an exchange year.

di FollowOneDirection
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Heathrow Airport, here I come. ***
Capitolo 2: *** 02. "are you the American girl?" ***
Capitolo 3: *** 03. the Irish boy. ***
Capitolo 4: *** 04. the party don't start til I walk in. ***
Capitolo 5: *** 05. time to change. ***
Capitolo 6: *** 06. I had to run... ***
Capitolo 7: *** 07. ...and I ran. ***
Capitolo 8: *** 08. it's London, babe! ***
Capitolo 9: *** 09. almost trapped. ***
Capitolo 10: *** 10. I chased him. ***
Capitolo 11: *** 1O. I have to let you go, please follow me. ***



Capitolo 1
*** 01. Heathrow Airport, here I come. ***


-Estate 2012. 
Scesi dall'aereo stiracchiandomi le gambe. Finalmente aria fresca. Avevo passate le 9 ore precedenti schiacciata contro il finestrino dell'aereo, costretta a guardare un panorama fatto di nuvole ed aria. 
Arrivai in aeroporto e andai al nastro a recuperare i miei bagagli; pensavo ci avrebbero messo più tempo, ma dopo 5 minuti li vidi spuntare. Li presi e mi avviai verso le porte automatiche che mi avrebbero riunito alla mia famiglia dopo un anno di separazione.
Ma questa è la fine, vorrei raccontarvi tutto dall'inizio.

-10 mesi prima.
Quando partii era una giornata di sole in Texas, una delle tante. Eravamo agli inizi di Agosto, quindi nel pieno dell'estate. Mi imbarcai sul volo della British Airways 192 delle 16:45, che mi avrebbe fatto atterrare a Londra alle 07:30 di mattina.
Non ero entusiasta della mia partenza; si prospettava davanti a me un anno lontano dalla mia famiglia, per di più in un posto dove non volevo andare.
Sorvolerò le liti che ebbi con i miei genitori, sorvolerò le lacrime di addio e quelle di disperazione; insomma, non era uno dei giorni più felici della mia vita.
Non volevo passare il mio Senior year in Inghilterra. Avevo sempre sognato di trascorrerlo alla mia scuola, la Richland High School di Fort Worth. 
Non sono una brutta ragazza, ho capelli biondi pieni di boccoli, occhi chiari, sono alta e ho labbra carnose.
Fuggo spesso; specialmente quando si tratta dell'amore. Sono indipendente e mi piace sentirmi libera, ho paura di dipendere troppo da una persona e di ritrovarmi col cuore spezzato. Perciò semplicemente non mi interesso ai ragazzi, me ne passano così tanti accanto, li guardo ma non li vedo. Capisci cosa intendo dire?
Comunque, mi ritrovai ben presto su quel volo. Le 9 ore passarono lentamente, il mio iPod aveva ormai riprodotto le stesse canzoni almeno due volte ognuna.
E poi toccammo terra. Ero sballata dal fuso orario ed esausta. 
Volevo infilarmi in un letto e morire lì, magari risvegliarmi dopo un anno. Lo avrei apprezzato. E invece mi dovetti alzare dal sedile e recuperare i bagagli. A quel punto varcai le porte automatiche, e grazie a Dio fui subito riconosciuta dalla famiglia che mi avrebbe ospitato e fui condotta alla loro macchina. Non ricordo molto di quel giorno, avevo le palpebre pesanti e le membra stanche. Caddi in un sonno profondo già in macchina, e quando mi svegliai ero in quello che suppongo fosse il mio letto. Non so come riuscirono a portarmici senza farmi svegliare, ma lo fecero. 

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Capitolo 2
*** 02. "are you the American girl?" ***


Sono passate due settimane da quando ho messo piede in Gran Bretagna e le cose vanno normalmente. L’Inghilterra continua a non entusiasmarmi, odio le sterminate campagne inglesi tanto quanto odio le ridicole cerimonie per prendere il tè delle cinque. Sono giunta alla conclusione che un inglese può vivere senz’acqua per una settimana, ma senza tè non ne vive neanche uno.
La famiglia che mi ospita è composta da marito e moglie (Derek e Addison) e un figlio, Louis. La loro casa devo dire che è molto bella; è una villetta situata in un quartiere pieno di villette come quella in cui sto, qui le chiamano ‘terraced house’. E’ composta da un salotto al piano terra con una cucina adiacente molto grande e spaziosa, più un bagno vicino le scale. Al piano di sopra vi sono quattro stanze: la mia, che è quella più a destra salendo le scale, quella di Louis, poi il bagno e in fondo a un piccolo corridoio la stanza dei genitori che dà sul giardino interno. Salendo ancora le scale c’è una soffitta molto carina con degli enormi divani.
Louis è l’unico contatto che ho avuto qui con il mondo dei teenager ed è molto simpatico, va spesso fuori con gli amici e diverse volte mi ha invitato ad andare con lui ma ho rifiutato; non credo mi troverei bene in un gruppo d’inglesi snob, specialmente perché sono americana e hanno l’arroganza di prendere in giro il nostro accento perché non è raffinato quanto il loro.
Louis è un ragazzo dai capelli castani scuri, ha occhi chiarissimi e un bellissimo sorriso. Con lui riesco a stare perché è uno dei pochi inglesi simpatici, ma gli amici non m’ispirano fiducia; ho avuto modo di vederli una volta che sono venuti a prendere Louis con la macchina. Erano in tre: c’era un ragazzo ricciolino che guidava (spericolatamente, aggiungerei), un ragazzo dai lineamenti arabi e dalla faccia scura, quasi minacciosa (insomma, da noi sarebbe il tipico vandalo dei sobborghi), e infine un ragazzo con i capelli come Louis solo un po’ ricci, che mi è sembrato il più timido. Da quello che ho avuto modo di scoprire sono una specie di band e suonano nel cottage di uno di loro, ma nessuno di loro sa suonare uno strumento e a quanto pare qui in Inghilterra è importante che almeno un membro della band sappia suonare uno strumento. Louis sta tentando di imparare a suonare la pianola, ma non fa per lui. Lo dico perché dopo pranzo spesso la suona nella sua camera, ma non fa progressi. Mi ha anche chiesto se sapessi cantare, ma la mia risposta è stata negativa. In realtà non ci ho mai provato, ma non penso di esserne capace.
 La scuola sta per iniziare e in due delle mie classi ci sarà anche Louis, sinceramente non so cosa farò per le altre, specialmente per educazione fisica. In Texas sgattaiolavo sempre negli spogliatoi e ci rimanevo, dato che i professori non notavano la mia assenza e se i miei compagni la notavano, stavano attenti a non dirlo perché la mia presenza non era gradita in nessun campo da gioco.
 
