Yes Please di nightswimming (/viewuser.php?uid=11000)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2.1 ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
Note:
i
membri dei
Muse e Tom Kirk (facciamo i membri dei Muse e basta, va’, che
dopo “I would
like to thank Charles Darwin” Kirky è
definitivamente in da friendship) non mi
appartengono, non sono miei, proprio, zero, tutto quel che segue
è più falso
della faccia di Patty Pravo e io non ne guadagno nulla (anche se vorrei
ç_ç).
…Ho
messo Patty Pravo e i Muse nello stesso periodo. That’s quite
something. XDDD
Spostò
il peso da un piede all’altro e tirò un lungo,
nervoso sospiro davanti alla
porta.
-
Con tutta la scelta che c’era, proprio da quella
più stronza della classe
dovevamo andare? – mugolò affranto.
Accanto
a lui Andy raccolse
le sue numerose
treccine in una voluminosa coda e prese a fissare il campanello con
aria
corrucciata.
-
Scherzi, Matt? Tutto torna. – Appoggiò il dito sul
pulsante e lo schiacciò
brevemente tre volte.
-
Emma Howard ha sempre creduto di essere il centro
dell’universo. Una cosa così
istituzionale e ridicola come l’anniversario della
maturità si poteva fare solo
da lei. – spiegò in tono ragionevole.
La
vide mordicchiarsi il labbro, in attesa. Matt prese a far dondolare
spazientito
la bottiglia di spumante che teneva in mano.
-
Rievochiamo qualche storiella sul professor Harlow, ci scoliamo tutto
l’alcool
che riusciamo umanamente a contenere senza rimettere l’anima
e prima di
mezzanotte siamo a casa. Ok? –
Andy
sorrise senza guardarlo, giocherellando coi propri anelli.
-
Davvero preferisci quella lagna della tua fidanzata a un party in casa
di Emma
Howard? Mio Dio, Mattie, devi esserti proprio costretto a venire qua.
– disse
in tono più innocente possibile.
Lo
sentì sbuffare e rovistarsi nelle tasche.
-
Andy, per favore, in questo momento ci manca solo ricominciare a
discutere su Kate.
– Tamburellò nervosamente le dita sul muro. - Ma
quanto ci mette quella stupida
ad aprire?! – sbottò ad alta voce.
-
Non lo so, d’altronde è sempre stata
defi… Emma, mio Dio, quanto tempo! –
-
Andrea, tesooooro! –
Matt
piegò le labbra in una smorfia schifata. Se Andy aveva finto
entusiasmo giusto
il minimo indispensabile per non sembrare maleducata, Emma le era
praticamente
saltata al collo e le stava miagolando convenevoli commossi come se
fosse davvero contenta di vederla
dopo tutti
quegli anni.
E
ora sarebbe toccata per forza anche a lui.
-
Matthew! – Sobbalzò al suono acuto della sua voce,
alzando su di lei uno
sguardo che sperava sembrasse abbastanza neutro. Non era cambiata per
niente:
sempre bionda, sempre scollata fino all’ombelico, sempre con
quell’espressione
sfacciata e impicciona in faccia. Lo stereotipo fatto e finito della
gallina di
successo, insomma. – Come sei ingrassato, Matthew! E questi
occhiali? Hai
optato definitivamente per il look intellettuale? –
Matt
borbottò un “Merda!” sottovoce e si
sfilò gli occhiali dal naso, ficcandoseli
goffamente in tasca. Al lavoro era costretto a tenerli sempre addosso e
per la
fretta si era dimenticato di toglierseli.
-
No no, io, ecco, li ho sempre od- Come stai? – Si interruppe
a metà della
frase, pensando che non gliene doveva fregare proprio un accidenti del
rapporto
che aveva coi suoi occhiali. Si scambiarono due baci sulla guancia,
Matt
imbarazzatissimo, lei ridacchiante come una cretina. – Ho
portato dello
spumante. – disse, sollevando il braccio che reggeva la
bottiglia a mo’ di
garanzia.
-
Oooooh, ma non dovevi! Non dovevate! – Fece un passo indietro
e liberò loro la
via, un sorriso eccitato che le andava da un orecchio
all’altro. – Dentro,
dentro, che sono già arrivati quasi tutti e non vedono
l’ora di vedervi! –
Sì,
non vedono
l’ora di ricominciare a riempirmi di coppini fino a farmi
bruciare il collo.
Scommetto che nel vuoto e nella noia delle loro vite di adesso gli
è mancato un
sacco.
Andy
sfoderò il sorriso più falso del suo repertorio.
-
Bene! Anche noi. – e la seguì
all’interno della casa, ridacchiando quando Matt
le sillabò silenziosamente “disgustoso”
senza che Emma potesse vederli.
*
Matthew
non era andato a casa degli Howard nemmeno una volta in cinque anni di
liceo – d’altronde
sarebbe mai stato possibile, lui,
lo sfigato, a prendere il tè dalla ragazza più
popolare della scuola?... -
e fu costretto ad ammettere con una punta di fastidio che era molto
bella. Il
soggiorno era amplissimo e luminoso, arredato con mobili antichi che si
sposavano benissimo con le vecchie stampe alle pareti e con quattro
imponenti
piante di beniamino poste davanti alle grandi finestre. Lì,
allineati in piedi
davanti a un lunghissimo tavolo di legno scuro coperto di ogni ben di
dio,
stavano tutti i suoi ex-compagni di liceo in piena fase di chiacchiera
selvaggia.
L’inferno
dantesco, praticamente.
-
Guardate chi è arrivatoooo! – strillò
entusiasta la padrona di casa,
sventolando le braccia in aria come una tifosa particolarmente
agguerrita. Matt
intercettò lo sguardo già esausto che Andy aveva
rivolto al cielo: ma perché
doveva dire ogni cosa come se annunciasse la novità
più eccitante del momento?
-
Mio Dio, Bellamy, non ci posso credere. – sussurrò
genuinamente stupefatto
Miles Crawford, un uomo grande come un armadio che gli aveva reso
impossibile
il ritorno a casa per cinque terribili anni. – Sei finalmente
riuscito a
vincere l’anoressia? – disse, tutto soddisfatto
della sua brillante battuta,
stringendogli le dita fino a fargliele scrocchiare. La maggior parte
dei maschi
e qualche ragazza, che era oca al liceo e oca era rimasta anche alla
soglia dei
trent’anni, risero divertiti; Matt gli rivolse una smorfia
compassionevole.
-
Miles, che piacere. Vedo che invece le tue menomazioni cerebrali
continuano a
darti problemi. –
Andy
mascherò un sogghigno vittorioso dietro al suo bicchiere di
vino. Il sorriso
dell’uomo si incrinò leggermente.
-
Sei sempre stato uno stronzetto arrogante, Bellamy. –
ringhiò, passandogli una
bottiglia di birra con fare minaccioso. Matt lo ringraziò
sottovoce e la alzò
per un brindisi.
-
E tu un gran coglione. Ben ritrovati! – disse sarcastico, e
cominciò la sua
opera di ubriacamento.
*
-
A quanto sei? – gli sussurrò Andy con la migliore
delle sue voci strascicate.
Matt sbattè più volte le palpebre.
-
Tre birre, mezzo litro di vino, un bicchiere di whisky. –
-
Idem, più o meno. –
-
Ma è ancora troppo poco. –
-
Non me lo dire. Georgiana e la sua cricca di amichette imbecilli hanno
appena
finito di parlare dei loro figli, e io ero indecisa se mettermi due
dita in
gola o provare pietà nei confronti di quelle povere
creature. –
Matt
lasciò andare la testa contro la poltrona e
ridacchiò piano, gli occhi chiusi.
Andy riprese a parlare concitata, le guance rosse per
l’alcool e lo sguardo
stralunato.
-
Ah, e Jimmy Cowell mi ha chiesto il numero di telefono! Mi ha chiesto
di uscire
insieme, per parlare dei vecchi tempi! Non so come ho fatto a non
scoppiargli a
ridere in faccia. –
Matt
ora sghignazzava senza controllo. Jimmy Cowell, un figlio di
papà con il
quoziente intellettivo di un cucchiaino da caffè, ci aveva
provato con Andy a intervalli
regolari per tutti gli anni del liceo, sempre in maniera a dir poco
grezza – e
di fronte ad ogni puntuale rifiuto aveva reagito spargendo in giro la
voce che
lei era frigida e incapace persino a baciare senza lingua. Il fatto che
non gli
fosse ancora passata quella fissa senza speranza e che ancora credesse
di avere
qualche possibilità con lei dopo averle rovinato di
proposito la reputazione
plurime volte lo faceva piegare in due dalle risate.
-
Mezz’ora e poi ce la filiamo. Non ce la faccio
più. – disse, bevendo tre lunghi
sorsi dalla sua quarta birra. Andy annuì freneticamente.
-
Sì, per carità. Ci conviene comunque andare a
parlare con- -
-
Giuro su Dio, Em, è l’ultima volta che ti faccio
da schiavo! –
Entrambi
alzarono la testa incuriositi. Un ragazzo biondo era appena sbucato dal
corridoio, portando in ciascuna mano due voluminosi sacchetti della
spesa che,
a giudicare dal rumore che facevano contro le sue gambe, dovevano
essere pieni
di ulteriore alcool.
Matt
non riusciva a vedergli bene la faccia perché era coperta
per metà da una
pesante sciarpa ma, a giudicare dal colore dei capelli e dal tono
famigliare
con cui la insultava, doveva essere il fratello di Emma.
Questa
gli trotterellava dietro sui tacchi alti miagolando ringraziamenti
acutissimi.
-
Dommie, oh, sei un angelo, grazie grazie grazie! Abbiamo già
finito tutto! –
-
Non ci posso credere. – sussurrò basita Andy. Matt
si girò a guardarla confuso.
