Looking for heaven, for the devil in me.

di _Rowen_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It’s always darkest before the dawn. ***
Capitolo 2: *** Kiss me now and catch your death. ***
Capitolo 3: *** Who is the betrayer? ***
Capitolo 4: *** Autumn, revenge and red velvet. ***
Capitolo 5: *** Brittle truth, lovely lies. ***



Capitolo 1
*** It’s always darkest before the dawn. ***


Caroline si guardò intorno, assicurandosi ancora una volta che nessuno la stesse seguendo.

Affrettò il passo, il sole estivo che bruciava l'asfalto della strada sotto i suoi piedi. Con il cuore in gola svoltò l'angolo arrestandosi davanti ad una gioielleria.

Tiffany & Co. Conosceva bene quel posto, solo qualche anno prima trascorreva interi pomeriggi davanti alle vetrine, aggiornandosi rispetto alle ultime mode e sognando, un giorno, di possedere uno di quei meravigliosi diamanti; in fondo, per lei che aveva avuto praticamente ogni cosa dalla vita, nulla era irraggiungibile. Dopotutto “Diamonds are girl's best friends”.

Ma era passato tanto tempo e la sua vita era stata stravolta e poi inghiottita da una susseguirsi di piccole catastrofi che si sarebbero concluse con la sua quasi-morte. La triste festicciola che i suoi amici le avevano reagalato per il suo compleanno non faceva altro che ricordarle il suo dramma.

Era morta, aveva abbandonato il mondo dei vivi per vederesi strappare l'angolo di Paradiso che agognava, finendo scaraventata in un universo di sanguinarie creature della notte. Con il passare dei mesi aveva imparato ad abituarsi alla sua nuova “vita”, tornando a fare shopping, organizzando party sfrenati. Una cosa però non riusciva a dimenticarla: era immortale, ormai, poiché la sua vera morte l'aveva già affrontata, eppure, allo stesso tempo era totalmente vulnerabile. Non dal punto di vista fisico certo, quanto da quello emotivo. Qualche settimana prima aveva cominciato a pensare all'avvicinarsi del suo compleanno. Cos'avrebbe fatto, una festa in piscina? Un ballo in maschera? Poi i suoi pensieri erano stati interrotti da un lampo di consapevolezza che la stordì, facendola barcollare. Avrebbe avuto diciassette anni per sempre. Se fosse sopravvissuta, se avesse evitato i guai vivendo qualche millennio, non avrebbe cambiato aspetto, non sarebbe cresciuta di più, non sarebbe mai somigliata ad una donna, sarebbe stata sempre imprigionata sotto le spoglie di una ragazza. Non avrebbe avuto rughe di cui temere, non avrebbe avuto figli. La sua quasi-vita l'aveva privata delle gioie dell'essere donna rendendo la sua permanenza sulla Terra una semplice sopravvivenza.

Appoggiò l'unghia smaltata sul campanello della gioielleria.

Poi il suo compleanno era arrivato e lei, la ragazza più stimata di Mystic Falls, aveva lasciato che trascorresse come un giorno qualunque. Aveva celebrato la sua morte insieme a Matt, Bonnie ed Elena, bevendo a più non posso, sperando di dimetnicare e addormentarsi nel tepore della sbronza. Tyler aveva interrotto ogni cosa. Era tornato, facendosi prepotentemente strada nel suo cuore e sciogliendo a poco a poco le sue difese le aveva confessato il suo amore. I bei ricordi si interrompevano in quel preciso istante, trasformandosi in un vortice di sorpresa, panico, rabbia egoismo. Sangue, paura, preoccupazione. Respiri affannosi, parole di conforto, un letto, una coperta, forse qualche benda. Il suo compleanno.

Suonò. Il giogielliere le sorrise dalla vetrina e lei si fece avanti, incerta.

-Buongiorno, posso aiutarla?- domandò con un sorriso.

Caroline si era addormentata, preda degli incubi più terribili che avesse mai potuto concepire, un sonno agitato fatto di ansia e tremori. La febbre non voleva andarsene: la pelle le bruciava come se la stessero ardendo sul rogo, riusciva a malapena ad parire gli occhi. Si svegliò, la testa che pulsava e, come nel peggiore dei suoi incubi aveva trovato lui.

Klaus.

Il panico le aveva chiuso lo stomaco: sarebbe morta. In fondo le sembrava quasi un sollievo: lasciarsi alle spalle il dolore e concedersi l'ultima briciola di mortalità, la faceva sentire più umana.

Ma lui non era lì per addormentare la sua sofferenza, lui era lì per offrirle una scelta: la vita o la morte. I pensieri le si confondevano nella mente, il peso che premeva sul cuore da qualche tempo le crollò addosso. Sì, quella non era vita ed era vero che aveva deluso molte persone a lei care, ma non voleva morire. Non era pronta ad annullarsi, a dire addio al mondo, a coloro che amava e, soprattutto, non in quel modo, in un letto, all'apice della sua debolezza. Era troppo egoista per morire.

Appoggiò al borsa firmata sul bancone e ne estrasse un cofanetto di velluto nero.

-Vorrei restituire questo – disse.

Così lui le aveva donato la vita, l'eternità. L'aveva stretta nell'abbraccio della salvezza. Le sue parole, la sua voce, densa come cioccolato, si mischiava al richiamo della vita che scorreva nella sua bocca, cullandola nel tiepido sonno che, sazia e al sicuro, l'avrebbe avvolta fino al mattino dopo.

 

Regrets collect like old friends, here to relive your darkest moments.

 

Come una principessa, si era svegliata col cinguettio degli uccellini, sollevandosi dal letto come ogni mattina e, solo dopo un istante, si rese conto di essere ancora viva.

Da Klaus. Sul comodino era appoggiato un cofanetto. Lo sollevò tra le mani appoggiando il biglietto sulle coperte. Esitò un istante sul nastro, confusa, poi, lo aprì di scatto. La luce del mattino le invase le pupille attraverso un'ordinata fila di diamanti.

 

Il giogielliere esaminò il bracciale –E' un modello recente. Ha qualche problema, vuole per caso cambiarlo? -

-No, no. Voglio restituirlo-.

L'uomo sorrise -Ah, storia d'amore finita male? -.

-Qualcosa del genere – disse Caroline, stringendosi nelle spalle.

L'uomo rigirò il gioiello tra le dita ed esclamò – Signorina, questo è un pezzo piuttosto pregiato. É sicura di volerlo lasciare senza prendere nient'altro? -

Caroline deglutì – Più che sicura -.

-D'accordo- sospirò – come vuole -.

Posso lasciarti morire se è questo che vuoi, se pensi che la tua esistenza non abbia più significato. Ci ho pensato anche io, a dire la verità, una o due volte nel corso dei secoli ma, voglio rivelarti un segreto. C'è un intero mondo qui fuori che aspetta solo te: grandi città, arte, musica. Bellezza genuina. E tu puoi avere tutto, puoi avere un altro migliaio di compleanni.

-Allora? Vuole la ricevuta di restituzione? -

Tutto quello che devi fare...

-Signorina? -

...è...

-Signorina? -

...chiedere.

-Sì, mi scusi -. L'uomo prese tra le dita una penna raffinata e firmò un pezzo di carta, strappandolo da un libretto come se fosse stato un cerotto. - Non vede davvero l'ora di liberarsene, eh? -.

Caroline strinse i pugni – Già – sospirò, affferrò la ricevuta, la mise nel portafogli e uscì a grandi passi dalla gioielleria. Non dovevaimportarle più nulla. Si voltò indietro una sola volta, poi proseguì verso casa di Elena.

Da tempo l'amica era impegnata a tentare di riportare Stefan sulla retta via, scordandosi di avere una vita che le stava scivolando tra le dita. Era stanca, stressata e la partenza di Jeremy non aveva certo contribuito a farla stare meglio, tuttavia aveva trovato il tempo per dare slancio alla sua vita sentimentale. Come le aveva scritto Bonnie la sera prima via SMS: “Elena e Damon, e a lei è piaciuto”.

Avrebbe davvero voluto parlare un po' con lei, erano settimane che non si concendevano un' uscita “solo donne”.

Stava per svoltare l'angolo quando qualcosa la bloccò: e se Elena avesse saputo di Klaus?

Rimosse il pensiero all'istante, cosa mai ci sarebbe stato da sapere. A quanto pareva anche gli Antichi avevano sensi di colpa, lui l'aveva guarita. Fine. Non avrebbe più avuto nulla a che fare con quel mostro, nonostante il debito che li legava.

Affrettò il passo verso casa Gilbert aggiustandosi una ciocca di capelli dietro gli occhiali da sole.

 

-Elena non c'è – esordì, appoggiandosi allo stipite della porta.

-Ciao Alaric, come vanno le cose con la dottoressa Fell? - rise la ragazza.

-Oh – commentò l'uomo grattandosi la testa – e così l'hai saputo...beh accomodati, accomodati -.

-Oh no, davvero, sono di fretta. Quando torna puoi dire a Elena di chiamarmi? Devo parlarle -.

La squadrò con espressione interrogativa sospirando – Cose da ragazze! - sollevando le mani in alto in gesto di resa.

-Quando torna dille che l'ho cercata, ok? -

-Ma certo, a presto Care -.

Tornò verso casa telefonando a Elena ma lei non rispondeva. Si sorprese sollevata, non potendo vedere né sentire Elena non avrebbe dovuto nasconderle di Kalus.

Accidenti...stava mentendo alla sua migliore amica.

-Nah, non è una menzogna – pensò – stai solo omettendo qualche dettaglio irrilevante sul modo in cui sei rimasta in vita...a meno che Matt non abbia già spifferato tutto -.

Pensò che non era possibile, che Matt era troppo leale e riservato per farle una cosa simile, tuttavia era altrettanto consapevole che, prima o poi, Bonnie, Elena e Damon avrebbero scoperto del suo debito con Klaus. Immaginò la scena:

-Ti sta usando per ottenere appoggio da tua madre! - cinguettava Bonnie.

-Quel mostro schifoso! - imprecava Damon.

-Sei dalla nostra parte vero? - chiedeva Elena.

La ragazza scosse la testa, ma cosa diavolo le veniva in mente? Era ovvio che Klaus la usasse come una pedina sacrificabile, quel maledetto, ed era altrettanto ovvio che Caroline sarebbe semrpe rimasta dalla parte delle sue amiche. Sempre.

Perchè si preoccupava in fondo? Era solo un debito, una promessa che, pur di levarsi di torno il demone, avrebbe rischiato di infrangere.

Stava ingigantendo una cosa da poco, neanche fosse segreto di stato.

Perchè mai gli altri avrebbero dovuto mettere in dubbio la sua fedeltà? Insomma non era successo nulla, aveva solo bevuto...

..un po' del suo...

...sangue.

Nello stomaco, nel battito regolare del cuore, nel cervello, nella gola. Si sentiva affogare in quella dolce ninna nanna, un sonnifero mortale. Veleno al gusto di cioccolato. Si lasciò cullare sempre più a fondo, fino a percepire quell'abbraccio, il rumore della carne pallida, lacerata di suoi canini, il formicolio dei muscoli tesi, l'odore metallico del sangue e quella sensazione di dolce abbandono che le faceva ronzare la testa.

-Ehi, guarda dove metti i piedi! - gracchiò un anziano con sguardo sottile.

La ragazza tornò in sé – Mi scusi, davvero! Spero non si sia fatto male! -

-No, tutto a posto, ma sta attenta la prossima volta! - borbottò l'uomo, e si allontanò zoppicando lievemente.

Caroline si sedette sul muricciolo che costeggiava il marciapaiede – Ma bene! - esclamò – Ci mancava solo che si rompesse il tacco! -. Si sfilò le scarpe e proseguì scalza verso casa sua, scansando i mozziconi delle sigarette.

Aprì la porta e gettò malamente a terra quel che rimaneva del suo amato paio di scarpe. Pensò al giorno in cui le aveva comprate: era un pomeriggio estivo e, insieme ad Elena, aveva appena finito l'allenamento con le altre Cheerleaders. Si erano sedute al bar più vicino alla scuola, con addosso ancora la divisa e, mentre sorseggiavano una granita, una ragazza bellissima,con un paio di scarpe favolose, era sfilata davanti a loro. Incantate l'avevano seguita con lo sguardo finchè non era sparita dietro l'angolo. - Scarpeee! - aveva piagnucolato Caroline con sguardo supplichevole.

- Se n'è andata – aveva risposto Elena – rassegnati! -

-Oh no! Col cavolo, le voglio, saranno mie! - escalmò decisa, si alzò e, abbandonando la granita, prese la borsa – Beh non vieni? -

-Dove scusa? Vuoi rincorrerla e chiederle dove le ha comprate? - ma, nonostante Elena protestasse, anche lei aveva ben impresso negli occhi quel magnifico paio di décolleté acquamarina.

-Veramente pensavo di buttare via un pomeriggio di studio e rimpiazzarlo con uno di shopping. In questo buco non sono molti i negozi che vendono scarpe così belle! Muoviti! - rise correndo via.

-Ma, ma?! E la granita? - aveva urlato Elena, ma ormai era inutile, Caroline era scappata.

Rise. Solo qualche mese prima avrebbe pianto per un tacco rotto, o, comunque, avrebbe dato fondo ai suoi risparmi e avrebbe comprato un nuovissimo paio di scarpe e invece era lì. Cambiata, stravolta, come un pezzo di carta stropicciato. Ma non si era spezzata, non aveva lasciato che qualcuno la strappasse a metà e la gettasse via, non si era mai arresa e, per questo era fiera di sé.