“Ciao!”.
Ero seduta al banco della mia prima ora di lezione a scuola, nella seconda fila.  Per un attimo pensavo di essermi immaginata quella voce, ma dopo poco mi riscossi dai miei pensieri e mi girai. Mi ritrovai un ragazzo dai capelli ricci che mi guardava e sorrideva. “Parli con me?” chiesi io, un po’ goffa.
“Vedi qualcun altro qui?” rispose lui, guardandosi intorno. In effetti, eravamo gli unici seduti ai banchi, poiché gli altri erano tutti in piedi sparsi per la classe e parlavano tra di loro.
“Allora tu sei l’americana?” rincalzò lui vedendo che non rispondevo.
“Sì, sono io, non si sente dall’accento?” chiesi io, sperando per un secondo che il mio inglese liscio senza dialetti americani potesse camuffarsi.
“A dir la verità sì” ridacchiò lui. “Non vivi con Tomlinson?”.
Tomlinson? pensai, ricordando un istante dopo che era il cognome di Louis, non ero abituata a sentirlo chiamare così, per me era Louis, al massimo Lou.
“Sì, sono io, tu come lo sai?”.
“Sono un suo amico” rispose lui, e poco dopo assunse un’aria stupita “Oh, scusami, non mi sono presentato. Sono Harry, Harry Styles. Sono nella band insieme a Louis, Liam e Zayn. Forse ti avrà parlato di noi, purtroppo non abbiamo avuto modo di conoscerti prima”.
Ora capisco perché la sua aria era vagamente familiare, era il pazzo alla guida della macchina. Da come guidava, doveva aver preso la patente da poco.
“Sì, mi ha parlato di voi, è un piacere conoscerti Harry. Io sono Ashley … Bookout.”
In quel momento entrò il professore di storia, Mr. King. Ci alzammo e lui prese posto alla cattedra, prendendo tra le mani un foglio che immagino fosse l’elenco degli alunni.
“Bookout?” chiese ad alta voce alzando lo sguardo dal foglio e guardandosi intorno.
“Sono io” risposi, alzando la mano. Questo è ciò che accade quando si ha un cognome che inizia per B; ci tocca essere spesso i primi dell’ elenco.
“Non ricordo di aver mai sentito il tuo cognome qui, ti sei appena trasferita?”.
“A dir la verità sto trascorrendo il mio ultimo anno di liceo qui, signore. Vengo dal Texas.”
“Ah, avrei dovuto sentirlo dall’accento! Bene, Bookout, puoi sederti. ”.
Ecco un’altra cosa che odio degli inglesi: quando scoprono che sei americana si rimproverano per non averlo capito dall’accento, come se fosse un crimine averti scambiato per un’inglese anche solo per un secondo. Procedette con l’elenco chiamando una sfilza di cognomi che non avevo mai sentito in Texas:  Costa, Gilbert, Portwood, Styles, James, Webbe …
Alla fine la lezione cominciò. Iniziò parlando della fine dell’Ottocento, una lezione pesante e noiosa. I ragazzi intorno a me erano più attenti che mai, sembravo l’unica annoiata e ciò mi preoccupava: non avevo intenzione di trascorrere un anno in una classe piena di persone attente e studiose, dove l’unica scansafatiche ero io. Mi avrebbero conosciuto come “l’americana pigra”, e non volevo dare agli inglesi un altro motivo per snobbarmi.
Dopo un tempo che mi sembrò interminabile, suonò la campanella. Uscii nel corridoio con la mappa alla mano intenta a cercare la mia prossima aula. Nel frattempo Harry mi si affiancò e sbirciando la cartina mi disse “Tranquilla, non sarà sempre così. I primi giorni siamo attenti, ma col tempo diventiamo sempre peggio. Attenta, così ti perdi”. E si fermò a quello che presumo fosse il suo armadietto, mentre io continuai ad andare dritto, non capendo come facessi a perdermi con la mappa alla mano. Vagai un altro po’, quando venni afferrata per un gomito. Mi girai di scatto e mi trovai Louis davanti.
“Uh, la prima faccia familiare della giornata” dissi io, sorridendo.
“Dove vai? L’aula d’inglese è da questa parte, stai tenendo la cartina al contrario”.
Arrossii dalla vergogna, ora capivo cosa intendeva dire quello Styles. Avrebbe potuto dirmelo, stupidi inglesi.
“Muoviamoci che Mrs. Kent non tollera ritardi” disse Louis facendo strada verso l’aula.

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Capitolo 3
*** 03. the Irish boy. ***


Io e Louis arrivammo in orario per la lezione di inglese, e si ripetè la stessa scena della lezione di storia: vengo chiamata, mi fanno delle domande e mi fanno sedere.
Andò avanti così per un paio di settimane, in quella piccola scuola ero io la novità del momento, ero io la ragazza segnata mentre passavo per i corridoi o mentre mi sedevo a mensa, ero io quella che a volte era presa in giro per il suo accento. Ma avevo capito che lo facevano in modo scherzoso, non per cattiveria.
Le giornate a casa erano abbastanza piacevoli, le trascorrevo facendo i compiti che erano molti di più rispetto a quelli che mi assegnavano in Texas, e guardando la tv. Louis il venerdì sera andava spesso a feste che si tenevano a casa di ragazzi i cui genitori erano fuori città; ogni volta richiedeva la mia presenza, ma io declinavo.
Ben presto le poche giornate illuminate e il debole sole lasciarono spazio a cieli nuvolosi dove non si scorgeva più l'azzurro, sembrava quasi di essere intrappolati in una bolla.
Insieme al brutto tempo, arrivò lui.
Era una mattina piovosa e la pioggia sbatteva contro le finestre dell'aula, producendo un suono che conciliava il sonno. Ero alla lezione di inglese, e la mia attenzione era scarsa, piuttosto guardavo fuori pensando al mio amato sole che in quel momento stava sorgendo in Texas.
Bussarono alla porta ed entrò il preside, Mr Miller, insieme ad un ragazzo abbastanza alto e con i capelli per metà castani, e per metà biondi. Aveva un'aria da strafottente e portava dei pantaloni a vita bassa con un maglioncino verde sopra. Non avevo borse, né libri. I suoi erano occhi azzurri, lo sguardo era intenso, ed era lo sguardo di chi nasconde qualcosa.
"Salve Mrs Kent, mi dispiace disturbare la sua lezione, ma è appena arrivato un nuovo alunno dall'Irlanda e seguirà il suo corso" disse il preside rivolgendosi all'insegnante.
"Non si preoccupi signor preside, faccia pure" rispose lei.
A quel punto il preside si rivolse a noi "Ragazzi, lui è Niall Horan. Si è trasferito qui da Mullingar e pretendo da voi la massima cortesia. Siate gentili e accoglietelo calorosamente". Detto questo spinse il ragazzo verso il primo banco vuoto ed uscì.
Ci furono attimi di silenzio, in cui nessuno sapeva cosa sarebbe successo; allora Mrs Kent ritornò a parlare della letteratura ed io tornai a volgere lo sguardo verso la finestra. Sospirai. Finalmente non sarei più stata io la novità del momento.

Per l'ora di pranzo già tutti sapevano dell'arrivo dell'irlandese, e tutti sapevano riconoscerlo tra la folla. Iniziarono anche a girare i voci secondo le quali il ragazzo era stato spedito dai genitori esasperati nel nostro istituto a seguito di gravi comportamenti disciplinari assunti in Irlanda. Si sperava che qui riniziasse una carriera scolastica lonatano dalle cattive influenze.
Nonostante fosse sulla bocca di tutti, io non gli prestai molta attenzione. Sapevo cosa significava essere il centro dei pettegolezzi, e volevo che fosse almeno risparmiato da una persona.
Per i corridoi, però, era impossibile non notarlo. Si muoveva come se fosse il primo ministro, camminava in mezzo alla gente in modo spavaldo e ammiccava a tutte le ragazze. Queste morivano sotto i suoi sguardi.
Aveva l'aria da io-sono-io-e-tu-non-sei-nessuno, e sembrava che essere la novità non gli dispiacesse affatto, anzi.
Ebbi modo di incontrarlo mentre mi dirigevo in infermeria. Purtroppo durante educazione fisica la mia assenza dai campi da gioco veniva notata e anche spesso, perciò non mi era possibile sgattaiolare negli spogliatoi. Successe che mentre giocavo a pallavolo non vidi la palla, che atterrò gentilmente sul mio naso, ragione per cui iniziò a sanguinare.
Così mi aggiravo per gli edifici della scuola alla ricerca dell'infermeria, quando svoltando un angolo andai a sbattere contro qualcuno. La prima sensazione fu di dolore, poiché avevo sbattuto il mio naso già sanguinante contro il petto di qualcuno. Mi chinai dal dolore e mi si riempirono gli occhi di lacrime. Trattenni il respiro.
"Cazzo, ma guarda dove vai!" disse una voce sconosciuta.
Dopo pochi istanti alzai lo sguardo e mi accorsi che era l'irlandese, che aveva appena gettato per terra la sigaretta che teneva in mano. "Scusa?" chiesi io.
"Mi hai sporcato di sangue il maglione, adesso come lo lavo?" sbraitò lui impazientito.
"Beh scusa se mi sono fatta male, magari la prossima evita di sgattaiolare fuori dall'aula per fumarti una sigaretta, dato che è proibito, così evitiamo spiacevoli incontri".
"Mi stai facendo la predica? Quando ho lasciato l'Irlanda non pensavo che avrei trovato presto una sostituta di mia madre" mi rispose.
"Ma vaffanculo" dissi io superandolo e dirigendomi dentro scuola. Lo sentii ridere, prima che la porta della scuola si richiuse dietro di me.
Ecco, ci mancava solo questo. Dopo gli inglesi snob, gli irlandesi strafottenti. Non poteva andare meglio.
Quel giorno a pranzo ero da sola, perché Louis avrebbe mangiato in un'aula mentre ripassava per il compito di chimica. Così mi sedetti ad un tavolo e iniziai a mangiare.
All'inizio non lo vidi arrivare, mi accorsi di lui solo quando si avvicinò al tavolo e si sedette. Girai lo sguardo e lo guardai storto.
"Voi americani siete così fottutamente permalosi!" esordì lui, e devo dire che non fu un bell'esordio. Non solo mi ha trattato male, ma ha anche la sfacciataggine di sedersi al mio tavolo senza chiedermelo e di darmi della permalosa.
"E voi irlandesi le trattate tutte così le ragazze?" chiesi io, ironica.
Lui rise, e mi chiese "E voi americani venite alla festa di venerdì sera o dovete guaradare The Oprah Winfrey Show in tv?" e rise ancora.
Devo ammettere che ci aveva proprio preso. Il venerdì sera davano la replica in tv di The Oprah Winfrey Show. Ma non potevo dirgli che aveva indovinato, quindi mi limitai a dire "Certo, siamo noi americani il cuore della festa". Sinceramente non so da dove mi uscì fuori quella risposta. Non ero interessata a nessun tipo di festa, non ero tipa da sballarsi con alcool e sesso. Ma l'irlandese era così stronzo che non gliela potevo dar vinta. Tanto nessuno si sarebbe accorto della mia assenza.
"Allora ci becchiamo lì" disse lui alzandosi ed uscendo dalla mensa. Restai immobile per qualche istante a riflettere su ciò che aveva detto.
Ancora, pensai, ho creduto che la mia assenza non venisse notata. Quando capirò che questi maledetti inglesi/irlandesi notano TUTTO?!

