Compagnia da gay bar

di Rota
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***
Capitolo 10: *** Cap. 10 ***
Capitolo 11: *** Cap. 11 ***
Capitolo 12: *** Cap. 12 ***
Capitolo 13: *** Cap. 13 ***
Capitolo 14: *** Cap. 14 ***
Capitolo 15: *** Cap. 15 ***
Capitolo 16: *** Cap. 16 ***
Capitolo 17: *** Cap. 17 ***



Capitolo 1
*** Cap. 1 ***


compagnia da gay bar 1 *Autore: Rota
*Titolo della storia: Compagnia da gay bar
*Fandom: Axis Powers Hetalia
*Personaggi: Matthew Williams (Canada), Alfred F. Jones (USA), Francis Bonnefoy (Francia), Ivan Braginski (Russia), Ludwig (Germania), Un po’ tutti.
*Pair: Franada, GerIta, SpagnaAustria, VashLily, RusAme/RoChu.
*Rating: Giallo
*Avvertimenti: AU, Shonen ai, What if…?
*Genere: Song fic, Romantico, Introspettivo
*Mondo parallelo scelto: Mondo contemporaneo
*Note dell'autore (pre contest): Benché il titolo sia abbastanza comico, la mia fan fic lo è solamente a tratti. Come ogni commedia che si rispetti, ha il suo lato tragicamente drammatico. Ovvero, il fatto che tutti i miei pg sono omosessuali e che vivono nella contemporaneità di ogni giorno.
Ho pensato che ognuno dei miei personaggi – otto in tutto – poteva essere rappresentato da una canzone. Ne ho scelte specie dal mucchio delle canzoni rock che conosco.
Ci sono due storie, in questa long. I capitoli dispari parlano al presente, presentando la situazione come è. I capitoli pari, la storia vera, per intenderci, partono dall’inizio di tutto, essendo al passato, e raccontano cosa è successo prima e come si è arrivati al punto. I capitoli, pur non essendo tanto lunghi, sono tanti perché volevo dedicare ogni coppia a un diverso personaggio.
Due parole sui capitoli 16 e 17.
Come si può notare, i due ultimi capitoli sono al presente e non al passato in quanto procedono con la narrazione dai capitoli pari e non da quelli dispari. Nel 17, sono passati alcuni mesi dall'accaduto, e quello che è successo lo racconto così. Il 16 è invece più corto in quanto semplice flash di quanto accade alla festa.
*Note dell'autore (post contest): Questa fan fic poteva fare di più – doveva fare di più – a mio avviso. No, non sto dando la colpa alle giudici, non a quelle persone meravigliose che hanno comunque trovato qualcosa di buono nella bozza che ho mandato loro, quanto piuttosto al caso e a persone che, davvero, se stessero ferme sarebbe molto, molto meglio.
Ci tengo immensamente a questa fan fiction, perché è la mia prima FraNada in primis, perché sono riuscita a sviluppare il tema centrale in qualcosa come una trentina di pagine e più e perché, infine, ho usato talmente tanta buona musica che non posso che congratularmi con me stessa *ohohohohoh*.
… e a conti fatti ho vinto anche un premio speciale (L)
La realtà è che ci tenevo troppo per non consegnarla, e questo è stato un mio sbaglio.
Ho corretto gli errori e ho sistemato un paio di cosette – ora dovrebbe essere leggibile, spero ._.
Boff, nulla, spero possa essere una buona lettura per tutti voi (L)(L)



(1) Smells like teen spirit, Nirvana


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Cap. 1




Load up on guns
Bring your friends
It's fun to lose and to pretend
She's overborne and self-assured
Oh no, I know a dirty word(1)


Matt si prende, sfinito al punto, la testa tra le mani, respirando profondamente per richiamare a sé tutta la calma di cui è capace.
La situazione, così come è in questo momento, proprio non gli piace per nulla.
Il luogo non gli piace. Le persone che vi brulicano a guisa di tante formiche più o meno laboriose non gli piacciono. I rumori assordanti e molesti che gli sconquassano le orecchie non gli piacciono. Ma men che mai gli piace il motivo per cui si ritrova seduto su una di quelle sedie orrende di plastica dura, ad aspettare chissà quale messaggero che gli dia la salvezza o l’eterna dannazione.
Perché sono lì, lui e loro, in attesa di una semplice telefonata – non altro davvero.
E Matt non ce la fa più ad aspettare che i secondi passino, a contare i momenti che scorrono in un silenzio che fa male alle orecchie.
Le lancette dell’orologio sono implacabili, e ognuno dei presenti ha fin troppa fretta.
Non può neanche crederlo, ma è arrivato a essere snervato da tutta la situazione. Così, quando suo fratello tenta per l’ennesima volta di parlare – di dire sicuramente qualcosa di stupido e inappropriato – lo fulmina con lo sguardo e lo vede tornare al suo posto, senza che abbia detto una sola parola. Gli altri non hanno neanche la forza di meravigliarsi del fatto inconsueto.
Ma troppo avvilito persino per sorridere incoraggiante alle loro facce distrutte, Matt si alza con un gesto secco dal proprio posto e va verso la macchinetta dell’acqua, per rinfrescarsi la gola.
Tutto questo, in linea teorica, non dovrebbe riguardarlo.
Alfred e la sua stupida band non dovrebbe riguardarlo.
Niente.
Né Francis che sembra sbattuto come l’ultima volta che ha ricevuto un due di picche da un giovane a cui ha fatto la corte. Né Gilbert che pare non aver più fiato neppure per fare lo sbruffone. Né Ludwig che è più muto del solito, tanto sconvolto da non accorgersi neanche che Feliciano non c’è, accanto a lui. Né Alfred che non ha più fame.
Né, tanto meno, quello stupido violento di Ivan, sequestrato e nascosto chissà dove dai poliziotti, senza un briciolo di vodka per risollevarsi il morale.
Niente di tutto quello dovrebbe riguardarlo.
È egoista, Matt, terribilmente egoista. Forse lo è diventato a furia di essere gentile senza ricavarne la benché minima soddisfazione.
Allora, dopo aver bevuto d’un fiato il suo terzo bicchiere di acqua, Matt butta il bicchierino di plastica nella pattumiera e torna a passo spedito al suo posto, prendendo l’mp3 dalla tasca della sua giacca scura.
Lo accende, e la musica impazzisce nelle sue orecchie.
L’unica cosa che pensa da quel momento sono le mani veloci di suo fratello che si muovono sulla chitarra elettrica.

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Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


compagnia da gay bar 2

Cap. 2





I'm worse at what I do best
And for this gift I feel blessed
Our little group has always been
And always will until the end
Hello, hello, hello, hello, how low? (1)



La palla fu lanciata con un unico, ampio e preciso gesto di tutto il braccio, rotolando ad una velocità sostenuta in aria e arrivando, con precisione ineluttabile, al guantone aperto del ricevitore, sua meta ultima, accompagnata subito dopo da un coro eccitato di esclamazioni gioiose. Il battitore, impotente, guardava gli avversari rotolarsi nella polvere del campo, con una smorfia ancora indefinita.
Matt era sulla sua piccola duna, con la schiena ancora ingobbita per il lancio appena effettuato. Sorrideva, guardando il proprio compagno davanti a sé, ormai in piedi ed esultante. Avevano semplicemente vinto, stracciato la squadra avversaria come se nulla fosse. Ora, come pegno, toccava a loro pagare da bere al bar.
Un ragazzone grande e corpulento, dalla capigliatura e dai piercing improbabili, gli si avvicinò di soppiatto per dargli una forte e sonora pacca sulla spalla.
-Bravo Williams!-
Era Bruce, compagno di giochi e di studi, buono d’animo quanto poco trattabile di carattere. Matt era più che sicuro di essere uno dei pochi capaci davvero di stargli vicino abbastanza da non causare una lite sanguinolenta e parecchio dolorosa. D’altronde, Matt era sempre stato un tipo particolarmente paziente e accomodante.
Così, quando Bruce lo prese con un braccio e lo trascinò via, senza dargli quasi il tempo di festeggiare a dovere la vittoria appena ottenuta, lui si limitò a sorridere con piacevolezza, godendo dei salti festanti degli altri e delle loro grida.
-Ora si va a bere qualcosa tutti assieme! Tanto, pagano i perdenti!-
Bruce fece uno strano gesto con la mano, alzando il braccio libero in aria. Probabilmente, voleva solo rimarcare la propria posizione di superiorità. Anche in quel caso, Matt preferì tacere, forse troppo intento a cercare di non inciampare nei piedi dell’altro e a sostenersi in piedi senza ruzzolare a terra – un grande sforzo, considerata la posizione in cui era costretto.
Volente o nolente, si ritrovò a passare la serata in un bar, tracannando più birra che altro liquido, col pessimo risultato di un fortissimo mal di testa e il desiderio immutato di sparire da qualche parte nelle viscere della terra. Possibilmente, facendo il meno rumore possibile.

-Matt! Ehi, Matt! Svegliati! Matt, svegliati!-
Fu la voce di Alfred a rubarlo, con forza e prepotenza, al mondo dei sogni. Dovette strofinarsi più volte gli occhi, colpa anche del notevole male al cranio che gli intontiva completamente i sensi e la posizione innaturale che aveva assunto e mai più cambiato nel cadere come un masso sul proprio letto.
Il fratello lo aiutò nel processo, cominciando a scuoterlo come uno straccio sporco. Matt non ebbe neanche la forza di insultarlo o pregarlo, semplicemente, di smetterla.
Alfred aveva la pessima abitudine di trattarlo come gli pareva, senza avere molta cura di qualcosa che fosse al di là della sua persona. Matt aveva sempre pensato a lui come un bambino troppo cresciuto – e per questo impossibile da colpevolizzare – ma c’erano certe volte che avrebbe tanto voluto prendere la propria mazza da hockey e spaccargliela in testa, conservando sempre tutta la ragione possibile.
Quello era uno di quei momenti.
Alla fine sbadigliò, coprendosi la bocca con una mano indolenzita.
-Cosa vuoi, Alfred?-
Il ragazzo si sistemò sul suo materasso, sorridendogli apertamente e col viso illuminato di infantile gaiezza: ora che aveva ottenuto quello che, giustamente, pretendeva, non poteva che esserne felice e richiedere quanto dovuto.
-Stanno arrivando i miei amici e mi serve che mi prepari la colazione, Matt!-
Matt lo guardò male, pur con un occhio solo e a malapena totalmente aperto, constatando come anche lui fosse ancora in pigiama. Con ogni probabilità, Alfred si era appena svegliato e si era accorto di quanto fosse in ritardo, pensando bene al proprio fratello come soluzione a ogni possibile problema.
Matt tentò di lamentarsi, prendendo fiato nei polmoni e cercando di pensare a qualcosa di razionale e logico, ma l’altro tornò a scuoterlo tutto e prese a lagnarsi in maniera preventiva, con quella vocetta che a Matt dava tanto fastidio – che specie in quel momento avrebbe fatto proprio di tutto per non sentirla più.
-Dai Matt, fammi questo piacere! Io non sono bravo a cucinare e tu sei sicuramente più veloce! Non farmi storie! Non puoi abbandonarmi proprio adesso, che mi serve il tuo aiuto!-
Prese anche a saltellare sul materasso, giusto perché da solo non era abbastanza fastidioso.
Matt, in tutto quello, fu preso da un’altra fitta del dopo- sbornia e, come fa un disperato, allungò entrambe le braccia in alto, chiedendo la resa incondizionata.
-Va bene Alfred! Va bene! Dammi cinque minuti e sarò in cucina da te!-.
Lo sentì ridere ad alta voce – e per fortuna anche fermarsi – prima di rivolgersi nuovamente a lui con la sua solita voce tonante e vittoriosa.
-Sapevo di poter contare su di te, Matt!-
Poi Alfred con un balzo fu di nuovo a terra, per poi sparire dalla sua vista con la consueta grazia di un elefante zoppo.
Matt sospirò, affondando la testa nel proprio cuscino.

In realtà, gli amici di Alfred non erano malvagi – sicuramente, molto meglio della compagnia con cui lui si intratteneva.
Erano chiassosi, certo. Un po’ volgarotti e senza una buona educazione alle spalle. Trasandati e poco fini. Ma almeno, in tutta quella umanità che trasudava dai loro sguardi, c’era calore e intesa.
-Ehi Alfred, non dirmi che hai cucinato tu questa roba!-
Quel ragazzo smilzo dal fortissimo accento straniero era quello che più si faceva notare, specialmente per la risata tipica in cui ogni tanto scoppiava, senza davvero un motivo apparente. Matt ricordava qualcosa, a suo proposito: Alfred, in un moto di educazione spontaneo quanto raro, glielo doveva aver presentato.
Ricordava il suo nome, Gilbert, ma il resto era una nebulosa opaca e iridescente.
Lui era stato quello che si era avventato subito sulla colazione che il ragazzo aveva preparato con tanta cura, senza dimenticare di fare i dovuti complimenti al cuoco – certo, a modo suo.
Alfred, in compenso, con la bocca piena di cibo, gli rispose subito.
-È stato mio fratello Matt a preparare la colazione!-
Gilbert lo guardò male, facendo la domanda per l’intero gruppo dei presenti.
-Chi?-
Alfred indicò Matt, esattamente a qualche metro da lui, in piedi e vicino alla tazza del caffé, pronto a servire come un perfetto cameriere. Lo guardarono tutti, chi più sorpreso e chi meno – solo uno gli sorrise, facendogli un piccolo cenno come per ringraziarlo per il cibo preparato – poi tornarono come lupi alla propria preda, famelici.
Matt accennò un mezzo sorriso, senza però trattenere un sospiro un poco rassegnato. Era sempre stato così, con tutti. Vicino a suo fratello Alfred – rumoroso, evidente, fin troppo appariscente – lui diveniva più invisibile di un fantasma. Ormai ci aveva fatto l’abitudine, ma era sempre seccante dover constatare questa triste verità.
Alla fine, fu un uomo dall’aria diligente e pulita ad alzarsi per primo, come se avesse fretta addosso e non potesse fare a meno di comportarsi di conseguenza. Visti i tratti del viso e l’accento del tono, Matt intuì che fosse il fratello di Gilbert.
-Direi che è ora di iniziare a fare le prove!-
L’altro uomo gliene diede subito conferma: con un gesto della mano che forse voleva dettare disinvoltura, riprese il più giovane con una nota dolente e un poco saccente nella voce.
-Ludwig, fratellino, devi rilassarti! Non ci corre dietro nessuno! Tranquillo e mangia!-
L’espressione dell’altro si dipinse di leggera rassegnazione, come se non volesse rinunciare ai suoi propositi ma avesse scelto, inevitabilmente, la persona peggiore con cui confrontarsi. Gilbert, agli occhi di Matt, si fece carico quasi improvvisamente di un’autorevolezza senza ragione.
Fu però un altro, dal viso gentile ma dall’aspetto più trasandato degli altri, a dare man forte a Ludwig. E benché la sua voce era acuta e poco virile, si poteva notare nella sua calma quanto fosse sicuro di avere un certo peso, all’interno del gruppo.
-In realtà ha ragione lui. Sono quasi le dieci, sarebbe ora di cominciare…-
Anche lui aveva un accento straniero, ma decisamente meno marcato degli altri due. Anche nei lineamenti si poteva comprendere che non fosse di origini americane.
Matt scavò nella propria memoria, trovandovi un episodio molto particolare: si ricordava quell’uomo nudo nella propria vasca da bagno, immerso nell’acqua calda e nella schiuma bianca. Si ricordava anche che quando aveva chiesto a suo fratello spiegazioni questo se n’era uscito con una grassa risata, aveva detto che quel barbone non si lavava da più di due settimane e un bagno gli era necessario se non voleva continuare ad appestare lui e i suoi amici.
Ivan Braginski. Quel nome era stampato a fuoco nella sua memoria.
Il gruppo, alla fine, decise di dare ragione a Ivan e Ludwig.

