L'Amore Bianco

di SimmyLu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** STAMPINI DI PATATE ***
Capitolo 2: *** PORTO DI MARE ***
Capitolo 3: *** IL BIANCONIGLIO ***
Capitolo 4: *** ORME SULLA NEVE ***
Capitolo 5: *** RAGAZZA INCINTA ***
Capitolo 6: *** LA SENSAZIONE ***
Capitolo 7: *** GLI OCCHI VERDI DI CATRINA ***
Capitolo 8: *** IL RIVALE ***
Capitolo 9: *** CIÒ CHE STA ALLE SPALLE ***
Capitolo 10: *** LA TOMBA ***
Capitolo 11: *** LA RISATA DI YURI ***
Capitolo 12: *** IL BRINDISI ***
Capitolo 13: *** PASSI SULLA PIETRA ***
Capitolo 14: *** IL GIURAMENTO ***
Capitolo 15: *** MORTE E RINASCITA ***
Capitolo 16: *** LA PAURA DI BORIS ***
Capitolo 17: *** L'ALBA DI UN NUOVO GIORNO ***
Capitolo 18: *** INCUBO ***
Capitolo 19: *** PROPOSTA ***
Capitolo 20: *** IL PRIMO INCONTRO ***
Capitolo 21: *** BAMBINO FANTASMA ***
Capitolo 22: *** IL DESERTO INVISIBILE ***
Capitolo 23: *** IL COGNOME ***
Capitolo 24: *** LA SFIDA ***
Capitolo 25: *** UNA VIGLIACCA ***
Capitolo 26: *** GHIACCIO E FUOCO ***
Capitolo 27: *** L'ANIMA IMPRIGIONATA ***
Capitolo 28: *** LA VERITÀ ***
Capitolo 29: *** EVOLUZIONE ***
Capitolo 30: *** CRESCITA ***
Capitolo 31: *** FORBICI E BACI ***
Capitolo 32: *** CAPOVOLGIMENTO ***
Capitolo 33: *** DEMONI ***
Capitolo 34: *** IL DIO DIABOLICO ***
Capitolo 35: *** FRAMMENTI ***
Capitolo 36: *** IL RE CADUTO ***



Capitolo 1
*** STAMPINI DI PATATE ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …



Capitolo Primo: STAMPINI DI PATATE



Dalla finestra il cielo bianco diffondeva una luce opaca ed irreale, quasi privando le cose della loro ombra d'esistenza.
Yuri concluse la telefonata e ripose il ricevitore, passandosi una mano fra i capelli mentre sospirava, come se si fosse tolto un peso.
Aveva la mente e gli occhi stanchi per le poche ore dedicate al sonno.
«Ebbene?»
La voce di Boris lo fece sobbalzare sulla sedia dello studio nel quale si era insediato, come uno straniero dopo aver conquistato la città nemica.
Quello era stato lo studio di Vorkof.
La stanza era spoglia e priva di quel pizzico di calore dato dalla mobilia scelta; una scrivania, qualche scaffale e un armadio sembravano perdersi nella stanza tanto poco avevano, in base allo stile, in comune.
«Boris...» disse Yuri dissimulando abilmente la sorpresa ma non la disapprovazione che provava trovandosi sulla porta il compagno di squadra, di quella che era stata un tempo la Borg e successivamente la NeoBorg; Boris lo squadrò appoggiandosi allo stipite della porta, lasciando che fosse il suo sguardo contrariato a spiegare ogni cosa.
«Cosa c'è?» domandò Yuri secco, alzandosi per avviarsi verso l'uscita.
La voce dell'istinto gli diceva che avrebbe dovuto trovare immediatamente qualcosa di cui occuparsi ed evitare la scenata dell'amico che sicuramente lo avrebbe assillato con più facilità se fosse rimasto chiuso lì dentro.
«Dimmelo tu.» rispose senza muoversi; era proprio davanti alla porta, come a volergli bloccare la fuga.
«Hai ascoltato la telefonata, vero? Indiscreto da parte tua.»
«Non ho ascoltato un bel niente! Mi è bastato sentire le ultime parole. Parlavi in giapponese; che c'è da capire? È chiaro come il sole.» disse Boris, accentuando il fastidio con un gesto della mano.
Yuri sbuffò cominciando ad innervosirsi. Non aveva voglia di discutere.
«Cosa?»
Si mise le mani in tasca.
«Cosa? E' ovvio che l'hai chiamato, e che glielo hai detto!»
«Cos'altro potevo fare, Boris?! Dannazione! Tu li hai tutti quei soldi?!» ringhiò Yuri.
«Oh, certo! Invece sua eccellenza Hiwatari ha la fortuna di averne a palate, vero? Perché non gli facciamo una statua? Potremmo anche cambiare ancora il nome di San Pietroburgo*, e metterci il suo, di nome, che te ne pare?»
Boris aveva sfoderato tutto il suo sarcasmo staccandosi dalla porta e avanzando nella stanza per fronteggiarlo.
Yuri distolse lo sguardo dal viso arrabbiato dell'amico, si ritrovò a fissare il muro vicino a loro; c'era una macchia che non aveva intenzione di farsi cancellare da qualche semplice mano di vernice bianca a buon marcato.
La sua espressione si increspò come la superficie dell'acqua quando viene sfiorata.
Boris lo sapeva che cos'era quella macchia scura? Sapeva di chi era il sangue su quel muro?
Prima che i ricordi potessero rapirlo, le parole del suo interlocutore lo riportarono alla realtà.
«Ogni volta che abbiamo bisogno di una mano corri da lui!» continuò, «Cosa ti aspetti?»
«Aiuto, ecco cosa, Boris! Abbiamo bisogno d'aiuto!» sbottò, già stanco della conversazione.
«Aiuto...» ripeté l'altro «...da un Hiwatari!»
«Hai un'idea migliore?» replicò Yuri acido.
«Sono uguali e lo sai! Nonno e nipote! Guardano soltanto il loro tornaconto! Non fanno nulla per nulla! Lo hai già dimenticato!?»
«Perché? Noi siamo poi tanto diversi?»
I loro occhi si studiarono per qualche interminabile momento, fino a quando lo sguardo penetrante di Yuri non costrinse quello di Boris sul pavimento.
«Devo andare, adesso.» così dicendo lo oltrepassò, varcò il confine della porta e fu finalmente fuori da quella stanza.


* * *

Percorse a passo deciso il corridoio e poi scese le scale che portavano all'atrio principale. Il monastero era cambiato parecchio in quegli ultimi mesi, anzi, ormai non si poteva più parlare di mesi. Erano quasi due anni. Anni durante i quali si erano illusi che le difficoltà fossero finite.
Ma quello che Yuri provava e percepiva era ormai soltanto confusione.
C'erano troppe cose, troppe davvero.
Non aveva mai pensato che potesse essere così... Non trovava nemmeno le parole per definire la situazione!
C'erano ragazzini ovunque! E non poteva certo avere il controllo su tutti loro! Era snervante!
Quando si tratta di badare a se stessi è un conto, ma quando si estende la propria preoccupazione su più persone, diventa praticamente impossibile tenere d'occhio tutti i confini delle proprie possibilità, l'orizzonte si sfuoca e addio certezze.
Yuri pensò questo mentre attraversava l'atrio e si dirigeva alla mensa.
C'erano lunghi tavoli di legno scuro addossati alle pareti. Non gli era mai piaciuto quel posto, a differenza di Sergej che lo aveva praticamente trasformato in un'aula ricreativa.
Infatti, a capo di uno dei tavoli sedeva un ragazzone biondo come il sole attorniato da una buona dose di bambini.
La più interessata sembrava Catrina, una bambina dagli occhi verdi che seguiva Sergej ovunque; "Secondo me vuole che l'adotti!" aveva detto una volta Boris.
Yuri accennò un sorriso mentre si avvicinava, che però subito scomparve.
Non era possibile! Lo stava facendo di nuovo! Ma quante volte doveva ripeterglielo?!
«Sergej!!» chiamò Yuri con tono di rimproverò.
Il ragazzo biondo sobbalzò e incrociò lo sguardo di ghiaccio del compagno. La sua espressione era quella di un bambino che era stato sorpreso dalla madre con le mani nel barattolo dei biscotti che lei gli aveva ripetutamente detto di non toccare per nessuna ragione.
I bambini si voltarono tutti a guardare il nuovo venuto.
«Yuri...» disse Sergej sorridendo nervosamente.
Il ragazzo dai capelli rossi si fermò a pochi metri da lui, le mani sui fianchi.
«Dimmi che non lo stai facendo, ti prego.» disse tristemente chinando il capo.
«Non stavamo facendo niente...» disse il biondo, nascondendo qualcosa sotto le grandi mani.
«Non mentire!»
«Ma tu...»
Yuri non gli permise di finire la frase, si avvicinò e gli strappò dalle mani quello che tentava disperatamente di nascondere.
Sul tavolo c'erano alcuni fogli di giornale, dell'inchiostro, delle penne e un coltellino.
Yuri guardò ciò che aveva in mano: «Cosa sarebbe?»
«Un cane.» rispose Sergej colpevole fissandosi le mani.
«Pessimo tentativo.» disse il ragazzo dai capelli rossi brandendo poi pericolosamente quella che sembrava la metà di una patata, «Quante volte devo dirti di non fare gli stampini con le patate?! Devono mangiarle e non giocarci! Non abbiamo di che sfamarli e tu fai gli stampini!!»
«Ma si divertono...» mugolò Sergej.
«Si divertono e intanto muoiono di fame!!» ruggì Yuri.
Sergej continuò a guardarsi le mani e ogni tanto scambiava delle rapide e complici occhiate coi bambini che tentavano di soffocare le risatine.
Yuri alzò gli occhi al cielo, scosse la testa e sospirò restituendo di malavoglia la metà della patata che aveva ancora in mano; si avviò verso l'uscita senza dire nulla.
«Yuri!» la voce di Sergej lo bloccò prima che svanisse oltre la porta.
Il ragazzo si fermò e voltò la testa verso il suo interlocutore.
«Volevi dirmi qualcosa?»
All'improvviso Yuri si ricordò perché era andato in cerca del compagno.
«L'ho chiamato.» rispose pacatamente, sembrava stanco.
«Verrà?» domandò il biondo con un po' d'ansia.
Yuri annuì svogliatamente per poi uscire dalla stanza.



FINE PRIMO CAPITOLO, continua...


(*San Pietroburgo) Pietrogrado dal 1914 al '24, Leningrado dal '24 al '91. L'attuale denominazione riprende quella storica originale.

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Capitolo 2
*** PORTO DI MARE ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …



Capitolo Secondo: PORTO DI MARE


Chiuse la porta dietro di sé, lentamente, lasciandola scorrere per non fare troppo rumore.
Avrebbe voluto distruggerla, invece; ma non ne aveva la forza. Non aveva la forza di arrabbiarsi anche quel giorno.
Il corridoio appariva come un tunnel pervaso dalla nebbia in quella luce apatica del mattino.
Doveva solo pazientare ancora un po', giusto qualche giorno e poi, forse, la situazione sarebbe migliorata.
Tornò sui suoi passi raggiungendo nuovamente l'atrio in cui la luce si disperdeva come se le vecchie pareti avessero avuto il potere di inghiottirla; il portone che dava sul grande cortile esterno era stato aperto, un rettangolo verticale di luce faceva penetrare l'aria gelida.
Yuri sbuffò, chiedendosi se non facesse già abbastanza freddo e domandandosi chi poteva essersi dimenticato di chiudere.
Si avvicinò alla porta e fu soltanto allora che udì qualcuno parlare; si affacciò all'esterno e vide Boris fronteggiare un fin troppo folto gruppo di ragazzini.
«Mi avete sentito?» diceva con veemenza «Dovete andarvene! Non potete venire quando vi pare e fare il bello e il cattivo tempo!»
La luce del giorno era così intensa, il cielo così bianco di nuvole, che Yuri dovette socchiudere gli occhi per accertarsi di quello che già sospettava: al centro del cortile stava Boris che affrontava il capo del gruppo, Andrej, un ragazzo biondo cenere, dagli occhi così chiari da sembrare di vetro.
Lo sguardo del giovane era quello sprezzante e gelido di chi non ha nulla da perdere, uno sguardo che Yuri conosceva bene.
Il suo gruppo veniva spesso al monastero; per una notte, oppure per un giorno intero se la temperatura era abbastanza rigida. Non stavano mai a lungo in nessun posto, limitandosi a tornare dove sapevano di poter trovare riparo e qualcosa di caldo con cui riempire lo stomaco.
Non erano gli unici a comportarsi in quel modo: il monastero si era trasformato in un luogo di accoglienza per i ragazzi senza fissa dimora di Mosca, ospitandone una parte stabilmente.
«Fammi parlare con Yuri, è lui che comanda qui, no?» disse Andrej, sprezzante.
«Senti ragazzino, se hai deciso di farmi arrab...»
«Boris...»
Yuri lo chiamò con tono di voce inespressivo.
Il compagno di squadra si girò sorpreso, Yuri aveva fatto qualche passo verso di loro, uscendo dall'edificio. Li stava osservando.
Per un momento Boris, nel guardare il suo capitano, si accorse di quanto fosse incomprensibilmente pallido, stanco; Forse era l'effetto della luce che si rifletteva sulla neve del terreno. L'espressione di Yuri era tesa, triste, ma Boris pensò che forse era troppo distante per poter affermare una cosa del genere.
Yuri non disse nulla, si voltò e scomparve all'interno del monastero, inghiottito dall'ombra della pietra.
«Tsk.» fece Andrej ed il suo gruppo lo seguì immediatamente, superando Boris che si era voltato verso di loro carico di irritazione.


* * *

Boris rimase nel cortile ancora per qualche minuto.
Yuri era proprio uno stupido, pensò chiedendosi come poteva dargliela sempre vinta. Possibile che non riuscisse a capire che a quei vagabondi non importava della loro condizione? Erano soltanto delle sanguisughe! Eppure Yuri continuava ad aprire la porta a chiunque bussasse al monastero, a raccogliere tutti i cani randagi che si presentavano sulla soglia, tutti quanti! Il monastero si era trasformato in un porto di mare!
«Dannazione!» disse voltandosi per rientrare.
Avrebbe parlato con il suo capitano. Oh, sì, questa volta l'avrebbe ascoltato!
«Questa storia non può continuare.» disse in un sussurro d'ira chiudendo il portone.


* * *
Appena finito di distribuire la cena, Boris si era avvicinato a Yuri chiedendogli di parlare in privato.
«Questa storia non può continuare, Yuri!!» disse non appena furono fuori dalla mensa.
Il corridoio era buio e deserto come la caverna di una bestia demoniaca.
La porta della mensa cigolò aprendosi e Sergej si unì a loro.
Yuri guardò Boris come se non ci fosse, pregando soltanto che una punizione divina privasse il compagno di squadra dell'uso di una qualsiasi lingua che lui potesse anche solo immaginarsi di comprendere.
«Boris, è tardi adesso. Discutiamone domani.» disse Sergej.
Dall'interno della mensa provenivano le voci dei ragazzi, attutite dalle mura; erano allegre. Nella confusione si udì distintamente la voce di Andrej urlare qualcosa a proposito della metropolitana. L'insofferenza di Boris per quel ragazzo era giunta al limite.
«No, Sergej, ne discutiamo adesso!» disse prendendo Yuri per un braccio.
«Levami le mani di dosso, Boris.» sibilò il ragazzo dai capelli rossi, ma egli non lo ascoltò e, continuando a stringergli il braccio, cominciò a parlare: «Non abbiamo i soldi per pagare i debiti, a stento riusciamo ancora a sfamare i ragazzi del monastero, non abbiamo la più pallida idea di come....»
«Boris, mollami...» disse ancora Yuri fissandolo minaccioso, ma quello non si intimorì proseguendo il discorso: «No, Yuri! Tu credi di poterli salvare tutti, non è vero?»
Yuri spalancò gli occhi, quella frase l'aveva trafitto come una freccia infuocata.
«Cosa?» domandò in un soffio.
«Ma non è così. No, non lo è affatto!» Boris stava praticamente urlando «Loro approfittano di tutto questo! Ci prendono in giro! Vengono qui solo perché sanno che non gli dirai di no!»
«Boris, adesso basta...» disse preoccupato il biondo.
«No, Sergej, non la pianto!» disse continuando a serrare la presa delle dita al braccio del suo capitano, «Tu non puoi salvare tutti, Yuri, non puoi! E poi per cosa? Eh?! Per cosa? Per farsi solo prendere per il culo da quei bastardi di strada!?»

... "sei solo un inutile bastardo di strada" ...

