We're fighting against the world

di Mocaccino_
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Lista capitoli:
Capitolo 2: *** Everything divides us ***
Capitolo 3: *** Everything divides us II ***
Capitolo 4: *** Love is our resistance ***
Capitolo 5: *** Do you know what’s worth fighting for? ***
Capitolo 6: *** Just confusion ***
Capitolo 7: *** Are you escaping? ***



Capitolo 2
*** Everything divides us ***



Salve a tutti sono Alex e sono nuova qui, quindi questa è la prima ff che pubblico. Mh sono molto emozionata ed anche timida, quindi siate clementi con me, no scherzo ditemelo se fa schifo. Vi dico che ho immaginato una situazione complicata per l'amore tra Robert e Kristen (che amo alla follia), ma non vi anticipo altro. Spero che abbiate voglia di sapere il seguito, perchè io adoro scrivere su di loro. Questo primo capitolo è un po' corto, ma volutamente. Vi auguro buona lettura e fatemi sapere che ne pensate :)

Evrything divides us



POV Robert
Pioveva, ma questa non era una novità per un londinese come me. Ormai ero abituato a quel cielo quasi sempre coperto da una coltre di nubi che ad intervalli regolari rilasciavano gocce d’acqua a volontà, fin da bambino amavo il cielo grigio, che mi faceva avvertire stranamente protetto. Non oggi però. Ero seduto accanto alla finestra della mia camera nella mia vecchia casa, sperando di poter beneficiare della pioggia che sempre riusciva a restituirmi il buon umore. Sulle gambe avevo la mia chitarra, tra le dita il mio plettro con il quale pizzicavo dolcemente le corde, come se stessi accarezzando qualcuno. Ma quelle corde di metallo non erano la sua pelle, la melodia che producevano non era la sua voce, quella chitarra, con la quale cercavo di consolarmi, non era lei.

Lei era dalla parte opposto del globo, mai suoi occhi, la sua voce, la morbidezza della sua pelle, i suoi sorrisi erano in una stanza ben illuminata della mia mente e richiedevano la mia attenzione.
Erano passati due anni da quando i nostri cammini si erano incrociati, un mese da quando si erano divisi. Avevano ragione: non potevo permettermi di rovinare il suo futuro, io che non ero neanche capace di capire il concetto di “futuro”.
Dopo “Twilight” avrei potuto avere migliaia di ragazze.
La gente crede che abbia tutto, la gente crede di conoscermi perché ha ascoltato qualche mia intervista, crede di amarmi perché ha visto qualche mio sorriso, crede che la mia vita sia tutta un film sempre a lieto fine. La gente si sbaglia: la mia vita è peggio di un film, forse è semplicemente come la loro, perché non sono un dio, non sono un burattino e nemmeno un attore. Io faccio l’attore, ma nella vita non so fingere, fingere che tutto vada bene, che le decisioni degli altri non mi facciano male, che io non la ami.
Un mese e una settimana da quella stupida telefonata che mi costrinse a fingere con l’unica persona con la quale non avrei voluto farlo.

Chiamata in arrivo da: Jules
«Pronto Jules, che succede?» La sua telefonata era strana. La mia prima paura fu che le fosse successo qualcosa.
«Robert ho bisogno di parlarti»
«Certo. Ma è successo qualcosa?» Ancora ansia, ansia per lei.
«No Robert, Kristen sta bene. Anzi, Kristen non sa niente di questa telefonata e Rob non dovresti dirle niente» La chiamate diventava sempre più strana: chiedermi di nascondere qualcosa a sua figlia, alla mia Kristen era un atto molto duro.
«Robert non sai quanto avrei voluto potertene parlare a quattr’occhi ma devo accontentarmi del telefono. Kristen ha intenzione di venire da te domani, dopo tornerà qui per le riprese del suo nuovo film. Kristen tornerà qui e non verrà più a Londra. Tu non devi venire ad LA, rimanda la visita e pian piano cerca di allontanarti da lei.»

“Cerca di allontanarti da lei”. Come se fossi stato io a decidere di entrare nel suo cuore e lei nel mio. Come se fossi un criminale che le stava togliendo la libertà e avrebbe dovuto lasciarla in pace. Il mio unico crimine era stato amarla.
Non so perché dissi di sì a sua madre, probabilmente perché mi spiegò che per lei sarebbe stato meglio o perché ero un vigliacco che aveva paura della reazione di Jules e della sua famiglia o ero masochista o non l’amavo abbastanza. No, questo è quello che avrebbe creduto lei. Sono uno sciocco. La gente mi vede come un romanticone, un uomo forte, tenace, ma è proprio la gente il mio problema.
Era un mese che cercavo di evitare alcune sue chiamate, che mi appigliavo alle scuse più assurde per non andare ad LA dove ci saremmo rivisti. Questo perché secondo Jules, con il passare tempo, non vedermi l’avrebbe aiutata a percepire meno indispensabile la mia presenza, finchè non l’avrebbe considerata inutile e sarebbe stato normale non incontrarsi più: senza causarle il dolore di una rottura avremmo rotto. Mi avevano obbligato a recitare anche nella mia vita. Mi piaceva farlo sul set, ma odiavo già dover mascherare le mie reali emozioni alle premiere e ai vari eventi, adesso la menzogna era la mia ombra.
L’unica realtà che conservavo era l’ultimo tocco delle mie labbra fredde e inanimate contro le sue calde e morbide.
Il giorno dopo quella rovinosa chiamata lei aveva bussato alla mia porta, supponendo di farmi una sorpresa, supposizione che io non ruppi.
«Oh Kristen quanto sono felice di rivederti» aveva esclamato mia madre mentre io, che mi ero accorto del suo arrivo, mi preparavo a fingere.
Percorsi le scale con impazienza, quella non era una bugia. Avevo bisogno di lei, nonostante mi sarei dovuto abituare a non averne e volevo sfruttare il tempo con lei, nonostante fossi consapevole che il mio tempo con lei era finito.
Scesi l’ultimo gradino, con un po’ di buon senso mamma andò in cucina e io mi avvicinai a lei e le tesi la mano. Desideravo intrecciare le nostre dita perché fin da bambino quel gesto mi dimostrava qualcosa di indissolubile. Camminiamo per mano solo con i nostri genitori, i nostri migliori amici e i nostri amati, ovvero con coloro con i quali aspiriamo ad un rapporto solido e duraturo. Quel gesto non la soddisfò, fece un altro passo e affondò il viso nel mio petto.
«Ho cercato di conservare il tuo strano odore per tutto questo tempo» La guardai con un’espressione di finta rabbia.
«Il mio cosa?»
«Mi è mancato. Mi è mancato il tuo odore così dolce» sottolineò «mi sei mancato»
Come dirle che mi era mancata infinitamente anche lei quando avrei dovuto cercare di allontanarla da me?


Grazie per aver letto ora ho bisogno di sapere che ne pensate. Il secondo capitolo è già pronto ma vediamo un po' come va questo.

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Capitolo 3
*** Everything divides us II ***


Ecco subito il II capitolo, continuate a recensire perchè ho bisogno dei vostri pareri e del vostro entusiasmo per andare avanti, io mi diverto un mondo ad immaginare storie su di loro spero sia anche piacevole leggere.