La particolarità più piacevole di casa Jones era che, nonostante non avesse così tante stanze per gli ospiti, aveva in compenso dei locali ampi dove piazzare con comodità l’intero arsenale per una band musicale che si rispettasse.
Batteria, chitarre, microfoni, impianti stereo e amplificatori. Ogni cosa era stata depositata al giusto posto e con ordine – probabilmente più per merito degli amici di Alfred più del il ragazzo in sé. Eppure, ogni volta che Matt scendeva nella lavanderia, non poteva che ammirare tutti gli oggetti ivi riposti.
Sapeva che il fratello aveva un gruppo di amici con i quali faceva musica – spesso, molto spesso, si erano ritrovati a casa sua a esercitarsi – ma poche volte era riuscito vederli in faccia, ancora di meno ad assistere alle loro prove. Un po’ per timidezza, un po’ per i suoi impegni, un po’ perché aveva timore di mescolarsi nella vita privata di suo fratello Alfred. Però nessuno gli disse nulla quando, silenzioso e discreto, si mise in un angolino a guardare e ascoltare, incrociando le braccia al petto.
-Ti piace come suonano?-
Non si era neanche accorto di essere stato avvicinato da uno di loro: era lo stesso tizio biondo che gli aveva sorriso, a colazione. - 
Lui farfugliò imbarazzato, preso alla sprovvista. Guardò Alfred e Ivan che stavano discutendo in maniera più o meno ordinata sulla coordinazione di un dato accordo – pareva proprio che Alfred avesse totalmente sbagliato entrata e l’altro glielo stesse facendo notare nel modo più delicato possibile. Tentò persino di sorridere, con scarsi risultati.
-Non sono male, davvero…-
L’uomo gli sorrise, incoraggiante.
-Se ti va di venire ad ascoltarci più spesso, penso che ne sarebbero solo felici!-
Il ragazzo fece qualche tentativo prima di riuscire a guardarlo in viso per più di due millisecondi, sorridente a sua volta e balbettante in maniera quasi vergognosa.
-Grazie, lo terrò a mente…-
Tornarono a guardare il gruppo, mentre i componenti si sistemavano al proprio posto in procinto di ripartire daccapo.
Ludwig, alla batteria, diede il tempo, e la musica ripartì forte.
A quel punto, coperto da un breve assolo della chitarra e poi da tutta la melodia, l’uomo tese la mano a Matt, con lo stesso sorriso gentile precedente. 
-Non so se Alfred ci ha presentati. Mi chiamo Francis!-
Dopo qualche istante, quella mano fu presa e stretta.
-Piacere, sono Matthew!-

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Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


compagnia da gay bar 3
Cap. 3






Oh, I been flying... mama, there ain't no denyin'
I've been flying, ain't no denyin', no denyin' (2)



Francis solleva lo sguardo da terra, posandolo per qualche istante sulla persona di Matt. Riconosce gli echi di canzoni ben note, note che gli arrivano all’udito ovattate e dissimulate da mille altri rumori.
Si ritrova a sorridere piano, pieno di triste amarezza. Anche in un momento come quello, pare che Matt preferisca pensare alle cose belle che li hanno uniti piuttosto che a quel luridume in cui sono stati sbattuti a forza, senza possibilità di appello o di salvezza.
Il francese si guarda attorno, ancora spaesato.
Vede alcuni poliziotti che parlano e intimamente spera che siano lì per loro, per dare qualche notizia in più di quel disgraziato da cui ora dipende anche il loro futuro – ma non ha la forza di alzarsi dalla sedia e di chiedere, pieno di paura e timore.
In realtà, è il senso di colpa che lo sta uccidendo.
Non sa neanche il nome di quel ragazzo, non lo sa e la cosa lo fa letteralmente impazzire, perché se solo avesse un nome per cui pregare si riempirebbe la bocca di invocazioni pietose per quel Dio tanto maledetto e bramato, da far venire l’angoscia.
Si è riscoperto credente da pochi minuti, Francis, quando da un’intera esistenza aveva maledetto la Chiesa e l’ottusità con cui ancora si ostinava a camminare su quella Terra meravigliosa.
In un silenzio che fa raccapriccio, Francis guarda ancora una volta il corridoio freddo che si allunga alla sua destra. Ha visto Ivan che si incamminava verso quella direzione – lui, che con un impeto disperato é stato il primo ad entrare in commissariato, inseguendo l’amico e i due poliziotti che lo portavano via.
Non può certo pregare per lui: sarebbe stato fin troppo blasfemo.
Non può certo pregare per uno solo di loro: sarebbe stato un controsenso dannoso e irriverente.
Francis è impotente, ancora una volta, di fronte alla forza devastante che governa la sua vita.
Si alza, cominciando a giocare nervosamente con le proprie dita. Un poliziotto gli si avvicina e, notando la sua faccia sconvolta, lo invita a sedersi di nuovo e a prendere qualcosa di caldo con tanto zucchero, per recuperare un po’ di forze.
Francis sorride e non ha la forza di rifiutare una simile gentilezza – non ha la forza di dire nulla.
Si siede di nuovo, aspettando il proprio thé al limone con cinque dosi di zucchero. Davvero, in un momento come quello gli serve quanto più glucosio possibile.
Lo sguardo chiaro torna a cadere su Matt, nei suoi occhi chiusi e rapiti da qualche parte lontana, ben protetti da tutto quello che li circonda.
Alla fine, Francis pensa che Matt non è così stupido e che ha trovato la soluzione migliore per non farsi logorare dal tempo maledetto.
Beve il suo thé e torna a guardare il pavimento, ripensando a ogni evento che l’ha spinto a forza su quella sedia scomoda e con una simile compagnia.



(2)Kashmir, Led Zeppelin

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Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


compagnia da gay bar 4
Cap. 4





Oh, father of the four winds, fill my sails, across the sea of years
With no provision but an open face, along the straits of fear
Oh.(2)



-Non sapevo che tuo fratello sapesse suonare! È stata una sorpresa molto più che piacevole!-
Alfred, con un’espressione di pura sorpresa in volto, si voltò a guardare senza il minimo pudore Matt, per poi tornare a guardare col medesimo stupore Francis.
-Non lo sapevo neanche io!-
Matt piegò la testa in basso, sconsolato, mentre Francis fece davvero un grandissimo sforzo per non commentare quell’ultima battuta.
Seduti comodamente sui divani del salotto di casa Jones, Francis, Gilbert e i due fratelli stavano discutendo sugli ultimi avvenimenti e sulle ultime proposte nate all’interno della band. Tra di queste, c’era stata anche quella di far suonare Matt assieme al resto del gruppo.
Alfred si fece quasi impertinente, ponendo una domanda sciocca che al contempo rivelava la completa indifferenza nei confronti del proprio fratello gemello e la sua ingenua stupidità idiota.
-Ma scusa, come fai tu a saperlo?-
Gilbert rise, cattivo e maligno, mentre Francis si limitò a fare una smorfia piena di rimprovero.
-Ho parlato con lui per dieci minuti, Alfred…-
Il giovane si voltò verso Matt, per qualche secondo ancora dubbioso. Poi gli sorrise, gioioso e contento come un bimbo piccolo che ha appena scoperto il ripostiglio segreto delle caramelle.-
-Matthew, tu sai suonare!-
Il ragazzo gli sorrise, amaro e ironico, pensando a quanto il fratello doveva essere pieno di sé per non essersi neanche accorto, in tutti quegli anni, degli strumenti e delle persone che circolavano sotto il suo stesso tetto. Ma evitò di rispondergli male, almeno davanti agli ospiti.
Alfred, ignaro dei pensieri che circolavano nella mente dell’altro, gli fece un’altra domanda incalzante.
-Che cosa suoni, esattamente?-
Matt a quel punto si fece piccolo piccolo, provando un’immensa vergogna.
Vide Francis sorridergli e Gilbert rivolgergli un’espressione curiosa – neanche lui sapeva cosa suonasse, per cui voleva semplicemente sapere.
Pigolò, piano e lento.
-Suono la chitarra…-
Alfred scoppiò d’un botto in un urlo di gioia, come se la cosa portasse gloria solamente a lui.
-Come me!-
Matt asserì col capo, timidamente.
Era esatto. Matthew aveva iniziato a suonare la chitarra, qualche anno prima, esattamente sulle orme di suo fratello. Non tanto per dare agli altri un ulteriore motivo di paragone tra loro due, quanto perché, nell’ascoltare Alfred durante le prove, aveva provato un sincero moto di ammirazione tale da tentare anche lui nell’impresa.
Aveva ottenuto risultati degni di questo nome, e sicuramente non si pentiva di nulla.
Certo era che aveva pensato a tutto tranne al momento in cui l’avrebbe detto proprio ad Alfred, così sicuro di essere ignorato da non pensare minimamente al problema.
Così, in quel momento si ritrovava pieno di vergogna e con lo sguardo rivolto a terra.
Francis, dopo qualche momento di riflessione, batté le mani contento.
-Potresti fare la chitarra di accompagnamento! Che ne dici?-
Gilbert considerò davvero la cosa, Matt ci pensò su mentre Alfred, tranquillo, aspettava il responso dei tre.
Alla fine Gilbert sorrise e Matt assieme a lui.

C’erano tante cose che si potevano dire sul conto di Alfred Jones.
Che fosse ciccione – in effetti tutte le schifezze che ingurgitava come il vagone della nettezza urbana gli avevano fatto crescere lungo i lombi una certa pancetta morbida.
Che fosse uno svogliato scansafatiche – in effetti aveva lasciato gli studi il prima possibile, definendo ogni facoltà universitaria un modo assolutamente inutile e poco produttivo di passare il proprio tempo.
Che fosse un esaltato citrullo – in effetti si gloriava di imprese davvero ridicole che sulla sua bocca risultavano più titaniche delle stesse imprese di Ercole.
Che fosse un arrogante bullo di periferia – in effetti si comportava da prepotente praticamente con tutti, anche con quei pochi martiri che tentavano di tenergli testa, fallendo miseramente.
Tutto questo si poteva tranquillamente dire di Alfred Jones senza che nessuno, proprio nessuno, dei suoi più sinceri affetti si arrischiasse di negare.
Ma c’era una cosa che proprio non si poteva dire, al suo riguardo: che non sapesse suonare la chitarra.
Era stata l’unica cosa che gli era sempre interessata, fin da quando era piccolo. L’unica cosa che lo avesse impegnato sempre in maniera seria.
Quando aveva in mano una chitarra, poteva diventare sbruffone quanto desiderava: nessuno, a buon diritto, avrebbe potuto contraddirlo.
Era lì il suo mondo, lì la sua magia da eroe delle fiabe. In quelle dita veloci e tra quelle corde melodiche.
Su quelle note, su quelle melodie anche Matt aveva costruito i propri più inconfessabili segreti.

-Allora, molto velocemente. Ivan suona il basso, Alfred suona la prima chitarra, Ludwig è alla batteria, Gilbert canta e io seguo il tutto negli impianti stereo. L’unico che davvero devi seguire è Ludwig, siamo chiari?-
Francis si era dotato, all’improvviso, di un’aria professionale che davvero Matt non si sarebbe mai aspettato. Gli aveva depositato in braccio una chitarra elettrica di dubbio gusto, qualcosa che mescolava in maniera poco efficace rosa shocking e nero pece. Più tardi venne a sapere che era stato lo stesso Bonnefoy a comprarla a proprie spese, scegliendo appositamente i colori – e a quel punto aveva smesso di porsi domande.
Ivan e Gilbert gli avevano sorriso incoraggianti mentre un più serio Ludwig gli passava uno spartito e un foglio con sopra una serie di canzoni.
-Questo è il programma che avevamo in mente per sabato sera. Dimmi se c’è qualcosa che non ti va…-
Matt diede un’occhiata celere al foglio con la scaletta.
Francis e Alfred erano stati chiari fin da principio: avevano uno spettacolo da fare, il week-end di due settimane dopo, e lui sarebbe stato utile essenzialmente solo per quello. Come in un contratto a termine, Matt interessava loro fino alla sua scadenza.
Ma andava bene così, andava fin troppo bene così. Anche quello era un inizio per qualcosa, dava l’illusione di una vicinanza più familiare e affettiva con suo fratello Alfred, che fino a quel momento era poco più che un estraneo. Ventidue anni di convivenza e si scopriva sapere troppe poche cose sul suo conto.
Considerò che, in effetti, Alfred non era stato il solo a peccare di indifferenza.
Ivan gli si avvicinò lentamente, sbirciando il foglio tra le sue mani. Poi, all’improvviso, fattosi tutto allegro, indicò con un dito una canzone lì scritta.
-Questa è la mia preferita! Sarebbe bello riuscire a portarla allo spettacolo!-
Matt si rivolse a lui con un sorriso incerto e non del tutto sicuro. In realtà, quell’Ivan gli faceva un certo effetto. Non che fosse palesemente minaccioso: sicuramente, nel suo sguardo, non aveva proprio niente di rassicurante.
Ma non poté pensare ad altro che subito Francis lo richiamò all’ordine.
-Su, ora facci sentire cosa sai fare!-

Non fu facile seguire l’impeto struggente di Alfred.
Come al solito, tendeva a rubare tutta la scena, non solo durante gli assoli. Per questo Gilbert si era convinto che a fargli fare la seconda voce l’impressione che la band ne avrebbe ricavato presso il pubblico sarebbe di gran lunga migliorata.
Sulle prime, però, Matt davvero fu intimorito dalla sua dirompente vivacità.
Poi si lasciò andare, pian piano, al ritmo rassicurante e preciso della batteria di Ludwig – esattamente dietro di lui.
Poi si lasciò andare, pian piano, al suono grave e profondo del basso di Ivan – accanto alla sua persona ingombrante e un poco intimidatorio, eppure benefico e pacifico.
Cominciò a muovere le dita in maniera più saputa e meno tremolante, senza sbagliare una sola nota o un solo accordo.
Entrando nel ritmo giusto, fu un tutt'uno con il resto della compagnia.

-Non sei per niente male, sai Matt? Non capisco come mai tuo fratello non ti abbia mai invitato alle nostre prove! È davvero strano…-
Matt soffocò un sorriso amaro nel sorso di coca cola che concesse alla propria gola, preferendo non rispondere all’uomo.
Perché era brutto parlare male degli altri, specie se questi non potevano sentire e ribattere – per questo, la maggior parte delle volte, preferiva tacere, rimanendo in silenzio. 
Dopo le prove, che avevano confermato il suo ingresso nel gruppo, Francis lo aveva invitato fuori, a bere qualcosa in compagnia.
Loro due.
In realtà Matt era rimasto basito di primo acchito, non riuscendo a vedere nella scusa accampata in fretta e furia da Francis una valida ragione. Se voleva parlare in maniera più approfondita della band potevano tranquillamente bere un caffé a casa sua, senza necessariamente uscire.
Stava per rifiutare, con garbo e con la consueta dose di balbettii sconnessi. 
Poi, probabilmente anche a causa della propria incapacità di formulare una frase coerente e logica, gli venne alla mente che in realtà sarebbe stata una buona idea, quantomeno non così degradante o inqualificabile, uscire con quell’uomo. Era un’occasione in più per socializzare con qualcuno di nuovo, magari anche la volta buona per conoscere qualcuno di interessante. Per questo alla fine accettò, riuscendo finalmente a rispondere all’altro. Certo, si era stupito del risolino che gli aveva rivolto Gilbert quando era uscito in compagnia del francese, ma non vi aveva dato così tanto peso.
Così, si era ritrovato al bar dietro l’angolo – posto che non aveva mai frequentato in vita sua se non rarissime volte – davanti ad un muffin gigantesco e un bicchierone di coca-cola. Allegro come un bimbo, aveva mangiato e bevuto senza il minimo sospetto.
Francis era una compagnia piacevole, sebbene ogni tanto tirasse fuori qualche frase ad effetto il cui significato a lui sfuggiva o paragoni di così antico uso che lo tingevano di un velo di malinconica e veneranda maturità. Tutto sommato, Matt non aveva niente di cui lamentarsi.
Eccetto quando Francis, dopo averlo guardato a lungo mentre si prendeva un lungo sorso di bibita gasata, cominciò a giocare con la carta del suo dolce con mani non troppo calme.
Fece per dire qualcosa, ma le sue parole si fermarono a mezz’aria, più o meno nel punto dove Matt si dimostrò per la prima volta completamente sincero e felice. 
-Mi sono davvero divertito, oggi pomeriggio. Mi piace la band. Mi piacete tutti, in realtà…-
Si strinse nelle proprie spalle, abbassando lo sguardo. In realtà, quella felicità lo metteva un poco a disagio, perché gli era costata l’ammissione di essersi sentito, inaspettatamente, assai coinvolto in quel pazzo e folle progetto.
La musica che suonava gli piaceva davvero, e la compagnia che lo aveva scelto sembrava capace.
Insomma, si era stupito che suo fratello potesse avere così buon gusto.
Francis, dopo un solo attimo di incertezza, gli sorrise – e allungò la mano verso di lui fino a prendergli, tra le proprie dita, il polso sottile, in una presa gentile e non invadente.
-Ne sono sinceramente contento, Matthew…-
Matt restò con lo sguardo fisso per qualche istante, senza muovere un solo muscolo.
Non guardava la propria mano – in quel momento non avrebbe osato farlo – ma ogni suo pensiero era diretto al calore tiepido che quei polpastrelli gli trasmettevano. 
Ritrasse la mano, lentamente, incrociando le braccia al petto. Non smise di sorridere, neppure per un istante, ma non riuscì a impedire alla propria lingua di balbettare in maniera paurosa.
-Non mi hai parlato del tuo amico per cui organizzate la festa. Posso sapere chi è?-
Anche Francis sorrise in maniera gentile, ritirando la mano e portandola al suo posto.
Si sistemò i capelli dietro l’orecchio, lasciando scivolare in basso lo sguardo.
-Si chiama Antonio e si vuole trasferire in uno stato che permetta a lui e al suo compagno di sposarsi. Sai, è omosessuale. Come la maggior parte di noi…-

