(im)perfection

di Giggle_lazy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Imperfection ***
Capitolo 2: *** If I ever leave this world alive. ***
Capitolo 3: *** Exit Music (For a film) ***



Capitolo 1
*** Imperfection ***




Adam è un leader.
Con quel suo sguardo fiero e quella sfacciataggine è sempre stato un punto fermo
per chiunque avesse la fortuna di incrociare la sua strada.
E’ perfetto, di una perfezione che stona.
 

Cameron al contrario fa di tutto per passare inosservato.
Tratti duri e tendenza alla misantropia, questi sono gli aspetti che lo caratterizzano.
E’ imperfetto ed è semplicemente se stesso.
 


 
La storia è ambientata ai giorni nostri a Portland una città degli Stati Uniti d’America nello stato dell’Oregon.

 
Adam era sempre stato pigro.
Quella mattina, come tante altre, si era svegliato tardi.
Aveva sbadigliato e si era avvolto nel lenzuolo per sfuggire alla luce che penetrava dalla finestra che sua madre si era curata di spalancare.
Gli aveva lasciato il caffè sul comodino e gli aveva arruffato i capelli senza dire una parola, Abigail era una mamma che sapeva di potersi fidare del suo ragazzo. A quest’ultimo piaceva svegliarsi con il profumo della caffeina che aleggiava nella stanza, era talmente abituato da non riuscire ad alzarsi dal letto senza. Era viziato e molto felice di esserlo.
Si stropicciò gli occhi e allungando il braccio afferrò la sua tazza, quando si riscaldava vi si disegnava sopra il percorso di un Pacman vecchio e scolorito. Sorridendo la poggiò sul comò: era la sua preferita. Scese a piedi scalzi e, strusciandoli sulla moquette, andò in bagno a prepararsi per il suo ennesimo primo giorno di scuola, l’ultimo della sua vita, poi ci sarebbero stati solo un susseguirsi di giorni all’università. Come tutti gli adolescenti maschi non perse granché tempo a rendersi presentabile, indossò una maglia blu a maniche corte, dei semplici jeans a vita bassa e li abbinò alle sue amate converse di tela grigie. Si diede una lieve sistemata ai capelli e scese in cucina.
“Buongiorno” mormorò baciando i capelli profumati della madre, che stava lavando le tazze dei figli. Aveva dei lineamenti dolci, i capelli castano scuri e lunghi e scarmigliati, ma la sua particolarità erano dei profondi occhi nocciola. Aveva un corpo troppo magro per Adam e non era mai stata molto alta, la superava per quasi una trentina di centimetri. Da lei aveva preso gran parte dei tratti del viso -tranne la mascella dura eredità del padre-, gentili e stranamente questi, insieme al suo carattere aperto e schietto, erano sempre stati molto utili nella vita, soprattutto nell’accattivarsi l’amicizia delle persone.
“Buongiorno tesoro” rispose lei con un sorriso e una carezza sul braccio del figlio, era dotata di una gentilezza innata e di una luce interiore apparentemente inestinguibile.
“Rispondi anche tu nana malefica!” continuò lui facendo la linguaccia alla sorellina lì seduta al tavolo -ampio di legno scuro- che si riempiva la pancia di pane e marmellata.
La bambina, dagli occhi nocciola come la madre e dal sorriso impertinente, rispose con una smorfia al fratello e continuò indifferente a mangiare. Allora lui le si avvicinò tirandole le codine che le cadevano morbide sulle spalle.
“Ahi! Antipatico!” borbottò scontenta, allora si sciolse i capelli vermigli che condivideva col fratello e se li sistemò con aria di sufficienza.
Adam la salutò con un bacio, a cui lei reagì strofinandosi pacificamente la guancia, e si diresse verso la porta di casa.
“Vado a scuola, ci vediamo più tardi!” concluse il ragazzo aprendo la porta di casa.
“Buona giornata!” rispose la madre andando alla finestra per schiudere la porta del garage che avevano accanto alla villa, all’interno vi era la Peugeot nera metallizzata che aveva regalato al figlio per il compleanno. Lui sbloccò la portiera e partì col mezzo in direzione della scuola.
La loro era una famiglia particolare, il sorriso –talvolta stanco, ma sempre sincero- era onnipresente su ognuno dei volti dei componenti, si sentivano sereni solo l’uno accanto all’altro.
Erano una rarità.
 



Cameron aveva gli auricolari nelle orecchie,
la testa abbandonata sul finestrino pieno di scritte del bus e la stanchezza che pesava sugli occhi: tentava di non addormentarsi.
La sera prima aveva fatto tardi al pub, quando si era svegliato le tempie gli pulsavano per il forte mal di testa e a stento era riuscito a prepararsi in tempo per non perdere la circolare. La musica che proveniva -ad alto volume- dalle sue cuffie era martellante. Il cantante gracchiava di un’autostrada diretta all’inferno così come le chitarre elettriche gemevano e ferivano le orecchie tenendolo sveglio. Voleva percorrerla anche lui quella strada per l’inferno, l’avrebbe portato lontano da quel posto o l’avrebbe quanto meno distratto da ciò che lo circondava. Gli serviva proprio in quel momento.
I vari passeggeri intorno a lui, non erano capaci di catturare la sua attenzione perciò lasciava vagare lo sguardo all’esterno del mezzo. La città era accesa dai colori del primo mattino: gente che si affrettava fra le strade confusa, chi per il ritorno in ufficio dopo qualche settimana di ferie e chi per ricominciare a seguire le lezioni dopo mesi di vacanze estive. Osservandoli si rendeva conto che in quell’autobus sembrava che il tempo non passasse mai: sempre le solite persone, sempre uguali che si incontravano sempre alla stessa ora. Era stancante.
Si passò la mano sinistra sulla nuca e distolse lo sguardo dall’esterno socchiudendo gli occhi, si massaggiò il collo e le spalle doloranti per la faticosa nottata.
Penultima fermata, una vecchia signora era appena salita e non vi erano posti vuoti così si alzò lasciandole il sedile portando con se lo zaino semi-vuoto.
“Grazie ragazzo” sorrise amabilmente lei, lui le fece un breve cenno con la testa e si appoggiò al palo accanto. Era complicato stabilire un legame con lui, era abituato a contare troppo su se stesso e poco sugli altri, non per questo però si comportava da maleducato; al contrario non sopportava i ragazzi della sua età che, con le più disparate giustificazioni, si comportavano da incivili approfittando dei soldi dei genitori per cazzeggiare con gli amici.
Forse si comportavano così perché non avevano mai dovuto sudarsi nulla nella vita.
Si riscosse da quei pensieri quando l’autobus, accostandosi alla strada davanti la scuola, spalancò le porte. Allora liberò un orecchio dall’auricolare e infilò l’mp3 nella tasca centrale della felpa verde militare che indossava, raccattò lo zaino grigio scuro in Cordura, che aveva ormai quasi la sua stessa età, e scese dal bus seguendo dei ragazzi che dovevano essere poco più piccoli di lui.
Si trovò davanti un muro di mattoni rossi che recava la scritta “George C. Marshall High School”.
I ragazzetti parlottavano concitati di quanto fosse grande quella scuola e di quante cazzate avrebbero fatto da lì in poi. Cameron sorrise genuinamente delle loro grandi aspettative, doveva essere il loro primo anno. Si sarebbero resi presto conto che la scuola non era come nei telefilm, non sempre almeno.
In quell’esatto momento sentì la tasca vibrare, estrasse il cellulare velocemente. “Merda” sbottò, e dopo aver letto il messaggio lo rimise di scatto al suo posto.
Sbuffò e si voltò ma il mezzo era già sparito nel traffico della città così si passò una mano fra i capelli scuri –un abituale gesto che lo faceva sempre sentire scemo quando ricordava di essersi tagliato i capelli-, si tirò lo zaino sulla spalla destra e si incamminò a piedi alla fermata più vicina.
Assentarsi il primo giorno: bel modo di iniziare il nuovo anno.
 


