Life in Vengeance University. II

di unbound
(/viewuser.php?uid=129726)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 6: *** Cap. 6 ***
Capitolo 7: *** Cap. 7 ***
Capitolo 8: *** Cap. 8 ***
Capitolo 9: *** Cap. 9 ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


Oddio, che brutto pronunciare quella frase.
Finita. Dopo tutto quello che abbiamo passato, dopo tutto quello che ho fatto per non cedere, dopo tutto quello che hai dovuto fare per conquistarmi; con tutto quello che avevamo passato potevamo riempire un romanzo da far invidia ai promessi sposi.
Mi sentivo una persona insulsa, vergognosa, crudele; non avrei mai pensato di odiarmi al tal punto di essere schifata di me stessa. Iniziavo a non riconoscermi, iniziavo a stare a disagio nella mia stessa pelle.
 Sì, lo facevo per una buona causa, c'era una ragione alle mie azioni, ma avrei pagato tutto l'oro del mondo per non incrociare lo sguardo di Brian dopo quella affermazione, per non essere presente in quel momento, in quella stanza. L’aria iniziava a soffocarmi.
Sorpreso, arrabbiato, incredibilmente triste, deluso, distrutto. Era come se non volesse crederci.
Dio, se esisti, fammi sparire dalla faccia della terra, adesso.
"Finita?" Chiese, dopo aver deglutito rumorosamente.
Non ebbi il coraggio di aprir bocca, perciò mi limitai ad annuire, debolmente.
I suoi occhi si persero nel vuoto di fronte a lui. In quel momento avrei voluto abbracciarlo, baciarlo, dirgli tutto ciò che pensavo e perché lo facevo, ma gli sarebbe costata molto, troppo cara ed io non potevo permetterlo.
"Kay, tu mi ami."
Lo so cazzo, lo so! Ed è per questo che ti sto lasciando. Se solo tu sapessi Syn, se solo potessi spiegartelo..
"Io ti amo." Si puntò il petto, la sua voce tremava.
Ogni parola che pronunciava mi provocava una fitta al cuore, una di quelle che ti mozzano il respiro e ti comprimono la gabbia toracica.
"Brian. E' cosi difficile.." Sussurrai, nascondendomi la faccia tra le mani. Per favore, qualcuno mi porti via da qui, mi faccia dimenticare tutto.
"Seicostretta da qualcuno, vero? Ti prego, porca puttana, parla."
Aveva imparato a conoscermi abbastanza bene ultimamente, non sapevo se esserne felice o meno.
Lo guardai, dritto negli occhi, cercando di essere più credibile possibile; ma il mio sguardo mi tradiva parecchio, però. Se avesse capito come studiarmi a fondo, avrebbe subito compreso il motivo.
"No. Syn mi spiace." Grandioso. Il premio oscar va...
"No Kay, non ti spiace affatto."
La situazione stava andando degenerando, iniziavo a non farcela più. Stavo reggendo sulle mie spalle ogni fardello ma ,ogni minuto che passava, il peso aumentava di una tonnellata ed io stavo per cedere sulle mie fragili gambe.
"Brian.. "
"Una spiegazione" alzò l'indice, quasi minaccioso. "Una sola, e accetterò"
"Non posso.." Cazzo Kay, cazzo! Per una puttana, tutto questo per una troia di merda che non si meriterebbe neanche un briciolo di pane. Ecco, stavo per pentirmene. Grandioso.
"York, puoi" il suo sguardo fisso su di me era piuttosto severo, mi sentivo quasi rimproverata.
"Se solo potessi spiegartelo.."Mi si struggeva il cuore, sentivo il petto in preda ad un tornado di sensi di colpa. Lo faccio proprio perchè ti amo, cazzo. Perché non riesco a parlare? Merda merda merda.
"Kay, non puoi lasciarmi cosi."I suoi occhi erano lucidi, ed io, appena mi accorsi del loro stato, scoppiai.
Ecco che avevo ceduto, ecco che ero debole, ancora una volta, come poltiglia. Cazzo, perché? La vita non è un gioco, sticazzi se lo è.
"Kay.."Portò una mano alla mia guancia, cercando di lanciare via le lacrime che avevano iniziato a corrermi lungo il viso; i suoi occhi erano un teatro di emozioni, in quel momento non facevano altro che struggersi, erano tormentati come nient’altro.
"Devo andare." Affermai improvvisamente, riprendendomi con tutte le mie forze. O almeno, provai a farlo, fuggendo.
Si, io fuggivo, fuggivo sempre dai problemi, ero una codarda di merda. Quanto mi odiavo, quanto cazzo mi sono odiata in quel momento.
 Sarebbe stato meglio andarsene dalla faccia della terra, ma abbandonare la stanza fu l'opzione più' accessibile; cercai, quindi, più' velocemente possibile, di uscire da lì e di non badare al suo stato pietoso quanto vulnerabile. Non mi piace spezzare i cuori, non mi piace per niente.
Aprendo la porta, non gli diedi neanche il tempo di fermarmi; scesi la rampa di scale attenta a non inciampare, con velocità inaudita da far invidia al migliore dei maratoneti.
Non appena arrivai al piano terra, Seward mi apparve davanti come una visione divina; studiandomi dalla testa ai piedi, mi fece capire che aveva intuito ciò che avevo appena fatto con una delle sue espressioni piene di compassione e comprensione. 
"Hai fatto?" Mi chiese, dopo un po', serrando gli occhi.
"." Annunciai io, asciugandomi il viso sulle maniche della maglia.
Sentii i suoi occhi addosso per una decina di minuti, collaborarono con le mie gambe fragili a non farmi abbandonare l’alloggio come era mia intenzione, tenendomi piantata al suolo.
"Io ora salgo su e glielo dico" No, porca puttana, non rovinare tutto!
Si fiondò verso le scale, mettendo un piede sul primo scalino ma, prima che potesse salirne altri, cercai di fermarlo.
"Johnny no! Ti prego! C’ho messo un’eternità a lasciarlo, non rovinare tutto.." Singhiozzai, sperando di essere compresa dal nanerottolo testardo.
"Kay, ti voglio bene. Voglio bene ad Haner. Devo!" Detto questo, mi abbandonò definitivamente per raggiungere Brian.
Da una parte avevo paura che Sarah scoprisse il tutto, ma la maggior parte di me aveva preso quella decisione di Christ piuttosto bene; sarebbe stato perfetto se Brian l'avesse saputo, avrei potuto dormire sonni tranquilli, avrei messo il mio cuore in pace.

E’ davvero grandioso. Fantastico. Oh Dio, speriamo..
Afferrai il blackberry che avevo in tasca, ricercai il numero di Sarah e le scrissi un messaggio schietto e coinciso per informarla dell'accaduto. 
Non appena il messaggio fu inviato, lasciai la casa dei professori per avviarmi verso il mio, con gli occhi bassi, sembrando più afflitta possibile, anche se, internamente, gioivo.
Ora l’unica cosa che volevo fare era addormentarmi e lasciarmi alle spalle tutta la giornata straziante che avevo passato. Domani, però, non sarebbe sicuramente andata in modo migliore; domani, il mio compleanno.. Meraviglioso, un compleanno coi fiocchi.
Dopo aver raggiunto il mio dormitorio, mi accovacciai sul letto in posizione fetale, sperando di occupare il minor spazio possibile. Fin da piccola, quando volevo che qualcosa finisse al più presto, cercavo di addormentarmi e speravo di prender subito sonno, cosi da superare ciò che non volevo affrontare in fretta. Sfortunatamente quella notte non presi sonno, in realtà non chiusi occhio per tutta la fottutissima notte.
 
Dopo un paio di ore dal mio ritorno, sentii i passi pesanti di Lisa e Giuls avvicinarsi e, nonostante non volessero svegliarmi, anche se non stavo affatto dormendo, non fecero altro che fare rumori assordanti. Le sentivo bisbigliare qualcosa di incomprensibile, perciò decisi di “svegliarmi” e di intrufolarmi nei loro discorsi; aprii gli occhi, lentamente, sperando che avessero perso il loro rossore post disperazione, ma non mi diedero neanche il tempo di formulare una frase che iniziarono a riempirmi di domande riguardo a quello che era successo nel pomeriggio, dato che non ero stata in loro compagnia.
Cercai di ignorarle, ma dopo un po’ scoppiai. 
"L'ho lasciato. E' finita."
Bam, sono Kay, la delicatezza fatta persona.
Quella frase le spiazzò più di quanto lo fece con me, quando la pronunciai la prima volta. Erano... Incredibilmente dispiaciute. Il silenzio che calò subito dopo fu piuttosto imbarazzante.
Si rivolsero un’occhiata preoccupata, per poi piantarmi gli occhi addosso un’altra volta.
"Stai.. Stai scherzando, vero?" Rispose Giuls, contraendo la mascella.
Io, essendo consapevole che la mia voce stesse tremando, scossi la testa, girandomi sull'altro fianco e dando loro le spalle; sentii i loro sospiri, Lisa mi accarezzò il braccio senza dir nulla. Giuls, al contrario, parlò anche per lei.
"Devi darci delle spiegazioni, donna"concluse, passandosi la mano destra sulla fronte.
Mi alzai e mi sedetti sulle lenzuola, frugando nel mio cervello per delle frasi delicate e appropriate.
"Si, devo proprio."
Annuii infine, come se fossi stata sconfitta, ed iniziai a raccontar loro tutto ciò che dovevo dire, confidando nel loro buonsenso.
“Non dovevi farlo. Quella puttana...” disse Lisa, non appena finii il mio discorso.
Si, avrei voluto farla fuori anche io.
 
(punto di vista di Syn)
"Haner?" 
La porta della mia camera si spalancò.
Cercai con i miei poteri mentali di chiuderla, ma non avevo ancora raggiunto il livello di supereroe che serviva per la telecinesi, perciò mi limitai ad usare ciò che mi rimaneva, ovvero il dono della parola.
"Vai via, Seward."
 Johnny si intrometteva nella mia vita ogni volta che io non volevo aver contatti con il mondo esterno.
Quel piccoletto è una calamita dei guai.
"Brian." Abbassò la testa, fissando il pavimento come se fosse stranamente dispiaciuto. Cosa minchia vuoi?
"Cos'e' di -vai via- che non ti è chiaro?" gli chiesi dopo, rivolgendogli una delle mie peggiori occhiatacce. Esci, ti prego, non vedi che non sono nelle condizioni di ascoltare ciò che hai da dirmi?
"So cosa è successo e devo parlarti."
 
Grandioso, se n’era già vantata ai quattro venti? Se non la avessi amata davvero tanto, avrei cominciato ad insultarla senza un filo di compassione. Ma purtroppo..
"Parlare non serve a nulla. Non ho bisogno di essere consolato. Ora vattene e non rompere il cazzo."
"Haner, so perchè Kay ti ha lasciato."
Oh. Ah bene, allora ce l’hai un motivo per rimanere. Posso fare a meno di cacciarti, però sputa il rospo.
"Dimmelo, ma dopo sparisci."
Dopo un minuto di silenzio, si sedette ai piedi del mio letto come una mamma intenta a raccontare favole al suo bambino ed iniziò a raccontare, dandomi la stessa impressione di poco prima.
"Sarah vuole dire.."
"Lo so, arriva al punto."
"Kay l'ha implorata di non farlo."
Bene, allora non mi aveva già cestinato come pensavo. Questo mi sollevava un po’ dalla merda nella quale ero immerso.
"Ah." L’unica cosa che riuscii a dire. Quante parole,Brian, sono colpito.
"E Sarah le ha detto che l'unico modo per non divulgare quella falsa voce è finirla fra voi due."
Uh. Grandioso.
Lo sapevo cazzo, lo sapevo! Non era farina del suo sacco! Non voleva sul serio lasciarmi, ma l’ha fatto per... me. Nessuno aveva mai fatto qualcosa di così importante per me.
Guardai il nanerottolo, sentii il mio viso illuminarsi, e di consegueenza anche il suo riprese colore; ero.. felice. Avevo la certezza che quello che aveva fatto non c’entrava nulla con i suoi sentimenti per me.
"Mi stai dicendo che è stata costretta?!" Ero incredulo, mi sentivo ad un metro da terra.
Cazzo, merda, porca puttana troia.
"Non puoi capire quanto ti ama quella ragazza."
Avete presente quando ,dopo una buona notizia, sentite il vostro cuore risanarsi? Bene, il mio era stato praticamente trapiantato, lasciando il proprio posto ad un cuore nuovo di zecca.
"Oh.." mi sentivo onorato, meravigliato.
"Ora che si fa?" Aggiunsi dopo un po’, accigliandomi.
Uccidere quella lì? Buttarla fuori? Sputtanarla al mondo intero? Ti prego, devo sfogare la mia crudeltà su qualcuno. Porca puttana.
"Non ne ho idea." Rispose Johnny dopo un paio di minuti, scuotendo la testa, lentamente.
"Ma non possiamo dirlo direttamente a Baker e facciamo espellere quella troia?"Uh, sì. La cosa migliore da fare, evitando la violenza. Non meritava altro, cazzo.
"Andiamo!" urlò il nano, balzando giù dal letto e saltellando verso la porta come un grillo.
 
"Baker, ti dobbiamo parlare”
Seward non era mai stato così serio nella sua vita; ero abituato a vederlo sempre sorridente e positivo, ma in quell'occasione non sembrava neanche lui. Aveva lo sguardo fisso negli occhi chiari del chitarrista di fronte a noi, attento a non spostarlo da qualche altra parte, come se non volesse abbassarli, come se volesse fare capire che faceva sul serio. Si sentiva molto cowboy nei film western, pronto a far fuoco, ne ero sicuro. So che non era adatto quel momento, ma non potei fare a meno di ridacchiare di quello spettacolo senza precedenti. Lui mi guardò male, ovviamente. 
"Giusto in tempo.. Anche io devo dirvi qualcosa." Anche Baker era serio,  ma la sua serietà mi spaventò il doppio; gliel’aveva detto? Santissima merda, se solo gliel'avesse già riferito, l'avrei ridotta in poltiglia quella grandissima baldracca. Ok Brian, calma i bollenti spiriti,però. 
"Inizia tu." sussurrai, sedendomi sulla sedia davanti alla scrivania di ciliegio.
La stanza di Vee era la più grande, era posta all'ultimo piano del nostro alloggio; era una camera davvero enorme, piena di oggettini strani e collezioni mozzafiato. Entrando, la prima cosa che saltava all'occhio era il tavolo da lavoro posizionato all'angolo più buio della stanza; come sapete, Zacky , sotto il grasso in eccesso e la stupidità che lo caratterizzava, aveva un cervello che, stranamente, aveva tutti i fottutissimi ingranaggi a posto. Era un artista, faceva magliette e divise intere per ogni alunno, disegnava le copertine dei nostri album e tutto ciò che gli passava per la testa. Poi l'attenzione veniva catturata dal numero immenso di chitarre appese alla parete color pastello; ovviamente io ne possedevo di più.. Andiamo, le mie chitarre sono fottutamente migliori di quelle di Vee, porca puttana se lo sono! Ma proseguiamo.
Aveva anche un enorme specchio dietro la porta, e, non appena mi sedetti e riuscii a vederlo, non potei fare a meno di darmi un'occhiata. Okay, ero distrutto, triste, deluso, nervoso, ma cazzo se ero figo... Come si fa ad esserlo così tanto? Oddio, mi sposerei. 
Christ mi colpì con uno schiaffo sulla schiena, rivolgendomi un'occhiataccia degna di una maestra all’alunno più vivace della sua classe. Baker abbassò lo sguardo, girando velocemente i pollici.
"Mi dispiace Gates. Devo sospendere Kay."aggiunse poi.
Cosa?! Kay?! Cosa cazzo dici Zacky?! Oh santissimo Jack Daniels, non farmi prendere colpi, ho una certa età io. 
"Eh?!" chiese accigliato il nano al mio fianco. Nonono, non puoi sospenderla pezzo di merda. 
"Un'alunna mi ha segnalato una cosa che non doveva fare." No ascolta, se c'è qualcuno che deve essere buttato fuori dalla scuola sono io, non lei. Cazzo Baker. 
"Dimmi che è quella bionda di merda e le faccio esplodere il silicone che ha nel petto." affermai io, nervoso.
"Gates, le ha dato un pugno e le ha rotto il naso! Questo ti sembra un comportamento coerente?"
Ah già.. Il naso.. Vabbè, ma gliel’avevano pure rifatto male, le ha fatto un favore.
"Baker, io e Sullivan ci siamo picchiati. Prima dovresti buttare fuori noi."
"Voi siete professori."
"Lei è la mia ragazza."

