Bianco e Nero.

di Dave1994
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bianco e Nero. ***
Capitolo 2: *** L'avvento di Nero. ***
Capitolo 3: *** An Omen. ***
Capitolo 4: *** Rosso e Nero: Capitolo finale (forse). ***



Capitolo 1
*** Bianco e Nero. ***


-Il portale si sta chiudendo, Dante- disse Vergil, con un sorriso doloroso -il mondo degli umani e quello dei demoni stanno per separarsi di nuovo. Farai meglio a sbrigarti.-
-Non dire sciocchezze, non me ne vado senza di te!- rispose il fratello, i cui capelli bianchi scarmigliati lo facevano apparire stanco e frastornato.
-Non puoi fare più niente per me. Il mio posto è qui è Dante. Sono esattamente come loro.-
I due fratelli si guardarono, mentre tutt’intorno l’Inferno stesso tremava: il fiume che scorreva ai loro piedi accelerò il suo corso e lo Stige si tuffò nel baratro oscuro che segnava l’ingresso al Regno dei Demoni.
-Piantala! Tu sei umano quanto me, nelle nostre vene scorre lo stesso sangue! Vieni con me, e potremo ricominciare daccapo!- urlò Dante, sovrastando il fragore che si stava propagando per tutto il passaggio.
-Tu hai preso la tua strada, e io la mia.- rispose Vergil, indietreggiando fino al ciglio del precipizio.
-Addio, Dante.- concluse, lasciandosi cadere.
Dante scattò fulmineo, afferrando la mano del fratello.
-No!-
Vergil lo guardò negli occhi e riversò in quegli specchi di ghiaccio tutta la sua sofferenza, il suo dolore.
E Dante lo vide.
Nel momento in cui aveva afferrato la mano del fratello, l’acchiappademoni era riuscito a scrutare nella sua anima. Aveva visto la causa della sua angoscia, i suoi timori, la sua paura.
Vergil capì che cosa il fratello aveva visto, e un’ombra gli oscurò il volto.
-Prenditi cura di lui, quando verrà il giorno.- sussurrò, dopodichè fendette l’aria sopra la sua testa con la spada che reggeva nella mano destra, un dono del padre. Yamato ferì Dante al braccio, che perse la presa.
Vergil cadde nel buio, mentre i suoi occhi riflettevano il bianco di quelli del fratello e il Nero che aveva cambiato la sua vita, per sempre.

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Capitolo 2
*** L'avvento di Nero. ***


L’uomo in rosso sedeva appoggiato sulla guglia più alta del teatro di Fortuna, scrutando l’orizzonte con occhi di ghiaccio. Nella mano destra, reggeva una deliziosa fetta di pizza ai Wurstel. La mise in bocca, e ne staccò un grosso pezzo.
Sotto di lui, una vetrata lo separava dall’interno dell’edificio:era magnifica, riccamente ornata di motivi gotici.
Sua Santità aveva appena iniziato il sermone, là sotto.
Molto bene.

***

-Nero, cosa c’è che non va?- chiese la ragazza dai lunghi capelli marroni, elegantemente racchiusi in una splendida corona d’oro e di zaffiro, mentre fissava il ragazzo dal braccio destro fasciato al suo fianco.
-Me ne vado, non ce la faccio più.Questo sermone è veramente soporifero.- sussurrò Nero, con fare seccato. Con la mano sinistra, quella ancora buona, si sistemò il ciuffo di capelli bianchi che gli penzolava davanti agli occhi: li aveva così fin dalla nascita. Un mistero mai svelato da nessuno.
Fece per alzarsi, ma una fitta lancinante al braccio fasciato lo paralizzò sul posto. Il ragazzo sentì il proprio cuore battere all’impazzata una melodia selvaggia e senza sosta e contemporaneamente dalla benda cominciò a sprigionarsi una fievole luce blu, dapprima tenue e poi sempre più viva.
No, qualcosa non andava per niente.
Il sesto senso lo fece voltare e Nero si ritrovò a osservare la vetrata del teatro.
E lo vide prima di tutti.
Un uomo in rosso che piombava dal cielo.