Spazio Autrice!

Ciao a tutti!
Questo è il mio primo vero tentativo di long-fic quindi sono abbastanza inesperta xD

Ho alcune precisazioni da fare:
1# questo è solo il capitolo 'pilota', da adesso in poi saranno più lunghi.
2# Ci sono parolacce nella storia, perdonatemi ma alcuni personaggi devono per forza imprecare ogni due per tre e poi così è più realistico xD
3# Non sono mai stata negli Stati Uniti quindi le ambientazioni saranno solo frutto della mia fantasia.


Ho scritto questa storia per un amico.
I protagonisti sono nati dalle caratteristiche -accentuate- di questo ragazzo che si è trovato con una vita incasinata ed è riuscito sempre ad affrontare le varie situazioni che gli si ponevano davanti.

Per quanto la storia possa avere alcune volte dei tratti malinconici sappiate che ho voluto narrare qualcosa di un po’ diverso, probabilmente per questo non riceverò molti consensi ma spero comunque che a qualcuno possa piacere (:
Con affetto Giggle_Lazy

 
 
Ciao amico,
questa storia è per te.
Non è una classica storia che parla solo di amicizia
perché spero tu sappia già quanto ti sono vicina.
 
Questa storia parla semplicemente di te,
della tua forza nell’affrontare una vita stronza.
 
La tua sicurezza, la tua simpatia e la tua paura per il futuro
hanno dato vita a questo.
Sicuramente non la leggerai mai, ma va bene così
mi basta sapere che non cederai mai.
 

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Capitolo 2
*** If I ever leave this world alive. ***




Adam svoltò nella via che costeggiava la scuola, attese pazientemente che le auto si accostassero a turno al marciapiede lanciando ogni tanto occhiate all’orario sul cruscotto. Non era neanche in ritardo, ma gli sarebbe scocciato non trovare posto nel parcheggio.
Notò che da una vecchia Ford blu stava scendendo la sua compagna di banco così le si affiancò con la macchina.
“Bree! Hey!” chiamò e suonò il clacson per attirare l’attenzione dell’amica.
Era piccola e molto bella Bree, capelli biondissimi e occhi azzurro cielo. Era la classica ragazza che era abituata ad essere bella e quindi ad essere sicura di sé, a differenza delle sue coetanee, però era una grande studiosa, intelligente ed anche molto introversa.
“Buongiorno” sorrise pacatamente lei tenendo per mano il fratellino di 12 anni che strepitava per sfuggire alla presa della sorella. Adam si sporse dal lato del passeggero e si fece dare il cinque dal delinquente. La ragazza ghignò e lui le fece una smorfia in risposta, rischiando così di tamponare il mezzo che gli stava davanti.
“Ci vediamo dopo” si riprese velocemente lui e con attenzione inserì la freccia ed entrò nel parcheggio accanto al secondo edificio della scuola.
Era la classica scuola americana che per attirare studenti puntava sul verde che la circondava più che sulle attrezzature didattiche, vantava la bellezza di 1200 alunni -distribuiti in tre edifici- e un’importante sovrappopolazione delle classi.
Ma Adam aveva sempre adorato quella scuola, amava le pareti giallognole rovinate e piene di scritte, i banchi consumati e i bagni perennemente allagati: era la sua scuola.
Era affezionato a tutti i ragazzi che ospitava, soprattutto era per amore di questi aveva deciso di avere un ruolo più attivo al suo interno; era stato per 2 anni nel consiglio degli studenti e adesso aveva intenzione di presentarsi come rappresentante d’istituto.
Era una di quelle persone che potevi odiare o amare ma che non poteva passare inosservato in nessuna situazione. Aveva avuto parecchie discussioni nella sua vita perché aveva sempre avuto un forte senso di giustizia e per questo credeva di essere il più adatto per portare una ventata di cambiamento in quella struttura, ci sperava.
Al suono della prima campana aveva appena chiuso l’auto, così a passo molleggiato si diresse verso l’entrata principale, dove avrebbe trovato uno stormo di ragazzini del primo che cercavano le proprie classi sul tabellone nella segreteria.
“Hey tu! Dove stai andando? Chi sei? In che classe stai?” brontolò la bisbetica bidella Ivette, bloccandolo all’entrata della segreteria. Adam le si era presentato mediamente 30 volte ogni anno, ma se c’era una persona da cui non era riuscito a farsi amare era proprio lei. Quella donna aveva il talento di riuscire a rendersi insopportabile a chiunque,  si narravano infatti cose tremende sul suo conto: che la sua età superasse abbondantemente i due secoli e che fosse in quella scuola da quando fosse stata costruita, che avesse tanti neuroni quanti i suoi denti –che erano veramente pochi!- ma soprattutto che quello che le mancava in cervello, l’avesse guadagnato in udito; era la persona più informata della scuola e spesso i ragazzi cercavano di ingraziarsela a forza di panini al prosciutto e alla mortadella per ottenere dei favori.
“Salve cara Ivette, sono Adam Key, ricorda?” cominciò con voce melliflua, “Stavo appunto cercando la mia aula ma come vede ci sono un sacco di ragazzini davanti ai tabelloni e mi è impossibile avvicinarmi. Per caso lei potrebbe… ?” attese un cenno che gli confermasse l’attenzione della donna ma perse ogni speranza quando notò che quella si stava bellamente infilando un dito nell’orecchio -guardando altrove- senza neanche ascoltarlo.
“Grazie lo stesso” Sospirò teatralmente e la sorpassò dirigendosi verso quella marmaglia.
“Adam!” qualcuno lo chiamò 
“Oggi non si può proprio fare un passo senza che qualcuno rompa?!” sbottò lui senza riconoscere la voce.
“Hey! E’ un mese che non ci vediamo! Mi tratti così già dal primo giorno?” si lagnò il tale avvicinandosi.
“Come va Jack? Passate delle buone vacanze?” ghignò Adam.
“Mah belle, più o meno. Tra libri e corsi di recupero s’intende!” Sorrise apertamente lo studente passandosi le dita fra i capelli castani senza il minimo sentore di imbarazzo per la sua situazione di pluri-rimandato.
Jackson Hunt conosceva molto bene Adam.
Non erano molto amici ma avevano stima l’uno per l’altro. Jack aveva un modo di fare apparentemente mite, poteva però diventare molto fastidioso all’occorrenza e questo Adam lo sapeva bene. Non gli piaceva affatto studiare infatti le uniche materie in cui andava veramente bene erano educazione fisica e matematica.
“Vedo anche che ti sei riconciliato con la tua parte graziosa…” commentò il nuovo taglio di capelli dell’amico che li aveva sempre portati corti fin dalla prima ma che aveva evidentemente fatto crescere durante le vacanze. Così gli sembrava molto più simpatico, ma non glielo avrebbe mai fatto sapere.
“Proprio tu che mi dai lezioni di stile? Tu che vai in giro come il Justin Bieber dei poveri che ha fatto la tinta sbagliata?” Ecco, sembrava appunto. Sospirò vagamente Adam.
“Non posso mica tagliarmi i capelli! Le ragazze di questa scuola non me lo perdonerebbero… E poi giuro di averla già sentita su facebook, questa! Dovresti cambiare fonti per le tue battute, rischiano di non essere più molto efficaci.” Sghignazzò il rosso, dandogli una pacca sulla spalla.
“In effetti hai ragione! Non sai che quantità abnorme di battute su di voi ci sono in giro! Tipo, senti questa: ci sono un rosso, un biondo e un moro in un bar…”
“Rsparmiatela per quando saremo in classe! A proposito, hai idea di dove potremmo essere quest’anno?” così i due amici imboccarono il corridoio continuando a conversare e cercando l’aula del corso di biologia avanzato che frequentavano entrambi.