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Capitolo 4
*** 04. the party don't start til I walk in. ***


Non sapevo cosa ci facevo lì. Ero seduta sulle scale di una casa in festa. C’erano persone dappertutto, chi con il bicchiere in mano, chi si arrotolava la canna, chi teneva la lingua impegnata e, peggio ancora, chi, ai piani superiori, aveva tra le gambe un quasi sconosciuto. Probabilmente ero l’unica tranquilla, ma per fortuna nessuno mi notava. In feste come quelle la gente guarda chi si sballa, nota quello più ubriaco o chi si porta a letto più ragazze; per un volta, quindi, potevo passare inosservata.
Louis era in mezzo all’improvvisata pista da ballo, beveva e si scatenava insieme ai suoi amici (se non altro non era impegnato con sconosciute). Per un po’ ero stata in mezzo alla pista anche io, lasciandomi trascinare dalla moltitudine di corpi che si muovevano fuori tempo. Dopo un po’, però, il sudore e la mancanza di aria pulita mi avevano spinta a trovare un posto su cui sedermi e riprendermi.
La verità è che cercavo con gli occhi la ragione per cui ero andata a una festa del genere: cercavo l’irlandese, ma non riuscivo a trovarlo. Ormai erano due ore che la festa era iniziata e di lui non c’era traccia, ed iniziavo a sentire che non sarebbe venuto e che la sua era soltanto una provocazione –e cazzo, c’ero cascata. Ma alla fine arrivò. Iniziavo a capire che non sarebbe mai passato inosservato, che le sue manie di protagonismo l’avrebbero sempre reso il centro della situazione. Entrò dalla porta portando litri di birra in mano, facendosi spazio tra la calca umana.  Quando le persone venivano spinte e messe da parte, iniziarono a vedere cosa portava Niall e gridavano di felicità. I più ubriachi si gettavano sulla birra, litigandosi le bottiglie. In tutto questo caos l’irlandese sembrava divertito, guardava compiaciuto le risse che si stavano creando e rideva quando si prendevano per i capelli e si buttavano per terra, dandosi cazzotti. Dall’altra parte della sala vedevo Louis e la sua band scambiarsi occhiate contrariate, sicuramente erano infastiditi dall’atteggiamento del nuovo arrivato. Quando finì la birra e le liti lasciarono a terra i perdenti, Niall si gettò nella mischia e iniziò a ballare in mezzo alla pista. Le ragazze gli ballavano attorno, affascinate dal suo essere cattivo, e alcune di loro gli si strusciavano contro. Per un po’ lui non mostrò interesse per nessuna in particolare, ma poi prese quella che -immagino- riteneva più carina, e se la stava portando dietro mentre si dirigeva verso di me. Non capivo cosa voleva da me, forse sbattermi in faccia il fatto che non mi stessi divertendo quanto quella ragazza? O che non mi divertivo affatto? Comunque sia, passarono alcuni secondi prima che mi raggiunsero. Io guardavo altrove e quando mi girai con faccia stupita verso di lui che ormai era ai piedi delle scale, vidi che non mi guardava. Era impegnato, infatti, a palpare la ragazza, e quando mi passò accanto sulle scale non mi rivolse nessuno sguardo.
In quell’istante scese il gelo su di me. Sono abituata a non essere guardata, sono abituata a incrociare lo sguardo dei ragazzi e vedere che non lo posano più su di me. Non sono il tipo di ragazza che i ragazzi si girano a guardare meglio. I ragazzi non tentano di incrociare il mio sguardo, i ragazzi –se mi guardano–, lo fanno per sbaglio. E ciò mi è sempre andato bene. Ma questa volta è stato diverso. Perché, ecco, forse sono stata una stupida a pensarlo, ma credevo che il fatto che mi avesse domandato se sarei andata alla festa significava che in un certo senso mi stava invitando.
E invece mi ero immaginata tutto. A lui non interessava se ci sarei andata o no, probabilmente stava cercando solo di fare conversazione, forse cercava di essere gentile? Possibile? E alla fine si era portato la ragazza più sballata al piano di sopra, a fare cose che non osavo immaginare.
Mi salii la rabbia, la frustrazione, sentivo il mio orgoglio ferito. Non capivo come uno stupido, misero ragazzo (per di più irlandese!) potesse infastidirmi tanto. Se fossi rimasta sulle scale avrei iniziato a piangere, perciò mi alzai e mi diressi verso gli alcolici. Non avevo mai bevuto in vita mia, ma ricordo che in Texas i miei amici mi avevano detto che aiuta a liberare la mente. Presi una bottiglia e mi versai un po’ del suo contenuto –neanche sapevo cosa fosse– e bevvi. Mi bruciò la gola, mi bruciò lo stomaco, ma cazzo, la mia mente era libera. I miei pensieri? Finiti nel cesso. E bevvi ancora, e ancora, e prima che me ne rendessi conto la bottiglia era finita. Mi asciugai la bocca con la manica della mia maglia e mi girai verso le persone che stavano ballando. Non ero pienamente cosciente di ciò che stavo facendo, ma comunque raggiunsi il centro della pista e iniziai a ballare. Mi raggiunse un ragazzo, e un altro ancora, e prima che me ne accorsi ero circondata da ragazzi che mi ballavano intorno. Mi scatenai, saltai quando le canzoni lo richiedevano, agitavo i capelli in aria e ballavo con tutti i ragazzi. Alcuni si strusciavano, altri mi palpavano, io all’inizio li lasciavo fare, ma quando diventavano insistenti li respingevo.
Ballai per quella che mi sembrò un’eternità, fino a quando non sentii un paio di mani afferrarmi la vita e spingermi fuori dalla calca. Continuai a ballare pensando fosse un ragazzo che mi voleva tutta per sé, ma era Louis.
“Come ti sei ridotta? Dobbiamo tornare a casa!” il suo tono era preoccupato, allarmato.
“Sto … bene” risposi io, rischiando di cadere.
“Tutti gli ubriachi dicono così. Andiamo, dobbiamo tornare a casa.”
“Io … no. Lasciami divertire. Per una volta che voi inglesi siete divertenti e non così fottutamente snob.” Risi, senza rendermi conto di ciò che stavo dicendo. Avevo sempre fatto passare la mia poca voglia di fare conoscenze per timidezza, ma in quell’istante ebbi l’impressione di essermi tradita. L’alcool, imparai quel giorno, è la bevanda della verità.
A quel punto venni lasciata e Louis sparì, mentre barcollavo e mi domandavo dove fosse andato. Quando iniziò a insediarsi in me il dubbio di aver detto qualcosa di sbagliato, sbucarono Louis, Liam, Harry e Zayn, che mi presero e mi trascinarono fuori dalla casa contro voglia. Ero troppo stordita per ricordarmi cos’avevo detto a Louis, e pensai  che non fosse comunque importante dato che era tornato a prendermi. Forse gli servivano soltanto rinforzi. Mi portarono in macchina e condussero me e Louis a casa.
Una volta entrati a lui cercò di non fare il minimo rumore, ma io urtai per sbaglio il tavolino in sala. Il rumore che feci rimbombò per tutta la casa, squarciando un silenzio di tomba. Trattenemmo il respiro per non creare ulteriore rumore, ma sopra sembrava tutto tranquillo. Quindi, fulminandomi con lo sguardo, mi aiutò a salire le scale e mi portò in camera mia.
“Spogliati e mettiti il pigiama” mi disse “Torno subito”.
Chiuse piano la porta dietro di sé e io mi gettai esausta sul letto. Mi spogliai lentamente e presi il mio pigiama. Lo indossai e aspettai che ritornasse. Dopo pochi minuti bussò pianissimo alla porta e io lo feci entrare. Aveva in mano un bicchiere con dentro qualcosa che emanava un odore forte e pungente.
“Tieni, bevi” sussurrò lui “Ti aiuterà per la sbornia e non ti farà vomitare”.
Presi il bicchiere senza sapere cosa ci fosse dentro e bevvi tutto d’un fiato, ero troppo stanca per chiedere cos’era o per opporre resistenza. Fui investita subito da un sapore sgradevolissimo, e rischiai di vomitare sulla moquette.
Lui soffocò una risatina e se ne andò senza aggiungere altro, mi sembrò un po’ freddo, come se mi avesse dato quella bevanda perché non voleva che il giorno dopo i genitori scoprissero che mi ero ubriacata, piuttosto che perché voleva farmi sentire meglio. Continuavo a pensare di aver detto qualcosa di troppo, e mi ripromisi che la mattina seguente ci avrei pensato su e me lo sarei ricordata.
Entrai nel letto che ancora avevo un sapore sgradevole in bocca.
Beh, pensai, questo schifo sarà pure in grado di non farmi vomitare per la sbornia ... ma io qua rischio di vomitare proprio a causa sua.
E scese il buio.

