouth
rosso dolce e Angostura, per poi porgerne uno alla compagna.
<< Indovina? >>
La giovane sorseggiò delicatamente il liquido rossastro e
dopo averlo assaporato rispose << Manhattan.
>>
<< Eccellente >> disse Alexis sorridendo.
<< Stai diventando brava. >>
<< Ho una buona maestra. >>
Charlotte e miss Durden, infatti, erano solite intrattenersi con quel
piccolo giochino iniziato così per caso, ma che ormai era
diventata una specie di rituale pre-incontro.
<< Cosa ne pensi di Rojo? >>
domandò Alexis togliendosi il cappellino e portandosi una
ciocca di lisci capelli neri dietro l’orecchio.
<< Non male. Buona prestanza fisica, buone capacita
atletiche, stile un po’ rozzo, sarebbe da affinare
>> rispose Charlie raccogliendo dati sul suo Notebook.
<< Da migliorare l’agilità dei
movimenti, la notevole massa muscolare e l’altezza li
penalizza molto. Credo comunque che Steve ne spunterà
vincitore anche questa volta. >>
<< Lo penso anche io. La prossima volta devo trovare
qualcuno di più forte. >>
<< Ti serve un combattente ben bilanciato in
velocità e forza, qualcuno che possa contrastare la sua
resistenza da pugile. Ti sei stancata di Steve? >>
<< Niente affatto >> disse Alexis guardando
il giovane con l’accenno di un sorriso. <<
Voglio solo farlo uscire da questo giro, prima che sia mio padre a
stancarsi di lui. >>
<< Capisco >> rispose la bionda. Quando
mister Durden decideva di averne abbastanza del suo momentaneo campione
lo liquidava e per assicurarsi che non ci fossero lamentele da parte
del licenziato si preoccupava di renderlo inoffensivo con una fredda
pallottola alla testa. Infondo, come diceva sempre lui, erano solo
pedine e come tali, sacrificabili. << Hai già
in mente chi sarà il prossimo avversario? >>
La mora alzò le spalle, poi dopo essersi guardata alcuni
attimi intorno disse, indicando un uomo dai corti capelli bianchi
<< Forse lui. >>
<< Chi è? >>
<< Si chiama Bryan Fury. >>
<< Bryan Fury?! >>
<< Si, lo conosci? >>
<< Non esattamente.. Tempo fa vidi per caso una cartella
con il suo nome nell’ufficio di mio padre. >>
<< Ha rapporti con la Hellenton Corporation?
Interessante.. >>
<< Già.. Se non mi sbaglio era firmata dal
dottor Boskonovitch >> rifletté la ragazza.
Alexis fece spallucce e osservando l’amica chiese
<< E’ un particolare importante?
>>
<< Boskonovitch lavora come scienziato nella compagnia di
mio padre, sviluppa biotecnologie e ricerche sulle modificazioni
genetiche, se Fury è passato dalle sue mani sicuramente non
è più un essere umano normale.. >>
rispose Charlotte fissando l’uomo, il quale come se avesse
percepito il suo sguardo si voltò verso di lei con un
sorriso macabro che le fece gelare il sangue.
<< Oh merda.. >>
<< Che c’è?
>>
<< Sta guardando verso di noi.. >>
sussurrò la bionda distogliendo lo sguardo.
Alexis con noncuranza guardò verso Bryan, il quale
effettivamente le stava fissando con un’espressione che
metteva quasi i brividi, espressione che però
durò solo un attimo, in quanto l’uomo si
voltò allontanandosi con tranquillità tra la
folla.
<< Se ne sta andando. >>
<< Lo vedo >> rispose Charlotte facendo per
alzarsi, ma venendo fermata dalla compagna che preoccupata chiese
<< Cosa stai facendo? >>
<< Voglio seguirlo. >>
<< Lo vedo, ma perché? >>
<< Voglio vedere se la mia intuizione è
giusta.. >>
<< E se lo è? Cosa pensi di fare?
>>
<< Non lo so.. Improvviserò. >>
Alexis scosse la testa con disappunto, poi facendo un cenno a due
uomini mischiati tra la folla disse, una volta giunti al suo fianco
<< Seguitela, ma state attenti che l’uomo che
sta pedinando non si accorga di voi. >>
I due annuirono e Charlotte dopo averla ringraziata iniziò
l’inseguimento di Bryan Fury.
Inizialmente sembrò che l’uomo fosse letteralmente
svanito nel nulla, cosa che fece irritare non poco la giovane, la quale
non voleva certo darsi per vinta, poi dopo un’altra attenta e
approfondita ricerca individuò i corti capelli bianchi dal
taglio militare sparire per la rampa di scale che portava al piano
superiore.
Stando attenta a non farsi notare lo seguì ripercorrendo a
ritroso la strada che aveva fatto per arrivare allo scantinato e senza
rendersene immediatamente conto si ritrovò fuori
dall’edificio, diretta in una delle vie adiacenti alla
principale.
Bryan procedette a lungo per la sua strada, continuando a camminare
imperterrito per diverso tempo, a quanto pareva sembrava non essersi
accorto di essere pedinato, poi all’improvviso si
fermò voltandosi di scatto e incrociando lo sguardo di
Charlie, la quale colta in fragrante sussultò senza riuscire
a dire niente.
<< E così tu sei la figlia di Hellenton.
>>
Charlotte deglutì, non le piaceva affatto il tono con cui le
parlava e neanche gli occhi con cui la guardava, le mettevano ansia i
suoi modi di fare, ansia e inquietudine.
<< Suppongo che paparino non ti abbia fatto leggere il
dossier stilato da Boskonovitch. >>
<< E anche se fosse?! >>
<< Se lo avesse fatto, adesso non saresti qui tutta sola.
>>
<< E chi ti dice che lo sono? >>
domandò la ragazza.
Alle sue parole uno degli uomini che Alexis le aveva affidato
uscì allo scoperto posizionandosi in guardi di fronte a lei.
Bryan guardò divertito prima il nuovo arrivato, poi la
giovane e scuotendo la testa esclamò <<
Ragazzina stupida, paparino non ti ha insegnato a sceglierti con
attenzione i tuoi nemici?! >>
Come una furia Fury si avventò sul suo avversario
assestandogli un poderose pugno allo stomaco e alla mandibola,
spedendolo a terra dolorante, probabilmente dalla forza con cui aveva
caricato, doveva avergli rotto l’osso.
Dal suo nascondiglio l’altra guardia del corpo della giovane
Hellenton sparò un colpo di pistola che andò a
colpire la spalla dell’uomo dai capelli candidi, il quale
dopo aver guardato per un solo attimo la ferita si voltò
verso il suo novo avversario fissandolo con uno sguardo che fece gelare
il sangue nelle vene a Charlie: era uno sguardo pieno di odio e di
rabbia.. Uno sguardo di fredda cattiveria.. uno
sguardo folle.
<< Oh mio Dio >> sussurrò la
ragazza vedendo Bryan partire come un’animale verso
l’uomo, il quale per tentare di difendersi sparò
nuovamente. Questa volta però la pallottola mancò
il bersaglio e Fury poté così raggiungere il suo
obiettivo, che disarmò con un agile calcio, per poi iniziare
a tempestare di pugni al torace.
<< Così lo ammazzi! >>
esclamò Charlotte portandosi inorridita una mano alle
labbra, non aveva mai visto così tanta furia.
Sentendo quelle parole Bryan rise, si divertiva a vedere la paura negli
occhi delle sue vittime, e aumentando l’intensità
continuò a colpire il suo avversario, fino a che non
sentì le sue costole incrinarsi sotto i suoi pugni. Solo
allora si fermò guardando soddisfatto il suo operato per poi
dedicarsi finalmente alla ragazzina degli Hellenton, adesso era il suo
turno.
Charlie sapeva che adesso toccava a lei, glielo aveva letto negli occhi
quando l’aveva sorpresa a seguirlo e un forte senso di nausea
le attanagliò lo stomaco, era paura e lui lo sapeva.
<< E ora.. >> iniziò a dire
Fury, venendo però interrotto dalla ragazza, la quale veloce
afferrò la pistola sfuggita dalle mani dell’uomo
di Alexis e puntandola verso di lui ordinò <<
Non muoverti o sparo. >>
Bryan rise con una risata così fredda che fece accapponare
la pelle alla giovane, la quale tremante continuò comunque a
puntargli contro l’arma.
<< Spara! Spara pure se ci riesci! >>
<< Non sfidarmi. >>
<< Fallo. Sono qui! >> esclamò
lui portandosi di fronte alla ragazza e poggiando il suo petto sulla
canna della pistola. << Spara .>>
Charlotte provò il forte impulso di premere quel grilletto,
se lo avesse fatto non lo avrebbe mancato, avrebbe colpito dritto al
cuore così a brucia pelo e lui sarebbe morto, nessuno
sarebbe mai venuto a saperlo e se fosse venuto a galla avrebbe potuto
giustificarsi di averlo fatto per legittima difesa, infondo non
c’erano testimoni che avrebbero potuto dimostrare il
contrario. Nonostante però l’impulso fosse
così forte non riuscì far partire il colpo, lei
non era un’assassina, non sarebbe mai riuscita ad ammazzare
così una persona a brucia pelo, lei non era come lui.
Di fronte a lei Bryan lesse l’incertezza nei suoi occhi ed
una risata senza allegria gli ingrossò con piacere il cuore.
Oh quanto lo divertiva vedere la debolezza negli sguardi altrui, quella
stupida e candida debolezza che rendeva le persone così
indifese.
<< Avresti dovuto leggere il mio dossier >>
disse Fury facendole volare via l’arma e chiudendo la sua
mano intorno al collo di lei.
Charlotte sentì le dita dell’uomo serrarsi intorno
alla sua gola, la sua presa era come una morsa che le impediva di
respirare e senza poter far niente per impedirglielo si
ritrovò sollevata ad almeno mezzo metro da terra,
l’avrebbe strangolata.
Con disperazione Charlie provò a liberarsi, ma
più cercava di allentare la presa delle mani di lui,
più questi la stringeva togliendole il già scarso
respiro. Doveva fare qualcosa, doveva trovare un modo per liberarsi, se
non lo avesse fatto quel pazzo l’avrebbe uccisa.
“Pensa
Charlie! Pensa!” si disse la ragazza, ma non era
così facile riflettere con un omicida sclerotico
che cercava di strangolarla, le capacità intellettive ne
risentivano alquanto.
Il bisogno d’aria si stava facendo sempre più
impellente, doveva respirare, doveva assolutamente farlo per restare
lucida, per non soffocare, ma la mano di Bryan era serrata sul suo
collo come un artiglio e non aveva intenzione di lasciarla. Charlie
sentiva ormai i suoi sensi cedere, stava svenendo, stava per morire..
Tutto intorno a lei stava diventando sempre più sfuocato..
Tutto stava diventando lontano.. Simile a un sogno.. E come in un modo
irreale improvvisamente una voce arrivò da chi sa dove
dicendo con estrema tranquillità << Io la
lascerei andare. >>
Charlotte sentì Bryan ridere, poi la presa sul suo collo si
allentò e lei venne scaraventata con violenza a terra.
Riprendendo finalmente a respirare e con lunghi e dolorosi sospiri si
portò le mani alla gola indolenzita senza capire cosa
realmente fosse successo. Intorno a lei tutto era poco nitido, la
mancanza di ossigeno nel suo organismo aveva attivato la lipotimia come
mezzo di difesa e ormai non le restava che aspettare l’arrivo
della perdita dei sensi. Con quel poco di lucidità che le
restava provò a guardarsi intorno, ma ciò che
vide fu solo una larga schiena, poi fu il nulla.
<<
Proteggili. Proteggili entrambi. >>
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Jin Kazama ***
Jin
Kazama
Un
tempio. Un lussureggiante e antico tempio..
Un giovane.. Un giovane
incatenato con degli strani tatuaggi tribali sul petto..
Una voce.. E
poi un uomo.. Un uomo che emanava un intenso senso di potere.. Potere
oscuro.
<< Proteggili.
Proteggili entrambi >> pregò la candida voce
femminile.
Poi un volto.. Un volto
demoniaco dagli spaventosi occhi bianchi..
<< So cosa
sei Charlotte.. >> sussurrò. <<
E non ci riuscirai.. >>
Una risata fredda..
Fredda come ghiaccio tagliente.. Un enorme potere.. Una forza
così oscura da distruggere qualsiasi sensazione di calore..
Un nuovo volto.. Anche
questo demoniaco, ma con incandescenti occhi rossi..
Potere.. Immenso
potere.. Oscuro e spaventoso come una notte senza stelle..
<<
Proteggili. Proteggili entrambi >> chiese nuovamente la
voce di donna, poi i due volti demoniaci si sovrapposero e Charlie si
sentì sopraffatta.
<<
Proteggili. >>
Charlotte
aprì gli occhi trovandosi improvvisamente di fronte ad
un’altra sé, una sé dai caldi occhi
gialli che sorridendo la guardava.. Improvvisamente sparì e
l’altra sé divenne il suo riflesso.
<< No!
>> esclamò la ragazza svegliandosi di colpo
con un inquietante senso di terrore. << No..
>> Il sole era
già alto nel cielo e i raggi, filtrati da candide tende,
illuminavano tenuemente la stanza in cui la giovane si trovava.
Delicatamente Charlie si portò a sedere lasciando cadere le
coperte che la ricoprivano e notando di indossare ancora gli abiti
della sera precedente. La sera precedente.. Non ricordava molto di
ciò che era realmente successo, ricordava di aver seguito
Bryan, di essere stata quasi strangolata e poi il nulla.. Il vuoto
più assoluto circondava la sua mente e questo la inquietava,
la innervosiva ancor di più di non sapere dove si trovasse e
soprattutto come ci era arrivata.
Guardandosi
intorno Charlotte notò di essere in una spoglia camera di un
appartamento probabilmente non molto costoso. La stanza in cui era
stata adagiata era piuttosto anonima, infatti, a parte qualche vestito,
non conteneva niente che potesse far presagire a chi appartenesse.
Lentamente si
alzò dal letto e cercando di far il meno rumore possibile si
diresse nella stanza adiacente: il salotto. Anche quella parte di casa
era decisamente impersonale e a Charlie sembrò quasi di
essere in casa di un fantasma.
<<
C’è nessuno? >> chiese, cercando di
attirare l’attenzione del proprietario e probabilmente del
suo salvatore.
Nessuna
risposta arrivò, così la ragazza guardandosi
intorno iniziò a percorrere la stanza alla ricerca di
qualche indizio che potesse aiutarla a chiarirle le idee.
Osservò con attenzione ogni mobile, parete e arredamento,
senza però trovare niente che le permettesse di ricordare,
fino a che nel suo procedere non finì contro un mobiletto
facendo cadere il portafoto che vi stava sopra.
Imprecando la
giovane recuperò la cornice percorrendo con dita delicate il
contorno per assicurarsi che non si fosse rotto, poi quando ne fu certa
osservò la foto al suo intero e ciò che vide la
lasciò a bocca aperta: una giovane donna dal candido volto
incorniciato da corti capelli castani la guardava con dolci occhi
nocciola, occhi che Charlie aveva già visto.. Occhi che fin
troppo spesso le apparivano in sogno.
<< Proteggili.
Proteggili entrambi. >>
Quella melodiosa frase
riecheggio nella mente della ragazza, come l’eco di un sogno
lontano, come un’eco persistente.. Persistente ed
estremamente confuso.
<<
Chi.. >> sussurrò Charlie. <<
Chi devo proteggere? >>
Come in
risposta alla sua domanda la porta d’ingresso si
aprì mostrando un giovane ragazzo dai profondi occhi
castani, che guardandola sorpreso disse << Sei sveglia.
>>
Charlotte
osservò quel volto dai lisci capelli neri così
inspiegabilmente familiare, lo guardò con attenzione
soffermandosi sul suo profilo scolpito..
Che
improvvisamente mutò.. Freddi occhi di ghiaccio.. Sorriso
tagliente e maligno.. Tatuaggi tribali che gli ricoprivano la fronte,
con una specie di rossa pietra incastonata centralmente nella pelle.. E
poi una parola, un’unica parola appena sibilata: Charlotte..
Charlie
sentì uno schiacciante senso di terrore soffocarla, la
stessa terribile sensazione che aveva sentito durante il sogno e che in
quel momento le faceva mancare l’aria. Involontariamente si
portò le mani al petto e con forza le strinse a pugno, come
se con quel gesto potesse estirpare da sé ciò che
provava.
Il portafoto che aveva in mano le scivolò cadendo a terra,
il vetro all’interno della cornice si ruppe, così
come qualcosa all’interno della ragazza, la quale si
lasciò andare giù.
Un candido
volto di donna dai profondi occhi castani..
<<
Proteggili. Proteggili entrambi. >>
E poi un
rassicurante e lucente calore.
Charlotte
cadde, o almeno fu quello che credette tenendo gli occhi chiusi.
Quando gli
riaprì pochi attimi dopo, infatti, si ritrovò
stretta tra due forti braccia, le quali l’avevano afferrata
impedendole di poggiare le mani sui vetri sparsi sul pavimento.
Con stupore la
ragazza si voltò incrociando i suoi occhi chiari in quelli
castani di lui e lentamente la calda sensazione di calore si disperse,
passando in qualche modo da Charlie al giovane, facendo così
assopire la schiacciante e fredda percezione di malessere che provava.
Il silenzio
regnò sovrano per una quantità di tempo
indefinito, fino a quando la ragazza riprendendosi da quello strano
specie di sogno sussurrò << Scusa..
L’ho rotta. >>
A quelle
parole anche il giovane riprese il controllo su di sé e
lentamente, quasi come se facesse fatica a separarsi da lei, la
lasciò andare, porgendole poi una mano per aiutarla ad
alzarsi.
Charlotte
accettò tornando finalmente sui suoi piedi. Si sentiva
stordita, stordita e spaventata allo stesso tempo, si sentiva come se
si fosse appena risvegliata da un brutto sogno, da un incubo
improvvisamente trasformatosi in un bel sogno.
<<
Mi dispiace per la foto.. >> disse lei.
<<
Non importa >> rispose il giovane inginocchiandosi per
ripulire i vetri.
La ragazza lo
osservò darle le spalle, inconsciamente sapeva che non era
vero, quella foto era l’unico segno lasciato da lui in quella
casa, l’unico oggetto che rendesse quelle stanze anonime
realmente sue.
Lentamente si
avvicinò al ragazzo e inginocchiandosi al suo fianco lo
aiutò a sistemare il danno che aveva combinato, con cautela
riunì i vetri più grossi, finendo però
per tagliarsi.
Charlotte
osservò il sangue scorrerle dalla piccola ferita alla mano,
goccia dopo goccia percorse il suo palmo fino a cadere sulla pelle del
giovane, che non appena l’aveva sentita sussultare le aveva
afferrato il polso. Lei sentì lo sconosciuto irrigidirsi, o
almeno fu quello che percepì, infatti, esattamente come era
arrivata quella sensazione sparì e lo sconosciuto, con
assoluta tranquillità la fece sedere sul divano
lì vicino sparendo poi in bagno, per ritornare poco dopo con
del cotone e delle bende.
La giovane
osservò quello splendido ragazzo prenderle con delicatezza
la mano e medicala con altrettanta premura, lei non si sarebbe mai
aspettata tanta finezza nei gesti di un individuo così
muscoloso, si aspettava più un tocco rude, forte, quasi
impacciato, invece non era così e con sua sorpresa si
ritrovò a fissarlo trattenendo il respiro.
<<
Che c’è? >> domandò lui
notando la sua espressione.
Charlie
distolse immediatamente lo sguardo e imbarazzata rispose
<< No, niente.. Cioè.. Grazie. >>
Il giovane
puntò i suoi occhi scuri in quelli chiari di lei e a Charlie
sembrò quasi che stesse trattenendo il respiro, poi tornando
improvvisamente ad occuparsi della sua mano disse <<
Figurati. >>
Egli non era
di molte parole e questo diede il tempo alla ragazza di riflettere su
qualcosa da dire, la imbarazzava trovarsi in quella situazione con
tutto quel silenzio, nonostante però pensasse e ripensasse,
per la prima volta nella sua vita non le venne in mente niente da dire,
così semplicemente asserì <<
Charlie. >>
Il giovane
inarcò un sopracciglio e lei continuò
<< Mi chiamo Charlie.. Cioè, Charlotte,
però preferisco Charlie. >>
<<
Jin >> rispose lui lasciandole andare la mano ormai
fasciata.
<<
Jin Kazama? >> sussurrò involontariamente
Charlotte. Sentendo quel nome le era tornata in mente la conversazione
avuta con quel comandante della Tekken Force che l’aveva
aiutata.
Sussurro che
però non sfuggì a al ragazzo, il quale voltandosi
verso di lei chiese << Che hai detto? >>
Charlie
sussultò e sul momento inventò
<< Che.. È un bel nome.. È scritto
con il kanji di carità e umanità, in cinese
significa oro, mentre in giapponese bontà, virtù
o, metaforicamente, persona che comunque risplende per qualcosa.
>>
Jin la
osservò senza fiatare con i suoi profondi occhi scuri e per
la prima volta Charlotte si sentì a disagio sotto lo sguardo
di un uomo, era abituata ad essere osservata dal sesso opposto, le era
stato insegnato sin da piccola che la sua avvenenza era un arma ed era
abituata ad usarla come tale, con lui però era diverso, Jin
non la guardava con desiderio, non si soffermava sul suo
corpo o sul suo volto, la guardava dritto negli occhi, come se stesse
cercando di scrutarle all’interno, di capirla, come se il suo
aspetto non influisse minimamente su di lui.
Per
l’ennesima volta un opprimente silenzio scese tra di loro,
silenzio che venne poi interrotto da un specie di gorgoglio, che fece
abbassare imbarazzata lo sguardo di Charlie sulla sua pancia.
<<
Credo sia il mio stomaco.. >> spiegò lei
poggiandovi le mani sopra.
Jin la
guardò sorridendo e facendole cenno di seguirlo, disse
<< Andiamo a fare colazione. >>
La colazione
di Charlotte però durò appena dieci minuti,
infatti, poco dopo essersi seduti ad uno dei tavoli di un modesto bar
poco lontano dall’appartamento del giovane, il cellulare
della ragazza suonò e suo padre le chiese di raggiungerlo ai
palazzi della Hellenton Corporation.
<<
Arrivo >> disse Charlie chiudendo la chiamata e
voltandosi poi verso Jin, il quale guardava fuori di finestra con le
braccia incrociate al petto. << Devo andare..
>>
Il ragazzo
annuì e lei, quasi offesa da quel comportamento apatico
aggiunse << Grazie per la colazione, non ho il
portafoglio, ma ti farò riavere il prima possibile i soldi
spesi. >>
Jin scosse il
capo. << Ci vediamo. >>
<<
Ciao.. >> rispose Charlotte sorridendo e uscendo poi dal
locale.
