Angelo senza ali di vale winchester (/viewuser.php?uid=161547)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Dall'altra parte del filo ***
Capitolo 3: *** Il risveglio ***
Capitolo 4: *** Una nuova vita ***
Capitolo 5: *** Il bambino dagli occhi verdi ***
Capitolo 6: *** Black Dog ***
Capitolo 7: *** La ragazza della casa di fronte ***
Capitolo 8: *** A casa di Alice ***
Capitolo 9: *** Uno strano incidente ***
Capitolo 10: *** Segreti ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Martin Crow era
alla
guida della sua Ford Fusion e parlava con sua moglie Linsbeth, mentre
suo
figlio Alec era distratto dal suo ipod.
Erano le 23.30,
stavano tornando da una cena passata insieme ad amici e si erano
divertiti
molto tra battute e discorsi di lavoro.
“Sai
amore, dobbiamo
farle più spesso queste cene, sono stata davvero
bene” disse Linsbeth. Martin
sorrise “anch’io tesoro,” e diede uno
sguardo allo specchietto retrovisore per vedere
il figlio, poi tornò a guardare la strada.
“Possibile
che sta
sempre con quel coso nelle orecchie? Non ci sta più con
noi.” Disse Martin.
Linsbeth si
girò per
guardare il figlio, poi guardò il marito “Non puoi
pretendere che stia con noi,
non è più un bambino. E poi che fastidio ti
da?”
“Sta
sempre nel suo
mondo, praticamente con noi ci sta solo a pranzo e a cena. Non ti
sembra
esagerato?” disse Martin.
“No”
rispose Linsbeth
guardando il marito, “e poi abbiamo passato una bella serata,
non ce la roviniamo.”
Martin la
guardò e
sorrise avvicinandosi a lei per baciarla e lei fece lo stesso. Le loro
labbra
si avvicinarono e si toccarono dolcemente in un bacio. “Ti
amo” disse Linsbeth.
“Anch’io” disse Martin, ma non fece in
tempo a finire la frase che …
“Martin
attento!”
Aveva gridato Linsbeth. Martin si rigirò di scatto verso la
strada, in tempo
per vedere un cervo che stava fermo proprio al centro della curva.
Girò
bruscamente il volante cercando di evitarlo, ma invece lo prese in
pieno. Il
sangue dell’animale schizzo sul vetro della macchina. Martin
perse il controllo
del veicolo che finì fuori strada precipitando
giù per un burrone e andando a
sbattere contro un albero.
Lo schianto
provocò un
botto fortissimo e poi … silenzio.
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Capitolo 2 *** Dall'altra parte del filo ***
Alec non sentiva
dolore, non sentiva più niente, era come se il suo corpo non
ci fosse più. Era
una sensazione strana che gli dava l’idea di essere in una
dimensione parallela
e in un certo senso era così. Era in alto, questo lo capiva
dalla prospettiva
che gli si presentava e dal fatto che delle persone vedeva prima la
testa e
sotto le gambe quando camminavano. Era in una stanza, la luce era forte
e anche
se non gli faceva male agli occhi comunque lo costringeva a tenerli
mezzi
chiusi. Si guardò intorno: c’erano delle persone
vestite di verde con delle
mascherine che stavano intorno a quello che sembrava un tavolo
ricoperto da un
lenzuolo altrettanto verde.
Solo dopo
capì che
stava in ospedale, che quelli erano medici e che probabilmente sotto a
quel
lenzuolo c’era una persona. All’inizio Alec credeva
di essere in un sogno, ma
la sensazione era troppo intensa. Non era decisamente un sogno.
Da dove si
trovava
riusciva a vedere un viso sotto al lenzuolo. Non credeva ai suoi occhi.
Quello
era lui, il suo viso era pieno di graffi. Era sempre più
confuso. Cosa stava
succedendo? Perché era in ospedale? Non ricordava niente ed
era spaventato
dalla forte sensazione che aveva. Era come se una forza cercasse di
strapparlo
a quell’ambiente per portarlo chissà dove. Alec
combatteva questa forza, voleva
rimanere li per paura di andare in un
qualsiasi altro posto.
In un certo
senso
stava bene li, non sentiva dolore e non doveva preoccuparsi di niente,
la vita
sembrava così facile vista da li, era quasi in uno stato di
estasi. Ma la forza
che cercava di portarlo via era sempre più potente e per
Alec diventava sempre
più difficile contrastarla. Era finita, lo sapeva, non
avrebbe resistito oltre.
Fu in quel
momento che
nella stanza entrò una figura femminile. Non era,
però, entrata dalla porta
aprendola, ma ci era passata attraverso. La figura guardava lui, Alec
non
sapeva chi fosse ma comunque sapeva di potersi fidare di lei, anche se
non
sapeva perché. La figura gli si avvicinò, alzando
la testa per guardarlo negli
occhi e, senza dire
niente, tese una
mano nella sua direzione mentre sorrideva e annuiva dolcemente con la
testa.
Alec non esitò un solo secondo e afferrò la mano.
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Capitolo 3 *** Il risveglio ***
“Alec
… Svegliati …”
Alec
aprì debolmente
gli occhi e si ritrovò davanti la figura sfocata di sua zia
Beatriz, la sorella
di sua madre. Era sempre stata una bella donna anche adesso che aveva i
suoi
cinquant’anni. Era una donna elegante con i lunghi capelli
castani e gli
allegri occhi azzurri. Beatriz appena vide che Alec aveva aperto gli
occhi fece
un grande sorriso e prese tra le mani quella fredda del ragazzo.
“Bravo
Alec, così,
apri gli occhi.”
Alec mise a
fuoco la
figura che aveva davanti. “Zia” disse debolmente,
quasi senza voce. “Ciao Alec”
rispose lei quasi con le lacrime agli occhi “come ti senti,
tesoro?”
“Mi fa
male la testa.”
Beatriz annuì. “Dove sono?”
