Angelo senza ali

di vale winchester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Dall'altra parte del filo ***
Capitolo 3: *** Il risveglio ***
Capitolo 4: *** Una nuova vita ***
Capitolo 5: *** Il bambino dagli occhi verdi ***
Capitolo 6: *** Black Dog ***
Capitolo 7: *** La ragazza della casa di fronte ***
Capitolo 8: *** A casa di Alice ***
Capitolo 9: *** Uno strano incidente ***
Capitolo 10: *** Segreti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Martin Crow era alla guida della sua Ford Fusion e parlava con sua moglie Linsbeth, mentre suo figlio Alec era distratto dal suo ipod.

Erano le 23.30, stavano tornando da una cena passata insieme ad amici e si erano divertiti molto tra battute e discorsi di lavoro.

“Sai amore, dobbiamo farle più spesso queste cene, sono stata davvero bene” disse Linsbeth. Martin sorrise “anch’io tesoro,” e diede uno sguardo allo specchietto retrovisore per vedere il figlio, poi tornò a guardare la strada.

“Possibile che sta sempre con quel coso nelle orecchie? Non ci sta più con noi.” Disse Martin.

Linsbeth si girò per guardare il figlio, poi guardò il marito “Non puoi pretendere che stia con noi, non è più un bambino. E poi che fastidio ti da?”

“Sta sempre nel suo mondo, praticamente con noi ci sta solo a pranzo e a cena. Non ti sembra esagerato?” disse Martin.

“No” rispose Linsbeth guardando il marito, “e poi abbiamo passato una bella serata, non ce la roviniamo.”

Martin la guardò e sorrise avvicinandosi a lei per baciarla e lei fece lo stesso. Le loro labbra si avvicinarono e si toccarono dolcemente in un bacio. “Ti amo” disse Linsbeth. “Anch’io” disse Martin, ma non fece in tempo a finire la frase che …

“Martin attento!” Aveva gridato Linsbeth. Martin si rigirò di scatto verso la strada, in tempo per vedere un cervo che stava fermo proprio al centro della curva. Girò bruscamente il volante cercando di evitarlo, ma invece lo prese in pieno. Il sangue dell’animale schizzo sul vetro della macchina. Martin perse il controllo del veicolo che finì fuori strada precipitando giù per un burrone e andando a sbattere contro un albero.

Lo schianto provocò un botto fortissimo e poi … silenzio.

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Dall'altra parte del filo ***


Alec non sentiva dolore, non sentiva più niente, era come se il suo corpo non ci fosse più. Era una sensazione strana che gli dava l’idea di essere in una dimensione parallela e in un certo senso era così. Era in alto, questo lo capiva dalla prospettiva che gli si presentava e dal fatto che delle persone vedeva prima la testa e sotto le gambe quando camminavano. Era in una stanza, la luce era forte e anche se non gli faceva male agli occhi comunque lo costringeva a tenerli mezzi chiusi. Si guardò intorno: c’erano delle persone vestite di verde con delle mascherine che stavano intorno a quello che sembrava un tavolo ricoperto da un lenzuolo altrettanto verde.

Solo dopo capì che stava in ospedale, che quelli erano medici e che probabilmente sotto a quel lenzuolo c’era una persona. All’inizio Alec credeva di essere in un sogno, ma la sensazione era troppo intensa. Non era decisamente un sogno.

Da dove si trovava riusciva a vedere un viso sotto al lenzuolo. Non credeva ai suoi occhi. Quello era lui, il suo viso era pieno di graffi. Era sempre più confuso. Cosa stava succedendo? Perché era in ospedale? Non ricordava niente ed era spaventato dalla forte sensazione che aveva. Era come se una forza cercasse di strapparlo a quell’ambiente per portarlo chissà dove. Alec combatteva questa forza,  voleva rimanere li per paura di andare in un qualsiasi altro posto.

In un certo senso stava bene li, non sentiva dolore e non doveva preoccuparsi di niente, la vita sembrava così facile vista da li, era quasi in uno stato di estasi. Ma la forza che cercava di portarlo via era sempre più potente e per Alec diventava sempre più difficile contrastarla. Era finita, lo sapeva, non avrebbe resistito oltre.

Fu in quel momento che nella stanza entrò una figura femminile. Non era, però, entrata dalla porta aprendola, ma ci era passata attraverso. La figura guardava lui, Alec non sapeva chi fosse ma comunque sapeva di potersi fidare di lei, anche se non sapeva perché. La figura gli si avvicinò, alzando la testa per guardarlo negli occhi e,  senza dire niente, tese una mano nella sua direzione mentre sorrideva e annuiva dolcemente con la testa. Alec non esitò un solo secondo e afferrò la mano.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Il risveglio ***


“Alec … Svegliati …”

Alec aprì debolmente gli occhi e si ritrovò davanti la figura sfocata di sua zia Beatriz, la sorella di sua madre. Era sempre stata una bella donna anche adesso che aveva i suoi cinquant’anni. Era una donna elegante con i lunghi capelli castani e gli allegri occhi azzurri. Beatriz appena vide che Alec aveva aperto gli occhi fece un grande sorriso e prese tra le mani quella fredda del ragazzo.

“Bravo Alec, così, apri gli occhi.”

Alec mise a fuoco la figura che aveva davanti. “Zia” disse debolmente, quasi senza voce. “Ciao Alec” rispose lei quasi con le lacrime agli occhi “come ti senti, tesoro?”

“Mi fa male la testa.” Beatriz annuì. “Dove sono?”

“Sei in ospedale”

“Cos’è successo?” chiese il ragazzo.