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Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


compagnia da gay bar 5
Cap. 5







Say your prayers little one
Don`t forget my son
To include everyone(3)



È immobile, rigido come un palo, seduto in maniera esageratamente composta sulla propria sedia.
Lui non è abituato a far trasparire le emozioni attraverso le parole – in realtà, neanche attraverso gesti tanto eclatanti quanto rumorosi. Tutto quello che la gente sa o vuole sapere sul suo conto la intuisce dagli occhi e dall’espressione del viso.
A detta di Feliciano, gli occhi meravigliosi di Ludwig hanno la capacità incredibile di raccontare il mondo.
Non che il tedesco pensi davvero alla fondatezza di simili scempiaggini, trova solamente quella definizione poetica abbastanza azzeccata, sicuramente più azzeccata della colorita e decisamente più volgare definizione che gli è stata affibbiata da suo fratello Gilbert.
In questo momento, gli occhi azzurri di Ludwig sono fermi e immobili, come tutto il resto del suo corpo. È teso come non si ricorda di poter essere, è angosciato come non crede di poter essere. Lui, che ha fatto della razionalità la sua ancora di salvezza, di fronte a quel turbine sconquassato della compagnia che gli è toccata più o meno a forza, non trova in quella tanto amata razionalità una buona ragione per rimanere seduto e aspettare.
Avrebbe dovuto fermare la mano di Ivan. Avrebbe dovuto fermarlo e impedirgli di fare quello che aveva fatto. Lui ne aveva la forza – e probabilmente, se non fosse stato così sorpreso per la rabbia che traspariva dal gesto, anche l’intenzione. Ma di fronte a quell’ira così palesemente mostrata, ha potuto solo sperare che la punizione inferta dal russo e dal suo bastone a quel povero ragazzo fosse efficace.
Poi, la coscienza è tornata a galla, gettandolo in un abisso di colpa e angoscia.
Lui l’ha visto, Bruce, mentre veniva portato via dall’ambulanza in fretta e furia. Ha visto il suo viso sporco di sangue rosso, le sue braccia contorte e delle chiazze scure sulla pelle chiara.
E lui ha memorizzato ogni singolo gesto che ha compiuto il russo per procurarglieli – colpa della sua mente e della sua memoria fotografica, pericolosa per la coscienza che si è vista, per la prima volta, traballare di fronte alla pura e semplice realtà dei fatti.
Intimamente, ed è questa la cosa che più di tutte gli fa male, Ludwig dà ragione a Ivan e torto a quel poveretto che ora sta lottando per la propria vita.
Intimamente, ed è questa la cosa che più di tutte gli fa male, Ludwig ha desiderato poter picchiare quel poveretto con la medesima ferocia di Braginski. Ma la violenza del russo e il suo sguardo di fuoco lo hanno inibito in ogni azione, quasi anche quella del semplice respiro.
Sente in lontananza una melodia conosciuta, chiude gli occhi e respira lento stringendo il pugno sulla propria coscia.
Vorrebbe davvero tanto far l’amore col suo Feliciano, dimenticandosi di quello schifo che lo circonda.




(3) Enter sandman, Metallica

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Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


compagnia da gay bar 6
Cap. 6









I tuck you in
walk within
Keep you free from sin
'til the sandman he comes(3)



Matt intese davvero il significato della parola “omosessuale” quando vide, per la prima volta, Feliciano Vargas – fidanzato dalla notte dei tempi con Ludwig.
Era un ragazzo molto magro, slanciato e con un sorriso perenne sulle labbra, un’aria decisamente ebete in viso e i modi di fare di chi non conosce fretta o preoccupazione. Matt, riguardando Ludwig, si chiese davvero come quei due si fossero conosciuti e per quale mistero della fede riuscissero ancora a stare assieme, dopo quelli che – a detta di Gilbert – erano parecchi anni.
Vargas dava tanto l’impressione di essere un contenitore piccolo entro cui ribolliva e scalpitava qualcosa che assolutamente non si poteva trattenere in alcun modo. E scoppiava, tutto d’un botto, solo in quelle situazioni che il tedesco gli aveva descritto come appropriate e poco pericolose.
Per esempio, quando era in compagnia non poteva assolutamente rivolgersi a lui come faceva normalmente quando erano soli – a meno che la compagnia non fosse specifica e ben selezionata, com’era il caso della band.
Dopo aver varcato la soglia di casa Jones e aver ammirato, con qualche verso zuccheroso e smielato praticamente ogni angolo dell’abitazione, ignorando bellamente i due padroni di casa lì a pochi passi, si era buttato tra le braccia vergognose del tedesco e l’aveva riempito di baci, senza troppi preamboli o fronzoli.
Gli altri avevano sorriso – Gilbert aveva fatto un’osservazione poco delicata ad alta voce – mentre Ludwig tentava invano di rimetterlo al proprio posto, rossissimo in volto e balbettante.
-Feliciano, non mi pare proprio il modo di salutare le persone, questo!-
Ma a sentire il tono delle moine dell’altro ragazzo la cosa non sarebbe durata poco. Infatti, dopo almeno cinque minuti e vari tentativi da parte del ragazzo biondo di scrollarselo di dosso o in alternativa di obbligare gli altri a non guardarli, Feliciano fu attratto da un’altra cosa. Per esempio, un settimo elemento nel gruppo che non aveva considerato o non aveva visto prima.
Si avvicinò al ragazzo incuriosito, piegando la testa di lato come un cane.
-Ciao, tu chi sei?-
Matt si fece piccolo ma prima che riuscisse a dire qualcosa in risposta ci pensò Ludwig a riprenderlo, ancora rosso ma ben intento a rimproverarlo per la mancanza di tatto e educazione.
-Lui é il padrone di casa, stupido!-
Il ragazzo gli sorrise, allungando un po’ incerto la mano verso la sua direzione.
Dopotutto, non aveva fatto nulla di male – gli piaceva, quel suo sorriso largo e gioviale, pieno di gioia incondizionata.
-Molto piacere, sono Matthew!-
L’altro gli strinse la mano in una stretta vigorosa, scuotendo il suo braccio forte forte.
-Piacere! Il mio nome è Feliciano! Anche tu fai parte della band di Ludwig?-
Matt si tenne la spalla con la mano libera, nel tentativo di frenare o in qualche modo arginare la vivacità dell’altro. Gli fu difficile, ma non quanto continuare a sorridere.
-Sì, suono la chitarra assieme ad Alfred…-
Feliciano ebbe un guizzo di squillante felicità, più evidente degli altri, tanto che Matt si sentì stritolare da entrambe le sue mani e poté davvero scommettere che le sue dita stessero prendendo un tragico e doloroso color viola prugna.
-Oh, che bello! Quindi sarai anche tu alla festa di Antonio?-
Cercò di ritirare la mano, ma invano e senza successo.
-Sì, pare proprio di sì…-
Vargas gli sorrise – aperto, sereno, gioviale, con un sorriso splendido e luminoso per cui Matt restò incantato e muto per vari secondi.
-Ci divertiremo, tutti assieme!-
E per un momento, Matt si convinse che, dopotutto, sarebbe stato davvero così.

Ivan era sempre stato gentile, con Matt. Educato, tranquillo, civile e rispettoso.
Eppure il giovane non poteva che provare un brivido lungo la schiena ogni volta che l’uomo gli rivolgeva la parola. Nel suo sguardo c’era qualcosa che lo atterriva, davvero.
-Stanno insieme da almeno cinque anni, da quanto so. Si sono conosciuti al conservatorio, dove Ludwig ha imparato a suonare la batteria e le percussioni e Feliciano suonava l’arpa…-
Secondo di pausa, poi Gilbert si intrufolò a forza nella conversazione, rubando la parola a Ivan, e guardò Matt con un’aria decisamente preoccupata e lo ammonì, presagendo quasi una catastrofe apocalittica.
-Non fare domande sul come e sul dove questi due si sono incontrati, te ne potresti seriamente pentire! Lo dico per il tuo bene, non fare domande!-
Poi guardò male il russo.
-Specialmente a questo ubriacone qui!-
Matt sorrise, alzando le mani in alto come in segno di resa mentre Ivan si limitava a sorridere. Che tra i due non scorresse buon sangue lo si poteva intuire subito – in realtà da parte di Gilbert era decisamente più evidente, ma anche Ivan ogni tanto si concedeva battute argute di dubbio gusto e per nulla innocenti. Matt aveva però notato che, tra i due, c’era un elemento che fungeva da pacere assoluto, verso cui entrambi portavano solo tanto rispetto. Francis, probabilmente, era nella band specialmente per compiti simili.
Il giovane si voltò verso la sua direzione, vedendolo trafficare con un amplificatore un poco difettoso. Vide accanto a lui le figure di Feliciano e Ludwig, atte a seguire i movimenti delle sue mani.
Ivan, in qualche modo, parve intuire alcune delle domande che gli si affollavano nella testa. Vi rispose, guardando il trio a sua volta.
-Feliciano è sempre venuto a vedere i nostri spettacoli e ha partecipato a molte nostre prove, come spettatore. È qui essenzialmente per fare da supporto morale, come Francis…-
Matt lo guardò di sottecchi, senza riuscire a tornare a guardarlo in viso. Eppure poteva comprendere la veridicità delle sue parole, anche solo dai pochi gesti che ora Vargas stava compiendo: emanava una vivacità palpabile, qualcosa di contagioso che portava, quasi necessariamente, a sorridere a propria volta. 
Così, si lasciò andare anche Matt.
-Ludwig deve essere molto legato a lui…-
Gilbert asserì con la testa, evidentemente molto preso anch’egli dall’argomento trattato.
-È per questo che ci tiene moltissimo allo spettacolo che stiamo preparando. Perché spera di essere il prossimo che lascia questo schifo per poter andare a vivere in un posto migliore…-
Matt guardò a lungo il biondo, che ora stava discutendo più animatamente con Francis, e questi pareva fargli il verso, come fa un bambino piccolo – era buffo, in quella situazione.
Matt sorrise, pensando a un particolare che fino a quel punto gli era sfuggito.
-Dovreste proprio presentarmi questo Antonio…-
Gilbert asserì di nuovo, con un sorriso grandissimo sul volto.
-La prossima volta, Matt! Te lo prometto!-

Fecero una pausa dopo un bel po’ di tempo, convinti dalla sete e dai propri stomaci brontolanti.
Si avviarono, quindi, tutti assieme, a guisa di piccoli e scuri insetti, verso i piani alti della casa, laddove c’erano cucina e vettovaglie.
Vide Ludwig intrattenersi più a lungo, presso la batteria, sistemando più volte e con estrema lentezza un piatto e un tamburo di quelli che aveva davanti.
Vide Feliciano andare in suo soccorso con un sorriso e venire respinto quasi brutalmente, ma sicuramente non mandato via.
Francis, con una leggera pressione sulla spalla, lo invitò a seguirlo, per lasciare la stanza almeno per cinque minuti.
-Non mi prepari un buon té, Matt?-
Il ragazzo sorrise alla sua gentilezza ma non capì subito – semplicemente non ci arrivò, pensando con semplicità che Francis fosse impazzito e non ricordasse che certe cose in casa Jones non si vedevano da secoli.
Poi ricordò la felicità e la libertà con cui Feliciano era corso dal suo Ludwig, non più di due ore prima. La sua gioia di poterlo riabbracciare a quella maniera, senza far finta di ritrovarsi davanti un estraneo o qualcosa di poco superiore.
Si chiese se ognuno dei componenti della propria band dovessero ricorrere a simili espedienti per poter vivere tranquillamente. Per un solo attimo, pensò a suo fratello – e altre domande, dolorose, gli vennero spontanee.
Che lui dovesse vivere le medesime disavventure? Che si dovesse nascondere come facevano Feliciano e Ludwig? Che si nascondesse, già, persino davanti a lui?
Quando giunse in cucina, sempre sospinto da Francis, lo vide trafficare in un armadietto e lamentarsi apertamente.
-Dov’è la cioccolata? Non trovo la cioccolata! Dov’è finita? Dove si è nascosta?-
Senza più pensare a nulla, si fece avanti, accucciandosi accanto a lui.
-Ora ti trovo io la cioccolata, Alfred…-

-Ehi, Matt, ma non è che tuo fratello è gay?-
Il ragazzo sputò d’un colpo i boccone che aveva ingerito, scusandosi immediatamente con il poveretto a cui era arrivato.
La mensa della sua università non era posto molto elegante, dove gli studenti erano obbligati a rimanere stipati l’uno contro l’altro per farsi spazio assieme ai propri vassoi, col risultato di sembrare, all’apparenza, tante piccole sardine sotto sale.
Rosso in volto, Matt si apprestò con velocità e urgenza a pulire quanto sporcato.
Bruce aveva la capacità innata di metterlo in imbarazzo e totalmente a disagio, con semplici e inopportune domande.
In compenso, di fronte alla sua faccia stupida e in attesa, si costrinse a rispondere qualcosa, onde evitare che l’altro prendesse conclusioni pericolose e affrettate.
Balbettò, senza riuscire a trattenersi.
-Perché ti vengono in mente queste cose, Bruce?-
Il ragazzo gli indicò un punto ben preciso davanti a sé, con quell’aria strafottente di chi crede di aver in mano ogni verità possibile.
Matt, seppur con una paura folle in corpo, seguì la direzione del suo indice.
Vide Alfred, seduto a uno dei tavoli della mensa, in compagnia di altri due ragazzi. Un tizio dalla carnagione appena scura e dai tratti tipicamente mediterranei e un ragazzo serio con gli occhiali, rigido e perfettamente seduto al suo posto.
Nelle sue orecchie, Bruce continuò a parlare.
-Conosco Carrideo. Si è appena laureato in giurisprudenza e ora ha chiesto di poter fare il dottorato in un altro stato. Perché? Lo vedi quello che tiene sotto il braccio?-
Matt asserì, notando solo in quel momento il braccio del mediterraneo attorno al collo dell’altro. Sembrava una presa piacevole, un contatto abbastanza intimo ma non invadente – di sicuro l’altro ragazzo non era proprio avverso a quella discreta manifestazione d’affetto.
-Quello è il suo ragazzo!-
A Matt mancò un colpo al cuore quando Bruce sancì il suo verdetto, con quel tono spregevole con il quale ci si rivolge ai ratti.
-Robe da pazzi! Mica è normale quello! E tuo fratello ci sta parlando! Gli è fin troppo vicino!-
Tentò di balbettare, trovando all’improvviso assai piacevole la poltiglia verdastra che aveva nel proprio piatto. Non riusciva a guardare.
-Guarda che l’omosessualità non è una malattia contagiosa…-
Poté sentire lo sguardo severo e intransigente di Bruce sopra il proprio capo, qualcosa di sgradevole come il rimprovero dei propri genitori in età avanzata. In quel momento, seppe esattamente che verso di lui sapeva provare fin troppo facilmente odio.
-Tu sei strano, Williams! Sai, dovresti trovarti una ragazza, per evitare che sorgano dubbi strani sul tuo conto…-
Poi fu silenzio, e Matt tornò a mangiare masticando lento.