POV Kristen
Era un mese che non lo vedevo. Ogni sera aspettavo ansiosa che il display del mio cellulare indicasse una sua chiamata. Non accadeva, anzi spesso evitava le mie telefonate, come se fossimo due sconosciuti, come se non ci fossimo mai sussurrati “ti amo”. Desideravo una delle nostre lunghe nottate, trascorse insieme da un capo all’altro del mondo, a raccontarci ogni dettaglio della nostra giornata e ogni progetto per il nostro futuro. Non capivo il perché del suo umore tetro e della sua nuova riservatezza nei miei confronti.
Questa sera l’esigenza di sentire la sua voce, anche se accigliata e severa, mi invadeva da testa a piedi.
Non mi importava della sua reazione e benché meno del mio orgoglio.
Stesa sul mio letto, afferrai il cellulare e lo chiamai. Sperai che rispondesse: lo squillo vuoto del telefono mi avrebbe uccisa, e che non si defilasse con la scusa di qualche suo impegno, che ormai era sempre presente, forse anche più di quanto fossi presente io nella sua vita.
«Ciao» Questa sera la sorte fu clemente con la mia anima, che quel semplice “Ciao” bastò a risvegliare.
«Ciao»
«Che succede?»
Era la solita domanda. La situazione mi aveva annoiata, perché si comportava così?
«Non è che quando ti chiamo deve essere per forza perché è successo qualcosa no? Avevo bisogno di sentire la tua voce. Prima, per l’esattezza un mese fa, mi chiamavi anche tu per questo futile ma per me importante motivo. Mi manca la tua voce, vorrei sentirti cantare»
«Mi manchi anche tu, amore. Mi mancano i miei occhi che si fondono con i tuoi mentre canti sottovoce insieme a me»
«E allora che ci fai lì? Cosa stavi facendo?»
«Già, che ci faccio qui? Me ne sto qui come un ragazzino a guardare la pioggia e suonare la mia chitarra»
«Serata malinconica?»
«Un po’» Almeno non era freddo e distaccato come le altre volte. Quel “mi manchi anche tu” appena accennato aveva risanato una parte della ferita del mio cuore, ma l’emorragia non si era ancora del tutto fermata, il mio organo, in silenzio, continuava a perdere quel sangue così vitale quale era il suo amore.
«Come va amore?»
«Meglio e domani starò definitivamente bene e sai perché?» chiese retorico con un pizzico d’euforia. «Perché tu sarai al sicuro tra le mie braccia, almeno per un ora lo sarai, te lo prometto.»
Non so cosa gli avesse fatto cambiare umore, forse lo stesso desiderio di avermi accanto che provavo io per lui. Un desiderio che bruciava come la passione che c’era tra noi e che in quei giorni mi stava corrodendo il cuore: adesso era bastata quella promessa ad assopire l’incendio.
«Kristen» mi richiamò, mentre io ero ancora nel mio posto felice, tra le sue braccia a godermi il sapore del ritrovarsi che l’indomani avrei provato.
«Si» sibilai attonita.
«Tu mi fai una promessa? So che non è giusto quello che sto per chiederti e sono profondamente indeciso se fare quello che desidero o starmene al mio posto, ma per ora ho scelto di “fare quello che mi va e prendermi quel che mi viene.»
«Dimmi Rob» non volevo assolutamente che cambiasse idea, non mi importava di ciò che lui credeva potesse causarmi del male, dovevo rivederlo, lui era l’unico in grado di capirmi, di consolarmi solo prendendomi per mano, di farmi sentire una ragazza come le altre che aveva il diritto di essere amata realmente e non solo in un film, non come se fossi una macchina incapace di provare emozioni, destinata solo a recitare per produrre soldi e popolarità.
«Non dire alla tua famiglia che domani verrò a Los Angeles, non dirli nemmeno che mi rivedrai. Vengo per te, per avvolgerti tra le mie braccia anche solo per due minuti. Ti amo, per quanto valga detto tramite un telefono»
«Vale per me. Ti amo» Accettai la sua condizione senza esitazione, non gli domandai neanche il perché. Non gli avrei mai rinnegato la mia fiducia e iniziava ad insinuarsi in me la credenza che tutto il casino dell’ultimo mese fosse opera della mia apprensiva e spesso troppo esasperante mamma. Aveva pianificato il mio lavoro, il mio futuro, predisponeva gli abiti che dovevo indossare, i libri che dovevo leggere, ma non le avrei permesso di macchiare uno dei sentimenti più passionali ed unici al mondo: nel mio amore per Robert non ci sarebbe stata traccia del suo veleno.
Passammo tutta la serata al telefono, lui non smise un attimo di raccontarmi tutto ciò che aveva combinato nell’ultimo periodo, durante il quale non mi raccontava niente, e sognammo insieme il nostro incontro.
Se l’indomani non avessi realmente provato il calore della sue braccia a la dolcezza della sua voce confortante, sarei stata pervasa dal panico. Da sempre molto insicura e indecisa, anche questa volta sarei rimasta a fissare mia madre che mi portava via l’ultimo pezzo di realtà; la mia calamita si sarebbe allontanata ed io sarei crollata al suolo come uno stupido pezzo di metallo, senz’anima né forza. La mia forza si trovava oltre l’Oceano, oltre la stima di mia madre, oltre la mia casa, oltre la mia carriera, la mia forza, lui , era aldilà di tutto questo e secondo il parere degli artefici del mio mendace mondo nuoceva a questo mio universo, in realtà era la sua non presenza a nuocere alla mia vita. Il mondo che gli altri progettavano per me non era la mia vita, l’affetto attorniato di e dissidi che quell’essere mi offriva si e non lo avrei mai profanato inserendolo in quella realtà sottoscritta da copioni, lo avrei semplicemente vissuto con la speranza che egli mi avesse concesso di farlo. Doveva concedermelo, doveva venire da me e amarmi come io lo amavo, ma per stanotte potevo solo sognare che lo facesse.

Allora? Curiosi di sapere se Robert raggiungerà Kristen o meno? E Jules come prenderà la disobbedienza di Robert alla sua richiesta? Io le risposte le conosco già, ma voi dovete attendere il III capitolo. Vediamo come va questo e poi lo pubblico. Come sempre grazie per aver letto. Alex

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Capitolo 4
*** Love is our resistance ***


Finalmente ecco il terzo capitolo, spero non vi deluda, forse questa parte introspettiva risulta un po' noiosa ma il clou della storia deve ancora arrivare. "Love is our resistance" dei Muse lo ha ispirato e vi consiglio di ascoltarla perchè magnifica. Grazie per il supporto ai capitolo precedenti nonostante io sia ancora all'inizio. Buona lettura.


Pov Robert

Love is our resitance
They keep us apart and they won’t stop breaking us down
And hold me, our lips must always be sealed


Quella sera mi resi conto che non avrei potuto continuare a vivere in quel modo: distante da lei, immerso in una finzione che era ancora più straziante di una definitiva separazione.
Il mio amore per lei era il sentimento più importante, complicato, meraviglioso e grande che avessi mai provato e soffocarlo era impossibile, causa di dolori e lacerazioni al petto che non poteva contenere tutto quell’amore. Avevo bisogno di condividerlo con lei e nessun altro, perché quella passione riguardava noi e non le nostre famiglie. Mi sembrava di essere incastrato in qualche romanzo dell’ottocento. Diamine! Ero diventato il ragazzo senza dote che pretendeva di contrarre matrimonio con la bella e ricca figlia di un principe.
Era diventato tutto così complicato, un affetto sporcato da queste inutili complicazioni. Questo amore era naturale come respirare, ma da un po’ eravamo finiti in una gabbia a mille metri di profondità e respirare non era più facile: amarci era difficile, ma non per questo lo avrei reso impossibile.
Risentire la sua voce, lo stupore e la felicità quando le dissi che mi mancava e che il giorno dopo ci saremmo rivisiti, mi aveva fatto comprendere che la distanza non sarebbe servita ad un bel niente. Jules su questo si era sbagliata e forse anche sul nostro rapporto.
Parlarle mi aveva fatto rinascere e quando lei si era addormentata ancora con la chiamata aperta, come spesso accadeva, dopo averle sussurrato “Buonanotte amore mio”, ero rimasto con l’orecchio attaccato alla cornetta solo per sentire il suo respiro. Lo facevo sempre quando eravamo lontani, l’ultimo mese vegliavo a distanza sul suo sonno con malinconia, adesso con una nuova gioia, immaginandomi quel volto, quegli occhi sinceri e quelle labbra che presto avrei rivisto.
Venuto a conoscenza della mia decisione Dean, la mia immancabile guarda del corpo, restò Inizialmente interdetto dall’ improvvisa partenza, preoccupandosi come sempre per la mia sicurezza e la mia tranquillità, che sarebbero state attentate da fan urlanti e paparazzi che, a causa del viaggio così improvviso, era difficile trovare un modo per allontanare, però a me non importava di loro. Anche due ore di quelle grida insensate e strazianti e di obbiettivi puntati negli occhi sarebbero state niente in confronto al tempo che avrei trascorso vicino a lei, anche per sfiorare la sua pelle e affondare nella sua anima per soli due minuti ne sarebbe valsa la pena. Ero proprio il tipico ragazzo innamorato. No, anzi, io non ero il tipico ragazzo e nemmeno il nostro amore era una stupida infatuazione, era qualcosa che non ero in grado di definire, il cui significato era forse nascosto nei nostri sguardi. Certo probabilmente per ogni amante la sua passione è speciale, ma questo non sminuiva l’idea del nostro rapporto che io avevo.
Notandomi sicuro di me e consapevole di ciò che volevo affrontare Dean si limitò ad eseguire le mie richieste, chiamando il taxi e tentando di limitare al minimo gli inseguimenti, nonostante entrambi sapessimo che era inevitabile, quasi obbligatorio che ogni mio spostamento fosse rilevato. Si divertivano tutti a giocare agli agenti della CIA, comprese le mie fans.
Salii in macchina e mi diressi all’aeroporto di Londra da dove avrei preso il primo volo disponibile per la mia promessa.
Arrivato al check in fui circondato da una miriade di accecanti flash, che a loro volta, come una mollica che attira una moltitudine di formiche, richiamarono le mie “adorate” fans urlanti. Ero tentato di fuggire e mandare tutti a quel paese, comprese quelle ragazzine infatuate di me, ma mantenni la calma e rimembrando ciò che mi ero ripromesso, con un sorriso meccanico firmai i vari autografi e posai per qualche fotografia. Vedere tutta quella gente attorno a me, mi avevo ricordato gli ostacoli interposti tra me e la mia vita. Kristen era la mia vita, ma tutto ormai mi impediva di viverla. I fotografi, il gossip, il lavoro, la distanza erano nulla, però, confronto a quello che sua madre aveva cercato volutamente di fare.
Durante il volo tentai di rilassarmi e magari appisolarmi. Permisi alla mia mente, dopo tanto tempo, di essere totalmente obnubilata da Kristen, potevo concedermelo dato che avevo deciso di non voler più essere in grado di vedere nulla nella mia esistenza se non lei.
Desideravo organizzare qualcosa di speciale per cercare di farle comprendere che non avevo mai smesso di amarla, che non avrei mai voluto recitare con lei o decidere della sua vita insieme a sua madre, che ero stato solo un vigliacco. Lei non avrebbe dato importanza a nulla che fosse stato speciale, su questo ci avrei scommesso: avrebbe considerato specialee la mia presenza nonostante dentro di se avesse continuato a pensare che mi stavo pian piano allontanando da lei. Quando l’aereo atterrò fui colto da un’idea che mi parve magnifica, da sdolcinato ma pur sempre splendida. Poi di apparire sdolcinato non mi importava, quindi decisi di seguirla. Mandai Dean da solo al mio albergo ed io salì da solo su un taxi per raggiungerla.


