Amor, ch'a nullo amato amar perdona.

di Zaafira
(/viewuser.php?uid=38634)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La realtà del nulla. ***
Capitolo 2: *** Quanto sei Magnifico. ***
Capitolo 3: *** Forse è il destino. ***



Capitolo 1
*** La realtà del nulla. ***


1. La realtà del nulla.

“E come 'l volger del ciel de la luna
cuopre e discuopre i liti sanza posa,
così fa di Fiorenza la Fortuna:
per che non dee parer mirabil cosa
ciò ch'io dirò de li alti Fiorentini
onde è la fama nel tempo nascosa.”

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, XVI, 82-87)
 
 
Era una giornata bellissima , quella, per una gita a Firenze.
Era appena arrivata la primavera  e un venticello caldo accarezzava le persone che correvano e si affrettavano verso la stazione di Bologna.
Nelle piccole aiuole già crescevano le margherite, piccole e delicate, baciate da un sole timido e ancora un po’ incerto.
Il treno sarebbe partito di lì a poco, massimo dieci minuti, bisognava sbrigarsi.
Ormai erano arrivati tutti in stazione, tutti i quaranta studenti del Liceo Classico erano radunati nell’atrio e facevano un chiasso tremendo.
Lucrezia era seduta su una panchina, con la musica nelle orecchie e lo zaino in spalla, guardando gli amici che si salutavano e parlavano della partita di calcio del giorno prima.
Era entusiasta di andare a Firenze, sapeva quasi per certo che le sarebbe piaciuta molto, del resto era stata la grande città dell’arte italiana, che generò prima di tutto Dante Alighieri e la sua Divina Commedia, il maestoso Michelangelo Bonarroti, Leonardo Da Vinci, Raffaello, Botticelli, Brunelleschi e Galileo Galilei, con le figure politiche più illustri, la città del grande Niccolò Machiavelli, della famiglia De Medici, del famosissimo frate Savonarola, dei Lorena, la città che rese l’Italia conosciuta in tutto il mondo.
Durante tutto il viaggio in treno Lucrezia si dedicò a leggere il nuovo libro che aveva preso in biblioteca la settimana prima, Great Expectations del celebre Dickens. (1)
Immergersi nelle altre epoche era la sua passione, scoprire nuovi mondi attraverso i libri, catapultarsi in storie che non le appartenevano e che non erano mai neanche esistite, nella maggior parte dei casi.
Lucrezia amava da morire l’irrealtà.
E non ci vedeva niente di male, dal momento che non le piaceva per niente la realtà.
Non le piacevano i giovani del duemila, le sembravano troppo superficiali e noiosi, privi di qualsiasi passione e di curiosità.
Le sarebbe piaciuto da morire nascere in un’altra epoca.
Era indecisa su quale, però.
Ogni tanto pensava alla Roma di Giulio Cesare, altre volte alla Francia illuminista, altre alla Romagna di Cesare Borgia, infondo non aveva un’idea ben decisa; del resto erano solo e soltanto sogni.
Con la Freccia Rossa arrivarono alla stazione di Santa Maria Novella in soli quaranta minuti che passarono velocissimi.
Lucrezia scese dal treno con la sua amica Vittoria e subito percepì qualcosa.
Non se lo seppe spiegare sul momento, ma, mano a mano che camminavano per le stradine di Firenze sentiva questa strana sensazione aumentare, passo dopo passo.
Per prima cosa le sembrò subito una città stupenda e man mano che procedevano in piccoli gruppetti, si sentiva sempre più come nelle sue fantasie, quando ripercorreva tempi che non erano i suoi, quando si immaginava di vivere in un'altra epoca.
- Vittoria? Non ti immagini Dante che cammina per queste strade? -
La ragazza la guardò con una faccia scettica – No, cos’hai fumato prima di partire? -
- Niente, lascia perdere! -
Evidentemente l’amica non poteva capire cosa Lucrezia provasse in quel momento, nessuno poteva capirlo.
I suoi compagni di classe stavano guardando i negozi, bevevano caffè nei bar, ascoltavano musica dai loro i-pod, senza guardarsi realmente intorno.
Lucrezia lo faceva, invece, anche troppo.
Fino a quel momento la cosa che l’aveva colpita di più nella Piazza del Duomo era stata il Battistero con la Porta del Paradiso.
La ragazza non credeva di aver mai visto niente di più bello.
Il suo colore dorato scintillava sotto i raggi del sole, dando vita a uno spettacolo affascinante.
Lucrezia non aveva mai avuto la possibilità di studiare attentamente le opere di Lorenzo Ghiberti (2) e, fino a quando non lo disse la professoressa di storia dell’arte, era completamente ignara di tutto ciò che riguardava quell’opera che, tuttavia, le piacque tantissimo.
Fu in quel momento che vide qualcosa di strano.
Molto strano.
Dall’altro lato della piazza qualcuno la guardava.
Ma non era persona normale, era un uomo, ma non un uomo qualunque.
Aveva una lunga tunica rossa.
Che vestito strano, pensò Lucrezia.
- Vittoria, lo vedi quello la? Quello con la tunica rossa? -
- Dove? -
- Là, ci sta guardando e ride, come fai a non vederlo? Ha un vestito rosso! -
- No, Lu, non vedo niente! Sei sicura non aver fatto uso di sostanza illegali? Parlo sul serio! Mi spaventi! -
- Ma…avrò visto male, sai che sono mezza cieca! -
Eppure l’uomo era sempre lì, con la sua aria dannatamente familiare e la guardava, la fissava.
A Lucrezia sembro che, prima di voltarsi e imboccare una stradina, le avesse fatto un cenno con la testa, come per seguirlo.
E nessuno, oltre a lei, si era accorto di niente.
Lucrezia si guardò intorno: Vittoria era distratta a parlare con Lucia, quindi non si sarebbe accorta della sua piccola fuga, quindi decise.
L’avrebbe seguito.
Riusciva a intravedere a malapena il mantello che volteggiava dietro all’uomo, tra la gente, dietro agli angoli, ai lati delle stradine, sembrava avesse una vita propria e che riuscisse sempre a farsi scorgere dalla ragazza, impresa assai ardua.
Lucrezia, con passo svelto, lo seguiva e non lo perdeva mai di vista, senza capire dove andasse, quale strada prendesse, dove fosse diretta.
Si fermò solamente quando si rese conto che alle sue spalle si era chiuso un portone, con un tonfo e, davanti a sé, non c’era nulla.
In realtà Lucrezia non vedeva nulla.
Era il buio più totale.
In quel momento si pentì di aver seguito quell’uomo, nonostante avesse creduto di averlo visto solo lei, di essere frutto della sua immaginazione e quindi non pericoloso.
O non per forza.
Cercò di tornare indietro, mettendo le mani dietro di sé per cercare la porta, ma la porta non c’era, c’era solo un muro.
Iniziò a tremare, non capiva cosa stesse succedendo.
Poi, all’improvviso, due metri davanti a lei, si accese una candela che illuminò l’ambiente circostante e il volto dell’uomo che aveva seguito.
Forse aveva una quarantina d’anni, Lucrezia non sapeva dirlo per certo e non ci pensò nemmeno troppo.
Come aveva intravisto da lontano, l’uomo aveva dei lineamenti molto marcati, l’espressione imbronciata e il naso adunco.
Se Lucrezia, con suo enorme stupore, non l’avesse riconosciuto, confermando i precedenti sospetti, sicuramente ne avrebbe avuto una gran paura.
- Lucrezia – iniziò lui con una voce profonda, che fece sussultare la ragazza dallo stupore. –Sicuramente ti chiedi chi sono, anche se ci sono mie statue e miei ritratti ovunque. Nel caso tu mi abbia riconosciuto, mi sentirei molto onorato e contento del fatto che i giovani cercano ancora risposte nel passato. E’ molto più deludente sapere che gli adulti, invece, continuano a non farlo, pieni della loro presunzione. – Fece una pausa e guardò la ragazza negli occhi. - Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincie …- Lucrezia concluse per lui - ma bordello! – (3)
-Mi sento onorato, Lucrezia. –
- Come conosci il mio nome? -
- I morti, Lucrezia, sanno tutto e possono riferire molte cose. Da chi partano gli ordini, giovine, questo non mi è permesso dirlo e quindi ti esorto gentilmente a non chiederlo. Certe cose è lecito conoscerle solo dopo la morte, mentre i vivi sono destinati a chiedersi chi o che cosa amministri il mondo. Ma tu, Lucrezia, sei viva. -
- Questo è uno scherzo. -
- E io chi credi che sia? Questo posto – Fece cenno alla ragazza di guardarsi intorno, guidata dalla fievole luce della candela – cosa credi che sia? -
Attorno a Lucrezia effettivamente non c’era nulla, una stanza completamente grigia, senza porte né finestre.
- Nulla, non mi sembra nulla. -
- Bene, Lucrezia, accetta la realtà, adesso. E proprio di questo dobbiamo parlare, della realtà. Non dubitare mai che tutto questo sia reale. Sarebbe solo una mossa svantaggiosa e controproducente. Hai un compito che ti è stato affidato, come premio. -
-Premio per cosa? -
-Per essere ancora tanto legata a un passato che rimpiangi, pur non avendolo mai conosciuto in questa vita-
- Non capisco. -
-Capirai. -
Lucrezia non sapeva cosa pensare.
Per prima cosa pensò di ridere, ma cambiò subito idea.
Poi pensò di piangere, ma, capì che, come le era stato affidato quel compito, poteva esserle immediatamente tolto.
Quindi, alla fine, decise di non dubitare della realtà della situazione, come il poeta le aveva esplicitamente consigliato.
- Sarai la mia guida? -
- No, mi rincresce, ma non è una fortuna che tutti possono avere, quella di essere guidati dai morti in un nuovo viaggio. (4) Anche perché il tuo, signorina, a differenza del mio, non sarà ultraterreno, ma solo temporale. Potrai finalmente capire quanto siano importanti nella storia le decisioni e sappi che, presta bene attenzione alle mie parole, che nulla deve essere mutato nella storia dal tuo viaggio.
Fino a quando tutto non sarà in perfetta linea con la storia già scritta, tu rimarrai intrappolata in quel mondo, senza tornare a casa. -
- Ma perché? -
- Perché tu sei già stata, come tutti quanti gli uomini e le donne di questo mondo, ma tu, essendo così legata a queste fantasie che di solito il resto dell’umanità non ha, puoi finalmente tornare, ma senza cambiare nulla. -
- E se dovessi fallire? Se sbagliassi e modificassi irrimediabilmente la storia? -
- Allora questa Firenze che stavi ammirando poco fa non esisterebbe più e si creerebbe una nuova storia. -
Lucrezia continuava a non capire, ma decise di rinunciare.
E’ reale, si disse, è tutto quanto reale.
Cercava di convincersi di non essere pazza.
- Adesso Lucrezia dobbiamo salutarci. E’ giunto il momento di lasciarci. -
- No, aspetta! – Gridò con voce esasperata.
- Capisco la tua angoscia perché anche io la provai quando vidi l’illustre ombra mantovana sparire dietro di me, ma non commettere l’errore di non apprezzare cosa prenderà il mio posto, perché sono sicuro che ne rimarrai stupita e ti meraviglierai di chi ti sarà concesso conoscere. -
- In che epoca finirò? -
- Nell’epoca più magnifica di tutta la storia di Firenze. – E, con un leggero sorriso sparì nel nulla.
Lucrezia sentì la terra svanire sotto ai suoi, si girò e vide che la porta non ricompariva e pensò che forse era davvero reale.
Poi svenne.

