Yes Please

di nightswimming
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2.1 ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Note: i membri dei Muse e Tom Kirk (facciamo i membri dei Muse e basta, va’, che dopo “I would like to thank Charles Darwin” Kirky è definitivamente in da friendship) non mi appartengono, non sono miei, proprio, zero, tutto quel che segue è più falso della faccia di Patty Pravo e io non ne guadagno nulla (anche se vorrei ç_ç).
…Ho messo Patty Pravo e i Muse nello stesso periodo. That’s quite something. XDDD
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spostò il peso da un piede all’altro e tirò un lungo, nervoso sospiro davanti alla porta.
- Con tutta la scelta che c’era, proprio da quella più stronza della classe dovevamo andare? – mugolò affranto.
Accanto a lui Andy  raccolse le sue numerose treccine in una voluminosa coda e prese a fissare il campanello con aria corrucciata.
- Scherzi, Matt? Tutto torna. – Appoggiò il dito sul pulsante e lo schiacciò brevemente tre volte.
- Emma Howard ha sempre creduto di essere il centro dell’universo. Una cosa così istituzionale e ridicola come l’anniversario della maturità si poteva fare solo da lei. – spiegò in tono ragionevole.
La vide mordicchiarsi il labbro, in attesa. Matt prese a far dondolare spazientito la bottiglia di spumante che teneva in mano.
- Rievochiamo qualche storiella sul professor Harlow, ci scoliamo tutto l’alcool che riusciamo umanamente a contenere senza rimettere l’anima e prima di mezzanotte siamo a casa. Ok? –
Andy sorrise senza guardarlo, giocherellando coi propri anelli.
- Davvero preferisci quella lagna della tua fidanzata a un party in casa di Emma Howard? Mio Dio, Mattie, devi esserti proprio costretto a venire qua. – disse in tono più innocente possibile.
Lo sentì sbuffare e rovistarsi nelle tasche.
- Andy, per favore, in questo momento ci manca solo ricominciare a discutere su Kate. – Tamburellò nervosamente le dita sul muro. - Ma quanto ci mette quella stupida ad aprire?! – sbottò ad alta voce.
- Non lo so, d’altronde è sempre stata defi… Emma, mio Dio, quanto tempo! –
- Andrea, tesooooro! –
Matt piegò le labbra in una smorfia schifata. Se Andy aveva finto entusiasmo giusto il minimo indispensabile per non sembrare maleducata, Emma le era praticamente saltata al collo e le stava miagolando convenevoli commossi come se fosse davvero contenta di vederla dopo tutti quegli anni.
E ora sarebbe toccata per forza anche a lui.
- Matthew! – Sobbalzò al suono acuto della sua voce, alzando su di lei uno sguardo che sperava sembrasse abbastanza neutro. Non era cambiata per niente: sempre bionda, sempre scollata fino all’ombelico, sempre con quell’espressione sfacciata e impicciona in faccia. Lo stereotipo fatto e finito della gallina di successo, insomma. – Come sei ingrassato, Matthew! E questi occhiali? Hai optato definitivamente per il look intellettuale? –
Matt borbottò un “Merda!” sottovoce e si sfilò gli occhiali dal naso, ficcandoseli goffamente in tasca. Al lavoro era costretto a tenerli sempre addosso e per la fretta si era dimenticato di toglierseli.
- No no, io, ecco, li ho sempre od- Come stai? – Si interruppe a metà della frase, pensando che non gliene doveva fregare proprio un accidenti del rapporto che aveva coi suoi occhiali. Si scambiarono due baci sulla guancia, Matt imbarazzatissimo, lei ridacchiante come una cretina. – Ho portato dello spumante. – disse, sollevando il braccio che reggeva la bottiglia a mo’ di garanzia.
- Oooooh, ma non dovevi! Non dovevate! – Fece un passo indietro e liberò loro la via, un sorriso eccitato che le andava da un orecchio all’altro. – Dentro, dentro, che sono già arrivati quasi tutti e non vedono l’ora di vedervi! –
Sì, non vedono l’ora di ricominciare a riempirmi di coppini fino a farmi bruciare il collo. Scommetto che nel vuoto e nella noia delle loro vite di adesso gli è mancato un sacco.
Andy sfoderò il sorriso più falso del suo repertorio.
- Bene! Anche noi. – e la seguì all’interno della casa, ridacchiando quando Matt le sillabò silenziosamente “disgustoso” senza che Emma potesse vederli.
 
*
 
Matthew non era andato a casa degli Howard nemmeno una volta in cinque anni di liceo – d’altronde sarebbe mai stato possibile, lui, lo sfigato, a prendere il tè dalla ragazza più popolare della scuola?... - e fu costretto ad ammettere con una punta di fastidio che era molto bella. Il soggiorno era amplissimo e luminoso, arredato con mobili antichi che si sposavano benissimo con le vecchie stampe alle pareti e con quattro imponenti piante di beniamino poste davanti alle grandi finestre. Lì, allineati in piedi davanti a un lunghissimo tavolo di legno scuro coperto di ogni ben di dio, stavano tutti i suoi ex-compagni di liceo in piena fase di chiacchiera selvaggia.
L’inferno dantesco, praticamente.
- Guardate chi è arrivatoooo! – strillò entusiasta la padrona di casa, sventolando le braccia in aria come una tifosa particolarmente agguerrita. Matt intercettò lo sguardo già esausto che Andy aveva rivolto al cielo: ma perché doveva dire ogni cosa come se annunciasse la novità più eccitante del momento?
- Mio Dio, Bellamy, non ci posso credere. – sussurrò genuinamente stupefatto Miles Crawford, un uomo grande come un armadio che gli aveva reso impossibile il ritorno a casa per cinque terribili anni. – Sei finalmente riuscito a vincere l’anoressia? – disse, tutto soddisfatto della sua brillante battuta, stringendogli le dita fino a fargliele scrocchiare. La maggior parte dei maschi e qualche ragazza, che era oca al liceo e oca era rimasta anche alla soglia dei trent’anni, risero divertiti; Matt gli rivolse una smorfia compassionevole.
- Miles, che piacere. Vedo che invece le tue menomazioni cerebrali continuano a darti problemi. –
Andy mascherò un sogghigno vittorioso dietro al suo bicchiere di vino. Il sorriso dell’uomo si incrinò leggermente.
- Sei sempre stato uno stronzetto arrogante, Bellamy. – ringhiò, passandogli una bottiglia di birra con fare minaccioso. Matt lo ringraziò sottovoce e la alzò per un brindisi.
- E tu un gran coglione. Ben ritrovati! – disse sarcastico, e cominciò la sua opera di ubriacamento.
 
