Le cinque e una notte.

di Entreri
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Prima notte. ***
Capitolo 3: *** Seconda notte. ***
Capitolo 4: *** Terza notte. ***
Capitolo 5: *** Quarta e Quinta notte. ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Le cinque e una notte.



Prologo.

 
Londra, 16 Novembre 2014

 

 

Le dense tenebre del sotterraneo non ostacolavano il suo cammino e i suoi occhi, da secoli dimentichi della luce del sole, le fendevano con facilità mentre scendeva con silenziosa gravità lungo i gradini di marmo. Un antico specchio stava dinnanzi al ritratto di una donna perfetta senza riuscire a riflettere altro che buio e polvere, e Ahmad si interpose fra loro sebbene sapesse che, anche in piena luce, lo specchio non avrebbe potuto restituirgli la sua immagine; né il duro guerriero che era stato, né la donna sgraziata che era diventato. Posò il palmo sulla superficie polverosa, grato di non dover fronteggiare il velo d’illusione di cui si ammantava per nascondere le fattezze in cui era imprigionato, maledetto per l’eternità per aver ucciso la figlia di uno stregone. Il sangue dei guardiani della casa che si erano frapposti fra lui e le scale stagnava ancora sulla sua mano e andò a formare una macchia rossa laddove avrebbe dovuto riflettersi il suo volto perduto. Ahmad spinse con forza, mandando lo specchio in frantumi nel rivelare il passaggio che nascondeva.

 
 

Avanzò deciso, con solenni passi misurati, fino al sarcofago posto al centro della cupa sala ottagonale e lo scoperchiò con violenza.

 

Anche semi-mummificato in quella bara di marmo Lucius restava l’uomo più bello e altero che Ahmad avesse mai visto: il volto perfettamente simmetrico, i lunghi capelli neri, la figura elegante e quella vaga aura di nobiliare supponenza che nemmeno il profondo torpore era riuscito a strappargli.

 

Estrasse un paletto di frassino dalla tasca della giacca e portò i loro volti alla stessa altezza fissando Lucius in silenzio: il superbo, il presuntuoso Lucius che non credeva Ahmad avrebbe mai potuto ucciderlo nel sonno.

 

Posizionò la punta all’altezza del suo cuore e spinse leggermente in attesa che l’odore di tutto il sangue che aveva sparso nella sua villa lo risvegliasse.




NOTE DELL'AUTRICE: 


Di solito cerco di ridurre il più possibile il mio intervento, ma credo che, in questo particolare caso, sia necessario fare una piccola premessa sulla genesi di questa storia.

Personalmente trovo che la cosa più affascinante nella figura del vampiro sia la sua estrema longevità, la possibilità meravigliosa di far interagire persone nate in epoche diverse e in luoghi diversi che non avrebbero, altrimenti, mai avuto la possibilità di incontrarsi. Lucius e Ahmad incarnano soprattutto quest'aspetto del vampiro.

Seconda e forse più importante puntalizzazione: questo scritto può essere letto come a sè stante (deve date le circostanze) ma appartiene ad una lunga storia non scritta che si dipana dal II secolo a. C a oggi, coinvolgendo una miriade di personaggi. Posta dinnanzi alla domanda del contest a cui ha partecipato questa storia in cui avete (arditi ed eroici lettori) scelto di avventurarvi: ovvero "Anche i vampiri hanno sentimenti, o no?" mi sono sovvenuti alla mente, quasi seduta stante, Ahmad e Lucius e ho quindi scirtto di loro, scegliendo cinque e una notte della loro lunga non vita per esplorare il loro rapporto. Al fine di rispondere a quella domanda, comunque, la storia di per sè è più che sufficiente.

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Capitolo 2
*** Prima notte. ***


 

Prima notte.



Venezia, 25 marzo 1524

Kaftan e turbante donavano ad Ahmad, e Lucius non smetteva mai di stupirsene, sebbene, ormai, avrebbe dovuto essere divenuto avvezzo alle colorate vesti che il suo compagno sfoggiava giocando a fingersi il cugino dell’ambasciatore della Sublime Porta. Completamente a proprio agio nell’essere l’unica persona a capo coperto nel salone, Ahmad sedeva placidamente a un tavolino con il padrone di casa; entrambi intenti, dimentichi della musica e delle danze, a portare avanti pigramente una lunga partita di scacchi. Due donne poggiate allo schienale di Giovanni Morosini, facoltoso anfitrione della serata, baciavano di tanto in tanto i dadi per trasmettervi buona fortuna, ridendo civettuole ora con l’uno ora con l’altro dei due giocatori e Lucius si avvicinò con grazia a quel promettente terreno di caccia.

Ahmad gli rivolse uno di quei piccoli sorrisi benevoli che gli erano tanto connaturati da poter essere inclusi nella descrizione del suo volto olivastro, insieme alla barba curata, le labbra sottili e la fronte ampia.

La più graziosa fra le due dame intercettò il loro sguardo e si frappose fra loro con giocosità leziosa.

«Messer Lucio, siete venuto a cavare Messer Ahmet1 dagli impicci della cattiva fortuna?»

Ahmad strinse le spalle prima di muovere l’ennesimo pedone bianco, indicando con gli occhi il dado che lo costringeva ad una mossa tanto inutile.

«Non vedo quale sarebbe la sua cattiva sorte nel godere della compagnia di una dama tanto graziosa.»

Nel dirlo Lucius le prese la mano e Ahmad lo guardò portarsela alle labbra stringendola fra le proprie dita affusolate; elegante e garbato, l’immagine affettata del perfetto cortigiano.

«Mi fareste l’onore di danzare con me? Sono certo la strategia di Messer Ahmet migliorerebbe considerevolmente se gli venisse sottratta la distrazione dei vostri begli occhi.»

Il rossore che si dipinse sulle gote della giovane Maria evocò in Ahmad il ricordo indistinto di centinaia di giovinette trascinate verso la morte dal fascino ingannevole della voce vellutata di Lucius.

«Non fatevi incantare, mia dolce fanciulla; le passioni del mio amico sono roboanti, ma effimere.»

Lucius voltò appena il capo verso di lui, senza smettere di stringere delicatamente la mano di Maria, e Ahmad poté ammirare un breve lampo di divertimento balenare nei suoi grandi occhi scuri.

«Il mio amico non mi rende giustizia. Posso assicurarvi che, una volta scelta una dama, le sono fedele sino alla morte.»

Ahmad rise, guardandoli allontanarsi in direzione delle danze: non aveva detto la morte di chi.

«Non capisco perché insistiate nell’associarvi a quell’uomo.»

Giovanni Morosini non era un uomo eccessivamente piacente, afflitto da grandi orecchie a sventola e da un’espressione di perenne disappunto, aveva, sin dal primo sguardo, sviluppato per Lucius quel disamore intenso che spesso fiorisce fra persone dotate di pari carisma e superbia.

Ahmad sorrise al pensiero di associarsi a un associatore2 e non poté fare a meno di considerare quanto la stretta amicizia fra il diplomatico turco e il giovane di buona famiglia che fingevano di essere potesse apparire curiosa quanto quella fra il patrizio romano e il guerriero nizarita che erano davvero.

«Vi stupirebbe sapere di non essere il primo a rivolgermi questa domanda?»

Se il gioco d’azzardo non fosse stato un abominio, avrebbe scommesso senza timore una gran quantità di beni che la dolce Maria stesse ponendo in quel momento un interrogativo simile a Lucius e volse il capo per guardarli mentre piroettavano nel salone con grazia. Lucius colse il suo sguardo e gli sorrise di rimando, facendo volteggiare la giovane Maria in modo plateale, quasi ostentando la propria conquista.

«Mi stupirebbe sapervi in grado di fornire una risposta soddisfacente.»

Ahmad sorrise distrattamente, osservando le labbra di Lucius fornire a Maria la sua personale, egocentrica spiegazione. La prese in prestito divertito prima di riportare la propria attenzione sul suo interlocutore.

«È uno stato del mio spirito.»