 

******************************************************************************************************************************

Ciao a tutti, è iniziato questo FOLLE esperimento, spero di riuscire a portarlo a termine e di continuarlo, senza inciampare nelle difficoltà!
Se siete arrivati a leggere fino a qui, per favore, lasciate una recensione per darmi un vostro parere!
Grazie in anticipo, un bacio! 

Note:
(1) In Italiano "Grandi Speranze",  romanzo di Charles Dickens scritto e pubblicato tra il 1860 e il 1861.
(2) Lorenzo Ghiberti (Firenze1378 – Firenze1455) è stato uno scultoreorafoarchitetto e scrittore d'arte italiano
(3) Divina Commedia, Purgatorio, VI, 76-78
(3) Divina Commedia, Purgatorio, VI, 76-78
(4) Riferimento al viaggio di Dante della Divina Commedia, accompagnato da Virgilio.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Quanto sei Magnifico. ***


1. Quanto sei magnifico.


“Era il mio cuore prima questo ferro rozzo,
ma atto a essere quello che volevano quegli occhi.
E perché in loro potenzia era o lasciarlo così rozzo
o farne una o un’altra cosa,
per elezione del fabbro fu fatto gentile.”
Lorenzo de Medici (1)

 
-Signorina Lucrezia, è ora di svegliarsi. – Lucrezia aprì un occhio e vide la luce invadere la stanza.
- Signorina Lucrezia, mi rincresce davvero svegliarla a quest’ora, ma la signorina Fioretta Gorini (2) è già arrivata e chiede di lei con insistenza e dice che se non scende subito a colazione con lei verrà a svegliarla lei stessa con un secchio di neve raccolto cinque minuti fa. -
Lucrezia aprì un occhio e vide davanti a lei una signora sulla cinquantina, robusta, con un viso dolce e gentile.
- Neve? -
- Sì, neve, signorina, io le consiglierei di alzarsi perché l’ha già preparato. -
- Come può esserci neve in primavera? -
- Primavera? Che primavera? Signorina, è inizio dicembre. Cos’ha sognato? -
La ragazza si guardò intorno.
Iniziava a ricordare.
Si trovava in una stanza non troppo grande, arredata in modo antiquato.
Il letto dov’era sdraiata doveva essere per forza almeno di una piazza e mezzo e non era proprio bello, era strano. Era avvolto da tende nere, probabilmente servivano per non far passare la luce, le aveva già visti in qualche film.
Le pareti erano giallognole, con strani ricami dipinti.
Nella parete di fronte al letto si trovava un’enorme cassettiera di legno scuro e, nel lato sinistro della stanza si trovava quella che sembrava una scrivania molto antica, più simile a un tavolino, e sopra vi erano adagiati volumi enormi, fogli, penne e boccette di inchiostro.
Nell’altro lato della stanza si trovava una finestra molto grande, con dei vetri così grossi che si faceva quasi fatica a vedere fuori, che deformavano le forme degli alberi e i dettagli del paesaggio; sotto la finestra si trovava quello che sembrava un catino. Era in legno e grande abbastanza per farvi entrare una persona. Ed era pieno d’acqua fumante. Subito accanto c’era un piccolo bauletto aperto con dentro quelle che sembravano enormi saponette.
Per ultima cosa. Lucrezia, si guardò i vestiti.
Quello che forse doveva essere un pigiama sembrava più il vestito di Pulcinella.
Era una specie di tuta bianca (anche se in realtà il colore era grigiognolo) che partiva ai piedi e arrivava, tutta attaccata, alle maniche, fino ai polsi; sembrava un po’ una di quelle tutine per bambini. E per di più, intorno al collo lasciava cadere una frappa che arrivava alla vita.
- Signorina, allora, è pronta per il bagno? Mentre dormiva ho fatto portare l’acqua calda. -
- S..sì, va bene. -
- Vuole una mano per spogliarsi? La vedo ancora un po’ addormentata, o forse turbata da qualche brutto sogno. Forse bisognerebbe chiamare il parroco a benedire la stanza. -
- No! – Gridò Lucrezia alzandosi in piedi. Poi pensò che in qualunque epoca si trovasse non doveva essere saggio mostrare disprezzo per la religione cattolica.
Magari era finita nel seicento, ai tempi di Galileo Galilei e gli eretici venivano messi al rogo.
Però era quasi certa di non essere finita nel seicento.
- No, non era un brutto sogno – riprese – E gradirei molto essere aiutata con la veste. -
Accettò l’aiuto solo perché non aveva la più pallida idea di come fare a togliersi quella cosa.
La signora le girò attorno e le slegò un nodo chiuso dietro al collo, che , a quanto pare, era l’unica cosa che tenesse la veste legata attorno al corpo della ragazza.
Lucrezia si sfilò le maniche e così la parte superiore della veste le cadde giù, lasciandola completamente nuda fino alla vita.
D’istinto di coprì il seno, gesto che lasciò perplessa la signora, che forse doveva essere la domestica della casa.
- Signorina Lucrezia, cosa mi nasconde? Come mai si imbarazza a farsi veder nuda dalla donna che l’ha cresciuta come se fosse una figlia? Si lasci vedere dalla sua Lucia. (3) -
- Certo che non mi copro per pudore o vergogna, ma fa un freddo cane, rispetto a sotto le coperte. -
- Hai ragione, bambina mia, togliti la veste ed entra nel catino. -
Lucrezia ubbidì.
L’acqua calda le provocò brividi su tutto il corpo.
Certamente non era comodo come una normale vasca, anzi era tutt’altro che comodo, ma cercò di non darlo a notare.
Lucia prese una grossa saponetta dal bauletto e iniziò a sfregarla su tutto il corpo della ragazza; poi, con un piccolo secchio le bagnò i capelli e li insaponò con forza.
Erano lunghi fino all’ombelico e ricci come Lucrezia non li aveva mai avuti.
Forse, in quella vita, senza phon, piastre e prodotti chimici erano rimasti naturali come quando era bambina.
Il sapone che utilizzava la signora aveva un leggero profumo di fiori che piacque molto a Lucrezia. Si domandò, però, come i suoi capelli sarebbero potuti diventare puliti con un sapone così poco professionale.
Fu interrotta dai suoi pensieri da un urlo che arrivò dalla porta e da una ragazza che sfrecciò dentro alla stanza ridendo come una matta.
Era una ragazza di al massimo vent’anni, anche se, a guardarla meglio, sembrava anche più giovane, forse aveva la stessa età di Lucrezia.
Ma quanti anni aveva lei, in quella vita, in quel momento?
- Lullù! – Gridò la ragazza. – Lucia aveva detto che avresti fatto in fretta e invece sei ancora lì tutta bagnata e insaponata nel catino! Oggi c’è la festa in piazza e prima che i tuoi capelli si asciughino, a questo punto, sarà già sera! Non potevi lavarli ieri sera? -
- Signorina Lucrezia, l’avevo avvertita che la signorina Fioretta la stava aspettando! -
Lucrezia guardava la ragazza, cercando di capire se le poteva essere in qualche modo famigliare, ma non le ricordava nessuno.
Aveva un lungo abito rosso porpora, che arrivava a coprirle anche le caviglie e i polsi. Gli estremi erano ricamati con un leggero pizzo bianco che coprivano anche il seno, lasciando però intravederne le forme abbondanti.
I capelli, a differenza dei suoi, erano lisci e lunghi fin sotto le spalle, di un biondo molto chiaro, decorati da qualche perlina azzurra, come i suoi affascinanti occhi.
- Lullù che ti prende oggi? Perché non mi accogli come ogni altro giorno, ingrata! Tua cugina viene sempre qui a tenerti compagnia in questa casa sola e triste e tu cosa fai? Nulla! -
- Dai, Fioretta, non fare così, sono solo ancora addormentata! -
- Bene, allora mentre tu ti svegli, io ti scelgo il vestito, bene? -
- Bene. – Rispose Lucrezia, con tono rassegnato.
La ragazza si mise a frugare nell’enorme cassettone che occupava la parete di fronte al letto. – E muoviti! –
 
