Moonlight Shadow

di Dolcemaia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Moonlight Shadow

 

 

Prima di cominciare volevo premettere che ho letto solo il primo capitolo del seguito di Twilight perciò abbiate pietà se vi saranno incongruenze, o altro tipo di errori, questa storia è nata un pò per gioco, un pò per eccesso di fantasia. Volevo però ringraziare Moon per avermi consigliato di leggere un libro così appassionante, e per aver sostenuto la mia iniziativa di scrivere questa fic!

 

Capitolo 1

 

Sospirai per l’ennesima volta sfilando la bacchetta dai capelli, che mi ricaddero mollemente sulle spalle e mi fissai allo specchio.

L’immagine che rifletteva, non mi piaceva affatto. Ero stanca, decisamente troppo stanca, ma non era di certo quello il momento adatto per analizzarne le cause, bastavano già le mie occhiaie a fugare ogni dubbio. Stavo lavorando troppo, questo era assodato e c’era ben poco da poter fare.

Con una certa premura, tirai fuori la pochette di Louis Vuitton - un vezzo di Renèe - fosse dipeso da me avrei continuato a tenere le mie cose nell’astuccio trovato nei cereali… quello con i pokemon sopra, ma lei aveva insistito, dicendo che mi sarebbe stata utile. Ad ogni modo presi correttore e cipria e cancellai quei segnacci sotto gli occhi.

In un altro periodo della mia vita truccarmi mi sarebbe sembrato assurdo come gli asini in cielo che volavano come uccellini, detestavo a scuola le ragazze che sfoggiavano ciglia extralunghe e ombretti metallizzati, adesso, invece, per me era diventata una necessità.

Non sono vanitosa, non lo sono mai stata, ma nel momento in cui gli occhi emaciati, per via delle numerose nottate in bianco, superate solo grazie una dose massiccia di caffeina direttamente in vena, fanno paura al tuo capo, allora è il caso di mettere da parte i pregiudizi e cominciare ad usare il cervello.

Presi la spazzola e la passai tra i capelli distrattamente. Ormai erano molto più corti di prima, arrivavano appena sopra le spalle, quindi non mi ci volle molto a metterli in ordine. Era strano come mi venisse facile fare dei paragoni con un passato così lontano. Non avevo più nemmeno lo stesso colore. Avevo trasformato il mio castano chiaro in un rosso scuro… caldo..

Edward storse il naso, tenendomi il muso per un’intera settimana quando si ritrovò faccia a faccia con la novità. Diceva che quella robaccia chimica aveva alterato il mio odore. In realtà credo che i miei capelli, all’inizio, non gli fossero affatto graditi. A dirla tutta, a me piacevano molto di più, mi vedevo diversa, ma forse per lui quella mia necessità di cambiamento significava altro.

Fosse stato solo quello il cambiamento!

Raccolsi le ciocche di capelli in un morbido chignon sulla nuca, e feci per uscire dal bagno quando sbattei contro un muro di marmo gelido dal profumo terrificantemente invitante.

“Quando la smetterai di farlo?” gli domandai piccata, toccando la fronte che avevo picchiato proprio contro di lui.

“Se tu guardassi in avanti quando cammini..”

“Se tu evitassi di comparire dal nulla..” gli risposi imitando il suo stesso tono. Era bellissimo.

Come sempre d’altra parte. Con i capelli fintamente scompigliati, frutto di un lavoro fatto con il gel assai lungo, quel sorriso splendente e quella dannata camicia blu che gli si apriva sul collo fino a scendere appena sul petto.

Avrei voluto essere io la vampira tra i due!

“Stai dimenticando niente?” domandò lui con aria saccente, ma non irritata. Lo guardai perplessa senza capire, poi mi voltai verso l’interno del bagno e mi resi conto di aver lasciato lì l’anello.

Non feci in tempo ad allungarmi a prenderlo che lui l’aveva già tra le dita.

Mi irritava a volte quella sua velocità! Già ero goffa di mio, ma accanto a lui, mi sentivo una balena arenata su una spiaggia.

“Sai che mi secca bagnarlo, si rovina!” protestai cercando di prendere il cerchietto d’oro bianco dalle sue mani.

“E’ un diamante. Non si rovina con l’acqua.. è per sempre.” Fece lui con una voce intensa e allo stesso tempo con una punta di ironia, mentre prendeva la mia mano e poi me lo infilava all’anulare.

“Lui è per sempre…” mi lasciai scappare io a mezza bocca facendo intuire chiaramente il mio sarcasmo, visto che io ‘per sempre’ non lo ero, quindi abbassando il capo, passai sotto il suo braccio oltrepassandolo.

Lui non rispose. Rimase lì impalato e forse sapeva bene che era l’unica cosa da fare.

Stavamo cambiando, ero cambiata.

Era palese che ormai il piano A, quello di diventare ‘non umana’ come lui, fosse svanito, perciò ci eravamo imbarcati nel piano B. E devo ammettere che in qualche modo questa decisione forzata gliel’avevo fatta pagare. Come stabilito mi ero iscritta al college, lui andava matto per quest’idea, solo che tra il New Jersey, il Connecticut ed il Massachusetts avevo scelto quest’ultimo. Il più lontano in assoluto da Forks.

Harvard era di certo una delle migliori università e questo fu sufficiente dal farlo desistere dal muovere obiezioni. In realtà era quello che volevo, non aveva fatto ciò che desideravo. Volevo che si arrabbiasse, che gridasse, che avesse una minima reazione, ma nel suo solito stile serafico, si era limitato a dire che il mio bene veniva avanti a tutto. Anche se avevo scelto una facoltà, Legge, che con me non c’entrava niente, anche se sapeva bene che la mia era solo una provocazione, perché mi dimostrasse che veramente mi amava come diceva e mi facesse diventare la sua compagna.. per sempre. Si era dimostrato entusiasta e felice della mia scelta e questo mi aveva ferita più profondamente di quanto io stessa forse sarei stata capace di ammettere.

Nonostante tutto, nonostante la lontananza ci vedevamo spesso, o meglio mi convincevo che così fosse; cercavo di tornare ogni weekend a Forks, lui mi mancava troppo, avevo un bisogno quasi fisiologico anche solo di vederlo di sfuggita e sentire il battito del cuore accelerare a velocità supersonica. La sua voce per quanto suadente, veniva distorta da quello stupido cellulare, quindi sentirlo non mi bastava, fortunatamente, quando pioveva su da me, sapevo che quasi certamente l’avrei trovato all’ingresso principale, perciò ogni mattina con una sorta di eccitazione, mi alzavo sperando di vedere grossi e pieni nuvolosi all’orizzonte.

Tutto sommato la distanza influiva relativamente sulla nostra relazione, quando non ero con lui studiavo come una disperata al solo scopo di non far correre il mio pensiero dal mio principe, dai capelli di bronzo e gli occhi incantatori. Le cose, poi, si erano evolute, erano cambiate e quell’anello era solo una formalità, non era ciò che volevo da lui, e non solo perché non ero avezza a certe tradizioni, tra l’altro da sempre avevo il sentore che fosse solo una sorta di spauracchio per eventuali malintenzionati corteggiatori. Anello, fidanzata, capitolo chiuso.

Questo doveva essere grandi linee il suo ragionamento.

“A che ora verrà a prenderti?” domandò seccato guardando per un attimo l’orologio. Era irritato. Era sempre irritato quando parlava di Martin.

“Tra trenta secondi!” risposi, infilandomi contemporaneamente la giacca del tailleur nero e una scarpa, mentre cercavo l’altra con lo sguardo. Scarpa che mi si materializzò di colpo dinanzi, tenuta saldamente dalle sua dita bianche e marmoree.

“Grazie.” Sussurrai senza aggiungere altro. Sarebbe stato inutile intavolare un’altra discussione sul fatto che Martin era un mio collega di lavoro, che non avevo nessunissimo interesse per lui e non potevo scaricarlo solo perché a lui non piaceva. Tra l’altro era anche un bravo ragazzo, oltre che un bravo compagno di lavoro, divideva sempre equamente tutto.

“Poi devi spiegarmi perché quando ero io a volerti accompagnare, sbraitavi per guidare tu e adesso ti fai scarrozzare da quello senza protestare!” mi disse acidissimo. Era geloso.

Geloso marcio e quando lo era, perdeva un po’ in grazia.. e a me piaceva!

Piaceva da matti, anche se non gliel’avrei mai detto!

“Edward è solo un collega e un amico, finito lì! Non c’è nient’altro. Lo sai benissimo anche tu, senza nemmeno aver bisogno di leggermi la mente!” gli dissi cercando di rassicurarlo, mentre con una mano gli sfioravo piano il viso, tracciando il contorno del suo profilo dalla tempia al meno. Chiuse gli occhi , ed in quel momento ebbi la sensazione di averlo nelle mie mani.

“Ti trova attraente..” sussurrò lui, decisamente più calmo però.