– Cazzo, non ci posso credere! – ripetè
in tono eccitato.
-
Che c’è di tanto pazzesco, Andy? –
chiese lui, notando che le brillavano gli
occhi. Lei sospirò teatralmente.
-
Dominic Howard. – tubò deliziata. Matt
arricciò il naso.
-
Il fratello di Emma Howard. Sì, mi dispiace un sacco per
lui. – commentò,
sarcastico. Andy alzò gli occhi al cielo.
-
Ma dai, Matt, non ti ricordi? Ti ho fatto una testa così con
lui in terza!
Avevo una cotta allucinante! –
Matt
riportò lo sguardo sull’oggetto della loro
conversazione, che aveva appoggiato
le borse sul tavolo e distribuiva bottiglie e lattine a tutti
beccandosi
ringraziamenti particolarmente sentiti da parte della componente
femminile. Si
era tolto il cappotto e la sciarpa: notò che era magro, non
particolarmente
alto, e che i vestiti gli stavano addosso molto bene, dandogli
un’aria di
elegante disinvoltura.
-
Se dovessi mettermi a ricordare tutti quelli per cui ti eri presa una
sbandata,
Andy… - ribatté, bevendo un’ulteriore
sorso della sua birra. A qualche metro di
distanza Dominic ne aprì una a sua volta e si accese una
sigaretta, ascoltando
con un sorriso le chiacchiere dei suoi compagni di scuola. Incrociarono
velocemente lo sguardo.
Ha
gli occhi
grigi,
pensò distrattamente Matt, lo sguardo
immediatamente fisso sul tappeto per un motivo che non
sapeva bene
spiegarsi. Non ho mai incontrato nessuno
con gli occhi grigi.
-
E’ ancora più bello di quando aveva
diciott’anni, se possibile. – gorgheggiò
Andy con aria sognante. Matt la guardò sconvolto: era quella
la stessa ragazza
cinica e disinibita che usava gli uomini come fazzolettini usa e getta?
-
Sei regredita a quindici anni? Vuoi rimetterti ad ascoltare gli Spandau
Ballet?... – la provocò con una risata, mettendole
un braccio attorno alle
spalle. Lei arrossì e gli rubò la bottiglia di
birra.
-
Ah, sarebbe tutta fatica sprecata, comunque. –
Mandò giù un breve sorso con
aria afflitta, facendo tintinnare i numerosi braccialetti che portava
ai polsi.
– Oggi come allora. –
Matt
vide Dominic fare lo sgambetto a sua sorella e acchiapparla
all’ultimo prima
che volasse con la faccia sul pavimento. Troppo
buono.
-
Perché? – chiese, sovrappensiero. Andy gli rivolse
un sorriso supponente.
-
Vivevi proprio fuori dal mondo, eh, Matt? Già il fatto che
tu non ti ricordi di
lui ha dell’assurdo. Era uno dei più popolari, a
scuola. –
Lui
fece un gesto con la mano che voleva dire “avrebbe dovuto
importarmi qualcosa?”
e lei sbuffò.
-
E’ gay. – disse solennemente, come se avesse appena
annunciato una terribile
tragedia. “Che spreco” la sentì poi
aggiungere sottovoce, finendo in un sorso il
contenuto della bottiglia.
*
Matt
mosse lentamente il collo avanti e indietro. Doveva subito bere
qualcos’altro:
l’effetto esilarante dell’alcool stava cominciando
a scemare, Andy era stata
catturata nel vortice dei pettegolezzi femminili e lui aveva ripreso ad
annoiarsi terribilmente.
Si
sporse per rovistare tra le varie bottiglie accumulate sul tavolo, in
cerca di
una che fosse minimamente piena. Finalmente trovò del whisky
e se ne versò un
generoso bicchiere con un verso soddisfatto.
-
Ci vuoi dell’acqua? –
Si
girò: Dominic Howard gli sorrideva gentile con una bottiglia
di plastica in
mano.
-
Sì, grazie. – rispose educatamente, allungandogli
un bicchiere vuoto. Lui lo
riempì, se ne riempì uno a sua volta e
alzò in aria il suo whisky per un
brindisi.
-
Alla fine di questa orrenda serata. – dichiarò con
una smorfia provocatoria sul
viso. Matt ridacchiò e fece scontrare i due bicchieri con
soddisfazione.
-
Dio, sì, alla fine di questa orrenda serrata. –
Bevvero
in silenzio. Dominic emise un verso soddisfatto e gli tese una mano.
-
Piacere, Dominic. E scusami per il comportamento poco consono a un
padrone di
casa, ma ho visto che ti annoiavi e ho pensato che dovevi essere uno a
posto. –
Matt
sorrise davanti al calore delle sue parole e gli strinse la mano a sua
volta.
-
Matthew, piacere mio. – Si sedettero. – E hai
perfettamente ragione. Nel senso,
- si corresse subito, impacciato
- non
sul fatto che sono un tipo a posto ma… beh…
rispetto alla noia, ecco. –
Dominic
rise e lui arrossì fino alla punta dei capelli. Maledetto
nervosismo da
socializzazione, gli aveva sempre reso la vita un inferno.
-
Beh, l’ho detto io che sembri un tipo a posto, quindi penso
di essere
abbastanza d’accordo anche su quel punto. A meno di non
essere verbalmente
dissociato. –
Matt
ridacchiò a sua volta. Dominic lo guardava con aria
tranquilla, bevendo di
tanto in tanto un sorso del suo whisky, e il suo atteggiamento
amichevole lo
stava aiutando a rilassarsi per la prima volta nel corso della serata.
-
Conosci qualcuno di loro? – chiese, abbracciando con un gesto
della mano la
stanza vociante. Lui scosse la testa.
-
Non particolarmente, ma ho sempre pensato che mia sorella avesse una
classe del
cazzo. La gente che portava a casa era impresentabile. –
-
Ah, sì, io li odiavo tutti. O quasi. –
Rivolse
uno sguardo affettuoso ad Andy, che era imprigionata in una sorta di
circolo
del cucito con in faccia un’espressione sofferente da martire
cattolica.
Dominic
seguì i suoi occhi e sorrise.
-
E’ molto carina, la tua amica. – disse alzando le
sopracciglia in un gesto
eloquente dietro il suo bicchiere di whisky.
– Ecco, lei rimpiango che non sia mai venuta a
studiare a casa nostra. –
Matt
annuì meccanicamente.
Ma
non era gay?
-
Almeno avrei avuto qualcosa di bello da guardare. –
Calò
un breve silenzio. Matt non sapeva cosa dire: doveva proseguire nel
commentare
l’avvenenza di Andy? No, sarebbe sembrato forzato.
C’era un motivo per cui era
sempre stata la sua migliore amica e niente di più.
Decise
di andare sul classico.
-
Allora, cosa fai nella vita? – chiese, facendo ruotare il
whisky nel bicchiere
per cercare di darsi un contegno. Dominic accavallò le gambe
con un gesto
fluido e si sistemò meglio sulla sedia.
-
Gestisco un bar con un mio amico. – rispose con un sorriso
soddisfatto; doveva
piacergli molto il suo lavoro. Matt si trovò a invidiarlo
selvaggiamente.
Le
rotelle del suo cervello presero a girare in maniera frenetica.
Dai,
digli
qualcosa di brillante e spiritoso. Fai bella figura con un estraneo per
una
volta nella tua vita.
-
Cocktail, aperitivi, quel campo lì? – si
ritrovò a semi-balbettare, una mano
nervosamente affondata nei capelli. Dominic rise di gusto e a Matt
venne voglia
di sprofondare nel pavimento.
Complimenti
alla
tua iimprevedibilità, Bellamy.
-
Sì, proprio quel campo lì. E tu? –
chiese, un’espressione di educata curiosità
sul viso.
Matt
sentì le spalle precipitargli verso il suolo.
-
Lavoro in una libreria. – borbottò, lo sguardo
fisso sulle proprie mani che
stavano torturando impietosamente i bordi del bicchiere. –
E… - Si interruppe
immediatamente. Ma che cosa gli saltava in testa di scaricare le sue
frustrazioni addosso all’unica persona piacevole che avesse
incontrato quella
sera? - …E basta. –
Dominic
annuì con quello che sembrava sincero interesse.
-
Bello! Mi è sempre piaciuto avere libri intorno. Mi piace il
calore che
trasmettono alle stanze. –
-
Sì… Anche a me. –
E
di nuovo non sapeva cosa dire.
Accavallò
le gambe anche lui, a disagio, e quasi sobbalzò quando
riudì la voce profonda
di Dominic.
-
Mi guarderesti in faccia, se non ti dispiace? –
Cominciò
a sudare freddo. Non sembrava scocciato, dal tono. Sembrava soltanto
molto
curioso.
Gli
obbedì arrossendo. Lui analizzò con estremo
interesse qualcosa sul suo viso per
qualche secondo, poi sorrise lentamente.
-
Ah, ecco. Mi ero sbagliato. – disse sottovoce.
Matt
si sporse in avanti senza rendersene conto.
-
Su che cosa? – domandò, incerto. Dominic si
schiarì la gola e si sistemò il
colletto della camicia con un gesto misurato.
-
Hai gli occhi azzurri. Mi erano sembrati verdi, in un primo momento.
– disse in
tono sicuro.
Matt
arrossì senza sapere davvero perché.
-
B-beh, sì. – Che altro poteva dire a riguardo?
– Sì, sono azzurri. –
-
Sono molto belli. –
Ecco,
adesso sì che sapeva perché arrossire.