Una volta
fuori la giovane chiamò un taxi e una volta indicatogli
l’indirizzo recuperò il suo cellulare digitando il
numero del suo autista personale.
<<
Signorina Hellenton >> rispose Ricardo
all’altro capo del telefono.
<<
Ricardo fatti dare da Amalia i miei vestiti, poi vai da miss Durden a
recuperare il mio notebook, io ti raggiungo lì.
>>
<<
Si signorina Hellenton. >>
Il viaggio
fino alla dimora di Alexis durò appena un quarto
d’ora, nonostante questo però il suo autista
personale era già lì, con il suo computer e i
vestiti che aveva richiesto.
<<
Ben arrivata signorina >> la salutò
l’uomo.
<<
Grazie Ricardo e buongiorno. Paga il taxista per cortesia, non ho il
portafoglio con me. >>
<<
Come desidera. >>
Charlotte
salì in auto, osservando con la coda dell’occhio
il suo autista svolgere l’ordine affidatogli senza
protestare, era questo che ella adorava di lui, Ricardo non si faceva
mai problemi ad eseguire un incarico, né faceva troppe
domande, lo svolgeva e basta, inoltre in modo davvero eccellente. Come
per Maxi, infatti, Adam Hellenton si era assicurato di affidare alla
sua primogenita un’autista perfetto per le sue esigenze: in
gamba, riservato e avvezzo agli ordini. Come sempre miste Hellenton non
aveva lascito niente al caso.
<<
Dove la porto? >> domandò Ricardo una volta
tornato in auto.
<<
Da mio padre. >>
L’uomo
annuì e dopo aver sistemato lo specchietto retrovisore in
modo da non vedere la ragazza partì. Charlotte si
cambiò i vestiti senza fretta, ci sarebbe voluto almeno un
mezz’oretta per arrivare ai palazzi della Hellenton
Corporation, così quando ebbe finito poggiò
stancamente la testa al finestrino, portando scompostamente le gambe
sul seggiolino in pelle. Nonostante avesse dormito tutta la notte, si
sentiva stanca, probabilmente aveva riposato male a causa di quei
maledettissimi sogni che non facevano altro che tormentarla.
L’incubo di quella notte poi era stato particolarmente
inquietante, al solo pensiero, infatti, un brivido le percorreva la
schiena, per non parlare della sensazione di fredda
negatività che le trasmetteva, era davvero orribile.
Scuotendo le
spalle per scacciare quell’orrenda percezione chiuse gli
occhi, cadendo in uno stato di snervante dormiveglia, dormiveglia che
però durò fin troppo poco, o almeno fu quello che
le sembrò.
<<
Siamo arrivati signorina Hellenton >> disse il suo
autista fermando l’automobile.
Charlotte
aprì nuovamente gli occhi, stropicciandoseli per scacciare i
residui di sonno mancato, poi indossando le scarpe attese che Ricardo
le aprisse la portiera e scese.
<<
Desidera che l’aspetti? >>
<<
Si grazie, però non so quanto tempo ci metterò.
>>
<<
Non si preoccupi. Mi troverà nel parcheggio >>
rispose l’uomo salendo nuovamente in auto e ripartendo.
La giovane
osservò per alcuni attimi il veicolo allontanarsi, poi
sbadigliando assonnata salì la lunga rampa di scale per i
palazzi della Hellenton Corporation, dove una volta nella hall si
diresse agli ascensori salutando i vari impiegati e membri della
security, che riconoscendola la lasciarono passare.
Quando ebbe
superato le pratiche di sicurezza salì
sull’ascensore, dirigendosi poi all’ultimo piano,
dove erano situati gli uffici della dirigenza.
<<
Benvenuta signorina Hellenton >> la salutò
un‘avvenente donna castana seduta ad una scrivania.
<< Il signor Hellenton la sta aspettando.
>>
<<
Grazie Amanda >> rispose Charlie salutando la segretaria
e dirigendosi verso l’ufficio di suo padre, dove dopo aver
bussato entrò.
L’ufficio
di Adam Hellenton era un’enorme stanza dalle ampie finestre,
dalle quali era possibile osservare il paesaggio di cemento
sottostante. Fin da quando era piccola Charlotte, aveva sempre provato
un senso di disagio in quell’immenso locale, si era sempre
sentita minuscola di fronte a quello spazio vuoto, come una piccola
piastrella in un immenso mosaico e il solo pensiero che un giorno vi
avrebbe passato buona parte della sua giornata la faceva sentire male.
L’unica parte che le era sempre piaciuta di quel posto erano
le immense vetrate, adorava osservare di notte le luci della
città illuminare lo spazio sottostante, la faceva sentire
come se si trovasse in mezzo alle stelle.
<< Charlie >>
la salutò suo padre distogliendo lo sguardo dal suo
computer. << Buongiorno. >>
<<
Buongiorno papà >> rispose lei dandogli un
lieve bacio sulla guancia.
<<
Allora? Come è andata ieri sera? >>
La ragazza
estrasse il suo notebook dalla borsa, poi connettendolo al pc di suo
padre spiegò << Il combattente si chiamava
Miguel Caballero Rojo e non era niente male.. >>
<<
Fisicamente o strategicamente? >>
<<
Papà! >> esclamò la giovane
scuotendo la testa alle risate divertite dell’uomo, che
alzando le spalle disse << Era tanto per chiedere..
>>
<<
Bé, non si domandano queste cose ad una figlia.
>>
Adam Hellenton
rise facendole cenno di continuare e Charlie, digitando alcuni tasti
per inviare il resoconto al computer centrale, aggiunse
<< Buone capacità di attacco e discrete di
difesa, nonostante il suo stile sia incentrato principalmente
sull’offensiva. Ottima prestanza fisica, massa muscolare
molto sviluppata, altezza intorno al metro e novanta. >>
<<
Esito dell’incontro? >>
<<
Vittoria di Steve >> lesse la ragazza. Fortuna che Alexis
si era presa la briga di finire di stilare il rapporto al posto suo.
<<
Conclusioni? >>
<<
Il potenziale d’attacco viene ostacolato dalla struttura
fisica e non lo rende un combattente ben bilanciato. A mio parere
riducendo la massa, ma mantenendo ugualmente la forza si potrebbero
ottenere soldati adatti all’assalto, anche se resterebbe
comunque da aumentare l’agilità. >>
<<
Riducendo la massa l’agilità aumenta.
>>
<<
Si, ma non abbastanza da compensare la perdita della difesa che
risulterebbe come conseguenza. >>
Adam Hellenton
rifletté battendo con ritmo lento e regolato
l’indici sul tavolo, egli era solito usare quella pratica per
schiarirsi le idee, il ticchettio dell’arto a contatto con la
superficie, a differenza di molti, lo aiutava a distendere la mente e a
pensare con freddezza.
<<
Quindi non facciamo progressi >> concluse alla fine.
<<
Forse unendo la forza di Rojo alla velocità di Steve
potremmo ottenere dei buoni risultati. >>
<<
Ma noi non dobbiamo ottenere buoni risultati, dobbiamo averne di
ottimi. >>
Charlie
alzò le spalle. << Allora non facciamo
progressi. >>
Hellenton
sospirò e alzandosi per mettere le mani sulle spalle della
figlia disse << Non fa niente, troveremo la combinazione
giusta. Il prossimo incontro? >>
<<
Non mi è ancora stato comunicato. >>
<<
Okay, continuerai comunque ad assistervi. >>
La ragazza
annuì portandosi una ciocca di capelli color caramello
dietro l’orecchio, nel farlo però si
scoprì il collo, dove un livido violaceo deturpava il
candido colorito della sua pelle.
<<
Che ti è successo? >> domandò
preoccupato suo padre notando l’ematoma.
<<
Come? >>
<<
Che hai fatto al collo? >>
Charlotte si
portò istintivamente una mano alla parte indicata, senza
capire. Da quando si era svegliata non aveva ancora visto il suo
riflesso, così portandosi davanti alla webcam si
osservò, notando delle preoccupanti macchie violacee che, se
toccate, le provocavano dolore.
<<
Chi ti ha fatto questo? >>
La giovane
sospirò ripensando alla sera precedente e, sfiorandosi il
collo proprio nei punti in cui le dita di Bryan si erano chiuse,
rispose << Bryan Fury. >>
<<
Fury?! >> esclamò l’uomo.
<< Credevo fosse.. >>
Hellenton si
interruppe, insospettendo la figlia, che decisa a scoprire il
più possibile su quell’uomo domandò
<< Credevi fosse? >>
<<
Niente, credevo fosse niente. >>
<<
Come è possibile? Il dottor Boskonovitch ha stilato una
cartella clinica su di lui.. >>
A quelle
parole lo sguardo glaciale dell’uomo si puntò
sulla figlia, scrutandola attentamente.
<<
Cosa sai su Fury? >>
<<
Niente ad essere sincera, solo che possiedi un rapporto redatto dal
dottor Boskonovitch e che quindi mi fa supporre sia passato tra le sua
mani. >>
<<
E’ già abbastanza. >>
<<
Per quale motivo Boskonovitch si è occupato di lui?
>>
<<
Non sono informazioni che devono interessarti per ora. >>
La giovane
abbassò la testa non molto convinta, cosa le stava
nascondendo suo padre? Ma soprattutto, perché?
<<
Charlie, non costringermi a spostare il dossier ad un livello di
sicurezza maggiore. >>
<<
Non capisco perché tu voglia nascondermelo. >>
<<
A tempo debito ti sarà tutto più chiaro, vedrai.
>>
Lei
annuì scettica, non sarebbe finita lì e suo padre
lo sapeva, così per evitare qualsiasi altra sua protesta le
chiese << Come è successo? >>
Charlie
riassunse brevemente gli avvenimenti che l’avevano portata
faccia a faccia con Fury, descrivendo frettolosamente il loro piccolo
scontro e narrando come fosse stata salvata. Suo padre
ascoltò con attenzione, senza tradire nessuna emozione, cosa
che non diede affatto fastidio alla ragazza, ormai era abituata alla
sua impassibilità, aveva smesso da molto tempo di aspettarsi
scenate da padre apprensivo, Adam Hellenton non era così,
era un calcolatore e un freddo uomo d’affari e come tale la
sua indole si palesava anche nella sfera provata.
<<
Di Fury che ne è stato? >> domandò
l’uomo alla fine del racconto.
<<
Non lo so, ho perso i sensi poco dopo essere stata salvata.
>>
Hellenton
premette un tasto sul telefono che collegava il suo ufficio a quello
della segretaria e quando lei rispose orinò <<
Amanda, invia la squadra Alpha alla ricerca di Bryan Fury, lo voglio
vivo. >>
<< Si
signor Hellenton. >>
<<
Papà.. >>
<<
La pagherà. >>
<<
Non sottovalutarlo, è un pazzo e non sa controllare la
rabbia. >>
<<
Non preoccuparti, so quel che faccio. Adesso parlami del tuo salvatore.
>>
<<
E’ un ragazzo sui vent’anni, tratti orientali,
fisico scolpito. >>
<<
Dovrò ringraziarlo a dovere allora, nome? >>
<<
Si chiama Jin Kazama. >>
Sentendo quel
nome ogni singolo muscolo del presidente della Hellenton Corporation si
irrigidì e cercando di non darlo a vedere estrasse dalla
tasca interna del suo elegante completo un blocchetto per gli assegni,
scrivendovi sopra una cifra.
<<
Che fai? >>
<<
Compilo un assegno. >>
<<
Lo vedo, perché? >>
<<
Per ringraziare il signor Kazama per averti salvato la vita.
>>
La giovane
annuì, suo padre non amava essere contraddetto e lei non lo
fece, però, senza sapere realmente perché, era
più che sicura che non avrebbe mai accettato.
<<
Posso portarglielo io >> si offrì Charlie, una
volta che il foglio fu firmato. << Devo anche ripagarli
una cornice.. >>
<<
No! >> esclamò con troppa enfasi
l’uomo, lasciando la figlia allibita.
Charlotte
osservò frastornata il volto di suo padre, non era certo da
lui avere reazioni di quel genere, ed egli accorgendosene
aggiunse << Preferisco portarglielo di persona.
>>
<<
Come vuoi >> rispose la ragazza. <<
Papà, va tutto bene? >>
<<
Certo. >>
Lei
annuì senza dire altro, era inutile continuare a fare
domando quando la risposta era già stata data.
<<
Charlie, passa da tua madre, voleva vederti. >>
<<
Lo farò. >>
<<
Non dirle di Fury, sai com’è, inizierebbe a farsi
paranoie inutili. >>
<<
Certo. Ci vediamo a casa >> salutò Charlotte
uscendo dall’ufficio.
Adam Hellenton
guardò sua figlia chiudersi la porta alle spalle e un
sospiro preoccupato gli sfuggì lasciandoli scaricare tutta
la tensione accumulati in quei pochi minuti. E così alla
fine quella vecchia aveva ragione..
..La sua memoria tornò a vent’anni prima, quando
lui e sua moglie, all’epoca incinta di Charlotte, si erano
recati in vacanza in Egitto. Là, nella terra dei Faraoni,
avevano visitato un piccolo villaggio confinante con Karnak, sulle
sponde del Nilo, dove viveva una piccola tribù dedita ad
un’antica e strana religione. Sua moglie ovviamente non
poté che rimanerne affascinata e, nonostante la sua
disapprovazione e quella della guida, si fece condurre
dall’anziana del villaggio, la quale non appena li vide
arrivare fece accomodare Rosalie di fronte a sé.
La
vecchia iniziò ad armeggiare con uno strano liquido che si
spalmò sulle dita e con cui disegnò dei simboli
sulle sue mani, dopo quella pratica andò a posare i suoi
palmi sul ventre di sua moglie e chiudendo gli occhi
esclamò: << təmiz deyil.. biz saxlanılır!
>>
<<
E’ pura.. Siamo salvi >> tradusse la guida.
<<
Salvi da cosa? >> domandò Rose.
<<
Da Stelle maligne.. >> rispose la vecchia.
<< Şeytan və övladlari. >>
<<
Dalla progenie del Demone. >>
Adam Hellenton
capì solo molto tempo dopo cosa significassero quelle
parole, solo quando conobbe Heihachi Mishima e con lui la sua stirpe
dal sangue maledetto.
<<
Amanda >> disse l’uomo chiamando la sua
segretaria.
<<
Si signor Hellenton? >>
<<
Mettimi Burton in linea. >>
<<
Subito signore. >>
Egli attese e
poco dopo una famigliare voce rispose << Signor
Hellenton. >>
<<
Burton, vieni nel mio ufficio. Ho un incarico per te. >>
<<
Certo signore. >>
Hellenton
annuì chiudendo la comunicazione, Charlie non doveva
incontrare mai più Jin Kazama, imporglielo però
sarebbe equivalso a motivarla, il miglior modo era quindi fare in modo
e maniera da intervenire al momento opportuno.
Sua figlia non
sarebbe diventata la salvezza dalla progenie del Demone.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** "Regali" e Regali ***
“Regali”
e Regali
Quando
Charlotte aveva detto a Jin Kazama che gli avrebbe fatto riavere i
soldi spesi per la sua colazione era sincera. Nella sua mente, infatti,
era intenzionata a riconsegnarglieli prossimamente, ma il proposito si
rivelò molto più difficile del previsto da
attuare.
Suo padre, infatti, si mostrò particolarmente esigente e nei
giorni successivi ricoprì Charlie di così tanti
incarichi che la ragazza a stento riusciva a trovare anche il tempo per
semplicemente dormire. Inoltre ad aumentare lo stress in tutta quella
situazione c’era l’imminente arrivo del
“giorno x”, l’approssimarsi
dell’ultimo giorno che Charlotte avrebbe mai voluto che
arrivasse: il compleanno di Maria Ximena, per il quale non aveva ancora
né comprato un regalo, né l’abito (con
i relativi accessori) da indossare.
Tutt’altra situazione invece stava vivendo Jin Kazama, il
quale di tempo ne aveva fin troppo nell’ultimo periodo,
infatti, dopo l’ennesimo licenziamento le sue giornate erano
piene di ore da impiegare nelle più svariate
attività, che nel suo caso, si riassumevano tutte in:
allenamenti.
Era, infatti, da una sfiancante corsa di un’ora e mezzo che
Jin stava tornando quando nel suo appartamento trovò
l’ultima persona che avrebbe mai immaginato potesse andargli
a fare visita.
Quando il ragazzo tornò al condominio in cui abitava il
sole, nonostante fossero le otto passate, illuminava sempre il cielo,
segno che l’estate stava arrivando e, cosa ancora
più importante, almeno per Jin, che avrebbe dovuto pagare
bollette della luce meno care, in quanto avrebbe potuto ridurre al
minimo il suo utilizzo.
Visto il modesto affitto che chiedeva il padrone di casa, la struttura
non possedeva un ascensore e probabilmente, date le condizioni
disastrate del palazzo era stata una scelta saggia non costruirlo,
così si avviò verso il suo appartamento a piedi.
Dopo una bella corsa, tre rampe di ripide scale erano proprio
l’ideale.
Una volta al terzo piano Jin estrasse dalle tasche della tuta le chiavi
di casa e stancamente le infilò nella toppa, accorgendosi
però che non giravano: segno che qualcuno la aveva
già aperta.
<< Che diavolo.. >> sussurrò Jin
spingendo la lastra di legno.
L’appartamento era immerso nel buio e il ragazzo,
posizionandosi in posizione d’attacco, entrò
lentamente all’interno. Con cautela avanzò nella
stanza fino a raggiungere l’interruttore, che con un colpo
secco accese guardandosi poi intorno alla ricerca
dell’intruso.
Immediatamente lo individuò e ciò che vide, lo
lasciò perplesso: seduto sul suo divano, con alle spalle una
guardia del corpo, stava un distinto uomo di mezza età, con
i fini capelli brizzolati pettinati all’indietro e un
elegante completo che li dava un’aria affascinante.
<< Signor Kazama, ben tornato >> lo
salutò lo sconosciuto.
Jin lo guardò con sospetto e rimanendo a distanza di
sicurezza chiese << Come diavolo ha fatto ad entrare nel
mio appartamento? >>
L’uomo rise. << Non si può certo
dire che tu viva in un bunker di massima sicurezza, cosa che trovo
molto avventata data la tua identità, ma questo è
un mio modesto parere. Adesso ti prego, accomodati. Posso darti del tu
vero? >>
Il ragazzo annuì e facendo come gli era stato proposto, si
sedette sul basso tavolino al centro della sala aggiungendo
<< Si può sapere con chi ho il piacere di
parlare? >>
<< Il mio nome è Adam Hellenton, presidente e
proprietario della Hellenton Corporation, non che padre di Charlotte.
>>
Charlotte.
Sentendo il nome della ragazza a Jin tornò in mente la
strana sensazione che aveva provato quando il suo sangue gli era
scivolato sulla mano e, senza sapere perché, si
ritrovò a trattenere il fiato.
La reazione del giovane non sfuggì al signor Hellenton, il
quale disse << Bene, vedo che l’hai presente e
come darti torto, mia figlia è una ragazza avvenente
dopotutto. >>
<< Non è certo quello che mi ha spinto ad
aiutarla >> rispose Jin quasi offeso. Non era andato in
suo soccorso perché era carina, ma perché..
Perché.. Perché cosa?
Non sapeva neanche lui il reale motivo per cui aveva deciso di
salvarla, certo principalmente perché era nelle grinfie di
un pazzo, ma non solo per quello, c’era
qualcos’altro sotto la sua scelta, qualcosa di più
sottile, qualcosa di..
<< E’ stato quasi un dovere per te..
>> disse l’uomo, come se gli stesse leggendo
nel pensiero.
Già, era stato come un obbligo, come se qualcosa gli avesse
imposto di salvarla perché doveva farlo. Perché
era stato già deciso. Perché così
doveva essere.
<< Dove vuole arrivare? >>
domandò Jin riflettendo sull’ultima affermazione.
Il volto di Adam Hellenton si scurì improvvisamente e senza
dire niente si alzò, dirigendosi lentamente verso la
finestra, dove il sole stava iniziando a tramontare.
<< Conosco la tua famiglia da molto tempo ormai
>> disse. << Conobbi Heihachi Mishima molti
anni fa, così come suo figlio Kazuya. Strana famiglia, mi
lasciò subito sorpreso, così piena
d’astio, di rancore, di rabbia.. D’odio.
L’odio era così forte che era quasi possibile
toccarlo con mano.
<< Ma l’odio è
una brutta bestia, corrode le persone e le consuma.. Le trasforma in
Demoni. >>
All’ultima parola Jin s’irrigidì e
dentro di sé sentì una forza ribollire, come se
cercasse di trovare l’energia per prendere il sopravvento e
così liberarsi. Con estrema fatica il ragazzo
cercò di placare se stesso e molto lentamente disse
<< Non capisco dove sta cercando di arrivare.
>>
<< Sto cercando di dirti >>
esclamò Hellenton, voltandosi di scatto verso Jin e
fissandolo nei suoi occhi scuri. << Che so cosa sei!
Conosco il segreto della tua famiglia! Una famiglia dal sangue
maledetto! >>
Quell’ultima frase fece scattare il giovane in piedi, la
forza dentro di sé si stava ribellando al suo controllo,
acquistando sempre più forza, come se si fosse sentita
chiamata in causa.
Immediatamente il soldato si posizionò di fronte al suo capo
puntando la sua arma dritto al cuore di Jin, pronto a sparare al primo
accenno di aggressività.
<< Lei non sa niente! >> urlò
Kazama.
<< E’ qui che ti sbagli ragazzo. Io so, grazie
a tuo nonno so tutto. So del demone che ti porti dentro e di come
questi ti consuma. Di come ti corrode dall’interno. Del
potere che ha su di te, di come riesce a manovrarti e a farti perdere
il controllo. >>
Il giovane rise, ma non c’era gioia nella sua voce, solo
sarcasmo e rassegnazione.
<< Lei crede di sapere come mi sento, vero? Crede di
conoscere la situazione solo perché un vecchio consumato
dall’invidia e dal desiderio di potere gli ha raccontato
qualche storiella?!
<< Glielo ripeto, lei non sa niente.
Non ha idea di cosa significhi, nessuno lo sa! >>
<< Una cosa però la so >>
esclamò Hellenton, spostando la sua guardia del corpo e
sbattendo le mani sul bordo del divano. << Hai un potere
immenso e se non controllato, pericoloso! >>
<< E quindi?! Non è certo un suo problema!
>>
<< Oh si invece, lo è diventato nel momento in
cui hai salvato mia figlia. >>
Il giovane lo guardò confuso, aveva aiutato la figlia
evitandole la morte certa e lui veniva lì nel suo
appartamento con una guardia del corpo armata a fargli la paternale da
santo protettore dell’umanità. Non poteva
semplicemente essergli riconoscente e lasciarlo in pace?!
