Emerald City Confidential: Another Side

di Feel Good Inc
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


1

 

 

 

 

 

 

 

Le condizioni di Trot erano peggiorate all’improvviso, quando gli ultimi raggi di sole erano sbiaditi e le luci della città vi si erano sostituite, scivolando sul molo verso le barche all’attracco. Il respiro strozzato della ragazza aveva riempito di colpo l’aria polverosa; la lanterna tremava già, ma questo nuovo sussulto aveva quasi spento la fiamma.

Era bianca come un lenzuolo. Bill le teneva la mano, sentendola bollente e sudata e piccola, soprattutto, molto più piccola di quanto si sarebbe aspettato. A volte dimenticava che – da quasi quarant’anni – il loro tempo scorreva così lentamente. Brutta cosa, la vecchiaia.

Lo stoppino resisteva a stento. Bill non osava alzare lo sguardo dal viso di Trot per verificare da quante ore il delirio andasse avanti. No, non si sarebbe mosso di lì, non finché la febbre non fosse scesa: le pezze bagnate già si accatastavano nel punto più lercio del pavimento, ma la lotta continuava, senza vincitori né vinti.

« Forza, bambina. » Era tutto quel che riusciva a biascicare di tanto in tanto, dietro la pipa spenta, a denti stretti. Non era mai stato bravo con le parole. « Non mollare. »

Anche Trot farfugliava, ma i suoi mormorii erano ancora più vuoti e casuali.

Il marinaio resisté e insisté al suo fianco. Erano venuti fuori da mille guai, insieme. Ma non si era mai ritrovato a temere per la vita di Trot. Non era mai stato così impotente. Ed era incredibile quanto facesse male.

 

 

 

Il pub era vuoto: di questi tempi gli affari non andavano affatto bene. Dietro il bancone, Ruggedo puliva i bicchieri con un panno di un colore indefinito, rimuginando sulla propria meschina condizione – era dunque a questo che si era ridotto il famoso e terribile Re degli Gnomi? Patetico – e alzò gli occhi solo quando la porta del locale sbatté forte, lasciando entrare un soffio di notte alle spalle di Capitan Bill.

« Ehi » disse meccanicamente, con un cenno del capo. Poi si concentrò sulla sua espressione devastata e sul suo atteggiamento nervoso: persino la gamba di legno tremava come una foglia. « Tutto bene? »

Il vecchio aveva uno sguardo perso, folle. Zoppicò con fatica fino al banco e si lasciò cadere di peso su uno sgabello. Ruggedo si ritrasse appena.

« Mi serve aiuto » ansimò Bill. « La ragazza. Trot. Sta male, molto male. Le alghe... La licenza... »

Ruggedo riempì una pinta e gliela passò. « Fammi un favore: comincia dall’inizio. »

Capitan Bill bevve come un assetato. Ruggedo si chinò in avanti, puntando i gomiti sul bancone, scrutando le gocce ambrate farsi strada tra quelle rughe di uomo mortale. In tanti anni di vita a Oz, l’evidente intensità di sentimenti di certe creature non aveva mai smesso di stupirlo. Magari negli Gnomi non c’era abbastanza spazio per la paura e l’amore insieme.

Oh – sorrise tra sé – se Kaliko avesse potuto sentirlo, di certo gli avrebbe detto che non era vero.

La birra parve fare il suo dovere; il marinaio abbassò il boccale, si passò il dorso della mano sciupata sulle labbra e tirò un profondo respiro.

« Grazie » borbottò. Aveva gli occhi rossi come braci. « Ho bisogno del tuo aiuto, Ruggedo. Sei l’unico che può aiutare la mia bambina. »

« La ragazza che porti sempre con te su quel rottame di barca? »

« Lei. »

Ruggedo strinse gli occhi. Il silenzio di Bill dopo un’evidente critica ai propri mezzi di sostentamento era piuttosto eloquente. « Che le è successo? »

« Avvelenata. Credo. » Aveva ripreso a tremare, ma stavolta il suo sguardo rimase fermo. « Una settimana fa abbiamo ricevuto una grossa ordinazione di erbe medicinali. Siamo andati a est seguendo il Fiume Munchkin... Abbiamo trovato quelle strane alghe blu... A Trot piacevano, ha detto che erano un colore diverso in mezzo a tutto questo verde. Un modo per ricordarci del mare. »

« Va’ avanti. »

Capitan Bill si passò una mano sul volto stanco. « Non so. Non so cos’è successo. È cominciata due giorni dopo. La febbre, la nausea. Stanotte l’ho lasciata addormentata, ma... Per Lurline! L’ho già vista stare male in California, ma qui mai. Non pensavo che qualcuno poteva ammalarsi in questo posto. »

« Questo posto non è più una favola, Bill. »

« Già, l’ho capito. »

Ruggedo riprese in mano straccio e bicchieri. « Bene. Allora che vuoi da me? »

Capitan Bill alzò gli occhi e lo fissò come se lo vedesse per la prima volta.

« Tu... Tu devi aiutarmi. Io non ho la licenza di maneggiare la magia e... senza Glinda... » Deglutì, come se le parole gli costassero uno sforzo immenso. « Voglio dire, sappiamo tutti chi sei e quello che hai fatto. Eri un grande stregone. Dev’esserci qualcosa che puoi fare per Trot. »

« L’hai detto: lo ero. » Il bicchiere stava per finire in pezzi, tanto la stretta si era fatta forte. « Fin dalla guerra, quando mi ha illuso di darmi asilo per imprigionarmi in questo immondezzaio luminoso, la vostra adorabile piccola Ozma mi ha strappato tutto – potere, magia e credibilità. Tu non hai la licenza? Io meno che mai. Hai sbagliato persona, vecchio. »

« Non... Non può essere. » Bill incespicava sulle parole, ma lo sgomento non gli impedì di aggrapparglisi al gomito. Ruggedo lo fulminò con lo sguardo, solo per scoprirsi ricambiato di nuovo da quella luce di follia. « Tutti parlano di te, tutti... Dicono che hai ancora qualcosa che... Dicono... Io ti sto implorando! »

Ruggedo strappò via bruscamente il braccio. Il bicchiere gli cadde di mano e finì in mille pezzi sul pavimento. Capitan Bill scivolò in avanti, faccia sul banco, e rimase lì a singhiozzare come un bambino.

Lo Gnomo gli voltò le spalle.

« Hai sbagliato persona » ripeté, quasi a se stesso. « Qui ci vengono solo i disperati. Tu non puoi permetterti di esserlo, se hai qualcuno da salvare. »

Il sibilo della seconda pinta che si riempiva coprì i singulti del marinaio.

 

 

 

Faceva caldo e faceva freddo. Non si sentiva il corpo e lo stomaco le faceva male da morire. Non era più sicura di niente; solo, quando aveva aperto gli occhi, aveva capito che Capitan Bill non c’era.

Trot era una di quelle persone abbastanza assennate da non lasciarsi mai ottenebrare del tutto: pur nella febbre, pur nel vortice di ombre che le danzava in testa, sapeva che era andato a cercare aiuto, e che l’unico aiuto cui potesse aver pensato era di natura magica. Non poteva permettere che si mettesse nei guai per salvare lei. Se la sarebbe cavata. Erano venuti fuori da mille guai, insieme.

Era stata la ragione a farla alzare dal letto e scendere dalla barca – ma era stato il delirio a guidare i passi successivi.

Faceva freddo e faceva caldo. Non si sentiva le braccia e le mani le sudavano. Non era più sicura di niente; solo, non poteva lasciare che Capitan Bill si mettesse nei guai per lei.

 

 

 

Jack tirò su il colletto, come aveva visto fare agli umani che uscivano di notte, e affondò le dita nodose nelle tasche. Le strade semibuie della Città di Smeraldo si stendevano vuote all’eco dei suoi passi.

Era cambiata, quella città. Era stata la guerra a cambiare tutto – tutti gli Oziani lo dicevano, sì, ma forse neppure loro si rendevano conto di quanto le cose fossero diverse. Un tempo non ci sarebbe stata nessuna insegna a illuminare i vicoli; non ci sarebbe stato nessun vicolo a inquietare i viandanti notturni; non ci sarebbero stati viandanti notturni in cerca di affari per tirare avanti.