“Sei
in ospedale”
“Cos’è
successo?”
chiese il ragazzo.
“Avete
avuto un brutto
incidente stradale. Non te lo ricordi?”
“No
… “ poi fece una
breve pausa per riflettere. “Mamma e papà stanno
bene?”
A quella domanda
Beatriz cambiò espressione. Sapeva che prima o dopo il
ragazzo l’avrebbe
chiesto ma questo momento era arrivato molto prima di quanto se lo
immaginasse.
Come avrebbe potuto dirglielo senza farlo soffrire più di
quanto già soffriva?
Ma non poteva nasconderglielo, quindi decise di esporre i fatti
così come erano
senza tanti giri di parole. “Alec …
l’incidente è stato molto brutto e
l’impatto con l’albero molto forte … i
tuoi genitori non ce l’hanno fatta. Mi
dispiace.”
Alec si
sentì crollare
il mondo addosso. I suoi genitori non c’erano più,
era rimasto solo. Gli occhi
gli si riempirono di lacrime e pianse forte. La zia lo
abbracciò cercando di
consolarlo in qualche modo, anche se sapeva che era impossibile. Ci fu
un lungo
silenzio interrotto solo dai singhiozzi del ragazzo.
“Perché
io mi sono
salvato e loro no?” disse come se fosse stata colpa sua.
“Non
devi sentirti in
colpa. Loro erano seduti davanti e l’impatto è
stato più forte per loro.”
Non
doveva succedere, perché? Era
l’unico pensiero che aveva al momento. Non era giusto, i
suoi genitori erano persone buone, non davano fastidio a nessuno. Perché loro?
“Adesso
che farò?” chiese alla zia,
ancora con le lacrime.
“Verrai
a vivere con me, se ne avrai
voglia. La casa è grande e penso che sia giusta per te. Che
ne dici, ti va?”
“Si,
grazie.” Almeno qualcuno si
sarebbe preso cura di lui. Anche se non avrebbe mai sostituito i suoi
genitori.
Questo lo sapeva anche Beatriz, però avrebbe fatto di tutto
per far sentire il
ragazzo a casa sua e in famiglia.
In quel momento
entrò un’infermiera
che sorridendo chiese ad Alec come si sentiva. “Bene,
però mi gira la testa.”
“Questo
è normale. Hai sbattuto
forte. Comunque l’operazione è andata bene, fra
meno di un mese potrai uscire.”
Almeno una consolazione, certo non aveva intensione di rimanere li
dentro più
di tanto. Quel posto non gli dava sicurezza, e poi ripensava a quella
forza,
che ricordava vagamente, che voleva rapirlo e alla donna che lo aveva
aiutato,
che non sapeva chi fosse e tantomeno se l’avrebbe incontrata
ancora, ma
comunque le era grato. Quella mano confortante, che l’aveva
aiutato in un
momento difficile, forse era quella di un angelo. Magari quella del suo
angelo
custode. Ma molto presto avrebbe scoperto che non era un angelo, ma
ben’altro.
Qualcosa di malvagio che da quel momento in poi si era insinuato nella
sua vita
e non ne sarebbe più uscito.
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Capitolo 4 *** Una nuova vita ***
La casa di
Beatriz era
in realtà una villa a due piani con un giardino enorme. La
macchina si fermò
davanti a un cancello con ai lati due colonne su cui erano posati due
leoni. I felini
scrutavano il visitatore come per dire “sei il benvenuto, ma
se approfitti
dell’ospitalità che ti diamo te la faremo
pagare.”
Il cancello
iniziò ad
aprirsi, evidentemente chi lo aveva aperto aveva visto la macchina
dalla
telecamera attaccata alla colonna di destra. Il cancello si apriva
lentamente
mostrando ad Alec il meraviglioso giardino che circondava la villa. La
macchina
avanzava su un viale costeggiato di pini alti più o meno
cinque metri ciascuno.
Guardando oltre gli alberi si stagliava un enorme prato ben curato,
questo dava
per scontato che qualcuno se ne prendesse cura ogni giorno. Proprio di
fronte a
loro c’era la villa in tutto il suo splendore.
Beatriz
parcheggiò la
macchina in uno spiazzale a destra della porta principale. I due
scesero. Alec era
sempre più sorpreso di tutto questo. La zia avvicinandosi
gli mise una mano
sulla spalla e gli sorrise. “Benvenuto a casa! Spero che ti
troverai bene qui”,
disse. Alec gli rispose con un sorriso e i due si incamminarono verso
la porta.
Mentre si avvicinavano lo sguardo di Alec fu catturato da una figura in
movimento. Quando riuscì a focalizzarla bene vide che era un
bambino che
correva nel prato. La figura aveva i contorni sfocati come se non fosse
materiale ma un’illusione e poi con i piedi non toccava per
terra. A un tratto
il bambino si fermò per guardare Alec, come se fosse
sorpreso del fatto che
qualcuno lo guardasse. I due si fissarono. “Alec?”
Alec sobbalzò alla voce
della zia che lo chiamava. “Vieni?”. Alec si
rigirò di nuovo nella direzione
del bambino ma lui non c’era più. Scosse la testa
come per riportarsi alla
realtà, pensando che fosse stato solo frutto della sua
immaginazione.
“Si,
arrivo!”, disse e
corse verso la zia che nel frattempo aveva aperto la porta e lo
invitava a
entrare.
Entrato nella
villa,
Alec, non poteva fare a meno di osservare l’ambiente che lo
circondava,
meravigliato dalle dimensioni e dall’eleganza.
Davanti a lui si
apriva un enorme salone illuminato dai raggi del sole che entravano da
tre
grandi finestre. Il pavimento era a parquet come il resto della casa.
La forma
del salone era ottagonale e per terra c’era un grande
tappeto, decorato con
quelli che sembravano antichi disegni indiani, che aveva la stessa
forma del
salone, ma essendo più piccolo non ne copriva la superficie
completa.