“Ed io trovo attraente te… senza nessun paragone possibile.” E senza rendermene conto, le mie labbra erano già sulle sue, intente a sfiorare quella pelle fredda, ma allo stesso tempo incredibilmente invitante. Totalmente presa da lui, dal suo profumo e dalla necessità di sentirlo vicino, avevo fatto scivolare la scarpa in terra e l’avevo abbracciato forte approfondendo quel contatto, così dolce, così intenso.. fino a quando non si irrigidì.

Avevamo lavorato un po’ su questo punto. La sua resistenza era aumentata, ma non si rendeva minimamente conto di che violenza fosse per me, staccarmi così bruscamente da lui, ogni volta che mi lasciavo andare all’istinto, e mi abbandonavo alle sensazioni.

Non si rendeva minimamente conto nemmeno del fatto che era assurdo che a quasi 24 anni, fossi ancora vergine, e che avevo un desiderio incontenibile di fare l’amore con lui tanto da andare fuori di testa, ogni volta. Ogni singola volta.

“Bell..” sussurrò appena, forse con rammarico, forse con il mio stesso disagio e irritazione, ma io lo presi più come un rimprovero. Fortunatamente subito dopo il citofono di casa suonò, quindi mi allontanai da lui per rispondere.

Come previsto era Martin. Era ora di andare. Finalmente.

“Sono in ritardo.” Tagliai corto e questo lui lo capì benissimo.

Da quando ci eravamo trasferiti a San Francisco, non riuscivamo più a parlare. Avevo cominciato una nuova vita, una vita diversa, mi ero laureata, stavo lavorando, certo sarebbe stata più adatta una città come Los Angeles o New York per fare carriera, ma erano decisamente troppo ‘luminose’. San Francisco, lo era meno, d’inverno il sole era assai debole, il cielo sempre coperto di nuvole e l’aria più fredda.  Estati fresche, nebbiose e siccitose, inverni miti e piovosi era quello che la città offriva; la corrente californiana, fredda e umida ci aveva fatto il regalo più gradito. Io avevo una grande città in cui lavorare ed Edward un clima che non l’avrebbe costretto in casa. Dovevamo esserne tutti felici ed invece così non era. Prendere una casa assieme mi sembrava ciò che di più desiderabile ci potesse essere al mondo. Nessun Charlie che sarebbe venuto a controllarmi nel mezzo della notte, nessuna fuga di Edward per evitarlo, nessun coprifuoco o persona a cui rendere conto.

Solo io e lui.

Era ciò che volevo di più, ma i piani non erano andati esattamente ocme avevo immaginato nel mio bel filmino rosa, tutto cuori e fiorellini. Lavoravo come una bestia da soma da quando ero entrata come associata in quello studio di avvocati. Ero la più piccola, la nuova arrivata era normale che passassero a me tutte le cose più rognose e tempo per stare con Edward ce n’era davvero poco. O forse ero anche io a non volerlo trovare. Lui non si lamentava mai, usciva al mattino e rientrava la sera, non sapevo dove andava, non sapevo che faceva, probabilmente lavorava anche da qualche parte, ma non me ne parlava mai. Né io domandavo.

Non era finito l’amore, tutt’altro, amavo Edward in una maniera talmente viscerale e talmente profonda, da aver cominciato ad odiarlo. Odiare forse no . E’ una parola dannatamente forte, eppure c’era una sorta di repulsione in me, perché percepivo che lui non mi ‘voleva’.

Avevo smesso di chiedergli di farmi diventare come lui, lo decisi il giorno del mio ventesimo compleanno. Era evidente che non avrebbe mai ceduto e continuare a passare il tempo a chiedergli qualcosa che non mi avrebbe dato, stava solo rovinando la mia ‘misera vita’ che avevamo a disposizione per stare insieme. Una quantità decisamente misera rispetto alla sua eternità.

Ad ogni modo, sebbene non lo menzionassi a parole, quel desiderio era più che ardente in me, non si rendeva conto che vivevo con un fastidioso senso di precarietà, vedevo la mia vita, così stupidamente breve, e così inutile. Io volevo lui, volevo stare con lui, e stavo rovinando il tempo che avevamo, al pensiero di quello che avremmo potuto avere.

Infantile, ma del tutto inevitabile.

“Ci vediamo stasera!” gli dissi con un ultimo cenno della mano, prima di afferrare la mia borsa con i documenti per il lavoro e varcare la porta.

Sapevo che sarebbe rimasto alla finestra a guardare, mentre entravo in macchina, sapevo anche che avrebbe passato al setaccio i pensieri di Martin e speravo ardentemente che non ve ne trovasse di disdicevoli o sarebbe balzato giù dal terzo piano e lo avrebbe spiaccicato contro il sedile della macchina. Non che l’avesse mai fatto, però ne sarebbe stato capace.

Non accade.

Martin cortesemente, con quel suo sorriso gentile e gli occhi castani, mi fece accomodare e partimmo alla volta dell’ufficio. Avevamo una riunione per firmare gli ultimi documenti di una fusione molto importante e suppongo che questo pensiero occupasse sufficientemente la sua mente per non badare a me.

La mattinata lavorativa si svolse senza alcun intoppo. Il signor Richmond, il socio fondatore era un ometto paffuto, ma molto determinato, fu lui a farmi il colloquio quando mi presentai piuttosto inesperta e spaventata in questo studio, ma fortunatamente non si fece impressionare dalla mia goffaggine, quanto dalla mia capacità di rispondere in maniera tagliente, ma assai educata. Ho sempre sospettato che il merito di ciò fosse solo ed esclusivamente di Edward, le schermaglie quotidiane con lui erano una palestra eccellente per un avvocato, ma poco importava, il posto era mio e tanto bastava. L’ometto dopo la riunione si complimentò con me e Martin per l’ottima stesura dei documenti, dicendo che non si aspettava un così buon lavoro da due novellini, se avesse saputo che ci avevamo passato due notti intere su quegli atti forse si sarebbe ricreduto, stranamente però la cosa non m diede particolare soddisfazione. Niente mi dava particolare soddisfazione. Lavoravo perché dovevo, respiravo perché era inevitabile, mangiavo… quando me ne ricordavo. O quando se ne ricordava Edward.

Anche quel giorno durante la pausa pranzo lui mi chiamò, sapeva che era l’unico momento in cui potevo parlare tranquillamente, solo che non squillò il cellulare, ma direttamente il telefono dell’ufficio.

“Sapevo che eri ancora lì…” la sua voce appena metallica aldilà del telefono aveva esordito così.

“Perché?” domandai io, poi guardai distrattamente l’orologio. “Ah… l’ora di pranzo.. ma sto mangiando!!” protestai guardandomi attorno e notando una vecchia scatola di plastica probabilmente di qualche ciambella risalente ad una settimana prima. Ero terribilmente disordinata in ufficio.

“Sì, ed esattamente cosa? Lo zucchero rimasto sul fondo di quella scatola?” domandò lui.

“Ma come diavolo fai a sap…” ma non finì la frase, perché lo vidi entrare nel mio studio, bello come il sole, con indosso un semplice paio di jeans, una maglietta grigio scura, leggermente aderente, e una giacca di pelle nera. Era da lasciare a bocca aperta e non mi ci volle la vista bionica per notare che tutta la schiera di segretarie e assistenti fuori da quello studio, vedendolo passare erano rimaste con tanto di bavetta alla bocca.

“Dicevi?” domandò lui ironico, facendo scattare lo sportellino del suo telefono cellulare, mentre io cercavo di dominare l’aritmia del mio di cuore.

“Dovevo aspettarmelo..” commentai ironica, mentre posava una busta di carta sulla scrivania e, per infierire ancora sul mio povero e malandato muscolo cardiaco, mi sfiorò le labbra con le sue.

“Forse.. ma avrebbe significato che sono diventato scontato, ed io non sono scontato..” si lasciò scappare in un sospiro, con ancora le sue labbra sulle mie.

Avrei potuto anche morire. Questo era certo.

Edward era tutto per me, non credevo si potesse amare così profondamente una persona, avere bisogno di lui in questa maniera, ma per quanto lo volessi negare, qualcosa ci stava dividendo e questo qualcosa era lui e la sua dannata ostinazione. O almeno per come la vedevo io.

“Se non mi occupo io di te, non lo fa nessuno e poi se torni smagrita a Forks, Charlie darà la colpa a me!” commentò, giustificando il fatto che aveva avuto il pensiero così carino di portarmi il pranzo. In realtà non era nemmeno la prima volta, aveva persino tentato di cucinare per me, ma con scarsi risultati, in fondo lo si può capire, e poi quel suo disastro aveva fatto bene al mio sconsolato ego.. c’era qualcosa che lui non era in grado di fare. Esisteva!

Aprì il pacchetto, cominciando a sentire un certo gorgoglio all’altezza dello stomaco.