Un tempo non c’era il commercio, ma la magia.

Jack non pensava spesso a queste cose. Quelli come lui, che ai più parevano stupidi perché non avevano una testa degna di tale nome, non avevano alcun ragionevole diritto di preoccuparsi del nuovo regime instaurato dalla Regina, né del fatto stesso che adesso non fosse più Ozma ma ‘la Regina’: un puro titolo, freddo e senz’anima. Eppure in quel momento, nell’intrico di stradine che portava al molo, sentì il proprio sorriso caricarsi di amara ironia. Erano cambiate tante cose, e lui, maledizione, avrebbe sempre avuto quella sua strampalata natura a ricordargli tutto ciò che Oz aveva perso.

Le poche stelle non riuscivano a schiarire la fila di barche attraccate, ma ai suoi occhi finti il buio non aveva colore. Eccola lì: la terza da sinistra. Jack si mosse più spedito, avvertendo stavolta un senso di fierezza nel ghigno che un vecchio coltello gli aveva inciso in volto. Stupido, eh?

Era già quasi sul ponte quando comparve la figura.

Si fermò imprecando a mezza voce. Ruggedo gli aveva assicurato che per quella sera Jinjur se ne sarebbe stata alla larga dal molo. Non che temesse l’idea di un confronto con una qualunque guardia – era pulitissimo, come sempre – ma un inconveniente del genere gli avrebbe fatto perdere del tempo prezioso. D’altro canto la sagoma in piedi sul molo non sembrava ricondursi a nessuna guardia reale di sua conoscenza: era troppo minuta. Se non altro questo escludeva sicuramente Tik Tok.

Jack rimase immobile al suo posto, cercando il tono più disinvolto delle corde vocali che non aveva, per ogni evenienza. Ma non ci fu nessuna conversazione. La figura traballò un po’ verso di lui, mise un piede in fallo e d’un tratto cadde lunga distesa a terra, cogliendolo di sorpresa.

« Per Lurline! » imprecò tra sé.

Poi ancora silenzio. Restò lì per qualche istante, sospettoso: cosa doveva fare? Andare ad aiutare quello che poteva essere un poveraccio, rischiando invece uno spiacevole incontro? Oppure tirare dritto e continuare a cercare l’uomo di cui aveva bisogno?

Fu il singhiozzo a scuoterlo. Un singhiozzo arido, tremulo, che si portava dietro una voce di ragazzina – una voce familiare.

« Bill... »

La schiena di legno di Jack s’irrigidì più di quanto non fosse già. Un solo pensiero – un nome – gli traversò la testa.

Ozma.

Senza averlo programmato, corse da lei e si chinò al suo fianco.

Non era Ozma. Sembrava più giovane, e aveva capelli più chiari e vesti più umili, e anche se aveva gli occhi chiusi Jack li immaginò più luminosi. Gli ci volle un po’ per riconoscerla: come si chiamava la bambina che era andata a vivere a Palazzo assieme a Dorothy, tanti anni prima? Trot, giusto?

Ma sì, la figlia adottiva di Capitan Bill... dell’uomo che era venuto a cercare.

La osservò a lungo, combattendo con un crescente senso di frustrazione. Tutto questo tempo, tutte queste differenze, e ancora il pensiero di Ozma era in grado di fargli tutto quel male. Non avrebbe dovuto permetterselo. Lui non era un rammollito. Era sopravvissuto anche senza di lei; era andato avanti. Non aveva bisogno della ragazza allegra e sorridente che una volta era semplicemente se stessa e che gli voleva bene come a un fratello. Se l’era ripetuto ogni volta, ogni singola volta che aveva rischiato di cedere – eppure eccolo lì, a correre verso una ragazzina con la segreta speranza che si trattasse di lei. Ridicolo.

Distesa sul fianco, il viso seminascosto tra i capelli, Trot sembrava febbricitante. Jack non era esattamente dell’umore giusto per preoccuparsi della salute di chicchessia, e d’altro canto da un pezzo aveva smesso di curarsi degli altri; tuttavia c’era un che di profondamente sbagliato nei brividi che scuotevano quel corpo esile, avvolto da una giubba da marinaio troppo grande. La studiò ancora, dubbioso.

Trot aprì gli occhi di scatto. Li puntò su di lui, mostrandogli che erano sì luminosi, ma velati. Le labbra le tremarono convulse mentre si sforzava di articolare di nuovo il richiamo di un minuto prima.

« B-Bill?... C-Capitan Bill? »

Jack avrebbe voluto alzarsi e filare, davvero. Ma, andiamo, non poteva lasciarla così. Era una ragazzina, per amor di Lurline – e no, non c’entrava il fatto che gli avesse ricordato Ozma, non c’entrava per niente.

« No. Sono Jack. Jack Testa di Zucca, ricordi? Ci siamo conosciuti quando lo Spaventapasseri ti ha portata a Oz. »

Trot non reagì, non sembrò riconoscerlo in alcun modo. Jack esitò ancora per un attimo, ma alla fine la sollevò tra le braccia e s’incamminò verso la barca di Bill, la terza da sinistra.

Trot gli si rannicchiò addosso, stringendo forte la sua camicia e sussultando come se piangesse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

 

Contesto: Emerald City Confidential, un videogioco punta-e-clicca prodotto da Adventure’s Planet, che ridipinge Oz in chiave noir introducendo argomenti impegnativi come la malavita. Poiché non si tratta di una rivisitazione o di una rilettura, bensì di un eventuale futuro degli avvenimenti dei romanzi di Baum, ho ritenuto più opportuno postare questa storia qui, come una otherverse, che non piuttosto nella categoria Videogiochi > Altro. Anche perché ho mantenuto moltissimi riferimenti ai libri – ad esempio l’accenno a Kaliko, il nuovo Re degli Gnomi che nel gioco non è assolutamente mai menzionato.

(Bando alle formalità, cari lettori: ve lo consiglio davvero. Sarà che conoscendo i retroscena dei personaggi ho potuto apprezzare ogni minima allusione alle versioni originali, ma io ne sono rimasta conquistata. For Lurline’s sake!)

 

I. Capitan Bill e Trot sono arrivati a Oz nel nono volume della saga, The Scarecrow of Oz. Bill è un vecchio marinaio dall’espressione piuttosto sgrammaticata (ergo quel non pensavo che qualcuno poteva ammalarsi in questo posto: omettendo il congiuntivo cercavo di mantenere l’IC, anche se rendere l’idea in italiano è molto più difficile di quanto pensassi); Trot è una ragazzina di buona famiglia cresciuta con lui condividendo i suoi viaggi per mare. In Emerald City Confidential sono passati quarant’anni dalle vicende del primo romanzo e, poiché a Oz il tempo funziona in modo diverso che sulla Terra, Trot ha l’aspetto di una diciotto-diciannovenne (in realtà dovrebbe avere quasi cinquant’anni!).

 

II. Canonicamente parlando, Ruggedo è Roquat, il Re degli Gnomi detronizzato nell’ottavo volume dei Libri di Oz (Tiktok of Oz). Nel videogioco gestisce un pub alla Città di Smeraldo, poiché durante la guerra contro i Fanfasmi – avvenimento che ha sancito il cambiamento del mondo di Oz, dove la magia è stata rimpiazzata dal commercio e in molti casi dal contrabbando – gli è stato concesso asilo politico dalla Regina Ozma. Non ha la licenza di esercitare la magia, ma ha un certo ‘metodo’ per aiutare i disperati.

 

III. Jack Testa di Zucca è, nei romanzi di Baum, un personaggio allegro, ingenuo e positivo, mentre in Emerald City Confidential è diventato un contrabbandiere sarcastico e sprezzante [un figo. L’ho detto ]. Questa storia si propone anche e soprattutto di indagare su cause e conseguenze di una tale evoluzione.

 

Gli avvenimenti di questo primo capitolo, per quanto idealizzati, sono più o meno canonici – infatti la protagonista del videogame, la detective Petra, indagando su Capitan Bill a un certo punto scoprirà di un periodo in cui Trot si è gravemente ammalata, e...