Mezz’ora dopo le due ragazze erano nel salotto del piano terra, sedute su due poltrone vicino al camino acceso, che emanava un calore gradevole che aiutava i capelli di Lucrezia ad asciugarsi più in fretta.
Alla fine Fioretta aveva scelto per la cugina un vestito della stessa forma del suo, però di un color blu cobalto.
- Oh, un po’ i tuoi capelli si stanno asciugando, ma ci vorrà ancora un’oretta. Niente, tanto la vera e propria festa è stasera. Speriamo di arrivare almeno per la messa nella cattedrale. -
- La cattedrale di Santa Maria del Fiore? (4) -
- E quale se no? -
- Ma perché dobbiamo andare sempre a messa? -
- Esagerata! Oggi ci andiamo perché ci saranno persone importanti e ci tengo proprio tanto a fartele conoscere, soprattutto la mia conquista. –
-E chi sarebbe?-
- Stupida, è una sorpresa! –
 
Un’ora e mezza dopo, dovevano essere all’incirca le dieci di mattina, erano davanti alla cattedrale che Lucrezia aveva visto quella mattina stessa, o meglio, quella mattina di cinquecento anni dopo, dove aveva incontrato il poeta dal mantello rosso che l’aveva portata nel mondo dove era proprio in quell’istante.
Era tutta affollata di gente di ceto medio perché, come le ricordò Fioretta, le persone che contano erano già entrate a prendere posto.
- E allora dov’è questa persona che devi farmi conoscere!-
- Oh, lui è già dentro! -
- Dio, ti prego, dimmi chi è! – Lucrezia era seriamente curiosa di sapere di chi si trattasse, giusto per ambientarsi nell’epoca, anche se ormai si era quasi convinta di trovarsi tra il quattrocento e il cinquecento.
- No, anche perché non mi crederesti! Ma stasera ne avrai la conferma! Eccome se ce l’avrai! -
- Ma lo conosco, o meglio, so chi è? -
- Eccome se lo sai, cugina! Tutti sanno chi è! E’ lo scapolo migliore di tutta la Toscana! – Era davvero raggiante, il suo sorriso le illuminava il viso. Era bella, ma non di una bellezza eccessiva, era una bellezza nella norma, che non sarebbe rimasta scritta nella storia. – Entriamo, se no poi non riusciamo nemmeno a vederlo! -
Fioretta prese Lucrezia per mano e la portò all’interno della cattedrale.
Camminavano con una leggerezza e una grazia davvero degna di ragazze di alta nobiltà, anche se non lo erano, cosa che a Firenze, del resto, non era mai contata troppo.
Se l’esterno della cattedrale l’aveva colpita, l’interno a lasciò senza parole.
Di certo nessuna delle chiese di Bologna era così bella, nemmeno la chiesa di San Petronio, simbolo della bella città emiliana.
Era così grande che il centinaio di persone già sedute nelle prime file sembravano una piccola manciata.
Fioretta trascinò la cugina a sedersi nella prima fila disponibile, almeno cinque filo dietro a quelle persone già sedute.
-Allora, chi è? Indicamelo. -
- Aspetta, lo sto cercando. – E con aria distratta tornò a guardare tra le teste. – Certo che questi sono davvero tanti. –
-Questi chi?-
-I Medici, chi se no? -
Perfetto! Doveva essere per forza il quattrocento, l’epoca più magnifica di tutta Firenze! Era chiaro, era tutto chiaro adesso.
Poi il volto della cugina si illuminò, evidentemente l’aveva trovato.
-Ecco, guarda! –
Indicò una testa in prima fila, con capelli lunghi fino al collo, scuri e mossi.
Vestiva con quella che sembrava una giacca a collo alto con piccoli stemmi che Lucrezia non riusciva proprio a vedere.
- Non lo vedo bene, Fioretta, chi è? -
- Non vedi nemmeno quello seduto di fianco a lui, stupidina? -
Di fianco a quell’uomo ce n’era un altro molto simile a lui, anzi, da lontano parevano quasi uguali, tranne che per il colore delle vesti. Mentre il primo era vestito di blu, il secondo era vestito di rosso.
Affianco a lui sedeva una donna che, pensò Lucrezia, doveva essere la moglie. Era vestita in modo molto suntuoso, ma, allo stesso tempo molto pudico.
La testa era quasi completamente coperta da una cuffia a rete molto stretta, forse di lana, decorata con perle e con una grande pietra verde al centro, accerchiata da lunghe piume.
Chissà se è uno smeraldo, pensò Lucrezia.
Affianco alla donna sedevano quattro bambini e, nel frattempo, ne teneva uno di neanche un anno in braccio.
I portoni della chiesa si aprirono nuovamente e, in quel momento, l’uomo di fianco a quello indicato dalla cugina, si girò indietro.
E lo riconobbe, sarebbe stato impossibile non farlo.
Il suo volto era ritratto e stampato su tutti i libri di storia, simbolo dell’umanesimo italiano e del mecenatismo fiorentino.
Certo che ogni ritratto non gli rendeva alcuna giustizia.
I suoi capelli, a differenza di quelli del fratello, erano neri, ma della stessa lunghezza.
A pochi metri da Lucrezia, quindi c’era l’uomo che sarebbe stato ricordato come l’ago della bilancia della politica italiana del quattrocento. (5)
-Quindi, cugina, mi vorresti dire che la tua nuova conquista è Giuliano de Medici? (6)-
-Shhh, parla piano, vuoi farti sentire da tutti e dare scandalo? – Si guardò intorno con sguardo furtivo. –Esattamente, proprio lui. –
- Ma dai, non dire sciocchezze. –
- Vedremo stasera alla festa organizzata da Lorenzo de Medici in persona. –
- E come fai ad avere l’invito, Fioretta? –
- Te l’ho già detto, per il buon Dio! –
 