Una
gioia inaspettata, esaltante gli si fece strada nel petto a quel
commento. Per
quale motivo quel commento gli faceva tanto piacere? Sapeva che Dominic
era
gay, avrebbe dovuto sentirsi intimorito e minacciato da un suo
approccio così
diretto. A lui mica
interessavano gli-
-
Strano, perché… Perché la prima cosa
che ho pensato di te è che non avevo mai
visto degli occhi come i tuoi. – Respirò
velocemente, cercando di non accavallare
le parole per l’eccitazione. – Non credevo
esistessero davvero gli occhi grigi.
–
Ma
che mi
prende? Che sto dicendo? Meglio tagliarla qui, prima che il whisky
faccia
ulteriori danni.
Rialzò
lo sguardo su di lui. Sembrava piacevolmente colpito dalle sue parole.
-
Io… Grazie, lo prendo come un complimento. –
mormorò, i tanto citati occhi
grigi fissi su di lui.
Matt
deglutì a fatica. Il suo sguardo era esplicito ed esitante a
un tempo, come se
sapesse esattamente dove e in che maniera fissarsi ma avesse delle
riserve nel
farlo.
Ed
era decisamente troppo per lui.
-
Vado in bagno. – fu la sua brusca risposta.
*
Chiuse
le mani a coppa sotto il getto del rubinetto e si buttò
sulla faccia dell’acqua
così gelata che rabbrividì da capo a piedi.
Ma
una doccia fredda gli faceva solo bene.
Perché
le gambe gli tremavano? Perché sorrideva come un imbecille?
Perché gli veniva
voglia di tirare fino a mattina in casa della persona più
irritante del
pianeta, solo per poter parlare di banalità con suo fratello?
Perché
mi sembra
che i pantaloni si siano ristretti di due taglie buone?
Si
guardò allo specchio. Era rosso in faccia, e spettinato. Con
un mugugno tentò
di rimediare, passandosi le dita fra i capelli, ma gli
sembrò di star solo
peggiorando la situazione.
Sobbalzò
leggermente sentendo la porta aprirsi. Si girò: era Dominic.
Dominic
che sorrideva timidamente e chiudeva la porta a chiave con un gesto
cauto.
Tornò
a rivolgere lo sguardo verso le specchio, un singolo, squisito brivido
che gli
scorreva lunga la schiena come una scossa elettrica.
-
Non spaventarti, ti prego, non voglio farti nulla. – lo
sentì cominciare in
tono sommesso, quasi impaurito. Doveva temere una sua reazione
incontrollata –
una preoccupazione comprensibile, per un gay che decida di chiudersi
nel bagno
di casa sua con uno sconosciuto dalla sessualità non meglio
pervenuta.
Prese
un lungo respiro di naso e decise di non incontrare i suoi occhi nello
specchio, non ancora.
Per
quanto si sentisse stupido a fissare il lavandino in un momento come
quello.
-
Immagino che debba ringraziare l’alcool. –
proseguì Dominic, ridacchiando piano
e passandosi una mano fra i capelli. – O forse no, forse
l’avrei fatto
comunque. – dichiarò con rinnovata sicurezza,
forse più a sé stesso che a lui.
- Non riesco a staccarti gli occhi di dosso. – Fece una
brevissima pausa, ed
entrambi trattennero il respiro. – Non volevo che te ne
andassi senza sapere
che ti trovo… bellissimo, e… e… -
Matt
chiuse gli occhi e deglutì rumorosamente, sentendosi molto
leggero. Quando li
riaprì Dominic era due centimetri dietro di lui, le mani
accanto alle sue sul
lavandino.
Sentì
il suo respiro irregolare sui capelli e alzò lo sguardo per
incontrare i suoi
occhi allo specchio.
Erano
grandissimi, vivi, e lo guardavano ansiosi. Tutto il suo viso sembrava
concentrato
nell’attesa di una sua qualsiasi parola, o anche di un
semplice gesto, che gli
desse il via libera.
Ma
lui per ora non riusciva nemmeno a pensare. Era tutto troppo
inaspettato, e
troppo bello, perché fosse capace di reagire in qualsiasi
maniera.
Sentì
le sue dita sfiorargli la mano destra, quasi impercettibili.
-
Non sapevo se ti avrei più rivisto. – gli
sussurrò all’orecchio. – N-non sapevo
se tu… Se potevo… -
Il
suo tono esitante ruppe qualsiasi sua esitazione. Abbandonò
la testa sulla sua
spalla con un gemito sollevato e lo sentì immediatamente
premersi contro di
lui, le braccia che si stringevano sul suo stomaco con una rigidezza
che
tradiva la voglia tenuta a freno.
Sentì
che lo baciava sul collo e gemette ancora. Al primo bacio
seguì un secondo, un
terzo, un quarto, e prima di rendersene conto lo stava stringendo a sua
volta
inarcandosi all’indietro contro il suo inguine, la testa
meravigliosamente leggera
e il cuore che minacciava di uscirgli dal petto.
Riaprì
gli occhi. Nello specchio, Dominic lo cingeva per la vita con una mano
e con
l’altra gli stringeva i capelli in un pugno per fargli
chinare ancora di più la
testa, il viso arrossato premuto sul suo collo. Vide la sua lingua
leccare
lentamente il lembo di pelle sotto al suo orecchio e la fitta di
piacere che
sentì quando lui cominciò a succhiare
sembrò svegliarlo dal suo intorpidimento.
-
Non… Non posso. - mormorò facendosi una violenza
incredibile. La testa di
Dominic scattò subito in alto e i suoi occhi si incatenarono
ai suoi. Respirava
veloce.
-
Come? – chiese pianissimo, allentando di un poco la stretta.
Matt percepì
subito il vuoto provocato dall’improvvisa assenza di calore
farsi strada in
ogni parte del suo corpo.
Si
voltò con lentezza e appoggiò la schiena al marmo
freddo del lavandino.
-
Sono impegnato. – ammise a malincuore, alzando velocemente
gli occhi per
incontrare il suo sguardo.
Sembrava
andare oltre al semplice dispiacere; avvertì qualcosa di
più intenso che gli
fece stringere lo stomaco.
-
Scusami. – lo sentì sussurrare dopo alcuni secondi
di pesantissimo silenzio.
Matt allungò meccanicamente le mani in avanti e lo
afferrò per le braccia.
-
No, non scusarti! E’ stato… - niente.
Nemmeno un bacio. Ma Cristo se questo niente è stato bello. -
…Fantastico.
– Lo vide sorridere debolmente. – E credimi, ti ho
fermato unicamente per
scrupoli morali. –
Dominic
rise piano, una risata che sembrava grattargli dolorosamente la gola
per lo
sforzo.
-
Io… Dovevo provarci, tutto qui. –
Matt
ritirò con cautela le mani dal suo corpo. Si guardarono in
silenzio, frustrati.
-
Senti, lo so che non dovrei ma… Posso baciarti? Solo una
volta. – sbottò
Dominic, gli occhi lucidi. – Voglio sapere come sarebbe stato
se… Non devi
neanche ricambiare, se non ti senti. Solo… -
Si
interruppe a metà lasciandosi sfuggire un verso esasperato e
gli prese entrambe
le guance fra le mani, praticamente invitato a nozze dallo sguardo
implorante
di Matt. Che tentò di obbedirgli, almeno
all’inizio, ma mandò tutti i suoi
maledetti scrupoli morali all’aria quando Dominic si fece
strada fra le sue
labbra con la lingua.
Si
aggrappò alle sue spalle e gli si spinse addosso con tutta
la passione che
aveva. Non aveva mai provato tanto piacere per un semplice bacio, non
si era
mai sentito sciogliere in un abbraccio. Lo tirò a
sé per i fianchi e gemette
contro il suo collo quando le loro erezioni si sfregarono
l’una contro l’altra,
allontanandosi di scatto.
-
Non posso. – ripetè in un lamento.
Lanciò un ultimo sguardo addolorato a
Dominic, mimò un “mi dispiace” con le
labbra e afferrò la chiave della porta
per uscire da quel bagno più in fretta che poteva.
Note
dell’autrice:
allora,
la verità è abbastanza semplice: non voglio
finire Entropy. È acclarato XDDD,
quella storia sta per concludersi e io non voglio assolutamente che
ciò accada,
per cui le provo tutte per distrarmi – prima il porn bieco e
becero, ora il
fluff sfarfalleggiante.
Perché
quello che avete appena letto è solo il primo capitolo del
diabete fatto
storia. Davvero, tutti alla fine si amano, tutti si vogliono bene e
viva l’happy
ending e che l’amore trionfi, YAY!
(Scusate,
sono le tre del mattino e sono in generale un po’ turbata da
come questa storia
sa venendo fuori. Cioè, Dom barista e Matt libraio. NON SO
SE CI STIAMO CAPENDO
XDDD)
(La
verità è che devo smetterla di leggere il fandom
straniero, ha una bruttissima
influenza su di me)
È
con viva e vibrante soddisfazione che ringrazio megalomania
per il betaggio, anche se mi ha fatto passare
l’ultimo
quarto d’ora a correggere tutte le e maiuscole accentate che
io prima scrivevo
con l’apostrofo – disonore su di me, disonore sulla
mia mucca! – invece che con
il simbolo apposito che Word tiene in serbo per i puri di cuore. Ora
dovrò
rileggere tutte le mie storie e cambiare ogni fottutissima e *si
strappa i
capelli*
Sara
si merita il mio amore anche per la sua creatività in fatto
di titoli: sua è
stata infatti l’idea di mandare in shuffle l’iPod
fino a trovare qualcosa di
appropriato, e questa storia ha rischiato di chiamarsi, in ordine
- Katherine Kiss Me (lol)
- Public Pervert
-
Green Eyes (seems legit, dopo tutta la pappardella sul grigio e
l’azzurro)
-
Bathroom Acoustics
fino
ad approdare, thank God, ai nostri ragazzi con Yes Please.