*
 
- A quanto sei? – gli sussurrò Andy con la migliore delle sue voci strascicate. Matt sbattè più volte le palpebre.
- Tre birre, mezzo litro di vino, un bicchiere di whisky. –
- Idem, più o meno. –
- Ma è ancora troppo poco. –
- Non me lo dire. Georgiana e la sua cricca di amichette imbecilli hanno appena finito di parlare dei loro figli, e io ero indecisa se mettermi due dita in gola o provare pietà nei confronti di quelle povere creature. –
Matt lasciò andare la testa contro la poltrona e ridacchiò piano, gli occhi chiusi. Andy riprese a parlare concitata, le guance rosse per l’alcool e lo sguardo stralunato.
- Ah, e Jimmy Cowell mi ha chiesto il numero di telefono! Mi ha chiesto di uscire insieme, per parlare dei vecchi tempi! Non so come ho fatto a non scoppiargli a ridere in faccia. –
Matt ora sghignazzava senza controllo. Jimmy Cowell, un figlio di papà con il quoziente intellettivo di un cucchiaino da caffè, ci aveva provato con Andy a intervalli regolari per tutti gli anni del liceo, sempre in maniera a dir poco grezza – e di fronte ad ogni puntuale rifiuto aveva reagito spargendo in giro la voce che lei era frigida e incapace persino a baciare senza lingua. Il fatto che non gli fosse ancora passata quella fissa senza speranza e che ancora credesse di avere qualche possibilità con lei dopo averle rovinato di proposito la reputazione plurime volte lo faceva piegare in due dalle risate.
- Mezz’ora e poi ce la filiamo. Non ce la faccio più. – disse, bevendo tre lunghi sorsi dalla sua quarta birra. Andy annuì freneticamente.
- Sì, per carità. Ci conviene comunque andare a parlare con- -
- Giuro su Dio, Em, è l’ultima volta che ti faccio da schiavo! –
Entrambi alzarono la testa incuriositi. Un ragazzo biondo era appena sbucato dal corridoio, portando in ciascuna mano due voluminosi sacchetti della spesa che, a giudicare dal rumore che facevano contro le sue gambe, dovevano essere pieni di ulteriore alcool.
Matt non riusciva a vedergli bene la faccia perché era coperta per metà da una pesante sciarpa ma, a giudicare dal colore dei capelli e dal tono famigliare con cui la insultava, doveva essere il fratello di Emma.
Questa gli trotterellava dietro sui tacchi alti miagolando ringraziamenti acutissimi.
- Dommie, oh, sei un angelo, grazie grazie grazie! Abbiamo già finito tutto! –
- Non ci posso credere. – sussurrò basita Andy. Matt si girò a guardarla confuso. – Cazzo, non ci posso credere! – ripetè in tono eccitato.
- Che c’è di tanto pazzesco, Andy? – chiese lui, notando che le brillavano gli occhi. Lei sospirò teatralmente.
- Dominic Howard. – tubò deliziata. Matt arricciò il naso.
- Il fratello di Emma Howard. Sì, mi dispiace un sacco per lui. – commentò, sarcastico. Andy alzò gli occhi al cielo.
- Ma dai, Matt, non ti ricordi? Ti ho fatto una testa così con lui in terza! Avevo una cotta allucinante! –
Matt riportò lo sguardo sull’oggetto della loro conversazione, che aveva appoggiato le borse sul tavolo e distribuiva bottiglie e lattine a tutti beccandosi ringraziamenti particolarmente sentiti da parte della componente femminile. Si era tolto il cappotto e la sciarpa: notò che era magro, non particolarmente alto, e che i vestiti gli stavano addosso molto bene, dandogli un’aria di elegante disinvoltura.
- Se dovessi mettermi a ricordare tutti quelli per cui ti eri presa una sbandata, Andy… - ribatté, bevendo un’ulteriore sorso della sua birra. A qualche metro di distanza Dominic ne aprì una a sua volta e si accese una sigaretta, ascoltando con un sorriso le chiacchiere dei suoi compagni di scuola. Incrociarono velocemente lo sguardo.
Ha gli occhi grigi, pensò distrattamente Matt, lo sguardo  immediatamente fisso sul tappeto per un motivo che non sapeva bene spiegarsi. Non ho mai incontrato nessuno con gli occhi grigi.
- E’ ancora più bello di quando aveva diciott’anni, se possibile. – gorgheggiò Andy con aria sognante. Matt la guardò sconvolto: era quella la stessa ragazza cinica e disinibita che usava gli uomini come fazzolettini usa e getta?
- Sei regredita a quindici anni? Vuoi rimetterti ad ascoltare gli Spandau Ballet?... – la provocò con una risata, mettendole un braccio attorno alle spalle. Lei arrossì e gli rubò la bottiglia di birra.
- Ah, sarebbe tutta fatica sprecata, comunque. – Mandò giù un breve sorso con aria afflitta, facendo tintinnare i numerosi braccialetti che portava ai polsi. – Oggi come allora. –
Matt vide Dominic fare lo sgambetto a sua sorella e acchiapparla all’ultimo prima che volasse con la faccia sul pavimento. Troppo buono.
- Perché? – chiese, sovrappensiero. Andy gli rivolse un sorriso supponente.
- Vivevi proprio fuori dal mondo, eh, Matt? Già il fatto che tu non ti ricordi di lui ha dell’assurdo. Era uno dei più popolari, a scuola. –
Lui fece un gesto con la mano che voleva dire “avrebbe dovuto importarmi qualcosa?” e lei sbuffò.
- E’ gay. – disse solennemente, come se avesse appena annunciato una terribile tragedia. “Che spreco” la sentì poi aggiungere sottovoce, finendo in un sorso il contenuto della bottiglia.
 
*
 
Matt mosse lentamente il collo avanti e indietro. Doveva subito bere qualcos’altro: l’effetto esilarante dell’alcool stava cominciando a scemare, Andy era stata catturata nel vortice dei pettegolezzi femminili e lui aveva ripreso ad annoiarsi terribilmente.
Si sporse per rovistare tra le varie bottiglie accumulate sul tavolo, in cerca di una che fosse minimamente piena. Finalmente trovò del whisky e se ne versò un generoso bicchiere con un verso soddisfatto.
- Ci vuoi dell’acqua? –
Si girò: Dominic Howard gli sorrideva gentile con una bottiglia di plastica in mano.
- Sì, grazie. – rispose educatamente, allungandogli un bicchiere vuoto. Lui lo riempì, se ne riempì uno a sua volta e alzò in aria il suo whisky per un brindisi.
- Alla fine di questa orrenda serata. – dichiarò con una smorfia provocatoria sul viso. Matt ridacchiò e fece scontrare i due bicchieri con soddisfazione.
- Dio, sì, alla fine di questa orrenda serrata. –
Bevvero in silenzio. Dominic emise un verso soddisfatto e gli tese una mano.
- Piacere, Dominic. E scusami per il comportamento poco consono a un padrone di casa, ma ho visto che ti annoiavi e ho pensato che dovevi essere uno a posto. –
Matt sorrise davanti al calore delle sue parole e gli strinse la mano a sua volta.
- Matthew, piacere mio. – Si sedettero. – E hai perfettamente ragione. Nel senso, - si corresse subito,  impacciato - non sul fatto che sono un tipo a posto ma… beh… rispetto alla noia, ecco. –
Dominic rise e lui arrossì fino alla punta dei capelli. Maledetto nervosismo da socializzazione, gli aveva sempre reso la vita un inferno.
- Beh, l’ho detto io che sembri un tipo a posto, quindi penso di essere abbastanza d’accordo anche su quel punto. A meno di non essere verbalmente dissociato. –
Matt ridacchiò a sua volta. Dominic lo guardava con aria tranquilla, bevendo di tanto in tanto un sorso del suo whisky, e il suo atteggiamento amichevole lo stava aiutando a rilassarsi per la prima volta nel corso della serata.
- Conosci qualcuno di loro? – chiese, abbracciando con un gesto della mano la stanza vociante. Lui scosse la testa.
- Non particolarmente, ma ho sempre pensato che mia sorella avesse una classe del cazzo. La gente che portava a casa era impresentabile. –
- Ah, sì, io li odiavo tutti. O quasi. –
Rivolse uno sguardo affettuoso ad Andy, che era imprigionata in una sorta di circolo del cucito con in faccia un’espressione sofferente da martire cattolica.
Dominic seguì i suoi occhi e sorrise.
- E’ molto carina, la tua amica. – disse alzando le sopracciglia in un gesto eloquente dietro il suo bicchiere di whisky.  – Ecco, lei rimpiango che non sia mai venuta a studiare a casa nostra. –
Matt annuì meccanicamente.
Ma non era gay?
- Almeno avrei avuto qualcosa di bello da guardare. –
Calò un breve silenzio. Matt non sapeva cosa dire: doveva proseguire nel commentare l’avvenenza di Andy? No, sarebbe sembrato forzato. C’era un motivo per cui era sempre stata la sua migliore amica e niente di più.
Decise di andare sul classico.
- Allora, cosa fai nella vita? – chiese, facendo ruotare il whisky nel bicchiere per cercare di darsi un contegno. Dominic accavallò le gambe con un gesto fluido e si sistemò meglio sulla sedia.
- Gestisco un bar con un mio amico. – rispose con un sorriso soddisfatto; doveva piacergli molto il suo lavoro. Matt si trovò a invidiarlo selvaggiamente.
Le rotelle del suo cervello presero a girare in maniera frenetica.
Dai, digli qualcosa di brillante e spiritoso. Fai bella figura con un estraneo per una volta nella tua vita.
- Cocktail, aperitivi, quel campo lì? – si ritrovò a semi-balbettare, una mano nervosamente affondata nei capelli. Dominic rise di gusto e a Matt venne voglia di sprofondare nel pavimento.
Complimenti alla tua iimprevedibilità, Bellamy.
- Sì, proprio quel campo lì. E tu? – chiese, un’espressione di educata curiosità sul viso.
Matt sentì le spalle precipitargli verso il suolo.
- Lavoro in una libreria. – borbottò, lo sguardo fisso sulle proprie mani che stavano torturando impietosamente i bordi del bicchiere. – E… - Si interruppe immediatamente. Ma che cosa gli saltava in testa di scaricare le sue frustrazioni addosso all’unica persona piacevole che avesse incontrato quella sera? - …E basta. –
Dominic annuì con quello che sembrava sincero interesse.
- Bello! Mi è sempre piaciuto avere libri intorno. Mi piace il calore che trasmettono alle stanze. –
- Sì… Anche a me. –
E di nuovo non sapeva cosa dire.
Accavallò le gambe anche lui, a disagio, e quasi sobbalzò quando riudì la voce profonda di Dominic.
- Mi guarderesti in faccia, se non ti dispiace? –
Cominciò a sudare freddo. Non sembrava scocciato, dal tono. Sembrava soltanto molto curioso.
Gli obbedì arrossendo. Lui analizzò con estremo interesse qualcosa sul suo viso per qualche secondo, poi sorrise lentamente.
- Ah, ecco. Mi ero sbagliato. – disse sottovoce.
Matt si sporse in avanti senza rendersene conto.
- Su che cosa? – domandò, incerto. Dominic si schiarì la gola e si sistemò il colletto della camicia con un gesto misurato.
- Hai gli occhi azzurri. Mi erano sembrati verdi, in un primo momento. – disse in tono sicuro.
Matt arrossì senza sapere davvero perché.
- B-beh, sì. – Che altro poteva dire a riguardo? – Sì, sono azzurri. –
- Sono molto belli. –
Ecco, adesso sì che sapeva perché arrossire.
Una gioia inaspettata, esaltante gli si fece strada nel petto a quel commento. Per quale motivo quel commento gli faceva tanto piacere? Sapeva che Dominic era gay, avrebbe dovuto sentirsi intimorito e minacciato da un suo approccio così diretto.  A lui mica interessavano gli-
- Strano, perché… Perché la prima cosa che ho pensato di te è che non avevo mai visto degli occhi come i tuoi. – Respirò velocemente, cercando di non accavallare le parole per l’eccitazione. – Non credevo esistessero davvero gli occhi grigi. –
Ma che mi prende? Che sto dicendo? Meglio tagliarla qui, prima che il whisky faccia ulteriori danni.
Rialzò lo sguardo su di lui. Sembrava piacevolmente colpito dalle sue parole.
- Io… Grazie, lo prendo come un complimento. – mormorò, i tanto citati occhi grigi fissi su di lui.
Matt deglutì a fatica. Il suo sguardo era esplicito ed esitante a un tempo, come se sapesse esattamente dove e in che maniera fissarsi ma avesse delle riserve nel farlo.
Ed era decisamente troppo per lui.
- Vado in bagno. – fu la sua brusca risposta.
 