Nel salone non
vi
erano mobili, eccetto per un appendiabiti situato a destra della porta
d’ingresso.
In fondo al
salone
c’era un arco che portava in un’altra stanza,
probabilmente la sala da pranzo,
da cui fece il suo ingresso un uomo anziano ma
che non dimostrava i segni del tempo. L’uomo,
che dopo Alec scoprì avere
il nome di Arthur, disse rivolto a Beatriz: “Bentornata,
Madame” e poi a Alec:
“Tu devi essere Alec?” e gli allungò la
mano destra che Alec afferrò,
“Benvenuto a Villa Arcadia”.
Alec si
sentì
lusingato e sorrise a quel signore che già gli era simpatico
e che in seguito
sarebbe stato come un padre per lui.
“Arthur,
ci sono da
prendere le valigie in macchina, portale direttamente su in camera, se
non ti
dispiace”, disse Beatriz.
“Ma
certo Madame, vado
subito”.
I due guardarono
l’uomo
mentre usciva dalla porta diretto in macchina.
“Lui
è Arthur, il
nostro maggiordomo”, lo informò Beatriz.
“E’ simpatico”, disse Alec.
“Si,
è vero. Poi è una
persona di cui ci si può fidare. Stai tranquillo che se gli
racconti i tuoi
segreti non li racconterà mai a nessuno”. Disse
Beatriz, poi sospirò. “Bene,
ora ti faccio fare il giro della casa e ti faccio conoscere gli altri,
ti va?
Poi ti mostro la tua stanza”.
“Si,
va bene”, rispose
Alec sempre più entusiasta.
La seconda
stanza che
vide fu la sala da pranzo, situata dietro l’arco. Era grande,
più grande della
prima. Al centro c’era un tavolo rettangolare a dodici posti
fatto di legno e
con delle sedie anch’esse di legno che dava alla stanza
l’aspetto di un antico
castello.
C’era
una grande
porta-finestra situata sul lato destro che si apriva su uno spiazzale
con
un’ampia finestra, delle sdraie e alcune palme tutte intorno.
La porta-finestra
era aperta e vi entrava una leggera brezza primaverile che soffiava
delicata
sulla pelle.
A sinistra del
salone,
invece, c’era l’angolo cucina con al centro un
isolotto con due lavandini e un
ampio piano. Situato a semicerchi intorno all’isolotto
c’era un altro piano con
i fornelli, il frigorifero, il forno e la credenza.
“Questa
è la sala da
pranzo, dove di solito ci riuniamo tutti. Ricordati che ora questa
è anche casa
tua e sei libero di fare quello che vuoi”
“Questa
casa è
immensa!” Disse Alec e Beatriz rise a quelle parole,
“mi ci vorrà del tempo per
abituarmici” disse Alec.
“Avrai
tutto il tempo
che ti serve per conoscerla. Vieni, ti faccio vedere la Sala dei
Libri”
“La
Sala dei Libri”
chiese Alec.
“Si,
ti piace
leggere?” e dicendo questo si avvicinò a una porta
a due ante e la spalancò.
Alec rimase a bocca aperta entrandovi dentro e gli occhi gli
brillavano. Le
pareti della stanza erano ricoperte di scaffali stracolmi di libri di
tutte le
dimensioni e i colori. La stanza aveva due piani collegati da una scala
a chiocciola.
Per il secondo piano c’era un balconcino usato per prendere i
libri. L’ambiente
era luminoso, un vero paradiso per gli amanti della lettura.
Beatriz guardava
l’espressione che si era disegnata sulla faccia di Alec,
“Ti piace?” gli
chiese.
“Tantissimo.
Posso
leggerli?” chiese.
“Certo
che puoi! Tutti
quelli che vorrai.”
“Allora
credo che qui
dentro ci passerò molto tempo”.
Beatriz sorrise,
“
Finalmente qualcuno a cui piace leggere. Qui dentro l’unica
che legge sono io.
Finalmente potrò parlare con qualcuno dei miei libri. Ora
vieni, ti faccio vedere
il piano di sopra”, Beatriz uscì dalla stanza e
aspettò Alec che era catturato
da quella quantità enorme di libri. Non ne aveva mai visti
così tanti tutti insieme.
Quando uscirono
una
bambina corse verso di loro e saltò in braccio a Beatriz che
la prese in
braccio e l’abbracciò forte. Scioltasi
dall’abbraccio la bambina guardò Alec e
rivolta alla madre, “ Mamma lui è Alec?”
“Si,
Juliet ti
presento Alec, Alec lei è mia figlia Juliet”
“Ciao
Juliet”, la
salutò Alec.
“Ciao.
Vuoi venire a
giocare con me?” chiese la bambina entusiasta di avere
qualcuno più grande con
cui giocare. Fu Beatriz a rispondere, “dopo tesoro, ora
faccio vedere a Alec la
sua stanza e dopo potrà giocare con te, se ne
avrà voglia”. Il sorriso sul
volto della piccola scomparve all’improvviso, scontenta delle
parole della
madre. “Perché non vai a fare un bel disegno?
Così poi potrai regalarglielo”.
Juliet, sorridendo di nuovo, corse saltellando a prendere dei fogli.
Il piano
superiore era
costituito da un lungo corridoio su cui si affacciavano diverse porte.
“Infondo
c’è in bagno”
lo informò Beatriz indicando una porta. “Queste
sono le camere da letto mia, di
mia figlia e dei domestici”. Poi indicando una porta
“ questa sarà la tua” e la
aprì. Era abbastanza grande. Appoggiato a una parete
c’era un letto a una
piazza e mezza con sopra quattro cuscini colorati. A ridosso della
parete
opposta c’era l’armadio e sotto un’ampia
finestra c’era una scrivania. Alec
appena la vide la sentì subito sua. Le sue due valigie erano
già state messe
vicino al letto.
“Ora
ti lascio un pò
da solo, scendi quando vuoi” detto questo Beatriz
uscì dalla stanza, lasciando
Alec da solo.