***

Dante represse uno strano malessere sorto improvvisamente, pulsante come un secondo cuore all’interno del suo petto. Diede la colpa ai wurstel.
-Rendiamo la festa un po’ più vivace- disse, e saltò contro la vetrata infrangendola in mille pezzi.
Il rumore fu assordante, ma tutto si svolse talmente veloce che solo il bersaglio ebbe il tempo di alzare gli occhi verso l’alto. E di fatto, fu l’ultima cosa che fece nella prima delle sue vite.
L’uomo in rosso atterrò sull’altare, attutendo la caduta con facilità soprannaturale.
Sua Santità fissò Dante stupito, senza paura.
Nel silenzio più assoluto estrasse Ivory, la sua pistola bianca, puntò alla testa e sparò.

***

-Sua Santità!- urlò Credo, capo dei cavalieri dell’Ordine della Spada e fratello di Kyrie, la ragazza accanto a Nero.
I cavalieri dell’Ordine si alzarono come un sol uomo e attaccarono l’intruso in rosso, sfoderando spade argentee e avventandosi contro di lui. Dante impugnò la sua spada, dono del padre: Rebellion, simbolo di chi lotta per la libertà fino all’ultimo. Con semplici e veloci attacchi, uccise la prima linea di cavalieri in pochi secondi con una maestria sovrumana. Era aggraziato, era veloce ed era letale: Nero comprese all’istante che nessuno sarebbe sopravvissuto in quella sala, se l’uomo avesse deciso di ucciderli tutti.
Si fece forza e strattonò via Kyrie, per metterla in salvo.
-Vai con lui, andate al quartier generale e chiamate rinforzi! Io mi occupo di lui!- le disse, indicando il fratello che sembrava indeciso sull’avventarsi o no contro l’assassino di Sua Santità.
-Fai attenzione!- gridò Credo, prendendo per una mano la sorella e correndo via per i corridoi del teatro.
Nero si voltò verso l’intruso, che lo osservava.

***

Dante avvertì di nuovo quella strana sensazione, più forte che mai: era come se avesse già visto quel ragazzo davanti a lui, come se lo conoscesse da sempre. Eppure, era sicuro di non averlo mai incontrato.
Quei capelli bianchi…
Era come avere un dejavù.
-Credo dovrò farti abbassare la cresta- disse il ragazzino, estraendo una pistola dalla curiosa fattura: aveva due canne, anziché una. Sparò e Dante, con la spada che recava dietro la schiena, deviò i proiettili con precisione millimetrica.
-Che senso ha portarsi una spada come quella, per poi non usarla?- lo provocò il ragazzino.
L’uomo in rosso estrasse a sua volta le sue fide due pistole gemelle e iniziò a scaricare sull’avversario una pioggia di piombo, fino a ridurre in polvere le panchine del teatro. In mezzo alla polvere, Dante perse di vista il ragazzo.
All’improvviso, si voltò: era lui, e reggeva in mano una spada.

***

Nero si avventò contro l’intruso in rosso, brandendo una spada a benzina raccolta da uno dei cavalieri caduti, ed ingaggiò un combattimento con il suo avversario, ignorando le fitte al braccio destro: era come se volesse dirgli qualcosa, ma poteva essere anche soltanto una conseguenza della trasformazione.
L’uomo era più forte, più agile e più veloce:eluse gran parte dei suoi affondi e lo disarmò con facilità.Dopodichè, fece per trafiggerlo.
Nero parò il colpo con il braccio destro, bendato.
Intorno ai due duellanti si sollevò un vortice di vento,misterioso e soprannaturale.

***

Dante puntava Rebellion contro il ragazzo, sicuro di averlo ucciso, e si trovò invece davanti a uno spettacolo non comune.
L’avversario stava trattenendo la punta della sua spada con il braccio destro, che però non possedeva nulla di umano:era blu scuro con venature azzurre, mentre il palmo della mano era di un bianco accecante.
Il ragazzo possedeva poteri demoniaci.
Dante non sapeva spiegarsi né il come, né il perché, ma aveva già visto quel braccio. Ne era sicuro. Da esso emanava un’energia familiare, come se…Non era possibile.
-Pare che tu abbia un asso nella manica- disse l’uomo in rosso, incuriosito dalla piega che avevano preso gli eventi.