Aspetto
trepidante le vostre reazioni *-*
(No,
in realtà ho paura delle vostre reazioni XDDD)
:***
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Capitolo 2 *** 2.1 ***
-
Dom. -
Impegnato.
Ma
certo, era tutto troppo bello per essere vero.
-
Dom! –
Un
ex compagno
di classe di Emma… Impegnato.
-
Dominic Howard, cazzo! –
Solo
io riesco a
toccare il fondo in questo modo.
-
DOM!!! –
Si
lasciò sfuggire un verso spaventato e perse la presa sulla
bottiglia, riuscendo
a salvare lo shaker per miracolo. Un rumore di vetri infranti e la
spiacevole
sensazione di bagnato sulle scarpe lo scossero del tutto dai suoi
pensieri.
Quello,
oltre ovviamente alle urla ferine del suo socio in affari.
-
Porca troia, sei diventato sordo o che cosa? – gli
gridò infuriato Tom dall’altro
lato del bancone, sporto con la metà superiore del corpo
fuori dal loro
ufficio. Sventolava per aria la cornetta del telefono come fosse un
gonfalone
di guerra. – Rispondi a questo rompicoglioni e io pulisco il
casino che hai
fatto. – Dom lo guardò con
un’espressione ancora leggermente confusa in faccia,
udendolo a malapena al di sopra della calca. Era l’orario di
punta e il locale
era pieno all’inverosimile.
–
Dom, santo Dio, devo venire a prenderti a calci in culo?! –
Annuì
meccanicamente, spinse il cocktail riuscito alla bell’e
meglio di fronte a una
bella ragazza dai capelli neri e la gonna succinta che non aveva fatto
altro
che fargli l’occhiolino per tutta la sera e corse dentro
all’ufficio
acchiappando la cornetta a mezza via.
-
Dobbiamo parlare. – gli sibilò minaccioso Tom,
rivolgendogli un’occhiata
autoritaria prima di lasciare la presa sul telefono e rimpiazzarlo di
corsa al
bancone.
Dom
sospirò e attaccò l’orecchio al
ricevitore.
*
Tom
chiuse la porta alle proprie spalle e si allentò la cravatta
con un sospiro
stanco.
-
Detesto i sabati sera. –
grugnì
cercandosi in tasca il pacchetto di sigarette e accendendosene una.
-
É da quando faccio questo lavoro che non riesco a
sopportarli. –
Dom,
seduto in poltrona dietro alla scrivania, emise un solidale quanto
distratto
verso di assenso.
Tom
socchiuse gli occhi e gli rivolse uno sguardo penetrante.
L’amico se ne stava
sdraiato mollemente sullo schienale, il viso stanco e tirato,
giocherellando
con le proprie dita.
-
Dom. – Gli lanciò il pacchetto si sigarette e
l’accendino. Lui li prese al
volo, sospirando: Tom non gli offriva mai una sigaretta a sproposito.
Era il
tacito segnale dell’inizio di uno sfiancante interrogatorio.
– Dobbiamo
parlare. – ripetè, deciso.
Dom
tirò una lunga boccata e sorrise rassegnato.
Appunto.
-
Fatti sotto, Kirk. – lo provocò gentilmente.
Tom
andò a sedersi di fronte a lui sulla scrivania con una gamba
a penzoloni e si
sfilò la cravatta.
Dominic
lo conosceva dal liceo: era il suo migliore amico, e lo era rimasto
anche dopo
dieci anni di lavoro gomito a gomito sei sere alla settimana. Era un
bell’uomo
– agli antipodi del gusto di Dom, ma obiettivamente un
bell’uomo – e costituiva
la metà tosta e aggressiva della loro associazione in
affari. Senza la sua
determinazione e la sua testardaggine, Dom, poco competitivo di natura
e
incline al quieto vivere, non ce l’avrebbe mai fatta a
mandare avanti quel
posto con lo stesso successo.
Thomas
Kirk era in poche parole una macchina da guerra con uno strabiliante
senso
degli affari e la passione per gli alcoolici e le belle donne. Dom
aveva fatto
outing prima con lui che con la sua famiglia –
un’azione kamikaze, se ci
pensava ora in restrospettiva – aspettandosi una reazione
imbarazzata e una
successiva conversazione sgradevole, per non parlare di un eventuale
allontanamento; ma l’amico non aveva fatto una piega. Gli
aveva chiesto
incredulo se davvero per lui non cambiava niente e lui gli aveva
risposto che
sì, cambiava in meglio, perché con un migliore
amico finocchio tutta l’attenzione
femminile sarebbe stata dirottata su di lui per contrasto, e subito
dopo gli
aveva accennato l’idea di cominciare
un’attività insieme dopo la scuola.
-
Ti chiederei se c’è qualcosa che non va
perché ti ho visto con i miei occhi
passare la sera a ignorare una figa pazzesca che aveva come unico scopo
quello
di infilarsi nelle
tue mutande – ma!, dando
ormai per acclarato il fatto
che tu giochi per l’altra squadra e
trascuri orrendamente donne favolose che poi grazie al
cielo vengo a
piangere sulla mia spalla, non sarò così banale e
stupido. -
Sorrise,
accettando con un breve cenno grato della testa il bicchiere di vino
che lui
gli versava. Erano passati quasi quindici anni e se alcune cose erano
cambiate
– molte in meglio, come aveva giustamente profetizzato
l’amico – altre erano
rimaste confortantemente uguali.
La
sua falsa omofobia esibizionista, ad esempio.
-
Sapevo che eri diverso, Tom. – tubò sbattendo le
ciglia nella sua direzione.
Tom
inorridì.
-
Questa – cominciò, indignato, - è la
risposta più che gay che io abbia mai
sentito. –
-
Beh, tutto torna, allora, visto che io sono
gay. –
Lo
sentì emettere un “psh psh” critico con
le labbra.
-
Mi chiedo come tu riesca ancora a infinocchiare tutte queste
donne… ops, scelta
di parole infelice. –
-
Vaffanculo. – rise Dom, spegnendo la sigaretta nel posacenere.
-
Non sembri gay. Sei infido.
–
proseguì lui, ridacchiando a sua volta.
Dom
fece filosoficamente spallucce.
-
Devi tenere presente, Tom, che la tua immagine
dell’omosessualità coincide con
quella del trasvestitismo. Nella tua testa tutti i gay assomigliano al
protagonista del Rocky Horror Picture Show. –
Tom
mise le mani avanti come per respingere fisicamente quel pregiudizio.
-
Non è vero! –
-
Saresti più a tuo agio se io servissi al bancone sommerso da
boa di struzzo
viola. Ti tornerebbero di più i conti. –
Tom
rise di gusto e lanciò uno sguardo all’amico, che
si dondolava sulla poltrona
girevole con un’espressione di ilarità malinconica
sul viso.
Sospirò.
-
E’ da quando avevi diciannove anni che non rompi
più una bottiglia, Dom. –
cominciò cauto, occhieggiando l’amico: guardava il
soffitto con aria assente.
L’ufficio,
ora che il locale era chiuso e se n’era andato pure
l’ultimo cameriere incaricato
di controllare e chiudere la cassa, era silenziosissimo. Il fumo delle
loro
sigarette stazionava a mezz’aria illuminato dalle due lampade
della scrivania,
mentre il resto della stanza era immerso nella penombra. Entrambi erano
esausti
a causa del lavoro e inclini a rilassarsi per qualche minuto
l’uno con l’altro,
perlando del più e del meno, prima di andare a crollare nei
loro letti, come
facevano ormai ogni sera da anni.
Tom
sperava che l’amico fosse dell’umore giusto per le
confessioni. Erano giorni che
sembrava uno zombie e lui in tutta sincerità non riusciva a
farsi venire in
testa nemmeno una spiegazione plausibile.
-
Mh mh. – confermò piano Dom.
-
E’ successo qualcosa in famiglia? Emma sta bene? I tuoi- -
-
Se non è possibile finire schiacciati sotto il peso della
propria stupidità,
allora no, direi che Emma sta bene. – ridacchiò
passandosi una mano sugli
occhi. Tom sorrise furbo.
-
Sempre così critico…Emma è una ragazza
deliziosa. Alle sue tette manca solo il
dono della parola. –
Dom
emise un verso disgustato.
-
Tom, per favore. –
-
A Sua Altezza reale gay fa schifo sentire parlare di cose
così spudoratamente
eterosessuali?... –
-
Sì, se le cose spudoratamente eterosessuali riguardano sua
sorella! –
Tom
si accese un’altra sigaretta con un gesto pratico.
-
Una cara ragazza, ripeto. –
-
Come tu possa avere una buona opinione di lei senza esserci andato a
letto è un
mistero. Pensavo fosse il tuo principale criterio di giudizio.
–
-
E’ la sorella del mio migliore amico. E’ sacra.
E’ tabù. –
Dom
inarcò un sopracciglio in un gesto eloquente.
-
Sì, come no. – disse scettico. Tom assunse
un’espressione offesa.
-
Ehi, è vero! Non la toccherei con un dito. –
-
Ma con qualcos’altro sì, però.
–
Tom
trasalì, punto nell’onore.
-
Ah, e così io non posso neanche nominare le sue tette,
mentre tu che sei il
fratello puoi dire tutte le porcate che vuoi! Mi sembra giusto!
– lo accusò
sventolandogli la sigaretta sotto il naso.
Dom
sollevò innocentemente i palmi delle mani verso
l’altro.
-
Io ho detto “qualcos’altro”, non ho
specificato. –
-
Che checca infida. –
Ridacchiarono
entrambi quietamente. Dom si mise a pensare fra sé e
sé: bene, avevano passato
la fase delle battute sulle tette di sua sorella. Secondo i suoi
calcoli ora si
sarebbe dovuti arrivare al sodo.