“Spinaci!!” protestai guardando il contenuto con aria schifata. La verdura non era esattamente qualcosa che adoravo.. tutt’altro, dai tempi del college avevo assimilato la cattiva abitudine di mangiare in qualche fast food o schifezze varie, non avevo mai il tempo di cucinare, e con questo butto vizio andavo avanti. Certo, a volte mi dilettavo, quando era possibile in squisite cenette, ma era abbastanza triste doverle consumare da sola.

“Voi umani.. siete così.. fragili! Mangia la verdura. Carlisle ha detto che la tua dieta è assolutamente pessima!” gli feci una linguaccia. Si preoccupava anche della mia dieta adesso?

“Cos’è temi che il colesterolo mi faccia fuori prima del tempo?” domandai ironica. La mia frecciatina era stata molto pungente e lui ne aveva compreso chiaramente il senso, però non rispose. Quando l’argomento non gli stava bene, taceva, o meglio quando si trattava di un certo argomento, taceva. Per parte mia lo trovavo un pochino ipocrita che volesse salvaguardare la durata della mia sopravvivenza su questa terra, quando poi avrebbe potuto regalarmi l’eternità con lui.

Tuttavia era stato gentile e non me la sentivo di litigare, quindi con la forchettina di plastica presi quella robaccia verde e me la infilai in bocca.

“Brava bambina..” gli feci un’altra linguaccia da manuale, e lui ridacchiando si avvicinò alla finestra. Pioveva. O pioveva o era nuvoloso. In tutte le serie che avevo in visto tv, San Francisco non sembrava così uggiosa, cominciai a pensare che forse Londra sarebbe stata meno.. ‘bagnata’.

Ad ogni modo, Edward era bellissimo così intento a guardare fuori, sembrava sì un Dio greco, però in quello sguardo c’era qualcosa, qualcosa che non capivo.

“Partiamo.” Disse poi di punto in bianco inchiodandomi con la sola intensità dei suoi occhi alla poltrona. Lo guardai sulle prime perplessa, poi mi resi conto che l’uomo.. il vampiro che avevo accanto non era affatto uno stupido, e di certo aveva cominciato ad intuire qualcosa che non andava. Era troppo intelligente ed io una pessima attrice.

“Scappare, dici?” lo pungolai.

“E’ recuperabile, Bella.” Rispose lui con una decisione disarmante. Rimasi in silenzio senza riuscire a controbattere o dire niente. I miei turbamenti erano rimasti solo miei, non ne avevo parlato con nessuno, sia perché nemmeno io riuscivo a divincolarmi in quel marasma che avevo in mente, sia perché lui avrebbe potuto leggere la mente di chiunque mi fosse accanto, compresa Alice, la mia confidente, eppure nonostante tutto, aveva capito.

A salvarmi ancora una volta, fu l’interfono. “Avvocato Swan, il Signor Johnson è arrivato.” Era la mia segretaria. Strano quasi a pensarci che ne avessi una. “Sì, Kendra fallo attendere un attimo.”

Ma Edward aveva già compreso, si allontanò dalla finestra, ma stavolta ad una velocità ‘umana’, quasi stanco, e stava per andare via, solo che a quel punto fui io ad alzarmi dalla sedia e trattenerlo. Si fermò davanti a me, dopo che avevo allungato le mani a prendere le sue, e scosse la testa, con il suo solito sorriso sul viso. Ed ora che gli prendeva? Senza che potessi porgli la domanda, come se avesse letto la mia mente, mi fissò i piedi.

“Sei senza scarpe.” Al che arrossì. ed anche piuttosto violentemente.

“Sarei caduta se le avessi tenute.” Mi giustificai, consapevole della mia imbranataggine.

“Ti avrei presa io.” Rispose lui distogliendo lo sguardo con un tono che significava ben più di quello che le sue parole dicevano. Era come se sentisse che non avevo più bisogno di lui, che la goffa ed impacciata ragazzina che riusciva a mettersi continuamente nei guai, fosse sparita, ma non era così, era esattamente davanti a lui e teneva le sue mani strette tra le sue, era solo un po’ più grande. Il bisogno di lui però era esattamente lo stesso, anzi forse era anche più grande, più intenso.

“Vorrei solo poter essere io per una volta a dover sostenere te..” gli risposi fissandolo dritto negli occhi, mentre il mio cuore batteva talmente forte da poterlo sentire rimbombare nella stanza.

Era quello che volevo, essere come lui, e non solo una piccola creatura indifesa, incapace di capire cosa avesse dinanzi, che lui aveva il compito di proteggere dal mondo… e da se stesso.

 

continua..

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Rubacchio appena due righe per ringraziarvi dei commenti, sono molto contenta che qusta storia vi piaccia e spero di non deludere le aspettative! Grazie ancora! ^^

 

Capitolo 2

 

Faceva freddo.

Non appena Edward aprì la porta dell’auto aiutandomi gentilmente a scendere, un brivido gelido mi percorse lungo la schiena. Di certo non si trattava della mano di lui. Era.. era una sorta di presentimento, non avrei saputo spiegarlo meglio. Non mi ci soffermai nemmeno più di tanto, non era il caso e non era momento. Sorrisi appena al mio splendido cavaliere e salimmo la scalinata che conduceva fino alla sala.

Poteva sembrare il matrimonio reale della regina Elisabetta, invece, era solo un noiosissimo party organizzato dal mio capo, o meglio da sua moglie, per festeggiare il buon esito della fusione di cui ci eravamo occupati. Cominciavo a domandarmi se non fosse stata un’assurdità cercare lavoro in quello studio. Facevano le cose terribilmente in grande, e a me certe sfarzosità non piacevano affatto. Aldilà che in lungo non ci sapevo proprio stare, ma i tacchi…e il trucco… ed i capelli.

Sul posto di lavoro, potevo sopportare dei piccoli compromessi, in fondo purtroppo, mi ci ero dovuta abituare, un avvocato deve avere sempre un’immagine che sia rassicurante e ‘convincente’, ma che ricostringessero a mantenere certi standard anche nel tempo libero era a dir poco insopportabile.

Ero già pronta a darmi malata, pur di evitare quella noia mortale, ma Edward aveva insistito. Credo che in qualche modo volesse sentirsi più partecipe della mia vita lavorativa e poi, se era riuscito a portarmi al ballo di fine anno, figuriamoci ad uno stupido party societario.

Ed infatti eccoci lì, seduti al tavolo, con Martin e la sua ragazza, - per la gioia della mia sanità mentale, -  ed un paio di assistenti che guardavano il MIO fidanzato quasi con un rivoletto di bava alla bocca e non si curavano nemmeno di nasconderlo.

“Ti guardano..” sussurrai a voce bassa ad Edward, tirandomi un po’ indietro con la sedia e sporgendomi verso di lui. Era stupido, ma ero terribilmente gelosa. Eppure allo stesso tempo il mio ego era dolcemente accarezzato da quella sensazione di ammirazione mista ad invida, che le altre donne provavano, quando lui, bello come il sole, faceva mostra di se stesso, accompagnato da me. Il piccolo anatroccolo goffo che, però, aveva requisito il cuore del bel principe.

Lui in tutta risposta prese la mia mano e vi posò un bacio sul dorso. Era a dir poco splendido, in quel completo grigio antracite e la camicia bianca. Aveva un gusto impeccabile nel vestire, era capace di valorizzare ancora di più, la sua bellezza che già di per sé era incredibile.

Il suo abbigliamento, il suo fisico perfetto passavano, però, in secondo piano se messi a paragone con quegli occhi di topazio così magnetici e così intensi da potercisi perdere. Per me era davvero difficile riuscire a staccare il mio sguardo da quelle pietre dorate così perfette e  lucenti. Paradossalmente lui che, per via della sua natura, era freddo come il ghiaccio, aveva il potere di scaldarmi il cuore con una sola occhiata.

“Sei bellissima, te l’ho già detto vero?” domandò lui sussurrandomi all’orecchio provocandomi brividi di tutt’altro genere rispetto a quelli di prima.

“Credo di sì, ma è bello sentirtelo ripetere.. soprattutto prima che faccia un’altra delle mie!” e sospirai quasi rassegnata.

“Hai un abito nero, non dovresti riuscire a macchiarlo, e poi non hai intenzione di alzarti da quella sedia.. Le probabilità che tu possa combinare danni sono limitate, ma ad ogni modo ci sono io a salvare la situazione…come sempre..” e quelle ultime due parole le sussurrò a voce bassissima nel mio orecchio facendo aumentare terribilmente i battiti del mio cuore, e probabilmente anche arrossire.

“Che hai Bella” chiese Martin incuriosito dal mio colorito.

“Niente.. sento un po’ caldo. Sarà lo champagne. Non sono abituata.” Mentì cercando di risultare il più convincente possibile, mentre Edward ghignava soddisfatto alle mie spalle. “Sì, sì. E’ lo champagne .”confermò, prendendosi ancora più gioco di me.