Accennò un passo di danza sul parquet e corse in camera sua gettando la borsetta sul letto. Sorrise e si sfilò i collant, lasciandoli sul pavimento.

 

And I’ve been a fool and I’ve been blind, I can never leave the past behind.

 

Si gettò sul letto con un sorriso: sì, era diversa, ma era ancora Caroline. Il vampiro Caroline, quella che avrebbe conservato in eterno i suoi diciassette anni, quella che beveva sangue umano per non incartapecorirsi, capace di sollevare un'auto con un dito, sì, ma nel profondo era sopravvissunto un pizzico della Caroline la cui migliore amica era la carta di credito, che organizzava le feste più inn di Mystic Falls e aveva uno stuolo di ragazzi pronti a servirla e riverirla.

Si guardò intorno. Non voleva gettare via la vecchia Care, voleva ricordarla, conservando dentro sé ancora un po' di lei, ma nemmeno tornare ad essere la superficiale che era prima, però aveva bisogno di aria nuova, di rinnovamento allo stato puro. Era stufa di sangue, lotte, giuramenti, incantesimi e tradimenti. Voleva divertirsi, avrebbe avuto un'eternità per occuparsi di tutto il resto, no?

Sbottonò il vestito e lo lasciò cadere a terra insieme al coprispalle, saltando fuori dal groviglio e sparendo dentro il bagno dove, come ai vecchi tempi, si sarebbe abbandonata ad un rinvigorente bagno caldo che le avrebbe fatto dimenticare ogni problema. Sciolse i capelli guardandosi allo specchio, la vita poteva ancora essere perfetta.

 

***

 

Erano passati tre giorni da quando Care aveva deciso di cambiare vita. Come prima cosa aveva cancellato dalla rubrica il numero di Tyler, poi, silenziosa come un felino, era sguasciata fuori di casa, nonostante tutte le raccomandazioni di sua madre, che, con Klaus in città, la preferiva segregata in casa, sotto le coperte, con un libro e un tè caldo. Proprio non era il suo genere.

Aveva stampato un centinaio di inviti, chiamato qualche amico qui e là, recuperato cibo e alcool a sufficienza da sfamare la città per una settimana, una decina di casse, un dee-jay e chiamato il tutto Festa di Fine Estate. Il tempo era perfetto, fortunatamente nessun monsone improvviso metteva a rischio la location, con tanto di piscina.

Infilò gli orecchini e ravvivò i capelli, pronta a dare inizio alla festa.

Prese al volo la borsetta e stampò un bacio sulla guancia di sua madre correndo in macchina.

Sarebbe stata una serata memorabile.

 

I am done with my graceless heart, so tonight I’m gonna cut it out and then restart.

 

Elena le tamburellò su una spalla – E questo dove l'hai pescato? - disse, indicando il vestito.

-Comprato stamattina! - sorrise e, schioccando un bacio per aria scappò sul palco improvvisato davanti alla piscina e prese in mano il microfono. - Benvenuti ragazzi, questa serata è dedicata alla rinascita. Siate liberi, siate felici, ma non rompete nulla...e, soprattutto, divertitevi! -.

Seguì un boato e poi partì la musica.

Caroline si fece largo tra gli invitati e raggiunse il tavolo con le bottiglie, si versò un Martini e salutò Nelly, una vecchia compagna del corso di scienze – Ehilà Forbes, bella festa! - la salutò quella sparendo nella calca. Caroline rimase ad osservare la sua festa, compiaciuta. Erano venuti tutti e sembravano divertirsi davvero. -Oh, splendida Caroline che organizza feste fenomenali per far dimenticare ai sofferenti i dolori della vita, sei un mito! - si disse.

Elena le si affiancò – Quando smetterai di autocompiacerti? -

-Non lo so, domani forse, o tra una settimana probabilmente...-

L'amica l' abbracciò – Mi mancava la vecchia Care, ultimamente eri così preoccupata...mi dispiace averti coinvolto, davvero. Se penso che è colpa mia, tutto quanto, dai canini a Stefan, a Klaus...-

-Ehi!- la zittì – Smettila di dire così, ormai è successo, è solo questione di abitudine. Ora balla e dimentica il passato. Ti serve! -.

Elana la prese per mano e la trascinò nella ressa.

-Che fine ha fatto Bonnie? - chiese Caroline.

-Non è voluta venire, è intenta a sommergersi di cartelle e scartoffie varie nella speranza di trovare sua madre...non sono troppo ottimista in merito. Ieri abbiamo passato il pomeriggio a cercare e non abbiamo trovato nulla, nemmeno un minimo indizio...-

Caroline le chiuse la bocca con una mano – Se Bonnie non è venuta sono affari suoi, non tormentarmi con storie deprimenti, ti prego. Non stasera! -

Elena rispose – Ok, ok, come vuoi, la festa è la tua e poi...cosa sarà mai una serata da libertine? -. Ballarono per ore, la musica che cancellava ogni pensiero e le sfidava a resistere sulla pista, a lasciarsi andare e dimenticare il buon senso e le responsabilità, come delle teen-ager, finchè Elena la trascinò in un posto un po' più silenzioso per riprendere fiato. - E' tardissimo – disse – e domani mattina ho l'allenamento di boxe con Damon -.

-Uff, rovini sempre tutto! - rise – Scherzo, cerca di recuperare il tuo storico buon senso prima di incontrare Damon...- ridacchiò guardandola di sottecchi.

-Hai...saputo...è stata Bonnie vero? -

Caroline rise -Buonanotte e, buon allenamento! - ma in risposta ricevette un'occhiata truce.

Elena se ne andò, visibilmente distrutta. Sapeva che l'amica non aveva smesso di essere prudente durante tutta la festa, che la sua paranoia la perseguitava, che l'immagine di Klaus e Jeremy era impressa a fuoco nel suo cervello, tuttavia apprezzava che avesse finto per farla felice.

 

La paranoia di Elena era un motivo in più per sorvolare su quanto accaduto la notte del suo compleanno. Il giorno prima aveva incontrato Matt e, in uno sguardo, lui aveva capito di dover tacere riguardo alla faccenda di Klaus: non c'era pericolo, Matt era la persona più onesta che conoscesse, gli era più che grata per averla trovata e portata a casa quando Tyler..beh...

-Ok, ok, frena Care, queste sono cose serie a cui pensare quando sarai sobria! - pensò versandosi il quinto martini della serata. Aggiuse un cubetto di ghiaccio e portò il bicchiere alle labbra ma, pima che potesse bere, qualcuno le afferrò il polso.

-Sei al numero cinque, Forbes. Non è abbastanza per soffocare i tuoi dubbi? -.

Caroline lasciò cadere il bicchiere e sussultò. Quella voce. La sua voce.

-Cosa diavolo ci fai qui? Non mi pare di averti invitato -.

Una risata calda e una mano che risaliva dal polso all'avambraccio, accarezzando la sua pelle tiepida -Faccio parte del centinaio di imbucati presenti. In tempo per salvarti dalla peggior sbronza della tua vita -.

Caroline strattonò il braccio tentando si liberarsi dalla stretta, acquistando un po' di lucidità – Ora mi fai da balia? Ti ringrazio per avermi salvato la vita ma, non mi pare di averti chiesto di rimanermi intorno. Sei venuto a redimerti occupandoti di una poverina piena di problemi? Non ti apriranno le porte del paradiso dopo i cadaveri che ti sei lasciato alle spalle, è inutile che ci provi -.

L'uomo l'attirò a sé – Non è la redenzione che cerco – disse afferrandola per le

spalle – io cercavo te -.

Caroline guardò altrove, confusa, dibattendosi appena, certa di non potergli sfuggire – Lasciami in pace, lasciami stare, stai lontano da me e dai miei amici -. Ma una domanda le bruciava sulle labbra, parole che scalpitavano nella sua testa da quando quella mattina si era svegliata col sole negli occhi – Perchè? Perchè diavolo mi hai salvata? Sono una stupida parte del tuo psicotico piano? Cosa vuoi da me? Cosa cerchi Klaus? - disse, ma stava gridando. Piangeva terrorizzata, non dall'assassino che si trovava davanti ma da quel che provava, inorridita dai suoi stessi sentimenti. Era riuscita a nasconderlo a Elena, ad Alaric, a Bonnie ma davanti a lui, di fronte ai suoi occhi verdi non riusciva a mentire. Ammettere la causa delle fitte che sentiva nello stomaco, nella gola, tra le costole, nel cuore, le risultava più difficle di qualsiasi altra cosa avesse mai fatto.

L'uomo rimase in silenzio, l'eco della musica che ronzava lontano. Allentò la presa sulle spalle di Caroline che, rapidissima, sguasciò a qualche passo da lui.

-Vuoi davvero saperlo? - ringhiò spostando lo sguardo dall'erba al volto della ragazza -Davvero? Non mi dire, sarai sorpresa. Il diavolo che diventa il salvatore, bizzarro eh? -.

All'improvviso restò immobile, mascherandosi come una statua di marmo antica abbandonata nella foresta. - Tu sei come me, per quanto ti possa sembrare assurdo. Siamo simili Caroline o, almeno, lo siamo stati. Volevo aiutarti, davvero -. La voce era quasi un sussurro. Si voltò dando le spalle alla ragazza che, per sentirlo, fu costretta ad avvicinarsi di qualche passo, poi continuò – Fammi indovinare, ti senti piccola, inutile, insicura. Tutti ti danno addosso perchè sei solo un peso per il loro “Grande Piano per Elimanare Klaus”. Nessuno bada a te, e a te va bene così perchè in questo modo ritrovi un po' di normalità. Elena è piena di problemi, Stefan, Damon...tutti così occupati per pensare ai tuoi, di problemi. Così ti rimbocchi le maniche e vai avanti da sola, diventando ogni giorno più forte e più sicura di te. Non te ne rendi conto? Nei tuoi occhi c'era la sofferenza di chi si sente abbandonato. Spesso vorresti piangere, vorresti trovare qualcuno con cui parlare ma, non vuoi infastidirli, non vuoi la loro compassione. Così compri scarpe, vestiti nuovi, organizzi feste...ti mescoli alle persone normali, alle persone felici, sperando che un po' della loro allegria contagi anche te. Indossi una maschera ogni giorno, e cerchi di andare avanti, sperando che l'eterintà a cui sei costretta ti regali un pizzico di gioia -.

Caroline lo affiancò, a guardò nel cielo – Eri arrivata a considerare la morte come opzione, quella sera. Avevi...sperato, di morire, per rirovarti. Non potevo permettertelo. Sei forte Care, lo sei abbastanza per superare tutto questo, te lo lascerai alle spalle e inizierai a guardare a loro – disse, indicando la pista – come estranei. Ti scorreranno davanti come un film noioso quando infine capirai che tu sei altro, sei migliore, sei...-

-Klaus – bisbigliò la ragazza, abbassò lo sguardo sul volto dell'uomo, asciugandosi una lacrima. Pensò a Tyler e a quello che stava facendo per lei e si sentì in colpa, pensò a quel che le aveva promesso, al dolore che aveva visto nei suoi occhi mente combatteva contro l'esservimento del demone. Pensò ad Elena, per la quale avrebbe dato la vita, e ai sacrifici che faceva ogni giorno, alla fatica e all'impegno che ci metteva per uccidere Kalus. Pensò a Damon che passava ogni istante a meditare su come eliminarlo e a Stefan, a quel che era diventato per colpa dell'uomo che le stava accanto.

-Vorrei andare via, essere abbastanza egoista da lasciarli qui e scappare ma, non ci riesco. Giuro, mi sforzo. Guarda questa festa...ci ho provato, davvero ma qualcosa mi blocca. Quel qualcosa è la mia coscienza che grida disperata di restare, di aiutarli perchè mi vogliono bene, perchè mi hanno aiutata quando ne avevo bisogno, perchè in fondo servo loro, perchè quella è la cosa giusta, perchè sono dalla parte dei buoni. – chinò la testa e fissò la terra umida- Per una volta però, vorrei sbagliare. Vorrei crederti, alla tua arte, alle città, alla bellezza del mondo. Vorrei decidere da sola, non essere parte di uno schieramento ma crearlo -.

Avere sensi di colpa e chiarire i dubbi che hai instillato in me.

-Ma non posso -.

Quelle parole franarono tra i due, pesanti, indelebili, riecheggiarono nella testa di entrambi.

-Lo sapevo – sussurrò Klaus.

-Mi...dispiace, davvero...- provò a scusarsi Caroline ma Kalus le afferrò le punte delle dita.

Con una delicatezza antica di secoli, sfiorò le sue nocche e intrecciò le sue dita a quelle della ragazza – Lo sapevo. Ma tu...la più dolce delle illusioni, un soave antidoto... - le sorrise, accarezzandole una guancia, giocando con una ciocca dei suoi capelli, immergendo una mano nella chioma dorata – hai...osato! - ringhiò. Cancellò il sorriso dal volto, lasciando il posto ad un'espressione impassibile e ad uno sguardo gelido. Si chinò sulla ragazza stringendo al presa sui capelli, dietro la nuca – Tu mi rifuiti, come un abito vecchio, un paio di scarpe fuori moda, tu mi getti via. Sciocca ragazzina superficiale! Sono millenni che attraverso il mondo di questa stupida umanità, posso fendere il tempo, sfuggire alla morte e tu... -.

