Il morso del serial killer.

di V a m p i r e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** She's a Genius. ***
Capitolo 2: *** Ice Queen. ***
Capitolo 3: *** Bring Me To Life. ***
Capitolo 4: *** You're my best friend. ***



Capitolo 1
*** She's a Genius. ***


 
 
 
My girl’s ready to take control, she just blows my mind / She only listen to the radio, to see who’s alive, yeah!
 
La sveglia suonava forte e chiara, facendosi maledire dalla ragazza con i capelli in una buffa cuffietta e gli occhi ancora troppo chiusi. Forse mettere “She’s a genius” dei Jet non era stata proprio un’ottima idea. In quel momento avrebbe preferito di gran lunga un’opera lirica o una ninna nanna. Oh sì, sarebbe stato molto più facile girarsi dall’altra parte e spegnere quel dannato affare.
Si alzò sbuffando e, dopo aver iniziato a canticchiare il ritornello, preparò il succo d’arancia amara che aveva imparato ad odiare perché le ricordava il lunedì mattina.
Jeans, maglia nera, braccialetto con le borchie e stivali. La matita data di fretta e i capelli pettinati velocemente completavano l’opera. Sembrava una mezza metallara scappata di casa. Caroline l’avrebbe ammazzata se l’avesse vista uscire di casa così, con tanto nero da far paura ad un becchino, ma per fortuna erano un paio di notti che usciva per tornare solo al pomeriggio. Un fidanzato segreto forse, era proprio da Caroline. Così pudica, così pura, così suora, si vergognava persino di avere una semplice relazione.
 
That girl’s a genius, I think she’s serious. / Love is when you wanna kiss and you get bit.
 
Si maledisse appena uscita di casa.
Era in ritardo, cavolo, era in ritardo.
Forse non avrebbe dovuto fermarsi a fingere di suonare la chitarra durante il secondo bis. Lo ammetteva.
Se fosse arrivata tardi anche quel giorno probabilmente zio Kurt l’avrebbe licenziata nonostante il legame di parentela. Sapeva che la sua assunzione era rimasta appesa ad un filo precario per mesi, prima che suo padre lo pregasse di accettarla, e non poteva rovinare tutto. Semplicemente non poteva. Una volta rimasta senza lavoro avrebbe dovuto abbandonare l’appartamento, il suo meraviglioso appartamento pieno di candele e poster condiviso con la migliore amica, per ritornare in quel coso grigio chiamato casa dei suoi genitori.
Kaylee Harrison corse verso il sottopassaggio, i capelli castani al vento e le scarpe troppo alte per correre in quel modo, e una volta uscita prese al volo un cappuccino macchiato. Se fosse stato per lei lo avrebbe lasciato volentieri al negozio, il profumo caldo le dava la nausea, ma uno dei compiti da svolgere era non far mancare allo zio Kurt cibo e bevande.
Questo lavoro mi serve, questo lavoro mi serve, questo lavoro mi serve.
Quando iniziava ad avere dei ripensamenti ripeteva quella frase come un mantra, sperando in un biglietto vincente della lotteria.
Le serviva veramente; studentessa di giornalismo, senza un’eredità o una “paghetta settimanale” che alcuni suoi compagni di corso si vantavano di prendere ancora, o quel lavoro o avrebbe iniziato a cantare davanti alla stazione per qualche soldo.
Entrò nello studio come una furia e si guardò subito intorno pregando che lo zio non fosse ancora entrato. Non era una vana speranza, nessuno amava dormire come Kurt Davies ed era successo più di una volta che arrivasse in ritardo. Ma lui poteva.
 Purtroppo quel giorno si era svegliato in orario, la aspettava con lo sguardo fisso sull’orologio e la mente al cappuccino.
«Due minuti in anticipo. Hai la febbre?» Domandò quando la vide sulla soglia con un’espressione di chi ha appena combattuto una guerra e ne è uscito vincitore.
«Sto migliorando! Ecco a te il cappuccino.»
«Grazie. C’è qualcosa che forse potrebbe interessarti, dai un’occhiata.».
Kaylee si stupì dell’affermazione. Di solito lo zio non la riteneva ancora pronta a investigare e la lasciava sempre a casa o in ufficio, a rispondere alle telefonate o... be’, a giocare a pimball.
Kurt era stato un grande ispettore di polizia a suo tempo, ma non ci teneva ad andare in pensione e dopo un mese di beato nulla aveva aperto un’agenzia investigativa. Se per la maggior parte delle volte doveva soltanto seguire mogli trofeo e far divorziare vecchi arricchiti, aveva comunque avuto fortuna con qualche caso e a dieci anni dalla sua apertura godeva di un’ottima fama. Kaylee, che allora aveva solo dodici anni e leggeva con foga ogni singolo libro giallo, aveva desiderato tanto lavorarci. Voleva diventare anch’essa una detective e risolvere casi intricati come quelli di Athur Conan Doyle.
Quei giorni erano passati. Il suo obiettivo ora era prendere la laurea in giornalismo e accettare un lavoro in un grande giornale, magari nel frattempo avere anche una torbida relazione con un fotomodello.
...Okay, a volte tendeva a lasciarsi prendere un pochino dalle fantasie.
«Io? Sei sicuro?»
«No, per questo ti ho detto di dare un’occhiata. Accettalo solo se sei sicura, perché poi devo dare conto io dei successi e i fallimenti.»
«Santo cielo, mi metti pressione ancora prima di prenderlo? Dammi quel coso e poi vediamo, no? Ci sarà tempo per le ramanzine.»
Nonostante alla fine sapeva come sarebbe andata a finire – zio Kurt avrebbe fatto marcia indietro e le avrebbe tolto il possibile caso, convinto fermamente della sua deficienza – era curiosa. Da cosa sarebbe potuta essere interessata? Rapimenti alieni? Fantasmi? Gossip Girl?
Prese l’enorme pila sulla sua scrivania (avrebbe voluto lamentarsi, ma visto che toccava a lei mettere a posto desistere era la scelta migliore) e cominciò a sfogliare il documento intitolato “Per K.” con rinnovato interesse per la materia.
 