***

Nero afferrò con il braccio destro la spada dell’avversario e, come se fosse stato fatto di carta, lo scagliò dall’altra parte della sala. Dopodichè, lo rincorse in pochi secondi e lo atterrò, per riempirlo infine con una scarica di pugni. Il ragazzo pestava duro e l’uomo in rosso sussultò, mentre una strana energia emanava dal suo corpo: per un attimo, un solo attimo, il suo braccio divenne come guantato di cuoio, irto di punte.
Nero lanciò l’avversario contro la statua che troneggiava nel teatro, quella dell’antico benefattore della città, Sparda, e gli lanciò contro la sua stessa spada trafiggendolo.
L’uomo si accasciò inerte contro la sua arma, morto.
***

Mentre il ragazzo gli dava le spalle, Dante si sfilò la spada dal petto,sputando sangue.
-Ok, può darsi che ti abbia sottovalutato.- disse all’avversario, stupito.
-Così, anche tu sei un demone?-
-Io, te e loro- disse, indicando i soldati dell’Ordine riversi a terra, dal volto diabolico e straziato dalla loro vera natura -siamo uguali.-
E detto questo, spiccò un salto fino al tetto, senza fatica.
-Ehi!- urlò Nero -dove diavolo pensi di andare?-
-Ci reincontreremo, non preoccuparti, quando sarà il momento.- rispose l’acchiappademoni e scomparve in un battito di ciglia.
E mentre si allontanava dal teatro, rifletteva sulla promessa fatta a una persona cara molti, tantissimi anni prima.
No, non poteva essersi sbagliato.
Era proprio lui.

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Capitolo 3
*** An Omen. ***


Come un secondo cuore.
Il braccio destro di Nero, che rappresentava la prova della natura demoniaca del ragazzo, pulsava ritmicamente come se fosse proprio un secondo cuore, scandendo i suoi battiti con determinazione e lentezza. E anche se Nero avvertiva solo collera allo stato puro dentro di sé, non poté non sentire quel segnale d’allerta: un senso di predestinazione lo opprimeva, adesso.
Come se stesse per accadere qualcosa.
Come se il passato potesse tornare a riallacciarsi col futuro.
Nero si impose di rimanere concentrato, anche se era davvero una parola in quello stato d’animo. Odiava Agnus, odiava l’Ordine, odiava Sua Santità poiché gli avevano fatto conoscere solo menzogne fin da piccolo: l’Ordine della Spada aveva il compito di proteggere la gente, di assicurare che nessun demone potesse anche solo sfiorare un cittadino qualunque della città di Fortuna.
E invece…
Era tutta una bugia, e Kyrie aveva pagato per questo.
Nero crollò in ginocchio nel bel mezzo della sala da pranzo dell’Ordine, afflitto. Non aveva mai provato una
(disperazione,ecco come ci si sente)
sensazione di depressione così forte, tanto che di mantenere l’atteggiamento del duro menefreghista non gli riusciva più. Soffriva tremendamente.
L’unica persona che l’avesse mai amato, che gli fosse mai stata accanto, ora era stata rapita. Per colpa sua, naturalmente, ma non prima che potesse deluderla per bene.
Avrebbe voluto sprofondare sotto la terra, fino alle viscere dell’inferno
(non è posto per te, figlio, credimi)
e non poter risalire mai più.
Quasi non si accorse degli Alti Angeli che silenziosamente si avvicinavano a lui, con quel portamento regale e dignitoso. Le armature dorate non facevano alcun rumore e le ali che li sostenevano in aria restavano immobili, come se in realtà quei
(demoni, non sono che demoni come me e te)
cavalieri fossero trascinati dal vento che non c’era, in quelle stanze.
Quasi.
Il primo impugnò la spada ad anelli e menò un fendente in direzione della testa di Nero e l’avrebbe decapitato all’istante, se non fosse stato per
(quel braccio,è la mia eredità)
la prontezza di riflessi del giovane, che afferrò la spada con il braccio destro e sfruttando la sua forza soprannaturale scagliò l’angelo contro la parete davanti a lui. In un clangore assordante, l’armatura dorata si accasciò al suolo in una posizione innaturale:un uomo normale avrebbe riportato una spaventosa serie di fratture multiple e molto probabilmente da quel giorno sarebbe rimasto a casa a guardare le repliche del Palio di Fortuna, ma quello non era un cavaliere. Era un demone, anche se sotto sembianze di angelo. Si rialzò, aggiustandosi l’elmo come se un collo rotto fosse stata la cosa più naturale del mondo.
Mentre l’intera scena si svolgeva, la seconda armatura era stata ben più accorta: aveva aspettato, per valutare la forza dell’avversario, e al momento opportuno aveva alzato una mano, chiudendola a pugno in un guanto di placche metalliche. Dalle finestre erano entrati ben dieci Bianchi Angeli
(avevo molto più portamento di loro, pallide imitazioni senza vita)
dalle lance spianate, in un inferno di cocci di vetro e mobilia distrutta.
Ma Nero era contento. Più erano, più poteva sfogare la sua rabbia che ora stava dilagando come l’oceano in una tazzina. Prese dal fianco la Red Queen, la sua fida spada che mai lo avrebbe più abbandonato, e tramite una leva a freno innescò il sistema a benzina della lama: lungo il filo dell’arma fiamme rosso arancio presero vita e con un singolo colpo Nero sfasciò le prime armature davanti a lui. Menava fendenti qua e là, senza uno schema,senza una tattica: era mosso solo dalla rabbia, la rabbia dell’impotenza che si prova quando la vita della persona che si ama è in pericolo
(il potere controlla ogni cosa, ragazzo)
e ogni angelo che uccideva, era un passo in più verso Kyrie. Le lance lo mancavano, le spade si limitavano a sfiorargli la guancia: era una danza di fuoco mortale, dalla quale nessuna armatura uscì integra. L’ultimo Alto Angelo, il cui scudo era ormai crepato e quasi totalmente infranto, barcollò verso di lui, la spada sollevata verso l’alto come per sfidare un qualche Dio. Ma non vi era nessuna divinità, solo la furia cieca del giovane che afferrò la spada dell’angelo e gliela conficcò in corpo. Poi, con la Red Queen, descrisse un arco sopra l’elmo dell’avversario e gli spaccò la testa, con un suono come di bottiglie di vetro rotte.
L’Alto Angelo cadde in ginocchio, andando in pezzi. La scarica di adrenalina era ancora forte nel corpo di Nero, che non contento gridò tutta la sua frustrazione, la sua rabbia. Erano urla disumane, che nessun essere vivente avrebbe voluto sentire.
Le urla di un anima sofferente e lacerata dal dolore di chi perde la persona amata, una sorte peggiore persino della morte.