Mi guardò spiazzato, stringendosi tra le spalle.
"Giusto.. Okay dai, vedrò di non sospenderla, ma dille che non deve farlo più, okay?"
Baker ragionava, lo amavo quando faceva così... Da amico, s'intende. Girava voce che tra le mie fan qualcuno appoggiasse la coppia me/Zacky. Lo trovavo ripugnante.
"Baker, quella ragazza voleva venirti a dire che l'ho violentata, perchè ha la pagnotta in forno."
Ad un tratto, Zacky mutò espressione.
"Cosa?!" era incredulo.
"Hai tradito Kay?!" No cazzo! Ti pare?
"No, quando è andata via me la sono scopata, ma niente di che.."
Calò il silenzio, ci fu un triangolo di sguardi.
"Comunque, quella troia mi sta sul cazzo da sempre." aggiunse dopo un po’ Christ, che nel frattempo si era impegnato a non esultare come era solito fare, ovvero salendomi sulle spalle. Quel nanerottolo era stupido, troppo stupido, era il più piccolo e amavamo prenderlo in giro; era piuttosto paziente e, anche se a volte era stressante, non potevamo fare a meno di lui. Era il più energico. Era un grande.
"La terrò d'occhio. Grazie di avermela segnalata. A proposito, volete vedere i miei nuovi lavori?" gli occhi chiari di Baker s’illuminarono come fari in spiaggia.
Non ci diede neanche il tempo di rispondergli, era già catapultato sulla scrivania ad afferrare i suoi disegni per mostrarceli. Grandioso, avremmo passato tutta la notte a sopportare i suoi discorsi da artista incompreso di metà ottocento.  Che poi, tra l’altro, domani sarebbe il compleanno della mia ragazza e io non avevo neanche comprato un regalo per lei. Sono o non sono un fantastico fidanzato?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Cap. 2 ***


Non c'e' niente di più brutto di una notte senza sogni.
Buia, fredda, sembra durare più che un’eternità; è come se vagassi nel buio per ore ed ore, senza riuscire a trovare un punto d’appoggio. Ero un tipo di persona che sognava seriamente ogni notte, il più delle volte erano incubi ma perlomeno mi tenevano occupata dal nervosismo.
Era presto, gli uccellini cinguettavano felici fuori dalla finestra, distogliendomi prepotentemente dai miei pensieri; aprendo gli occhi, reduce dalla solitudine, mi accorsi che non era cambiato praticamente nulla, dato che mi ritrovai sola ancora una volta. Mi sarebbe piaciuto dormire ancora e,magari, svegliarmi il giorno dopo, senza dover affrontare la giornata peggiore dell’anno per la diciottesima volta. Purtroppo,al contrario di Giuls che potrebbe dormire per settimane senza alcun problema, non potevo riuscire in un tale intento.
Avete presente quando sentite una specie presentimento dentro che sicuramente non potrà non avverarsi? Avete la certezza della sua riuscita, e vi dannate perché non potete fare niente per non farlo accadere. Sarebbe stato uno dei peggiori compleanni della mia esistenza.
Non appena il mio stomaco iniziò a protestare per la fame, circa a trenta secondi dal mio risveglio, capii che era necessario zittirlo, perciò mi fiondai in sala comune sperando di rubare qualcosa di commestibile alle mie compagne.
La sala comune era un'enorme stanza posta all'entrata del dormitorio, dalla quale poi si poteva passare al corridoio e quindi alle stanze private; su un enorme tappeto scuro giaceva, mai usato, un tavolo da biliardo accanto al quale c'erano un paio di comodissime ed enormi poltrone. Il fuoco scoppiettante nel camino era un delizioso sottofondo per pomeriggi noiosi e privi di stimoli: amavo distendermi sul divano di fronte alla fonte di calore con le mie amiche, ma tutto questo prima di conoscere Brian, ovviamente. Preferiva stare in mia compagnia nella sua di stanza, cercando, invano, di rendermi immune dalle brutte voci sul nostro conto e di dare meno all’occhio possibile.
Scesi lentamente i gradini alla fine del corridoio, ignara di ciò che mi sarei trovata davanti; non appena aprii la porta che mi avrebbe portato in sala comune, sentii, a mio malgrado, un urlo entusiasta quanto fastidioso.
Sorpresa!
Dannazione, dannazione, dannazione! Erano tutti li, nessuno escluso – e quando dico nessuno escluso, intendo NESSUNO escluso- : Giuls teneva tra le mani un muffin al cioccolato con sopra una candela accesa, Johnny le cingeva i fianchi sorridente come non mai ed Alisee era a dir poco entusiasta al fianco del suo Matt, intento a dare pacche sulla spalla di Sullivan, che a sua volta lo fissava male.
C'era anche Bea, nascosta dall’enorme braccio di Jimmy, e quello mi sorprese parecchio.
Notai che anche Baker sfoggiava uno dei suoi migliori sorrisi mentre per mano teneva Lisa, che era incredibilmente elettrizzata dalla situazione. L'unica a non essere entusiasta, in poche parole, ero io.
A parte loro, attorno al gruppetto trovai le mie compagne di corso e di classe e, purtroppo, con loro c'era anche chi avrei preferito non vedere;  Sarah era nascosta dietro all'enorme Sanders, ma il suo occhio mi scrutava attentamente come un leone che studia la sua preda ed io mi sentivo incredibilmente a disagio. Dovevo stare attenta, e anche Brian doveva tenere gli occhi aperti.
Quest’ultimo sembrava decifrare i miei sguardi, infatti si limitava a guardarmi dolcemente dando l'impressione di un cane bastonato. Era in piedi alla destra di Bea, nascosto da tutti e parecchio in disparte; aveva i capelli scombinati, una maglietta poco più che trasparente e un paio di jeans strappati e malconci, che comunque gli davano quell’aria da grandissimo figo. Era scalzo, da quello dedussi che, come sempre, era arrivato in ritardo all’appuntamento che, probabilmente, gli aveva dato Giuls.
Non appena la ragazza dai capelli rossi mi porse il muffin, sorridente come un'attrice di soap opera di fronte a qualcosa di veramente noioso, lo afferrai e, senza aspettare la canzoncina idiota da compleanni, mi leccai la punta di due dita e spensi la fiamma della candelina grazie ad esse; dopo di che diedi un morso al dolce e lasciai che la folla si dissolvesse, con la metà dell’entusiasmo di prima. Ringraziai tutti per gli auguri e mi feci abbracciare da quasi tutte le persone presenti in stanza.
In un attimo, tutti si volatilizzarono e restarono con me soltanto i docenti e le rispettive ragazze.
Ero in condizioni pietose, ma ovviamente, da bravi amici, non fecero altro che congratularsi per l'aspetto da maggiorenne novella, lasciandosi a qualche battuta stupida sulla vecchiaia.
 Ad un tratto, non appena calò il silenzio tra di noi, Beatrix mi si avvicinò e mi trascinò in un angolo della stanza con delicatezza. Guardandola, mi accorsi che sorrideva e il suo sorriso mi scaldò il cuore in una maniera più che incredibile.
"Scusa, di tutto. Ti voglio bene"disse tutto d’un fiato, per poi stringermi in abbraccio dolce e protettivo.
La strinsi anche io, cercando di non rovinare quel momento tanto atteso con una delle mie frasi senza alcun senso; oh, finalmente qualcosa di positivo in questa settimana di merda. Il suo profumo di vaniglia mi inebriò, lasciai che sciogliesse l’abbraccio lentamente, sorridendole felicemente.
Dopo che ci riavvicinammo agli altri, intenti a fare gli stupidi, Giuls, zittendoli, iniziò a parlare a gran voce come un politico ad un’assemblea in piazza.
"Kay, vai a vestirti. Oggi andiamo a Los Angeles." Al pronunciare il nome della città, Zacky e Matt si lasciarono trasportare da non so cosa e si esibirono in un mini balletto.
Uh, grandioso, mi portavano a Los Angeles.
Lontano da occhi indiscreti avrei potuto chiarire con Brian tutto quello che era successo prima, pensandoci. C'era tensione tra noi, parecchia; sapevo che era a conoscenza di tutto ma non riuscivo a fare come se niente fosse. I nostri sguardi, però, parlavano per noi, intraprendendo discorsi lunghissimi e chiudendoli con sorrisi ingenui e impacciati.
Salii al piano di sopra e cercai, velocemente, di indossare qualcosa di decente, aggiustare i capelli in modo accettabile e di trovare qualche risparmio nascosto nelle tasche dei pantaloni da spendere in città.
Los Angeles era perfetta, era giovane ed era una dei posti che amavo visitare, senza mai stancarmi; i negozi non deludevano,la gente era cordiale ed amichevole e i paesaggi erano mozzafiato.
"Come andiamo, baby?"chiesi, non appena raggiunsi gli altri alla sala comune; avevo optato per una felpa dei pantera, uno dei miei gruppi musicali preferiti, un paio di pantaloni neri e le mie amate converse rosse. Syn, alla mia vista, ebbe un sussulto e il suo viso s’illuminò; in quel momento avrei voluto stringerlo a me baciandolo come se non lo facessi da un'eternità. 
"Andiamo in limo donna, sentiti onorata."Sanders sfoggiò prepotentemente il suo sorriso sghembo perfetto, spiazzandomi come sempre.
Wow, limousine.
Non ero amante del lusso, anzi preferivo da sempre la semplicità, ma mi sarebbe piaciuto salire in una limo. Era il mio sogno, fin da piccola. Andiamo, chi non vorrebbe farlo?
"Sanders, cosi mi emozioni."
"Abbiamo intenzione di spostarci per un po’ a casa mia, lì in citta'."Annunciò Johnny, facendo un passo avanti verso di me. Seward aveva una villa a Los Angeles, ma non avevo mai avuto l’occasione di visitarla.
"Quindi dovrei fare le valigie..?"Chiesi, aggrottando le sopracciglia.
"Kay, abbiamo gia' tutto quello che ci serve, tranquilla."Aggiunse Lisa, scambiando uno sguardo complice con Alisee. Mi avevano fatto loro le valigie, bene. Non oso immaginare quello che .. Oddio, lingerie e completini sexy, senza dubbio.
"Kay non fare la lagna, io ho fame perciò partiamo subito, cosi siamo già lì a pranzo."Sullivan, l'uomo dallo stomaco senza fondo, non si smentisce mai. Gli sorrisi aprendo le braccia, e lui ricambiò abbassando lo sguardo. 
In un attimo, ci ritrovammo a bordo di una grandiosa limousine da trasporto; l'interno era in pelle nera, al centro dei due grandi sedili giaceva un tavolino ornato da diversi e colorati drink e pacchetti di sigarette. Salendo, mi accomodai accanto a Sullivan, mentre, al mio fianco, inaspettatamente, prese posto Haner. Mi fissò come se fosse in attesa, facendo in modo che mi sciogliessi davanti ai suoi grandissimi e bellissimi occhi. Che confusione, cosa cazzo dovevo fare?
Il viaggio fu abbastanza divertente, quasi tutti i ragazzi e le ragazze, a parte me e Baker, ovviamente, si appisolarono come bimbi dopo un paio di aperitivi.
Haner si addormentò nella dolcezza più assoluta; sembrava un angelo nel corpo di un diavolo, era perfetto, da mozzare il fiato. La sua testa era poggiata sulla mia spalla, il suo braccio mi cingeva i fianchi e le sue gambe erano distese sul sedile.
Il silenzio era imbarazzante.
Zackary era intento a studiarmi con sguardo attento e severo, tanto da farmi venire in mente mio padre.
Dopo una lunga riflessione, decise di parlarmi, mettendomi ovviamente in difficoltà.
"Kay, posso chiederti una cosa?"Chiese, accarezzando la chioma della sua Lisa, che ronfava beatamente tra le sue braccia come se fosse una bambola. Non avevo mai parlato con lui da sola, mi dava l’impressione di un preside a tutti gli effetti e mi sentivo in soggezione a rivolgergli la parola.
"Dimmi Vee." Lo guardai, cercando di mascherare il nervosismo.
"Un uccellino mi ha detto che hai picchiato qualcuno."
Sentii il sangue gelarsi dentro le mie vene; iniziai a tremare e a deglutire rumorosamente, sentivo il battito cardiaco aumentare vertiginosamente.
"Zacky non volevo. Io.. Io non.."Lui, però, mi interruppe con un sorriso, alzando la mano.
"E' tutto ok, ho saputo tutto e volevo dirti che va tutto bene e che avrei fatto la stessa cosa. Sei grandiosa!" Sembrava convinto delle sue parole, e ciò mi tranquillizzò parecchio. 
"La mia domanda è.. Com'e' finita con Gates?"
Non appena pronunciò il suo nome, mi girai a guardarlo; dormiva ancora, ma è come se stesse ascoltando. "Penso che sia tutto ok, ma non credo che possa continuare tra di noi in modo "pubblico" " feci le virgolette con le dita, Zacky si accigliò. "Non voglio che Sarah inventi stupidaggini e false voci che possano far del male a Brian.."
Vengenz mi rivolse un'occhiata benevola, come se volesse tranquillizzarmi, dandomi una pacca sulla spalla.
"Con me non devi preoccuparti, io sono un professore ma per prima cosa sono vostro amico." Mi sorrise.
"Grazie Baker." Risposi io, cercando di abbracciarlo ma non ci riuscii, perciò mi limitai a stringergli un braccio intorno al collo, facendo attenzione a non scuotere e svegliare Brian. 
"Devi soltanto aver paura se dice qualcosa a qualcuno fuori dalla scuola. Perchè in quel caso si passa a fatti grossi e io non posso sospenderla senza motivo."
"Lo so.. cercherò di mantenere segreta questa relazione almeno per ora. Credimi, l'ultima cosa che voglio è il suo male"
puntai il ragazzo al mio fianco, e Vee si strinse tra le spalle.
Okay, forse dovrei chiarirvi il perché di tutta questa paura nei confronti della Monroe: suo padre, Bill Monroe, era in sostanza l'uomo più forte e ricco della California. Con un solo schiocco di dita, poteva uccidere o mandare in gattabuia, nel migliore dei casi, i superstiti delle storie andate a male di sua figlia la puttana. Che fare in questi casi, quindi? Assecondare.
A Los Angeles, però, avrei potuto rompere i miei limiti e cercare di scendere a compromessi con Syn.
Il viaggio durò un'altra mezz'ora  durante il quale tutti si risvegliarono e, dopo un pisolino e dialoghi privi di serietà, raggiungemmo la nostra meta, la città della bella vita: L.A baby!
La limousine ci portò di fronte ad una grandissima villa mozzafiato; non appena scesi dalla macchina e misi a fuoco ciò che mi trovavo davanti, rimasi semplicemente a bocca aperta.
Il grande cancello nero era spalancato e dava su un enorme cortile pieno di cespugli e alberi di ciliegio, alla destra dell’enorme edificio color nocciola giaceva una grandissima piscina al chiuso dalle pareti trasparenti.
Soffermandomi sulla villa, notai che era molto stile londinese, dalle grandi vetrate ed immensi balconi; non riuscivo a capire come fosse possibile che quella casa appartenesse ad una persona così piccina come Seward.
I ragazzi avevano sguardi soddisfatti, le ragazze fremevano dalla voglia di entrare ed anch’io avevo una certa curiosità. Brian, rivolgendomi uno sguardo ammiccante, avvicinò la mia bocca al mio orecchio.
In questa settimana non voglio sentire storie, sarai mia, e basta.” Mi sussurrò, facendomi rabbrividire.
Gli rivolsi un’occhiata accigliata ma lui si limitò a sorridermi e a fissare lo spettacolo senza precedenti che aveva davanti.
Non appena entrammo, mi persi nella bellezza del soggiorno; era completamente arredato in color carta da zucchero, i divani erano in pelle ed erano grandissimi, il camino era acceso e la tv al plasma sembrava brillare di luce propria. Accanto a tale spettacolo notai la presenza di un’enorme scala a chiocciola che probabilmente portava al piano di sopra dove dedussi ci fossero le stanze da letto e il bagno.  Come stanza adiacente trovai un’altrettanto enorme cucina, chiara di colori anche lei, che dava l’impressione di qualche stanza da fornelli di ristoranti, con tanto di chef al lavoro.
Johnny si piazzò davanti a noi e ci illustrò la divisione della casa dopo una decina di secondi, necessari a farmi sbavare davanti a tutto quello spettacolo.
Al piano di sopra ci sono 5 stanze da letto e 3 bagni, dotati di vasca idromassaggio ma, per favore” fissò Brian e poi Sanders “non fate porcate lì dentro, perché se rilasciate i vostri regalini pulite voi.”  I ragazzi presi in questione risero, ma lui sembrò più che serio.
“Comunque. Di lì c’è la cucina, e poi c’è la sala giochi. Fuori troverete la piscina al chiuso e una serra, ma mi sbatte di farvele vedere.” Ci studiò ad uno ad uno e dopo una decina di minuti si fiondò verso l’enorme albero di Natale posto accanto al camino,raccogliendo una decorazione caduta per terra. Studiandola, la ripose tra i rami con una delicatezza abbastanza spiazzante che dava l’idea di un maniaco dell’ordine.
Guardandomi intorno, mi accorsi che tutti gli altri erano scomparsi a parte Giuls e Brian; quest’ultimo mi strinse a se con un braccio intorno ai fianchi.
Che ne dici di collaudare il letto?” mi chiese, accarezzandomi la schiena. Sentii la ragazza dai capelli rossi alle mie spalle sbuffare divertita dalla situazione di Seward, che si scusò per il disordine con tono da bambino colpevole.
Dico che mi piacerebbe. ” gli sorrisi e mi sentii alzare da terra almeno un metro.
Mi caricò sulle spalle e mi porto al piano di sopra; riuscii a vedere soltanto le scale ed il pavimento, dato che non mi permise di alzarmi fino al nostro arrivo.
Non appena aprì la porta di una stanza a caso, fortunatamente vuota, mi gettò di peso sul letto e si distese sopra di me.
Hey.” Gli dissi, sospirando pesantemente.
Dimmi bellezza.” Iniziò a baciarmi il collo, come se fosse in astinenza.
Scusa per tutto. Scusa perché sono una fifona e sono un’incapace. Haner, so che meriti di meglio e non voglio che tu creda che mi vergogni di te.
Si strinse tra le spalle, sorridendomi.
Ascolta, non l’ho mai pensato. Sapevo che eri stata costretta e credimi, non puoi capire quanto io ti sia grato.” Mi diede un bacio sulle labbra ed io gli accarezzai le guance.
Vuoi sdebitarti? Credo che tu sappia come fare.” Sorrisi, alzando le sopracciglia. Sentii la sua mano sulla mia schiena gelata.
Chiudi la bocca dolcezza, fai fare a me.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Cap. 3 ***


Caldo, caldo afoso. La passione ci bruciava come fiammiferi senza fine e senza inizio, ma il fuoco era dannatamente piacevole e instancabile; mi sentivo tanto come Prometeo, vittima di una tortura senza fine ma , aimhè, quella era tutt’altro che una tortura, ma era in poche parole una cosa di cui sembravo dipendente. Sete, sete di fiamme, di quel tipo di fiamme. Irrefrenabilmente, i nostri corpi nudi si muovevano sincronizzati, come se fossero stati creati l'uno per l'altro, appositamente, come se fossimo la metà perfetta di qualcosa di brutto. Furono le ore più piacevoli della mia intera esistenza.
I suoi baci placavano l'ebollizione in cui mi trovavo, inerme e masochista; mi lasciavo trasportare dai suoi movimenti continui come una medusa si lascia cullare dalle onde nelle quali si ritrova immersa. Perfetto, un momento decisamente privo di imperfezioni.
Lo tenevo stretto a me, in una morsa impossibile da sciogliere, come se non volessi più lasciarlo andare; tenevo una mano dietro la sua nuca e un braccio intorno al suo collo, attenta a non stringerlo troppo ma anche a non farlo scappare. Nonostante sembrassimo tossicodipendenti in astinenza dalla propria dose quotidiana, non badai più di tanto all'impressione che potevo dare ai suoi occhi, perché semplicemente non ero l'unica ad esserlo, tra le sue braccia; ma neanche l'ultima o la prima, ma, a parte questo, avevo come la certezza di essere diversa dalle altre che avevano affrontato quella situazione, di avere un gusto differente. Non so, cercavo di non pensare “sei una fra tante” ma soltanto “sei una, e sei fortunata”.
 I minuti si bruciarono, caldi, quasi quanto noi.