Messer Giovanni sollevò un sopracciglio e Ahmad non poté che scoppiare a ridere dinnanzi al suo palpabile scetticismo.

«Non riuscite proprio a sopportarlo, non è così?»

La smorfia di Messer Giovanni si accentuò ulteriormente, obbligato dal dado a muovere la torre e dagli eventi a parlare di Lucius.

«È arrogante, egoista, presuntuoso e supponente; un belloccio scostumato a cui nessuno ha mai detto di no.»

Ahmad pensò al nome di donna che invocava gridando quando era ubriaco di sangue e tenebra, e sospettò fortemente che il proprio interlocutore fosse, almeno sull’ultimo punto, in torto. Non lo disse, era qualcosa che apparteneva a Lucius e che non aveva per lui nessuna importanza.

«Oh, io glielo dico da quando ci siamo conosciuti. Solo, lui non ascolta mai.»

«E cosa, di grazia, gli avreste negato?»

Ahamd giocherellò con il dado, picchiettandolo sul tavolinetto prima di lanciarlo a propria volta.

«Desiderava che intercedessi per lui presso mio cugino dietro ragionevole compenso. Ho declinato cortesemente.»

Messer Giovanni si versò un bicchiere di vino e osservò la mossa dell’alfiere di Ahmad con aria distratta.

«Ne è stato entusiasta, immagino.»

Ahmad sorrise ricordando l’espressione di altero disappunto che si era dipinta sul volto di Lucius quando gli aveva comunicato non avrebbe cercato di assassinare un vampiro millenario neppure se gli avesse presentato una strega in grado di sciogliere la maledizione che gravava su di lui.

«Non molto, no.»

Sorrise, perché, in fondo, non serbava un cattivo ricordo della notte in cui aveva costretto quell’arrogante sconosciuto a giocare secondo le sue regole; era stato divertente vedergli stringere le labbra indispettito mentre lo fissava con malcelata irritazione.

«Ed è per questo che siete diventati così amici?»

Ahmad notò con un certo divertimento come Messer Giovanni, messo in difficoltà sulla scacchiera, non desse segno di voler lanciare il proprio dado, mostrandosi, invece, interessato al suo racconto.

«Ho comunque risolto parte del suo problema.»

Aveva acconsentito ad uccidere un giovane cavaliere francese dietro metà del compenso che gli era stato offerto per assassinare il creatore di Lucius.

«E questo l’ha soddisfatto?»

Ahmad volse lo sguardo verso Lucius, pensando che, no, la morte di quel giovane cavaliere dalla scintillante armatura non gli aveva portato alcuna soddisfazione, poiché quello che sperava di ottenere tramite quella morte, qualunque cosa fosse, era sfumato nell’aria sottile, lasciandolo arrabbiato e incline a sfogare la propria frustrazione nel sangue.

«Non esattamente.»

Voltandosi verso Messer Giovanni ne colse l’espressione stupita parzialmente nascosta dietro il bicchiere di vino rosso, attese pazientemente che lo posasse e desse voce al proprio parere.

«Ed è così che siete divenuti tanto amici? Con un “non esattamente”?»

Ahmad ci pensò per un attimo, domandandosi a propria volta come fosse accaduto che lui e Lucius non si fossero più separati da quel primo incontro avvenuto ormai un secolo e mezzo prima.

«Temo di dovervi dare ragione.»

Messer Giovanni corrugò la fronte con fare interrogativo e Ahmad sentì il proprio sorriso allargarsi a dismisura.

«Davvero, Messere, avete ragione: non ho una risposta soddisfacente.»

Davanti alla buffa smorfia che ebbe come unica replica, Ahmad non poté fare a meno di scoppiare in una fragorosa risata.

«Posso conoscere il motivo di tanta ilarità?»

Ahmad sobbalzò sentendo la sua voce e Lucius se ne compiacque.

«Invero, Messer Lucio, stavamo parlando di voi.»

Ahmad non si voltò verso di lui e Lucius si avvicinò alla sua schiena, osservando Messer Giovanni senza preoccuparsi di mascherare il profondo disprezzo che nutriva per lui.

«E cosa vi sarebbe di tanto divertente in me? Ve ne prego, rendetemene partecipe.»

Messer Giovanni gli restituì uno sguardo se possibile ancora più carico di repulsione e Lucius ne sarebbe stato divertito, se non avesse cominciato a sentirsi irritato dal constante, inutile tentativo di rivoltare Ahmad contro di lui che quello sciocco mortale portava avanti da mesi.

«In voi nulla, Messer Lucio. Come potremmo ridere di voi? Ridevamo di come Messer Ahmet non fosse in grado, neppure sforzandosi, di dire cosa lo spinga ad associarsi a voi.»

Ahmad sospirò mentre Lucius gli posava una mano sulla spalla: era un gesto amichevole, ma strinse troppo e troppo a lungo perché non si colorasse di una venatura possessiva.

«Oh, la cosa è piuttosto semplice, Messer Giovanni, posso dirvelo io.»

Ahmad si voltò maggiormente verso di lui con espressione sorpresa.

«Il fatto è che io gli piaccio.»

Ahmad sgranò gli occhi, ritraendosi con una finta offesa che non riusciva a nascondere il luccichio divertito dei suoi occhi.

«Lucius Cornelius Dolabella! Sei davvero la persona più presuntuosa che io abbia mai incontrato negli ultimi quattrocento anni.»

Messer Giovanni rovesciò il bicchiere di vino sulla scacchiera e Ahmad e Lucius ne risero, decidendo senza bisogno di parole che era giunto il momento di lasciare la stanza e Venezia, non prima, tuttavia, d'essersi concessi un piccolo tripudio di sangue.


 

1Versione turca del nome Ahmad.

2  Il mio Word considera questa parola come errore ed effettivamente non si trova nel mio "Devoto e Oli", tuttavia appare nella mia copia del Corano (e anche in quella della mia Università che è di un'edizione diversa) e sta ad indicare i politeisti (che associano idoli ad Allah, chiaramente ^_^).

 


Note dell'autrice:

 
Ecco il secondo capitolo.  Ho messo due note laddove me l'ha dettato il cuore, soprattutto dove ho dovuto dare spiegazioni orali al mio beta, ovviamente l'ho fatto senza voler dare dell'ignorante a nessuno (dato che con le cose che non so io si potrebbero riempire enciclopedie composte da svariati tomi).

Se foste così dolci e coccoli/e da farmi sapere cosa ne pensate mi illuminereste sicuramente la giornata.

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Capitolo 3
*** Seconda notte. ***


 

Seconda notte.

Marsiglia 07 Settemebre 1603

 

 

Spesso, prima che albeggiasse, giocavano a carte in silenzio gettando svogliatamente scale e coppie sul tavolo, come se fossero ricordi insignificanti delle loro vite passate che potevano permettersi di dimenticare. La verità, tuttavia, era che Ahmad non credeva fosse giusto dimenticare alcunché e che Lucius, sebbene lo desiderasse, ne era, in fondo, incapace; così gli innumerevoli anni che li separavano dalle loro nascite stagnavano nell'aria insieme al profumo costoso delle donne che avevano costituito il loro pasto. Quella sera erano forse entrambi, i ricordi ed il profumo, troppo ingombranti per essere ignorati e Lucius sbuffò con la trasandatezza aristocratica che gli era propria, terminando la partita a proprio favore prima di lamentarsi: «L'odore di acqua di rosa è troppo forte, mi sta dando fastidio». Ahmad gli rivolse uno strano sorriso, carico della gentile condiscendenza che le balie hanno talvolta per i bambini capricciosi e si alzò apprestandosi ad aprire la finestra, consapevole, forse, che quanto angustiava il suo compagno di gioco necessitasse di una catarsi maggiore di un semplice cambio d'aria. Avrebbe potuto dirglielo, tuttavia non lo fece; perché a dispetto delle apparenze, della gentilezza innata e dell'amabile ironia, Ahmad non era un uomo buono.

«Ti dà tanto fastidio che continui imperterrito a scegliere giovani che abbondino con il profumo. La tua coerenza mi colpisce come sempre.»