*
 
Chiuse le mani a coppa sotto il getto del rubinetto e si buttò sulla faccia dell’acqua così gelata che rabbrividì da capo a piedi.
Ma una doccia fredda gli faceva solo bene.
Perché le gambe gli tremavano? Perché sorrideva come un imbecille? Perché gli veniva voglia di tirare fino a mattina in casa della persona più irritante del pianeta, solo per poter parlare di banalità con suo fratello?
Perché mi sembra che i pantaloni si siano ristretti di due taglie buone?
Si guardò allo specchio. Era rosso in faccia, e spettinato. Con un mugugno tentò di rimediare, passandosi le dita fra i capelli, ma gli sembrò di star solo peggiorando la situazione.
Sobbalzò leggermente sentendo la porta aprirsi. Si girò: era Dominic.
Dominic che sorrideva timidamente e chiudeva la porta a chiave con un gesto cauto.
Tornò a rivolgere lo sguardo verso le specchio, un singolo, squisito brivido che gli scorreva lunga la schiena come una scossa elettrica.
- Non spaventarti, ti prego, non voglio farti nulla. – lo sentì cominciare in tono sommesso, quasi impaurito. Doveva temere una sua reazione incontrollata – una preoccupazione comprensibile, per un gay che decida di chiudersi nel bagno di casa sua con uno sconosciuto dalla sessualità non meglio pervenuta.
Prese un lungo respiro di naso e decise di non incontrare i suoi occhi nello specchio, non ancora.
Per quanto si sentisse stupido a fissare il lavandino in un momento come quello.
- Immagino che debba ringraziare l’alcool. – proseguì Dominic, ridacchiando piano e passandosi una mano fra i capelli. – O forse no, forse l’avrei fatto comunque. – dichiarò con rinnovata sicurezza, forse più a sé stesso che a lui. - Non riesco a staccarti gli occhi di dosso. – Fece una brevissima pausa, ed entrambi trattennero il respiro. – Non volevo che te ne andassi senza sapere che ti trovo… bellissimo, e… e… -
Matt chiuse gli occhi e deglutì rumorosamente, sentendosi molto leggero. Quando li riaprì Dominic era due centimetri dietro di lui, le mani accanto alle sue sul lavandino. 
Sentì il suo respiro irregolare sui capelli e alzò lo sguardo per incontrare i suoi occhi allo specchio.
Erano grandissimi, vivi, e lo guardavano ansiosi. Tutto il suo viso sembrava concentrato nell’attesa di una sua qualsiasi parola, o anche di un semplice gesto, che gli desse il via libera.
Ma lui per ora non riusciva nemmeno a pensare. Era tutto troppo inaspettato, e troppo bello, perché fosse capace di reagire in qualsiasi maniera.
Sentì le sue dita sfiorargli la mano destra, quasi impercettibili.
- Non sapevo se ti avrei più rivisto. – gli sussurrò all’orecchio. – N-non sapevo se tu… Se potevo… -
Il suo tono esitante ruppe qualsiasi sua esitazione. Abbandonò la testa sulla sua spalla con un gemito sollevato e lo sentì immediatamente premersi contro di lui, le braccia che si stringevano sul suo stomaco con una rigidezza che tradiva la voglia tenuta a freno.
Sentì che lo baciava sul collo e gemette ancora. Al primo bacio seguì un secondo, un terzo, un quarto, e prima di rendersene conto lo stava stringendo a sua volta inarcandosi all’indietro contro il suo inguine, la testa meravigliosamente leggera e il cuore che minacciava di uscirgli dal petto.
Riaprì gli occhi. Nello specchio, Dominic lo cingeva per la vita con una mano e con l’altra gli stringeva i capelli in un pugno per fargli chinare ancora di più la testa, il viso arrossato premuto sul suo collo. Vide la sua lingua leccare lentamente il lembo di pelle sotto al suo orecchio e la fitta di piacere che sentì quando lui cominciò a succhiare sembrò svegliarlo dal suo intorpidimento.
- Non… Non posso. - mormorò facendosi una violenza incredibile. La testa di Dominic scattò subito in alto e i suoi occhi si incatenarono ai suoi. Respirava veloce.
- Come? – chiese pianissimo, allentando di un poco la stretta. Matt percepì subito il vuoto provocato dall’improvvisa assenza di calore farsi strada in ogni parte del suo corpo.
Si voltò con lentezza e appoggiò la schiena al marmo freddo del lavandino.
- Sono impegnato. – ammise a malincuore, alzando velocemente gli occhi per incontrare il suo sguardo.
Sembrava andare oltre al semplice dispiacere; avvertì qualcosa di più intenso che gli fece stringere lo stomaco.
- Scusami. – lo sentì sussurrare dopo alcuni secondi di pesantissimo silenzio. Matt allungò meccanicamente le mani in avanti e lo afferrò per le braccia.
- No, non scusarti! E’ stato… - niente. Nemmeno un bacio. Ma Cristo se questo niente è stato bello. - …Fantastico. – Lo vide sorridere debolmente. – E credimi, ti ho fermato unicamente per scrupoli morali. –
Dominic rise piano, una risata che sembrava grattargli dolorosamente la gola per lo sforzo.
- Io… Dovevo provarci, tutto qui. –
Matt ritirò con cautela le mani dal suo corpo. Si guardarono in silenzio, frustrati.
- Senti, lo so che non dovrei ma… Posso baciarti? Solo una volta. – sbottò Dominic, gli occhi lucidi. – Voglio sapere come sarebbe stato se… Non devi neanche ricambiare, se non ti senti. Solo… -
Si interruppe a metà lasciandosi sfuggire un verso esasperato e gli prese entrambe le guance fra le mani, praticamente invitato a nozze dallo sguardo implorante di Matt. Che tentò di obbedirgli, almeno all’inizio, ma mandò tutti i suoi maledetti scrupoli morali all’aria quando Dominic si fece strada fra le sue labbra con la lingua.
Si aggrappò alle sue spalle e gli si spinse addosso con tutta la passione che aveva. Non aveva mai provato tanto piacere per un semplice bacio, non si era mai sentito sciogliere in un abbraccio. Lo tirò a sé per i fianchi e gemette contro il suo collo quando le loro erezioni si sfregarono l’una contro l’altra, allontanandosi di scatto.
- Non posso. – ripetè in un lamento. Lanciò un ultimo sguardo addolorato a Dominic, mimò un “mi dispiace” con le labbra e afferrò la chiave della porta per uscire da quel bagno più in fretta che poteva.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: allora, la verità è abbastanza semplice: non voglio finire Entropy. È acclarato XDDD, quella storia sta per concludersi e io non voglio assolutamente che ciò accada, per cui le provo tutte per distrarmi – prima il porn bieco e becero, ora il fluff sfarfalleggiante.
Perché quello che avete appena letto è solo il primo capitolo del diabete fatto storia. Davvero, tutti alla fine si amano, tutti si vogliono bene e viva l’happy ending e che l’amore trionfi, YAY!
(Scusate, sono le tre del mattino e sono in generale un po’ turbata da come questa storia sa venendo fuori. Cioè, Dom barista e Matt libraio. NON SO SE CI STIAMO CAPENDO XDDD)
(La verità è che devo smetterla di leggere il fandom straniero, ha una bruttissima influenza su di me)
È con viva e vibrante soddisfazione che ringrazio megalomania per il betaggio, anche se mi ha fatto passare l’ultimo quarto d’ora a correggere tutte le e maiuscole accentate che io prima scrivevo con l’apostrofo – disonore su di me, disonore sulla mia mucca! – invece che con il simbolo apposito che Word tiene in serbo per i puri di cuore. Ora dovrò rileggere tutte le mie storie e cambiare ogni fottutissima e *si strappa i capelli*
Sara si merita il mio amore anche per la sua creatività in fatto di titoli: sua è stata infatti l’idea di mandare in shuffle l’iPod fino a trovare qualcosa di appropriato, e questa storia ha rischiato di chiamarsi, in ordine
 