Boris nemmeno se ne accorse. Percepì il dolore soltanto quando Sergej lo sostenne per non farlo cadere a terra. Yuri lo aveva colpito: un pugno in pieno volto.
«Non ripeterlo... mai più!!» disse Yuri, la voce roca, come un ringhio.
Tremava, gli occhi spalancati puntati sul compagno. Boris non riusciva a smettere di fissarlo. Non lo aveva mai colpito. Mai.
In quel momento si sentì come una preda in trappola, terrorizzato e alla mercè del suo avido inseguitore.
Avrebbe voluto dire qualcosa ma non ci riuscì.
Era dunque questo il potere di Yuri?
Boris allontanò bruscamente Sergej che ancora lo sorreggeva e si raddrizzò sulle proprie gambe, sentì distintamente una punta di gelo all'interno del suo petto.
Non sapeva se essere spaventato o semplicemente in collera col capitano o entrambe le cose; i suoi pensieri vorticavano velocemente come api in uno sciame.
Yuri fissava il muro alla sua destra respirando con insistenza, sembrava essersi svegliato da un incubo.
«Non volevo colpirti... scusa.» disse inespressivo.
«Guardami in faccia.» disse Boris.
Yuri alzò lo sguardo su di lui.
Non si dissero assolutamente nulla.
Dopo qualche istante di assoluto silenzio Boris lo oltrepassò svanendo nel corridoio.
Sergej sospirò aprendo la porta per tornare in mensa: «Vado dentro a vedere cosa combinano.»
Il volume del vociare aumentò; la porta cigolò e si chiuse.
Yuri rimase solo.
Lo sguardo fisso nel punto in cui prima si trovava Boris.
Chiuse gli occhi.
L'unica cosa che percepiva erano le voci allegre dei ragazzi.
Sembravano lontanissime.



FINE SECONDO CAPITOLO, continua...

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Capitolo 3
*** IL BIANCONIGLIO ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …



Capitolo Terzo: IL BIANCONIGLIO



Soffiava un vento leggero e gelido che si intrufolava silenzioso dagli spifferi della finestra.
Lo studio era al buio.
Non sapeva dire da quanto tempo fosse lì, seduto per terra con la schiena appoggiata alla parete, su quella macchia.
Sentiva freddo, tremava un po' ogni tanto, ma non ci faceva caso, o forse non voleva.
Ascoltava il ritmo lento e ripetitivo del suo respiro con gli occhi persi nel buio, le ginocchia strette al petto, cinte dalle braccia.
Un brivido.

... "Dannato ragazzino" ...

Yuri deglutì, perdendosi nei suoi pensieri.

... "Dannato bastardo impudente" ...

Si era chiuso a chiave nello studio, voleva rimanere solo con quei ricordi sfumati come spezzoni di un film visto anni ed anni prima.
Un uomo lo sovrastava, pronto a colpirlo.
Yuri si coprì la testa con le mani affondando le dita nei capelli rossi.

... "Abbiamo investito tutto su di te! Sei stato inutile!" ...

Nessuno sapeva quello che era successo, perchè nessuno aveva mai assistito.

... "Ti sei fatto battere da quel bamboccio giapponese! Sei solo un dannato ragazzino" ...

Tentò di difendersi quel giorno, ma fu inutile.
Vorkof lo colpì.
Non si ricordava nemmeno più quante volte.
Anche se ormai era finita... per la Borg, per Vorkof, per Hiwatari, per il monastero.
Pensò che sarebbe morto, che l'avrebbe ucciso semplicemente, ma non fu così: qualcuno venne a bussare alla porta dello studio dicendo che si dovevano sbrigare a tagliare la corda e a portare via tutto.
Prima di fuggire, in un ultimo impeto di rabbia, Vorkof lo scaraventò contro il muro.
L'impatto sembrò durare all'infinito.
E anche il dolore.

... "Dovevo aspettarmelo da un lurido bastardo di strada!" ...

Yuri strinse le mani sulla nuca dove quasi cinque anni prima il dolore sembrava insopportabile e il sangue colava caldo.


* * *

Yuri si svegliò quando era ormai mattina ed il cielo era bianco come il giorno precedente.
La luce faceva quasi male.
Si ritrovò raggomitolato sul pavimento senza ricordare quando si era addormentato.
Tremò.
Si alzò stiracchiandosi, rimpiangendo di essersi addormentato sul pavimento; si passò le mani sul viso: guance un po' ruvide, ma era troppo addormentato per partorire l'idea di radersi ed inoltre non si era ancora abituato a quell'azione che avrebbe dovuto essere abitudinaria.
Prese la giacca che aveva lasciato sulla sedia della scrivania, la infilò ed uscì dallo studio percorrendo i corridoi ancora deserti.
I suoi passi echeggiavano sulla pietra, scomparendo rapidamente.
Doveva uscire!
Respirare l'aria ghiacciata di quel mattino dal cielo bianco.
D'improvviso, il ricordo del pugno dato a Boris la sera precedente lo investì come una scarica.
Respirare aria fresca... assolutamente!
Non aveva avuto l'intenzione di colpirlo, eppure lo aveva fatto comunque.
Attraversò il grande atrio e si aggrappò alla maniglie del portone, tirandole verso di sé.
Erano state le sue parole...
L'aria gelida si insinuò all'interno come se non avesse atteso altro.
...Boris non aveva il diritto di dire certe cose.
Uscì.
Finalmente!
Respirò a fondo, fin quasi a farsi male.
Non avrebbe voluto colpire il compagno, ma non era pentito di averlo fatto.
E Boris lo sapeva.


* * *

«Cosa guardi?»
«Yuri è uscito.» disse Sergej indicando un punto del cortile oltre il vetro della finestra.
Boris gli si avvicinò e guardò Yuri fare quattro passi più in basso, le mani nelle tasche della giacca; il suo respiro si condensava nell'aria per poi dissolversi.
«Dove vai?» chiese Sergej vedendo il compagno dirigersi verso la porta.
«Faccio quattro passi anch'io: ho bisogno di una boccata d'aria.»
Boris prese la giacca ed uscì.
Il ragazzo biondo sorrise.


* * *

Yuri non si accorse che anche Boris si trovava nel cortile.
La sua attenzione era stata catturata da qualcosa di più piccolo e lontano, che s'affannava sulla neve sporca vicino al cancello del monastero.
Era da tempo che non ne vedeva uno... completamente bianco.
Abbozzò un sorriso e si avvicinò lentamente e cautamente al cancello, cercando di fare il minimo rumore possibile.
Boris non disse nulla, limitandosi ad osservare curioso la scena.
Il coniglio si mosse, facendo un piccolo balzo, spostandosi con un po' di fatica.
Fu allora che Yuri notò la ferita: una delle zampe posteriori era sporca di sangue.
Pena.
Il ragazzo aumentò un poco l'andatura.
Gli faceva pena.
Forse era stato morso o graffiato.
Il roditore sembrò non accorgersi di lui; si mosse nuovamente, sporcando di rosso la neve che si lasciava alle spalle.
L'avrebbero fiutato immediatamente.
Yuri raggiunse il cancello.
Il coniglio rizzò le orecchie candide verso l'alto e si girò di scatto verso di lui; si guardarono negli occhi, entrambi immobili, la respirazione ridotta al minimo per percepire il più piccolo rumore e reagire di conseguenza.
Il ragazzo allungò lentamente una mano verso il cancello.
L'animale rimase immobile, fiutandolo.
Il cancello era chiuso... Maledizione!
«Yuri!» lo chiamò Boris all'improvviso.
Il ragazzo dai capelli rossi si voltò sorpreso ed il coniglio, spaventato, si allontanò lesto verso la foresta, oltre la strada sterrata.
«Dannazione!» imprecò Yuri arrampicandosi sul cancello per poi saltare dall'altra parte una volta arrivato in cima.
«Aspetta! Ma dove vai!?» disse Boris che gli si stava avvicinando.
Yuri non gli prestò attenzione; atterrò scivolando sul fango e, rialzandosi con precarietà d'equilibrio, corse verso la boscaglia.
Boris lo guardò allontanarsi, aggrappato alla sbarre del cancello.

* * *

Le scarpe affondavano rapidamente nella neve ghiacciata che s'alternava al fango, all'erba, al muschio, alle foglie e ai rami secchi, agli aghi di pino.
Le tracce che il coniglio si lasciava alle sue spalle erano abbastanza evidenti.
E se era così facile per lui seguirlo, figurarsi per qualche predatore; quell'animale stava correndo verso la sua fine.
Doveva fermarlo... o forse no?

... "Non puoi salvare tutti, Yuri!" ...

Il ragazzo si fermò in un piccolo spiazzo, ansante.
Le parole di Boris gli tornarono alla mente chiare, assumevano finalmente una forma, un significato concreto. Forse Boris aveva ragione.
Respirò a fondo.
C'erano altre tracce sul terreno.
Perchè si era messo a rincorrere quell'animale?
Un fruscio alla sua destra; alcune foglie si mossero e qualcosa di bianco e peloso si allontanò rapidamente.
Non sarebbe andato lontano con quella ferita.
Seguì il coniglio fino ad un piccolo spiazzo circondato da betulle; il roditore si era fermato ai piedi di una di queste, il corpicino si gonfiava e sgonfiava rapidamente, così come il petto del ragazzo.
Non ce la faceva più probabilmente, pensò il russo.
Yuri fece un passo avanti ed il coniglio si appiattì ancor di più contro il tronco dell'albero, gli occhi spalancati, il corpo fremente di terrore pronto a scattare.
Un fruscio.
Yuri si bloccò. Cos'era stato?
Un altro fruscio. A destra.
Yuri si voltò lentamente.
Un ringhio.
Sommesso.
Minaccioso.
Dannazione!
Erano circondati dai lupi.


* * *

«Dov'è Yuri?» domandò Sergej vedendo Boris rientrare da solo.
«Gioca ad "Alice nel paese delle meraviglie"!» sbuffò Boris.
«Cosa?»
«Sta rincorrendo un coniglio bianco nella foresta.» spiegò.
«Un coniglio bianco?» domandò incredulo Sergej.


* * *

Il coniglio emise quello che poteva benissimo considerarsi un urlo disperato.
Yuri, d'istinto, infilò una mano nelle tasche, afferrando Wolborg.
Cosa diamine ci facevano dei lupi così vicino alla città?





FINE TERZO CAPITOLO, continua...

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Capitolo 4
*** ORME SULLA NEVE ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …



Capitolo Quarto: ORME SULLA NEVE



Cosa diamine ci facevano dei lupi così vicino alla città?
Yuri sì voltò nel tentativo di farsi un'idea di quanti potevano essere in tutto e, d'istinto, infilò una mano nelle tasche, afferrando Wolborg.
Ma il beyblade reagì in modo del tutto inaspettato; il ragazzo ebbe appena il tempo di tirarlo fuori dalla tasca che subito dovette lasciare che l'oggetto cadesse al suolo.
Non appena la sua mano era entrata in contatto con Wolborg, questo era diventato immediatamente così freddo e gelato da produrre al tatto l'effetto di una scottatura.
Con il cuore in gola e gli occhi puntati sul beyblade che aveva cominciato lievemente ad emettere luce, Yuri cercò di riprendere il controllo della mano destra che si era intorpidita al punto di non riuscire più a muovere le dita, come se fosse stata immersa nella neve per ore.
I lupi cominciarono ad abbaiare e uggiolare.
Yuri sollevò lo sguardo dal terreno e i suoi occhi azzurri incontrarono il giallo delle iridi animali.
Un lupo dal manto grigio lo fissava a pochi passi.
I rumori circostanti svanirono, attenuandosi velocemente.
«Smettila...!» disse il giovane arretrando di un passo, la voce spezzata.
Conosceva quegli occhi di lupo, conosceva il dolore del freddo.
Tutto sembrava ripetersi.
Yuri cadde in ginocchio ansimando e cercando di trattenere i singhiozzi.
Che cosa gli stava succedendo?
«Smetti... smettila di... GUARDARMI COSI'!»
Yuri urlò.
Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
E cadde in ginocchio stringendo le mani al petto.
Mentre il lupo sollevava il muso verso il cielo ed ululava triste.

* * *

«Un coniglio bianco?» domandò incredulo Sergej.
«Non sto scherzando!» disse spazientito Boris, «Sta correndo dietro ad...»
Il ragazzo si bloccò voltandosi verso il cancello e guardando oltre.
«Che ti succede?» chiese Sergej.
«No, niente, ma... non hai sentito?»
Il biondo scrollò la testa.
«Sembrava un ululato.»

* * *


I rumori tornarono, così come se ne erano andati.
Yuri sollevò la testa dal terreno e, rimanendo piegato sulle ginocchia, cercò intorno a sé.
Era solo.
Wolborg era davanti a lui, non brillava più.
Allungò una mano per afferrarlo ed esitò un poco prima di tenerlo stretto fra le dita; ma questa volta non accadde nulla di doloroso.
Pulì il BitPower con le dita.
«Cosa ci sta accadendo?» sussurrò all'oggetto.
Respirò a fondo prima di alzarsi in piedi, senza preoccuparsi di scollarsi di dosso la neve; ansimava, in bocca il sapore metallico del sangue e gli occhi vacui, spalancati.
Cercò il coniglio bianco che prima aveva seguito, ma tutto quello che trovò fu una macchia sporca e rossastra sul terreno.
Qualche filo di vento allontanò dei ciuffi di pelo.
Si passò una mano sul volto e camminò fino al limitare del bosco, sulla neve fredda e luminosa.
Davanti a lui stava una distesa irreale di candore che sembrava allontanare indefinitamente il monastero, schiacciandolo in una morsa claustrofobica fra cielo e terra.

"Non puoi salvare tutti, Yuri!"

Non poteva salvare tutti, no, certamente.
Cosa stava accadendo?
Respirò intensamente l'aria fredda; i pantaloni si erano completamente bagnati.
Oppressione.
Non poteva salvare tutti. Ma cosa diavolo voleva dire?
Non aveva mai badato alle altre persone.
Adesso invece s'era accollato la responsabilità del monastero.
Cos'era successo?
I lupi avevano sbranato il coniglio.
Alcune ciocche rosse gli ricaddero sul viso.
Com'era accaduto tutto quello?
Perché aveva accettato di occuparsi del monastero?
Attraversò nuovamente il campo e la strada che lo separavano da quella che ormai era diventata la sua casa.
Già, casa.
Ora ne aveva una.
I suoi passi non lasciarono nuove orme, ricoprendo semplicemente quelle dell'andata.


* * *


Chiuse il portone dietro di sé.
Si sentiva uno stupido.
Boris avrebbe avuto di che ridere, certamente.
Anzi, gli avrebbe fatto una paternale interminabile, sicuramente avrebbe detto qualcosa del genere.
«Oh, Yuri! Finalmente! Stavo uscendo a cercarti!»
Sergej arrivò trafelato, aveva già infilato la giacca: «Boris ha detto che sei corso dietro ad un coniglio, è vero?» chiese incredulo con un accenno di risata.
L'atrio del monastero era freddo, immerso nella penombra.
La porta che portava ai sotterranei era chiusa.
«Sì...» rispose vagamente Yuri, «Ma è scappato chissà dove... l'ho perso di vista...»
Non disse la verità.
Perché avrebbe dovuto?
«Ah... beh...» bofonchiò Sergej.
«Era ferito, l'ho fatto per questo.» si giustificò il rosso.
Perché aveva mentito?
Sergej stava dicendo qualcosa... ma non riusciva a capire...
Era un sacco di tempo che non andava a controllare i sotterranei.
...perché aveva detto quella bugia?
Fissò la porta come se volesse aprirla con il pensiero...

"Dannato ragazzino...
Dannato bastardo impudente."


«Yuri? Tutto a posto?» chiese Sergej.
«Sì... cosa?»
«Non hai ascoltato una parola, vero? Ho detto che ha chiamato Stan, passa a prenderti fra poco ...» disse Sergej.
Yuri quasi sobbalzò: «Ma... Dovevo andare domani.»
«Sì, ma l'ha chiamato Sofia e gli ha chiesto se...»
«Non importa Sergej, vado solo a prendere sciarpa e guanti.» disse e si mosse per andare, ma il biondo lo bloccò: «Dove vai? Te li ho portati io!» disse porgendoglieli e sorridendo divertito; sembrava che Yuri fosse su un altro pianeta.
Era buffo in un certo senso, ma dall'altro lo preoccupava: Yuri era strano da un po' di giorni.
«Sei stato nel paese delle meraviglie, capitano?»
«Che cosa??»
«Ah, l'ha detto Boris.»
Un clacson suonò più volte.
«Dev'essere Stan, vado.»
Yuri aprì il portone ed uscì nuovamente, un camioncino lo stava aspettando davanti al cancello.
«Ah, me ne stavo dimenticando...» aggiunse Sergej.
«Cosa?» chiese Yuri infilandosi i guanti.
«Ha chiamato anche la compagnia telefonica. Entro questa settimana ci tolgono la linea...» spiegò tristemente.
«Fantastico!» ringhiò ironicamente Yuri prima di raggiungere il cancello.