Stanco dal
viaggio si
sdraiò sul letto e nell’arco di poco tempo si
addormentò.
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Capitolo 5 *** Il bambino dagli occhi verdi ***
Fu svegliato,
un’ora
dopo, da dei rumori provenienti da fuori la porta della sua stanza,
come dei
passi che si avvicinavano. Si tranquillizzò pensando che
fosse qualcuno della
casa, forse la stessa Beatriz. A un tratto la porta della sua camera si
aprì lentamente
cigolando, Alec si girò ma notò con sorpresa che
nessuno l’aveva aperta. Si
alzò dal letto e si affacciò sul corridoio, non
c’era nessuno. Sentì nuovamente
i passi però stavolta dietro di lui, provenienti
dall’interno della stanza e,
sempre più sorpreso, si girò, stavolta
più velocemente. Quello che vide lo
spaventò tanto da farlo indietreggiare e sbattere contro la
porta semi aperta.
Proprio davanti a lui c’era quel
bambino, quello che aveva visto prima correre nel prato. I capelli
biondi erano
scompigliati, gli occhi verdi, indossava un pigiama con disegnato sopra
un
orsetto. Lo guardava e lui non sapeva cosa fare. Non capiva come era
entrato li
e perché i suoi contorni erano sfocati e quasi fosforescenti
nella leggera
penombra della stanza.
“Tu
chi sei?” Chiese
Alec. Il bambino sembrò sorpreso del fatto che Alec era
rivolto proprio a lui e
con fare interrogativo chiese, “Puoi vedermi?” ma
più che una domanda sembrava
più un’esclamazione.
“Certo
che ti vedo.
Perché non dovrei?” Alec non capiva il senso di
quelle parole così assurde.
“Perché
io sono morto”
disse con disinvoltura il piccolo.
A quelle parole
Alec
rimase completamente paralizzato. Aveva percepito qualcosa di strano,
diverso,
in quel bambino, ma non voleva credere alle parole che erano uscite da
quella
bocca esile e impaurita, quelle parole che il bambino aveva pronunciato
con una
naturalezza quasi sconvolgente.
“Cosa?
Tu … tu sei
morto?” Chiese al bambino, “Ma che
assurdità dici? Tu sei qui, io ti vedo. Se
fossi morto non ti vedrei, anzi non esisteresti e basta.” E
così dicendo
accennò un sorriso che però sparì
immediatamente.
Poi pensandoci
Alec
giunse a una spiegazione per quanto surreale che fosse e impossibile.
“Sei un
fantasma” disse in fine. A quel punto si aspettava che il
bambino scoppiasse a
ridere prendendolo in giro per aver creduto al suo scherzo, ma non
successe. La
figura già sfocata del bambino iniziò a
scomparire e a riapparire, come se tra
lui e la realtà della stanza ci fosse un falso contatto.
Alec aggrottò le
sopracciglia non capendo niente di quello che stava succedendo.
“Oh no
… no!” disse il
bambino guardando il suo corpo che scompariva, poi con
un’espressione di
supplica si rivolse a Alec, “Aiutami ti prego!” la
faccia del piccolo si era
ora tramutata in una smorfia di puro terrore,
“Aiutami!” questa volta l’aveva
urlato. Cercò di allungare una mano verso Alec, ma lui
terrorizzato non
riusciva a muoversi e non l’afferrò. A un tratto
il bambino sparì lasciando
Alec a guardare la stanza ora vuota.
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Capitolo 6 *** Black Dog ***
Quando si
riprese
dallo shock corse fuori dalla stanza e scese velocemente le scale
ritrovandosi
nell’ampio salone che, dopo quello che aveva visto, aveva
quasi un aspetto
tetro. Forse l’effetto era dato anche dalla luce, che era
cambiata a causa del
tramonto, che gli dava una sfumatura sull’arancio.
Calmatosi un
po’ Alec
entrò in sala da pranzo.
“Tu
devi essere Alec”
il ragazzo sobbalzò a quella voce inaspettata. Intenta a
cucinare c’era una
donna sui quarant’anni un po’ grassa che lo
guardava sorridendo. Aveva i
capelli castani e gli occhi neri, sulla guancia destra aveva una strana
cicatrice di cui Alec ignorava la natura.
“Si”
rispose a quella
signora che riuscì per un po’ a distrarlo da tutto.
“Ciao,
io sono
Meredith, la cuoca!” si presentò, poi rivolta
verso la porta-finestra strillò
un nome, “Jonathan!”.
Dal giardino
giunse
una seconda voce, “Si tesoro, cosa
c’è?” era una voce maschile.
“Vieni
un secondo in
cucina!” strillò di risposta la donna. Nella sala
entrò un uomo in tuta da
lavoro. Aveva i capelli brizzolati e si avvicinò a Meredith
cingendole i
fianchi con il braccio.
“Ti
presento il famoso
Alec!” disse Meredith rivolta a Jonathan che
guardò il ragazzo.
“Piacere
di
conoscerti, io sono Jonathan, come avrai ben capito. Sono il
giardiniere della
villa e il marito di questa bellissima donna” e
così dicendo diede un bacio
alla moglie. Alec sorrise a quella bella scena che gli
ricordò per un secondo i
genitori dando ai suoi pensieri una vena malinconica. Poi il
giardiniere si
rivolse di nuovo verso il ragazzo, “Juliet ti cercava,
è in giardino. È da
quando sei salito che non fa altro che chiedere quando saresti
sceso”.
“Grazie
ci vado
subito!” e uscì fuori. Subito davanti a lui
c’era l’enorme piscina, gli girò
intorno, gli sarebbe piaciuto fare un bel bagno ma sapeva che con le
fasciature
non poteva. Non ebbe il tempo di finire il pensiero che la piccola gli
corse
incontro con un grande sorrise stampato in faccia.