Poi un dubbio si insinuò nella sua mente, che quella
ragazzina gli avesse raccontato una versione dell’avvenimento
in cui era lui il mostro cattivo? Ora tornava tutto, chi sa che
accidenti aveva raccontato al padre per giustificare il mancato ritorno
a casa! Eppure non le era sembrata così piccola da dover
chiedere il permesso al papino per passare la notte fuori.
<< Senta >> disse Jin calmandosi
leggermente. << Qualunque cosa sua figlia le abbia
raccontato, le posso assicurare che io non l’ho sfiorata.
L’ho trovata in quel vicolo con quel pazzo che cercava di
strangolarla e l’ho salvata, poi l’ho portata qui
visto che aveva perso i sensi, ma niente di più. Non
l’ho toccata, lo giuro. Se si è inventata
qualsiasi altra scusa per giustificare il non esser rientrata a casa
quella notte, le assicuro che non è vero. >>
Adam Hellenton sembrò stupito nel sentire quelle parole. Che
accidenti aveva capito quel ragazzo?
<< Non sfiorerei mai una ragazza incosciente, men che
meno minorenne, non sono quel tipo d’uomo >>
continuò Jin, preparandosi mentalmente altre arringhe
difensive nel caso non gli avesse creduto.
Ma più il giovane parlava, più Hellenton capiva
che Jin aveva frainteso tutto. Non era certo andato lì
perché Charlie gli aveva rifilato qualche patetica scusa
dell’uomo cattivo per giustificare il fatto di non essere
tornata a casa per la notte, a vent’anni non aveva certo
bisogno del suo permesso per rincasare a l’ora che voleva.
<< Credo che tu abbia frainteso >> disse.
<< Non sono qui perché Charlotte mi ha
raccontato chi sa quale storia su uno stupratore, so che non
l’hai sfiorata, non ancora almeno.. >>
Il giovane alzò le sopracciglia sorpreso e tornado sulle
difensive chiese << Allora che diavolo vuole?
>>
<< E’ molto semplice >> rispose
Hellenton avvicinandosi al basso tavolino di fronte a sé e
poggiandovi un foglietto rettangolare. << Voglio che tu
non abbia più contatti con mia figlia, mai più.
>>
Jin osservò perplesso l’uomo. Tutto qui? E lui che
si era aspettato chi sa quale improponibile richiesta. Poi notando il
piccolo pezzo di carta lo afferrò, leggendovi ciò
che vi era scritto e sgranando gli occhi per lo stupore: era un
assegno, un assegno a cinque zeri.
<< Un piccolo incentivo per renderti questo compito meno,
come posso dire.. Gravoso >> disse Hellenton notando
l’espressione del giovane. << Cosa ne dici,
puoi farlo? >>
Il ragazzo era senza parole, tutto quel denaro solo per stare lontano
da una ragazza che aveva incontrato per un fortuito caso
un’unica volta? Era un’assurdità, ma
ovvio che ci stava!
Jin non era mai stato particolarmente attaccato ai soldi, anzi ad esser
sincero non gli importavano proprio, ma in quel momento, dopo il
quindicesimo licenziamento e le ultime due rate di bollette da pagare,
quell’assegno era proprio una manna dal cielo e non fu
difficile per lui accettarlo. Il difficile, anche se ancora
non lo sapeva, sarebbe stato eseguire il compito per cui gli era stato
donato. Egli, infatti, non aveva idea del legame che lo legava a
Charlotte e di come questo lo avrebbe tentato.
<< Ottimo >> approvò Adam
Hellenton porgendogli la mano. << E’ stato un
piacere signor Kazama. >>
<< Vorrei dire lo stesso. Arrivederci. >>
L’uomo rise e facendo un cenno alla sua guardia del corpo
disse, uscendo dall’appartamento << No, Addio.
>>
<< Ecco a lei signorina >> disse
gentilmente la commessa porgendo la sgargiante busta con gli acquisti a
Camila, che eccitata esclamò << Perfetto e
adesso il prossimo. >>
<< Ancora?! Non pensi di aver comprato abbastanza?
È la decima boutique in cui entriamo >> disse
Charlotte avvilita, non sarebbe riuscita a reggere un’altra
ora di prove vestiti.
<< No, non credo. Gli esperti dicono che
quest’anno andrà di moda il rosso corallo e nel
mio armadio non c’è niente di quel colore, devo
rimediare. >>
<< Non ci sarà niente di rosso corallo, ma hai
almeno trenta sfumature di rosso diverso. >>
<< Ma niente corallo, quindi al prossimo negozio. E poi
tu devi sempre trovare l’abito per il compleanno di Maxi e un
regalo se non ricordo male. >>
Charlie sbuffò, lo scopo di quell’uscita, infatti,
era proprio quello di acquistare un nuovo vestito e un dono per la sua
incontentabile sorellina, anche se fino a quel momento niente di tutto
ciò si era avverato.
<< Non mi sembra che fino ad esso tu abbia trovato niente
>> le fece notare l’amica.
<< Lo so, non c’è bisogno che tu me
lo ricordi. >>
Camila rise, la divertiva un mondo vedere Charlie immergersi nel tanto
odiato mondo dello shopping. Succedeva raramente che la primogenita di
casa Hellenton si avventurasse in dieci diverse boutique nello stesso
giorno, ma ogni volta che accadeva era uno spettacolo da non perdere.
<< Lo so che ti stai divertendo come una matta, ma giuro
che te la farò pagare Cami. >>
<< Certo, certo >> rispose lei ridendo.
<< Ma prima il prossimo negozio. >>
Charlie sbuffò. Fortuna che i compleanni venivano solo una
volta l’anno.
Come avevano fatto per le quattro ore precedenti le due ragazze
attraversarono la sfarzosa entrata di un delle numerose boutique di
lusso che occupavano la galleria dei centri commerciali Izarawa
ed esattamente come ogni volta precedente Charlotte
sospirò alla vista di tutti quegli scaffali che lei e Camila
avrebbero dovuto esplorare.
<< E’ davvero necessario? >>
domandò esasperata la bionda.
<< Sta tranquilla Charlie, vedrai che qui troverai
l’abito giusto per te. >>
<< Ho come la sensazione di averla già sentita
>> disse ironica la ragazza. << Giusto, hai
detto la stessa cosa per le ultime dieci boutique! >>
Camila alzo le spalle poi prendendo per un braccio l’amica la
trascinò verso il primo immenso scaffale dove con
delicatezza iniziò ad esplorare la mercanzia.
<< Sai qual è il tuo problema Charlie? Non
riesci ad apprezzare a pieno la rilassante arte dello shopping. Lo vedi
con troppa negatività e non ne assapori i lati divertenti e
leggeri. Lasciati andare al suo richiamo, ascolta.. >>
Sentendo quella smielata manfrina Charlotte per poco non
scoppiò a ridere, le parole di Camila erano così
spirituali e appassionate da farle sembrare il frutto
dell‘illuminata mente di qualche santone indù.
<< E questa dove l’hai sentita? Ad un corso di
yoga di seconda categoria? >>
<< Per tua informazione cara, la sottoscritta non
frequenta corsi di seconda categoria. E adesso fila nel camerino a
provarti questi >> ordinò la rossa sbattendo
letteralmente in braccio alla compagna una pila infinita di abiti in
ogni sorta di colore.
Dopo aver provato e riprovato e provato ancora una quantità
di vestiti inimmaginabili finalmente la primogenita di casa Hellenton
riuscì a trovare quello fatto per lei, optando per un mini
abito color avorio senza maniche e ricoperto da un fine strato di trina
bianca lavorata.
<< Incantevole >> sentenziò la
giovane Toledo osservandola con sincera ammirazione.
<< Si, questo può andare. >>
<< Perfetto. Io se fossi in te prenderei anche quello
rosso corallo. >>
<< Cami. >>
La giovane alzò le spalle. << Che
c’è? Te l’ho detto che
quest’anno andrà quel colore, lo dico per te.
>>
Charlie rise, quella ragazza era proprio impossibile.
<< E’ stato proprio un ottimo affare
>> disse Camila uscendo dalla boutique e incamminandosi
con le sue borse per la galleria. << Andiamo a mangiare?
Poi cerchiamo il regalo per Maxi. >>
La bionda annuì senza darle molto peso, l’idea di
passare il resto della giornata alla ricerca di un dono per sua sorella
non la faceva particolarmente impazzire, sapeva già che
sarebbe stato pressoché impossibile trovare
qualcosa che la soddisfacesse.
<< Conoscendo Maxi qualsiasi cosa le comprerò
non sarà all’altezza della sua regale persona..
>> sbuffò.
<< Bé, come si dice l’importante
è il pensiero. Anche se una bella borsa non guasterebbe..
>>
Charlie la guardò di traverso e nel farlo notò
dietro l’amica una piccola vetrina dai colori e le immagini
scintillanti.
<< La cornice >> esclamò la
ragazza, dirigendosi spedita verso il negozio.
<< Vuoi comprare a Maxi una cornice? Davvero vuoi sentirla
lamentare per i prossimi otto anni? >>
<< Certo che no, non è per Maxi, non sono una
masochista autolesionista. >>
<< Allora per chi è? >>
<< Per un amico. >>
Camila osservò senza capire la compagna, da quel che ne
sapeva lei per nessuno dei suoi amici, che tra l’altro erano
anche i suoi, avrebbe mai comprato una cornice. Inoltre da quando
conosceva la ragazza non l’aveva mai vista comprare un dono
per qualche rappresentante del sesso opposto, Charlotte Hellenton in
quanto sostenitrice della più romantica e orami un
po’ superata idea della cavalleria era più il tipo
che se li faceva fare i regali.
<< Vuoi spiegarmi per chi sarebbe? >>
domandò la giovane Toledo vedendo riapparire
l’amica con in mano una graziosa bustina blu.
<< Te l’ho detto, per un amico. >>
<< Ho capito, ma che amico? Frequentiamo le stesse
persone e non mi viene in mente nessuno a cui tu faresti un regalo
qualsiasi, figuriamoci una cornice placcata in argento.
>>
<< Non lo conosci. >>
<< Oh ora è tutto chiaro >>
rispose maliziosa la rossa. << E’ “un
amico” di quel genere. . >>
<< Che?! Quale genere? >> chiese Charlotte
fissando perplessa l’occhiolino che Camila le faceva.
<< Del genere più che amico. Andiamo ti si
legge negli occhi che ti piace, altrimenti perché gli
compreresti un regalo? Certo un po’ strano, ma pur sempre un
regalo.. >>
<< Perché >>
puntualizzò la bionda. << Gli ho rotto una
cornice a cui teneva molto e mi sembra giusto ricomprargliela, tutto
qui. >>
Camila guardò l’amica scettica. << E
tu pensi che me la beva? >>
<< Si, perché è così.
>>
<< Charlie >> disse la rossa cingendole le
spalle con un braccio. << Da quant’è
che ci conosciamo? Cinque, sei anni? Pensi davvero che dopo
tutto questo tempo non ti abbia imparato a conoscere? Tu non fai mai e
sottolineo mai regali ad un ragazzo, figuriamoci uno così
costoso. >>
<< Gliela ho comprata solo perché gliela ho
rotta. >>
<< Anche a Corbin Milton rompesti il naso, ma non gli hai
regalato una rinoplastica. >>
<< Non è la stessa cosa e poi se lo
è rotto da solo il naso >> rispose Charlotte
offesa, avviandosi verso uno dei migliori ristoranti italiani della
galleria.
<< Gli hai tirato un dizionario in piena faccia.
>>
<< Era un’enciclopedia. >>
<< E cosa cambia? >>
<< Il numero di pagine. Se gli avessi tirato un
dizionario avrebbe avuto bisogno di una plastica facciale.
>>
Per tutta l’ora successiva, che comprese un delizioso pranzo
a base di prelibatezze italiane, Camila e Charlotte continuarono a
discutere sul perché la bionda avesse deciso di comprare
quella cornice, azione di cui tra l’altro si era
già pentita. Il ripensamento però non era dovuto
tanto all’azione stessa, quanto al fatto di averla fatta di
fronte all’amica, avrebbe dovuto immaginare quale sarebbe
stata la reazione di Camila, era più che ovvio che sarebbe
subito saltata alle conclusioni sbagliate. Dire, infatti, che a lei Jin
Kazama piacesse sarebbe stato un errore, non era certo quel tipo di
ragazza che credeva nell’amore a prima vita; un errore
sarebbe stato però anche affermare che Jin le fosse del
tutto indifferente, il ragazzo infatti le aveva lasciato fin
dall’inizio una strana sensazione addosso, non sapeva come
spiegarlo, ma da quando si era allontanata da lui aveva provato come la
necessità di ritrovarlo. Non c’era assolutamente
niente di logico in tutto quello, ma era esattamente ciò che
aveva provato.
<< Perfetto, anche il regalo per Maxi è fatto
>> concluse soddisfatta Camila osservando il bel
pacchetto contenente un paio di decolté blu elettrico con
piccoli zaffiri incastonati.
<< Queste dovrebbero soddisfarla per le prime cinque o
sei ore >> disse Charlie soppesando la scatola.
<< Io dico che le piaceranno. >>
<< Certo, per le prime sei ore. >>
La giovane Toledo rise. << Adesso? >>
<< Adesso direi basta shopping, abbiamo comprato
abbastanza per oggi >> rispose la bionda guardando
l’orologio.
Erano le sei. Chi sa, forse se si sbrigava poteva riuscire a portare al
destinatario la cornice comprata e tornare a casa in perfetto orario
per la cena.
Camila sorrise maliziosa e sbattendo le ciglia disse <<
Vuoi andare da lui? >>
<< Mmh? >>
<< Ti si legge negli occhi. Su vai a portargli il tuo
regalo >> rispose la ragazza sorridendo. <<
Non me la prendo. >>
Charlie guardò per un attimo il pacchetto blu tra le sue
mani e con delicatezza ne accarezzò la superficie. Doveva
andare? Bé, non che la possibilità non
la tentasse, ma era davvero una buona idea? Insomma, aveva incontrato
Jin solo una volta e a dirla tutta non era molto sicura che lui avrebbe
apprezzato il suo gesto, nonostante fosse fatto con le migliori
intenzioni.
<< Allora? Ti decidi ad andare o no? Non vorrai mica
dirmi che ti è venuta voglia di visitare qualche altra
boutique insieme a me.. >> scherzò Camila.
Charlotte rise, se avesse messo piede in un altro negozio sarebbe morta
di disperazione. << No, non ci penso proprio.
>>
<< Vai allora >> le disse la ragazza,
spingendola gentilmente verso la direzione dell’uscita.
<< Ciao, ciao! Tienimi informata. >>
La giovane osservò l’amica allontanarsi e
scuotendo la testa scoppiò nuovamente a ridere,
guadagnandosi occhiatacce sospettose dai passanti.
Perfetto, aveva appena fatto la figura della pazza che si mette a
sghignazzare per conto proprio senza un’apparente motivo,
forse era meglio andarsene da lì.
Riuscendo miracolosamente a non far cadere nessuna delle borse che
teneva in mano estrasse il suo cellulare dalla tasca e veloce compose
il numero del suo autista.
<< Ricardo, ho bisogno che tu mi accompagni in un posto.
>>
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** The Power of Darkness ***
The Power
of Darkness
<<
Siamo arrivati signorina Hellenton >> la
informò Ricardo, scendendo dall’auto per aprirle
la portiera.
Charlotte uscì dal veicolo accettando l’aiuto
dell’uomo, poi guardandosi intorno disse <<
Aspettami qui, non ci vorrà molto. >>
<< Come desidera. >>
La giovane attese che il suo autista avesse ripreso la sua posizione al
posto di guida, poi si diresse verso il malconcio edificio di fronte a
sé.
La porta d’ingresso, per sua fortuna, era stata lasciata
accostata e questo le permise di entrare evitandole
un’imbarazzante spiegazione per la sua visita al citofono.
L’interno dell’edificio, esattamente come
l’esterno, era piuttosto spoglio, privo di qualsiasi
decorazione: con pareti di un bianco sporco e malconce cassette della
posta. In fondo alla stanza era situata una massiccia rampa di scale,
l’unico modo per accedere ai piani superiori in quanto la
struttura era priva di ascensore.
Se la memoria non la ingannava l’appartamento si trovava al
terzo piano e fu lì infatti che si diresse. Per tutto il
tragitto il suo unico compagno di viaggio fu il silenzio, quella
struttura oltre ad essere povera apparentemente lo era anche realmente.
Nessun rumore, nessun suono, nessuno scricchiolio intaccava
l’assoluto muro di silenzio che vi regnava, dando
all’atmosfera un’aria innaturale, quasi spettrale.
Sentendo i brividi percorrerle la spina dorsale, salì di
corsa l’ultima rampa di scale ed una volta raggiunto il piano
cercò con gli occhi la porta desiderata.
Appartamento 21.
Ascoltando i suoi passi percorse il corridoio e quando
arrivò di fronte alla porta sospirò, per poi
bussare. O meglio, bussare è ciò che avrebbe
voluto fare.
Il suo pugno, infatti, si fermò a mezz’aria poco
prima di sfiorare la liscia superficie mal concia della porta di fronte
a sé.
Ma che diavolo le era venuto in mente? Non sapeva neanche se era in
casa e qual’ora lo fosse, cosa gli avrebbe detto?
Un rumore di passi alla sua sinistra attirò la sua
attenzione, facendola sussultare. Era così immersa nei suoi
pensieri che non si era accorta che qualcuno stava arrivando.
Curiosa di vedere chi fosse i nuovo arrivato si voltò: era
Jin.
<< Ciao.. >> sussurrò
Charlotte, sentendo l’agitazioni farsi avanti.
“Oh andiamo Charlie! Ma che diavolo ti prende?!”
<< Che ci fai qui? >> domandò
brusco il ragazzo.
Il suo volto, fino a pochi attimi prima, rilassato si scurì
nel vedere il delicato profilo della giovane e il nervosismo si
impadronì di lui.
Una sua visita era l’ultima cosa che si aspettava.
<< Sono venuta a portarti questo >> rispose
Charlie mettendo in bella mostra il pacchetto che teneva tra le mani.
Jin fu sorpreso da quel gesto e sconcertato fissò per alcuni
attimi la lucente carta blu del regalo.
<< Perché? >> domandò
alla fine.
<< Bé, mi hai aiutata con quel pazzo.. Mi
sembra il minimo che possa fare.. >>
<< Hai già fatto abbastanza >>
rispose freddo lui, estraendo dalla tasca le chiavi e aprendo la porta.
Charlotte, stupita di quella sua reazione, rimase immobile di fronte
all’entrata.
Che diavolo significava: “Hai già fatto
abbastanza”?! Non aveva ancora fatto niente, non gli aveva
nemmeno ridato i soldi spesi per la colazione..
<< Vuoi rimanere lì impalata ancora a lungo?
>>
<< Come? >>
<< Entra. E chiudi la porta. >>
Lei fece come le era stato ordinato e quando fu dentro
un’irrazionale nervosismo la colse.
<< Non lo apri? >> domandò
porgendo il pacchetto al ragazzo, il quale lo fissò poco
convinto. << Non morde, sai.. >>
<< Non ne dubito >> rispose lui accettando
finalmente il regalo.
Con estrema attenzione scartò il dono e quando la fine
cornice in argento ne emerse, sul suo volto si dipinse sincero stupore.
Doveva essere davvero molto costosa.
<< Per sostituire quella che ti ho rotto >>
disse Charlotte.
<< Perché? >>
<< Te l’ho detto, perché
l’ho rotta io.. >>
<< No, intendo perché una cornice
così. L’avrei pagata molti soldi. >>
La ragazza alzò le spalle, fortunatamente per lei il denaro
non era un problema.
<< Era solo una foto.. >>
<< E’ l’unico oggetto che rende tua
questa casa. >>
Il giovane alzò un sopracciglio scettico. E lei cosa ne
sapeva? Per caso oltre ad essere un’ereditiera ricca sfondata
procura guai, faceva pure la psicologa part-time?
<< Cosa sei, una strizza cervelli? >>
<< No, un‘indovina >> rispose
ironica la ragazza. << Comunque non ci vuole un genio per
capirlo, sai? >>
Jin, suo malgrado, sorrise e senza ben capire perché si
trovò a fissare quei grandi occhi pervinca, senza
però riuscire a dire niente.
Il silenzio tra i due sembrò durare
un’eternità. I loro sguardi così
opposti, ma al contempo più simili di quanto potessero
immaginare, rimasero intrecciati e il tempo sembrò fermarsi.
Più Jin si immergeva in quegli occhi pervinca,
più sentiva il demone dentro di sé assopirsi.
Più si perdeva in quell’azzurro-viola
più la sua maledizione sembrava essere lontana.. Come se non
esistesse.. Più la guardava, più sentiva di
essere.. Normale.
Ma la normalità non faceva parte della vita di un Mishima,
tanto meno del loro sangue maledetto e il suo demone ruggì
per ricordarglielo.
Il ragazzo sentì la presenza dentro di sé
acquistare forza e con orrore si rese conto che voleva liberarsi.
Doveva mantenere il controllo.. Doveva dominarlo.. Lui non doveva
prevalere..
Con rabbia strinse i pugni, reazione che però non
sfuggì a Charlie.
<< Va tutto bene? >> domandò,
infatti.
<< Ti prendo qualcosa >> ripose Jin
bruscamente, sparendo in cucina.
Perché diavolo non le aveva detto di andarsene?! La sua
presenza lì non faceva che peggiorare le cose. Non solo non
stava rispettando l’accordo preso con il padre di lei, ma
stava anche mettendo in pericolo la sua vita. Jin, infatti, percepiva
l’Essere dentro di sé agitarsi, era come se Lui
volesse liberarsene, come se la vedesse come una minaccia.
Con forza strinse il bordo del tavolo, facendo lunghi e profondi
respiri.
Doveva assolutamente calmarsi.
Continuando a ispirare e espirare si diresse verso la credenza
afferrando uno dei pochi bicchieri che conteneva.
Sentì la ragazza muoversi nell’altra stanza e una
dolorosa fitta lo colse.
Stava perdendo la concentrazione. Stava perdendo il controllo.
La vista gli si appannò, fu solo per un attimo, ma lui di
riflesso strinse con violenza il bicchiere, che si frantumò
tra le sue dita.
<< Merda >> imprecò Jin aprendo
lentamente la mano.
<< Tutto bene? >> domandò
Charlie, dalla stanza adiacente.
<< Si. >>
<< Sicuro? >>
Jin non rispose iniziando ad estrarre i pezzi di vetro conficcatisi nel
suo palmo e gettandoli con rabbia nel lavandino.
<< Anche tu non hai un bel rapporto con il vetro, vedo
>> disse la ragazza, portandosi al suo fianco.
<< Lascia che ti aiuti. >>
<< Posso fare da solo. >>
Charlotte lo ignorò e delicatamente gli prese la mano tra le
sue, riprendendo da dove lui era rimasto pochi attimi prima.