-
E’ successo qualcosa oltre il bancone? –
Bingo.
Oltre
il bancone era il nome in codice per tutto quello che non era la
famiglia e non
aveva a che fare col lavoro: le relazioni sentimentali, in poche
parole. Ma Tom
non avrebbe mai e poi mai introdotto l’argomento
direttamente, o, per usare
parole sue, “in maniera così gay”.
Dom
tentò di prendersi tempo lisciandosi le pieghe della camicia
sul petto.
Se
era successo qualcosa? No, assolutamente nulla - aveva soltanto vissuto
il
momento più erotico nella sua vita chiuso nel bagno di casa
sua con uno
sconosciuto che aveva a malapena baciato e di cui non sapeva niente, se
non che
si chiamava Matthew, che era maledettamente fidanzato e che aveva avuto
la
sfortuna di passare cinque anni in classe con sua sorella.
E
che aveva gli occhi più belli che avesse mai visto in vita
sua. E il sorriso
più affascinante. E la pelle più morbida. E-
-
Gesù, fantasticherie omosessuali a briglia sciolta. Le
riesco quasi a vedere attraverso
la tua testa. –
Dom
scosse il capo, arrossendo e tentando di rispondere con qualcosa di
sdrammatizzante. La mascella di Tom precipitò al suolo di un
metro buono.
-
Sei. Arrossito. –
Dom
cominciò a sudare freddo.
-
Oh, Tom, andiamo- -
-
Mio. Dio. –
-
Tom. –
-
E’ una cosa seria, Cristo santo! L’ultima volta che
ti ho visto arrossire è
stato quando mia madre ti ha chiesto se pensavi di sposarti in chiesa!
–
Dom
ridacchiò suo malgrado al ricordo. Quella particolare
conversazione con la
signora Kirk si era rivelata alquanto divertente.
-
Povera donna. Le ho spezzato il cuore. –
-
Più che a lei, a mia sorella. Penso non si sia ancora
ripresa dalla notizia. –
-
Credevo glielo avessi già detto tu di persona! –
-
La fai facile, tu! “Ah ciao Helen, come ti va, lo sai che al
ragazzo di cui sei
innamorata da quando avevi tredici anni piace il-”
-
Tom! –
-
Ok, basta. Non deviare la conversazione. Chi è il
– signore Iddio – il… il…
fortunato?... –
Dom
lo osservò con estrema soddisfazione boccheggiare come un
pesce rosso durante
tutto il suo tentativo di approccio casuale e disinvolto
all’argomento.
Ripensò
al bagno. Al suo sguardo timido e invitante insieme. A quel collo che
si
piegava all’indietro con un movimento squisito. A quelle mani
dai polsi sottili
che lo avevano stretto con una forza inaspettata. Al bacio
più intenso e
passionale della sua vita.
Sorrise.
-
Si chiama Matthew. – sussurrò, gustandosi il suono
di quel nome che gli
sembrava bello quanto il suo proprietario.
Tom
assunse un’espressione pensierosa.
-
Mmmh. Dev’essere stato assolutamente strabiliante a letto,
per farti sorridere
in quel modo al ricordo. –
Dominic
arrossì ancora e l’amico cominciò a
temere seriamente il peggio.
-
Non… Non ci sono andato a letto. –
mormorò con qualche difficoltà.
Tom
spalancò gli occhi come se gli fosse appena comparsa una
macchina in corsa
davanti.
-
Non mi dire che stai davvero diventando uno di quelli che distingue fra
scopare, andare a letto e fare l’amore perché- -
-
No, non me lo sono scopato. Non ci sono andato a letto. Non ci ho fatto
l’amore.– chiarì in tono frustrato,
lasciandosi andare indietro sulla sedia con
le mani fra i capelli. – Cazzo. – aggiunse, per
buona misura.
Tom
si sedette in maniera più comoda e tentò di fare
il punto della situazione – a
suo modo.
-
Su col morale, Howard, non è sempre domenica. Come minimo
deve averti fatto il
pompino della tua vita. –
Dominic
cercò disperatamente di non immaginarsi la scena davanti
agli occhi e
ovviamente fallì, tingendosi di un rosso acceso in ogni
parte visibile del suo
corpo.
-
No. – piagnucolò, sfregandosi gli occhi con una
mano.
-
No, non il pompino della tua vita? –
-
No. –
-
Beh, almeno accettabile, spero, perché
altrimenti… –
-
No. –
-
Come no?! –
-
No al pompino! Non me l’ha fatto, dannazione! Non abbiamo
fatto niente di
niente di niente!! –
Si
immobilizzò all’istante. Aveva quasi urlato.
Tom
sembrava sul punto di svenire.
-
Sei davvero Dominic Howard?... – chiese dopo attimi di
silenzio esterrefatto.
Dom
chiuse gli occhi e si prese la testa fra le mani, lasciandosi sfuggire
un
lamento.
- Non
è successo
niente, Tom. – ripetè,
le tempie che gli
pulsavano. – Ci siamo fermati perché…
perché mi ha detto che era fidanzato. Che
non poteva. –
Respirò
forte attraverso il naso e rialzò la testa. Tom si era
alzato in piedi e stava
bevendo direttamente dal collo della bottiglia.
Guardò
il suo pomo d’Adamo andare su e giù un bel numero
di volte, in attesa, come
ipnotizzato.
Finalmente
l’amico si pulì le labbra con una mano e gli
puntò addosso la bottiglia vuota
come un’arma.
-
Tu – gli disse gravemente con lo sguardo fisso nel suo, - sei
nella merda. –
*
Matt
aprì e chiuse gli occhi diverse volte. Non era sicuro di
aver capito bene.
-
Può ripetere il nome dell’autore, mi scusi?...
– chiese educatamente aprendo la
schermata di ricerca sul computer. La massiccia donna di mezza
età dietro al
bancone si pizzicò con un gesto spazientito i pesanti
leggings invernali
all’altezza della coscia e gli rivolse un’occhiata
critica.
-
Hermès. E’ uno scrittore, scrive libri, dovresti
conoscerlo, no? Non lavori
mica in una libreria? –
Matt
arrossì. Riusciva a percepire lo sguardo dispiaciuto di Andy
fisso sulla
propria nuca, mentre dall’altro lato del negozio serviva
altri due clienti
decisamente più facili di quello che era capitato a lui.
-
Signora, mi spiace, nessun risultato combacia. –
mormorò, schiarendosi la voce
per tentare di assumere un tono più sicuro. La donna
sbuffò teatralmente. – Non
è che le viene in mente qualche titolo d’opera che
possa aiutarci? –
Lei
lo guardò come se le avesse appena chiesto di accompagnarlo
in bicicletta sulla
luna.
-
E che ne so! Sei tu che devi aiutarmi, non io! –
-
Ma, signora, sarà pure interessata a un libro in
particolare- -
La
vide appoggiare la sua enorme borsa pitonata sul bancone e sciogliersi
la coda
per poi rifarsela con un movimento insofferente.
-
Mio figlio mi ha detto che è il suo scrittore preferito.
Prendo un libro
qualsiasi. Se non gli va bene, la prossima volta si arrangia e si
compra il
regalo di compleanno da solo. –
Matt
sentì un’improvvisa compassione per il figlio di
quella virago
ultracinquantenaria vestita come una tredicenne.
-
Aspetti solo un momento. Vado a chiedere dietro. – disse,
tentando di
nascondere un sospiro.
Mostrò
un pollice alzato a Andy per non farla preoccupare e corse su per le
scale che
portavano alla scrivania del suo capo, il signor Touchett. Era occupato
a
sbraitare nel telefono: gli fece il gesto convenzionale per
“cliente difficile”
– un dito teso che andava a tagliargli metaforicamente la
gola – e aspettò
pazientemente che lui finisse, lambiccandosi nel frattempo il cervello
in cerca
di una soluzione.
Venne
risvegliato dai suoi pensieri da una cornetta che veniva calata sulla
scrivania
come un’ascia.
-
Che irritante segaiolo. – grugnì il suo capo,
accendendosi la pipa proprio
sotto il segnale appeso sulla sua scrivania che vietava di fumare
all’interno
di spazi lavorativi comuni. Matt annuì in tacito assenso.
-
Il fornitore? – chiese pur sapendo già la risposta.
-
E chi altri, sennò? Con le sue giustificazioni sul ritardo
delle consegne posso
farci quello che tu puoi bene immaginare. – Matt
annuì di nuovo, solidale. –
Problemi, ragazzo? – chiese, ingentilendo impercettibilmente
il tono.
Matt
lavorava alla libreria Touchett da cinque anni. Era ormai riuscito
nell’impresa
impossibile di guadagnarsi la fiducia di quel vecchio insopportabile e
autoritario che, fino all’impianto dell’ultimo
bypass, aveva goduto a
terrorizzare i suoi dipendenti fino alle lacrime; poi, sotto pressante
invito
del suo dottore di fiducia, aveva cominciato a moderare i toni per
evitare di
farsi scoppiare il cuore ogni volta che urlava come un pazzo contro il
malcapitato di turno.
Ma
fra tutte le sue vittime quel ragazzo timido e magrolino gli aveva
sempre
ispirato una strana forma di rispetto. Silenziosamente, era uno che
teneva
testa – e questo il signor Touchett lo apprezzava. In
più aveva una ferrea etica
del lavoro ed aveva imparato ben presto a correggere una propensione
per il
ritardo che gli era quasi costata il posto nelle prime settimane in
negozio.
Era
rispettoso, ma non asservito; era diretto ma non maleducato. Ci aveva
messo
poco a diventare il suo prediletto.