***


Un ragazzo percorreva ora i corridoi al piano più in alto della sede principale dell’Ordine della Spada, senza fretta. Si trovò davanti una porta,con sopra segnate in caratteri dorati le parole: “CAMERE DI SUA SANTITA’: NON DISTURBARE” e la spalancò. Forse avrebbe scoperto qualcosa, forse sarebbe venuto a capo di questo mistero, forse avrebbe dato una giustificazione alle menzogne che tutte le persone responsabili di averlo cresciuto gli avevano tessuto intorno.
E invece, al centro della stanza c’era lui.
Dante.
Stava appoggiato a uno dei baldacchini, le mani giunte sull’enorme spada in bilico sul pavimento. Era stato lui la causa di ogni cosa. Lui aveva assassinato Sua Santità, dando inizio a quella storia.
(siamo invecchiati parecchio,vero fratello?)
-Come mai ci hai messo tanto?- chiese alzandosi in piedi, con un sorriso di scherno.
-Tu.. che cosa ci fai qua?- chiese Nero, mentre una punta dello scoppio d’ira di poco prima affiorò nuovamente dentro di lui - anzi,lascia stare,non ho tempo da perdere.-
Fece per passare, scansando l’uomo in rosso con il braccio sinistro, quando l’altro lo trattenne per una spalla.
-Nemmeno io…-
Nero fu veloce nel cercare di sferrare un pugno con il destro al volto di Dante, ma non abbastanza: l’acchiappademoni lo evitò e ne bloccò un secondo con facilità.
-…quindi vado subito al sodo.-
Il ragazzo forzò la presa dell’avversario, che tuttavia lo lasciò andare all’improvviso: spinto in avanti dalla sua stessa forza, andò a sbattere contro il muro conficcando il suo braccio nella parete.
E la sua rabbia esplose in un coro di voci furiose, dentro la sua mente, mentre il suo braccio ruggiva di dolore sia per la ferita subita, sia per il legame misterioso che lo legava con l‘uomo davanti a lui. Se solo Dante avesse avvertito anche minimamente lo stato d’animo del giovane, forse non l’avrebbe provocato.
-Sono qui per la spada.- disse,avanzando verso il ragazzo con fare minaccioso.
Nero si pose davanti a lui, mentre un’aura blu lo avvolgeva in una luce sovrannaturale: sentì una forza oltre ogni immaginazione pervadergli il corpo, facendogli formicolare le mani.
-Sarebbe a dire?- ruggì, minaccioso, mentre la natura demoniaca che lo possedeva andava manifestandosi dietro alle sue palle: all’inizio apparve solo come una sagoma blu, ma ben presto si rivelò essere gigantesca e spigolosa. A Dante venne un colpo al cuore, poiché riconobbe il quell’ombra l’anima di colui che un tempo lo costrinse a promettergli l’impossibile.
-In origine- disse Dante, imbracciando la spada che recava dietro la schiena e dono di suo padre Sparda -apparteneva a mio fratello,perciò restituiscimela…e forse ti lascerò andare,ragazzino.-
-Ragazzino?!?- rispose Nero, mentre nel suo braccio destro prendeva forma Yamato, custode dell’inferno e del suo potere -beh,se è così,VIENI A PRENDERTELA!-.
E con un singolo movimento fluido, agitò la lama del fratello di Dante nell’aria, proiettando uno squarcio di energia diretto verso l’acchiappademoni.
(ci sai proprio fare,si vede che hai preso da me)
Dante balzò come una tigre, scansando l’attacco con eleganza e atterrato sulla cima del baldacchino, guardò Nero con occhi di ghiaccio.
-Ascolta un suggerimento- disse, tuffandosi nel vuoto con la spada sguainata -dai retta alle persone più anziane di te.-
(vediamo se hai ancora il mordente di un tempo,fratello)
Nero lo vide arrivare e si preparò a contrattaccare, mentre ira e predestinazione dominavano il suo cuore demoniaco.