* * *

Il furgoncino di Stan tremolava sotto la fatica del motore e sembrava attendere impaziente la partenza.
Yuri arrivò al cancello con passo deciso, quando improvvisamente si bloccò.
Guardò indietro verso il monastero e poi si mise a correre dalla parte opposta, verso il veicolo; quando lo raggiunse aprì in tutta fretta la portiera.
Stan era un uomo sulla trentina, piuttosto basso, con piccoli occhi castani ed un magnanimo sorriso. Abitava poco distante e si offriva gentilmente di dare un passaggio ai ragazzi, se poteva. Era una vera fortuna dato che non possedevano alcun mezzo di trasporto.
«Stan, scusami! Puoi aspettare ancora un minuto? Ho dimenticato una cosa.» disse Yuri velocemente e dopo che l'uomo ebbe annuito comprensivamente, ripartì di corsa verso il monastero.

Salì a due a due gli scalini e, sempre correndo, si tuffò in un corridoio laterale evitando un gruppo di ragazzini che lo osservò sparire dietro l'angolo. Percorse ancora un tratto del corridoio dal pavimento in pietra fino ad arrivare ad una scala di pochi gradini, una decina al massimo.
Salì ancora e finalmente riprese a camminare. Si trovava in un altro corridoio; quello dei vecchi dormitori.
Sia a destra sia a sinistra porte di legno scuro riempivano le pareti.
Lì si trovavano le stanze di Boris, Sergej, di qualcuno dei ragazzi più grandi e la sua, la terzultima in fondo a destra.
Le camere sulla destra, come la sua, avevano la finestra che si affacciava sul cortile interno; quelle a sinistra sul retro del monastero.
Si ricordò che Kai aveva occupato una stanza sul lato sinistro, quella una porta prima della sua.
Yuri la oltrepassò, aprì la propria porta ed entrò nella sua stanza.
Il letto era intatto; nuovamente si pentì di aver dormito sul pavimento dello studio.
Prese un libro dal tavolo sotto la finestra che fungeva da scrivania e uno dalla piccola libreria e tornò sui suoi passi.

Quando finalmente salì sul furgoncino si scusò nuovamente con Stan: «Devo ridarli a Sofia...» disse mostrando i volumi, «Me li ha prestati più di due mesi fa!»
Ma Stan non sembrava interessato ai libri, infatti, guardando bene il volto del suo interlocutore assunse un'espressione indecifrabile.
«Che c'è?» domandò Yuri.
«Non ti sei fatto la barba oggi... vero?»
«No... è vero...» ammise portandosi una mano al mento un po' ruvido.
«Oh, povero te!!» esclamò Stan divertito.
«Cosa vuoi dire?» chiese Yuri ingenuamente.
Stan sorrise avviando il motore: «Lo scoprirai presto!»




FINE QUARTO CAPITOLO, continua...

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Capitolo 5
*** RAGAZZA INCINTA ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …



Capitolo QUINTO: RAGAZZA INCINTA




Il furgoncino di Stan si fermò e Yuri scese dal traballante mezzo di trasporto ringraziando.
«Passo a riprenderti fra mezz'ora al massimo.»
Yuri annuì, un vago sorriso dipinto sul volto: Stan era sempre gentile.
Quando il borbottante furgone si fu allontanato, rimase solo davanti ad un palazzone grigio. Sebrava il più vecchio di quelli che costeggiavano la strada... anche se erano tutti in uno stato pietoso, come se avessero affrontato anni e anni di maltrattamento.
C'era una strana atmosfera.
Forse era stato tutto un sogno...
I palazzi erano grigi.
Non c'era mai stato un coniglio ferito e forse non aveva mai incontrato quei lupi...
La strada era grigia.
E forse Wolborg non aveva mai sprigionato quell'energia di ghiaccio...
La neve era sporca sui marciapiedi.
Come se volesse rifiutarlo...
Il cielo era latteo.
L'unica punta di colore erano i capelli rossi di Yuri.
Il ricordo di poco prima si allontanò, inghiottito da chissà cosa.
Magari...
Scacciò dalla mente quei pensieri, addentrandosi nel palazzo.

* * *

Salita la prima rampa di scale, Yuri si fermò sul pianerottolo, bussò tre volte alla porta a destra e aspettò.
Sentì distrattamente le voci delle inquiline provenire dall'appartamento.
«Vai ad aprire, muoviti!» disse una prima voce che il russo riconobbe essere quella di Katia, la maggiore delle tre sorelle che dividevano l'alloggio.
Nonostante fossero giovani riuscivano ad occuparsi di quel posto, pensò Yuri lanciando un'occhiata alla rampa di scale che saliva al secondo piano, con una mano che reggeva i due libri che doveva restituire a Sofia e l'altra affondata nella tasca della giacca.
Non era davvero quello che si poteva definire ospitale, ma era un rifugio, una casa per molte ragazze che si trovavano in difficoltà e non sapevano dove andare.
Da quel punto di vista assomigliava molto a ciò che il monastero era diventato negli ultimi tempi; con la differenza, Yuri ne era alquanto sollevato, che nessuna delle ragazzine che chiedevano asilo, bussava alla sua porta in stato interessante.
«Eccomi, eccomi, arrivo!» disse una seconda voce, quella di Sofia, la seconda delle sorelle.
Yuri sentì distintamente il rumore del chiavistello che veniva tolto; respirò a fondo e la porta si aprì.
«Yuri!» esclamò la ragazza sorridendo.
«Te lo avevo detto che era lui!» la rimbecco saccente la voce di Katia che spuntò dalla porta della cucina asciugandosi le mani con uno straccio.
Yuri rispose al saluto, ma le due ragazze rimasero ferme e imbambolate a guardarlo con tanto d'occhi.
Il ragazzo si irrigidì: «Ehm... cosa...?»
Ma non fece in tempo a concludere la domanda che le due sorelle, nemmeno a farlo apposta, esclamarono in simultanea: «Oh, signore, rendiamo grazie...!»
«Perché urlate con la porta aperta?!» disse una terza voce femminile alle spalle del ragazzo.
Yuri si voltò trovandosi di fronte una ragazza dai riccioli biondi con la faccia sporca, una tuta da lavoro nelle stesse condizioni e un paio di guanti beige di svariate taglie più grandi della sua misura alle mani: Irina.
Il ragazzo serrò le labbra.
Ma, anche lei, come le sue sorelle, spalancò gli occhi incontrando quelli azzurri di Yuri e arrossì lievemente: «Insomma Yuri Ivanov...» sospirò falsamente sconsolata la ragazza, «...vuoi farci prendere un colpo?» aggiunse sottovoce, come se avesse voluto dirlo a lui soltanto.
Yuri, completamente confuso, arrossì di rimando: «Ma cosa...?»
«Non presentarti mai più a casa nostra con quella barba incolta così sexy, sono stata chiara?!» disse Sofia provocando una valanga di risatine da parte di tutte e tre.
«Non dite assurdità!!» disse Yuri arrossendo tanto da far invidia al colore dei suoi stessi capelli mentre veniva trascinato a sedersi sul divano e la porta veniva finalmente chiusa.
«Insomma Yuri!! Abbiamo abbastanza ragazze incinte, senza che tu debba adescare altri giovani cuori!» continuò Irina prendendolo in giro e portandosi una mano sulla pancia che rivelava una gravidanza evidente.
«Basta!! Smettetela!» riuscì finalmente a tagliar corto Yuri, imbarazzato, ricordando con amarezza le parole di Stan.
«Come va con la caldaia?» chiese Sofia ad Irina, mentre questa si toglieva i guanti ingombranti e prendeva posto vicino a Yuri sul divano.
«Ora funziona, ma non so per quanto ancora.» rispose.
«Non dovresti fare questi lavori... ad otto mesi non c'è da scherzare, sai?» disse Katia portando dalla cucina un vassoio.
«Ah, ormai il grosso è fatto...» ironizzò Irina impossessandosi del piattino dei biscotti mentre Sofia porgeva una tazza di tè a Yuri.
«Potevate avvisarci, vi avrei dato una mano...» disse Yuri fissando il tè fumare nella sua tazza.
«Non c'è alcun problema Yuri, Irina ha un talento innato per cavi, bulloni e tutta quella roba lì!» rispose Katia scherzando.
«Sentito Yuri? Ho un talento naturale per 'quella roba lì'!»
Irina canzonò la sorella facendone nascere una risata.
«Come mai avete detto a Stan di venire oggi?» domandò il ragazzo.
«Ehi... mi sono seduta su qualcosa!» disse Irina posando il piatto e spostandosi per vedere cosa aveva travolto.
«Da voi non rispondeva nessuno, così abbiamo chiamato Stan... hanno anticipato il giro d'ispezione.» spiegò Sofia.
«Davvero?»
«Dobbiamo sistemare un po' e prima ti porti via quella roba, meglio è.»
«Che ci facevano questi libri sotto il mio sedere?» chiese Irina mostrando due volumi.
«O meglio, cosa ci faceva il tuo sedere sui libri di tua sorella...» la rimproverò scherzosamente Katia.
«Ho riportato i libri a Sofia.» spiegò il ragazzo voltandosi verso Irina, ma senza guardarla negli occhi; le fissò le mani mentre sfogliavano distratte un volume. Si rese conto di aver forse parlato a voce troppo bassa perché le altre sorelle potessero averlo sentirlo.
«Li hai già finiti?» chiese Sofia incredula riprendendo possesso dei volumi e ricevendo uno sguardo imbronciato da Irina.
«Sì, anche se il francese è abbastanza difficile devo dire...» rispose, preoccupandosi di alzare il volume della propria voce ad un livello udibile.
Katia lo guardò con ammirazione: «E specialmente se non hai mai studiato il francese.»
«E le mie lezioni cosa sarebbero, scusa?» chiese Sofia indispettita.
«Un vecchio quaderno di grammatica delle scuole superiori, tu lo chiami 'le mie lezioni'?» disse Irina ironicamente.
Risero di nuovo.

* * *

«Lasciati dire che hai un talento eccezionale!» disse Irina mentre Yuri poggiava a terra i due sacchi pieni di vestiti, stringendo in una mano l'ennesimo libro che Sofia gli aveva gentilmente prestato.
La strada era deserta, circondata dal grigio triste delle palazzine.
«Non esageriamo.» le rispose Yuri voltandosi per guardare l'incrocio vicino e nascondere il rossore delle gote; Stan sarebbe dovuto arrivare da un momento all'altro.
«Forse non ti rendi conto che hai imparato da solo una lingua!»
«Che non so praticamente parlare.»
«E comunque ti sembra una cosa da poco?» disse la ragazza indicando il volume che il russo teneva in mano.
«E' perché mi piace.» disse Yuri come per giustificarsi, «Tutto qui.»
Irina abbassò lo sguardo e non disse nulla per qualche minuto.
Il ragazzo e le tre sorelle si erano conosciuti quasi per caso, due anni prima.
Si erano aiutati reciprocamente, trovandosi in situazioni più o meno simili.
Era un'amicizia sincera.
Un furgoncino attraversò l'incrocio poco lontano, ma non era quello di Stan.
La ragazza fissò il russo: «Senti, Yuri... stai bene, vero?»
Yuri la guardò sorpreso: «Perché me lo chiedi?»
«Sembri stanco.» disse preoccupata «E sei dimagrito... ancora.»
Il ragazzo fissò le sue scarpe e i sacchi vicino a lui.
«Sì, sono un po' stanco. Sono in tensione per via del monastero.»
«Mi dispiace, vorremmo fare di più per aiutarvi, ma...»
«Fate anche troppo, Irina. Grazie.» disse sinceramente, incontrando gli occhi chiari della ragazza.
Fin da quando si erano conosciuti e avevano stretto amicizia, Yuri si era sempre trovato nei guai; per un motivo o per un altro, sempre a causa del monastero.
«Senti, Irina....»
Il tono di Yuri si era abbassato, così come il volume della voce, era una cosa che capitava sempre quando le voleva parlare e la guardava; ma la ragazza distolse lo sguardo facendo un commento sugli indumenti contenuti nei sacchi.
Il ragazzo si sentì impotente sapendo che Irina aveva rapidamente cambiato argomento apposta, forse, pensò, fiutando il pericolo di un discorso che non aveva voglia di affrontare.
Così la frase gli morì in gola più in fretta di quanto fosse cominciata.




FINE QUINTO CAPITOLO, continua...

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Capitolo 6
*** LA SENSAZIONE ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …



Capitolo SESTO: LA SENSAZIONE



Stan non era ancora arrivato e si stava alzando il vento. La conversazione si era arenata definitivamente e i due ragazzi guardavano la strada senza avere veramente voglia di aspettare.
«Yuri...» disse d'un tratto Irina.
«Hm?»
Il ragazzo si voltò lentamente, annoiato e frustrato dal fatto di non aver avuto il coraggio di continuare il suo discorso.
«Dammi la mano.»
«La mano?»
«Dai!» lo esortò lei tendendo la sua, mentre i riccioli biondi trasportati dal vendo ondeggiavano pigri nell'aria.
Yuri estrasse la mano destra dalla tasca della giacca e gliela porse, curioso.
Irina gli sfilò il guanto e velocemente se la infilò sotto il maglione, facendo aderire il palmo alla pancia gonfia.
«Irin... ma cos...?» bofonchiò Yuri cercando di liberarsi dalla sua stretta nel più completo imbarazzo. Arrossì vistosamente per la seconda volta.
«Aspetta.» gli disse lei chiudendo gli occhi.
E lui si calmò, almeno apparentemente. Le sue gote si colorarono di un rosa intenso; toccarle il ventre gravido gli procurò una sensazione strana, un piacere inaspettato.
«Ecco.» sussurrò Irina.
Fu come se qualcosa gli avesse accarezzato il palmo della mano da sotto uno strato spesso, morbido e caldissimo.
«Ah! Hai sentito? Gli piaci!» esclamò Irina.
E, se possibile, Yuri arrossì ancora di più.
Aspettarono ancora qualche momento, ma il bambino non si mosse più e Yuri tolse la mano dalla pancia della ragazza provando per lei un rispetto deferenziale.
«Sai, Yuri... a volte... penso che vorrei tenerlo. Anche se in fondo non è mio... Dopotutto è così no? E' mio e non lo è...» disse Irina.
Yuri la guardò intensamente provando l'insensato impulso di proteggerla: «La coppia americana è già arrivata... a Mosca?»
«No, non ancora. Li ho sentiti l'altro giorno. Dovrebbero arrivare fra una o due settimane.» disse, posandosi le mani sul pancione.
«Cosa pensi?» chiese il ragazzo.
«Non so. In fondo hanno affittato il mio corpo*. Mi pagano per il bambino. Con quei soldi potrò finire gli studi e aiutare le mie sorelle. Anche se mi vengono dei dubbi, so quello che devo fare. Ho soltanto paura... non so nemmeno io di cosa di preciso.»
Irina sorrise amaramente e si voltò di scatto per non dover guardare Yuri negli occhi.
«Non devi avere paura.»
Il ragazzo lo disse così piano che le sue parole sembrarono ad Irina un sussurro del vento. Poi aggiunse: «Irina, se tu volessi... ecco...»
«Ti prego, Yuri.» intervenne bruscamente lei, come a volerlo sgridare, «Ti prego...» disse ancora, ma questa volta più dolcemente con gli occhi lucidi.
«Va bene...»
Yuri abbassò lo sguardo e non parlò più.

* * *

«Tutto a posto?» chiese Stan quando Yuri salì sul furgone chiudendo la portiera, «O ti sono saltate addosso?»
Il furgoncino borbottò affrontando un incrocio.
«Mi hanno preso in giro, come al solito!» lo rimbeccò il ragazzo infastidito mentre l'uomo rideva facendo un retorico commento sulle donne.
Yuri si guardò il palmo della mano destra; chiuse gli occhi, stringendo le dita in un pugno: non aveva mai toccato Irina. Per un attimo gli era sembrato di avere quella piccola vita interamente nella sua mano.
«Cosa c'è?» chiese Stan vedendo il volto del giovane velato di tristezza.
«Non mi vuole nemmeno ascoltare...» disse in un sospiro guardandosi le mani; la sua espressione intrisa d'amarezza si tinse di rabbia.


Yuri balzò giù dal furgoncino avvicinandosi al retro per prendere i due sacchi.
«Sicuro che non ci siano problemi?» chiese Stan sporgendosi dal finestrino.
«Assolutamente, non devi preoccuparti, grazie.» rispose Yuri.
«Mi dispiace lasciarti qui, ma devo proprio scappare o non arriverò in tempo!»
«Nessun problema, sicuro. E' un tratto breve, non ci metterò molto anche se sono a piedi. E poi camminare mi farà bene... mi schiarirà le idee.» disse mentre poggiava a terra anche il secondo sacco.
Stan fece un cenno d'assenso con sorriso tirato.
Il furgoncino ripartì mentre si salutavano e il ragazzo rimase solo coi suoi bagagli sul ciglio della strada.