Il contatto con lei fece provare nuovamente a Jin quella sensazione di
tranquillità, il suo tocco emanava come del calore, calore
che assopiva il Demone. Esattamente come prima però
l’Essere si agitò, riprendendo a lottare con
maggior forza, per prevalere sulla sua coscienza.
Jin percepì una nuova fitta spaccagli il petto e di riflesso
ritirò bruscamente la mano. Sentì il tribale
sulla sua spalla iniziare a scaldarsi e i canini dolergli.
Stava perdendo il controllo.
<< Vattene >> ordinò brusco Jin.
<< Come? >> chiese Charlotte confusa.
<< Va via. >>
La ragazza fissò il giovane senza capire: certo fin da
quando era arrivata, l’accoglienza di Jin non era proprio
stata delle migliori, ma cambiare così repentinamente umore
le sembrava davvero del tutto illogico.
<< Sei stupida o cosa?! >>
ringhiò lui. << Ho detto vattene!
>>
<< Tu non stai bene! >> esclamò
Charlie. E non tanto per la sua più che insensata reazione,
che faceva presupporre un serio problema di sdoppiamento di
personalità, ma per il suo improvviso pallore.
<< Che ti succede? Stai impallidendo.. >>
Sentendo quelle parole Jin la osservò incredulo. Le aveva
appena urlato contro e l’unica cosa che lei riusciva a notare
era il suo sbiancare?! Era assurdo!
Come accidenti faceva a preoccuparsi per lui, dopo che la stava
trattando in quel modo? Perché sentiva quel calore fluire da
lei?
Una nuova fitta, più forte delle precedenti, lo colse
spaccandogli il petto in due.
L’Essere
pretendeva di liberarsi.
Con forza Jin afferrò il braccio di lei. Era così
fragile sotto la sua presa e per un attimo si sentì come un
gigante che afferra una piccola farfalla, ma fu solo un attimo.
L’Essere si agitò soddisfatto, aveva poco tempo,
la ragazza doveva andarsene.
<< Vattene. Ora >> sibilò
Kazama.
Quando la mano di Jin si strinse intorno al suo braccio Charlotte
trattenne il respiro. Una frastornante serie di emozioni la colse, ma
una in particolare si impose su tutte le altre: una pungente e
schiacciante sensazione di malessere.
<< Jin.. >> sussurrò la giovane.
<< Via! >> esclamò lui puntando
con freddezza lo sguardo nel suo.
Charlie impietrì spaventata: i suoi occhi erano diventati di
ghiaccio. Glaciali e maligni occhi bianchi.. Occhi che aveva
già visto..
Una fredda sensazione di malessere si stava impadronendo di lei, era
come se qualcosa di oscuro stesse scivolando via da Jin e le risalisse
lentamente il braccio dritto al suo cuore, mettendole i brividi.
Spaventata si scostò bruscamente da lui e per un attimo le
sembrò di leggere dolore nel suo sguardo.
<< Vattene.. Ora! >> la
supplicò.
Fu quel tono a colpire Charlie e a permetterle di muoversi. Lui la
stava implorando. Non c’era cattiveria nelle sue parole, solo
disperazione.
Non sapeva spiegarsi perché, ma sapeva che lui stava
cercando di proteggerla.
Per un’ultima volta guardò quei glaciali occhi
bianchi, poi se ne andò.
Charlotte corse a perdifiato, scendendo rapidamente i ripidi gradini.
Non si guardò mai indietro, anche se avrebbe tanto voluto
farlo e quando fu fuori dall’edificio, nonostante sapesse che
quegli occhi di ghiaccio la stavano osservando, non alzò lo
sguardo.
Entrò in auto e chiudendo gli occhi ordinò a
Ricardo di partire. Tremante si portò una mano sul cuore ed
il calore l’avvolse.
L’ormai familiare e delicato volto di donna le sorrise.
All’interno dell’appartamento numero 21
un’accecante luce blu - viola esplose.
L’Essere si
era liberato.
..Spazio
Autrice..
Ok,
ehm.. Salve a tutti!
E'
la prima volta che utilizzo questo spazio all'interno di Il Demone e
l'Agnello, solitamente non ne usufluisco mai, ma questa volta penso sia
doveroso.
Alla
fine siamo arrivati al dodicesimo capitolo e devo dire che mi sorprendo
sempre nel vedere quante persono stanno leggendo questa storia..
Grazie! Grazie davvero!!! *.*
Non
voglio tirarla tanto per le lunghe, voglio solo ringraziare di cuore
tutte quelle persone che stanno seguendo questa storia, che l'hanno
inserita nelle seguite, ricordate o preferite e tutti quelli che hanno
lasciato un loro commento.
Grazie
davvero, ve ne sono molto grata! <3
Su
questo capitolo c'è da dire poco, non sono molto soddisfatta
ad essere sincera, ma dopo averlo scritto e cancellato almeno dieci
volte ho deciso di lasciarlo così.. tanto non sarei riuscita
a tirar fuori niente di meglio -.-"
Beh,
che altro dire, grazie ancora!
Raika
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Candore ***
Candore
Rabbia..
Ira.. Collera.. Odio..
Quella
ragazza..
Quella
maledettissima bambina..
Cosa
pensava di fare?
Credeva
di poterlo sconfiggere? Di poter placare la sua forza?
Stupida
ragazzina.. Povera illusa..
Charlotte.
Solo
il suono del suo nome gli dava la nausea.
Quel
calore poi.. Come riusciva ad emanarlo?
Chi
diavolo era in realtà?!
Quel
patetico volto candido.. Quegli enormi occhi bluastri.. Quei capelli
biondicci..
Il
suo solo pensiero lo faceva imbestialire!
Eppure..
Eppure l’Altro sembrava essere affascinato da quel candore..
Quasi attratto..
Gridò.
Un
rabbioso urlo gutturale scaturì dal profondo della sua gola.
Quella
dannata ragazza!
Era
una minaccia per lui.. Se l’Altro avesse ceduto alla sua
purezza.. Se si fosse lasciato contaminare allora la sua forza sarebbe
venuta meno..
NO!
Non
lo avrebbe permesso!
La
ragazza andava eliminata.
Un
sadico sorriso soddisfatto gli si dipinse sulle labbra.
Lei
doveva morire e doveva morire adesso.
Con
una potente sferzata d’ali si fermò,
stabilizzandosi a mezz’aria.
Poteva
ancora percepire il disgustoso pallore emanato dalla sua presenza. Gli
sarebbe bastato seguirlo e poi..
<<
E’ entrata in contatto con Lui >> disse una
sensuale voce femminile.
<<
Nei sei certa? >> domandò preoccupata Aiko.
Lei
annuì.
<<
Sapevamo che sarebbe successo, era solo questione di tempo
>> rispose pacatamente Kunimitsu.
<<
Ma non così presto.. Lei non sa.. >>
continuò Aiko, dal suo tono trapelavano ansia e
disperazione. << Non è ancora in grado di
controllarlo. >>
Kunimitsu le
fece un cenno infastidita, come a voler scacciare una mosca.
<< Presto o tardi non ha importanza ormai.
Dovrà imparare da sola e in fretta, se vuole sopravvivere.
>>
<<
Quella non è una cosa che si “può
imparare in fretta”! >> sbottò
l’orientale. << Ci vogliono anni per riuscire a
controllare l‘esorcismo, figuriamoci un dono simile.
>>
<<
Jun Kazama non ci ha messo molto >> le fece notare
irritata la rossa, il suo atteggiamento negativo la stava spazientendo.
<<
Jun Kazama sapeva di cosa era capace. Lei non è neanche
consapevole delle sue capacità! Come pretendi possa riuscire
a sfruttarle se non ne è a conoscenza?! >>
<<
Imparerà, altrimenti Devil la ucciderà.
>>
<<
La stiamo mandando al macello, quindi?! >>
<<
Le facciamo fare esperienza sul campo. Il miglior modo per imparare
è la pratica, dovresti saperlo bene Aiko, oppure hai
dimenticato come sei diventata ciò che sei? >>
Aiko la
fulminò con i suoi grandi occhi a mandorla, si ricordava
bene il suo passato, come dimenticarlo, ma non era la stessa cosa. Non
poteva certo paragonare ciò che aveva dovuto affrontare lei
con quello che aspettava Charlotte.
<<
Non è la stessa cosa.. >> iniziò a
dire la donna, venendo però interrotta da Kunimitsu la quale
voltandosi verso la terza presenza chiese << Come sta?
>>
La giovane,
seduta a gambe incrociate su una morbida pila di cuscini, chiuse gli
occhi. Aiko la osservò portare le braccia ai fianchi, con i
palmi rivolti verso l’altro all’altezza delle
spalle. Poi reclinò la testa all’indietro, i
setosi capelli neri le scivolarono sulle spalle e con uno scatto
improvviso congiunse i palmi di fronte a sé, come in
preghiera.
Lentamente il
volto tornò nella posizione originale e lei, con un unico ed
elegante gesto alzò le palpebre. I suoi occhi, fino a pochi
attimi prima di un marrone così scuro da avvicinarsi al
nero, erano diventati azzurri e guardavano di fronte a sé
senza realmente vedere niente, o meglio niente che si trovasse in
quella stanza.
La donna,
infatti, pur trovandosi fisicamente su quei cuscini, non era Aiko e
Kunimitsu che osservava, il suo sguardo era lontano, molto distante da
lì, in una stanza buia:
La
tenue luce lunare filtrava tra le fini tende cobalto.
La
stanza era grande, molto grande.
Le
ombre numerose, ma nessuna abbastanza da oscurare quel lucente candore
che irradiava l’ambiente.
Con
un salto scese dal suo piccolo giaciglio sul davanzale della finestra,
poi raggiunse il grande letto da cui proveniva il bagliore.
Con
un’elegante balzo vi salì sopra: tra morbidi
cuscini stava la ragazza.
I
suoi lunghi capelli caramello erano adagiati scompostamente
tutt’intorno al suo volto, quasi come un’aureola; i
grandi occhi pervinca erano chiusi, ma sotto le palpebre le pupille si
muovevano convulsamente; il volto era contratto dall’ansia.
Stava sognando, o meglio, stava avendo un incubo.
Lentamente
si mosse verso di lei e con delicatezza poggiò una grande
zampa bianca sul suo cuore.
<< Sta
affrontando i suoi incubi >> disse la giovane sbattendo
le palpebre: i suoi occhi erano tornati scuri. << Ne
avrà molti. >>
<<
Possiamo fare qualcosa per attenuarli? >> chiese
speranzosa Aiko.
<<
No. Deve combatterli se vuole capire. Solo così
diventerà consapevole >> rispose la
sacerdotessa.
L’orientale
abbasso la testa afflitta. << E adesso? Che facciamo?
>>
<<
Aspettiamo >> rispose Kunimitsu.
<<
Cosa? >>
<<
La sua prossima mossa. >>
Jin
aprì gli occhi.
Tutto intorno
a lui era buio e la fredda aria notturna gli sferzava il volto.
Non aveva idea
di dove si trovasse, né come ci fosse arrivato.
L’unica cosa che rammentava era una serie di immagini
frammentarie, confuse come tanti pezzi di un puzzle tutto da
ricostruire.
Il suo
appartamento.. Charlotte.. La cornice.. La rabbia
dell’Essere.. Quel calore.. L’Essere.. Il volto
spaventato della ragazza.. Poi il nulla.
Lentamente si
portò a sedere passandosi una mano sul volto.
Quella
ragazza..
Una fitta gli
perforò le tempie, facendolo imprecare per il dolore e
improvvisamente una serie di pensieri non suoi gli attraversarono la
mente.
Era
una minaccia..
Se
l’altro avesse ceduto..
Se
si fosse lasciato contaminare..
Non
lo avrebbe permesso..
Andava
eliminata!
<< No! >>
urlò Jin portandosi le mani alle tempie.
Sapeva a chi
appartenevano quei pensieri: erano riflessioni del suo Demone,
riflessioni su Charlotte.
Lui la voleva
morta e la voleva morta al più presto.
Jin strinse i
pugni.
Non avrebbe
permesso che le facesse del male, non avrebbe permesso che Lui la sfiorasse.
Non sapeva perché l’Essere fosse così
spaventato da lei da volerla addirittura eliminare, ma Jin glielo
avrebbe impedito.
Ora
più che mai sarebbe stato necessario rispettare
l’accordo, anche se quello avrebbe significato non rivedere
mai più quei magnetici occhi color pervinca.
Ma
sei davvero pronto a questo sacrificio, Jin?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Inquire After ***
Inquire
After
Il giorno tanto atteso era alle porte e Maxi non
stava più nella pelle per l’imminente arrivo del
suo compleanno. Quella di Maria Ximena Hellenton, infatti, si
prospettava la festa più spettacolare di tutti i tempi, con
tanto di cena allo Zuma Aureo di Katsushika Kanagawa e dopo cena
nell’area privata del club, appositamente prenotata con un
assegno da molti zeri da papà Hellenton, il quale in quel
modo aveva reso la figlia la ragazza più felice del mondo,
oltre a cogliere l’opportunità per invitare
importanti pezzi grossi del mondo politico giapponese.
<<
Sarà un compleanno favoloso, anche migliore di quello di
Perry Edwards! >> esclamò Maxi gesticolando
freneticamente rischiando di far cadere il telecomando della tv, che
teneva in mano. << Se ne parlerà per
settimane, anzi no, per mesi! Così vedrà Perry
chi tra le due conta di più. Solo perché suo
padre possiede un piccolo giacimento di petrolio chi sa dove, crede di
essere il centro dell’universo! >>
<<
Peccato che sul petrolio si basa tutta l’economia
mondiale>> fece notare con noncuranza Charlie, fissando
annoiata lo schermo trasmettere uno stupidissimo reality show.
Sinceramente
non le importava niente quale dei due compleanni sarebbe stato il
migliore, aveva ben altri pensieri per la testa.
Maria Ximena
invece sembrò non notare l’affermazione della
sorella, o meglio la ignorò volontariamente, ed eccitata
continuò << Si mangerà tutte quelle
sue unghiette laccate! Muoio dalla voglia di vederla rodere per
l’invidia. >>
Charlotte
alzò gli occhi al cielo, Maxi era davvero superficiale,
oltre a non avere la minima concezione del denaro. Era riuscita a
spendere, solo per quel compleanno, la stessa cifra che aveva speso
Charlie per i suoi ultimi tre; e avrebbe compito soltanto diciassette
anni.
<<
A proposito >> continuò la più
piccola di casa Hellenton. << Spero che il tuo regalo sia
migliore di quello dell’anno scorso Charlie. >>
<<
Se non ti piace lo butterai in un angolo della tua stanza insieme alla
stragrande maggioranza dei regali di domani sera. >>
<<
Sei la sorella della festeggiata, non puoi sfigurare. >>
La ragazza
sbuffò. << Sai una cosa? L’anno
prossimo ti carico 200mila Yen* sulla carta di credito così
ti compri cosa vuoi, okay?! >>
<<
Solo? >> protestò indignata Maxi.
<< Se quella è la cifra che hai speso mi
toccherà un regalo mediocre anche stavolta. >>
Se
un’occhiataccia avesse potuto uccidere in quel momento la
sedicenne, ancora per poche ore, sarebbe morta in modo molto doloroso,
ma per sua fortuna ciò non poteva accadere e Charlotte si
ritrovò semplicemente a fare lunghi e profondi respiri per
non urlarle contro.
<<
Va bene, vorrà dire che per il tuo compleanno ti
comprerò qualcosa di seconda mano. >>
<<
Per quel che me ne importa.. >> rispose Charlie guardando
l’orologio.
Mancava ancora
un paio d’ore all’inizio dell’incontro al
Figth Club di Tyler Durden e lei non aveva certo intenzione di passarle
ad ascoltare Maxi parlare del suo strepitosissimo e favolosissimo
compleanno.
Annoiata si
alzò dal divano, stirando i muscoli intorpiditi a casa della
posizione scomposta, che avrebbe fatto inorridire la sua insegnate di
portamento al liceo.
Sua sorella
invece iniziò a fare zapping e senza neanche voltarsi le
chiese << Esci? >>
<<
Più tardi.. >> iniziò a dire
Charlie, venendo però interrotta da un servizio del
telegiornale, su uno dei canali nazionali. << Ferma!
>>
<<
Che?! >> esclamò la ragazzina schiacciando di
riflesso il cambio canale.
<<
Torna indietro! >>
Maxi
obbedì e sullo schermo comparve una giovane reporter, la
quale con molta più enfasi del dovuto stava dicendo
<< Manca davvero poco ormai all’apertura della
quinta edizione dell’ormai storico King of Iron Fist
Tournament e la Mishima Zaibatsu non ha ancora rilasciato notizie
ufficiali sul suo organizzatore. L’ipotesi più
accreditata per il momento vede lo stesso Heihachi Mishima, di cui
tutt’ora non è ancora stato ritrovato il cadavere,
ancora al vertice; secondo altre invece è il figlio Kazuya a
detenere lo scettro del comando, ma sono soltanto ipotesi, nessuna per
il momento è stata avvalorata.
<>
Dopo quelle
parole la minuta figura della giornalista venne sostituta da quella
tonica e muscolosa dell’uomo, il quale senza troppe cerimonie
rispose << Non abbiamo niente da dire a riguardo. Il
torneo inizierà a breve e come di consueto il premio per il
vincitore sarà una grossa somma di denaro, la più
grande mai offerta fin’ora. La lista dei partecipanti
è pubblicata sul sito ufficiale dell’Iron Fist e
viene aggiornata giornalmente. A chiunque intendesse iscriversi
raccomando di farlo il prima possibile, perché il tempo a
disposizione sta per concludersi. Grazie. >>
Charlie
osservò stupita il capitano Alexandersson scomparire dallo
schermo e improvvisamente la loro conversazione avvenuta tempo prima le
tornò alla mente. Era da quel giorno all’Honmaru
che non ci pensava, all’ora non aveva dato molto peso alle
sue parole, ma adesso dopo tutto quello che era successo ogni sua
singola frase le sembrava acquistare un significato diverso.
<<
Dove vai? >> chiese Maxi.
<<
In camera. >>
<<
Perché? >>
<<
Perché si. Da quando ti interessa cosa faccio, Maxi?
>>
<<
Era tanto per fare conversazione.. >> rispose la
ragazzina facendo spallucce, tornando poi a dedicare la sua attenzione
alla tv.
Charlie
alzò un sopracciglio scettica, sua sorella che si informava
su di lei per fare conversazione? Non ci credeva proprio.
<<
Se hai bisogno di me, sono di sopra >> disse alla fine.
<<
Lo so. >>
Una volta in
camera il consueto “Miao” di Ra la accolse, ma lei
ignorandolo andò a sedersi alla sua scrivania, accendendo il
computer.
Con la coda
dell’occhio vide l’animale voltarle le spalle
indispettito; era davvero un gatto strano.
Quando il PC
ebbe caricato la ragazza aprì il browser internet e su
google digitò: Iron Fist Tournament.
Il motore di
ricerca si mise in azione dandole come risultato una
quantità esorbitante di link, tra cui scelse il primo della
lista.
La pagina
ufficiale del torneo si materializzò sullo schermo,
mostrandole l’annuncio pubblicitario che da settimane ormai
invadeva la rete e le tv.
Ignorandolo
cercò con lo sguardo ciò che desiderava e quando
lo trovò entrò nella sezione dedicata ai
partecipanti. Velocemente scorse l’enorme quantità
di nomi e uno in particolare le saltò agli occhi: Steve Fox.
<<
Steve? >> sussurrò stupita.
Non penava che
il ragazzo avesse a che fare con la Mishima Zaibatsu, anche
se doveva ammettere che la grossa somma di denaro offerta poteva fargli
gola, soprattutto visto che si guadagnava da vivere combattendo.
Pensierosa
continuò a scorrere la lista, individuando altri combattenti
conosciuti come Bryan Fury o Kazuya Mishima, fino a che, giunta quasi
in fondo alla pagina l’ultimo nome che avrebbe mai voluto
leggere le comparve davanti: Jin Kazama.
Il solo
pensiero le fece percorrere la schiena da un brivido.
Non aveva
più incontrato Jin da quel giorno a casa sua né
era più riuscita a vederlo. Non che non ci avesse provato,
per giorni aveva percorso avanti e indietro quella strada, ma mai lui
le aveva permesso di avvicinarsi, mai le aveva concesso una
spiegazione. Sembrava quasi che avesse paura di lei, come se temesse in
qualche modo di esser contagiato da qualche strana malattia.
L’aveva allontanata esattamente come si faceva con un
appestato.
Charlie
stentava a crederlo, ma ciò l’aveva ferita
incredibilmente.
Con rabbia
sbatté le mani sulla tastiera del suo PC e la pagina sullo
schermo cambiò improvvisamente mostrando un secondo elenco
di nomi sotto la scritta: Iron First Tournament 4.
Incuriosita
iniziò a leggere e con stupore si accorse che buona parte
dei partecipante dell’attuale edizione del torneo avevano
preso parte anche alla precedente, Steve e Jin compresi.
“Se
entrambi hanno partecipato al Tekken 4 allora forse si
conoscono..” pensò Charlotte tamburellando le dita
sul pregiato legno della sua scrivani. “E forse Steve
può dirmi qualcosa su di lui..”
Quel pensiero
la lasciò interdetta, per quale maledettissimo motivo
continuava ad interessarsi a quel ragazzo dopo il modo in cui la stava
trattando? Era un’assurdità, eppure
sapere che forse il pugile poteva chiarirle un po’ le idee su
Jin non fece che migliorare leggermente il suo umore.
“Oh
andiamo Charlie! E’ una cosa infantile!” si disse.
“Neanche alle elementari andavi a chiedere informazioni sul
ragazzo che ti piaceva!”
Piaceva?!
Aveva davvero
pensato quello?!
Sul serio Jin
Kazama le piaceva?!
Oh che
assurdità! Si stava davvero comportando da bambina!
Eppure
nonostante ne fosse cosciente non poteva fare a meno di sentirsi come
se fosse alla sua prima cotta: era insicura, incerta e titubante.
Era
così diversa dalla sua solita sé e questo la
spiazzava.
“Stupido
Kazama” pensò irritata, lasciando cadere lo
sguardo sull’ora.
Erano appena
le dieci e mezzo e mancava ancora davvero molto tempo
all’incontro al Fight Club, certo poteva recarsi
là all’ora che preferiva, ma passare
più di un’ora in compagnia di quegli energumeni
fissati con la lotta e il sesso non era proprio la miglior prospettiva,
così decise passare il tempo optando per un bel bagno caldo.
Non
c’era niente meglio delle coccole della profumata acqua
fumante.
*Circa 2000 euro
..Spazio Autrice..