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Capitolo 4
*** Rosso e Nero: Capitolo finale (forse). ***


- Perchè vuoi darla a me? - chiese Nero, stupito davanti a quella singolare offerta. Dio, quell'uomo aveva fatto l'impossibile per tornare in possesso della spada e adesso, voleva affidarla a lui?
Ma perchè?
- Sento che è la cosa giusta da fare - rispose l'acchiappademoni, porgendo la Yamato al giovane - tienila tu, considerala un regalo da parte mia. -
Nero non rispose, allungò il braccio destro per impugnare la spada e quando la toccò, la lama risplendette di una fulgida luce blu: nell'esatto momento in cui tutto ciò accadde, il ragazzo notò che Dante la impugnava per il manico.
Il volto dell'uomo fu solcato da uno sguardo di sincero stupore, ma fu l'unico particolare che Nero ebbe il tempo di memorizzare perchè all'istante sentì una forte sensazione di risucchio verso l'alto, come se qualcuno stesse aspirando il suo corpo con una gigantesca cannuccia. Carne e vestiti si fusero in un'indistinta macchia blu e rosa, mischiata al rosso di quella dell'acchiappademoni i cui pensieri ora vagavano senza forma e senza consistenza nella mente del ragazzo.

"Che diavolo succede? Sei stato tu? "

"Io? Ehi,ragazzo, è già tanto se riesco ancora a strimpellare qualche accordo sulla vecchia Nevan! Non ho la minima idea di cosa sia tutto questo. "


La personalità di Nero avrebbe riso, se avesse avuto ancora una bocca. I pensieri di Dante lo sfioravano come gli schizzi d'acqua di un fiume in piena: il giovane ne rimase affascinato. L'essenza dell'uomo era unica e rifletteva, come una pietra preziosa, innumerevoli fasci d'essere: solitario eppure socievole, riflessivo eppure istintivo. Tutti i contrari coesistevano in Dante armoniosamente e si cedevano il comando a seconda della situazione. Impressionante.

"Sono affascinante, non è vero? "

"Ehi, smettila di guardarmi nella testa! Quelli sono i MIEI pensieri! "

"Scusa, scusa, stavo solo...Ehi, certo che questa Kyrie non è davvero niente male. Ti consiglio di approfittarne, ragazzo: quelle come lei sono una su un milione. "

"Ora BASTA! "


Nero scacciò via dalla propria mente quella di Dante ed ebbe modo di rendersi conto che la loro separazione fu traumatica: si sentì improvvisamente incompleto, come se gli mancasse un braccio o una gamba. Dio, ci rimase davvero male.

"Il piccolo vuole la mamma. "

Il giovane non colse la provocazione, volgendo invece intorno il suo non -  sguardo intorno a sé: se avesse avuto degli occhi, sarebbe rimasto accecato dal fiume di luce in cui erano incappati dentro i due mezzidemoni. Mille colori si alternavano in un orgia di giallo, verde e blu, allungandosi a dismisura verso una luce bianca distante chilometri e chilometri e loro due ci stavano andando dritti incontro.