"Oddio santissimo, perchè non dovete chiudere la porta a chiave quando fate ‘ste porcate, maiali?"
Sanders. Un Sanders dal viso coperto, in piedi, con l'enorme e possente mano sulla maniglia della porta. Schifato, senza ombra di dubbio, e piuttosto impiccione. Avrei voluto farlo fuori, con simpatia.
"Perchè non devi mai farti i cazzi tuoi, signor galateo?" Chiese Synyster, scostandomi dal suo corpo facendo in modo che non fossi vista da Shadows.
"Volevo dirvi che il pranzo è a tavola."Continuò quest’ultimo, sbirciando dalle dita che gli coprivano il volto.
Mi immersi sotto le coperte e mi rivestii in fretta, prima di sentire eventuali battutine di Brian sul mio conto e su quanto fatto prima; non badai a cosa indossai, ma sperai che non dessi troppo all’occhio.
"Mi sarebbe piaciuto insegnarti qualcosina, Shadows." Ecco che cominciavano.
"Mettiti qualcosa addosso e risparmiami questo spettacolo, Gates."
"Okay, non vorrei farti sentire a disagio." Il ragazzo completamente nudo alzò un sopracciglio, passando una mano tra i capelli corvini. Sfidava parecchio la mia salute, quell’uomo.
"Sai che non sarebbe cosi."
"Dimostralo."

Prima che la situazione degenerasse, li fermai, nonostante la vicinanza al corpo di Haner mi distogliesse da qualsiasi tipo di concentrazione. Avevo già la scena in testa. Imbarazzante.
"Piantatela."

La sala da pranzo era un'enorme stanza dai colori freddi, con le pareti addobbate da enormi quadri colorati per spezzare il pallido complessivo; il tavolo era enorme e lunghissimo, probabilmente avrebbe potuto ospitare 200 persone circa, ed era contornato da piccole sedie rivestite in pelle bianca che somigliavano a piccole poltrone grazie alla loro ovvia comodità. Non appena mi accomodai e finii di studiare la stanza, mi sedetti su una di queste poltroncine accanto a Giuls e, ovviamente, Brian che fece in modo di avermi più vicina possibile. Lisa e Baker ci raggiunsero dopo un po', Matt continuava a guardarci schifato per la scena di poco prima tenendo per mano Alisee, piuttosto accigliata. Sullivan e Bea si accomodarono insieme per primi, uno al fianco dell'altra, stretti in un mezzo abbraccio, mentre Johnny portò la maggior parte delle pietanze sulla tavola, fissato da Giuls che, nel frattempo, si leccava i baffi dalla fame -ovviamente, non si smentiva mai-.
Ad un tratto, silenziosamente, Zacky e Lisa mi furono vicino e mi passarono silenziosamente una busta, sorridenti. Squadrai l’oggetto bianco, poi li guardai male.
"Avevo detto niente regali..."dissi, sbuffando, donando loro una brutta occhiataccia.
"Kay, non lagnarti e guarda semplicemente il contenuto."affermò Baker, serrando gli occhi. Okay Kay, non fare la lagna, ormai ti hanno fatto un regalo e non possono restituirlo, aprilo, magari ti piace.
Dopo averli abbastanza fulminati con lo sguardo, aprii lentamente ciò che avevo davanti, studiandone il contenuto. 
ODDIO, ODDIO MIO. 
Troppo per me, troppo, non avrei potuto mai ricambiare una tale bellezza, neanche con tutto l’oro del mondo.
Uscii dalla busta circa cinque biglietti, poggiandoli sul tavolo; dopo averne messo a fuoco uno, mi accorsi che erano per un concerto a Los Angeles, un concerto di una delle mie band preferite e... Non riuscii a contenere la felicità.
 Lisa mi fissava emozionata da dietro ciò che tenevo in mano, Giuls e Alisee si portarono le mani alla bocca, felici, come se non se l’aspettassero.
"Oddio ma avrete speso un casino.." questo è ciò che riuscii a dire, con gli occhi fissi su quelli che erano appena diventati i miei tesori.
"Non pensarci.. ANDIAMO A VEDERLI, TE NE RENDI CONTO?"urlò la ragazza dai capelli bicolore, saltellando accanto al suo amato Baker come una bambina di fronte ad una calza piena di caramelle.
Okay, dovevo ringraziarli, o almeno provarci.
"Grazie, vi adoro!"balzai dal mio posto e corsi contro i due ragazzi che, di risposta, mi strinsero amichevolmente in un abbraccio dolcissimo. Non potevo crederci, ero emozionata a livelli inimmaginabili. Sciogliendo l'abbraccio, mi accorsi che Brian fissava Zacky parecchio male, e mi limitai a ridere del suo improvviso attacco di gelosia; non era un tipo possessivo, ma se solo abbracciavo qualche ragazzo all'infuori di lui, non riusciva a contenersi.
Il pranzo fu un momento piacevole, mangiai una decina di piatti di cui non conoscevo neanche l'esistenza fino a quel momento e, non vi nascondo che mi sentivo una riccona snob in giro per i ristoranti del mondo. 
"Oggi pomeriggio si va a fare shopping, vero?"disse a gran voce Allie ad un tratto, rompendo il silenzio e fissando Matt che, nel frattempo, era intento ad annuire poco convinto.
"Di sera potremo fare un bel falò, in spiaggia."Aggiunse Seward, fregando un boccone dal piatto della sua amata. Lei, di risposta, lo fissò male e gli stampò un bacio sulle labbra.
"Per me va bene tutto quello che dite.." sussurrai, fissando il mio piatto. 
"Dobbiamo ancora darti tutti i regali, il mio , per esempio, te lo consegno dopo." aggiunse il ragazzo accanto a me, alzando maliziosamente un sopracciglio.
"Perchè, non valeva il regalo di poco fa?" chiesi io, sorridendo.
Improvvisamente mi diede un bacio, senza neanche pensarci, e ne rimasi spiazzata. Non era un tipo sdolcinato come i suoi amici e preferiva non dare a vedere ciò che ci riguardava, ma in quel momento agì sicuramente per istinto, ma non infastidì nessuno, anzi. Mi fece piacere, quella fu la prima effusione che mi rivolse in pubblico, sentii per la prima volta una specie di ufficializzazione.
Mi godetti quel momento per un po’, tastando le sue labbra.
"Il nostro arriva nel pomeriggio." fischiettò Giuls, rivolgendo uno sguardo d'intesa a Sullivan e a Seward. Ma perché? Avevo detto niente regali, cazzo.
"Il nostro non te l'abbiamo ancora comprato, perchè QUALCUNO ha preferito giocare a Call of duty per un pomeriggio intero."Alisee guardò male Matt, che ridacchiò sotto i baffi. 
"Ma ci rifacciamo nel pomeriggio, perchè ANDIAMO A FARE SHOPPING" aggiunse dopo un po' la riccia, lasciando che il suo uomo perdesse l’umorismo e iniziasse a sbuffare.
“Siete fantastici, non dovete.”Sussurrai dopo un attimo di silenzio, giocherellando con il cibo che giaceva intoccato sul mio piatto.
Mi sorrisero tutti, invitandomi a non fare la modesta e regalandomi amichevoli pacche sulla spalla.

Dopo che finimmo il nostro pasto,  scherzammo un po’ e riuscimmo a lasciare la sala da pranzo, ci organizzammo sul da farsi.
“Andiamo in centro. No?” suggerì il più piccino, dopo che, ovviamente, finì di rassettare ogni cosa con fare maniacale. Era malato, ossessionato dalla pulizia e dall’ordine.
Passeggiamo un po’ e poi andiamo in spiaggia, così mostriamo alle nostre donzelle qualcosa di romantico” aggiunse Sullivan, stringendo Bea a sé in un abbraccio dolcissimo. Erano carini, insieme. Non ero il tipo di ragazza gelosa di ogni suo amico, soprattutto del migliore degli amici, anche se mi avrebbe dato fastidio se fosse tra le mani sbagliate una persona poco… diciamo, matura come Jimmy. Lei lo faceva rigare dritto, gliene sarei stata grata se avesse continuato a farlo. Il passato di Rev era noto per la mancanza totale di tranquillità, ero molto protettiva nei suoi confronti.
 
 
Sapevo che neanche quella volta la mia cara Los Angeles mi avrebbe deluso, infatti era fantastica, come sempre, inoltre abbellita da graziosi addobbi e luci mozzafiato per la festività imminente.
Avevo sempre creduto nel Natale; la mia famiglia era piuttosto tradizionalista e quello era un giorno più che speciale, forse il più importante dell’intero anno. In altre parole, un'occasione per riunire tutti davanti ad un buon piatto e un caldo camino.
Io, a dire il vero, non ero mai stata entusiasta come le mie cugine al riguardo, che, al contrario, erano sempre pronte a sfoggiare i propri abiti succinti e le loro parole poco sensate. Quel natale però non sarebbe stato come gli altri, l'avrei passato con persone grandiose e non potevo che essere felice; non mi avrebbe deluso, ne ero certa. Era semplicemente un buon presentimento.
Ad ogni modo, ci ritrovammo a passeggiare tutti insieme da buon gruppetto lungo le strade di Los Angeles, ognuno vicino alla propria metà; camminando, ad un certo punto, ci imbattemmo in un fantastico negozio di musica.
Era fantastico, persino dall’esterno era visibile l’enorme tesoro che quel piccolo edificio conteneva.  Ovviamente insistetti per entrare e non me ne pentii; tantissime tshirt di band favolose, gli album migliori, i 45 giri storici e strumenti mozzafiato. A quella vista diventai incredibilmente felice.
Mentre gli altri erano intenti a fomentarsi per la presenza dei propri dischi preferiti, in alcuni casi per la presenza dei propri dischi, decisi di autolesionarmi senza pietà, avvicinandomi al reparto di chitarre più grande che io avessi mai visto: stratocaster, telecaster, gibson che abbagliavano di bellezze spiazzanti e, con grande sorpresa una decina di schecter.
Avevo sempre amato le chitarre in una maniera assurda, il rapporto che avevo con i miei strumenti era morboso e tendevo a rinunciare a tutto per poterli tenere tra le mani più del dovuto. Suonavo sempre, anche non sapendolo fare e anche la notte, per questo i vicini non avevano mai avuto un debole per me.
Il mio sogno più grande però, da quando conosco gli avenged sevenfold , è comprare una schecter.
 
Quella su cui mi soffermai era un modello Synyster Gates piuttosto chiaro, dalle rifiniture color oro; non potevo distogliermi da tale meraviglia, perciò sbavai davanti al mio portafoglio poco fornito e al prezzo piuttosto alto per un po’, un po’ troppo a dire il vero.
Fu amore a prima vista, ma purtroppo dovetti stroncare sul nascere la nostra relazione per, come detto prima, mancanza di fondi.
Restai lì, immobile, a fissarla finché non sentii che Brian mi fu vicino.
"Hey baby, che guardi?" Chiese, cingendomi un braccio intorno al collo con fare "romantico."
"Niente, guardavo le chitarre" risposi io, aprendo un braccio verso la meraviglia di strumenti che mi trovavo davanti.
"Wow, c'e' una chitarra modello me"Egocentrico, non si smentiva mai.
Con fare da esperto, la afferrò e si sedette sul pavimento, dando l'impressione di un artista di strada intento a cercare attenzioni che, nel suo caso, si ritrovarono piuttosto presto; in un attimo, una miriade di fan dell'età compresa tra i 13 e i 17 anni gli fu intorno, con grandi occhi illuminati e bocche aperte dallo stupore. Cercai di domare la gelosia che, improvvisamente, m’inondò, ma feci in modo di far godere quel momento alle ragazzine di fronte a me, autoconvincendomi che non potesse succedere niente di male.  Non potevo non biasimarle, ero del gruppo delle sognatrici anche io, prima di arrivare alla Vengeance University.
Studiando i loro sguardi, una delle ragazze rapì le mie attenzioni, facendomi strabuzzare gli occhi: poteva avere non più di sedici anni, aveva i capelli castani,molto chiari e qualche ciocca tinta del mio stesso colore carota. I suoi occhi, verdi e praticamente uguali ai miei, incrociarono il mio sguardo per una frazione di secondo e fecero in modo che mi sentissi strana, perché era come se... Mi rivedessi in lei.
Non appena Brian completò il suo piccolo concerto, al quale poi si unirono Baker e Seward, anche loro provvisti di strumenti, la folla iniziò a chieder loro foto e roba varia ed io decisi di avvicinarmi a Giuls, che sorrideva alle mie spalle.
"Non mi assomiglia quella ragazza? " Chiesi, puntandola con lo sguardo, non appena fui vicina alla mia amica abbastanza da essere sentita. La rossa abbassò la testa e cercò di mettere a fuoco ciò che si trovava davanti.
"Oddio, e hai visto la ragazza accanto a lei?"
Accanto alla mia presunta sosia, c'era una ragazzina un po' più bassa del soggetto delle mie attenzioni: aveva i capelli castani e gli occhi scuri, ma il suo sorriso era familiare. Cristo santissimo, eravamo io e Giuls, soltanto prive di tinte e un po' più piccine. Se fossimo andate indietro di tre anni circa, sarebbe stato praticamente una clonazione. Restai spiazzata da quell'evento. 
Dopo un'ora, uscimmo dal negozio e continuammo il nostro giro, ma non riuscii a dimenticare quello che era successo prima, per tutta l'intera giornata fu il centro dei miei pensieri, con la schecter.
 
"Posso fare un discorso?" 
Ad un tratto, appena raggiungemmo un parco, Giuls ci fermò e ci fece accomodare su delle panchine a dir poco gelate, annunciando uno dei suoi discorsi che sperai non fosse il suo solito monologo da compleanni.
"Kay, so cosa stai pensando."Eh, ascolta i miei pensieri e non.. "Ma lo faccio ugualmente." Te pareva.
Si schiarì la voce.
"Io non sono brava con le parole, la maggior parte delle volte fuggono via da me e io mi impegno per inseguirle ma sono così veloci che scappano ed io non riesco ad acchiapparle" mi sentii ribollire dentro, come se stessi per piangere. Brian mi strinse a sé.
"così come le persone, molta gente scappa da me e mi odia per quello che faccio, ma solo una persona non lo fa, ed é la persona migliore al mondo"sorrise, mi sentii sciogliere. Okay, vaffanculo ai discorsi da compleanni, fanno addolcire anche una persona apatica come me.
"sempre dopo mia mamma però" idiota eh, sempre e comunque.
Ridacchiai, anche se un paio di lacrime stavano già percorrendo il mio volto.
 "Esattamente 18 anni fa, nasceva l'amica migliore al mondo e mi ha salvato la vita quindi tanti auguri” concluse, stringendosi tra le spalle“e sei solo mia, okay?" 
Senza pensarci un attimo, mi alzai e le corsi incontro, stringendola in un abbraccio senza fine. 
Era la migliore cazzo, in assoluto; mi sarei impegnata a non farla mai andare via da me, più di ogni altra cosa. Mi inebriai del suo profumo alla fragola e cercai con tutta me stessa di stringerla più forte possibile.
"sul 'sei solo mia' pero' potremmo discutere eh"sussurrò Syn, serrando gli occhi, non appena sciolsi l’abbraccio che mi legava a lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Cap. 4 ***


La spiaggia era uno spettacolo senza precedenti. 
Il cielo era spoglio, svestito delle sue usuali nuvole minacciose da fine Dicembre, piene di pioggia; nonostante questo suo aspetto disarmante, lasciava intravedere le migliori stelle, brillanti più di qualsiasi diamante.  La mia ossessione per le stelle mi avrebbe accompagnato per tutta la vita, ne ero certa, ma era scientificamente impossibile rimanere indifferenti davanti tale meraviglia.
Eravamo arrivati da poco, erano più o meno le nove della sera e avevamo comprato del cibo take-away al fast food delle vicinanze, stranamente poco affollato. Avremmo consumato la nostra cena lì, in spiaggia, sicuramente il posto migliore per qualcosa di speciale, altro che ristoranti e roba varia. Sì, quel giorno era stato speciale, indimenticabile, indipendentemente dai brutti pensieri che affollavano la mia mente negli ultimi tempi e che premevano sulle mie povere tempie come una tortura senza fine. Era difficile ignorarli, quasi impossibile; facevano in modo di venirti incontro nei momenti meno opportuni, superando prepotentemente ogni tuo pensiero.
Ma, stranamente, quel giorno sembrò incredibilmente facile non permettergli tutto ciò; avevo riso, pianto dalla gioia, passeggiato sulle strade di una delle mie città preferite con le mie persone preferite, visto chitarre mozzafiato e assistito ad un piccolo concerto privato nel negozio musicale migliore che avevo mai visto.
In quel pomeriggio, Brian non aveva fatto altro che suonare le mie canzoni preferite, facendo in modo di mandarmi di tanto in tanto sguardi e sorrisi maliziosi e ammiccanti. Sinonimo indiscusso di perfezione.
Era come se fosse completo con una chitarra tra le mani, come se non aspettasse altro che quello, come se fosse nato già esperto riguardo a quello strumento. Togliendo il fatto che era un mio amico, o più, era ancora il mio chitarrista preferito e non avrei mai smesso di emozionarmi davanti a momenti del genere.
Tra l’altro aveva anche suonato una delle mie canzoni d’amore preferite dei Sevenfold, ovvero Dear God, e fu in quel momento che piansi di gioia come una stupida bambina di fronte ad un magnifico regalo di natale. Più mi ripetevo di non essere piagnucolona, più lo ero; quel ragazzo aveva cambiato la maggior parte di me in meglio, e da questo che si nota l’importanza che, non so se per fortuna o purtroppo, gli attribuivo nella mia vita.
Mentre le sue fan canticchiavano il ritornello, al “we all need the person who can be true to you” aveva alzato lo sguardo, incrociato il mio, sorriso e fatto uno di quegli occhiolini che ti bloccano il cuore e che sfidano la tua salute mentale.
Gli piaceva vedermi in difficoltà, era scientificamente provato.

