Se guardi a lungo nell'abisso, l'abisso guarderà dentro di te.

di LadySparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lonely ***
Capitolo 2: *** Mother and son ***
Capitolo 3: *** Falling down ***
Capitolo 4: *** Fragile ***



Capitolo 1
*** Lonely ***


Spencer si sedette sul divano continuando a muovere freneticamente la gamba: il movimento era del tutto involontario dovuto in particolar modo ad un intenso dolore alla testa che continuava a tormentarlo da ormai… da quanto tempo?... Forse da un’ora… forse da tre, o forse da tutto il giorno.
 

Forse… Spencer neppure riusciva a focalizzare il momento della giornata in cui era cominciato, tanto era costante il dolore, che, a volte lieve, altre volte persino insopportabile, pareva non abbandonarlo mai.
Si prese la testa fra le mani ed in quel momento realizzò che quello era, con molte probabilità, uno dei peggiori mal di testa che aveva mai avuto: le tempie martellavano in modo sempre più incessante ed il moto della gamba era diventato quasi spasmodico per la tensione dei nervi. Se non avesse saputo che era scientificamente impossibile, avrebbe pensato che la testa le stesse per esplodere da un momento all’altro.
Perché sentiva quei forti mal di tasta? Eppure aveva consultato più di un medico e si era sottoposto a diversi esami, ma tutti gli specialisti gli avevano detto, senza alcuna eccezione, che il problema non era fisico, quanto psicosomatico: d’altronde, neanche la risonanza magnetica aveva evidenziato qualcosa.


Psicosomatico era una parola decisamente troppo ordinaria per lui, talmente consueta da finire per rifiutarla come vera.
Psicosomatico era un termine che riguardava la mente… la schizofrenia era un disturbo psicosomatico… sua madre era schizofrenica…la schizofrenia era ereditaria,dunque…
Dunque mancava una frase per completare il concetto: lui poteva aver eredito la schizofrenia. Un sillogismo tanto perfetto quanto spietato che Spencer non poteva, non voleva, non era in grado di accettare.
Una smorfia di dolore gli contrasse il viso, proprio nel momento in cui suonarono il campanello. 

 

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Capitolo 2
*** Mother and son ***


Mother and son
Non voleva aprire, non desiderava vedere alcuna persona, né, tanto meno, parlare con qualcuno, chiunque fosse entrato da quella porta.
Tuttavia, chiunque fosse, continuò a suonare il campanello con insistenza: altre due vibrazioni prolungate ed acute penetrarono nella testa di Spencer, senza clemenza.
Davvero non desiderava vedere alcuna persona in quel momento, neppure, forse, sua madre.
 Come avrebbe reagito alla notizia che suo figlio stava poco bene? Come si sarebbe comportata alla notizia che suo figlio, probabilmente, avrebbe sofferto della sua stessa malattia?
Di solito confidava tutto a sua madre, ma gli aspetti più bui della sua mente, le sue paure più ancestrali, dalle quali lui stesso desiderava fuggire, quelle no, non poteva.

Spencer le scriveva molte lettere , ma non andava a trovarla spesso; le inviava una lettera quasi ogni giorno, nella quale la informava di ciò che aveva fatto durante la giornata, delle confidenze che i suoi colleghi gli avevano rivelato, di tutto…ma non riusciva ad andare a trovarla di persona, non perché si vergognasse di lei, quanto di se stesso. Ma ciò che più avvertiva stando in presenza di sua madre, era un profondo, lacerante senso di colpa, che gli chiudeva la bocca dello stomaco: il fatto di non essere riuscito ad aiutarla nella sua malattia ed il pensiero costante(che per Spencer si era tramutato quasi in certezza)che, forse, con uomo che le fosse rimasto accanto ed un figlio più presente, più coraggioso, che sarebbe stato in grado di assisterla, non sarebbe finita in una clinica psichiatrica, mai.
Quando le si trovava di fronte il suo sguardo lo faceva sentire piccolo ed ancora bambino bisognoso di attenzioni, e allora prendeva le distanze… ma, seppure era in grado di calibrare la voce e le parole, non riusciva del tutto a celare le proprie emozioni: così gli occhi supplicavano, bramavano concentrazione, sostegno, ma allo stesso tempo manifestavano il timore profondo di poter vedere una crisi improvvisa, di dire qualcosa che la facesse preoccupare, il panico di farle provare altro dolore e di vederla soffrire, ancora.