* * *

La strada era deserta e si era alzato un vento gelido che sferzava impietoso, freddo come lame di ghiaccio. Non sapeva perché, ma improvvisamente Yuri si sentì a disagio: c'era qualcosa di strano.
Come se qualcuno fosse entrato nella sua stanza e avesse spostato alcuni oggetti.
Era una cosa stupida da pensare, si disse.
Prese i due sacchi e se li caricò in spalla; cominciò a camminare avviandosi in direzione del monastero.
Ma più camminava più quella sensazione si faceva forte e intensa.
E poi... l'aria aveva uno strano odore.
Continuando a camminare Yuri alzò la testa e guardò il cielo.
Era completamente bianco.
Davvero aveva incontrato dei lupi quella mattina? Oppure era stato un sogno... un'allucinazione?
Ripensò alla porta dell'atrio che portava ai sotterranei del monastero.
Aveva fatto bene a chiamare Kai?
Il dubbio l'assalì all'improvviso.
Gli venne in mente il pugno che aveva dato a Boris.
Sospirò.


Mancava poco ormai, aveva quasi raggiunto il monastero, ma quella strana sensazione non lo abbandonava.
Affrettò il passo.
Lo sentiva.
C'era qualcosa.
Qualcosa nell'aria.
Arrivò al cancello dell'edificio, lo aprì, ma si fermò immediatamente.
Il cortile era vuoto.
Il vento gelido continuava a soffiare imperioso.
Freddo.
Vigoroso e tagliente.
C'era qualcuno davanti al portone.
Era un uomo, immobile.
Lo vedeva di spalle.
Aveva la testa sollevata, contemplava la facciata della costruzione.
Il vento ululò sollevando i lembi della lunga giacca dello sconosciuto.
Yuri si avvicinò di più, ma con lentezza.
Quella sensazione...
Stava per aprire bocca, quando l'uomo di spalle si girò e lo osservò con attenzione.
Non sembrava sorpreso del fatto che Yuri si trovasse alle sue spalle.
Una violenta raffica di vento obbligò entrambi a chiudere gli occhi mentre i capelli frustavano nell'aria gelata.

Yuri aprì nuovamente la bocca, ma ancora non disse nulla.
Era realmente sorpreso e non sapeva cosa dire.
Fu l'altro a rispondere alla sua domanda inespressa: «Avevi detto che era urgente.»

Quella sensazione...

Yuri sorrise, stanco: «Bentornato a Mosca, Kai.»

...di qualcuno nella propria stanza.


FINE SESTO CAPITOLO, continua...

(*) In Russia accade che le ragazze "affittino l'utero", come avviene in America. Questo accade da parte di famiglie (spesso) straniere che non possono avere figli; tutto questo in cambio, ovviamente, di denaro.

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Capitolo 7
*** GLI OCCHI VERDI DI CATRINA ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …



Capitolo SETTIMO: GLI OCCHI VERDI DI CATRINA




Lo sentiva.
C'era qualcosa.
O meglio... qualcuno.
Il vento soffiava imperterrito graffiandogli la faccia di freddo.
Nella pietra dell'edificio erano incise due semplici parole.
Parole.
Le parole sono così leggere ed inconsistenti.
Eppure sono la cosa che più pesa sul cuore.
Soffocano il petto.
Stritolano lo stomaco.
Ubriacano la mente.
"Monastero Vorkof"*
Il cancello cigolò appena.
Lo sentì distintamente, adesso era palese che qualcuno lo stesse osservando.
Come un odore che si cattura da lontano.
Aspettò il tempo di qualche passo per poi girarsi ed osservarlo con attenzione.
Yuri.
C'era qualcosa nel suo sguardo.
Era cambiato.
Ancora.
I capelli rossi si agitarono nel vento di una raffica particolarmente imperiosa.
Era sorpreso, gli occhi spalancati per lo stupore.
In effetti aveva fatto veramente in fretta.
«Avevi detto che era urgente.» disse tranquillamente, non aveva bisogno che il russo ponesse la domanda.
Yuri sorrise, stanco: «Bentornato a Mosca, Kai.»
Kai sorrise appena, ma era un sorriso sincero.
«E' strano vederti con la faccia pulita...» aggiunse scherzosamente Yuri sollevando le sopracciglia e socchiudendo gli occhi esaminando le guance del giapponese prive dei segni di pigmento blu*.
Non si ricordava di averlo mai visto senza.
«Ed è strano vederti con la barba incolta...» rispose di rimando Kai imitando l'espressione del russo.
«Laciamo perdere...» rispose Yuri, vagamente infastidito e allo stesso tempo felice, «Andiamo... credo che Boris sarà molto contento di vederti.» aggiunse, ironico.

* * *

Entrarono nel monastero portando nell'atrio una folata di vento.
Yuri poggiò vicino alla porta i sacchi di indumenti.
Catrina, la bambina dagli occhi verdi che seguiva sempre Sergej come un'ombra era seduta sul primo gradino delle scale che portavano alle stanze del piano superiore.
Era sola, la faccia imbronciata fra le braccia poggiate sulle ginocchia.
«Catrina...» disse Yuri avvicinandosi e chinandosi vicino a lei, «Cosa fai qui da sola? Dov'è Sergej?»
«Uscito.» mugugnò Catrina nascondendo di più il viso fra le braccia.
Yuri la guardò comprensivo per qualche istante, prima di aggiungere: «Allora, perchè non vai con gli altri bam...»
Ma la piccola non gli lasciò finire la frase, si sollevò in piedi di scatto e lo fissò così intensamente che per Yuri fu come ricevere uno schiaffo, poi si voltò e guardò Kai allo stesso modo, con la stessa rabbia, la stessa frustrazione, e corse via, sparendo dietro il corridoio che portava alla mensa.
Yuri sospirò, disse qualcosa a bassa voce che Kai non afferrò.
«Ah!!» disse una voce; Boris era spuntato praticamente dal nulla alle loro spalle.
«Però, che velocità!» aggiunse subito dopo.
«Boris...» disse Yuri con tono stanco, di chi non ha assolutamente voglia di ascoltare lamentele.
«Buongiorno anche a te, Boris.» disse Kai in tono provocatorio.
Boris sembrò non afferrarlo e si affrettò a rispondere: «Ciao...», poi si rivolse a Yuri, «Sergej è...»
«Sì, lo so, me lo ha detto Catrina. Questa volta ha fatto bene a non portarsela dietro... si è affezionata troppo a lui. Non va bene.» rispose Yuri.
Boris non replicò e per qualche istante nessuno disse nulla.
In lontananza si udivano le voci dei ragazzini, come se provenissero da un'altra dimensione.
«Yuri...» disse Kai, come se la conversazione non si fosse mai interrotta, «Credo ci sia qualcosa che tu debba farmi vedere.»
«Sì, vieni, mettiamoci al lavoro.» e detto questo si voltò, Kai lo seguì e Boris afferrò i sacchi che Yuri aveva lasciato vicino al portone e prese un'altra direzione.

* * *

Una pila imponente di fascicoli, documenti e tabulati si ergeva sulla scrivania.
«Come sai, da quando tuo nonno ha smesso di finanziare la Borg, dopo la nostra sconfitta al primo torneo mondiale, abbiamo avuto grossi problemi. Il giorno stesso dell'incontro fra me e Takao, subito dopo intendo, tutti gli scienziati e gli uomini agli ordini di Vorkof, hanno portato via tutti i documenti e le apparecchiature che c'erano nei sotterranei, quello che non hanno potuto portar via è stato distrutto. Tutti gli archivi, qualunque documento è stato bruciato. Qualcosa è rimasto, non credere che non mi sia dato da fare su questo punto, ma quello che ho avuto fra le mani non è mai stato utile. Comunque... Vorkof era sparito senza lasciare traccia, o quasi... ti ricordi di Bartez, vero? Di Michel e degli altri...»
Kai annuì, seduto dall'altra parte della scrivania del vecchio studio di Vorkof, ascoltava Yuri con attenzione.
«Bene, Bartez era in affari con Vorkof, per la BEGA.» e qui Yuri si fermò, fece una pausa, ricordando bene lo scontro con Garland.
«Da quel momento io non so che fine abbia fatto quell'uomo, il fallimento della BEGA... ma adesso non è questo il problema.» tagliò corto il russo, cambiando bruscamente discorso.
Kai annuì nuovamente: «Parliamo del monastero.»
«Sì, come ti stavo dicendo, i problemi non sono mancati da quando il progetto della Borg è stato abbandonato da Vorkof e da tuo nonno... da quel momento l'amministrazione di Mosca ci ha visti come una preda facile, volevano buttarci fuori di qui senza tanti complimenti, e, come se non bastasse... Non ti sto a spiegare nel dettaglio cosa è successo... Sta di fatto che anche Mosca aveva i suoi problemi, insomma, ci hanno lasciato perdere per un po'. Così io, Boris e Segej siamo riusciti ad ottenere l'amministrazione del monastero, l'abbiamo mantenuto in qualche modo... insomma, hai visto anche tu... quasi un orfanotrofio, una sorta di ricovero...»
«Finanziamenti?» chiese Kai.
«Sì, certo.» rispose Yuri, «Finanziati, sì, lo siamo, anche se ci passano una miseria... O meglio, lo eravamo. Hanno detto che ci taglieranno i fondi. Vogliono farci chiudere.», disse alzando la voce, «La soluzione è trovare ...Boris è arrabbiato con me perchè non voleva... La soluzione è trovare un finanziamento da un privato e...»
Yuri si fermò nuovamente, come se parlare gli costasse fatica, guardò fuori dalla finestra, il cielo era bianco.
«E io non so a chi altro rivolgermi, Kai... io...» la sua voce si spezzò e il suo sguardo, sempre fermo sulla finestra, divenne triste, come se un dolore lacerante gli impedisse di continuare «...ti prego, io non sapevo chi altro... noi abbiamo solo questo...», Yuri si coprì il volto con le mani, «...solo questo... solo il monastero...»
Kai non ricordava di aver mai visto Yuri in quello stato.
Non lo aveva mai visto chiedere aiuto.
Se lo stava facendo, se stava calpestando il suo orgoglio mettendolo da parte, era perché non aveva trovato altra via oltre quella.
Un lupo ululò in lontananza.
Yuri aveva parlato inizialmente in giapponese, poi però, mentre illustrava a Kai la situazione, si era innervosito, concludendo il discorso in russo.
Kai, sospirò, si appoggiò allo schienale della sedia e guardò in su, verso il soffitto.
«Lupi?» chiese. Senza praticamente rendersene conto aveva parlato anch'egli in russo.
«Non lo so.» rispose Yuri che, senza che Kai lo sentisse si era alzato e accostato alla finestra.
Kai continuava a guardare il soffitto, era bianco, ma opaco, come sporco... la luce si stava affievolendo. O forse il muro non era mai stato bianco.
«Li ho incontrati questa mattina. Ma non so dirti se siano davvero lupi. Potrebbero essere solo un branco di cani randagi.»
«Incontrati?» domandò Kai stropicciandosi gli occhi.
«Lunga storia.» tagliò corto Yuri «Scusa per prima.» aggiunse voltandosi e tornando alla scrivania.
Kai scosse la testa, prendendo in mano uno dei fascicoli sulla scrivania.
«Certo che...» disse abbassando la voce «...servirebbe una bella somma.»
Yuri non rispose limitandosi a fissarlo. Il suo cuore batteva all'impazzata; se Kai avesse rifiutato di aiutarli, si sarebbero ritrovati presto in mezzo ad una strada.
Kai chiuse il fascicolo e lo poggiò di nuovo sul tavolo.
Si passo una mano sul volto, sembrava assonnato, probabilmente era colpa del fuso orario.
«Non posso darti una risposta subito.» disse poi.
Il cuore di Yuri sprofondò nel suo stomaco, ma la sua espressione non lo diede a vedere.
«Domani mattina dovrò fare delle telefonate, poi saprò dirti. Ci sono problemi?» chiese Kai.
«No, certo che no... Grazie.»

* * *

Il sole stava ormai tramontando.
Solo allora Yuri si rese conto di aver saltato per l'ennesima volta il pranzo, e la cena stava per fare la stessa fine.
«Tieni.»
Un piatto si materializzò magicamente sulla sua scrivania.
«Sergej...»
Un ragazzone biondo stava in piedi davanti a lui dall'altro lato del tavolo; lo fissava con severità.
«Non è morendo di fame che risolverai qualcosa! Allora, che cosa è successo?!» disse tutto d'un fiato Sergej.
Yuri prese fiato, prese il panino che lo aspettava sul piatto, e raccontò a Sergej il suo dialogo con Kai. Fece in fretta, non che ci fosse molto da dire in ogni caso... c'era un'altra cosa di cui voleva parlare con l'amico.
«Oggi Catrina... era arrabbiata perchè tu non c'eri. Ma credo che fosse più arrabbiata con me.»
«Ho seguito il tuo consiglio... e ho evitato di portarla con me... si sarà sentita sola. Non mi ha rivolto la parola da quando sono tornato.» disse con acidità Sergej.
Acidità che a Yuri non sfuggì.
«Senti Sergej, io ti ho detto di fare così per il suo bene! E anche per il tuo!»
«Sarà...» disse seccato il biondo voltando la testa di lato.
«Scusate...»
Boris era comparso sulla soglia della stanza, ma nessuno se ne era accorto.
«Come sarebbe a dire?» Yuri si stava innervosendo, sapeva dove Sergej voleva andare a parare. Era stanco, nervoso, ansioso, tutto tranne che disposto ad una chiaccherata pacifica su un tema irritante.
«Cosa voglio dire?!» disse alzandosi Sergej «Voglio dire che a volte mi sembra che tu...»
Ma non finì la frase, bloccandosi.
«Ragazzi, basta, non litigate...» disse Boris facendosi avanti. Non gli piaceva per niente lo sguardo che si stavano scambiando i suoi compagni di squadra.
«Che io cosa, Sergej? Avanti finisci!» gli ordinò Yuri.
Boris non sapeva cosa fare, la situazione non gli piaceva per niente.



FINE SETTIMO CAPITOLO, continua...

(*Monastero Vorkof) Questa scritta si vede nell'anime della prima serie di Beyblade; ovviamente scritta in cirillico (alfabeto russo).

(*segni di pigmento blu) La battuta di Yuri si riferisce ai segni che ha Kai sulle guance che sono fatti con del colore blu (per i dettagli vedete il volume del manga n° 3 di Beyblade). Mi è capitato spesso leggendo altre fanfic di incontrare autori convinti che la nazionalità di Kai sia russa, ma non lo è.

Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 8
*** IL RIVALE ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …



Capitolo OTTAVO: IL RIVALE





Yuri era pallido come un lenzuolo, i suoi occhi di ghiaccio erano fissi su Sergej che sosteneva con fermezza il suo sguardo.
«Che cosa sembra, Sergej? Che cosa?!» lo incalzò il ragazzo dai capelli rossi.
Sergej si avvicinò alla scrivania, vi poggiò sopra le grandi mani, si protese verso il viso di Yuri e disse: «Sembra che tu abbia paura che io possa trattarla come tu sei stato...»
«BASTA!»
Improvvisamente si accorsero di Boris che aveva interrotto la frase prima che potesse essere conclusa; i due ragazzi si zittirono ma senza smettere di fronteggiarsi. Sergej non si era mai azzardato prima a contestare Yuri in modo così deliberato e sfrontato, come invece era abitudine di Boris. Sergej aveva sempre cercato di risolvere i problemi che si erano creati discutendo, nonostante, Yuri lo sapeva bene, fosse capace di scaldarsi tanto quando Boris, se non di più.
Ma a Yuri non importava, si sentiva tradito e umiliato.
Graffiato a tradimento.
Il pensiero del pugno dato a Boris lo sfiorò per un istante, ma quella situazione era diversa, Yuri aveva reagito istintivamente senza pensare alle conseguenze e d'altra parte Boris aveva aperto bocca senza sapere, mentre Sergej l'aveva fatto con l'intenzione di ferirlo.
E ora Yuri era pervaso da uno strano sentimento, qualcosa che sembrava trascinarlo fuori di sé. Voleva soltanto vendicarsi, voleva soltanto fare del male.
Fece freddo nella stanza, un freddo improvviso.
Boris respirò a fondo, guardò i due amici l'uno di fronte all'altro, immobili.
Il telefono cominciò a squillare, ma nessuno sembrò farci caso.
Qualcosa in Yuri era caduto e si era infranto, non poteva davvero credere che Sergej potesse arrivare a dire una cosa del genere, non aveva bisogno che concludesse la frase, sapeva bene quello che avrebbe voluto dire. Cercò allora di trovare le parole adatte per fargli capire quanto si sbagliasse, cercò le parole adatte per ferirlo il più possibile e alleviare così il suo dolore.
«Finitela!» esclamò Boris avvicinandosi alla scrivania e prendendo il telefono, «Pronto?» disse burbero accostando il ricevitore all'orecchio.
«La prossima settimana ci tolgono la linea.» disse acido Sergej abbassando il volume, «Te ne ricordi, vero?»
Yuri non gli rispose riservandogli però un'occhiata di gelo.
«...certo, glielo dico subito... sì, va bene.» Boris concluse la telefonata mentre cercava gli occhi di Yuri come a volergli trasmettere un silenzioso messaggio.
«Allora?» chiese Sergej bruscamente.
Boris non lo guardò nemmeno e Yuri capì che il messaggio era per lui, un messaggio ben poco piacevole da riferire a giudicare dall'espressione di Boris.
«Irina è in ospedale.»