21/12/2012 volete sapere perchè è la fine del
mondo? Perchè dopo 4465436564164 anni finalmente pubblico un
nuovo capitolo! ahahha
Lo so sono davvero pessima, aggiorno a distanza di miliardi di anni e
me ne scuso, ma la signora Ispirazione mi abbandona sempre nei momenti
del bisogno e mi trovo a vagare nel buio più totale senza
nemmeno un'idea.. Scusatemi tanto!
Cosa dire, ringrazio tutti colotro che continuano a seguire questa
storia nonostante tutto.
Davvero Grazie!!!
Al prossimo capitolo, che questa vola giuro non sarà tra 200
anni!
Raika
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Security Level 6 ***
Security
Level 6
Il
bagno durò molto più di quanto Charlie avesse
previsto e se non fosse stato per la sveglia del cellulare
probabilmente sarebbe rimasta in acqua ancora per un bel po’.
Accorgendosi
di essere in ritardo, per la prima volta a causa sua in tutta la sua
vita, si vestì velocemente e dopo essersi truccata e
asciugata i capelli in tutta fretta, corse verso il garage dove Ricardo
la stava aspettando.
<<
Lo so, sono in ritardo >> disse, salendo velocemente in
auto.
<<
Arriverà puntuale, non si preoccupi >> rispose
l’autista.
La guida
dell’uomo, nonostante rasentasse i 100 kilometri orari, fu
sicura e pulita. Ricardo era un pilota straordinario e come promesso
riuscì a portarla al Figh Club in tempo per
l’inizio dell’incontro.
Come di
consueto attraversò la cadente via di periferia che
custodiva l’entrata al Club, ma quella volta uno schiacciante
senso di pericolo le attanagliava lo stomaco, riportandola alla prima
volta che aveva percorso quel vicolo. Era la prima volta che
partecipava ad uno degli incontri organizzati da Tyler Durden da quando
era stata aggredita da Fury e purtroppo non aveva pensato alla carica
emotiva che quel luogo potesse causargli.
Stringendosi
di più nel soprabito affrettò il passo
per raggiungere la porta e soltanto quando si trovò
all’interno della catapecchia si sentì, se non al
sicuro, almeno più tranquilla.
<<
Qual è il tuo problema?! >> le chiese brusco
l’usciere notando che Charlie si attardava a scendere.
<<
Sempre così gentile eh? >> rispose ironica la
ragazza.
L’uomo
le scoccò un’occhiataccia, imprecando tra
sé e sé. L’unica cosa che gli impediva
di attaccare briga con lei era il suo illustre cognome, se non fosse
stato per quello, e per il fatto che il suo capo gliela avrebbe fatta
pagare cara se le fosse successo qualcosa, non ci avrebbe pensato due
volte ad insegnarle il rispetto.
Ignorando le
parole poche gentili che quell’energumeno stava rivolgendo al
genere femminile Charlotte scese nel seminterrato dove la folla
attendeva trepidante l’inizio dell’incontro.
Senza
difficoltà raggiunse la sua postazione e dopo aver estratto
dalla borsa il suo tablet - aveva deciso di sostituirlo al portatile
più ingombrante e meno veloce nella raccolta dati - si
accomodò con le gambe accavallate sul divano, attendendo
l’arrivo di Alexis o ancor meglio di Steve.
La solitudine
di Charlie non durò molto, ma a farle compagnia non furono
miss Durden o il pugile, bensì un giovane ragazzo di
fiammanti capelli rossi, che la ragazza aveva già avuto il
piacere di conoscere poco tempo prima.
<<
Ma non mi dire >> disse sorpreso Hwoarang, portandosi
vicino alla pedana rialzata. << Claretta, dico bene?
>>
La ragazza si
voltò verso il nuovo arrivato e inarcando un sopracciglio
rispose << Charlotte. >>
Il rosso fece
spallucce. << Ci sono andato vicino. >>
<<
No, non direi. >>
<<
Come siamo fiscali.. >> protestò lui
sbuffando. << Dimmi, Charlotte, cosa ci fa una
ragazza come te in un posto come questo? >>
Lei sorrise e
sfoderando quel pizzico di malizia che suo padre le suggeriva sempre di
usare con gli uomini, rispose << Potrei farti la stessa
domanda. >>
<<
Io non ho un ricco e illustre papino come il tuo, uno come me li
frequenta posti come questi. >>
<<
Vede che, a differenza del mio nome, il mio cognome ti è
rimasto impresso. >>
<<
Hellenton non è certo un cognome che si dimentica facilmente
>> si giustificò il ragazzo. <<
E poi.. >>
<<
Ehi amico, stai importunando la signorina con i tuoi soliti discorsi
insensati? >> esclamò un’allegra
voce maschile attirando l’attenzione dei due.
<<
Veramente quello che fa discorsi insensati sei tu, Steve
>> rispose Hwoarang ridendo.
Il pugile rise
a sua volta e salendo sulla pedana salutò Charlie andandosi
a sedere al suo fianco.
<<
Steve. >>
<<
Ti ha infastidita parecchio? >> domandò lui
facendo un cenno verso l’amico.
<<
Nah, non più di tanto >> rispose lei
sorridendo.
<<
Ti è andata bene Hwoarang, altrimenti avrei dovuto sbatterti
fuori a calci in culo. >>
Il rosso
inarcò un sopracciglio scettico. << Non credo
ci riusciresti. >>
<<
Non mi tentare. >>
I due si
fissarono con un accanito sguardo di sfida, poi scoppiarono a ridere di
gusto facendo scuotere, divertita, la testa a Charlie.
Uomini.
<<
Allora, tra quanto inizia lo show? >> chiese dopo pochi
minuti il rosso. Non doveva essere una persona molto paziente.
<<
Un paio di minuti >> rispose il pugile.
<<
Che rottura. >>
<<
Non starti sempre a lamentare. >>
<<
La pazienza è la virtù dei forti >>
si intromise la ragazza.
<<
Parli bene tu biondina, seduta su quel morbido divanetto.
>>
Lei sorrise.
<< Avere un ricco e influente papino come il mio ha i
suoi vantaggi: quelle come me se ne stanno comodamente sedute su
morbidi divanetti. >>
Hwoarang
alzò gli occhi al cielo borbottando qualcosa, mentre Steve
divertito rincarò << Mi sa che ti ha fregato.
>>
<<
Tu sta zitto. Sei seduto lì solo perché sei il
cocco della figlia del boss! >>
<<
Ti correggo: sono seduto qui perché sono il campione del
ring >> precisò soddisfatto il pugile,
scatenando un’ulteriore replica dell’amico, la
quale però fu interrotta da Charlie. Ne aveva abbastanza del
loro battibecco, inoltre aveva delle informazioni da chiedere al biondo
e quel continuo botta e risposta glielo stavano impedendo.
<<
Contro chi lotterai oggi? >> domandò la
ragazza, ignorando le proteste del rosso.
<<
Non scendo sul ring. >>
Charlotte lo
guardò incuriosita, così il giovane
spiegò << I miei incontri fruttano bene e il
boss ha deciso di guadagnarci al meglio organizzando una serie di
piccoli tornei. I vincitori riceveranno 110842 yen* e dovranno
affrontare una seconda selezione battendosi tra di loro. I primi tre
classificati lotteranno contro di me. >>
<<
Wow. Immagino che le scommesse arriveranno alle stelle.
>>
<<
Già. >>
<<
Non pensi di partecipare ad un po’ troppi tornei ultimamente,
Steve? >> domandò con noncuranza la Hellenton.
A quelle
parole sia il biondo che Hwoarang si voltarono verso di lei, la quale
sorridendo innocentemente aggiunse << L’Iron
Fist Tournament è piuttosto impegnativo da quel che ho
sentito dire. >>
<<
Non pensavo fossi interessata al Tekken >> rispose il
pugile.
<<
Neanche io a dire la verità.. >>
<<
Cos’è che ti ha fatto cambiare idea allora?
L’Iron Fist è pericoloso, non dovresti
occupartene.. >>
Charlie
abbassò appena lo sguardo. Cosa le aveva fatto cambiare
idea? Uno sconosciuto che dopo averle salvato la vita l’aveva
sbattuta fuori dalla sua senza spiegazioni né scuse, ecco
cosa l’aveva spinta verso quel torneo. Uno sconosciuto il cui
nome era: << Jin Kazama. >>
<<
Mhm? >>
<<
Puoi dirmi qualcosa su Jin Kazama, Steve? >>
La giovane
vide il biondo cercare con lo sguardo di Hwoarang, il quale aveva
iniziato ad innervosirsi.
<<
Allora?! >> domandò nuovamente lei.
<<
Niente che tu suppongo non sappia già: figlio di Kazuya
Mishima e nipote di Heihachi; pessimi rapporti con la famiglia, cercano
sempre di farsi fuori a vicenda ad ogni torneo; ragazzo strano e niente
di più. >>
<<
Aggiungici brutto bastardo e figlio di.. >> intervenne il
rosso, interrompendosi però accorgendosi di avere gli occhi
pervinca della ragazza puntati addosso. << Abbiamo un
vecchio conto in sospeso. >>
<<
Quindi lo conosci bene? >>
<<
Diciamo che lo conosco quanto basta per prenderlo a calci in culo alla
prima occasione. >>
Charlie
avrebbe voluto insistere con altre domande, ma la sua
curiosità dovette essere frenata a causa
dell’abbassamento improvviso delle luci sul ring: Alexis
Durden stava per entrare in scena.
<<
Si comincia >> sussurrò Steve, riportando
l’attenzione dei due sul palco.
La giovane
annuì poggiandosi allo schienale e scivolando fino al bordo
della poltrona assumendo una postura tutt’altro che elegante.
Ricordava di aver passato tre giorni in punizione quando frequentava il
lice proprio a causa di quel modo di sedersi.
L’entrata
di Alexis per quella sera iniziò con un’ipnotica
musica araba che la vide protagonista di una sensuale e provocante
danza del ventre, accompagnata da altre due ballerine ugualmente poco
vestite.
Charlotte
solitamente osservava sempre con curiosità quel piccolo
rituale, stupendosi ogni volta della sicurezza con cui
l’amica si muoveva di fronte a tutti quegli uomini urlanti;
quella sera invece i suoi pensieri volarono altrove, dove erano sempre
stati nelle ultime settimane, senza però mai trovare
risposte.
“Dannato
Jin..” pensò. “Perché diavolo
continuo a pensarti?!”
Senza
rendersene realmente conto allungò una mano verso il
tavolino di fronte a sé e afferrando il tablet che vi aveva
posato sopra, lo posizionò sulle sue gambe. Distrattamente
accedette ai database della Hellenton Corporation e avviando una
ricerca digitò: Jin Kazama.
Il programma
partì e dopo pochi secondi annunciò un risultato.
Charlie si
irrigidì di colpo, per quale motivo nei database della
compagnia era presente un file sul ragazzo?
Delicatamente
sfiorò lo schermo del tablet e ciò che lesse la
lasciò ancora più sconcertata:
Permesso Negato
<<
Cosa?! >> sussurrò. << Cosa
significa permesso negato?! >>
Indispettita
tentò di accedere nuovamente al file, ma di nuovo esso le
negò l’accesso:
Livello di sicurezza 6.
Accesso Negato.
“Livello
di sicurezza 6?!” pensò. “Da quando
abbiamo un livello di sicurezza 6?! E perché non posso
accedervi?!”
Questa le
giungeva davvero nuova, non era al corrente dell’esistenza di
un livello di sicurezza così elevato e per di più
il suo account non era abilitato ad accedervi. Non le piaceva affatto
tutta quella storia, odiava essere tagliata fuori da ciò che
riguardava la sua futura azienda, soprattutto quando lei per essa
faceva tutto ciò che suo padre le ordinava.
C’erano
troppi segreti su cui era all’oscuro.
Adam Hellenton
le doveva delle spiegazioni.
E in un modo o
nell’altro le avrebbe avute questa volta.
*circa 1000 euro
..Spazio
Autrice..
Come promesso
non sono passati 2000 anni dall'ultimo aggiornameto xD Mi meravglio di
me stessa!
Ma comunque..
Dato che questo è l'ultimo capitolo che aggiungo nel 2012
volevo augurarvi Buon
Anno!
Grazie a
tutti coloro che continano a seguire la storia!
All'anno
Prossimo!
Raika
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Il Compleanno ***
Il
Compleanno
Nonostante lo Zuma
Aureo fosse di per sé uno dei locali più
spettacolari di tutto il Giappone, il giorno del compleanno di Maria
Ximena assunse un nuovo livello di straordinarietà. La
giovane Hellenton infatti si era assicurata che tutto fosse
estremamente perfetto e luccicante: la sua doveva essere la festa
più invidiata dell’anno e a giudicare dalla
quantità di ospiti e dalla qualità del locale,
senza ombra di dubbio sarebbe riuscita nel suo intento.
Se Maxi era
eccitata come una bambina il giorno di natale, Charlotte aveva invece
il livello di entusiasmo sotto zero. La ragazza, infatti, trovava tutto
quello sfarzo e quella magnificenza, così curata nei minimi
dettagli dalla sorella, dannatamente eccessiva, infondo era solo uno
stupido compleanno, che bisogno c’era di organizzare tutta
quella mascherata?!
A peggiorare
ulteriormente l’umore della ragazza inoltre ci si era messa
il suo stupidissimo gatto, che due giorni prima della festa aveva avuto
la brillante idea di farsi le unghie sul suo vestito facendo un enorme
e vistosissimo buco nel fine tessuto lavorato che lo ricopriva e
costringendola a girare, per la seconda volta, una quantità
esorbitante di negozi alla ricerca di un sostituto.
<<
Stupido compleanno! Stupida Maxi! E stupido gatto! >>
imprecò Charlotte osservandosi allo specchio per niente
soddisfatta nel suo aderente e luccicante abito nero.
<<
Secondo me ti sta benissimo, inoltre >> le disse Camila
facendola voltare e indicando la sua schiena, dove il tessuto diventava
pizzo ricamato con rose. << Questo è molto
sexy. >>
La Hellenton
osservò il suo riflesso per niente convinta, poi facendo una
smorfia andò ad indossare i tacchi: almeno quelli, neri e
con un cinturini ricoperto di pietre preziose, erano di suo gradimento.
<<
Detesto questo vestito, è troppo appariscente!
>>
Camila
alzò gli occhi al cielo sbuffando, ma era mai possibile che
la sua amica non desiderasse mai mettersi un minimo in mostra? Insomma,
era una ragazza molto bella, chiunque al suo posto avrebbe sbandierato
la propria avvenenza ai quattro venti.
<<
Charlie, non è affatto appariscente, forse un pochino la
schiena, ma per il resto no. Hai le braccia coperte, uno scollo per
niente profondo, inoltre è in velluto e non
c’è niente di meno trasparente del velluto.
>>
<<
Sono ricoperta di brillantini da capo a piedi, mi sembra di essere una
Winx! >>
<<
Quante storie Charlie! Sei una favola, adesso andiamo >>
ordinò la rossa prendendo per un braccio la ragazza e
trascinandola verso il garage, dove Ricardo le stava aspettando.
<<
Facciamo a cambio, tu indossi il mio e io il tuo >>
propose la bionda facendo un cenno verso l’abito nero in
pizzo e raso dell’altra.
<<
Ti sto ignorando >> cantilenò Camila salendo
in auto e facendo sbuffare l’amica.
Quando
giunsero al localo la maggior parte degli ospiti era già
arrivata e le due non poterono certo passare inosservate, cosa che,
Charlie ne era sicura, avrebbe fatto infuriare Maria Ximena, dato che
secondo il suo punto di vista era inammissibile che la sorella della
festeggiata arrivasse in ritardo “rubandole” il
centro della scena.
<<
Maxi ci ammazzerà, lo sai vero? >> disse la
Hellenton scendendo dall’auto.
<<
Non mi preoccuperei più di tanto, non rischierà
di sporcarsi il suo luccicante vestito >> rispose Camila,
salutando con un accattivante sorriso un gruppo di ragazzi in fila per
entrare nel locale. << Saluta Charlie, hai degli
ammiratori. >>
La ragazza
alzò gli occhi al cielo prendendo l’amica per un
braccio e trascinandola verso l’ingresso riservato o, come
amava chiamarlo Maxi, VIP.
<<
Guastafeste! >> protestò la Toledo, facendo un
cenno con le dita ai giovani, per poi scoppiare a ridere una volta
dentro, dove un addetto prese in consegna i loro soprabiti.
L’interno
del locale era stato addobbato in pieno stile Maria Ximena: vistoso,
luccicante e dannatamente esagerato.
<<
Non posso sopravvivere a questa serata.. >>
sussurrò Charlotte vedendo l’esorbitante
quantità di ospiti.
<<
Oh si che ce la farai >> le rispose Camila, spingendola
verso la sala dove si sarebbe tenuto l’aperitivo.
Non appena
entrarono nella stanza buona parte degli sguardi dei presenti si
posarono incuriositi su di loro, permettendo a Charlie di individuare
molte facce conosciute, che salutò con un incerto sorriso di
scuse, sorriso che si trasformò in una smorfia quando dal
fondo della sala incrociò lo sguardo omicida di Maxi.
<<
Sei ancora sicura che non ci ucciderà? >>
domandò la ragazza facendo un cenno verso la sorella.
<<
Bé.. >> rispose Camila facendo spallucce.
<< Sicuramente non lo farà adesso. Andiamo, ho
visto tua madre. >>
Scivolando
veloci tra la folla, fermandosi ogni qual volta qualcuno degli ospiti
le tratteneva per un saluto, raggiunsero la signora Hellenton, la quale
vedendole tirò un sospiro di sollievo.
<<
Rose, questo abito le sta d’incanto >> si
complimentò sinceramente la Toledo.
<<
Grazie cara, ma ciò non toglie che siete terribilmente in
ritardo. >>
<<
Lo so, è colpa mia >> disse Charlotte.
<< Ho avuto problemi con il vestito. >>
<<
Cos’ha che non va? >> chiese la donna
osservandola. << A me sembra perfetto. >>
<<
Niente, solo che originariamente non dovevo indossare questo, tutto
qui. >>
<<
Io trovo che ti stia molto bene e da come ti sta mangiando con gli
occhi suppongo che anche Raul la pensi come me. >>
Camila rise
voltandosi appena verso il fratello, mentre Charlie fece roteare gli
occhi: Raul mangiava con gli occhi qualsiasi ragazza indossasse un mini
abito aderente.
<<
Ad ogni modo, suppongo te lo dirà lui stesso
>> concluse la donna.
<<
Cosa?! >>
<<
Rose, siete incantevole questa sera >> si
complimentò il ragazzo baciandole galantemente la mano, poi
voltandosi verso le due giovani continuò <<
Sorellina, Charlotte, ci stavamo tutti chiedendo quando sareste
arrivate. >>
<> disse la bionda.
<< Ho avuto un piccolo contrattempo che ci ha trattenute
più a lungo del previsto. >>
<<
Non fa niente, gli uomini adorano le donne che si fanno desiderare.
Soprattutto quando la loro bellezza vale l’attesa.
>>
Charlie
sorrise mascherando con la cortesia l’irritazione: quanto
detestava quel suo scontato repertorio di frasi fatte a cui attingeva
ogni qual volta doveva abbordare una ragazza.
<<
Camila >> intervenne Rose. << So che sei
un’appassionata di teatro, suppongo quindi tu conosca la
signora Fung. >>
<<
Solo di fama, le sue opere sono davvero meravigliose, sono una sua
grande ammiratrice. >>
<<
Allora devo proprio presentartela. Ragazzi vi dispiace se ci assentiamo
un attimo? >>
Raul sorrise
affabile e comprensivo rispose << Certamente no, conosco
la passione di mia sorella e non mi permetterei mai di farle sfumare
l’opportunità di conoscere il suo idolo.
>>
La donna
annuì compiaciuta e con la giovane Toledo si
congedò, lanciando una loquace occhiata alla figlia, che
fece finta di ignorare.
Una volta
rimasti soli il ragazzo sfoderò il sorriso più
affascinante che riuscisse a fare e sicuro di sé chiese
<< Posso offrirti qualcosa? >>
<<
Anche se tecnicamente, essendo mio padre che paga, sono io che offro,
direi di si. >>
<<
Sempre precisa e tagliente, non sei cambiata affatto Charlie.
>>
<<
Allora dovresti già sapere come andrà a finire,
Raul >> rispose la ragazza guardandolo dritto nei suoi
magnetici occhi verdi.
Lui sorrise,
mascherando un moto di frustrazione al ricordo di come lo aveva
palesemente scaricato diversi anni prima, quando per una semplice
ripicca aveva cercato di conquistarla.
<<
Ciò comunque non mi impedisce di riprovare >>
le disse accattivante porgendole un calice di champagne.
Charlotte lo
accettò brindando con lui, per poi aggiungere
<< Se godi nell’essere masochista.
>>
<<
Solitamente preferisco altre pratiche, ma se è
così che ti piace per te posso fare un’eccezione.
>>
La ragazza lo
fulminò con lo sguardo pronta a ribattere alle sue
provocazioni, ma il suo tagliente discorso dovette essere rimandato a
causa di Maxi, la quale richiamando l’attenzione di tutti per
mezzo di un microfono in stile anni ‘50, uscito chi sa da
dove, esclamò << Buona sera a tutti. Sono
davvero onorata di avervi come ospiti questa sera per festeggiare il
mio favoloso compleanno, per cui devo ringraziare il mio adorato padre.
Spero che l’aperitivo sia stato di vostro gradimento e adesso
vorrei invitarvi ad accomodarvi nella sala accanto per dare il via alla
festa vera e propria. Grazie. >>
Il discorso di
Maria Ximena si concluse con un fragoroso applauso, a cui
seguì lo spostarsi di tutti gli invitati nella sala indicata
dalla ragazzina. Charlotte attese che buona parte dei presenti fosse
passata, non l’allettava proprio la prospettiva di buttarsi
nella folla, soprattutto con quei vertiginosi tacchi che aveva
indossato, poi andò a prendere posto.
Ad attenderla
al suo tavolo trovò Maxi, la quale incenerendola con un
occhiataccia sibilò << Sei arrivata in ritardo
alla mia festa.
>>
<<
E’ per questo che ti ho comprato un regalo >>
rispose la ragazza sedendosi.
<<
Spero per te che sia favoloso, altrimenti mi lamenterò per i
prossimi sette mesi >> la minacciò la
festeggiata andandosene indispettita verso il suo posto.
Charlie fece
spallucce per niente impressionata: tanto lo avrebbe fatto comunque.
E quando tutti
si sedettero la festa poté finalmente iniziare.
Sorvolando il
fatto che Charlotte avrebbe preferito essere in qualsiasi altro posto
tranne che lì, la cena fu piuttosto tranquilla e piacevole.