“Che carino che sei..” commentai sarcastica verso di lui, non appena gli altri commensali spostarono la loro attenzione altrove. Si divertiva molto a mettermi in situazioni imbarazzanti, sapeva di farmi un certo effetto, e in pubblico farmi arrossire era il minimo per lui. Per non parlare, poi, di quanto mi punzecchiava in privato, lì dava il meglio di sé. Era pungente e sarcastico, però non mi infastidiva. Tutt’altro. Mi divertiva battibeccare con lui e anche molto, era l’unico che avrebbe potuto darmi della foca monaca senza riuscire a ferirmi sul serio.

La serata tutto sommato trascorse abbastanza piacevolmente, non ballammo, Edward fu molto comprensivo almeno in questo, non ero in animo di chiacchiere, tuttavia, Martin e soprattutto la sua ragazza tenevano banco per tutti e giurerei di aver visto sorridere anche il mio bel vampiro tanto reticente. Avrei voluto essere un pochino più brillante, ma ero preda di una strana malinconia. Ad un certo punto della serata, il signor Richmond aveva preso sua moglie, una donnina arzilla, dai capelli argentei e gli occhi blu splendenti, ed avevano ballato un lento sotto gli occhi di tutti. Erano bellissimi. Sembravano, nonostante l’avanzata età, innamoratissimi come il primo giorno. Martin si era lasciato  scappare che da poco avevano festeggiato le nozze d’oro. Cinquant’anni di matrimonio. Mi sembrava una quantità di tempo enorme!

Cosa assurda se si pensa che Edward era vampiro da quasi il doppio di quegli anni.

Inevitabilmente mi venne naturale ripensare ad un vecchio sogno che avevo fatto tantissimo tempo prima.. Un sogno orrendo… un sogno in cui io ero anziana e Edward era ancora giovane e bello come adesso.

Lui è eterno, come la sua giovinezza, io no!

Se già adesso, molto spesso mi sentivo a disagio mentre mi facevano notare che il mio ragazzo sembrava molto più giovane dei ventiquattro anni che asserivamo avesse, figuriamoci andando avanti con gli anni. Era un bravo attore, era capace di riuscire ad assumere persino un’aria più vissuta, magari cambiando appena pettinatura, magari vestendosi in una certa maniera, probabilmente frutto dell’esperienza dei suoi precedenti 90 anni da immortale, ma quanto sarebbe durata?

Quella domanda mi affliggeva, come mi affliggeva il terrore di invecchiare continuando a vedere lui sempre uguale. Inoltre, sarà vanità femminile, ma come avrei potuto competere con le giovani che l’avrebbero attorniato una volta che avessi raggiunto la mezza età?

Rischiavo davvero di perderci la testa.

Vedendo quei due ‘vecchietti’ così uniti, così innamorati, ripensai anche al matrimonio di Mike e Jessica. Dopo tanti tira e molla, alla fine mentre ero ad Harvard mi ritrovai davanti ad un sms in cui c’era scritto < CI SPOSIAMO > con una serie infinita di punti esclamativi. Era Jess ed io sapevo chi era il fortunato. Era stato un sollievo. Decisamente un sollievo. Sapevo che erano fatti in maniera quasi complementare, sebbene litigassero di continuo, ed il giorno del matrimonio erano veramente dolcissimi. Mike Newton, il mio primo ‘vero’ spasimante, sposato con una delle mie migliori amiche. Ne ero contentissima.

Ricordo chiaramente quel giorno, quanto erano carini, lei in quel vestito bianco vaporoso, tanto da sembrare più una grossa meringa, che una sposa, e lui impettito nel suo smoking cercando di darsi un tono. Credo che per un periodo della sua vita, abbia odiato Edward, poi ci fu una fase in cui cercava disperatamente di imitarlo, ignaro del fatto che Edward Cullen è unico e solo, indipendentemente dalla sua natura poco umana, ma paradossalmente, quel giorno, era una spanna davanti a lui. Mi fece sorridere il pensiero, e fece sorridere Edward stesso. Noi non ne avevamo bisogno di niente di così solenne, non c’era la necessità di riunire tutti in una grande festa per sentirci più uniti, o almeno questo era quello che diceva lui. Io lo assecondavo e basta. Era per questo che ritenevo l’anello che mi aveva regalato una pura formalità.

Tutti facevano scommesse su chi sarebbero stati i prossimi, scommettevano su di noi, ma la realtà non era quella, loro non la conoscevano, ma io sì. Non sempre tutto è così facile come sembra. Di certo c’era che, quel giorno, guardavo Angela correre dietro il suo bambino e il cuore mi si stringeva.

Io non sarei mai stata madre, non sarei mai stata una sposa, e non sarei mai stata una vecchietta impacciata, che nelle calde sere d’estate cerca refrigerio in veranda sul dondolo con il suo vecchio marito. Il pensiero mi atterriva.

Per tutto il tempo, mi torturai senza riuscire a trovare una soluzione diversa dalla ‘solita’. Ero diventata una brava attrice, e fortunatamente nessuno, o quasi, si accorse della mia assenza. Sorridevo quando dovevo, annuivo all’occorrenza e qualche volta persino prestavo attenzione ai discorsi. Ben presto potemmo prendere la via dell’uscita con il benestare del capo e fui grata alla buona sorte che tutto fosse filato liscio, senza intoppi. Solo che una volta in auto, di nuovo ebbi quella strana sensazione di fastidio che mi attanagliava. Mi sentivo a disagio al solo pensiero di restare sola con lui, temevo avrebbe cominciato lecitamente a farmi delle domande, ma non potevo evitarlo, e forse nemmeno volevo. Era come se una parte di me, gli stesse disperatamente gridando aiuto, ma l’altra, quella più forte, la reprimeva fino a far diventare quelle urla, dei lievi sussurri che solo io potevo udire. Come al solito, a casa, mi concessi qualche minuto di umanità, sfilando lo stretto abito nero, sostituendolo con un comodo paio di pantaloni di una tuta ed una maglietta a maniche corte. Gli anni passano, ma certe abitudini sono dure a morire.

Mi struccai, mi pettinai, e alla fine sgattaiolai a letto. Per rendere la nostra quotidianità più ‘normale’, anche Edward ormai si era abituato ad infilare qualcosa di più comodo e mettersi a letto con me. Lui non dormiva, non dormiva mai, per un periodo ai tempi del college, dopo aver visto The Ring lo prendevo in giro, sussurrando in maniera cavernosa ‘lui non dorme mai’ esattamente come fa il bambino protagonista, ma lui a quella battuta non rideva, perciò dopo un po’ anche io mi stancai e finì nel dimenticatoio.

Si stiracchiò, si stese sul letto e mi attirò a sé, in modo da far aderire la mia schiena contro il suo petto. Aderire per modo di dire, era molto attento e provvedeva sempre a mettere un plaid tra me e lui in modo che non avessi la sua pelle gelida a contatto con la mia. Era un gesto molto carino e attento, ma a me urtava.

Non eravamo normali, non c’era niente di normale in noi, lui era un vampiro ed io una patetica umana, non c’era alcuna normalità possibile ed il fatto che lui si ostinasse a far finta che non era così, mi irritava oltremodo.

“Bella…” fece lui con un tono a me ben noto. Voleva che gli parlassi, voleva che gli dicessi cosa c’era, adesso eravamo soli, non c’erano segretarie, non c’erano citofoni, nulla che potesse interromperci. Ciò però ebbe l’inevitabile conseguenza di irrigidirmi. Un brivido, ancora una volta, mi percorse la schiena ed incapace di dissimulare il turbamento, finì per rannicchiarmi contro la spalliera del letto tirando le gambe al petto.

“Quanto durerà Edward?” gli domandai in maniera diretta, non c’era bisogno di specificare, lui sapeva già di cosa parlavo.

“Ne abbiamo già parlato.”

“No!” lo aggredì io, prendendogli il viso tra le mani e costringendolo a guardarmi. “Quando ne abbiamo parlato l’ultima volta, Edward? Tre, quattro anni fa?” gli domandai né sarcastica, né ironica, semplicemente disperata. “Fin ad ora ho finto, finto che andasse tutto bene, finto che questa relazione fosse perfetta, ma non è così, lo sai anche tu. Speravo che con il tempo avresti capito, ti saresti convinto, che magari il grande amore che dici di provare per me si sarebbe concretizzato in quello che davvero ci renderebbe uniti, ma così non è stato. Li hai visti stasera quei due signori? Mr Richmond e sua moglie? Io e te non saremo mai così, Edward, tra qualche anno, non potremo nemmeno più uscire insieme pubblicamente, senza che la gente mi prenda per una maniaca a cui piacciono i ragazzini!”

“Stai esagerando.” Disse con quel suo tono calmo, mantenendosi freddo e distaccato, tuttavia in quel momento era come se riuscissi a sentire che dentro stava, ringhiando. “E poi da quando ti interessa che dice la gente?” mi domandò come se fosse la cosa più stupida del mondo. Ma possibile che non capisse? Possibile che non si rendesse conto che era una situazione davvero insostenibile per me e sarebbe andata peggio?