* * *

I corridoi dell'ospedale erano tutti uguali, tutti con lo stesso soffitto basso, tutti di quel grigio chiaro, tutti ugualmente deprimenti come la neve sporca ai lati delle strade.
Non del tutto sicuro di essersi perso, ma nemmeno pienamente convinto del contrario, Yuri girò ancora una volta a sinistra. Si era dimenticato delle indicazioni dell'infermiera, che lo aveva gentilmente aiutato all'ingresso, nel momento stesso in cui le aveva pronunciate.
Forse aveva detto due volte a destra e non a sinistra.
Forse no.
Non aveva importanza.
Si fermò un momento per riprendere fiato dopo la corsa e si guardò intorno per orientarsi, ma tutto ciò che poteva leggere su porte e cartelli appariva stranamente incomprensibile.
Si sentiva la testa vuota, ma allo stesso tempo non riusciva a fissare alcun pensiero.
Aveva ripreso ad avanzare quando una voce lo chiamò dal fondo del corridoio che stava percorrendo.
«Yuri!»
Il ragazzo si fermò e si girò di scatto, Katia, una delle due sorelle di Irina, lo aveva riconosciuto e lo stava raggiungendo.
«Per fortuna!» disse lei afferrandolo per un braccio.
«Cosa... Boris ha detto... Irina...» disse ansimante il rosso, respirava a fatica per la corsa di poco prima e probabilmente, anche a mente fresca, non avrebbe saputo articolare di meglio. Le parole 'ospedale' e 'Irina' erano bastate a mandarlo completamente in confusione; per fortuna era riuscito a farsi dare un passaggio da Stan, altrimenti non avrebbe avuto idea di come raggiungere in così breve tempo l'ospedale.
«Ascolta. Calmati.» disse piano Katia continuando a tenergli il braccio con presa ferrea.
Yuri annuì, respirò a fondo e deglutì: «Irina? Il bambino?» chiese.
«Irina sta bene e anche il bambino, non ha partorito, si è trattato di un falso allarme.» disse la ragazza con calma, ma il suo volto suggerì qualcos'altro, «Non è questo il problema.»
Il rosso la guardò senza capire, il cuore che martellava ancora nel petto ma il respiro più regolare; si era ormai tranquillizzato: se Irina stava bene che problema poteva esserci?
«Cosa è successo allora?»
Katia stava per rispondergli ma fu interrotta.
Una voce femminile strillò e poi continuò ad un volume più basso ma non meno isterico.
Qualcuno le rispose, ma entrambe le voci provenivano dal corridoio vicino e Yuri non riuscì ad afferrarne le parole o a capire cosa stesse succedendo.
«Vattene, devi andartene!»
Yuri la riconobbe con sorpresa, era la voce di Sofia; non l'aveva mai sentita urlare.
Guardò preoccupato Katia che gli restituì uno sguardo carico di significato, ma lui purtroppo non lo afferrò.
«Non ti bastano tutti i guai che ci hai procurato!?»
Il corridoio era quasi deserto, ma un paio di infermiere si avvicinarono per assicurarsi della situazione; il naturale brusio della corsia si era spento e qualche porta si era aperta, un dottore in camice bianco fece un segno alle due donne che annuirono.
«Yuri, ti prego, devi farlo andare via!» aggiunse Katia preoccupata, teneva ancora il rosso per il braccio, ma, Yuri non se ne era nemmeno accorto, lo stava facendo camminare.
Le voci si fecero più chiare quando Yuri e Katia voltarono l'angolo.
Sofia stava fronteggiando un giovane dai capelli scompigliati e gli occhi chiari ed acquosi, rapidi e beffardi; era un bel ragazzo e l'ovale lungo del viso era circondato da ciocche castane che correvano disordinate fino al collo. Indossava in giubbotto dozzinale e dei jeans.
Un piccolo tuffo nel passato, come uno schizzo d'acqua gelata.
Yuri lo fissò, perplesso, non riuscendo a capire.
«Cosa fai qui, Nikolaj?»
Le parole gli uscirono di bocca senza volerlo e ammutolirono Sofia che si voltò a guardarlo.
Katia continuava a a stringergli il braccio.
Un'infermiera sussurrò qualcosa all'orecchio della collega che si allontanò poco dopo.
Un anziano con un bastone accompagnato da una donna più giovane si era fermato ad osservare la scena.
Nikolaj sorrise, nervoso e sprezzante allo stesso tempo, «Yuri.» disse, come se avesse pronunciato qualcosa di buffo.
Yuri fece un passo avanti verso di lui, aveva conosciuto Nikolaj poco più di un anno prima e non gli era piaciuto fin dal primo momento. E non si era affatto rammaricato quando aveva deciso di sparire dalla circolazione.
Katia raggiunse la sorella: «Ti avevo detto di non chiamarlo!» le disse Sofia.
«Rispondi Nikolaj. Cosa sei venuto a fare? Immagino a restituire quello che devi a Katia e Sofia. Magari sei anche venuto per scusarti con Irina.» ringhiò Yuri.
Ormai i due giovani si fronteggiavano, Nikolaj era più alto di Yuri di una buona spanna e lo guardava dall'alto in basso con sorriso storto sul viso.
«Ma cosa vuoi, eh? Sono venuto soltanto a trovare la mia ragazza... ma decisamente questi non sono fatti tuoi.» rispose Nikolaj, sicuro dell'effetto che quelle parole avrebbero avuto sul suo interlocutore.
Gli occhi di Yuri divennero due fessure.
«Irina non è più la tua ragazza.» precisò, la voce così bassa e roca da poterla confondere con un verso animale, l'altro lo ignorò.
«La lascio come un fiore e la ritrovo grossa come una balena... gravida per giunta!» disse aggiungendo una breve risata, forse convinto di suscitare l'ilarità dei presenti.
Una rabbia pesante si impadronì del viso di Yuri.
Nikolaj sorrise, sapeva cosa stava per accadere, lo aveva pianificato nel momento stesso in cui aveva visto Yuri e l'infermiera allontanarsi poco dopo.
Yuri d'altra parte non era certo uno stupido, sapeva che Nikolaj stava solo cercando di provocarlo, probabilmente era tornato a farsi vivo solo perché gli servivano soldi.
Probabilmente era colpa sua se Irina era in ospedale...
«Sei geloso, eh, piccolo Yuri?» lo incalzò.
«Vattene, Nikolaj.» intimò Katia che aveva cominciato a preoccuparsi per le possibili conseguenze di quella conversazione.
Ma il ragazzo non le diede retta e si rivolse nuovamente a Yuri che se ne stava fermo e rigido, coi pugni stretti lungo i fianchi.
«O forse...» disse con scherno «...forse sei semplicemente invidioso! Scommetto che non riesci a digerire il fatto che lei non ti abbia mai nemmeno dato un bacio, quando a me...» fece una pausa, godendo dell'effetto che tutto ciò stava avendo sull'espressione di Yuri, «...a me ha dato molto, molto di più...»
Per un attimo fu come ritrovarsi di fronte a Sergej.
... "Sembra che tu abbia paura" ...
Qualcosa in Yuri era caduto e si era infranto, e Nikolaj stava calpestando ciò che ne rimaneva.
Per un attimo non sentì più nulla, ogni rumore fu inghiottito da quelle parole.
Per un attimo ci fu solo la rabbia e il desiderio di procurare dolore...
Per un attimo ci fu solo la frustrazione, il senso di impotenza e di abbandono...
Cercò di colpirlo ma Nikolaj era pronto ad evitarlo, agile e svelto. Yuri non riuscì a mettere a segno il pugno e rovinò a terra col suo avversario.
Un secondo dopo quattro uomini della sicurezza li avevano allontanati e immobilizzati.


* * *

Yuri si era lasciato condurre fuori dall'ospedale, docile come un cane che, dopo essere fuggito, viene recuperato dal padrone. Mentre gli uomini della sicurezza li accompagnavano poco delicatamente fuori dal perimetro dell'ospedale, il rosso non fece altro che fissare Nikolaj, glaciale. Il ragazzo continuava a dimenarsi e lamentarsi del trattamento che stava ricevendo.
«...la mia ragazza! Sono solo venuto a trovare la mia ragazza...!»
Ripeté quella frase per un numero sproporzionato di volte, non tanto per giustificare se stesso, quanto per schernire Yuri.
Li lasciarono sulla strada, accanto ad un cumulo di neve sporca.
Le automobili attraversavano pigre e grigie l'incrocio poco distante, il muro alto di mattoni separava un vecchio palazzo dai muri dell'ospedale, fra i due c'era un piccolo vicolo cieco.
Yuri guardò Nikolaj, fissandolo.
Fece un passo avanti e l'altro arretrò.
«Vuoi fare a botte?» lo canzonò Nikolaj, un mezzo sorriso curvo sulla faccia.
Yuri non gli rispose e fece un ennesimo passo avanti.
Il ragazzo indietreggiò, il sorriso gli si gelò sul viso e si spense.
«Che diavolo vuoi?!» chiese con timore, qualcosa lo stava facendo preoccupare.
Sentì freddo ed ebbe paura.
Un terrore selvaggio e ingiustificato.
«Voglio che tu sparisca.» disse Yuri, «Non voglio rivederti mai più.»
Nikolaj indietreggiò ancora e raggiunse il vicolo e, senza accorgersene, ci entrò.
Inciampò in un cassonetto, ma riuscì a non cadere, gli occhi fermi sul viso di Yuri; se si fosse distratto sarebbe accaduto qualcosa di terribile, ne era certo.
«Le hai fatto del male, è colpa tua.» aggiunse Yuri senza fermarsi.
«No!» strillò Nikolaj «Io non le ho fatto niente.»
Ancora un passo indietro e raggiunse il muro: non poteva più scappare.
Il freddo si fece intenso, l'aria ghiacciata e Nikolaj tremò come una piccola foglia nel vento.
L'espressione di Yuri era una maschera, pregustò il momento in cui si sarebbe avventato sulla sua preda.
Nikolaj scivolò a terra e cadde tremando, alzò le braccia per proteggersi la testa, l'ombra di Yuri lo coprì del tutto.
«Non le farai più del male, non ti avvicinerai mai più a lei.» ringhiò Yuri.
«Non uccidermi! Non uccidermi... ti prego...»

«Yuri... Yuri!»
Yuri si voltò di scatto, Katia lo stava strattonando; la testa gli girò per un attimo.
Non ricordava dove si trovava.
«Yuri! Che cosa è successo?!» chiese la ragazza lasciandolo e avvicinandosi a Nikolaj.
Il ragazzo era per terra privo di sensi, il viso era sofferente e pallido, di un insolito colore bluastro. Era ricoperto di neve.
Katia si chinò e gli mise una mano sulla fronte.
«E' gelato...» disse senza crederci veramente «Questa neve è fresca.» aggiunse stupita: non aveva nevicato quel giorno.
Yuri scosse la testa, da quanto tempo era lì?
«L'hai picchiato?» chiese Katia che cercava di capire quanto fossero gravi le condizioni di Nikolaj.
«Io...» Yuri si guardò le mani «Non...»
«Yuri, bisogna chiamare qualcuno, non possiamo lasciarlo in queste condizioni.»
Il ragazzo la guardò senza sapere che fare, era stordito.
Katia serrò la bocca e inspirò; guardò prima Nikolaj, poi Yuri e disse: «Vai via, dirò che l'ho trovato così... vai via Yuri.»
Yuri deglutì incapace di parlare.
Poi si voltò e cominciò a correre, ma non sapendo dove stesse andando veramente.




FINE OTTAVO CAPITOLO, continua...


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 9
*** CIÒ CHE STA ALLE SPALLE ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …


Capitolo NONO: CIÒ CHE STA ALLE SPALLE




Quanto tempo era passato?
Non se lo ricordava.
Vedeva attraverso i suoi occhi eppure riusciva a percepire se stesso dall'esterno, come se guardasse agire un altro.
Poi il freddo.
Poi la neve.
Quel meraviglioso brivido prima di infierire sulla propria vittima.
Si ricordò dei lupi nel bosco poco distante dal monastero.
Ebbe allora la certezza che fosse accaduto davvero.

Yuri si era messo a correre.
Stava scappando come se fosse inseguito.
Correva veloce urtando i passanti.
Superando case, palazzi, strade, vicoli, negozi.
Perse la cognizione del tempo, dello spazio.
Forse anche quella di se stesso nell'unico sforzo della fuga.
Un vicolo, un incrocio, ancora un vicolo.
Grigio, bianco e ancora grigio.
Fra le ombre degli sconosciuti e il più lontano possibile.
Percorse strade che non conosceva e più si allontanava dall'ospedale più si domandava perché stesse fuggendo.
Si fermò solo quando fu senza fiato, quando i battiti del cuore gli rimbombarono nelle orecchie, quando sentì il sapore metallico del sangue sulla lingua.
Entrò in un vicolo che sapeva essere senza uscita pur non ricordando il perché.
Trascinò i piedi pesantemente, lo stomaco gli doleva.
Appoggiò una mano al muro trovando i mattoni bagnati e viscidi.
Tossì due, tre, quattro volte.
Vomitò, scosso dai brividi mentre le lacrime gli bagnavano il viso involontariamente.
«Yuri?»
Tossì ancora e sollevò la testa cercando di smettere di tremare.
«Yuri! Sei proprio Yuri.»
Il russo ci mise qualche secondo per mettere a fuoco la figura che si ritrovò davanti.
Ciocche biondo cenere ritagliavano il contorno del viso afflato dal sorriso sprezzante e due occhi come schegge di vetro lo fissavano stupiti.
Andrej.
Yuri non rispose e si pulì la bocca con il dorso della mano, si chiese cosa riuscisse a vedere il ragazzo attraverso la sua immagine. C'era qualcosa al di là, qualcosa dietro le sue spalle, che seguiva ogni suo passo, qualcosa che per molto tempo condivideva il suo essere con lui.
Andrej riusciva a vedere tutto questo?
«Che cosa ti è successo? Non mi sembri affatto in forma.» chiese Andrej facendo un passo avanti.
«Già...» farfugliò Yuri evitando di incrociare lo sguardo del giovane.
Alle proprie spalle non c'era nulla, soltanto il muro spoglio e qualche brandello di vecchi manifesti strappati, per terra solo una tegola rotta.
Nemmeno Andrej, come chiunque altro, avrebbe visto qualcosa.
«Stai bene?»
Yuri lo osservò mentre assumeva un'espressione vagamente preoccupata; cominciò a provare un'ingiustificata ostilità nei suoi confronti. Si sentiva diffidente come un animale selvaggio che tenta di essere avvicinato da un essere umano.
Doveva allontanarsi.
Liberarsi di quel ragazzo.
Altrimenti...
«Sei pallido come un lenzuolo, amico.» continuò Andrej facendo un altro passo verso di lui «Dai, vieni, ti...»
Il ragazzo allungò una mano per afferrargli la spalla.
«Non toccarmi!!»
Yuri allontanò la mano del giovane con un gesto brusco, costringendo l'altro ad arretrare; fu scosso da un tremito e dovette appoggiarsi nuovamente al muro per rimanere in piedi.
«Yuri... ma cosa ti è preso?» Andrej lo fissava con occhi spalancati massaggiandosi la mano.
I suoi occhi per un attimo ebbero la stessa espressione impressa su quelli di Nicolaj; Yuri si passo una mano sul volto cercando di cancellarne il ricordo.
«Nie... niente. Ho solo bisogno di calmarmi. Non sto bene.»
«Questo l'avevo capito.» disse il ragazzo, «Vieni, conosco un posto tranquillo.»