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Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


Cap. 7








Living easy, living free
Season ticket on a one-way ride
Asking nothing, leave me be
Taking everything in my stride(4)


La macchina si muove veloce nel traffico, nonostante la pioggia scrosciante che batte sulla città tutta.
In parte al conducente, Lily è schiacciata contro il proprio sedile, tenendo una mano ferma alla propria portiera, senza però dire una sola parola. Nutre, come sempre ha fatto, una profonda fiducia in lui, e sa perfettamente che non può deluderla. Per quanto abbia paura, per quanto sia ancora shockata da quanto è successo, lo seguirà in ogni passo.
Dietro al passeggero, c’è proprio Antonio Carriedo, con addosso una di quelle agitazioni che prendono tutto il corpo e lo muovono fino all’esaurimento. Ha paura, prova angoscia, prova rabbia, e questo miscuglio di emozioni lo assale e lo travolge rendendolo incapace. Muove le braccia, si sporge in avanti e sembra quasi voler dire qualcosa al proprio amico, ma poi rinuncia e si siede di nuovo, guardando fuori dal finestrino o qualche parte indistinta della vettura. Quella doveva essere una sera di festa, dannazione!
Al posto del conducente, c’è Vash. Silenzioso, preciso e attento. I suoi nervi sono collassati un solo secondo, quando ha saputo dove è Ivan e dove è Bruce – e specie cosa è successo perché i due siano in quei luoghi, rispettivamente. Poi ogni cosa è tornata al suo posto e lui è partito all’azione.
Roderich non c'è, è rimasto con gli invitati in uno stato di pura confusione. D'altronde, Vash ha detto che non sarebbe rimasto via se non per mezz'ora, ma sicuramente lo svizzero non ha pensato di doversi portare dietro anche un certo tipo di pubblico.
Non avrebbe dovuto però cedere alla curiosità di Antonio Carriedo che, nel vederlo così turbato, si è turbato a sua volta. E lo spagnolo sa essere parecchio insistente, così come Vash sa essere ben poco paziente. E benché Feliciano lo aveva pregato di non dirgli nulla - lui, che si era persino spinto a chiedergli aiuto, in uno stato fin troppo alterato per pensare davvero - Vash non era riuscito a resistere.
Se solo sprecasse qualche parola per tranquillizzare i suoi passeggeri, forse sarebbe meglio, ma la tensione che gli si legge in viso, nonostante tutto, fa desistere chiunque dall’instaurare un qualsivoglia dialogo.
Almeno finché non è lo stesso Antonio a prendere la parola, rivolgendosi direttamente a lui.
-Vash, non credi di star correndo un po’ troppo? Questo macinino non può sostenere una velocità simile…-
Con uno solo sguardo al finestrino e quindi alla sua persona, Vash lo fulmina – per la sua macchina, per il suo orgoglio, per la sorpresa rovinata e per la ragione che lo stava muovendo.
-Non abbiamo tempo da perdere! Non ne abbiamo!-
L’altro rimane muto per qualche istante, ricambiando il suo sguardo di fuoco. Si vede che si sta sforzando per non urlare.
-Non ne avremo di sicuro se continuiamo così! Ci farai schiantare contro un muro!-
Lily prende a sua volta la parola, poggiando delicata una mano sulla gamba del suo ragazzo.
-Vash, se rallenti anche io mi sento più tranquilla…-
Allora Vash rallenta e fa più attenzione. In effetti, se proprio Bruce deve morire, di certo non aspetterà loro.
Ma l’ansia è tanta, e di sicuro non sarà alcuna logica a sedarla.
Lily lo guarda in viso, vedendovi per la prima volta la pura rabbia ivi dipinta. Allora fa la prima cosa che le viene in mente, cercando di calmare entrambi e riportarli all’ordine.
Parte la musica, all’improvviso.








(4)Highway to hell, ACDC

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Capitolo 8
*** Cap. 8 ***


Cap. 8







No stop signs, speed limit
Nobody's gonna slow me down
Like a wheel, gonna spin it
Nobody's gonna mess me round(4)



La casa di Francis non era grande come la sua, ma Matt ne ebbe una buona impressione.
Sesta porta al terzo piano, condominio B, in fondo al piccolo viale del complesso. Il ragazzo si sorprese di quanto, in realtà, abitasse vicino alla propria casa – poco più che un quarto d’ora a piedi, camminando veloce.
L’appartamento del francese aveva, in tutto, quattro stanze più la terrazza, ampie e ben illuminate, arredate secondo il suo gusto e piene, incredibilmente, di piante e fiori. Per questo, Matt le finestre erano spesso aperte.
Il gruppo fu accolto sul balcone, dove erano stati posti un tavolo e delle sedie, nonché preparato da bere e disposto qualche dolcetto. Insomma, Francis era un ospite davvero elegante.
Gilbert, Ludwig, Ivan e i due Jones presero posto al tavolo, e il più anziano dei tedeschi cominciò subito a servirsi, imitato quindi subito da Alfred.
Furono ripresi da Ludwig, preoccupato per la capacità della loro fame.
-Non sarebbe meglio aspettare che arrivino tutti?-
Ma Francis gli rispose con un sorriso, lasciando che i suoi ospiti predassero le vivande senza vera preoccupazione.
-Non ci sono problemi! Ho biscotti a volontà! Servitevi pure come meglio desiderate!-
Detto questo, si mise a sedere anch’egli. Precisamente, nel posto lasciato libero vicino a Matt, il più vicino all’uscita. Gli sorrise, invitandolo a servirsi a sua volta.
-Non ti va qualche biscotto?-
Matt gli sorrise e abbassò gli occhi, quasi d’istinto. Scosse però la testa senza dire nulla.
Poi lo sguardo andò all’interno della casa e al salotto che si apriva alla sua vista. Notò solo in quel momento un paio di elementi sopra il divano di pelle chiara la cui funzione non gli tornava: un cuscino spesso e una coperta pesante. Assottigliò lo sguardo, pensando a quale motivo potesse averli investiti. Poi si decise di chiedere al diretto interessato.
-Hai avuto ospiti in questi giorni, Francis?-
L’altro gli sorrise piacevole, forse intenerito dalla sua innocenza e dalla sua ingenuità. Mangiò un biscotto, mentre parlava lento.
-Ivan resta da me, in questo periodo…-
Matt sbatté le palpebre, incredulo, più volte, assorbendo quelle parole e stampandosele nella memoria – per non ripetere l’errore anche davanti al russo.
A quel punto, qualcuno suonò il campanello.

Da vicino, Antonio Fernandez Carriedo aveva una voce squillante, di quelle che anche senza accorgersene ti sfondano le orecchie e lo fanno con letizia. Almeno, questo fu il primo pensiero che attraversò la mente di Matt quando Gilbert e Francis gli presentarono quel giovane uomo abbronzato e dal sorriso caldo.
Loro tre erano amici da molto tempo, più o meno da quando avevano imparato a respirare – e si vedeva, nella maniera complice con cui scherzavano e parlavano, nei modi piacevoli e confidenziali con cui si trattavano e si prendevano in giro.
Lui era il festeggiato dell’occasione, lui il motivo vero per cui stavano provando e creando tutto quello. Bastò guardarlo in viso perché Matt si convincesse davvero della bontà delle proprie azioni. Si leggeva felicità latente, nel suo sguardo, si leggeva gioia difficilmente contenibile.
-Hai già fissato una data, per la cerimonia ufficiale?-
Francis, alle volte, sembrava una signora vecchia e pettegola, con quella sua mania del gossip e di tutto ciò che poteva averci a che fare. Per questo suo essere era sempre preso in giro da chiunque, specie dai suoi amici più intimi.
Infatti Gilbert lo derise, rivolgendogli una delle sue solite risate rumorose.
-Non hai già spettegolato abbastanza su questo, vecchia megera?-
L’altro si lagnò prontamente.
-Lascia decidere ad Antonio, questo!-
Antonio rise di gusto, spiegando ai propri amici che no, lui e Roderich non avevano scelto ancora la data e, in sincerità, neppure i colori degli abiti da indossare e una lista infinita di altre piccolezze assolutamente inutili e poco importanti – parve quasi passare un’ombra di stanchezza, nel suo sguardo, mentre diceva tutto quello, come a ricordare eventi spiacevoli di cui, sfortunatamente, era stato vittima passiva.
Accanto a lui, c’era una specie di mastino silenzioso che stava bevendo il suo tè.
Matt aveva trovato davvero curiosa la sua figura, nel momento stesso in cui aveva varcato la porta di casa Bonnefoy. Era un piccoletto biondo dallo sguardo severo, che dava l’impressione di essere capace di puntarti una pistola addosso se solo gli si fosse stata rivolta una parola di troppo o senza il dovuto garbo. Uno, insomma, di quelli che scattavano per niente.
Matt poi venne a sapere che Vash faceva di professione il poliziotto, per cui era abituato a trattare con un certo tipo di gente e con certi tipi di armi. Ma in quel momento certo era che l’impressione che lo svizzero gli dava non era esattamente buona, a livello globale.
In più, non capiva la sua utilità all’interno del gruppo, almeno finché Antonio, dopo una piccola pausa e dopo aver guardato lo svizzero come si fa con gli escrementi di cane sulla strada, non divenne tutto all’improvviso serio e scontroso.
-Sicuramente la cosa sarebbe un po’ più piacevole se solo Vash non seguisse me e Roderich come un segugio…-
Gilbert represse a stento un ghigno davvero cattivo, mentre Francis palesò un sorriso non del tutto innocente, fin troppo grande sul viso.
L’unica cosa che li legava a Vash era l’assoluta fermezza dello svizzero nel voler star fuori da ogni problema e da ogni storia riguardante la festa. Neutrale, assolutamente disinteressato, come sempre era stato in tutta la sua vita. Salvo poi ricordarsi di alcuni favori che doveva sia a Gilbert sia a Francis, che l’avevano legato a quei due in maniera indelebile. Così, volente o nolente, si era ritrovato a fare la guardia alla coppia di prossimi sposini, cercando di tenerli lontani in ogni modo possibile dai preparativi della festa, perché fosse una vera e propria sorpresa.
Sicuramente Francis e Gilbert non potevano immaginare a quali espedienti era arrivato – giocare a monopoli alle due di notte, obbligando Antonio e Roderich con una minaccia, non era davvero stata una delle sue idee più brillanti – ma si divertivano enormemente nell’immaginarlo intento nel proprio compito.
Cattivi e maligni, come chi sa di poterlo essere solo per un’ultima volta prima di un addio definitivo.
Vash, ignorando con forza le occhiate malevole che lo spagnolo gli stava lanciando, dopo essersi accorto della dualità di un viso comune, guardò dritto negli occhi Matt e gli si rivolse per la prima volta. Duro, senza in realtà volerlo essere davvero.
-Tu chi sei? Sei nuovo in questa compagnia da gay bar?-
Matt lo guardò per qualche secondo, poi si coprì la bocca e il riso che era sorto spontaneo sulle labbra alla domanda dello svizzero. Aveva capito come mai quello strano e alquanto insolito ragazzo trasandato fosse loro amico.
Vash, ovviamente, se la prese, facendogli notare la cosa con un tono ancora più duro di prima.
-Cosa c’è da ridere?-
Gli zigomi di Matt si imporporarono di vergogna e il ragazzo farfugliò qualcosa prima di riuscire a rispondere.
-Niente, scusami…-
Poi alzò lo sguardo su di lui, cercando di sostenerlo.
-Mi chiamo Matt. Sono il fratello di Alfred. Molto piacere!-
Vash guardò prima lui, poi Alfred, poi di nuovo lui. Probabilmente cercò qualche tratto distintivo per non catalogare quel nuovo arrivo come aveva catalogato il fratello – grasso, idiota, stupido e mangione – poi bevve dalla sua tazza, continuando a squadrarlo.
Infine, gli rispose, monocorde.
-Sono Vash.-
Bevve ancora, lentamente, senza scrollargli lo sguardo di dosso, come a volerlo far confessare di chissà quali atroci delitti. Decisamente in imbarazzo, Matt allungò una mano verso il vassoio dei biscotti e ne prese uno, cominciando a mangiarlo.
Poi Vash gli fece la fatidica, seconda domanda, con uno sguardo che non ammetteva menzogne.
-Sei gay anche tu?-
Mancò poco che Matt non si strozzasse con le briciole del biscotto che aveva appena sgranocchiato.

In verità, Matt non avrebbe saputo davvero cosa rispondere, a quella domanda. Non che la cosa in sé sarebbe stato un problema insormontabile, non che ci sarebbe rimasto male altrimenti, ma semplicemente non si era mai posto la domanda e quindi non sapeva la risposta.
No?
Sì?
Forse?
Chissà, magari poteva essere?
Matt davvero non sapeva cosa rispondere a quel quesito.
Eppure, almeno negli ultimi tempi, di stimoli ne aveva avuti, e anche parecchi. Non poteva certo ignorare gli sguardi che, di tanto in tanto, Francis gli lanciava, con tutta la discrezione e la delicatezza del mondo. Non poteva certo ignorare i suoi tentativi di entrare in contatto – strette di mano, tocchi veloci lungo le braccia e sulle spalle, vicinanze non esattamente casuali tra i loro corpi.
Il ragazzo, più per timidezza e educazione, si era sempre ritratto con calma, senza paura né sdegno, comunicando un certo imbarazzo per quella situazione nuova. Ma se qualcuno gli avesse domandato se trovasse piacevole tutto quello lui non avrebbe risposto.

Ivan, preso tra le mani il suo fedele basso – un regalo che aveva ricevuto proprio da Antonio, non più di tre mesi prima – cominciò a strimpellare qualche nota, accompagnando la melodia con il proprio fischio. Aveva lo sguardo melanconico, perso nei movimenti delle proprie dita.
Tra tutto il chiacchiericcio concitato che aveva preso i presenti, Matt aveva semplicemente spostato la sedia per allontanarsi il più possibile da Gilbert e dalle sue urla per non sembrare maleducato e allo stesso tempo per riuscire a salvare almeno in parte il proprio udito. Così, volente o nolente, si era ritrovato accanto al russo.
Non riuscì a guardarlo in faccia, mentre suonava piano, accontentandosi di ascoltarlo in maniera passiva. Sentiva il suo sguardo addosso e il suo sorriso gravargli sulla nuca – non gli piaceva, non gli piaceva per nulla.
Ma mentre Francis prendeva la parola, cercando di calmare Gilbert e fargli assumere un tono della voce umanamente accettabile, Ivan gli si fece vicino e sussurrò piano, nell’orecchio.
-Anche tu hai fatto il conservatorio come Alfred?-
Il ragazzo ebbe un sussulto di pura paura e quando si riprese dallo spavento cominciò a balbettare.
-No, io non sono entrato in conservatorio… Ho imparato da me a suonare…-
L’altro si ritirò un poco, tornando al suo posto, senza però smettere di guardarlo, incuriosito dalla sua persona come un bimbo molesto.
-Ah… beh, allora sei bravo per essere un autodidatta…-
Matt fece cadere lo sguardo in basso, accusando il colpo. Ma Ivan aveva ancora qualcosa da dire e non smise di tormentarlo: gli si avvicinò di nuovo, facendolo di nuovo sobbalzare.
-Sai, anche io suonavo una volta… non qualcosa di volgare come il basso, però… suonavo il violino!-
Mutò qualcosa nel suo sguardo, a quel punto, tanto che l’espressione si dipinse di una naturale purezza e gioia da farlo sembrare quasi un’altra persona.
-Sì, il violino…-
Matt ebbe quasi timore di chiedergli cosa mai fosse accaduto dopo, come per non voler interrompere quel momento d’estasi che aveva rilassato i muscoli del suo viso. Non l’aveva mai visto così sereno e tranquillo.
Poi, però, la curiosità ebbe il sopravvento su ogni cosa.
-E poi cos’è successo?-
Ivan tornò a guardarlo, e di nuovo quell’espressione minacciosa e angosciante gli comparve sul viso.
-Poi il piccolo Wang è morto, e io non ho più saputo suonare…-
Poi la pistola di Vash sparò un colpo in aria, unico e secco, terribile come l’espressione dipinta sul suo viso, e dalle urla intense e quasi animali si arrivò a un silenzio mortale e profondamente innaturale.