-
Hermès, signore. Mai sentito nominare. Una signora di sotto
sta tentando di
togliermi la pelle. –
Il
signor Touchett si accarezzò i radi capelli bianchi.
-
Non esiste. – dichiarò in un tono che non
ammetteva repliche.
Matt
aggrottò le sopracciglia.
-
Ma - -
-
Se non l’ho mai sentito io, fidati, non esiste. –
-
Temo che glielo dovrà dire lei. A me non dà
abbastanza credito. –
Il
signor Touchett sospirò e si stava già alzando
con qualche fatica dalla
scrivania quando Matt proruppe in un sonoro “ah!”.
-
Che c’è, ragazzo? –
Le
labbra di Matt si stirarono in un largo sorriso di trionfo.
-
Non Hermès – cominciò, euforico, - Hermann
Hesse! Quell’idiota non ha capito il nome!
–
Il
signor Touchett gli rivolse un ghigno divertito e Matt, rendendosi
conto di
quel che aveva appena detto, sbiancò.
-
Scusi, non intendevo - -
Ma
il suo capo agitò una mano in aria per zittirlo.
-
Bravo, ragazzo. Rifilale la copia più rovinata che abbiamo
di Siddharta e augurale di morire
ammazzata
da un foulard del suo prezioso Hermès. –
-
Sì, signore. –
-
Ti concedo di essere più colorito. –
Esplose
in una risata rauca vedendo il viso di Matt illuminarsi
all’idea.
*
-
Andy. –
-
Mh. –
Si
bloccò, rimanendo per qualche istante a fissarla mentre lei
divorava una
forchettata di spaghetti grande quanto il suo panino.
-
Che c’è, Matt? – bofonchiò
lei con la bocca piena e il mento coperto di
pomodoro, istigandolo ad andare avanti.
-
Ehm… -
Mi
sono
innamorato.
-
Matt, la pausa pranzo dura solo un’ora. Vedi di deciderti.
–
Mi
sono
innamorato di un uomo.
-
Attenta, ti è andata una treccina nel sugo. –
-
Ah, grazie. Allora? –
Mi
sono
innamorato di un uomo che è stato la tua cotta di quando
avevi sedici anni.
Si
rigirò il tramezzino al tonno fra le mani, incerto. Stavano
mangiando il pranzo
che si erano portati da casa nel parco in fondo alla via dove
lavoravano,
ingurgitando un boccone dopo l’altro in fretta e furia per
essere poi in grado
di concedersi una lunga pausa caffè seduti a un tavolo vero
e proprio.
Andy
si pulì attentamente le labbra con il tovagliolo, facendo
attenzione a non
colpire il piercing fatto di fresco. Matt ripensò a quella
disgraziata volta in
cui le aveva dato retta e aveva tentato di rinnovare il suo look: si
era
ritrovato con i capelli rosso semaforo e un tatuatore alto due metri
che
minacciava di volergli ricalcare ad inchiostro le vene delle braccia.
Si
sentiva spesso così scialbo, così nella norma,
così insignificante accanto a
lei – forse perché Andy era molto bella, oltre che
decisamente appariscente,
mentre lui no - ma non aveva mai avuto il coraggio di cambiare il
proprio
aspetto per adeguarlo a quell’idea di sé un
po’ più spericolata che aveva in
testa.
Non sapeva
perché. Sentiva di non aver mai
trovato un motivo vero per farlo.
-
Ti ricordi la festa di Glen? – chiese dal nulla, azzardando
un altro morso a
quel panino che ormai lo nauseava. Andy aggrottò le
sopracciglia, stupita, e
annuì.
-
Sì, certo che mi ricordo. Ero finita a rotolarmi coperta di
fango nel giardino
dietro casa sua, dopo che aveva cominciato a piovere ed eravamo usciti
per
tentare di riparare il grill. Se penso che ci sono ancora le
foto… -
Matt
ridacchiò divertito.
-
Hai reso felice una quantità incredibile di uomini
togliendoti la maglietta,
quel giorno. –
-
Sì, insomma. Che c’è che vuoi dirmi
riguardo alla festa di Glen? –
Andy
lo vide arrossire in maniera consistente sul collo.
-
Ti… Ti ricordi che a un certo punto ballavamo tutti?
–
-
Sì. –
-
E che tu sei finita a ballare con Jessica e io con il suo fidanzato,
che non mi
ricordo neanche più come si chiama… -
-
David. –
-
Ecco, David. – Deglutì, a disagio. Andy lo fissava
con uno sguardo
incoraggiante. – Ti ricordi che ti avevo detto che mi era
piaciuto, ballare con
lui? –
Andy
socchiuse gli occhi.
-
Che stai tentando di dirmi?... –
Non
lo so, non
lo so!!
Si
piegò in avanti sulla panchina, come se un peso enorme lo
trascinasse a terra,
e si prese la testa fra le mani.
-
Ha a che fare con il motivo per cui te ne sei voluto andare via in
fretta e
furia da casa di Emma, vero? –
Dannata
fricchettona
telepata.
Rialzò
lo sguardo su di lei. Sorrideva entusiasta, tormentandosi eccitata il
piercing
con la lingua.
-
Non me lo dire. – sussurrò, saltellando sulla
panchina.
Ho
baciato un
uomo.
-
Andy… -
Ho
baciato un
uomo!...
Lei
aveva preso a strattonargli la manica della giacca.
-
Chi è, chi è?! Devi dirmelo! –
Le
lanciò un’occhiata quasi colpevole. Lei si
immobilizzò di colpo, la bocca che
descriveva una O di perfetto stupore, incredula.
-
Tu…! – cominciò, scoppiando a ridere.
– No, non lui, non è possibile! –
Matt
si maledì per aver solo pensato di cominciare quella
conversazione.
-
Ecco perché non ti si trovava più a un certo
punto! Hai capito Matthew Bellamy
che zitto zitto si fa il tipo più figo del - -
Matt
emise un mugolìo sofferente.
-
Andy, ti prego. Sto ancora
cercando
di metabolizzare la cosa. –
Lei
non sembrò minimamente dargli ascolto.
-
Com’è stato? – chiese, ancora in uno
stato di febbrile agitazione.
Matt
non potè fare a meno di sorridere.
-
E’ stato… -
*
-
…Bellissimo. – concluse Dom in tono sognante.
Una
selva di strilletti estasiati si levò dal pubblico quasi
esclusivamente femminile,
mentre Tom si faceva il segno di mettersi due dita in gola.
Robin,
una delle loro cameriere più di vecchia data,
spostò la sedia più vicino a lui
gli diede una leggera gomitata sul fianco.
-
Non credere che ci accontenteremo di così poco! –
dichiarò battagliera, e il
resto del personale seduto attorno al tavolo per la cena
rincarò la dose con
una piccola salva di applausi. Dom lanciò uno sguardo mezzo
disperato mezzo
divertito a Tom, che mangiava seduto sul bancone con le gambe a
penzoloni: la
sua risposta fu un schietto “cazzi tuoi”
suggeritogli col labiale.
Rialzò
lo sguardo sui suoi dipendenti. Erano una bella squadra, e alcuni
lavoravano lì
sin dall’apertura del locale. Cenavano tutti insieme ogni
sera prima di
attaccare col turno delle 7.30 – 2 e col passare del tempo
era inevitabile che
si fosse creato quel clima di complicità e di confidenza.
Senza
tralasciare il fatto che lo staff femminile impazziva per quel capo
bello e gay
che non aveva mai provato a toccar loro il culo nemmeno una volta ed
era sempre
gentile e sorridente.
-
Non c’è molto da dire. – Un coro di
“buuu” gli fece capire che quella tattica
non funzionava. Dominic ridacchiò e andò avanti.
– Pochi giorni fa ho aiutato
mia sorella a organizzare una rimpatriata della sua vecchia classe del
liceo e
appena l’ho visto mi è piaciuto subito. Parlava
sempre con una sua amica, e non
sapevo assolutamente in che modo avvicinarlo, quando a un certo punto
si è
alzato per versarsi del whisky e io gli ho chiesto se ci voleva
dell’acqua
insieme. –
-
Che tecnica di rimorchio originale, per un barista. –
commentò piattamente Tom,
e tutti scoppiarono a ridere. Dominic gli rivolse
un’espressione acida.
-
Avrei voluto vedere te al mio posto, mister
me-le-scopo-tutte-la-prima-notte. –
Tom fece un piccolo inchino nella sua direzione e si accese una
sigaretta. - Comunque,
lui ha detto di sì e ci siamo seduti a parlare. Non mi
ricordo niente di quel
che ci siamo detti perché non riuscivo a togliergli gli
occhi di dosso. Non lo
so, non mi era mai successo prima… Pensavo che ogni
particolare del suo viso
fosse interessantissimo, che ogni suo gesto e risata e occhiata fosse
affascinante… -
*
-
…Non capivo più nulla, insomma. Ho detto delle
cose senza senso. Mi sembrava
strano tutto quello che stava succedendo – continuavo a dirmi
che era
bellissimo ma che era gay e che insomma se pensavo che fosse bellissimo
allora
anch’io ero gay e poi mi è tornato in mente David
e… Un disastro. –
Rialzò
lo sguardo su Andy: pendeva letteralmente dalle sue labbra. Stava
persino
trascurando i suoi spaghetti per poterlo ascoltare meglio.
-
Poi, beh, mi ha detto quella cosa e sono entrato in paranoia.
–
Andy
alzò le sopracciglia in un’espressione saccente.
-
Tu, che entri in paranoia?... Ma quando mai. –
Ignorò il borbottìo offeso che
usciva dalla sua bocca e tornò a tirargli la manica della
giacca. – Quale cosa?
–
*
Dominic
rivolse uno sguardo pieno di suspence alle tre teste femminili che si
erano
chinate verso di lui in febbrile attesa.