“Avete avuto un brutto incidente stradale. Non te lo ricordi?”

“No … “ poi fece una breve pausa per riflettere. “Mamma e papà stanno bene?”

A quella domanda Beatriz cambiò espressione. Sapeva che prima o dopo il ragazzo l’avrebbe chiesto ma questo momento era arrivato molto prima di quanto se lo immaginasse. Come avrebbe potuto dirglielo senza farlo soffrire più di quanto già soffriva? Ma non poteva nasconderglielo, quindi decise di esporre i fatti così come erano senza tanti giri di parole. “Alec … l’incidente è stato molto brutto e l’impatto con l’albero molto forte … i tuoi genitori non ce l’hanno fatta. Mi dispiace.”

Alec si sentì crollare il mondo addosso. I suoi genitori non c’erano più, era rimasto solo. Gli occhi gli si riempirono di lacrime e pianse forte. La zia lo abbracciò cercando di consolarlo in qualche modo, anche se sapeva che era impossibile. Ci fu un lungo silenzio interrotto solo dai singhiozzi del ragazzo.

“Perché io mi sono salvato e loro no?” disse come se fosse stata colpa sua.

“Non devi sentirti in colpa. Loro erano seduti davanti e l’impatto è stato più forte per loro.”

Non doveva succedere, perché? Era l’unico pensiero che aveva al momento. Non era giusto, i suoi genitori erano persone buone, non davano fastidio a nessuno. Perché loro?

“Adesso che farò?” chiese alla zia, ancora con le lacrime.

“Verrai a vivere con me, se ne avrai voglia. La casa è grande e penso che sia giusta per te. Che ne dici, ti va?”

“Si, grazie.” Almeno qualcuno si sarebbe preso cura di lui. Anche se non avrebbe mai sostituito i suoi genitori. Questo lo sapeva anche Beatriz, però avrebbe fatto di tutto per far sentire il ragazzo a casa sua e in famiglia.

In quel momento entrò un’infermiera che sorridendo chiese ad Alec come si sentiva. “Bene, però mi gira la testa.”

“Questo è normale. Hai sbattuto forte. Comunque l’operazione è andata bene, fra meno di un mese potrai uscire.” Almeno una consolazione, certo non aveva intensione di rimanere li dentro più di tanto. Quel posto non gli dava sicurezza, e poi ripensava a quella forza, che ricordava vagamente, che voleva rapirlo e alla donna che lo aveva aiutato, che non sapeva chi fosse e tantomeno se l’avrebbe incontrata ancora, ma comunque le era grato. Quella mano confortante, che l’aveva aiutato in un momento difficile, forse era quella di un angelo. Magari quella del suo angelo custode. Ma molto presto avrebbe scoperto che non era un angelo, ma ben’altro. Qualcosa di malvagio che da quel momento in poi si era insinuato nella sua vita e non ne sarebbe più uscito.

 

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Capitolo 4
*** Una nuova vita ***


La casa di Beatriz era in realtà una villa a due piani con un giardino enorme. La macchina si fermò davanti a un cancello con ai lati due colonne su cui erano posati due leoni. I felini scrutavano il visitatore come per dire “sei il benvenuto, ma se approfitti dell’ospitalità che ti diamo te la faremo pagare.”

Il cancello iniziò ad aprirsi, evidentemente chi lo aveva aperto aveva visto la macchina dalla telecamera attaccata alla colonna di destra. Il cancello si apriva lentamente mostrando ad Alec il meraviglioso giardino che circondava la villa. La macchina avanzava su un viale costeggiato di pini alti più o meno cinque metri ciascuno. Guardando oltre gli alberi si stagliava un enorme prato ben curato, questo dava per scontato che qualcuno se ne prendesse cura ogni giorno. Proprio di fronte a loro c’era la villa in tutto il suo splendore.

Beatriz parcheggiò la macchina in uno spiazzale a destra della porta principale. I due scesero. Alec era sempre più sorpreso di tutto questo. La zia avvicinandosi gli mise una mano sulla spalla e gli sorrise. “Benvenuto a casa! Spero che ti troverai bene qui”, disse. Alec gli rispose con un sorriso e i due si incamminarono verso la porta. Mentre si avvicinavano lo sguardo di Alec fu catturato da una figura in movimento. Quando riuscì a focalizzarla bene vide che era un bambino che correva nel prato. La figura aveva i contorni sfocati come se non fosse materiale ma un’illusione e poi con i piedi non toccava per terra. A un tratto il bambino si fermò per guardare Alec, come se fosse sorpreso del fatto che qualcuno lo guardasse. I due si fissarono. “Alec?” Alec sobbalzò alla voce della zia che lo chiamava. “Vieni?”. Alec si rigirò di nuovo nella direzione del bambino ma lui non c’era più. Scosse la testa come per riportarsi alla realtà, pensando che fosse stato solo frutto della sua immaginazione.

“Si, arrivo!”, disse e corse verso la zia che nel frattempo aveva aperto la porta e lo invitava a entrare.

Entrato nella villa, Alec, non poteva fare a meno di osservare l’ambiente che lo circondava, meravigliato dalle dimensioni e dall’eleganza.

Davanti a lui si apriva un enorme salone illuminato dai raggi del sole che entravano da tre grandi finestre. Il pavimento era a parquet come il resto della casa. La forma del salone era ottagonale e per terra c’era un grande tappeto, decorato con quelli che sembravano antichi disegni indiani, che aveva la stessa forma del salone, ma essendo più piccolo non ne copriva la superficie completa.