E lo saprete presto, se mai vorrete seguirmi.

Thanks for reading,

Aya ~

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Capitolo 2
*** 2 ***


2

 

 

 

 

 

 

 

Ombre, macchie, ombre.

Si ritrovò nel letto all’improvviso, come se si fosse appena svegliata. Aveva sentito quelle mani strane scendere ad aiutarla, e sulla guancia il contatto liscio e freddo di un petto magrissimo in cui non batteva nessun cuore – ma i suoi sensi dovevano essersi persi, a un certo punto, perché d’un tratto era di nuovo sola e faceva più freddo di prima.

L’uomo però era ancora lì. Trot lo distinse confusamente, nella penombra, con la vaga consapevolezza che la sua testa non aveva una forma normale. Era sicura di conoscerlo, ma doveva essere un ricordo di un sacco di tempo fa.

« Va meglio? »

Sentiva le parole, ma non era in grado di dar loro un senso. Erano solo altri suoni incoerenti nelle orecchie che le ronzavano. Tenne gli occhi spalancati, sperando che parlasse ancora e di riuscire a capirlo. Era stato gentile con lei... Avrebbe tanto voluto riprendersi abbastanza da ringraziarlo.

« Bill non c’è, vero? Sai dirmi dov’è andato? »

Trot si concentrò. Bill. Sì, certo: le stava dicendo che Bill sarebbe tornato presto! Cercò di sorridere. Macchie, ombre, macchie.

L’uomo – ma era un uomo? – si era fatto più vicino. Di nuovo la ragazza lottò per mettere a fuoco le sue dita, che parevano della stessa forma e consistenza dei rametti secchi, mentre lui le scostava i capelli dalla fronte. Era sempre più sicura di averlo conosciuto, in un tempo molto più felice...

All’improvviso quelle dita buffe fuggirono via, l’uomo parve allontanarsi, e Trot sbarrò gli occhi e gridò di terrore. Saltò su a sedere con un’energia della quale non si sarebbe detta capace, in quelle condizioni, e si sporse nel buio per rifugiarsi ancora sul suo petto vuoto.

« Non lasciarmi » articolò, senza sapere se le parole si fossero formate o meno.

L’uomo era a un soffio da lei. Non si lasciava toccare, ma a lungo rimase là immobile, come in attesa. Alla fine la spinse di nuovo giù, lentamente, coprendola col lenzuolo umido senza più sfiorarla.

« Cerca di dormire, Trot. »

Forse fu il sentirsi chiamare per nome: si scoprì più cosciente, capì le sue parole, e allo stesso tempo seppe anche chi era.

Ma non ebbe il tempo di rallegrarsene. Tornarono le ombre e poi le macchie e poi ancora le ombre, e dovette chiudere gli occhi, anche se sapeva che quando li avrebbe riaperti Jack Testa di Zucca non sarebbe stato più lì.

 

 

 

La porta si aprì e si richiuse per la seconda volta. Ruggedo lanciò un’occhiata in quella direzione. Fu con una certa sorpresa che squadrò il suo secondo cliente di quella notte.

« Bene, bene, bene... La cassa piange come al solito, Rug? »

Di tutti gli sconclusionati personaggi che a tutt’oggi battevano la Città di Smeraldo, Jack era forse il più sconclusionato di tutti. Lo raggiunse dondolando un po’ sulle gambe lunghe e secche, con quell’aria che non si riusciva mai a distinguere se fosse tonta per davvero o per finta, quegli inutili vestiti tesi sul corpo dalle proporzioni sbagliate – tutto, di lui, irritava Ruggedo. Non era altro che un pupazzo, un ammasso di rami e una zucca per testa, messo insieme per spaventare i polli. E dire che c’era stato un tempo in cui persino quello spauracchio malriuscito aveva avuto più autorità di lui.

L’unica soddisfazione, si disse con un ringhio interiore, era la consapevolezza che entrambi si erano ridotti ad essere lo stesso desolante nulla.

« Be’? » Jack arrivò al bancone, vi si appoggiò con un gomito affilato e gli sbatté in faccia il solito sogghigno. « C’è poco movimento, o sbaglio? Come vanno gli affari? »

Ruggedo continuò imperterrito a strofinare il lavabo con una pezza ruvida. « Non andranno da nessuna parte, se a frequentare questo posto saranno sempre unicamente quelli come te. »

Jack reclinò giocosamente la zucca. « Mi ferisci, vecchio mio. »

« Bah! Come se potessi sanguinare. » Strizzò la pezza in un secchio e levò lo sguardo. « Parliamo chiaro, Jack. Non credo che tu sia venuto qui di persona tanto per farti due risate alle mie spalle, e non certo per consumare qualcosa. Non avevi da fare al molo, stanotte? »

« Non devi sorprenderti che io venga a trovarti » fece Jack in tono leggero, la zucca ora voltata verso un punto alla sinistra di Ruggedo, « se trattieni qui con te la gente di cui ho bisogno e la fai ubriacare. »

Ruggedo sbuffò. Non era mica colpa sua se Capitan Bill, dopo la delusione, aveva preferito affogare il dolore nell’alcool. A sua volta osservò brevemente il marinaio accasciato alla parte opposta del bancone, il più lontano possibile dalla porta, con in mano l’ennesimo boccale: era in uno stato di gran lunga peggiore di quello in cui gli era comparso davanti, solo un’ora prima.

« Evidentemente i tuoi amici preferiscono la mia birra alla tua compagnia. »

« Lieto di sapere che la reclusione non ha spento il tuo senso dell’umorismo. »

Lo Gnomo lo studiò con gli occhi socchiusi. « Che ti serve, Jack? »

Jack trafficò con una tasca dei pantaloni e spinse sul banco, sotto il suo naso, un mucchietto di smeraldi scintillanti.

« Solamente un po’ di discrezione. Non hai in cantina qualche vecchia bottiglia da lucidare con mooolta cura? »

 

 

 

Trovare Bill era stato più facile del previsto. Se la ragazza stava male, non ci voleva certo l’intelligenza del buon vecchio Spaventapasseri per capire che l’ultima spiaggia sarebbe sempre stato il Re detronizzato degli Gnomi.

Approfittare di lui – e questo lo s’intuiva dallo sguardo vacuo, dalla mascella cascante e dal fatto stesso che era ricorso a Ruggedo – sarebbe stata una passeggiata.

Quando lo Gnomo fu scomparso oltre la porta della dispensa, Jack afferrò uno sgabello e lo trascinò accanto al marinaio.

« Ehilà, capitano. È un bel po’ che non ci si vede. »

Bill lo guardò come se non lo vedesse, senza rispondere.

A cavalcioni sullo sgabello, Jack smise di dondolarsi appena si rese conto che un tempo si dimenava così sul Cavalletto di Ozma. Assunse una posizione più consona alla sua nuova indole sfacciatamente sprezzante.

« Ha l’aria di essere una cosa seria » proseguì, accennando ai residui di birra nel boccale, sulle labbra e sulla giacca di Bill.

Il Capitano strizzò gli occhi, come per metterlo a fuoco.

« È per Trot, vero? »

Bill si animò di colpo. Tirò un singhiozzo, asciutto e sonoro, digrignando i denti verso nessuno in particolare.

« Non posso fare niente. » La voce impastata non riusciva a modulare tutti i suoni; Jack aveva sempre trovato singolare il modo di esprimersi di certe persone venute da Fuori – Dorothy Gale era tra queste – ma una sbronza come quella non sembrava venir loro in aiuto. « Non posso fare niente per lei, nessuno può. Non si sa che ha. È un veleno che non ho mai visto prima. Se solo il Mago fosse ancora qui! E neanche Ruggedo... »

Soffocò, tossì, sputò sul bancone. Jack gli passò il fazzoletto che aveva con sé, impassibile.