“Non m’importa della gente..” gli risposi a mia volta, contenendo la rabbia al punto che non rimase più nulla. Ero avvilita senza colore nella voce. “A me importa di te, del fatto che ti amo e che inesorabilmente ci stiamo allontanando.” Non gli avevo detto niente di più di quanto non sapesse, eppure era come se gli avessi detto tutto, perché scattò in piedi alla sua velocità ipersonica e si avvicinò alla finestra cupo come il cielo prima del diluvio universale.

“Cosa vuoi che faccia, Bella?” mi domandò senza guardarmi, ma fissando fuori, mentre la pioggia picchiettava violenta sulle finestre della camera da letto. Era buio, ma non abbastanza da non permettermi di vederlo chiaramente.

“Lo sai…” gli sussurrai appena, ma sapevo che avrebbe sentito, sapevo che pur non riuscendo, con il suo particolare talento, a leggere la mia di mente, era lo stesso dotato di un udito ‘inumano’. “..sposami Edward!” gli dissi più decisa subito dopo, e lui di scatto si voltò a guardarmi e nei suoi occhi c’era sorpresa, c’era incredulità, c’era speranza. Speranza che avessi messo da parte i miei progetti.

“E’ solo questo, Bella? Credi davvero che ti avrei negato una cosa del genere? Che non lo volessi?”

“Edward, voglio essere tua moglie.. per sempre..” e a quel punto credo, capì che si era sbagliato, perché voltò il viso di nuovo evitandomi, ma fui io ad avvicinarmi a lui, a scendere dal letto a piedi nudi e ad arrivare da lui, poggiandogli una mano sulla spalla.

“Edward ti prego, voglio solo poter stare con te, non avere limiti di alcun genere, e poterti amare e avere come se fossimo una cosa sola.. ti prego..” lo implorai.

“No!” rispose lui con tono che non ammetteva repliche. Era gelido e distante, ed inconsciamente nel sentirlo pronunciare quella parola, rabbrividì.

Feci un passo indietro continuando a tremare, ma stavolta di rabbia. Lo detestavo.. Sì, lo detestavo infinitamente, mi stava privando dell’unica cosa che volevo. Lui.

“Non accadrà mai, vero?” gli domandai. “Non succederà mai!” dissi affrontandolo. Lui ringhiò, ma niente di più. “Se non lo farai tu, troverò qualcun altro!!” gli urlai contro.

Basta. Ero stanca delle parole, ero stanca di sentirmi ripetere sempre le stesse, cose. Non voleva farlo lui? Pazienza, quello che volevo, avrei trovato il modo di prendermelo da sola.

Veloce come una furia, senza dare alcuna spiegazione, infilai le scarpe da tennis, presi la borsa ed incurante del diluvio che imperversava violento e irruente su San Francisco, scesi a prendere l’auto. Edward non provò nemmeno a fermarmi, e forse questo mi fece ancora più male del suo rifiuto, con gli occhi inondati di lacrime, misi in moto e scattai guidando ben più velocemente e pericolosamente rispetto i miei standard.

La strada era buia e scivolosa, avrei dovuto essere attenta, calma, e soprattutto avrei dovuto guidare piano con prudenza, ma feci esattamente l’opposto. Le lacrime mi scendevano dagli occhi incessantemente, non riuscivo a frenarle, era come se, all’improvviso, fossi esplosa come un grosso pallone aerostatico e adesso non c’era più modo di fermare la crisi in atto. Ci misi solo tre ore per arrivare a Forks. Ero andata ad una velocità folle, in barba a tutte le volte in cui ero stata petulante e pesante con Edward circa il suo modo di guidare.

Era ancora buio, ma presto sarebbe stato giorno, ma questo non m’importava. Dove stavo andando non c’erano orari e di certo la mia, non era una visita di cortesia. Feci sfrecciare la berlina nera attraverso le stradine della città ancora addormentate, poi imboccai una via a me molto familiare, costeggiata di felci e piante, fino ad arrivare a quella grande casa, che metteva soggezione solo a guardarla.

Non mi curai del fatto che avevo ancora i capelli bagnati, l’aria sbattuta e gli occhi neri per via delle lacrime e di qualche residuo di trucco rimasto. La vera vampira dovevo sembrare io, ma non me ne curai. Il cielo era nuvoloso, ma non pioveva, almeno non in quel momento, forse prima c’era stato qualche rovescio, me ne resi conto per via delle scarpe da tennis zuppe d’acqua e fango. Arrivata alla bussai, fino quasi a sbucciarmi le nocche delle mani.

C’era il campanello, ma ero fuori di me, nonostante avessi passato tutto quel tempo da sola in macchina e la testa non mi accompagnava più tanto e a quel piccolo particolare del campanello, stupidamente non avevo proprio pensato. Esme mi venne ad aprire poco dopo, era sempre la stessa, non era cambiata di una virgola, tutti loro sembravano sempre gli stessi, solo io ero una massa informe di materia umana, che si generava e rigenerava, cambiando, e per questo mi detestavo.

“Bella che succede?”  mi domandò terribilmente preoccupata. “Edward?” domandò subito pensando a suo figlio. Solo che il sentirla pronunciare quel nome, mi fece rabbrividire. “Sta bene.” Tagliai corto guardandomi attorno. Non volevo parlare con lei e non volevo parlare di lui.

“Carlisle?” le chiesi poi senza troppe cerimonie.

“E’ nello studio, ma.. Bella, tesoro, che succede? Sei sconvolta? Che è accaduto?” il suo tono non era inquisitorio, né cattivo, anzi. Se c’era una persona che ero certa mi volesse davvero bene assieme ad Alice e Carlisle era proprio Esme, mi trattava come una figlia, come forse nemmeno Renèe aveva fatto con me e di questo le ero grata, ma in quel momento non avevo bisogno di una madre, avevo bisogno di un vampiro in grado di darmi ciò che chiedevo.

“Va tutto bene.” Le dissi, rendendomi benissimo conto di non essere rassicurante “Ti spiegherò dopo.”  Detto ciò presi a salire i gradini due alla volta fino al piano di sopra, per poi raggiungere il famoso studio.

Il dottor Cullen era esattamente dove immaginavo che fosse, dietro l’enorme scrivania, piena di carte, intento nella lettura di alcuni tomi affiancati da quelle che dovevano essere cartelle cliniche.

“Bella!” disse sorpreso di vedermi. Accennò appena un sorriso. Uno di quei sorrisi dolci e caldi, che facevano sentire il benvenuto anche il peggior criminale del mondo. Non avevo mai conosciuto nessuno buono come lui, uomo o vampiro ed era arrivato il momento di capire quanta umanità c’era ancora in lui…

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Volevo solo scusarmi per il ritardo con cui arriva questo capitolo e ringraziare tutte le perosne che hanno commentato.. grazie mille!! ^^