«È colpa di casa tua: è troppo piccola.»

Ahmad sospirò teatralmente, accettando che, nel suo indefesso amore per sé stesso, Lucius non fosse in grado di considerarsi in torto. Indipendentemente dalla circostanza, ogniqualvolta il corso degli eventi non si conformava ai suoi disegni, la colpa era sempre di qualcun' altro: del suo creatore, con il quale aveva innumerevoli conti in sospeso; di una qualche entità occulta, da cui doveva guardarsi; degli errori che altri, e solo altri, commettevano impedendogli di ottenere quanto gli spettava e ora della casa troppo piccola.

«Devi considerare, Lucius, che il tuo ego occupa un sacco di spazio.»

Lucius appoggiò le carte appena mescolate dinnanzi ad Ahmad, ignorando platealmente il suo commento. Invero non amava che qualcuno si arrogasse il diritto di fare ironia sui suoi presunti difetti, tuttavia Ahmad aveva nel prendesi gioco di lui un vezzo delicato, quasi affettuoso, privo di giudizio al punto che era difficile aversene profondamente a male.

Tagliarono il mazzo e distribuirono le mani; nel ritrovato silenzio della stanza l'aria girò più della fortuna e Ahmad, che era da sempre un giocatore abile e attento, dovette soccombere alla buona sorte svogliata con cui Lucius otteneva una facile vittoria dopo l'altra.

«Ti assicuro che in tutta la mia lunga, lunghissima vita non ho mai incontrato nessun giocatore che fosse sfortunato quanto lo sei tu stanotte.»

Ahmad rise benevolmente, mostrando la propria mano male assortita.

«Le carte appartengono decisamente a quella parte del genere femminile che ha un debole per i tipi come te.»

Sul volto di Lucius si dipinse placido un sorriso beffardo e parve indeciso se chiedere a che genere di donna si riferisse, a quale tipo di uomo credeva appartenesse o se vantarsi di essere il sogno dell'intero genere femminile e non solo di una parte. Ahmad considerò divertito quanto il non saper decidere tra lodarsi e farsi lodare fosse una sciocchezza adatta a Lucius, poi rispose con tono irridente alle domande che l'altro non aveva ancora scelto di porgli.

«Lo sai, lo stuolo di donnette sciocche o di nobildonne di facili costumi pronte a cedere facilmente al tuo fascino da "bello e dannato", nonché carismatico stronzo di prim'ordine.»

Un risata arrogante coprì le parole di Ahmad. «Il complimento è la veste elegante dell'invidia, non lo sai?»

«Non sapevo di averti fatto un complimento. Oltretutto sai che disprezzo le donne dappoco, non vedo come potrei invidiarti.»

Lucius avrebbe continuato ad esibire un'aria di divertita sufficienza se non avesse colto negli occhi di Ahmad un luccichio orgoglioso ed irridente, come di sfida. L'osservò fare le carte meticolosamente e distribuirle con lentezza.

«Trovami una donna vera: di buona famiglia e solida morale, timorata di Dio e di suo padre, che cerchi qualcuno con cui passare più di una notte. Ti do il vantaggio di sceglierla, mortale o immortale, estranea o una tua vecchia conoscenza, per me è lo stesso. Scommettiamo che sono io e non tu, ad essere il tipo di quel genere di donna?»

Lucius lo sapeva già, aveva scelto di ignorarlo con la stessa violenta determinazione con cui ignorava i propri errori, ma sapeva già che Ahmad era come Messalla e come quel cavaliere francese che aveva fatto uccidere, che con la delicata gentilezza, la galanteria appena accennata e l'attitudine protettiva ma mai invadente che riservava al gentil sesso sarebbe stato in grado di ottenere facilmente quello che lui non riusciva mai ad avere.

«No, perché vinceresti e poi dovrei ucciderti.»

«Ecco, vedi? Molto appassionato, amore e morte: può andare bene per una ragazza con torbidi sogni erotici su uno sconosciuto dagli occhi neri e l'accento misterioso, ma una donna cerca altro in un marito.»

Ahmad anestetizzava sempre le verità più amare con il vino d'annata della sua cortese ironia, e Lucius era sempre riuscito a inghiottirle facendo finta di non averle sentite affatto. Quando, tuttavia, l'altro non sollevò le proprie carte dal tavolo, Ahmad si vide costretto ad intuire di aver inavvertitamente passato del sale sulla ferita del peggior argomento possibile, uno da cui non sarebbe riuscito a svicolare con un sorriso. Tentò comunque.

«Almeno così mi hanno detto le mie mogli.»

«Eri sposato?»

La curiosità era sempre un buon segno in Lucius, non che gli importasse davvero degli altri, la usava semplicemente per allontanarsi dai propri pensieri. Ahmad aveva sempre evitato di rispondere o fare domande; non gli interessava cosa tormentasse Lucius e sapeva che a Lucius non interessava cosa tormentasse lui, tuttavia gli parve inevitabile, in quel momento, concedere un'oncia della propria storia per allontanarsi da quello che aveva detto e dal modo inquietante in cui si era incupito il suo compagno.

«Ho praticato molto il nikāḥ al-mut‘a1, ma immagino tu non intendessi questo. Ho avuto due mogli senza termine prefissato. Le ho ripudiate entrambe prima di lasciare il Cairo per Alamut.»

Reputava di avere detto abbastanza ma continuò, forse per orrore del silenzio.

«Inizialmente pensarono fosse perché non mi avevano dato figli, Kamila però capì che non desideravo pagassero in alcun modo per quello che stavo per fare. Lei capiva sempre tutto.»

Probabilmente furono il modo in cui accarezzò il nome nel pronunciarlo e la dolcezza mesta che accompagnò il suo immancabile sorriso che spinsero Lucius a non lasciar perdere.

«Kamila era una delle tue mogli?»

«No. Era la donna che amavo. Mia madre era stata la sua balia e quindi lei non avrebbe mai potuto essere mia.»

Sollevò lo sguardo dalle proprie carte e si accorse che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Lucius gli stava sorridendo: non un ghigno appena accennato o beffardo ma un sorriso comprensivo, complice, quasi affettuoso. Ahmad lo trovò inquietante e desiderò intensamente che non lo facesse mai più.

«Adesso dov'è?»

Lucius prese le sue carte e le esaminò perdendosi la smorfia completamente esterrefatta che fece irruzione nell'espressione solitamente placida di Ahmad.

«Cosa significa dov'è, Lucius? Sono passati più di cinquecento anni, è morta.»

«Perché non l'hai resa una di noi?»

Si guardarono in silenzio per un istante, mentre Lucius considerava quanto apparisse strano ed estraneo il volto di Ahmad privo di sorriso e Ahmad si accorgeva dallo stupore che si era dipinto sui lineamenti di Lucius di quanto profondo fosse il suo egoismo.

«Perché era sposata, era madre, era felice. Che razza di mostro può fare una cosa del genere alla persona che ama?»

Lucius parve farsi pensieroso e quando parlò la sua voce decisa ed imperiosa non fu che un sussurro flebile, quasi incerto «Quindi tu non l'avresti fatto?»

«Ti ho appena detto che io non l'ho...- si interruppe e lo guardò- ma tu si.»

Calò un silenzio solido, abitato dai fantasmi del passato: dal dolore provato a lasciare andare una persona amata e dal dolore provocato dall'incapacità di farlo.

Ahmad si alzò e mise le carte in tasca; per quanto sembrasse assorto in un tardivo esame di coscienza, Lucius non era persona abbastanza fidata da permettergli di lasciare la propria mano incustodita sul tavolo neppure per il tempo necessario a chiudere la finestra. Difatti, non appena Ahmad ebbe fra le mani i battenti, la voce del suo compagno di gioco lo raggiunse, di nuovo carica di quell'arrogante sicurezza che le era propria.

«Se sono un mostro perché ti piaccio tanto, Ahmad?»

Ahmad non poté impedirsi di sorridere considerando che Lucius aveva impiegato meno di un minuto per escludere la possibilità di avere sbagliato. Si voltò verso di lui sorridendogli e portandosi le mani al petto in modo teatrale.