“Buongiorno ragazzi e bentornati a scuola. Sono il vostro nuovo professore di biologia, passate bene le vacanze?” iniziò il prof mentre gli alunni stavano progressivamente accomodandosi nei banchi. Accanto a lui c’erano lotte e dimostrazioni di potere pur di accaparrarsi i posti migliori quindi nessuno si curò di rispondergli, continuando a schiamazzare per i fatti propri. L’insegnante invece li guardava cercando di imparare i nomi di tutti aiutandosi col registro.
Adam guardò Bree -dritta, con le gambe accavallate e i suoi capelli lisci sempre in ordine- che aveva occupato il terzo banco a destra. Gli aveva lasciato il posto accanto al termosifone poiché sapeva quanto l’amico diventasse freddoloso d’inverno, sapeva anche che aveva problemi di vista e che all’ultimo banco non sarebbe riuscito a leggere bene dalla lavagna dato che si ostinava a non portare occhiali. Un sorriso spontaneo nacque sul volto dell’adolescente quando si rese conto di quanto l’animo di Bree fosse gentile. Da piccola però non era stata affatto così: era sempre irosa, faceva a botte coi maschi e faceva skate. Ancora adesso quest’ultimo la coinvolge, ma era diventata la persona più educata che Adam conoscesse. Era forte come un tempo, solo lo dimostrava in altri modi.
“Taylor… Hill? E dov’è Lionel?” gracchiò il docente cercando di intravedere fra i ragazzi un volto che non gli fosse del tutto sconosciuto.
Era questo il suo problema, aveva una laurea prestigiosa, aveva lavorato a lungo con i ragazzi ma ciò che lo metteva in crisi era associare i nomi ai volti ad ogni inizio corso. Si toccò ripetutamente la cravatta sgualcita che penzolava dal collo e si arrotolò le maniche della camicia bianca che indossava, cercando un modo per attirare l’attenzione dei ragazzi.
“Quanti siete nel corso?”sospirò allora all’unico ragazzo che manteneva il suo contatto visivo senza distrarsi.
“Per scienze l’anno scorso eravamo 25” rispose alzando la voce Adam, mentre si accomodava al fianco dell’amica. Tutti i compagni l’avevano salutato a gran voce così era stato costretto a fare il giro della classe per chiacchierare un po’ con tutti prima di potersi finalmente sedere.
“Sembri il festeggiato alla sua festa di compleanno” Gli fece notare Bree.
“Sono già stanco della scuola” bofonchiò lui, appendendosi giocosamente al braccio dell’amica.
“ *C’è sempre chi ti strattona, come se tutti volessero strappare un pezzetto di tè, la fama è una brutta bestia, eh?” lo canzonò Jackson, che si era seduto all’ultimo banco dietro di loro.
Mugugnò frasi sconnesse in risposta all’insinuazione e si nascose ancora di più fra le braccia di Bree che lanciava occhiate scocciate alla classe, completamente disattenta.
“Cameron Pirce?” Adam, che distrattamente seguiva quello che faceva il prof, a quel nome si voltò, che avesse sbagliato? Non c’era nessun Pirce l’anno scorso e sarebbe stato sciocco per chiunque iniziare dalla classe intermedia.
“E’ uno nuovo,” spiegò Alexia Doyle.
Capelli neri e corti abbinati ad occhietti altrettanto neri e piccoli. Aveva un visino dei lineamenti dolci, era minuta e non superava il metro e 65. Solo dei sottili occhiali dalla montatura quadrata spezzavano un po’ il fascino da ragazza della porta accanto.
“Quando ho letto il suo nome nell’elenco mi sembrava familiare, mi sono informata con mia sorella e mi ha chiarito che in effetti studiava all’ultimo anno nella sua stessa scuola...”continuò sbirciando Adam dal suo posto in prima fila, fece l’abituale gesto di chiunque portasse un paio d’occhiali cioè li tirò su e li incastrò sul piccolo naso.
“Ma tua sorella non sta alla T. Beckett? La scuola dei secchioni?” Chiese Jack inserendosi nella conversazione, annoiato dai borbottii del professore che non sembrava avesse alcuna intenzione di richiamare i ragazzi all’ordine.
“Sì esatto, ed ecco la cosa interessante: è stato bocciato in 3 corsi!” Esclamò lei avvicinandosi e sedendosi sul banco di fronte al gruppetto per far si che la sua rivelazione avesse più impatto.
“In 3 corsi?”Chiese Adam sinceramente sorpreso e dando inizio al laborìo della mente: chi mai all’ultimo anno della Beckett sarebbe riuscito a farsi bocciare su così tante lezioni? Quanta gente aveva indispettito? Si sapeva che chi riusciva a passare al primo anno – grazie ad aiuti finanziari o a capacità didattiche elevate- non veniva bocciato negli anni a seguire. La scuola aveva una reputazione troppo alta perché potesse avere degli alunni ripetenti.
“Ma non si boccia mai in così tante materie alla Beckett!” fece notare Jack.
“Per essere stato bocciato lì deve aver fatto qualcosa di grave… oppure deve essere proprio pessimo a scuola, ma mi sembra un po’ strano: se fosse stato così non sarebbe stato fermato prima?” Parlò per la prima volta Bree dimostrando di aver centrato il punto. Si guardarono tutti e quattro cercando di far quadrare la faccenda.
“Ci mancava un altro idiota in questa classe!” Protestò il castano dall’ultimo posto dando voce ai pensieri di Alexia che sapeva non sopportarlo per la sua mancanza di disciplina.
“Paura che ti rubi il primato?” Sorrise beffardo Adam provocando l’ilarità del gruppo.
In quel momento il professore decise che aveva osservato a sufficienza il registro e che fosse ora di iniziare il discorso che aveva provato e riprovato per ore quella mattina.
“Coff coff…” tossì cercando di attirare l’attenzione degli alunni a cui nessuno fece caso in quella baraonda “RAGAZZI!” Alzò il tono di voce al quale finalmente qualcuno girò di riflesso la testa.
“Bene, iniziamo. Buongiorno a tutti, sono Mr. Blossom e sono il vostro nuovo insegnante, Mrs. Evans come sapete tutti è andata in pensione...”
“Era ora, quella vecchia babbiona!” si sollevò una voce dal fondo causando una risata di gruppo.
“…E adesso ci sono io a sostituirla.” Concluse Mr. Blossom senza dar apparentemente retta al ragazzo ma sorridendo dentro di sé.
“Io mi occuperò di formare le vostre menti in qualcosa di sublime! In quest’anno dovrete decidere per il vostro futuro e farete delle scelte importanti.” Molti ascoltavano con una punta di scetticismo il discorso, altri parlottavano fra loro. “Sappiate che io sostengo sempre i miei alunni… tranne quando gridano sovrastando la mia voce per commenti poco opportuni come fossero al mercato!” Aggiunse rimproverando il ragazzo che era intervenuto e guardando fisso gli altri che nell’angolo non lo degnavano di uno sguardo.
“Quest’anno sceglierete una strada da seguire e io sarò lì.” Fece un attimo di pausa per dare enfasi e per permettere alle parole di penetrare nelle loro menti. “Al vostro fianco, ad aiutarvi!”Adam capì, da come meditava e torceva le mani, che il professore era attanagliato dal nervosismo, aveva paura di dimenticare qualcosa del suo discorso. Discorso che aveva chiaramente imparato a memoria per fare bella figura, il poveretto era convinto che bastasse qualche parola importante perché lo rispettassero.
“Mr. Blossom? Una domanda…” Fece Fred Miller, la testa di cazzo.
Capelli biondi sparati dal gel e occhi grigio topo, specchio della sua anima putrida. Era largo di spalle ma basso, tanto da risultare comico il contrasto. Faceva parte della squadra di football e aveva lo sguardo vuoto di chi non fa altro che nutrire la sua pochezza con l’imbarazzo e la vergogna degli altri.
“Dimmi” sorrise benevolo il professore che non poteva avere più di 40 anni nei suoi stretti jeans giovanili e nei baffetti appena accennati castani.
“Sarà al nostro fianco pronto ad aiutarci anche quando cagheremo e pisceremo?” Rise a gran voce avendo l’appoggio solo di pochi ragazzi ma a lui non interessava essere divertente: voleva osservare impallidire quel professoretto da quattro soldi che gli parlava del suo futuro come se fosse suo grande amico. Lui non aveva progetti, l’anno precedente era passato in scienze grazie a scopiazzate varie ed aveva comunque preso il minimo, non aveva bisogno di grandi voti dato che aveva già una borsa di studio come atleta e suo padre gli avrebbe trovato un posto nell’azienda di famiglia quindi non gli serviva l’aiuto di un omuncolo del genere.
In quell’esatto momento -nel passaggio di Mr. Blossom dal pallido al paonazzo- suonò la campana, così l’aria di tensione si dissolse come l’acqua di un fiume che fluiva fra le rocce.
Quando la campanella trillava gli studenti diventavano improvvisamente sordi e cechi, così si catapultarono tutti fuori dall’aula -spintonandosi e pressandosi sulla porta, mettendo a dura prova le sue capacità- incuranti dell’insegnante che, ripresosi dallo shock, li incitava a gran voce di iniziare a leggere l’introduzione al primo argomento per l’indomani.
“Stasera vi va di festeggiare il primo giorno di scuola? Ho trovato un bel locale su internet” Chiese Alexia al gruppo mentre si dirigevano verso l’aula di letteratura.
“Cosa c’è da festeggiare? E’ una prigione! Bisognerebbe piangere invece o sbronzarsi di brutto!” Intervenne Jackson sfiorando con lo sguardo le curve di Queen Stevens, la ragazza aveva un certo fascino e un certo grado di popolarità, era chiaro come il sole a tutti che sarebbe stata la sua prossima preda.
Queen aveva una coda alta che ondeggiava ad ogni suo passo e le risaltava gli zigomi prominenti. Aveva occhi verdi e felini, era alta e sinuosa con delle lunghe gambe che terminavano in stivali di pelle col tacco. Era il prototipo di perfetta femme fatale a cui tutti nella scuola andavano dietro.
“Beh, possiamo uscire e sbronzarci fino a piangere così facciamo tutte e tre le cose insieme!” Intervenne lei avendo ascoltato la proposta di Jackson ma considerando Adam con aria famelica, non faceva parte del loro gruppo ma era risaputo che avesse un particolare interesse per il rosso. La gatta che non era stupida rise allegramente rivelando il suo unico piccolo difetto: denti perfetti ma con dei canini troppo appuntiti. Adam finse di non accorgersi del suo sguardo e guardò Jack rimettendo nelle sue mani la decisione che prese subito la palla al balzo.
Adam non era per nulla interessato a quella gatta morta e non voleva pestare i piedi all’amico, aveva avuto molte ragazze -la maggior parte belle e sveglie- nel corso degli anni ma ormai non usciva più con nessuna da un po’, non gli interessava avere alcuna distrazione durante il suo ultimo anno di scuola: doveva concentrarsi nello studio per il momento e poi, una volta che fosse diventato studente di Cambridge, avrebbe ricominciato a fare ciò che più l’aggradava.
 “Sarebbe un po’ da irresponsabili… ecco perché mi piace tanto l’idea!” Gioì il castano e con lui tutti, si incamminarono a testa alta verso la loro giornata carica di discorsi e promesse sul futuro.
 