“Ho
fatto questo per
te”, e gli diede un disegno molto colorato raffigurante un
ragazzo, forse lui
pensò, che
teneva per mano una bambina,
che sicuramente era lei, e vicino alla bambina vi era un cane nero. Le
tre
figure erano posizionate in un grande prato con in fondo un viale con
degli
alberi che sembravano quelli dell’entrata.
“Grazie Juliet, è molto
bello” disse guardando il
disegno.
“Quelli
siamo io e te,
come due fratelli.” La bambina lo aveva preso per il suo
fratello maggiore
anche se sapeva che non lo era. La naturalezza della bambina fece
sentire Alec
a suo agio.
“Questo
cane chi è?”
chiese.
“Lui
è Sasha, è mio”
disse la bambina entusiasta.
“Hai
un cane?” chiese
Alec sorpreso perché non gli sembrava di aver visto nessun
cane.
“Si,
è mi. È molto
grande e peloso”
“Dov’è
adesso?” la
bambina sembrò contenta della domanda e trascinandolo per
una mano gli disse, “
Vieni, te lo presento”.
Juliet
portò Alec
davanti a un grande capannone degli attrezzi e chiamò il
nome di Sasha.
Dall’interno del capannone uscì un enorme cane
nero che, scodinzolando, si
accucciò per godersi le carezze della bambina.
“Lui
è Sasha”, Alec
vedendo l’animale sorrise.
“E’
molto bello”, il
cane sentendo una voce sconosciuta si rivolse ad Alec e, scrutandolo
con due
enormi occhi gialli, gli abbaiò. Alec guardò
Juliet.
“Non
gli piacciono gli
estranei” disse la bambina come per scusarsi del
comportamento dell’animale.
“Sasha buono” cercò di zittirlo
“smettila. Sasha non è carino, basta.”
Il cane
obbediente smise di abbaiare ma comunque lo guardava mentre la bambina
lo
teneva per la pelliccia del collo e lo accarezzava.
“Scusalo,
è che non è
abituato ad avere intorno persone che non conosce” disse
Juliet.
“Tranquilla
è tutto a
posto.”
Alec e Juliet
rimasero
in giardino tutto il pomeriggio. La bambina gli mostrò i
suoi posti preferito e
gli alberi dove si arrampicava. Sasha gli correva intorno giocando con
lei e
con Alec che ormai era entrato nelle sue simpatie. Risero insieme e
giocarono
finche non li venne a chiamare Meredith che era pronta la cena.
Cenarono e
Juliet andò
a letto contro la sua volontà, obbligata dalla madre. Dopo
un po’ anche Alec,
stremato ancora dal viaggio e da tutto quello che gli era successo, si
ritirò
nella sua stanza e si addormentò quasi subito. Mentre fuori
era una notte buia
e senza stelle, ma serena. Nel cielo la luna bellissima era ignara di
tutte le
cose che succedevano sulla Terra, brillava in cielo cosciente della sua
bellezza e serenità.
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Capitolo 7 *** La ragazza della casa di fronte ***
La macchina di
Martin
sfrecciava nella notte diretta verso casa. La strada era buia e
c’era molta
nebbia che impediva la visuale. Alec era seduto dietro con il suo ipod
e
ascoltava distrattamente i discorsi dei genitori. Fuori dal finestrino
non si
vedeva altro che il nero della notte, non si distingueva il cielo per
quanto
fosse scuro.
Alec
guardò fuori dal
finestrino e si ritrovò improvvisamente davanti il volto del
bambino misterioso
con gli occhi di un rosso acceso e l’espressione di puro
terrore. Spaventato da
quella improvvisa e inaspettata apparizione indietreggiò sul
sedile posteriore,
spalancando gli occhi. Ma un secondo dopo il bambino era sparito
lasciando una scia
di nebbia bianca nello sfondo nero.
Dopo essersi
calmato
un pò, si rimise seduto e guardò i genitori che
sembravano non essersi accorti
di nulla. Tornò a sentire la musica.
La macchina
seguiva
ritmicamente il verso delle curve, sembrava che ballasse curvandosi
prima a
destra e poi a sinistra disegnando con i fari dei semicerchi di luce
gialla.
Passata una
brutta
curva ad Alec venne una strana sensazione, come se sapeva che doveva
succedere
qualcosa. Infatti, proprio in quel momento, al centro della curva
c’era una
sagoma che, lentamente, si voltò verso di loro mostrando il
suo aspetto. Alec
lo riconobbe subito, era il bambino, quel
bambino. Ma se ne accorse troppo tardi e non fece in tempo ad avvertire
il
padre …
Alec si
svegliò di
soprassalto mettendosi a sedere sul letto. Era sudato e aveva il
respiro
affannato, gli occhi spalancati. Si guardò intorno, era
nella sua nuova stanza,
era stato solo un sogno. Guardò l’orologio, erano
le 10:30 di mattina.
Frastornato ma consapevole che fosse tutto sotto controllo si
alzò dal letto e,
affacciatosi alla finestra, vide la piccola Juliet che correva ridendo
nel
prato inseguita da un’altra ragazza che afferrò la
bambina e la prese in
braccio.
Alec scese le
scale,
percorse il salone in penombra fino ad arrivare alla sala da pranzo,
sembrava
che in casa non ci fosse nessuno.
“Alec!”
non fece in
tempo ad uscire in giardino che Juliet gli corse incontro e lo
abbracciò. Era
impressionante come quella bambina si fosse affezionata a lui avendolo
visto
solo una volta.
“Ciao
Juliet.”
“Vieni
ti presento una
mia amica!”, disse la bambina e gli indicò la
ragazza.
“Ciao,
io sono Alice”
disse la ragazza, “Sono la vostra vicina di casa, la mia
villa è proprio di
fronte alla vostra.”
Alec sorrise
alla
ragazza, “Io sono Alec, mi sono trasferito ieri”.