Usciti dalla chiesa Fioretta iniziò a spiegare alla cugina chi ci sarebbe stato quella sera alla festa.
-Oh, ovviamente Ficino, dicono che forse terrà uno dei suoi discorsi filosofici. Poi Luigi Pulci e Poliziano. Ah, come dimenticare Pico della Mirandola! Insomma, tutti coloro che hanno educato i fratelli de Medici! Sarà interessante, no? Sarebbe piaciuto anche a me avere maestri come loro! Ma noi, ovviamente, non siamo figlie di banchieri che, a Firenze, è come dire che non siamo figli del Papa. – (7)
Lucrezia era così sorpresa di sentire quei nomi che aveva letto e studiato a scuola, come persone lontane dalla realtà.
Ma tutto quello che stava vivendo era così reale, era stato davvero un dono, come le aveva detto Dante.
Ed era così felice perché, nonostante fosse tornata nel passato come una ragazza qualunque, poteva avere l’occasione anche solo di vedere quelle persone in giro per la città.
Magari si sarebbe complimentata con loro. Chissà che opere avevano già scritto.
Anche stavolta Fioretta interruppe i suoi pensieri, con un urletto trattenuto. –Stanno uscendo! –
-Guarda! Se i miei occhi non mentono, la prima è Bianca, la sorella maggiore di Lorenzo. E’ incinta, fra due mesi dovrebbe nascere, sarà il nono figlio, per ora! Non so come fa poveretta. Suo marito è Guglielmo de Pazzi, dicono che non ci sia proprio amore tra le due famiglie. Ecco che escono tutti i bambini. Guarda! –
Lucrezia era curiosissima.
La donna, Bianca de Medici, non era molto alta. Il suo viso era paffuto e le sue labbra carnose, mentre il naso era piccolo rispetto al resto. I capelli ricci e biondo cenere le incorniciavano il viso. Portava un vestito verde smeraldo, con ricami bianchi, bellissimo.
Al suo fianco il marito Guglielmo de Pazzi, la teneva sotto braccio. Era più alto di lei e un po’ stempiato.
Subito dietro li seguivano le figlie più grandi, dell’età di Lucrezia e della cugina Fioretta, con i rispettivi giovani mariti.
Subito dietro seguiva un altro ragazzino di sedici anni, più bello e imponente delle sorelle e , dietro quest’ultimo, altri cinque bambini da dodici ai quattro anni. (8)
Quando la famiglia di Bianca de Medici fu uscita del tutto dalla chiesa, fu il turno della famiglia di Nannina de Medici (9), che uscì a braccetto con il marito Bernardo Rucellai – a Lucrezia venne un colpo quando la cugina fece il nome del marito, che sarebbe poi diventato famoso per gli Orti Oricellari. (10)
Era decisamente più bella e affascinante della sorella, forse perché aveva avuto meno figli di lei, infatti solo due bambini seguivano la coppia, uno di dieci anni e uno di cinque.
Era alta e molto snella. Aveva un viso angelico, incorniciato da lunghi capelli biondi. Le sue labbra erano piccole, ma scure, sembravano quasi una piccola fragola.
Il suo matrimonio con Bernardo Rucellai era passato alla storia per la sua sfarzosità e per l’ingente costo, ma le famiglie non avevano paura di quelle cifre, che, però avrebbero fatto sbiancare e andare in banca rotta qualsiasi altra famiglia fiorentina.
Dopo questa famiglia arrivò il turno del politico più importante non solo di Firenze ma anche di tutta Italia.
Questo però non uscì a braccetto con la moglie, bensì con il fratello Giuliano de Medici.
Dovevano avere più o meno la stessa età, forse c’era qualche anno di differenza tra loro, ma sembravano ancora due giovani adolescenti nel pieno della loro bellezza.
Era uno spettacolo unico.
Lorenzo, con la sua veste rossa sembrava ancora più grande e maestoso di come sarebbe sembrato in qualsiasi altro giorno. Portava la barba scura molto corta, che metteva in risalto i suoi occhi verdi e profondi, ma, allo stesso tempo, brillanti.
Al suo fianco Giuliano, bello come il fratello, sembrava darsi tante arie.
E bisbigliò qualcosa nell’orecchio del fratello che, improvvisamente si girò verso Lucrezia e Fioretta.
Lo stesso fece Giuliano e, con un sorrisetto, fece l’occhiolino a Fioretta che ricambiò maliziosamente.
-Vedi, te l’avevo detto! Anche se non è molto prudente da parte sua fare questi giochetti qua davanti a tutti. –
Lucrezia si girò di nuovo verso i due ragazzi.
Giuliano, ridacchiava, coprendosi con la mano la bocca, sperando di non farsi notare.
Lorenzo invece la fissava apertamente.
Lucrezia iniziò a tremare e, ancora indecisa se ricambiare lo sguardo, lui le sorrise.
Poi di fianco a lui comparve la moglie di Lorenzo, Clerice Orsini (11), con in braccio il bambino più piccolo dei cinque figli, che gli mise il tra le braccia e tornò a soccorrere un altro bambino, di più o meno tre anni, che era caduto a terra e piangeva come un disperato.
Lorenzo guardò il bambino e guardò di nuovo Lucrezia che, con occhi duri e con uno sguardo scandalizzato, si girò verso la cugina, la prese per il braccio e la portò via.
Insomma, era un uomo sposato, con dei figli!
 
Il sorriso scomparve dal volto di Lorenzo il Magnifico quel giorno, per la prima volta, a causa di un rifiuto così netto da parte di una donna che, oltretutto, non era nessuno.
Certo, aveva visto ogni tanto la ragazza che la accompagnava, dato che, nell’ultimo periodo, ogni sera, dove c’era Giuliano, c’era anche lei.
Ma l’altra non l’aveva mai vista, anche perché, in caso contrario, se lo sarebbe ricordato.
Giuliano, ovviamente, che da impiccione quale era, aveva seguito la scena, sogghignando, si avvicinò al fratello e, pulendo, come pretesto, la bocca del bambino che perdeva bava a quantità sovraumane, gli sussurrò all’orecchio: - Ci sarà anche lei stasera, caro fratello, Fioretta mi ha detto che porterà sua cugina e credo che sia proprio quella bella ragazza che era con lei. –
E, dopo aver fatto una carezza alla bambina del fratello, tornò al suo posto, come se niente fosse.
 
 

NOTE:
 
(1)    Commento de’ miei sonetti, Lorenzo de Medici.
Con il Comento Lorenzo de’ Medici si propone di esporre, in forma di prosimetro, i significati morali presenti in quarantuno suoi sonetti, seguendo il modello del Convivio e della Vita nuova danteschi. I temi trattati richiamano motivi neoplatonici, che Lorenzo aveva assorbito soprattutto dalla filosofia di Marsilio Ficino. Interessante la visione apologetica della poesia come forma più alta di conoscenza. Di rilievo anche l’elogio della lingua fiorentina espresso nel Proemio. Lorenzo cominciò a scrivere il Comento nel 1473 o, per altre fonti, nel 1478.
 