 
“Pronto? Anita, sono Cameron. Sì tutto ok ma… sì, ho il solito problema, hai da fare?” Cameron parlava sottovoce al cellulare, cercando di non svegliare la persona che ora dormiva beata sotto un plaid sul divano lì accanto. Raccolse con due dita una scheggia di vetro che era sfuggito alla sua attenzione quando aveva pulito il pavimento e guardò vagamente fuori dalla finestra, ormai l’ora di pranzo doveva essere passata da un pezzo “Grazie mille! Ti lascio 20 dollari nella credenza, ok? Ciao, grazie ancora.” Chiuse la conversazione e sospirò, buttò il pezzo nella pattumiera e si strofinò inquieto la barba che quella mattina, per la fretta, non era riuscito a radere. Decise di uscire spinto dai morsi della fame, così si infilò la felpa grigia, chiuse la porta rovinata di casa e uscì per fumarsi l’ultima sigaretta del pacchetto nel viale alberato su cui si affacciava l’abitazione.
In questi momenti pensava sempre che la sfiga nella sua vita fosse in quantità industriale, non appena si dava da fare per risolvere un problema se ne creava sempre un altro peggiore.
Però non credeva in nessun dio o nell’esistenza di un destino, era convinto che la vita fosse fatta solo di tante piccole scelte e quindi sperava che impegnandosi di più, un domani potesse avere una vita normale. Era tutto ciò a cui ambiva.
Brontolò quando squillò l’ennesima chiamata del fratello che aveva cercato di ignorare fino a quel momento.
“Dimmi”  rispose rassegnato il moro lasciando la sigaretta fra le labbra e stropicciandosi l’occhio destro ripetutamente, segno della stanchezza che tornava a pesare.
“Ciao carissimo amico mio! Già mangiato? Posso offrirti il pranzo?” incalzò il biondo dall’altra parte del telefono. Aveva bisogno di parlare con lui ma non voleva farlo per telefono.
 “Quanta dolcezza… Seriamente, che ti serve Ivan? Che è successo?” domandò scettico lui, provocando l’ilarità dell’altro.
“Niente di che, posso offrirti il pranzo e una partita alla play se prometti di non fare domande. Ho bisogno di compagnia, mi sento solo soletto qui a casa…” si lagnò il ragazzo.
“E Caren che fine ha fatto?” Chiese il primo mentre aspirava l’ultima boccata di fumo e buttava la cicca schiacciandola sul selciato. Viveva in una zona di periferia dove tutte le casette dal tetto spiovente avevano 3 piani, giardinetto davanti e stradina frontale che si riempiva di marmocchi che giocavano a guardia e ladri durante le ore del pomeriggio.
“Prossima domanda?” mormorò Ivan, perdendo per un attimo la consueta allegria che lo caratterizzava. Era seduto sulla sedia di fine ottocento nella sala da pranzo, ne avevano comprata una coppia con Caren in un negozietto di antiquariato in centro e leggeva il messaggio che la sua compagna gli aveva lasciato sul cellulare quella mattina, irritata ed esasperata dopo una notte passata insonne aspettando che fosse lui il primo a farsi sentire aveva deciso di chiuderla definitivamente.
Cameron lo sentì sconsolato come accadeva rare volte, quindi decise di non indagare oltre e di consolarlo come meglio avrebbe potuto.
“Ok, porto qualche birra.” sospirò Cameron nell’apparecchio dirigendosi verso la moto, che anni prima era riuscito a comprare, di seconda mano.
“Sei un amico, te l’ho già detto quanto ti voglio bene?” Ironizzò Ivan recuperando un po’ di tono.
“Taci. Ci vediamo dopo.” Lo smorzò, mise in moto e infilò il suo adorato Nolan nero. Casco su cui aveva una moltitudine di graffi che stavano ad indicare quanto gli piacesse correre con quell’affare.
“Ciao tesoro mio!” sghignazzò il biondo poco prima che l’altro concludesse la comunicazione.
Cameron continuò a mugugnare improperi per tutto il tragitto fino alla casa del compagno.
 