Verbale del 6/12/11.
Kelly Landau chiede aiuto a Kurt Davies per risolvere l’omicidio della sorella Violet, dato che la polizia si trova in un punto morto. Violet Landau è stata ritrovata morta nella sua casa, uccisa con tre coltellate.
Particolarità: il corpo era quasi completamente dissanguato al momento del ritrovamento, e non si notano grandi quantità del liquido sui vestiti o nell’appartamento. La vittima aveva due forellini sul collo.
Sospetti: la polizia pensa ad un delitto passionale, le coltellate sono state date quasi in preda al delirio.
Pagamento: a caso risolto.

 
Le venne quasi da ridere quando lesse il tutto. Per prima cosa, lo zio era letteralmente incapace di scrivere verbali, sembrava il tema di un bambino di dieci anni. E poi lo sapevano tutti, non poteva essere stato un vampiro, il non morto non sarebbe potuto entrare senza un invito.
Oh, forse zio aveva ragione.
Le interessava sapere chi era così pazzo da fingersi un vampiro per ammazzare una persona. E poi, Violet Landau chi era? Perché mai qualcuno avrebbe voluto vederla morta? Che lavoro faceva? Era sposata?
«Proverò a darti una mano!».
In fondo sapeva che gli episodi di Veronica Mars guardati alle tre di notte prima di andare a scuola sarebbero serviti a qualcosa un giorno.



************

Ok, allora, intanto mi sento scema perchè non so fare una presentazione adatta! Piacere, Gaja ^^
Volevo soltanto precisare qualche cosa nel testo:
Kaylee Harrison viene da George Harrison. Zio Kurt sarebbe preso da Kurt Cobain. Violet Landau è anche il cognome di Juliet Landau, Drusilla di Buffy. Per Kaylee la "prestavolto" sarebbe a grandi linee Michelle Trachtenberg, ma è ovvio che potete immaginarla come volete xD. Le recensioni sono graditissime!

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Capitolo 2
*** Ice Queen. ***


2 – Ice Queen.