Era vicino, troppo vicino. Caroline sentiva il suo respiro tra le labbra, e una vampata di calore salirle alle guance. Percepiva la stretta sul suo collo, immaginava i lividi che le avrebbe lasciato, come una traccia indelebile, un peccato. Sentiva i suoi occhi esplorare la sua gola. Come poteva aver pensato di scorgere un granello d'umanità nel demone senz'anima?

Era certa che quella volta l'avrebbe uccisa, le avrebbe squarciato la gola o, ancora peggio, le avrebbe strappato il cuore. Era stata stupida a sfidarlo. Aveva rifiutato uno degli Originari e ne avrebbe pagato il prezzo. Sperò che fosse rapido, il meno doloroso possibile. La paura le offuscò la vista riempiendo il suo corpo di adrenalina.

L'uomo fece scorrere il pollice lungo la mandibola, accarezzò le labbra della ragazza, sentendole tremare - tu...mi temi – sussurrò, fissando gli occhi nei suoi.

 

And our love is pastured such a mournful sound. 

 

Caroline trattene il fiato.

Era sbagliato, era pericoloso. Un minimo movimento e le avrebbe spezzato il collo.

Dimenticò l'orrore, il sangue, la morte, la devastazione; dimenticò quello che doveva per fare quello che voleva. Sollevò una mano e accarezzò il viso del demonio. Sentì la pelle calda scivolare sotto le sue dita, la barba solleticarle i polpastrelli. Klaus parve sorpreso, esitò.

Le dita di Caroline che gli accarezzavano le palpebre, s'insinuavano tra i suoi capelli, scendevano lungo il collo, nella delicatezza tremante della preda che controlla il predatore.

Sentiva il cuore battere più forte, il sangue pulsare sulle tempie metre una rosa le dilaniava il cuore con le sue spine. Non era desiderio, non era passione. Era amore. Un amore violento, suicida, cui non poteva scampare.

Klaus era immobile. Le stava lasciando una scelta, per la seconda volta.

Era la cosa peggiore che potesse fare, Caroline lo sapeva, ma non voleva vivere un'eternità di rimpianti.

 

And I’m damned if I do and I’m damned if I don’t.

And I’m ready to suffer and I’m ready to hope
It’s a shot in the dark and right at my throat.

 

Sollevò appena il mento, annullando la lieve distanza che separava le loro labbra, e la rosa nel suo petto affondò le spine.

Klaus assaporò le labbra della ragazza: Martini, la strinse fra le braccia con premura, affondò il viso nei suoi capelli, inghiottì il suo respiro, baciò tremante le sue lacrime e i suoi sorrisi. Nel suo cervello qualcosa spingeva, dolce e doloroso allo stesso tempo. Qualcosa era riemerso da un mare di pece nera di crimini e colpe. Caroline, la sua Care, aveva acceso in lui ina fiammella, una luce tenue, flebile, pronta a spegnersi ma...incredibilmente forte. La baciò per quella che gli parve un eternità, ma non era mai abbastanza. Erano chiusi in un diamante, fuori dal mondo, dalle regole, dalla morale, un diamante come quelli che lei aveva restituito mentendo a se stessa. Una bugia che bruciava sulle loro labbra, una verità che dilaniava i loro cuori. Il dolore che lo avvolgeva in una nebbia sottile, quello di chi ama con tutto se stesso, di chi ha indossato talmente tante maschere da perdersi sotto di esse, di chi, infine, ne è stato tirato fuori violentemente, ferendosi gli occhi con un debole raggio di sole. Doveva reimparare.

Facava male, amare. Era una cosa cui non era abituato da migliaia di anni. Era una dannazione, una maledizione funesta che lo stritolava da capo a piedi, spezzando il suo respiro, come un coltello che affontava nel suo petto. Ma quella sofferenza era miele, l'unico dolore che valesse la pena provare.

Strinse il suo viso tra le mani, appoggiano la fronte alla sua e sussurrò – Credo di amarti, Caroline -.

 

'Cause I'm looking for heaven, for the devil in me. 

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Capitolo 2
*** Kiss me now and catch your death. ***


You are the hole in my head
You are the space in my bed.

 

Le tende danzavano sotto una brezza leggera, offuscando di tanto in tanto i raggi aranciati del primo sole mattutino. Liz Forbes entrò nella stanza di sua figlia girando lentamente la maniglia. La notte precedente l'aveva sentita entrare in casa, aveva controllato la sveglia che lampeggiava sul comodino, mettendo a fuoco la scritta verde “3:18 am”.

Non volendo svegliare la figlia, camminò in punta di piedi, fancendo scricchiolare appena il parquet, e, tenendo pericolosamente in equilibrio un vassoio, appoggiò sul comodino una fetta di crostata e una tazza di latte tiepido, uscendo silenziosamente.

La luce del sole tremolava sulle palpebre chiuse di Caroline, facendo affiorare un sorriso sulle labbra della ragazza, prima ancora che questa aprisse gli occhi.

Si mise a sedere e ammirò le foglie degli alberi brillare fuori dalla finestra e, sbadigliando, afferrò la crostata alla ciliegia. Appoggiando la schiena alla testiera del letto, sorrise e raccolse con un dito le briciole di pasta frolla che erano cadute sul lenzuolo. Sorseggiò il latte e si alzò, sospirando.

Quando passò davanti allo specchio strillò, il trucco della sera prima era colato lungo una guancia, facendola assomigliare ad un ridicolo panda a strisce. Scoppiò a ridere ed entrò nel bagno della camera.

-Buongiorno – disse la madre, rientrando per portare via il vassoio.

Caroline sbadigliò un saluto rabbrividendo, l'acqua era gelata. Poco male, più è fredda, più tonifica, pensò sciacquandosi il viso.

-Com'è andata la festa? - domandò Liz. La ragazza trasalì e affondò il viso nell'asciugamano per nascondere il rossore sulle guance. - Bene, bene – tagliò corto.

-Ah – disse la madre entrando in bagno col vassoio tra le mani – e non hai incontrato nessuno di particolare? -. Caroline ebbe un mancamento -No, no...non mi pare...-

-Sicura sicura? -.

Era la fine, se sua madre avesse saputo o anche solo sospettato qualcosa, le avrebbe fatto saltare la testa o, ancor peggio, l'avrebbe costretta ad assistere alla decapitazione della carta di credito. La ragazza si sforzò nell'espressione più interrogativa che le potesse riuscire.

La madre sospirò – Insomma Care, andiamo. Perchè ti ostini a non dirmi certe cose? -

Caroline ammutolì. Sentiva lo sotmaco contorcersi e mozzarle il respiro. Cercò l'autocontrollo, scappato a gambe levate in un altro continente.

La madre la squadrò – Nelly, Nelly Brooket! Capisco che non sia mai stata la tua migliore amica ma almeno potevi degnarti d'invitarla a casa, un giorno o l'altro, stamane ho incontrato sua madre, sembrava offesa -.

La ragazza riacquistò un po' di colore – Ah, Nelly! Sì...certo...ehm, diciamo che in mezzo a tutta la gente che ballava non ho avuto modo per farci quattro chiacchiere -.

-Come vuoi, come vuoi. In fondo nemmeno con la signora Brooket ci sono mai stati ottimi rapporti. Non importa. Oggi Andrew mi sostituisce al dipartimento, ho la giornata libera. Passiamo un po' di tempo insieme come ai vecchi tempi? -.

-Ah – rise Caroline – ecco perchè la crostata, e la colazione a letto, vuoi comprare il tempo di tua figlia! -. Liz storse il labbro fingendosi offesa e portò il vassoio in cucina.

-Va bene, genio della corruzione. Ma alle quattro devo...- cercò di pensare una scusa il più rapidamente possibile - andare da Bonnie, devo aiutarla a trovare alcuni documenti sulla sua famiglia...- gridò, sporgendosi dalla porta. Indossò una tuta e raccolse i capelli in una coda dall'aspetto più che casalingo. Prima di raggiungere sua madre in cucina inciampò nel vestito stropicciato della sera prima. Sorrise, lo raccolse e lo gettò sul letto.

 

You are the silence in between, what I thought and what I said.

You are the night-time fear
You are the morning when it’s clear.

 

-Cos'è che ti tormenta questa volta? -

Rise – I Salvatore sono prevedibili. E tu avresti abbandonato la tua confortevole bara per occuparti di me, fratellino? -.

-No, ho lasciato la mia comoda bara per parlare di te. Abbiamo un conto in sospeso se non ricordo male...-

Klaus gettò i soldi sul bancone, storcendo il labbro – Non fanno più gli High Roller Martini di una volta, non trovi? -

-Klaus – Elijah pronunciò il nome del fratello con lo stesso tono con cui avrebbe ordinato ad un cane “seduto”.

Klaus si voltò di scatto -Non ricordo di aver nulla da discutere con te – sibilò sprezzante, alzandosi e dirigendosi verso l'uscita, subito raggiunto dal fratello.

-Non fare il ragazzino indispettito. Mi hai tradito, Niklaus, hai tradito tutti noi, hai tradito Rebekah. Sei solo, tu e il tuo folle piano che vagabondate senza meta sulle strade del destino. Impara dai tuoi errori, un giorno o l'altro potresti avere bisogno di noi e non troverai nessuno -. Pronunciò quelle parole con serena oggettività e si allontanò, lasciando Kalus a tremare di rabbia davanti al locale.

Voleva una vendetta tagliente, dolorosa: meditarla avrebbe richiesto tempo.

 

 

 

Cos'è che ti tormenta questa volta?

 

Strinse il viso tra le mani e osservò il fuoco ardere nel camino. Le fiamme danzavano sopra i cocci di legno, la cenere biancheggiava dove il calore era già passato, distruggendo e purificando ogni cosa.

Caroline. Il pensiero del suo nome gli procurò un brivido caldo lungo la schiena. Ricordare la sua dolcezza gli strangolò il cuore. Avrebbe dato la vita per trovarsi al posto di quei cocci, lasciare che lei danzasse sulle sue ceneri, che calpestasse, che annientasse le sue colpe, i suoi peccati, tutto quel sangue, quei corpi che continuavano a perseguitarlo nelle ore più buie della notte.

La salvezza servita su un piatto d'argento, l'acqua più fresca e pura che scorreva nella sua gola lavando via le tracce di sangue.

Guardò le proprie mani, mani di un assassino privo di pentimento. Gli anni più scuri della sua esistenza trascorsi a subire i calci di suo padre che, costringendolo ad accettare ogni sfida, privandolo di ogni volontà, di ogni forza, lo aveva trascinato nella disperazione.

Anni dopo, quello stesso dolore l'avrebbe colpito, frustato, fin quando non avesse ritrovato il coraggio di ribellarsi, scrollandosi di dosso la sensazione di essere indegno, sporco, intoccabile, vigliacco. Il male l'avrebbe attirato a se sfruttando il suo strazio, con inganevoli zollette di zucchero, avrebbe sferzato la sua anima trasformandolo in quel che era, ricordandogli cosa era stato capace di superare, rendendolo fiero di sé.

-Cosa sei disposto a pagare, Niklaus? -.

Ogni cosa. Per un solo istante, poterla vedere, poterla toccare accertandosi che non fosse solo il frutto dell'ennesimo, doloroso, incubo. La sua voce che cancellava ogni altro suono, riecheggiando nella stanza, uccidendo il silenzio della solitudine. Le sue mani, le sue carezze, le sue labbra, il suo calore, ed ogni pensiero bruciava come sale su una ferita. Tese una mano verso il fuoco. La sua assenza congelava ogni istante, l'orologio che batteva i secondi ghiacciati, il tempo fermo sotto le preghiere di un demone.

No light, no light in your bright blue eyes
I never knew daylight could be so violent.

 

La consapevolezza soffocante che ogni ricordo, ogni sogno più oscuro, sarebbe rimasto una fredda fantasia, avrebbe attraversato le notti della sua eternità, vedendolo marcire sotto mucchi di foglie morte. Rassegnazione.

Una bestia che premeva contro il suo petto: pugni violenti contro le costole, artigli pronti dilaniare il suo cuore squartando ogni traccia d'umanità. Una maledizione destinata a sopraffarlo, una guida sicura attraverso i secoli. La vendetta. Una dolce compagna cui si abbandonava per sopire la sofferenza della solitudine, della colpa. Corpo, dopo corpo, a terra cadevano morti, il sangue che scorreva al suolo donandogli quel sollievo fugace, confinandolo in un tiepido sonno dall'odore metallico.

-No – pensò, e il miele divenne aceto.

L'umanità era la peggiore debolezza di un vampiro, e lui non voleva essere debole.

Caroline sarebbe rimasta una statua di ghiaccio: bella, concreta, luminosa e pura, almeno finchè il sole non vi avesse posato i suoi raggi. Una rosa che gelava sotto la neve.

Sì, l'amava, ma non avrebbe potuto amarla abbastanza. Sì, era quella giusta, ma al momento sbagliato. Per quanto un minuscolo angolo di lui lottasse contro quell'idea, in quel momento l'eliminazione di Stefan era prioritaria. Avrebbe messo da parte tutto quanto, spingendo più a fondo la lama che trafiggeva il suo stomaco, per ritrovare tutto quanto un giorno più lontano, quando non avrebbe più avuto peccati da espiare.

Accolse con sollievo il demone in lui, il sangue che ribolliva nelle vene e nella gola in un cupo brontolio. Distolse lo sguardo dal paradiso che bramava, rivolgendo gli occhi alle fiamme dell'inferno, ancora una volta.