No”pensò: non temeva di diventare come sua madre, ciò che più lo agghiacciava era il dover affrontare la malattia mentale, quella stessa malattia che né lui né sua madre erano riusciti a sconfiggere, quella stessa malattia che per entrambi era diventata un ostacolo insormontabile.
Sentì gli occhi iniziare a bruciare ed un’insofferenza fusa ad angoscia salirgli dal profondo; gli spasmi della gamba erano ormai incontrollabili ed il dolore alla testa non diminuiva… e fu proprio in quel momento che si rese conto che, probabilmente, sua madre sarebbe stata la persona più adatta con cui parlarne, perché, forse dovevano fronteggiare lo stesso tempo e perché, in fondo, sua madre era una donna forte.
Si ritrovò involontariamente a vagare con gli occhi per la stanza, ma, ovviamente, essendo solo, non vi era nessuno in casa che potesse aiutarlo, neppure e soprattutto…sua madre.

 
Nel frattempo il campanello riprese il suo canto monotono, ancora.
 
 
 

P.S. Vi ringrazio molto per i commenti!  

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Capitolo 3
*** Falling down ***


Falling down
 

Quel trillo cristallino, acuto, si era addentrato mano a mano nella testa. 
Perché quel suono doveva continuare ad ossessionarlo? Come poteva farlo cessare?
Si sentiva molto nervoso, avvertiva il bisogno imminente di sfogarsi. Improvvisamente si alzò e si diresse verso la porta: quel suono era riuscito ad esasperarlo a tal punto che neppure si accertò della reale identità del suo indesiderato ospite.

La spalancò in un baleno, senza alcuna accortezza, in un colpo solo, allo stesso modo in cui balza via, sotto la pressione delle dita, il tappo di una bottiglia di champagne; il tappo era saltato, adesso era il momento che la bevanda traboccasse. Ma, inaspettatamente, lo champagne rimase cheto nella bottiglia. Difatti, aperta la porta, Spencer si trovò di fronte una persona totalmente inaspettata, così inattesa da mutare qualsiasi proposito di lite avesse pensato di attuare.

“Morgan!?” la sua espressione era una maschera di incredulità.
“Allora ci sei.” rispose semplicemente.
Spencer neppure aveva avuto il tempo di reagire, anche se, dopo tutto, non avrebbe mai aggredito Morgan, anche se solamente con le parole: aveva un temperamento troppo combattivo ed una personalità molto forte, quasi autoritaria, ma, oltre a questo, Spencer non aveva la benché minima intenzione di intraprendere una discussione con Derek Morgan.

“Ho visto le luci accese…giù, dalla strada.” Il suo tono non era alterato, anzi, sembrava fosse a disagio.
“Sì, infatti ero in casa…” abbassò lo sguardo, pensando di aver appena fatto una constatazione del tutto superflua, data la prevedibilità della situazione.” Mi dispiace, è solo che… ero…occupato.”
“Davvero?” l’altro lo guardò scettico, incrociando le braccia.
All’improvviso Spencer rialzò lo sguardo,rimanendo disorientato. “Certo!” Avvertì il tono della propria voce lievemente più alto di quello con il quale intendesse rispondere.
Morgan sosteneva forse che gli stesse mentendo?