* * *

Yuri seguì Andrej senza realmente sapere il perché, avrebbe voluto rimanere da solo, ma era anche vero che aveva bisogno di calmarsi e riflettere e camminare gli dava la sensazione di fare comunque qualcosa senza lasciare che gli eventi e il tempo lo affliggessero. La presenza del ragazzo accanto a sé era relativamente fastidiosa tanto da renderlo un po' nervoso, ma allo stesso tempo non gli importava che lui ci fosse o meno.
Muoversi lo fece sentire meglio e l'aria fredda sul viso servì a schiarirgli un po' le idee.
Cercò di ricordare con esattezza ciò che era accaduto fra lui e Nicolaj, ma più si sforzava di ricordare quegli ultimi momenti, più i particolari gli sfuggivano.
Aveva agito tanto d'impulso che non se ne era reso conto?
Aveva perso il controllo a tal punto?
Tutte le risposte che cercava di darsi non gli parvero plausibili così come era stato per l'incontro coi lupi.
Eppure tutto quello che gli stava accadendo non era affatto fantasia.
Mise una mano in tasca e ne estrasse Wolborg; il BitPower parve emettere un tenue bagliore, poi più nulla.

Camminarono per un po', attraversando strade ampie e percorrendo vicoli stretti fra palazzi alti e grigi. La città sembrava serpeggiare come una grande bestia invisibile sotto le suole delle loro scarpe.
Non si parlarono, o meglio fu Yuri che non proferì parola, limitandosi ad annuire quando Andrej diceva qualcosa.
I colori piatti della città andavano pian piano scurendosi mentre il sole percorreva il cielo dietro le nuvole pallide.
In poco tempo si allontanarono dalle vie principali, i palazzi che incontravano non erano più così vicini gli uni con gli altri e non superavano una certa altezza.
Attraversarono un giardino pubblico, l'erba secca e gli alberi spogli lo facevano apparire più triste di quando in realtà non fosse; una serie di palazzi uguali si affacciava inespressiva a guardarli.
Andrej salutò un gruppo di ragazzi seduti su una panchina, si scusò velocemente con Yuri e lo lasciò solo per qualche minuto mentre distribuiva qualche parola e pacche sulle spalle a uqelli che sembravano amici di lunga data.
Andrej fece un cenno verso di lui parlando con uno dei ragazzi che estrasse delle lattine da uno zaino, dopo averle infilate nelle tasche del giubbotto, tornò da Yuri con il solito sorriso sul volto.
«Non sono del tuo gruppo.» constatò Yuri non appena lo raggiunse.
«No, ma mi dovevano un favore.» disse Andrej «Mi sono fatto dare qualcosa da bere.»
Proseguirono all'ombra dei palazzi, attraversarono un incrocio con lavori in corso, raggiunsero un ampio marciapiede e scesero una decina di gradini per ritrovarsi in una piazza asfaltata piena di bancarelle.
Data l'ora, alcuni venditori si stavano già preparando a mettere via la merce pur continuando a gridare ad alta voce i prezzi della propria mercanzia nella speranza di qualche vendita dell'ultimo minuto.
Incrociarono una coppia di anziani che si allontanava con due borse della spesa ciascuno e invece di cambiare direzione, Yuri fu costretto a seguire Andrej che si immerse nella folla chiassosa.
Il ragazzo dai capelli rossi mise le mani in tasca infastidito, aveva capito immediatamente il perché di quella decisione. Fece finta di nulla per non dare nell'occhio.
Quando si allontanarono, Andrej aumentò il passo e presto furono lontani dal mercato.
Si fermarono all'incrocio successivo guardando le vetture attraversare.
Andrej buttò qualche occhiata oltre le spalle per controllare se qualcuno li stesse seguendo, ma non c'era anima viva.
Le auto si fermarono e poterono attraversare.
I rintocchi di una campana segnarono lenti e pesanti il tempo.
Quando furono arrivati davanti al cortile di una vecchia chiesa Andrej si fermò.
«Ecco il mio posto tranquillo.» disse il ragazzo, «Vicino a dove sto io e non lontano dal monastero.»
Yuri non rispose e lo precedette entrando nell'edificio.

La penombra li accolse gelida.
Si sedettero su una panca distante dall'ingresso, al fondo di una delle navate laterali, mantenendosi così lontano dai fedeli che prendevano posto più avanti in attesa della messa pomeridiana.
Andrej si accomodò come se si trovasse a casa propria e svuotò le tasche del giubbotto; passò una lattina a Yuri, posò un paio di mele sulla panca e, infine, estrasse un portafogli. Mentre lo esaminava, svuotandolo assunse un'espressione scocciata.
«Che pezzente.» mormorò intascando i pochi soldi e nascondendo sotto la panca il portafogli.
Yuri esaminò la sua lattina, era birra; l'aprì fissando lo sguardo davanti a sé.
«Mi ero quasi dimenticato come si faceva.» disse bevendo un sorso, «Sei veloce.» aggiunse dopo.
«Grazie.» disse Andrej con un certo orgoglio, «Io e te ci intendiamo, vero? L'ho capito il primo giorno che ti ho incontrato in quel cavolo di monastero.»
Yuri non aggiunse altro bevendo un altro sorso, quel tipo di cameratismo gli diede fastidio.
La chiesa si andava riempiendo, soprattutto di anziani e donne; una in particolare entrando li fissò con indignazione prima di voltarsi altezzosa e andare a prendere posto in prima fila.
Yuri la fissò zampettare sulle scarpe col tacco, non era mai riuscito a capire come persone tanto dedite alla propria fede non riuscissero a trattare il prossimo con l'amore che tanto decantavano nelle loro preghiere. Che senso poteva avere allora darsi tanto da fare solo davanti all'altare?
«Io e te siamo della stessa razza.» continuò Andrej distogliendolo dai suoi pensieri e addentando una mela mentre gli ultimi fedeli arrivati prendevano posto.
La messa cominciò e il suono di tutte quelle voci borbottanti echeggiò rimbalzando sulle pareti.
«Prima o poi accadrà, Andrej.» disse improvvisamente Yuri in tono fermo.
«Accadrà cosa?»
«Rimarrai solo e non saprai cosa fare o dove andare.»
Andrej represse una risatina nervosa: «Di che stai parlando?»
«Sarai nei guai e nessuno ti aiuterà. Rubare... vivere alla giornata... parlo di questo.» precisò Yuri.
Andrej assunse un'espressione grave, non gli piaceva quel discorso.
«Beh, se accadesse saprei a chi rivolgermi, no?» disse riconquistando un sorriso spavaldo e battendo una mano sulla spalla del suo interlocutore.
Yuri non parve essere toccato da quel gesto e continuò nello stesso tono, voltandosi e guardando dritto negli occhi Andrej: «Se hai un problema è tuo soltanto.»
Il sorriso sul volto del ragazzo scomparve del tutto.
Yuri fece una breve pausa tornando ad osservare i fedeli che si alzarono e si inginocchiarono.
«Non ricordo male, vero?» aggiunse, ben conoscendo la risposta.
Andrej si indispettì, non gli piaceva ricevere prediche e rimanere interdetto di fronte ad una regola che conosceva alla perfezione.
«Non portarmi guai Andrej.» continuò Yuri gelido, «So come funziona fra voi.»
Il ragazzo deglutì, si rese conto di aver toccato un tasto sbagliato durante la conversazione e Yuri gli stava facendo capire a chiare lettere come stavano realmente le cose: se si fosse trovato in difficoltà non avrebbe potuto bussare alla sua porta.
«Ma cosa vuoi saperne!» disse Andrej turbato.
I fedeli intonarono un canto.
«Non è piacevole restare soli, non avere un posto in cui tornare, non avere nessuno che ti aspetta. Non sei stanco di questa vita?»
Andrej non rispose e Yuri fissò la sua lattina senza aggiungere altro, il suo volto era dipinto di dolore e rabbia.
C'era freddo alle sue spalle



FINE NONO CAPITOLO, continua...


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 10
*** LA TOMBA ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …


Capitolo DECIMO: LA TOMBA






Non c'era più luce quando uscirono dalla chiesa.
Un lampione funzionava ad intermittenza illuminando debolmente la via.
«Ti basta seguire la strada.» disse Andrej con freddezza «C'è da camminare per un po'.»
«Lo so.» rispose Yuri.
Il ragazzo biondo abbassò lo sguardo e si fissò le scarpe.
All'interno dell'edificio i fedeli intonavano l'ultimo canto.
«È la mia vita, il mio modo di vivere.» gli confidò Andrej seriamente, sembrava che stesse cercando una giustificazione.
Yuri non aggiunse nulla, non lo riguardava.
«L'ho deciso io.» dichiarò con convinzione.
Il lampione si spense con un ronzio.
La funzione si era conclusa e la gente comincia ad uscire, disperdendosi per tornare alle proprie case.
Andrej se ne andò senza voltarsi.
Yuri lo fissò mentre si allontanava finché non lo vide scomparire dietro un palazzo.
Non riusciva a capire se gli sarebbe dispiaciuto non rivederlo mai più.
In fondo non erano fatti suoi.
D'altra parte era quella la legge della strada, il luogo a cui Andrej aveva deciso di appartenere.
Si incamminò verso il monastero.
Il luogo a cui Yuri aveva deciso di appartenere.
"Se hai un problema è tuo soltanto."


* * *

Il tragitto non era affatto breve.
La mente di Yuri era ottenebrata da pensieri e da ricordi a cui non poteva fare a meno di pensare.
Faceva freddo quella sera.
Sembrava che il gelo lo seguisse e lo circondasse.
Era completamente solo sulla via.
Non un passante, non un'auto che transitasse da quelle parti.
Camminava di buon passo, ma non certo per la fretta di tornare, quando per l'irritazione che gli stava crescendo dentro come una nuvola di temporale che diventa sempre più scura.
Non desiderava affatto rivedere Boris e quella sua espressione interrogativa che mostrava quando desiderava essere messo a parte di fatti che non conosceva.
Ma soprattutto non voleva rivedere Sergej, non voleva discutere con lui, anche se quella mattina avrebbe tanto desiderato mettergli le mani addosso.
In quell'istante era tornato ad essere il capitano che terrorizza i proprio compagni.
E la cosa in un certo senso gli era piaciuta perché sarebbe stato un modo per sfogarsi.

... "Sembra che tu abbia paura che io possa trattarla come tu sei stato..." ...

...trattato da Vorkof.
Era così che Sergej avrebbe voluto concludere la frase.
Ma cosa voleva saperne lui?
Yuri si fermò, con lo sguardo perso nel vuoto.
Non era affatto così.
Estrasse Wolborg dalla tasca e lo fissò, stringendolo fra le dita e traendo da quel contatto una forza insolita.
Non gli importava di quella bambina.
Catrina sarebbe cresciuta, avrebbe trovato qualcun'altro che badasse a lei.
A lui importava di Sergej.
Di Sergej che tentava di costruire un legame con quella bambina. Come fratello e sorella.
Come una famiglia.
Ma Yuri era fermamente convinto che nulla del genere sarebbe mai accaduto.
Quel legame avrebbe forse distrutto ciò che lo univa a Yuri e a Boris, quella sorta di unione che li legava ormai da tempo.
Era ciò che aveva, così come il monastero.
La sua casa.
Non poteva permettere che gli venissero portati via.
Così come non sopportava l'idea di Irina che perdeva nuovamente la testa per Nicolaj.
Yuri alzò la testa. Sopra di lui il cielo scuro di nuvole e nessuna stella.
Ecco perché.
Una goccia di pioggia gli bagnò il viso.
Ecco perché si era preso la responsabilità del monastero.
Capì di non essere in realtà cambiato per niente.
Era rimasto sempre il solito Yuri, il capo fiero ed egoista, colui che incute timore e terrore.
Rimise il beyblade in tasca.
Non gli importava della felicità degli altri, ma solo dei suoi bisogni, era preoccupato soltanto di poter perdere ciò che gli era caro, ciò che non avrebbe barattato per nulla al mondo con qualcosa d'altro.
Ciò che amava.


* * *


«Guarda quel bambino.»
«Ehm... quale, signor Vorkof?»
La palestra era piena di ragazzini di varie età che si allenavano a beyblade sotto l'occhio scrutatore di Vorkof che passeggiava fra i vari gruppi intenti in scontri più o meno interessanti.
Il rumore delle trottole riempiva le orecchie del povero assistente che faticava a tenere il passo del superiore e ancor di più a sentire le sue parole in mezzo a quel baccano.
Vorkof gli indicava i ragazzini meno promettenti, quelli che venivano puniti o rispediti da dove erano venuti.
«Quello laggiù, quello coi capelli rossi.» spiegò in tono piatto.
L'assistente lo individuò e si preparò ad annotare, sulla cartellina che portava, il nome dello sfortunato.
«Guarda i suoi occhi.» suggerì Vorkof.
Il bambino era abbastanza piccolo, non poteva avere più di otto anni. Lanciava il beyblade con scarsa decisione e subiva in continuazione gli attacchi degli avversari.
L'assistente si affrettò ad aprire e sfogliare il registro per trovare la sua scheda, ricordava di averla inserita solo una settimana prima.
«Yuri Ivanov, signore.» disse cercando di mostrasi efficiente, cosa che non gli riuscì, dato che il pesante registro gli scivolò dalle mani e gli cadde su un piede facendolo sussultare di dolore.
Vorkof sembro non accorgersi di nulla.
«I suoi occhi sono carichi di frustrazione. Di odio.»
L'assistente riemerse zoppicante al suo fianco dopo aver racconto il registro.
«Sì, signore.» disse con voce tirata, il piade gli faceva male.
«Ma... guarda il suo bey.»
Il beyblade del ragazzo sembrava non obbedire ad alcuna forza particolare, la rotazione era debole.
Nonostante questo però, la trottola resisteva stoica agli assalti delle avversarie.
«Ordini, signore?» chiese l'assistente ancora provato dal dolore.
Vorkof studiò il bambino ancora per qualche istante.
«Toglietelo dai dormitori comuni. Chiudetelo nelle celle dei sotterranei. Lo temprerà. E scopriremo cos'è che teme al punto di odiare così tanto.» disse, compiaciuto di quella prospettiva.
L'assistente si affrettò a trascrivere l'ordine sulla cartelletta mentre Yuri Ivanov cercava di impegnarsi.
Senza risultati.


* * *

Yuri era quasi arrivato.
Ad ogni suo passo cresceva il desiderio e la rabbia assopita in quegli ultimi anni, come un vecchio sé conosciuto e familiare in cui potersi muovere comodamente.
La strada spoglia e deserta curvò mostrando il profilo del monastero nell'ombra della sera.
Le zone buie si confondevano fra loro sfumando i propri confini e creando vaghe immagini di figure indistinte.
Mentre si avvicinava quel freddo e quel rancore parvero indebolirsi e affievolirsi come i fiocchi di neve che si sciolgono su una mano calda.
Il ragazzo sentì un'altra goccia di pioggia cadergli sulla testa.
Arrivò davanti al cancello e lo spinse per entrare.
Gli parve di vedere qualcuno sui gradini del portone.
Chiuse il cancello alle proprie spalle e si avvicinò.
La sensazione di calore, piacevole eppure fastidiosa insieme, si fece più intensa.
C'era davvero qualcuno seduto sui gradini.
Yuri si fermò qualche metro prima, le mani affondate nelle tasche del giubbotto.
Kai Hiwatari alzò una mano in un tiepido saluto.
Yuri scosse leggermente la testa chiudendo gli occhi: per un istante un'altra figura si era sovrapposta a quella del ragazzo giapponese.
Doveva essere la stanchezza.
«Ciao.» gli disse Yuri «Non fa troppo freddo per starsene seduti qui fuori?» chiese con aggressiva ironia.
Kai non rispose limitandosi ad alzare pigramente il braccio, nella mano reggeva una bottiglia.
Gliela allungò quando Yuri andò a sedersi accanto a lui.
Il russo si chiese perché tutti gli offrissero da bere alcolici quella sera.
Non trovando risposta tracannò un sorso di liquore.
«Hm, vodka. Che originale.» disse poi con sarcasmo facendo schioccare la lingua.
Kai sorrise tendendo la mano, ma la bottiglia non tornò indietro come si era aspettato.
«Dove sei stato?» chiese il ragazzo dai capelli rossi, «A parte il luogo in cui sei andato a comprarti la bottiglia con cui poterti ubriacare in solitudine naturalmente. Credo tu abbia dei problemi in tal senso comunque.» concluse rivolgendo le ultime parole al collo della bottiglia prima di berne ancora una volta il contenuto.
Il giapponese gli si rivolse con un mezzo sorriso dipinto sul volto, le iridi violacee catturarono il bagliore della notte: «Dimmi la verità: ho mai risposto a questa domanda?» chiese divertito.
«No, certo che no.» confermò Yuri, «Scusami tanto se faccio la moglie gelosa.»
La frase pungente fece ridere Kai invece di infastidirlo come Yuri avrebbe desiderato.
«Ho fatto alcune telefonate e ho sistemato alcune piccole cose, come il conto con la compagnia telefonica.» spiegò pratico, «E tu?» chiese insinuante «Hai salvato la tua fidanzata?»
La frecciata di Kai invece andò a segno; Yuri strinse il pugno attorno al collo della bottiglia.
«Chi ti ha detto...?»
«Boris.» rispose prontamente il giapponese, «La tua mogliettina gelosa.» aggiunse ridacchiando.
Yuri non rispose, nella sua mente viaggiavano veloci come il vento immagini distorte di qualche ora prima.
Nicolaj che implorava pietà e lui che lo fissava senza provare nulla.
Nulla.
Un tuono rimbombò in lontananza.
Freddo e rancore.
Avrebbe voluto spazzare via ogni cosa.
La prospettiva appariva allettante.
Un sorriso inaspettato gli si disegnò sul viso.
Un sorriso amaro.
Non era cambiato affatto.
L'unica cosa che riusciva a fare era incutere terrore nel prossimo.
E soffocare la propria paura.
Niente di più.
Yuri si alzò in piedi e, bottiglia alla mano, scese i gradini barcollando.
Kai sorrise ancora trovandolo divertente. Mise le mani nelle tasche del cappotto e se lo strinse addosso guardando l'amico muovere passi incerti nel cortile.