 

You are here to get it right, and it’s a conversation I just can’t have tonight.

 

-Oh ma, dai, dici sul serio?! -

-Certo, il senso di colpa glielo si legge in faccia...- rise Bonnie.

Caroline sospirò – E così Stefan è tornato...povero Damon, in fondo mi dispiace, lui ed Elena stavano cominciando a conscersi meglio...-

-Non essere stupida, lei è innamorata di Stefan! -

-Si ma, dopo tutto quello che ha fatto, non può certo pretendere che torni tutto come prima, non basta mica un cartello “ehi, rieccomi qua, di nuovo dalla parte dei buoni”! -.

-....-

-Bonnie...sei ancora lì? -

-...-

-Bonnie, andiamo rispondi! - domandò preoccupata.

-Scusami ma devo andare, ciao...- e riagganciò la linea.

Caroline rimase interdetta col telefono tra le mani, scrollò le spalle e lo infilò nella borsa.

Aprì la portiera e il suo odore la investì, l'odore della morte in attesa, il profumo delle rose che coltivava nel suo giardino, l'odore dei suoi capelli...

Poteva ancora vederla, l'impronta della sua mano sul volante, quando l'aveva riaccompagnata a casa. Qualcosa, nel suo petto, vibrò, come le corde più basse di una chitarra. Ingoiò il cuore che le palpitava in gola e accese l'auto, imboccando la strada per casa sua. Non sapeva come immaginarla. Gli aveva parlato del giardino e della sua passione per le rose, di arte, grandi città, che lo facevano somigliare ad un intellettuale sempre al passo coi tempi. L'immaginò moderna, squadrata, magari con qualche pannello solare qua e là...no, decisamente non era il suo stile.

Dopotutto era il covo di un assassino: sarebbe stata minimalista, anonima, facilmente mascherabile tra tante altre. Forse sfarzosa, imponente come quella di Stefan...

-Ma cosa penso?! - scosse la testa concentrandosi sul vero obiettivo di quella visita.

Avevea impiegato una notte intera a convincersi di salire in auto e andare da lui per parlare: quel che era successo la notte precedente aveva incrinato la realtà di cui aveva fatto parte fino al giorno prima. C'erano i buoni e i cattivi, quelli che volevano salvare Stefan e preoteggere Elena, uccidendo Klus, e c'erano gli ibridi, gli incubi crudeli al servizio di quell'assassino psicopatico.

E c'era Tyler, la via di mezzo. Il grigio tra il bianco e il nero: una mina pronta ad esplodere e ad ucciderli tutti. La notte precedente aveva confuso tutto, rovesciando un secchio di vernice rossa su quel mondo categorico e ordinato, aveva cancellato i volti di chi amava coprendo la sottile linea tra bene e male che divideva in due parti distinte la tela della sua vita.

Perciò aveva bisogno di parlargli, di chiarire il suo ruolo in quel disastro. Avrebbero dovuto mantenerlo segreto, Elena, soprattutto, non avrebbe dovuto saperlo e Bonnie...

-Frena, Caroline, forse stai correndo troppo...credi davvero in lui, nella sua sincerità? -.

Sì, ci credeva, voleva crederci, ne aveva bisogno. Aveva bisogno di sapere che era stato reale, vero, sincero, che ogni sensazione, ogni carezza non era un sogno o un piano in cui l'aveva coinvolta.

Eppure, nulla nei suoi occhi, nei suoi sorrisi, le era sembrato finto, costruito. Sentiva che era sincero, ma l'insicurezza si era fatta strada in lei durante la notte, tra le immagini ancora nitide di quanto accaduto.

-Stupida, non riesci neanche ad ammettere che lo hai...baciato -.

Baciato. Ed era stato il più bel bacio che avesse mai dato.

Rise. Sì, l'aveva baciato.

Dodici minuti dopo, soffocando a forza il quel sorrisino da cotta adolescenziale che le illuminava gli occhi, parcheggiò davanti al giardino della casa di Kalus.

-Beh, più che un giardino, sembra una foresta – ammise e il segnale di chiusura dell'auto riecheggiò nel silenzio. Alzò lo sguardo verso l'enorme inferriata che sbarrava l'accesso al “giardino”: sbarre sottili, volute gotiche, riccioli eleganti ed intrecci come crinoline in ferro battuto. Si avvicinò lentamente, facendo scorrere lo sguardo sull'intero cancello, afferrandone delicatamente due sbarre, coperte da esili ramoscelli di edera. Diede un rapido sguardo all'interno, cercando il suo viso, il suo odore. L'unica cosa che percepì fu l'odore delle rose, disposte in ordinati cespugli bianchi e rossi, a delimitare un sentiero in candida ghiaia che conduceva ala porta di ingresso. Fece forza contro il cancello, ricorrendo a quella forza straordinaria di cui disponeva da quando era...morta.

Il clangore del cancello che si apriva riempì l'aria, qualche foglia d'edera si steccò dal ramo e volteggiò al suolo.

Alla destra del cancello, appena entrata, trovò un cartello di legno finemente intagliato, la punta che indicava il roseto: “Red Queen's Garden”. Alla base del cartello sonnecchiava, in ceramica dipinta, un coniglietto bianco con panciotto e orologio da taschino. Per quanto potesse sembrare assurdo, Caroline non si stupì affatto di quella piccola stranezza: Klaus era un uomo estremamente colto, eclettico, lunatico; era possibile che lui e Lewis Carroll si fossero incontrati, anni prima. In fondo, avevano un sacco di cose in comune.

L'odore delle rose, troppo intenso, le faceva girare la testa, finchè nelle sue narici non si fece strada un profumo particolare: rum con ghiaccio, animale selvatico, sangue.

Klaus.

Lo vide tra le rose.

Chino su un cespuglio di rose rosse, smuoveva la terra secca alla base della pianta, versandovi a poco a poco un filo d'acqua. Sorrideva mentre la luce gli indonava gli occhi, i capelli, le mani, perdendosi sotto la candida camicia che, leggera, scopriva il collo e parte del torace, accarezzando lieve la pelle nuda. Caroline arrossi.

Kalus si voltò veso di lei, sollevando le mani dalle rose.

La ragazza attese che le venisse incontro con quel sorriso struggente ma, al contrario di quanto si aspettasse, l'uomo cancellò ogni traccia di serenità dal suo volto, assumendo un'espressione truce. Scattò in piedi, piantò la pala nel terreno e si avviò a grandi passi dentro casa, sbattendo la porta.

Caroline rimase immobile, incredula. Poi, a metà tra lo sconvolto e l'interdetto, raggiunse la porta a pugni stretti. Fissò un secondo i battenti sperando di essersi sbagliata, che l'uomo fosse entrato per prendere qualcosa e che tornasse subito indietro per aprirle, ma non accadde nulla. Attese qualche secondo, poi, prima delicatamente, poi semrpe più forte, bussò alla porta, finchè, con l'ultimo pugno, non rischiò di farsi male. Kalus spalancò la porta bloccando a mezz'aria l'ennesimo pugno della ragazza. La presa sul suo polso era fredda, ferma, decisa, ma non dolorosa.

-Fammi entrare -.

-Cosa ci fai tu qui? - rispose lui, squadrandola con disprezzo.

-Sei impazzito? -

Lui tacque e mollò la presa sul suo polso allontanando violentemente il braccio della ragazza- Vattene, non sei la benvenuta – ringhiò e si allontanò nella sala d'ingresso.

Caroline afferrò gli stipiti della porta, spingendo per entrare, ma, senza essere invitata, nemmeno un intervento divino le avrebbe permesso di mettere piede in quella casa.

-Dannazione! Klaus, torna qui! -

L'uomo l'ignorò, come se si trattasse di una bambina fastidiosa e capricciosa.

La rabbia inondò le guance della ragazza, facendola avvampare – Cosa diavolo signfica? Klaus?!

Degnati almeno di parlarmi! -.

L'uomo sorseggiò un bicchiere di rum – Te l'ho già detto Caroline, vattene. Per me ieri sera non è mai esistito – sussurrò, gelido.

Caroline scivolò a terra.

Non era esistito.

Le lacrime scivolarono lungo le guance bollenti di rabbia. Si sentiva scoffitta, usata. Un pugno l'aveva colpita in pieno petto, facendo saltare un battito al suo cuore.

Pianse in silenzio, poi, sottovoce, quasi implorasse, disse – Non ti credo – parole che trasudavano disperazione e serietà.

Klaus trasalì, posando il bicchiere su un tavolino di vetro.

-Nessuno, angelo, demone, santo o assassino, potrebbe dire le cose che mi hai detto senza provarle veramente. Eri sincero Klaus, ed è inutle che provi a mentire, a me, a te stesso. Indossare un'altra maschera non cancellerà il volto che nascondi sotto di essa -. Il tono si fece più fermo, si sollevò in piedi e si asciugò le lacrime – Quindi se non vuoi più vedermi, va bene, ma non mentirmi Kalus, perchè io ero sincera -.

Caroline si voltò, raccolse la borsa, abbandonata a terra, e affondò la punta della scarpa nella ghiaia, muovendo il primo passo verso l'uscita.

-Caroline! -

La ragazza si bloccò, asciugando un'altra lacrima, fissando lo sguardo sul cancello davani a sé.

Kalus sostava sulla, soglia, stringendo tra le mani il polso tremante, bagnato di lacrime, della ragazza.

-Entra – disse, il tono prerentorio contraddiceva i piccoli movimenti circolari delle dita sul polso.

Caroline s'irrigidì.

Come rispondendo ad un orinde, si voltò, lasciandosi trascinare dentro la tana del lupo.

 

And would you leave me if I told you what I’ve become?
‘Cause it’s so easy,
To sing it to a crowd, but it’s so hard, my love
To say it to you, all alone.

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Capitolo 3
*** Who is the betrayer? ***


La carta da parati era ruvida, scura, un color borgogna che risaltava l'oro della cornice del quadro.

Vi era dipinto un lago dai contorni sfocati che si perdevano tra i rami di un sottobosco autunnale. Un cespuglio di more sradicato, capovolto nell'acqua, aggrappato al drappo che avvolgeva la figura di una ragazza, ritratta di spalle. Il corpo era immerso nel'acqua fino ai fianchi, un accenno di pelle candida sotto il tessuto quasi trasparente che galleggiava sull'acqua chiara. Macchie di colore più nitido, linee più definite che esaltavano la curva di una clavicola perfetta, l'incavo del collo bianco e del mento sfuggente, nascosto dietro una ciocca di capelli corvini. Caroline si allontanò di un passo per cogliere l'opera nella sua interezza. I dettagli, sottili e precisi, avevano qualcosa di familiare.

 

And time goes quicker
between the two of us.
Oh, my love, don’t forsake me
Take what the water gave me.

 

La mani, le cui dita affusolate sfioravano l'acqua increspandone appena la superficie, i capelli, i boccoli scuri che cadevano morbidi sulla schiena pallida, gli occhi chiusi, le labbra, increspate in un sorriso malizioso non erano altro che un ritratto perfetto della ragazza con cui era cresciuta, una copia identica di un'altra epoca, di un'altro mondo. Elena.

Caroline portò una mano alle labbra soffocando un sospiro sorpreso.

Klaus le allungò un bicchere di cognac sorridendole – Non riesco a gettarlo via -.

Caroline afferrò il bicchiere – Chi è? - domandò titubante – Katherine? -.

-No – rispose secco Klaus – è un fantasma -. La lasciò sola davanti al quadro e Caroline intuì che quella era una delle tante cose che non le avrebbe permesso di sapere.

Bevve un sorso. Una delle tante bugie che aleggiavano pesanti intorno a entrambi. Non avrebbe mai funzionato...allora cosa ci faceva lì? Perchè non se n'era andata? Klaus non aveva forse detto che quel bacio non aveva significato nulla?

Diede un'occhiata rapida all'orologio, le sette. Erano passate due ore, nelle quali aveva avuto tempo sufficiente per leggere tutti i titoli della biblioteca privata dei Mikaelson, scorrere i dischi in vinile ordinatamente riposti sullo scaffale, di fianco ad un vecchio giradischi, e giudicare i gusti cineamtografici del killer numero uno di Mystic Falls. Poi, visto che Klaus non intendeva cominciare alcuna conversazione, era passata ai quadri. Non era un'intenditrice, tuttavia quei dipinti possedevano una notevole influenza pre raffaelita. Le linee morbide, armoniose, i colori tenui, la luce...

Un corvo svolazzò scompostamente davanti alla finestra e sparì tra le fornde di un abete nero.

Caroline avvicinò il volto al quadro, cercando il nome dell'autore o, almeno, il titolo dell'opera.

Diede una rapida occhiata alle sue spalle senza trovare Klaus, quindi fece scorrere lo sguardo fino all'angolo in basso a destra e, sopra un cespuglio di mirtilli, in inchiostro marrone, confusa tra i rami punteggiati di bacche, una scritta: “Colpe – Tat...” ma le lettere si perdevano sotto la cornice.

-Caroline? -. Sobbalzò, la voce di Klaus proveniva dalla sala da pranzo, tesa, leggermente più acuta del solito.

Voltò le spalle al quadro e lo raggiunse, bloccandosi sulla soglia.

Le parole le morirono in gola, urlando invece che tra le sue labbra, nei suoi occhi e nell'espressione terrorizzata che le deformò il viso perfetto.

-Ciao Caroline, accomodati, gradisci un po' d'arrosto? -.