- Katherine Kiss Me (lol)
- Public Pervert
- Green Eyes (seems legit, dopo tutta la pappardella sul grigio e l’azzurro)
- Bathroom Acoustics
 
fino ad approdare, thank God, ai nostri ragazzi con Yes Please.
Aspetto trepidante le vostre reazioni *-*
(No, in realtà ho paura delle vostre reazioni XDDD)
 
 
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Capitolo 2
*** 2.1 ***


- Dom. -
Impegnato. Ma certo, era tutto troppo bello per essere vero.
- Dom! –
Un ex compagno di classe di Emma… Impegnato.
- Dominic Howard, cazzo! –
Solo io riesco a toccare il fondo in questo modo.
- DOM!!! –
 
Si lasciò sfuggire un verso spaventato e perse la presa sulla bottiglia, riuscendo a salvare lo shaker per miracolo. Un rumore di vetri infranti e la spiacevole sensazione di bagnato sulle scarpe lo scossero del tutto dai suoi pensieri.
Quello, oltre ovviamente alle urla ferine del suo socio in affari.
- Porca troia, sei diventato sordo o che cosa? – gli gridò infuriato Tom dall’altro lato del bancone, sporto con la metà superiore del corpo fuori dal loro ufficio. Sventolava per aria la cornetta del telefono come fosse un gonfalone di guerra. – Rispondi a questo rompicoglioni e io pulisco il casino che hai fatto. – Dom lo guardò con un’espressione ancora leggermente confusa in faccia, udendolo a malapena al di sopra della calca. Era l’orario di punta e il locale era pieno all’inverosimile.
– Dom, santo Dio, devo venire a prenderti a calci in culo?! –
Annuì meccanicamente, spinse il cocktail riuscito alla bell’e meglio di fronte a una bella ragazza dai capelli neri e la gonna succinta che non aveva fatto altro che fargli l’occhiolino per tutta la sera e corse dentro all’ufficio acchiappando la cornetta a mezza via.
- Dobbiamo parlare. – gli sibilò minaccioso Tom, rivolgendogli un’occhiata autoritaria prima di lasciare la presa sul telefono e rimpiazzarlo di corsa al bancone.
Dom sospirò e attaccò l’orecchio al ricevitore.
 
*
 
Tom chiuse la porta alle proprie spalle e si allentò la cravatta con un sospiro stanco.
- Detesto i sabati sera. – grugnì cercandosi in tasca il pacchetto di sigarette e accendendosene una.
- É da quando faccio questo lavoro che non riesco a sopportarli. –
Dom, seduto in poltrona dietro alla scrivania, emise un solidale quanto distratto verso di assenso.
Tom socchiuse gli occhi e gli rivolse uno sguardo penetrante. L’amico se ne stava sdraiato mollemente sullo schienale, il viso stanco e tirato, giocherellando con le proprie dita.
- Dom. – Gli lanciò il pacchetto si sigarette e l’accendino. Lui li prese al volo, sospirando: Tom non gli offriva mai una sigaretta a sproposito. Era il tacito segnale dell’inizio di uno sfiancante interrogatorio. – Dobbiamo parlare. – ripetè, deciso.
Dom tirò una lunga boccata e sorrise rassegnato.
Appunto.
- Fatti sotto, Kirk. – lo provocò gentilmente.
Tom andò a sedersi di fronte a lui sulla scrivania con una gamba a penzoloni e si sfilò la cravatta.
Dominic lo conosceva dal liceo: era il suo migliore amico, e lo era rimasto anche dopo dieci anni di lavoro gomito a gomito sei sere alla settimana. Era un bell’uomo – agli antipodi del gusto di Dom, ma obiettivamente un bell’uomo – e costituiva la metà tosta e aggressiva della loro associazione in affari. Senza la sua determinazione e la sua testardaggine, Dom, poco competitivo di natura e incline al quieto vivere, non ce l’avrebbe mai fatta a mandare avanti quel posto con lo stesso successo.
Thomas Kirk era in poche parole una macchina da guerra con uno strabiliante senso degli affari e la passione per gli alcoolici e le belle donne. Dom aveva fatto outing prima con lui che con la sua famiglia – un’azione kamikaze, se ci pensava ora in restrospettiva – aspettandosi una reazione imbarazzata e una successiva conversazione sgradevole, per non parlare di un eventuale allontanamento; ma l’amico non aveva fatto una piega. Gli aveva chiesto incredulo se davvero per lui non cambiava niente e lui gli aveva risposto che sì, cambiava in meglio, perché con un migliore amico finocchio tutta l’attenzione femminile sarebbe stata dirottata su di lui per contrasto, e subito dopo gli aveva accennato l’idea di cominciare un’attività insieme dopo la scuola.
- Ti chiederei se c’è qualcosa che non va perché ti ho visto con i miei occhi passare la sera a ignorare una figa pazzesca che aveva come unico scopo quello di  infilarsi nelle tue mutande – ma!, dando ormai per acclarato il fatto che tu giochi per l’altra squadra e  trascuri orrendamente donne favolose che poi grazie al cielo vengo a piangere sulla mia spalla, non sarò così banale e stupido. -
Sorrise, accettando con un breve cenno grato della testa il bicchiere di vino che lui gli versava. Erano passati quasi quindici anni e se alcune cose erano cambiate – molte in meglio, come aveva giustamente profetizzato l’amico – altre erano rimaste confortantemente uguali.
La sua falsa omofobia esibizionista, ad esempio.
- Sapevo che eri diverso, Tom. – tubò sbattendo le ciglia nella sua direzione.
Tom inorridì.
- Questa – cominciò, indignato, - è la risposta più che gay che io abbia mai sentito. –
- Beh, tutto torna, allora, visto che io sono gay. –
Lo sentì emettere un “psh psh” critico con le labbra.
- Mi chiedo come tu riesca ancora a infinocchiare tutte queste donne… ops, scelta di parole infelice. –
- Vaffanculo. – rise Dom, spegnendo la sigaretta nel posacenere.
- Non sembri gay. Sei infido. – proseguì lui, ridacchiando a sua volta.
Dom fece filosoficamente spallucce.
- Devi tenere presente, Tom, che la tua immagine dell’omosessualità coincide con quella del trasvestitismo. Nella tua testa tutti i gay assomigliano al protagonista del Rocky Horror Picture Show. –
Tom mise le mani avanti come per respingere fisicamente quel pregiudizio.
- Non è vero! –
- Saresti più a tuo agio se io servissi al bancone sommerso da boa di struzzo viola. Ti tornerebbero di più i conti. –
Tom rise di gusto e lanciò uno sguardo all’amico, che si dondolava sulla poltrona girevole con un’espressione di ilarità malinconica sul viso.
Sospirò.
- E’ da quando avevi diciannove anni che non rompi più una bottiglia, Dom. – cominciò cauto, occhieggiando l’amico: guardava il soffitto con aria assente.
L’ufficio, ora che il locale era chiuso e se n’era andato pure l’ultimo cameriere incaricato di controllare e chiudere la cassa, era silenziosissimo. Il fumo delle loro sigarette stazionava a mezz’aria illuminato dalle due lampade della scrivania, mentre il resto della stanza era immerso nella penombra. Entrambi erano esausti a causa del lavoro e inclini a rilassarsi per qualche minuto l’uno con l’altro, perlando del più e del meno, prima di andare a crollare nei loro letti, come facevano ormai ogni sera da anni.
Tom sperava che l’amico fosse dell’umore giusto per le confessioni. Erano giorni che sembrava uno zombie e lui in tutta sincerità non riusciva a farsi venire in testa nemmeno una spiegazione plausibile.
- Mh mh. – confermò piano Dom.
- E’ successo qualcosa in famiglia? Emma sta bene? I tuoi- -
- Se non è possibile finire schiacciati sotto il peso della propria stupidità, allora no, direi che Emma sta bene. – ridacchiò passandosi una mano sugli occhi. Tom sorrise furbo.
- Sempre così critico…Emma è una ragazza deliziosa. Alle sue tette manca solo il dono della parola. –
Dom emise un verso disgustato.
- Tom, per favore. –
- A Sua Altezza reale gay fa schifo sentire parlare di cose così spudoratamente eterosessuali?... –
- Sì, se le cose spudoratamente eterosessuali riguardano sua sorella! –
Tom si accese un’altra sigaretta con un gesto pratico.
- Una cara ragazza, ripeto. –
- Come tu possa avere una buona opinione di lei senza esserci andato a letto è un mistero. Pensavo fosse il tuo principale criterio di giudizio. –
- E’ la sorella del mio migliore amico. E’ sacra. E’ tabù. –
Dom inarcò un sopracciglio in un gesto eloquente.
- Sì, come no. – disse scettico. Tom assunse un’espressione offesa.
- Ehi, è vero! Non la toccherei con un dito. –
- Ma con qualcos’altro sì, però. –
Tom trasalì, punto nell’onore.
- Ah, e così io non posso neanche nominare le sue tette, mentre tu che sei il fratello puoi dire tutte le porcate che vuoi! Mi sembra giusto! – lo accusò sventolandogli la sigaretta sotto il naso.
Dom sollevò innocentemente i palmi delle mani verso l’altro.
- Io ho detto “qualcos’altro”, non ho specificato. –
- Che checca infida. –
Ridacchiarono entrambi quietamente. Dom si mise a pensare fra sé e sé: bene, avevano passato la fase delle battute sulle tette di sua sorella. Secondo i suoi calcoli ora si sarebbe dovuti arrivare al sodo.
- E’ successo qualcosa oltre il bancone? –
Bingo.
Oltre il bancone era il nome in codice per tutto quello che non era la famiglia e non aveva a che fare col lavoro: le relazioni sentimentali, in poche parole. Ma Tom non avrebbe mai e poi mai introdotto l’argomento direttamente, o, per usare parole sue, “in maniera così gay”.
Dom tentò di prendersi tempo lisciandosi le pieghe della camicia sul petto.
Se era successo qualcosa? No, assolutamente nulla - aveva soltanto vissuto il momento più erotico nella sua vita chiuso nel bagno di casa sua con uno sconosciuto che aveva a malapena baciato e di cui non sapeva niente, se non che si chiamava Matthew, che era maledettamente fidanzato e che aveva avuto la sfortuna di passare cinque anni in classe con sua sorella.
E che aveva gli occhi più belli che avesse mai visto in vita sua. E il sorriso più affascinante. E la pelle più morbida. E-
- Gesù, fantasticherie omosessuali a briglia sciolta. Le riesco quasi a vedere attraverso la tua testa. –
Dom scosse il capo, arrossendo e tentando di rispondere con qualcosa di sdrammatizzante. La mascella di Tom precipitò al suolo di un metro buono.
- Sei. Arrossito. –
Dom cominciò a sudare freddo.
- Oh, Tom, andiamo- -
- Mio. Dio. –
- Tom.
- E’ una cosa seria, Cristo santo! L’ultima volta che ti ho visto arrossire è stato quando mia madre ti ha chiesto se pensavi di sposarti in chiesa! –
Dom ridacchiò suo malgrado al ricordo. Quella particolare conversazione con la signora Kirk si era rivelata alquanto divertente.
- Povera donna. Le ho spezzato il cuore. –
- Più che a lei, a mia sorella. Penso non si sia ancora ripresa dalla notizia. –
- Credevo glielo avessi già detto tu di persona! –
- La fai facile, tu! “Ah ciao Helen, come ti va, lo sai che al ragazzo di cui sei innamorata da quando avevi tredici anni piace il-”
- Tom!
- Ok, basta. Non deviare la conversazione. Chi è il – signore Iddio – il… il… fortunato?... –
Dom lo osservò con estrema soddisfazione boccheggiare come un pesce rosso durante tutto il suo tentativo di approccio casuale e disinvolto all’argomento.
Ripensò al bagno. Al suo sguardo timido e invitante insieme. A quel collo che si piegava all’indietro con un movimento squisito. A quelle mani dai polsi sottili che lo avevano stretto con una forza inaspettata. Al bacio più intenso e passionale della sua vita.
Sorrise.
- Si chiama Matthew. – sussurrò, gustandosi il suono di quel nome che gli sembrava bello quanto il suo proprietario.
Tom assunse un’espressione pensierosa.
- Mmmh. Dev’essere stato assolutamente strabiliante a letto, per farti sorridere in quel modo al ricordo. –
Dominic arrossì ancora e l’amico cominciò a temere seriamente il peggio.
- Non… Non ci sono andato a letto. – mormorò con qualche difficoltà.
Tom spalancò gli occhi come se gli fosse appena comparsa una macchina in corsa davanti.
- Non mi dire che stai davvero diventando uno di quelli che distingue fra scopare, andare a letto e fare l’amore perché- -
- No, non me lo sono scopato. Non ci sono andato a letto. Non ci ho fatto l’amore.– chiarì in tono frustrato, lasciandosi andare indietro sulla sedia con le mani fra i capelli. – Cazzo. – aggiunse, per buona misura.
Tom si sedette in maniera più comoda e tentò di fare il punto della situazione – a suo modo.
- Su col morale, Howard, non è sempre domenica. Come minimo deve averti fatto il pompino della tua vita. –
Dominic cercò disperatamente di non immaginarsi la scena davanti agli occhi e ovviamente fallì, tingendosi di un rosso acceso in ogni parte visibile del suo corpo.
- No. – piagnucolò, sfregandosi gli occhi con una mano.
- No, non il pompino della tua vita? –
- No. –
- Beh, almeno accettabile, spero, perché altrimenti… –
- No. –
- Come no?! –
- No al pompino! Non me l’ha fatto, dannazione! Non abbiamo fatto niente di niente di niente!! –
Si immobilizzò all’istante. Aveva quasi urlato.
Tom sembrava sul punto di svenire.
- Sei davvero Dominic Howard?... – chiese dopo attimi di silenzio esterrefatto.
Dom chiuse gli occhi e si prese la testa fra le mani, lasciandosi sfuggire un lamento.
- Non è successo niente, Tom. – ripetè,  le tempie che gli pulsavano. – Ci siamo fermati perché… perché mi ha detto che era fidanzato. Che non poteva. –
Respirò forte attraverso il naso e rialzò la testa. Tom si era alzato in piedi e stava bevendo direttamente dal collo della bottiglia.
Guardò il suo pomo d’Adamo andare su e giù un bel numero di volte, in attesa, come ipnotizzato.
Finalmente l’amico si pulì le labbra con una mano e gli puntò addosso la bottiglia vuota come un’arma.
- Tu – gli disse gravemente con lo sguardo fisso nel suo, - sei nella merda. –
 