 
Quando un parente muore, le persone vicine iniziano a fare cose strane per ritornare alla realtà. C’è chi si avvicina alla religione, chi si attacca alla bottiglia... e chi diventa una Barbie che farebbe invidia a Regina George.
Kaylee si sarebbe aspettata in Kelly Landau una ragazza distrutta dal dolore, con il fazzoletto in mano e magari qualche crisi di pianto qua e là, ma quello che le si presentò di fronte al suo arrivo non l’aveva proprio pianificato: tacchi alti, capelli platinati e perfettamente stirati, una manicure curata e lo sguardo freddo, calcolatore.
Guardandosi allo specchio sentì una fitta d’invidia per il bel volto comparato con il suo... sembrava un reduce di guerra dopo quel mattino travagliato.
Stupida!, si disse subito dopo, pensando a ciò che le era passato per la testa, ha appena perso la sorella e tu la invidi?
«Avrei preferito parlare con un professionista.»Esordì subito sedendosi sulla poltroncina per gli ospiti. Evidentemente non la riteneva abbastanza professionale da risolvere un caso.
Oh be’, è vero, si rese conto lei. Non so neanche se riuscirò a scoprire qualcosa su Violet.
«Il signor Davies sarà qui il più presto possibile, ma ha assegnato a me il caso. Naturalmente lavorerò a stretto contatto con lui, non mi lascerà mai sola, però porterò a termine io il tutto.» Aveva cercato di apparire una stagista alle prime armi, e non la nipote raccomandata di uno strambo zio che aveva avuto successo “Dio solo sa perché”. Dall’espressione compiaciuta e un po’ irritata di Kelly dedusse di esserci riuscita.
A onor del vero, Kurt Davies era abbastanza bravo a fare il suo lavoro. Gli anni in polizia lo avevano forgiato, e lo sguardo malizioso e irriverente lo rendeva affidabile secondo la gente. Il problema si presentava quando arrivavano casi fuori dall’ordinario, dallo schema “è mia moglie, devo scoprire con chi mi tradisce” o “sono stato rapinato, potrebbe capire da chi?”.
Questo non era sicuramente uno di quelli.
La bionda accavallò le gambe fasciate dalla gonna al ginocchio in un gesto che sembrava essere uscito da un corso per diventare donne di successo e continuò il suo monologo, quasi incurante della presenza davanti a lei.
«Capisco. Mi sono rivolta a un’agenzia investigativa privata perché desidero la massima riservatezza riguardo a mia sorella. Sa, i Landau sono una famiglia facoltosa, mio padre ha una campagna elettorale in atto e una figlia morta in circostanze misteriose non migliorerebbe certo i suoi punteggi.»
Kaylee recepì il messaggio, tieni la bocca chiusa se non vuoi guai, ma rimase sorpresa per un altro fattore. “Una figlia morta”? Era sua sorella, per diamine! Non avrebbe dovuto provare anche solo un po’ di dolore? Kelly Landau non le piaceva per niente, con quella sua aria da stoccafisso e il comportamento degno di una statua di pietra.
«È ovvio che ci sarà il massimo riguardo nel caso di Violet, ma le ho chiesto di venire qua per un altro motivo. Vorrei che mi parlasse un po’ di sua sorella, so che potrebbe essere difficile però, se potesse sforzarsi per noi sarebbe un passo avanti...»
«Era la pecora nera della famiglia, se proprio vuole saperlo. Frequentava squallidi bar in compagnia di tipi balordi che si ostinava a chiamare amici, vestiva in maniera eccessiva, nell’ultimo periodo aveva anche iniziato a bere superalcolici... mio padre era disperato, diceva che se non si sarebbe data una regolata in tempo le avrebbe tolto il posto di rilievo disegnato per lei nella famiglia.» La voce di Kelly suonava perentoria e sicura, come se avesse dovuto ripetere quella descrizione migliaia di volte, oppure stesse recitando. Considerando che era un caso trattato anche dalla polizia, probabilmente era stata interrogata almeno due volte prima di quel giorno.
«Violet aveva soltanto diciannove anni, a quanto lei ha dichiarato. Non avrebbe potuto trattarsi solo di una ribellione causata dall’età? Era stato necessario prendere dei provvedimenti?»
«Oh, certamente, le punizioni arrivavano a fiumi ma lei non ci badava. Pagava gli autisti perché la portassero dove voleva, aveva smesso di studiare e si era ritirata da scuola senza dirci niente, ultimamente poi aveva una nuova ossessione, sognava di diventare una cantante... Avremmo anche potuto aiutarla, se fossimo stati sicuri di ciò che voleva fare, però intorno a quello aveva costruito una maschera.»
«Che tipo di maschera, signora?» Chiese Kaylee incuriosita, mentre prendeva appunti nel suo taccuino nero. Il quadro di Violet Landau stava prendendo forma.
«Aveva iniziato a vestire come una prostituta. Diceva di essere gotica, punk, qualcosa del genere, e noi non potevamo permetterglielo. Capisce, signorina Harrison? Mio padre ha una campagna elettorale in atto, Violet rovinava la sua immagine.»
In quindici minuti aveva nominato due volte la campagna elettorale del padre, e nella stessa frase come Violet la rovinasse. Non sembrava un discorso da fare su una ragazza non più in vita, era sbagliata lei a pensare di dire cose più carine su una sua possibile sorella defunta, o il mondo stava andando al contrario? Quella ragazza sembrava essere stata complicata, ribelle, ma non cattiva. Aveva controllato la sua fedina penale, era pulita.
«Ora è il momento che me ne vada, devo essere ad una riunione tra mezz’ora. È stato un piacere, signorina Harrison.»
«La richiamerò quando avrò altre notizie.».
 