Bussai alla porta di casa sua. Ero imprudente ma sicuro di conoscere le abitudini della sua famiglia. Fortunatamente non mi ero sbagliato. In casa non c’era nessuno, tranne lei, come speravo. Per il momento nessuno aveva udito i miei due colpi secchi contro la porta. Sapevo dov’era la chiave di riserva: tutto giocava a mio vantaggio. Aprì ed entrai di soppiatto in casa, come un ladro venuto a riprendersi ciò che in realtà gli apparteneva.
Salì impaziente la rampa di scale che mi separava da lei, quasi come se avvertissi ad ogni passo di esserle più vicino, di essere in procinto di sfiorarla e racchiuderla tra le mie braccia. Varcai la soglia della sua stanza e come mi aspettavo lei era lì che dormiva, avvolta dal piumone che con mio grande piacere le lasciava scoperto il volto che tanto mi era mancato. In quel momento mi chiesi come fossi stato in grado di starle lontano così a lungo, lasciando quel dolce corpo ma soprattutto quell’anima unica e stupefacente sola e indifesa, distante dall’unica anima in grado di assaporarne ogni sfumatura: la mia.
Quella creatura aveva apportato dei mutamenti in me fin dal primo incontro, non credevo al colpo di fulmine ed ancora desso non ci credo, perché è come se noi ci cocessimo da sempre; alcune volte mi ritrovavo a riflettere come un cretino sulla possibilità che in qualche altra vita ci fossimo incontrati e amati, probabilmente in una vita in cui il verbo amare significava altro che noi avevamo sperimentato. Adesso il destino era stato così magnanimo da permettere ai nostri cammini di intrecciarsi ancora una volta e anche in questa esistenza, che mi appariva fin troppo breve per scoprire tutto ciò che avrei voluto su quell’essere a me affine, stavamo provando ad amarci.
La brama di ascoltare il suono della sue parole, scorgere l’espressione sul suo viso quando mi avrebbe trovato lì, mi rendeva impaziente, ma non avrei disturbato il suo sonno e per ora mi sarei accontentato dei suoi sospiri.
Mi avvicinai e mi distesi al suo fianco, le carezzai delicatamente la guancia e le palpebre addormentate, attendendo ansioso di potermi perdere nel magico infinito che nascondevano. Si sarebbe svegliata e mi avrebbe trovato lì, al suo fianco. Agognavo farle capire, in questa maniera, che non ero mai andato via, che come ora ero lì mentre dormiva e non poteva vedermi così lo ero stato per quell’ostico e buio mese. Improvvisamente un lieve movimento mi distolse dalle mie chimere, si stava muovendo freneticamente in quel piccolo letto, sembrava dimenarsi per uscire da qualcosa, qualcosa che non mi era dato sapere. Quanto avrei voluto aiutarla, evitare che soffrisse seppur solo per un incubo. Avrei dovuto attendere, dopo le avrei chiesto cosa l’avesse spaventata e l’avrei tranquillizzata perché adesso, invece, mi ritrovai ad affogare nei suoi grandi occhioni verdi. Per tanto tempo un oceano mi aveva separato da loro e adesso erano ad un centimetro da me ad ipnotizzarmi come sempre avevano fatto, quand’eravamo insieme e nei miei sogni quand’eravamo distanti.
“Buongiorno amore mio” la salutai labbra contro labbra, davvero come se fossimo sempre restati insieme, avessimo trascorso la giornata e poi la notte assieme e adesso ci stessimo risvegliando ancora insieme.

If we live our life in fear
I’ll wait a thousand years
Just to see you smile again
Quell your prayers for love and peace

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Capitolo 5
*** Do you know what’s worth fighting for? ***




Buonasera. Vi ringrazio per aver letto i primi tre capitoli, non mi sarei mai immaginate tante visualizzazioni. In particolare un grazie enorme va a Fede, Elena, Nadia e Vick. Ah e grazie anche ai Green Day, 21 Guns da il titolo al capitolo e qui sotto ne trovate la prima strofa. Questo capitolo è molto più lungo rispetto ai precedenti, spero che non sia noioso e banale. La situazione inizia a complicarsi per Robert e Kristen …
Buona lettura! (Perdonatemi se ci sono errori di battitura: scrivo di notte)

POV KRISTEN

Do you know what’s worth fighting for
When it’s not worth dying for?
Does it take you breath away
And you feel yourself suffocating?
Does the pain weight out the pride?
And you look for a place to hide?
Did someone break your heart inside?
You’re in ruins