*
 
Matt aprì e chiuse gli occhi diverse volte. Non era sicuro di aver capito bene.
- Può ripetere il nome dell’autore, mi scusi?... – chiese educatamente aprendo la schermata di ricerca sul computer. La massiccia donna di mezza età dietro al bancone si pizzicò con un gesto spazientito i pesanti leggings invernali all’altezza della coscia e gli rivolse un’occhiata critica.
- Hermès. E’ uno scrittore, scrive libri, dovresti conoscerlo, no? Non lavori mica in una libreria? –
Matt arrossì. Riusciva a percepire lo sguardo dispiaciuto di Andy fisso sulla propria nuca, mentre dall’altro lato del negozio serviva altri due clienti decisamente più facili di quello che era capitato a lui.
- Signora, mi spiace, nessun risultato combacia. – mormorò, schiarendosi la voce per tentare di assumere un tono più sicuro. La donna sbuffò teatralmente. – Non è che le viene in mente qualche titolo d’opera che possa aiutarci? –
Lei lo guardò come se le avesse appena chiesto di accompagnarlo in bicicletta sulla luna.
- E che ne so! Sei tu che devi aiutarmi, non io! –
- Ma, signora, sarà pure interessata a un libro in particolare- -
La vide appoggiare la sua enorme borsa pitonata sul bancone e sciogliersi la coda per poi rifarsela con un movimento insofferente.
- Mio figlio mi ha detto che è il suo scrittore preferito. Prendo un libro qualsiasi. Se non gli va bene, la prossima volta si arrangia e si compra il regalo di compleanno da solo. –
Matt sentì un’improvvisa compassione per il figlio di quella virago ultracinquantenaria vestita come una tredicenne.
- Aspetti solo un momento. Vado a chiedere dietro. – disse, tentando di nascondere un sospiro.
Mostrò un pollice alzato a Andy per non farla preoccupare e corse su per le scale che portavano alla scrivania del suo capo, il signor Touchett. Era occupato a sbraitare nel telefono: gli fece il gesto convenzionale per “cliente difficile” – un dito teso che andava a tagliargli metaforicamente la gola – e aspettò pazientemente che lui finisse, lambiccandosi nel frattempo il cervello in cerca di una soluzione.
Venne risvegliato dai suoi pensieri da una cornetta che veniva calata sulla scrivania come un’ascia.
- Che irritante segaiolo. – grugnì il suo capo, accendendosi la pipa proprio sotto il segnale appeso sulla sua scrivania che vietava di fumare all’interno di spazi lavorativi comuni. Matt annuì in tacito assenso.
- Il fornitore? – chiese pur sapendo già la risposta.
- E chi altri, sennò? Con le sue giustificazioni sul ritardo delle consegne posso farci quello che tu puoi bene immaginare. – Matt annuì di nuovo, solidale. – Problemi, ragazzo? – chiese, ingentilendo impercettibilmente il tono.
Matt lavorava alla libreria Touchett da cinque anni. Era ormai riuscito nell’impresa impossibile di guadagnarsi la fiducia di quel vecchio insopportabile e autoritario che, fino all’impianto dell’ultimo bypass, aveva goduto a terrorizzare i suoi dipendenti fino alle lacrime; poi, sotto pressante invito del suo dottore di fiducia, aveva cominciato a moderare i toni per evitare di farsi scoppiare il cuore ogni volta che urlava come un pazzo contro il malcapitato di turno.
Ma fra tutte le sue vittime quel ragazzo timido e magrolino gli aveva sempre ispirato una strana forma di rispetto. Silenziosamente, era uno che teneva testa – e questo il signor Touchett lo apprezzava. In più aveva una ferrea etica del lavoro ed aveva imparato ben presto a correggere una propensione per il ritardo che gli era quasi costata il posto nelle prime settimane in negozio.
Era rispettoso, ma non asservito; era diretto ma non maleducato. Ci aveva messo poco a diventare il suo prediletto.
- Hermès, signore. Mai sentito nominare. Una signora di sotto sta tentando di togliermi la pelle. –
Il signor Touchett si accarezzò i radi capelli bianchi.
- Non esiste. – dichiarò in un tono che non ammetteva repliche.
Matt aggrottò le sopracciglia.
- Ma - -
- Se non l’ho mai sentito io, fidati, non esiste. –
- Temo che glielo dovrà dire lei. A me non dà abbastanza credito. –
Il signor Touchett sospirò e si stava già alzando con qualche fatica dalla scrivania quando Matt proruppe in un sonoro “ah!”.
- Che c’è, ragazzo? –
Le labbra di Matt si stirarono in un largo sorriso di trionfo.
- Non Hermès – cominciò, euforico, - Hermann Hesse! Quell’idiota non ha capito il nome! –
Il signor Touchett gli rivolse un ghigno divertito e Matt, rendendosi conto di quel che aveva appena detto, sbiancò.
- Scusi, non intendevo - -
Ma il suo capo agitò una mano in aria per zittirlo.
- Bravo, ragazzo. Rifilale la copia più rovinata che abbiamo di Siddharta e augurale di morire ammazzata da un foulard del suo prezioso Hermès. –
- Sì, signore. –
- Ti concedo di essere più colorito. –
Esplose in una risata rauca vedendo il viso di Matt illuminarsi all’idea.
 