* * *

Sergej si avvicinò alla finestra.
Non aveva smesso un momento di pensare alla discussione avuta con Yuri quella mattina.Non capiva davvero come gli fosse venuto in mente di dirgli una cattiveria del genere.
Aveva aspettato che tornasse dalla visita all'ospedale, ma invano. Un chiarimento lo avrebbe fatto stare decisamente meglio ma aveva timore che il suo capitano non avrebbe accettato le sue scuse.
Non per una cosa del genere.
L'idea che Yuri potesse cacciarlo dal monastero lo fece rabbrividire.
Poteva farlo davvero?
Scosse la testa, era un'ipotesi assurda.
Il rapporto che aveva instaurato con Catrina era dolce, ricco di calore. Aveva colmato quel bisogno d'affetto che solo una famiglia può dare. Yuri cercava di distruggerlo e non ne capiva il motivo.
Aprì la finestra per chiudere i battenti.
Yuri camminava nel cortile in maniera strana.
Sergej notò la bottiglia e intuì il perché.
Preoccupato, decise di scendere.

* * *

Yuri fece qualche passo in direzione del cancello, poi si voltò e guardò la bottiglia come se le stesse domandando qualcosa.
Cercò Kai e quando lo ebbe inquadrato nel proprio campo visivo lo chiamò.
«Che vuoi?» chiese il giapponese estremamente divertito.
«Vieni!» ripeté Yuri fermamente.
«Perché dovrei?» domandò, provando gusto nel tirare per le lunghe la conversazione.
«Voglio mostrarti una cosa.» rispose il russo.
Kai cedette e si alzò ridendo, incamminandosi in compagnia dell'amico ormai ubriaco; si voltò verso il monastero notando che una luce era ancora accesa.
Uscirono dal perimetro del cortile facendo cigolare il cancello.
Un altro tuono fece tremare l'aria.
«Che cosa vuoi farmi vedere?» chiese Kai seguendo l'amico qualche passo più indietro.
Yuri si fermò e si voltò verso di lui aspettando che lo raggiungesse; il suo sguardo era annebbiato dall'alcool ma in fondo ai suoi occhi c'era qualcosa.
Freddo.
Il sorriso sul viso di Kai svanì.
Le labbra di Yuri si curvarono in uno strano e inquietante sogghigno prima di rispondergli.
«La mia tomba.»




FINE DECIMO CAPITOLO, continua...


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Capitolo 11
*** LA RISATA DI YURI ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …


Capitolo UNDICESIMO: LA RISATA DI YURI





Sergej seguiva Yuri e Kai da lontano, nervoso infastidito e preoccupato.
Si voltò per controllare se qualcun'altro avesse avuto la brillante idea di scortare il capitano in quell'assurda passeggiata notturna.
Erano soli.
Sentendosi preda di una strana inquietudine, il ragazzo biondo rimpianse di non aver avvertito Boris prima di uscire dal monastero.
Non gli sarebbe affatto dispiaciuto avere una compagnia diversa da quella che stava pedinando.
Yuri procedeva davanti a tutti. Kai lo seguiva pochi passi più indietro, mentre Sergej cercava di rimanere ad una certa distanza da entrambi in modo da non essere notato, in una lunga ed improbabile fila indiana.
Yuri abbandonò la strada principale imboccando un sentiero sterrato che attraversava uno dei campi vicini per poi perdersi nel bosco; una sola diramazione portava ad una cascina abbandonata.
Non c'era nulla a parte il bosco oltre il rudere.
Dove stava andando Yuri? E perché Hiwatari era con lui?
D'improvviso Sergej dovette abbandonare le sue domande e i suoi pensieri: Kai, continuando a camminare, si era voltato accorgendosi della sua presenza e lo fissava di sbieco con un'espressione indecifrabile che gli fece salire un brivido su per la schiena.
Una pressione sconosciuta esercitò il suo potere su di lui.
Una forza che lo costrinse a fermarsi e lo atterrì vanificandone la volontà.
Sergej trattenne il respiro sentendosi impotente.
Kai allora si voltò senza fare o dire qualcosa, limitandosi a seguire Yuri che continuava ad avanzare.
Esitante, Sergej li guardò allontanarsi e divenire figure incerte, contorni nella notte.
Era giusto seguirli?
Si sentì improvvisamente colpevole.
Dopotutto quelli non erano fatti suoi, non aveva diritto di intromettersi.
Cominciò a pensare che forse la cosa migliore da fare sarebbe stata tornare al monastero e aspettare il loro ritorno.
Mentre quell'idea si faceva largo nella sua mente, ne arrivò un'altra che la contrastò e ne prese il posto.
Fu come scorgere qualcosa nel buio.
Sergej non ne era completamente certo, ma credeva di aver intuito dove Yuri si stesse dirigendo.
Non lo avrebbe lasciato solo per nulla al mondo.
Nemmeno lo sguardo raggelante di Kai Hiwatari gli avrebbe fatto cambiare intenzione.
La discussione avuta con Yuri quella mattina perse improvvisamente importanza, dissolvendosi nei ricordi.
Il cielo tuonò minaccioso.


* * *

Senza alcun preavviso o spiegazione l'avevano preso e trascinato fuori dal dormitorio.
Luce, rumore, mani che l'afferravano strattonandolo.
Istintivamente aveva urlato, si era dimenato, si era aggrappato a tutto quello che gli era capitato sotto mano, cercando di liberarsi graffiando, scalciando e mordendo.
Ma contro tre uomini adulti un bambino di otto anni aveva ben poche speranze di riuscire a fuggire. Anche se avesse potuto, non avrebbe comunque avuto un posto in cui rifugiarsi.
Un potente schiaffo ben assestato bastò per stordirlo momentaneamente e portarlo fuori dalla stanza.
Qualcuno pronunciò le parole «Yuri Ivanov.» e «Ordini di Vorkof.» mentre tentava di ricacciare indietro le lacrime dovute al dolore nascondendo il viso dietro i capelli rossi.
La porta del dormitorio si chiuse senza fare rumore.
Gli altri ragazzi non si erano opposti, non avevano protestato, non lo avevano aiutato rimanendo fantasmi nel buio.
"Se hai un problema è tuo soltanto".
Era la legge del mondo dal quale tutti venivano.
Una legge rispettata anche nel Monastero Vorkof.
Uno degli uomini lo afferrò per un braccio e, seguito dagli altri, gli fece percorrere il corridoio a passo di marcia.
Yuri era spesso costretto a correre per tenere il passo dei suoi aguzzini.
Rabbrividì al solo pensiero di quello che gli sarebbe potuto accadere di lì a poco.
Nel monastero vigevano regole ferree alle quali non si poteva disobbedire e tutto era organizzato in funzione di un metodo semplice e collaudato, quello del premio o della punizione.
Era norma che i ragazzi più promettenti venissero spostati dai dormitori comuni ai piani superiori in stanze singole e più tranquille; i meno dotati erano invece portati a quelli inferiori: nei sotterranei.
Venivano puniti e spesso tornavano al dormitorio dopo qualche giorno, pieni di lividi e con gli occhi pesti. A volte non tornavano, ma nessuno ne parlava mai.
Yuri non stava salendo.
Sapeva quello che stava per accadere, ma cercò di non mostrare la propria paura.
Il pavimento dei sotterranei era umido e freddo, gocce d'acqua gelata colavano dal soffitto.
Yuri continuò a camminare serrando gli occhi, concentrandosi sul movimento dei suoi piedi per allontanare il gemito d'angoscia che lottava per uscire dalla sua bocca.
Si fermarono davanti ad una cella vuota che uno degli uomini aprì con una vecchia chiave di metallo facendo cigolare la porta.
Lo spinsero dentro facendolo cadere sulle pietre gelate.
Fu lasciato solo.
A tremare.


* * *


Yuri, Kai e Sergej continuarono a camminare fino a raggiungere il bosco.
Fra gli alberi il sentiero svaniva a tratti a causa dell'oscurità, per ricomparire poi sempre meno delineato.
Quando anche l'ultimo segno di terra battuta venne a mancare, Yuri non sembrò risentirne e continuò ad avanzare senza esitazioni fra le piante e i cespugli come se percorresse quel tragitto nella sua mente, senza ostacoli.
Sergej si era intanto avvicinato di più per evitare di perdere di vista i due ragazzi che lo precedevano. Il capitano sembrava non essersi accorto della sua presenza, oppure, più semplicemente, non le dava peso.
Il buio catturava veloce la luce di qualche lampo e il rumore dei loro passi.
Sopra di loro il cielo era scosso dai tuoni, pronto a riversare la sua rabbia sulla terra.
Finalmente, Yuri rallentò il passo e si fermò.
Sergej si mantenne a distanza respirando nervosamente e serrando rigido la mascella: i suoi timori erano stati confermati.
«Eccola.» disse Yuri, indicando qualcosa nelle tenebre davanti a sé con la mano che reggeva la bottiglia per poi concedersi un altro sorso di liquore.
I suoi occhi erano fissi, vuoti e allo stesso tempo colmi di un sentimento confuso.
Freddo.
Kai si avvicinò sforzandosi di vedere nel buio.
Aggrottò la fronte.
Non c'era assolutamente nulla.


* * *

Erano passate le ore.
Erano passati i giorni e le notti, anche se non c'era modo di distinguerle.
Il giaciglio nell'angolo della cella, dove passava praticamente tutto il suo tempo raggomitolato come un animale, era scomodo e sempre freddo. Aveva le mani e i piedi intorpiditi che cercava di risvegliare muovendoli e sfregandoli fra loro.
Non c'era luce.
Yuri era convinto che i ratti gli girassero attorno nel buio attendendo il momento più opportuno per rosicchiargli le dita; cercava allora di fare rumore per scacciarli e ricordare a se stesso che era ancora vivo.
A volte, senza preavviso dato che le visite non erano mai ad orari costanti, arrivava uno degli uomini di Vorkof a portargli qualcosa da mangiare.
Il bambino allora lo supplicava piangendo di poter uscire e che, se gliene avessero dato la possibilità, sarebbe sicuramente migliorato, ma quello che otteneva era soltanto scherno o peggio un calcio in pieno viso, come l'ultima volta.
Il tempo passava in solitudine.
Passavano le ore.
Passavano i giorni e le notti.
Yuri aveva cominciato a non stare bene, la realtà e l'immaginazione si erano fuse in un amalgama inconsistente e debilitante.
Forse, pensava, lo avrebbero lasciato lì a morire lentamente, ridendo di lui.
Gli incubi erano diventati più frequenti e più reali, tanto che spesso non riusciva a distinguere i sogni dalla realtà, in un limbo di dubbi e di sospetti.
Riviveva situazioni che si ripetevano all'infinito, come in un incubo costante, molle ed eterno.
Il sogno era verità, la verità non il sogno.
Quando finalmente ritornava in sé, il suo cuore batteva all'impazzata e il suo corpo era scosso dai brividi.
Piangeva tanto che il petto gli doleva.
Si detestava per essere così debole, così indifeso.
La sua vita non era altro che un'arrancare, uno strisciare per sopravvivere.
Non possedeva nient'altro che se stesso e tutto il freddo che provava nel corpo così come nel cuore.
Tutto il gelo che si era nascosto dentro di lui fino ad allora.
Fin da quando poteva ricordare.
Sentì dei passi avvicinarsi da lontano con il rumore che riecheggiava sulle pietre.
Una tenue luce apparve dal fondo del lungo corridoio, dipingendo sui muri lunghe ombre spettrali.
Immagini distorte di ricordi lontani si allontanarono, cedendo il posto ad una momentanea lucidità.
Sempre tremando, Yuri si aggrappò alle sbarre della sua cella.
In attesa.

* * *

Kai non capiva che cosa Yuri volesse mostrargli.
Non potendo scorgere niente, si voltò verso il ragazzo russo per chiedere spiegazioni.
Ma la faccia di Yuri era contratta in una strana smorfia e sembrava che il ragazzo faticasse a trattenere una risata.
Per un momento Kai pensò ad uno scherzo, ma gli occhi del giovane gli fecero subito cambiare opinione.
Erano stanchi e affaticati, ma colmi di paura e allo stesso tempo di rabbia.
Kai allora guardò alle sue spalle e cercò Sergej, fermo dietro di loro.
«Che cosa significa?» chiese, cominciando a preoccuparsi.
Sergej si avvicinò di qualche passo, abbattuto e visibilmente turbato.
«Guarda meglio.» gli rispose.
Kai, confuso, provò ancora una volta a cercare qualcosa di fronte a sé.
Fece un passo avanti nella speranza di scoprire di cosa si trattasse, ma prima che potesse farne un altro Sergej lo afferrò per una spalla, bloccandolo.
Yuri cadde a terra in ginocchio e liberò una risata nervosa, quasi isterica.
Non poteva più trattenerla.





FINE UNDICESIMO CAPITOLO, continua...


N.d.A: Mi scuso con voi lettori, che siete sempre così gentili nei miei confronti, per il tempo trascorso dal precedente aggiornamento di questa storia. Purtroppo ho dovuto mettere da parte lo scrivere a causa di impegni personali prima e di problemi tecnici poi. Spero in ogni caso che il nuovo capitolo sia di vostro gradimento!

Domanda: Quali sono i capitoli o le parti di questa fanfic che vi sono piaciuti meno fino ad ora?
Ringrazio tutti coloro che hanno risposto alla domanda precedente e, se avete tempo e voglia di dare una risposta anche a questa domanda, aggiungete la risposta nella recensione di questo capitolo, grazie! ^_^

Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 12
*** IL BRINDISI ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …


Capitolo DODICESIMO: IL BRINDISI





Kai vide Yuri rovinare a terra e cominciare a ridere come se fosse completamente impazzito. Non faceva più caso a ciò che lo circondava. Aveva escluso dalla propria considerazione il tempo, lo spazio ed anche le persone.
Era entrato in un mondo personale.
Distorto e doloroso.
Sergej spinse Kai di lato con involontaria rudezza e si chinò per aiutare il proprio capitano.
«Yuri...» disse, tendendo la mano per aiutarlo a rialzarsi, ma il ragazzo si irrigidì di colpo smettendo di ridere.
«Lasciami stare.» ringhiò glaciale con una voce che non assomigliava per niente alla sua, quanto piuttosto al verso di una bestia o di un demone intrappolato in un'antica caverna.
Freddo.
Come un comando, un'imposizione.
Come una sola parola.
Posseduta dal freddo.
In quel momento Kai capì e finalmente ne percepì la presenza, seppur nell'oscurità.
Gelo.
Un freddo che proveniva direttamente dal basso, come il ronzio costante del silenzio di una stanza vuota.
Non era davanti a sé che doveva guardare...

* * *

Il bagliore di una fiamma si era lentamente avvicinato.
Le lunghe ombre avevano così rivelato la loro misteriosa sorgente.
Yuri si era allontanato dalle sbarre.
Gli occhi sgranati, la schiena contro la parete della cella.
Il cuore a mille e il respiro corto.
Accompagnato da due dei suoi sottoposti, con il lungo mantello scuro che ne avvolgeva la figura imponente fino ai piedi, oltre la maschera, c'era Vorkof.
Lo guardava.
Le sue labbra si mossero appena, «Aprite.» ordinò mentre sembrava sorridere.
Pregustando un piacere conosciuto.