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Capitolo 5
*** 05. time to change. ***


Mi svegliai di soprassalto quando il sole doveva ancora sorgere nel cielo, e il display della sveglia mi informava che erano le cinque del mattino. Ero esausta sia mentalmente che fisicamente, il mio corpo doleva dappertutto e i miei piedi risentivano delle ore passate sui tacchi la sera precedente. In testa avevo un grande caos, era come se appena avessi preso la bottiglia in mano fosse sceso il blackout nella mia testa, non ricordavo nulla eccetto una massa di corpi sudati che si strusciavano. Era una sensazione orribile. In più mi ricordai di aver detto qualcosa di sbagliato a Louis, e mi sforzai inutilmente di ricordare cosa. Però in un certo senso stavo anche bene, avevo passato una serata senza pensieri, senza piangermi addosso, e questo lo dovevo all’irlandese. Se non fosse stato per lui e per le sue provocazioni, io non sarei andata a quella festa, non avrei conosciuto delle persone e non mi sarei divertita per una sera. Finalmente capii che il tempo passato a piangermi addosso e a rievocare il Texas era stato tempo sprecato; avrei dovuto farmi degli amici prima.
Con questi pensieri nella testa, caddi in un sonno profondo.


Mi trovavo sul divano a vedere la tv insieme a Louis, eravamo soli in casa. Guardavamo un programma di persone talentuose, ma alcuni erano dei veri e propri fenomeni da baracconi. Per tutto il giorno Louis mi aveva evitato, era freddo e distaccato. Non capivo il suo comportamento, non aveva mai agito così.
“Ieri sera mi sono divertita, grazie” dissi io timidamente, sorridendo.
“Sono contento che noi ‘inglesi snob’  ti siamo andati a genio per una serata” rispose lui freddo.
Cazzo. Allora era questo quello che mi ero fatta sfuggire; mi ero tradita da sola, avevo espressamente dichiarato il mio odio per le persone del posto. Chiaramente era l’alcool a parlare, ma come negare qualcosa che pensavo veramente?
“Senti, Louis … Non so cosa io abbia detto, ma non era certo quello che intendevo” mi stavo arrampicando sugli specchi, e presto sarei scivolata a terra. Chi mi avrebbe rialzato?
“No Ashley” era la prima volta che mi chiamava per nome, ”non esistono giustificazioni o scuse. Sappiamo benissimo che lo pensi davvero. E mi fa rabbia, ok? Perché da quando hai messo piede qui io ho sempre cercato di essere gentile, e di non farti sentire la mancanza di casa. Lo sapevamo che venivi controvoglia, eravamo stati informati. E per questo ho fatto il doppio di quello che potevo fare: ho provato ad invitarti ad uscire con noi, ti sono stato vicino a scuola per cercare di farti fare nuove amicizie, ti ho presentato i miei amici e da parte tua non c’è mai stata nessuna reazione. Non facevi amici, non uscivi. Pensavo fosse davvero timidezza, pensavo che prima o poi ti sarebbe passata.
E invece cosa scopro? Scopro che ci e mi ritieni uno snob. Sei libera di pensarlo, ma non ti sorprendere se non ti verrò più incontro: ora tocca a te.”
E lasciò la stanza.
Avevo perso l’unico ‘amico’ che avevo, ero stata in grado di perdere anche lui: perfetto.
Non sarei andata a scusarmi, avevo capito che Louis delle mie scuse ci faceva poco. Mi toccava andargli incontro, mi toccava dimostrargli che apprezzo ciò che ha fatto e che da parte mia ci sarebbero state reazioni. E non lo ringrazierò mai abbastanza per quello che mi disse: è stato grazie a lui che ho iniziato a vivere veramente quello stupendo anno in Inghilterra.

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Capitolo 6
*** 06. I had to run... ***


Erano passate circa due settimane da quando Louis ed io avevamo “litigato”. In quelle settimane era cambiato molto. Tra me e Louis non ci sono state scuse, né nessuno dei due ha avuto interesse nel parlare di nuovo di quella serata, e a me andava bene così.
A scuola la situazione era migliorata, e come mi aveva detto Harry il primo giorno di scuola, le cose erano peggiorate –ora l’attenzione scarseggiava dappertutto, i professori erano esasperati e si lamentavano. Per quanto riguarda l’irlandese non ci sono stati più contatti. Da quello che sentivo e che mi dicevano, pare partecipasse molto ai festini più spinti, bevesse fino a diventare completamente ubriaco e finisse la serata tra le gambe di una nuova ragazza. Ultimamente giravano anche voci secondo le quali si faceva le canne e le spacciasse. Non so quanto ci fosse di vero in tutto ciò, ma non mi sarei stupita se fossero stato tutto vero.
In questo periodo ho anche avuto modo di conoscere di più i ragazzi (ormai anche per me sono diventati ‘i ragazzi’), e intendo dire Liam, Zayn e Harry. Liam, anche se all’apparenza può sembrare timido, è veramente simpatico e solare. Parla con molta calma ed ha una voce molto profonda. E’ lui che scrive maggiormente i testi delle loro canzoni e principalmente canta lui.
Harry è un gran pervertito. Diverse volte li ho scoperti mentre parlavano di ragazze in modo un po’ spinto, e Harry ha sempre sdrammatizzato con una risata. Il suo modo di guidare non è assolutamente cambiato, però.
Zayn è un tipo abbastanza tranquillo, ma si fa certe foto in bagno che io e i ragazzi ci pisciamo sotto dalle risate. Lui ci guarda ridere e sorride, ma forse a volte abbiamo riso troppo e se l’è presa, anche se non l’ha mai detto. Lo chiamiamo “the echo man” perché la maggior parte degli acuti e dell’eco li fa lui, avendo una voce molto flessibile.
Se la cavano a cantare e personalmente mi piacciono molto, ma non sanno come farsi notare e soprattutto sembra manchi un membro a quella band.
L’unica cosa che non era cambiata erano le feste, perché continuavo ad andarci insieme ai ragazzi e continuavo a bere e scatenarmi. I genitori di Louis non sospettavano nulla perché eravamo molto bravi a non farci scoprire, tornavamo a casa alle 3 di notte (a volte anche più tardi) e ci infilavamo silenziosi nei nostri letti. Alle feste cui partecipavamo spesso vi era l’irlandese, ma non ci guardavamo mai.
Una sera stavo come il solito ballando al centro della pista attorno al solito gruppetto di ragazzi. Non mi accorsi che l’irlandese era tra quei ragazzi fino a quando non si avvicinò e mi prese per i fianchi. Mi girai per vedere chi era e me lo trovai a pochi centimetri dalla faccia. Ero già brilla, perciò continuai a ballare e nascosi lo stupore. Andò avanti per un po’, fino a quando non uscii dalla pista da ballo perché ero esausta.
Mi ero appoggiata alle scale e stavo recuperando fiato, quando notai Niall che si avvicinava. Stavolta non c’era nessuna ragazza con lui, e venne proprio da me. Si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò “Forse preferiresti salire?”, e mi trascinò su per le scale senza che io risposi. Mentre salivo cercavo con lo sguardo uno dei ragazzi sperando che mi potesse salvare, ma non li trovai e immaginai fossero tutti al tavolo degli alcolici. Nel frattempo Niall era entrato in una stanza e si era richiuso la porta dietro di sé. Eravamo a casa di una ragazza ricca e viziata, e intuii che quella doveva essere la sua camera. Io mi ero diretta verso il letto e davo le spalle all’irlandese. Lo sentii avvicinarsi dietro di me.
“Sei molto bella stasera” mi sussurrò in un orecchio, ed io, chiusi gli occhi, buttai dolcemente la testa all’indietro: la sua voce era fottutamente suadente. Mi tremavano le labbra, e avevo una voglia matta di restare così per sempre. Nel frattempo lui avvicinò la sua bocca al mio collo e poco dopo la sentii appoggiarsi sulla mia pelle nuda. Fremetti.
Dovevo scappare o non l’avrei più fatto.