“Merda Ivan! Se muori anche stavolta ti ammazzo!” diede in escandescenze all’ennesima mitragliata schivata per un pelo dal compagno.
“Stai blaterando fratello, te ne rendi conto? Spalleggiami di più invece, ho finito le munizioni… dai tranquillo, alla prossima uccisione abbiamo in dotazione i cani!” schiamazzò il biondo abbandonandosi su uno dei cuscini derelitti lì per terra al centro della stanza. Quando il moro era arrivato avevano mangiato la norma di Ivan –cuoco eccelso- e si erano subito messi a giocare al loro gioco preferito per la play in salone.
“Boom! Sono saltato in aria… basta! Mi sono stufato. Proporrei di lasciar perdere Call of Duty e di uscire un po’, magari andiamo al pub.” Si rassegnò il biondo lanciandosi sul tappeto. Era proprio negato in quel gioco.
Cameron abbandonò il joystick lì accanto e si buttò a sua volta pancia in giù sul veterano e derelitto divano.
“Non mi hai ancora detto perché sono qui.” Mormorò attraverso il tessuto macchiato.
Non aveva visto Caren in giro quel giorno quindi sicuramente avevano litigato ma di solito non duravano mai più di qualche ora separati. Vivevano insieme da anni perciò doveva essere successo qualcosa di veramente serio per far sì che lei se ne andasse.
“Forse perché avevo voglia di stare un po’ di tempo con il mio fratellino preferito?” tentò il biondo con aria dolce guardandolo di sottecchi, lui rise apertamente con la testa ancora rivolta verso la testiera del sofà.
“Sì, certo! E’ risaputo quanto ti piaccia la mia compagnia zuccherino… Vedi, tu sei simpatico e tutto il resto ma non sei per niente il mio tipo! E in più sarebbe incesto.” Rispose canzonatorio ed entrambi scoppiarono a ridere.
Si erano conosciuti in quello stesso periodo due anni addietro, il moro cercava un impiego che gli permettesse di mettere qualche soldo da parte -visto che a casa sua quelli che giravano finivano sempre troppo presto- ed Ivan aveva appena aperto un pub nel centro storico della città.
“The Herlock Sholmes pub” Era arredato in stile inglese e chi entrava nel locale aveva l’impressione di trovarsi all’interno di uno di quei famosi gialli, era il pub più originale che Cameron avesse mai visto e desiderava davvero lavorarci.
Quando era andato per fare il colloquio si era ritrovato a litigare con uno dei camerieri per un motivo banale. Al tempo poco più che 16enne, ma già alto ed impostato per la sua età, diede un pugno, diretto sul volto, al tale che finì col cadere su dei liquori sul bancone disintegrandone le bottiglie di vetro dall’aria molto costosa. Ivan –capelli biondi e barbetta ispida, grande e muscoloso ma dallo sguardo accorto- gli si era avvicinato, non aveva tentato di buttarlo fuori a calci o di domandargli un risarcimento per il danno, al contrario gli aveva sorriso.
“Bel gancio destro. Come ti chiami?” fu la sua domanda e Cameron gli promise di ripagarlo se gli avesse permesso di lavorare nel suo pub. Da quel giorno, nonostante la differenza d’età, diventarono qualcosa di molto simile a dei fratelli.
 “Ho litigato con Caren…”biascicò l’uomo attirando l’attenzione del ragazzo, torse le mani attorno al cuscino e si tirò su per poterlo guardare in cerca di aiuto.
“Che novità!” rispose Cameron finalmente girandosi verso l’amico e sorridendogli comprensivo a differenza delle parole che aveva pronunciato.
“Se n’è andata di casa! Non scherzare…” borbottò alzandosi e dirigendosi verso la finestra per prendere una boccata d’aria.
“E chi scherza… Che hai fatto stavolta?” rispose serio l’altro.
“E’ esageratamente gelosa! Ha una fottuta paura che la possa tradire e perciò si fa delle paranoie assurde! Sono andato ad una festa da solo quando lei era fuori città e ha fatto come una matta!” sospirò esausto verso l’amico che lo squadrava da capo a piedi.
“Forse se tu evitassi di provocarla costantemente… comunque non ti preoccupare, qualunque cosa tu faccia ti perdona sempre. Tu le dimostrerai quanto la ami e tutto andrà a posto.”
“Questa volta non penso tornerà” Concluse l’amico scoraggiato.
 