Klaus spostò lo sguardo teso da Caroline ad Elijah che, del tutto incurante, portò un bicchiere di vino alle labbra.

 

 

Bonnie giaceva scomposta tra le rocce umide della grotta, il cellulare lampeggiava poco distante dal suo corpo. Abby sanguinava non lontano, di fronte alla bara, accasciata sotto la parete contro la quale era stata scaraventata. Damon cercò di svegliare Bonnie, raccolse il suo telefono e rispose: era Stefan. - Abbiamo un problema Stef -.

 

 

Caroline sentì lo stomaco attorcigliarsi. Era stata una stupida ad entrare. Elijah.

Klaus le aveva mentito, di nuovo. Si vergognò di se stessa, per aver creduto anche solo per un momento che l'assassino avesse un'anima, che avesse abbandonato i suoi schemi perversi e l'omicidio per vivere qualche istante di serenità. Idiota, era un'idiota. Forse era stato quel bacio – pensò – ad averla intontita, scaraventata in una dimensione nebulosa, fluttuante, sospesa a metà tra la realtà e l'illusione di un mondo di ombre salvifiche, un buio invitante rigonfio di promesse.

Indietreggiò di qualche passo, lentamente, tra il terrore per Elijah e la delusione, la rabbia, per Klaus.

Lay me down
Let the only sound.
Be the overflow
Pockets full of stones.

 

Era chiaro, più limpido dell'acqua di sorgente. L'aveva usata come una pedina insignificante. Aveva giocato con lei, coi suoi dubbi e le tracce di umanità che, solide, rimanevano aggrappate alla sua anima. Aveva dormito appena, persino pianto, per una bugia velenosa.

Sentì la bocca riempirsi del sapore acido della vergogna. Si voltò. Ecco il perchè di quell'atteggiamento freddo, distaccato. La stava evitando in attesa di farle scoprire la verità. Era caduta in una trappola talmente comune... Ma certo, il cattivo affascinante che si prende gioco della sciocca ragazzina superficiale. Quale sarebbe stata la prossima mossa? Chiederle di schierarsi col team “Klaus l'assassino”? Ridicolo. Forse non aveva trovato le parole per dirle che un altro omicida sanguinario attendeva nella stanza accanto, pronto ad ucciderla? Rise amaramente. Patetico.

Tornò in sala, afferrò al volo la borsa e, dopo aver dato un'ultima occhiata al quadro appeso alla parete, spalancò la porta con forza e uscì, correndo attraverso il giardino. Non avrebbe indagato oltre, chi fosse la ragazza nel quadro non era affar suo. Sentì le lacrime salirle agli occhi e le ricacciò indietro, non doveva piangere, non di nuovo. Non doveva importarle più nulla.

-Mai più – sibilò a denti stretti. Le tornarono in mente di diamanti che le aveva regalato, un modo come un altro per comprarla, per portarla dalla loro parte. Disgustata solo al tocco di qualcosa che apparteneva a lui, afferrò le sbarre del cancello e si preparò a tirare.

-Mi dispiace – la voce alle sue spalle era poco più di un sussurro, tuttavia non perdeva l'imponenza e la forza severa acquisita in millenni di comando.

Caroline ribattè prontamente -No, non può essere, perchè significherebbe che provi sentimenti – respirò profondamente, il tono spezzato dalla rabbia – e i mostri non ne hanno -.

Klaus appoggò una mano calda sulla sua spalla, ignorando compleatamente le sua parole – Mi dispiace, davvero -.

Il dolore fu insopportabile. Caroline sentì la pelle incendiarsi al contatto della lama, la carne liquefarsi e i tessuti scioglersi, bruciando sotto la pressione della verbena.

Klaus spinse più a fondo il coltello, finchè il corpo della ragazza non si accasciò tra le sue braccia in un sonno doloroso.

La prese in braccio, scostandole i capelli dalla fronte sudata – Perdonami Caroline, ti prego -.

 

The world’s a beast of a burden
You’ve been holding on a long time
And all this longing
And the shields are left to rust.
That’s what the water gave us.

 

Elijah addentò una mela – Ottima cena, davvero -.

Klaus artigliò la tovaglia candida – Sei contento ora, ti sembro abbastanza fedele alla famiglia? -.

-Lei dov'è? -replicò Elijah sorridendo.

-Nelle segrete rispose con voce incrinata – Ma non è questo il punto fratello, ora che sai che puoi fidarti di me, che tutto quello che faccio è per noi, per riunire la nostra famiglia, mi aiuterai ad uccidere Stefan? -.

-Ma certo, fratello – sorrise – certo -.

 

 

La luce della luna si rifletteva sui contorni di una lapide, illuminando un angelo spettrale - le mani giunte in preghiera - di un pallore marmoreo, evanescente.

Giochi di luce e ombra donavano profondità al suo sguardo di pietra che si posava impietoso sulle due figure ferme davanti alla tomba.

-Che posticino allegro...-

-Abbiamo un accordo, Damon? -

-Voglio la tua parola che, al momento giusto, aprirai quelle bare e che non torcerai un capello a nessuno di noi, soprattutto ad Elena -.

Elena.

-Sì – dichiarò Elijah – hai la mia parola -.

 

 

 

Elena posò il telefono sul tavolo – Bonnie è ok, Abby ha solo qualche graffio ma lo spavento è stato enorme...- disse passandosi una mano tra i capelli.

-Già, menomale...ricordano qualcosa di quello che è saltato fuori dalla bara? - domandò Matt.

Elena sospirò – No, nulla, dice che è stato tutto troppo veloce... -. Matt afferrò la giacca e la piccola fetta di torta che volevano portare ad Alaric. La ragazza prese le chiavi di casa – Forse non dovremmo disturbarlo, io...io non me la sento Matt, l'ho praticamente ucciso, io...-.

-Tu gli hai salvato la vita, Elena, probabilmente non vede l'ora di ringraziarti -.

Con un debole sorriso, Elena si chiuse alle spalle la porta di casa.

 

Cause they took your loved ones
But returned them in exchange for you
But would you have it any other way?

You could have had it any other way.

 

Gli incubi la tormentarono per diversi giorni, conducendola negli anfratti più oscuri della città. Vetri rotti sull'asfalto da schivare a piedi nudi. Le strade si perdevano in un labirinto senza fine, un incubo disorientato. Svoltò di angolo in angolo fino a perdere la via nei vicoli bui e nei parcheggi desolati. La luce dei lampioni al neon scintillava sugli aghi delle siringhe disseminate al suolo come in un capo minato. Caroline non aveva paura, aveva fame, una fame impellente che le lacerava la gola. La solitudine, l'assenza di sangue, di cibo, le dava le vertigini, facendola barcollare lungo gli argini del fiume. Si rintanò vicino ad un piccolo molo, dove erano ormeggiate alcune barche di legno marcio per l'umidità. Era tutto così disperatamente desolato, silenzioso, vuoto, morto. Si sentiva l'unico essere al mondo: la consapevolezza l'assalì come una bestia affamata, dilaniando gli ultimi brandelli di speranza, e Caroline urlò, strepitò tirando calci al vuoto, prendendo a pugni il silenzio. L'eco delle sue urla la faceva sentire meno sola. Il dolore era insopportabile, bruciava nella testa, premendo come acido sulle tempie. Si gettò a terra, graffiando il suolo con dita consumate, sanguinanti, mentre la luce dei lampioni si faceva sempre più fioca.

-Non volevo accadesse, credimi, non ne avevo alcuna intenzione -. Parole luminose ripetute all'infinito, fino a confondersi con il gorgogliare incessante del fiume nero e limaccioso. Ricordi. Caroline ricordava quella voce, tuttavia non avrebbe saputo dire a chi appartenesse, morsa dagli spasmi della fame, il sangue era l'unico pensiero che le restituiva l'istinto lucido, brillante, del cacciatore.

 

In un altro mondo, fuori dall'incubo di verbena, qualcuno la cullava asciugandole la fronte febbricitante, nutrendola quel tanto che bastava a non ucciderla, piangendo lacrime bollenti. Aveva dovuto farlo, lei l'avrebbe ostacolato. No, non lei, l'amore che provava per lei gli avrebbe impedito di fare ciò che doveva.

Era il prezzo da pagare per poter finalmente riavere indietro la sua famiglia. Riconquistando la fiducia di Elijah aveva dalla sua un'arma in più per uccidere Stefan e riprendere ciò che gli apparteneva.

-Ancora poche ore, te lo prometto, solo poche ore...- sussurrò.

Lasciò Caroline sul giaciglio improvvisato e, chiudendosi la porta delle segrete alle spalle, avvertì un dolore appena sotto il cuore, una fitta chiara e acuta. Cacciò via quella debolezza: sarebbe stata solo l'ennesima colpa da farsi perdonare.

Elijah attendeva al piano di sopra -Allora, hai un piano? -.

-No – ringhiò Kalus – ma questa sera, in un modo o nell'altro, Stefan Salvatore morirà – concluse e, afferrate le chiavi della macchina, uscì di casa sbattendo la porta.

Elijah rise, povero sciocco fratello, non aveva idea di quel che sarebbe successo quella sera. Quando sentì il rumore del motore sparire nella foresta estrasse dalla tasca un piccolo coltello d'argento e incise il palmo della propria mano, in profondità, finchè il sangue non cominciò a sgorgare con un flusso regolare. Lo raccolse in un calice. Dopo qualche secondo, valutando che fosse abbastanza, tamponò la ferita che, rimarginandosi all'istante, riportò la pelle al solito candore compatto, senza l'ombra di alcuna cicatrice. Prese il calice pieno di sangue, asciugandone il bordo con la punta del dito e, facendo attenzione a non rovesciarne nemmeno una goccia, scese le scale verso le segrete.

Caroline era distesa su una branda, composta come una principessa addormentata, la coperta ordinatamnte distesa sul corpo, fino alla vita.

Elijah sollevò piano il suo capo, i capelli incollati alla fronte e l'espressione tirata.

Accostò il calice alla labbra della ragazza e sorrise: l'unica arma che poteva fermare suo fratello era abbandonata ra le sue braccia, in uno stato di fragile incoscienza. Una ragazza con il potere di fermare un mostro, di giocare con la sua debolezza: l'amore.

Il sangue cadde tra le labbra della ragazza, goccia dopo goccia, donandole di nuovo il colore rosato delle pesche, accendendo i suoi capelli di un biondo irreale.

Gli occhi di Caroline si spalancarono in un blu profondo come il cielo, deformato dallo sguardo ferino del primo sangue ricevuto dopo una settimana di sofferenza.

Dopo qualche sorso ebbe forza sufficiente per reggere il calice da sola e affogare nel nettare porporino dal sapore metallico. Elijah sorrise soddisfatto, se ne andò lasciando la porta della cella aperta, salì al piano di sopra. Prima di uscire di casa diede un'occhiata al quadro appeso nella sala sospirando – La storia si ripete, Tatia -. Chiuse la porta alle proprie spalle: Damon lo attendeva a casa Salvatore. La vendetta profumava di rose.

 

Cause she’s a cruel mistress
And the bargain must be made
But oh, my love, don’t forget me,
I let the water take me .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Autumn, revenge and red velvet. ***


I used to rule the world, seas would rise when I gave the word.

 

Bonnie riagganciò.

Caroline non rispondeva al telefono da giorni, chissà dove diavolo era finita? Abby era in ospedale: la dottoressa Fell le aveva assicurato che sarebbe stata dimessa entro due giorni al massimo, eppure Bonnie non riusciva ad addormentarsi: l'ansia le avvolgeva il cuore come un lenzuolo gelato. Cercò di attribuire la preoccupazione al ricovero di sua madre ma nel profondo sapeva che l'insonnia era causata da ben altre questioni. Incubi.

Da giorni non sognava altro. Una grotta buia, la stessa dove era stata nascosta l'ultima bara: la luce delle candele che tremolava sulle pareti umide, svelando impronte di sangue, nitide, fresche. Una risata disumana, sguaiata, un lampo di luce: le fiamme si alzavano riempiendo la grotta di fumo e calore. Odore di zolfo e un paio di occhi neri, pozzi profondi, crateri sconfinati di un vulcano pronto ad esplodere, incorniciati da ciglia di pizzo nero che obreggiavano gli zigomi perfetti. La paura le attanagliò lo stomaco, anche lì, nel suo letto, non si sentiva al sicuro. Era passata una settimana ma i flaschback la tormentavano. I ricordi si ripetevano cambiando piccoli dettagli ma, a consumarla, erano sempre quegli occhi. Nella grotta, in casa sua, nello specchietto retrovisore dell'auto. Temeva di incontrare di nuovo quello sguardo più di quanto temesse la morte. Qualsiasi cosa fosse uscito da quella bara, lei non avrebbe indagato oltre.

Sorseggiò la camomilla e chiamò casa Forbes sperando di sentire la voce di Caroline ma nessuno rispose.

Nulla di sorprendente: lo sceriffo era impegnato nel nuovo caso dei cadaveri trovati nel bosco e Care probabilmente stava già dormendo.

Diede un'occhiata all' orologio a cucù appeso alla parete, segnava le dieci e mezza.

Scrollò le spalle e appoggiò la testa sul cuscino. Poco male, avrebbe riprovato l'indomani.

Spense l'abat-jour e si strinse nelle coperte cercando di pensare a quacosa di buono.

 

Now in the morning I sleep alone, sweep the streets I used to own.