Ci sedemmo sulla sabbia a gambe incrociate, a cerchio, più vicini possibile per scaldarci più in fretta.
I ragazzi decisero di cercare della legna da destinare al fuoco e lasciarono tutte le ragazze, me compresa, intorno a quello che sarebbe stato un falò spettacolare.
“Divertita oggi?” chiese Beatrix interrompendo il silenzio e stiracchiandosi le braccia con fare soddisfatto. Le sorrisi, ed annuii energicamente.
Sospirammo quasi tutti in sincronia, come se non avessimo argomenti di cui parlare. Fortunatamente, la più logorroica ne trovò uno.
“Johnny mi ha chiesto di chiedervi se volete partire domani, o dopodomani..”disse Giuls, sbirciando nel sacchetto contenente la nostra cena, come se fosse in astinenza. Affamata, ma non era una novità.
Perché non rimanere qui anche per Natale?” chiese Alisee studiandoci ad una ad una e cercando l’entusiasmo di cui il suo viso era illuminato in noi.
Buona idea cazzo! Sarebbe fantastico!” affermò la piccola ragazzina accovacciata accanto a lei, Lisa, stringendo le mani in preda alla contentezza.
Avrei sicuramente passato un Natale migliore se fossi rimasta a Los Angeles con loro, migliore di quello che avrei dovuto affrontare tornando a scuola, con gente snervante alle calcagna.
Te che dici festeggiata?” La rossa mi tirò una pietra minuscola color carbone, io, di risposta, la guardai male.
“Okay.” Dissi infine, stringendomi tra le spalle. Iniziarono ad immaginare il loro Natale lì ed io, divertita, non feci altro che sorridere e tacere di fronte ai loro piccoli cortometraggi mentali.
Che bello, possiamo scopare senza problemi qui.” Gridò Allie prima che i ragazzi si avvicinassero del tutto, ancora più entusiasta di prima. Le diedi uno schiaffetto sulla spalla.
“Che c’è?!”
Tutte risero, ed io mi limitai a fare lo stesso, sebbene il mio sorriso fosse debole a causa della stanchezza.
Dopo un attimo alzai lo sguardo verso il cielo, fissando meravigliata gli astri, e, come sempre, rimanendone rapita; mi ci persi per una decina di minuti, nonostante le mie amiche cercassero di catturare la mia attenzione in tutti i modi possibili. Tutte, a parte Giuls, che mi conosceva abbastanza da essere a conoscenza della mia fissazione e a non interrompere il mio stato di estasi.
Gli unici che riuscirono a distogliermi da quella “meditazione” furono dei passi pesanti che si avvicinavano a noi, seguiti da parolacce ed imprecazioni.
“Cazzo, porca troia, porca puttana, fanculo, merda” ovviamente, chi poteva mai essere?
“Sono spiazzato dal tuo linguaggio forbito.”
“Minchia, stai zitto Sanders, sti tronchi pesano almeno una tonnellata.”
“Gates, sei una femminuccia.”
“Fanculo, Vengeance.” 

Sorrisi, scrollai lo sguardo dal cielo e lo piazzai su di loro, divertita. Non appena lasciarono cadere la legna dalle loro braccia, Jimmy, Johnny e Zacky si gettarono di peso sulla sabbia, stremati, mentre Brian e Matt, al contrario, iniziarono a cercare fonti di calore che potessero sprigionare le scintille necessarie ad accendere il fuoco.
“Legnetti, strofinati. L’ho visto in un documentario!” urlò l’uomo dagli occhi chiari, alzando il dito come se avesse avuto una delle migliori idee. Non fece neanche fiatare l’altro, che aveva cercato di ribattere aprendo la bocca, afferrò due piccoli pezzi di ramo dal grande cumulo davanti a noi ed iniziò a strofinarli con foga ed entusiasmo, che , però, andò sempre di più ad affievolirsi. Passarono minuti, passarono trecento espressioni di dolore e sconforto nel suo viso, ma non passò neanche l’ombra di una minima scintilla.
“Matt.” Sussurrò Brian. Il giovane, accucciato per terra, lo ignorò, concentrato su quello che teneva in mano.
“Matt.”
“Che cazzo vuoi Haner?!”
urlò, lanciando rabbioso i rametti sulla sabbia.
“Ho l’accendino.”
[...]
Se il suo sguardo avesse potuto, l’avrebbe ucciso sotto le peggiori torture.
“Potevi dirlo prima di farmi andar a fuoco le dita, minchione!” Jimmy ridacchiava sotto i baffi insieme a Zacky, mentre Johnny si nascose il viso tra le mani afflitto da tale scena.
“Ma..”
“Niente ma, dammelo
” il cantante gli porse la mano con sguardo severo. Syn, dopo un’occhiataccia, gli lanciò il piccolo affare che uscii poco prima dalla tasca, afferrando poi una Marlboro dal suo pacchetto.
Fortunatamente, Matt spense il suo spirito da avventuriero e si limitò a ricorrere alle soluzioni più semplici, perciò fece in modo che le fiamme cominciassero a bruciare la legna con l’aiuto dell’accendino.
Brian si appollaiò accanto a me, accendendo la sigaretta che aveva tra le dita e avvicinandomi al suo petto. Me ne offrì un tiro che non rifiutai, dopo di che mi strinse a sé dolcemente.
Sanders si sedette per un momento e poi balzò in piedi, per distribuire il cibo. Se Johnny era maniaco dell’ordine, lui era maniaco dell’essere sempre leader. Non era egocentrico, né ipocrita, ma amava ordinare da sé le cose, distribuire le azioni e comandare come un piccolo ambasciatore; avevo sempre percepito in lui un sentimento patriottico, come se volesse sempre essere il piccolo capetto, ma non era uno di quelli che vogliono per forza contrastare tutti e mettere i piedi su ogni testa, anzi. Era semplicemente.. Matt Shadows.
 
Addentai affamata il mio cheeseburger, mentre Haner mi offriva un po’ delle sue patatine fritte che, ovviamente, sbranai, da brava golosa quale ero; di risposta, diede un morso alla meraviglia culinaria che tenevo in mano, senza neanche chiedermelo. Lo guardai male, serrando gli occhi, e lui mi diede un bacio sulla guancia.
“Basta, per favore, troppe smancerie qui.”Disse Baker, lanciandoci addosso una decina di pietre minuscole. Il Gates sbuffò, fece uno scatto come per andargli addosso e, ovviamente, Zacky emise un urlo privo di virilità che ci costrinse a ridere di conseguenza.
Andava tutto bene, troppo bene; che fine aveva fatto il mio adorato –si fa per dire- Karma? Dov’erano le brutte azioni e la sfortuna che sempre mi avevano perseguitato, in 18 fottutissimi anni di vita?
“Regali!”urlò Sullivan, non appena digerì con un rutto sonoro il suo quarto sandwich.
Oh, no, il momento più imbarazzante. 
“Okay! Prima apri il nostro, il nostro!” Allie balzò in piedi, saltellando, come se fosse impaziente. Aggrottai le sopracciglia e accolsi tra le mie braccia il sacchetto che mi tirò, entusiasta come sempre, fissandomi e sorridendomi.
“Come ti avevo già detto, non avevamo avuto tempo di farti un regalo prima di oggi perché qualcuno “non poteva tradire la sua piccola xbox” ieri pomeriggio.” Donò un’altra occhiataccia al ragazzo alle sue spalle, che ,con fare impacciato fischiettò fissandosi attorno.
Dopo un ennesimo rimprovero, decisi di risparmiare il povero Sanders e aprire il pacco; da lì uscii 5-6 tshirt da mozzare il fiato di band decisamente meravigliose: Pantera, Guns N Roses, Iron Maiden, My Chemical Romance, Paramore e Megadeth.
Rimasi incantata alla loro vista, erano praticamente i miei gruppi musicali preferiti e quelle erano magliette davvero favolose.
“Oddio, grazie!”affermai, aprendole e perdendomici dentro con la faccia cogliona di sempre. Alisee saltellò verso di me e mi abbracciò da dietro con fare affettuoso; Sanders si limitò a sorridermi, mostrando le sue fossette favolose e la sua dentatura perfetta. Okay, uno è andato. Quanti ne mancano?
I regali mi avevano sempre imbarazzata, ero solita a riceverne orribili dalla mia famiglia, ma ero sempre costretta a ringraziare e a sorridere, fingendo entusiasmo.
Giuls fissò Syn come se volesse incitarlo a far qualcosa, ma lui scosse la testa e lei si lasciò andare ad una frase sussurrata, della quale capii soltanto la parola “Minchione.”
“Il nostro regalo” puntò Johnny, Sullivan e Bea contenta“ che non abbiamo potuto portare perché.. Emh.. E’ un tantino pesantuccio” si strinse tra le spalle e cancellò la contentezza di poco prima con uno sguardo dispiaciuto.
Però ho qualcosa qui con me, che dovrebbe farti tranquillizzare” sussurrò subito dopo, aprendo il palmo della mano verso Jimmy che le lanciò un mazzo di chiavi. Me le passò, con fare delicato.
Chiavi.
Chiavi?
“E queste chiavi sarebbero..?” chiesi, ancora più confusa di prima.
“Eh, le chiavi per far funzionare il nostro regalo.”
“E questo regalo che cos’è?”
“Mi ucciderai appena lo saprai”
aggiunse, abbassando gli occhi.
“Quanto cazzo avete speso?” 
“Parecchio.”

Odio che la gente spenda soldi per me, porca troia.
“Giuls..”
“Senti non ti lamentare, ormai l’abbiamo comprato e te lo tieni.” 
Avanti Kay, accetta adesso, poi magari ricambierai in seguito, con regali altrettanto costosi. C’è tempo, no?
“Cos’è?”
“Una roba bella!”La guardai male, ed impaziente.
“Non puoi resistere fino a casa di Johnny? Lo trovi lì.” Affermò Jimmy, prendendo un sorso di coca cola dal bicchiere di Beatrix.
“Dai, ditemi cos’è.”
“E’ bella, è ferraglia, ed è fantastica.”
“Avanti, troie.”

“E’ una sorpresa Kay.”Concluse il più piccino dei quattro, sorridendomi.
Okay. Stronzi.” Li guardai male ancora una volta e loro, di risposta, mi mostrarono i loro sorrisi più smaglianti con fare indifferente.
“Sotto a chi tocca.”Urlò Baker, sventolando una patatina al vento per poi sbranarla.
Brian mi staccò dolcemente dal suo petto e, con una corsa poco virile, si fiondò nella Limousine per prendere quello che evidentemente era il suo regalo.
Giuls mi fissava mordendosi le labbra, come se fosse felice per me.
“Che hai te?”
“Niente.”
 
Okay, odio le sorprese. 

Gates ritornò dopo una decina di minuti, con un ingombrante ed enorme pacco tra le mani; era lungo almeno il doppio delle sue braccia, però dava l’impressione di essere poco pesante.
Me lo posò sulle gambe e si sedette di fronte a me, aspettando impaziente che lo aprissi, stringendo le mani intrecciate tra loro.
Non fiatò, non disse praticamente nulla al contrario degli altri, che mi avevano dato le più irrilevanti spiegazioni; lo.. apprezzai? Sì parecchio.
Ero ancora.. Come dire, impacciata nei suoi confronti, nonostante tutto quello che avevamo passato. Anche se era una persona parecchio cara a me, che non so in concreto come definire, non avevo del tutto acquistato la confidenza che, per esempio, avevo con Jimmy o Giuls,con i quali mi ero esplicitamente lamentata per la spesa del regalo. 
Non mi pronunciai sul suo, e, lentamente, aprii il pacco che giaceva sulle mie cosce.
Una custodia, di stoffa.
Era nera, conteneva qualcosa di fragile; non appena la spogliai di tutta la carta di cui era circondata, notai che aveva una forma dannatamente familiare. 
Con la stessa lentezza di prima, aprii la cerniera di quella custodia per cercare conferma alle mie risposte, che trovai con immensa gioia.
Era una chitarra.
Ma non una chitarra qualunque, era quella chitarra.
La chitarra davanti alla quale avevo sbavato per un pomeriggio intero, quella dannatissima Schecter chiara del negozio di musica; non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, ancora una volta, come se fosse una calamita per il mio sguardo.
“Oh, Gates.”Sussurrai, sfiorando le corde con l’indice con estrema delicatezza.
“Ti piace?”chiese, sorridendomi. 
“Direi.. Grazie.”Mi sentivo in difficoltà. Era splendido, non riuscivo a crederci.
Sto sognando? Per favore datemi un pizzicotto.
Grazie di che? Grazie a te, per me non è niente.” Rispose lui, strisciando verso di me.
Dato che eravamo in vena di dolcezza, gli stampai un bacio sulle labbra, concludendolo con uno dei sorrisi più sinceri che riuscii a concepire.
Mi accarezzò la guancia e mi sorrise. Mi sentivo al tappeto. Hai vinto.


“Voi non state bene!”
Garage di Villa Seward spalancato, un telone dalle dimensioni abnormi per terra, una brillante ed accecante Harley Davidson viola, nuova di zecca, lucida come non mai. 
“Voi non state per niente bene!”
Nonostante fossero almeno le tre di notte, urlai dallo stupore e dalla gioia, non riuscendo a darmi freni.
“Ditemi che quella moto non è mia, ditemelo cazzo.” Ero entusiasta. Porca troia se era bella, era decisamente bella, era TROPPO bella per me. Avrei mai avuto il coraggio di guidarla? Dio, era favolosa.
“E’ tutta tua baby, facci un giro.”Sullivan mi diede uno schiaffetto sulla spalla.
“Non ho ancora preso la patente!”
“Ti accompagno io, allora”urlò lui di risposta, rubandomi le chiavi dalla mano. Purtroppo, non ebbe neanche il tempo di piazzarsi sul sellino.
“Hei hei hei hei, dove cazzo vai Jimmy?” Brian lo bloccò, prima che potessi salire anche io dietro di lui.
“Porto Kay a fare un giro, non si può?”
“No, non si può, scendi che ce la porto io a farsi un giro. Domattina, con il sole.”

Sembrava un papà protettivo, fui stranamente lusingata da quell’atteggiamento. Dopo una faccia da cucciolo e un’occhiataccia, Rev se ne andò, con fare offeso, sbattendo i piedi fino all’entrata che portava alla rampa di scale. Non appena scomparì dalla nostra vista, il chitarrista affascinante mi strinse a sé.
“Intanto, devo darti la seconda parte del mio regalo, dolcezza.”
Iniziò a baciarmi il collo e le spalle e, dopo avermi trascinato senza che me ne accorgessi al piano di sopra, riprese ciò che avevamo lasciato in asso il pomeriggio prima.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Cap. 5 ***


Avete presente il rumore che producono i piatti rotti che si infrangono sul pavimento? Ecco. Sarebbe stato decisamente più tranquillizzante non sentirlo nel cuore della notte, nel silenzio più profondo. Agghiacciante, sentii il mio cuore fermare il suo battito regolare per un interminabile minuto, immobilizzato dalla paura.
Cosa fare? Innanzitutto, respirare.  Okay, Kay, stabilizza il tuo organismo e poi accertati che non sia niente di grave. Si, ce la posso fare.
Dopo aver cercato in tutti i modi di tranquillizzarmi e, in parte, riuscendoci, spalancai gli occhi con estrema lentezza, come se non potessi credere a ciò che avevo sentito, e iniziai a tremare come una foglia vittima del vento autunnale, indecisa su cosa avrei dovuto fare prima.
Non appena conclusi un piccolo ragionamento, capii che le possibilità erano tre:
o erano ladri, o Sullivan aveva bisogno di una birra, o...erano ladri.
Fatto sta che se fosse stato Jimmy a combinare quel bordello, l'avrei sentito imprecare o bestemmiare, ma, non so se per fortuna o per sfortuna, dopo quell'assordante frastuono non sentii praticamente niente che mi facesse capire che era lui. Okay, bene. Calma.
Spinta da non so quale coraggio nascosto, abbandonai il mio caldo letto, ignorando il fatto che avevo addosso un pigiama di acrilico decisamente antistupro, ma fui bloccata da Brian prima che potessi lasciare la stanza, evidentemente scosso quanto me.
Ci scambiammo uno sguardo terrorizzato.
"Kay, aspettami. Ti accompagno io. Non muoverti cazzo, un attimo." Mi bloccò aprendo un palmo della mano e balzò in piedi, lasciando anche lui le lenzuola disfatte.
L’enorme differenza di ciò che indossava lui, ovvero un paio di boxer che lasciavano molto a desiderare, e di ciò che indossavo io era abbastanza ridicola. 
Si infilò una camicia, lasciandola aperta come se stesse per fare una sfilata di moda; le sue condizioni, però, non mi dispiacevano. Cazzo Kay, togli l’eccessiva perversione dalla tua mente e ritorna a spaventarti.
Scendemmo le scale lentamente, attenti a non produrre alcun rumore (io non ci riuscii, davo la sensazione di un cellulare in vibrazione. Ma non quella vibrazione piacevole, ma quella rumorosa e scassa palle) e, dopo aver ascoltato in silenzio i piccoli rumori, ci accorgemmo che tutto ciò che stavamo sentendo proveniva dal salotto. Feci per aprire la porta che ci avrebbe portati in quella stanza e magari tranquillizzati, ma Syn mi fermò e mi fece posizionare alle sue spalle, come se in quelle condizioni avrebbe potuto proteggermi da eventuali pericoli.
Un sospiro profondo. Il ragazzo dal capelli corvini davanti a me spalancò la porta.