*
 
- Andy. –
- Mh. –
Si bloccò, rimanendo per qualche istante a fissarla mentre lei divorava una forchettata di spaghetti grande quanto il suo panino.
- Che c’è, Matt? – bofonchiò lei con la bocca piena e il mento coperto di pomodoro, istigandolo ad andare avanti.
- Ehm… -
Mi sono innamorato.
- Matt, la pausa pranzo dura solo un’ora. Vedi di deciderti. –
Mi sono innamorato di un uomo.
- Attenta, ti è andata una treccina nel sugo. –
- Ah, grazie. Allora? –
Mi sono innamorato di un uomo che è stato la tua cotta di quando avevi sedici anni.
Si rigirò il tramezzino al tonno fra le mani, incerto. Stavano mangiando il pranzo che si erano portati da casa nel parco in fondo alla via dove lavoravano, ingurgitando un boccone dopo l’altro in fretta e furia per essere poi in grado di concedersi una lunga pausa caffè seduti a un tavolo vero e proprio.
Andy si pulì attentamente le labbra con il tovagliolo, facendo attenzione a non colpire il piercing fatto di fresco. Matt ripensò a quella disgraziata volta in cui le aveva dato retta e aveva tentato di rinnovare il suo look: si era ritrovato con i capelli rosso semaforo e un tatuatore alto due metri che minacciava di volergli ricalcare ad inchiostro le vene delle braccia.
Si sentiva spesso così scialbo, così nella norma, così insignificante accanto a lei – forse perché Andy era molto bella, oltre che decisamente appariscente, mentre lui no - ma non aveva mai avuto il coraggio di cambiare il proprio aspetto per adeguarlo a quell’idea di sé un po’ più spericolata che aveva in testa.
 Non sapeva perché. Sentiva di non aver mai trovato un motivo vero per farlo.
- Ti ricordi la festa di Glen? – chiese dal nulla, azzardando un altro morso a quel panino che ormai lo nauseava. Andy aggrottò le sopracciglia, stupita, e annuì.
- Sì, certo che mi ricordo. Ero finita a rotolarmi coperta di fango nel giardino dietro casa sua, dopo che aveva cominciato a piovere ed eravamo usciti per tentare di riparare il grill. Se penso che ci sono ancora le foto… -
Matt ridacchiò divertito.
- Hai reso felice una quantità incredibile di uomini togliendoti la maglietta, quel giorno. –
- Sì, insomma. Che c’è che vuoi dirmi riguardo alla festa di Glen? –
Andy lo vide arrossire in maniera consistente sul collo.
- Ti… Ti ricordi che a un certo punto ballavamo tutti? –
- Sì. –
- E che tu sei finita a ballare con Jessica e io con il suo fidanzato, che non mi ricordo neanche più come si chiama… -
- David. –
- Ecco, David. – Deglutì, a disagio. Andy lo fissava con uno sguardo incoraggiante. – Ti ricordi che ti avevo detto che mi era piaciuto, ballare con lui? –
Andy socchiuse gli occhi.
- Che stai tentando di dirmi?... –
Non lo so, non lo so!!
Si piegò in avanti sulla panchina, come se un peso enorme lo trascinasse a terra, e si prese la testa fra le mani.
- Ha a che fare con il motivo per cui te ne sei voluto andare via in fretta e furia da casa di Emma, vero? –
Dannata fricchettona telepata.
Rialzò lo sguardo su di lei. Sorrideva entusiasta, tormentandosi eccitata il piercing con la lingua.
- Non me lo dire. – sussurrò, saltellando sulla panchina.
Ho baciato un uomo.
- Andy… -
Ho baciato un uomo!...
Lei aveva preso a strattonargli la manica della giacca.
- Chi è, chi è?! Devi dirmelo! –
Le lanciò un’occhiata quasi colpevole. Lei si immobilizzò di colpo, la bocca che descriveva una O di perfetto stupore, incredula.
- Tu…! – cominciò, scoppiando a ridere. – No, non lui, non è possibile! –
Matt si maledì per aver solo pensato di cominciare quella conversazione.
- Ecco perché non ti si trovava più a un certo punto! Hai capito Matthew Bellamy che zitto zitto si fa il tipo più figo del - -
Matt emise un mugolìo sofferente.
- Andy, ti prego. Sto ancora cercando di metabolizzare la cosa. –
Lei non sembrò minimamente dargli ascolto.
- Com’è stato? – chiese, ancora in uno stato di febbrile agitazione.
Matt non potè fare a meno di sorridere.
- E’ stato… -
 
*
 
- …Bellissimo. – concluse Dom in tono sognante.
Una selva di strilletti estasiati si levò dal pubblico quasi esclusivamente femminile, mentre Tom si faceva il segno di mettersi due dita in gola.
Robin, una delle loro cameriere più di vecchia data, spostò la sedia più vicino a lui gli diede una leggera gomitata sul fianco.
- Non credere che ci accontenteremo di così poco! – dichiarò battagliera, e il resto del personale seduto attorno al tavolo per la cena rincarò la dose con una piccola salva di applausi. Dom lanciò uno sguardo mezzo disperato mezzo divertito a Tom, che mangiava seduto sul bancone con le gambe a penzoloni: la sua risposta fu un schietto “cazzi tuoi” suggeritogli col labiale.
Rialzò lo sguardo sui suoi dipendenti. Erano una bella squadra, e alcuni lavoravano lì sin dall’apertura del locale. Cenavano tutti insieme ogni sera prima di attaccare col turno delle 7.30 – 2 e col passare del tempo era inevitabile che si fosse creato quel clima di complicità e di confidenza.
Senza tralasciare il fatto che lo staff femminile impazziva per quel capo bello e gay che non aveva mai provato a toccar loro il culo nemmeno una volta ed era sempre gentile e sorridente.
- Non c’è molto da dire. – Un coro di “buuu” gli fece capire che quella tattica non funzionava. Dominic ridacchiò e andò avanti. – Pochi giorni fa ho aiutato mia sorella a organizzare una rimpatriata della sua vecchia classe del liceo e appena l’ho visto mi è piaciuto subito. Parlava sempre con una sua amica, e non sapevo assolutamente in che modo avvicinarlo, quando a un certo punto si è alzato per versarsi del whisky e io gli ho chiesto se ci voleva dell’acqua insieme. –
- Che tecnica di rimorchio originale, per un barista. – commentò piattamente Tom, e tutti scoppiarono a ridere. Dominic gli rivolse un’espressione acida.
- Avrei voluto vedere te al mio posto, mister me-le-scopo-tutte-la-prima-notte. – Tom fece un piccolo inchino nella sua direzione e si accese una sigaretta. - Comunque, lui ha detto di sì e ci siamo seduti a parlare. Non mi ricordo niente di quel che ci siamo detti perché non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Non lo so, non mi era mai successo prima… Pensavo che ogni particolare del suo viso fosse interessantissimo, che ogni suo gesto e risata e occhiata fosse affascinante… -
 
*
 
- …Non capivo più nulla, insomma. Ho detto delle cose senza senso. Mi sembrava strano tutto quello che stava succedendo – continuavo a dirmi che era bellissimo ma che era gay e che insomma se pensavo che fosse bellissimo allora anch’io ero gay e poi mi è tornato in mente David e… Un disastro. –
Rialzò lo sguardo su Andy: pendeva letteralmente dalle sue labbra. Stava persino trascurando i suoi spaghetti per poterlo ascoltare meglio.
- Poi, beh, mi ha detto quella cosa e sono entrato in paranoia. –
Andy alzò le sopracciglia in un’espressione saccente.
- Tu, che entri in paranoia?... Ma quando mai. – Ignorò il borbottìo offeso che usciva dalla sua bocca e tornò a tirargli la manica della giacca. – Quale cosa? –
 