 

Il mondo vorticava e il pavimento sembrava ondeggiare.

Caroline si aggrappò allo stipite della cella reprimendo un conato di vomito; gettò il calice sul pavimento. Nella foga del primo pasto dopo una lunga astinenza, il sangue le era colato lungo il collo, inzuppandole i vestiti, le mani, i capelli. Sbattè le palpebre più volte mettendo a fuoco la cella.

Iniziò a ricordare, immagini sfocate. Un dolore alla schiena, il sapore della verbena misto al poco sangue usato per tenerla in vita, una voce, quella di Klaus, buio, incubi, poi un volto, forse Elijah, un calice: vero sangue e la porta della cella aperta. Appoggiò la testa allo stipite e aspettò che la testa smettesse di girare. Non appena fu abbastanza lucida chiuse la porta della cella alle sue spalle e salì le scale in punta di piedi. Si guardò intorno: nessun rumore, nessun odore. La casa era vuota.

Se era stato Elijah a nutrirla, doveva essere stato lui a liberarla, ma perchè?

Lasciò perdere gli interrogativi e portò una mano alla tasca, cercando il cellulare.

-Ah, fantastico! - imprecò. Come aveva anche solo potuto pensare che Klaus le avesse lasciato il telefono?

Doveva chiamare Elena, sapere se stava bene.

Aprì porte senza pensare: una camera da letto, una salottino, uno studio.

Lo studio.

Entrò dirigendosi verso la scrivania in legno chiaro. Afferrò una pila di fogli e li scaraventò a terra. Disegni, lettere, schizzi a carboncino, acquerelli, ricoprirono il tappeto.

Dove diavolo era il suo telefono? Aprì un cassetto ma vi trovò solo boccette di inchiostro, ceralacca e carta da lettere. Passò al secondo cassetto ma era chiuso a chiave.

Afferrò più saldamente la maniglia, la forza non le mancava di certo. Tirò, ma il cassetto non si mosse di un millimetro.

Tirò più forte, una, due volte, ma quello rimaneva chiuso.

-Ma certo, un incantesimo...-.

Gridò esasperata sbattendo un pungo contro la libreria, poi le venne in mente che Klaus non si sarebbe certo preoccupato di blindare il suo cellulare in un cassetto a prova di vampiro. Qualunque cosa ci fosse lì dentro non le importava, sapere cosa era successo mentre lei era in quella cella era più importante. Già, ma quanto tempo era passato da quando quel bastardo l'aveva sedata e rinchiusa come un animale?

Sulla scrivania c'era un piccolo calendario, lo afferrò al volo e controllò la data. Erano passati sei giorni! Poteva essere successo di tutto! Gettò il calendario sulla srivania e un biglietto colorato cadde per terra tra gli schizzi a carboncino. Caroline l' avrebbe ignorato, calpestato e sarebbe uscita dalla stanza se quel biglietto non avesse portato il nome del suo spettacolo preferito.

Lo raccolse e lesse aggrottando le sopracciglia “Teatro Baudelaire. Spettacolo delle ore 02.00. Elettra”.

 

I used to roll the dice, feel the fear in my enemy’s eyes, listen as the crowd would sing:“Now the old king is dead! Long live the king!”.

 

Mancavano quattro ore, aveva tutto il tempo per scappare, tuttavia sentiva di doverlo fare subito, di uscire e andarsene il prima possibile. Se Klaus fosse rientrato non avrebbe saputo cosa fare. Non voleva vederlo, non voleva ascoltarlo. I suoi occhi, la sua voce, il suo odore, doveva dimenticarli ad ogni costo, o non sarebbe più riuscita a scappare.

Riordinò i fogli, rimettendo a posto il biglietto e uscì di corsa dallo studio. Non trovando la giacca, prese una coperta color borgogna dal divano, la gettò sulle spalle e corse fuori di casa. Oltre il cancello, la sua auto era sparita. Imprecò, si strinse nella coperta a iniziò a correre attraverso il bosco, come fosse Cappuccetto Rosso in fuga dal Lupo Cattivo.

 

One minute I held the key, next the walls were closed on me, and I discovered that my castles stand upon pillars of salt, pillars of sand.

 

-Ricordami perchè ho lasciato che mi trascinassi qui – borbottò Stefan.

-Quando la smetterai di fare i capricci e chiuderai definitivamente quella bocca? - replicò il fratello – Dobbiamo sapere cosa c'era nella bara aperta da Abby e Bonnie ed Elijah ci sta aspettando per aprire quelle rimanenti -.

Stefan rise – Sembra uno di quegli show televisivi dove tutti piangono e le famiglie si riuniscono...-

-Già – disse Damon aprendo la portiera – ma non credo che saranno lacrime ad versate stanotte -.

Scesero dall'auto e raggiunsero la vecchia casa abbandonata, Elijah li attendeva sulla soglia.

-Buonasera -

-Elijah...- salutò Damon.

Stefan squadrò entrambi – Allora? Che aspettiamo? -.

Damon si fece largo tra i due e aprì la porta di legno che cigolò – Prego, prima i parenti...- rise, invitando Elijah ad entrare.

 

Be my mirror my sword and shield, my missionaries in a foreign field.

 

Elena corse ad aprire la porta. Chiunque fosse, bussando in quel modo alle undici di sera avrebbe rischiato di svegliare l'intero vicinato.

Fece girare la chiave nella serratura e aprì la porta – Chi diavolo...-

-Ciao Elena...-

-Caroline? Oh cavolo...entra... è tutto ok? -.

-No, per niente. Devo parlarti, è una cosa importante. Prima però, ti prego, prestami il telefono, devo chiamare mia madre....sarà andata fuori di testa, è quasi una settimana che...oddio! - disse con affanno.

-Calmati, ok? Ti porto dell'acqua. Usa pure il telefono ma riprendi fiato! -.

Caroline annuì, telefonò in Distretto. Le dissero che sua madre non c'era. Provò a chiamarla sul cellulare ma non rispondeva, alla fine le lasciò un messaggio sulla segreteria telefonica dicendole di non preoccuparsi, che stava bene e che le avrebbe spiegato tutto quando si fossero viste.

Elena aspettava seduta in cucina, davanti ad un bicchiere di acqua fresca che Caroline bevve in un sol sorso.

-Ora puoi dirmi cos'è successo? - domandò.

Caroline inspirò. Improvvisamente aveva bisogno di un altro biccher d'acqua.

Per un istante considerò la possibilità di mentire ma, oltre che a farla sentire ulteriormente in colpa, non avrebbe risolto il problema.

Tradire o non tradire?

Una parte della sua mente bruciava ricordando come era stata trattata; in fondo non meritava una piccola vendetta?

Vendetta? Nulla più che una sporca vendetta?

No, c'era qualcosa di più, qualcosa che la perseguitava dalla sera della festa, che s'insinuava sottile nella sua mente ogni volta che si guardava allo specchio: il dubbio. Perchè ogni cosa, in quell'istante, era svanita, lontana migliaia di chilometri dalle loro labbra, lasciandoli soli, al limitare del bosco, mentre il ritmo della musica segnava i secondi di un tempo che per entrambi non contava più. Perchè il suo profumo continuava a farla rabbrividire, perchè i diamanti che le aveva regalato piangevano in una stupida vetrina, invidiando la luce dei suoi occhi. Perchè per pochi attimi era stata felice per davvero, pur sapendo che quella era un gioia che non poteva permettersi di provare mai più. Era stato un errore, una macchia nera su una pagina scritta con cura. Non c'era nulla da fare, non poteva cancellarla. L'unica via di scampo era strappare la pagina e riscrivere tutto da capo.

Klaus aveva ragione, quel bacio non aveva significato nulla. Una debolezza, niente di più. Il suo posto non era con lui: aveva già una parte con la quale lottare, persone da difendere, ideali in cui credere. Non bastava un bacio per cancellarli tutti.

Chiuse gli occhi, sapeva che l'avrebbe delusa ma Elena doveva sapere.

-Elena...- disse, lavoce rotta dalla preoccupazione.

L'amica aggrottò un sopracciglio.

-Ricordi quella festa... - e iniziò a raccontare.

Elena rimase in silenzio per tutto il tempo, lo sguardo fisso negli occhi di Caroline.

Quando Caroline ebbe finito, bevve un sorso d'acqua e incrociò le braccia al petto.

-Quando pensavi di dirmelo, se ci hai mai pensato, Care? Quando ti avrebbe chiuso in una bara esattamente come i suoi fratelli? I suoi fratelli, Care, la sua famiglia! Li ha murati vivi per novecento anni in una bara! Pensi si sarebbe fatto scrupoli? - esclamò visibilmente preoccupata.

-Io non volevo deluderti, Elena, non volevo lo sapessi...insomma, non è stato niente d'accordo? Ho imparato la lezione...-

-No Care, questa non è una predica. Non c'è nessuna lezione da imparare, hai dato un bacio che non dovevi dare e, credimi, so cosa significa, ma non è questo il punto. Hai rischiato la vita Care, Klaus ti ha usata, e avrebbe potuto ucciderti -.

-Mi dispiace, davvero, io non so cosa mi sia preso, io non...-

-E' tutto ok – disse Elena, l'abbracciò e le asciugò una lacrima. Quello di Klaus era stato l'ennesimo affronto. Se non poteva avere le bare avrebbe avuto tutto il resto, proprio come Jeremy, Tyler, ed ora Caroline.

Non avrebbe permesso che le accadesse nulla, teneva troppo a lei per rischiare di vedersela strappare via come Jenna. Afferrò il cellulare.

-Cosa fai? - domandò Caroline.

Elena non rispose, digitò un numero e portò il telefono all'orecchio.

-Elena, che stai facendo? -

-Chiamo Damon e gli dico del teatro. Questa storia deve finire un volta per tutte – si alzò di scatto e le diede le spalle.

-No! - pensò Caroline e allungò una mano verso Elena, per poi ritirarla prontamente, stupita dal suo stesso gesto. Esitare non era nei piani, cosa stava facendo?

Bevve un altro sorso d'acqua ma portando il bicchiere alle labbra si accorse che le tremavano le mani.

-Pronto? Damon? - disse Elena attivando il vivavoce.

-No, Elijah -

-Dov'è Damon? -

-Impegnato ad aprire un bara...-

-Devo parlargli -

-Dimmi pure, gli riferirò parola per parola -

-D'accordo, Caroline è qui con me. Sono successe cose...-

-Arriva al punto per favore -

-Klaus stasera andrà a teatro, allo spettacolo delle due. Se avete intenzione di fare qualcosa, fatelo stanotte -.

-E' un ottimo consiglio Elena, ci penseremo non appena avremo finito con le bare -.

-Perfetto, a dopo – disse, e riagganciò.

Caroline notò che nelle ultime settimane Elena era diventata più forte, più risoluta. Qualcosa nei gesti, nel tono della voce la faceva apparire più salda.

-Beh – pensò – dev'essere l'effetto che fa prendere a pugni un sacco di sabbia dalla mattina alla sera – rise amaramente. Invidiava la forza che era riuscita a tirare fuori, la tenacia con cui aveva affrontato tutto quanto, piegandosi più volte ma mai, mai spezzandosi.

Caroline si strinse nella coperta – Scusami Elena ma sono davvero distrutta, penso andrò a casa...-

Elena sorrise le accarezzò i capelli – Non essere stupida, puoi dormire qui se ti va. Domattina sarà tutto finito, ne sono sicura -.

Caroline ingoiò una lacrima – Grazie Elena, davvero, tu non puoi nemmeno immaginare quanto ti sia grata...-.

Elena rise – D'accordo, i mielosismi rimandiamoli a domani. Buonanotte -.

Caroline sbadigliò trascinandosi verso la stanza di Elena. Si accovacciò sul letto e chiuse gli occhi. Gli occhi le bruciavano e qualcosa premeva doloroso proprio in corrispondenza del cuore. Si avvolse nella coperta, in un caldo abbraccio, accorgendosi solo dopo che era pregna del profumo dell'uomo che aveva condannato a morte. -Allora è un tormento! - pensò – Perchè mai dovrei sentirmi in colpa? Dopo tutto il sangue che si è lasciato alle spalle, dovrei dare spazio ai sensi di colpa? Non scherziamo...- Arrotolò malamente la coperta e la gettò dall'altro lato della stanza.

Chiuse gli occhi e appoggiò la testa sul cuscino. Avrebbe avuto gli incubi.

 

For some reason I can't explain, once you go there was never, never an honest word, and that was when I ruled the world.

 

-Quindi nessuno di voi ha la più pallida idea di cosa contenesse quella dannata bara? - domandò Damon.

-No – la risposta fu simile ad uno sbadiglio e proveniva da una delle bare.

-Chi non muore si rivede eh, Rebekah? - disse, vedendo la vampira sollevarsi sinuosamente.

-Chiudi la bocca Damon, sei l'ultima persona che avrei voluto vedere appena sveglia -.

Elijah prese per mano la sorella aiutandola ad uscire dalla bara – Quello è Kol – disse indicando un ragazzo intento a proscigare una sacca di sangue.

Damon allungò una mano – Devi essere il fratellino di Klaus, piacere -.

-Il piacere è tutto tuo – replicò stirandosi come un gatto – Come va Finn? - domandò guardando il fratello saltare agilmente fuori dalla bara.

-Ho fame – rispose l'altro, e il fratello gli allungò un'altra sacca.

Stefan rise – Per festeggiare il momento...che ne dite di andare a teatro? -.