"Che cazzo fai, minchione!" 
Mi portai la mano alla fronte, scuotendo la testa, mentre Brian cercava di non scoppiare d'ira.
Mi trattenevo dal scoppiare a ridere, perché avrei potuto essere menata.
Davanti ci trovammo un Baker che avrei preferito non conoscere, davvero, era del tutto superfluo trovarlo in quelle condizioni; indossava uno di quei costumi da Santa Claus che vendono nei grandi centri commerciali per i papà, il più delle volte messi in crisi dalla voglia dei propri figli di conoscere il signore del famoso polo nord. Kay, non ridere, ti prego.
"Porto i regali, bambino cattivo."
No ok, quella poteva rispiarmarsela.
Rise della sua stessa battuta, seduto per terra e con una decina di decorazioni distrutte attorno, mentre io mi unii alla sua risata, attenta a non farmi sentire da Haner, che nel frattempo stava opprimendo la sua voglia di urlargli contro. Se solo Seward si fosse accorto di ciò che aveva fatto, l'avrebbe esiliato in uno di quei paesi dell'est, in una vasca da bagno di ghiaccio e tra le mani di uno di quei dottori improvvisati del mercato nero di organi, in modo che fosse pronto a farsi esportare un rene.
Non appena ritornammo a letto, sentii borbottare Gates per almeno una mezz'ora piena, senza sosta, qualcosa come "ma che ho fatto per meritarmi questo?" Oppure "Che coglione, ma come si fa?". Dopo un po’, sfidai la sorte e cercai di porre fine a quel monologo su Zacky.
"Brian.." sussurrai, stiracchiandomi e poggiando la testa sul cuscino.
In un primo momento mi guardò in cagnesco, ma poi si addolcì, abbassando lo sguardo e poggiando la testa sul letto.
"Scusa piccola, ti lascio dormire." Mi sorrise, ed io ne rimasi spiazzata come sempre. Iniziò ad accarezzarmi i capelli e a farmi rilassare; sapeva che non resistivo a tutto ciò, conosceva abbastanza bene i miei punti deboli. Dopo un incantevole minuto fatto di sguardi e sorrisi maliziosi, mi girai su un fianco e gli diedi le spalle per cercare di recuperare il sonno perso, e lui, con delicatezza, mi abbracciò da dietro e iniziò a darmi piccoli baci sul collo. Fu facile addormentarsi in quelle condizioni, nonostante le mie intenzioni fossero ben altre.

"E' natale, e' natale, che scalda ogni cuoooor"
"Cazzo ti canti Sullivan, mettiti una birra in bocca"
Brian affogò il suo viso tra le coperte.
"O un cazzo" urlò Sanders di risposta dalla stanza accanto, facendo ridere l'uomo al mio fianco.
Aprii gli occhi e mi girai verso il comodino, sopra il quale giaceva un orologio, notando che era stranamente presto per i miei gusti. Grazie, Sullivan.
Mi stiracchiai gli occhi e sbadigliai sonoramente, rivolgendo uno sguardo a Syn.
"Buongiorno" disse, sorridendomi. Possibile che era sexy anche appena sveglio?
"Hei.." Gli sorrisi anch’io, ma non fui sicura della riuscita di quel sorriso; stavo in sostanza dormendo ad occhi aperti, non ero lucida né riuscivo a sfoggiare le mie fascinose doti in quelle condizioni, e inoltre mi sentivo abbastanza.. fatta.
Solo una volta avevo assunto delle sostanze stupefacenti, ma niente di esagerato: una misera cannetta in una festa noiosa in famiglia, ricevuta dopo un po' di consigli forzati da mia cugina di due anni più grande di me. Da quel giorno non presi più niente del genere. Nonostante fosse incredibilmente piacevole la sensazione dopo un paio di tiri, sentivo i neuroni bruciarsi piano piano e i polmoni in preda alle fiamme, come se stessero affogando in un incendio senza riuscire a trovare una tregua.
"La colazione e' pronta, scendiamo?" Chiese, distogliendomi dai pensieri nei quali mi ero immersa, scoprendosi. Rimasi un attimo immobile per ammirare il suo corpo seminudo scolpito nel marmo, con lievi imperfezioni che lo rendevano sempre più perfetto. Non mi sarei mai abituata a quella vista.
"Okay, dammi un minuto."
Mi alzai e mi avviai verso il bagno a passo lento e lui, ovviamente, mi seguì, con quel minimo di malizia in volto che mi faceva render conto che le sue intenzioni erano tutt'altro che caste. Gli permisi, perciò, di collaudare la vasca da bagno insieme a me.
 
Dopo un'ora circa, scendemmo le scale e arrivammo insieme in sala da pranzo, dove ci rendemmo conto che ancora nessuno aveva fatto colazione; non appena ci accorgemmo che la tavola era ancora ricca di pietanze varie ed intoccate, ci catapultammo affamati verso due posti, uno di fronte all'altro, iniziando a riempire i nostri piatti come due golosi (che eravamo, in fondo).
Non passarono neanche dieci minuti che Giuls, assonnata e dai capelli alla Brian May, ci raggiunse, sedendosi  prepotentemente tra noi due e borbottando qualcosa di incomprensibile. 
"Non solo ti posizioni qua, tra me e la mia ragazza, a rompere la minchia, non riesci neanche a dire qualcosa di comprensibile."
"Disse mister viva la lacca e le chitarre a righe scordate" 
Ecco che ricominciavano.
"Non ti picchio perche è la fottuta vigilia di Natale, e stai con Seward"
Piantatela, vi prego.
"Non potresti comunque e sai perchè? Se mi picchiassi, saresti coglione, dato che sono una ragazza. Invece se vincessi io, saresti un coglione comunque perchè saresti messo k.o. da una ragazza"
un discorso con basi profondamente logiche, devo dire. Quanto erano stupidi.
Mi nascosi il viso in una mano, cercando di annullare l'udito con pochi risultati soddisfacenti.
"Da quando sei una ragazza?"
Meglio non commentare.
"Da quando sono la migliore amica della tua donna e ogni mia parola, anche una ,vale molto di più delle tue"
Tacquero. Sperai che fosse finito il loro dialogo costruttivo,con tutta me stessa. 
"Ti prego, fa colazione" Syn le puntò il cibo con faccia rassegnata.
"Passami lo zucchero, cretino"
"Tieni troia"

Le passò un contenitore di vetro con strana cordialità, e quello mi fece illudere per mezzo secondo  su qualcosa di positivo tra i due.
Giuls immerse quasi tutto il contenuto di quell'oggetto nella sua tazza. E sputare.
"Coglione,è sale!"
Sospirai.
"Farai meglio a correre, prima che io possa prenderti e darti tante di quelle sberle che quella faccia da cazzo te la deformo."
Il ragazzo di fronte a me si alzò in piedi, avvicinandosi alla porta che l'avrebbe portato in cucina, con faccia divertita.
Cane e gatto, ecco cos’erano.
"Non ti inseguo, minchione." Affermò dopo un po' la rossa, ridacchiando e sorseggiando un po' di the dalla mia di tazza.
"Ti odio" Brian serrò gli occhi, riprendendo il suo posto.
"Buona vigilia di Natale anche te, Synyster fucking Gates"
"Troia"
"Ti amo anch’io"

 
 
Ci ritrovammo intorno al camino, tutti seduti uno accanto all’altro sul divano di Seward, un grande sofà a cinque posti rivestito di pelle chiara e fresca. Il salotto era meravigliosamente addobbato da neve finta e bellissime lucette colorate, sparse sopra il camino, sulle pareti e sui quadri; era tutto incredibilmente meraviglioso e magico.
Per fortuna Baker era riuscito ad aggiustare tutto il casino prima che se ne accorgesse Seward ( in realtà, aveva trasportato tutti i resti delle decorazioni frantumate dietro il camino, e non avrei voluto assistere al discorsone pieno zeppo di parolacce che Johnny gli avrebbe rivolto dopo essersene accorto).
Ultimamente, niente era andato storto ed era piacevole quella situazione, anche se, da pessimista quale ero, non ero riuscita a godermi tutto nel modo più completo, perché appunto impaurita dal fatto che potesse succedere qualcosa di brutto a me o soprattutto a Brian. Nonostante questo, in quella casa ci sarei rimasta tutta la vita, perché era quella la vita che avevo sempre desiderato, fin da piccola; mentre le mie compagne sognavano i castelli, io sognavo i chitarristi.
 
Syn aveva la testa poggiata sul mio ventre e mi fissava incantato, senza mai abbassare lo sguardo.
Stavamo tutti parlando del più e del meno e ridendo, perché una delle cose belle di quella strana combriccola è che non ci si annoiava mai ed io iniziavo a non poterne neanche fare a meno.
Ci stavamo rilassando dopo una giornata piena di organizzazione dei preparativi per la notte di Natale, e finalmente quella magica sera era giunta, senza fretta, avvolgendoci nell’aria di festa, e l’avremmo passata insieme, come sempre.
“Regali!” la voce squillante del batterista mi distrasse dai miei pensieri.
Sullivan, eccitato nel fissare i doni, si alzò i pantaloni perennemente a vita bassa e si gettò di peso verso l’albero di Natale, afferrando i pacchi che giacevano sotto quella meravigliosa fonte di luce e distribuendoli a tutti come un fiero assistente di Santa Claus.
Non era neanche mezza notte, era un bambino intrappolato nel corpo di un venticinquenne.
E no, io non volevo altri regali.
Ricevetti dal mio amato Jimmy un pacco enorme e una decina di piccoli pacchetti, grandi più o meno due mani; le ragazze intorno a me scartarono i doni dei loro ragazzi prima che potessi farlo io, perciò aspettai che finissero per vedere ciò che mi aveva regalato Syn.
Giuls ricevette dalla sua dolce metà un microfono, ma non un microfono qualsiasi, ma uno stile anni 50’. Tra l’altro, quello era il suo più grande desiderio, infatti non riuscirei mai a descrivervi l’espressioni che fece di fronte a quella meraviglia; mi sentivo soddisfatta dei consigli che avevo dato a Johnny. Quest’ultimo, dopo un paio di minuti,mi sorrise, felice, mostrandomi la sua gratitudine.
Beatrix,invece, si ritrovò tra le mani un basso della Schecter, ma non un basso qualsiasi, bensì un modello del tutto personalizzato per le sue esigenze; era nero e rosso, con vari schizzi di sangue di diverse dimensioni, ed era mancino, ovviamente.
Jimmy le sorrise a mille denti non appena strappò la carta e lei non si sprecò più di tanto nel dimostrare la sua felicità, ma gli stampò un dolce bacio sulle labbra.
Sanders e Allie, al contrario, non si smentirono neanche quella volta.
Matt, infatti, aveva regalato alla sua donna un gioco per l’xbox.
Incredibile, quell’uomo era incredibile.
Lui e Alisee erano praticamente dipendenti da quella piccola console, infatti la ragazza dai capelli ricci fu tutt’altro che delusa come, in realtà, tutti si aspettavano; gli si gettò tra le braccia e lo strinse a sé, emozionata, ripetendo il titolo di quel gioco come se non riuscisse a crederci.
Il regalo di Baker, però, fu il più sorprendente; uscii dalla tasca dei suoi pantaloni un piccolo pacchetto e lo porse alla sua dolce Lisa che, senza farselo ripetere due volte, lo aprì.
Conteneva un anello, un anello bellissimo, un anello romantico e allo stesso tempo fottutamente diverso dai soliti diamanti monotoni; ci lasciò tutte senza fiato, soprattutto la diretta interessata, la quale si ridusse senza parole e senza fiato. Per un momento, temetti che morisse.
Erano la coppia più dolce e su questo non ci piove.
Giuls, dopo un po’, aprì altri due regali: il mio, e uno di cui, in realtà, non sapevo la provenienza.
Il mio era la discografia completa di un gruppo che le stava parecchio a cuore, i papa roach. Le stavano tanto a cuore che appena strappò la carta che la avvolgeva, mi si gettò tra le braccia non riuscendo a smettere di ringraziarmi.
L’altro era un pacco di zucchero, che venne automaticamente lanciato contro il mio ragazzo, intento a ridacchiare sotto i baffi.
Anche Syn aprì un regalo degno di nota; un pacco di ... Emh. Un pacco di preservativi.
Ma cosa cazzo?!” chiese aggrottando le sopracciglia e studiando ciò che si ritrovò senza preavviso tra le mani.
Se devi scoparti la mia migliore amica, almeno fallo al sicuro.
Ecco a voi, Giuls, o detta anche delicatezza.
 
Rimasi solo io, come ultima, come sempre.
Il primo dono che decisi di aprire fu quello di Giuls, ovvero la discografia completa dei Metallica, che purtroppo mi mancava. Non appena me la trovai davanti, non riuscii a trattenere i sorrisi smaglianti e gli infiniti “grazie” che gli urlai contro.
Il secondo fu quello di Syn, o almeno, uno dei  tanti regali da parte sua.
Prima aprii il pacco più piccolo,che conteneva diversi accessori per la moto belli da mozzare il fiato.
Non ebbi neanche il tempo di ringraziarlo, che mi lanciò contro un altro pacco più grande, e poi un altro ancora.
Odiavo i regali che mi faceva, ma non perché non mi piacessero ma perché erano sempre tantissimi e... costosissimi.
Come non detto. Mi trovai davanti ad un amplificatore Marshall nuovo di zecca, che mi mozzò il fiato ancora più del regalo di poco prima. Non riuscii a trovare parole abbastanza perfette per l’occasione, non riuscii neanche a ringraziarlo se non con sorrisi silenziosi e baci in guancia.
Un altro pacchetto conteneva una tinta per capelli; dedussi che gli fosse stata consigliata da Giuls, perché era proprio il colore che cercavo da tempo. Strano, avevano collaborato.
Non mi ero mai sentita così felice.
 
Improvvisamente, però, mi squillò il telefono. Mi scusai agli altri per allontanarmi da loro e rispondere, con le mani tremanti.
Pronto?
Ecco, ecco. Ecco. Lo sapevo, lo sapevo. Non era pessimismo, era realismo.
Sapevo che non poteva andare tutto bene, fanculo.
“Ti ho scoperta, non potevi farcela, cara mia. Tu, tu stai tranquilla nel tuo covo d’amore con il tuo uomo, ma non hai fatto ciò che ti ho chiesto e te la troverai brutta al tuo ritorno.”Porca puttana.
“Oh, scusa, devo lasciarti, c’è mio padre. Giusto in tempo! Buon Natale.”
Una voce femminile quanto familiare mi accoltellò il petto, come sempre, e non mi diede neanche il tempo di ribattere.
E’ stato bello finchè è durato, arrivederci tranquillità.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cap. 6 ***


Tutto era andato per il meglio; tutti erano rimasti contenti di quella bellissima mini-vacanza, e questo mi faceva sentire la guastafeste di sempre.
Sorridenti, spensierati, tutti, a parte me.
La mia mente viaggiava oltre la tranquillità momentanea che mi aveva regalato lo stare insieme a ragazzi che adoravo, continuavo a non riuscire a trovar pace al sol pensiero che, al mio ritorno, avrei sicuramente trovato una brutta sorpresa. 
Cercavo il modo di far notare il meno possibile il mio nervosismo agli altri e mi sembrava anche di esserci riuscita. Ma poi pensavo “a chi voglio prendere in giro? Posso fingere, ma c'e' chi non farà altro che capire tutto attraverso il semplice sguardo e tacere, per non peggiorare la situazione”. E, ovviamente, era così. Quella chiamata mi aveva davvero sconvolta, ma non ne avevo parlato con nessuno.
Brian, per esempio, taceva, nel bel mezzo di una festa, era forse l'unica persona intorno a me a non ballare o cantare come se niente fosse. Taceva e mi fissava, cercando di farmi capire che si impegnava a cogliere qualcos'altro dal mio sguardo, oltre al solito “non è niente”, magari il motivo del mio stato. I suoi occhi scuri erano incollati sui miei, la sua bocca era contratta in una smorfia tipica di chi vuole far qualcosa, ma che non ci riesce; non sapevo incrociare il suo sguardo e perdermici a lungo, cercavo di sfruttare qualche argomento privo di senso per distrarmi e soprattutto distrarlo. Ormai l'anno nuovo era alle porte, stava per passare la fatidica mezzanotte, attesa per 365 giorni, e l'ultima cosa che volevo era farlo star male pure il primo giorno dell'anno.
"Kay."
Con voce solenne, interruppe ogni mio tentativo di aggrapparmi e scalare gli specchi.  Sapevo che non ero capace fingere, una pessima attrice.
"Non fingere con me, non ce la fai."
Rieccolo.
"Non sto fingendo."
Abbassai lo sguardo, abbozzando un sorriso.
Ti prego credimi, non posso spiegarti.
"Cos'hai?"
Come non detto.
Mi zittii, tenendo ancora gli occhi sul pavimento, nonostante sentissi i suoi, al contrario, ancora fissi su di me.  Cosa dire? Cercai negli angoli bui della mia mente qualche scusa inutilizzata, partendo da problemi in famiglia e arrivando a quelli di salute. Dopo di che, sperai di riuscire a formulare una frase che gli sarebbe sembrata abbastanza credibile da eliminare ulteriori dubbi ma, ovviamente, non trovai niente del genere, e mi limitai a tacere.
Rimase in attesa per lunghi ed interminabili minuti, e poi scosse la testa.
"Qualsiasi fottuta cosa sia accaduta.."
Il conto alla rovescia, che, nel frattempo, era protagonista della serata, stava per finire, ma non importava a nessuno dei due.
"O che dovra' accadere, sappi che ti amo ora e ti amero' ad ogni modo. Ci saro' per te, ogni volta che vorrai"
Le sue capacità da playboy da quattro soldi erano arrugginite, ma funzionavano ancora abbastanza bene.
Mi aveva capita e non aveva insistito, e quello mi sembrò una cosa decisamente adorabile.
0. Yea, bel modo di iniziare il nuovo anno.
Tutti, intorno a noi, si stamparono il famoso primo bacio dell’uno Gennaio, mentre io e lui ci sorridemmo, chiudendo il tutto in un dolce abbraccio.
Non poteva esserci qualcosa di meglio in quelpeggio.