Maria Ximena si rivelò essere una “padrona di
casa” eccellente, dedicando un po’ del suo tempo a
tutti gli invitati con modi affabili ed eleganti che lasciarono
estremamente soddisfatta Rosalie Hellenton; e la serata trascorse senza
nessun imprevisto o evento indesiderato. Tanto che, ancor prima di
quanto avesse sperato, Charlie si ritrovò al post-party
organizzato nell’attico a sorseggiare dell’ottima
Sangria de Cava in compagnia del ministro
dell’economia giapponese, che la intrattenne parlando di
azioni e spread.
<> si congedò la
ragazza, mescolandosi tra gli altri invitati. Discutere di
produttività e denaro con un esperto del settore era davvero
estenuante, soprattutto se alla passione si aggiungeva il fanatico
patriottismo cha caratterizzava il politico.
“Perché
diavolo non sono andata a ballare con Maxi?” si
domandò, dopo aver saltato da un dirigente
d’azienda a magnati della finanza per almeno una decina di
minuti.
Maria Ximena,
infatti, per rendere ancora più indimenticabile la sua festa
aveva progettato un fine serata nella discoteca del club per i
più giovani e un post-party per i meno, di modo che suo
padre potesse accattivarsi o mantenere saldo il favore degli invitati
accuratamente scelti.
<<
Eppure avrei giurato che una tipa come te fosse più una da
discoteca che da barbosissimo post-party >> disse una fin
troppo familiare voce maschile richiamando la sua attenzione.
<<
Devo per caso chiamare la sicurezza e denunciare un imbucato?
>> domandò la giovane voltandosi verso
l’origine del suono, dove un finto risentito
Hwoarang esclamò << Così
mi offendi Charlotte, sono stato invitato. >>
<<
Mi stupisci >> rispose sinceramente la Hellenton.
<< Credevo fossi più un tipo da strip club.
>>
<<
Effettivamente lo sono, ma non si può certo rifiutare un
invito di papi Hellenton, dico bene? >>
Lei
annuì, mascherando con un sorriso il suo stupore: sul serio
era stato suo padre ad invitarlo? Se era vero, era davvero molto
strano.
<<
Allora, che si fa per divertirsi in posti come questi? >>
chiese il coreano guardandosi intorno.
<<
Bé, si chiacchiera di sport, finanza, musica, teatro, arte,
design o moda. E se conosci le persone giuste puoi anche scoprire
qualche pettegolezzo piccante >> commentò
ironica la giovane. << Oppure, come nel mio caso, si
cerca di evitare scocciatori indesiderati affogando il fastidio
nell’alcool. >>
Hwoarang
inarcò le sopracciglia per niente soddisfatto.
<< E’ una rottura di coglioni colossale,
quindi. >>
<<
La parte in cui affoghi il fastidio nell’alcool dopo un
po’ diventa divertente >> rise Charlie.
<<
Bé >> acconsentì alzando le spalle
il giovane. << Che alcool sia, allora. >>
Raggiunsero il
bancone riuscendo ad evitando ogni ricco magnate
dell’industria o le loro pettegoli mogli, ma cosa ancor
più piacevole per Charlie, non c’era traccia di
Raul. La ragazza, infatti, non aveva dimenticato la sua possibile
dichiarazione annunciatale da Camila qualche tempo prima, e ad esserne
sincera volevo proprio evitarla.
<<
Due tequila con ghiaccio >> ordinò il rosso,
con un ammaliante sorriso alla barista.
Charlotte
sorrise scuotendo divertita la testa, anche se, osservandolo bene il
giovane coreano non era niente male, soprattutto con indosso
quell’elegante completo nero con tanto di giacca, sotto la
quale si potevano intravedere i suoi tonici pettorali messi
in risalto da un’aderente maglietta grigia.
<<
Che guardi biondina? >> domandò il coreano con
un sorriso malizioso.
<<
Ho notato che finalmente ti sei deciso a indossare qualcosa che possa
definirsi abito. >>
<<
Perché, cos’hanno i miei vestiti abituali?
>>
<<
Cos’hanno? Stai scherzando vero? Vogliamo parlare di quei
cosi da cowboy che spacci per jeans o di quella sotto specie di gilet?
>>
<<
Le ragazze li trovano molto sexy. >>
<<
Io per niente. >>
<<
Tsé >> la prese in giro lui con finta aria di
superiorità. << Dovevo aspettarmelo da una che
non si sa divertire. >>
<<
E chi ti dice che non lo sappia fare? >>
<<
Che sei qui invece che là >> rispose Hwoarang
indicando il soffitto, per intendere la discoteca al piano superiore.
<<
Touché >> si dichiarò sconfitta la
bionda.
<<
Una di queste sere ti farò vedere come ci si diverte dalle
mie parti. >>
<<
Per caso mi stai chiedendo un appuntamento? >>
domandò sorridendo lei.
Il coreano
avrebbe voluto rispondere con una frase ad effetto, ma fu costretto a
trattenersi per l’arrivo di Adam Hellenton, accompagnato da
un secondo uomo leggermente più basso ma comunque
elegante e ben piazzato fisicamente.
<<
Charlotte, vedo che hai già conosciuto Hwoarang
>> le disse suo padre facendo poi un cenno verso il suo
compagno. << Ti presento allora Beak Doo San, suo maestro
e mio vecchio amico. >>
<<
E’ un piacere signor Doo San >>
salutò la giovane porgendogli la mano.
<<
Lo è anche per me. Spero che il mio allievo sia stato una
compagnia piacevole. >>
<<
Molto, è davvero un ottimo intrattenitore. >>
Beak
annuì soddisfatto, poi Adam facendo cenno verso alcuni
divanetti liberi propose << Perché non ci
sediamo? >>
Tutti
accettarono di buon grado e una volta accomodatisi Charlotte
domandò << Lei di cosa si occupa signor Doo
San? >>
<<
Sono un maestro di Tae Kwon Do per conto dell’esercito
coreano. >>
<<
Interessante. Mi stupisce papà che tu abbia come vecchi
amico un maestro di arti marziali dell’esercito, come vi
siete conosciuti? >>
<<
All’epoca Beck non era un militare, diciamo che lavorava in
proprio >> spiegò Hellenton senza scendere
troppo nei dettagli, cosa che lasciò perplessa la figlia.
Nell’ultimo periodo suo padre troppo spesso non scendeva nei
dettagli.
<<
Capisco. E cosa vi porta qui dalla Corea? Ho sentito dire che
l’esercito là è molto rigido, raramente
concede licenze >> continuò la giovane.
<<
Bé, il mio servizio militare è finito qualche
settimana fa >> intervenne Hwoarang, mentre il suo
maestro aggiunse << Siamo qui per partecipare
all’Iron First Tournament, suppongo tu ne abbia sentito
parlare. >>
L’Iron
First Tournament.
Certo che ne
aveva sentito parlare, anzi ultimamente se ne era interessata anche fin
troppo.
Immediatamente
i suoi pensieri corsero a Jin Kazama ed irritata gli
scacciò, adesso non era proprio il momento, poi con non
curanza rispose << Vagamente, non me ne sono mai
interessata più di tanto. >>
Per un attimo
Charlie pensò che suo padre percepisse la sua menzogna, ma
quando l’uomo non diede nessun segno che potesse far pensare
che l’avesse scoperta, tirò un sospiro di sollievo
tranquillizzandosi. Non che ci fosse niente di male
nell’occuparsi del Tekken, infondo erano sempre alla ricerca
di buoni combattenti e al torneo partecipavano solo i migliori,
soltanto che sbandierarlo ai quattro venti avrebbe senza dubbio
scatenato un lungo interrogatorio sul perché di questo suo
novo interesse e Charlotte non voleva certo confessargli che era dovuto
a Jin, soprattutto dopo la reazione di suo padre al solo sentire il
nome del ragazzo.
Continuarono a
chiacchierare ancora per diversi minuti, Beak era un oratore eccellente
e anche Hwoarang nonostante la sua improvvisa serietà,
probabilmente dovuta al capostipite della famiglia Hellenton,
intervenne con qualche battuta.
La ragazza
pensò che tutto sommato non era stata una cattiva idea
evitare la discoteca: stava passando una discreta serate e non
c’erano tracce di Raul, o almeno non fino a quel momento. Fu
per puro caso, infatti, che intravide tra le numerose persone presenti
quell’irritante e perfetto volto dai gelatinanti cappelli
scuri del giovane Toledo, che le fece roteare gli occhi nervosamente.
Okay, era arrivato il momento di sparire velocemente e senza dare
nell’occhio, l’ultima cosa che voleva era che lo
spagnolo si accorgesse di lei e decidesse di iniziare con la sua bella
dichiarazione, magari pure davanti a suo padre: anzi
sicuramente l’avrebbe fatta con Adam Helenton lì
presente, quel subdolo sapeva che in quel modo lei non avrebbe mai
potuto rifiutarlo.
<<
Volete scusarmi? Ho visto mia madre e vorrei andarle a farle compagnia
>> si congedò la ragazza.
<<
Certamente, è stato un piacere conoscerti >>
la salutò Beak.
<<
Anche per me, arrivederci. >>
Sorridendo
agli ospiti appena lasciati Charlie si mescolò tra i vari
invitati, stando ben attenta a mettere più distanza
possibile con Raul. Saltò per almeno une decina di minuti da
un conoscente all’altro fino a che finalmente raggiunse
l’ampia terrazza attraverso la quale si poteva scendere nei
giardini. Assicurandosi che nessuno la vedesse scese i gradini ed una
volta nel cortile si incamminò verso la piscina: almeno
lì forse sarebbe potuta stare tranquilla.
Decisa a
passare in quel luogo il resto della serata si sedette su una delle
sdraie ad osservare il cielo: era di un blu così intenso da
lasciare senza fiato, sarebbe potuta stare ad ore ad osservare qui
piccoli puntini luminosi e probabilmente lo avrebbe anche fatti se
qualcosa non le avesse toccato la spalla facendola sussultare.
Spaventata si
voltò verso ciò che l’aveva aggredita,
pronta a urlare, ma quando quel qualcosa entrò nel suo campo
visivo ciò che vide la lasciò a bocca aperta: era
Jin Kazama.
<<
Jin?! >> sussurrò lei portandosi una mano al
cuore. << Mi hai spaventa morte! Che ci fai qui?! Come..
Come hai fatto a superare la sicurezza?! >>
<<
Non qui >> le disse lui facendole segno di seguirlo.
<< Non dovrei essere qui.. >>
Charlotte
seguì il ragazzo fin sotto il piccolo gazebo posizionato al
lato della piscina: da lì nessuno all’interno
dell’edificio avrebbe potuto vederli, nel caso in cui
qualcuno si fosse affacciato, infatti, avrebbe soltanto intravisto il
tettuccio di vimini della struttura.
<<
Perché sei qui? >> domandò Charlie,
una volta che si furono fermati.
Jin si
voltò verso di lei, ed immediatamente un misto di sensazione
contrastanti l’avvolsero lasciandola completamente spiazzata.
<<
So che non dovrei essere qui. Mi rendo conto che sto facendo un
grandissimo errore, oltre a non rispettare l’accordo preso
con tuo padre, ma.. >>
<<
Hai un accordo con mio padre?! >> lo interruppe lei,
venendo però ignorata da Jin, il quale continuò
<< ma non posso starti lontano.. So che dovrei farlo per
proteggerti e lo vorrei davvero, ma.. Non ci riesco.
<< Non so spiegarti perché. Io vorrei starti
lontano, ma.. C’è qualcosa, non so cosa, ma mi
spinge verso di te. Lo so che sembra assurdo, ma io finisco sempre per
cercare te.. Sei come una calamita, mi attrai a te e nonostante provi
ad oppormi, non riesco a farlo.
<< Come la notte in cui ti ho salvata: non so
perché ero lì, non ero mai stato in quella via.
Però quella sera qualcosa mi spinse a uscire e a
raggiungerti.. Sapevo esattamente dove ti trovavi, sapevo che eri in
pericolo e che dovevo
aiutarti. >>
Charlotte
ascoltò ogni singola parola trattenendo il fiato, aveva la
mente in tumulto e il cuore le batteva all’impazzata.
Qualsiasi
persona sana di mente sicuramente si sarebbe spaventata di fronte ad
una rivelazione del genere, reputandolo un maniaco psicotico, ma non
lei. Dentro di sé Charlie sapeva che non aveva niente da
temere, nel suo profondo sentiva quella stessa inspiegabile attrazione
che la spingeva verso di lui.
<<
Ti sembrerò un pazzo, ma ti assicuro che.. >>
iniziò a dire Jin, ma la giovane non lo ascoltò.
D’impeto
Charlotte si gettò tra le sue braccia e per un attimo Kazama
rimase immobile, senza sapere cosa fare: era passato molto tempo
dall’ultima volta che qualcuno l’aveva abbracciato.
Poi lentamente fece scivolare le sue braccia intorno alla vita di lei,
sorprendendosi di quanto gli risultasse facile stringere a
sé quella perfetta sconosciuta, di come sembrasse che le sue
braccia fossero fatte per aderire perfettamente intorno a lei, di come
quel contatto gli provocasse un piacere inteso.
E come
già una volta era successo Jin percepì quel
candido calore avvolgerlo. Per un attimo temette che l’Essere
dentro di sé potesse liberarsi, ma egli non si mosse, quasi
fosse rimasto stordito, come se fosse assopito.
E per la
seconda volta nella sua vita Jin Kazama si sentì normale.
Normale come
qualsiasi altra persona al mondo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** The Mishima's Blood ***
The
Mishima’s Blood
Al
suo risveglio, il giorno successivo, Charlotte si sentì
riposata e tranquilla come non le capitava ormai da tempo.
Tutte le sue
preoccupazioni e ansie sembravano essere sparite come polvere al vento
e la giovane aveva la sensazione che il merito fosse tutto di Jin
Kazama.
Ancora
stentava a crederlo, ma quel ragazzo riusciva ad influenzarla
così tanto che al solo pensiero della notte appena trascorsa
un sorriso le increspava le labbra, un sorriso del tutto insensato, se
ci pensava bene, dal momento che non era successo niente di eclatante o
incredibile, eppure ogni volta che il ricordo riaffiorava non riusciva
a trattenersi.
Il bussare
alla porta la riportò drasticamente con i piedi per terra e
lei e a malincuore scese dal letto per andare ad aprire.
<<
Amalia, buongiorno >> la salutò Charlotte
stropicciandosi gli occhi.
<<
Santo cielo Charlie >> esclamò contrariata la
governante. << Sei ancora a letto?! Sai che ore sono?
>>
La ragazza
scosse la testa sbadigliando, facendo alzare gli occhi al cielo alla
donna, la quale aggiunse << Sono quasi le dodici e
trenta! Non sta bene che una signorina rimanga a dormire fino a
quest’ora.
<< Forza, fila a farti un bagno. Subito! >>
Charlie
sbuffò rientrando nella stanza e dirigendosi verso il bagno
dove, con molta calma, riempì la vasca d’acqua e
sapone, ascoltando distrattamente Amalia chiacchierare.
<<
Come è stata la festa di Maxi? >>
<<
Interessante >> rispose lei sorridendo.
<<
Interessante? Strano modo di definire una festa. Soprattutto se si
stratta del compleanno di Maria Ximena. >>
La giovane
rise, immergendosi tra la schiuma profumata e tornando inevitabilmente
alla sera precedente:
Sembrò
passare un’eternità, poi Charlie si sciolse
dall’abbraccio di Jin sentendo il cuore batterle
all’impazzata. Gli occhi di lui incrociarono i suoi e la
giovane era sicura che se avesse ascoltato attentamente avrebbe sentito
anche il suo cuore fremere.
<<
Credevo non volessi più incontrarmi >> gli
sussurrò.
<<
E’ così. >>
<<
Però sei qui. >>
<<
Non posso farne a meno. >>
Charlotte
trattenne il respiro assaporando il piacere che quelle parole le
provocavano, era stupido, ma si sentiva come un’adolescente
al suo primo amore. Lentamente portò una mano al suo cuore,
ed immediatamente il familiare calore che durante i suoi sogni
l’avvolgeva comparve fluendo verso di lui, il quale chiuse
gli occhi poggiano la sua mano su quella di lei, sospirando.
Charlie
osservò il volto di Jin: sembrava rilassato, non
c’era traccia della costante inquietudine che lo incupiva e
la giovane si trovò a pensare che fosse davvero molto bello.
<<
Non hai idea di come tu mi faccia sentire >> le disse
improvvisamente.
<<
Spiegamelo >> sussurrò la ragazza
avvicinandosi di qualche passo.
Di
riflesso anche Jin si mosse verso di lei e i due si trovarono
così vicini da poter sentire l’uno il respiro
dell’altra. Charlie alzò il volto incrociando i
suoi occhi pervinca in quelli nocciola di lui e sorridendo
sussurrò << E adesso? >>
Le
labbra del ragazzo si incresparono avvicinandosi poi al suo volto.
Charlotte trattenne il respiro nell’attesa che le lebbra di
lui toccassero le sue ed il suo cuore per poco non si infranse quando
con delicatezza Jin l’allontanò da sé.
<<
Prima devi sapere.. >> le disse. <<
Potresti cambiare idea poi.. >>
<<
Cosa? >>
Il
giovane si guardò intorno, poi rispose << Non
ora, non qui.. >>
Charlie
sentì la mano di lui stringere appena la sua, per poi
lasciarla andare e allontanarsi.
<<
Questa volta non scomparirai, vero? >> gli chiese con
apprensione.
<<
No, se tu non lo vorrai. >>
E Charlotte
era sicura, senza ben sapere come, che non lo avrebbe mai desiderato.
<<
Charlie mi stai ascoltando? >> esclamò Amalia
dalla stanza adiacente, riportando la ragazza drasticamente alla
realtà.
<<
Si, certo.. >>
Charlie non
poteva vederla, ma era più che sicura che la donna avesse
appena alzato gli occhi al cielo, conscia di essere stata completamente
ignorata.
<<
Scusa, ero distratta >> aggiunse quindi la giovane,
uscendo dalla vasca e tornando in camera.
<<
Me ne sono accorta, è da quando ti sei svegliata che hai la
testa tra le nuvole. E’ successo qualcosa che dovrei sapere?
>>
<<
Cosa? No! >> si affrettò a rispondere la
Hellenton, facendo ridere la governante che aggiunse <<
C’entra per caso un ragazzo? >>
<<
Bé, veramente.. >> iniziò a dire la
ragazza, mordendosi però il labbro quando si rese conto di
non aver nessuna convincente risposta da dare.
<<
Come immaginavo. E deve essere anche speciale per farti questo effetto,
dimmi, chi è? >>
Charlotte
sospirò, arrendendosi, era inutile tentare di mentire ad
Amalia, era la sua governante praticamente da sempre e la conosceva
meglio di chiunque altro.
<<
Nessuno di cui ti abbia mai parlato. >>
<<
Interessante. E com’è? >>
<<
Lui è.. È diverso.. Speciale >>
rispose lei giocherellando con la biancheria nel suo cassetto.
A quelle
parole Amalia smise di rassettare il letto voltandosi verso la giovane,
era la prima volta che la sentiva parlare di qualcuno così,
in modo dolce, quasi nostalgico.
<<
Ad ogni modo >> esclamò improvvisamente
Charlotte. << E’ meglio che mi prepari o
farò tardi per pranzo. >>
Velocemente si
vestì, poi dopo aver recuperato una borsa e avervi messo
dentro portafoglio, cellulari e chiavi, uscì dirigendosi
verso il garage.
Durante il
tragitto incontrò Armand a cui chiese di informare sua madre
che sarebbe uscita, poi raggiunta la destinazione accese le luci
osservando le numerose automobili parcheggiate nel locale: una delle
svariate passioni di Adam Hellenton erano, infatti, le auto sportive.
Dopo averle
studiate una ad una la sua scelta ricadde sulla Mercedes Guardian e
dopo aver mandato un sms a suo padre per informarlo partì,
diretta verso la mal messa palazzina di Jin Kazama.
Pur non amando
particolarmente la velocità, soprattutto se al posto di
guida c’era lei, viaggiò rasentando i 100
kilometri orari e una volta a destinazione sperò che il
ragazzo non avesse già iniziato a pranzare, data
l’ora.
Dopo aver
parcheggiato raggiunse l’entrata che, anche quella volta,
trovò aperta ed una volta al terzo piano bussò
all’appartamento numero 21.
Passarono
pochi minuti e la porta si aprì lasciando la ragazza senza
fiato: Jin aveva addosso soltanto un asciugamano legato in vita.
<<
Charlie >> la salutò lui sorpreso.
<<
Ehi.. >> rispose la giovane riprendendo a respirare.
Un
imbarazzante silenzio scese tra i due, i quali distolsero lo sguardo
l’uno dall’altra senza sapere cosa dire, infine
Kazama domandò << Ti va di entrare?
>>
<<
Si, volentieri. >>
Una volta
dentro il primo particolare che saltò agli occhi di lei fu
la cornice in argento che gli aveva regalato, poggiata sul basso
tavolino nel salotto e che nuovamente conteneva la foto della donna.
<<
Scusami, ero sotto la doccia >> le disse Jin dirigendosi
verso la camera. << Non mi aspettavo visite.
>>
<<
E‘ colpa mia >> rispose lei, avvicinandosi al
piccolo tavolo. << Avrei dovuto avvisare.
>>
<<
Non fa niente. Solo che non ho niente da offrirti, devo ancora passare
dal supermercato. >>
<<
Meglio così, tanto avevo intenzione di andare a pranzare
fuori >> lo informò la giovane, osservando il
volto della figura nella foto.
Più
guardava quella donna, più quel familiare e piacevole calore
l’avvolgeva facendole provare una sensazione di benessere che
in nessun altro modo riusciva a provare.
<<
A pranzo fuori? E’ parecchio che non vado in un ristorante
>> disse il ragazzo uscendo dalla camera e fermandosi ad
osservare Charlotte sfiorare delicatamente il vetro della cornice.
Sentendo la
voce di Kazama la giovane alzò il volto incrociando gli
occhi scuri di lui, il quale sorridendo aggiunse << Era
un peccato non usare un regalo così bello. >>
Le labbra di
Charlie si incurvarono appena, continuando ad osservare quel delicato
profilo che fin troppo spesso aveva visto nei suoi sogni, poi quasi
incerta chiese << Posso farti una domanda?
>>
Lui
annuì.
<<
Chi è questa donna? >>
Jin le si
avvicinò prendendole la cornice dalle mani ed accarezzando
con dolcezza il vetro rispose << Mia madre, Kazama Jun.
>>
Jun
Kazama.
Tutto
d’un tratto Charlie si sentì come se avesse
ritrovato una vecchia amica, inspiegabilmente quel nome le dava la una
sensazione di familiarità, come se da molto tempo lo
conoscesse, ma fino ad allora fosse rimasto sepolto nella sua memoria.
<<
Perché me lo chiedi? >> domandò poi
il ragazzo.
<<
Io.. >> iniziò a dire la Hellenton senza
sapere cosa rispondere.