*
 
Dominic rivolse uno sguardo pieno di suspence alle tre teste femminili che si erano chinate verso di lui in febbrile attesa.
- Non… Beh, a un certo punto lui si è messo a fissarsi le scarpe e io non sapevo più cosa fare, così gli ho chiesto se per favore poteva guardarmi negli occhi – lui mi ha detto di sì, io gli ho detto come un coglione “to’, guarda, non sono verdi, sono azzurri” anche se lo sapevo benissimo e lui mi ha risposto “sì, sono azzurri” ed è arrossito in una maniera così adorabile che io mi son ritrovato a dirgli che li trovavo bellissimi. – Si interruppe. Robin, Elsa e Jill sembravano congelate in una maschera di stupore. – I suoi occhi. – specificò esitante, confuso dalla loro reazione.
Tempo un secondo e tutte e tre avevano cominciato a urlare come delle pazze.
- Nessun uomo mi ha mai detto che trovava bellissimi i miei occhi al primo appuntamento! – proruppe Elsa in tono lamentoso, picchiando affranta i pugni sul tavolo. Dominic fece spallucce con un’espressione colpevole come a dire “mi dispiace” e Tom alzò lo sguardo al cielo.
Jill fu la prima a riprendersi da quello sfogo e tornò a rivolgere la sua attenzione al racconto.
- E poi? –
- E poi… - Dominic arrossì piacevolmente al ricordo. – E poi lui mi ha detto che era buffo perché la prima cosa che aveva pensato di me era che non aveva mai visto degli occhi come i miei. Che non credeva che gli occhi grigi esistessero davvero. –
Un lungo, commosso “aaaaaaw” si levò dalle sue spettatrici, che sembravano tutte aver bisogno di fazzoletti.
- Mio Dio, mi viene da vomitare. – sbottò Tom, spegnendo la sigaretta nel posacenere con una smorfia. Dom fece in tempo a intercettare un suo minuscolo sorriso prima che lui si alzasse per andare in ufficio a prendere le chiavi per aprire il locale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: ben ritrovati a tutti quanti <3 ecco la prima parte del secondo capitolo, che è lungo un’eternità e che ho deciso di dividere in due parti per agevolarne la lettura.
Un enorme grazie a Lilla, Matsi e Lilla Wright per le bellissime recensioni. Vi risponderò singolarmente al più presto, ma sappiate che avevo un sorrisone a trentadue denti mentre le leggevo :*
A presto!
 
 
 
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Capitolo 3
*** 3. ***


- …Se ci penso adesso, Dio, mi prenderei a schiaffi da solo! Chiuderlo nel bagno! Poteva pensare di tutto: che lo volessi derubare, picchiare, molestare – Gesù, non berrò più una goccia d’alcool per almeno un mese, Tom, anche quando si tratterà di degustare i vini che dobbiamo acquistare, per carità, lo lascio fare a te – grazie al cielo che mi è andata bene! Non sarei più voluto uscire dal letto per la vergogna. Gli sono praticamente saltato addosso. “Vacci piano, Dom, lui ti piace ma non sei sicuro che tu piaccia a lui, stai buono, calma e gesso” e poi il minuto dopo, zac! Sentivo di avere dei tentacoli al posto delle mani! Ma lui è stato fantastico, davvero, sai quando leggi nei libri l’espressione “abbandono” e pensi “ma che stronzata” – lui invece si è proprio abbandonato, ma proprio fisicamente, sulla mia spalla! - e poi si è lasciato baciare ed era così entusiasta, sembrava davvero felice, ed è una sensazione così bella quando qualcuno ti fa capire di volerti per davvero, e… -
- Dom? –
- Sì? -
- …Che cos’è una brugola? –
Dominic quasi cadde dallo sgabello nel tentativo di voltarsi e fulminarlo con lo sguardo. Tom si pentì immediatamente della sua interruzione così prosaica.
- Io ti sto aprendo il mio cuore – cominciò il biondo, dilatando le narici e agitando il martello che teneva in mano per aria, - e tu mi chiedi che cos’è una brugola?!
- Dom, attento al quad- -
Tom compì un balzo felino per oltrepassare la scatola aperta dell’Ikea che gli stava davanti e tentò invano di salvare l’acquarello incorniciato che si era appena spaccato in mille pezzi ai piedi di Dom.
- …ro. – concluse con un’espressione abbacchiata sul viso.
Dom scese con un balzo dallo sgabello e si inginocchiò di fianco all’amico, mettendosi ad osservare con lui i frammenti di legno e vetro con aria critica.
- Poco male. Ho sempre trovato orrenda quella cornice. – disse infine facendo spallucce. Tom sospirò.
- Fammi indovinare: un regalo di compleanno di Emma. –
- Esattamente. –
- Il disegno è carino, però. –
Dominic prese delicatamente in mano il foglio acquarellato, stando attento a non tagliarsi con i cocci. Era un bel paesaggio marittimo che rappresentava il paesino in Francia dove andavano in vacanza da piccoli.
- E’ sempre stata brava con le tempere. – disse con un sorriso suo malgrado orgoglioso. - Sin da bambina. Si vedeva lontano un miglio che i miei simulavano entusiasmo davanti ai miei sgorbi, e adoravano in maniera genuina i suoi disegni. –
Ridacchiò da solo udendo il proprio tono offeso; Tom gli prese una guancia fra due dita.
- Oh, povero, povero Dommie incompreso! Che infanzia difficile! Mi sto per mettere a piangere. –
Dom si divincolò con un grugnito e, dopo essersi chinato a rovistare nel cartone aperto dell’Ikea, lanciò addosso all’amico una busta di plastica piena di barrette di metallo piegate a L.
- Ahi! –
- Queste sono brugole, coglione. – replicò impietoso il biondo ignorando il suo lamento di dolore.
 – C’è pure il disegnino sul manuale d’istruzioni. –
Tom fece una smorfia supponente.
- Manuale d’istruzioni? Per montare una banale libreria? Tsk. Giammai. –
- Quando verrai a chiamarmi, dopo ore e ore colme di incomprensione e bestemmie, e mi implorerai di darti il libretto che ora tu tanto disprezzi, sappi che ti manderò affanculo. –
- Non succederà. –
- Vedremo. –
Guardò il proprio orologio da polso: avevano resistito a malapena mezz’ora.
Sospirò.
- Pausa? – propose con un sogghigno. Tom quasi battè le mani per la contentezza.
- Pausa. – confermò, tirando fuori il pacchetto di sigarette.
 