Per qualche minuto si limitò ad osservare gli sforzi di Capitan Bill di ripulirsi e di rimettersi in sesto. Be’, aveva visto la ragazza coi suoi occhi, e non poteva proprio dire che il vecchio stesse esagerando – né che avesse sbagliato indirizzo. Da quando la magia era stata dichiarata illegale, nei bassifondi Ruggedo era diventato una sorta di raggio di speranza: si diceva che, malgrado l’asilo forzato nella Città di Smeraldo, avesse ancora la possibilità di scagliare qualche fattura; era piuttosto ovvio che si corresse da lui in casi come quelli, quando la scienza non si dimostrava all’altezza di certe situazioni. Jack dubitava che lo Scarabeo o lo stesso Spaventapasseri sarebbero stati più d’aiuto al vecchio marinaio che un incantesimo ben riuscito o un amuleto per la salute.

Un amuleto?

Il sorriso della zucca non poteva certo allargarsi, ma la sua impressione fu proprio quella, al rendersi conto che l’aveva in pugno.

« Bill. Bill, amico mio. Credo proprio di poterti aiutare. »

Bill alzò lentamente la testa. Le pupille parvero illuminarsi.

Per qualche motivo, Jack trovò sgradevole ammettere che quegli occhi erano molto simili agli occhi di Trot.

« Ma » si riprese, « in cambio... »

Fu interrotto dalla stretta sorprendentemente salda che di colpo gli ghermì il nodo che gli uomini chiamavano polso.

« Tutto. Qualunque cosa. Farò qualunque cosa per salvarla! »

La gente che sapeva ancora amare era così prevedibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

 

La narrazione dei missing moments continua, ma tra non molto inizierà il fangirlamento il mio personalissimo viaggio mentale.

Come accennavo, molti anni dopo (nel presente del videogioco), Petra scoprirà che Jack e Bill sono entrati in affari proprio nel periodo in cui Trot è stata male; io mi sto solo bellamente inventando il contesto, ed è naturale che ciò riguardi anche quelle conseguenze che Emerald City Confidential non ci ha raccontato xD E poi, ripeto, è un’occasione per indagare su Jack. Questo videogame mi ha fatto capire quanto lo adoro, in ogni versione che se ne sia data

Un milione di grazie a chiunque mi stia seguendo, rendendomi felice e ancora una volta orgogliosa (magari a torto, chi lo sa!) di infestare uno sfigafandom.

Aya ~

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Capitolo 3
*** 3 ***


3

 

 

 

 

 

 

 

Esser fatti di una sostanza inumana – e instancabile – aveva molti vantaggi: Scraps non chiudeva praticamente mai il negozio. Peccato però che i clienti, notturni o no, fossero così pochi. Per fortuna il Leone le aveva lasciato un giornale con cui ingannare il tempo.

Aveva imparato a leggere quando ancora viveva a Palazzo, con l’aiuto del suo buon amico lo Spaventapasseri: la prima volta si era esercitata con il menu personale di Ozma, e le bambine avevano riso molto dei suoi errori. Erano stati giorni felici. Le piaceva, di tanto in tanto, lasciarsi andare con un sorriso ai ricordi dei lunghi anni intercorsi tra il momento in cui Margolotte e il Dottor Pipt l’avevano chiamata alla vita e quello in cui i Fanfasmi avevano dichiarato guerra alla Città di Smeraldo. All’epoca tutti pensavano che le favole non finissero mai.

Ma la realtà era purtroppo ben diversa. La guerra aveva distrutto l’equilibrio di Oz; Ozma si era ritrovata di colpo a dover crescere, e lo Spaventapasseri a dover prendere molto sul serio il proprio ruolo di consigliere reale, e le bambine a poco a poco non avevano riso più. Il vecchio gruppo di amici si era disgregato e alcuni si erano del tutto allontanati dalla Città di Smeraldo. Molti non si erano più visti.

Scraps scorse le pagine distrattamente, fermandosi ogni due o tre righe a riflettere sul senso di una parola – anche questo, prima, non succedeva – e lasciandosi appena sfiorare dalle solite notizie di fuorilegge incastrati da Jinjur o da Tik Tok. Forse prima o poi tra quelle pagine sarebbe comparso anche il suo nome. Ridacchiò. Una novità era sempre la benvenuta, oggigiorno.

La porta si aprì così all’improvviso da farla sussultare. Il giornale le scivolò via dalle mani di cotone, planando dall’altra parte del banco e direttamente ai piedi del personaggio che era entrato.

« Oh, Lurline... Da quando ti interessi di politica, Scraps? »

Sulla soglia, chino sulla pagina centrale del quotidiano, se ne stava uno di quei vecchi amici che si erano staccati da Ozma nel modo più definitivo. Scraps lo fissò attonita per qualche istante prima di scoppiare in una risata.

« Jack! È un secondo che non ci si vede!... O volevo dire un secolo? Oh, non importa. Come stai? »

Jack Testa di Zucca le rivolse un immancabile sorriso, forse un po’ più cupo di quelli che ricordava lei, quelli che incideva Ozma tanto tempo prima. Avrebbe voluto farglielo notare, ma qualcosa le suggeriva che non era una buona idea.

« Splendidamente » le rispose, raccogliendo il giornale e avvicinandosi al bancone. « La campagna è proprio il posto giusto per me. Lo sai com’è, amo l’aria aperta. »

« Oh, lo ricordo molto bene. »

Jack si appoggiò al piano e sembrò studiarla. « Mi sembrava che fossi più... colorata. »

Scraps si spazzolò amorevolmente il vestito di patchwork. « La mia vecchia lana cominciava a sfilacciarsi... o a scolorirsi? Oh, non importa. Così la Zia Emma ha cucito per me questa nuova forma. Diceva che poi sarei stata molto più femminile, qualunque cosa volesse significare. Ha mescolato un po’ di cose e poi Dee le ha ricoperte di Polvere della Vita. Ti piaccio di più, così? »

« Mi sei sempre piaciuta molto più di quanto io piacessi a te » sorrise lui, strappandole un’altra risata festosa e un ‘ooh, Jack!’ deliziato. Poi sprofondò nel silenzio.

Era davvero molto tempo che mancava dalla Città. Scraps non avrebbe saputo dire come si sentisse in quel momento, ma comunque non gliene importava; come lei, come tutti loro, Jack aveva fatto una scelta – certo non andava biasimato per questo.

« Anche tu sei cambiato » gli disse, sinceramente impressionata dal suo nuovo aspetto. « Sei molto più... come si dice?... affascinante. »

« Non avrai pensato che mi sarei tenuto per sempre quegli stracci raccattati da Ozma in una vecchia capanna... »

Il gelo improvviso rese lugubre la risata cava di Jack, e stavolta fu Scraps ad ammutolire.

Forse era proprio questo l’intento del testa-di-zucca, perché un secondo più tardi, come se il suo silenzio lo incoraggiasse, tornò cordiale e batté allegramente le dita nodose sull’espositore dei fertilizzanti.

« Be’, Scraps, sai che adoro parlare con te, ma stanotte sono venuto qui come cliente. »

« Davvero? » Scraps batté le mani in un colpetto smorzato. « Ma è tremendo!... O volevo dire stupendo? Oh, non importa. Sono così emozionata – sei il mio primo cliente da dodici ore, quarantuno minuti e diciannove secondi, se ho contato bene. Devi comprare dei fiori? Ma allora ti sei innamorato! »

« Oh, no, non direi proprio. »

« Sei sicuro? Perché in questo caso ti proporrei un bouquet con una combinazione di... »

« Scraps... »

« ... campanule del Paese dei Munchkin e ciclamini del Paese dei Quadling, insieme sono perfetti. »

« Scraps, non mi sono innamorato. »

« Ne sei proprio sicuro? Ho anche dei girasoli dal Paese degli Winkie e... »

« Scraps. » Jack si chinò verso di lei sul banco, fissandola coi suoi occhi vuoti, stranamente serissimi. « I problemi di cuore li lascio all’Uomo di Latta, va bene? Io non amo nessuno, ho smesso di farlo quando la guerra mi ha fatto capire che l’amore non serve a niente. »

Scraps tacque.

Sentirglielo dire era molto più doloroso che limitarsi ad intuirlo.

« Ciò di cui ho bisogno » riprese Jack, senza cambiare posizione né tono, « è un rimedio magico contro i mali da intossicazione. »

Scraps si animò. « Un articolo illegale? »

« Esattamente. »

« Un attimo solo. »

Si tuffò al riparo del bancone e prese a trafficare con alcuni cassetti e scomparti segreti. Di certo era stato il Leone a dire a Jack dei suoi affari illeciti. Rise di nuovo: tra canaglie ci s’intende, giusto?