"Ehi, Dante, lo vedi quello? "

"Sicuro, sembra che un treno ci stia venendo addosso. "


Le due essenze si estesero fino a diventare sottili come fili d'erba e vennero risucchiate nel globo di luce alla fine del tunnel, che altro non era che un punto nero piccolissimo. Evidentemente là un qualche Dio aveva decisamente sbagliato la scelta dei colori.
Caddero entrambi all'unisono, in un tonfo fin troppo reale. Si alzarono e si accorsero di essere tornati in possesso del proprio corpo: capelli bianchi e spalle ampie erano di nuovo al loro posto, come anche le loro spade e le loro pistole.
Dante si guardò attorno: si trovavano su una sorta di istmo, una sottile striscia di terra che attraversa l'acqua.
Solo che anziché terra, non vi era altro che freddo metallo e al posto dell'acqua sottili rivoli di nulla, pigro e lento, lambivano i bordi della superficie come un bicchiere colmo fino all'orlo di acqua.
- Questo è strano forte. - disse l'acchiappademoni e subito rimase stupito dal fatto che anziché pensiero, aveva espresso suoni veri e propri con la sua solita voce.
- Ehi, Einstein, perchè siamo qui? -
- Non lo so. -
- Ma non hai detto che la spada era tua? -
- Ho detto che la spada era di mio fratello, non mia. -
I due rimasero in silenzio per un po', mentre il nulla liquido intorno a loro gorgogliava in bolle che si sollevavano fino all'altezza delle loro teste, scoppiando in mille schizzi di...nulla, assolutamente nulla.
- Tutto questo è frustrante! - sbottò Nero, mettendosi le mani nei capelli - non sappiamo perchè siamo qui e soprattutto, non sappiamo dove sia esattamente QUI! -
- Ehi, goditi il panorama. Guarda quel bellissimo rivolo di strana roba nera che fluttua a mezz'aria, non è affascinante? Sembra così innocente, così spensierato - disse Dante, sedendosi a gambe incrociate sul metallo gelido ai loro piedi - dovremmo prendere esempio da lui. -
Nero aprì la bocca per replicare a quell'immensa stronzata, ma proprio in quel momento avvertì qualcosa nell'aria
(dammi un secondo, devo prima fare una cosa)
- Ehi, l'ho sentito solo io? - chiese il ragazzo, guardandosi intorno. Quella strana voce sembrava provenire dalla sua testa, proprio come i pensieri di Dante fino a un attimo prima.
- Conosco questa voce. -
Nero si voltò verso Dante per cercare una spiegazione alla sua risposta, ma vide sul suo volto un'espressione di profonda nostalgia, una calda felicità come quella che si prova quando si riabbracciano i propri genitori dopo un lungo viaggio.
- La conosci? -
- Non l'ho mai dimenticata. - rispose l'acchiappademoni, mentre una lacrima solitaria rigava il suo volto.
Graduatamente, il nulla intorno a loro divenne colore: un blu di cui solo il cielo ha mai posseduto le tonalità li avvolse come un folto manto.
- Ehi,hai visto? -
Ma l'uomo in rosso non poté rispondere, perchè una sagoma si avvicinò a loro comparendo all'improvviso, come se fosse sempre stata lì. Per tutti gli anni a venire, Nero la ricordò come uno velo di nebbia che man mano si plasma da solo, come dotato di vita propria.
L'apparizione, diafana ed evanescente, portava una lunga tunica blu e un appuntito viso giovanile: i capelli color dell'argento erano tirati elegantemente all'indietro, mentre occhi del medesimo colore sembravano scrutare un punto fisso sospeso in aria tra gli altri due. Ma, per quanto fosse più simile a uno spettro che a una persona vera, Dante riconobbe all'istante la sagoma di suo fratello maggiore, Vergil.
- Fratellone. - disse, con voce quasi spezzata dal pianto.
Il Vergil - spettro si lisciò i capelli e, come se fosse stato insicuro sul quale parole usare, aprì più volte la bocca senza emettere suoni.
-...ecco, così dovrebbe andare. - disse. La sua voce sembrava parecchio distante e produceva una curiosa eco nel nulla blu intorno a loro.
- E' tuo fratell... -
- Prima di tutto, questa non è che la riproduzione di un ricordo. Non posso sentirvi né vedervi e a quest'ora sarò già morto da un pezzo, o confinato all'Inferno per l'eternità. Direi che fra noi due la sorte peggiore è toccata a me, fratello. -
Dante ebbe un sussulto, al sentir dire il suo nome.
- Oh, sì. So che ci sei, perchè ho stregato la spada in modo che, al momento in cui le due persone al mondo con il mio stesso sangue ne fossero venute in contatto, creasse una piccola singolarità. Pensatela così: in realtà tutto sta succedendo a una velocità spaventosa, ma le vostre menti scandiscono ogni singolo istante. Utile, no? -
A questo punto l'apparizione si voltò verso Nero. Se diceva il vero e non poteva vederli né sentirli, come faceva a sapere che il giovane era proprio lì?
- Figlio mio. -
Cadde il silenzio fra i tre. Pigri riccioli di materia blu fluttuarono attorno a Vergil mentre Nero cercava di assimilare l'entità di tale affermazione. Era talmente assurdo che non poteva crederci.
- So che ti sembra incredibile tutto questo, ma ti prego di ascoltarmi. Alla fine del racconto, sarai libero se credermi o no. Non ti nascondo tuttavia che spero sinceramente nella prima ipotesi. -
- Anni fa - iniziò a dire il ricordo di Vergil, allargando le braccia come un oratore che predica a una folla - incontrai una donna sul mio cammino. Il suo nome era Miranda, e preso sarebbe diventata tua madre. Purtroppo non posso mostrartela, perchè lei non sa di tutto questo: meglio che non lo sappia mai, del resto.