Capitolo 3


L’atmosfera era pesante, la tensione si poteva tagliare con il coltello. Per un attimo mi resi conto che l’uomo che avevo davanti era più simile ad Edward di quanto loro stessi non potessero rendersi conto. Chiaramente non era di certo per il colore degli occhi, della pelle, o quell’aura di leggiadria che li circondava. Era proprio una questione di sensazioni. Non credo che nemmeno il vero padre biologico del mio amato vampiro, avrebbe potuto essere più simile a lui, di quanto non lo fosse Carlisle. Forse era per questo che tutta la rabbia e la frustrazione che provavo, erano venuti fuori in maniera cos semplice, così disarmante, senza che io riuscissi a fermarle.
Sapeva perché ero lì. Sapeva cosa volevo, non l’avevo mai chiesto a lui, stupidamente mi ero illusa che un giorno o l’altro Edward avrebbe capito, si sarebbe reso conto, avrebbe sentito il mio desiderio dirompente di essere come lui, di essere unita a lui in un vincolo che era assai più forte di due fedi, un abito bianco ed una torta a più piani, ma non era accaduto. Non aveva capito, o meglio, non aveva voluto capire ed io, a quel punto, sapevo di non poter più aspettare. Ero stanca. Carlisle mi fissò in una maniera strana, non cattiva, assolutamente no; non credo nemmeno fosse in grado di provare sentimenti di quel genere, era troppo buono, ma leggevo nei suoi occhi pietà.. pietà per me. Se avessi ragione o meno, non ero nella condizione psicologica per poterlo capire, sentivo solo quello sguardo compassionevole su di me, e mi faceva sentire sbagliata, una povera anima da compatire. Ma io non ero da compatire, io volevo solo ascoltata. Per una sola volta e per davvero.
“Ti prego… ti imploro, non saprei nemmeno io cosa fare o che dire di più, ma ti prego…” le parole mi venivano fuori in maniera sconnessa e quasi incomprensibile, lo stavo pregando, lo stavo supplicando, avevo del tutto perso il senso della misura, sapevo di non avere vie d’uscita e sebbene, fossi troppo scossa per riuscire a dare un senso logico a quello che dicevo, lo scopo per cui ero lì era abbastanza chiaro a tutti quanti. Presenti nella stanza e non. 
“Qualsiasi cosa, sono disposta a fare qualsiasi cosa! Ho bisogno del tuo aiuto!” lo scongiurai ancora, quasi inginocchiandomi davanti alla sua scrivania. In un altro momento non l’avrei fatto, ero diventata più grande, più matura, più dura di fronte alle difficoltà, non mi sarei mai sognata di piegarmi così, di diventare patetica al punto da guardare quell’uomo con le lacrime agli occhi e supplicare, in modo così penoso, così fragile, così umano. Eppure, in quel momento, nonostante quasi riuscissi a vedermi dal fuori, non potevo farne a meno. 
Era davvero quello l’effetto che l’amore di Edward mi aveva fatto? Mi ero davvero ridotta al punto di diventare un ameba incapace di desiderare altro che la dannazione eterna pur di stare con lui?
Era come se estraniandomi dal mio corpo stesso, riuscissi ad osservare quel meraviglioso castello di cristallo fatto dai miei sogni, dal mio amore per lui ed il mio desiderio di stargli accanto, sbriciolarsi in mille piccoli pezzetti sotto il peso della disperazione più totale e spingermi a non pensare più all’orgoglio, alle buone ragioni, alla dignità. Dopotutto rispecchiava esattamente quello che ero… disperata.
“Bella non posso..” rispose Carlisle estremamente mortificato. Non metto in dubbio che per lui non fosse difficile, però in quel momento non lo capivo. Mi era estremamente difficile, comprendere gli altri. Egoisticamente udivo solamente il mio cuore subire l’ennesimo colpo. Ammettere l’ennesima sconfitta, per poi rendermi conto che lui era più forte di me. Edward era infinitamente più forte di me. In tutto e per tutto. Quasi riuscivo ad immaginarlo, lui, un bravo burattinaio che sistemava tutte le questioni irrisolte, che imponeva alla sua famiglia di non immischiarsi, di restarne fuori, di non rendermi parte di qualcosa che non desideravo per capriccio, ma per amore...
“Sai che ti considero come una figlia e provo un profondo affetto per te, ma..” disse cercando di giustificarsi in qualche modo, ma la frase che aveva iniziato la conclusi io.
“..ma non abbastanza per metterti contro di lui, vero?” gli domandai appena sarcastica. Era ormai chiaro, se non avessi convinto Edward, non avrei mai concluso nulla, tutti mi amavano, mi adoravano, ma non al punto di prendere una posizione contro l’unica persona che non mi avrebbe mai dato la sua approvazione. Sarebbe stato impossibile convincere Edward a fare di me una sua simile, ero rassegnata a questo, e adesso capire a chiare lettere che nessuno si sarebbe schierato dalla mia parte, che nessuno avrebbe dimostrato assieme a me che non era la via giusta da prendere la sua, mi faceva letteralmente impazzire e contemporaneamente mi atterriva.
“Io capisco come tu possa sentirti..” accennò lui, alzandosi dalla poltrona per poi venire ad accovacciarsi accanto a me, ma lo scacciai in malo modo, alzandomi furiosa.
“NO!!!” affermai decisa, scattando in piedi come se fossi una belva inferocita “Non dire che capisci. Tu non puoi capire. Nessuno di voi può capire! Né tu, né Esme, né Alice e nemmeno Edward.” urlai non so nemmeno io quanto forte, mentre una lacrima titubante, mi solcava il viso. “Voi siete sempre stati qualcosa di definito, siete stati umani, e siete stati vampiri. Avevate uno scopo, io no. Io non sono né carne, né pesce. Me lo sai spiegare tu come si fa a vivere così? Capisci davvero, Carlisle cosa significhi essere un ibrido? Condannata in questo limbo senza riuscire a trovare pace, senza riuscire a capire cosa sono, cosa voglio e dove posso arrivare? Non sono un vampiro, e probabilmente non lo sarò mai, e non è nemmeno questo a sconvolgermi, quanto il fatto che non riusciate a capire che non sono nemmeno umana! E’ chiaro come il sole, ma sembra che nessuno se ne accorga. Una parte di me umana non lo è più, da novant’anni e passa, e parlo di Edward perché lui è me. E’ la parte migliore di me, di quella di cui non potrei fare più a meno.” Ammetto in maniera disarmante, lasciando che la mia voce diventi quasi un sussurro.
“E’ come se mi fossi persa in mezzo al mare, provo a nuotare, annaspo, vengo sommersa dalle onde violente, ma non riesco a muovermi, resto sempre bloccata lì, perché c’è un macigno a cui sono legata che non mi permette di mettermi in salvo. E questo macigno non è Edward, contrariamente a quello che stupidamente lui continua a pensare, ma la mia natura. Credi ancora di poter capire cosa si prova?” domandai al povero medico davanti a me. Stavo degenerando e non riuscivo nemmeno a rendermene conto. Di colpo gli argini si erano rotti, ed il fiume che avevo sempre tentato di contenere, stava distruggendo tutto senza controllo.
“Si sta nascondendo dietro un falso buonismo e questo lo sai anche tu. Edward non vuole perdere la mia anima, non vuole che viva il suo stesso inferno, ma non si rende conto che mi sta condannando ad un purgatorio assai peggiore, del quale non vedo l’uscita. Amo un uomo che mi è permesso avere solo per metà, vivo una vita che è solo per metà come la vorrei, credi davvero di poter capire? E’ solo un suo atto di egoismo, non di amore! Sono io a chiederglielo, sono passati anni, ed il mio desiderio di diventare come lui, di poter finalmente vivere una vita ‘vera’ con lui, non si è attenuato affatto, eppure continua ad evitare, a temporeggiare, a negare!! Finirò per odiarlo. Odiarlo perché lo amo troppo, e non mi permette di farlo come vorrei…” e abbasso lo sguardo prendendo fiato e asciugandomi con rabbia le guance con le maniche della mia t-shirt ancora umida. 
“Questo lo rende davvero felice? Questo quieta davvero la coscienza? Perché per me non è così! E’ un inferno. Un inferno fatto di cristallo. Sono affamata, e ho davanti a me la torta più grande e deliziosa del mondo, ma posso solo vederla, perché c’è una spessa lastra di vetro nel mezzo che mi impedisce di toccarla. E non so quante volte ho provato a romperla, ma non c’è verso… Nessuno può capire, nemmeno Edward..”
“Bella..” era proprio la sua voce quella che mi aveva appena chiamata?
Non ebbi bisogno di voltarmi per accertarmene. Sapevo che Edward era lì, e sapevo anche con che sguardo mi avrebbe guardata, se mi fossi voltata. Un sorriso sarcastico solcò il mio viso.
“Avrei dovuto immaginarlo, no?” sussurrai a voce bassissima, mentre con il dorso della mano, cancellavo ancora una volta le tracce delle lacrime. Non volevo che le vedesse, non volevo che sapesse quanto in realtà ero debole. Non sarebbe cambiato niente, anzi, probabilmente questa mia fragilità l’avrebbe convinto ulteriormente di aver ragione. Fu lui però ad avvicinarsi, feci in tempo solo a scorgere che con il capo faceva un cenno a Carlisle, che a sua volta raggiunse Esme sulla porta. Dopodiché più nulla. Sentì solo le sue braccia circondarmi la vita e poi il suo petto gelido contro il mio viso.
Mi strinse, mi strinse forte, come forse aveva fatto solo in situazioni davvero brutte, ed io a quel punto non riuscì a mantenere più il minimo di autocontrollo che fino a quel momento mi ero illusa di avere. Piansi. Non saprei nemmeno per quanto tempo, ma versai fino all’ultima lacrima singhiozzando come una bambina.
Il perché di una reazione così forte, non lo conoscevo e non lo conosco nemmeno adesso. Forse è sempre stato tutto più grande di me. Prima dovevo fare da madre a Renèe a Phoenix, poi badare a Charlie a Forks, e adesso affrontare una storia così complicata con Edward. Mai nulla è stato facile nella mia vita. Certo, c’è di peggio, c’è sempre di peggio, ma non volevo qualcosa di così assurdo dopotutto. Per la prima volta desideravo davvero essere normale, avere una famiglia normale, con i pranzi della domenica ed il tacchino il giorno del ringraziamento, ed un amore normale. 
Quello era solo il botto finale.
Edward mi sollevò tra le braccia, mentre mi rifugiavo nascondendo la testa nell’incavo del suo collo, e poco importava se sentivo freddo fin dentro le ossa, era lì che volevo stare. Mi portò nella sua stanza e mi posò delicatamente sul divano, per poi coprirmi con una coperta. Carlisle, contrariamente a quanto avevo pensato, non era andato via. Ci seguiva silenzioso, ma non ne ebbi la certezza che quando mi porse un bicchiere d’acqua con delle pilloline colorate. Provai a protestare, a dirgli che non volevo niente, una tranquillità chimica non avrebbe cambiato le cose, non avrebbe cambiato Edward. Ma la mia forza di volontà era pressoché nulla, perciò ad un secondo cenno di insistenza, mandai giù tutto senza emettere suono.
Non appena Edward mi si avvicinò di nuovo, afferrai il suo braccio e lo costrinsi a sedersi accanto a me sul divano. Lo odiavo, eppure lo amavo da morire. Un’altra delle mie contraddizioni, di certo la peggiore. Quindi tutta arrotolata nella coperta mi addormentai tra le sue braccia, scivolando in un sonno profondo, pesante, senza sogni.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

Mi sentivo particolarmente intontita. Il lieve formicolio che sentivo alla gamba destra, mi avvertì che era decisamente troppo tempo che ero nella stessa posizione, e provai a girarmi, ma era terribilmente difficile. Il mio corpo sembrava essere pesantissimo, anche il solo sollevare le palpebre mi era faticoso. Le pilloline colorate che mi aveva dato Carlisle, dovevano essere abbastanza potenti da stordire un cavallo, ero tutta indolenzita eppure non riuscivo a non essergli grata. Avevo dormito, e.. e non sentivo nulla. Era come se tutta la frustrazione, la rabbia, la delusione e l’avvilimento che provavo fossero svanite, anestetizzate in qualche angolo del mio cuore e per un momento non provare quel tormento era come una manna dal cielo.