 
 
Il viaggio fino a scuola sembrò più lungo del previsto, la tensione si percepiva anche ad occhi chiusi. A proposito di occhi, quella notte non dormii, riuscii soltanto a riflettere e cercai, nonostante tutto, di godermi gli ultimi momenti di tranquillità, anche se ormai si erano sprecati anche quelli.
Ero in groppa alla mia moto ma non stavo guidando io, perché non ero in condizioni consone e non potevo neanche provarci; con la mente affollata che mi ritrovavo, avrei sicuramente fatto qualche brutto incidente e non valeva la pena rischiare.
Sullivan frenò di scatto, il semaforo diventò rosso.
“Tranquilla, non voglio scaraventarti sull’asfalto” sussurrò, notando il mio sussulto. Io gli sorrisi.
Qualcosa non va?”
Ecco, le mie capacità di attrice stavano fallendo anche con lui, lasciando in pratica posto alla mia faccia da libro aperto.
Decisi, però, di aprirmi con lui, perché sicuramente era quello di cui mi fidavo di più in queste situazioni. Non si lamentava quasi mai, stava ad ascoltare e ,anche se avevo più che torto, appoggiava ogni cazzata che dicevo cercando le scuse più razionali per convincermi.
“In realtà sì. Sarah rompe i cazzi.” Mi scostai un ciuffo di capelli dal viso e, contemporaneamente, lo sentii sbuffare.
“Ti ha chiamata?”. Rimise i piedi sulla moto e premette l’acceleratore, riprendendo la strada che ci avrebbe portati a scuola.
“Si, a Natale.”
“Bastarda.. Che ti ha detto?” si fermò un’altra volta, permetto ad un gruppo di ragazzine di attraversare la strada. Le loro facce erano veramente epiche, una di loro aveva una maglia degli avenged sevenfold e fissava Jimmy come se avesse visto Dio sulla terra, in un’apparizione mistica. Lo sentii ridacchiare, ed io feci lo stesso, poggiando gli occhiali da sole sul naso.
“Mi ha detto che m’ha sgamato, perciò appena torneremo farà il casino più totale con Baker”
Ripartì un’altra volta, ed io sbattei il casco sul suo.
“Scusa bro.” Mi colpì la caviglia con un calcio.
“Di niente.”
Okay.
Calò un silenzio imbarazzante, piuttosto raro tra le nostre chiacchierate. Probabilmente stava pensando a cosa dire, ma notando che la sua risposta non arrivò, aggiunsi:
“ A volte mi viene davvero da piangere”
Non mi fece neanche finire la frase, sbuffò per la terza volta con fare impaziente.
I paesaggi scorrevano veloci, sentivo una sensazione bellissima in groppa a quella moto; non riuscii neanche lontanamente ad immaginare come sarebbe stato bello guidarla, non appena qualcuno mi avrebbe insegnato come fare. Interna all’università, c’era una scuola guida e l’insegnante era Shadows, probabilmente avrei seguito quei corsi invece di andare ad iscrivermi ad una vera e propria in città, con la paura di dover perdere delle lezioni a scuola.
Sarebbe stato uno spasso imparare a guidare con Matt.
Il vento mi scombinava i capelli rosso ciliegia, tinta che avevo fatto poco prima di partire insieme a Sullivan per l’attesissimo –si fa per dire- rientro.
Sentivo ancora il profumo della decolorazione, un profumo che avevo sempre malsanamente amato, fin dalla prima volta in cui lo sentii, sulla chioma di mia madre; infatti, lei era sempre stata un’appassionata di tinte, tanto da cambiarne una ogni mese.
Jimmy interruppe i miei pensieri e mi fece capire che eravamo giunti a destinazione con una leggera gomitata sul petto.
Tachicardia, respiro pesante, nodo in gola, farfalle allo stomaco.
Benvenuta a casa, Kay!
 
“Non devi versare neanche una lacrima per quella zoccola.” Mi slacciò il casco e lo mise sotto il braccio, in attesa che io togliessi il suo.
“Baker sarà costretto a cacciare via o me o Haner.” scrollai quel pesantissimo affare dalla sua testa e cercai, in modo invano, di aggiustargli i capelli scombinati.
“Quell’uomo farà qualcosa, tranquilla.” Mi cinse le spalle con un braccio, mentre con l’altro aprì il cancello della scuola.
“La mia vita sarà un inferno.”
“Stai tranquilla. Al massimo la meno.”
“Jimmy.”
“Scherzavo.”
[...]
“Kay, potresti venire qui?”
Non appena misi piede nell’edificio tanto odiato quanto amato, la testa di Baker sbucò dalla porta della sua classe, sorridendomi.
Il suo sorriso non mi augurava niente di positivo.
Zacky, Lisa e tutti gli altri, compreso Haner, erano arrivati prima di me e Sullivan, dato che non eravamo riusciti a svegliarci in tempo per metterci in viaggio insieme a loro, e nessuno aveva avuto il coraggio di farlo, perciò lasciarono che il destino facesse il resto, facendoci prendere uno spavento nel momento in cui ci rendemmo conto che erano andati via. Più di ogni altra cosa, temevo che già fosse successo il peggio, senza che io avessi potuto fare qualcosa per impedirlo.
Jimmy lasciò che mi avvicinassi all’aula, dandomi una pacca incoraggiante sulla spalla e sorridendomi, cercando, in qualche modo, di non farmi pensare all’aspetto negativo di tutta la faccenda.
Aprendo la porta con nervosismo –avevo già iniziato a tremare, sicuramente un comportamento tipico di una stupida senza coraggio-, mi si aprii davanti una scenetta a dir poco riluttante:
Sarah, piazzata sul primo banco a gambe incrociate, era più serena e sorridente che mai, tanto da mostrare tutta la meravigliosa dentiera che portava su, e che le avrei con piacere rotto con un pugno.
Baker occupava la sedia dietro la cattedra, e aveva il viso più cupo che mai.
Mi girai verso l’ultimo banco della classe e notai che c’era qualcun altro presente lì, qualcuno che in quel momento, nonostante amassi, non avrei voluto vedere: Brian, non appena entrai, alzò lo sguardo contraendo la mascella, rabbioso.
“Okay, possiamo parlarne in santa pace adesso.”
Santa pace un corno, la faccio fuori quella lì, Signor Preside.
“Accomodati, Kay!”
Stai zitta puttana.
Mi sedetti al banco dietro di lei, cercando di non respirare la malignità che la rivestiva come una seconda pelle.
“Allora, Sarah, dimmi tutto l’accaduto.”
“Te l’ho già detto, signor preside, per favore non me lo faccia ripetere.”
Zacky alzò gli occhiali dalla punta del naso alla fronte, massaggiandosi confuso le tempie; doveva essere un lavoro duro quello del preside, e soprattutto fastidioso, dato che doveva star attento a ricordare ogni lamentela di ogni fottutissimo alunno. A volte si metteva persino contro i suoi amici più cari, immagino che non doveva starci bene.
Soprattutto quella confusione che si era creata... infondo lo compativo.
Alzò lo sguardo e lo posò su di me, schiarendosi la voce.
“Kay, dov’eri quella sera?”
Non potevo dire la verità, non potevo dire che stavo per i cazzi miei,dovevo salvare Brian o, perlomeno, fare in modo di proteggerlo in qualche fottutissimo modo.
“Con Brian.”
Silenzio.
Sentii Syn sbattere le mani sul banco, rabbioso, e Sarah ridere soddisfatta.
Cosa? Ok, sono confusa adesso.
“Ah” sussurrò Vengeance, come se fosse spiazzato. “allora ha ragione Sarah.” Ragione? Sarah?!
“Un attimo, cosa?!”la rabbia mi bolliva dentro.
“Sarah, mi ha detto che tu hai fatto ubriacare Brian in modo di farle del male più facilmente.”
Cosa cazzo..?! Aveva anche cambiato versione?!  E... io l’avevo appena confermata.
Maledetta, maledetta io, maledetta sorte di merda. In quel momento, avrei preferito farmi fuori con le mie stesse mani.
“No, no aspetta. Non è così”mi nascosi dietro il palmo della mano destra, ma era troppo tardi per tornare indietro. Non ne faccio una giusta, in sostanza.
“Kay, non puoi arrampicarti sugli specchi, l’hai detto pure tu..” Sarah si girò verso di me, accarezzandomi la stessa mano con la quale le avevo quasi distrutto il viso. Alzai lentamente lo sguardo che poco prima avevo fissato sul banco, poggiandolo sui suoi occhi castani contornati da tre strati di ombretto.
“Ti spacco il naso un’altra volta, bionda finta.”
Impallidì, ed io sospirai pesantemente.
Prima che potessi prendere alla lettera ciò che avevo appena detto, Brian mi raggiunse, afferrandomi per un braccio.
“Kay.”
Alzai lo sguardo e lo fissai; i suoi occhi lasciavano intravedere tutto ciò che gli passava per la testa e preferii non rendermene mai conto come in quel momento.
“Cazzo Baker, dalle ascolto. Come puoi credere ad una mocciosa viziata?!”
“Haner, non capisci! Non ho prove contro di lei, devo darle ragione!”. Rideva sotto i baffi, quella grandissima stronza. Ringrazia il cielo che Baker è qui, se no ti avrei già pestata a sangue.
“Zacky, tu sei dalla mia parte!”
“No, non mi schiero cazzo.”
Quel loro litigare mi faceva male, due componenti del mio gruppo preferito stavano litigando, il mio ragazzo e uno dei miei migliori amici, i miei due chitarristi preferiti. Mi sentivo distrutta per un milione di ragioni del genere.
“Haner non ti scaldare..”sussurrò la ragazza, accarezzandogli il braccio. Che cazzo accarezzi, puttana?
Lui, di tutta risposta, gli scostò violentemente la mano, ed io le risposi con tono minaccioso:
“Zitta troia, per favore, prima che possa romperti qualcosa.”
“Kay.”Mi chiamò un’altra volta il ragazzo dai capelli lunghi color carbone, cercando di proteggermi dai guai nei quali mi stavo ricacciando. Mi sentivo in colpa, nonostante l’avessi immerso in un casino fino al collo, stava provando a tenermi fuori ancora una volta.
“Brian..”
Calò ancora una volta il silenzio, animato dai nostri sguardi languidi.
Improvvisamente, però, Baker balzò in piedi.
“Devo prendere un provvedimento.”
“Mi sospenda.”Affermai io, decisa, non permettendogli di finire la frase.
Syn mi guardò male, strabuzzando gli occhi, Sarah aggrottò le sopracciglia.
“Kay, che cazzo dici?”
“Questo, mi sospenda così tutti sono felici.”
“No, Kay.”
“Perché no, professore? E’ la causa di ogni mio male!” Sarah mi puntò, con rabbia.
“No Sarah, la causa è anche Brian, infondo..”
Sentii Haner sospirare. Lo guardai mordersi il labbro e passarsi una mano tra i capelli.
“Vuoi licenziarmi?”chiese, con voce tremante.
“No, sciocco. E’ anche peggio.” Zacky lo guardò dispiaciuto.
“Parla.”
“Cos’hai in mente, porca puttana?”
“Eh, il problema è che...”
“Cosa?”ero impaziente, volevo che parlasse. Avevo già in mente cosa fare non appena avrebbe cacciato via uno dei due.
“Ok, il provvedimento non caccerà nessuno di voi due”
Okay, quell’uomo mi legge nel pensiero.
Silenzio, ancora una volta.
Dopo una decina di minuti di quiete, Baker si avvicinò al banco di Sarah e le strinse la mano, con fare autoritario.
“Sarah, fa le valigie e vai via.”
“Cosa?! Ma professore!”
“In compenso, fammi finire.”Non ebbi neanche il tempo di festeggiare come si deve che lui ci bloccò con una mano. Cosa c’era ancora?
“Non verranno più accettate relazioni tra alunne e professori.”Bem, mondo addosso.
“Cosa?! Zacky sei pazzo!”
“Syn, è la cosa migliore.”
“E’ ok.”Sussurrai, passando la mano sulla spalla di Brian e lasciando la mia postazione per abbandonare la classe.
“Ma, Kay..” rispose lui, avvicinandosi a me.
“L’importante  è averti qui. Il resto non conta.”

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Cap. 7 ***


Uscii da quella stanza infernale a dir poco devastata.
Mi sentivo vuota, come se mi fosse stato asportato qualche organo vitale, come se qualcuno mi avesse privato di un qualcosa della stessa importanza.
In quel momento, sentii tutte le preoccupazioni investirmi senza ritegno come un mare forza nove si scaglia contro gli scogli, riuscii a percepire sulle punte delle dita una sensazione familiare, come se qualcosa mi stesse scivolando dalle mani, come se stessi perdendo una partita; avevo in altre parole formicolio sulle falangi, e ciò dava davvero l’idea che qualcosa stesse per lasciare il mio palmo.
Non potevo più fingere la mia piccola serie televisiva aveva finalmente raggiunto i titoli di coda ma senza un lieto fine. Non avrei potuto baciare quelle labbra neanche dopo essermi accertata che Sarah non ci vedesse, com'era mio solito fare da un mesetto a questa parte, non potevo più fare niente perché non mi sarebbe più stato possibile infrangere le regole.
Qualcuno di dannatamente più importante di Sarah, più importante di tutti in realtà, aveva schiacciato il germoglio che stava rinascendo dalle ceneri di un amore sottovalutato e contrastato; non sarebbe stato facile, era finito tutto e non poteva più cominciare. Era un’autorità, era diventato non un consiglio, una regola, ma un divieto, impossibile da sciogliere.
Prima di allontanarmi dalla porta di quell'aula e abbandonarmi sul mio letto ancora disfatto, afferrai il mio blackberry, che giaceva inutilizzato nella tasca dei miei jeans, e inviai un messaggio che descriveva dettagliatamente l'evento appena accaduto alle dirette interessate, in modo che sapessero tutto con tranquillità, perché spiegarlo a voce mi avrebbe reso la vita difficile.
I messaggi di risposta cambiavano di persona in persona: quello di Giuls era pieno zeppo di insulti verso praticamente tutti, quello di Alisee fu piuttosto strafottente, del tipo "questo significa che con Matt ci scoperò quando sarò certa che lui possa sentirci", quello di Beatrix era ciò che rispecchiava più a fondo la mia reazione, ovvero depresso e sorpreso.
La risposta di Lisa fu quella che mi spiazzò più del dovuto, che mi lasciò senza parole con l’amaro in bocca, ma è meglio parlarvene più tardi.
Camminai a passo lento verso il dormitorio, trapassando ogni fottuto luogo dove, puntualmente, avevo un ricordo che mi legasse a lui, che mi sbucava in mente come a dire “Ehilà, ciao Kay! Vuoi soffrire un po’?”, come la panchina, la famosa panchina della serata delle stelle, o la sua aula, dove avevamo litigato fino ad odiarci.
Esausta e fraintesa, mi persi nell'osservare quegli ambienti con occhio vigile, sospirando di tanto in tanto, finchè una figura non mi fu vicino, poggiando una mano gelata sulla mia spalla.
Mi girai ed incontrai i suoi occhi, occhi inconfondibili color cioccolato, occhi che splendevano grazie alla luce del sole che gli investiva il viso, mostrandolo più bello che mai.
Ma porca puttana, perché devi proprio oggi mostrarti meraviglioso?
"Tu non tornerai ad essere mai la signorina York per me"
"Tu non tornerai ad essere mai il professor Haner scassa-palle per me"

Ci guardammo, come ad annunciarci a vicenda quella dura sconfitta.
Il nostro contatto visivo terminò dopo circa due minuti, che sembrarono, però, durare un’eternità l’uno.
"Ti odiavo, ti odiavo davvero tanto."Sussurrai, spostando lo sguardo su ciò che avevo davanti, ovvero la vetrata aperta che dava sul cortile della scuola. Giurai di poter ricordare in quale esatta parte della panchina eravamo seduti, com’eravamo messi e cosa c’eravamo detti con precisione.
"Io ti odiavo perchè non potevo averti." Rispose lui, continuando a guardarmi.
"Vuol dire che adesso tornerai a farlo, dato che non possiamo più fare nulla?"
"Mi piacerebbe farlo"si morse le labbra,scuotendo la testa. Lo guardai, accarezzandogli il braccio.
"Io continuerò a vederti come la mia fottutissima metà, porca troia. E' impossibile, non sarai mai solo un'alunna per me. " Si passò la mano sul viso, per poi lasciarle attraversare i capelli corvini ovviamente laccati e sistemati, come sempre.
"Io continuerò a vederti come il professore irresistibile che dice parolacce e che amo tanto"
Sorrise.
"Direi che un bacio d'addio lo meritiamo."
"Anche due".
Mi diede un bacio, ma non un bacio di quelli che mi aspettavo di ricevere; in guancia, pieno di dolcezza. Nonostante quel gesto mi fece un po’ pensare, non mi diedi per vinta e gliene stampai uno veloce sulle labbra, per poi fissarle e vederle storcersi in un sorriso spiazzante. 
Mentre i nostri nasi si sfioravano, riuscii a intravedere una figura minacciosa uscire dal dormitorio femminile e sfrecciarci accanto.
Giuls era nera di rabbia, camminò a passo veloce verso l'aula di Zacky passandoci al fianco e superandoci, ma non degnandoci di un misero sguardo. Temevo una sua esplosione imminente e, non appena la sentii aprire la porta della classe, chiusi gli occhi, per prepararmi a sentirla urlare come una vecchia impazzita. 
Syn la seguì con lo sguardo fino a che non arrivò a destinazione, uno sguardo confuso, tanto da chiedermi senza aprir bocca informazioni su quella situazione; dopo un po', però,interruppe il contatto visivo portandosi  ancora una volta la mano sul volto.