« Spiegami i sintomi, per favore. »

« Febbre e nausea continue. La causa sembra una strana alga del Fiume Munchkin. Magari è l’ennesimo esperimento fallito del Dottor Pipt. »

« Oh, è impossibile. O probabile? Oh, non importa. Ecco qui il tuo rimedio magico illegale » e Scraps riemerse faccia a zucca con Jack, stringendo nel tessuto della mano una bottiglietta di un verde semitrasparente. « È una pozione potentissima, una delle ultime studiate dal Mago prima della partenza. »

« Sapevo di poter contare su di te. » Più sogghignante che mai, Jack infilò i rametti della mano destra in una tasca e ne trasse molti piccoli smeraldi scintillanti. « Cinquecento possono bastare? »

Scraps sussultò. « Ma no, Jack, è davvero troppo, non posso accettarne tanti... »

« Non preoccuparti del prezzo. Non hai idea di quel che hai appena fatto per me. »

Jack le afferrò la mano nella sua e le nascose nel palmo quella somma da capogiro. Scraps gli donò il suo miglior gaio sorriso.

« Posso farti una domanda? »

« Devo considerarla inclusa nel prezzo? »

« Oh, è solo una curiosità. O volevo dire una necessità? Oh, non importa. Puoi anche non rispondere, se vuoi. »

Jack intascò la bottiglietta con gesti guardinghi. « Ti ascolto. »

« Be’, questa pozione... Non è che serva a te, giusto? Tu non puoi avere né febbre né nausea. E non puoi neanche bere una pozione, se è per questo! »

« Mh. »

« E poco fa hai detto che... tu non ami nessuno. Quindi da questo... bel gesto avrai sicuramente qualcosa in cambio. »

Jack si calcò il berretto sulla zucca, nascondendo quasi del tutto i buchi che erano i suoi occhi, così che rimase visibile soltanto il sorriso inquietante. « Il tuo nuovo cervello funziona alla grande quanto quello vecchio. »

« Naturale! Ecco, allora... Cos’è che stai guadagnando? Cosa c’è di tanto importante da farti andare di nuovo contro la legge? »

Jack la osservò a lungo in silenzio, come non aveva fatto mai.

In quell’istante Scraps avvertì tutto il peso del tempo che era passato e che li aveva cambiati entrambi – tutti – e seppe subito, molto prima di sentirlo parlare, che la verità era ben lontana da quella che sperava lei.

« Non si può tornare indietro, Scraps. Mai. Non può essere il passato, la ‘cosa più importante’. »

Fece un cenno di saluto con la mano, si voltò e uscì dal negozio all’improvviso com’era entrato.

Scraps abbassò lo sguardo sul giornale, di nuovo al suo posto sul banco; lasciò cadere gli smeraldi nella cassa – plin, plin, plin: si portavano via anche la sensazione delle dita di Jack – e scoprì di non avere più nessuna voglia di ridere. Chissà, magari anche lui si sentiva così.

Oh, non importa.

 

 

 

« Resisti, Trot. Resisti, piccola. »

Le pezzuole si accumulavano ancora, ma il delirio non voleva spegnersi.

Capitan Bill scosse il capo con energia per snebbiarsi la vista. Si era vergognato come un ladro quando l’uomo con la testa di zucca gli aveva detto di aver trovato Trot che lo cercava febbricitante; era tornato di corsa al molo, e aveva immerso la testa in mare per lavar via tutto l’alcool di Ruggedo, finché non si era sentito svenire; poi si era chiuso là dentro e non si era più mosso, non le aveva più lasciato la mano.

« Ce la facciamo, Trot. Una persona ha detto che può aiutarti. È Jack. Ti ricordi di Jack? Eravate amici, tanti anni fa. Ti ricordi che veniva spesso a trovare Ozma, e ti faceva tanto ridere? Eh? Ti ricordi, Trot? »

La paura e la speranza sembravano avergli sciolto la lingua. O forse erano le lacrime, anche quelle di paura e di speranza, a portarsi dietro il bisogno di parlare, di tenerla sveglia, con sé.

« Qualche volta Ozma gli prestava il Cavalletto. È stato prima di regalarlo all’Uomo di Latta. Il Cavalletto è stato lì finché noi siamo stati a Palazzo, e Jack era un vecchio amico del Cavalletto, e qualche volta gli piaceva farsi portare da lui, ti ricordi? Ti ricordi che aveva le gambe così lunghe da toccare terra? Doveva tenerle tutte rivoltate all’insù per cavalcare. Ti faceva tanto ridere, Trot. »

Trot aveva gli occhi chiusi; la mano abbandonata dentro la sua non si muoveva. Bill scosse un’altra volta la testa. Era questione di minuti, ormai... Doveva solo aspettare Jack. Solo aspettare Jack.

« Le cose sono cambiate, è vero. Noi ce ne siamo andati prima, ma abbiamo visto cos’è successo. La guerra ha distrutto questo posto, piccola, in tanti modi, ma vale ancora la pena di viverci. Non te ne andare, va bene? Non farmi questo. Non è casa mia, senza di te... »

« Oh, Bill, sei così profondo! Di questo passo mi farai piangere succo di zucca! »

Voltò di scatto la testa e, alla luce della candela, intravide di nuovo la sagoma di Jack. Si sentì più leggero, come una nave senz’ancora.

« Sei... Sei venuto. »

« Ne dubitavi? »

Le lunghe gambe della creatura attraversarono la stiva in tutta calma, e Capitan Bill rimase senza parole a guardare il loro salvatore inginocchiarsi di fronte a lui, accanto a Trot, con una minuscola bottiglia in mano.

« Eccoci qui... » Sfilò il tappo senza indecisioni, senza nessun movimento goffo delle ‘dita’ così rigide. Quando un filo di vapore indubbiamente magico si sollevò tra loro, Jack si rivolse a Bill. « Ricorda, capitano. Ho la tua parola di lupo di mare. »

Bill abbassò lo sguardo sul volto esangue di Trot. Annuì, deciso.

Jack sollevò la testa della ragazza e le accostò la bottiglietta alle labbra.

 

 

 

Era una sensazione strana, un timido calore sul palato: all’inizio parve come se le stessero lasciando scivolare in gola qualcosa, ma non si poteva bere ciò che non aveva consistenza...

Neanche per un istante provò l’istinto di chiudere la bocca. Eppure era cosciente, adesso, molto più di quanto ricordasse di essere stata da un tempo infinito – sentiva chiaramente il materiale freddo che le premeva sul labbro inferiore, così come sentiva la mano buffa che le sosteneva il collo, accarezzandole l’attaccatura dei capelli con un dito gelido, ruvido e dalla forma stranissima.

Aprì gli occhi. Vide solo forme confuse, ma quasi sicuramente quella era una zucca.

Quella notte Trot riuscì ad assopirsi del sonno profondo e benefico della guarigione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

 

Scraps compare nel settimo volume, The Patchwork Girl of Oz, ed è una sorta di bambola di pezza – creata da Margolotte, la moglie del Dottor Pipt, colui che ha inventato la Polvere della Vita che ha precedentemente ‘animato’ lo stesso Jack – che da subito instaura un buon legame con creature a lei affini, come appunto lo Spaventapasseri e Jack Testa di Zucca. In Emerald City Confidential è diventata la proprietaria di un negozio di fiori, ma per tirare avanti commercia anche articoli magici, quindi illegali, coperta dalla difesa dell’avvocato migliore (per quanto dalle zampe sporche) di Oz: il Leone. Nel gioco non c’è un’occasione in cui non si interroghi su una parola – se stia usando quella giusta oppure no. Ho visto anche questo come un cambiamento rispetto all’epoca felice di Oz, prima della guerra, quando le parole le erano invece amiche: con la caduta delle vecchie certezze, tutti i personaggi sono radicalmente cambiati. Oh, ma sentitemi, come sono sensibile. xD

 

Ed anche qui sto rispecchiando i missing moments del videogioco: dunque ora sapete che Jack ha salvato Trot, in cambio di una qualche promessa da parte di Bill.