Appena Kelly uscì dalla porta, la stessa Kaylee si precipitò fuori per arrivare al più presto a casa sua. L’ufficio in realtà aveva un computer, ma era risalente all’era preistorica e sapeva già in partenza che non avrebbe avuto la pazienza di aspettare ore.
Prese il cappotto e corse a perdifiato, maledicendosi di nuovo a causa dei tacchi troppo alti. Se suo zio fosse rientrato in ufficio e non l’avesse trovata probabilmente le avrebbe tolto lo stipendio per quel mese. E a lei serviva, doveva comprarsi il nuovo DVD di Buffy The Vampire Slayer, i quaderni per l’università e... oh, giusto!, il cibo.
Entrò nell’appartamento come una furia, canticchiando Ice Queen dei Within Temptation. Kelly Landau rispondeva perfettamente alla descrizione, una regina di ghiaccio incapace di provare sentimenti.
Cercando il portatile si rese conto di quanto fosse bella la sua casetta, piena di conchiglie e oggettini trovati nei mercatini. Caroline e lei avevano diciotto anni quando, in un moto di ribellione, avevano deciso di andare a vivere insieme. Grazie al padre di Car, un arredatore d’interni, erano riuscite a trovare un appartamentino abbastanza spazioso, con un bagno – e non era una cosa da poco –, due camere da letto, una cucina (che fungeva anche da salotto) e un piccolo balcone. Avevano passato tutta l’estate a cercare conchiglie e collane da appendere alle pareti, mobili presi dai mercatini dell’usato e avevano rubato qualche tappeto alle nonne.
Era la loro casa da cinque anni, nel frattempo avevano finito il liceo e iniziato l’università, la loro amicizia si era fissata ed era diventata qualcosa di più grande.
Caroline frequentava la facoltà di giurisprudenza, faceva la babysitter ad un bambino pestifero di nome Oliver – che aveva una pazzesca cotta per Kaylee - e nel tempo libero era volontaria in una mensa dei poveri.
In confronto a lei a volte si sentiva una nullità. Car era sempre stata quella buona, brava a scuola, organizzata. Kaylee non era mai stata una cima, usciva solo con i ragazzi pieni di guai e quando doveva fare qualcosa si emozionava tanto che, di solito, mandava tutto ai corvi.
Quella bionda però era la sua migliore amica, e doveva convivere anche con i lati del suo carattere che avrebbe voluto eliminare.
Stava per uscire e tornare al suo lavoro quando sentì un rumore.
Violet Landau era stata uccisa con la porta chiusa dall’interno. Non c’era molto sangue sulla scena del crimine. Due forellini sul collo.
Basta!
Se avesse continuato così probabilmente sarebbe finita in un manicomio, ecco perché la carriera di suo zio per lei non andava bene. Si faceva impressionare da tutto.
Prese d’impeto il paletto vicino al suo comodino – sì, aveva un paletto, c’era scritto Slayer con il marchio a fuoco – e si avvicinò alla cucina, dove aveva sentito il baccano.
Uno...
Due...
Tre...
«E tu che ci fai qui??»

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Salve! Grazie a NightLady e Chihiro02 per i commenti, sono tanto felice che vi sia piaciuta ^^
Caroline è il mash up di tante persone che ho conosciuto, ma per questo capitolo è solo un'identità a sè, mentre scrivevo ho avuto l'ispirazione e alla fine non è diventata nessuna di loro xD
Se il capitolo prima era intitolato She's a Genius, come la canzone dei Jet, questa è Ice Queen dei WT. Per ogni capitolo o quasi ci sarà una canzone, così metto due ossessioni in una :D
Il paletto ce l'ho veramente, se volete saperlo. Nel prossimo capitolo metto anche la foto!
Commentate!!

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Capitolo 3
*** Bring Me To Life. ***


Hello :D Allora, nuovo capitolo... mi sono resa conto che è appena il terzo, eppure mi sembrava da molto più tempo che Kaylee girasse per la mia testa! Meglio per me, allora. Vorrei ringraziare quelli che mi seguono e commentano ^^ Ora, Patricia prende il nome da Patricia Marsters - la moglie di James - e Richard viene da Richard Gilmore!


3 - Bring Me To Life.