Con qualche difficoltà riuscì ad allungare un pochino la schiena in modo da stirare un po’ i muscoli indolenziti, ma non durò che pochi attimi, ben presto la mia testa ricadde pesante sul divano di pelle nera e mi ritrovai a  sospirare profondamente, consapevole del fatto che da sola non avrei potuto muovermi di un millimetro, per di più, pian piano quel torpore stava per aggredirmi ancora una volta, per farmi ripiombare in quel tunnel nero, di sonno profondo, che mi attirava come non mai.

Prima di abbandonare ogni resistenza, però avevo bisogno di vedere ancora una volta, il mio carnefice, il mio angelo, la mia vita.

Edward però non c’era. Non nelle vicinanze, altrimenti l’avrei sentito, eppure udivo delle voci non molto lontane, dietro la porta appena socchiusa, perciò concentrai le mie forze nel cercare di ascoltare cosa si stavano bisbigliando.

“Edward, credo che forse dovresti..” Era Carlisle. Un mortificato, avvilito ed anche abbastanza imbarazzato Carlisle. Il suo tono era così dispiaciuto, che mi fece addirittura tenerezza. Solo un secondo dopo mi resi conto di quale fosse l’argomento in questione. Più precisamente fu il “NO!” secco di Edward a farmelo intuire.

Era così duro ed irremovibile, solo un ‘certo’ argomento.

“Non puoi farle questo, la stai distruggendo, Edward. Non è giusto come ti stai comportando. Le stai negando qualcosa di troppo grande.”

“Non lo farò.” Rispose lui gelido.“Io la mia anima, l’ho già persa, non permetterò che accada anche a lei.” Disse senza lasciar spazio alla minima speranza.

“Non è tutto o bianco o nero, dovresti averlo imparato dalla tua esperienza. Pensa a lei, pensa a quello che ti ha dato, tu nemmeno immaginavi che avresti potuto provare certe emozioni, certe sensazioni, non credevi che un giorno avresti avuto la voglia di ‘vivere’ che hai adesso e pensi davvero che un uomo senza anima sarebbe in grado di sentire certe cose?”

“Io non sono un uomo, e tutto ciò che lei mi sta dando, io lo sto rubando” gli rispose Edward, assolutamente serio. Sembrava quasi un pazzo, in preda ad una sorta di lucida follia. Assolutamente persuaso delle sue assurde convinzioni “Quello che Bella sta dando a me, era destinato ad un altro, uno come lei, un umano che potrebbe darle la vita che vuole, che merita, una famiglia vera, magari un giorno dei figli. E presto o tardi arriverà il momento in cui io dovrò lasciare il posto a quest’uomo, conscio di avergli tolto qualcosa, di cui adesso non posso fare a meno e di cui non riuscirei a privarmi.”

“E’ irragionevole questo tuo modo di vedere le cose. Bella ama te, incondizionatamente, assolutamente ed irrimediabilmente te, e non perché sei un vampiro. Ti rendi conto che nessuno mai potrà sostituirti nella sua vita? A volte penso che ti preoccupi troppo di proteggerla, piuttosto che impegnarti ad amarla. Bè, Edward, permettimi di dirti solo una cosa… Quello che ho fatto a te, ad Esme, ad Alice… l’ho fatto per salvarvi la vita.” Il ragazzo, guardò colui che era abituato a considerare suo padre, perplesso e incredulo. Cosa significava quella uscita?

“Lo so.” Rispose, pur continuando a non capirne il nesso.

“Ci sono diversi modi di morire, Edward, e tu stai spingendo lei verso il più doloroso di tutti. Gli occhi di Bella non sono più gli stessi, si sta spegnendo, ti ama così tanto, da rinunciare alla sua vita stessa. Ieri erano i pianti, oggi sono le crisi di panico, domani quando potresti trovarti davanti una persona completamente diversa da quella che ami. Spenta, completamente vuota, senza avere più nemmeno la forza e la voglia di parlare, allora saprai a chi dare la colpa…” Era stato duro, insolitamente duro. Carlisle abitualmente era una persona molto razionale e assolutamente flemmatica, eppure in quelle sue parole, c’era una strana severità, non un rimprovero, più un rimpianto per un errore forse già vissuto, o forse no.

Sentivo quelle parole pesare su di me come un giudizio. Razionalmente capivo che erano rivolte ad Edward, ma era come se ce l’avesse con me. Mi sentivo quasi in colpa per quella situazione. Era vero, Edward si stava comportando in maniera egoisticamente protettiva, ma non lo faceva di certo per cattiveria, o per farmi bastion contrario. Era un uomo.. un vampiro di poche parole, ma mi amava, forse in un modo che ritenevo sbagliato, ma mi amava e da morire, su questo non avevo alcun dubbio. Seppur in maniera non decisa come sarebbe stato necessario per smuoverlo dalle sue convinzioni, la sua famiglia non concordava con lui e ne soffriva, e per riflesso questo faceva star male anche me. Non volevo metterlo in quella situazione, non volevo fargli fare la parte del cattivo, desideravo semplicemente non dover limitare il bisogno che avevo di lui, la necessità di baciarlo fino a restare senza fiato e anche il solo desiderio di stringerlo forte a me.

Pian piano mi riaddormentai, ripiombando in quello stato di sonno profondo.

Quando riaprì gli occhi ero nel mio letto, a casa di Charlie. Tutto era al suo posto, esattamente come l’avevo lasciato l’ultima volta. Mi chiesi che razza di scusa Edward doveva aver inventato per giustificare a mio padre il perché fossi arrivata a Forks in pigiama, e profondamente addormentata, ma il problema mi sfiorò relativamente. Ormai, mio malgrado, quei due erano diventati grandi amiconi. Erano quasi teneri mentre vedevano le partite in tv dimenandosi e arrabbiandosi come due matti. Sapevo benissimo che Edward lo faceva solo per me, per risultare simpatico e affidabile a mio padre, e non potevo non apprezzarlo. Conseguentemente qualsiasi cosa Edward avesse detto al mio stanco papà, lui se la sarebbe bevuta senza far troppe domande. Tutto sommato però gli fui grata per avermi riportato a ‘casa’, alle origini, dove tutto era iniziato…

Forse era solo quello ciò di cui avevo bisogno, staccare dalla frenetica quotidianità di San Francisco, raggomitolarmi nelle umide coperte di Forks e trovare uno straccio di equilibrio che mi aiutasse ad andare avanti ancora un altro po’.

I seguenti due giorni passarono velocissimamente. Charlie mi tartassò per tutto il tempo di domande sulla mia vita a San Francisco. Aveva ragione, da quando ero andata a vivere lì, la mia vita era diventata talmente frenetica da chiamare a casa pochissimo e per di più riducendo le conversazioni al minimo sindacale, ma non era del tutto colpa mia.

Andai a trovare Angela ed il suo meraviglioso bimbo. Un frugoletto di appena tre anni, ma intelligente come non mai, con due occhietti azzurri vispissimi ed i riccioloni neri. Somigliava molto a sua madre, era iper attivo, ma educato e gentile. Anche Edward convenne su questo, sebbene, in maniera abbastanza immotivata, si rifiutò di scendere dall’auto, quando mi venne a prendere. Angela capì subito e non insistette. Probabilmente aveva intuito che qualcosa non andava fin da quando ero arrivata a casa sua con indosso un paio di jeans larghi dei tempi del liceo, ed una felpa del WWF anche quella ricordo dei tempi passati. Quando ero partita, o meglio scappata per andare da Carlisle, ero uscita di casa in pigiama, e orami tutta la vecchia roba che avevo lasciato a Forks, o era appunto, vecchia, o mi andava larga come un sacco di iuta. Ad ogni modo, fu discreta e non cercò di indagare lasciando a me la decisione sul confidarmi o meno, ma mi feci scappare quell’occasione. Avevo parlato fin troppo, per quel week end.