Adam e Bree si dirigevano a piedi verso il pub da loro indicato da Alexia dopo aver parcheggiato in una stradina buia lì intorno.
Dopo scuola era tornato a casa per preparare il pranzo perché quel giorno Megan finiva prima le lezioni e se ne sarebbe dovuto occupare lui dato che Abigail sarebbe rimasta al negozio –di abbigliamento, nel centro- fino al pomeriggio.
Verso le 8 e mezza di sera era passato a prendere Bree a casa perché sua madre era molto severa e le permetteva di uscire raramente senza l’intervento del ragazzo di cui si fidava cecamente.
C’era un silenzio privo d’imbarazzo fra di loro. Lei era sempre stata molto taciturna ma con lui perdeva quell’accezione negativa, lui era sempre stato capace di comprendere le persone e i loro umori: sapeva trattare con molti essendo capace di adattarsi al carattere dell’altra persona senza invadere il suo spazio. Perciò non provavano nessuna tensione a passeggiare vicino l’uno all’altra –abbastanza vicini da poter sentire la pressione del corpo altrui, senza però il desiderio comune delle persone di ricercare un contatto diretto con chi gli sta accanto- nel silenzio inerte della sera.
Entrando nel locale furono immediatamente colpiti dall’ambiente caldo ed accogliente creato dall’arredamento in legno e dalle luci soffuse che riproduceva l’atmosfera tipica dei pub inglesi. Un bel posto constatò fra se Adam tenendo aperta la porta in legno scuro laccato per l’amica.
“Wow bello! Dovremmo dare ascolto ad Alexia più spesso.” commentò la bionda fermandosi all’interno della sala e guardandosi intorno. Lo scampanellio della porta al loro ingresso aveva fatto voltare alcuni fra i clienti –perlopiù ragazzi sulla ventina come loro- che erano poi tornati a sorseggiare il proprio drink con aria indifferente.
 
Note:
*Famosa frase di Marilyn Monroe


Spazio Autrice!
Ciao ragazze, aggiornamento chilometrico perdonatemi xD
Devo mettermi a posto con la legge dato che l’altra volta l’ho dimenticato:
Ho immaginato alcuni personaggi e poi ho trovato un volto corrispettivo in attori, cantanti e modelli per esempio Adam e Cameron sono rispettivamente Tanner Howe e Jamie Dornan.
Vorrei chiarire che ho preso solo “in prestito” i loro volti, i fatti narrati -così come i personaggi- sono puro frutto della mia fantasia e che quindi gli eventuali riscontri nella realtà sono da considerarsi del tutto casuali.
Ed ecco finito anche il 2 capitolo, sono emozionata *-*
Nel primo cap abbiamo introdotto un po’ la storia, in questo cap invece si fanno vedere gli amici più cari dei nostri Adam e Cameron, devo dire che io li adoro tutti :3
Una cosa su Jackson non vorrei lo si fraintendesse: non è affatto un intollerante, non ce l’ha davvero con le persone con i capelli rossi –e ovviamente neanche io!- ma si diverte a scambiare battute e a dar fastidio ad Adam ^-^
Il pub “Herlock Sholmes” non esiste, esiste però “The Sherlock Holmes Pub” a cui mi sono ispirata.
E’ a cassibile, qui delle foto del pub: http://www.cassibile.com/foto/sherlockholmes/

Per evitare problemi vi dico che io ci sono stata molte volte e mi sono innamorata dell’ambiente così caratteristico del locale, l’ho inserito nella storia solo perché ho familiarità col posto e mi sembrava adatto al personaggio di Ivan, se mai qualcuno dovesse passare dalla sicilia orientale consiglio di trascorrere una serata lì perché è davvero bello :)
Infine non ascolto i Radiohead, conosco solo qualche canzone della band ma devo dire che mi piacciono alquanto :P
Detto questo è ovvio che da amante del Rock quale sono non farò mai ascoltare Justin Bieber a nessuno dei due protagonisti, i gusti sono gusti ma sono ancora i miei personaggi e con loro faccio quello che voglio xD

Ciao ciao, Giggle_lazy <3

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Capitolo 3
*** Exit Music (For a film) ***





C’erano però un ragazzo ed un uomo alla destra del bancone di legno laccato, li aveva notati perché uno dei due –con una vistosa camicia bianca a righe argentate- era voltato dalla loro parte e fissava intensamente Bree con un sorriso sornione.
Il tale probabilmente superava il metro e 75, aveva capelli corti e biondi abbinati ad un paio di anonimi occhi scuri. Doveva essere un patito di qualche sport perché aveva un corpo allenato con delle spalle larghe e una vita stretta, la camicia e il paio di jeans chiari che aveva lo fasciavano perfettamente. Non aveva un’aria molto sveglia, sembrava pensasse solo ad una cosa mentre guardava la sua amica, così per istinto di protezione si porse un po’ più vicino alla ragazza e le poggiò il braccio sulla spalla attirandola a se, gli arrivava appena al petto. Lei rimase immobile, non amava il contatto fisico e talvolta l’amico se ne dimenticava.
Adam iniziò a valutare anche il ragazzo: ugualmente alto, sembrava avesse anche lui un corpo allenato ma non pompato come il vicino, aveva capelli scuri e corti, occhi smarriti -dal colore indecifrabile a quella distanza- che teneva fissi sul bicchiere di birra che aveva di fronte, aveva dei lineamenti duri ma belli, la mascella quadrata e un accenno di barba sulle guance. Indossava abiti comodi: una maglia a righe sopra dei jeans e delle converse dai colori scuri che si accostavano attentamente al suo aspetto. Lo stava ancora esaminando quando si voltò: aveva uno sguardo vagamente allucinato e profondo, le labbra semi aperte. Delle belle labbra.
Adam sobbalzò quando si rese conto di ciò che stava pensando, tornò con lo sguardo a Bree che aveva ancora il suo braccio attorno alle spalle e lo guardava interrogativamente.
“Allora? Scegliamo il tavolo o stiamo qui tutta la sera ad osservare la bellezza del locale?”
Adam le sorrise divertito, già dimentico di quei due e si spostò con lei attraverso le due sale del locale in cerca dei loro amici.  
Non vedendoli decisero comunque di occupare un tavolo e mentre Bree chiedeva notizie dei compagni col cellulare, Adam ne scelse uno vicino al palco di legno, un grande cartellone recitava la scritta “STASERA I ‘ONE NIGHT’ COVER BAND DEI RADIOHEAD” Quel posto già gli piaceva.