Cosa gli
avrebbe detto? Che negli ultimi due mesi sua madre le era apparsa in
sogno chiedendole di proteggerlo da chi sa cosa? Che ogni volta che
qualcosa la metteva in pericolo lei le sussurrava quelle parole
melodiose inondandola di un calore sovrannaturale?! Certo, poteva anche
farlo, se voleva passare per pazza psicotica quello era proprio il modo
giusto.
Non poteva
raccontargli la verità, non adesso almeno. Non sapeva
abbastanza di Jin per prevenire una sua eventuale reazione, inoltre,
dopo tutta la fatica che aveva fatto per avvicinarsi a lui non poteva
permettersi di mandare tutto all’aria, non ora.
Così
Charlotte scosse semplicemente la testa e facendo spallucce rispose
<< Le somigli molto. >>
<<
Credi? Lei diceva sempre che assomigliavo a mio padre >>
disse con amarezza lui, rimettendo la cornice al suo posto.
<<
Ed è vero? >>
<<
Mi piace credere che non lo sia. >>
La ragazza
osservò il volto di Jin: c’era risentimento nei
suoi occhi e rabbia. Quasi come incolpasse se stesse per essere figlio
di suo padre, quasi come fosse responsabile dei suoi natali, quasi come
credesse di non aver fatto abbastanza per cambiare le cose.
Charlotte gli
poggiò una mano sul braccio facendolo voltare verso di lei e
per la seconda volta nel giro di poche ore si trovarono così
vicini da poter sentire l’uno il respiro
dell’altra.
Era una bella
sensazione trovarsi a così poco dal volto di lei, Jin
adorava perdersi in quei profondi occhi color pervinca e delicatamente
le sfiorò la guancia con le dita, accarezzandole poi il
labbro inferiore ed osservandolo incurvarsi ad ogni suo tocco.
<<
Sai >> gli sussurrò Charlie. <<
Adesso dovresti baciarmi.. >>
Kazama
sorrise, scuotendo appena la testa.
In altre
circostanze l’avrebbe senza dubbio fatto, se fosse stato un
ragazzo normale non avrebbe avuto nessun problema a stringerla tra le
braccia e darle ciò che gli chiedeva, ma lui non era un
ragazzo normale e non poteva permettersi il lusso di comportarsi come
tale. Soprattutto non con l’Essere che da dentro di lui
premeva costantemente per fuoriuscire.
Aveva
già messo abbastanza in pericolo la ragazza: era andata a
cercarla pur sapendo che non avrebbe mai più dovuto vederla;
aveva iniziato a frequentarla consapevole del rischio che le faceva
correre con il suo Demone; aveva ceduto alla tentazione che come un
ossessione lo chiamava, perché incapace di dominarla. Non
avrebbe messo a repentaglio la sua sicurezza ancora una volta,
lasciandosi andare alle debolezze della carne, non adesso almeno, non
finché non fosse stato sicuro di poterlo controllarlo.
Così,
anche se con molta fatica, Jin le poggiò le labbra sulla
fronte, accennando un leggero bacio e separandosi da lei.
Charlie
sbuffò, pur sentendo il cuore batterle a mille: desiderava
qualcosa di più, di più intenso, ma per il
momento a quanto pareva doveva accontentarsi di quello.
<<
Non dovevamo andare a pranzo? >> le chiese poi lui
ridendo.
La giovane
alzò gli occhi al cielo sorridendo e dopo aver recuperato la
sua borsa rispose << Ti piace il cibo italiano Jin
Kazama? >>
Lui
annuì.
In sua
compagnia avrebbe mangiato qualsiasi tipo di cibo straniero.
Sebbene Jin
non amasse particolarmente la cucina estera, trovò il cibo
italiano davvero delizioso, così come lo svolgersi del
pranzo. Charlie era una compagnia eccezionale e nonostante lui non fu
mai di molte parole, la ragazza non sembrò infastidita, ma
continuò a parlare del più e del meno senza
problemi, arrivando fin troppo presto alla fine del pranzo.
<<
Adesso che facciamo? >> domandò la giovane una
volta fuori dal ristorante.
<<
Dovresti riprendere i soldi che mi ha dato tuo padre >>
insistette Jin per l’ennesima volta.
Da quando
erano partiti, infatti, il ragazzo aveva tentato in tutti i modi di
restituire l’assegno che Adam Hellenton gli aveva dato in
cambio della sua promessa di stare lontano da Charlie, con scarso
successo.
<<
Jin ne abbiamo già parlato, non lo voglio >>
rispose lei, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa da fare.
Secondo
Charlotte, infatti, era inutile riavere indietro il denaro dal momento
che non avrebbe mai potuto restituirlo al padre senza farlo
insospettire, era quindi meglio che lo tenesse lui e lo utilizzasse a
suo piacimento senza farsi tanti problemi. Dal canto suo invece Jin
pensava che non fosse giusto poter beneficiare di quella somma dal
momento che non stava rispettando l’accordo preso.
<<
Devi riprenderlo. Tuo padre me lo ha dato a patto che ti stessi lontano
e non lo sto facendo >> continuò lui
porgendole il pezzo di carta.
<<
Non lo voglio. >>
<<
Ma sono un sacco di soldi per qualcosa che non sto facendo.
>>
<<
E allora? >> sbuffò la ragazza.
<< La mia famiglia non ha problemi finanziari, quindi
tieni quei soldi e facci ciò che vuoi. >>
Kazama la
guardò, non aveva intenzione di darsi per vinto,
così afferrandola per un braccio la portò di
fronte a sé e fissandola dritto negli occhi, ignorando il
familiare brivido percorrerli la schiena, le ordinò
<< Prendilo. >>
Charlie
spostò lo sguardo dall’assegno al volto del
giovane, poi poggiando la mano sul suo petto disse <<
Senti, non so perché mio padre voglia che tu mi stia lontano
e non mi importa, fatto sta che lui te li ha dati
perciò sono tuoi. Quindi adesso metti nel portafoglio
quell’assegno e non parliamone più, se
può aiutarti prendilo come un ringraziamento per avermi
salvata. >>
<<
Ma.. >>
<<
Non parliamone più. Adesso vieni, so dove possiamo andare
>> concluse lei dirigendosi verso l’automobile.
Jin
osservò stupito la ragazza allontanarsi, era davvero
incredibile. Non solo non aveva voluto indietro l’enorme
somma di denaro, ma non si era neanche fermata un attimo a pensare per
quale motivo suo padre voleva tenerla lontana da lui.
Non la
sfiorava minimamente la possibilità che lo stesse facendo
per il suo bene, che lui potesse essere un mostro. Stava lì
con quel suo favoloso sorriso come se si trovasse davanti un qualsiasi
normale ragazzo, senza neanche immaginare cosa in realtà lui
fosse.
<<
Che fai non vieni? >> lo chiamò lei.
Jin
annuì raggiungendola e quando fece per salire al posto del
passeggero lei lo fermò porgendogli le chiavi.
<<
Ti va di guidare? >>
<<
Non so dove dobbiamo andare. >>
<<
Non preoccuparti, ti farò da navigatore. >>
Il ragazzo
fece spallucce ed afferrando le chiavi mise in moto, verso la loro
destinazione.
Come Jin
scoprì durante il viaggio, la loro meta era Osaka e
più precisamente un edificio in particolare della
città, che la ragazza però non rivelò
finché non lo raggiunsero.
Charlotte,
infatti, aveva deciso di continuare l’appuntamento, se
così si voleva chiamare, all’insegna delle
sorprese e a Kazama sembrava non dispiacere affatto quel modo di
procedere.
<<
Parcheggia lì >> ordinò Charlie
indicando un punto poco distante da loro.
Lui
obbedì e una volta scesi la giovane esclamò
<< Ben venuto alla Cosmo Tower Observatory!
>>
Jin
osservò l’immenso grattacielo di fronte a
sé stupendosi della scelta fatta dalla sua compagna, viveva
in Giappone praticamente da sempre, ma non era mai entrato alla Cosmo
Tower.
<<
Andiamo? >> chiese lei incamminandosi verso
l’entrata.
L’interno
dell’edificio, alto 840 piedi, ospitava una
quantità incredibile di negozi, musei, ristoranti, sale
conferenze ed altro, ma non fu in nessuno di essi, ad eccezione di una
breve sosta ad uno Starbucks caffè, che si fermarono.
La meta di
Charlie era infatti l’osservatorio in cima alla torre che
raggiunsero grazie ad uno dei velocissimi ascensori in appena ottanta
secondi. Lei non aveva mai amato particolarmente trovarsi in posti
così altri, ma sin da piccola aveva sempre adorato quel
luogo, anche se era del tutto illogico. In particolar modo ad
affascinarla erano le enormi vetrate attraverso le quali era possibile
ammirare la città sottostante, la quale con il calare del
sole si illuminava di scintillanti e colorate luci, creando uno
spettacolo mozzafiato.
<<
Adoro questo osservatorio >> disse Charlotte
avvicinandosi ad una delle ringhiere posizionate davanti alle finestre.
<<
Non ero mai salito fin qua su. >>
La giovane si
voltò sorpresa verso di lui, ogni bambino era stato almeno
una volta su quella torre, era quasi un obbligo per i genitori
portarcelo.
<<
Davvero? >>
Jin
annuì poggiandosi al parapetto.
<<
E’ davvero bellissimo. >>
<<
Se adesso ti sembra bello, dovresti vedere di notte quando la
città è illuminata. >>
<<
Allora dovremmo tornarci una sera, non pensi? >>
Charlotte
sorrise poggiando una mano sulla sua e in quel momento tutto intorno a
loro sembrò sparire. Tutto ciò che gli
circondava, le persone, i suoni, il chiacchiericcio, non aveva nessuna
importanza, c’erano solo loro.
Jin
si perse osservando quei profondi occhi color pervinca così
rassicuranti e inconsciamente si trovò a pensare che forse
avrebbe potuto raccontarle tutta la verità, senza ben sapere
come, era sicuro che lei avrebbe capito, che non lo avrebbe giudicato
né considerato un mostro.
<<
Charlie.. >> iniziò a dire, senza
però sapere come continuare.
<<
Si? >>
<<
Io.. C’è qualcosa che devi sapere.
>>
La ragazza lo
guardò confusa, senza però interromperlo,
così lui guidandola in un punto più in disparte
rispetto ai numerosi visitatori continuò << Io
so perché tuo padre vuole che ti stia lontano ed ha ragione,
io.. Sono un mostro.. >>
<<
Jin, non è assolutamente.. >>
iniziò a dire Charlie, venendo però interrotta
dall’altro che abbassando lo sguardo continuò
<< Aspetta a dirlo, potresti cambiare idea una volta che
avrò finito. >>
<<
Non succederà. >>
<<
Ascolta prima di esserne così certa >> rispose
Kazama con un velo di malinconia nella voce. << Il mio
sangue proviene da una stirpe maledetta.. La mia famiglia, o meglio,
quella di mio padre possiede un gene che ci dona forza,
potenza, capacità sovrannaturali, ma ci tramuta in mostri.
In esseri spietati, assetati di sangue e vendetta.. >>
Più
le parole fluivano dalle sue labbra, più Jin sentiva
l’Essere dentro di sé gioire soddisfatto.
<<
Mio nonno, mio padre, io.. La nostra linea di sangue è
maledetta, così come la nostra progenie.
<< Siamo mostri che distruggono tutto ciò con
cui vengono a contatto. Siamo feroci, spietati e senza controllo..
>>
L’Essere
dentro di lui rise soddisfatto e con terrore il ragazzo lo
sentì agitarsi desideroso di fuoriuscire.
Jin.
Lo
chiamò con quella sua voce melliflua.
So
cosa credi di fare. Non te lo permetterò.
Nuovamente
l’Essere rise ed il giovane serrò la mascella,
doveva mantenere il controllo, non poteva permettergli di prendere il
sopravvento, non lì.. Non con tutte quelle persone presenti,
ma soprattutto non con Charlotte al suo fianco.
<<
Devo andare. >>
<<
Aspetta.. >> lo fermò Charlie prendendogli la
mani.
Con il suo
tocco Jin percepì un forte calore fluire verso il suo
Demone, il quale con rabbia ruggì, facendolo allontanare di
scatto da lei.
<<
Jin.. >> sussurrò la Hellenton.
<<
Devo andare.. Tu.. Io sono un pericolo per te.. >>
La presa
dell’Essere si fece sempre più salda, come una
morsa di ghiaccio intorno al suo cuore pulsante che lentamente, ma
inesorabilmente lo schiacciava, lo opprimeva.
<<
No, non lo sei. >>
<<
Si, invece! >> esclamò il ragazzo, notando gli
sguardi dei presenti spostarsi su di loro. << Tu non
capisci.. Io.. Non hai idea di cosa sono capace.. Potrei perdere il
controllo.. Sono un pericolo.. >>
Charlotte
percepì, come già in passato le era successo, un
freddo malessere crescere da dentro Jin ed immediatamente le tornarono
alla mente quei maligni occhi bianchi che con tanto disprezzo la
guardavano durante i suoi sogni.
Vide il
ragazzo stringere i pugni e fare lunghi respiri per controllarsi, lo
sentì irrigidirsi più volte e gemere di doloro,
mentre lo schiacciante e spaventoso freddo cresceva quasi soffocandola.
Ma
più quella sensazione oscura aumentava, più
dentro di sé il tenue, ma brillante calore si faceva spazio
aumentando poco a poco di intensità.
Charlotte.
Una delicata
voce la chiamò, era dolce, ma ferma allo stesso tempo e
proprio quelle note la fecero riscuotere dal suo torpore.
La ragazza,
infatti, afferrò la mano di Jin ed ignorando le sue proteste
lo trascinò con sé. Raggiunsero di corsa uno
degli ascensori entrando prima che chiunque altro potesse precederli,
poi schiacciò per il piano terra.
Al suo fianco
il giovane si poggiò alla parte e la disperazione si
impadronì di lui: perché lo aveva portato li?
Perché era rimasta con lui?! Stava rischiando, non sarebbe
riuscito a mantenere il controllo ancora a lungo e a quel punto cosa
sarebbe successo?
Vide la
giovane premere uno dei tasti sulla griglia ed improvvisamente
l’ascensore si fermò, la vide voltarsi verso di
lui e sentì il suo tocco delicato.
Ma
più le mani di Charlie gli trasmettevano quel piacevole
calore, più l’Essere dentro di sé
acquistava forza, lottando freneticamente.
No!
Lui rise,
risalendo con più velocità dal baratro interiore
in cui Jin cercava di rilegarlo.
Deve
essere distrutta.
Kazama si
lasciò scivolare a terra portandosi una mano alla testa.
E’
una minaccia.
Sentì
come qualcosa spaccarsi dentro di sé.
Non riusciva a
vedere la ragazza, ma immaginava che lo stesse guardando con orrore e
questa consapevolezza lo ferì, tanto da rafforzare la presa
del Demone su di lui.
Deve
essere eliminata.
Senza riuscire
a frenarsi Jin allungò una mano verso di lei, sul volto
tenuto basso si aprì un ghigno che non gli apparteneva, ma
che
Lui
lo aveva costretto ad assumere.
Sperò
con tutto se stesso che non l’afferrasse, che gli stesse
lontano, cercò di lottare contro la forza che lo
intrappolava, invano e quando le fredde dita di lei sfiorarono le sue
il Demone gioì soddisfatto.
Charlotte,
infatti, sentì come un richiamo spingerla verso quella mano
protesa verso di lei, sapeva che era pericoloso, ma non le importava.
Era sicura di se stessa, immersa in quel dolce calore che, adesso lo
sapeva, Jun le mandava e senza timore incrociò le dita in
quelle di lui.
Immediatamente
esse si serrarono intorno al suo polso e il giovane la
trascinò a terra a pochi centimetri dal suo viso, sul quale
una smorfia di sadica soddisfazione era dipinta. Ma Charlie non vi
badò, si concentrò su quegli occhi di ghiaccio
che con freddezza la scrutavano ed attraverso i quali riusciva a vedere
la malinconia dello sguardo nocciola di Jin.
<<
Jin >> lo chiamò.
Il ragazzo si
agitò allentando la presa sul polso di lei, la quale
però non si allontanò. Charlotte infatti prese
con mani tremanti il volto del giovane e guardandolo dritto negli occhi
gli sussurrò << Jin.. Devi essere forte.. So
che puoi farcela. Tu non sei così, non sei un mostro.
>>
<<
Charlie.. >>
<<
Sei buono, Jin. Io lo so. >>
Di riflesso
l’Essere le afferrò i polsi stringendogli con
forza, ma la razza non lo lasciò andare, continuando a
sussurrargli parole di conforto, parole incoraggianti.
In lotta con
se stesso Jin sentiva in lontananza la voce di Charlotte chiamarlo e
quel delicato suono in qualche modo, a lui sconosciuto,
riuscì a schiacciare la presenza del Demone, il quale quasi
disgustato allentò la presa.
Forte di quel
cedimento il ragazzo combatté con tutte le sue energie per
riprendere possesso della sua volontà, mentre la voce della
ragazza continuava a scaldarlo.
Charlotte vide
gli occhi di Jin cambiare progressivamente colore, tornando ad assumere
quella profonda tonalità nocciola ed un sorriso le
increspò le labbra quando lui, sbattendo le palpebre
tornò a metterla a fuoco.
<<
Jin >> gli sussurrò accarezzandogli le
guancie.
Il ragazzo la
guardò con timore, ma nei suoi occhi non vide niente di
tutto ciò che si era aspettato, c’era solo
sollievo, un sollievo disarmante.
<<
Mi dispiace.. >> disse lui sentendo la sua voce
incrinarsi.
Charlotte
scosse la testa e d’impeto lo abbracciò,
accogliendo il volto di lui sul suo petto ed accarezzandogli i capelli.
<<
Mi dispiace.. Mi dispiace.. >> ripeté Jin
stringendosi alla giovane.
La ragazza lo
sentì piangere silenziosamente e delicatamente gli
poggiò le labbra sulla testa, continuando a tenerlo contro
di sé.
Rimasero
così, in silenzio per chi sa quanto tempo, l’uno
tra le braccia dell’altra, immersi in quel torpore che la
compagnia reciproca gli causava, protetti da quel calore che lei
emanava.
<<
Questo è il sangue maledetto dei Mishima >>
disse infine Jin.
Ma a Charlotte
non importava.
In quel
momento c’era solo il cuore di Jin in sincronia con il suo e
nient’altro poteva interessarle.
..Spazio Autrice..
Hola
bella gente! Come va? Aperte le uova di pasqua?
Io
si e proprio in questo momento mi sto mangiando un bel pezzo di
cioccolata, alla faccia della line xD
Ma
comunque, parliamo di cose serie.
Ogni
tanto sbuco nuovamente con qualche aggiornamento che spero sempre
stuzzichi un po' la vostra attenzione.
Vi
dirò, per questo capitolo ho avuto davvero parecchi problemi
e tutt'ora, nonostante sia più che sicura di non poter fare
di meglio, ho ancora qualche dubbio. Ho notato infatti che le cose tra
Charlie e Jin stanno procedendo un tantino velocemente (soprattutto
secondo i miei standard), però non so se questo sia un male
o un bene, voi che ne pensate?
Sono
alquanto perplessa, ho proprio bisogno di qualche consiglio..
Così
tanto per curiosità: la Mercedes Guardian citata nella prima
parte del capitolo, se qualcuno se lo stesse chiededno, è
l'automobile di Bella in Breaking Dawn xD
Cosa
altro aggiungere, un enorme grazie a tutti coloro che continuano a
seguire questa storia, spero non vi deluda.
A
presto!
Raika
<3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** La Famiglia Kazama ***
La
Famiglia Kazama
Livello di sicurezza 6.
Accesso
Negato.
Charlotte
sbuffò innervosita.
Detestava quel
dannato livello di sicurezza e ancora di più non potervi
accedere.
Indispettita
fissò lo schermo del computer, dove le parole “Jun
Kazama” si stagliavano a caratteri cubitali, come a deridere
il suo misero account non autorizzato e sempre più irritata
chiuse il portatile, sbattendolo con poca cura.
Aveva i nervi
a fior di pelle, non solo aveva scoperto che, senza alcun motivo
logico, nei database della compagnia c’erano file su Jin e
tutta la sua famiglia, ma adesso che voleva consultarli non poteva
farlo perché nel suo stupido account non era previsto
l’accesso al livello sei.
Il miagolio di
Ra irritò ulteriormente la ragazza, la quale
cercò di ignorarlo. Quel gatto era stata una condanna,
più ci pensava più si convinceva
dell’errore fatto nel portarlo a casa.
« Ra
sta un po’ zitto!» esclamò esasperata
Charlie.
Doveva
riflettere e l’insistente ed esasperante miagolio non
l’aiutava affatto.
Il micio la
fissò offeso e per vendetta saltò sulla libreria
facendo cadere tutto ciò che c’era sopra.
«
Ra!» urlò Charlotte scattando in piedi, mentre
l’animale si sistemò soddisfatto in cima al
mobile. « Stupido gatto!»
Imprecando
silenziosamente riunì i vari libri e oggetti a terra e tra
di essi trovò qualcosa che le diede un’idea su
come trovare le informazioni che le servivano.
«
Per questa volta ti è andata bene» disse a
mo’ di minaccia alzando gli occhi verso il micio, per poi
recuperare il suo cellulare.
Ci mise un
po’ prima di comporre il numero desiderato, infondo era da
molto tempo che non lo faceva e dal modo in cui si erano conclusi i
loro rapporti non era molto sicura di volerlo sentire nuovamente.
Però che altra scelta aveva? Se davvero voleva qualche
informazione su Jun Kazama l’unica cosa da fare, sorvolando
l’improponibile opzione di domandare al figlio, era chiedere
aiuto a Jimmy Fong.
Charlie
sospirò e lentamente compose il numero.
Il cellulare
all’altro capo squillò per molto tempo, anche
più del dovuto probabilmente, e quando la giovane si
convinse che nessuno ormai le avrebbe risposto, una calda voce che fin
troppo bene conosceva disse « Pronto.»
«
Ciao Jimmy, sono Charlie.»
Per diversi
attimi il ragazzo all’altro capo del telefono rimase in
silenzio, poi dopo quella che alla giovane sembrò
un’eternità, rispose «
Charlotte.»
«
Come stai?»
«
Che ti serve?» chiese lui di rimando.
«
Perché pensi che mi serva qualcosa?»
domandò ferita lei, davvero credeva che lo avrebbe chiamato
soltanto per necessita? Anche se effettivamente era per il suo aiuto
che lo aveva cercato, questo non significava certo che si ricordava di
lui soltanto nel momento del bisogno.
«
Andiamo Charlie» disse Jim e alla ragazza sembrò
quasi di sentirlo sorridere. « Sono passati quattro anni
dall’ultima volta.»
« Lo
so, mi dispiace.. Io ho..»