Posai il primo passo sul lungo tappeto rosso e mi preparai ad affrontare quelle lunga camminata che era un po’ la metafora della mia vita, nella quale mi avventuravo con passi incerti come se indossassi sempre un paio di scarpe con i tacchi, un sorriso mendace per compiacere colore che lo adoravano ma di quel sorriso non sapevano un bel niente, a testa alta nonostante sarei voluta affondare completamente nel terreno.
Giravo freneticamente gli occhi ma non guardavo la folla, troppo vuote e superficiali le occhiate con le quali avrebbero ricambiato; cercavo l’unico paio di occhi nei quale sarei sprofondata come un sasso nell’oceano, dimenticando l’accecante superficie. Ero curiosa di scoprire di che colore erano quel giorno, quali erano i sentimenti che celavano, che, chissà per quale strano motivo, erano visibili solo ai miei occhi.
Ero ormai giunta alla fine del tappeto rosso, avevo firmato tutti gli autografi richiesti e scattato più fotografie di quante me ne avessero scattate i miei durante la mia infanzia, nel mentre mi chiedevo come quella gente non si rendesse conto dell’effimerità di quei pezzi di carta. Sarebbero solo stati le conferme alla frase “Ho conosciuto Kristen Stewart”, ma quella frase era di per sé falsa: come avrebbero potuto conoscermi loro se non mi conoscevo io stessa?
Lo sguardo di cui il mio era alla ricerca non aveva compiuto quella passerella con me e ancora non c’era. Desideravo avere con me anche un brandello di lui, per rinchiuderci nello nostra bolla che tutti quei fanatici non avrebbero potuto mai oltrepassare, ma lui non era lì; perfino la mia spalla bruciava per la mancanza della mano che solitamente mi sosteneva e guidava, carezzandomi e ricordandomi che mi avrebbe salvato in tutti i casi, che era al mio fianco, capiva davvero come mi sentivo e voleva incutermi sicurezza.
Ero in procinto di entrare nel teatro quando improvvisamente la vista si oscurò completamente e fui percorsa da brividi di freddo che mi gelarono e arrestarono il cuore, stanco perché privo del suo sangue: lui. Anche gli arti inferiori mi stavano per abbandonare e, come un fragile alberello, stavo per essere buttata giù da una raffica di gelido vento. Di lì a poco mi sarei schiantata al suolo, ma forse un fondo non esisteva nemmeno, non mi era dato vederlo, perseguiva ad essere tutto oscuro perché lui si era portato via la luce.
Subitaneamente, però, qualcosa di caldo mi sfiorò e mi ritrovai a mezzo centimetro da quelli occhi che disperata stavo cercando.
Il suo fiato era sul mio e i nostri respiri si combinavano, come se vivessimo della stessa aria, come se fossimo un essere solo, e in parte sapevo che era così.
Lento e cauto era tornato ad accarezzare le mie gote e un lembo scoperto della mia spalla, quando io mi avventai sulle sue labbra, nel modo in cui si precipita un assetato su un oasi nel deserto.
E di nuovo ci fondemmo, riprendemmo conoscenza l’uno dell’altro e i pezzi del puzzle delle nostre anime tornarono ai loro posti.
«Buongiorno amore mio» alitò allontanandosi e interrompendo il contatto che avidamente bramavo. Bastò quell’istante di pausa e distanza a farmi rinvenire dallo stato di beatitudine e ricordarmi quel che avevo passato nell’ultimo mese, la conversazione di sole poche ore fa, la sua promessa, la condizione che aveva posto …. i miei genitori al piano inferiore!
«Cosa ci fai qui?» lo accusai con tono di rimprovero, sgranando gli occhi e scostandomi per rompere la magia del mio incubo risoltosi come sogno con l’ausilio della realtà.
«Non ti fidi di me?» chiese perplesso e spaventato, mentre il suo sorriso, che prima illuminava anche gli occhi, era divenuto forzato.
«Sto tentando di mantenere la mia promessa» proseguì incoraggiandomi.
«Avresti potuto avvisarmi, dirmi il luogo in cui ci saremmo dovuti incontrare» era una reazione stupida nei confronti di una sorpresa realizzata con tutto l’amore possibile, ma razionale per la situazione.
«Scusa Kris» disse mestamente, nonostante scusarsi per aver organizzato qualcosa di speciale per me fosse alquanto sciocco.
«No, tu non capisci. Sono felicissima di essere qui vicino a te, di rivederti e notare che tu abbia mantenuto la promessa, che tu mi ami ancora … »
« Come hai potuto dubitarne anche per un secondo? Non posso liberarmi dall’amore che provo per te e non vorrei mai »
«Non è questo il punto adesso» Non ero pronta a discutere dei nostri sentimenti, preferivo restare nell’incertezza per qualche altro momento. Per adesso mi limitai a esporgli la situazione che mi aveva mandata nel panico. «Sai Robert non so se te l’ho mai detto ma io in questa casa vivo con la mia famiglia, la quale adesso è di sotto, mentre tu se qui sul mio letto con me»
«E quale sarebbe il problema? Non è la prima volta. » Perché si comportava da “finto tonto”? Avevo intuito male? Ma se mia madre non centrava niente allora …
Non ebbi tempo per terminare le mie congetture, dato che mi interruppe bruscamente «Hai capito tutto vero? L’hai sempre saputo?»
«Non proprio, ma da ieri sera si, dopo la promessa che mi hai chiesto di mantenere ho iniziato ad intuire qualcosa e mi sono permessa di sperare che non fossi stato tu a stancarti di me»
«Ma come potrei stancarmi di te? Ho combattuto per averti, ti ho amata in un modo inspiegabile dal primo giorno in cui ti ho vista a quel provino, anzi no da quando ti ho visto in quel film. Pensi che sia facile da cancellare una persona che è diventata importante per te fin da prima che la conoscessi davvero?»
Proferì quelle parole sicuro di sé e dei suoi sentimenti in modo tale che improvvisamente anche io mi sentì sicura di lui. Per la prima volta nella vita avvertivo di possedere una certezza. Il futuro sarebbe potuto mutare, era ancora qualcosa di sfuocato nella mia visuale, ma tra la nebbiolina che lo avvolgeva ero in grado di scorgere la sua mano tenere stretta la mia, perché così sarebbe stato.
Con le dita tracciò il profilo delle mie guancie, poi del mio mento, scese fin sulle spalle, si accostò a me ed infine lentamente, come se in quel modo quell’istante sarebbe divenuto eterno, posò le sue labbra sulle mie e tornammo ad assaporarci. Quel bacio iniziato come casto divenne sempre più passionale, fin quando non mi ritrovai saldamente avvinghiata ai suoi capelli, mentre lui con una mano posata sulla mia schiena univa i nostri corpi il più possibile eliminare ogni millimetro di distanza. E poco importava che lui non sarebbe dovuto essere lì con me o che si fosse intrufolato in casa mia di nascosto. Mia madre avrebbe potuto aprire la porta in quell’esatto istante, anzi desideravo che avvenisse, che ci vedesse così affiatati ed innamorati e che fosse in grado di ripetere davanti ad entrambi i suoi avvertimenti o meglio dire le sue proibizioni.
La razionalità di Robert aveva superò il suo istinto e dopo poco ruppe quel saldo legame e si discostò da me continuando a fissarmi con un sorriso compiaciuto.
«Adesso vado via» dichiarò liberandosi del piumone e alzandosi dal letto.
«No» urlai afferrando un lembo della sua camicia.
Immediatamente percepì il suono di un paio di pantofole che salivano la rampa di scale.
Adesso eravamo nei guai.
Ma come mi ero piombato in testa di gridare? Ah si, stava per lasciarmi nuovamente.
«Dove vai?» mi affrettai a domandargli prima che l’inevitabile accadesse e quella porta fosse spalancata.
«In albergo»
«Vengo con te!»
«Ma che dici?» alzò le sopracciglia, ma io sarei davvero andata con lui.
«Dico che vengo con te»
«Fammi il favore di stare calma, ti manderò un messaggio e ti dirò dove dovrai raggiungermi, non ti abbandono più»
Nonostante avessi notato quanto quella frase fosse intrisa di verità non ero pronta a lasciarlo andare in quel modo, non senza le dovute spiegazioni o senza che mi avesse detto dove avrei potuto trovarlo nel caso in cui in quel momento mi stesse mentendo e non si fosse più fatto vivo.
«Non senza spiegazioni»
«Ormai scoprirai tutto tra qualche secondo. Ti prego Kris “ti amo” ripetitelo più volte che puoi e fattene una ragione. »
Poi la verità entrò dalla porta della mia stanza.
«Ma buongiorno» strillò innervosita mia madre «noto che il risveglio è stato piacevole. Ma guarda adesso le persone entrano in casa mia e nemmeno passano a salutarmi. Salve Robert»
Il suo tono era sarcastico, sprezzante da far male ed anche Robert doveva essersene accorto.
«Salutarla avrebbe cambiato qualcosa? Vuole che la saluti? Bene, allora buongiorno Jules» asserì secco, con una tonalità di voce che mi perforò i timpani. Poi si girò e sbattendo la porta alle sue spalle se ne andò, come era giusto che fosse, perché quell’umiliazione, quell’amara ironia e quel disprezzo non se li meritava.
Adesso ero pronta per parlare con mia madre, sicura e vogliosa che mi sputasse in faccia quella lurida verità che lei aveva architettato. Avrei difeso la mia vita contro la falsità che quella donna, a cui volevo bene, prima mi aveva donato e poi aveva rivestito di un involucro di bugie e sotterfugi. Sapevo che credeva che in tal modo stesse operando per il mio bene, però per una volta avevo identificato da me cos’era il meglio, avevo una certezza, una certezza che non era una castello di sabbia che con un ondata di rimproveri, sensi di colpa e menzogne sarebbe crollata.
«Ti sembra una cosa contemplabile come ‘normale’ che lui entri in casa mia furtivamente e che voi ve ne stiate qui a sbaciucchiarvi? Che comportamenti sono?»
«Comportamenti che tu hai generato. » Agguerrita come non lo ero mai stata a favore di niente.
«Ma ti rendi conto del comportamento di quel ragazzo? Kristen, cara, forse tu non riesci a vedere gli sbagli che compie e che ti sta inducendo a compiere, ma lui … »
La fermai prima. Il suono della sua voce ed i pensieri che comunicava erano diventati così insopportabili che avrei desiderato tapparmi le orecchie e sfuggire da quella tortura come facevo da bambina, ma se avevo deciso di combattere avevo anche scelto di essere adulta.
«Lui, io, noi … ci vedi un tu o una Jules in questo discorso? Ma probabilmente sono io così cieca da non scorgerlo, illuminami allora!»
«Adesso sembro paranoica, lo so, ma davvero non voglio che tu ti rovini, che faccia qualcosa che in realtà non vuoi, che macchi il tuo futuro irreversibilmente e sprechi le tue potenzialità»
Potenzialità e futuro: solo questo la preoccupava della mia vita. Io bramavo anche amare, essere felice, piangere, essere amata non perché era scritto su un copione ma perché così era la vita. Non avrei permesso a mia madre di compiere quanto non era riuscito ad un esercito di paparazzi, agenti e fans: tutti perennemente contro di noi. Tra qualche anno se ne sarebbe pentita lei stessa.
Non mi andava più di risponderle, consapevole che se avessi ribattuto a ciò che mi aveva appena detto l’avrei ferita terribilmente, quindi feci qualcosa che certo l’avrebbe fatta soffrire, ma meno delle parole. Andai via dalla mia stanza nello stessa maniera in cui prima era andato via il mio futuro, sapevo che mi stava aspettando ed io ero preparata ad afferrare la sua mano.