«Perché sono rimasto conquistato dalla tua aria da bel tenebroso, naturalmente. Anche se pensavo di aspettare ancora un poco prima farti una dichiarazione appassionata.»

Lucius tamburellò le dita sul tavolo e lo guardò lasciando chiaramente intendere che pretendeva una vera risposta.

Si sedette di fronte a lui e ricominciò a giocare, ma Lucius continuò a fissarlo insistentemente; forse desiderava essere rassicurato, ma Ahmad era più propenso a pensare non fosse altro che un capriccio. Con Lucius era sempre così, prendere o lasciare: lui aveva preso per cui si mise a ridere e gli confessò apertamente il motivo di una scelta tanto insolita.

«Somigli a Jamal: anche lui era un arrogante egoista egocentrico, del tutto incapace di concepirsi fallibile o di accettare un "no" come risposta. Uno stronzo insopportabile, ma era il mio fratello di latte ed io l'ho amato dal primo vagito all'ultimo rantolo, dallo stesso seno a quando l'ho ucciso

«Perché l'hai fatto, allora?»

«L'Imam me lo ordinò. Non chiesi per quale motivo.»

Ahmad pescò e mise la carta nel suo mazzo con la tranquillità serafica che non ci si aspetterebbe da qualcuno che abbia appena confessato l'omicidio dell'amico di una vita. Lucius gli sorrise di nuovo.

«Sai, Ahmad, di notte in notte mi rendo conto che dopo averti conosciuto non sarò mai più in grado di fidarmi davvero di una persona gentile.»

La risata di Ahmad, limpida e avvolgente, si propagò nella stanza mentre le sue dita scure dispiegavano le carte sul tavolo in un chiaro segno di vittoria.



1 Letteramente “matrimonio di godimento”, è istituto matrimoniale sciita. Si tratta di un matrimonio a tutti gli effetti , si differenzia dal matrimonio islamico a noi maggiormente noto soprattutto per la durata prefissata ( un mese, un anno, due giorni).

Note dell'autrice:

Eccoci al terzo capitolo. Non ho molto da dire. Ho messo una nota dove mi pareva strettamente indispensabile ma se qualcuno volesse segnalarmi altri punti del testo in cui sono necessari chiarimenti si senta libero e anzi pienamente incoraggiato a farlo.

Un bacio ai miei fedeli recensori e anche ai lettori silenziosi.

 

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Capitolo 4
*** Terza notte. ***


Terza notte.

Gaza, 5 Gennaio 2009

 

L'atrio del palazzo di periferia confessava da subito allo sguardo di chiunque entrasse tutta la propria squallida miseria, malamente arredato da una cassetta per le lettere comunitaria in truciolato di bassa lega e da un portaombrelli in plastica, tentava inutilmente di riconquistare un grammo di dignità tramite una pianta ben tenuta ma di scarso potere estetico. L'intonaco si era crepato in vari punti e la moquette lisa e stinta non sarebbe stata degna di essere calpestata da dei mocassini Bottega Veneta nemmeno nei suoi giorni migliori; questo non impedì al visitatore di incamminarsi lungo la scala dal corrimano traballante fino al pianerottolo altrettanto inospitale e proletario del secondo piano. Afferrò la maniglia e ascoltò attentamente tutti i suoni incomprensibili e le parole gutturali che vagavano nell'aria, rese ancora più estranee dalla cacofonia che l'arabo aveva sempre avuto alle sue orecchie. Erano voci di ragazzi, tuttavia Lucius sapeva che Ahmad era lì, lo sapeva con la stessa inspiegabile certezza che lo portava a trovare sempre coloro che conosceva, non importa quanto andassero lontano o quanto disperatamente cercassero di fuggire da lui, prima o poi raggiungeva sempre una porta dietro la quale attendere di sentire la loro voce.

«Devi meditare ancora molto o pensi di entrare?»

Se non fosse stato troppo stupito per la tranquillità con cui Ahmad gli si era rivolto in latino, probabilmente avrebbe sorriso, mascherando con l'orgoglio di aver avuto di nuovo ragione il piacere di sentire una voce che considerava ancora, nonostante tutto, amica.

Aprì la porta e una flotta di ragazzini schiamazzanti fluì fuori dalla stanza, quasi travolgendolo prima di sciamare via lungo le scale. Non perse tempo a disprezzarli ed entrò, trovandosi faccia a faccia con Ahmad per la prima volta dopo più di duecento anni.

Rimasero a guardarsi in silenzio per quasi un minuto come se non avessero nulla da dirsi, sul volto l'abbozzo privo di imbarazzo di un sorriso.

«Con quella barba sembri un terrorista.»

Ahmad rise perché aveva quasi dimenticato la sicurezza con cui Lucius era solito saltare i convenevoli arrogandosi il diritto di entrare nelle notti degli altri senza chiedere permesso.

«Ti aspettavi diversamente? Tu al contrario mi deludi, ti immaginavo con un giaccone di pelle da motociclista e ti presenti qui come un principe azzurro in completo Armani.»

«Ho anche quello, ma credimi, rende molto più difficile saltare i controlli all'aeroporto.»

«Hai persino tagliato i capelli.»

Nel dirlo si avvicinò sollevando il braccio in un disinvolto invito ad accomodarsi che Lucius accolse prontamente. Fece qualche passo nella stanza e si guardò intorno con rassegnato disappunto. Aveva visitato e soggiornato in molte delle dimore di Ahmad imparando a non aspettarsi più mobili del minimo indispensabile nel regime di massimo risparmio possibile, ragion per cui l'unico tavolino scheggiato e lo sgabello di plastica bianca gli risultarono familiari nonostante non li avesse mai visti.

«Perché vivi sempre, inevitabilmente, in una topaia?»

Ahmad si limitò ad allargare le braccia con un sorriso e, ricordando un secolo e mezzo di recriminazioni simili, fu sul punto di confessargli che trovava piuttosto divertente quel suo lato snobista, considerato che aveva disprezzato ciascuna delle sue case nell'esatta misura in cui tendeva a gravitarvi intorno.

«Se hai intenzione di trasferirti da me di nuovo posso comprare un altro sgabello

«Per Castore no! Non un altro appartamento vuoto. Dannazione Ahmad, cos'hai contro i mobili?»

Ahmad rise, conosceva Lucius da secoli, ma quella era una delle pochissime domande che gli avesse posto seriamente con inequivocabile desiderio di conoscere la risposta e, nonostante la forte tentazione di lasciarlo inappagato, non trovò un vero motivo per negargliela.

«Preferisco possedere solo cose che posso portare facilmente con me.»

Lucius distolse la sua attenzione dal tavolino e fece spallucce come se la risposta non lo soddisfacesse affatto, ma fosse in qualche modo accettabile date le circostanze.

«Allora sbrigati a prenderle. L'autista ci aspetta e c'è un cambio per te in macchina.»

Nel dirlo gli posò distrattamente una mano sulla spalla prima di dirigersi verso la porta, si aspettava, probabilmente, di essere seguito senza troppe storie perché il commento di Ahmad lo colse alla sprovvista.

«Tutto qui?»

«No, dobbiamo anche prendere un aereo fra due ore.»

«Non intendevo questo, Lucius.»

Si voltò verso Ahmad e chinò la testa leggermente a sinistra come gli era proprio nei momenti di grande perplessità, normalmente Ahmad ne avrebbe riso rinfacciandogli l'infantilismo con aria sorniona, ma questa volta non vi fu alcuna benevolenza nella sua espressione o nelle sue parole.

«Non hai altro da dirmi? Qualcosa come: Come stai, Ahmad? Come hai passato questi secoli, Ahmad? Come pensi di fronteggiare l'invasione della striscia, Ahmad? Ho sentito che il mio creatore desidera ucciderti, posso aiutarti in qualche modo, Ahmad?Vorresti seguirmi verso una destinazione qualsiasi...»

«...Londra» lo interruppe Lucius cercando, senza successo, di arrestare quel flusso di sarcasmo tagliente in cui non riusciva quasi a cogliere l'usuale ironica dolcezza.