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Capitolo 7
*** 07. ...and I ran. ***


“Non penso sia il caso, io ... devo andare.”
Dissi ricomponendomi. Lo allontanai da me e uscii dalla stanza. Feci in fretta le scale e cercai i ragazzi. Li trovai in giardino. 
“Louis … andiamo?”
“Cosa? Perché? E’ ancora presto, mamma e papà non ci scopriranno.”
“Non è quello … senti, voglio andare, poi ti spiego tutto.” Lo pregai, e dal mio sguardo capì che qualcosa era successo.
“Va bene, fammi solo chiamare i ragazzi … tutto ok comunque?”
“Sì, io vi aspetto in macchina … grazie” sussurrai. 
Nel giro di dieci minuti eravamo tutti in macchina.
“Weeeeeilà, SEI PROPRIO BELA” mi disse Zayn entrando in macchina.
“Sì Zayn e tu sei ubriaco fradicio” risposi io facendogli spazio in macchina.
“Ma cosa dici” rispose lui appoggiando la testa sulla mia spalla e alitandomi in faccia.
“Che schifo Zayn, potresti almeno evitare di alitarmi in faccia? Puzzi come un maiale.”
“Suscettibile la ragazza.” Disse Harry al volante. 
Tutti scoppiarono a ridere e Zayn iniziò a cantare qualche disgustosa canzone popolare. 
“Come mai si torna così presto a casa?” chiese Liam.
“Non mi sento bene” risposi io, mentre Louis mi lanciava uno sguardo curioso.
Finalmente arrivammo a casa.
“Dammi un bacio di buonanotte baby” disse Zayn.
“Prima lavati e poi te lo darò. Grazie a tutti, scusate se vi ho rovinato la serata”.
“Tranquilla bionda, riguardati!” rispose Harry partendo a tutta birra.
“Un giorno quel ragazzo farà una brutta fine se non inizia a guidare meglio” disse Louis sorridendo.
Entrammo in casa senza fare rumore e mi diressi subito in camera mia, per una volta potevo fare la strada senza l’aiuto di Louis dato che non ero del tutto ubriaca. 
Mi spogliai in fretta e mi misi il pigiama, infilandomi sotto le coperte. 
Dopo qualche minuto sentii bussare leggermente alla  porta: mi ero dimenticata che dovevo delle spiegazioni a Louis. 
Andai ad aprire la porta e lo feci entrare.
Mi buttai sul letto facendogli segno di sedersi.
“Allora? Perché sei voluta scappare?” mi chiese.
“Io … stavo veramente male.”
“Oh andiamo Ashley. Un po’ ti conosco, non stai male, puoi darla a bere ai ragazzi ma non a me. Sembrava fuggissi da un cane che ti ha morso la coda. 
Dimmi cos’è successo. Qualcuno ti ha fatto qualcosa? Io e i ragazzi potremmo scazzottare qualcuno per te.”
Sorrisi. Louis era veramente diventato un fratello per me, e con lui mi ero completamente aperta senza timori. “Beh, ecco … hai presente l’irlandese?”.
“Quello che si porta a letto ogni festa una ragazza diversa?” chiese lui, ed io annuii.
“Beh, ecco … penso che volesse portare me a letto. Mi ha portato in una stanza e ha iniziato a farmi complimenti e mi baciava il collo …“ Louis era sconvolto.
“COSA?!”
“Shh! Sveglierai il vicinato!”
“Hai ragione, ma non posso crederci. Perché non me l’hai detto subito? C’erano i ragazzi e potevamo dirgliene quattro, quel pervertito del cazzo.”
“Louis … a me piaceva la situazione. Lui è dannatamente affascinante. 
Ma lo so che è uno stronzo e per lui non sarei stata altro che un altro trofeo da aggiungere alla collezione, ma lo sarei stata volentieri.”
“Ma cosa ti salta in mente?! 
Non devi avere niente a che fare con gente come lui, è una cattiva persona Ashley, lo sappiamo entrambi” disse guardandomi negli occhi.
“Sì lo so, tranquillo non è successo nulla, sono scappata in tempo.”
“Alla prossima festa io e i ragazzi ti staremo attaccati come cozze, vediamo se si azzarda ad avvicinarsi.”
Sorrisi. Era addirittura quasi geloso come un fratello. Essendo figlia unica non sapevo cosa significasse avere un fratello, ma iniziai a ritenere Louis tale.
Gli volevo molto bene.
Mi sdraiai completamente sul letto e per sbaglio feci cadere Louis. Scoppiai a ridere.
“Stronza. Dai su, fammi spazio.” Disse alzandosi da per terra e sdraiandosi accanto a me.
Rimanemmo così per un po’, al buio della mia stanza, ognuno con i pensieri occupati. 
“Devi stare tranquilla … ci siamo noi” mi disse, interrompendo il silenzio e prendendomi la mano.
“Lo so, grazie. Davvero, Louis. Non so cosa starei facendo adesso se non fosse stato per te.
Probabilmente mi starei piangendo addosso. 
Grazie per avermi fatto superare i pregiudizi che avevo e per avermi regalato del bellissimo tempo passato con te e i ragazzi. 
Ho conosciuto persone fantastiche.”
Scese il silenzio, nessuno osava interrompere quel momento così dolce.
“Se vuoi dormire me ne vado …“
“No, resta, tra un po’ vai …”
E invece non se ne andò. Io mi addormentai e lui rimase sul letto insieme a me. La sua mano mi trasmetteva sicurezza e protezione. 
Avevo lui e i ragazzi, non ero più sola in un Paese straniero.
Quando mi svegliai non c’era più. Erano le cinque del mattino e lui era stato bravissimo a sgattaiolare via senza svegliarmi. Sorrisi e mi rimisi a dormire. 

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Capitolo 8
*** 08. it's London, babe! ***


Questo capitolo è solo di passaggio, spero non sia troppo lungo, ho voluto dedicare spazio alla nuova amicizia tra Ashley e i ragazzi. Vi informo che non so se la storia continuerà perché non ricevo recensioni e quindi non so se ciò che scrivo piace o no, perciò chi volesse commentare per dare consigli (sia positivi che negativi), è ben accetto. Mi potete trovare anche su Facebook qui: https://www.facebook.com/pages/Just-follow-One-Direction/104969312957231



Sfilò la spallina del mio vestito con la bocca e quest’ultimo cadde ai miei piedi lasciandomi in mutande e reggiseno, mentre lui aveva spostato la bocca e ci baciavamo avvicinandoci al letto. Si tolse le scarpe ed io gli sfilai il maglioncino, iniziando a slacciare la camicia che aveva sotto. Gliela tolsi e cadde per terra. A quel punto lui mi buttò sul letto e si mise sopra di me. Ci baciavamo e sentii i suoi pantaloni scivolare giù sul pavimento.
Qualcuno aprì la porta.