(terza persona)
"Baker, che é successo?"Giuls scandì ogni parola con decisione, cercando di frenare ciò che aveva realmente intenzione di fare al docente.
Zacky, non appena la vide entrare, poggiò le mani sulla cattedra, rumorosamente, e le fece segno di sedersi sul banco davanti a lui, facendole capire che era un discorso abbastanza lungo e che le conveniva accomodarsi.
La rossa, dal viso perplesso, seguì le sue indicazioni e prese posto, rivolgendogli uno sguardo severo, seguito da un'occhiata confusa.
"Non è ancora girata la voce?"
"Anche se fosse, desidero spiegazioni da te, che in teoria sei il mio... migliore amico"
Tra i due calò un silenzio imbarazzante.
Si sentì solo il sospiro impaziente della ragazzina, e il rumore del deglutire di Zacky.
"Giuls,ho espulso Sarah Monroe e per far tacere le voci che poi si sarebbero create e quindi avrebbero infangato la figura della scuola, ho vietato ogni tipo di relazione tra alunna-professore"
Ancora una volta, silenzio tombale.
Le guance della ragazza si colorarono di nervosismo, Baker, al contrario, impallidì.
"E secondo te é una cosa giusta? Cioè, hai fatto benissimo a cacciare Sarah,ma stai vietando qualcosa che non può essere vietata dai regolamenti normali.."
Si alzò e si trascinò strisciando i piedi verso la finestra dell'aula, che dava sul cortile della scuola.
"Guarda Syn e Kay.."Non appena il preside le fu vicino, puntò la coppia che s’intravedeva dalla vetrata oltre il giardino.
"Che staranno dicendo secondo te? Un addio? Qualche frase piena di dispiacere? Stanno per finire la loro storia dopo essersi battuti così tanto.."
"Mi staranno insultando, probabilmente."
"Perché ci stai facendo questo? Non potresti ignorare la brutta reputazione e scegliere la via più felice?"

I loro sguardi si incrociarono. Gli occhi neri e perplessi incontrarono gli occhi verdi e dispiaciuti in un feeling di tensione.
"Giuls, non è facile"
"Siete una band metal, non sapete cos'è la buona reputazione"
"Si mette in gioco l'integrità della scuola."

"Intendi il padre di quella lì?"
Baker tacque, fissando il vuoto davanti a sè.
"Sarà strano"aggiunse Giuls, staccando gli occhi da quelli di Zacky, chiari e lucidi,  sfoggiando un sorriso amaro e pieno di malinconia.
"Bea e Jimmy non staranno più ore e ore chiusi nella sua aula e nessuno potrà più' sgamarli."
Vengeance si lasciò trasportare da un’espressione impacciata e divertita.
"Matt e Alisee non passeggeranno per i corridoi con le mani intrecciate e non faranno deprimere le ragazze single"
"Già.."
Giuls ripose ancora una volta lo sguardo su Gates e la giovane accanto a lui.
"Syn e Kay non si guarderanno più come fanno ora, non fumeranno come due poco di buono, non sentiremo le loro urla quando litigheranno e non assisteremo ai loro baci quando faranno pace." 
"Hanno fatto cosi' tanto per stare insieme.."Sussurrò Vee, accarezzandosi le orecchie com'era solito fare mentre iniziava a sentirsi in colpa. Giuls stava riuscendo nel suo intento, ma non aveva ancora dato il suo colpo migliore.
"E,tralasciando me e Johnny, non troverò più il mio letto e quello di Kay uniti a quello di Lisa, la tua Lisa, con il fine di farvi scopare comodi."
Lo guardò ancora una volta, avvicinandosi a lui e fissandolo negli occhi. 
"Studierete meglio,ok? Sì, è cosi. Vogliamo il vostro bene." Zacky indietreggiò di qualche passo, ma fu seguito dalla rossa.
"E' più importante della felicità di tutti, tua compresa?"
"Lasciami in pace."
"Come vuole Signor preside, ma ci pensi su."


La sveglia suonò.
Stavo per ricominciare la monotonia di pochi mesi prima, nessun amore, nessuna coppia, niente di interessante.
Di quelle situazioni ogni tanto avevo nostalgia; nonostante ne valesse la pena di tutto quello che avevo fatto e che non avevo fatto per arrivare a Brian, provavo una specie di voglia, di ritornar ad essere esterna ad ogni problema, all'ingenuità da alunna che non vuole studiare, che odia il professore stronzo e che salta le lezioni.
Innamorandomi della persona che odiavo più al mondo, mi ero immersa in un mare di problemi... forse Baker aveva ragione, forse non era una cattiva idea allontanarci per un po’, anche se ormai il danno era stato fatto, il vaso era stato rotto e incollarlo con della colla non sarebbe servito a nulla.
Dopo essermi rilassata e aver stiracchiato per bene ogni mio muscolo, mi alzai dal letto barcollando e avvicinandomi a quello di Lisa: quest'ultima, di tutta risposta, non appena sentì i miei passi avvicinarsi, si fiondò interamente sotto le coperte.
"Steel, c'e' Syn alla prima ora, andiamo."
"Non voglio fare brutti incontri."

Si riferiva a Zacky, ne ero certa.
Mi sedetti ai piedi del suo letto, accarezzandole le gambe con dolcezza, cercando di compatirla e di non peggiorare la situazione in cui si ritrovava. Era la ragazza che mi faceva più pena, dato che la causa di quella roba non era altro che il suo ragazzo, la persona di cui si fidava di più e che, soprattutto, amava di più.
Non avevano parlato, non voleva più parlargli lei, si sentiva tradita ed oltraggiata.
Come darle torto?
"Potete continuare a fingere voi, ma io no. Potete vedervi di nascosto, ma io no."
"Lisa.."
"Kay, vi raggiungo a terza ora, che alla seconda non voglio assistere".

La nostra seconda ora era della materia di Vee, ovviamente.
"Ti faccio fare la giustificazione di entrata in ritardo da Haner?"
"Lo faresti?”
Annuii con decisione, sorridendole.
Ti voglio bene Kay"
La strinsi in un abbraccio e rimasi sconcertata dalle mie sensazioni; la sentii devastata tra le mie braccia, come se fosse a pezzi, impossibili da riunire, mi si spezzò il cuore.  Se io mi sentivo in quelle condizioni, non potevo neanche immaginare come stesse lei.

Giuls ed io arrivammo velocemente in classe, come sempre in anticipo, aprendo la porta rumorosamente e chiacchierando del più e del meno, forse distraendoci da quella situazione.
Nonostante questo, era brutto ricominciare dopo le lunghissime vacanze di Natale, la stanchezza mi rivestiva come una seconda pelle.
 
Non vedevo l’ora di rivederlo.
Entrando, notai con grandissimo piacere che il professore era già li, e la classe era completamente vuota a parte la sua presenza imponente; lo splendore alla cattedra alzò lo sguardo e il suo viso si illuminò come quello di un bambino davanti a un piatto di dolci.
"Buongiorno professor Haner"affermai, sorridendogli.
Mi fu in un attimo vicino, mi diede un bacio in guancia di soppiatto, attento a non essere visto, e concluse dicendomi "Buongiorno York, prendi posto”. Gli sorrisi, Giuls sbuffò infastidita.
Continuavano ad odiarsi, nonostante tutto.
Dopo che lui si allontanò da noi, io e la ragazza rossa al mio fianco ci avvicinammo alla finestra, e, ovviamente, ne approfittai per accendermi una marlboro e fumarla con immensa tranquillità.
Come i vecchi tempi, Syn me la staccò dalle labbra, si appropriò del mio accendino e se l’accese.
"Stronzo come sempre eh"affermai, guardandolo male.
"Ti piaccio così"

Improvvisamente qualcuno aprì la porta, talmente forte da farmi sussultare.
"Ah. Tutto ok?"
Era Baker. Ci stava controllando?
"Si.."Dissi io, con tono ancora spaventato.
"Okay."Rispose, abbassando lo sguardo.
"Temevi che limonassimo?" Chiese Syn, non lasciandolo finire.
Vengeance, con un nervosismo evidente dipinto sul volto, tacque, e se ne andò silenziosamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Cap. 8 ***


Scusate il ritardo, connessione di merda :(


Era passata una settimana e quella distanza forzata aveva un nonsocchè di eccitante; era fantastico dover fare tutto di nascosto, mi faceva sentire una ribelle trasgressiva fuori corso con una relazione extraconiugale. No okay, mi dava alla testa.
Nonostante questo, amavo la gelosia che Syn provava nei miei confronti, amavo stuzzicarlo, e, per scrollarmi le attenzioni di Baker di dosso, avevo deciso di fingere di frequentare altri ragazzi.
In un primo momento, Brian aveva considerato quell’idea un lampo di genio, ma dopo un po’ mi accorsi che il suo occhio vigile si fissava su di me anche per giornate intere.
Quando passava Zacky, ad esempio, ed io mi fiondavo verso il primo che capitava per far due chiacchiere, non appena il preside spariva dalla sua vista, lui si avvicinava con la scusa di dovermi dire qualcosa di strettamente importante, che poi si rivelava sempre essere un bacio.
Negli ultimi giorni, avevo legato tantissimo con un mio coetaneo in particolare, della classe vicino alla mia, del corso, neanche a farlo a posta, di Gates; era simpatico e mi faceva ridere durante le mie piccole crisi isteriche, che giungevano prepotenti quando sentivo la mancanza della stabilità di quella “relazione”.
Frank era un ragazzo in gamba: aveva dei grandi occhi verdi, capelli liscissimi e dei tatuaggi meravigliosi lungo le braccia poco muscolose, che raffiguravano zombie e mostri dalla bellezza spiazzante.  Era poco più basso di me e lo prendevo spesso in giro; lui odiava che lo facessi, non lo sopportava, ma nonostante questo continuavo a farlo, perché adoravo il suo sorriso quando mi pregava di smetterla.
Era il solito ragazzino ammiccante che con la sua dolcezza se ne porta a letto quattro al giorno; non aveva l’aspetto di stronzo, e, consolando le ragazze dal cuore infranto, faceva puntualmente colpo e quelle si innamoravano di lui. A volte capitava che mi chiedessero consigli su come conquistarlo, ma io mi astenevo da tutto e mi limitavo solo a consigliare a lui chi scoparsi quella sera.
Ogni cambio dell’ora, mi aspettava e mi accompagnava alla classe dove dovevo recarmi per seguire la lezione dopo, nonostante non fosse la stessa alla quale doveva recarsi lui.
Forse per questo motivo arrivava sempre in ritardo.
La sua presenza colmava il vuoto che sentivo dentro, mi faceva stare sempre bene, anche nei giorni peggiori; ogni volta che lo abbandonavo per correre da Brian, mi consigliava cosa fare con lui per recuperare il tempo perso in un modo migliore, anche se la maggior parte delle volte erano consigli basati su azioni oscene o strettamente intime che preferivo ignorare.
Quel giorno lasciarlo era stato davvero difficile: mi stava raccontando qualcosa d’importante che mi aveva persino appassionata, ma avevo dovuto abbandonarlo, a malincuore, perché Gates , dopo essersi scusato con un “devo rubartela Miller, fai i compiti”, mi aveva trascinato al dormitorio per una mano. Non appena entrammo in camera mia, fortunatamente libera, gettai lo zaino sulla scrivania e mi lasciai andare di peso sulla sedia di legno al centro della stanza.
“Questo Frank mi da sui nervi.”Sussurrò, accarezzandosi nervosamente i capelli.
“Perché?”Aggrottai le sopracciglia, stiracchiandomi.
Calò il silenzio.
Restai in attesa di una sua risposta per una decina di minuti, durante i quali non ebbe il coraggio di incrociare il mio sguardo. Mi arricciai i capelli con le dita, impaziente.
“Perché può stare con te più di quanto possa farlo io.” Rispose ad un tratto.
“Prima o poi Zacky cambierà idea, sai com’è fatto...” 
“Ho paura che quel nano possa usarti come fa con tutte.”Era adorabile, stop.
Scoppiai a ridere, lui continuò a guardarmi male. Lasciai la mia postazione e mi avvicinai lentamente, accarezzandogli la spalla.
“Ascolta, è un amico, niente più.”
“Okay.”
Si sedette sul mio letto e portò le braccia al petto, come un bambino di fronte al suo giocattolo preferito appena rubato da qualcun altro. Voleva dare l’idea di essere impassibile, ma lo conoscevo troppo bene.
“Okay?”
“Si.”
Amavo che qualcuno fosse geloso di me, Brian era decisamente il più adorabile sulla faccia della terra in quelle situazioni. Dopo un po’ notai che la sua espressione corrucciata non aveva intenzione di sparire, perciò, per addolcirlo, gli stampai un bacio sulle labbra.
“Bacio ancora bene?”
“Si, stupido”
“Ah, pensavo che Frank lo facesse meglio”
Gli lanciai una cuscinata e lui, per tutta risposta, mi si distese accanto. Per fortuna, Giuls e Lisa erano fuori e lo sono state tutta la notte, permettendo a me e a Brian di passare una bella serata a chiacchierare e a sorriderci, fissando le stelle che brillavano luminose fuori dalla finestra; non avevamo bisogno della luce del lampadario, il cielo ci permetteva a malapena di vederci, di percepirci uno accanto all’altra e questo ci bastava.
 
“Kay, questo è il freno, e questo l’acceleratore”
La prima lezione di guida sembrò non passare mai. Matt Sanders era un bravo insegnante, davvero, non potevo lamentarmi, ma si basava troppo sul teorico, ed io non vedevo l’ora di salire in sella alla mia Harley.
Avevamo già fatto polemiche sul fatto di iniziare direttamente con quell’affare di più di 500 kilogrammi, e, dopo un po’, avevo lasciato che mi facesse provare con una moto da due soldi che pesava poco più di me.
“Shadows, fammi guidare.”Non riuscivo a stare ferma dall’emozione.
“Non ancora, vuoi andarti a schiantare?”
Odiavo i suoi comportamenti da tipo protettivo... Sbagliando s’impara! Qualche graffio mi avrebbe soltanto giovato.
Si!” annuii attivamente, lui mi guardò male, abbassando la testa.
“Kay.”
“Matt?”
Ci fu un momento di silenzio, animato soltanto dai suoi sospiri pazienti.
“Dicevo, questo è il...”puntò il manubrio ed io gli scostai le mani.
“freno e questo l’acceleratore. Ho capito”
“Okay, adesso prova a partire, piano.”
Salì in sella a quella roba con foga e per un attimo temetti di cadere e trascinarmela sola. Non appena mi misi comoda e in posizione corretta, dopo un attento studio del professor Sanders, premetti l’acceleratore e m’impegnai a fare il giro del cortile della scuola senza gettarmi di peso sul suolo e senza far esplodere la superficie terrestre. Notai con enorme piacere che compresi quasi subito come funzionava; sembravo una guidatrice esperta, mi sentivo una donna in carriera.
Dopo aver fatto un paio di giri, Matt si congratulò con una pacca sulla spalla e, aprendo il cancello, m’invitò a fare un giro intorno all’intera struttura, seguendo un percorso tracciato poco prima amorevolmente dalla sottoscritta con un gessetto rosa.
 
Successe tutto in fretta.
Dopo aver superato il cancello, cercai di fare una curva in un modo troppo azzardato e mi ritrovai distesa sull’asfalto, con la moto addosso. In un momento del genere, le persone normali che farebbero? Bhè, chiederebbero aiuto, allarmerebbero il proprio insegnate, ovvio. Io, persona anormale quale ero, iniziai a ridere a crepapelle.
Ridendo, però, mi accorsi che i miei polmoni dolevano, e parecchio, li sentivo bruciare come se mi fossi gettata da un elicottero su una casa incendiata.
Perciò smisi di ridere, ed emisi un leggero gemito, per poi toccarmi il petto lentamente, con le dita gelate. Matt mi fu vicino in un attimo, gridando a gran voce il mio nome e schiaffeggiandomi la faccia.
“Minchione, sono cosciente”
“Cosa ti fa male?”
“Il petto”
“Vuoi che ti tocchi le tette eh?”
“Figlio di puttana, mi fanno male le costole.”
Le toccò con cura, attento a non peggiorare la situazione. Io lo guardavo, studiando il suo volto inespressivo, cercando di capire a cosa stesse pensando.
“Te ne sarai rotta una... Chiamo un’ambulanza va”
“Okay.”
Trattenni il respiro, ogni volta che gonfiavo il petto mi sentivo morire dal dolore. Pregai che arrivassero presto, cercai di non muovermi, anche se, nonostante tutto, non riuscii a smettere di ridere.
 Ad un tratto però, percepii una voce conoscente, troppo conoscente, perciò spalancai gli occhi che avevo chiuso poco prima, cercando di rilassarmi.
Frank era in ginocchio accanto a me, ponendomi la media di trecento domande al minuto.
“Non ti capisco.”Sussurrai, dopo un po’.
“Dove ti fa male? Oddio, è successo qualcosa?” aveva uno sguardo preoccupato, mi studiò il corpo cercando ferite o sangue, che, ovviamente, non trovò; non appena riuscii a trascinarmi sul fianco che non faceva male, gli portai la mano sulle mie costole, e lui le sfiorò con dolcezza.
“Oh, ti accompagno all’ospedale se vuoi!”
“Ma tu non sai guidare.”
Ci pensò su prima di rispondermi.
“Improvviso.” Sorrise, lasciando trasparire le sue adorabili fossette.
Lo guardai male, o almeno, cercai di guardarlo male.
“Ma sei coglione? Non farmi ridere va, che se no brucia.”
Per fortuna, i soccorsi arrivarono piuttosto presto, mi accertarono subito che non era nulla di grave ma che avrebbero preferito portarmi in ospedale per dei controlli; perciò, mi alzai, aiutata da Frank e Matt, e mi feci accompagnare sul veicolo che mi avrebbe portato a destinazione.
Pregai che Shadows avvertisse Brian, Giuls e Jimmy il prima possibile, in modo di averli accanto e accertarmi che stessero bene, sperando che non si preoccupassero più del dovuto.
 