-
Non… Beh, a un certo punto lui si è messo a
fissarsi le scarpe e io non sapevo
più cosa fare, così gli ho chiesto se per favore
poteva guardarmi negli occhi –
lui mi ha detto di sì, io gli ho detto come un coglione
“to’, guarda, non sono
verdi, sono azzurri” anche se lo sapevo benissimo e lui mi ha
risposto “sì,
sono azzurri” ed è arrossito in una maniera
così adorabile che io mi son
ritrovato a dirgli che li trovavo bellissimi. – Si
interruppe. Robin, Elsa e
Jill sembravano congelate in una maschera di stupore. – I
suoi occhi. –
specificò esitante, confuso dalla loro reazione.
Tempo
un secondo e tutte e tre avevano cominciato a urlare come delle pazze.
-
Nessun uomo mi ha mai detto che trovava bellissimi i miei occhi al
primo
appuntamento! – proruppe Elsa in tono lamentoso, picchiando
affranta i pugni
sul tavolo. Dominic fece spallucce con un’espressione
colpevole come a dire “mi
dispiace” e Tom alzò lo sguardo al cielo.
Jill
fu la prima a riprendersi da quello sfogo e tornò a
rivolgere la sua attenzione
al racconto.
-
E poi? –
-
E poi… - Dominic arrossì piacevolmente al
ricordo. – E poi lui mi ha detto che
era buffo perché la prima cosa che aveva pensato di me era
che non aveva mai
visto degli occhi come i miei. Che non credeva che gli occhi grigi
esistessero
davvero. –
Un
lungo, commosso “aaaaaaw” si levò dalle
sue spettatrici, che sembravano tutte
aver bisogno di fazzoletti.
-
Mio Dio, mi viene da vomitare. – sbottò Tom,
spegnendo la sigaretta nel
posacenere con una smorfia. Dom fece in tempo a intercettare un suo
minuscolo
sorriso prima che lui si alzasse per andare in ufficio a prendere le
chiavi per
aprire il locale.
Note:
ben
ritrovati a
tutti quanti <3 ecco la prima parte del secondo capitolo, che
è lungo un’eternità
e che ho deciso di dividere in due parti per agevolarne la lettura.
Un
enorme grazie a Lilla, Matsi e Lilla Wright per le bellissime
recensioni. Vi
risponderò singolarmente al più presto, ma
sappiate che avevo un sorrisone a
trentadue denti mentre le leggevo :*
A
presto!
:***
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Capitolo 3 *** 3. ***
-
…Se ci penso adesso, Dio, mi prenderei a schiaffi da solo!
Chiuderlo nel bagno!
Poteva pensare di tutto: che lo volessi derubare, picchiare, molestare – Gesù,
non berrò più una
goccia d’alcool per almeno un mese, Tom, anche quando si
tratterà di degustare
i vini che dobbiamo acquistare, per carità, lo lascio fare a
te – grazie al
cielo che mi è andata bene! Non sarei più voluto
uscire dal letto per la
vergogna. Gli sono praticamente saltato addosso. “Vacci
piano, Dom, lui ti
piace ma non sei sicuro che tu piaccia
a lui, stai buono, calma e gesso” e poi il minuto dopo, zac!
Sentivo di avere
dei tentacoli al posto delle mani! Ma lui è stato
fantastico, davvero, sai
quando leggi nei libri l’espressione
“abbandono” e pensi “ma che
stronzata” –
lui invece si è proprio abbandonato, ma proprio fisicamente,
sulla mia spalla!
- e poi si è lasciato baciare ed era così
entusiasta, sembrava davvero felice,
ed è una sensazione così bella quando qualcuno ti
fa capire di volerti per davvero,
e… -
-
Dom? –
-
Sì? -
-
…Che cos’è una brugola? –
Dominic
quasi cadde dallo sgabello nel tentativo di voltarsi e fulminarlo con
lo
sguardo. Tom si pentì immediatamente della sua interruzione
così prosaica.
-
Io ti sto aprendo il mio cuore – cominciò il
biondo, dilatando le narici e
agitando il martello che teneva in mano per aria, - e
tu mi chiedi che cos’è una brugola?! –
-
Dom, attento al quad- -
Tom
compì un balzo felino per oltrepassare la scatola aperta
dell’Ikea che gli
stava davanti e tentò invano di salvare
l’acquarello incorniciato che si era
appena spaccato in mille pezzi ai piedi di Dom.
-
…ro. – concluse con un’espressione
abbacchiata sul viso.
Dom
scese con un balzo dallo sgabello e si inginocchiò di fianco
all’amico,
mettendosi ad osservare con lui i frammenti di legno e vetro con aria
critica.
-
Poco male. Ho sempre trovato orrenda quella cornice. – disse
infine facendo
spallucce. Tom sospirò.
-
Fammi indovinare: un regalo di compleanno di Emma. –
-
Esattamente. –
-
Il disegno è carino, però. –
Dominic
prese delicatamente in mano il foglio acquarellato, stando attento a
non
tagliarsi con i cocci. Era un bel paesaggio marittimo che rappresentava
il
paesino in Francia dove andavano in vacanza da piccoli.
-
E’ sempre stata brava con le tempere. – disse con
un sorriso suo malgrado
orgoglioso. - Sin da bambina. Si vedeva lontano un miglio che i miei
simulavano
entusiasmo davanti ai miei sgorbi, e adoravano in maniera genuina i
suoi
disegni. –
Ridacchiò
da solo udendo il proprio tono offeso; Tom gli prese una guancia fra
due dita.
-
Oh, povero, povero Dommie incompreso! Che infanzia difficile! Mi sto
per
mettere a piangere. –
Dom
si divincolò con un grugnito e, dopo essersi chinato a
rovistare nel cartone
aperto dell’Ikea, lanciò addosso
all’amico una busta di plastica piena di
barrette di metallo piegate a L.
-
Ahi! –
-
Queste sono brugole, coglione. – replicò impietoso
il biondo ignorando il suo
lamento di dolore.
–
C’è pure il disegnino sul manuale
d’istruzioni. –
Tom
fece una smorfia supponente.
-
Manuale d’istruzioni? Per montare una banale libreria? Tsk.
Giammai. –
-
Quando verrai a chiamarmi, dopo ore e ore colme di incomprensione e
bestemmie,
e mi implorerai di darti il libretto che ora tu tanto disprezzi, sappi
che ti
manderò affanculo. –
-
Non succederà. –
-
Vedremo. –
Guardò
il proprio orologio da polso: avevano resistito a malapena
mezz’ora.
Sospirò.
-
Pausa? – propose con un sogghigno. Tom quasi battè
le mani per la contentezza.
-
Pausa. – confermò, tirando fuori il pacchetto di
sigarette.
*
Si
stesero sulla coppia di sdraio che Dom teneva in terrazzo e presero
l’aperitivo
sigaretta alla mano, godendosi gli ultimi minuti di sole prima del
calare della
sera.
-
Spiegami tutta questa urgenza di attaccare quadri, montare mensole e
comprare
librerie. – attaccò subito Tom, bevendo un sorso
di vino bianco.
Dom
sorrise, facendosi dondolare la bottiglia di birra in grembo. Quella
era una
gran buona domanda.
-
La casa mi sembrava un po’ spoglia… -
cominciò, incerto, tentando di costruirsi
un discorso plausibile nella sua testa. – Non so,
troppi… Troppi spazi vuoti. –
Agitò una mano in aria come a illustrare all’amico
il vuoto metaforico che lo
circondava. – Capisci? –
Tom
aggrottò le sopracciglia.
-
No. –
-
Ecco, mi pareva. –
-
Cioè sì. Ma quando hai comprato
l’appartamento la cosa che ti aveva attratto
era proprio lo spazio vuoto. È questo il concetto
fondamentale di open space,
no? –
Dom
non rispose e continuò a far roteare con metodo la bottiglia
ancora
praticamente piena.
Il
problema è
quando ti sembra che ci sia troppo spazio per una persona sola.
-
Forse avevo solo bisogno di cambiare un po’. –
rispose, bevendo finalmente un
primo sorso di birra sotto lo sguardo penetrante dell’amico.
– Capita, a volte.
–
Finirono
le rispettive sigarette in silenzio, mandando giù di tanto
in tanto un po’
d’alcool per rinfrescare le gole secche. Il mese di settembre
si era rivelato
eccezionalmente caldo quell’anno.
-
Quanto tempo è passato dalla festa di tua sorella?
– chiese infine Tom con
garbo. Dom inspirò a lungo.
-
Tredici giorni. – disse piano.
Tredici
lunghissimi, interminabili giorni.
-
Tredici giorni durante i quali ti sei messo in testa di voler
concorrere alle
Olimpiadi del Sospiro Sofferto. – Dom non riuscì
suo malgrado a trattenere il
suddetto sospiro: entrambi ridacchiarono.
–
Oltre ovviamente a rompere più bottiglie di quanto tu abbia
fatto in tutta la
tua vita, scordarti le mance sul bancone e chiamare ripetutamente
Matthew il
nostro affittuario, Michael, che conosci da quindici anni. –
-
Dio, che vergogna. – mugolò Dom prendendosi la
testa fra le mani. Tom annuì
divertito.
-
È divertente anche il modo in cui, non importa di cosa si
stia parlando -
politica, l’ultimo film che hai visto al cinema, la multa che
hai preso l’altro
giorno per aver imboccato un senso unico al contrario rischiando di
spezzarti
l’osso del collo – tu riesca sempre
a
collegarti all’ingiustizia divina rappresentata dal fatto che
questo benedetto
Matthew si scopi qualcun altro e non te. –
Stappò
un’altra bottiglia di birra e la passò
all’amico che stava, né più
né meno, rantolando.