POV ROBERT
“Salutarla avrebbe cambiato qualcosa? Vuole che la saluti? Bene, allora buongiorno Jules”
Che cretino. Come avevo potuto rivolgermi in quel modo alla donna dalla quale in quella situazione dipendeva il mio destino? Bella mossa, Rob.
Le avevo promesso che non l’avrei abbandonata e invece l’avevo mollata lì ad affrontare la situazione da sola, mentre io me ne restavo inerme sul letto della mia stanza d’albergo a fissare la porta nella speranza che un qualche segno divino la varcasse e mi consigliasse cosa fare. Doppiamente cretino.
Ero sempre stato in grado di contenere le mie emozioni, compresa la rabbia, ero un attore dopotutto, ma dinanzi al suo sguardo impotente e spaventato, che richiedeva una mia reazione, e a sua madre che ironizzava su di me come se fossi stato un delinquente, avevo ceduto. La mia mossa non era servita a niente, temo l’abbia solo intimorita ulteriormente.
Stupido. Stupido. Stupido. Stupido. Stupido. Stupido. Stupido.
Seguitavo nell’opera di autodistruzione del mio umore e della mia anima, tuttavia non dovevo annientarmi, ormai di me restava poco o niente, ma avrei lottato per quel che rimaneva: il nostro amore.
Stabilì di accantonare la fase rimorso e depressione per riflettere sulle armi che avrei dovuto usare in quella nuova “guerra”. Semplice sarebbe stato amarci di nascosto, però era già estenuante doversi nascondere dai paparazzi, ora occultarsi anche agli occhi dei nostri familiari sarebbe stato impossibile. La seconda prospettiva più facile era quella di scappare, chiederle di opporsi alla sua famiglia. Ma no era assurdo, primo perché da soli non ce la saremmo mai cavata e secondo perché volevo che fossimo felici sotto tutti gli aspetti. L’unica soluzione risultava quindi affrontare la situazione.
La prossima domanda da porsi era come affrontarla. Il dialogo era una florida prospettiva, ero consapevole del fatto che non sarebbe stato affatto semplice, che non mi avrebbero accettato da un giorno all’altro e che quindi per ora se non fossimo stati in grado di stare lontani l’uno dall’altra – ed io non lo ero – ci saremmo dovuti comunque nascondere. Ed ancora una volta la finzione subentrava nella mia esistenza. Mentire a tutti, ma non a lei, questo non me lo sarei mai permesso, il resto lo avrei accettato.
Affrontato questo lungo ragionamento con me stesso, da buon riflessivo qual’ero, mi decisi che stare buttato su quel letto non avrebbe aiutato, anzi mi avrebbe permesso di rimuginare, quindi mi diedi coraggio e optai per una doccia.
Mentre disfacevo i bagagli mi chiesi come mai Kristen non mi avesse ancora fatto sapere niente, data la sua reazione di poco fa mi sarei aspettato di sentirla bussare da lì a poco. Poi ricordai che non le avevo detto dov’ero, non le avevo detto niente se non che mi sarei fatto sentire io. Presi svelto il cellulare, non volevo più perdere tempo senza starle accanto e le inviai un messaggio.
Sono allo Chateau Marmont. Raggiungimi quando ne hai voglia.

Fortunatamente per i miei nervi la risposta non si fece attendere.

Bene questa volta lascio tutto in sospeso, accetto scommesse xD Non odiatemi al più presto proseguirò, voglio solo creare un po’ di suspense. Come sempre fatemi sapere che ne pensate, ditemi anche “Datti all’ippica” e magari mi piacerebbe che mi scriveste anche cosa vi aspettate dai prossimi capitoli. A presto :)

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Capitolo 6
*** Just confusion ***