 
Occhi azzurri, capelli biondo cenere, un fisico che arrivava secondo soltanto comparato al suo ego e il carattere più irritante dell’intero pianeta. Il classico personaggio di ogni libro che fa battere il cuore di tutte le ragazzine, solo con più “stronzaggine”. Naturalmente, le suddette ragazzine direbbero che in quello stava il suo fascino, che a loro non interessavano i personaggi buoni e altre fesserie del genere.
William “Bill” Anderson troneggiava nella cucina, completamente a suo agio in ogni situazione, e non sembrava per niente sorpreso di vederla. Per forza, era a casa sua.
«Che diavolo ci fai qui?» Ripeté Kaylee, non piacevolmente stranita. Non pensava più a Bill da... da... da un sacco di tempo. Due settimane, almeno. Da quando le aveva confessato di avere una famiglia e lei gli aveva lanciato addosso un portacenere, prendendolo in pieno.
«Mi mancavi, dolcezza.» Rispose francamente, il ghigno sardonico ben impresso nella sua mente ritornava come un simpatico cliché e il passo felpato che avanzava imprigionandola.
Bill era più grande di lei, e secondo Caroline “il peggior ragazzo che sarebbe potuto entrare nella vita di Kaylee”. Peccato che lui non fosse un ragazzo, piuttosto un uomo. Almeno fisicamente, non si poteva dire ugualmente per la testa.
Quando lo aveva conosciuto, un anno prima, era ancora una studentessa all’ultimo quadrimestre delle superiori, una spumeggiante e svampita bambinetta di diciannove anni. Il nuovo professore di matematica era un vero bastardo, così sua madre – preoccupata già abbastanza dalla scelta di andare a vivere con Car – aveva deciso di farle prendere qualche ripetizione per precauzione. Non avrebbe voluto che la figlia passasse l’estate sui libri, rischiava già troppo per le altre materie, non poteva andare male anche in quella.
Mai scelta fu più sbagliata.
Ultimo anno di università, portamento signorile e un modo di fare che avrebbe fatto innamorare mezza America, Kay aveva perso la testa alla prima lezione.
Tra l’altro, quell’anno fu anche bocciata. Era sempre stata una scarpa in matematica, e passare tutte le settimane di studio a baciarsi non l’avevano fatta diventare un genio.
Così erano passati i mesi, la relazione era andata avanti e con lui aveva perso la verginità, gli occhi a cuoricino erano diventati un’abitudine per ogni suo piccolo gesto. Ricordava quel periodo come il più bello della sua vita, ma un giorno arrivò la Notizia.
Un fulmine a ciel sereno.
Era sposato, senza figli sì, però sposato. Aveva fatto una cerimonia, si era vestito elegante, magari aveva anche pronunciato i voti allo stesso modo in cui Kaylee l’aveva sognato mille volte durante le notti di sogni infantili. E lei era stata l’altra, la stronza, Anna Bolena, quella che nei film si spera sempre che muoia (a meno che non sia Natalie Portman) e che mira solo ad arricchirsi calpestando tutto e tutti. Bill aveva fatto l’amore, aveva passato notti di bugie con sua moglie e non aveva neanche avuto il diritto di sentirsi tradita, perché era lei quella da eliminare del quadro generale. Chissà se aveva mai avuto qualche sospetto, se sapeva della sua esistenza e la malediceva oppure era ingenua, credendo alla storiella del marito fedele. Chissà se era bionda, mora o rossa, se voleva dei figli o pensava alla carriera, se era più giovane o vecchia di lui, se lo amava veramente o... no, non aveva lasciato che la sua mente lo difendesse cercando giustificazioni per il suo comportamento. Aveva sbagliato, punto, e aveva pagato con i suoi silenzi e il posacenere in testa. Kaylee non era riuscita a parlarne per una settimana, poi – dopo una maratona di Xena, Legally Blonde e film con Kate Hudson – era ritornata alla routine eliminando per sempre il nome Bill Anderson. A parte quella piccola foto che ogni tanto rispuntava sullo schermo del cellulare, o in quello del computer. Per sbaglio, ovvio.
«Cosa c’è, ti ha buttato fuori?» Cercò di risultare tagliente, ma il tono tradiva quanto ci tenesse a saperlo. Non che volesse tornare insieme a lui, non dopo quello che le aveva fatto affrontare... era solo semplice curiosità.
«Stavamo divorziando quando lo hai scoperto, non la vedo da tempo... se mi avessi lasciato spiegare, forse non avrei dovuto fare Lupen III.» Si ricordava dell’ironia messa in qualunque discorso e del perenne tentativo di farla sentire in colpa, per cui le parole non la scalfirono, ma nel frattempo si era avvicinato tanto da poterla sfiorare. Quello sì che la metteva in difficoltà, così dovette fare l’unica cosa che avrebbe potuto allontanarlo. Urlargli addosso.
«Non ti ho lasciato il tempo di parlare perché non devi dire niente, miserabile stronzo! Tu pensavi a lei mentre stavi con me!»
«Non ho mai amato Patricia tanto quanto amo te!» Rispose fulmineo prendendole i polsi. Le labbra erano vicine abbastanza per sfiorarsi, un millimetro e avrebbe potuto catturarle in un bacio che, oh lo sapeva, voleva anche lei per quanto si sforzasse di trovare l’idea repellente.
«Mi stai facendo male.» Cercò di allontanarsi mentre Bill spostava le mani fino ai fianchi, per poi alzarla e posarla sul lavello, le gambe automaticamente strette al suo bacino, la schiena arcuata e un cipiglio di fastidio sul viso perfetto.
«Non ti farei mai del male.» Sussurrò contro al suo collo. La mano scendeva lentamente, pensava di avere tutto il tempo del mondo per assaporare il suo fiore di primavera.
«Già fatto.» Con uno scatto fulmineo Kaylee fu in piedi, ripresasi dallo choc. C’era riuscito ancora, maledizione!
«E lo sai che mi dispiace.»
«Non ti dispiace abbastanza da capire che non ti voglio più.»
«Non sembrava che non mi volessi qualche minuto fa.»
«Lo sai che potremmo andare avanti così per ore. Esci di qui e rendimi la vita più facile, ti prego.»
Bill sembrò sconfitto veramente, e fece la “faccina afflitta”, come la chiamava Caroline, tentando di usare l’ultima carta. Sapeva che i suoi occhioni azzurri e scintillanti l’avevano persuasa tutte le volte, però questa volta lei gli aprì soltanto la porta.
«Bill? Le chiavi.».
 