“Hai visto che bella biondina? Mi mangiava con gli occhi!” Gli diede di gomito Ivan facendo scivolare il suo bicchiere lungo il bancone di legno, avanti e indietro. Aveva bevuto un po’ troppo quella sera, era il classico tipo che annegava i dispiaceri nell’alcol e nelle nuove fiamme. Amava Caren ma era spesso incapace di manifestare i suoi sentimenti, fingeva che andasse tutto bene e che non gli dispiacesse averla persa.
“Oh andiamo, non guardarmi così… è lei che mi ha lasciato! Ha detto che non la so amare quindi stasera voglio divertirmi con donne che non mi chiederanno mai nulla più di una scopata! Ormai l’ho dimenticata…” Aggiunse, più che convincere il ragazzo cercava di convincere se stesso ad andare avanti.  Anni prima Ivan l’avrebbe preso a calci se si fosse comportato così quando tutto andava male, forse il segreto della loro amicizia era proprio quello: si bilanciavano alla perfezione, razionalità e istinto.
“Oh, sì amico! Sembra proprio che tu l’abbia completamente dimenticata.” Rispose caustico Cameron mentre fissava la birra mezza piena e ascoltando infastidito i suoi vaneggiamenti. Gli aveva fatto fare una figura di merda con quella coppietta di ragazzi, il ragazzo sembrava pronto a sferrare un pugno al suo amico se necessario e il moro non poteva dargli torto. Iniziò a strofinare sovrappensiero il boccale sporco di schiuma ai lati per poi prenderne un sorso, sperava che l’altro si stancasse presto di quella patetica serata così l’avrebbe potuto riaccompagnare con la macchina, si sarebbe assicurato che fosse lontano dal fare stronzate e poi sarebbe tornato a casa.
Per distrarsi dalle chiacchiere dell’amico iniziò a far vagare lo sguardo per il locale, individuò subito il tavolo –al centro della sala- dove si erano accomodati i due ragazzi che adesso ridevano e chiacchieravano rilassati.
Lei era carina, era abbastanza minuta, probabilmente se l’avesse abbracciata non gli avrebbe raggiunto neanche il petto. Aveva curve dolci e appena accennate, un viso gradevole dai colori chiari ed un sorriso perfetto. Aveva anche un sguardo carico di ironia indice di una profonda intelligenza, sembrava divertirsi col suo ragazzo.
Lui però era decisamente più bello, aveva dei tratti del viso gentili ad eccezione della mascella solida, un sorriso aperto, con il labbro inferiore pieno rispetto a quello superiore e degli occhi felini. Ma la cosa che più lo incuriosiva era il portamento da leone -dritto e composto- che aveva. Si chiese se fosse sbagliato da parte sua esaminare il ragazzo piuttosto che la sua fidanzata ma decise che non valeva la pena preoccuparsene.
In quel momento, quasi avesse letto i suoi pensieri, il ragazzo volse lo sguardo affilato su di lui. Rimase un attimo interdetto e poi mutò la sua espressione in sospettosa curiosità come se non sapesse cosa aspettarsi dal suo sguardo. Così, un po’ per scusarsi della gaffe di essersi fatto beccare a studiarlo e un po’ per sorprenderlo, Cameron curvò leggermente le labbra in una sottospecie di sorriso e si sorprese quando l’altro, dopo un attimo di indugio, inarcò a sua volta le labbra in risposta. Forse pensava che si stesse scusando per l’atteggiamento famelico dell’amico o forse era pazzo, come lo era lui, a sorridere senza motivo ad un estraneo. Il rosso distolse lo sguardo -tornando a parlottare con la ragazza- dopo pochi secondi facendo nascere l’impazienza in Cameron: voleva capire perché gli avesse sorriso e voleva anche sapere come mai -dopo così tanto tempo- pensava che un ragazzo fosse attraente.
Quando il ragazzo si congedò dall’amica, si alzò e si diresse verso la porta esterna del locale con la giacca drappeggiata sul braccio, Cameron non ci pensò su due volte: attese finché vide la porta chiudersi e si drizzò a sua volta per seguirlo.
“Dove vai?” Gli chiese Ivan un po’ stordito.
“A fumare” Rispose velocemente dando un ultimo sorso alla birra per poi poggiarla velocemente sul bancone, prese le bionde dalla tasca e si diresse con ampie falcate verso la porta.


Adam uscì nella fresca sera di Settembre, l’uscio dava su una stradina secondaria stretta e buia ad eccezione di qualche lampione che però non riusciva ad illuminarla abbastanza. Accostò la porta dietro di sé e tirò fuori una Chesterfield dal pacchetto, cercò a lungo l’accendino nelle tasche dei jeans consumati ma quando finalmente lo trovò non riuscì ad accenderla.
“Sto cazzo di accendino…” Brontolò innestandolo ripetutamente, era di pessimo umore perché si era ricordato come mai non fosse più uscito con Jackson: era un ritardatario cronico ed era una cosa terribilmente fastidiosa.
In quel momento Cameron spinse la porta verso l’esterno e quasi si scontrò col ragazzo che stava seguendo, Adam lo osservò per un attimo e poi si mosse un po’ lungo il muro per permettergli di uscire a sua volta, finse di non prestargli attenzione e continuò a trafficare con la sigaretta.
Così il moro estrasse una Luckies e l’accendino per poi godersi la scena comica con un sorrisetto ironico.
“Me lo presti?”Gli chiese alla fine il rosso esasperato gettando l’accendino lontano. Aveva una voce felpata, un tantino alterata ma indubbiamente mascolina che Cameron trovava affascinante.
“Sicuro” rispose lui, ma invece di passargli l’arnese aspettò che si avvicinasse e con la sigaretta già accesa fra le labbra piene e le mani a coppa, gliela accese lui stesso, portandosi ad una vicinanza intima che però non sembrava infastidire l’altro.
“La tua fidanzata non fuma?”Gli domandò subito il moro, in effetti la domanda che avrebbe voluto fargli sarebbe stata un po’ diversa ma non l’avrebbe mai potuta porgere senza risultare un maniaco.
“Sta cercando di smettere” mormorò Adam dopo un attimo, avrebbe voluto chiarire a quel ragazzo dagli occhi cianotici che l’amica che era con lui quella sera non era la sua ragazza ma dopotutto era un estraneo, perché avrebbe dovuto preoccuparsene? Forse perché era un estraneo assolutamente interessante che l’aveva seguito di proposito dopo quel fugace sorriso che si erano scambiati. Adam liberò lo sguardo da quegli occhi penetranti di un blu elettrico e osservò ancora le labbra che vibrarono vagamente, il rosso non seppe riconoscere quel movimento e si chiese perché fosse così difficile leggere ciò che quel ragazzo pensava, perché non fosse come tutti gli altri.
Il moro sperava in una smentita che non arrivò perciò si limitò a scrutare in silenzio i mattoni sbeccati che costituivano l’edificio davanti a loro, a quel punto anche l’altro distolse lo sguardo, spostandolo verso il cielo stellato che gli si specchiava negli occhi azzurro-verdi.