Nel salone non vi erano mobili, eccetto per un appendiabiti situato a destra della porta d’ingresso.

In fondo al salone c’era un arco che portava in un’altra stanza, probabilmente la sala da pranzo, da cui fece il suo ingresso un uomo anziano ma  che non dimostrava i segni del tempo. L’uomo, che dopo Alec scoprì avere il nome di Arthur, disse rivolto a Beatriz: “Bentornata, Madame” e poi a Alec: “Tu devi essere Alec?” e gli allungò la mano destra che Alec afferrò, “Benvenuto a Villa Arcadia”.

Alec si sentì lusingato e sorrise a quel signore che già gli era simpatico e che in seguito sarebbe stato come un padre per lui.

“Arthur, ci sono da prendere le valigie in macchina, portale direttamente su in camera, se non ti dispiace”, disse Beatriz.

“Ma certo Madame, vado subito”.

I due guardarono l’uomo mentre usciva dalla porta diretto in macchina.

“Lui è Arthur, il nostro maggiordomo”, lo informò Beatriz. “E’ simpatico”, disse Alec.

“Si, è vero. Poi è una persona di cui ci si può fidare. Stai tranquillo che se gli racconti i tuoi segreti non li racconterà mai a nessuno”. Disse Beatriz, poi sospirò. “Bene, ora ti faccio fare il giro della casa e ti faccio conoscere gli altri, ti va? Poi ti mostro la tua stanza”.

“Si, va bene”, rispose Alec sempre più entusiasta.

La seconda stanza che vide fu la sala da pranzo, situata dietro l’arco. Era grande, più grande della prima. Al centro c’era un tavolo rettangolare a dodici posti fatto di legno e con delle sedie anch’esse di legno che dava alla stanza l’aspetto di un antico castello.

C’era una grande porta-finestra situata sul lato destro che si apriva su uno spiazzale con un’ampia finestra, delle sdraie e alcune palme tutte intorno. La porta-finestra era aperta e vi entrava una leggera brezza primaverile che soffiava delicata sulla pelle.

A sinistra del salone, invece, c’era l’angolo cucina con al centro un isolotto con due lavandini e un ampio piano. Situato a semicerchi intorno all’isolotto c’era un altro piano con i fornelli, il frigorifero, il forno e la credenza.

“Questa è la sala da pranzo, dove di solito ci riuniamo tutti. Ricordati che ora questa è anche casa tua e sei libero di fare quello che vuoi”

“Questa casa è immensa!” Disse Alec e Beatriz rise a quelle parole, “mi ci vorrà del tempo per abituarmici” disse Alec.

“Avrai tutto il tempo che ti serve per conoscerla. Vieni, ti faccio vedere la Sala dei Libri”

“La Sala dei Libri” chiese Alec.

“Si, ti piace leggere?” e dicendo questo si avvicinò a una porta a due ante e la spalancò. Alec rimase a bocca aperta entrandovi dentro e gli occhi gli brillavano. Le pareti della stanza erano ricoperte di scaffali stracolmi di libri di tutte le dimensioni e i colori. La stanza aveva due piani collegati da una scala a chiocciola. Per il secondo piano c’era un balconcino usato per prendere i libri. L’ambiente era luminoso, un vero paradiso per gli amanti della lettura.

Beatriz guardava l’espressione che si era disegnata sulla faccia di Alec, “Ti piace?” gli chiese.

“Tantissimo. Posso leggerli?” chiese.

“Certo che puoi! Tutti quelli che vorrai.”

“Allora credo che qui dentro ci passerò molto tempo”.

Beatriz sorrise, “ Finalmente qualcuno a cui piace leggere. Qui dentro l’unica che legge sono io. Finalmente potrò parlare con qualcuno dei miei libri. Ora vieni, ti faccio vedere il piano di sopra”, Beatriz uscì dalla stanza e aspettò Alec che era catturato da quella quantità enorme di libri. Non ne aveva mai visti così tanti tutti insieme.

Quando uscirono una bambina corse verso di loro e saltò in braccio a Beatriz che la prese in braccio e l’abbracciò forte. Scioltasi dall’abbraccio la bambina guardò Alec e rivolta alla madre, “ Mamma lui è Alec?”

“Si, Juliet ti presento Alec, Alec lei è mia figlia Juliet”

“Ciao Juliet”, la salutò Alec.

“Ciao. Vuoi venire a giocare con me?” chiese la bambina entusiasta di avere qualcuno più grande con cui giocare. Fu Beatriz a rispondere, “dopo tesoro, ora faccio vedere a Alec la sua stanza e dopo potrà giocare con te, se ne avrà voglia”. Il sorriso sul volto della piccola scomparve all’improvviso, scontenta delle parole della madre. “Perché non vai a fare un bel disegno? Così poi potrai regalarglielo”. Juliet, sorridendo di nuovo, corse saltellando a prendere dei fogli.

Il piano superiore era costituito da un lungo corridoio su cui si affacciavano diverse porte.

“Infondo c’è in bagno” lo informò Beatriz indicando una porta. “Queste sono le camere da letto mia, di mia figlia e dei domestici”. Poi indicando una porta “ questa sarà la tua” e la aprì. Era abbastanza grande. Appoggiato a una parete c’era un letto a una piazza e mezza con sopra quattro cuscini colorati. A ridosso della parete opposta c’era l’armadio e sotto un’ampia finestra c’era una scrivania. Alec appena la vide la sentì subito sua. Le sue due valigie erano già state messe vicino al letto.

“Ora ti lascio un pò da solo, scendi quando vuoi” detto questo Beatriz uscì dalla stanza, lasciando Alec da solo.