Fortunatamente per i miei nervi la risposta non si fece attendere e fu migliore del previsto.
Due colpi secchi rianimarono la porta che a lungo avevo fissato.
Girai la maniglia e accolsi tra le mie braccia una Kristen con il viso intriso di lacrime.
Alzò per una frazione di secondo il volto, fissò i miei occhi e poi mi scansò. Avrei voluto asciugare quelle lacrime, stringerla così tanto da scaldarle il cuore con il fuoco della mia passione per lei, ma era semplicemente sfuggita alla mia presa per dirigersi verso la finestra.
Adesso era lì, aggrappata con le mani al davanzale interno e guardava attraverso il vetro a testa bassa, quasi cercando di seppellirsi tra i suoi capelli. Perché sua madre non riusciva ad avvedersi di quanta sofferenza stava arrecando anche a lei, quella dolce ed indifesa ragazza che adesso cercava di celarmi il suo pianto?
Non avevo paura di soffrire a causa sua, ci ero già passato e pur di averla nella mia vita non mi sarei lamentato, quel che mi infastidiva era che dovessimo affliggerci entrambi per causa di Jules.
Avevo timore di avvicinarmi ed infastidirla, al contempo non dovevo lasciarla crogiolarsi nelle sue stesse lacrime, quindi in silenzio coprì con i mie passi lo spazio che ci separava e mi bloccai alle sue spalle. Rimasi lì in piedi senza intimarle fretta, sicuramente si era accorta della mia presenza, ma l’avrei lasciata libera di scegliere il momento giusto per guardarmi e parlarmi, per ora io ero lì.
Il tempo scorreva, Kristen continuava a fissare il vetro della finestra della mia camera mentre io osservavo lei e nessuno sembrava voler modificare quell’equilibrio; avevamo trascorso quasi un’ora in quel modo, ad un certo punto non lo sopportai più. Se si era precipitata da me una ragione doveva esserci e non poteva ignorarmi. Decisi di parlare per primo.
«Parlami» quasi la implorai sfiorandole una spalla e sperando che si girasse in modo da incontrare i miei occhi.
La mia preghiera fu esaudita in parte: si mise di fronte a me, ma non accennò parola. Era il momento del mio monologo. Peccato che con le parole non ci sapessi fare, ecco perché durante le interviste sparavo perlopiù cretinate.
«Non … non dobbiamo prenderla così, questa situazione non è tanto tragica come potrebbe apparire. Certo, adesso è come se ti fosse piombato improvvisamente il sole addosso, senza preannuncio, senza possibilità di spostarti e sfuggire all’impatto. Credimi Kristen, ce la fai a credermi e basta almeno per stasera? Domani mattina aprirai gli occhi e realizzerai che non c’è nessun macigno su di te o perlomeno che sei in grado di spostarlo e rivedere la luce»
«Fottiti. Tu, questo tuo essere sempre così tranquillo e disinvolto e mia madre. Con la poesia non risolvi niente Robert. Niente»
Sbraitò e corse via dalla stanza.
Tranquillo e disinvolto? Era lei quella a non sapere un bel niente di me. E pensare che credevo fosse l’unica in grado di leggermi l’anima, ero quasi certo di non poterle mentire. Io non stavo facendo il poeta e se era quel che lei riteneva perlomeno stavo facendo uno sforzo per lei. Solo ed esclusivamente per lei. Era così da quel fottuto provino. Ormai tutto quello che facevo, dicevo, decidevo lo facevo, dicevo, decidevo per lei.
Se non lo aveva inteso oggi forse non lo aveva inteso neanche prima. Ma infondo perché mi importava tanto che lo capisse? Facevo i salti mortali per lei non perché se ne avvedesse e mi consegnasse un premio, bensì perché l’amavo e quindi che se ne fosse accorta o meno non avrebbe dovuto avere alcuna importanza. O forse no?
Mi domandai se forse non avesse percepito quanto vero fosse il mio amore: io non stavo giocando, fosse dipeso da me l’avrei sposata già da tempo. Mi parve strano che forse non avevo mai fatto abbastanza perché se ne avvedesse. Io ero sicuro di amarla come si ama una sola volta nella vita, lei era quel vero amore che per quanto si dica ti piomba nel cuore esclusivamente una volta, forse ne ero fin troppo sicuro da non vedere altro che il mio amore per lei e non accorgermi dei suoi dubbi.
Stavamo insieme da circa un anno, durante il quale avevo visto il nostro rapporto come un qualcosa di consolidato e impeccabile, avevo dato quasi per scontato che prima o poi avremmo costruito insieme una famiglia, perché spesso avvertivo che ci amavamo come due cinquantenni. Nella vita è sbagliato dare per scontato qualsiasi cosa. La vita è imprevedibile, non concede sconti e il destino lo plasmiamo noi, che di immutabile e perfetto abbiamo solo … solo … niente, nemmeno l’amore.
Da due fottutissimi anni la mia esistenza ruotava attorno a lei. Non eravamo mica la luna e la terra, non ero mica un licantropo con l’imprinting. E poi che ci avevo ricavato? L’essere mandato a quel paese con l’accusa di essere troppo ‘sereno’ di fronte a questa situazione. Io che temevo di perderla da un mese, ma che nonostante tutto avevo taciuto per evitare che soffrisse, che incolpasse di tutto sua madre.
E se le avessi sbattuto io la porta in faccia anziché tormentarmi pur di consolarla?
Fanculo. Avevo perso del tempo e continuavo a perderlo.
La amavo, questo non poteva mutare per una stupida porta sbattutami in faccia urlando, però non ero più sicuro che lei mi amasse nello stesso modo. Cuore e cervello avevano organizzato un’incontro di pugilato, i cui colpi ero io a riceverli, inerme, distratto, incapace di pararli. Mancava poco al KO, se avessi continuato a torturarmi, a pensare a tutti i problemi che si erano accumulati, di lì a poco ne sarei rimasto schiacciato.
Avrei voluto chiamare Tom e andare un po’ in giro con lui, magari in qualche pub dove avrei atterrito i miei pensieri con l’alcool, ero consapevole che questa non era una soluzione, ma ero altrettanto stanco di trovare soluzioni. Io, però, ero a Los Angeles e Tom era a Londra. Non gli avrei telefonato, noi due non eravamo delle ragazzine e io non avevo affatto bisogno di raccontargli tutti i miei problemi, solo di uscire un po’.
Mi sarei messo a cantare a squarciagola pur di evitare di sentire i miei pensieri, tuttavia non era una buona idea, considerato che ero in una camera d’albergo. L’essere lì mi frustrava più di qualsiasi altra cosa, perché se ci ero finito era per stringere tra le braccia la mia Kristen, eppure ora ero lì da sola a fissare quelle pareti che non mi appartenevano, così come non mi apparteneva Los Angeles, dove non avevo niente se non lei.
Quando ero triste, depresso o incazzato col mondo usavo suonare la mia chitarra: la consideravo quasi la mia fidanzata - certo non mi avrebbe mai potuto sbattere la porta in faccia – , quindi provai a cercare consolazione nelle sue corde anche in quella situazione. Aprii la custodia, la presi, la poggiai sulle mie gambe e mi posizionai come dovuto, ma quella volta anziché pizzicare le corde per produrre dei suoni familiari che mi avrebbero tranquillizzato, avrei desiderato spezzarle, nello stesso modo in cui si stava spezzando il mio cuore. Mi costrinsi a lasciar perdere la chitarra e mi risolvetti ad uscire: essere solo tra la gente sarebbe stato meglio che essere solo in quella odiosa stanza.
Feci tutto molto in fretta in modo da riflettere il meno possibile, poi varcai la soglia dell’hotel e nello stesso istante in cui mi ricordai che con me avevo portato Dean – che ora forse dormiva ignaro di tutto nella sua stanza – fui investito dai quei maledetti flash.
Merda. I paparazzi. Me ne ero completamente dimenticato. Ovviamente quegli avvoltoi avevano subito scoperto il luogo in cui mi trovavo e prontamente si erano appostati lì, come se fossero in guerra, per assalirmi appena fossi uscito. Chissà da quanto se ne stavano qua fuori, se fossero stati qui fin da quando Kristen era andata via l’indomani sarebbe esploso lo scoop della conferma della nostra relazione. Sorrisi tra me rendendomi conto della comicità della situazione: noi forse ci saremmo lasciati e per gli altri sarebbe arrivata la prova del nostro rapporto.
Fingere un sorriso era tutto ciò che sarebbe convenuto fare, invece non fui capace di modificare per la felicità del resto del mondo la smorfia che avevo sul viso. A quel mondo non dovevo niente d’altra parte e colto dal rancore e dall’esasperazione strinsi la mano destra in un pugno mentre alzai la sinistra e mostrai il medio. Recitare era il mio lavoro ed era un impiego come quello di un dottore, di un contadino, di un avvocato o di un operaio. In quale dizionario alla voce “attore” corrispondeva la definizione “persona a cui non è permesso avere una vita privata, né essere se stessa, triste e arrabbiata, tenuta ad accettare con un sorriso di essere perseguitato peggio di un criminale latitante”?
Quella sera non avrei accettato niente che non avessi deciso io e quel che avevo deciso era che volevo camminare, da persona normale qual’ero. “Che mi seguissero”, mi dissi.
Non conoscevo Los Angeles molto bene, perciò in quella città non avevo un pub in particolare dove rifugiarmi come facevo a Londra, inoltre lì l’atmosfera dei pub era diversa, quindi entrai nel primo che vidi.
L’esercito di paparazzi non si era ancora totalmente dileguato, ero consapevole che alcuni di loro sarebbero entrati senza scrupoli nel bar con me, infatti arrivato al bancone, domandai se ci fosse un posto appartato in cui mi sarei potuto accomodare. La ragazza mi squadrò da testa a piedi basita, poi realizzò chi fossi e per poco non dovetti raccogliere la sua bava con un bicchiere: il fascino di Edward Cullen le mandava ancora tutte in visibilio; come fosse possibile che non si rendessero conto di avere davanti Robert e non il vampiro perfetto non mi era ancora chiaro. Fortunatamente mi scortò fino al mio tavolo senza scenate, bensì cercando di contenersi ed ignorarmi. Ordinai una birra grande, una Heinken, che subito mi fu consegnata ed inizia a sorseggiarla.
Ero seduto ad un tavolo posizionato nell'angolo sinistro della saletta del pub, non era propriamente una stanza privata, ma era quanto di più isolato disponessero. Il locale era affollato, le voci e le risate sguainate si sovrapponevano le une alle altre, la musica era martellante, non il genere che a me piaceva ascoltare e la luce da cui tutto era illuminato mi stordiva. Niente a che vedere con i pub della mia Londra: luci soffuse, che erano carezze per gli occhi, musica rilassante, spesso qualche cantautore che si esibiva con la sua chitarra e cullava le chiacchiere della gente.
Questo più che un pub appariva una discoteca, nonostante tutto me ne restavo lì seduto a consumare una birra dopo l’altra. Erano trascorsi soli tre quarti d’ora e ne avevo già terminate sei, ma non ne avevo abbastanza.
Mi alzai dal mio posto per recarmi al bancone e chiederne un’altra, però fui travolto dalla folla che si muoveva nello spazio striminzito cercando di ballare e improvvisamente mi ritrovai a farlo anche io. Mi agitavo a tempo di quella terribile musica o molto probabilmente a casaccio, dato che non ero mai stato in grado di ballare. Le ragazze iniziarono ad avvicinarsi, desiderose di ballare con me. Ridevo come un cretino, ma assieme ad ogni ballo perdevo un pezzo del mio cuore. Per qualche istante soffrivo, poi l’alcool prendeva il sopravvento e di razionalità non ne restava neanche un briciolo.
I paparazzi facevano parte di quella folla e di questo ne ero al corrente quando afferrai i fianchi di quella ragazza e la avvicinai a me per racchiudere le sue labbra tra le mie. Clic. Non era il suono dello macchinetta fotografica ma dei due cuori che quello scatto avevano frammentato.