Lo guardò, confuso” Che intendi dire? Non ti capisco.”
“Intendo dire, Reid, esattamente ciò che stai pensando, cioè che non è vero il fatto che non volessi venire ad aprirmi perché eri…scusa quale termine hai utilizzato?... Ah! Occupato , giusto?”
Gli occhi di Spencer trasmettevano una sola sensazione: sgomento. Rimase senza parole.
Morgan lo incalzò di nuovo, imperterrito, lo sguardo fisso in quello dell’altro. “Ho ragione?” la domanda suonava quasi retorica.
Era una provocazione? Oppure una sfida?
Spencer avvertì un’altra fitta violenta all’altezza delle tempie: si era rilassato istintivamente, appena visto Morgan… ma non si aspettava una reazione simile e non aveva idea sul come attenuare la tensione che si era venuta a creare. Il dolore alla testa riprese a sopraffarlo; l’agitazione stava per riprendere il sopravvento.
Socchiuse lievemente gli occhi nel tentativo di alleviare la sofferenza.“Dove vuoi arrivare?”
“Al fatto che stai continuando a mentirmi.”
Non aveva mai visto un’espressione così severa sul volto di Morgan.

Il più giovane spalancò gli occhi, determinando una pulsione atroce alle tempie.
Poggiò appena una spalla sullo stipite della porta.
“Io…” si interruppe per un istante: parlare era come una tortura, in quelle condizioni “ starei continuando a mentirti?”
Voleva controllarsi, ma sentiva la propria voce uscirgli strozzata.“Perché parli come fosse una questione personale? Sembra quasi che ti sia offeso.”
“Infatti.” subentrò in modo gelido, come una lama.
“Cosa?” Spencer era sempre più sconvolto; con quale proposito era venuto il suo amico? Con l’intento di confortarlo e di tranquillizzarlo? Perché se tali erano le sue intenzioni, aveva instaurato un rapporto ben lontano dall’ideale. Involontariamente, il tono della voce gli si alzò. Guardò l’altro dritto negli occhi.
“T-tu…” balbettava tanto era scosso ”tu ti senti offeso da cosa? Ti presenti davanti alla mia porta senza alcun preavviso, pretendendo che io ti dica un’eventuale verità che…”
“Hey ragazzino!” Morgan lo interruppe di nuovo, con impetuosità. ” Non tentare di fare il furbo con me: non si tratta di una verità ipotetica, ma della realtà vera e propria.”
Spencer si raddrizzò, continuando a fissarlo ”Sei folle. E quale sarebbe questa rivelazione?” Sentiva la necessità di restituirgli un tono pungente, quasi sarcastico, altrimenti sarebbe crollato in un momento.

L’espressione di Morgan, prima dura, parve stemperarsi improvvisamente: i lineamenti del viso si distesero e dagli occhi trasparì una strana apprensione, simile alla dolcezza.
“Stai male, Reid. So che i mal di testa stanno peggiorando.”
Spencer gli aveva già confidato le sue emicranie, ma, in quel momento, non consentiva a se stesso di rivelare quanto realmente patisse la propria condizione, quanto fosse divenuta insostenibile; ma il dolore ed un orgoglio malsano scaturirono in un fulmineo impeto di stizza.
“Non sono fatti che ti riguardano.”
“Come fai alcune volte ad essere così egoista?”

 Il ragazzo perse totalmente il controllo “ Egoista?” stava urlando, gli occhi gli si arrossarono e cominciò a tremare.
Sei venuto qui con la pretesa di svelarmi la realtà delle mie condizioni, realtà che, sempre secondo il tuo parere, io rifiuto di affermare…”
Morgan tentò di fermarlo, ma fu inutile, era come arrestare un fiume in piena.
“Pretendi sempre di ottenere che ti venga detto ciò che tu vuoi sentire. Allora dimmi, cosa vuoi che ti dica, adesso?”
Spencer per la collera aveva oltrepassato la soglia della porta, erano vicinissimi.