(2)    Fioretta Gorini: Di nascita incerta, fu la figlia del corazzaio Antonio Gorini.
(3)    Personaggio inventato, come anche l’ambientazione della casa di Lucrezia.
(4)    La cattedrale di Santa Maria del Fiore è il Duomo di Firenze e si affaccia supiazza del Duomo.
La costruzione, iniziata sulle antiche fondazioni della chiesa di Santa Reparata nel1296 da Arnolfo di Cambio, fu continuata da Giotto a partire dal 1334 fino alla sua morte avvenuta nel 1337Francesco Talenti e Giovanni di Lapo Ghini la
continuarono nel 1357. Nel 1412 la nuova cattedrale fu dedicata a Santa Maria del Fiore, e consacrata il 25 marzo del 1436 al termine dei lavori della cupola del Brunelleschi da papa Eugenio IV.
(1)    Lorenzo di Piero de' Medici, detto Lorenzo il Magnifico(Firenze1º gennaio 1449 – Firenze9 aprile 1492), è stato unoscrittorepolitico e mecenate italianosignore di Firenze dal1469 alla morte, fu grande letterato e mecenate appartenente alla dinastia dei Medici.
(2)    Giuliano de’ Medici  (Firenze28ottobre 1453 –Firenze26 aprile 1478) era il maschio secondogenito di Piero il Gottoso e Lucrezia Tornabuoni e venne educato con il fratello Lorenzo de' Medici, poi detto il Magnifico, secondo la più raffinata cultura umanistica dell'epoca, con attenzione agli affari politici e finanziari. Alla morte del padre, nel 1469, appena sedicenne si trovò a capo, col fratello Lorenzo, della Signoria di fatto di Firenze. La presenza dei due rampolli medicei a capo della città fece nascere sospetti ed invidie, che si trasformarono in alcuni casi in opposizione vera e propria.
(3)    Lorenzo fu tra i protagonisti più attivi della magnificenza rinascimentale italiana. Letterati ed artisti trovarono in lui un mecenate intelligente e ricettivo, tanto da fargli meritare appunto l'attributo di Magnifico e di "ago della bilancia". Tra gli umanisti che frequentarono la sua corte ricordiamo: Pico della MirandolaMarsilio FicinoAngelo Poliziano e Luigi Pulci.
(4)    Bianca de' Medici (Firenze10 settembre 1445 – aprile 1488) era figlia di Piero di Cosimo de' Medici detto il Gottoso e Lucrezia Tornabuoni, sorella maggiore di Lorenzo il Magnifico e Giuliano de' Medici.  Sposò Guglielmo de' Pazzi nel 1458.
La coppia ebbe quindici figli:
Giovanna, sposò Tommaso Monaldi nel 1471
Contessina, sposò Giuliano Salviati nel 1476
Antonio (1462-1528) ambasciatore e uomo politico, Gonfaloniere di Giustizia nel 1521
Antonio (1460) morto infante
Alessandra, sposò Bartolomeo Buondelmonti nel 1486
Cosimo (1466-1513) Arcivescovo di Firenze dal 1508 fino alla morte
Piero (1468) morto infante
Cosa, sposò Francesco di Luca Capponi
Renato
Lorenzo
Luigia, sposò Folco di Edoardo Portinari nel 1494
Maddalena, sposò Ormanozzo Deti nel 1497
Alessandro (1483-1530), ambasciatore, letterato e grecista
Lucrezia, sposata a un Cattani de Diacceto poi a un Martelli (1500)
Giuliano (1486-1517), Dottore in legge, abate a canonico della Metropolitana di Firenze.
(5)     Nannina de' Medici, battezzata come Lucrezia (Firenze14 febbraio 1448 – 14 maggio 1493), era la figlia secondogenita diPiero di Cosimo de' Medici e Lucrezia Tornabuoni e sorella maggiore di Lorenzo il Magnifico. Nannina era il nome familiare della bisnonna Piccarda Bueri.
Tenuta in grande conto dai fratelli, fu anche grazie al loro prestigio che si sposò, l' 8 giugno 1466, con il letterato umanista Bernardo Rucellai.
Ebbe due figli maschi, Palla e Giovanni.
(6)     Gli Orti Oricellari sono un giardino monumentale di dimensioni medio piccole nell'omonima via vicino a Santa Maria Novella, a Firenze. Confina con il Palazzo Venturi Ginori del quale era una dipendenza. Appartennero alla famiglia Rucellai, della quale Oricellari è una variante più antica del nome di famiglia.
Il giardino sorse alla fine del Quattrocento quando Bernardo Rucellai e sua moglie Nannina de' Medici acquistarono il terreno e vi crearono palazzo e un giardino. Il carattere da mecenate della famiglia Rucellai, similarmente ai Medici ospitò qui le sedute dell'Accademia platonica che ospitò alcuni dei più importanti letterati e uomini di cultura dell'epoca, come Niccolò Machiavelli (che qui presentò i suoi Discorsi), Jacopo Nardi e papa Leone X
(7)     Clarice Orsini (Monterotondo1453 circa – Firenze30 luglio 1488) fu la moglie di Lorenzo il Magnifico e la madre di papa Leone X.
(8)    Clarice era figlia di Jacopo o Giacomo Orsini, signore di Monterotondo, e di Maddalena, figlia di Carlo di Bracciano e sorella del cardinale Latino Orsini.
La madre di Lorenzo de' Medici, Lucrezia Tornabuoni, si occupò personalmente di combinare un matrimonio prestigioso per il primogenito, recandosi di persona a Roma per sondare le nobili famiglie locali. Il suo intento era quello della scalata sociale, legando il nome dei Medici a quello di un'altra famiglia nobile, nel processo così frequente in epoca medievale e moderna della ricchezza che cercava il blasone e viceversa.
La coppia ebbe dieci figli, alcuni dei quali di primaria importanza per la storia dell'Italia rinascimentale e di Firenze:
Lucrezia (1470-1553), sposò Jacopo Salviati, fu madre di Maria Salviati e nonna di Cosimo I de' Medici.
Due gemelli senza nome, morti poco dopo il parto (marzo 1471)
Piero (1472-1503) Signore di Firenze, sposò Alfonsina Orsini;
Maddalena (1473-1519) sposò Franceschetto Cybo, figlio di Papa Innocenzo VIII;
Contessina Beatrice (1474-1474),morta pochi mesi dopo il parto
Giovanni (1475-1521Papa Leone X;
Luigia o Luisa (1477-1488), promessa sposa a Giovanni il Popolano, deceduta nell'adolescenza;
Contessina (1478-1515) sposò Piero Ridolfi;
Giuliano (1479-1516) Duca di Nemours, sposò Filiberta di Savoia.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Forse è il destino. ***


1. Forse è il destino.

 
“O chiara stella, che coi raggi tuoi
togli alle tue vicine stelle il lume,
perché splendi assai più del tuo costume?”

Comento de’ miei sonetti - Lorenzo de Medici.

 

-Ma dove stai andando? Dove mi porti? – Chiese Fioretta con voce indignata.
Lucrezia stava ancora trascinando la cugina in mezzo alla folla, lontano dalla vista della famiglia de Medici.