Dal prossimo capitolo si cambia radicalmente scenario. Fino ad allora, hope you liked it!

Aya ~

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Capitolo 4
*** 4 ***


4

 

 

 

 

 

 

 

Dalle ampie vetrate del castello la vista poteva spaziare lontano, giù fino all’orizzonte che a nord si tingeva del viola del Paese dei Gillikin, a sud del rosso della regione dei Quadling, a est si fondeva coi campi blu dei Munchkin e a ovest si stemperava nella terra dorata degli Winkie. Dalla sala del trono si poteva beneficiare di ciascun panorama offerto dalla geografia di Oz; ma ormai da troppo tempo agli occhi dipinti dello Spaventapasseri ogni cosa, anche quando colpita dai primi raggi del sole, appariva triste.

Il consiglio si era protratto a lungo. La Regina aveva lasciato la sala solo pochi minuti prima, accompagnata dalle premure della fidata Jellia fino ai suoi appartamenti, lasciandolo solo con i fiumi di verbali recanti tutte le parole – elegantemente stilate dallo Scarabeo – che si erano scambiati nelle ultime ore. Oh, non era stata la Regina a ordinargli di rileggerli, certo. Aveva solo bisogno di pensieri, di cose che gli empissero il cervello impedendogli di fermarsi a pensare a quanto fosse, invece, ormai inesorabilmente vuoto.

Non era colpa del Mago. Sarebbe stato facile prendersela con lui e con la sua fuga – perché di questo si era trattato – ma anche quella, in realtà, non era che una conseguenza. Come il gelo del nuovo titolo di Ozma, dal quale tutte le cose erano discese, simili a chicchi di grandine caduti in colonne precise e dolorose. Così anche quel cervello di cui il Mago gli aveva fatto dono s’era inaridito, al vedere che, giorno dopo giorno, la stessa Oz appassiva.

Tutto faceva capo alla guerra, a un lieto fine posticcio, a una scelta risolutiva che lui non aveva mai condiviso. Ma non doveva, semplicemente non doveva pensarci. Non poteva più permettersi di essere se stesso.

Nonostante quanto era accaduto a Nick, a Shaggy, a Jack, a Palazzo c’era ancora qualcuno che aveva bisogno dello Spaventapasseri. Se consapevolmente o meno, non era dato sapere.

Il suono di passi lo sorprese nella lettura della quattordicesima pagina. Sollevò il capo in tempo per vedere la figura sgusciare oltre il portone in fondo alla sala: veniva dai giardini, nel passo svelto e deciso che ne indicava chiaramente l’identità – nessun altro, là dentro, si muoveva così... con tanta esigenza di vita.

Forse era una prerogativa degli esseri umani o forse soltanto la sua.

Lo Spaventapasseri parlò senza alzare la voce, senza neppure muoversi. Non voleva attaccarla; solamente sapere.

« Sei stata di nuovo fuori tutta la notte? »

La figura trasalì appena, ma non sembrò volersi ritrarre. L’aveva riconosciuto – lo riconosceva sempre, anche se era cambiato tutto.

Lo Spaventapasseri attese tranquillo che la ragazza tornasse piano sui propri passi ed emergesse alla penombra della sala del trono.

« Mi hai spaventata. »

« Singolare. Credevo di non aver mai spaventato neppure un corvo. »

Sorrise vagamente, fredda. « Cosa fai là seduto? Ozma non c’è. Non devi star lì come un cucciolo per tutto il tempo, sai. »

Lo Spaventapasseri rimase al suo posto, sui gradini ai piedi del trono, i fogli sparsi attorno a sé, a riflettere su come gli echi raccolti dalle alte pareti rendessero ancor più dura la voce di lei. Una volta Ozma era la sua migliore amica... Anche questo, anche lei. Tutto era dunque perduto.

« È per via di quell’uomo? »

Persino a quella distanza la vide irrigidirsi. « Che vuoi dire? »

« Nulla. Mi chiedevo se fossi stata con lui. »

Dee si rilassò. Sorrise più apertamente. « Lui è l’unico che mi faccia stare bene. Mi fa sentire... libera. »

Lo Spaventapasseri non le chiese perché si giustificasse così, senza una ragione di farlo. Solo, impilò con cura i verbali sul pavimento di smeraldo e si alzò. Nella sua cadenza morbida camminò nel salone fino a raggiungerla, finché poté vedere con assoluta chiarezza quanto i suoi occhi azzurri fossero ormai scuri, non per via del buio che precede il giorno.

Dee sostenne il suo sguardo in silenzio, ma lui non trovò la forza di sfiorarla.

« Eppure, non sembri felice. »

Il sorriso si spense. Il ghiaccio s’ispessì.

« E chi lo è? »

Lo Spaventapasseri tacque, poiché non era una domanda alla quale occorresse una risposta.

L’alba si levava ormai oltre la finestra alle sue spalle, liberando riflessi d’oro dai suoi capelli. Aveva tanto sperato di non vederla crescere. No, non si trattava del suo aspetto – sarebbe sempre rimasta se stessa, anche quando le gambe si fossero allungate e i fianchi ammorbiditi e i seni cresciuti, se solo non fosse cresciuta dentro. Le favole finiscono quando non vi si crede più. Aveva tanto sperato che lei si salvasse.

« Purtroppo hai ragione » convenne infine, riconosciuto che non c’era altro da dire.

Dee annuì brevemente, sfuggendo alla luce che cercava di circondarla. Si ritrasse ancora lungo il corridoio e gli voltò le spalle, diretta alle sue stanze.

« Ho bisogno di dormire. Buonanotte, Spaventapasseri. »

« Sogni d’oro, Dorothy. »

Lei si fermò, senza voltarsi né guardarlo. Tornò alla sua voce più dura.

« Non chiamarmi così. »

Se ne andò senza aspettare le sue scuse, nel passo svelto e deciso di chi fugge.

Lo Spaventapasseri uscì definitivamente dalla soglia della sala, affacciandosi a quel davanzale e concentrandosi sul punto in cui il verde diventava azzurro. Forse, da qualche parte nei giardini laggiù, quell’uomo stava tornando in un posto in cui i sogni esistevano ancora. Forse era per questo che lei s’illudeva di lui.

La luce del sole non aveva più nessuno da accarezzare, se non quell’ammasso di paglia e stoffa che ormai non era più in grado di accoglierla con la gioia che gli occhi scuriti di Dorothy gli avevano strappato.

Ai piedi del trono, i fogli fitti di frasi già dette e sentite giacevano dimenticati. Esistevano cose che le parole non avrebbero mai cambiato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

 

Ebbene sì. Dai che ve l’aspettavate! :D

Lo Spaventapasseri di Emerald City Confidential è molto più introspettivo e malinconico del suo originale firmato Baum ma non certo meno adorabile e si lascia andare spesso a malinconiche dissertazioni sul passato perduto; ecco perché questo quarto capitolo si sviluppa in toni così riflessivi. Dorothy, dal canto suo, ormai si fa chiamare Dee, ha l’aspetto di una scostante ventenne (per la cronaca: nella saga originale Dorothy ha undici anni, Trot dieci) e sta tentando in ogni modo di staccarsi dalla Città di Smeraldo, che, ironia della sorte, dopo la guerra non sente più ‘casa’ sua.

Nel videogioco Petra verrà assoldata proprio da Dee, perché ritrovi il suo misterioso fidanzato improvvisamente scomparso. Anzel – questo il nome dell’uomo del quale crede di essersi innamorata – è il ‘simbolo’ che Dorothy associa a una vita finalmente libera, lontana dalla freddezza del Palazzo e di Ozma, che ormai è diventata una mera figura politica e non ha più nulla del calore umano che un tempo le ha rese tanto amiche. E da tutto ciò inizia il mio vaneggiamento: con questa storia (che inizialmente voleva soffermarsi soprattutto su Jack) mi propongo ora di speculare anche sulle motivazioni dello Spaventapasseri nel fare quel che ha fatto – e prima o poi sarà chiaro quel di cui sto parlando.