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Capitolo 9
*** Cap. 9 ***


Cap. 9







Holy Diver
You've been down too long in the midnight sea
Oh what's becoming of me(5)





Alfred si alza dalla propria sedia, incapace di rimanere immobile un secondo di più.
Sa che è inutile – che Gilbert l’ha fatto non più di dieci minuti prima – ma non può trattenersi dall’avvicinare di nuovo quel poliziotto che così malamente li sta tutti squadrando, chiedendo informazioni. Ma benché non abbia niente tra i denti, le parole che pronuncia risultano lo stesso incomprensibili, borbottate come sono e strascicate in un sussurro appena accennato.
Gli fanno male le gambe, non hanno smesso di tremare neanche un istante dal momento in cui ha visto – perché è riuscito, nonostante sia stato solo un secondo – il braccio di Ivan in aria, con il bastone stretto tra le dita. Poi la mente si è chiusa a ogni evidenza, rifiutandosi di accettare persino ciò a cui stava assistendo. È stato Francis a riportarlo alla realtà, quando l’ha spinto in macchina per portarlo di gran corsa al commissariato.
All’improvviso, gli nasce da dentro il desiderio di scusarsi con Ivan. Forse perché è lontano e forse perché lo sente per la prima volta davvero irraggiungibile, ma si aggrappa con tutte le proprie forze alle braccia del poliziotto e lo scuote, con una vena di pura disperazione nella voce.
-Fatemi parlare con Ivan! Fatemi parlare con lui! Devo dirgli una cosa!-
Vuole insultarlo, picchiarlo selvaggiamente perché è stato un cretino. Vuole ridere di nuovo con lui facendo ancora una volta finta che non sia successo nulla, che tutto quello è uno scherzo.
Lo vuole vedere ridere, vuole provocare il riso in lui – è sempre stato questo, il suo compito, d’altra parte.
Ma il poliziotto si arrabbia e gli intima minaccioso di tornare al suo posto, che sennò dovrà portare in cella anche lui perché si dia una sana calmata e torni a ragionare. E per un attimo ad Alfred pare anche una buona idea, magari così lo riesce a vedere, magari la cella sarà in parte alla sua e quindi gli può parlare.
Sente però Francis prenderlo per le braccia, e allora si volta a guardarlo con i residui di quella sciocca speranza: lui gli sorride, ma è morto nello sguardo.
Alfred ancora muove la testa, dal poliziotto all’amico e viceversa, ma l’uno minaccia e l’altro è rassegnato: non c’è illusione da nessuna delle due parti.
Con il senso di colpa nel cuore che lo opprime, più forte di prima, si lascia guidare al proprio posto e si deposita lì, senza dire una sola parola.
Si sente impotente, un microscopico essere incapace, esattamente come lo hanno sempre descritto i maligni che non comprendevano la sua grandiosità da super- uomo. Credere anche solo per un istante che avessero ragione fa bruciare gli occhi per l’umiliazione.
A questo punto, Alfred si prende il viso tra le mani e comincia a piangere, il più silenziosamente possibile.
Chissà se Yao avrebbe reagito in maniera diversa a tutto quello…



(5)Holy Diver, Dio

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Capitolo 10
*** Cap. 10 ***


Cap. 10







Race for the morning
You can hide in the sun 'till you see the light
Oh we will pray it's all right(5)


Matt strimpellava nei momenti di pausa o la sera in camera da solo, non necessariamente proprio le canzoni che avrebbe poi dovuto suonare alla festa ma anche qualcosa che gli usciva dall’inconscio, scoperto tra i ricordi lontani e all’improvviso più chiari. Era piacevole accorgersi della propria sopita esperienza, alla quale erano legati pomeriggio di studio solitario e rilassato.
La scaletta delle canzoni da programma era sempre a portata di mano, così come il fascicolo degli spartiti. Alla fine, essendo semplicemente la chitarra d’accompagnamento, non gli era stato impossibile riuscire nell’impresa di imparare proprio tutto. La cosa, in qualche modo, lo rendeva felice e orgoglioso, semplicemente dandogli un senso di appartenenza che prima gli era estraneo. Nell’attivarsi, nel risvegliarsi da una sottospecie di sonno perenne, si era scoperto capace di sentirsi coinvolto in progetti anche stupidi e poco degni di un’alta attenzione. La cosa lo aveva semplicemente fatto sentire vivo.

Qualcuno bussò alla sua porta, all’improvviso, facendogli prendere un colpo e facendolo sobbalzare.
-A-avanti…-
Fissò la porta che si aprì, lesta, e che andò a sbattere contro il muro della sua camera in un tonfo decisamente poco delicato: suo fratello Alfred fece il suo ingresso. In mano, aveva la propria chitarra e, come a voler giustificare i propri gesti – o semplicemente far intuire i motivi che lo avevano spinto, a forza, fin lì – indicò con la mano libera lo strumento che il ragazzo teneva tra le mani.
-Ho sentito che stavi suonando!-
Entrò senza aspettare che gli venisse permesso, sedendosi accanto a Matt sul letto. Non era la prima volta che gli vedeva in mano una chitarra, almeno per quanto concerneva il tempo al di fuori delle prove della band, ma sicuramente era per lui una novità che Alfred lo cercasse proprio per quello.
Il giovane, con un sorriso a trentasei denti in viso, si avvicinò con un piccolo balzo a lui.
-Cosa stavi suonando, di bello?-
Matt si strinse nelle proprie spalle, guardandolo un po’ in imbarazzo, sconcertato intimamente da tutto quell’interesse a cui non era per niente abituato.
-Nulla, in realtà…-
Come al solito, fu Alfred a imporsi tra i due, indicando una riga sul foglio aperto davanti a suo fratello: Holy Diver, la quarta in ordine dall’alto in basso.
-Questa è una delle mie preferite! Suoniamo questa!-
Matt non disse nulla, sia perché era abituato a lasciarsi trascinare dall’altro senza porre resistenza sia perché, in effetti, non aveva proprio nulla di meglio da proporre. La canzone, oltretutto, piaceva parecchio anche a lui.
Aprì la dispensa e andò a cercare lo spartito giusto, così da integrare con la nota scritta la propria memoria. Alla fine, attaccò prima lui, seguito a ruota dal suo pimpante e vivace fratello.
Si ritrovò a sorridere, nonostante tutta l’incertezza iniziale. Durante le prove, aveva attorno persone che, relegate nel rango di sconosciute o quasi, non potevano certo rimproverargli di essere un riservato e timido oltre il limite di sopportazione. Ma con suo fratello, unica persona al mondo con il quale aveva condiviso tutti i santi giorni della sua breve vita, questa scusa non reggeva. Per questo il suo imbarazzo cresceva di più, giustificato da una reale situazione di evidente disagio.
Però, in quel momento, da solo con lui, seduti sul suo letto a suonare e a canticchiare con voce stonata e priva di grazia, gli sembrò di vivere il rapporto come mai lo aveva vissuto.
Vide davvero il sorriso di Alfred, la sua passione nel muovere le dita sulla sua chitarra pizzicandone le corde.
Respirò, seppur per poche ore, vera felicità.

-Ohi, Williams…-
Sorpreso dal risentire quella voce Matt alzò la testa dalla propria borsa.
Tra una prova e l’altra, il ragazzo si era anche ricordato di avere certi impegni universitari, e dovendo recuperare alcuni esami prima della laurea aveva ripreso a frequentare i corsi con più regolarità, anche per spingervi suo fratello con il buon esempio.
Certo era che, preso da tutto quello che gli stava accadendo di nuovo, aveva tralasciato alcune cose vecchie di dubbio gusto, come la sgradevole sensazione che lo prendeva ogni volta che si ritrovava vicino Bruce.
Abbozzò un sorriso, cercando di essere gentile come sempre – eppure l’espressione grave del ragazzo non lo tranquillizzava proprio per nulla.
-Ciao, Bruce!-
La voce gli uscì più acuta del solito, ma fu troppo tardi quando se ne accorse. Senza aggiungere una parola, tornò a sistemare la propria borsa. Riuscì pure ad alzarsi prima che l’altro ragazzo gli si parò davanti, bloccandolo sul posto. Matt si arrischiò persino ad alzare il viso verso il suo, per vedervi ancora impresso lo stesso sguardo di prima.
Canzonatorio e minaccioso allo stesso tempo.
Si fece piccolo, e provò a scansarlo andando di lato, ma con un gesto Bruce gli fu di nuovo davanti, rivelando così la propria ferma intenzione di non lasciarlo andare per nulla al mondo.
-C’è qualcosa che non va?-
Per quanto possibile, l’altro si fece più avanti, obbligando Matt ad arretrare e al contempo a sentirsi schiacciato contro il nulla. Era evidente che il suo era un fare intimidatorio.
-Williams, io non so davvero che pensare di te…-
Matt si guardò attorno, cercando qualcuno da prendere come scusa per una fuga poco onorevole. L’aula gli parve vuota all’improvviso, senza un’anima pia che lo potesse soccorrere.
Guardò in alto, stringendo la spallina del proprio zaino tra le dita.
-Cosa dovresti pensare di me, Bruce?-
Vide lo sguardo dell’altro farsi più sottile. Come se si sentisse vagamente preso in giro.
In effetti, Matt sospettava – anzi temeva con tutto il suo cuore – quale fosse l’argomento di così tanto astio, ma fare finta di nulla era sempre stata una tattica vincente. Peccato solo che in quel momento non gli garantiva proprio niente.
-La stessa cosa che penso di tuo fratello, Williams…-
Qualcosa dentro Matt scattò, facendolo irritare.
Non solo il fatto che, ancora una volta, era paragonato a suo fratello Alfred, come se fossero la stessa persona o peggio che lui dovesse rendere conto degli errori e dei pregi dell’altro, ma anche la rabbia che gli nasceva al ricordo dell’ultimo discorso che Bruce aveva fatto sulla sua sessualità – e più di tutto anche che non era riuscito a rispondere in maniera adeguata.
Confuso da questi mille motivi, divenne rosso di rabbia e farfugliò la sua risposta in maniera incoerente.
-Mio fratello è mio fratello, io sono io. E poi non mi pare che lui ti faccia qualcosa di male!-
Ma si bloccò, quando Bruce gli si fece ulteriormente addosso.
-Williams, io ti avevo già avvertito, mi pare…-
Fu una voce amica a salvarlo, a quel punto, interrompendo l’uomo e facendo voltare entrambi verso l’entrata dell’aula.
-Ehi, cosa accade qui?-
Alfred era comparso alla porta, probabilmente spinto lì dalla sospettosa assenza del gemello. Con lo stomaco che brontolava era andato a cercarlo e ora, davanti a quella scena, aveva d’istinto capito che qualcosa non andava.
Il suo sguardo non cadde neanche sulla figura di Bruce, andando direttamente a Matt. Gli sorrise, sereno, come se niente e nessuno potesse scalfire la sua sicurezza.
-Matt, perché non sei in mensa? Ho fame, vieni!-
Matt fu felice di raggiungerlo in quattro balzi, sparendo dietro di lui.
Non vide, però, lo sguardo di fuoco che Bruce lanciò alle loro schiene.

La scena che gli comparve davanti fu una specie di rivisitazione di esperienze già vissute. Eppure non poté davvero reprimere il verso agonizzante che gli salì direttamente dal petto per bloccarsi dietro le labbra serrate in una smorfia contratta.
Ivan, placidamente, gli sorrise e lo salutò con una mano, mentre l’acqua caldissima della vasca gli copriva il resto del corpo dal petto in giù.
-Ciao, Matt!-
A conti fatti, il russo aveva anche un bel sorriso – piacevole, educato, a tratti rassicurante – ma ritrovarlo per la seconda volta nudo nella propria vasca da bagno era stato un duro colpo per i poveri nervi di Matt.
Così come era entrato, meccanicamente e con lo sguardo fisso Matt uscì dal bagno, lasciando l’uomo da solo. Gli venne incontro suo fratello nel bel mezzo del corridoio e, trovandolo completamente rosso in viso, quasi si preoccupò.
-Matt, non dirmi che stai male! Fra qualche giorno c’è la festa, non puoi stare male!-
Matt lo guardò in viso, completamente stravolto. In realtà avrebbe anche voluto urlargli addosso, ma il pensiero che quell’uomo, nell’eventualità di una zuffa, potesse uscire dalla vasca e raggiungerlo così com’era, lo fece desistere da ogni tentativo di lite.
Strinse i pugni, camminando veloce.
-Se hai bisogno di me sono in cucina!-
Anche questa volta, la sua voce fu più stridula del dovuto – ma Alfred, appurato che suo fratello stava bene, non se ne preoccupò più di tanto.
Con un sorriso enorme sulle labbra, entrò in bagno, chiudendo la porta dietro di lui. La sua voce, squillante e alquanto allegra, si sentì lo stesso anche all’esterno.
-Braginski! Mi hai preceduto!-
Poi, dopo qualche secondo, il rumore di un tonfo e dell’acqua che si muoveva violentemente.
E altri, altri tonfi più ovattati. Altri rumori che Matt soffocò in sorsi rumorosi di teh e caffé.

Matt si rese conto di sapere da sé come avevano fatto, quei due, a finire in una simile relazione.
A pensarci bene, non era certo solo la seconda volta che aveva visto il russo bazzicare per casa sua, così come non era estraneo ai discorsi di Alfred. La figura di Braginski era però sempre stata qualcosa relegato al mondo magico che Alfred aveva segregato in qualche modo lontano da Matt, senza avere l’accortezza di integrare il fratello in qualche modo e renderlo partecipe di come si svolgeva la sua vita – anche se, davvero, Matt non aveva fatto storie a riguardo, giustificato quindi da una scusa fin troppo accomodante.
Pensandoci ancora meglio, Alfred aveva cominciato a nominare Ivan già qualche anno prima. E se all’inizio era qualcosa di passeggero, detto con estrema leggerezza e una punta di indifferenza, la cosa si era lentamente trasformata, aumentando di peso e importanza.
Aveva trovato una foto di gruppo della band sopra un comodino della stanza del fratello, ma solo dopo un’attenta analisi aveva visto la mano di Alfred nella mano di Ivan – e sorridevano, entrambi, davanti all’obiettivo della fotocamera. Si ricordò, anche, di aver visto sparire interi capi di vestiario dall’armadio, trovandoli poi addosso al russo, seppur in una misura che non gli andava completamente comoda.
Era evidente che per Alfred la relazione con Ivan non fosse qualcosa su cui poter scherzare a cuor leggero, benché il riso abbondava in maniera esagerata sulle sue labbra. Probabilmente, era una cosa che teneva dentro, cercando di non farla pesare al russo. Per qualche strano e assurdo motivo, suo fratello si dimostrava più delicato del solito, e questo era un’ulteriore prova della sua tesi. Benché Ivan pareva non avere un passato scabroso da nascondere o qualcosa di illecito, era sempre più evidente che quello che era stato ancora influenzava quello che era, in maniera incredibile.
Matt pensò a quanto dovesse essere triste, per uno come Alfred, limitarsi a essere un semplice amante per una persona tanto amata.