Da quel momento stettero in silenzio così ci misero un po’, una volta tornati all’interno del locale, per comprendere la situazione che gli si poneva davanti e reagire.
Ivan, decisamente alticcio, stava prevedibilmente importunando Bree seduto al loro tavolo, decantava le sue lodi e allungava di tanto in tanto le mani su quelle della ragazza che opportunamente le spostava lontano dalla sua presa, sembrava a metà fra il divertito e l’infastidito così Adam pensò subito di intervenire.
“Hey biondo, la smetti di seccare la mia ragazza? Non le importa niente di quanto i suoi occhi splendano e le sua bocca sia fatta per baciare.” Assicurò il rosso, completamente concentrato su quell’esaltato da dimenticare il ragazzo alla sua destra, che si mordeva le labbra e pensava febbrilmente ad un metodo per evitare la rissa fra il suo migliore amico e quel bel ragazzo.
“Esattamente. E poi non mi dici niente di nuovo!” Fece notare la bionda cercando nel contempo di rassicurare l’amico con un sorriso, non voleva che si mettesse nei guai per lei, quell’uomo le faceva anche un po’ di pena: era evidente che cercasse conforto per qualcosa che gli era capitato, ma alcune cose i ragazzi non erano capaci di comprenderle.
“Sentito? Sparisci amico!” Gli consigliò, il biondo però non sembrava neanche sentirlo, Adam stava per strattonarlo quando finalmente Cameron intervenne fermandolo.
“Ivan, vieni via.” Borbottò combattuto fra la fratellanza che li legava e che in un altro momento lo avrebbe spinto a difenderlo senza pensarci due volte –salvo ammonirlo in un secondo momento- e l’attrazione che provava verso quel ragazzo.
L’amico sgranò lo sguardo e lo fissò per qualche minuto dritto negli occhi.
“Per favore” Aggiunse, sapeva di essere disonesto. Il loro rapporto era fondato sul sostegno reciproco e sulla fiducia, stava trasgredendo ad uno dei loro più importanti principi ma non poteva permettere che litigassero seriamente. Così in silenzio Ivan si alzò, lanciò un ultimo sguardo di sfida ad Adam e si allontanò insieme al fratello senza aggiungere altro.

“Bricconcelli che cosa facevate qui tutti soli soletti?” Si fece notare Jack –seguito da Alexia- aprendosi in un sorriso mentre si dirigevano verso il loro tavolo. Aveva perso tempo per prepararsi e poi per trovare la casa della compagna secchiona, sapeva che l’attendeva un duro rimprovero dall’amico, in questo non era per niente cambiato negli anni.
“Aspettavamo i vostri comodi, idiota!” sbottò Adam seccato al cui tono risposero scoppiando tutti a ridere.
“E Queen?” chiese Bree interessata.
“Aveva da fare, mi sembrava sospetto che una reginetta come lei volesse uscire con noi comuni mortali!” La informò Jack, continuando a ridere a crepapelle.
“Comune mortale a chi? Parla per te” lo contraddisse Adam spostandosi accanto a Bree con un sorrisetto arrogante, così da permettergli di sedersi con loro e finalmente poter ordinare. Non aveva una tale stima di se stesso ma era divertente provocare l’amico.
“*Sono dappertutto: a scuola, al supermercato, in giro per le strade, ci scassano le palle e ci danno il voltastomaco… chi sono? Ovviamente parlo dei pel di carota!” citò Jack guadagnandosi un’occhiata iraconda da parte dell’amico e le risate genuine delle due ragazze, sapeva di essere infantile e si divertiva anche per quello.
In quel momento si diffusero le prime note di “Exit Music”, finalmente la cover band aveva deciso di iniziare a suonare. Quasi un salvagente per quella serata iniziata in modo stravagante, riconobbe le prime parole della canzone e si mise a canticchiarle sottovoce, scovando all’interno di quelle semplici parole molteplici significati nascosti.

Wake…. from your sleep
The drying of your tears…
Today we escape, we escape.

“Arrivederci Bea, Liz e Robert. Ci vediamo domani!” Cameron salutò i suoi colleghi che erano in turno quella sera, prese le leggere giacche e si diresse con Ivan all’esterno del locale.
“Ciao Cam, arrivederci capo!” Risposero in coro prima che la porta si chiudesse alle loro spalle.
Cameron allungò la mano e l’altro gli offrì le chiavi dell’auto, l’accompagnò a casa e lo lasciò sulla soglia della villa. Non avevano parlato durante il tragitto perciò si dissero un semplice ‘notte’ sulla porta prima che Cam si incamminasse verso la moto posteggiata sul vialetto, Ivan era pensieroso sembrava che la sbornia gli fosse passata, era raro che arrivasse a vomitare. Si infilò ancora vestito nel letto, quel letto gelido e impersonale senza il corpo della donna che amava accanto. Gli sfuggirono delle lacrime che sembravano fare a gare per chi fosse la più veloce a sparire ed inzuppare il colletto della camicia, si addormentò vestito e per l’ennesima volta si diede dell’idiota per averla lasciata andare.
Il moro si sentiva in qualche modo un traditore ma non diede a vedere di essere turbato, quando arrivò a casa lo accolse un silenzio tombale, entrò e notò che non vi era più nessuno sul divano così salì al piano superiore e senza accendere la luce si sedette sul suo letto disfatto dalla mattina passandosi le dita fra i capelli. Lentamente si spogliò e si sdraiò sul letto tirando su le lenzuola, chiuse gli occhi spossati e venne risucchiato immediatamente in un sonno profondo.

*Citazione di Eric Cartman, personaggio della serie televisiva South Park.

Spazio autrice!
Ciaaao fanciulle!
Per cominciare milioni di grazie a tutte coloro che hanno messo la storia fra le seguite( 12 oooh **), fra i preferiti, le ricordate ma soprattutto alle 3 persone che hanno recensito... non sapete quanto mi rendete felice <3
Questa volta ci ho messo un pò di più a pubblicare per due ragioni: è un capitolo 'cerniera', necessario ma meno interessante da scrivere di altri e poi perchè sono entrata a far parte di un gruppo (Sono la cantante... non fate quella faccia, sono sconvolta anche io!) perciò ho passato il mio tempo libero ad imparare canzoni x°D
Precisazioni:(lo so che vi ho rotto le palle co ste precisazioni ma ho paura di offendere xD)
Quando scrivo "anonimi occhi scuri" è un modo di dire, ho gli occhi castani anche io quindi non prendetela a male non è che penso siano anonimi, diciamo che i gusti di Adam sono diversi... tipo gli occhi blu di qualcuno *-*
Vi è mai capitato di essere a vostro agio con una persona dal vostro primo incontro? Adam e Cam sono molto spontanei nonostante non si conoscano granchè per questo, è una simpatia a pelle (non pensate maleee) :P
Ivan non può dimostrare chi è per ora, prima o poi lo conoscerete xD 

Ci saranno altri due capitoli così e così(uno è già scritto e solo da revisionare :3) e uno molto carino quindi alla prossima!
Bye bye, Giggle_lazy <3


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