Rebekah lo squadrò – Spero tu stia scherzando, ho altre priorità in questo momento -.

-Tipo? -

-Piantare un paletto nel cuore della tua sgualdrina Elena e fare due chiacchiere con Nikalus. Per chi ancora non lo sapesse ha ucciso nostra madre– disse, con la stessa noncuranza con cui si diffonde un pettegolezzo.

-Arrabbiata appena sveglia, Reb? Non crucciarti, ti vengono le rughe! - rise Kol. La ragazza o zittì con un solo sguardo tagliente.

-Rebekah ha ragione, Kol. Nikalus deve pagare per nostra madre e per

questo – disse, e con un cenno della mano indicò le bare.

-Dimmi Finn, preferivi gli interni in seta anziché in taffetà? -.

-Ancora una parola Kol, e ti faccio saltare i denti -.

-Scusate signori – si intromise Damon – avrete un sacco di cose da dirvi per recuperare gli ultimi novecento anni, ma Kalus deve morire stanotte -.

-D'accordo – sbuffò Rebekah - Elijah, sii breve e conciso -.

 

 

It was the wicked and wild wind blew down the doors to let me in.

 

Una foglia, un'altra, volteggiavano in una daza funebre, cadendo morte tra altre mille. Klaus ne afferrò una prima che toccasse il suolo: era dorata, sottile, liscia, sfoggiava la sua grazia ondeggiando drammatica sotto la brezza e scivolando via, sfiorando lieve le compagne come se quelle non esistessero, troppo scure, troppo secche, come se lei fosse l'unica e il suo risalto fosse un diritto.

Caroline.

Proseguì verso il teatro assaporando il silenzio e il vento notturno, linfa fresca, pulita, scorrere nelle sue vene. Aveva biogno di lei, della sua risata, delle sue parole che ascoltava come brani di un concerto proibito. Continuò a camminare, ignorando il dolore che provava nel petto. Una sensazione per niente nuova, il dolore era un compagno crudele e costante. Nuova era la causa. Un millennio prima l'avrebbe chiamata infatuazione, ora sapeva di poterlo chiamare amore.

Non era certo se credere in quel sentimento, se riporvi speranza, desiderio, oppure lasciare che svanisse, che appassisse sotto i suoi occhi lasciandolo inerme davanti ad un'eternità di solitudine.

Credervi avrebbe significato soffrire ancora di più, trovarsi a combattere contro ogni logica, loro due contro il mondo. Credervi avrebbe significato convincersi di essere cambiato, cambiare, poter essere ciò che non era mai stato.

Rinunciarvi l'avrebbe ucciso, abbandonandolo da solo di fronte all'oscurità.

Ricordò Caroline, inerme sul giaciglio improvvisato nelle segrete: la sua luce brillava anche nel sonno. Tornando a casa, quella sera, era sceso nelle segrete senza nemmeno il coraggio di aprire la cella e farle visita; aveva appoggiato le mani bianche contro il legno ruvido della porta domandando perdono infinte volte. Non sopportava l'idea che Caroline lo vedesse sporcarsi del sangue di Stefan: continuava a ripetersi che non c'era altro modo che compiere l'ultima mostruosa azione per poter difendere la sua famiglia, poi lei, la dolce Care, sarebbe stata sua.

Si sorprese a pensare a Caroline come alla Venere del Botticelli, una Beatrice santificata da un Dante folle d'amore.

Avrebbe avuto il coraggio di aggrapparsi ad una angelo e farsi strappare di dosso la pece del peccato?

Diede uno sguardo rapido all'orologio, lo spettacolo stava per cominciare. Affrettò il passo sorridendo impercettibilmente.

 

 

Shattered windows and the sound of drums, people couldn't  believe what I’d become. Revolutionaries wait for my head on a silver plate.
 

Oh, erano stati tutti così prevedibili...

Mille anni di esperienza sulla Terra gli erano valsi un vantaggio non indifferente. Un gioco a carte scoperte, quello die Salvatore. Perchè risvegliare Elijah altrimenti? Era evidente, quasi patetico: avrebbe ceduto, avrebbe acconsentito ad aprire le bare pur di vederlo morto e avere la sua vendetta. Ma Klaus aveva previsto tutto. Rebekah, sapendolo l'omicida di sua madre, l'avrebbe odiato a sufficienza per tradirlo e scherarsi con Elijah; Kol, spinto dalla solita frenetica impulsività, avrebbe iniziato a meditare il suo omicidio e Finn, lui si sarebbe schierato dalla parte del più forte, credendo erroneamente che fosse quella di Elijah. Questione di settimane, giorni forse, poi, tutti quanti, si sarebbero resi conto di quel che lui aveva fatto per loro. Li aveva riportati alla vita, riuniti, come una vera famiglia: una città ai loro piedi ed un esercito di ibridi per servirli. Solo allora sarebbero tornati, beandosi della potenza offerta loro come ambrosia, una libertà basata su un potere sconfinato che avrebbe spianato loro le strade dell'eternità.

Sentiva che sarebe successo di lì a poco: il piccolo esercito di Elijah e i fratelli Salvatore, coalizzati contro di lui, avrebbero attaccato quella notte stessa, pensando di coglierlo alla sprovvista. Ma Klaus sapeva...

I biglietti del teatro pinzati al calendario sulla scrivania dello studio, una trappola perfetta per Elijah che, come previsto, l'aveva tradito.

Finchè l'ultima bara fosse rimasta chiusa non avrebbe avuto nulla da temere. Corse verso l'entrata allungando il biglietto alla maschera – Buonasera signore, palco numero 5, secondo piano a sinistra -.

Klaus annuì e salì le scale, domandandosi quanto tempo avrebbero impiegato a meditare un piano e metterlo in atto: non gli era mai piaciuto dover interrompere uno spettacolo.

 

Just a puppet on a lonely string, oh who would ever want to be king?

For some reason I can't explain, I know Saint Peter won't call my name.

 

Elena aprì piano la porta della sua stanza, Caroline dormiva in un sonno agitato: rivoltandosi nelle coperte, le lenzuola erano cadute sul pavimento, il cuscino per terra. Richiuse piano la porta, non voleva svegliarla. Guardò l'orologio, le due e dieci. Un'altra notte in bianco.

Si preparò un caffè sperando che, col sorgere del sole, tutto sarebbe finito, Klaus sarebbe morto, concedendo a Mystic Falls un autunno noioso, banale, come non ne trascorreva da...

Già, quand'era stata l'ultima volta che aveva affrontato una situazione normale come fare i conti a fine mese, pensare a quale colore usare per ritinteggiare la cucina, cercare un posto di lavoro? La verità era che non lo ricordava, o meglio, non voleva ricordarlo, certa che solo l'idea di tutto quel tempo sprecato in follie l'avrebe abbattuta, rammentandole che l'unica vita che possedeva le stava scivolando tra le dita. Quando la caffettiera iniziò a gorgogliare prese una tazza e vi svuotò dentro l'intero caffè, macchiandolo appena con un po'di latte. Se doveva stare sveglia, almeno lo sarebbe stata fino in fondo. Aprì la credenza prendendo la zuccheriera e si voltò posandola sul tavolo. Un tintinnio proveniente dall'altra stanza la fece sobbalzare. Rimase in silenzio qualche istante, poi, non sentendo più

nulla, sorrise -Suggestione Elena, nient'altro che suggestione -.

Prese un cuchiaino dal cassetto e sentì di nuovo quel rumore argentino, come di gioielli tintinnanti e campanelle. Una risata squillante, riecheggiò limpida contro le pareti della casa. Elena lasciò perdere il cucchiaino e afferrò il coltello più grande che potesse trovare, spingendosi a piccoli, silenziosi passi, verso il salotto.

Un fruscìo di vesti l'attirò verso il bagno, un'altra risata.

-Chi diavolo c'è? - gridò.

Fece scorrere la mano lungo la parete, cercando l'interruttore ma, non appena lo trovò, qualcosa alle sue spalle la inchiodò alla parete, sollevandole un braccio per aria e piegandole la mano, costringendola a lasciar cadere il coltello.

Elena gridò per il dolore, ancora una piccola pressione a le avrebbe spezzato il braccio in tre punti.

Chiuse gli occhi, odore di arance e incenso.

Nel buio brillarono due occhi, buchi neri illuminati dal potere del tempo, poi, dall'oscurità emerse un volto. Le linee perfette, gli zigomi pallidi ombreggiati da ciglia sottili, le labbra incurvate in un sorriso crudele, unica differenza a spezzare l'illusione che si trovasse davanti al suo stesso riflesso.

-Katherine? - gemette.

La pressione intorno al polso aumentò e una risata cristallina s'insinuò velenosa nelle sue orecchie – Katherine? Chi è Katherine? -.

 

Never an honest word, but that was when I ruled the world.

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Capitolo 5
*** Brittle truth, lovely lies. ***


The lights go out and I can’t be saved, tides that I tried to swim against, have brought me down upon my knees, oh I beg, I beg and plead.

 
Damon sbattè il bicchiere sul bancone – Un altro, e che questo secolo sia migliore dello scorso! -. Stefan si passò una mano tra i capelli – Ora basta, fratello. Stai dando spettacolo...-
Damon rise e ruotò sullo sgabello – Oh oh, ora ti preoccupi della tua reputazione! - rise e alzando in alto la bottiglia di Jack Daniel's gridò – Attenzione gente, qui c'è un Salvatore pronto a redimersi...e non sono certo io! -.
Stefan gli afferrò un braccio – Piantala Damon, non al Mystic Grill! - ringhiò ma il fratello strattonò il braccio fino a sottrarsi alla sua presa, bevve un ultimo sorso e gli spinse la bottiglia contro il petto – Non importa dove, a me basta dimenticare – disse, dirigendosi barcollando verso l'uscita.
Stefan lo raggiunse correndo – Cosa diavolo hai? E' finita Damon, è finita!-.
Il fratello gettò la testa all'indietro guardando il cielo, le stelle occhieggiavano debolmente dietro un velo di nuvole e la luce dei lampioni brillava sulla strada bagnata. Aveva smesso di piovere.
-No, non è mai finita – rispose. Vittoria, Stefan ne parlava come se fosse una partita di poker, ma quella era la roulette russa. Vittoria, solo umidità e un intenso odore di fine autunno. Inspirò profondamente, sciogliendo i muscoli delle spalle e continuò – Non importa quanto impegno ci mettiamo. Sarà sempre peggio, Stefan, e durerà in eterno. Una lenta agonia, fino a quando la Terra non imploderà -.
Stefan gli si avvicinò afferrandogli le spalle – Klaus ha perso. I Mikealson vogliono andarsene. Elena è libera! -.
Damon roteò gli occhi – Sei un ingenuo, ed è proprio questo il punto. Ora puoi tornare ad essere il bravo ragazzo di sempre, che salva le vite delle damigelle indifese, scrive ininterrottamente sul suo diario e non tocca una goccia di sangue umano nemmeno sotto tortura. Bene, ma non puoi semplicemente disfarti del passato e sgomitare per riprenderti il tuo posto -.
-Damon, tutto quello che sono stato, tutto quello che ho fatto, tutti quei corpi...erano per lei, capisci? Tu avresti fatto le stesse scelte per lei!-
-No Stefan, io sono rimasto – sospirò, infilò le mani in tasca e si allontanò sotto la luce bianca dei lampioni.
 

Come out of things unsaid, shoot an apple off my head.

 
 
Caroline rabbrividì e si svegliò stropicciandosi gli occhi, gettò di lato il lenzuolo e scattò in piedi. Ammiccò passando davanti allo specchio – Perfetto – pensò – è tutto finito. Bienvenue vita normale! -.
Si diresse in bagno canticchiando e accennando qualche passo di danza e, dando una rapida occhiata all'orologio appeso in corridoio si accorse che erano le dieci passate. Strano che Elena non l'avesse svegliata.
Scrollò le spalle e si lavò i denti; arricciando il naso, si accorse che l'aria odorava di gas. Strinse lo spazzolino tra le labbra e corse in cucina. I fornelli erano andati in sicurezza bloccando automaticamente la fuoriuscita di gas, eppure l'odore era talmente forte che dovette aprire la finestra per respirare aria pulita. Sul tavolo c'era una tazza di caffè. Fredda.
-Elena! Hai lasciato il gas aperto!- chiamò – Il caffè ormai è freddo, vuoi fare colazione o no?- e aprì la credenza afferrando una merendina. Nella vita che aveva prima avrebbe urlato con repulsione “carboidrati!”, ma ormai non le importava più, avrebbe conservato quel corpo per l'eternità, quell'aspetto adolescenziale, non potendo vedersi invecchiare o combattere con i chili di troppo.
Cacciò quel pensiero notando con quale fastidiosa facilità i ricordi della sua umanità riaffioravano nei momenti più inaspettati.
-Elena! - chiamò di nuovo, attendendo di vederla spuntare dietro la porta socchiusa della camera di Jeremy – Vuoi muoverti o no? -.
Aveva una gran voglia di fare shopping, proprio come ai vecchi tempi. Innanzitutto doveva vedere sua madre e poi, come al solito, l'avrebbe raggirata con qualche moina  fino a farsi prestare la carta di credito: la sua era vuota da mesi.
Era felice che fosse finita, che ogni tessera del puzzle confuso di Mystic Falls fosse tornata al suo posto: non ci sarebbero stati più cadaveri sospetti nel bosco, nessuna morte improvvisa, nessun vampiro psicotico che andava in giro ad uccidere le porsone per divertimento, nessun...Klaus.
Pensando il suo nome le sfuggì un sospiro e una leggera fitta tra le costole l'avvertì: sì, era colpa sua.
Diede un morso alla brioche: ma quali colpe?! Era stato grazie a lei se ora la città era sana e salva, al riparo da qualsiasi pericolo. Sì, era stata semplicemente favolosa, pensò compiacendosi, sarebbe stata una degna sostituta di Cat Woman. inghiottì l'ultimo boccone e accartocciò la confezione della brioche: Elena non arrivava, eppure se aveva preparato il caffè doveva sicuramente essere sveglia.
Zampettò verso camera di Jeremy e aprì la porta – Elena vuoi sbrigarti o preferisci...dove diavolo sei finita? -.
Un pessimo presentimento le riempì il petto d'ansia. E se non fosse morto, e se avesse scoperto che era stata lei la causa di tutto, e se avesse rapito Elena per vendicarsi e scappare con la Doppleganger?
Si impose di restare calma e tornò in corridoio, dove un luccichio sulla moquette attirò la sua attenzione: una lama di venticinque centimetri brillava alla luce del sole.
 