Dopo che Bill fu andato via, Kaylee dovette correre di nuovo al lavoro con il computer al braccio, pregando che nel frattempo zio Kurt non si fosse svegliato e non progettasse di licenziarla, o rovesciarle dell’olio bollente addosso... o entrambe le cose. Una volta aveva avuto la magnifica idea di farle pulire e lucidare tutto lo studio con lo spazzolino da denti, non era stata una bella cosa sbucciarsi le ginocchia nel tentativo di fare un bel lavoro.
In quel momento con il suo portatile le sembrava tutto più facile, aveva la foto gigante di James Marsters – sfondo molto poco professionale, doveva ammetterlo, ma era pur sempre un portafortuna -, la cartella musicale degli Evanescence e tutte le altre cose belle che la calmavano mentre doveva cercare informazioni su Violet Landau.
Violet... Violet... non c’erano molte notizie sulla turbolenta e ribelle figlia minore del famoso candidato al congresso Richard Landau, a parte le solite cose alla “figlia di bla bla bla, ha studiato bla bla bla, vive a bla bla bla” e naturalmente nessun sito personale, ma anche i senzatetto avevano Facebook.
Il suo profilo si apriva con una foto dark di una ragazza, probabilmente la stessa Violet, che mostrava il dito medio truccata pesantemente e vestita con toni di nero e viola. Portava una gonna a balze decorata con dei piccoli teschi, i leggins neri, le calze a rete sopra a questi e un corpetto gotico che mostrava almeno una quarta di seno, nonostante il corpicino minuto. Probabilmente se l’era rifatto, anche se la fisionomia del corpetto poteva ingannare, avrebbe dovuto vedere altre foto. Il viso era arrabbiato e triste, gli occhi dipinti mostravano una fragilità non comune mentre la posa ostentava sicurezza.
Una normale adolescente.
Kelly sembrava avere ragione quando diceva che Violet aveva un problema. Bastava vedere i suoi post per capire che quella ragazzina non stava bene, parlavano tutti di morte, distruzione e fine del mondo. Le foto riprendevano il filone, erano per lo più disegni gotici che rappresentavano fate, sirene, vampiri e semplici ragazzi muniti di sangue e lamette. C’era anche un video, ma era solo una poesia con “Bring me to life” come sottofondo. Scelta singolare di canzone, riportami in vita, dato il testo della poesia.
Mi perdo nei tuoi occhi / Vorrei restare con te / Ma sono già morta / Per il mondo non esisto più / Non ha senso sperare / Non ha senso vivere / Quando non c’è un domani.
Santo cielo.
Da brividi.
Kaylee ripensò a quando lei aveva avuto diciannove anni, ben poco tempo prima. A parte i problemi con la scuola la sua vita sembrava scritta per una sit-com di Disney Channel, non aveva complicazioni di nessun genere e poteva concedersi qualunque cosa. Un bellissimo periodo, in effetti, anche se aveva meno soldi di Violet, o nessun jet privato. Non l’avevano salvata. E non aveva senso chiederle l’amicizia, perché non avrebbe potuto accettarla. Non avrebbe potuto stare su Facebook, aggiornare il profilo con nuove canzoni e poesie. Non avrebbe potuto fare più nulla.
«Questa è fuori...» Mormorò a mezza voce, convinta di essere sola nella stanza. In effetti seduta sulla poltrona del grande capo, con il computer davanti e la tazza di caffè accanto sembrava davvero una detective professionista. Certo, se non si notava la foto di James Marsters come sfondo, la macchia enorme che il caffè stava provocando alla scrivania e lei che in quella poltrona quasi sprofondava.
Ma erano tutti dettagli, naturalmente.
«Ti lascio per cinque minuti a sbrigare un caso e tu inizi a parlare da sola? È il primo sintomo di pazzia, lo sai?»
«Zio! Mi hai spaventata, non ti ho sentito rientrare. Notizie sui Landau? Ho incontrato la sorella, Kelly, è una vera stronza.»
«Kaylee, ti devo dire una cosa.» La zittì dopo un minuto Kurt, sperando che non partisse in uno dei suoi monologhi.
«Dimmi.»
«Ne hanno trovata un’altra. Stessa modalità... non si conoscevano.».