- Penso che il tuo amico e la sua famiglia godano già di abbastanza prestigio, senza bisogno di star lì a guardarli come se fossero dei Re! –
- E in tutto questo non ha nessun peso il modo in cui Lorenzo ti guardava? Dovresti esserne onorata! -
- Onorata! Mio Dio, Fioretta! –
- Puoi dire quello che meglio credi opportuno e nobile, Lullù, ma non potrai mai scappare da un uomo come Lorenzo de Medici! –
- A me non importa se lui è Lorenzo il Magnifico, può essere chi vuole, ma questi giochetti da corte proprio non mi piacciono! – Concluse la frase sottolineando bene le ultime tre parole.
- Come l’hai chiamato? (1) –
- Chi? –
- Lorenzo de Medici! –
- Con il suo nome! – Ribattè la cugina.
- No, l’hai chiamato “il Magnifico”! -
-E allora? Non usa? –
- No! -
- No? –
- No! –
- Ve beh, Fioretta, lo scoprirai fra qualche anno, magari. Lasciamo stare questa faccenda. Dove sarebbe questa festa di paese che io non vedo? –
Fioretta lanciò un’occhiataccia a quella cugina che quel giorno si comportava in modo così strano.
-Fino a metà pomeriggio andremo in Piazza della Signoria, poi, dopo torneremo qui, dove sono organizzati vari giochi. Adesso però, dobbiamo andare un attimo a casa mia che i genitori ci aspettano per andare tutti insieme. –
- Anche i miei genitori? -
- Certo! –
 
Fioretta prese per mano Lucrezia e, a passo svelto, si incamminarono verso casa.
Percorsero per intero una strada piena di negozietti e botteghe tutte quante uguali; su ogni vetrina erano esposte calzature di ogni tipo, dalle più costose alle più umili, da quelli che sembravano stivaletti a quelle che sembravano ciabatte estive. Se si sbirciava all’interno si potevano vedere i commercianti intenti a fare, più o meno, le stesse cose. Alcuni avevano in mano grosse forbici arrugginite, intenti a tagliare strani tipi di pelle; altri, con una spazzola di ferro, grattavano su alcuni tessuti per prepararli alle conciature successive e, altri ancora, prendevano le misure ad alcune persone che erano entrate nel negozio per farsi fare le scarpe.
Era strano come, pur essendo un giorno di festa, molti di quei negozi rimanessero aperti.
Arrivate in fondo alla via (2) girarono a destra, ma non prima di aver dato uno sguarda alla grande quantità di bancarelle che riempivano Piazza della Signoria.
- Spero che mio padre mi compri qualcosa oggi. – Sbuffò Fioretta mentre si infilava tra la gente.
Arrivati infondo alla strada svoltarono a sinistra e proseguirono dritto.
Più avanzavano più Lucrezia sentiva un odore strano, sgradevole.
Poi, di fronte a lei, lo riconobbe.
Era il Ponte Vecchio, famosissimo in tutto il mondo per le oreficerie di lusso che lo occupavano interamente.
Ma Lucrezia non vide lo spettacolo fantastico e maestoso che si sarebbe aspettata.
Infatti, ai lati della strada, correva un rivoletto di quello che sembrava (e che in realtà era) sangue.
Vedendo che la cugina, con molta disinvoltura e pochissima preoccupazione, si tirava lo scialle fino al naso, per evitare di sentire l’odore che proveniva dal ponte e dal piccolo rivoletto accanto alla strada, fece lo stesso, continuando a seguirla verso il ponte.
A quel punto capì da cos’era dovuto tutto quello.
Infatti il famoso ed elegante Ponte Vecchio era occupato dai beccai (3), che, ognuno nella propria bottega, faceva il suo lavoro, tagliando e macellando pezzi di carne, conservandoli in grandi casse piene di neve fresca, caduta quella stessa notte.
Spesso si vedevano gli scarti volare giù dal ponte e arrivare direttamente nelle acque ghiacciate dell’Arno, con un leggero tonfo.
Lucrezia, vedendo le condizioni igieniche di quelle macellerie, si promise di non mangiare carne, ma solo frutta e verdura.
Passato il ponte, presero la via che incontrarono subito dopo e girarono a destra, nella strada che dava direttamente sull’Arno.
La terza casa, evidentemente, era quella di Fioretta.
Era una piccola casetta dove probabilmente abitava una sola famiglia. Sembrava una di quelle case a schiera che riempono le periferie nel Duemila.
Era a soli due piani, bianca con le rifiniture verdi scuro e con un piccolo giardino con un leggero strato di neve che lo copriva, come una sottile coperta.
Dagli angoli vicini ai muri si potevano vedere delle piante rampicanti, congelate ormai da qualche mese, che si aggrappavano debolmente alle pareti, come per cercare ancora qualche speranza di sopravvivenza.
La porta di casa non era molto diversa da quella della casa di Lucrezia: una porta di legno lavorata a mano e fatta sicuramente su misura – dal momento che le case non le facevano tutte uguali e non c’era nessuno standard – chiudeva l’entrata con grassi chiodi piantati in mezzo. Vicino a questa si trovava un grosso campanello di ferro che bisognava suonare per avvisare i proprietari della casa della propria presenza.
E così, infatti, fece Fioretta.
Dopo pochi secondi, con forti rumori e cigolii, la porta fu aperta da quella che doveva sicuramente essere la domestica di Fioretta.
Era una ragazza giovane, sulla ventina, che portava un vestito sciupato e un grembiule bianco. Sarebbe potuta anche essere una bella ragazza, se avesse avuto un vestito un po’ più femminile e i capelli un po’ più curati, che, invece, portava legati da un nastro, forse per comodità.
-Salve, Fioretta. La stanno aspettando di là. –
- Salve Lucrezia! – Fece un gran sorriso. – Anche i tuoi genitori sono tornati, la signora Rosa è una donna così buona, così gentile! E’ molto carino da parte sua venire qui così spesso a trovare la signora Maria. –
- Ve bene, Lidia, abbiamo capito. – Disse bruscamene Fioretta, come se quel discorso la infastidisse.
Ma la cosa che aveva tolto il fiato a Lucrezia era il nome di sua madre.
Rosa.
Anche sua madre, la sua vera madre, si chiamava così. Si chiamava perché era morta.
Quindi Lucrezia si chiese se nell’altra stanza ci sarebbe stata proprio sua madre, se ci fosse stata la possibilità di rivedere la persona che aveva perso nell’altra vita.
Per questo seguì velocemente la cugina, senza guardare l’aspetto della casa.
Poi arrivarono in un salottino dove c’erano quattro poltrone che avevano l’aria estremamente scomoda e un lettino. Sembrava piuttosto una barella, dove stava adagiata una donna dai lunghi capelli biondi. Doveva essere giovane, ma sembrava una donna di sessant’anni. Stava lì sdraiata, coperta fino alla testa.
Capì che doveva avere al massimo quarant’anni e lo capì dagli occhi. Infatti erano ancora vispi e i lineamenti erano ancora troppo delicati per essere quelli di una vecchia.
Poi mi girai verso l’altra donna che sedeva, invece, su una poltrona.
Era lei.
Lo capiva, i lineamenti erano proprio quelli. Però Lucrezia, nell’altra vita, non aveva mai visto la madre così  vecchia e sciupata. Eppure anche lei doveva essere sulla quarantina.
Non era brutta, ma non sembrava una quarant’enne del Duemila. Teneva in braccio una bambina di due anni, molto simile a quella che a casa vedeva sempre nelle foto appese ai muri.
D’istinto Lucrezia le andò in contro.
-Che fai? – Chiese la madre con voce aggressiva – cosa vuoi? –
- Abbracciarti. –
- Gli abbracci non servono a niente, bambina mia, allontanati. – la squadrò dall’alto in basso – E non essere sempre così volgare. Le madri, dopo i dieci anni non si abbracciano, vero bambina mia? – E sorrise alla piccolina che teneva in braccio. – Ricordati che anche i tuoi giorni sono contati – Concluse.
Poi per curiosità guardò suo padre. Anche lui era molto simile, ma non uguale. Infatti, nell’altra vita, non l’aveva mai visto in una forma tale a quella che aveva in quel momento.
Era almeno venti chili in meno e i capelli erano molto più lunghi e meno brizzolati.
Era lo stile di vita differente che determinava quelle diversità o erano semplicemente altre persone?
Rosina, non essere sempre così dura con lei. – La rimproverò il padre. – E’ una brava ragazza. –
- E vorrei proprio vedere che non lo fosse! L’ho cresciuta io, ci ho messo il mio stomaco a crescerla così com’è. Però, piccola bambina, non riesce ancora a capire che la dolcezza nella vita non aiuta. Forse è colpa mia, che, quando l’ho messa al mondo, l’ho amata così tanto, prima di capire che la stavo solo danneggiando. –
Gli occhi della madre scintillavano di sentimento, mentre parlava della sua primogenita. Era una persona strana e particolare, percepì subito Lucrezia, divisa tra l’affetto materno e i doveri che quest’ultimo comporta.
- Poi presto giungerà il momento di sceglierti un marito, Lucrezia. Tuo padre ha già diverse idee. –
- Rosa, lasciala in pace, un poco. – Intervenne la madre di Fioretta, Maria. – Lasciale godere questi giorni, questi anni, che di tempo ce n’è per sposarsi. –
Lucrezia si avvicinò a sua madre e subito la sorellina allungò le mani per andarle in braccio e lei, con una dolcezza infinita, la sollevò e se la strinse al petto.
Avrebbe sempre voluto avere una piccola bambina da coccolare e fortunatamente in quella vita poteva averla.
Era molto bella, assomigliava a lei da piccola. I capelli erano neri, scurissimi, e ricci, le incorniciavano le testa mettendo in risalto i grandi occhioni verdi.
Sembrava proprio che la sorella le fosse molto legata; infatti, in braccio a Lucrezia, sembrava molto più tranquilla.
Poi la madre di Fioretta si scoprì, lasciando vedere il grande pancione che aveva in grembo, ormai doveva essere sicuramente al nono mese.
In quello stesso momento dal piano di sopra arrivarono cinque bambini più o meno della stessa età. Tre andarono vicino alla madre di Lucrezia e due di fianco a quella di Fioretta.
Dovevano per forza essere gli altri figli delle due famiglie.
Ovviamente Lucrezia si soffermò a guardare i tre che andarono da sua madre. E rimase di sasso quando si rese conto che erano tutti e tre uguali.
Impossibile, pensò Lucrezia.
Tre gemelli!
Dovevano avere all’incirca dieci anni, cosa che li rendeva sgradevoli a Lucrezia che odiava i bambini di quell’età.
L’unica differenza che li distingueva era una lettera ricamata sulle loro mantelline di lana, diversa per ogni fratello. A, E, F.
-Mamma abbiamo fame. – Disse uno dei tre gemelli.
- Bene, tra poco andremo a mangiare, Alessandro. – Rispose lei.
- E dove andiamo a mangiare? – Chiese un altro.
- Alla Taverna dei Signori, Fabrizio. (4) – Rispose nuovamente lei, con la stessa calma.
L’unica non più calma era Fioretta, che saltò in piedi improvvisamente – Davvero? Davvero? Davvero? – Continuava a gridare.
-Calmati immediatamente, Fioretta. – La rimproverò la madre.
- Ma madre, non ti rendi conto che in quella taverna mangiano i più ricchi di Firenze? Magari al tavolo vicino al nostro ci saranno i de Medici! –
- Fioretta, se tu conoscessi le dinamiche di quel posto sapresti che ciò è impossibile, loro stanno al secondo piano, nel soppalco, dal quale si vede l’Arno dalle finestre.
Infatti il secondo piano è molto più costoso.
Però ci saranno molte persone importanti in ogni caso.
Diceva prima Rosa che dobbiamo cercare un marito alla nostra Lucrezia, vero? Non c’è posto migliore per guardarsi intorno. -
 