«quel che è. Vorresti venire, Ahmad? Sei impegnato in altre cose, Ahmad? É troppo chiederti di farmi da spalla ancora una volta, Ahmad?»

«Perché continui a ripetere il tuo nome?»

Non era un vero interrogativo, solo l'appunto infastidito dello studente di retorica, e non era interessato alla risposta, Ahmad lo sapeva, ma gliela diede comunque perché quello, in fondo, era il punto a cui voleva arrivare fin dal principio.

«Per ricordarti che non sei l'unica persona nella stanza.»

«Lo so. Ho dovuto affrontare otto ore di viaggio. Le ho fatte per cercare te».

Ahmad rimase sbigottito perché, sebbene fosse avvezzo alle frasi ad effetto con cui Lucius adescava le ragazzine, quella che aveva pronunciato era quanto di più simile ad una sincera dichiarazione d'affetto che avesse mai udito da lui. Venne colto da un sospetto.

Avanzò verso Lucius che rimase immobile a guardare la sua espressione fiera e indecifrabile farsi sempre più vicina, impegnato a tal punto nel confronto di sguardi che non reagì quando Ahmad gli posò le mani sul petto né quando queste sciolsero i bottoni e si infilarono fra gli abiti, frugandovi minuziosamente come fossero in cerca di qualcosa. Solo dopo aver chiuso la destra intorno ai suoi occhiali da sole Ahmad sorrise.

«Curioso, per un attimo ho pensato che nascondessi un'anima nella tasca interna della tua giacca firmata.»

Lucius avrebbe riso di gusto se, scemata la tensione, non fosse tornato pienamente consapevole della vicinanza di Ahmad. Era profondamente sollevato, tuttavia, per cui non si ritrasse limitandosi a sospirare pesantemente.

«Perché devi starmi sempre così addosso?»

Chiunque altro avrebbe colto il sottile invito a scostarsi, ma non Ahmad che rimase impassibile con gli occhi e le labbra piene di quella benevolenza irridente che gli riservava quasi dal loro primo incontro.

«Non sono io quello che ha fatto otto ore di viaggio per cercarti.»

«Non sono io quello con le mani in mezzo ai tuoi vestiti.»

«Ti dà fastidio?»

No, non gliene dava, non in sé quantomeno; negli anni era divenuto avvezzo ai modi di Ahmad, imparando a leggerli all'interno del codice di condotta che apparteneva loro. A infastidirlo era l'evidente, seppur assurda, impossibilità di far capire al membro di una delle culture più omofobe della terra che alcune delle sue innocenti manifestazioni di amichevolezza, pienamente accettate in quella cultura, erano tacciate come ambigue e guardate con sospetto, se non da tutte le altre, almeno dalla maggior parte di quelle che avevano attraversato insieme.

«No, ma gradirei essere avvisato se avessi intenzione di baciarmi.»

Ebbe la soddisfazione di poter ghignare guardando Ahmad tirarsi indietro con una fugace, impercettibile, smorfia. Anticipò sarcasticamente la sua risposta.

«Se stai per dire che la sodomia è peccato, posso ricordarti che non sei esattamente un uomo? O sbaglio?»

Uno splendido luccichio rabbioso attraversò gli occhi di Ahmad prima che tornasse a sorridere infilando rapidamente gli occhiali da sole rubati dal suo taschino.

«Ora sembri la via di mezzo fra un rapper ed un terrorista.»

Lo sembrava davvero ed era ridicolo quanto bello, anche se questo Lucius, che in tutta la sua vita non aveva mai lodato altri che sé stesso, preferì non dirglielo.

«Vieni con me.»

Né una richiesta né un ordine, piuttosto una curiosa emissione di fiato a metà strada fra i due: un compromesso fra l'incapacità di abbassarsi a chiedere e l'inopportunità del pretendere.

Ahmad desiderò per un attimo rimanere nascosto dietro gli occhiali da sole e non doverlo affrontare a viso aperto, ma al contrario del suo compagno lui era un uomo adulto per cui li sollevò, poggiandoseli sul capo, e lo guardò negli occhi. Non disse nulla, ma Lucius capì lo stesso.

Capì, certo, per la frazione di secondo necessaria a indurirgli l'espressione, poi tuttavia, si comportò come era solito fare con le cose che lo turbavano: fece finta di nulla.

«Dovrò presentarti dei fratelli e dovremo ucciderne altri. Soprattutto dopo tanti secoli sto finalmente per...» ma, qualunque cosa stesse per dire, si interruppe perché lo sguardo di Ahmad, penetrante e dispiaciuto nel contempo, non era tale da lasciarsi ignorare.

«Perché?» lo chiese a bassa voce ma ad Ahmad parve che avesse urlato.

Sorrise mestamente perché già sapeva che Lucius non avrebbe potuto, o forse voluto, comprendere. Lo spiegò lo stesso con la calma paziente con cui affrontava, almeno per lo più, le intemperanze dei suoi amici.

«La Umma ha bisogno di me qui.»

«Quella1 chi?»

Ahmad aggrottò le sopracciglia per un istante prima di avvedersi dell'incomprensione e riderne appena, trovandola significativamente simbolica della difficoltà del discorso che si accingeva ad intraprendere.

«Mi conosci da secoli ed io parlo la tua lingua con un accento indistinguibile dal tuo. Ti è tanto difficile, non dico comprendere, ma quantomeno riconoscere la mia?»

«Irrilevante.»

A ben guardare non lo era affatto, ma Ahmad scelse di lasciar correre perché, sebbene fosse abbastanza idealista da scegliere di combatterla comunque, non era così sciocco da aprire più fronti in una guerra che immaginava persa in partenza.

«Sono certo avrai notato essere in corso l'invasione delle terre della mia gente. Non posso andarmene, è mio dovere combattere.»

Lucius chiuse gli occhi coprendosi le palpebre con indice e pollice della mano sinistra in un gesto che Ahmad aveva imparato ad associare all'estremo tentativo di mantenere la calma.

«Sei consapevole del fatto che questo è assolutamente assurdo, vero? Tu sei nato al Cairo oltre ottocento anni fa; cos'hai a che spartire con gli abitanti della striscia di Gaza?»

«Non è evidente? Sono miei compagni nella fede, sebbene per la maggior parte sunniti, e la comunità dei fedeli deve venire al primo posto in circostanze come questa.»

Stava semplificando, ovviamente, ma non era importante; voleva solo che Lucius capisse e la smettesse di guardarlo con quell'aria allucinata che gli faceva sembrare gli occhi più grandi e luminosi di quanto non fossero già.

«Tu non avresti fatto lo stesso per lo Stato?»

Ahmad sapeva poco di Roma, ma si appigliò comunque a quel poco che aveva appreso, cercando un paragone che gli permettesse di avvicinare anche solo approssimativamente l'altro al suo punto di vista. Contrariamente alle sue aspettative Lucius rise, perché Ahmad ci credeva. Cicerone e tutti gli altri buoni avevano vinto; il mondo credeva alla loro bugia di buoni costumi e gratuito amor patrio. Pensò che avrebbe dovuto raccontarlo al proprio creatore alla prima occasione, lui era sempre stato l'attore migliore di quella recita ipocrita.

Rise, dunque, ma di un riso amaro la cui acredine si trasferì alle parole che lo seguirono.

«Non dire sciocchezze! Ahmad, per Ercole, sono solo vene che tu prosciughi! Non devi loro niente, non sono niente!»

«Lucius...»

Gli si era rivolto con dolcezza, troppa forse, perché l'altro perse violentemente ogni compostezza e, accompagnando le proprie parole con un movimento rapido e deciso degli avambracci, gli gridò contro.

«Non usare quel tono con me! Non sono uno dei tuoi mocciosi!»

Ahmad gli sorrise quietamente con la pacatezza di chi è abituato a mantenere la calma, specie quando chi ha intorno la perde, e si avvicinò a Lucius di quel tanto che serviva per abbassargli delicatamente la mano destra.