Morgan non sapeva come rispondere ad una domanda simile, ma realizzò solamente di avvertire un grande senso di malessere: gli faceva male vederlo in quello stato.
“Vorrei solamente che chiedessi aiuto.”
“Perché?”
“Perché posso capire quanto tu stia soffrendo.”
Cercava di calmarlo, ma neppure per un attimo vide un segno di accondiscendenza nel suo sguardo. Spencer era pietrificato dalla paura… paura di abbandonarsi completamente nelle mani di un’altra persona, di essere biasimato, di accogliere possibili premure.
“Davvero riesci a comprendermi? Allora spiegami per quale motivo hai continuato ,imperterrito, a suonare quel dannato campanello?

Stava precipitando, ogni secondo, sempre più giù; le vertigini aumentarono e, con esse, sovvenne un unico pensiero a ricordargli l’unica questione che, in quel frangente, contasse di più, tanto viscerale quanto impossibile da mettere in atto: non desiderava respingere Morgan, non lo desiderava affatto.
Sentì una stretta micidiale alle braccia. Per quale ragione l’aveva immobilizzato in quel modo? Poi abbassò fugacemente lo sguardo verso le proprie mani: ancora tremavano. Evidentemente il suo stato di agitazione era diventato talmente evidente che Morgan non aveva potuto fare a meno di bloccarlo e guardarlo, con un’espressione fortemente turbata e le lacrime agli occhi.
“Hai ragione, forse sono stato invadente, ma…Reid?...” lo ripeté quasi in un sussurro ”Reid? Guardami, ti prego.”
Il ragazzo rialzò lo sguardo.
“Hai bisogno di aiuto” concluse; però Spencer non lo stava ascoltando: i suoi occhi erano grandi, liquidi e terribilmente…vuoti.
“Lasciami” mormorò in un unico, lieve respiro. Sentì la presa attenuarsi, per poi svanire del tutto.
Un ultimo, disperato, tentativo di chiarimento uscì dalle labbra di Morgan ”Sono venuto fin qui solamente per darti conforto.”
Un ultimo sforzo, un’ultima speranza… spazzata via in un secondo.
“Ma io non te l’ho chiesto.”

Subito dopo, la porta venne richiusa. Morgan non si mosse di un millimetro, ciò nonostante , pieno di amarezza, continuò a fissare il punto all’altezza del quale, pochi istanti prima, guardava il suo viso.
Esattamente nello stesso punto, dall’altra parte della porta, Spencer vi poggiò la nuca. Si sentiva esausto, del tutto annientato; la vista gli si annebbiò, le ginocchia cedettero e, simultaneamente ad un sospiro tremante, si accasciò a terra.
Chiuse gli occhi, mentre una lacrima gli carezzò le ciglia.


P.S. So che era un bel po’ di tempo che non aggiornavo, ma spero che vi piaccia anche questo capitolo:)
Ancora molte grazie per i commenti!

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Capitolo 4
*** Fragile ***


Fragile
Morgan non capiva: perché Spencer continuava a respingerlo?
Inizialmente si era mostrato un po’ troppo aggressivo, lo ammetteva, ma, in fondo, il solo scopo per cui era giunto fino a casa sua, era quello di offrirgli aiuto. Ma Spencer lo aveva allontanato, sottraendosi da qualsiasi possibilità di premura… e Morgan non si aspettava una tale veemenza nel rifiutarlo.
In realtà, era sempre stato restio nel chiedere aiuto, ma i suoi grandi occhi, trasmettevano, quasi costantemente, un essenziale bisogno di conforto; quegli occhi esternavano una timida richiesta di aiuto ancora prima delle parole, le quali, una volta preso il sopravvento, lasciavano agli occhi una malinconica luce di voglia di tenerezza.