 
Mezz’ora dopo le due famiglie erano alla Taverna dei Signori, vicino a Piazza della Signoria.
Di certo non era proprio il ristorante di lusso che si era aspettata Lucrezia, anzi, al contrario, sembrava una di quelle osterie di montagna del Duemila.
Quindi non osava immaginare come dovessero essere le taverne per non ricchi.
Nonostante questo il posto non era troppo male e, dopotutto, non era nemmeno troppo sporco. La puzza degli odori della cucina, però, invadeva tutte le sale, sia quello al primo piano e, sicuramente, anche quella del soppalco.
La taverna era arredata in modo molto semplice.
I tavoli erano disposti vicino ai muri, con tovaglie verdi, tovaglioli in tinta e bicchieri in terracotta che davano al tutto un’aria – pensò Lucrezia – un po’ contadina.
Al centro di ogni tavolo c’era un mazzo di fiori, lunghi e con lo stelo ricoperto di piccoli fiorellini gialli. (5)
Aspettarono un po’ prima di essere accomodati al loro tavolo e, nel frattempo, Lucrezia si guardò intorno.
Sembrava che davvero quel posto fosse frequentato da persone abbienti, infatti, erano tutti vestiti in modo elegante, per quei tempi.
Nel mazzo del tavolo che era stato assegnato alla famiglia di Lucrezia e Fioretta, però, c’erano anche due grosse rose rosse.


Al piano di sopra, nel soppalco, appoggiati alla ringhiera che guardavano la sala sottostante c’erano due fratelli che, nonostante avessero entrambi più di venticinque anni e uno dei due fosse sposato con figli, continuavano a comportarsi come due adolescenti.
-Oh, fratello, ho pensato di essere cortese con la mia dama e ho fatto mettere due rose nel suo mazzo. –
- E come facevi a sapere che quello sarebbe stato il suo tavolo? –
- Perché ho detto chiaramente alla donna che affida i tavoli che, prima di affidare un tavolo a quelle persone, doveva mettere due rose rosse nel loro mazzo. –
- Sei patetico. E perché mai due rose? –
- Fratello! Come sei rozzo! Te la vuoi ingraziare o no questa fanciulla? –
- Quale fanciulla? – Chiese improvvisamente una voce dietro di loro, che fece sobbalzare Lorenzo.
Fortunatamente era solo Antonio de Pazzi, figlio della sorella Bianca e di Guglielmo de Pazzi.
Era un ragazzino molto bello, di sedici anni, con i capelli neri e molto corti e gli occhi azzurri.
-Allora, quale fanciulla? Coinvolgete anche me, non sono un bambino. –
- Oh, nipotino, lo sappiamo bene che non sei un bambino, sappiamo come stai diventando grande e in quali bellissime taverne passi le tue serate. La discrezione non è il tuo forte anche se devi imparare ad essere discreto se vuoi intraprendere la carriera politica come dice tua madre. – (6) Lo rimproverò Giuliano.
- Dove passo le mie serate non è affar tuo. -  
- Certo, allora non è affar tuo nemmeno sapere di quale fanciulla stavamo parlando. –
- Non importa, non è molto difficile capirlo. Per esempio, io, se dovessi parlare di qualche fanciulla qui presente, parlerei di quella dal vestito blu, nel tavolo lì sotto, la vedete? –
- Eccome se la vediamo, giusto, Lorenzo? – Lo stuzzicò il fratello.
- Mi pare di intravederla. – Rispose lui, con un ghigno.
- Beh, io quella me la sposerei. Anche se non è ricca come noi, io la sposerei proprio. Almeno potrebbe rendere leggermente piacevole il matrimonio, nevvero, Lorenzo? E’ vero che il matrimonio è la maggior disgrazia di un uomo? –
Lorenzo lo guardò, con aria innervosita.
-Me lo devi ricordare ogni santo giorno della mia vita com’è il matrimonio? Cosa domandi a fare se conosci già la risposta? Certo che è una disgrazia, per quelli come noi, che si sposano per accrescere il prestigio della famiglia. Clerice è stata scelta da mia madre a Roma, io non l’avevo mai nemmeno vista. Per fortuna il suo aspetto è nobile e grazioso, ma è bella solo se rimane in silenzio. E la sua bellezza mi giova davvero poco, dal momento che passa le sue serate a pregare e a stringere il rosario tra le mani, a leggere la bibbia ai bambini, per Dio! L’avrei preferita brutta, ma di piacevole compagnia.
Penso di averle visto l’ombelico solo quando sono stati concepiti i bambini, povero me, più pudica di un frate francescano e un monaco di clausura messi insieme. – Sbottò il Magnifico.
Giuliano, nel frattempo, se la rideva.
- Ti fa ridere? Fra un poco dovrai sposarti anche tu. –
- Certo, fratello, ma non sono il cocco di mamma, la cara mamma Lucrezia non andrà a Roma a cercare una moglie anche a me. –
- Non farne una questione di favoritismi, Giuliano, perché sai benissimo che non ce ne sono. Tu, al contrario di me, hai sempre detto che la moglie te la saresti scelta da solo e quindi nostra madre, che sta invecchiando, ha lasciato perdere. –
- Con te avrebbe lasciato perdere? –
- I se e i ma non scrivono la storia, Giuliano. –
- Fatto sta – Riprese il nipote – che io vorrei proprio sposarmela quella. Anche l’altra biondina non è male, ma la mora, Dio, è uno splendore. Mai visto capelli così belli, un viso più stupendo, lineamenti più perfetti.
- Piantala Antonio se non vuoi essere buttato giù dal soppalco. – Lo rimproverò Lorenzo con una leggera stizza.
- Comunque, Antonio, vai errando di sicuro. Sono d’accordo sulla bellezza della fanciulla, ma ce n’è stata una più bella, più bella di tutte le fanciulle d’Italia.
Purtroppo, come tu ben saprai, morì ormai due anni fa.
Parlo di Simonetta Vespucci,  (7) moglie di Marco Vespucci, mia amata donna. Ogni tanto ancora la sogno, lei sì, che fu la più bella donna mai comparsa a Firenze, la Venere vivente.
Vi ricorderete il torneo cavalleresco (8) a cui partecipai nel millequattrocento settantacinque, che vinsi con tanta fierezza, solo per avere in premio un suo ritratto del Botticelli. –
Lorenzo gli appoggiò una mano sulla spalla, per consolarlo.
-Lo so fratello che lei se n’è andata e che era l’amore della tua vita, la stella più bella che illuminava le tue notti, ma è andata. E invece tu sei qui, pronto ormai a riprendere la tua vita, a sposarti, a mettere al mondo dei bambini, dei quali è impossibile stancarsi. E poi pensa alla ragazza che stai corteggiando, che pende da ogni tuo gesto. La suddetta, così per dire, si è accorta della tua presenza e ti guarda. Che, vorresti spezzarle il cuore? –
- Lorenzo! Non potrei mai fare una cosa simile! – E, alzando lo sguardo verso Fioretta, le fece l’occhiolino e lei, facendo finta di niente, da lontano, accennò un sorriso.
La cugina, dopo un secondo, le diede una gomitata.
- Ah, Lorenzo, quella è selvatica! –
- Penso proprio che le chiederò la mano. –
- Se non chiudi quella boccaccia, Antonio, tu non avrai più nessuna mano! –
 