«Dici sempre di non gesticolare con entrambe le mani2

La rabbia di Lucius si sciolse suo malgrado in una perplessa contrarietà e dovette constatare per l'ennesima volta come fosse difficile adirarsi davvero con Ahmad. Stancamente lo fissò negli occhi.

«Dimmi solo perché.»

Ahmad si trovò a pensare che Lucius aveva la stessa immatura predisposizione a ricondurre a sé gli altri che caratterizzava i bambini. Come gli allievi della sua scuola coranica non avrebbero mai immaginato la sua vera natura perché incapaci di figurarsi una sua vita lontana dalle loro, così Lucius era incapace di prendere in considerazione Ahmad come indipendente da sé, immerso in un'esistenza propria in cui lui irrompeva come elemento fra altri, sprovvisto di quella centralità e importanza che si attribuiva indebitamente. Avrebbe potuto dargli ogni spiegazione possibile che fosse formulabile, ma non ne avrebbe ascoltata nessuna perché quella che non voleva capire era la verità più profonda sottesa al suo rifiuto; quella che Ahmad si trovò a sussurrare stringendogli la mano.

«Perché io non ti appartengo.»

Lucius non disse nulla; rimase chiuso per un lungo momento in un silenzio immobile come se le parole di Ahmad lo avessero trasformato in una statua di sale dai lineamenti perfetti e lo sguardo ardente.

Le labbra gli formicolarono per l'impulso di contraddirlo urlando e le dita per il desiderio di colpirlo. Non fece nulla, però, perché quello era Ahmad, non Valeria, e se lui avesse cercato di imporsi con la forza non si sarebbe limitato a chiamare un aiuto sempre troppo premuroso nel fornire protezione, avrebbe reagito con la violenta determinazione che lo caratterizzava quando decideva di mettere da parte da gentilezza. Per trascinarlo con sé contro il suo volere Lucius avrebbe dovuto combatterlo e anche se lo avesse vinto, schiacciandone la volontà con la propria, non avrebbe ottenuto quello che era venuto a cercare. Lo voleva, ma non così tanto. Così se ne andò senza aggiungere altro e Ahmad glielo lasciò fare, come se non fosse importante.

Ci sarebbero stati mille motivi per richiamarlo indietro e altrettante cose da dirgli: di smetterla di comportarsi come un bambino viziato incapace di venire a patti con la sconfitta; di crescere e accettare che ci sono cose che non si possono avere, non importa quanto ardentemente le si desideri; di guardare in faccia la verità piuttosto di chiudere gli occhi e farsene pugnalare alle spalle; di accorgersi che, contrariamente a quando si ostinava a credere, non era lui il centro di gravità dell'universo. Tuttavia non disse nulla, certo che le sue parole non avrebbero raggiunto Lucius nella pozza stagnante delle sue amarezze e del suo possessivo egoismo. Perciò si limitò ad osservare la sua figura elegante allontanarsi lungo le scale, anche se non poté esimersi dal lanciargli un'unica raccomandazione prima che svanisse dalla vista.

«Non fare cazzate.»

Lucius non si voltò e non gli rispose, ma alzò la mano in cenno di saluto e Ahmad sospettò che la preoccupazione che aveva tradito con quelle poche parole avesse avuto più successo di quelle che aveva scelto di tacere.



 



1 Ahmad dice “ Umma” la comunità dei fedeli, ma Lucius capisce “ Ulla” ovvero “quella” che è la parola latina più simile. Ovviamente la frase gli pare senza senso.

2 Per gesticolare con entrambe le mani l'uomo romano dovrebbe gettarsi la toga sulle spalle, il gesto era mal visto.

Note:
Grazie di essere arrivati sino a qui. Con questo capitolo ci addentriamo nella seconda parte della storia. Come potete notare mi sono permessa un consistente salto temporale; ci sono diversi motivi, il principale è che ho scritto tutto questo per un concorso che mi dava un tetto di 15 pagine.  Ovviamente sono accadute molte cose fra questa notte e la precedente, nessuna di queste particolarmente rilevante nel raccontare la storia dell'amicizia di Lucius e Ahmad, anche se tutte abbastanza rilevanti per chi volesse raccontare la storia del vampiro Lucius o del vampiro Ahmad presi separatamente l'uno dall'altro. Spero che tutto questo non tolga piacevolezza alla storia.
Questo, tra le altre cose, è il mio capitolo preferito.
 

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Capitolo 5
*** Quarta e Quinta notte. ***


Quarta e Quinta notte.

 

Lione 3 febbraio 1560

 

Lucius lottò disperatamente perché la voce cantilenante di Ahmad non lo trascinasse verso la veglia; cercò di aggrapparsi al suo sogno e al tepore in cui l'aveva immerso, ma a poco a poco si accorse che tentando di afferrarlo ne accelerava la fuga e, inseguendolo, l'aveva già dimenticato. Accettò di aprire gli occhi solo quando l'ebbe perso del tutto, permettendo al mondo reale di prendere forma alla luce tremula di una candela. Voltò il capo lentamente e cercò Ahmad con lo sguardo, percorrendo all'inverso il sentiero che quei suoni molesti facevano per raggiungere le sue orecchie, trovandolo intento a prostrarsi a ritmo con la sua preghiera insulsa, apparentemente del tutto inconsapevole di aver turbato il suo riposo.

Lo stoppino della candela doveva essere sul punto di soffocare nella cera la propria fiammella, perché le ombre guizzavano sul viso ovale di Ahmad, giocando con i suoi lineamenti marcati fino a conferire una bellezza misteriosa all'aria solenne che assumeva pregando.

Rimase a fissarlo in silenzio per un po', ancora troppo assonato per stupirsi di quanto trovasse quella vista rassicurante, poi iniziò a chiamarlo dapprima piano poi con veemenza, convinto che non fosse fra i diritti di Ahmad quello di non accorgersi del suo sguardo. Ahmad tuttavia era più bravo di lui ad ignorare la sua voce, abile a tal punto che, se non l'avesse saputo impossibile, Lucius si sarebbe fatto cogliere dal dubbio non l'avesse sentito affatto.

Non desiderava alzarsi per reclamare l'attenzione che gli era dovuta, così si stropicciò gli occhi e aspettò con svogliatezza irritata che Ahmad smettesse di dondolare, si decidesse a voltare il capo, a destra e a sinistra, per poi alzarsi e riporre il tappeto. Quando infine lo fece gli si rivolse tranquillamente, come se fossero già addentro da qualche minuto ad una piacevole conversazione.

«Continui a pronunciarlo male Lucius. Non è Amad, è Ahmad.»

Sorrise divertito nel dirlo e Lucius, in risposta, scosse una mano a suo indirizzo come cercando, con quel gesto ancora assonnato, di disperdere la puntualizzazione nell'aria sottile quale cosa di poco conto.

«Suvvia Lucius non è così difficile. Devi poggiare la lingua alla faringe. Ah, Ah, Ahmad.»

Lucius odiava essere trattato da bambino e normalmente si sarebbe risentito, tuttavia Ahmad era così buffo in quel momento, con una mano sulla gola per mostragli da dove emettere i suoni e l'altra con il palmo rivolto verso l'alto come ad incitarlo a tentare, che entrambi scoppiarono a ridere.

Lucius non l'avrebbe ammesso mai, ma amava il suono allegro della risata di Ahmad, l'impressione fuggevole di essere fonte e parte di quella gioia; così si ritrovò a perdonargli d'averlo svegliato nel cuore del giorno. Mentre allontanava da sé il motivo di quella subitanea assoluzione, la candela si esaurì del tutto, lasciandoli silenziosi in un'oscurità fitta e tiepida. Udì il pagliericcio schiacciarsi rumorosamente e percepì il movimento d'aria causato da Ahmad nel gettarsi pesantemente sul letto accanto al suo. Il frusciare sgradevole della stoffa glielo fece immaginare raggomitolarsi scompostamente sotto la coltre come l'aveva visto fare qualche volta. Quando il rumore cessò Lucius si accorse,o forse percepì, che Ahmad stava per addormentarsi senza dire altro, senza preoccuparsi minimamente del perché l'avesse chiamato, insistentemente e con tono rabbioso, fino a poco prima. Gli parve, quella, una sconsiderata imprudenza, uno scellerato eccesso di fiducia.