Tornammo a casa quando ormai era buio inoltrato. Tra me ed Edward era calato un silenzio quasi pesante per quanto consiste era. Io non provai a parlare con lui, lui non provò a parlare con me. Sentivo tutta la nostra storia scivolarmi tra le dita, come sabbia, eppure non riuscivo e forse nemmeno volevo fare qualcosa per fermarla. Era il suo turno questa volta, toccava a lui dimostrarmi quanto mi amava, il guaio è che probabilmente a modo suo lo stava facendo, ma io non capivo.

L’intera settimana passò così.

In silenzio.

Le uniche frasi che ci eravamo scambiati erano quelle di circostanza, addirittura mi portai il lavoro a casa, in modo da essere in qualche modo più presente, ma non cambiò nulla. Sentivo il suo sguardo su di me, sentivo i suoi occhi quasi attraversarmi, mentre cercavo di concentrarmi sulle mie cartacce, ma appena mi voltavo, lui sembrava impegnato nei suoi affari ignorandomi. Era un assurdo e logorante giocare al gatto con il topo.

Ad ogni modo il mio espediente non aveva portato ad alcun vantaggio, perciò quel sabato sera, per via di una causa molto importante, alla quale stavamo lavorando da parecchie settimane, rimasi in ufficio fino a notte tarda con Martin. Non era la prima volta,  era già successo, Edward sembrava non curarsene nemmeno più, perciò non mi feci scrupoli, in fondo era solo lavoro.

Solo che le cose non vanno sempre esattamente come ci si aspetta. Non so esattamente cosa accadde, o perché, eravamo nella sala riunioni ormai da un numero di ore spropositate, con cartoni di cibo cinese abbandonati sul tavolo dietro i nostri incartamenti, e pile di libri e fascicoli ritirati dall’archivio polveroso. Tra un articolo e l’altro, una risata, una battuta, un prendere una penna scivolata dal lato sbagliato, uno scrivere un appunto su un tovagliolino capitato sotto mano, mi ritrovai in una di quelle situazioni alquanto pericolose. Pericolose non tanto per se stessei, quanto per la reazione a catena violenta e dolorosa che provocano. Una di quelle situazioni in cui da quando ero arrivata Forks in quella piovosa mattina, e incontrato un certo vampiro non mi pero più trovata e non per caso. Non che prima avessi avuto questa gran vita sociale, ma di certo, non avevo vincoli all’epoca.

Martin mi stava guardando come non aveva mai fatto prima. Non si trattava di uno sbaglio, o di un’altra, stava fissando proprio me.

Aveva gli occhi leggermente lucidi vicinissimi ai miei, la sua pelle era calda e profumata, non l’avevo nemmeno sfiorata, ma era abbastanza prossimo da lasciarlo intuire. Si trattava di quel tepore così umano, così fragile, così invitante…le sue labbra poi erano così vicine.

Non ero attratta da lui, sì, era oggettivamente un bel ragazzo, ma non aveva su di me alcuna attrattiva, però in quel momento lui rappresentava tutto ciò che io volevo. Una vita normale, un ragazzo normale, una persona da poter abbracciare, coccolare, stringere, senza dover provare quel freddo che ti entra nelle ossa, con cui.. con cui poter fare l’amore… e quel calore, quel dannato calore che mi bruciava l’anima…

“Bella…” sussurrò lui avvicinandosi ancora e poggiando una mano sul mio viso.

Era tutto quello che desideravo, solo che non era Edward.

“No, Martin..” lo respinsi decisa allontanandomi, al che lui stesso imbarazzatissimo si tirò indietro mortificato.

“Perdonami, credo di essermi lasciato prendere un po’ troppo dalla situazione.. Scusami, non so davvero cosa mi sia preso.” A quel punto capimmo entrambi che non saremmo più riusciti a lavorare, almeno per quella notte.

Nonostante l’accaduto, mi lasciai convincere da Martin, era troppo un bravo ragazzo per poter avere davvero qualche mira maligna su di me, era stato un insieme di fattori che avevano creato quell’imbarazzante situazione. Alla fine dei conti non era accaduto nulla, non c’era stato nessun bacio, c’era stata solo una vicinanza un po’ troppo ravvicinata, ma niente di più. Anzi paradossalmente qualcosa in me si era smosso, e non era direttamente legato a Martin, quanto al fatto che mi ero chiaramente resa conto non solo che amavo Edward, come del resto sapevo già, ma che tutto quello che desideravo, non era dovuto al mio essere cresciuta, essere diventata donna, ma era il bisogno di avere un rapporto completo, con lui e lui solo. Non volevo una famiglia, non volevo un’unione che fosse davvero tale, solo per esigenze fisiologiche, ma perché volevo lui.

Il problema adesso sarebbe stato adesso spiegare ad Edward quello che era successo, Martin mi avrebbe riaccompagnata a casa, come ormai era solito fare, ed il mio vampiro se non era in grado di leggere la mia di mente, con quella del poveretto non aveva nessuna difficoltà. Sarebbe saltato su tutte le furie, avrebbe perso la ragione e già immaginavo la testa di Martin spiaccicata contro il sedile. Per tutto i tragitto fino a casa ero tormentata da visioni di sangue e violenza, o anche solo scatti di rabbia inconsulti ed invece.. non accadde nulla di tutto ciò.

L’auto di Martin si fermò sotto il mio portone e di Edward non vi era ombra. Mi salutò in maniera impacciata ed assolutamente innocua e ancora niente, salì in casa e finalmente lo trovai poggiato alla finestra perso nei suoi pensieri. La quieta prima della tempesta. Era di certo quello, dopo tutto ci stava che noi sconvolgessimo tutte le regole della fisica e della natura. Richiusi la porta, ma Edward sembrò quasi non accorgersene.

“C.. ciao..” abbozzai una volta dentro. Lui si voltò solo per fare un cenno con la testa, ma sembrava calmo. Troppo calmo. Che non si fosse reso conto? Possibile che non avesse dato una sbirciatina alla mente del mio collega? Impossibile, quel dono particolare Edward non l’aveva chiesto, i pensieri delle persone lo martellavano anche se lui non voleva. Sapevo che aveva visto tutto quello che era accaduto, ed era troppo tranquillo.

“Edward non far finta di nulla, sappiamo tutti e due quello che è accaduto,anzi quello che NON è accaduto..” gli dissi seria lasciando andare la mia borsa sul divano.

“Se non è accaduto perché vuoi parlarne?” mi domandò lui senza nemmeno guardarmi. La sua freddezza mi ferì. Non era una freddezza rabbiosa, o magari sintomo di qualche recondita vendetta psicologica sembrava proprio non importargli.

“Perché potresti farti un’idea sbagliata brutto caprone!!” gli urlai contro, al che lui con quell’insopportabile flemma si voltò verso di me, fino a quasi trafiggermi con quei suoi occhi.

“Non importa. Non è accaduto niente che io non sapessi già..”

“Che vuoi dire?” gli domandai davvero perplessa, come poteva saperlo? Di che stava parlando.

“Niente.” Si limitò a rispondere lui alzando le spalle. “Te l’avevo detto che a Martin piacevi, no?” quella sua affermazione doveva essere ironica, doveva avere lo scopo di sdrammatizzare, ma non sdrammatizzò proprio nulla. Ero abbastanza certa che l’avesse tirata fuori solo per rattoppare la situazione. A quel punto non sapevo nemmeno più cosa dirgli. D’altronde cosa lui volesse dire non potevo certo immaginarlo. Mi preoccupò molto quel suo comportamento, ma non volli indagare oltre, ero troppo stanca mentalmente e fisicamente per poter affrontare una discussione.

“Ne parliamo domani.. “ sussurrai appena esausta.

Quella sera Edward venne subito a letto con me. Mi prese tra le braccia e lì mi addormentai.

Che l’episodio con Martin l’avesse svegliato un po’?

Non potevo saperlo e nemmeno volevo. Mi andava bene così, almeno per quel momento ero serena così. Era da un po’ che spontaneamente non mi coccolava così a lungo.

 

Mi risvegliai nel pieno che era mattino presto. Non badai molto all’ora, lil trillo incessante del telefono di casa mi stava martellando. Quando mi tirai su a sedere mi resi conto che il telefono squillava.. fuori pioveva incessantemente. Il cielo era nero, sembrava quasi notte, ma doveva essere giorno. In casa non si udiva il minimo rumore se non il trillo cadenzato dell’apparecchio che avevo sul comodino.

Immediatamente una certezza inquietante e terribile mi colse.

Sollevai la cornetta. “Bella…” Era Alice ed era quasi disperata. Non abbastanza però per eguagliare quello che provavo in quel momento.

“Se n’è andato..” sussurrò lei con la voce rotta dalle lacrime.

“Lo so..” mormorai io fredda e consapevole.

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