-
Grazie della delicatezza, Kirk. – borbottò
affranto Dom attaccandosi al collo
della bottiglia come un naufrago al salvagente.
-
Di niente. Dunque, visto l’attuale stato di cose, io
suggerirei per la tua e
anche in qualche modo la mia salute mentale di provare a ricontattare
Matthew
il più presto possibile. –
Tom
fu preso da un inconsueto bisogno di abbracciare forte
l’amico: le spalle gli
erano precipitate al suolo e le sue labbra avevano assunto una piega
amara.
-
Tom, è… - cominciò con voce triste.
Tom gli fece gesto di stare zitto.
-
…Fidanzato. E chissenefrega. Anche la tizia che mi sto
portando a letto da un
mese è fidanzata e ti giuro che la cosa non costituisce
nessun problema. –
Dom
si scordò per un attimo del proprio cattivo umore e gli
rivolse un sorrisino
malizioso.
-
Quella che non sta zitta un attimo? – chiese, divertito. Tom
annuì alzando gli
occhi al cielo.
-
Dio, sì. L’ho
rivoltata come un
calzino più volte e non ho ancora trovato il pulsante che la
spegne. È
pazzesco, ogni volta c’è un tappeto sonoro di
blablabla che mi fa uscire di
testa. –
-
“L’ho rivoltata come un
calzino più
volte” - ma sentitelo! –
Tom
sogghignò.
-
La chiacchiera inarrestabile è l’unica cosa che
non apprezzo, in effetti. – Si
accese un’altra sigaretta, lanciando a Dom
un’occhiata furba. – Va come un
treno. Ogni volta è una maratona – il suo
fidanzato dev’essere magro come un
chiodo. Tre ore con lei valgono come venti chilometri di corsa.
–
Il
biondo fece tintinnare la propria bottiglia di birra contro il
bicchiere di
vino dell’amico con una smorfia di apprezzamento.
-
Alla maratoneta. –
-
Alla maratoneta. –
-
Vedi di non esagerare. Ti ricordo che l’altro che ha fatto la
maratona è morto,
alla fine. –
Tom
emise un “psh psh” condiscendente e
spazzò via quell’ipotesi con un ampio gesto
della mano.
-
Nah, impossibile. Sto tenendo più o meno il ritmo che tenevi
tu qualche mese fa
con Justin, o Jason, o Jeremiah, o come accidenti si chiamava.
–
-
John, Kirk, chiaro e semplice. –
-
Ecco, John. Se ce l’hai fatta tu ce la faccio
anch’io senza problemi. –
Dom
ridacchiò piano, stiracchiandosi lentamente sulla sedia a
sdraio e accavallando
le gambe. Chiuse gli occhi: il calore del sole era a malapena
percepibile sulle
sue palpebre serrate. Con un brivido pensò che era meglio
rientrare prima di
prendere umido.
Ma
prima doveva aspettare che Tom la smettesse di contorcersi su
sé stesso, e che
gli domandasse per quale motivo l’unica relazione della sua
età adulta che gli
era parsa in qualche modo stabile fosse naufragata da un giorno
all’altro.
-
E… Senti… John lo vedi ancora? –
Tombola.
Dom
rivolse all’amico un sorriso divertito. Come nelle sue
previsioni, si stava
mordendo nervosamente il labbro inferiore, la scritta “gli
sto chiedendo se ha ancora un fidanzato, cazzo!”
che ancora un
po’ prendeva a lampeggiargli in fronte come
un’insegna al neon.
-
No. – rispose tranquillamente. D’altronde,
in fin dei conti, non
è che la
cosa gli fosse dispiaciuta troppo. Non era stata una grande perdita.
Sentì
distintamente che Tom sbuffava di fronte alla prospettiva interiore di
continuare a interrogarlo su un argomento così delicato.
-
Non ti convinceva? – gli chiese infine,
un’espressione comicamente testarda in
viso. Dom rise un po’ troppo forte per sembrare del tutto
naturale.
-
A te convincerebbe un tipo che sparisce per un mese senza dirti niente
e nel
momento in cui si fa rivedere si mette a litigare con te
perché gli hai chiesto
legittimamente di mettere il preservativo, dato che non sai che schifo
di
malattia potrebbe essersi preso dalle scopate che di sicuro si
è fatto alle tue
spalle? –
Si
girò verso Tom: il viso gli si era irrigidito.
-
No. – rispose l’amico, rivolgendogli uno sguardo
sin troppo grave per i suoi
standard. Evidentemente aveva scommesso troppo alto su John –
esattamente come
aveva fatto lui.
-
Infatti. Neanch’io. – disse leggero, facendogli
l’occhiolino. Tom ridacchiò e
si accese una sigaretta scuotendo le spalle come per scacciare la
sensazione di
disagio che si era attaccata loro addosso.
–
Su con la vita, Kirk. Non è sempre domenica, me
l’hai detto tu. –
-
Aveva proprio la faccia della puttana. Scusa, adesso posso dirtelo.
– commentò
velocemente l’altro in tono duro. Dom scoppiò a
ridere e annuì.
-
Era quello che mi aveva attratto di lui, immagino. –
John,
in effetti, irradiava un’aura di sesso che era riuscito a
ghermirlo quanto se
non più della combinazione gradevolissima formata da un
fisico prestante e una
voce profonda.
Il
confronto con Matt gli balenò irrefrenabile in testa.
Piccolo, mingherlino, dai
gesti nervosi e la voce quasi inudibile, vestito come chi non ha fatto
altro
che perdere scommesse per tutta la sua vita: non il suo tipo
– e nemmeno un
tipo ben identificabile, ad essere sinceri. Possedeva quel particolare
fascino
dato dalla totale inconsapevolezza di una certa avvenenza dinoccolata e
incongrua. Dom era sicuro che lui non avesse la minima idea di quello
che gli
aveva fatto soltanto guardandolo attraverso lo specchio: qualcosa che
si era
rivelato mille volte più intrigante di tutti i piedini, gli
inviti espliciti e
gli approcci fisicamente invasivi che aveva ricevuto sino a quel giorno.
Quegli
occhi gli avevano detto se avevo paura
prima, ora non ne ho più. La sua espressione
decisa e serissima era quanto
di più vicino potesse esserci alla manifestazione fisica di
un “sì!” urlato a
pieni polmoni. L’aveva scongiurato con la certezza di
ottenere quello che
nemmeno riusciva ad ammettere di desiderare: era un assurdo mix di
sensuale
sicurezza e goffaggine patologica.
E
Dom non riusciva a smettere di pensarci.
-
Io se fossi in te torchierei Emma per ottenere il suo numero di
telefono. –
Sospirò:
grazie a Dio Tom aveva scelto il barista come mestiere di vita, e non
il
consulente sentimentale.
-
Piuttosto preferisco morire. – rispose sorridendogli
zuccheroso.
-
Ogni lasciata è persa, Howard. – lo
redarguì l’amico in un finto tono
paternalistico, battendogli sonoramente una mano sulla spalla.
– E fidati dello
zio Tom: chi si divincola adducendo scrupoli di coscienza e poi ti
ficca
comunque la lingua in bocca non vuole essere né lasciato
né perso. –
-
Tom, sono stato io a chiederglielo. – ribatté
spazientito il biondo. – Lui mi
ha concesso un favore… -
-
Che cazzo significa? Anch’io ho chiesto, scongiurato e
implorato favori di ogni
tipo a donne che hanno trovato giusto rispondermi con un ceffone!
Svegliati,
Dom, al mondo non esistono i buoni samaritani. Specialmente quando si
tratta di
sesso. Non l’ha fatto per altruismo, l’ha fatto
perché lo voleva quanto se non
più di te. Stai solo accumulando scuse su scuse per non
andartelo a prendere e
scopartelo finchè gli sembrerà impossibile
l’avere mai avuto una fidanzata
prima. –
E
su quest’ultimo
punto purtroppo non posso dissentire, Kirk.
-
L’unico uomo che davvero mi interessa doveva essere impegnato
e per di più
onesto e fedele.– borbottò Dominic scocciato e
incredulo di fronte alla propria
sfortuna, buttando il mozzicone di sigaretta giù dal
balcone. – Dio. Il mio
karma fa schifo. – commentò aspro.
Tom
emise un verso stanco e si alzò a fatica dalla sdraio,
guardando l’orologio. Il
sole era completamente tramontato e aveva cominciato a soffiare un
venticello
fresco.
-
Beh, prendila così, Howard: date queste premesse, non mi
sembra un altro John.
– Gli diede quello che doveva passare come un coppino
affettuoso sul collo. –
Scusa, amico, ma ora devo proprio scappare. Domani è il
compleanno di mia madre
e non le ho ancora preso niente. – disse in tono di scuse.
Dom
annuì sovrappensiero e gli fece gesto di dirigersi pure
verso la porta senza di
lui – d’altronde, aveva sempre avuto una copia
delle sue chiavi e poteva
richiuderla dietro di sé senza nessun problema.
-
Comprale un libro. A tua madre piace leggere, sono sicura che
apprezzerà. –
disse in tono assente, sentendo l’amico raccogliere
rumorosamente i suoi averi
dal tavolino di fianco a lui. Gli fece un piccolo sorriso e strinse la
sua mano
tesa in segno di saluto. – E falle gli auguri da parte mia.
–
Note
dell’autrice:
capitolo
corto, lo so. Disonore su di me, disonore sulla mia mucca.
Grazie
infinite delle splendide recensioni <3 Sono contenta che la
storia vi
piaccia, e mi scuso per l’irregolarità con cui
viene postata ma purtroppo ho la
cattiva abitudine di mettere troppa carne sul fuoco e ho tipo trecento
storie
da terminare XD
A
presto e grazie ancora :***
|
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