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Capitolo 4
*** You're my best friend. ***


Hello :D grazie grazie a tutti quelli che mi seguono e recensiscono, capitolo personalmente dedicato alla mia nipotina bella, una delle migliori amiche che si possa avere!!
Allora, note sparse:
You're my best friend è una canzone dei Queen.
Caroline è ispirata all'attrice Candice Accola, e un collage delle mie migliori amiche.
Jason mi è spuntato fuori durante la bozza, sul serio non avrei mai pensato di creare il suo personaggio!

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4 – You’re my best friend.
 
Dopo che zio Kurt le ebbe detto della nuova vittima, Kaylee riuscì a correre fino al luogo dove l’omicidio era stato compiuto.
Generalmente i detective privati erano mal visti e nessuno l’avrebbe lasciata passare, ma dopo vent’anni di onorata carriera alla stazione di polizia c’erano permessi che altri non avrebbero neanche immaginato come ricompensa: Kurt Davies aveva diritto alle foto dei cadaveri, a documenti privati e una volta aveva addirittura fatto licenziare un dipendente mandando una lettera alle persone giuste. In quel momento lei si sentiva come un agente della CIA, dell’FBI o di quell’altra organizzazione segreta che nessuno conosceva, come la gente che lavorava nella Zona 51. Avranno avuto un nome, no?
Chissà, magari il killer è un buffo alieno-vampiro!, pensò prima di rendersi conto delle cavolate che stava pensando. Violet non era più l’unica vittima di quel pazzo, le cose iniziavano ad essere rischiose anche per un’aiutante come lei e straparlare di alieni e varie zone 51 non sarebbe stato proprio il modo giusto di risolvere il caso.
O almeno scoprire un indizio.
Uno piccolo piccolo, non chiedeva altro!
«E lei chi è? Non porta il cartellino.» La fermò un ragazzo giovane e carino, con grandi occhi nocciola, un corpo snello ma muscoloso e la pelle d’avorio. Il sorriso splendeva per il contrasto ma anche se voleva essere rassicurante lasciava trapelare consciamente una sicurezza di sé e del proprio ruolo che avrebbe intimidito la ragazza, se non fosse stata più che sicura di essere la benvenuta o quasi.
«Mi chiamo Kaylee Harrison e sono la collaboratrice di Kurt Davies, cerco informazioni sull’omicidio commesso qui... ma questo lei già lo sapeva, ovviamente.» Evitò di dire che Kurt era suo zio, come tra l’altro faceva sempre quando non era obbligata.
Non avere lo stesso cognome era un’opportunità, sarebbe stata una stupida a non coglierne tutti i vantaggi. E anche omettere di frequentare la facoltà di giornalismo non sarebbe stata una mossa furbissima, i poliziotti odiavano i ragazzini in cerca di notizie per un buon voto, e lei lo sapeva bene: aveva provato a strappare qualche bello scoop a suo zio e si era vista sbattere la porta in faccia almeno duecento volte. Se avesse detto a quell’uomo che studi faceva lui non avrebbe aspettato un secondo a prenderla per la collottola come un gattino e sbatterla fuori, raccomandata o no.
Mostrò invece il lasciapassare, come prova tangibile che non si era inventata tutto. Il ragazzo aprì il sorriso ancora di più e la prese per un braccio, con l’intento di portarla sulla scena del crimine.
«Oh, allora lasci che la aggiorni. Il mio nome è Jason Forbes, conoscevo di vista il signor Davies ma ero appena arrivato quando se ne andò. La vittima aveva appena vent’anni, mi sembra si chiamasse...» Interruppe un momento il suo monologo per leggere gli appunti che aveva preso in precedenza «Nicole Morgan, ecco. Il metodo di omicidio è uguale a quello di Violet Landau, e la cosa effettivamente fa gridare “serial killer” da tutti i pori, ma l’ispettore non ci vuole credere. Si è fissato su Kelly Landau... secondo me sta sbagliando. In effetti, le due vittime non hanno nulla in comune, Nicole frequentava il college ed era la migliore del suo corso, mentre quella Violet era una povera sbandata di diciannove anni rovinata dai soldi. Presto o tardi avrebbe fatto una brutta fine comunque.».
Kaylee si sentì un po’ ferita, senza apparente motivo, dalle parole di quel ragazzo; Era vero che Violet non seguiva un percorso regolare e poteva avere alcuni atteggiamenti da personalità borderline, ma lui l’aveva liquidata senza neanche darle una possibilità.
Scosse la testa e lo seguì mentre lui le faceva spazio tra i fotografi e gli agenti, per farle vedere il corpo senza vita di Nicole.
Non aveva mai visto un cadavere in vita sua, se non nei vari film al cinema o quando sbirciava le cartelle dei casi di Kurt. La morte non le sembrava parte del suo lavoro, fino a quando non si trovò di fronte ai suoi capelli biondi e gli occhi verdi, ancora sbarrati per la paura. Mentre Violet era stesa a pancia in giù e sembrava tutto sommato in pace, quasi addormentata nel suo corpetto nero e la gonna abbinata come nella copertina di un disco di un gruppo musicale gotico, Nicole era l’immagine del terrore.
Portava una maglietta rosa e un paio di jeans, il suo corpo era costellato di tagli e graffi e in bella vista c’era la gola squarciata. Non era coperta, gli agenti stavano facendo delle foto, e Kay dovette deglutire un paio di volte per cercare di non vomitare. Il sangue era impregnato sul suo collo, ma il coltello era andato talmente a fondo che riusciva a vedersi l’osso.
«Prima volta?» Sentì una voce da lontano, stava fissando quel collo come se fosse la sua unica ragione di vita o il suo incubo peggiore.
Alzando lo sguardo ritrovò Jason Forbes che le puntò davanti uno specchio: era quasi più pallida di Nicole.
«Se ti serve... se devi...»
«Grazie, ma perderei la poca credibilità che ho se mi mettessi a vomitare in giro!» Rispose, togliendolo dall’imbarazzo. «Però, se mi potessi dire qualcosa di più, se riuscissi a farmi avere una copia del fascicolo degli omicidi... ecco, quello sarebbe davvero un grande favore.»
Sapeva che non stava giocando lealmente, ma d’altronde non lo faceva per piacere personale, bensì per risolvere un caso. O almeno era quello che cercava di ripetersi per non essere schiacciata dai sensi di colpa, in effetti non erano informazioni che avrebbe potuto darle.
Jason fece una smorfia e la guardò meglio, poteva sentire gli ingranaggi del suo cervello muoversi scricchiolando.
«No, non posso.» Rispose infine, e dal tono di voce si capiva che quella decisione era meditata. «Perderei il lavoro, e neanche ti conosco.».
 