Stanco dal viaggio si sdraiò sul letto e nell’arco di poco tempo si addormentò.

 

 

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Capitolo 5
*** Il bambino dagli occhi verdi ***


Fu svegliato, un’ora dopo, da dei rumori provenienti da fuori la porta della sua stanza, come dei passi che si avvicinavano. Si tranquillizzò pensando che fosse qualcuno della casa, forse la stessa Beatriz. A un tratto la porta della sua camera si aprì lentamente cigolando, Alec si girò ma notò con sorpresa che nessuno l’aveva aperta. Si alzò dal letto e si affacciò sul corridoio, non c’era nessuno. Sentì nuovamente i passi però stavolta dietro di lui, provenienti dall’interno della stanza e, sempre più sorpreso, si girò, stavolta più velocemente. Quello che vide lo spaventò tanto da farlo indietreggiare e sbattere contro la porta semi aperta. Proprio davanti a lui c’era quel bambino, quello che aveva visto prima correre nel prato. I capelli biondi erano scompigliati, gli occhi verdi, indossava un pigiama con disegnato sopra un orsetto. Lo guardava e lui non sapeva cosa fare. Non capiva come era entrato li e perché i suoi contorni erano sfocati e quasi fosforescenti nella leggera penombra della stanza.

“Tu chi sei?” Chiese Alec. Il bambino sembrò sorpreso del fatto che Alec era rivolto proprio a lui e con fare interrogativo chiese, “Puoi vedermi?” ma più che una domanda sembrava più un’esclamazione.

“Certo che ti vedo. Perché non dovrei?” Alec non capiva il senso di quelle parole così assurde.

“Perché io sono morto” disse con disinvoltura il piccolo.

A quelle parole Alec rimase completamente paralizzato. Aveva percepito qualcosa di strano, diverso, in quel bambino, ma non voleva credere alle parole che erano uscite da quella bocca esile e impaurita, quelle parole che il bambino aveva pronunciato con una naturalezza quasi sconvolgente.

“Cosa? Tu … tu sei morto?” Chiese al bambino, “Ma che assurdità dici? Tu sei qui, io ti vedo. Se fossi morto non ti vedrei, anzi non esisteresti e basta.” E così dicendo accennò un sorriso che però sparì immediatamente.

Poi pensandoci Alec giunse a una spiegazione per quanto surreale che fosse e impossibile. “Sei un fantasma” disse in fine. A quel punto si aspettava che il bambino scoppiasse a ridere prendendolo in giro per aver creduto al suo scherzo, ma non successe. La figura già sfocata del bambino iniziò a scomparire e a riapparire, come se tra lui e la realtà della stanza ci fosse un falso contatto. Alec aggrottò le sopracciglia non capendo niente di quello che stava succedendo.

“Oh no … no!” disse il bambino guardando il suo corpo che scompariva, poi con un’espressione di supplica si rivolse a Alec, “Aiutami ti prego!” la faccia del piccolo si era ora tramutata in una smorfia di puro terrore, “Aiutami!” questa volta l’aveva urlato. Cercò di allungare una mano verso Alec, ma lui terrorizzato non riusciva a muoversi e non l’afferrò. A un tratto il bambino sparì lasciando Alec a guardare la stanza ora vuota.

 

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Capitolo 6
*** Black Dog ***


Quando si riprese dallo shock corse fuori dalla stanza e scese velocemente le scale ritrovandosi nell’ampio salone che, dopo quello che aveva visto, aveva quasi un aspetto tetro. Forse l’effetto era dato anche dalla luce, che era cambiata a causa del tramonto, che gli dava una sfumatura sull’arancio.

Calmatosi un po’  Alec entrò in sala da pranzo.

“Tu devi essere Alec” il ragazzo sobbalzò a quella voce inaspettata. Intenta a cucinare c’era una donna sui quarant’anni un po’ grassa che lo guardava sorridendo. Aveva i capelli castani e gli occhi neri, sulla guancia destra aveva una strana cicatrice di cui Alec ignorava la natura.

“Si” rispose a quella signora che riuscì per un po’ a distrarlo da tutto.

“Ciao, io sono Meredith, la cuoca!” si presentò, poi rivolta verso la porta-finestra strillò un nome, “Jonathan!”.

Dal giardino giunse una seconda voce, “Si tesoro, cosa c’è?” era una voce maschile.

“Vieni un secondo in cucina!” strillò di risposta la donna. Nella sala entrò un uomo in tuta da lavoro. Aveva i capelli brizzolati e si avvicinò a Meredith cingendole i fianchi con il braccio.

“Ti presento il famoso Alec!” disse Meredith rivolta a Jonathan che guardò il ragazzo.

“Piacere di conoscerti, io sono Jonathan, come avrai ben capito. Sono il giardiniere della villa e il marito di questa bellissima donna” e così dicendo diede un bacio alla moglie. Alec sorrise a quella bella scena che gli ricordò per un secondo i genitori dando ai suoi pensieri una vena malinconica. Poi il giardiniere si rivolse di nuovo verso il ragazzo, “Juliet ti cercava, è in giardino. È da quando sei salito che non fa altro che chiedere quando saresti sceso”.

“Grazie ci vado subito!” e uscì fuori. Subito davanti a lui c’era l’enorme piscina, gli girò intorno, gli sarebbe piaciuto fare un bel bagno ma sapeva che con le fasciature non poteva. Non ebbe il tempo di finire il pensiero che la piccola gli corse incontro con un grande sorrise stampato in faccia.