«Ahmad.»

«Meglio, ma devi aspirare un po' di più.»

Aveva già un tono assonnato e Lucius desiderò tenerlo sveglio, per punirlo.

«Non hai paura che possa ucciderti nel sonno?»

Ahmad sistemò il cuscino prima di rispondere.

«No.»

Lucius rimase senza parole per un attimo, stupito dalla sbrigativa sicurezza della risposta, avvedendosi che non solo Ahmad non aveva mai, neppure per un momento, dubitato della saggezza di dormire nella stessa stanza, ma, anche dopo la sua domanda, era pienamente risoluto a chiudere gli occhi e immergersi in un sonno profondo. Glielo impedì parlandogli ancora.

«Perché no?»

Ahmad sbuffò leggermente e Lucius sentì nel suo sospiro gli indizi del fastidio, ne sorrise silenziosamente nel buio.

«Non avresti più nessuno a sopportarti.»

Non c'era traccia di sarcasmo nella voce di Ahmad, solo la dura enunciazione di un dato di fatto venata appena da una scocciata benevolenza, e Lucius registrò l'affermazione ignorandone volutamente la verità. Forse Ahmad sospettava l'avrebbe fatto perché aggiunse, sicuro anche se assonnato: «Neanche tu hai paura».

Non ne aveva difatti, non perché si fidasse di Ahmad, semplicemente l'idea che il suo compagno riuscisse a ucciderlo nel sonno era per lui del tutto inconcepibile, degna, forse, di essere considerata per un istante solo per essere scartata poi con assoluta noncuranza.

«Quindi non pensi che io possa tradirti?»

Non poteva vedere l'espressione di Ahmad, ma lo conosceva abbastanza per immaginarla; gli occhi rivolti verso l'alto e l'abbozzo di un sorriso esasperato sul volto; quasi distinse i suoi pensieri maledire a gran voce la sua insistenza.

«Lucius...»

«Lo pronunci perfettamente, ma non è una risposta.»

Dal rumore della coperta intuì che Ahmad dovesse essersi voltato del tutto verso di lui, lo sentì prendere un profondo respiro.

«Ti dirò cosa penso, così poi mi lascerai dormire. Un giorno ti offriranno qualcosa perché tu mi tradisca, qualcosa che desideri, tu sarai tentato, ti domanderai se io potrò mai perdonarti, non saprai darti una risposta, e mi tradirai lo stesso.»

C'era qualcosa di surreale nel sentirgli fare un'affermazione del genere con quel tono pacato e privo di risentimento, quasi il solo tratto di quell'evento che potesse turbarlo fosse il tempo sottratto al sonno per pronosticarlo. Lucius ne sarebbe rimasto sbigottito se non avesse saputo che Ahmad, a dispetto dell'aria gentile e amabile, era duro e insensibile almeno quanto lui.

«E mi perdoneresti?»

Lucius non avrebbe saputo dire da dove provenisse il desiderio di saperlo, tuttavia aveva posto la domanda senza curarsene affatto, come sempre impermeabile a qualsiasi tipo di introspezione.

«Non vedo perché dovrei dirtelo.»

Il tono deciso, anche se ironico, e il rumore del suo voltarsi dall'altra parte fecero intuire a Lucius che Ahmad considerava chiusa la conversazione. Tentò di opporsi chiamandolo una, due, cinque volte, ma Ahmad era bravo ad ignorare la sua voce, tanto bravo che riuscì ad addormentarsi malgrado i suoi sforzi. Lucius prese in considerazione di sporgersi dal proprio materasso per scuoterlo, ma l'irritazione per essere stato ignorato venne erosa dal sonno, così lasciò perdere: non tornarono più sull'argomento.

 

Londra 13 Aprile 2009

 

Quasi cinquecento anni dopo, in una strada poco frequentata della periferia suburbana di Londra, Lucius non poté fare a meno di ricordare quel gesto mancato e, ricordandolo, di pentirsene mentre si trovava a domandarsi, senza riuscire a rispondersi, se Ahmad avrebbe mai potuto perdonargli quello che stava per fare.

Messalla attendeva la sua risposta con la severa nobiltà che Lucius non aveva mai capito se gli fosse stata connaturata in vita o avesse mutuato nel tempo dalle statue che lo raffiguravano. Forse, pensò, era solo un' impressione data dalla fronte alta e dalle piccole ma profonde rughe che si affollavano numerose a lato dei suoi occhi.

«Non ho tutto il tempo del mondo Lucius, a casa c'è qualcuno che mi aspetta.»

Sorrise senza calore mentre la sottile allusione si insinuava in un punto scoperto, ricordando, nel contempo, quale posta fosse stata messa in gioco. Lucius si concesse un secondo per odiarlo prima di rispondergli.

«Il vampiro che cercate si chiama Ahmad. Ahmad ibn Nadir ibn Sa'id ibn Fu'ad al-Misri al-Mansur Nur al-Din.»

«E c'è ancora chi osa lamentarsi della lunghezza del mio nome completo

Lucius ricordò di aver fatto a propria volta dell'umorismo sull'argomento a suo tempo e se ne irritò, fu sul punto di precisare che Manius Valerius Maximus Corvinus Messalla non fosse comunque poi così breve e fosse anzi, in proporzione, più lungo rispetto a quello di Ahmad, tacque però, pensando che in fondo non avesse importanza.

«Dovrai in ogni caso dirmi qualcosa più di un nome, per quanto lungo possa essere.»

Un'utilitaria rossa svoltò alle spalle di Messalla e Lucius si soffermò a fissarla, decise che aveva una leggera sfumatura di violetto, poi riportò lo sguardo sul volto perfettamente controllato e simmetrico del proprio creatore, cercando di non lasciarsi irritare dalla calma sarcastica che sfoggiava. Rispose, perché infondo non c'era molto altro da fare.

«Ha circa novecento anni, era un assassino da vivo ed è un assassino da morto, uccideva altri uomini per la fede e ora uccide altri vampiri per denaro.»

Messalla annuì sobriamente invitandolo a continuare.

«Può assumere qualunque fisionomia e, come avrete potuto constatare voi stesso, questo è molto efficace quando non si vuole essere identificati facilmente.»

«Conosci il suo vero aspetto?»

Lucius sorrise amaramente; Ahmad non aveva mai diviso con lui il tormento che la risposta a quella domanda doveva portargli e a lui non era mai importato particolarmente, tuttavia scelse di non consegnare quel dolore al proprio creatore, perché non potesse goderne.

«Quando non è in incognito si mostra al mondo come un uomo sulla trentina dalla carnagione olivastra e i tratti arabi. Volto ovale, naso dritto e regolare, occhi piccoli e vivaci ovviamente scuri. Atletico. Un bell'uomo. Se il suo vero aspetto è un altro io non lo conosco.»

Messalla non sembrò scorgere la sua menzogna, perché annuì di nuovo prima di estrarre un piccolo orologio da taschino dalla giacca per controllare quanto mancasse all'alba. Lucius si avvide che era a carica manuale e trovò davvero ironico che l'uomo che si fregiava di aver portato la prima meridiana a Roma utilizzasse un oggetto così antiquato, poi notò l'incisione “Con affetto. Valeria” e distolse rabbiosamente lo sguardo.

«Dove si trova?»

Ripensò al loro ultimo incontro, al fatto che Ahmad avrebbe dovuto essere lì con lui dove non ci sarebbe stato alcun bisogno di tradirlo. Messalla chiuse l'orologio con un gesto secco e Lucius immaginò la dedica luccicare per un istante al lume del lampione. Decise che non avrebbe più permesso che lui gli portasse via nessuno. Ahmad gli apparteneva, checché ne dicesse, e lui non l'avrebbe consegnato a Messalla; non l'amava, questo no, ma era suo e lui non glielo avrebbe dato. Non gli avrebbe dato niente, si sarebbe ripreso tutto e gli avrebbe lasciato solo cenere.