Mi svegliai di soprassalto. Era solo un sogno, quella sera non era successo nulla. Non sapevo se esserne felice o triste, perché ripensando a ciò che era successo un brivido attraversava la mia schiena. Cazzo, quanto avrei voluto lasciarmi andare. Quanto avrei voluto le sue labbra di nuove posate sul mio collo. Ma ero scappata di nuovo, le mie gambe si erano impadronite di me stessa e mi avevano portato via.
Mi alzai e andai di sotto a fare colazione. Trovai Louis sul divano che guardava la tv.
“Buongiorno, oggi siamo così mattinieri? Di solito aspetti mezzogiorno prima di degnarci della tua presenza.” Ridacchiò.
“Diciamo che di solito faccio sogni migliori”.
Raggiunsi la cucina e presi la tazza di latte che ogni domenica Louis preparava per me prima che mi svegliassi. “Piuttosto diciamo che di solito mi sogni nudo e tutto per te.”
Sputai il sorso di latte che avevo in bocca nel lavandino e iniziai a ridere. Lo raggiunsi in sala e mi sedetti accanto a lui. “Sai … hai ragione” lui assunse un’aria compiaciuta “ma diciamo che le dimensioni lasciano molto a desiderare!” e continuai a ridere.
Il sorriso scomparve dalla faccia di Louis. “Piccola pulce! Come osi! Potrei buttarti fuori di casa all’istante! E dì pure addio al tuo latte la domenica, la prossima volta te lo prepari da sola!”
“Tasto dolente?” continuai io pungente.
“Ah-ah-ah. Molto simpatica. Passiamo a cose serie, oggi io e i ragazzi volevamo andare a fare un giro a Londra. Che ne dici? Ci stai?”
“Certo, ma non fate guidare Harry, non vorrei mai ritrovarmi in un fiume”.
“Quante pretese! Non so chi guiderà, ma se non ti sta bene puoi sempre restare a casa a deprimerti insieme a mamma e papà.”
“Va bene mi hai convinto, vengo”
“Perfetto, ti dispiacerebbe chiamare i ragazzi e avvertirli? I numeri sono nella rubrica”
“Ok, ok”
Presi il telefono e iniziai a cercare nella rubrica il numero di Harry e inviai la chiamata. Squillava, ma nessuno rispondeva.
“Se non è una cosa urgentissima la pagherai per avermi svegliato” esordì Harry con la voce assonnata.
“Oh, ciao Harry! Che bella voce che hai, immagino anche che avrai un bell’aspetto, mi dispiace non poter essere lì. Ho chiamato per dirti che vengo anche io oggi a Londra. A che ora vogliamo andare?”
“La mattina sei sempre così simpatica? Povero Louis. Comunque ormai sono sveglio, possiamo partire anche tra un’ora.”
“Va bene, chiamo gli altri e ti faccio sapere. Ciao spericolato” ed attaccai.
Successivamente chiamai Liam.
“Pronto?” lui doveva essere decisamente sveglio, si sentiva dalla voce.
“Ehi Liam per che ora vogliamo andare oggi a Londra? Harry dice anche tra un’ora.”
“Sì, sì, va bene. Inizio a venire da voi?”
“Perfetto” e finì la chiamata.
Per ultimo chiamai Zayn, che impiegò secoli per rispondere.
“Sì … pronto?”
“Ehi ubriacone, dalla voce direi che hai i postumi.”
“Shhh. Parli troppo ad alta voce, mi scoppia la testa.”
“Dai, sbrigati a venire che andiamo a Londra.”
“Cosa? No, io resto a letto, mi dispiace ma sto uno schifo.”
“Ok ti passiamo a prendere tra un’ora, fatti trovare pronto o dico a tua sorella di buttarti ora giù dal letto, ciao!”
Posai il telefono e salii a vestirmi. Dato che era la prima volta che andavo a Londra volevo mettermi qualcosa di carino. Presi i collant neri e ci misi sopra una maglietta lunga e pesante perché nonostante fosse una giornata soleggiata sapevo che avrebbe fatto freddo.
Suonarono il campanello e dopo pochi secondi la porta si aprì e sentii la voce di Liam. Scesi di corsa.
“Ciao Liam!”
“Ciao, come mai così di buon umore?”
“Mi ha sognato nudo” intervenne Louis.
Liam strabuzzò gli occhi.
“La smetti Louis? Sono solo eccitata di andare a Londra, non ci sono mai stata.”
“Allora ricordati la macchinetta fotografica!” disse Liam.
“Già presa.”
Louis si intromise di nuovo “Se pensi che passeremo tutta la mattinata in giro per monumenti a scattarti mille foto stile turista ti sbagli di grosso. Andiamo dove vogliamo noi, diciamo che non hai voce in capitolo.”
Feci finta che il mio entusiasmo si fosse spento.
“Dai Louis, non fare lo stronzo, andremo dove vuole lei. Potremmo farle da guida noi che Londra la conosciamo bene. Poi un’altra volta andiamo per divertirci, ma se lei vuole visitare qualche monumento l’accompagneremo.”
Mi illuminai. “Grazie Liam!” e corsi a scoccargli un bacio sulla guancia.
“Vedi, con le buone maniere si ottiene tutto, anche baci gratis!” scherzò Liam.
“Questa pulce vive con me da 3 mesi e non mi ha mai dato neanche un bacio, poi arriva il lecchino di turno e se lo bacia! Mondo crudele.”
Scoppiammo tutti a ridere e ci sedemmo sui divani, aspettando Harry.
Dato che non arrivava, alzai la cornetta e lo chiamai.
“Cazzo, sto arrivando, datemi del tempo per prepararmi, devo essere più figo del solito per far cadere le londinesi ai miei piedi. Non dimenticatevi che sono una star.”
“Harry penso che se vuoi conquistare le londinesi dovresti metterti molta cipria.”
“Perché dovrei?”
“Per nascondere la faccia da culo che ti ritrovi! MUOVITI!”
E attaccai il telefono tra le risa.
I ragazzi bisbigliarono tra di loro, non capii cosa dissero ma sapevo che parlavano di me.
“Cosa le hai messo nel latte stamattina Louis? Non mi sembra lei. Troppo entusiasta, sicuro ieri non si sia fumata qualcosa di strano? Girava dell’erba.”
“Ripeto la mia teoria … deve avermi sognato nudo.” rispose Louis.
Finalmente la macchina di Harry arrivò ed uscimmo. Mi sedetti accanto a lui davanti e ci dirigemmo verso casa di Zayn, che abitava più lontano rispetto a noi, a qualche isolato di distanza. Le case di Liam e Harry, invece, erano vicine alla nostra. Arrivammo a destinazione e suonammo il clacson. Uscì la sorella.
“Ragazzi Zayn si sta ancora preparando, ha detto che ci metterà una mezz’oretta.”
“Cosa?!” dissi io. “Adesso vediamo quanto ci metterà”.
Mi guardarono tutti divertiti mentre entravo in casa di Zayn, compresa la sorella.
Dopo dieci minuti buttai fuori Zayn che ancora non si era messo le scarpe, infatti ce le aveva in mano.
“Te le metterai una volta in macchina, ora sali” ordinai.
“Ragazzi ma chi ce l’ha fatto fare di portarla con noi? Già non la sopporto più” borbottò lo “sfollato”.
“Pfff, stai zitto che mi volete tutti bene. E poi non ero io quella ubriaca che ieri sera mi chiedeva il bacio della buonanotte”.
Ridemmo tutti (Zayn escluso, ovvio) e partimmo in direzione di Londra con la radio a palla: “Cheers to the freakin’ weekend I drink to that, yeayea” cantava Rihanna.