“Ho fatto questo per te”, e gli diede un disegno molto colorato raffigurante un ragazzo, forse lui pensò,  che teneva per mano una bambina, che sicuramente era lei, e vicino alla bambina vi era un cane nero. Le tre figure erano posizionate in un grande prato con in fondo un viale con degli alberi che sembravano quelli dell’entrata.

“Grazie  Juliet, è molto bello” disse guardando il disegno.

“Quelli siamo io e te, come due fratelli.” La bambina lo aveva preso per il suo fratello maggiore anche se sapeva che non lo era. La naturalezza della bambina fece sentire Alec a suo agio.

“Questo cane chi è?” chiese.

“Lui è Sasha, è mio” disse la bambina entusiasta.

“Hai un cane?” chiese Alec sorpreso perché non gli sembrava di aver visto nessun cane.

“Si, è mi. È molto grande e peloso”

“Dov’è adesso?” la bambina sembrò contenta della domanda e trascinandolo per una mano gli disse, “ Vieni, te lo presento”.

Juliet portò Alec davanti a un grande capannone degli attrezzi e chiamò il nome di Sasha. Dall’interno del capannone uscì un enorme cane nero che, scodinzolando, si accucciò per godersi le carezze della bambina.

“Lui è Sasha”, Alec vedendo l’animale sorrise.

“E’ molto bello”, il cane sentendo una voce sconosciuta si rivolse ad Alec e, scrutandolo con due enormi occhi gialli, gli abbaiò. Alec guardò Juliet.

“Non gli piacciono gli estranei” disse la bambina come per scusarsi del comportamento dell’animale. “Sasha buono” cercò di zittirlo “smettila. Sasha non è carino, basta.” Il cane obbediente smise di abbaiare ma comunque lo guardava mentre la bambina lo teneva per la pelliccia del collo e lo accarezzava.

“Scusalo, è che non è abituato ad avere intorno persone che non conosce” disse Juliet.

“Tranquilla è tutto a posto.”

Alec e Juliet rimasero in giardino tutto il pomeriggio. La bambina gli mostrò i suoi posti preferito e gli alberi dove si arrampicava. Sasha gli correva intorno giocando con lei e con Alec che ormai era entrato nelle sue simpatie. Risero insieme e giocarono finche non li venne a chiamare Meredith che era pronta la cena.

Cenarono e Juliet andò a letto contro la sua volontà, obbligata dalla madre. Dopo un po’ anche Alec, stremato ancora dal viaggio e da tutto quello che gli era successo, si ritirò nella sua stanza e si addormentò quasi subito. Mentre fuori era una notte buia e senza stelle, ma serena. Nel cielo la luna bellissima era ignara di tutte le cose che succedevano sulla Terra, brillava in cielo cosciente della sua bellezza e serenità.

 

 

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Capitolo 7
*** La ragazza della casa di fronte ***


La macchina di Martin sfrecciava nella notte diretta verso casa. La strada era buia e c’era molta nebbia che impediva la visuale. Alec era seduto dietro con il suo ipod e ascoltava distrattamente i discorsi dei genitori. Fuori dal finestrino non si vedeva altro che il nero della notte, non si distingueva il cielo per quanto fosse scuro.

Alec guardò fuori dal finestrino e si ritrovò improvvisamente davanti il volto del bambino misterioso con gli occhi di un rosso acceso e l’espressione di puro terrore. Spaventato da quella improvvisa e inaspettata apparizione indietreggiò sul sedile posteriore, spalancando gli occhi. Ma un secondo dopo il bambino era sparito lasciando una scia di nebbia bianca nello sfondo nero.

Dopo essersi calmato un pò, si rimise seduto e guardò i genitori che sembravano non essersi accorti di nulla. Tornò a sentire la musica.

La macchina seguiva ritmicamente il verso delle curve, sembrava che ballasse curvandosi prima a destra e poi a sinistra disegnando con i fari dei semicerchi di luce gialla.

Passata una brutta curva ad Alec venne una strana sensazione, come se sapeva che doveva succedere qualcosa. Infatti, proprio in quel momento, al centro della curva c’era una sagoma che, lentamente, si voltò verso di loro mostrando il suo aspetto. Alec lo riconobbe subito, era il bambino, quel bambino. Ma se ne accorse troppo tardi e non fece in tempo ad avvertire il padre …

 

Alec si svegliò di soprassalto mettendosi a sedere sul letto. Era sudato e aveva il respiro affannato, gli occhi spalancati. Si guardò intorno, era nella sua nuova stanza, era stato solo un sogno. Guardò l’orologio, erano le 10:30 di mattina. Frastornato ma consapevole che fosse tutto sotto controllo si alzò dal letto e, affacciatosi alla finestra, vide la piccola Juliet che correva ridendo nel prato inseguita da un’altra ragazza che afferrò la bambina e la prese in braccio.

Alec scese le scale, percorse il salone in penombra fino ad arrivare alla sala da pranzo, sembrava che in casa non ci fosse nessuno.

“Alec!” non fece in tempo ad uscire in giardino che Juliet gli corse incontro e lo abbracciò. Era impressionante come quella bambina si fosse affezionata a lui avendolo visto solo una volta.

“Ciao Juliet.”

“Vieni ti presento una mia amica!”, disse la bambina e gli indicò la ragazza.

“Ciao, io sono Alice” disse la ragazza, “Sono la vostra vicina di casa, la mia villa è proprio di fronte alla vostra.”

Alec sorrise alla ragazza, “Io sono Alec, mi sono trasferito ieri”.