-Cosa prendi, Fioretta? – Chiese il padre.
- Non saprei, penso i ravioli ignudi. –  (9)
- E tu, Lucrezia? –
- Pensavo a un brodo di carne, per riscaldarmi bene. –
- Benissimo, di contorno prendiamo una porzione per sette persone di fritto misto(10) e siamo a posto, grazie. –
Concluse il padre di Fioretta.
Rosa, la madre di Lucrezia, si stava già guardando intorno, quando una donna della sua età le andò incontro, salutandola affettuosamente.
-Signor Donati! Che piacere vederla, come sta? – Chiese la donna, rivolgendosi al padre di Lucrezia.
Quindi quello doveva essere il suo cognome, Lucrezia Donati. (11)
-Buon giorno a lei, signora Ardinghelli. Procede tutto a meraviglia, mia figlia, la primogenita, Lucrezia, -ricorda? – ormai ha diciotto anni compiuti e sta giungendo il momento di trovarle marito, ed è sempre un dispiacere per un padre sapere che presto arriverà il momento di lasciar andar via la propria bambina, nevvero? Ma non voglio annoiarla con le mie ciance! –
- Annoiarmi, ma si figuri! Lo sa che il mio bambino, Niccolò, ormai di anni ne ha venti! Aspetti che glielo presento, lo vado a chiamare! Magari potrebbe essere un buon pretendente per vostra figlia! –
Fece l’occhiolino al signor Donati e tornò al suo tavolo a chiamare un ragazzo alto e ricciuto, con il volto imbronciato che, da lontano, squadrò Lucrezia, poi un po’ rincuorato, si alzò dalla sua  tavola e andò verso quella di Lucrezia.
Non era un bel ragazzo, o forse lo era, Lucrezia non sapeva dirlo, dal momento che per tutto il tempo successivo non lo vide mai sorridere.
Gli occhi erano annoiati e spenti, nonostante vedessero chiaramente la bellezza di Lucrezia, non interessandosene più di quanto una persona normale si interesserebbe di un gatto randagio.
Lucrezia non se ne sentì offesa, dal momento che quel ragazzo non le sarebbe mai interessato, anche se capiva benissimo che non aveva molta scelta.
- Piacere, il mio nome è Niccolò e sono secondogenito della famiglia Ardinghelli. (12) –
- Piacere, il mio nome è Lucrezia e sono primogenita della famiglia Donati. –
- Bene, contenta che vi siate conosciuti. – Disse la madre del ragazzo. – Del resto discuteremo tra genitori. –
- Sarà una conversazione interessante. – Proruppe Rosa. – Avete ancora quelle vigne nelle campagne fiorentine?-
- Certo, vanno a gonfie vele. Mio marito sta acquistando anche altri terreni nelle coste della Romagna, che, magari, un giorno, speriamo di dare in mano a Niccolò, quando, ovviamente, si sarà fatto una famiglia tutta sua. –
- Certo, magari possiamo incontrarci un pomeriggio di questi, per discuterne. –
- Sì, sarei molto contenta di vedere mio figlio maritato con una ragazza così bella. Non se ne trovano di così belle in giro, di questi tempi. –
Dalla sala al piano superiore cadde un bicchiere, che finì sul pavimento, rompendosi in mille pezzi.
 
 
 
 
 
 
(1)    Non sapendo precisamente quando venne dato a Lorenzo de Medici il titolo di “Magnifico” ho fatto in modo che Fioretta ancora non conoscesse quel termine che invece Lucrezia conosceva benissimo.
(2)     Via dei Calzaiuoli
(3)    Nel 1442 l'autorità cittadina per salvaguardare la pulizia e il decoro, impose ai beccai (macellai) di riunirsi nelle botteghe sul Ponte Vecchio per renderli un po' isolati dai palazzi e dalle abitazioni del centro. La disposizione mirava soprattutto ad eliminare le consuete, maleodoranti tracce lasciate dai barroccini dei beccai lungo le strade fino all'Arno durante il trasporto degli scarti più minuti delle lavorazioni delle carni, scarti che potevano ora disperdersi direttamente, senza alcun danno, nella sottostante corrente del fiume. Da quel momento il ponte divenne il mercato della carne ed i beccai, divenuti in seguito proprietari delle botteghe, per ottenere più spazio, vi aggiunsero in modo disordinato delle stanzette aggettanti sul fiume puntellandole con pali di legno.
(4)    Luogo inventato.
(5)    Fiore chiamato Forsythia.
(6)    Antonio (1462-1528) ambasciatore e uomo politico, Gonfaloniere di Giustizia nel 1521.
(7)    Simonetta Cattaneo Vespucci (Fezzano28 gennaio (?) 1453 – Firenze26 aprile 1476) fu una nobildonna del Rinascimento, amata da Giuliano de' Medici, il fratello minore di Lorenzo il Magnifico. Ritenuta dai suoi contemporanei come la più bella donna vivente, fece da modella a Sandro Botticelli per la Nascita di Venere e numerosi altri dipinti. Fu musa ispiratrice anche per numerosi altri artisti, tra i quali si distinse Piero di Cosimo, che dipinse il Ritratto di Simonetta Vespucci, dove compare vestita come Cleopatra con un aspide al collo.
(8)    "Torneo di Giuliano": torneo cavalleresco svoltosi in piazza Santa Croce nel 1475. Giuliano, secondo quanto immortalato dal poemetto Stanze per la giostra di Angelo Poliziano, vi partecipò, vincendo, perché vi era in lizza un ritratto di Simonetta dipinto dal Botticelli, sul quale era riportata l'iscrizione La Sans Pareille, "La senza paragoni". Simonetta fu la trionfatrice e venne proclamata "regina del torneo". La sua straordinaria bellezza e la sua grazia avevano ormai conquistato tutti, in primis Giuliano.
(9)    Ravioli con un ripieno di spinaci, ricotta, uova, parmigiano grattugiato, farina e un pizzico di noce moscata. I sughi più adatti a questo piatto sono il sugo al pomodoro, salvia e burro o il sugo di carne della fiorentina. Questa variazione di ravioli è conosciuta come gnudi a Firenze, che è una variazione dialettale del termine dialettale rinascimentale ignudi.
(10) Verdure fritte.
(11) Lucrezia Donati è esistita realmente ed è stata corteggiata da Lorenzo de Medici che le dedicò moltissimi sonetti.
Personaggio realmente esistito.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=941713