Afferrò il cellulare con mano tremante e compose il numero di Stefan, rincuorata almeno un po' dal non aver trovato nessuna traccia di sangue, nemmeno sul coltello.
-Pronto? -
-Stefan – si schiarì la voce cercando di assumere un tono più rilassato, non voleva allarmarlo – Stef, Elena è lì con te? -.
-No – rispose gelido.
Caroline portò una mano alla fronte – Bene, in tal caso – continuò mettendo da parte ogni tentativo di sembrare tranquilla – abbiamo un problema...-.
 

And a trouble that can’t be named
A tiger’s waiting to be tamed.

 
-Sì Signora Lockwood, vogliamo andarcene al più presto -.
-Come preferite, ma in quanto sindaco delle città gradirei sapere il motivo di questa vostra partenza. Ci sono stati problemi con i Salvatore? -.
-No Signora, anzi, nell'ultimo periodo i Salvatore si sono rivelati più disponibili di quanto pensassimo. Non deve preoccuparsi, Mystic Falls sarà al sicuro. Ora che la famiglia è riunita vogliamo recuperare il tempo perso, sa come vanno queste cose...- rise.
-Ma certo signor Mikaelson. Non vogliamo problemi in questa città quindi, se non vi trovate a vostro agio come potreste fare altrove...- la signora Lockwood sorrise piegando le labbra in una smorfia di falsità e timore.
-Arrivenderci – disse Elijah inchinandosi leggermente.
-Arrivederci – rispose il sindaco accompagnandolo alla porta.
L'uomo raggiunse la sorella che attendeva in piedi, di fianco all'auto – Allora, com'è andata?-
-Inutili formalismi...- rispose Elijah salendo in auto e sbattendo la portiera. Mise in moto a appoggiò le mani sul volante. Rebekah si accomodò sul sedile di fianco e lo squadrò – Le hai detto di Niklaus? -.
Elijah spinse sull'acceleratore – Sorellina, certo che no-.
-Cosa facciamo con lui? -.
-Aspettiamo, Rebekah. Parlerà, basta avere pazienza -.

 
Confusion never stops, closing walls and ticking clocks,
Gonna come back and take you home
I could not stop that you now know.

 
Il silenzio profumava di pioggia e del gocciolio incessante che scandiva il tempo nella grotta. Sulle pareti brillava una luce pallida, un riflesso proveniente dall'uscita.
Rise debolmente fissando le proprie mani, strette intorno alle ginocchia, le nocche sanguinanti. Aveva preso a pugni le pareti fino a quando i graffiti non avevano iniziato a confondersi con il suo sangue. Era la fine.
Era stato un grande re, anche se per poco tempo. I suoi sogni, le attese, era bastata una notte per far crollare il suo castello di carte e lasciarlo precipitare nel baratro.
Delusione. Voleva riunirli per stendere il mondo ai loro piedi e, anche se non l'avrebbe mai confessato, nemmeno a se stesso, sarebbe morto per ognuno di loro, che lo avevano ripagato della fatica, della cura e della premura con cui aveva conservato i loro corpi per mille anni, confinandolo sotto terra come un verme. Elijah, il suo sguardo lo tormentava, il suono aspro delle parole che gli aveva sputato addosso la notte precendente, la vergogna che sfilava dai suoi occhi a quelli di Rebekah “Non ti ho mai tradito, Nik, credimi”, dopodichè ogni parola era stata una stilettata “l'ultima bara è stata aperta, dicci cosa contiene”. Come diavolo avevano fatto? Ma certo, doveva essere stata la strega! Non avevano capito niente, quella bara doveva restare chiusa, maledizione! Ma aveva ancora una carta da giocare: loro lo avrebbero aiutato ad uccidere Stefan e lui avrebbe rimesso le cose a posto.
“No, Niklaus. Dicci cosa c'è in quella stramaledetta bara”.
Niente, non c'era niente. Stavano perdendo il loro tempo dietro le parole di una strega. Era di lui che dovevano fidarsi, lui, che aveva previsto il loro arrivo, che li conosceva talmente bene da sapere con ore di anticipo che Elijah lo avrebbe tradito come Giuda sul monte degli Ulivi. “No, Nik. Non sono stato io.”
E chi era stato? Rebekah, forse? Kol, Finn?
“No, Caroline Forbes”.
Se gli fosse rimasta un'anima quelle parole l'avrebbero straziata. Ascoltò le gocce cadere dal soffitto della grotta e atterrare in una pozza scura, disegnando piccole onde  concentriche. Onde.
Voleva portarla al mare, sulle scogliere greche, nel sole mediterraneo e l'odore dei pini che si scioglieva nell'aria come miele, ricorpirla di regali, fotografie e ricordi che avrebbe collezionato in eterno. Le avrebbe mostrato il mondo con gli occhi di chi l'ha visto crollare e poi rialzarsi migliaia di volte. Digrignò i denti, non si sarebbe mai aspettato, uno schiaffo in pieno viso da un angelo.
Si abbandonò contro la parete fredda, pensare a lei attendendo la fine non gli sarebbe stato d'aiuto, anzi, gli avrebbe fatto bruciare il sangue di rabbia, odio e amarezza, pensieri che non poteva – non doveva – permettersi in quel momento. Aveva un gran mal di testa e, nonostante questo, doveva trovare un modo per uscire da lì. La strega non avrebbe più aiutato i Salvatore: dopo aver rischiato la propria vita e quella di sua madre, quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe compiuto un incantesimo intromettendosi in “faccende da vampiri”. Si alzò zoppicando leggermente e si avvicinò all'uscita, appoggiando i palmi sulla barriera magica che lo costringeva all'interno della grotta: non riusciva a pensare. Aveva gli occhi colmi dei ricordi della notte precedente. In poco meno di un'ora il mondo gli era crollato addosso mandando a monte piani messi a punto per mille anni e perfezionati in continuazione. I suoi stessi fratelli l'avevano trascinato in quella prigione, abbandonandolo in balia del dolore e della fame. Perchè diavolo non aveva bruciato quella bara? Perchè continuava a trascinarla con sé attraverso i secoli come una reliquia? Si massaggiò le tempie e si accasciò nel fango, dolore e lordura, una perfetta metafora del suo cuore. Chiuse gli occhi, sopraffatto dall'odore di tiepida e serena umanità che riusciva a confortarlo nelle situazioni più spiacevoli: arance e cannella, campanelle tintinanti e   incenso, un nome che non pronunciava dal giorno in cui aveva aperto nuovi occhi sul mondo. Si addormentò come un gatto, raggomitolato con la testa sulle ginocchia, mentre le gocce gelate cadevano dalla parete sul collo bianchissimo, tra i capelli sporchi di sangue, fango e vergogna.

 
Come out upon my seas,
cursed missed opportunities
Am I a part of the cure?
Or am I part of the disease?

 
-Aspettami in auto...- disse Elijah con una rapida occhiata alla sorella, questa lo squadrò e inarcò in sopracciglio - Ti prego, dimmi che non è vero...-.
Elijah sorrise, sbattè la portiera e si avvicinò a grandi passi alla porta di casa Gilbert. Si fermò un istante sulla soglia, lasciando che il vento afoso si calmasse un poco, poi estrasse dal doppio petto della giacca una rosa e una busta da lettere chiusa con una goccia di ceralacca. Nonostante il loro carattere fosse decisamente diverso, nei piccoli dettagli Elijah rimaneva realmente simile all'odiato fratello.
Suonò il campanello guardandosi alle spalle, Rebekah lo stava aspettando e, per rompere la noia, aveva iniziato a giocare con il cellulare. Avvertendo lo sguardo dell'uomo sollevò rapidamente gli occhi e scosse la testa - Dove andremo a finire? - pensò, riprendendo a giocare. Aveva messo da parte ogi tipo di rancore, ogni problema. Finalmente stavano lasciando quella maledetta cittadina e, chissà, forse a Chicago o New York avrebbero avuto l'occasione di crearsi la reputazione che meritavano e ricominciare da capo, quella volta per davvero. Quelli di Mystic Falls non erano più i suoi problemi, se Elijah voleva divertirsi un po' con Elena "sono il centro dell'universo" che male c'era? Tanto di lì a poco avrebbero messo chilometri tra la loro auto e quella città di persone fastidiose e insulse.
Elijah intuì l'impazienza della sorella e suonò nuovamente il campanello, schiarendosi la voce e indossando il suo sorriso più struggente. La porta si spalancò e, sulla soglia, a metà tra lo sconvolto e l'impaurito, c'era Caroline. Il cellulare le cadde dalle mani che corsero ad afferrare la maniglia della porta e a richiuderla in faccia al vampiro che intromise una scarpa lucidissima tra quella e lo stipite - Mi spiace, mi hanno già invitato ad entrare - sussurrò e la spalancò definitivamente. Caroline arretrò raccogliendo il telefono - Cosa diavolo vuoi? -.
Elijah le sorrise - Suvvia, è così che ringrazi il tuo salvatore? -.
Caroline digrignò i denti, quindi era stato davvero lui a liberarla dalle segrete di Klaus.
-Cosa cerchi Elijah? -.
-Chi, piuttosto. Ho bisogno di parlare con Elena, stiamo lasciando Mystic Falls, volevo salutarla...-.
Caroline strinse il telefono, non le piaceva affatto che Elijah stesse cercando Elena, cosa diavolo voleva da lei? - E così te ne vai senza alcun rimorso, insomma, uccidi tuo fratello e levi le tende lo stesso giorno...- disse, quasi sputandogli addosso quelle parole, come dimenticando che non doveva suonare tutto come una brutta notizia, nè la morte di Klaus, nè la loro partenza.
Elijah si passò una mano tra i capelli e sorrise - in quanto alla partenza penso di avere le mie buone ragioni per portare il più lontano possibile la mia famiglia...per quanto riguarda Klaus, potrai perdonarmi un omicidio che non ho commesso? - disse, puntando gli occhi in quelli della ragazza per studiarene la reazione.
A dispetto di quanto si aspettava però, la sorpresa non fu seguita da eccitazione o guance infiammate ma da un pugno violento sbattuto sul tavolo. - Lo sapevo! - urlò - Se non è morto, è stato sicuramente lui! -.
- A fare cosa, se mi è dato sapere? - chiese Elijah con sguardo interrogativo.
-A rapire Elena! - sbottò Caroline.
L'uomo s'irrigidì un istante, pensando a quel che era capace di fare suo fratello, specialmente con tutta la rabbia che voleva scaricargli addosso dopo la notte precedente, ma Klaus era al sicuro, in una grotta a prova di vampiro, solo con sè stesso, denutrito, in balia degli incubi. Non poteva essere stato lui.
-Credimi quando ti dico che non può essere stato Klaus...-
Caroline gli si avvicinò - E allora chi diavolo può essere stato? - ringhiò. Il cellulare squillò, era Stefan. Riagganciò.
Dalla porta aperta giunse il rumore prepotente di un clacson. Elijah vide Rebekah agitare la mano e invitarlo non troppo gentilmente a darsi una mossa. Elijah tornò sulla soglia per chiudere la porta e calpestò qualcosa che emise un suono argentino. Sollevando la scarpa si chinò sul pavimento per raccogliere un pezzo di bronzo tondeggiante, delle dimensioni di una pallina da ping-pong e sollevandolo in aria lo agitò lievemente. La campanella tintinnò limpida nel silenzio che era piombato nella stanza come un panno di velluto. Elijah chiuse gli occhi e strinse la campanella in pugno fino ad accartocciarla come carta.
-E quello cosa diavolo è?- chiese Caroline.
-Qualcosa che non dovrebbe essere qui e che avresti ragione di temere...-.
La ragazza sollevò un sopracciglio, non ne poteva davvero più di enigmi e domande retoriche. Con Elena chissà dove, l'unica cosa di cui necessitava erano chiare risposte.
Elijah uscì in fretta di casa, seguito da Caroline, e corse in auto, bisbigliò qualcosa di incomprensibile alla sorella che trasalì e partì in tutta fretta.
Caroline pestò un piede, perché nessuno si degnava di considerarla? Compose il numero di Stefan e sperò che arrivasse il prima possibile, voleva, doveva capire cosa stava succedendo.
Un istante prima che Stefan rispondesse, fastidiosa, dentro di lei esultò con una vocina acuta: No, non è morto.

And nothing else compares
And nothing else compares…

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