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Capitolo 9
*** 09. almost trapped. ***


Niall.
Era una domenica mattina qualunque, eppure era diversa da tutte le altre domeniche. Non c’erano postumi, non c’erano mal di testa: eppure c’era lei. Ero abituato a portarmi a letto a ogni festa una ragazza diversa, e di solito le emozioni le lasciavo fuori la porta. Ma stavolta era diverso, lei aveva preso le mie emozioni e le aveva fatte filtrare da sotto la porta. Non ero neanche abituato ai rifiuti; in Irlanda e fino a ieri sera anche in Inghilterra, tutte le ragazze si lasciavano portare a letto, pensando che con loro sarebbe stato diverso, che sarebbe stato amore invece di sesso. Glielo lasciavo credere.
Ma ieri sera è stato diverso. L’avevo osservata e avevo osservato il suo modo di fare, era una di quelle ragazze che si lasciavano affascinare dai ragazzi come me ma che rinnegavano ogni tipo di attrazione. Eppure credevo che una volta ammaliata si sarebbe lasciata andare e sarebbe stata una delle mie tante conquiste; e invece se n’è andata, rifiutandomi. Ciò che più mi disturba non è tanto il fatto di essere stato rifiutato, quanto il fatto che sia riuscita a scapparmi, perché ciò significa che la caccia sarà più lunga e pianificata, poiché non permetterò a una preda di sfuggirmi.




Ashley
Ero nel letto e ripensavo alla giornata appena finita. Eravamo stati tutto il giorno a Londra, passando dall’Hard Rock Café a Hyde Park. Era trascorsa piacevolmente, avevo avuto modo di passare tempo con i ragazzi e godermi l’aria londinese. Purtroppo per me non mi lasciarono modo di visitare posti come la Torre di Londra, ma mi promisero che saremmo ritornati e mi avrebbero fatto da guida per un giorno intero; l’idea mi piaceva perché significava che saremmo presto tornati a Londra.
La cosa che mi inquietava e teneva lontano il sonno, però, non erano i ragazzi, piuttosto Niall. Infatti il giorno seguente sarei ritornata a scuola ed avevo paura di incrociarlo nei corridoi. Non sapevo se mi avrebbe affrontata o se sarebbe ritornato all’indifferenza di sempre, e speravo davvero che fosse la seconda.
Da una parte mi vergognavo di essere corsa via, ed avevo paura che l’avesse detto a tutta la scuola e si ridesse di me. Ma Louis mi aveva assicurato che nessuno avrebbe saputo nulla l’indomani in quanto la notizia avrebbe potuto rovinare la sua reputazione. Speravo fosse vero.

Le previsioni di Louis furono giuste: il giorno dopo nessuno sapeva nulla, e nessun pettegolezzo girava a scuola. Sembrava che nessuno si fosse accorto che l’irlandese mi aveva trascinato al piano di sopra, meglio così.
Non lo vidi fino a pranzo, quando stavo raggiungendo gli altri ad un tavolo in mensa e notai che mi stava venendo incontro. Inoltre mi guardava, quindi sapevo che si stava dirigendo proprio da me. Affrettai il passo e raggiunsi il tavolo prima che potesse fermarmi, e lui fu costretto a passarci accanto fingendo di nulla. I ragazzi non gli prestarono molta attenzione e non fecero caso che ci scambiammo uno sguardo. Sapevo che sarebbe stata questione di tempo prima che mi avrebbe preso da sola, e la domanda era una: quando ci sarebbe riuscito?

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Capitolo 10
*** 10. I chased him. ***


Vi avverto che il capitolo è lungo, spero non me ne vogliate. Inizia la svolta nella storia. Vi ricordo che mi trovate qui su Facebook: https://www.facebook.com/pages/Just-follow-One-Direction/104969312957231.
Inoltre vi invito a recensire, poiché ho davvero bisogno di sapere cosa ne pensate della storia.
Grazie dell'attenzione.


Niall.
Non riuscii a sorprenderla da sola per tutta la settimana. Si aggirava per i corridoi sempre attaccata a uno dei suoi amici e non lo lasciava mai andare. Si capiva che temeva un confronto, così allentai un po’ la presa e la tenni un po’ più a distanza, evitando di guardarla o incrociare il suo sguardo. La mia tattica? Farle credere che l’episodio era acqua passata e aspettare che abbassasse le sue difese, così sarei riuscita a beccarla da sola. E, infatti, la beccai il mercoledì dopo.


Ashley.
Per tutta la settimana riuscii a sfuggire all’irlandese, nonostante notassi la sua presenza ovunque andassi. Per i corridoi cercavo sempre di non rimanere da sola, di solito trascinavo con me uno dei ragazzi e spesso e volentieri arrivavano in ritardo alle loro lezioni perché prima li costringevo a scortarmi alle mie. Sospettavano qualcosa, e non impiegarono molto a scoprire cos’era successo il sabato che mi sentii “male”.
“Che cosa ha fatto quel viscido irlandese?!” esordì Zayn mentre li raggiungevo al loro tavolo in mensa. Subito guardai Louis, che teneva lo sguardo basso.
“Louis …” sussurrai.
“Scusa Ashley ma non ce l’ho fatta a tenerglielo nascosto. Sapevano che c’era qualcosa nell’aria e d’altronde sono più di dieci anni che li conosco e ci si può fidare e voglio dire, insomma …”
“Qui il problema non è Louis che ci ha detto cos’è successo. Qui il problema è quello che l’irlandese ha avuto il coraggio di fare! Portarti in una stanza e offrirti del sesso! Non ci posso credere.” Continuò Harry.
“Io ho cercato di vedere se uno di voi era nella stanza e chiedere aiuto ma non c’era nessuno ed io non riuscivo a oppormi … Ma alla fine me ne sono andata, no? Non è questo quello che conta?” risposi io.
“Sì, e credimi ci dispiace se non c’era nessuno per te in quel momento. Promettiamo non succederà mai più, alla prossima festa ti staremo col fiato sul collo.” Liam sorrise.
“Però ecco, vedete … Io penso che ci sia del buono in lui. Perché se fosse stato solo un pervertito o un maniaco, non mi avrebbe fatto uscire dalla stanza ma mi avrebbe chiuso dentro, eppure non l’ha fatto. Io mi ricordo quel suo sguardo il primo giorno di scuola, era lo sguardo di chi non sa farsi accettare per ciò che è e si nasconde dietro una maschera. Le conoscete le storie che girano su di lui. Genitori assenti, cattive compagnie, ed ecco che viene schiaffato dagli stessi genitori fuori dal paese. Insomma non deve essere una situazione né tanto facile né piacevole. E molto probabilmente anche lui sa che circolano queste voci, eppure? Non si è mai premurato di smentirle e l’occasione potrebbe crearsela dato che sa sempre come non passare inosservato. Evidentemente c’è del vero, e ritengo sia una persona che abbia bisogno di aiuto ma sia troppo orgoglioso per chiederlo. Voglio aiutarlo.”
“Wohoo! Rallenta, sei partita in quarta. Non sai niente su di lui Ash, e non sai nemmeno se ciò che si dice è sia vero o no. D’altronde come farebbe a smentire? Sono voci, non c’è nulla di concreto, non penso possa prendere il microfono in mano e dire a tutta la scuola “Ehi, le voci che girano su di me sono false”, no. Penso semplicemente ti sia costruita castelli in aria.” Interferì Liam.
“Concordo con Liam, giocheresti col fuoco e potresti scottarti.” Concluse Louis.
“E se io volessi scottarmi?” risposi mentre suonava la campanella e lasciavo il tavolo della mensa senza dare ulteriori occasione ai ragazzi di smentirmi.