Le mie labbra erano sfuggite a quelle della sconosciuta nell’esatto istante in cui le avevano incontrate, erano scappate per mettersi alla ricerca di quel sapore che agognavano e che lì non avevano trovato ed io stesso mi ero precipitato fuori dal luogo che aveva provocato il KO di cuore e cervello.
Uscì in strada e grazie al cielo non c’era nessun paparazzo, avevo il respiro affannato e desideravo sferrare pugni contro qualunque cosa, ma principalmente contro me stesso.
Vidi la ragazza che avevo quasi baciato accostarsi alla porta fuori dalla quale mi trovavo e un secondo dopo allontanarsi da lì nello stesso modo, forse aveva notato l’espressione dipinta sul mio volto.
Mi sedetti sul marciapiede, poggia la testa tra le ginocchia e strinsi i pungi, sbattendoli sull’asfalto. Volevo piangere e urlare.
Tra poco quelle foto sarebbero comparse su una miriade di siti internet ed il giorno dopo sui giornali, Kristen le avrebbe inevitabilmente viste ed anche Jules. Avevo complicato una situazione già di per sé complicata, tuttavia quel che più mi affliggeva e mi squarciava il petto era l’aver dubitato dell’amore di Kristen per me e soprattutto della sua importanza nella mia vita. Lei avrebbe potuto sbattermi diecimila porte in faccia, ma io l’avrei amata sempre allo stesso modo e non avrei considerato niente che la riguardasse una perdita di tempo, mai più mi sarei lasciato in balia della rabbia come in queste ore, mai più avrei dovuto pensare cose che adesso mi sembravano addirittura inconcepibili.
Io la amavo e avevo bisogno di vederla. Un bisogno pungente.
Le foto erano diventato il mio ultimo problema, quel che contava adesso era capire dove fosse.
Non avevo il permesso di andare a casa sua e d’altra parte non conoscevo nemmeno l’esito dell’ultima conversazione che aveva avuto con sua madre, quindi non sapevo se lei fosse lì o se fosse furibonda anche nei confronti della sua famiglia.
Quando mi avvidi di non sapere dove sarebbe potuta essere fui soggiogato dal panico. E se non fosse tornata a casa sua dopo essere scappata da me? Aveva diciannove anni ed era una ragazza, per di più era Kristen Stewart e non le era assolutamente concesso di andarsene in giro per Los Angeles a quell’ora tutta sola. Riuscii quasi a sorridere accorgendomi che era la stessa cosa che avevo deciso di fare io, ma tornai serio e ansioso quando mi ricordai che me lo sarei aspettato anche da lei.
Mi sollevai dal ciglio ghiacciato della strada e optai per una telefonata.
Quattro squilli vuoti e nessuna risposta.
Provai ancora ed ottenni lo stesso risultato.
Ritentai per altre dieci volte e poi quasi risvegliandomi da uno stato di coma mi ricordai di come mi aveva mandato a quel paese e che fosse comprensibile che non mi rispondesse.
Testardamente continuai lo stesso a chiamare quel fottutissimo numero.
La diciassettesima chiamata si interruppe prima del quarto squillo: era stata rifiutata.


Non uccidetemi per quello che succede in questo capitolo
(:

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Capitolo 7
*** Are you escaping? ***


POV KRISTEN

A mezzanotte la carrozza di Cenerentola torna ad essere una zucca, il suo vestito un qualsiasi grembiule ed ogni incantesimo è spezzato così come lo è stato il mio amore, per una motivazione assurda, perché questo sentirmi ripetere di stare calma mi metteva ansia, perché io volevo una soluzione, volevo amarlo alla luce del sole, perché lo odiavo quando si perdeva nei suoi discorsi e nei suoi pensieri, quando continuava a ripetere di amarmi. Lo odiavo perché questo non mi aiutava: avrei dovuto lasciarlo e tornare a condurre una vita tranquilla. Odiavo me stessa perché non sarei mai stata capace di farlo, mi odiavo perché amavo sentirmi ripetere quanto mi amava, perché sapevo che era sincero, che sarebbe stato il primo e l’ultimo, che neanche lui avrebbe mai fatto a meno di me. Mi odiavo perché avevo rovinato tutto con il mio nervosismo.
E adesso cosa mi restava? Una famiglia contro la quale non avevo intenzione di urlare ancora per quella sera e un amore abbandonato in una stanza d’albergo, perché ero troppo orgogliosa, anzi codarda, per tornare a riprendermelo: preferivo attendere e vivere nell’incertezza più che tornare da lui e sentirmi dire che ero una bambina, che non ero fatta per stare con lui. Una parte di me sapeva che mai avrebbe voluto lasciarmi, anche se fossi stata la peggiore ragazzina del modo, ma un’altra, quella consapevole di averlo ferito senza ragione, senza ritegno, capiva che in un momento tale anche lui sarebbe stato capace di distruggere tutto e conoscendo bene entrambi sapevo anche che nessuno avrebbe più cercato di riparare il danno, preferendo vivere senza il grande amore per serbare l’orgoglio.
Uscita dall’hotel, non avendo la minima idea di dove sarei potuta andare, salì sul primo taxi che mi passò davanti e avventatamente dissi “All’aeroporto”.
Non so perché diedi quell’indicazione, ma circa un quarto d’ora dopo mi ritrovai lì dovevo avevo chiesto di essere condotta, a chiedermi quale sarebbe dovuta essere la prossima mossa dato che ormai ero in quell’aeroporto.
Era stato l’istinto a dettarmi quelle parole, forse ne sapeva più di me e avrei dovuto seguire i suoi segnali, probabilmente tentava di indurmi a partire: una delle soluzioni più facili, sfuggire, ma mi resi conto che era anche quella che desideravo. Non mi importava di essere una codarda, volevo solo partire.
Diedi un’occhiata al tabellone delle partenze e subito riconobbi quale sarebbe stata la mia meta: l’Europa.
Prima che qualcuno informasse i paparazzi della mia presenza lì sarei dovuta salire su un aereo.
Il primo volo disponibile per un paese europeo era diretto a Londra.
Destino crudele. Londra era la sua città e da un po’ anche la mia, Londra significava premiere di Twilight, significava sgattaiolare fuori a notte fonda, significava primo incontro con la sua famiglia, significava ultimo capodanno insieme, significava semplicemente lui.
Possibile che tra tutte le città europee dovessi andare a finire proprio lì? Questo strano destino che avevo creduto volesse condurmi lontana da Robert mi stava avvicinando ancora a lui, probabilmente perché in un modo o nell’altro avrei trovato la maniera per sentirlo vicino comunque, poiché non eravamo fatti per sopravvivere separati. Affidandomi al destino o forse al mio cuore o a qualunque cosa sulla quale in quel momento non avevo voglia di indagare, presi quell’aereo e volai a Londra. Fortunatamente nessun paparazzo fece in tempo a vedermi. L’atterraggio sarebbe stato un altro paio di maniche, anche per via dei fans. Ero senza guardie del corpo, ciò significava essere esposta a qualsiasi pericolo senza difesa, certo però le guardie del corpo con me non le avrei gradite.
Fu semplice accaparrarsi un posto in prima classe, considerato che quasi nessuno la prenotava a causa del costo elevato, infatti con me c’erano solo altre tre persone. Un uomo vestito in nero, la cui attenzione era catturata ora da un laptop, ora da un iphone, ora da un ipad e una coppietta felice, rintanata dietro i sedili a sogghignare e scambiarsi effusioni. Era notte e la testa stava per esplodermi, l’aria calda che si respirava sull’aereo e il silenzio inducevano il mio corpo a prendersi una pausa ed assopirsi, ma questo non era ciò che il mio cervello richiedeva. Pensare, ragionare, ecco a cosa mi sarebbe dovuto servire quel viaggio. In queste situazioni di incertezza la prima domanda da porsi è “Cosa desideri davvero?”. Facile. Stare con Robert, amarlo ed essere amata. Dovevo sforzarmi di pensare a qualcosa che non avevo già, d’altra parte ci amavamo già e tanto bastava, mentre quel che agognavo realmente era che il nostro amore fosse accettato una volte per tutte. Questo era quello per cui avrei combattuto.