Non poteva fare
a meno
di notare la semplicità della ragazza sia nel modo di
vestire che nei modi di
fare. Aveva i capelli biondi, gli occhi azzurri e un sorriso che ti
metteva subito
a tuo agio. Indossava un paio di jeans e un giacchetto bianco con sopra
la
scritta “London”.
Beatriz
uscì in
giardino e consegnò una busta a Alice, “Ecco qui,
questo lo dai a tua madre”.
“D’accordo,
grazie
mille” poi rivolta ad Alec, “Ti va di
accompagnarmi?”, gli chiese guardandolo
dritto negli occhi e accennando un sorriso complice.
Il ragazzo ci
pensò un
attimo, “Sì, certo!”.
I due si
incamminarono
verso il cancello lasciando Beatriz e la piccola Juliet indietro.
L’aria
iniziava a farsi più calda, ma comunque era sempre piacevole
sulla pelle.
“Allora,
ti sei
trasferito ieri, giusto? Come ti sembra questo posto?”,
chiese Alice.
“Mi
piace molto, la
casa in confronto a quella dove vivevo prima è enorme, penso
che ci metterò un
po’ per abituarmi”, Alice sorrise,
“però sento che c’è qualcosa
di strano, non
mi sento proprio a mio agio”, disse Alec confidandosi con la
ragazza, prima o
poi avrebbe dovuto dirlo a qualcuno e lei gli sembrava la persona
giusta.
Alice lo
guardò
aggrottando le sopracciglia, “ in che senso strano? Che
intendi dire?”
“Non
lo so precisamente,
forse è solo una mia sensazione”, disse, non era
sicuro se parlare del bambino
o no.
“Dai
sono curiosa. Ti
va di parlarne?” chiese lei interessata
all’argomento. Alec guardò
l’espressione che aveva la ragazza, sembrava davvero
interessata, forse era
solo per fare conversazione o dietro c’era qualcosa di
più, Alec non lo sapeva,
comunque proseguì, “No, è solo che
… mi sembra di vedere qualcosa che in realtà
non esiste”, Alice ora lo fissava e lui continuò,
“ecco, vedo un bambino che
non so chi sia, me lo sogno anche la notte e mi fa paura”.
“Forse
è solo dovuto
allo stress, magari lo hai già incontrato prima e ora pensi
di vederlo ma in
realtà lo stai solo ricordando e ti sembra reale”.
“No,
io lo vedo, è lì.
C’è veramente e poi cerca di dirmi qualcosa, ma
c’è come una forza che glielo
impedisce e poi sparisce nel nulla come era venuto”.
I due ora erano
fermi
e si guardarono un secondo negli occhi, Alec non riusciva a capire se
gli
credeva o no e vedendo che non diceva niente proseguì,
“Io credo sia un
fantasma”, distolse lo sguardo dalla ragazza e sorrise,
“Ora crederai che sono
matto”.
“No
invece, io ti
credo”, disse lasciando Alec di sasso.
”Credevo
che dirlo a
qualcuno sarebbe stato più difficile”, disse
sorridendo il ragazzo.
Alice sorrise,
“infatti
lo sarebbe stato”.
La osservava con
curiosità cercando di capire quello che diceva, se lo stava
prendendo in giro o
se gli credeva veramente, cosa che era alquanto strana
perché lui per primo non
credeva a quello che aveva visto. “Che intendi
dire?Cioè tu …” poi ci
riflettè
un attimo, “Li vedi anche tu?”.
“Si,
esatto”, disse
lei con naturalezza, “hai iniziato a vederli dopo
l’incidente vero?”.
Alec era sempre
più
confuso, “Si, come fai a saperlo?”
“Perché
spesso le
persone che fanno esperienze pre-morte o come si chiamano adesso
extracorporee
spesso dopo li vede”, disse come se per lei fosse una cosa
normale,
“sicuramente ti è successo questo”.
“Ma io
non ricordo
niente. Aspetta, tu come fai a sapere queste cose? Ti è
successa la stessa
cosa?” chiese sempre più incredulo.
“No,
però …”.
“Però
cosa?” chiese
impaziente.
“Io
sono una strega,
per questo posso vederli”, non sapeva in che altri modi
dirglielo, si rendeva
conto che sicuramente non gli avrebbe creduto. Alec rimase spiazzato
dalla
disinvoltura con cui la ragazza aveva detto quella cosa così
assurda e scoppiò
a ridere.
“Tu
sei cosa?” disse
prendendola in giro.
“Senti,
lo so che è
strano, ma pensa a quello che ti sta succedendo, come fai a essere
scettico? Lo
stai vivendo tu stesso.” Poi aspettò la reazione
di Alec che non tardò ad
arrivare.
“Dici
sul serio?”
chiese, ora serio.
“Si,
come te lo devo
far capire, non ho altri modi per dirtelo.”
“Ok,
ehm … quindi se
quello che mi dici è vero, quello potrebbe essere veramente
un fantasma,
giusto?”
“Esattamente!”
“Che
ci fa in casa di
mia zia?” ora l’espressione di Alec era disperata,
non era pronto per una cosa
del genere, aveva sempre creduto che il soprannaturale non esistesse e
ora che
aveva le prove certe non era sicuro se voler sapere la
verità o no. Era spaventato.
“Questo
non lo so. Ti
posso solo dire che il bambino magari prima viveva in quella casa,
quindi il
suo spirito è rimasto intrappolato li, magari è
legato a qualche oggetto, o
forse a qualcos’altro, non te lo so dire.”
“Fantastico,
non c’è
un modo per scoprirlo.”
“Bisognerebbe
conoscere la storia di quella casa, potresti chiedere a tua
zia.” Da quello che
aveva detto Alice si capiva che il bambino era morto
all’interno della villa,
chissà in quale tragico modo. In quel momento un vento
freddo mosse le fronde
degli alberi facendo cadere delle foglie, era strano che un posto
così bello
potesse nascondere una cosa così orribile.
“Se
vuoi noi possiamo
aiutarti. La mia famiglia tratta queste cose da sempre.”