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Capitolo 11
*** Cap. 11 ***


Cap. 11





All day long I think of things but nothing seems to satisfy
Think I'll lose my mind if I don't find something to pacify
Can you help me occupy my brain?
Oh yeah(6)


Gilbert trattiene a stento l’impulso di sputare per terra. È nervoso e gli duole la testa in una maniera incredibile.
Alza la mano alla tempia, cercando di toccarsi in modo tale da non farsi ancora più male. Inutilmente, perché un’altra fitta gli prende tutto il cranio, facendolo imprecare. Si guarda la propria mano, scoprendo le dita ancora sporche di sangue fresco. Impreca un’altra volta, incrociando le braccia al petto.
Idiota di un Braginski. Idiota. Idiota. Idiota totale. E idioti quelli che erano rimasti lì fermi, a guardarlo, mentre massacrava quel povero disgraziato per terra. Tutti, in realtà, tranne lui.
Forse, Gilbert potrebbe ammettere che una bestia come Ivan fa paura solo a guardarla, e che non molti hanno in sé il fegato di fare anche solo un passo – arrischiarsi persino a respirare – quando lui è in moto. Ma per lui è stato umiliante il solo irrigidirsi ed avere paura di fronte alla sua ferocia.
Si guarda attorno, notando le facce sconvolte degli altri.
Francis è accanto a lui, ha appena rimesso a posto il piccolo Alfred.
Alfred, già… Lui ha persino ragione a essere in quello stato, anche se Gilbert non ha mai davvero capito cosa trovasse in quell’energumeno violento e ubriacone.
La testa gli fa male, tanto che è costretto ad abbassarla e a prenderla tra le proprie mani.
-Ti sembra forse il modo di comportarti, questo? Non sei un bambino, Ivan! Non lo sei più!-
-È per persone come voi che succedono queste cose. Perché la vostra non è tolleranza, è indifferenza. La vostra è sottomissione al potere! Sottomissione all’odio!-
Si rialza quasi all’improvviso, e un senso di vertigine lo costringe all’immobilità.
Suo fratello Ludwig, poco più lontano, è rigido e fermo come potrebbe esserlo solo un palo. Non gli piace l’espressione che ha sul volto, non gli piace davvero per nulla – preferisce quella, seppur concentrata e distante, di quando suona con le sue bacchette in mano.
Gli fa rabbia a pensare che, in quel momento, dovrebbero essere tutti alla festa, a cantare e a divertirsi. E invece, per colpa di quel pazzo ubriaco, sono costretti lì, sopra delle sedie fredde, impotenti e ignari di ogni cosa.
Impreca ancora una volta, chiudendo gli occhi.
La testa gli pulsa per il dolore e sente il sangue che gli sporca la faccia. Impreca.
Non ha voluto andare al pronto soccorso, con il preciso intento di essere il primo a prendere a calci il russo nel momento in cui l’avrebbe visto. Tanto era il suo odio che non avrebbe davvero provato rimpianti a riempirlo di calci e pugni.
Come lui aveva fatto, non più di un’ora prima, con Bruce.
Decide di non pensarci, concentrandosi invece sul dolore che gli rende difficile il pensiero.
Sospira, concentrandosi nel nulla.






(6)Paranoid, Black Sabbath

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Capitolo 12
*** Cap. 12 ***


Cap. 12





I need someone to show me the things in life that I can't find
I can't see the things that make true happiness, I must be blind(6)



Non era stata per semplice cortesia che aveva accettato l’invito di Francis. Non quella volta. E prima che il semplice pensiero potesse concertarlo a dovere, si era ritrovato con un panino davanti e delle patatine ricoperte di maionese come contorno. Un menù degno di suo fratello.
Con una strana allegria addosso, addentò il suo panino, sporcandosi senza la minima preoccupazione, le labbra di salsa.
-Non c’è alcuna fretta. Mangia pure con calma…-
Matt gli sorrise, rallentando il ritmo con cui stava masticando. Per un attimo, si ritrovò uguale a suo fratello Alfred – e per una volta in vita sua non ne provò in alcun modo vergogna o si sentì imbarazzato per la cosa.
Francis sospirò, allungando la propria mano verso il mucchietto di patatine, annegandola nella maionese e poi portandosela alla bocca, con lo sguardo perso nel vuoto.
Gli sorrise in risposta, sistemandosi meglio sulla propria sedia.
-La festa si avvicina sempre di più…-
Usando l’accortezza di mandare giù il proprio boccone e non parlare a bocca piena, Matt lo investì con un entusiasmo di cui non si credeva capace, allegro e spensierato tanto da non ricordare, neanche per un istante, cosa mai fosse l’imbarazzo.
-Ma noi siamo preparati! Abbiamo fatto un sacco di prove! Siamo più che pronti!-
Francis, guardandolo così, pieno di vita, si convinse per qualche attimo della bontà delle sue parole – e gli sorrise con un sorriso diverso da prima, più dolce e gentile.
Poi però Matt gli fece un’altra domanda, levandosi alla fine un piccolo sassolino dalla scarpa.
-Francis, come hai conosciuto Antonio?-
L’uomo voltò il viso, appoggiando il mento sul palmo aperto della propria mano. Si fece malinconico, lievemente.
-Io, Antonio e Gilbert abbiamo frequentato le stesse scuole, è per quello che ci conosciamo da tanto tempo. Crescendo, siamo sempre rimasti assieme, ed è per questo che è nata la band. Prima suonavo anche io…-
Matt quasi si costrinse a domandare ancora – arrivati a quel punto, tanto valeva giungere fino in fondo.
-Poi cosa è successo?-
Francis tornò a guardarlo in viso, e il ragazzo trovò invariato il sorriso sulle sue labbra.
Constatava semplicemente la realtà dei fatti.
-Poi ho avuto un incidente al polso che mi ha impedito di terminare i miei studi alla batteria. Per questo ora suona con noi Ludwig…-
Matt guardò in basso, esattamente il mucchio di patatine ormai tiepide davanti a lui. Si sentì male, per qualche strano motivo.
-Mi dispiace…-
Ma la voce di Francis era una di quelle che, pur conoscendo benissimo l’intensità di certi dolori, conosceva pure la redenzione e la vita oltre lo strato di cenere.
Probabilmente, il suo vero sogno era stato quello di condividere attimi in compagnia.
-Oh, sono i casi della vita. D’altra parte, non si può piangere su certe cose, lo trovo inutile. Senza considerare il fatto che senza quell’incidente non avrei mai conosciuto Ivan…-
A quel nome, Matt ebbe un brivido – del tutto naturale e spontaneo – lungo la schiena, che lo fece chiudere nelle sue stesse spalle.
Francis notò subito la cosa.
-Lui… ti fa paura, vero?-
Matt asserì con un semplice gesto della testa, arrischiandosi persino a guardare l’altro in faccia. Francis mutò espressione, piegandola quasi in una smorfia sofferente.
-Anche a me fa paura, alle volte. Temo sia qualcosa di inscindibile dalla sua personalità. Ivan è fatto così e così resterà. Ma puoi fidarti di me quando ti dico che se è riuscito a farsi ben volere da tutti noi, in un modo o nell’altro, c’è un motivo. Basta solamente convincersi che le sue mani, nonostante tutta la forza che possiedono, non sarebbero davvero in grado di fare del male a chicchessia senza una validissima ragione…-
Poi si voltò verso l’esterno, constatando una cosa che fino a quel punto non aveva notato.
-Piove…-
Anche Matt si voltò, notando gli scrosci violenti di acqua che battevano contro il vetro del piccolo fast food. Si chiese, intimamente, per quale assurdo motivo non li avesse sentiti prima.
Ma in quel momento la questione era davvero un’altra.
-Tu hai portato l’ombrello?-

Semplicemente, si strinsero sotto il cappotto largo di Francis, camminando veloci sotto la pioggia violenta.
Risero più volte quando Matt, in quella goffaggine che non l’aveva mai abbandonato negli anni, quasi scivolò a terra nel mettere entrambi i piedi in una pozzanghera, schizzando acqua sporca in ogni dove, bagnando anche quel poco che ancora era asciutto.
Risero quando Matt, senza pensare, si era aggrappato a Francis con tutte le sue forze per non rotolare a terra, tirando la sua camicia scura nel tentativo.
Stretti a quella maniera, però, avevano smesso di ridere e di camminare, all’improvviso.
Matt aveva alzato la testa, lentamente, lasciando che rivoli di acqua gli bagnassero i capelli e le guance, annebbiandogli quasi la vista e rendendola davvero difficoltosa.
Fu forse per questo che non disse nulla quando Francis, gli prese il volto tra le mani, adagiando con gentilezza la sua bocca contro la propria. Labbra calde e dal sapore di pioggia.
Fu forse per questo che non disse nulla ma semplicemente si lasciò abbracciare, in una confusione che lo lasciava totalmente stordito.

Matt aveva sempre pensato a Gilbert come una persona non del tutto posata, decisamente un po’ troppo tronfia e portata al turpiloquio ma non per questo isterica.
Per questo restò davvero sorpreso quando, a qualche giorno dalla festa, Gilbert si mise a urlare contro Ivan nel bel mezzo di una prova.
-Ivan, così non va proprio! Ti stai addormentando o cosa?-
Sì, in effetti Ivan aveva l’aria di uno che non dormiva da un sacco di tempo, con le borse sotto gli occhi e lo sguardo perso altrove, ma probabilmente tutti avevano preferito tacere conoscendo bene la sua situazione.
Aveva lasciato casa Jones già da qualche giorno, e Alfred lo aveva visto accamparsi in un vicolo a due isolati di distanza, vicino a dei cassetti della spazzatura. Per quel motivo il suo impermeabile puzzava di marcio e per quel motivo i suoi capelli erano così spettinati sopra la sua testa. Eppure, aveva rifiutato cordialmente l’offerta dei due fratelli di farsi un altro bagno da loro.
Ora, di fronte al nervosismo di Gilbert, aveva semplicemente smesso di suonare e aveva sorriso, inquietante come sempre.
-Tu pensa piuttosto a non strillare come una gallina strozzata, che mi sembri semplicemente una checca isterica…-
Gilbert si fece avanti verso di lui, cercando di essere minaccioso. Ma, per quanto il suo sguardo mandasse saette, la differenza di altezza sviliva tutti i suoi sforzi.
Eppure, la sua voce riuscì quasi nell'impresa.
-Cosa hai detto, sottospecie di ubriacone?-
Anche lo sguardo di Ivan si fece di fuoco – anche se il sorriso sulle sue labbra non volle scemare in alcun modo.
-Ho detto che sembri una checca isterica. Sei diventato anche sordo?-
Mancò poco che i due non si mettessero le mani addosso. Mancò davvero poco, ma ogni danno irreversibile fu sedato dall’intervento pronto di Ludwig che, mettendosi miracolosamente fra i loro due corpi, li separò con forza, cercando di richiamarli all’ordine.
-Non mi pare il caso di litigare come due bambini! Avete scordato per quale motivo siamo qui? Per preparare una festa! Una festa! Non per metterci a litigare! Ora, per favore, tornate ai vostri posti e riprendiamo da dove avevamo interrotto!-
Per qualche secondo, parve che le sue parole fossero state dirette al vento: né Ivan né Gilbert si mossero di un solo millimetro. Fu il tedesco il primo a cedere, forse proprio per merito del fratello più che per una vera consapevolezza dei propri errori.
Con un gesto non propriamente gentile della mano, radunò l’attenzione di tutti.
-Forza! Si ricomincia!-

-Oh, Ludwig è così bravo! Bravissimo, direi! Il più bravo di tutti!-
Matt sorrise quando Feliciano cominciò a dondolare le proprie gambe, battendo allo stesso tempo le mani. Le prove erano finite, il buio era calato sulla sera e ora i ragazzi stavano semplicemente mettendo a posto gli strumenti per poi andare a casa.
Matt, avendo fatto tutto in poco tempo, si era semplicemente avvicinato all’italiano per fargli compagnia, ancora troppo imbarazzato per avvicinarsi a Francis. Dopo quel pomeriggio assieme non era riuscito a trovare il giusto coraggio per rivolgergli ancora la parola, sospettando anche di star agendo come il peggiore dei cafoni.
Il punto era che, dopo lo sconvolgimento iniziale, erano arrivati ad assalirlo i dubbi tutti in una volta.
Per questo aveva trovato in Feliciano uno svago a dir poco perfetto – per non pensare, occupando in qualche modo la mente.
Difatti, non riuscì proprio a dire nulla, neanche quando Vargas si voltò verso di lui, investendolo con un altro fiume in piena di parole.
-Sai, io l’ho conosciuto proprio così! Lui suonava e io l’ascoltavo. Io suonavo e lui mi ascoltava. Io suonavo da solo, perché uso l’arpa. Lui invece ha sempre suonato in gruppo, dietro tutti, sui bonghi e altre percussioni. Ha sempre fatto tutto lui, durante i concerti. Era così bello in frac, nero ed elegante. Ma è stato ancora più bello quando mi ha chiesto di uscire con lui, la prima volta!-
Fece un sorriso grandissimo, probabilmente pieno del ricordo di quel lieto evento.
-Era tutto rosso in viso, come se si vergognasse! Trovo assurdo che ci si possa vergognare di una cosa del genere, ma Ludwig è sempre stato molto timido, per questo genere di cose!-
Matt represse un risolino non del tutto gentile, immaginando Ludwig mentre compiva un atto simile. In effetti, era da ammirare solamente per lo sforzo.
-Anche a te Francis ha chiesto di uscire, vero? Lui non prova mai imbarazzo!-
Matt fu preso alla sprovvista, ma non ebbe neanche tempo di reagire che Feliciano tornò a parlare, dondolando ancora le gambe e conducendo il proprio sguardo proprio sul suo uomo.
-Neanche Gilbert ha mai provato imbarazzo, neanche quando Ludwig gli ha detto che stava assieme a me!-
Il ragazzo ebbe un altro sobbalzo e questa volta riuscì a fare il suo intervento, quasi sconvolto.
-Ludwig avrebbe detto a Gilbert una cosa simile?-
Feliciano parve pensarci qualche istante, poi ricordò meglio.
-No, in effetti non è stato propriamente così. Io ero andato a trovare Ludwig, Gilbert non era a casa. Così ci siamo chiusi in camera a farci le coccole. Solo che quando siamo usciti a prendere qualcosa lui era in cucina ad aspettarci. Aveva un sorriso allegro in faccia ed era più gentile del solito. Però Ludwig era così serio in volto che quasi mi aveva fatto paura. Infatti mi ha mandato via per stare da solo con Gilbert. È stato a quel punto che gliel’ha detto…-
Matt, sebbene con qualche difficoltà, riuscì ad immaginarsi la scena appena descritta.
Un imprevisto che costringe Gilbert a tornare a casa prima del dovuto. I suoni sospetti che arrivano dalla camera di Ludwig. La realizzazione del tutto in maniera razionale. Il dialogo tra i due fratelli.
Matt immaginò, trovandosi a sorridere, suo malgrado.
Forse il tedesco era semplicemente abituato a considerare la sessualità altrui in maniera molto elastica, ma era innegabile l’evidente e profondissimo affetto che lo legava al fratello minore.
Si scoprì felice, di fronte a questo lieto evento, anche se poi altri dubbi lo assalirono, forse più prepotenti di prima.

Il punto era che non sapeva ancora cosa pensare.
Suo fratello non aveva cambiato atteggiamento da quando aveva instaurato quella relazione clandestina con Ivan – o forse era sempre stato così, fin dal principio, e lui non era neanche riuscito ad accorgersi della cosa.
Accettare semplicemente tutto ciò che stava provando gli pareva troppo difficile. A ricordare le parole di Bruce gli faceva male, come un peso opprimente nell’animo.
Come poteva considerare quelle persone... strane, malate, anormali?
Era Alfred, suo fratello. L’uomo che, per tutta la vita, lo aveva in qualche modo accompagnato.
Erano Ludwig e Feliciano, Ivan e Antonio. Persone con cui aveva condiviso momenti bellissimi, senza problemi di alcun genere.
Era Francis. Il solo che era stato in grado, fino a quel punto, di fargli provare simili emozioni.
Non che fosse qualcosa di vagamente simile all’amore – non credeva e non condivideva l’idea [del] di  colpo di fulmine – ma era impossibile negare di star provando qualcosa di effettivo, concreto, reale per quella persona.
Ed era stato così naturale e spontaneo che non se n’era reso conto, dapprincipio, fino a che non si era trovato in mezzo.
Tutto quello si poteva considerare anormale o sbagliato?
Ripensando alle labbra di Francis, Matthew si convinceva sempre più della bontà del proprio irrinunciabile sbaglio.