Non poteva fare a meno di notare la semplicità della ragazza sia nel modo di vestire che nei modi di fare. Aveva i capelli biondi, gli occhi azzurri e un sorriso che ti metteva subito a tuo agio. Indossava un paio di jeans e un giacchetto bianco con sopra la scritta “London”.

Beatriz uscì in giardino e consegnò una busta a Alice, “Ecco qui, questo lo dai a tua madre”.

“D’accordo, grazie mille” poi rivolta ad Alec, “Ti va di accompagnarmi?”, gli chiese guardandolo dritto negli occhi e accennando un sorriso complice.

Il ragazzo ci pensò un attimo, “Sì, certo!”.

I due si incamminarono verso il cancello lasciando Beatriz e la piccola Juliet indietro. L’aria iniziava a farsi più calda, ma comunque era sempre piacevole sulla pelle.

“Allora, ti sei trasferito ieri, giusto? Come ti sembra questo posto?”, chiese Alice.

“Mi piace molto, la casa in confronto a quella dove vivevo prima è enorme, penso che ci metterò un po’ per abituarmi”, Alice sorrise, “però sento che c’è qualcosa di strano, non mi sento proprio a mio agio”, disse Alec confidandosi con la ragazza, prima o poi avrebbe dovuto dirlo a qualcuno e lei gli sembrava la persona giusta.

Alice lo guardò aggrottando le sopracciglia, “ in che senso strano? Che intendi dire?”

“Non lo so precisamente, forse è solo una mia sensazione”, disse, non era sicuro se parlare del bambino o no.

“Dai sono curiosa. Ti va di parlarne?” chiese lei interessata all’argomento. Alec guardò l’espressione che aveva la ragazza, sembrava davvero interessata, forse era solo per fare conversazione o dietro c’era qualcosa di più, Alec non lo sapeva, comunque proseguì, “No, è solo che … mi sembra di vedere qualcosa che in realtà non esiste”, Alice ora lo fissava e lui continuò, “ecco, vedo un bambino che non so chi sia, me lo sogno anche la notte e mi fa paura”.

“Forse è solo dovuto allo stress, magari lo hai già incontrato prima e ora pensi di vederlo ma in realtà lo stai solo ricordando e ti sembra reale”.

“No, io lo vedo, è lì. C’è veramente e poi cerca di dirmi qualcosa, ma c’è come una forza che glielo impedisce e poi sparisce nel nulla come era venuto”.

I due ora erano fermi e si guardarono un secondo negli occhi, Alec non riusciva a capire se gli credeva o no e vedendo che non diceva niente proseguì, “Io credo sia un fantasma”, distolse lo sguardo dalla ragazza e sorrise, “Ora crederai che sono matto”.

“No invece, io ti credo”, disse lasciando Alec di sasso.

”Credevo che dirlo a qualcuno sarebbe stato più difficile”, disse sorridendo il ragazzo.

Alice sorrise, “infatti lo sarebbe stato”.

La osservava con curiosità cercando di capire quello che diceva, se lo stava prendendo in giro o se gli credeva veramente, cosa che era alquanto strana perché lui per primo non credeva a quello che aveva visto. “Che intendi dire?Cioè tu …” poi ci riflettè un attimo, “Li vedi anche tu?”.

“Si, esatto”, disse lei con naturalezza, “hai iniziato a vederli dopo l’incidente vero?”.

Alec era sempre più confuso, “Si, come fai a saperlo?”

“Perché spesso le persone che fanno esperienze pre-morte o come si chiamano adesso extracorporee spesso dopo li vede”, disse come se per lei fosse una cosa normale, “sicuramente ti è successo questo”.

“Ma io non ricordo niente. Aspetta, tu come fai a sapere queste cose? Ti è successa la stessa cosa?” chiese sempre più incredulo.

“No, però …”.

“Però cosa?” chiese impaziente.

“Io sono una strega, per questo posso vederli”, non sapeva in che altri modi dirglielo, si rendeva conto che sicuramente non gli avrebbe creduto. Alec rimase spiazzato dalla disinvoltura con cui la ragazza aveva detto quella cosa così assurda e scoppiò a ridere.

“Tu sei cosa?” disse prendendola in giro.

“Senti, lo so che è strano, ma pensa a quello che ti sta succedendo, come fai a essere scettico? Lo stai vivendo tu stesso.” Poi aspettò la reazione di Alec che non tardò ad arrivare.

“Dici sul serio?” chiese, ora serio.

“Si, come te lo devo far capire, non ho altri modi per dirtelo.”

“Ok, ehm … quindi se quello che mi dici è vero, quello potrebbe essere veramente un fantasma, giusto?”

“Esattamente!”

“Che ci fa in casa di mia zia?” ora l’espressione di Alec era disperata, non era pronto per una cosa del genere, aveva sempre creduto che il soprannaturale non esistesse e ora che aveva le prove certe non era sicuro se voler sapere la verità o no. Era spaventato.

“Questo non lo so. Ti posso solo dire che il bambino magari prima viveva in quella casa, quindi il suo spirito è rimasto intrappolato li, magari è legato a qualche oggetto, o forse a qualcos’altro, non te lo so dire.”

“Fantastico, non c’è un modo per scoprirlo.”

“Bisognerebbe conoscere la storia di quella casa, potresti chiedere a tua zia.” Da quello che aveva detto Alice si capiva che il bambino era morto all’interno della villa, chissà in quale tragico modo. In quel momento un vento freddo mosse le fronde degli alberi facendo cadere delle foglie, era strano che un posto così bello potesse nascondere una cosa così orribile.