“Haner, allontanati da me, ti spezzo in cinque e ti do in pasto al mio gatto.”
 
C’è modo più dolce di svegliarsi? Le urla di Giuls erano inconfondibili, le avrei riconosciute ovunque e in qualunque momento, anche se fossi stata sorda. Aveva una voce così cristallina e acuta, che al sol alzare il proprio tono commetteva un attentato all’ udito altrui; la usava spesso come arma nelle minacce, sapeva che odiavo sentirla gridare e giurava di farlo se non facevo ciò che mi diceva. Mi sfruttava, che bastarda.
 
“Non rompermi le palle anche tu.”
Brian sembrava nervoso, aveva una voce seccata. Ero stupita, ogni volta che Giuls lo insultava o gli rispondeva male, lui si divertiva a mandarle frecciatine squallide, ma quella volta non lo fece e non sapevo se preoccuparmi o ammirarlo. Optai per la prima opzione.
“Si che lo faccio, testa di cazzo!”
Adorabile.
“No porca puttana, chiudi quella boccaccia!”
Adorabile anche lui.
Spalancai gli occhi e mi girai verso la porta della stanza nella quale mi trovavo, spalancata, che riusciva a permettermi di fissarli ad alcuni metri da me. Giuls, nonostante avesse un’espressione spaventata, continuò a disturbarlo come se fosse una iena intenta a inquietare il sonno del leone.
“Dove cazzo eri? Dove?!”
“Tu dov’eri eh?! E’ facile dare la colpa a me, non credi?”
Le loro voci mi mettevano a disagio, odiavo vederli litigare.
“Ero a lezione cazzo! Ero ad una fottutissima lezione del mio ex ragazzo!”
“Io la stavo facendo una lezione, pensa te!”
Ad un tratto,però, le loro urla si fermarono.
Temetti il peggio, sperai che non si fossero picchiati o cose del genere.
“Ragazzi basta dai..”la voce di Seward era lenta e calma, ma quasi non si sentii sotto quelle che la sovrastavano prepotentemente.
“No basta il cazzo.”
“Giuls..”
“Haner ascolta, io sono corsa, letteralmente CORSA, a gambe levate appena Frank mi ha avvertito! Tu sei spuntato qui con tre fottutissime ore di ritardo, e le lezioni sono state pure sospese. Non hai scuse, cosa cazzo stavi facendo?!”
“Frank?! Ah sì, Frank! Il santo ragazzino! Quale onore averlo in quella scuola!”
“Sicuramente sarebbe un ragazzo migliore di te.”
Okay. La fine del mondo? Un’esplosione? Una catastrofe? Sarebbe stato meno doloroso. Riuscii a percepire il sangue di Brian ribollire nelle sue vene ed esplodere sulle sue guance, come vulcani in eruzione, come se la rabbia lo stesse vincendo. Pregai ancora una volta che non le sfoderasse una testata sulle gengive.
La terza guerra mondiale sarebbe scoppiata in una questione di momenti ed io non potevo neanche alzarmi da quel fottutissimo letto.
“Tu non sai un cazzo di come la amo.”
“Se l’amassi avresti smosso il tuo bel culo e l’avresti portato qui prima.”
“Nessuno mi ha avvertito. Non ho contatti con Frank”
“Eh, certo. Con Matt si però.”
“Appena me l’ha detto sono partito subito cazzo! Perché non capisci un  cazzo di niente?”
“Vaffanculo Syn!”
“Fottiti Davis.”
“Spero proprio che Frank se la scopi, la “tua” Kay”
“Ti odio.”
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Cap. 9 ***


Stare immobili su un letto d'ospedale, nutrita da zuppe dal sapore disgustoso e costretta a fissare il tetto per giornate intere, era una tortura per una persona attiva come me, soprattutto dal momento che persino respirare mi risultava estremamente doloroso.
Avevo appena subito un’operazione poco complessa a causa della mia brutta struttura scomposta a un paio di costole sul lato destro. Quella mattina, di buon’ora, due infermieri mi avevano preparato e portato in sala operatoria; nonostante fossero passate più ore, sentivo ancora gli effetti degli anestetici addosso e la mia vista era tutt'altro che confusa.
L'orario di visite sarebbe iniziato di lì a poco, perciò avrei dovuto farmi trovare abbastanza lucida e cosciente da poter sostenere un dialogo senza cadere in un sonno profondo. Se non l’avessi fatto, non avrei potuto stare con le persone che mi mancavano di più per quel poco che m’era permesso.
 
 La luce debole del sole penetrava dalle finestre socchiuse, le tende svolazzavano a causa del fresco venticello che si era appropriato di quella stanza. L'infermiera era occupata ad aggiustarmi le coperte e a ricordarmi ogni fottuta regola di norme di sicurezza dell'ospedale, ma la lucidità, come detto prima, mi veniva meno e perciò capii circa il 2% di quello che ripeteva a gran voce.
Era una donna di bell'aspetto dai lunghi e ricci capelli rosso ciliegia, raccolti in uno chignon degno delle più prestigiose scuole di danza: il suo corpo era snello e slanciato, probabilmente era parecchio più bassa di me ma, nonostante questo, era una splendida donna di 35/40 anni.
Il suo sorriso mi ricordava quello di mia zia Layla, la sorella di mia madre, uno dei miei punti di riferimento da praticamente sempre, che mi mancava maledettamente ogni giorno di più.
Lei viveva in un'isola italiana che affacciava sul meraviglioso mar mediterraneo, insieme alla sua dolce metà, mio zio Christian, nativo di quelle parti, e alle sue due figlie, Meg e Sophie, poco più piccole di me; aveva una villa da urlo che poteva far invidia ad una reggia, una moto favolosa con la quale praticava le vacanze "on the road", e tanti, tantissimi strumenti, uno più bello dell'altro, dalla batteria al clarinetto, dal pianoforte al banjo.
Era sempre stato il mio modello da seguire, fin da quando ero poco più alta di un metro; potevo benissimo dire che mi aveva fatto scuola sulla musica e non potevo mai essergliene grata abbastanza.

Non me ne accorsi nemmeno, controvoglia e senza un minimo d’intenzione, mi addormentai come un bimbo, accarezzata dai raggi solari che mi sfioravano il viso. Per fortuna o sfortuna, dipende dai punti di vista, non sognai praticamente niente.

Dopo un piccolo arco di tempo che mi sembrò un’eternità, mi svegliai con estrema dolcezza e soprattutto con una grandiosa vista; accanto al mio letto, giaceva, seduto su una sedia, Brian, con le braccia poggiate sulle mie gambe e gli occhi poggiati sui miei. Non appena io aprii quest’ultimi e li strizzai, infastidita dal sole, giurai di vedergli il volto illuminarsi come se avesse visto qualcosa di estremamente eccitante.
"Bellissima."Sussurrò, avvicinando la sedia a fianco alla mia spalla, attenta a non fare rumore. Cercai di sorridere, ma non ci riuscii, infatti uscii fuori una sottospecie di smorfia di dolore.
"Hei Bri, tutto ok?"La mia voce era praticamente soave quanto un richiamo dall'oltretomba, ma dalla sua espressione compiaciuta capii che per lui non lo era, anzi, scaturì in lui la stessa reazione che avevo io mentre saltava fuori dalla riproduzione casuale la mia canzone preferita.
"Sisi, tu?"
"Un po' frastornata, ma bene"
Mi accarezzò le guance con delicatezza e mi sorrise.
 Il dolore scomparve in un attimo come per magia, e io fui sempre più convinta che lui era uno dei migliori antibiotici per me.

Dopo un po', decisi di chiedergli spiegazioni su quanto fosse successo con Giuls il giorno prima e, mutando l'espressione tranquilla che aveva dipinto in volto in nervosismo allo stato puro, rispose:
"Ha esagerato con gli insulti soltanto perchè ho perso tempo a raggiungervi"
Si passò nervosamente una mano sulla fronte, percorrendo poi i suoi capelli perfettamente lisci.
"E' stata per una buona causa." Aggiunse poi, abbassando lo sguardo.
Che causa? Qualcosa di nuovo che non sapevo?
"Posso chiederti quale?"Mi stiracchiai le braccia e mi lasciai aiutare da lui affinché passassi dall'essere distesa all'essere seduta, in modo da rimanere più comoda e poterlo fissare meglio.
Oh, dannatamente una vista migliore.
I suoi occhi erano più belli del dovuto quel giorno; grandi, struccati e colpiti dai fiebili raggi solari, riuscirono a malapena a lasciarmi abbastanza fiato per sopravvivere. Il suo viso era stanco, visibilmente distrutto, forse era reduce da notti in bianco, ma, nonostante tutto, era tranquillo e da quel momento tutto mi sembrò incredibilmente perfetto.
"Baker ha comprato un anello di fidanzamento a Lisa."

Zacky e la Steel erano la coppia che aveva più risentito di quell'allontanamento forzato per il semplice fatto che uno dei due era il responsabile, e quindi non potevano neanche fingere o trasgredire le regole istituite per quell'occasione.
Lisa, non appena era venuta a sapere della decisione del preside grazie a me, mi aveva detto che non sarebbe stato più lo stesso e che le sarebbe stato difficile persino vivere sapendo che il suo ragazzo, lo stesso che le aveva fatto perdere la reputazione e , soprattutto, la verginità, aveva concretizzato quella regola non calcolando che l'avrebbe persa, non per sempre, ma per parecchio tempo.
Era distrutta, da quel giorno non avevo più visto neanche l'ombra di un sorriso sul suo viso, ma non potevo non biasimarla; quella cosa dava fastidio a me, parecchio, ma uccideva ,quasi nel vero senso della parola, lei.

"Con quale coraggio le acquista un anello?" 
"Se la sposa, possono stare insieme senza problemi.. La regola, infondo, dice che non possono esserci fidanzamenti tra docenti e alunni, ma se solo la sposasse, cancellerebbe ogni ostacolo." Gates gesticolava e la sua voce era meravigliosa; ebbi un sussulto, un altro ancora subito dopo, ed ancora una volta, ogni parola che veniva pronunciata da lui aveva un effetto terapeutico su di me.
"Questo potrebbe farlo anche senza sposarla.. Sai com'e', è il preside"
Portai  un ciuffo di capelli color carota dietro l'orecchio, passando poi la mano sul collo e sulle spalle, pieni di lividi.
Al tocco, non appena le mie falangi li accarezzarono con delicatezza, iniziarono a far male. Era stata una grande botta e, anche se apparivo messa bene, sentivo tutto il corpo indolenzito; ma questo non mi avrebbe sicuramente fermato, su quell’Harley dovevo salirci e presto.
“Vabbè, sai com’è Baker.. Si complica la vita quel figlio di puttana..”Rispose lui dopo un po’, incrociando il mio sguardo.
"Cosa gli fa credere che lei accetterebbe?" chiesi.
Lisa era una ragazza amante dal divertimento, era giovane e odiava la serietà in una relazione, ma tutto poteva succedere, a quel punto, e tutto poteva cambiare; avrebbe la giovane Steel tradito i suoi ideali per cedere all’amore? Non la invidiavo, per niente.
"Boh, l'amore penso."Si strinse tra le spalle, ed io spostai lo sguardo verso la finestra.
Il cielo si era dipinto di un colore rossastro, avviso di un tramonto imminente.
Amavo osservare i tramonti; quando vivevo al mare li studiavo con attenzione ogni sera, seduta sulla poltrona a dondolo di legno posta al centro dell'immenso balcone della mia camera di letto.
Giuls li guardava sempre con me e affascinavano parecchio anche lei; fantasticavamo spesso insieme sul nostro futuro davanti certe meravigliose viste, inventando storie stupide su ciò che volevamo fare da “grandi” e sui nostri futuri “fidanzatini”.
Avevamo 8 anni.
Poi ne abbiamo avuti 9,10,11,18, e non abbiamo mai smesso di farlo.

Brian seguì il mio sguardo e posò anche il suo sul cielo, accarezzandomi contemporaneamente il dorso della mano.
Passammo più di mezz'ora cosi, immobili, sorridendoci di tanto in tanto, fissando quel favoloso spettacolo cullati dal dolce cinguettio dei gabbiani.
L’ospedale, infatti, si affacciava su una piccola spiaggia privata della costa di est: perdevo la maggior parte delle mie ore vuote a fissare i fidanzati che facevano pic nic o i mocciosi che organizzavano tornei di pallavolo o robe simili.
Non appena le tenebre abbracciarono il firmamento, neanche mi accorsi del sonno che stava abbracciando me; riuscii soltanto a percepire i passi di Brian mentre si allontanavano dalla sedia su cui era seduto, le sue labbra che sfioravano la mia fronte e subito dopo la porta che si chiudeva, lentamente.

Non riuscii a godermi neanche dieci minuti di riposo, perché si riaprì quasi subito, questa volta violentemente,  e di nuovo una voce, questa volta squillante, fece in modo di riportarmi fuori dal mondo dei sogni.
"Oddio Kay tutto bene?"
Il giovane ragazzino dai begli occhi e dall’altezza dubbiosa si avvicinò al mio letto, accarezzandomi il viso e poggiando la mano sulla fronte.
Calò il silenzio.

"Non ho la febbre."Affermai vedendolo in difficoltà, sorridendogli.
"Ah già. Bhè, mi stavo accertando che non l'avessi.. Come stai?" adoravo il suo modo di voler sempre ragione, a volte inventava scuse fantasiose quanto stupide.
"Sono sicuramente stata meglio.."Sussurrai di risposta, schiarendomi la voce.
"Oddio, c'hai una voce da fattona" rise, facendo balzar fuori le sue adorabili fossette.
Delicato, insomma.
"Io sono una fattona."
"Si, una fattona. Con quella faccia."
Indietreggiò la testa e mi puntò con l’indice, come per sbeffeggiarmi.
"Che vorresti dire?"Serrai gli occhi, sforzandomi di rivolgergli un'occhiataccia, ma non riuscendoci.
"Sei troppo perfetta per drogarti." 
"Ci stai provando?"
"Forse."
Si strinse tra le spalle e continuò a sorridere, con la stessa sfacciataggine di sempre.
"Sei scemo. Se potessi ti lancerei un cuscino"
"Ti voglio bene."
"Non ci provare."

Finimmo per ridere un’altra volta, dato che era impossibile arrabbiarmi l’uno con l’altro.

Improvvisamente Giuls irruppe nella stanza con fare deciso e, dopo avermi abbracciata come solo una migliore amica sa fare, mi sorrise e si sedette accanto a Frank, sulla sedia poco prima lasciata da Syn.
“Sai chi c’era seduto su questa sedia poco fa?”
“Oh Dio, non dirmi che..”
Annuii, alzando le sopracciglia. Lei balzò in piedi, come se fosse in contatto con sostanze nocive, sfoggiando una delle sue peggiori smorfie e facendo ridere me e Frank.
Comunque, come stai?” chiese poi, sedendosi ai piedi del mio letto.
“Un po’ meglio, l’operazione è andata bene..” risposi, osservando le sue labbra piegarsi in un sorriso di felicità.
Hai avvertito mia madre?” aggiunsi subito dopo, grattandomi il braccio destro.
Lei, come per accertarsene, tirò fuori il cellulare e fissò lo schermo.
“Si c’ho parlato poco fa, penso che avvicinerà dopo cena, al secondo orario di visite, con tua sorella e tuo padre” la guardai e annuii, per farle capire che mi era chiaro.
Dopo un attimo spostai lo sguardo su Frank, che sembrava stranamente eccitato, e lo fulminai con lo sguardo.
Probabilmente non vedeva l’ora di sfoggiare le sue doti da perfetto latin lover con la mia famiglia, che stronzo.
“Bene.” Dissi, continuando a guardar male il ragazzino che, nel frattempo, se la rideva.
 
 

La mia cena fu senza dubbio una delle migliori.
 
Ironicamente parlando.
 
La dottoressa aveva pensato bene di portarmi una zuppa diversa dalle altre; questa volta non era di verdure o pollo, ma di pomodori. Alla vista di quell’orribilità, cercai di convincerla a non posarla con uno sguardo languido.
“Kay, ti fa bene.” Mi accarezzò la spalla. Era praticamente una continua competizione tra noi: io cercavo di convincerla a non farmi mangiare quelle robe, lei cercava di alleviare il ribrezzo che provavo e farmele ingerire senza esitare.
Ovviamente, perdevo sempre quella piccola gara, come una stupida.
“Ma non mi piace.”
“Ti sentirai meglio!”
“Ma non mi piace.”
 
Anche quella sera, quella roba rossa finì nel mio stomaco.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=933316