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Capitolo 13
*** Cap. 13 ***


Cap. 13

 
 
Every time that I look in the mirror
all these lines on my face getting clearer
the past is gone
it went by like dusk to dawn
isn't that the way
everybody's got their dues in life to pay(7)
 
La gente grida attorno a lui – lo ha sempre fatto, senza mai rinunciare a urlare il proprio intervento con esagerata energia, senza comprendere quanto una minaccia sussurrata possa essere più pericolosa della lama di un coltello.
La gente urla attorno a lui, lanciando insulti e parole dure e prive di delicatezza al suo indirizzo.
Dicono che ha quasi ucciso un uomo, in quel raptus di pura follia.
Lo chiamano ubriacone, barbone e finocchio – specialmente l’ultima, ma con epiteti anche più colorati.
Ivan sorride, perché sa che loro si sbagliano.
Ha calcolato bene, prima di picchiare quel viscido verme a due zampe. Un solo colpo alla testa, per stordirlo – poi il resto sopra gambe e braccia, per fargli sentire più dolore possibile. Forse ha calcolato male la forza del primo colpo, perché davvero si è stupito quando è uscito dal cranio del ragazzo tutto quel sangue.
Non ha smesso, però, perché non ha potuto certo provare pietà per lui. Non dopo quello che ha detto a Francis.
-Brutto frocio!-
Lo ricorda perfettamente, è come marchiato a fuoco nella sua memoria.
-Brutto frocio!-
Lo ricorda, e la rabbia lo assale di nuovo. Ma non è stata solo quella battuta a scatenare il tutto, Ivan ha imparato, da quel brutto episodio, a saper gestire la stupidità delle persone.
Sono stati i suoi occhi a farlo arrabbiare a tal punto – è stato lo stesso guardo che il signor Wang gli ha rivolto, così tanti anni prima.
E la rabbia del momento si è sovrapposta e aggiunta alla rabbia di quel tempo.
Ivan sospira, mentre gli arriva in viso un altro schiaffo. Non fa male, serve solo a intimidirlo. Prima, qualcuno gli ha versato della birra sullan in testa, ma quando ha replicato che preferisce la vodka a quel piscio i poliziotti si sono arrabbiati e hanno gridato ancora di più.
Guarda nel vuoto, immaginando di essere lontano – e sorride, cercando davvero di accontentare quei poliziotti che lo vogliono caduto e agonizzante.
Provò a parlare con tranquillità, ma nessuno parve credergli. Ha già detto loro di non conoscere neanche Bruce, che quello della serata è stato il loro primo e unico incontro e che non ha mai davvero pensato di ucciderlo o qualcosa del genere. Ha solo desiderato, per quel secondo fondamentale, di tappargli la bocca. E così si era comportato, coerente con sé stesso.
Ma i poliziotti gridano ancora che non è possibile, che sta mentendo e che è un brutto finocchio.
Allora torna a guardare il tavolo, immaginando un basso e una chitarra che suonano assieme, e alla fine ogni rumore diventa una melodia rassicurante.

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Capitolo 14
*** Cap. 14 ***


Cap. 14

 

 

Sing with me, sing for the years

sing for the laughter and sing for the tears

sing with me, if it's just for today

maybe tomorrow the good Lord will take you away(7)

 

Roderich, visto così da vicino, non dava l'impressione di essere tanto umano, quanto più una semplice macchinetta o tutt'al più un robot freddo e distante, con quell'aria impassibile di chi si sente superiore e ne da conto al mondo intero. Matt, intimamente, si chiese davvero come mai una persona solare come Antonio fosse incappato in lui e se ne fosse tanto innamorato da arrivare addirittura a volerlo sposare.

Sapeva di freddo come lui sapeva di caldo.

Erano a casa Carriedo, per festeggiare uno dei tanti motivi stupidi che separavano la partenza della coppia - in realtà, più si avvicinava alla data, più Gilbert e Francis frequentavano quei luoghi, divenendo quasi assillanti da certi punti di vista.

Così, nel bel mezzo della notte, giusto per fare una sorpresa ai due sposini e coglierli alla sprovvista, il tedesco aveva organizzato su due piedi un addio al celibato di assai dubbio gusto, trascinando anche mezza compagnia assieme a lui.

Francis, d'altra parte, non poteva certo obiettare - aveva persino suggerito di portare qualche spogliarellista giusto per l'occasione, ma un'occhiata assai truce di Ludwig lo aveva costretto al silenzio. E tra i due festanti si introdusse anche Feliciano che, con la sua semplice presenza, aveva dissolto i dubbi anche dei più riottosi.

Senonché ad aspettarli ci furono un assonnato ma alquanto ilare Antonio e un imbronciato, arrabbiato e oltremodo irritato Roderich.

Non che l'entusiasmo della compagnia potesse svanire di fronte a quel semplice broncio, ma sicuramente trovava una notevole barriera nell'indifferenza sostenuta che quell'austriaco palesava con così tanta tenacia.

Specialmente quando Gilbert ebbe la bruttissima idea di tirar fuori dal proprio zaino le numerose birre che aveva portato con sé e poggiarle in malo modo sul tavolo, di fronte agli occhi dell'intera compagnia, un fulmine chiaro e letale partì direttamente dagli occhi dell'uomo e si espanse su tutti i presenti, in particolar modo sul proprio futuro marito che, sentendo gravare sul capo quella muta sentenza di morte, rifiutò garbatamente con un sorriso sulle labbra, limitandosi a guardare gli amici.

Matt si guardò attorno, approfittando di tutto quel trambusto, mirando gli oggetti della casa in cui si trovava. Non c'era nulla fuori posto e tutto sembrava così lindo da avere la consistenza stessa del disinfettante. Gli fece un po' impressione, come se si ritrovasse in un luogo completamente asettico e chiuso in sé stesso. Ma la funzione di quel grande pianoforte proprio in mezzo alla sala, in bella vista - così come dei motivi vari della stretta relazione tra Roderich e Antonio - gli fu completamente chiara quando l'austriaco, in un moto di pura stizza e irritazione, si era alzato dalla propria sedia e aveva intimato a tutti di tacere con una frase perentoria e dai toni d'oracolo.

-Ora farò sentire a tutti il suono di una vera celebrazione!-

Più sconcertati che sorpresi, gli elementi dell'intera compagnia lo seguirono fino al seggiolino dell'imponente strumento, guardandolo mentre si accomodava e stendeva le mani sui tasti.

Ogni cosa fu chiara, ogni cosa fu limpida e priva di macchie.

Matt chiuse gli occhi al suono, credendo possibile anche l'impossibile - come il caldo potesse stare così bene col freddo, dopotutto - e sorrise con semplicità quando sentì una mano ben nota posarsi sulla sua spalla e non muoversi più stringendo appena le dita su di lui. Poggiò la testa all'indietro, trovando il corpo di Francis a sostenerlo. Poi non pensò davvero più a nulla.

 

-A noi, signori! Che siamo riusciti ad arrivare fin qua!-

I boccali volarono in alto, sopra le teste degli uomini riuniti al tavolo, in un unico e simultaneo movimento collettivo.

E un coretto gioioso e felice si elevò assieme.

-A noi!-

Anche Matt brindò al momento, trasportato da una energia incontenibile.

Alla fine, la grande serata era arrivata. Ancora poche ore e si sarebbe ritrovato davanti una folla con gli occhi puntati direttamente alla sua persona, in attesa.

Ma se la semplice idea, non più di due mesi prima, l'avrebbe fatto pietrificare sul posto, rendendolo incapace persino di intendere e di volere, in quel momento lo faceva sentire euforico, come mai era stato.

Bevve alla salute e alla serata, con tutti gli altri.

Sorridendo sincero e pieno di vita.

 

Per quell'istante, Matt pensò che il sorriso di Ivan fosse bello e rassicurante.

Per quell'istante, Matt comprese la bellezza antica e nobile che il barbone che aveva davanti si trovava a possedere, completamente.

Per quell'istante, perché in quello successivo si ritrovò, suo malgrado, a sostenere la fronte del russo e a tenergli i capelli in alto mentre lui svuotava l'anima contenuta nel suo debole stomaco interamente sul cemento del marciapiede.

L'aveva visto trangugiare alcolici per tutta la serata, forse troppo ottimista della capacità del suo fegato o forse anche troppo entusiasta per la compagnia e per l'evento che si apprestava a vivere, assieme a tutti loro. Poi la realtà aveva preso il sopravvento, e la malinconia, il tono e le parole di quel gigante gentile, trasformandolo così e ricordando a tutti la condizione in cui versava.

Era stato lo stesso Francis a prenderlo per un braccio quando aveva cominciato a straparlare, raccontando cose assopite in una memoria lontana e intangibile ad alta voce, richiamando tutti gli sguardi su di sé. Onde evitare ulteriore imbarazzo, l'uomo aveva preso l'amico e l'aveva trascinato fuori dal bar, chiedendo cortesemente a Williams di aiutarlo - forse perché Alfred era troppo brillo e stupido e goffo per essere davvero di aiuto.

Al freddo, aveva sentito la forte stretta di Ivan farsi più serrata contro la sua spalla, mentre la mano lo tastava ovunque come per riconoscerlo davvero. Il russo poi gli aveva sorriso, senza protestare minimamente, scivolando quasi sul pavimento e uscendo con loro due, lasciandosi dietro non altro che molta curiosità e un odore indescrivibile di alcool.

Visto così, faceva ancora più pena del solito, e rendendosi conto di quanto fosse terribile e ingiusto il sentimento appena provato, Matt si fece più vicino all'uomo e tentò di parlargli dopo aver visto che si stava, seppur lentamente, riprendendo.

-Ivan... stai meglio?-

Era una domanda stupida, ne convenne, ma dopotutto ci sono certe occasioni in cui la prassi salva dall'imbarazzo - e quella era una simile situazione.

Ivan tornò a sorridergli, come se nulla fosse davvero accaduto, come se fosse stato sobrio e lucido.

-Sto bene, grazie...-

Ma un nuovo conato gli fece piegare ancora la testa in giù e un rumore viscido gli uscì dalla bocca mentre le spalle si contraevano dolorosamente. Il puzzo di vomito salì fino a invadergli le narici, con prepotenza.

Francis, da canto suo, non diceva davvero nulla, aspettando semplicemente che fosse lo stesso Braginski a rivolgergli la parola, con pazienza e attenzione.

Senonché proprio il russo seppe sorprenderlo, facendogli congelare un'espressione di pura angoscia sul volto. Con una semplice frase.

-Oh, Yao era alto più o meno come te, Matt...-

Anche il ragazzo divenne muto, in trepidante ascolto.

Ivan si voltò a sorridergli, più sicuro di prima, riprendendo una posizione eretta.

-Forse era più basso...-

Matt non disse nulla, aspettando che l'uomo continuasse da solo. Era da quando aveva parlato con Francis che voleva sapere qualcosa di più sul suo conto, ma non aveva mai osato chiedergli nulla.

Come avrebbe fatto? In realtà, aveva paura di risultare indiscreto, anche perché l'argomento doveva essere - lo intuiva benissimo - assai delicato.

Ma forse proprio per l'alcool ancora in corpo, forse anche per lo stato d'animo in cui versava che le parole gli uscirono da sole dalla bocca.

-Sai, io amavo Yao. Lo amavo davvero. Lo amavo ancora di più della mia musica. Ed è stato per questo che quando è morto io non ho più suonato il violino. Non avrebbe avuto il minimo senso, ora che non c'era lui ad ascoltarlo...-

Lo accarezzò sulla testa, in uno stranissimo moto d'affetto.

-Tu assomigli ad Alfred, anche... e Alfred mi piace, mi piace tanto...-

Lo abbracciò, all'improvviso, obbligandolo ad affondare il viso nel suo enorme cappotto marrone.

-Mi piace così tanto...-

Matt non seppe cosa dire, preferendo un rispettabile silenzio a parole stupide e vuote. Con fatica, riusciva a scorgere Francis al di là della spalla del russo, notando un'immobilità innaturale e tesa. Comprese bene il motivo di tali sentimenti.

Con attenzione, sollevò le braccia dai propri fianchi e, anche se con qualche difficoltà, riuscì a ricambiare l'abbraccio del russo. Timidamente, con garbo e delicatezza.

Ivan lo strinse di più, apprezzando il gesto gentile.

Francis riuscì a sorridere, intenerito da quella situazione. Ivan era riuscito ad accettare davvero un'altra persona nella propria vita, e questo non poteva che farlo felice.

Poi, qualcosa si ruppe, e il corpo di Matt divenne puro ghiaccio.

-Ehi, Williams! Cosa ci fai qui?-

 

Matt vide il viso di Bruce ancora prima di essersi voltato davvero nella sua direzione, abbastanza atterrito da non riuscire a dire neanche una parola.

Anche l'altro era in compagnia - tre ragazzotti che Matt aveva visto di sfuggita quando giocava a baseball con il gruppo dell'università, volti che in realtà non gli dicevano niente e niente significavano per lui - e avanzava abbastanza minaccioso verso di lui.

Aveva un sorriso strano, sul volto.

Senza degnarsi di salutarlo, indicò prima Ivan e poi Francis.

-Questi chi sono?-

Matt, ancora muto, non riuscì a muoversi dall'abbraccio di Ivan, non riuscendo quindi a impedire a Francis di farsi avanti, con una mano porta verso il nuovo arrivato. Lui, che non conosceva minimamente la situazione, aveva un sorriso gioviale sulle labbra.

-Piacere, Francis Bonnefoy!-

Bruce si limitò a squadrarlo, facendo passare lo sguardo dalla testa ai piedi. Poi si rivolse ancora a Matt con una smorfia saputa in viso, prendendolo in giro con un tono davvero spiacevole.

-Io l'avevo detto che anche tu non eri normale! Sei frocio quanto tuo fratello!-

Qualcosa scattò veloce nella mente di Ivan, che si irrigidì tutto attorno il ragazzo. Matt lo adocchiò, preoccupato, mentre lo lasciava libero e si rivolgeva gentile a Bruce.

-Scusa, come lo hai chiamato?-

Francis, probabilmente comprendendo le emozioni nascoste dietro quel falso sorriso, si mise prontamente tra i due, cercando di calmare l'amico. Ma Bruce fu più veloce di lui.

-L'ho chiamato frocio, perché lo è! E anche voi lo siete! Non ti piace il termine, frocio?-

Gli si avvicinò, scontroso.

-Brutto frocio!-

Ivan ancora gli sorrise, gentile ed educato, volgendosi appena senza rispondergli.

Francis borbottò qualcosa, facendosi più vicino a Ivan e scansando veloce Matt. Il ragazzo avvertì il pericolo solo un attimo prima che la cosa accadesse - veloce, rapida come un fulmine che squarcia all'improvviso il cielo sereno.

Con un sol passo, Ivan era andato addosso a Bruce, e questi, dopo un rumore sordo, era scivolato a terra come un foglio bagnato.

I suoi amici, atterriti, si scostarono immediatamente dai due, cominciando a strillare sdegnati. Matt e Francis si immobilizzarono sul posto, incapaci di reagire.

Ivan, con in mano quel bastone raccolto da terra, cominciò a menare calci in maniera forsennata, con una crudeltà e una cattiveria che mai, prima d'allora, gli aveva preso il corpo.

La voce del russo, a quel punto, si fece terribile.

-Com'è che lo hai chiamato?-

 

La polizia fu chiamata di lì a qualche minuto, quando una folla di curiosi e meno curiosi si era stretta attorno alla macabra scena.

Ivan teneva stretta la sua arma in mano, ma colpiva solamente con i piedi e con i pugni. Bruce, sanguinante, era immobile ormai da tempo sull'asfalto.

Si era fatto avanti all'improvviso Gilbert, il solo della compagnia che non avesse timore del russo tanto da rimanere immobile di fronte alla sua rabbia. Così aveva fermato con la propria testa l'ennesimo colpo. Barcollando indietro, l'aveva guardato con odio feroce, urlandogli in faccia tutto il suo disprezzo.

Non lo aveva più retto.

-Ti sembra forse il modo di comportarti, questo? Non sei un bambino, Ivan! Non lo sei più!-

Ivan lo aveva guardato con pari odio in viso, fermandosi di fronte alla vista del suo sangue.

La sua voce aveva tremato e Matt aveva percepito fin troppo bene quanto dolore avesse mai potuto provare per arrivare a quel punto.

-È per persone come voi che succedono queste cose. Perché la vostra non è tolleranza, è indifferenza. La vostra è sottomissione al potere! Sottomissione all’odio!-

indicò il corpo a terra, sull'asfalto.

-Questo verme è libero di insultarci solo perché voi glielo avete sempre permesso! Questo verme è libero di fare qualsiasi cosa perché voi non glielo impedite!-

Si era voltato verso gli altri suoi amici, atterriti all'inverosimile.

Vicino a Matt, Alfred aveva tremato di paura.

-Siete la causa di ogni nostro male! La vostra indifferenza, la vostra negligenza lo è! Come possiamo avere rispetto se non lo pretendiamo?-

Ma ancora una volta la voce di Gilbert fu più forte della sua rabbia.

-Non puoi dare colpa a noi per colpe che sono state tue! Non è certo colpa nostra se Yao è morto! Fattene una ragione e prova a vivere, dannazione!-

Ivan si voltò ancora verso di lui, non riuscendo però a rispondergli. Un poliziotto lo bloccò, atterrandolo con un sol gesto.

E fu tutto rumore.