“Se vuoi noi possiamo aiutarti. La mia famiglia tratta queste cose da sempre.” Disse la ragazza. “Ti va di venire a casa mia? Possiamo iniziare a cercare qualcosa”.

“Va bene. Anche gli altri della tua famiglia sono stregoni?”

“Mia madre si, invece mio fratello è telepatico”, disse Alice poi si spiegò meglio “vuol dire che può parlare con le persone attraverso il pensiero, se il rapporto con una persona è più forte riesce a trasmettere anche delle immagini e delle emozioni”. Poi guardò Alec che la osservava incuriosito, era la prima persona con cui parlava della sua famiglia e non aveva pensato all’effetto che poteva dare la sua storia a una persona che non aveva mai avuto esperienze del genere. “Non mi credi vero?”

“Dammi un motivo per farlo, mi stai dicendo un sacco di cose assurde”, disse Alec.

“Invece il fatto che tu vedi i fantasmi non è assurdo, vero?” Alec a quelle parole rimase in silenzio. In effetti era vero, se lui vedeva i fantasmi, perché lei non poteva essere una strega. Anche se era assurdo, in realtà questa situazione lo affascinava. Aveva sempre creduto di essere un ragazzo normale, come tutti gli altri, facendo tutti i giorni le stesse cose. Invece non era così, la sua vita ora era completamente cambiata ma per il momento non sapeva se questo era positivo o no.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** A casa di Alice ***


La casa di Alice si trovava, come aveva detto la ragazza, di fronte a quella di Beatriz. Era una villa analoga, con il giardino e il viale con gli alberi. L’unica differenza era che quella di Alice aveva un’enorme quercia che doveva avere almeno cento anni, era molto bella.

Dentro la casa l’ambiente era classico, con mobili d’epoca.

La ragazza invitò Alec ad entrare : “vuoi qualcosa da mangiare?”.

“No, grazie. Sto bene.”

“Dean!” urlò Alice chiamando suo fratello.

“Dean vieni, ti presento una persona.”

“Eccomi, non serve che strilli, non sono sordo.” La voce arrivò dal piano superiore. Dalle scale scese un ragazzo dal fisico slanciato che con passo atletico arrivò davanti a loro. Era molto giovane, forse più piccolo di Alice. Aveva i capelli castano chiaro, più sul biondo e gli occhi verde smeraldo.

“Buongiorno sorella, ti sei degnata di tornare a casa.” Disse il ragazzo provocando la sorella.

“Fai poco lo spiritoso e porta questo in cucina.” Disse Alice dandogli la busta, lanciandogliela più che altro. Dean guardò Alec e sembrò accorgersi per la prima volta della sua presenza e lo scrutò con attenzione.

“Lui è Alec, Alec mio fratello Dean”, disse Alice velocemente.

“Alec il nostro nuovo vicino?” chiese Dean.

“Si, piacere di conoscerti.”

“Il piacere è mio”, disse Dean continuando a fissarlo. Alec si sentiva come se il ragazzo lo stesse studiando da dentro, come se gli stesse osservando l’anima e questo lo fece sentire a disagio.

Poi Dean aggiunse: “Che ci fa qui?” chiese alla sorella.

Alice lo guardò in cagnesco, “non essere scortese. Ha bisogno del nostro aiuto.”

“Del nostro aiuto? Perché, qual è il problema?” chiese Dean.

“Vedo i fantasmi”, disse Alec e Dean si distrasse dalla sorella per riportare lo sguardo sul nuovo arrivato. Continuò, “continuo a vedere un bambino e sono convinto che voglia dirmi qualcosa, mi chiede aiuto, ma poi sparisce.”

Dean ora lo guardava non più come uno sconosciuto, ma come uno di loro, un diverso, uno con poteri simili ai loro. “Fammi indovinare, ti è iniziato dopo l’incidente, vero?” chiese.

“Si, esattamente”.

“Interessante … “ disse Dean.

“Si, molto. Vieni Alec ti mostro una cosa”, disse Alice conducendo il ragazzo dentro una stanza della casa. L’ambiente che si presentava era in penombra, c’era una grande finestra, ma era coperta con delle tende. Al centro c’era un tavolo con uno strano disegno sopra una stella a cinque punte. Sopra ogni punta c’era una candela spenta e al centro un vassoio vuoto. In fondo c’era una libreria piena di libri antichi, rovinati e impolverati. In un angolo c’era un vaso con delle rose nere. Ma l’attenzione di Alec si concentrò sulla parete di destra, dove c’era disegnata una quercia con tantissimi rami con sopra scritti dei nomi.

“Che cos’è?”, chiese incuriosito.

“L’albero genealogico della mia famiglia. Di tutta la mia famiglia, da quando è nato il mio primo antenato.” Disse Alice, poi guardò il ragazzo visibilmente impressionato da tutto questo, “Ora mi credi”.

 

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Capitolo 9
*** Uno strano incidente ***


Dalla cucina si sentiva odore di dolci. Meredith, infatti, era stata tutto il pomeriggio a cucinare. Aveva fatto una crostata di ciliegie e vari dolcetti al cioccolato e nocciole, che dall’aspetto erano veramente invitanti.

Gli era sempre piaciuto cucinare, da quando era piccola che si divertiva con la madre a pasticciare con i vari ingredienti per le polpette in particolare, che erano il suo piatto preferito.

Aveva appena messo la crostata in forno e stava lavando le pentole, quando sentì un rumore, quasi impercettibile, provenire dal fondo del salone. Dato che in casa c’erano solamente lei e Beatriz che riposava nella sua stanza, andò a controllare.