Davvero, avevo giurato a me stessa di distanziarmene un attimo, ma... Oh, insomma. È lo Spaventapasseri/Dorothy, cavolo

Aya ~

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Capitolo 5
*** 5 ***


5

 

 

 

 

 

 

 

« E anche l’ultimo è sistemato! » Trot si tirò su, portando dietro le orecchie alcune ciocche di capelli sfuggite al laccio di cuoio e lanciando un ampio sorriso a Button-Bright. « Grazie, non so come avrei fatto senza di te. »

« Una sciocchezza » ribatté l’amico con un’alzata di spalle. « E poi, non avevo altro in programma da queste parti... »

« Già, tu e la tua mania di perderti » rise Trot, e accettò il suo aiuto per scendere dalla barca e saltare di nuovo sulle vecchie assi di legno del pontile.

Capitan Bill si avvicinava a loro lungo il molo, zoppicando sulla gamba di legno. Trot si portò due dita al berretto da marinaio, in segno di ironica deferenza. Bill fece un mezzo sorriso, si fermò davanti a Button-Bright e gli regalò una possente pacca sulla schiena.

« Bravo, figliolo. Ci hai fatto guadagnare un bel po’ di tempo. »

« Mi fa sempre piacere aiutare Trot. » Button-Bright si voltò a guardarla e le lasciò andare la mano, che finora aveva tenuto nella sua. « Be’, io cerco di ritrovare la strada. Ojo si starà chiedendo dove sono finito. »

Trot annuì. « Nel caso dovessi perderti di nuovo prima di sera, passa pure a trovarci! »

Button-Bright sorrise appena, salutò Capitan Bill e si allontanò senza fretta dall’attracco, mani in tasca, fischiettando tra sé e sé nella sua migliore aria svagata. Finché non fu sparito dalla strada principale, giù alla svolta per Grinetta Lane, i due marinai rimasero in silenzio.

« Bene, Bill » esordì infine Trot, girando sui tacchi per rivolgere un altro amichevole ossequio al compagno, « come hai visto il carico è a posto. Possiamo partire quando vuoi. »

Gli occhi scuri che si posarono nei suoi sembravano stranamente divertiti, come in effetti non capitava più da settimane – più o meno da quando era stata male in quel modo e l’aveva fatto preoccupare da morire, spegnendo un po’ della sua allegra vitalità. Anche se, a dirla tutta, Trot sospettava che in quella faccenda ci fosse dell’altro.

« Che cosa c’è? » domandò, poiché Bill continuava a guardarla in silenzio, masticando la pipa.

« Ma niente » rispose, « pensavo a quanto è stato gentile il ragazzo... »

« Sì, è vero! » Trot si animò. « È stata una fortuna che sia finito proprio qui. All’improvviso è sbucato sul molo e mi ha vista con una cassa sulla schiena, ed è venuto ad aiutarmi così, senza dire niente, quasi senza neppure salutarmi... »

« Tipico di Button-Bright. »

« Pensi che cambierà mai? Voglio dire, è così tanto tempo che vive qui. Non ha ancora trovato un senso dell’orientamento! »

« Non gli è mai servito e certo non gli serve adesso. » Bill aveva spostato lo sguardo sulla barca carica e pronta alla partenza, ma ora tornò a sbirciare lei, quasi di sottecchi. « È proprio un ragazzo d’oro, eh? »

« Lo dice anche il nome » annuì Trot.

« Ti piace? »

Colta di sorpresa, stavolta ci mise un po’ a rispondere, limitandosi per qualche istante a ricambiare il suo sguardo a bocca aperta.

« Ma Bill » rise finalmente, pur sentendosi arrossire, « io e Button-Bright siamo solo amici. Mi piace come può piacermi un amico strano come lui. Tutto qui! »

Il marinaio non rispose. Trot si accorse che nel suo volto segnato era tornata l’ombra di quella malinconia che sembrava averlo avvolto come un velo troppo spesso da strappare, e – per l’ennesima volta – se ne chiese inutilmente il perché.

Capitan Bill si scosse. Diede un morso più vigoroso alla pipa, zoppicò sulla passerella e salì a bordo con quell’agilità che a terra non aveva mai.

« Vieni » disse, una mano già tesa verso la cima che teneva la barca ormeggiata al molo, « è quasi mezzogiorno e abbiamo molta strada da fare. »

Trot lo seguì automaticamente, di colpo seria e preoccupata.

Ne era sempre più sicura. Bill le nascondeva qualcosa.

 

 

 

L’aria era ferma e l’acqua placida, così che la barca procedeva lentissima. Solo a pomeriggio inoltrato arrivarono al confine, lasciandosi alle spalle il Lago Quad e puntando verso l’orizzonte giallognolo della terra degli Winkie. Trot stava a poppa, gli occhi fissi sulla vecchia Torre abbandonata in cui negli anni d’oro viveva lo Spaventapasseri, colui che – Lurline, quanto tempo era passato? – aveva salvato un gruppetto di mortali da un mare di guai strappandoli al mondo chiuso di Jinxland per porli sotto la più magnanima sovranità di Ozma di Oz. A Trot, quella storia provocava sempre tanta nostalgia.

Chissà a che cosa pensava.

Il capitano stava al timone, sbuffando e imprecando contro il sole cocente, a bassa voce perché la ragazza non lo sentisse. Non aveva voluto lasciarle il comando per niente al mondo, perché solo così, dandogli le spalle, si sarebbe potuto risparmiare la vista e il pensiero dell’ennesimo di quei carichi su cui Trot – grazie al cielo – non aveva ancora fatto domande.

Non era una barca molto grande. Nella stiva c’era appena spazio per le due cuccette, la sua e quella di Trot. Del resto non era una nave destinata a solcare i mari e a vivere mille avventure – oh, era una gran bella chiatta, certo, e l’Uomo di Latta ci aveva lavorato sodo; ma per un uomo che aveva passato praticamente una vita a fare la spola dalle coste americane a quelle di tutto il mondo, limitarsi a costeggiare un lago e un solo lungo fiume era piuttosto umiliante. Persino l’aria gli mancava, il sapore di salsedine sulla pelle e sui vestiti.

Che gli era rimasto? Un mestiere che l’aveva reso l’ombra di un marinaio... e Trot.

« Ehi, Bill. »

« Mh? »

« Ma... tutte queste ordinazioni... »

Si morse la lingua e mascherò un sobbalzo. Per mille gorghi! Ne aveva di tempismo, la sua bambina.

Rimase fermo, lo sguardo fisso davanti a sé. « Che cosa, Trot? »

« Be’, niente » gli tornò alle orecchie la sua voce incerta. Dalla sua postazione la immaginò stringersi nelle spalle e osservare le file e file di casse che Button-Bright l’aveva aiutata a fissare a bordo. « Solo che... Insomma, è strano, no? Gli Winkie continuano a mandare indietro i carichi che ordinano. E dopo un po’ ce ne chiedono altri. Voglio dire, sembra quasi che non sappiano cosa vogliono. »

Capitan Bill accolse con una riconoscenza disperata la brezza improvvisa che sospinse la barca in avanti, concentrandosi per un minuto sul timone e prendendosi così il tempo di ragionare su una risposta convincente.

« Be’, ci pagano. »

Debole. Ma era pur sempre la scusa più vicina alla verità.

« Sì, certo » convenne Trot, « però... è strano lo stesso. »

Bill non disse nulla.

Intanto il Fiume li aveva addentrati nella regione occidentale di Oz, e la Torre dello Spaventapasseri pareva più vicina che mai. Con la coda dell’occhio, Bill si accorse che Trot non guardava più in quella direzione, ma verso un punto più a nord, dove si scorgeva la sommità di una costruzione bizzarra e fin troppo familiare.

« Capitan Bill? »

Il vecchio sospirò. Sapeva cosa stava per chiedergli, e sapeva da un pezzo che gliel’avrebbe chiesto. In fondo, non era di una stupida che si stava parlando, ma della sua Trot.

« Che c’è? »

« È... È Jack a organizzare questi scambi con gli Winkie, vero? »

Capitan Bill si voltò.