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Capitolo 15
*** Cap. 15 ***


Cap. 15



 

 

When I am down and, oh my soul, so weary;

When troubles come and my heart burdened be;

Then, I am still and wait here in the silence,

Until you come and sit awhile with me.(8)

 

Feliciano tiene il cellulare tra dita tremanti, ancora scosso per quanto accaduto durante tutta la serata.

Ha pianto, ha pianto parecchio e il rossore dei suoi occhi ne è testimone.

Non doveva finire così - e sembra quasi che il pensiero, pian piano, diventi una colpa che grava sul suo animo.

Avrebbero dovuto essere tutti felici, in quella serata di festa. Avrebbero dovuto ridere, mangiare, cantare, suonare, come un gruppo di amici che si vuole divertire.

Invece no.

Feliciano, con qualche difficoltà, con quel dannato pollice che pigiava un tasto giusto e due sbagliati, riesce a fare il numero di Ludwig e a premere, per chiamarlo.

Lui è scappato, quando ha visto cosa Ivan ha fatto a quel ragazzo. Scappato forse per la paura, forse perché ha intuito cosa sarebbe accaduto. Scappato, lasciando da solo Ludwig e tutti gli altri. Una volta andato via, però, si è diretto all'Ospedale, il più vicino nella zona, dove sicuramente sarebbe stato portato il ferito.

Lì, ha visto.

Proprio mentre un singhiozzo gli scuote il petto, la voce del tedesco vibra nella cornetta: Ludwig è preoccupatissimo, tanto che l'ansia è diventata irritazione.

-Dove sei?-

Feliciano si porta una mano alla bocca, incapace di parlare. In realtà, è felice di sapere che il suo amato Ludwig ha abbastanza energie addosso da essere persino arrabbiato con lui. Non che sia una grande consolazione, ma almeno è qualcosa.

Poi Vash gli mette una mano sulla spalla e gli fa un cenno con la testa, cercando di essere incoraggiante. Accanto a loro, Antonio s'è dimenticato cosa significhi sorridere: sembra una maschera di cera bianca.

L'italiano singhiozza ancora, ma mastica parole come meglio può.

-Sono all'Ospedale... Il ragazzo... Il ragazzo non morirà... ha solo una frattura al cranio e... e diverse contusioni lungo il corpo...-

L'aveva saputo dagli infermieri, una volta spacciatosi per parente dell'aggredito.

Ma è difficile parlare mentre si mangiano lacrime e dolore, e quando Feliciano sente il silenzio dall'altra parte del telefono quasi si spaventa.

Quasi strilla nel continuare, fissando il vuoto davanti a sé.

-Ivan non sarà accusato di omicidio...-

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Capitolo 16
*** Cap. 16 ***


Cap. 16





You raise me up, so I can stand on mountains;
You raise me up, to walk on stormy seas;
I am strong, when I am on your shoulders;
You raise me up... To more than I can be.(8)



-Siamo qui per festeggiare il futuro matrimonio di Roderich e Antonio, costretti a partire da questo schifo di paese per poter realizzare il loro unico sogno di diventare una famiglia vera e unita, legalmente riconosciuta! Ricordate che è un sogno d'amore quello che vogliono realizzare, e per questo noi tutti dobbiamo augurare loro ogni bene!-
Per quanto Gilbert si sforzi di fare un discorso con la stessa carica vitale di sempre, gli è persino difficile far finta di essere allegro.
Intorno a loro, c'è gente che fino a qualche minuto prima stava ridendo e festeggiando un lieto evento, eppure su ognuno dei visi di quella piccola compagnia c'è dipinto il vuoto e l'incomprensione.
Gli strumenti sono ancora nei bauli delle macchine, ma difficilmente saranno da lì spostati. Senza il bassista, non è possibile un concerto degno di rispetto.
Ma dacché è una festa, Gilbert ha voluto dire qualcosa, giusto per non lasciare uno dei suoi migliori amici senza neanche un bel ricordo di loro, assieme, per l'ultima volta. Si è sforzato, questo è assolutamente vero. Si è sforzato di dire qualcosa di carino che potesse essere fonte di felicità.
Il tutto, però, si è risolto in un'occhiataccia di Roderich, abbastanza indisposto per la cosa, e un sorriso tenue di Antonio, ancora spompato dentro.
Alla fin fine, si sa a cosa il russo sarebbe andato incontro, e non fa piacere proprio a nessuno. Quando Roderich ha saputo quanto successo, ha semplicemente sbuffato, pieno di irritazione e rimprovero.
-Se uno è talmente stupido da attaccar briga a quella maniera, la prigione è l'unico posto dove deve stare!-
Ma si è sentito nella sua voce quella tristezza che deriva dalla pietà umana: l'uomo può comprendere, fin troppo bene, il motivo della rabbia che ha spinto Ivan a muoversi - e per quella, non muove proprio alcun biasimo.
Il microfono, dopo qualche leggero e imbarazzato applauso, passa dalle mani del tedesco a quelle di Francis che con un sorriso si presenta al pubblico. Lui, della forma, si è sempre molto interessato.
Inizia il suo discorso ed è felice e gaio come sempre, pieno di complimenti per chiunque e di battutine facili che fanno scoppiare ilarità.
Però, Matt guarda in basso, al pavimento, e trova tutto quello una finzione troppo crudele per essere davvero ascoltata. Gli fa male, ogni parola detta, più o meno come gli ha fatto male ogni colpo - ogni singolo colpo - che Ivan ha dato al corpo inerme di Bruce, abbassando con violenza il suo braccio.
Che siano lesioni aggravate o tentato omicidio poco importa: è stato il significato del tutto ad averlo impressionato a quel modo atroce. Ma più di ogni altra cosa, Matt si ricorderà per sempre il viso sconvolto di suo fratello, incapace di parlare, di fare qualsiasi cosa che non fosse assomigliare a un verme bianco e bavoso.
All'improvviso, una domanda gli sorge spontanea dentro, più o meno quando lo sguardo si fissa alle labbra del francese, che in una mossa poco intelligente ammicca in sua direzione.
Quello è ciò che desidera?
L'applauso del pubblico è più forte dei suoi pensieri, li annulla e lì rende opalescenti.
Allora si alza e, ignorando la mano tesa di Antonio che tenta di riprendere la parola, prende il microfono e si fa avanti, di fronte a tutti quegli sguardi a lui rivolti.
Ha mal di testa e deve chiudere gli occhi per non svenire lì sul posto, in un senso di vertigine che non comprende neanche.
Poi basta, fissa il vuoto, e sente le proprie parole che scorrono lente, sopra tutte le loro teste.

-Sono etero. Sono omosessuale. In realtà non penso che questo possa davvero importare alle persone che mi stanno davanti. Perché anche se io fossi una delle due opzioni, una volta innamorato di una persona perdo ogni etichetta e ogni stupido nome. Non è importante più nulla, se non l'oggetto del mio amore e il mio stesso sentimento, puro e indissolubile...-
Fa una pausa, dove cerca di riorganizzare le idee.
-Ho imparato molto, in quest'ultimo periodo. Ho imparato a guardare veramente, ad ascoltare veramente, a comprendere veramente. Tutte cose che prima, un po' per colpa mia un po' anche per colpa di chi mi stava attorno, non era mai capitata. Non si può recuperare il tempo passato ma sicuramente ci si può impegnare per il futuro, perché sia radioso e splendente...-
Altra pausa, si guarda attorno e vede Feliciano lì, attento come non è mai stato. Muove le labbra a ripetere le sue parole, quasi rapito.
Matt si apre in un sorriso sincero, forte, e torna a guardare avanti.
-Non ci dovrebbero essere barriere per chi non si pone limiti. Per chi non marcia su preconcetti o pregiudizi, ogni strada dovrebbe essere spianata. Non è così, perché non tutti sono liberi, non tutti sanno guardare in faccia alle altre persone senza sentire un moto di gratitudine dentro il cuore, semplicemente perché si appartiene alla stessa razza. La natura umana è egoista, cede all'istinto e lo alimenta. Imparando ad amare veramente si può superare tutto questo. Coloro che odiano sono quelli che non hanno l'amore altrui(A). Ed è questa la verità, signori. Noi dobbiamo ricordarci di essere uomini e di cosa significhi amare. Sempre...-
Silenzio, per qualche istante, ma non si vede alcun rossore sparso sul viso.
Poi un applauso, poi un altro applauso, poi la folla diventa uno sbattere di mani incessante.
Feliciano sembra quello che batte le mani più forte, sull'orlo di un pianto a dirotto. Anche Francis si alza dal suo posto, unendosi alla felicità generale - e Williams vede, all'improvviso, solamente la sua espressione gioiosa.








(8)You raise me up, West Life
(A)Il Grande Dittatore, Discorso all'Umanità

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Capitolo 17
*** Cap. 17 ***


Cap. 17



Le grate del carcere si chiudono dietro le spalle, e Matt ha un forte sussulto mentre sente la serratura scattare.
Francis, dalla panchina del parco antistante, proprio al di là della strada, si alza e attende, con le braccia ancora incrociate al petto. Sembra guardare nella loro direzione, ma Matt non potrebbe giurarci. Sospira, socchiudendo appena le palpebre.
Suo fratello gli sorride, con le mani dietro la nuca, e parlando forte si allontana da lui.
-Io torno a casa! Tu vedi di raggiungermi presto che ho fame!-
Gli da una pacca sulla spalla, dirigendosi poi verso destra, a prendere l'autobus.
Matt guarda la sua schiena mentre diventa più piccola, sempre più piccola, e quasi gli viene la tentazione di seguirlo, lasciando perdere tutto il resto e dimenticandosi dei doveri che si era imposto.
Ma Francis è ancora lì e attende qualcosa - attende lui, per la precisione, e il ragazzo lo sa perfettamente.
Sono troppi giorni che lo sta evitando, lui come tutti gli altri membri della compagnia.
Ora che Antonio e Roderich sono andati via, ora che il tempo è passato, ora che Ivan è stato condannato a quasi un anno di carcere, dopo un processo che è stato estenuante per tutti quanti.
Due lunghissimi mesi da quella maledetta sera.
Matt sospira, guarda a destra e a sinistra, poi attraversa la strada.

-Come sta Ivan?-
Il parco è silenzioso, tranquillo, rilassante. Sotto i piedi, sono soltanto i cocci dell'acciottolato a scricchiolare di tanto in tanto, mentre qualche fringuello canta dolcemente sui rami bassi degli alberi.
Matt ha le mani in tasca, chiuse a pugno. Sorride, guardando altrove.
-Direi che potrebbe stare peggio. Riesce ancora a sorridere, quindi significa che qualche energia l'ha ancora in corpo...-
Francis fa schioccare le labbra.
-Se sorride significa che è nelle condizioni di non poter essere davvero sé stesso...-
Matt riflette per qualche istante, in silenzio, poi il suo sorriso diventa più triste.
-Questo è vero...-
I due uomini arrivano agli argini di un laghetto, superando un piccolo ponte sotto il quale starnazza qualche anatra. Sembra che tutto, al di fuori di loro due, stia bene.
Matt riprende il discorso, cercando nuova energia.
-Si è lamentato della mensa. Dice che fa schifo e che non gli servono vodka né roba vagamente somigliante. Poi dice anche che il suo compagno di cella è strano, se ne sta tutto il giorno a fissarlo da lontano. La notte trema, nel letto sotto il suo. E lui si annoia davvero tanto.-
Francis si porta una mano alla bocca, reprimendo un riso troppo forte.
-E' come ascoltare le lamentele di un bambino piccolo!-
Matt lo guarda per qualche istante, poi gli nasce un sorriso sincero sulle labbra. Non vede perché dargli torto, in tutta franchezza.
Si ferma, ad un certo punto, sedendosi sopra una panchina. Non che sia effettivamente stanco o spossato, pensa solamente che guardare con più tranquillità gli animaletti del parco sia una soluzione migliore che farli scappare spaventati.
E dopo qualche istante, Francis segue il suo esempio.
-Come sta tuo fratello?-
La domanda non lo sorprende per nulla, anzi si chiede quanta fatica abbia fatto il francese a non porgerla subito.
Alza le spalle, guardando in alto, il cielo sgombro di nubi.
-Sta bene anche lui. Se sta bene Ivan, sta bene anche lui...-
In realtà, anche Matt nasconde scheletri nell'armadio che non farebbe mai vedere a nessuno, neppure sotto tortura.
E quello che è successo non più di due ore prima rientra nel gruppo.
Suo fratello non ha mai pianto, di fronte a lui. Mai, neppure una volta. Eppure, seduto a quel tavolino stretto e basso, con il legno che gli ha fatto male sulle cosce e la sedia che a momenti lo fa cadere a terra, ha pianto. Basso lo sguardo, chiuse le palpebre, mani strette a pugno.
-Torna da me...-
Così ha detto, davanti ad un Ivan muto e quasi sorpreso.
-Torna da me... non andare via! Torna!-
Matt ha sentito stringersi il cuore a quella scena, come se un minuto prima non stessero parlando delle guardie che li stavano guardando in maniera terribile e tutt'attorno c'erano persone doloranti come loro. Successo quasi all'improvviso, li aveva spiazzati.
Senonché Ivan aveva avuto la delicatezza di prendergli la mano tra le proprie e baciarla, con un sorriso di quelli che Matt non gli ha mai visto in faccia.
-Non ho intenzione di abbandonarti...-
Si é sentito un intruso, in quel momento - come se Ivan e Alfred abbiano, all'improvviso, trovato in uno semplice sguardo l'intimità di una stanza chiusa, e lui fosse l'unico, indisponente spettatore.
Si é guardato attorno, cercando qualcosa da fare o qualcosa da dire, ma Alfred è tornato tutto d'un botto solare e forte, e ha cominciato a urlare cose insensate come suo solito.
Gli ha fatto male, tutto quello. Gli ha fatto male Alfred, che con un'umanità incredibile chiedeva proprio a Ivan di avere pietà di lui, dimostrandosi debole come mai lo era stato. Gli ha fatto male Ivan, perché con la sua stessa umanità ha avuto l'accortezza di non approfittare di tutto quello ma invece di incoraggiarlo e di stargli vicino ancora una volta.
Gli ha fatto male, perché si è sentito fuori posto e senza quelle risposte che avrebbero potuto rendere pieno e incredibile quel momento.
Si è riscoperto pieno di dubbi ed esitazioni, solo per quei semplici gesti.
Francis, dopo aver aspettato qualche attimo di silenzio, lo riporta prepotentemente alla realtà.
Si volta verso di lui, allungando una mano verso la sua. Gli prende il polso, stringendolo appena tra le proprie dita.
-Tu come stai, Matt?-
Quella è una domanda crudele, lo sanno entrambi. Una domanda che richiede sincerità, e al contempo una capacità incredibile di mentire.
Francis sa perfettamente che Matt non è in grado di celarsi a quel modo, rinunciando così a ogni purezza, a ogni buon sentimento. Non è abbastanza vile, nonostante tutto - o forse, semplicemente, lo spera con tutto il cuore.
E Matt pensa, a lungo, prima di rispondere.
Pensa a quanto è successo negli ultimi tempi, a cosa è stato prima, a cosa potrebbe essere dopo, a cosa è in quel momento.
Anche a pensare ad avvenimenti e possibilità turpi, Matt non trova quel senso di inquietudine solito che ha sempre, ogni volta che prova a fare un calcolo per il futuro.
Si stupisce un poco, meravigliandosi di quella nuova forza che trova a scorrere sotto la pelle.
L'ha già sentita, alcune volte, non troppo lontano da quel momento. Ogni volta che ha preso in mano la chitarra e ha cominciato a suonare, assieme a tutti loro. Ogni volta che ha sorriso a Francis, senza sentire alcun legame o alcun impedimento nel gesto.
Pian piano.
Quindi risponde all'uomo, serenamente e con un sorriso.
-Io? Io direi che sto bene...-
L'altro gli si fa più vicino, conscio che la verità può rivelarsi davvero dopo anche un poco d'insistenza.
-Sicuro?-
La stretta viene ricambiata dalle dita di Williams, un bacio viene posato sulla guancia - proprio lì, verso l'attaccatura della bocca, la delicata conca morbida delle labbra - e alla fine non ci sono più dubbi.
La speranza, timidamente, ha fatto sbocciare
il suo tremulo fiore delicatissimo.
-Sì, sono sicuro...-

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