Quando entrò nel salone scoprì la fonte di quel rumore: era la televisione accesa che però non aveva segnale e gracchiava con il suo lamento flebile. La cosa strana era che nel salone non c’era nessuno a parte lei. Possibile che si fosse accesa da sola?

Nonostante la sua perplessità prese il telecomando sul divano e la spense. Con un’espressione confusa tornò in cucina e continuò i suoi lavori.

Non passò neanche un minuto che la luce della lampadina iniziò a spegnersi e ad accendersi ininterrottamente fino a fulminarsi, lasciando la stanza al buio.

Meredith si guardò intorno e, tastando con le mani, cercò di raggiungere il cassetto per prendere una torcia. Quando sentì qualcosa che le sfiorava il braccio, spaventata, scattò indietro e andò a sbattere contro la credenza.

“Chi c’è?” gridò spaventata. Un cassetto si aprì improvvisamente colpendola in testa e stordendola. Si rialzò a fatica, aveva il cuore in gola, la testa le pulsava per la botta.

Si girò verso il frigorifero sentendo lo sportello che si apriva lentamente. Il silenzio assordante sceso improvvisamente nella stanza, era rotto solamente dal flebile cigolio emesso dall’ anta che si apriva mostrando la luce all’interno che sembrò abbagliante in quel buio inquietante. Poi successe l’inferno: i cassetti iniziarono ad aprirsi e chiudersi, la sveglia del forno iniziò a suonare, l’acqua scorreva veloce dai lavandini, i vasi che stavano sulla credenza contenenti le varie spezie caddero a terra rompendosi.

Meredith urlò con tutte le sue forze. La paura che la avvolse in quel momento, come non le era mai successo in tutta la sua vita, fu accompagnata da una sensazione di freddo che le entrò nelle ossa impedendole di respirare.

 La cuoca si alzò, non senza sforzo, combattendo contro al paura. Un piatto che partì dalla credenza aperta e attraversò la stanza lanciato da una forza invisibile, la colpì in testa, provocandole uno spacco profondo da dove uscì molto sangue, e la cuoca cadde a terra svenuta.

 

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Capitolo 10
*** Segreti ***


Alec quella sera tornò a casa tardi. Sasha abbaiava contro la porta di casa apparentemente senza motivo, Alec non aveva mai amato più di tanto i cani quindi non si era mai preoccupato di capirne i comportamenti.

Sul corridoio incontrò Jonathan che stava uscendo e gli raccontò l’accaduto. Era per quello che il cane abbaiava? Forse.

Andò in cucina per un bicchiere d’acqua e incontrò Beatriz, era seduta davanti al caminetto spento e fissava il vuoto.

“Zia?” Beatriz sembrò risvegliarsi da un brutto sogno, “Non riesci a dormire?”.

“Sono solo preoccupata” disse senza tanto entusiasmo.

“Meredith si riprenderà presto, devi stare tranquilla” cercò di rassicurarla.

“Non è per Meredith che sono preoccupata”.

“Davvero? E per cosa allora?” chiese il ragazzo.

Beatriz alzò gli occhi verso di lui e lo guardò intensamente, uno sguardo che Alec non riuscì ad interpretare.

“Siediti” disse “ora che vivi qui è giusto che anche tu sappia”.

Alec si sedette sostenendo lo sguardo della zia. Beatriz si concentrò sul caminetto immaginando un fuoco caldo che bruciava la legna facendola diventare cenere.

“Questa casa ha qualcosa di malvagio. È da un pò che lo percepisco.” Alec era attento a ogni singola parola, senza perdersi neanche una virgola.

Beatriz proseguì, “succedono cose strane. All’inizio credevo che fossero solo mie fantasie, ma ora che Meredith è in ospedale …”

“Che tipo di cose?” chiese Alec.

“Mi sembra di sentire delle voci venire dalle pareti, luci che si affievoliscono e poi improvvisamente sento freddo come se si fosse aperta una finestra ma controllo e sono tutte chiuse. Forse sto solo impazzendo.”

“Sono sicuro che non è così. Ci deve essere una spiegazione.” Anche lui sperava che ci fosse.

 

Quella notte Alec si svegliò improvvisamente, qualcuno stava urlando. Sembrava la voce di un bambino. Alec scese dal letto e decise di seguire la voce, doveva scoprire cosa stava succedendo in quella casa.

Scese le scale buie e entrò nella sala da pranzo. Fu spaventato da una figura nera che lo fissava dalla finestra a vetri, era solo Sasha ma i suoi occhi erano di uno strano colore rosso. Chissà se era vero che i cani percepivano gli spiriti.

Ecco un altro urlo, Alec si distrasse dalla figura alla finestra e continuò la sua ricerca. La voce lo portò davanti a un muro. Era antico e non era stato ridipinto come il resto della casa, il suo colore era di un panna sporco con delle macchie in basso. Alec lo fissò per un lungo periodo di tempo, li dietro doveva esserci il segreto di quella casa misteriosa.

Alec intravide una fessura sul muro, era un serratura. Quella doveva essere stata una stanza una volta. Le urla cessarono improvvisamente lasciando il posto a un silenzio ancora più inquietante.

Non riuscì a dormire quella notte, i misteri di quel posto lo spaventavano e lo incuriosivano da morire. Doveva sapere di più su quella casa, quindi passò la notte facendo ricerche. Su internet non c’era niente sulla casa, ma scoprì che uno dei suoi vecchio abitante era ancora vivo, un certo Zack Ross. Doveva incontrarlo, lui avrebbe fatto luce su tutto, forse era l’unico a poterlo fare.

 

 

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