Due ore dopo stava tornando a casa con le tasche vuote. Non era riuscita a estorcere nient’altro che le informazioni base da quel poliziotto, di questo passo non sarebbe mai arrivata alla fine del caso e così avrebbe dimostrato a zio Kurt di essere ancora un’inaffidabile bambina.
Si strinse il cappotto intorno al corpo e mise la chiave nella toppa, trattenendo a stento uno sbadiglio: era andava avanti e indietro tutto il giorno, e ora avrebbe dovuto mettersi dentro al suo letto e studiare l’enorme librone che era obbligata a finire per l’esame dell’Università.
Sapeva già che si sarebbe addormentata due minuti dopo aver messo la testa sul cuscino, ma tentare non nuoceva a nessuno. Tranne che alle sue occhiaie, forse.
«Sei tu? Sei veramente tu? Pensavo che ormai fossi una specie di fantasma aleggiante per la casa!» La salutò Caroline, facendo ondeggiare i lunghi capelli dorati per la casa. In un minuto Kaylee le fu addosso, e caddero insieme sul divano. Amava quei momenti tra sorelle, quando sembrava che niente potesse separarle.
«Ti aspettavi di ritrovarti come Cordelia?»
«Meno morta, però. Stavo già prenotando Angel. Vuoi un the?»
«Che ne dici invece di cibo solido?»
«Il cibo è sopravvalutato.»
«L’omicidio da parte di una coinquilina è sottovalutato, invece.»
«E va bene, cibo solido sia. Lo sai chi è stato qui?»
«Bill.» La precedette lapidaria Kay.
«Come cavolo fai a saperlo? Ha detto qualcosa del tipo “non mi arrenderò, lei è il sole per la mia abbronzatura!” e se n’è andato.»
La ragazza rise di gusto; Era sicura che Bill non avrebbe detto una cosa del genere neanche sotto tortura, però era divertente vedere come Caroline l’avrebbe ridicolizzato tutte le volte.
«Possiamo riposarci, Carotina?»
«Perché continui a chiamarmi così? Tu non sei Sandra Bullock, io non sono Nicole Kidman... e poi sono mora!»
«Sta zitta, voglio riposarmi e tu sei un ottimo cuscino».
Car mise la testa sulle sue gambe, mentre Kay divorava un panino al prosciutto con la maionese. Dopo pochi minuti sentì la biondina russare sommessamente. Sorrise, lei era la sua famiglia.
 

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