«
Risparmiami patetiche scuse come: “ho avuto da
fare” o “sono stata
impegnata”.»
« Mi
dispiace, scusami.»
Jimmy
sospirò, dispiaceva anche a lui.
«
Dai Charlie, che ti serve?»
«
Lavori ancora per l’Interpool?»
«
Si..»
«
Puoi procurarmi informazioni su Jun Kazama?»
«
Si, certo. Per quando ti servono?»
« Il
prima possibile.»
«
Okay, ti farò sapere in questi giorni.»
«
Grazie Jim.»
« Di
niente.»
Per alcuni
attimi nessuno dei due parlò, incapaci di aggiungere altro o
semplicemente attaccare, poi rassegnatosi il ragazzo concluse
« Ci sentiamo presto.»
«
Si. Ciao Jim.»
«
Ciao Charlotte.»
Come Jimmy le
aveva promesso, nel giro di pochi giorni trovò le
informazioni richieste e in un caldo pomeriggio Charlie si
trovò seduta nello stesso caffè in cui
più di quattro anni prima aveva incontrato la giovane
recluta Jimmy Fong.
Era
un assolato pomeriggio di inizio autunno e Charlotte, al limite della
sua pausa pomeridiana stava tornando verso il suo istituto, per
affrontare l’interminabile lezione di economia aziendale, la
quale, data la vivace tonalità funebre della docente,
richiedeva una dose doppia di caffè per essere superata.
La
ragazza camminava con deliberata lentezza, pensando ad almeno un
centinaio di modi in cui avrebbe preferito passare quel pomeriggio, ma
a cui doveva rinunciare per quella noiosa lezione.
Charlie
detestava profondamente economia aziendale e non solo perché
la vivacità della professoressa era pari a quella di un
bradipo in fin di vita, ma perché per due lunghissime ore
avrebbe dovuto affrontare noiosissimi calcoli di bilanci e leggi
giuridiche in chiave economica, che ad una sedicenne interessavano ben
poco.
“Stupido
Teorema della Ragnatela” pensò la giovane,
immaginando il tono strascicato con cui la sua professoressa
l’avrebbe pronunciato.
Facendo
una smorfia al solo pensiero la ragazza guardò
l’orologio, aveva ancora tre minuti per arrivare in orario
e.. Bum!
«
Brucia! Brucia! Brucia!» imprecò Charlotte
gettando a terra il bicchiere che, prima che finisse sulla sua
camicetta, conteneva il suo caffè.
«
Oh Dio! Scusami! Scusami tanto! Io andavo di fretta e non ti ho vista,
scusami davvero. Stai bene?» chiese qualcuno mettendole una
mano sulla spalla.
Charlie
alzò lo sguardo incontrando il volto di un giovane ragazzo
dai gentili occhi celesti, il quale le sorrise dispiaciuto.
«
Scusami davvero. Ti sei fatta male?»
Lei
scosse la testa, ma quando il ragazzo abbassò lo sguardo
sulla camicetta macchiata esclamò « Mi dispiace
tantissimo, è rovinata.»
«
Non fa niente, posso sempre lavarla.»
Lui
annuì, poi togliendosi la sciarpa aggiunse «
Prendi questa, puoi nascondere la macchi almeno.»
«
Grazie» rispose Charlie permettendogli mettergliela.
«
Perfetto» disse soddisfatto. « Adesso scusa, ma
devo scappare sono in tremendo ritardo.»
«
Si, anche io» annuì la giovane. « Ehi
aspetta, ma come farò a restituirtela?»
Il
giovane fece spallucce. « Credo proprio che dovremo
rivederci.»
Charlotte
sorrise. « Si, penso anche io. Domani?»
«
Qui?»
«
Si.»
«
Allora a domani.. Scusa, ma non ho afferrato il tuo nome.»
«
Charlotte..»
«
Io sono Jimmy.»
« Sei in
anticipo» disse una calda voce riportandola al presente.
« Di nuovo.»
«
No, sei tu che sei in ritardo anche questa volta.»
I loro occhi
si incontrarono e un sorriso malinconico si aprì sulle loro
labbra: si erano detti le stesse frasi di all’ora.
Per alcuni
attimi nessuno dei due parlò, scrutandosi a vicenda: lui
portava i capelli più corti, il suo fisico era
più tonico e al suo anulare sinistro stava una fedina; lei
aveva i capelli più lunghi, il suo volto si era affinato e
il suo stile nel vestire era diventato più elegante, ma i
suoi occhi non erano cambiati, oggi come all’ora erano di una
luminosità disarmante.
«
Jim io..» iniziò a dire Charlie, venendo
però interrotta da un cenno del ragazzo: non era
lì per rivangare sul passato.
«
Lascia stare..»
« No
invece, io ti devo delle scuse.»
«
Charlie sono passati quattro anni ormai..»
«
E’ proprio per questo che te le devo.. Io.. Avrei voluto
richiamarti Jim, davvero. Non hai idea di quanto avrei voluto farlo, ma
avevo paura del tuo giudizio, di quello che avresti pensato di
me..»
Jimmy
sospirò, sapeva che era una pessima idea rincontrarla, ma
non era mai stato capace di dirle di no, anche se quello significava
riaprire vecchie ferite.
«
Avevo diciassette anni, Jim. Ero una ragazzina.. Avevo paura che se ti
avessi detto che mio padre era uno degli uomini che disprezzavi tanto,
avresti odiato anche me.. Io.. Adesso mi rendo conto quanto sono stata
stupida, ma all’ora mi sembrava giusto
così..»
«
Charlie» le disse lui allungando una mano per sfiorare quella
di lei. « L’ho superata orami.»
La giovane
annuì sorridendo tristemente, mentre Jim abbassò
lo sguardo.
In
realtà lui non aveva mai superato davvero tutta quella
storia, la verità era che non si era mai perdonato per non
averla mai più ricercata, per non averle detto che infondo
non gli importava niente di chi fosse suo padre, la verità
era che tutt’ora si pentiva di non averla riportata indietro
quando ne aveva avuto l’occasione. Ma questo non poteva
dirglielo, questo lei non l’avrebbe mai saputo,
perché quattro anni erano molti e troppe cose orami erano
cambiate, loro erano cambiati.
Il silenzio
cadde su di loro e nessuno dei due trovò niente da dire per
interromperlo: troppi ricordi aleggiavano tra di loro, troppe frasi non
dette gli separava, troppi rimorsi gli corrodeva e troppi rimpianti gli
agognava.
Soltanto
quando la cameriera venne a prendere le ordinazioni e tornò
con due caffè, si decisero a parlare.
«
Ciò che mi hai chiesto» disse Jimmy porgendole una
busta.
La ragazza
sorrise aprendola ed estraendo un fascicolo interamente dedicato a Jun
Kazama.
«
Grazie, Jim.»
L’agente
Fong la osservò leggere attentamente le informazioni che lui
le aveva consegnato e un insensata angoscia lo pervase: non era stato
per niente facile arrivare a quel file, aveva dovuto accedere a
database secretati e a livelli di sicurezza estremamente alti.
«
Charlie» chiese improvvisamente. « In che guaio ti
stai cacciando questa volta?»
Charlotte
alzò appena lo sguardo dal fascicolo e inarcando un
sopracciglio rispose « In nessun guaio.»
Lui
alzò gli occhi al cielo.
«
Charlie sai dove ho preso quel fascicolo?»
La ragazza
fece spallucce e Jim continuò « Era nei database
dell’Interpool, ma è stato preso hackerando i
sistemi della Mishima Zaibatsu. Hai idea di cosa significa?»
«
Che se i Mishima se ne accorgono siete nei guai?»
«
Che ti stai cacciando in qualcosa di molto pericoloso, tutto
ciò che ha a che vedere con quella famiglia porta solo
guai.»
«
Hai sempre avuto la tendenza a vedere le cose peggiori di quello che
realmente sono, Jim.» rispose lei con fina noncuranza.
Jimmy
alzò gli occhi al cielo esasperato, poi esclamò
« Charlie sono serio!»
Lei fece
spallucce, sapeva benissimo che mettersi sulla strada dei Mishima non
era raccomandabile, ma non le interessava. Al ragazzo invece
bastò guardarla negli occhi per capire che avrebbe comunque
continuato quel percorso, pericoli o meno e questo non poteva
permetterlo.
«
Perché non mi ascolti mai?! Perché devi essere
così maledettamente testarda!» esclamò
il ragazzo sbattendo le mani di fronte a sé. «
E’ stato un errore portarti quel fascicolo, forza
dammelo.»
Charlotte
sussultò, stringendo a sé i fogli. «
No.»
«
Charlie dammi il dossier.»
«
Non lo farò.»
«
Non costringermi a denunciarti all’Interpool.»
«
Fallo pure, ma cosa pensi diranno i tuoi superiori quando gli
dirò che sei stato tu a consegnarmelo?» rispose la
Hellenton.
Per diversi
attimi nessuno dei due parlò, gli occhi fissi in quelli
dell’altro, sfidandosi con lo sguardo, entrambi forti delle
loro convinzioni, entrambi decisi a non cedere.
Sembrò
passare un’eternità senza che nessuno battesse
ciglio, poi a rompere quel silenzio carico di tensione fu il cellulare
di Jim.
«
Fong» rispose il ragazzo, senza staccare gli occhi da
Charlie.
Charlotte
osservò il giovane annuire alle parole del suo interlocutore
misterioso e rispondere di tanto in tanto con informazioni del tutto
irrilevanti per lei, fino a che la chiamata non si concluse.
«
Si, tra un attimo sono da te» rispose Jim buttando
giù.
«
Lavoro?» domandò lei.
Il ragazzo
annuì, poi sospirando sconfitto aggiunse «
Charlie, ti prego, in qualsiasi cosa tu ti stia buttando, ti scongiuro,
lascia perdere.»
«
Non posso Jim.»
«
Perché?» chiese esasperato lui.
Perché?
Forse
perché quella donna di cui lui gli aveva dato informazioni
le appariva continuamente in sogno? Perché lei le chiedeva
continuamente di proteggere suo figlio? Perché non aveva la
più pallida idea da cosa dovesse proteggerlo?
Perché tutta quella situazione stava rischiando di mandarla
fuori di testa e l’unico modo per capirci qualcosa era
conoscerla meglio?
«
Perché devo.»
Jimmy scosse
la testa afflitto. Sapeva fin dall’inizio che incontrarla di
nuovo sarebbe stata una pessima idea, che farlo avrebbe riaperto
vecchie ferite e vecchi legami, ma non immaginava quanto ancora forte
potesse essere ciò che lo legava a lei.
« Ti
prego, promettimi che starai attenta» chiese alla fine,
sfiorandole la mano.
« Te
lo prometto. Fidati di me.»
Per
l’ennesima volta i loro sguardi si incrociarono, dicendo per
loro tutto ciò che non riuscivano a parole.
«
Fidati di me» insistette lei, sorridendo.
Jim scosse la
testa. « So già che me ne
pentirò.»
E con quel
sorriso ancora impresso nella mente Jimmy Fong uscì dal
locale.
«
Alla buon ora!» esclamò il suo collega una volta
che lui salì in auto. « Ce ne hai messo di tempo,
che accidenti stavi facendo là dentro?»
«
Niente» tagliò corto il ragazzo.
Lei Wulong
lavorava fianco a fianco con lui da diversi anni ormai e aveva imparato
a conoscere così bene il suo collega che bastava un semplice
sguardo per capire come stava e in quel momento Jimmy Fong non stava
affatto bene.
«
E’ tutto okay?»
«
Si, grazie.»
«
Sicuro?»
«
Si. Parti.»
Lei
annuì, sapeva che il suo amico si sarebbe aperto non appena
si fosse sentito pronto, anche se non immaginava che lo avrebbe fatto
così presto: infondo era pur sempre Jim.
«
Lei, posso chiederti un favore? Un favore da amico.»
«
Certo» rispose il detective, confuso.
«
Potresti tenere d’occhio una persona per me?»
«
Sicuramente» rispose il poliziotto, poi incuriosito aggiunse
« Posso chiedere perché non te ne occupi
tu?»
Jimmy non era
mai stato il tipo che scaricava i suoi problemi agli altri, quando
c’era qualcosa di cui occuparsi, volente o nolente, lo faceva
e basta.
«
Perché sono troppo coinvolto. Allora, puoi farlo?»
«
Si, certo. Dimmi il nome.»
Jim
sospirò.
«
Charlotte Hellenton.»
Esattamente
come Jimmy Fong poco prima, anche Charlotte lasciò il locale
per salire sulla sua auto e partire per qualche angolo del paese.
Come aveva
letto nel fascicolo la famiglia Kazama era proprietaria di un dojo ad
un paio d’ore d’auto da lì e la ragazza,
pur constatando che lo avrebbe raggiunto in molto meno tempo se avesse
aspettato il giorno successivo e fosse partita da casa sua, diede
ordine a Ricardo di mettersi in viaggio.
Per tutto il
tragitto Charlie lesse e rilesse il dossier fino ad impararlo quasi a
memoria, scoprì così, che Jun Kazama nacque in un
piccolo villaggio immerso nella natura e che proprio grazie alle sue
origini entrò nella Polizia Ambientale; partecipò
al secondo Iron Fist Tournament, dove conobbe Kazuya Mishima, dal quale
ebbe un figlio. Scomparve in circostanze misteriose quindici anni dopo
e da allora non si avevano più sue notizie.
Il fascicolo
custodito alla Mishima Zaibatsu però, oltre a racchiudere
informazioni sul passato della ragazza faceva anche riferimento ad
alcune strane capacità che lei sembrava avere. Erano tutte
informazioni appena accennate, niente di particolarmente approfondito,
ma il solo fatto che ci fossero fecero supporre a Charlotte che fossero
vere.
Raggiunsero il
dojo nel tempo prestabilito e quando Charlie scese dall’auto,
aiutata dal suo autista personale il caldo asfissiante
l’accolse, facendole rimpiangere di non aver
rimandato la visita ad un orario più fresco.
«
Grazie Ricardo. Va pure, ti chiamerò quando sarò
pronta.»
L’uomo
annuì e salendo in automobile ripartì.
Una volta
rimasta sola Charlotte si guardò intorno: si trovava in una
piccola e tranquilla cittadina, piuttosto carina tutto sommato, molto
diversa dalle caotiche metropoli che era abituata a frequentare, ma a
suo modo affascinante. Di fronte a lei si estendeva una maestosa
struttura in stile giapponese che si rivelò essere il dojo
della famiglia Kazama.
Senza pensare
minimamente a come si sarebbe presentata, né a come avrebbe
spiegato le sue bizzarre richieste Charlie entrò nella
struttura dove venne accolta da un’atmosfera di calma e
tranquillità.
Calma e
tranquillità che però vennero rotte pochi secondi
dopo da tre uomini, tutti elegantemente vestiti, che
trafelati se la stavano dando letteralmente a gambe.
« Ma
che accidenti..?»
« E
questo è tutto!» esclamò poi una voce
femminile proveniente dalla stanza adiacente, seguita dalla comparsa di
un quarto uomo, anch’egli elegantemente imbellettato,
letteralmente lanciato nell’atrio. « E non
azzardatevi a tornare!»
Il malcapitato
si alzò frettolosamente in piedi e senza neanche recuperare
le sue cose corse a rotta di collo verso l’uscita.
Charlotte
osservò la scena a bocca aperta e con cautela raggiunse
l’entrata che conduceva alla seconda sala.
La porta la
condusse in un’enorme stanza colma di attrezzi da
allenamento, all’interno della quale due giovani ragazze
stavano parlando tra loro.
«
Sai forse hai un pochino esagerato Asuka» disse una giovane
dai lunghi codini neri.
«
Esagerato un corno! E’ stato il minimo!»
esordì l’altra come una furia.
Charlotte si
schiarì la voce ed esitante chiese « E’
permesso?»
Immediatamente
le due figure si voltarono verso di lei, lasciandola di stucco: per un
attimo ebbe come l’impressione di trovarsi di fronte Jun
Kazama.
«
Chi accidenti è lei? Cosa vuole?»
esclamò quella che doveva chiamarsi Asuka. « Se
è qui per acquistare la struttura ho già spiegato
ai suoi colleghi che non sono interessata!»
«
No, no, non sono qui per questo» rispose Charlie, immaginando
che lei si riferisse ai tizi in giacca e cravatta che aveva visto
scappare appena arrivata. « Sto cercando il signor
Kazama.»
Asuka
incrociò le braccia al petto squadrando Charlie, poi rispose
« Non c’è.»
«
Capisco. Sa dove posso trovarlo? O quando?»
«
E’ in ospedale.»
« Mi
dispiace molto, io non..»
« Ma
per qualsiasi cosa può rivolgersi a me, sono sua
figlia» disse la ragazza.
«
Si, grazie» rispose la Hellenton osservando il suo volto, era
incredibile quanto fosse simile a Jun.
Asuka
ricambiò il suo sguardo inarcando un sopracciglio perplessa,
poi facendo spallucce si voltò verso la compagna dicendo
« Dove eravamo rimaste?»
« Al
compito di economia di domani e che devo dare da mangiare a
Panda.»
« Si
giusto il compito..» sbuffò Asuka. « Ma
quel panda non si stanca mai di mangiare?»
« Tu
che dici?» rispose la ragazza coi codini andando a recuperare
la sua borsa. « Forza andiamo che dobbiamo
studiare.»
«
Non me lo ricordare.. Devo assolutamente farlo bene quel
test.»
« A
chi lo dici! L’anno scorso sono riuscita a raggiungere la
media minima per un soffio.»
Charlotte
osservò le due ragazze allontanarsi verso
un’uscita secondaria, senza degnarla di uno sguardo, quasi
come non esistesse e senza sapere che fare si chiarì la voce
per richiamare la loro attenzione.
Entrambe si
voltarono verso di lei e Asuka, inarcando un sopracciglio, chiese
« Si?»
« Mi
dispiace disturbarvi, ma vorrei parlare con il signor Kazama di una
questione che a me preme molto e..»
« Le
ho già detto che mio padre è in ospedale e al
momento non può ricevere visite» la interruppe la
giovane.
«
Capisco, magari allora potrei parlarne con lei.»
Asuka
inarcò le sopracciglia osservandola infastidita, quella tipa
era davvero insistente, ed annuendo la invitò a seguirla.
Charlotte
seguì le due ragazze verso l’uscita posteriore
della struttura che le condusse in un modesto giardino, dove vennero
accolte da un enorme panda dai bracciali colorati.
« Si
sieda pure» disse la Kazama indicando un piccolo tavolo
situato sotto un gazebo.
«
Grazie, ma mi dia del tu, siamo quasi coetanee» rispose
Charlie accomodandosi.
« Lo
stesso vale per te» annuì lei.
« Ti
ringrazio molto.»
Un silenzio
imbarazzante cadde tra di loro e venne interrotto soltanto alcuni
minuti dopo dall’animale che con un sonoro sbadiglio
richiamò la loro attenzione.
«
Accidenti Panda, arrivo!» esclamò la giovane con i
codini. « Scusate.»
Charlotte
osservò la mora allontanarsi con un ramo di bambù
in mano, sotto lo sguardo di Asuka, che sempre più perplessa
la scrutava. La Kazama, infatti, più guardava quella bella e
raffinata ragazza meno riusciva ad immaginare cosa potesse volere da
suo padre, cosa mai poteva fare lei per una tipa i quali vestiti
probabilmente costavano quanto la struttura del suo dojo? Insomma,
quella biondina non aveva certo l’aspetto di una interessata
alle arti marziali, quindi che diavolo poteva volere da suo padre?
«
Non per passare per quella scorbutica, ma possiamo arrivare
direttamente al dunque?» chiese Asuka.
«
Hai perfettamente ragione e ti chiedo scusa per essermi dilungata
così inutilmente» rispose Charlie, sconcertando
ancora di più la sua ascoltatrice. « Vorrei che mi
parlassi di tua zia, Jun Kazama.»
A quelle
parole la giovane con i codini si voltò di scatto, mentre
l’altra facendo spallucce rispose « E morta diversi
anni fa, o se vogliamo attenerci alla versione di mio padre
è misteriosamente scomparsa e prima o poi
tornerà. Ma secondo me è semplicemente
morta.»
Charlotte fu
palesemente delusa da quella risposta sommaria, si era aspettata
qualcosa di più, così senza darsi per vinta
aggiunse « Si, sono a conoscenza del suo decesso,
però quello che intendevo era se potresti raccontarmi
qualcosa di lei, sai passioni, aspirazioni, qualche dote
particolare..»
Asuka
rifletté un attimo, poi scuotendo la testa rispose
« Non so, non l’ho mai conosciuta e mio padre non
parla mai di lei. Tutto ciò che so, dipartita a parte,
è che ha un figlio, magari puoi chiedere a lui.»
«
Si.. Magri farò così..»
La Kazama
osservò il volto deluso della sua ospite, poi facendo
spallucce si alzò facendole così capire che era
giunto il momento di andarsene. Charlotte la imitò
ringraziandola per il suo aiuto e porgendole la mano, che
l’altra strinse, ma non appena le due furono in contatto
tutto intorno alla Hellenton iniziò a vorticare e
il buio l‘avvolse.
Charlie
aprì gli occhi.
Tutto intorno a lei
regnava un calma sconcertante.
Alzò il volto
cercando di capire dove si trovasse, ma ciò che le
saltò subito agli occhi fu una figura.
Jun Kazama.
Jun si voltò
verso di lei, facendole cenno di avvicinarsi.
Senza sapere come
Charlie fu al suo fianco. La donna le sorrise, ma non fu un sorriso
normale, avevano un che di inquietante quelle labbra incurvate.
Lentamente
l’espressione della donna cambiò, assumendo una
smorfia di malvagia soddisfazione.
Intorno a loro tutto si
fece scuro e Jun abbassa il volto.
Un violaceo liquido
viscoso l’avvolse e quando nuovamente alzò il viso
esso era completamente mutato: i capelli erano diventati neri come la
notte, il suo sorriso maligno ed i suoi occhi, prima di un castano
caloroso, adesso erano di un giallo d’orato inquietante.
Charlotte avrebbe voluto
fuggire, ma i suoi muscoli le impedivano di muoversi.
La nuova Jun
allungò un braccio verso di lei e quello strano liquido
iniziò ad avvolgerla.
Charlie chiuse gli
occhi, incapace di lottare.
Sentì il
freddo penetrarle dentro, soffocando quel calore naturale presente
dentro di sé. Sentì il terrore sparire
lentamente, lasciando il posto a qualcosa di diverso e di
spaventosamente sbagliato,
Qualcosa le impose di
aprire gli occhi e di fronte a lei Jun la guardò
soddisfatta.
Si fissarono per alcuni
attimi, poi la donna di fronte a lei mutò mostrandole una
giovane dai crudeli occhi gialli.
Charlie
gridò.
Quello era il suo
riflesso.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=922037
|