«Non vedo come potrei saperlo su due piedi. È un tipo che si muove spesso.»

Messalla sollevò un sopracciglio ma non contestò la risposta.

«E che tipo sarebbe?»

«Amabile. Vi piacerebbe: pietà, virtù e onore. Rispettoso con gli anziani, responsabile con i bambini, galante con le donne»

Ahmad avrebbe aggiunto, Lucius lo sapeva, “paziente con gli arroganti” e nel dirlo avrebbe sorriso a suo indirizzo. Si morse le labbra accorgendosi di averlo fatto al posto suo.

Messalla lo fissò con una vaga curiosità, come se avesse viso formarsi sul suo viso un'espressione di cui non lo immaginava capace.

«Posso chiedere cosa rappresenta per te?»

Lucius lo fissò negli occhi, sospettando che vi fosse un qualche piacere perverso a spingere il suo creatore a fingersi alle volte così ipocritamente cortese da chiedere permessi che si sarebbe preso comunque qualora gli fossero stati negati.

Molti anni prima aveva risposto ad una domanda simile asserendo Ahmad fosse uno stato del suo spirito, ma il suo creatore era un uomo concreto e non avrebbe potuto riproporgli la stessa veritiera frivolezza con successo.

«È un mio amico.»

Sul volto di Messalla si aprì un sorriso tagliente che illuminò i suoi lineamenti di malizia. Parve a Lucius che avesse lo sguardo crudele di chi è amato sopra ogni cosa.

«Era un tuo amico

Messalla era bravo a scagliare come frecce parole amare e Lucius si lasciò colpire mantenendo il proprio volto calmo e noncurante.

«Mi perdonerà.»

Lo disse con voce ferma, ostentando una sicurezza che non provava, spingendosi con la propria erculea volontà a credere nelle parole che pronunciava; Ahmad lo avrebbe perdonato perché era quello che faceva sempre, doveva perdonarlo, e lui avrebbe sbattuto quel perdono in faccia al proprio creatore, dimostrandogli che non poteva più rubargli niente.

«Io non credo».

Lucius non si soffermò ad esaminare quell'eventualità; era ridicola e spaventosa. Rispose la prima cosa che gli venne in mente.

«Nel caso, sopravviverò.»

Il sorriso di Messalla si fece ancora più affilato, il suo sguardo ancora più pungente.

«Ah, Lucius, Lucius, e poi ti domandi perché nessuno ti ami.»

 



Ecco qui, dopo averlo sentito nominare più volte ci troviamo faccia a faccia con il creatore di Lucius. Messalla, lo confesso, è un personaggio realmente esistente (anche se ovviamente dubito che ora sia un vampiro intento a tessere infide trame), tuttavia ho sempre nutrito una certa simpatia per questo console e dato che dell'ultima parte della sua vita non si sa poi molto mi sono presa la libertà di decidere cosa sia stato di lui.  Spero che possa perdonarmi  XD
Putroppo, come ho detto nelle note al primo capitolo, sono stata costretta a tagliare molte cose della storia generale per poter raccontare in modo soddisfacente quella di Lucius e Ahmad in 15 pagine Word, quindi, accorgendomi che non avrei potuto spiegare perchè Messalla voglia Ahmad morto senza ridurmi ad un vigliacchissimo infodump ho preferito lasciare la cosa nel vago.
Perchè invece Lucius voglia vedere Messalla in cenere credo sia possibile evincere mettendo insieme i vari pezzi disseminati nel corso della storia  (o anche semplicemente vedendo che personcina amabile sia).

Il prossimo capitolo sarà l'epilogo.  Un bacio a tutti/e.

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Epilogo.

 

Londra 16 novembre 2014

Lucius aprì gli occhi e un volto sfocato prese forma dinnanzi a lui; non era quello di cui aveva sognato durante il suo lungo sonno: niente orecchie minuscole fra boccoli scuri e nessuna alabastrina perfezione di lineamenti, solo piccoli occhi neri su un viso olivastro distinto da un naso marcato. Nonostante tutto non poté fare a meno di trovare quell’apparizione adeguata, accogliendola con uno stanco sorriso.

«Ahmad.»

Il suono gutturale lasciò le sue labbra in un sussurro non privo di dolcezza e Lucius se ne stupì, poiché non vi era nulla di dolce in Ahmad mentre, chino su di lui, gli premeva contro il cuore un paletto di frassino, gli occhi pieni di gelida, irrevocabile condanna.

Sotto quello sguardo collerico, la gola riarsa dalla polvere, Lucius parlò di nuovo pronunciando a fatica parole dal sapore di cenere.

«Quindi era un no.»

Tentò di sorridere di nuovo e, anche se le labbra gli si spaccarono nel tentativo, Ahmad rivide dinnanzi a sé il fantasma di mille ghigni beffardi e di un unico sorriso sincero. Spinse leggermente il paletto nella carne disseccata di Lucius e avvicinò il proprio viso al suo.

«C’è qualche ragione per cui dovrebbe essere altrimenti?»

Lucius fu sul punto di rispondere “perché io ti piaccio”, desiderando che la tensione di Ahmad si sciogliesse in un sorriso ironico, nell’ennesima constatazione divertita della sua presunzione; tuttavia sospettò che Ahmad, lento all’ira ma perseverante nella collera, non si sarebbe prestato ad una riconciliante evocazione di quel loro antico adagio.

La paura non donava a Lucius, al fascino misterioso dei suoi occhi scuri, e Ahmad si compiacque di essere riuscito ad evocarla, sebbene mista a qualcosa che lo disturbava e che sapeva non poter essere rimorso.

«Non gli ho detto dove trovarti. Non gli ho detto della maledizione.»

Spinse il paletto un poco più a fondo.

«Devi perdonarmi. Devi!»

«Devo?!»

In tutti i secoli che avevano trascorso insieme Lucius non l’aveva mai sentito gridare, mai a pieni polmoni, mai con il volto deformato da una rabbia tanto evidente e, con un moto di rancorosa frustrazione, capì che Messalla aveva ragione: Ahmad non lo avrebbe perdonato, l’aveva perso così come aveva perso Valeria quella notte di tanti secoli prima in cui l’aveva strappata alla sua famiglia; li aveva persi e non li avrebbe più riavuti indietro.

Tacque e desiderò la morte.

Ahmad sollevò il paletto e glielo conficcò con violenza nella gola, trapassandola da parte a parte, fino a fracassare la punta di legno contro il fondo del sarcofago.

Lucius annaspò, un grido inarticolato soffocato tra le sue corde vocali lacerate, e Ahmad si ritrasse pur senza distogliere lo sguardo. Non c’era nessun motivo per risparmiarlo, tranne, forse, il sospetto che la morte fosse una punizione insufficiente.

«Sei morto, Lucius.»

Lasciò andare il paletto e Lucius con esso.

«Per me, sei morto.»

La frase parve stagnare nella stanza per un istante prima che Ahmad si allontanasse, andandosene senza voltarsi indietro, e Lucius tentò di negarla, di costringere il proprio corpo privo di sangue a muoversi, la propria voce a raggiungere Ahmad lungo le scale, ma era debole, troppo debole per fare altro che scivolare nuovamente in un profondo, amareggiato, torpore.


 



Confesso di non sapere bene cosa dire, anche se ho l'impressione che essendo le note all'ultimo capitolo dovrei dire qualcosa. Innanzitutto vi ringrazio di essere arrivati sino a qui, in particolar modo gli spiriti gentili che hanno recensito puntualmente. Spero che la conclusione non vi abbia delusi e la storia nella sua unità vi sia piaciuta.
Sono stata stuzzicata da alcuni a scrivere ancora qualcosa su questi personaggi, magari raccontando quanto sono stata costretta a tagliare: non dico di essermi convinta ma è un possibiltà che non escludo a priori. Anche perchè il finale è in qualche modo aperto.

Alla prossima e un bacio, ora torno al discorso per la discussione della tesi che mi sta facendo venire le crisi d'ansia.

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