Ognuno di noi cercò la compagnia dell'altro lungo il difficile viaggio chiamato vita. Lei era alla ricerca del Senso, io alla ricerca della vendetta per la morte di mia madre. Ricordi, Dante, come scappai di casa quel giorno? -
L'acchiappademoni annuì con aria assorta, come se stesse rivivendo un sogno dimenticato da tempo. Dentro di sé il ragazzo scapestrato che era un tempo aveva ripreso vita, al ricordo di quell'episodio. Sentiva ancora le urla del fratello, sconvolto dal sangue e dallo sguardo vuoto di Eva, madre dei due mezzidemoni e moglie del grande Sparda.
- Ero furioso e scioccato, perciò fuggii. Percorsi miglia e miglia, vivendo come chi, non avendo nulla, si accontenta di poco. E fu in quel momento che incontrai tua madre. Dio, era così bella. Rimasi a bocca aperta mentre lei mi chiedeva la via più breve per la città di Fortuna e quando le risposi che non sapevo nemmeno dell'esistenza di un tale luogo, lei rise. Il suo sorriso era...era...cristallino. Non saprei descrivertela in altro modo. -
L'apparizione fece una pausa, socchiudendo gli occhi. Dante rimase stupito nel constatare che l'età del fratello doveva aggirarsi sui diciannove anni al massimo, un sole prima del loro incontro sulla cima di Temen - Ni - Gru.
Nero, intanto, era rapito dalla quantità di informazioni che quella sagoma così diafana gli andava via via comunicando. Il solo fatto che non avesse ancora aperto bocca era testimone del fatto.
- Ci avvicinammo sempre più, con il passare del tempo. Finché una sera, forse per il vino, forse per il senso di ineluttabilità che cominciavo sempre più a sentire...ci avvicinammo un po' più del dovuto. -
- Nove mesi dopo, nascesti tu. -
E qui Vergil ghignò, voltandosi verso il fratello.
- Non so te, Dante, ma ho la netta sensazione di aver fatto centro MOLTO prima di te. Sei sempre stato sfigato con le donne. -
Risero entrambi di una risata che attraversava il tempo e che affondava le sue radici negli anni trascorsi. "Davanti a un legame così forte", pensò Nero "non conta quanto il tempo trascorra: nulla viene mai dimenticato. "
La faccia di Vergil, tuttavia, si fece improvvisamente seria: dalla sua fronte aggrottata, Dante vi lesse un dolore indicibile e ne soffrì quasi per empatia.
- Tu nascesti come noi - disse, guardando il ragazzo dall'aria trasognata - metà essere umano e metà demone. Questo ti rendeva un paria per entrambe le specie e Miranda ne soffrì moltissimo. Ma non disprezzò né me, né te, anzi: ci amò ancora di più, perchè sopportavamo la nostra diversità con onore e con coraggio. Io, diversamente, speravo per te una vita assai migliore della mia e pian piano cercai di immaginare a come dovesse essere un'esistenza senza questo fardello. E in una notte di pioggia l'ispirazione mi colpì come un lampo. D'un tratto, sapevo cosa dovevo fare. -
Vergil si lisciò nuovamente i capelli, quasi con una punta di arroganza e narcisismo.
- Il potere di nostro padre era la chiave, Dante. Capii che una forza così grande poteva recidere qualsiasi legame con la natura diabolica insita in ognuno di noi e anche se ciò avesse dovuto voler dire cancellare una parte di noi stessi, volevo provare comunque. Volevo una vita migliore per te, Nero. Volevo una vita migliore per noi. -
Nero trasalì all'istante.
- Conosce il mio nome. -
- Devono averlo deciso prima che si imbarcasse nella sua folle impresa. - rispose Dante, assorto nei suoi pensieri. Ora riusciva a dare un significato alle parole del fratello e al suo comportamento solo apparentemente senza senso
(potere, voglio più potere)
poteva davvero un potere così grande come quello di suo padre
(recidere qualsiasi legame con diavolo dentro di noi)
far diventare normale un demone mezzosangue?
- Se però state guardando questo ricordo, allora significa che la mia impresa è fallita e che sono morto, o peggio. Non sono stato all'altezza del compito, figlio mio: potrai mai perdonarmi, per non essere riuscito a donarti un esistenza migliore di quella che hai ricevuto? - disse Vergil, con la voce rotta dal pianto. In Nero suscitò un misto di commozione e pena: all'improvviso, provò il desiderio di afferrare quell'anima che si proclamava suo padre e dirgli che era tutto ok, che la sua vita era stata ricca di avvenimenti e che aveva conosciuto persone splendide come Kyrie e l'uomo in rosso che stava in silenzio accanto a lui, in lotta con le lacrime che ora minacciavano di sgorgare sul suo volto. Incredibilmente, vinse. Non pianse, mostrando invece un sorriso addolorato e triste.
- Vieni qua, figlio mio. -
E a queste parole, la figura trasparente di Vergil allargò le braccia in modo che Nero potesse abbracciarlo: non vi fu contatto, ma al ragazzo bastò comunque. Era tutto ciò che serviva per farlo sentire in pace con sé stesso.
- Non commiseratemi. Siete la mia famiglia, le uniche persone rimaste al mondo a cui tengo davvero, insieme a Miranda. Non cercatemi là dove ogni speranza è vana, perchè l'Inferno non è posto per i vivi e soprattutto perchè i morti devono restare morti. Non si deve mai alterare l'equilibrio nel mondo. -
- Vi saluto, è ora di lasciarsi. -
Il ricordo di Vergil non sbiadì fin da subito: al contrario, parve acquistare sempre più colore e nitidezza con il passare dei secondi ("Come si fa a misurare il tempo, quaggiù?" pensò Dante, subito scacciando quel pensiero inutile) al pari di una stella morente.
Dopodichè, si disgregò davanti ai loro occhi in minuscole volute di fumo.
- Ehi, tigre - disse, rivolgendosi a Dante in un ultimo, esasperato tentativo di parola - ho appena fatto jackpot. -