Trot si sporgeva dal parapetto, i capelli al vento, l’espressione assorta. Fin da quando si era ripresa abbastanza da ricominciare ad accompagnarlo, Bill l’aveva messa al corrente di essere entrato in affari con Jack Testa di Zucca, senza accennare mai alle circostanze dell’accordo o persino in cosa questo consistesse di preciso. Trot era rimasta sorpresa, all’inizio; da quando se n’erano andati da Palazzo e avevano ripreso a guadagnarsi da vivere non avevano mai avuto bisogno di soci, no? Potevano farcela da soli, ce l’avevano fatta da soli. Ma alla fine aveva valutato la cosa. Jack, aveva detto, sembrava un tipo a posto. Da bambina gli piaceva molto. Bill si era reso conto che non ricordava nulla della febbre, delle due occasioni in cui Jack era stato al suo capezzale – e aveva tirato un sospiro di sollievo. Meno particolari sapeva di quella storia, meglio era.

Ma capitava ancora che Trot si fermasse a pensare e, evidentemente, a farsi delle domande.

« Mh-mh » borbottò Bill. Di più non poteva compromettersi.

Trot lo guardò, e lui non fu abbastanza svelto da distogliere lo sguardo.

« Lo immaginavo. » Annuì appena, come se fosse giunta a una qualche conclusione – ma certo non poteva immaginare neppure lontanamente la verità. « E, Bill, puoi dirmi una buona volta cos’è che portiamo su e giù sul Fiume per conto di Jack? »

Capitan Bill masticò scrupolosamente la pipa per un pezzo. « Zucche » borbottò alla fine.

Trot sgranò gli occhi. « Zucche? »

« Zucche » confermò, a malincuore; « e ora, Trot, per favore non farmi altre domande. Quel che fanno Jack o gli Winkie è solo affar loro. Noi facciamo le consegne e basta. »

Le voltò le spalle – detestava l’idea di vederla stupita, sospettosa o, peggio ancora, delusa – e proprio in quel momento si accorse che il vento aveva allontanato la barca dal centro del fiume: ora puntava dritta contro le grosse rocce che delimitavano la sponda sinistra.

Imprecò e afferrò il timone. Alle sue spalle, Trot lanciò uno strillo di stupore.

Bill era un vero marinaio, ma il turbamento, la sorpresa e una coscienza non proprio pulita hanno la meglio anche sui migliori riflessi. La manovra non fu abbastanza veloce da impedire che il fianco della barca strusciasse contro le rocce. Una fune si ruppe e alcune casse rotolarono sul ponte, rovesciandosi ai piedi di Trot, che le salvò dalla caduta in acqua.

Assicuratosi di aver riguadagnato la giusta rotta, Capitan Bill si voltò a verificare i danni. E si sentì sbiancare.

Trot guardava con gli occhi spalancati una zucca sfuggita alla cassa che l’aveva contenuta. Si era spaccata in due: là dove doveva esserci la polpa, turbinavano nel vuoto mille scintille dorate.

 

 

 

Il Generale Jinjur percorreva a passo di marcia la riva del fiume, in un punto del lungo braccio che non era ancora il Fiume Winkie ma non era più il Fiume Munchkin, profondamente seccata.

Naturalmente non aveva nulla di cui lamentarsi a proposito del suo lavoro. Certo, in un primo momento le era parso quantomeno strano che la Regina la richiamasse dal suo ranch e la ponesse a capo della neonata Guardia Reale; ma d’altro canto gli Oziani non sarebbero mai riusciti a vincere la guerra senza il suo decisivo contributo – di questo era fermamente convinta. E la vita militare, aveva scoperto, le era mancata più di quanto avesse immaginato.

Eppure – per quanti sforzi facesse – c’erano pur sempre delle decisioni che faticava a comprendere, e talvolta persino ad accettare.

D’accordo, Tik Tok sospettava del Testa di Zucca. D’accordo, la Regina aveva molto a cuore le opinioni di Tik Tok. Ma questo era sufficiente a distaccare lei così lontano da casa, oltre il confine della capitale, ad attendere chissà quale fantomatico evento che forse avrebbe portato all’arresto di Jack? A volte aveva il sospetto che Ozma volesse testare la fedeltà delle proprie truppe.

Be’, certo che, dopo la diserzione di quella sciocca di Petra...

Le riflessioni di Jinjur s’interruppero alla comparsa della barca.

La riconobbe subito: apparteneva a quel rozzo marinaio che era arrivato a Oz grazie allo Spaventapasseri, quel Bill che per qualche tempo era vissuto a Palazzo – prima che la Regina si rendesse conto che esistevano doveri ben più importanti di quelli relativi all’amicizia. L’imbarcazione avanzava spedita lungo il Fiume, e pareva proprio che Bill avesse altro per la testa che non il timone, perché la prua era chiaramente diretta verso la riva.

Jinjur sibilò di soddisfazione. Mi toccherà multarlo, si disse, pregustando già l’urto; se non altro questa giornata non sarà stata del tutto sprecata.

Ma proprio in quel momento il vecchio sembrò recuperare la concentrazione e il controllo, limitando lo schianto a una semplice strisciata della fiancata contro le rocce. A bordo, parte del carico ruzzolò su se stessa, ma la ragazzina che accompagnava il marinaio impedì il peggio.

Jinjur sbuffò. Un’occasione persa. Tuttavia, quando vide il Capitano voltarsi e fissare un punto dietro di sé con evidente sorpresa e orrore, capì che qualcosa di più doveva pur essere successo.

E poi vide le scintille spargersi nell’aria in ogni direzione.

Trionfante, il Generale corse sulla riva fino a raggiungere l’altezza della barca, che pareva quasi essersi fermata a facilitarle il compito. Dal suo posto agitò freneticamente il braccio per attirare l’attenzione dei due.

« Capitano Bill Weedles » urlò, « se fossi in te approderei senza opporre resistenza. Ti dichiaro in arresto per traffico e contrabbando di materiale magico! »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice

 

Giuro che non sono stata influenzata dai fatti avvenuti nelle ultime settimane. Ho scritto questo capitolo due mesi fa, e solo per pigrizia e momentaneo impegno verso altre storie lo sto pubblicando con un tale ritardo. ^^’ Non pensate che approfitti bellamente delle tragedie altrui per le mie storie – non è così.

 

I. Button-Bright (Botton d’Oro) ha visitato Oz per la prima volta nel quinto volume, The road to Oz, per poi tornare a casa in America. Successivamente ha conosciuto Trot e Capitan Bill (in un romanzo di Baum dissociato dalla saga di Oz, Sky Island, che purtroppo risulta irreperibile) e nel nono volume, The Scarecrow of Oz, è tornato definitivamente alla Città di Smeraldo assieme a loro, grazie all’intervento dello Spaventapasseri che ha salvato tutti e tre dalla terra di Jinxland. Ha l’abitudine di perdersi, ritrovandosi di punto in bianco in posti in cui non ha mai programmato di andare. In Emerald City Confidential non compare mai, ma è uno dei miei personaggi preferiti e tra lui e Trot c’è davvero un bel rapporto, dunque non potevo non inserire quel pur minimo accenno.

 

II. Jinjur compare già nel secondo volume, The marvelous Land of Oz, e la prima cosa che fa è organizzare la Rivoluzione Femminile per deporre lo Spaventapasseri dal trono di Oz e prendere il suo posto. In seguito alla riabilitazione della legittima sovrana, Ozma, si ritira a vivere in un ranch e diventa una buona amica dei protagonisti della saga. Nel videogioco ci viene mostrato come la guerra contro i Fanfasmi abbia costretto Ozma a creare la Guardia Reale, richiamando ai doveri militari personaggi come Tik Tok e appunto Jinjur. Si intuisce anche che sia stata proprio Jinjur a mettere in piedi il processo contro Bill che viene più volte citato durante le indagini di Petra.

 

In sintesi, la rivelazione del capitolo è che l’accordo tra Bill e Jack per la guarigione di Trot consisteva in una società di contrabbando di magia. D’oh, lo so che l’avete capito xD, ma è solo per sottolineare che anche questo è un vero missing moment, effettivamente avvenuto prima degli avvenimenti di ECC.

Il mio viaggio mentale Jack/Trot inizierà dal prossimo aggiornamento

Aya ~

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