Disse la ragazza. “Ti
va di venire a casa mia? Possiamo iniziare a cercare
qualcosa”.
“Va
bene. Anche gli
altri della tua famiglia sono stregoni?”
“Mia
madre si, invece
mio fratello è telepatico”, disse Alice poi si
spiegò meglio “vuol dire che può
parlare con le persone attraverso il pensiero, se il rapporto con una
persona è
più forte riesce a trasmettere anche delle immagini e delle
emozioni”. Poi
guardò Alec che la osservava incuriosito, era la prima
persona con cui parlava
della sua famiglia e non aveva pensato all’effetto che poteva
dare la sua
storia a una persona che non aveva mai avuto esperienze del genere.
“Non mi
credi vero?”
“Dammi
un motivo per
farlo, mi stai dicendo un sacco di cose assurde”, disse Alec.
“Invece
il fatto che
tu vedi i fantasmi non è assurdo, vero?” Alec a
quelle parole rimase in
silenzio. In effetti era vero, se lui vedeva i fantasmi,
perché lei non poteva
essere una strega. Anche se era assurdo, in realtà questa
situazione lo
affascinava. Aveva sempre creduto di essere un ragazzo normale, come
tutti gli
altri, facendo tutti i giorni le stesse cose. Invece non era
così, la sua vita
ora era completamente cambiata ma per il momento non sapeva se questo
era
positivo o no.
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Capitolo 8 *** A casa di Alice ***
La casa di Alice
si
trovava, come aveva detto la ragazza, di fronte a quella di Beatriz.
Era una
villa analoga, con il giardino e il viale con gli alberi.
L’unica differenza
era che quella di Alice aveva un’enorme quercia che doveva
avere almeno cento
anni, era molto bella.
Dentro la casa
l’ambiente era classico, con mobili d’epoca.
La ragazza
invitò Alec
ad entrare : “vuoi qualcosa da mangiare?”.
“No,
grazie. Sto
bene.”
“Dean!”
urlò Alice
chiamando suo fratello.
“Dean
vieni, ti
presento una persona.”
“Eccomi,
non serve che
strilli, non sono sordo.” La voce arrivò dal piano
superiore. Dalle scale scese
un ragazzo dal fisico slanciato che con passo atletico
arrivò davanti a loro.
Era molto giovane, forse più piccolo di Alice. Aveva i
capelli castano chiaro,
più sul biondo e gli occhi verde smeraldo.
“Buongiorno
sorella,
ti sei degnata di tornare a casa.” Disse il ragazzo
provocando la sorella.
“Fai
poco lo spiritoso
e porta questo in cucina.” Disse Alice dandogli la busta,
lanciandogliela più
che altro. Dean guardò Alec e sembrò accorgersi
per la prima volta della sua
presenza e lo scrutò con attenzione.
“Lui
è Alec, Alec mio
fratello Dean”, disse Alice velocemente.
“Alec
il nostro nuovo
vicino?” chiese Dean.
“Si,
piacere di
conoscerti.”
“Il
piacere è mio”,
disse Dean continuando a fissarlo. Alec si sentiva come se il ragazzo
lo stesse
studiando da dentro, come se gli stesse osservando l’anima e
questo lo fece
sentire a disagio.
Poi Dean
aggiunse:
“Che ci fa qui?” chiese alla sorella.
Alice lo
guardò in
cagnesco, “non essere scortese. Ha bisogno del nostro
aiuto.”
“Del
nostro aiuto?
Perché, qual è il problema?” chiese
Dean.
“Vedo
i fantasmi”,
disse Alec e Dean si distrasse dalla sorella per riportare lo sguardo
sul nuovo
arrivato. Continuò, “continuo a vedere un bambino
e sono convinto che voglia
dirmi qualcosa, mi chiede aiuto, ma poi sparisce.”
Dean ora lo
guardava
non più come uno sconosciuto, ma come uno di loro, un
diverso, uno con poteri
simili ai loro. “Fammi indovinare, ti è iniziato
dopo l’incidente, vero?”
chiese.
“Si,
esattamente”.
“Interessante
… “
disse Dean.
“Si,
molto. Vieni Alec
ti mostro una cosa”, disse Alice conducendo il ragazzo dentro
una stanza della
casa. L’ambiente che si presentava era in penombra,
c’era una grande finestra,
ma era coperta con delle tende. Al centro c’era un tavolo con
uno strano
disegno sopra una stella a cinque punte. Sopra ogni punta
c’era una candela
spenta e al centro un vassoio vuoto. In fondo c’era una
libreria piena di libri
antichi, rovinati e impolverati. In un angolo c’era un vaso
con delle rose
nere. Ma l’attenzione di Alec si concentrò sulla
parete di destra, dove c’era
disegnata una quercia con tantissimi rami con sopra scritti dei nomi.
“Che
cos’è?”, chiese
incuriosito.
“L’albero
genealogico
della mia famiglia. Di tutta la mia famiglia, da quando è
nato il mio primo
antenato.” Disse Alice, poi guardò il ragazzo
visibilmente impressionato da
tutto questo, “Ora mi credi”.
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Capitolo 9 *** Uno strano incidente ***
Dalla cucina si
sentiva odore di dolci. Meredith, infatti, era stata tutto il
pomeriggio a
cucinare. Aveva fatto una crostata di ciliegie e vari dolcetti al
cioccolato e
nocciole, che dall’aspetto erano veramente invitanti.
Gli era sempre
piaciuto cucinare, da quando era piccola che si divertiva con la madre
a
pasticciare con i vari ingredienti per le polpette in particolare, che
erano il
suo piatto preferito.
Aveva appena
messo la
crostata in forno e stava lavando le pentole, quando sentì
un rumore, quasi
impercettibile, provenire dal fondo del salone. Dato che in casa
c’erano
solamente lei e Beatriz che riposava nella sua stanza, andò
a controllare.