Ok, è vero che avevo “abbassato le difese” ed ero tornata a girare per la scuola senza guardie del corpo che mi scortassero, ma non pensavo davvero sarebbe riuscito a sorprendermi così presto, anche perché ultimamente non mi prestava più tanta attenzione e pensavo mi avesse semplicemente dimenticato in qualche modo.
Era un mercoledì, ed era appena finito il pranzo. Raggiunsi come al solito l’armadietto –di solito non portavo mai i libri in mensa, volevo mangiare in santa pace– e presi i libri che mi sarebbero serviti: biologia e matematica. Il corridoio si stava svuotando in fretta ma mentre camminavo non m’importava, cercavo solo di ricordare quale fosse l’aula dato che non riuscivo mai a ricordarmela.
Girando l’angolo mi scontrai con un ragazzo che stava correndo, probabilmente in ritardo per la lezione. All’inizio temetti fosse Niall, ma mi sbagliavo.
“Scusa!” disse il ragazzo continuando a correre, “sono in ritardo! Mi farò perdonare, giuro! Io sono Lee.” E il corridoio lo inghiottì.
Quindi tornai ai miei libri per terra e mi chinai a raccoglierli, notando che il mio braccialetto si era rotto, sparpagliando perline dappertutto. Una di queste rotolava indisturbata sul pavimento, quando si fermò contro una scarpa. Alzai gli occhi sulla scarpa e mi accorsi che era proprio l’irlandese. Il corridoio ormai era deserto, si sentiva soltanto la voce dei professori nelle aule accanto che richiamavano i ragazzi all’ordine; impazzii.
I libri che ero riuscita a raccogliere scivolarono per terra. Dalla mia posizione la sua figura era alquanto inquietante. Si stagliava cupa sul corridoio, ed aveva stampato in faccia l’espressione di chi ottiene finalmente ciò che stava cercando.
“Penso tu stia cercando questa.” Disse raccogliendo la perlina da per terra. Il mio cuore batteva all’impazzata.
“Sì beh come vedi il bracciale si è rotto, puoi anche buttarla.” Deglutii. Nel frattempo mi aveva raggiunto e si era abbassato per raccogliermi i libri. Cazzo, ora li teneva in mano lui e non sarei potuta scappare.
“Scapperai anche questa volta?” sorrise beffardo.
“No, e tu scapperai anche da qui oltre che dall’Irlanda?” il suo sorriso si spense, iniziavo a giocare col fuoco.
“Non sai niente della verità , niente, perciò chiudi la bocca.”
“So quello che si dice in giro.”
“Ah, sì? E quanto pensi sia fedele alla realtà? Sai anche per caso che scopo sempre con ragazze diverse? E sai che non è vero, che sono solo contatti che mi passano l’erba?”
Va bene, questa non me l’aspettavo. D’altronde l’idea di lui in mutande sempre diverse gli si addiceva perfettamente.
“E’ questo che volevi da me? Erba? O forse una scopata per inaugurare il giro?”
“Niente di tutto questo. Volevo qualcuno con cui parlare, mi sei sembrata finora l’unica che non si ferma alle apparenze ma va oltre. Evidentemente mi sbagliavo, evidentemente sai soltanto mimetizzarti bene.” Lasciò cadere i libri sul pavimento. Risuonarono per tutto il corridoio e oltre.
Non fece rumore, le sue scarpe aderivano perfettamente al suolo mentre si allontanava da me. Non lo sentii andarsene. Sentii la porta chiudersi alle sue spalle.
Lasciai i libri per terra e lo rincorsi.
Perché?

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Capitolo 11
*** 1O. I have to let you go, please follow me. ***


Qualcuno di voi si starà aspettando il lieto fine. Qualcuno di voi penserà che l’avrei rincorso, l’avrei baciato e sarebbe sbocciato l’amore. Non è proprio andata così quel giorno; lo rincorsi, ma lui non c’era, era già sparito.
“Nome?”
“Ashley Bookout.”
“Nella cella n°2.”
Ebbene sì, mi trovavo in carcere. Erano passati due mesi dal giorno in cui lo rincorsi, e le cose non erano proprio migliorate. Come mi avevano avvertito i ragazzi, stavo giocando col fuoco, e mi stavo anche bruciando. Diciamo che la situazione di Niall non era delle migliori, e c’era molto di più di quanto io osassi immaginare. Spacciava droga e spesso e faceva piccoli furti. La voglia di ‘salvarlo’ e di fare l’eroina mi aveva spinto a ritrovarmi io stessa nel giro. E non se ne esce facilmente. L’amore mi aveva reso cieca. Perché sì, quello che provavo nei suoi confronti era un amore smisurato, che a quanto pare, però, era a senso unico. Infatti eravamo amici di avventure, finivamo in carcere insieme ma ne uscivamo separati.
“Bookout?”
“Sì?” risposi da dietro le sbarre.
“Fuori, hanno pagato la cauzione.”
Sospirai. Mi fecero uscire dalla cella e mi tolsero le manette. Arrivai alla sala principale e vidi Louis appoggiato al bancone: mi guardò disperato. Uscimmo e ci dirigemmo in macchina senza parlare, ma sapevo che era questione di minuti prima che mi avrebbe parlato.
“Questa storia deve finire.”
Diretto, netto, preciso. Non una parola di più, non una di meno. Quattro parole veloci ed eterne.
“E’ la terza volta in due settimane che ti tiro fuori. Mamma e papà sospettano qualcosa e non ci vorrà molto prima che scoprano tutto. Inoltre i miei risparmi stanno finendo a furia di pagarti cauzioni su cauzioni.
Apprezzo il fatto che hai cercato di farti nuove amicizie, ma proprio loro dovevi frequentare? Avevi me e i ragazzi e adesso i ragazzi a malapena li saluti perché devi progettare nuovi muri da imbrattare e nuovi oggetti da rubare. Basta, te lo chiedo per favore.”
“Capito.”
“No, non hai capito. Tu e l’irlandese non dovete più avere niente a che fare. Lo so che volevi aiutarlo, e ci hai provato davvero tanto, ma se questo è il prezzo da pagare, beh, è troppo. Lascialo andare giù da solo, Ash. Non c’è bisogno che sprofondi anche tu.”
E allora non resistetti più. Erano due mesi che dentro di me sbocciava un sentimento travolgente che mi obbligava a “andare giù”insieme all’irlandese. Nessuno lo sapeva, tutti pensavano volessi soltanto attirare l’attenzione stando con Niall. Ma io lo amavo, cazzo.
“No Lou” la mia voce iniziò a tremare “tu non capisci …”
“Sì che lo capisco Ash!”
Fammi finire! Tu non capisci, io lo amo. Qualcosa mi spinge a tornare sempre da lui per aiutarlo, ma lui alza un muro e non mi permette di farlo. E allora mi accontento di stare con lui e sì, di fare cazzate. Io sto aspettando quel fottuto giorno in cui crollerà e avrà bisogno di qualcuno ed io sarò lì. Muoio dalla voglia di stare lì per lui. Lo amo Lou, lo so che è sbagliato, lo so che è irrazionale, ma è così. Sono disposta ad andare giù con lui se necessario. Se lui va giù, vado giù anch’io. Non sai cosa significa voler aiutare qualcuno che ami così tanto.
“E invece ti capisco benissimo …” fu la sua risposta.
Scese il silenzio.
“Devi prendere una decisione Ash, perché se finisci un’altra volta dietro le sbarre, non ci sarò io a salvarti. Ci saranno i miei, e dovrai prenderti tutto quello che ne verrà dopo: sarai rispedita in Texas.”
Non risposi. Arrivai a casa e mi precipitai in camera mia. Chiusi a chiave, mi buttai sul letto e iniziai a piangere.




“Bookout, consegni il saggio?”
“Non l’ho fatto.”
La risposta che il professore si aspettava, perché ormai non facevo neanche più un compito, eppure avevo voti discreti. Quel giorno la pioggia che batteva fuori dalle finestre era più affascinante della spiegazione di storia. Pensavo a Niall e a cosa avrei dovuto fare. Non volevo rinunciare a lui fino alla fine del mio anno scolastico, eppure sembrava l’unica possibilità. Oppure poteva rimettersi sulla buona strada, magari in due ce l’avremmo fatta. Suonò la campanella e uscii per prima. Qualcuno mi prese per i fianchi e mi sussurrò nell’orecchio destro “Oggi qualche graffito sulla West Road?”. Era passato del tempo dalla prima volta che mi aveva sussurrato nell’orecchio in quel modo, eppure gli effetti erano rimasti gli stessi: continuavo a sussultare e a morire dentro. Lui non lo sapeva, o forse lo faceva apposta, ma sarei potuta morire dal modo in cui mi prendeva e in cui il suo fiato accarezzava la pelle del mio collo.
“No, Niall, io … non sono più dei vostri. Devo rimettermi a posto o mi cacciano via. Mi dispiace.”
Oooh, c’mon girl! Non farti pregare. Lascia che facciano quello che vogliono, non avranno mai le palle di mandarti via. Guarda me, sono mesi che non lo fanno.” E rise.
“No, Niall, davvero io non posso più.”
E me ne andai.

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