Improvvisamente, un ricordo, come un lampo, balenò nella mente di Morgan e fu come riviverlo completamente e nuovamente, per pochi secondi: Spencer stava in piedi, fermo, di fronte a lui, appoggiato al mobile retrostante e lui, Morgan, si trovò a guardarlo con un’espressione preoccupata. Si concentrò in particolar modo sul volto: il ragazzo non lo stava guardando, ma teneva lo sguardo basso, fisso su una tazza fumante.- Non ricordava cosa ci fosse nella tazza, se cioccolata oppure caffè… comunque, poco importava.- “ Ti capita mai di avere degli incubi?” gli aveva chiesto Spencer a bassa voce.
Morgan, fissando la porta del suo appartamento, venne sorpreso da un fremito di tristezza, quasi di malinconia: poteva rivedere tutta la scena in modo spaventosamente nitido, come fosse reale.
Morgan era rimasto lievemente colpito, non tanto dalla domanda, quanto da chi l’aveva posta. Quella era una domanda semplice, tale da risultare quasi banale: il fatto che una persona, specialmente se appartenente al loro campo, avesse degli incubi, era talmente comune da sfiorare l’ordinario.
Vide Spencer alzare lo sguardo ed incontrare istantaneamente i suoi occhi e subito pensò, allora come nel momento in cui rievocava il ricordo, che quello era lo sguardo più dolce e malinconico che avesse mai visto, tanto bisognoso quanto lo era il disagio che trasmetteva. Erano gli occhi di un ragazzino che esprimevano un orgoglio infantile ma, al contempo, dichiaravano le paure di un ragazzo costretto a crescere troppo in fretta. La paura genera sempre la necessità di un bisogno, di qualsiasi natura esso sia, ma è quando si diventa riluttanti nel chiedere aiuto che il timore stesso diventa paralizzante. Allora Morgan, ancora prima di parlare, gli regalò un lieve sorriso, comprensivo e sicuro e Spencer distolse immediatamente lo sguardo dal suo, corrugando la fronte, con espressione seria, tentando di reprimere il disagio, concentrandosi su ciò che l’altro stava per rispondere: era quello, pensò Morgan, era stato quel semplice gesto a confermare tutte le sue riflessioni.
Spencer infatti non era solito guardare le persone negli occhi ed anche quando si rivolgeva ad i suoi colleghi non tendeva a guardarli direttamente ma alzava lo sguardo di rado, facendosi scudo con la velocità con cui pronunciava le frasi e con la danza frenetica delle mani che, abitualmente, accompagnava le sue parole. Anche la sua prassi di parlare con un tono freddo, distaccato, tipicamente scientifico, costituiva, in qualche modo, un muro invisibile con ciò che lo circondava. Il mondo delle statistiche era il mondo ideale, il suo mondo, logico, schematico, una barriera perfetta attraverso la quale poteva osservare ciò che stava accadendo intorno a sé, senza venirne toccato: si sentiva al sicuro nel suo mondo.

Morgan tornò improvvisamente alla realtà, come destatosi di colpo da un incantesimo. Smise di fissare la porta e lentamente cominciò a scendere le scale.
Spencer era cresciuto negli ultimi anni, era diventato un ragazzo che tentava in tutti i modi di fronteggiare le difficoltà a testa alta; ma i suoi timori più forti, i suoi fantasmi, scaturiti da situazioni dolorose, continuavano a traboccare, come acqua putrida, dal profondo pozzo del suo inconscio, rischiando di affogarlo, e fu proprio nel momento in cui richiuse la porta per poi accasciarsi, stremato, su di essa, che non seppe più come respirare.

Quel giorno Morgan uscì dal portone del palazzo con la consapevolezza che, per la prima volta, Spencer lo aveva respinto veramente e completamente; angosciato,pensò che, dal momento in cui erano diventati colleghi ed amici, probabilmente, non lo aveva mai visto così fragile.




Lo so, è da tempo interminabile che non posto… il fatto è che non sono mai soddisfatta di quello che scrivo, lo modifico in continuazione, per questo ci metto molto per aggiornare la storia. Comunque, alla fine eccomi qui! Spero che vi piaccia anche questo capitolo e prometto di postare gli ultimi 3 capitoli il più in fretta possibile. Vi ringrazio tantissimo per i commenti.:)

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