***


Se ne andò, così come era venuto incontro a loro. D'un tratto, il nulla liquido attorno a loro si contrasse in uno spasmo di agonia e li avvolse in un baleno, scaraventandoli verso il basso.
Caddero a terra, battendo la testa contro il duro cemento della strada sotto di loro. Yamato, la spada di Vergil, cadde a terra con un clangore metallico.
Nero fu il primo a rialzarsi, sebbene vertigini occasionali lo assalirono ancora per qualche minuto. Si girò verso il Teatro di Fortuna e vomitò nella fontana davanti a lui.
- Ti ha voluto davvero un mondo di bene, per fare quello che ha fatto. - disse Dante, ripulendosi dalla polvere della strada. Cercò di guardare il ragazzo negli occhi, ma non ci riuscì.
- Era davvero mio padre? Ed è morto? -
- Sì. Non provare mai a cercarlo, Nero: lui non lo vorrebbe. E oramai, ciò che resta di lui non è altro che l'ombra di quello che fu un tempo. -
Il giovane non rispose, soppesando col pensiero un'idea a dir poco folle. Ma non la comunicò all'acchiappademoni, che a quanto pareva era nientemeno che suo zio. Non l'avrebbe neanche ascoltata, troppo impegnato a cercare di dissuaderlo.
Nero voltò lo sguardo tutt'intorno a lui, cogliendo il Rosso dell'abito di Dante e il Bianco dei suoi occhi. Vide in lontananza una donna, con un lungo abito bianco sudicio e dai merletti lacerati, che lo salutava. Nero sorrise a Kyrie e pensò che una famiglia felice era una famiglia unita.
E molto presto avrebbe ricambiato il tentativo del padre, lo giurò davanti a sé stesso.

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