Quando
entrò nel
salone scoprì la fonte di quel rumore: era la televisione
accesa che però non
aveva segnale e gracchiava con il suo lamento flebile. La cosa strana
era che
nel salone non c’era nessuno a parte lei. Possibile che si
fosse accesa da
sola?
Nonostante la
sua
perplessità prese il telecomando sul divano e la spense. Con
un’espressione
confusa tornò in cucina e continuò i suoi lavori.
Non
passò neanche un
minuto che la luce della lampadina iniziò a spegnersi e ad
accendersi
ininterrottamente fino a fulminarsi, lasciando la stanza al buio.
Meredith si
guardò
intorno e, tastando con le mani, cercò di raggiungere il
cassetto per prendere
una torcia. Quando sentì qualcosa che le sfiorava il
braccio, spaventata,
scattò indietro e andò a sbattere contro la
credenza.
“Chi
c’è?” gridò
spaventata. Un cassetto si aprì improvvisamente colpendola
in testa e stordendola.
Si rialzò a fatica, aveva il cuore in gola, la testa le
pulsava per la botta.
Si
girò verso il
frigorifero sentendo lo sportello che si apriva lentamente. Il silenzio
assordante sceso improvvisamente nella stanza, era rotto solamente dal
flebile
cigolio emesso dall’ anta che si apriva mostrando la luce
all’interno che
sembrò abbagliante in quel buio inquietante. Poi successe
l’inferno: i cassetti
iniziarono ad aprirsi e chiudersi, la sveglia del forno
iniziò a suonare,
l’acqua scorreva veloce dai lavandini, i vasi che stavano
sulla credenza
contenenti le varie spezie caddero a terra rompendosi.
Meredith
urlò con
tutte le sue forze. La paura che la avvolse in quel momento, come non
le era
mai successo in tutta la sua vita, fu accompagnata da una sensazione di
freddo
che le entrò nelle ossa impedendole di respirare.
La
cuoca si alzò, non senza sforzo,
combattendo contro al paura. Un piatto che partì dalla
credenza aperta e
attraversò la stanza lanciato da una forza invisibile, la
colpì in testa,
provocandole uno spacco profondo da dove uscì molto sangue,
e la cuoca cadde a
terra svenuta.
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Capitolo 10 *** Segreti ***
Alec quella sera
tornò
a casa tardi. Sasha abbaiava contro la porta di casa apparentemente
senza
motivo, Alec non aveva mai amato più di tanto i cani quindi
non si era mai
preoccupato di capirne i comportamenti.
Sul corridoio
incontrò
Jonathan che stava uscendo e gli raccontò
l’accaduto. Era per quello che il
cane abbaiava? Forse.
Andò
in cucina per un
bicchiere d’acqua e incontrò Beatriz, era seduta
davanti al caminetto spento e
fissava il vuoto.
“Zia?”
Beatriz sembrò
risvegliarsi da un brutto sogno, “Non riesci a
dormire?”.
“Sono
solo preoccupata”
disse senza tanto entusiasmo.
“Meredith
si
riprenderà presto, devi stare tranquilla”
cercò di rassicurarla.
“Non
è per Meredith
che sono preoccupata”.
“Davvero?
E per cosa
allora?” chiese il ragazzo.
Beatriz
alzò gli occhi
verso di lui e lo guardò intensamente, uno sguardo che Alec
non riuscì ad
interpretare.
“Siediti”
disse “ora
che vivi qui è giusto che anche tu sappia”.
Alec si sedette
sostenendo lo sguardo della zia. Beatriz si concentrò sul
caminetto immaginando
un fuoco caldo che bruciava la legna facendola diventare cenere.
“Questa
casa ha qualcosa
di malvagio. È da un pò che lo
percepisco.” Alec era attento a ogni singola
parola, senza perdersi neanche una virgola.
Beatriz
proseguì, “succedono
cose strane. All’inizio credevo che fossero solo mie
fantasie, ma ora che
Meredith è in ospedale …”
“Che
tipo di cose?”
chiese Alec.
“Mi
sembra di sentire
delle voci venire dalle pareti, luci che si affievoliscono e poi
improvvisamente sento freddo come se si fosse aperta una finestra ma
controllo
e sono tutte chiuse. Forse sto solo impazzendo.”
“Sono
sicuro che non è
così. Ci deve essere una spiegazione.” Anche lui
sperava che ci fosse.
Quella notte
Alec si
svegliò improvvisamente, qualcuno stava urlando. Sembrava la
voce di un
bambino. Alec scese dal letto e decise di seguire la voce, doveva
scoprire cosa
stava succedendo in quella casa.
Scese le scale
buie e
entrò nella sala da pranzo. Fu spaventato da una figura nera
che lo fissava
dalla finestra a vetri, era solo Sasha ma i suoi occhi erano di uno
strano
colore rosso. Chissà se era vero che i cani percepivano gli
spiriti.
Ecco un altro
urlo,
Alec si distrasse dalla figura alla finestra e continuò la
sua ricerca. La voce
lo portò davanti a un muro. Era antico e non era stato
ridipinto come il resto
della casa, il suo colore era di un panna sporco con delle macchie in
basso. Alec
lo fissò per un lungo periodo di tempo, li dietro doveva
esserci il segreto di
quella casa misteriosa.
Alec intravide
una
fessura sul muro, era un serratura. Quella doveva essere stata una
stanza una
volta. Le urla cessarono improvvisamente lasciando il posto a un
silenzio
ancora più inquietante.
Non
riuscì a dormire
quella notte, i misteri di quel posto lo spaventavano e lo
incuriosivano da
morire. Doveva sapere di più su quella casa, quindi
passò la notte facendo
ricerche. Su internet non c’era niente sulla casa, ma
scoprì che uno dei suoi
vecchio abitante era ancora vivo, un certo Zack Ross. Doveva
incontrarlo, lui
avrebbe fatto luce su tutto, forse era l’unico a poterlo fare.
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