La stanchezza ebbe la meglio sulla ragione, forse perché anche il cervello era sfinito così come il cuore, quindi finì per addormentarmi e risvegliarmi nel momento in cui l’hostess stava comunicando l’imminente atterraggio.
La decisione principale era comunque stata afferrata, quel che volevo lo avevo compreso e adesso mi rendevo conto che per ottenerlo non sarei dovuta essere lì, adesso più che mai avrei dovuto stringere la sua mano tra la mia e presentarmi davanti a mia madre decisa, avrei preso lo stesso aereo e sarei tornata indietro all’istante. Tutto era chiaro, nitido come il cielo mattutino che scorsi dal finestrino, un cielo insolito per Londra, che riuscì a farmi sorridere.
Mi precipitai fuori dal velivolo e smaniosa di un minimo contatto con lui, seppur a distanza, la prima cosa che feci fu accendere il cellulare. Immediatamente l’aggeggio iniziò a vibrare ripetutamente e lo schermò mi mostrò le migliaia di chiamate che aveva continuato ad effettuare per tutta la notte.
Era mio dovere tranquillizzarlo, dimenticare il mio orgoglio e chiedere scusa, poiché l’amore non poteva assolutamente essere macchiato dall’orgoglio, sentimento tanto offuscante da cancellare tutti gli altri.
Mentre entravo nell’aeroporto, a testa bassa, con cappuccio, occhiali da sole e un’altra maglia davanti al viso per evitare di essere riconosciuta, inizia a comporre il numero, ma Rob mi precedette.
Il mio amorevole, apprensivo Robert, il quale, ci avrei scommesso, era in procinto di un infarto. Sogghignai e risposi.
“Kri” sospirò sollevato, proprio come immaginavo. “KRIIIIIIIIIS! AMOREEE! KRISTEEEEEN!” . Non avevo però previsto che avrebbe iniziato ad urlare disperato dall’altra parte della cornetta come se …
“Rob calma, ma … “
Voltai il viso verso i negozi e … respira Kristen.
1 – 2 – 3 conta fino a dieci prima di parlare
4 – 5 – 6
7 – 8 e
“SEI UN STRONZO ROBERT. AMORE NIENTE. VAFFANCULO CAPITO? AMORE A CHI? A ME O ALLA ROSSA? “
Lo sentivo balbettare frasi smorzate, con voce attutita, quasi come se stesse per piangere ed era ciò che stavo per fare io, mentre continuavo a fissare quella cavolo di vetrina, quel cavolo di giornale e quella fottuta foto in prima pagina.
Eccolo lì l’uomo che amavo, che mi amava. Perché di questo ero sicura, certa che mi amasse nonostante fosse stato immortalato mentre baciava una ragazza dai capelli rossi con quattro bottiglie di birra in mano ed un viso più perplesso che appassionato.
Io sapevo che amava me, che quelle chiamate erano un modo per confessarmi tutto, che adesso si sentiva in colpa e sarebbe venuto lì ad inginocchiarsi davanti a me pur di essere perdonato, lo sapevo e per quanto riguardava il bacio l’avevo già perdonato, se non totalmente ignorato.
Quel che mi uccideva era che fosse tornato ad ubriacarsi anziché cercare di risolvere i problemi, che avesse preferito annullare tutto con l’alcool come faceva da ragazzino. Aveva promesso che non si sarebbe più ubriacato, per la sua famiglia, per la sua immagine e soprattutto per me e invece si era comportato ancora una volta come un ragazzino.
Non volevo litigare ancora con lui.
Dio ma perché doveva combinarne sempre una delle sue?
“Kristen scusa, non l’ho neanche baciata ero ubriaco e mi è piombata addosso, Kristen ti prego torna qui” aveva subito afferrato il motivo della mia rabbia-
“Sono in aeroporto Robert”
“In … aeroporto?”
“Sì, a Londra”
“Kristen ma come?”
“E volevo chiederti scusa”
“Non serve. Torna e basta, questo mi serve”
“Perché devi sempre peggiorare la situazione? Accumulare casini su casini? Perché non mi aiuti a risolverla questa situazione anziché andarti ad ubriacare come se questo poi servisse a qualcosa? E adesso che mia madre vedrà la foto pensi che sarà più facile?”
Nelle ultime ore non facevamo altro che urlarci contro lacerandoci il cuore, riducendolo in brandelli, anziché combattere contro il mondo insieme, così come avevamo sempre fatto e come ci eravamo giurati di fare sempre, stavamo dichiarando guerra al nostro amore ed io stessa continuavo a gettare benzina sul fuoco, come se fosse inevitabile, quasi non trovassi altro da fare che rimproverare lui.
“Perché tu mi hai lasciato solo, ecco perché sono andato ad ubriacarmi. Abbiamo combattuto fin dal primo giorno in cui i nostri sguardi si sono incontrati e abbia vinto perché lo abbiamo fatto insieme. Abbiamo combattuto contro la scimmia, i paparazzi, il senso di colpa, i chilometri. Siamo sempre in guerra, ma non c’è guerra migliore che quella combattuta accanto a te, perché il nostro amore supera e supererà sempre tutto. Noi vinciamo su tutto, io su niente. E adesso vengo a Londra”
“Noi vinciamo su tutto, io su niente” Aveva ragione. Lui era diventato il mio sostegno fin dal primo giorno, mi aveva guidata ed aspettata durante ogni battaglia che avevo dovuto combattere, senza di lui, prima come amico e poi come fidanzato, non ce l’avrei mai fatta.

“Ei Kris? Ci sei ancora amore?”
“Stavo pensando che magari potrei raggiungerti lì a Londra, ce ne stiamo un po’ insieme da soli, tranquilli come non accade da quasi un mese e poi torniamo qui, al lavoro, da tua madre e dai problemi. Non credere che ti lasci sola a Londra a rinchiuderti in te stessa e poi sei nella mia Londra, ricorda”
“Ah e quando l’avresti comprata?” avevo deciso di stemperare la tensione, in questo modo avrebbe compreso che il momento d’ira era terminato. Non avevamo bisogno di scuse e piagnistei vari, tra noi funzionava così, era come se ci chiedessimo scusa con il pensiero.
“Sciocca”
“Egoista”
“Si in effetti hai ragione. Quel che è mio, è mio e guai a chi si azzarda a toccarlo”
“Mh e cosa sarebbe tuo?”
“Non molto adesso. Londra” rise “la mia amata chitarra, la camicia a quadri che mi hai rubato .. oh e Kristen Jaymes Stewart”
“Senta signor Pattinson le ricordo che anche le mi appartiene, in modo irrevocabile, e con lei le sue labbra”
Gli lanciai una frecciatina, ovviamente non volevo discutere, solo stuzzicarlo.
“Non aspettano altro che le sue, signorina Stewart”
Involontariamente ghignai soddisfatta, catturando l’attenzione di un uomo che mi osservò con fare perplesso, nemmeno fossi pazza.
“Comunque non venire a Londra”
“Perché?”
“Non voglio fuggire da niente e nessuno”
“Chi ha mai parlato di fuggire? Ci prendiamo una pausa dal resto e rimettiamo in play noi due.”
“Questo possiamo farlo anche restando a Los Angeles. Niente repliche, sto già tornando”
Immaginai la sua espressione rassegnata, da finto indignato. Quanto conoscevo bene quel volto e quanto mi mancava.
“Ti aspettiamo. Io e le mie labbra intendo. Vengo a prenderti all’aeroporto, stai attenta per favore non è prudente da parte tua essere lì senza me e guardia del corpo.”
“E tu tranquillizzati.”
“Certo, come no.”
“Ciao”
“Ciao amore, sei bellissima”
“Ma se neanche mi vedi”
“Ma lo so”
“Ti amo” dissi alla cornetta ormai vuota.


POV ROBERT
Kristen stava per tornare ed aveva perfino perdonato la storia del bacio. Ero fortunato ad avere lei e finalmente avevo capito che l’unico motivo per cui l’aveva fatto era perché mi amava, il che fece quasi fuoriuscire il mio cuore dalla sua cassa toracica. Questo, però, non fu causato solo da quella rivelazione bensì da tre sonori battiti contro la porta, che riecheggiarono nelle mia stanza, quasi come delle bombe.
Mi avvicinai stranito ed anche un po’ impaurito e quando scorsi il viso che si nascondeva dietro la porta, rosso o quasi viola per la rabbia, con le sopracciglia completamente corrugate, la bocca tesa in una smorfia, fui sul punto di tirarmi indietro.
“Robert Pattinson come hai potuto?” tuonò severa la figura incollerita.


Chi sarà mai la figura incollerita?
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