*
 
Si stesero sulla coppia di sdraio che Dom teneva in terrazzo e presero l’aperitivo sigaretta alla mano, godendosi gli ultimi minuti di sole prima del calare della sera.
- Spiegami tutta questa urgenza di attaccare quadri, montare mensole e comprare librerie. – attaccò subito Tom, bevendo un sorso di vino bianco.
Dom sorrise, facendosi dondolare la bottiglia di birra in grembo. Quella era una gran buona domanda.
- La casa mi sembrava un po’ spoglia… - cominciò, incerto, tentando di costruirsi un discorso plausibile nella sua testa. – Non so, troppi… Troppi spazi vuoti. – Agitò una mano in aria come a illustrare all’amico il vuoto metaforico che lo circondava. – Capisci? –
Tom aggrottò le sopracciglia.
- No. –
- Ecco, mi pareva. –
- Cioè sì. Ma quando hai comprato l’appartamento la cosa che ti aveva attratto era proprio lo spazio vuoto. È questo il concetto fondamentale di open space, no? –
Dom non rispose e continuò a far roteare con metodo la bottiglia ancora praticamente piena.
Il problema è quando ti sembra che ci sia troppo spazio per una persona sola.
- Forse avevo solo bisogno di cambiare un po’. – rispose, bevendo finalmente un primo sorso di birra sotto lo sguardo penetrante dell’amico. – Capita, a volte. –
Finirono le rispettive sigarette in silenzio, mandando giù di tanto in tanto un po’ d’alcool per rinfrescare le gole secche. Il mese di settembre si era rivelato eccezionalmente caldo quell’anno.
- Quanto tempo è passato dalla festa di tua sorella? – chiese infine Tom con garbo. Dom inspirò a lungo.
- Tredici giorni. – disse piano.
Tredici lunghissimi, interminabili giorni.
- Tredici giorni durante i quali ti sei messo in testa di voler concorrere alle Olimpiadi del Sospiro Sofferto. – Dom non riuscì suo malgrado a trattenere il suddetto sospiro: entrambi ridacchiarono.
– Oltre ovviamente a rompere più bottiglie di quanto tu abbia fatto in tutta la tua vita, scordarti le mance sul bancone e chiamare ripetutamente Matthew il nostro affittuario, Michael, che conosci da quindici anni. –
- Dio, che vergogna. – mugolò Dom prendendosi la testa fra le mani. Tom annuì divertito.
- È divertente anche il modo in cui, non importa di cosa si stia parlando - politica, l’ultimo film che hai visto al cinema, la multa che hai preso l’altro giorno per aver imboccato un senso unico al contrario rischiando di spezzarti l’osso del collo – tu riesca sempre a collegarti all’ingiustizia divina rappresentata dal fatto che questo benedetto Matthew si scopi qualcun altro e non te. –
Stappò un’altra bottiglia di birra e la passò all’amico che stava, né più né meno, rantolando.
- Grazie della delicatezza, Kirk. – borbottò affranto Dom attaccandosi al collo della bottiglia come un naufrago al salvagente.
- Di niente. Dunque, visto l’attuale stato di cose, io suggerirei per la tua e anche in qualche modo la mia salute mentale di provare a ricontattare Matthew il più presto possibile. –
Tom fu preso da un inconsueto bisogno di abbracciare forte l’amico: le spalle gli erano precipitate al suolo e le sue labbra avevano assunto una piega amara.
- Tom, è… - cominciò con voce triste. Tom gli fece gesto di stare zitto.
- …Fidanzato. E chissenefrega. Anche la tizia che mi sto portando a letto da un mese è fidanzata e ti giuro che la cosa non costituisce nessun problema. –
Dom si scordò per un attimo del proprio cattivo umore e gli rivolse un sorrisino malizioso.
- Quella che non sta zitta un attimo? – chiese, divertito. Tom annuì alzando gli occhi al cielo.
- Dio, . L’ho rivoltata come un calzino più volte e non ho ancora trovato il pulsante che la spegne. È pazzesco, ogni volta c’è un tappeto sonoro di blablabla che mi fa uscire di testa. –
- “L’ho rivoltata come un calzino più volte” - ma sentitelo! –
Tom sogghignò.
- La chiacchiera inarrestabile è l’unica cosa che non apprezzo, in effetti. – Si accese un’altra sigaretta, lanciando a Dom un’occhiata furba. – Va come un treno. Ogni volta è una maratona – il suo fidanzato dev’essere magro come un chiodo. Tre ore con lei valgono come venti chilometri di corsa. –
Il biondo fece tintinnare la propria bottiglia di birra contro il bicchiere di vino dell’amico con una smorfia di apprezzamento.
- Alla maratoneta. –
- Alla maratoneta. –
- Vedi di non esagerare. Ti ricordo che l’altro che ha fatto la maratona è morto, alla fine. –
Tom emise un “psh psh” condiscendente e spazzò via quell’ipotesi con un ampio gesto della mano.
- Nah, impossibile. Sto tenendo più o meno il ritmo che tenevi tu qualche mese fa con Justin, o Jason, o Jeremiah, o come accidenti si chiamava. –
- John, Kirk, chiaro e semplice. –
- Ecco, John. Se ce l’hai fatta tu ce la faccio anch’io senza problemi. –
Dom ridacchiò piano, stiracchiandosi lentamente sulla sedia a sdraio e accavallando le gambe. Chiuse gli occhi: il calore del sole era a malapena percepibile sulle sue palpebre serrate. Con un brivido pensò che era meglio rientrare prima di prendere umido.
Ma prima doveva aspettare che Tom la smettesse di contorcersi su sé stesso, e che gli domandasse per quale motivo l’unica relazione della sua età adulta che gli era parsa in qualche modo stabile fosse naufragata da un giorno all’altro.
- E… Senti… John lo vedi ancora? –
Tombola.
Dom rivolse all’amico un sorriso divertito. Come nelle sue previsioni, si stava mordendo nervosamente il labbro inferiore, la scritta “gli sto chiedendo se ha ancora un fidanzato, cazzo!” che ancora un po’ prendeva a lampeggiargli in fronte come un’insegna al neon.
- No. – rispose tranquillamente. D’altronde,  in fin dei conti, non  è che la cosa gli fosse dispiaciuta troppo. Non era stata una grande perdita.
Sentì distintamente che Tom sbuffava di fronte alla prospettiva interiore di continuare a interrogarlo su un argomento così delicato.
- Non ti convinceva? – gli chiese infine, un’espressione comicamente testarda in viso. Dom rise un po’ troppo forte per sembrare del tutto naturale.
- A te convincerebbe un tipo che sparisce per un mese senza dirti niente e nel momento in cui si fa rivedere si mette a litigare con te perché gli hai chiesto legittimamente di mettere il preservativo, dato che non sai che schifo di malattia potrebbe essersi preso dalle scopate che di sicuro si è fatto alle tue spalle? –
Si girò verso Tom: il viso gli si era irrigidito.
- No. – rispose l’amico, rivolgendogli uno sguardo sin troppo grave per i suoi standard. Evidentemente aveva scommesso troppo alto su John – esattamente come aveva fatto lui.
- Infatti. Neanch’io. – disse leggero, facendogli l’occhiolino. Tom ridacchiò e si accese una sigaretta scuotendo le spalle come per scacciare la sensazione di disagio che si era attaccata loro addosso.
– Su con la vita, Kirk. Non è sempre domenica, me l’hai detto tu. –
- Aveva proprio la faccia della puttana. Scusa, adesso posso dirtelo. – commentò velocemente l’altro in tono duro. Dom scoppiò a ridere e annuì.
- Era quello che mi aveva attratto di lui, immagino. –
John, in effetti, irradiava un’aura di sesso che era riuscito a ghermirlo quanto se non più della combinazione gradevolissima formata da un fisico prestante e una voce profonda.
Il confronto con Matt gli balenò irrefrenabile in testa. Piccolo, mingherlino, dai gesti nervosi e la voce quasi inudibile, vestito come chi non ha fatto altro che perdere scommesse per tutta la sua vita: non il suo tipo – e nemmeno un tipo ben identificabile, ad essere sinceri. Possedeva quel particolare fascino dato dalla totale inconsapevolezza di una certa avvenenza dinoccolata e incongrua. Dom era sicuro che lui non avesse la minima idea di quello che gli aveva fatto soltanto guardandolo attraverso lo specchio: qualcosa che si era rivelato mille volte più intrigante di tutti i piedini, gli inviti espliciti e gli approcci fisicamente invasivi che aveva ricevuto sino a quel giorno.
Quegli occhi gli avevano detto se avevo paura prima, ora non ne ho più. La sua espressione decisa e serissima era quanto di più vicino potesse esserci alla manifestazione fisica di un “sì!” urlato a pieni polmoni. L’aveva scongiurato con la certezza di ottenere quello che nemmeno riusciva ad ammettere di desiderare: era un assurdo mix di sensuale sicurezza e goffaggine patologica.
E Dom non riusciva a smettere di pensarci.
- Io se fossi in te torchierei Emma per ottenere il suo numero di telefono. –
Sospirò: grazie a Dio Tom aveva scelto il barista come mestiere di vita, e non il consulente sentimentale.
- Piuttosto preferisco morire. – rispose sorridendogli zuccheroso.
- Ogni lasciata è persa, Howard. – lo redarguì l’amico in un finto tono paternalistico, battendogli sonoramente una mano sulla spalla. – E fidati dello zio Tom: chi si divincola adducendo scrupoli di coscienza e poi ti ficca comunque la lingua in bocca non vuole essere né lasciato né perso. –
- Tom, sono stato io a chiederglielo. – ribatté spazientito il biondo. – Lui mi ha concesso un favore… -
- Che cazzo significa? Anch’io ho chiesto, scongiurato e implorato favori di ogni tipo a donne che hanno trovato giusto rispondermi con un ceffone! Svegliati, Dom, al mondo non esistono i buoni samaritani. Specialmente quando si tratta di sesso. Non l’ha fatto per altruismo, l’ha fatto perché lo voleva quanto se non più di te. Stai solo accumulando scuse su scuse per non andartelo a prendere e scopartelo finchè gli sembrerà impossibile l’avere mai avuto una fidanzata prima. –
E su quest’ultimo punto purtroppo non posso dissentire, Kirk.
- L’unico uomo che davvero mi interessa doveva essere impegnato e per di più onesto e fedele.– borbottò Dominic scocciato e incredulo di fronte alla propria sfortuna, buttando il mozzicone di sigaretta giù dal balcone. – Dio. Il mio karma fa schifo. – commentò aspro.
Tom emise un verso stanco e si alzò a fatica dalla sdraio, guardando l’orologio. Il sole era completamente tramontato e aveva cominciato a soffiare un venticello fresco.
- Beh, prendila così, Howard: date queste premesse, non mi sembra un altro John. – Gli diede quello che doveva passare come un coppino affettuoso sul collo. – Scusa, amico, ma ora devo proprio scappare. Domani è il compleanno di mia madre e non le ho ancora preso niente. – disse in tono di scuse.
Dom annuì sovrappensiero e gli fece gesto di dirigersi pure verso la porta senza di lui – d’altronde, aveva sempre avuto una copia delle sue chiavi e poteva richiuderla dietro di sé senza nessun problema.
- Comprale un libro. A tua madre piace leggere, sono sicura che apprezzerà. – disse in tono assente, sentendo l’amico raccogliere rumorosamente i suoi averi dal tavolino di fianco a lui. Gli fece un piccolo sorriso e strinse la sua mano tesa in segno di saluto. – E falle gli auguri da parte mia. –
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: capitolo corto, lo so. Disonore su di me, disonore sulla mia mucca.
Grazie infinite delle splendide recensioni <3 Sono contenta che la storia vi piaccia, e mi scuso per l’irregolarità con cui viene postata ma purtroppo ho la cattiva abitudine di mettere troppa carne sul fuoco e ho tipo trecento storie da terminare XD
A presto e grazie ancora :***

 

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