* * *

...ma in basso.
Un lampo illuminò la notte e gli alberi intorno a loro si colorarono di bianco per qualche secondo.
Yuri era inginocchiato sull'orlo di una buca ampia e profondissima.
Ancora un passo e sarebbero precipitati al suo interno.
Kai spalancò gli occhi, incredulo.
Sopraffatto dalla forza del sentimento di pericolo.
E di abbandono.
Il cielo tuonò rimbombando, facendo tremare ogni cosa.
Nessuno li avrebbe sentiti.
Nessuno sarebbe venuto a cercarli.
I detriti e la vegetazione avevano coperto e nascosto solo in parte quella che Yuri aveva definito la sua tomba.
Era impossibile stabilire, soprattutto con quel buio, quanto quella buca fosse profonda.
Chi l’aveva scavata? Perché?
Il giapponese ne scorgeva appena i contorni, ma il fondo risultava invisibile e per questo ancora più minaccioso.
Perché nel bel mezzo della foresta?
Gocce d'acqua caddero sottili dal cielo.
Una pioggia finissima che presto divenne un vero e proprio temporale.
Yuri fissava il vuoto sotto di sé, incurante di tutto il resto.
Kai fu costretto ad alzare la voce per sovrastare il rumore dell'acqua che cadeva copiosa e violenta: «È questa? È questa la tomba?»
Ma Yuri non rispose.
Sergej si passò una mano sul viso, voltandosi a guardare alle sue spalle senza saper bene come comportarsi.
Kai si inginocchiò accanto a Yuri, entrambi avevano i capelli bagnati e appiccicati alla faccia. Notò qualcosa nella tasca destra dei pantaloni del russo.
Emetteva un bagliore bianco ed intenso: era Wolborg.
Erano più vicini di quanto credesse.
Cercò gli occhi azzurri di Yuri e vi lesse qualcosa che forse solo lui era in grado di vedere.
Faceva freddo.
Rabbrividì.
Il fondo della fossa sembrava attrarli verso il basso.
Kai infilò una mano nel cappotto e ne estrasse Dranzer; il suo beyblade era caldo e il BitPower brillava, leggero e dolce come una piccola fiamma.
«È la tomba?» chiese ancora Kai per averne la conferma, nascondendo poi la trottola di nuovo nel cappotto.
Yuri annuì, completamente rapito dal nero infinito della grande buca che intrappolava i suoi pensieri spingendolo con forza in ricordi che avrebbe desiderato dimenticare.
Seppellire.
«Perché?» domandò il giapponese, i vestiti ormai bagnati e sporchi di fango.
«Perché io qui sono morto. Morto e poi sono rinato. Perché è stata scavata per me.» spiegò il russo con occhi spiritati, trascinando le parole fuori dalla bocca come una confessione, come una preghiera infernale sussurrata ai piedi di un sacro altare.
Kai lo fissò cercando di scrutare il suo volto fra la pioggia, cercando di comprendere il vero significato di quelle parole.
«Cosa vuol dire ‘morto’?» lo incalzò sperando in una risposta più esaustiva, ma Yuri era ormai fuori di sé.
Non lo stava più ascoltando.
«Facciamo un brindisi.» disse, alzando la bottiglia.
«Per favore Kai, aiutami a portarlo via da qui.» disse Sergej con ritrovata decisione, ma il ragazzo non diede segno di volerlo aiutare.
«Facciamo un brindisi... Vladimir!» disse Yuri versando un po' della vodka rimasta nella fossa.
Sergej lo afferrò, sollevandolo dal terreno bagnato e fangoso.
«Brindo a te, Vladimir Vorkof!!» urlò Yuri in un misto di ironia, rabbia e disperazione.
Sergej tentò di allontanarlo il più possibile, ma il capitano russo si liberò di lui con violenza.
La bottiglia cadde a terra e rotolò lontano.
Yuri barcollò, si piegò in avanti e si accasciò come una bambola di pezza.
Valeva davvero la pena combattere?
Trascinando le dita nel fango cominciò a piangere.
«Sono un miserabile...» disse fra le lacrime, «Non riesco... non ci riesco...»
«Yuri, ti prego, torniamo al monastero.» lo implorò Sergej cercando di nuovo di sollevarlo.
Kai li osservava in silenzio, ancora inginocchiato a terra sull'orlo della buca. La pioggia gli bagnava il viso contratto in un'espressione sofferta.
«Sono solo un piccolo inutile... inutile, miserabile bastardo...» continuò Yuri, «Miserabile...»
Sergej riuscì finalmente a farlo rialzare, ma prima che potesse portarsi un braccio del giovane attorno alle spalle, Yuri cominciò a tossire, scosso dai brividi.
«Ha ragione... ha ragione lei...» disse, appoggiando una mano nel fango «Ha ragione lei... a non volermi.»
«Yuri...» lo chiamò disperato Sergej.
Non lo aveva mai visto in quelle condizioni.
I colpi di tosse si trasformarono in conati e Yuri dovette rimettere quel poco che aveva nello stomaco prima di arrendersi, debole e privo di volontà, e lasciare che il compagno biondo lo caricasse sulla schiena per riportarlo al monastero.
Gli occhi di ghiaccio di Yuri si fecero sottili fessure.
Le gocce di pioggia battevano sulla sua testa.
I capelli bagnati e scuri sul viso pallido colavano d'acqua.
Freddi.
Kai li guardò incamminarsi.
Le mani nelle tasche del cappotto stretto attorno al corpo.
Prima di raggiungerli raccolse la bottiglia di vodka da terra e tornò vicino alla buca.
Si sporse per guardare il fondo.
Ma c'era solo buio.
Una forza che andava oltre la gravità, come un canto di una voce non umana, sembrava chiamarlo a sé.
Fissò le tenebre e versò quel poco di liquore che rimaneva nella fossa.
«Brindo a te, Vladimir Vorkof.» disse con amarezza.
Fra le gocce di pioggia serpeggiò l'urlo triste e disperato del lupo.
Kai si voltò.
Lasciandoselo alle spalle.






FINE DODICESIMO CAPITOLO, continua...


N.d.A: Come al solito è passato molto tempo dall'ultimo aggiornamento e me ne scuso, ma purtroppo il misero supporto tecnico mi ha di nuovo abbandonato. Se avete domande, dubbi, ansie e perplessità, chiedete.


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 13
*** PASSI SULLA PIETRA ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …


Capitolo TREDICESIMO: PASSI SULLA PIETRA





Quando Boris vide in che condizioni era Yuri rimase immobile, non sapendo se essere preoccupato oppure furioso. Guardò con astio Kai che li seguiva in silenzio per le scale del monastero; aveva gli occhi cerchiati e stanchi, come se non dormisse da giorni, ma al russo questo poco importava.
«Che cosa è successo?» chiese a denti stretti quando finalmente raggiunsero la camera di Yuri e Sergej lo fece sdraiare togliendogli i vestiti bagnati fradici.
Kai ignorò la domanda di Boris raggiungendo faticosamente la sua stanza.
«Non lasciatelo solo.» disse in un sussurro prima di chiudere la porta.
«Cosa pensa che siamo?! Degli stupidi?!» sbraitò Boris rivolgendosi a Sergej, ma con l'evidente intenzione di farsi sentire da Hiwatari.
«Sfoga la tua rabbia andando a prendere un'altra coperta.» gli rispose il biondo con calma.
Yuri sentì delle voci provenire da lontano. Qualcuno camminava sul pavimento di pietra e il suono echeggiava per tutto il monastero.


* * *

Il rumore dei passi si avvicinò e una tenue luce apparve dal fondo del lungo corridoio, dipingendo sui muri lunghe ombre spettrali. Immagini distorte di ricordi lontani si allontanarono, cedendo il posto ad una momentanea lucidità.
Yuri teneva la schiena contro la parete della cella, come se da un momento all'altro questa avesse potuto rivelare una nuova via di fuga; ma non c'era modo di scappare da quell'uomo.
Accompagnato da due dei suoi sottoposti, con il lungo mantello scuro che ne avvolgeva la figura imponente fino ai piedi, oltre la maschera, c'era Vorkof. Lo fissava intensamente e le sue labbra si mossero appena quando ordinò: «Aprite.»
La porta cigolò sui cardini arrugginiti e Yuri tremò.
Sapeva bene chi era l'uomo davanti a sé.
Una sua parola e la sua vita poteva concludersi in un istante. Un battito di ciglia.
Vorkof fece un passo ed entrò nella cella.
Una sua parola e la sua vita sarebbe stata una costante sfida, una lotta per la supremazia.
Una vita certamente migliore.
Il rumore dei suoi stivali sulle pietre risuonò nelle orecchie di Yuri come il rintocco di una campana.
Una parola soltanto e sarebbe stato schiacciato.
Una parola soltanto e sarebbe stato innalzato.
Vorkof guardò il bambino dagli occhi di ghiaccio, quel bambino debole e inutile.
Una sua parola soltanto.
Era arrivato da poco, ma aveva dimostrato immediatamente di essere un irrimediabile perdente; c'era però qualcosa in lui che lo attirava, che lo incuriosiva: i suoi occhi. Il ragazzino provava paura e allo stesso tempo odio. Vorkof ne era certo, e sapeva quanto fosse facile servirsi di sentimenti ancora così puri e potenti, erano una fonte inesauribile, il giusto nido in cui far nascere ciò che desiderava. Aveva quindi disposto che venisse isolato e rinchiuso nelle celle dei sotterranei, per temprarlo, come sosteneva, o più semplicemente per indebolirlo fisicamente e mentalmente.
La creta deve essere bagnata perché sia possibile modellarla.

..."scopriremo cos'è che teme al punto di odiare così tanto"...

Il bambino non mangiava e non dormiva regolarmente da giorni, da settimane. Le sue condizioni di salute erano precarie, senza contare quelle psicologiche.
Era venuto il momento di modellare la creta.
Vorkof fece un altro passo.
«Yuri?» disse il suo nome con semplicità, chiamandolo «Yuri Ivanov.»
Il ragazzino non si mosse, come se gli occhi al di là della maschera fossero capaci di allacciarsi ai suoi con fili invisibili per non lasciarlo andare.
Respirava appena.
Era in trappola, senza via di fuga.
Una preda ferita ed impaurita, un coniglio bianco che lascia tracce di sangue sulla neve, circondato da un branco di lupi famelici.
Vorkof portò una mano al viso e si tolse la maschera.
«Gradirei che quando pronuncio il tuo nome o ti pongo una domanda tu risponda sempre "Sì, signore." oppure "No, signore.". Hai capito?»
Senza poter fare altro Yuri disse ubbidiente: «Sì, signore.»
I due tirapiedi, dopo aver scortato il superiore nei sotterranei, erano rimasti ad osservare fuori dalla cella quello che stava accadendo; uno dei due reggeva una torcia e aveva uno strano ghigno sul viso.
«Avvicinati.» ordinò Vorkof.
Rifiutarsi non avrebbe avuto alcun senso o utilità, così, anche se con esitazione, Yuri fece qualche passo avanti, entrando nel cono di luce della torcia. Alzò un po' le spalle e socchiuse più volte gli occhi, come per proteggersi contemporaneamente dalla fonte luminosa e da chi lo stava osservando.
Era scalzo, i suoi vestiti logori e sudici. Sulla faccia le lacrime avevano lasciato segno del loro passaggio sullo sporco e gli occhi azzurri risaltavano ancora di più, catturando i riflessi della fiamma.
Vorkof lo sovrastava, imponente.
«Sai perché sei qui?» chiese.
«Sì, signore.»
«Spiegati.»
«Perché non mi sono impegnato abbastanza.» disse mortificato abbassando lo sguardo.
«Vuoi continuare a restare qui, Yuri?»
«No!!» strillò lui alzando la testa, la prospettiva lo fece rabbrividire, «No! La prego!»
L'espressione dell'uomo cambiò e all'improvviso, come il mare che da calmo si agiti in tempesta, Vorkof sfogò tutta la violenza che fino ad allora aveva trattenuto. Afferrò i capelli di Yuri e tirò forte in modo da farlo gemere di dolore e sollevargli il viso il più possibile.
Si chinò su di lui, lo racchiuse nella sua ombra.
Era così vicino che Yuri poteva odorarne il fiato.
Pungente e dolce.
Alcol.
«No?! Davvero, Yuri?!» ringhiò Vorkof.
Incapace di ribellarsi, Yuri tremava cercando di trattenere in silenzio le lacrime che gli pungevano gli occhi per il dolore e la paura.
Era solo e nessuno avrebbe mosso un dito per aiutarlo.
La punizione sarebbe stata inevitabile.
«E che cosa dovrei farmene di un piccolo inutile bastardo, secondo te?!» gli urlò addosso Vorkof serrando la presa.
Non c'era risposta a quella domanda.
Era debole e quindi inutile per il monastero.
Per quell'uomo.
Yuri strinse i denti, piangendo in silenzio, mordendo ogni spasmo delle proprie pene.
«Ogni volta che non ti impegni, dimostri quanto la tua esistenza sia inutile! Ogni volta che perdi un incontro, tu offendi me e questo monastero!!» sbraitò Vorkof prima di lasciarlo andare ma solo per colpirlo con un pesante ceffone sul viso.
Yuri cadde a terra e si rannicchiò strisciando sulle pietre umide, alzando le mani, cercando invano di proteggersi e placare la collera del suo aggressore.
«La prego...» piagnucolò.


* * *

Kai chiuse la porta dietro di sé.
Lentamente.
Si sentiva stanco e spossato.
Non aveva immaginato che avrebbe fatto così tanta fatica.
Tremò, scosso da un brivido violento. Scrollò la testa, scacciando l'intontimento che gli stava provocando il freddo.
Si tolse i vestiti bagnati con fatica, facendoli cadere dove capitava; raggiunse il letto, prese le coperte e se le avvolse intorno al corpo mentre si sedeva.
Aspettò di riscaldarsi, ma continuava a tremare.
Tutto in quell'edificio era permeato dal sussurro soave e letale del gelo.
Cercò di concentrarsi per ritrovare il calore, ma aveva già speso troppe energie per alleviare il dolore di Yuri durante il ritorno al monastero.
Socchiuse gli occhi e si abbandonò sul materasso.
Gli sembrò di sentire dei passi echeggiare sul pavimento di pietra per tutto il monastero, prima di addormentarsi, esausto.






FINE TREDICESIMO CAPITOLO, continua...


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Capitolo 14
*** IL GIURAMENTO ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …


Capitolo QUATTORDICESIMO: IL GIURAMENTO





«Ogni volta che non ti impegni, dimostri quanto la tua esistenza sia inutile! Ogni volta che perdi un incontro, tu offendi me e questo monastero!!» sbraitò Vorkof prima di lasciarlo andare ma solo per colpirlo con un pesante ceffone sul viso.
Yuri cadde a terra e si rannicchiò strisciando sulle pietre umide, alzando le mani, cercando invano di proteggersi e placare la collera del suo aggressore.
«La prego...» piagnucolò.
Vorkof si schiarì la voce e sembrò riacquistare la compostezza iniziale. Prese Yuri per un braccio e senza fatica lo rimise in piedi; gli afferrò brutalmente il mento, costringendolo di nuovo a sollevare il viso e guardarlo negli occhi, fino a che il collo non gli fece male.
Yuri, continuando a piangere, si aggrappò tremante al suo braccio; la stretta delle dita di Vorkof gli rendeva difficile respirare.
I due uomini rimasti fuori dalla cella sembravano ora divertirsi, uno diede una lieve gomitata all'altro prima di mostrargli un sorriso di denti gialli, come a volergli comunicare che il meglio stava per arrivare.
«Le guardie mi hanno riferito che urli e ti agiti, che hai degli incubi... che strilli e frigni come una femminuccia.» disse Vorkof soffiandogli ogni parola sul viso, «Hai paura, Yuri?» chiese in un sussurro, avvicinando la bocca al suo orecchio.
Il bambino singhiozzò.
«La tua piccola, miserabile vita mi appartiene, posso fare di te ciò che voglio. Nessuno ti aspetta là fuori. Se mi sbarazzo di te, sarai solo, Yuri.» continuò; c'era uno strano sorriso compiaciuto sul suo volto, come se l'idea di quella prospettiva solleticasse il suo divertimento.
«No, la prego... non mi mandi via!» implorò Yuri, stringendo fra le dita sottili e magre la veste scura dell'uomo, cercando a quel punto lui stesso quel legame così doloroso.
«Io sono la tua unica speranza. Sono la tua famiglia, l'unico di cui ti puoi fidare. Sono il tuo re... sono il tuo dio! Mi devi obbedienza!» sibilò Vorkof, «Mi giuri la tua fedeltà? Giuralo, Yuri!! Giuralo adesso!»
Per un attimo qualcosa si fermò, sospeso nell'aria come un salto a piedi uniti. Un istante infinito di piccoli pensieri di luce che schizzarono via, oltre le mura del monastero, fuggendo in qualche paese lontano prima di divenire piccolissimi fuochi che si dissolsero nell'oscurità.
Yuri fissò qualcosa di invisibile.
C'era davvero una possibilità di scelta?
Una parola soltanto e sarebbe stato schiacciato.
Una parola soltanto e sarebbe stato innalzato.
Non c'era.
«Sì, signore...» disse in un soffio pieno di lacrime.
«Sì, cosa, Yuri? Cosa?» insistette Vorkof.
Il ragazzino deglutì e seppe che dopo quella risposta non sarebbe mai potuto tornare indietro.
«Lo giuro... lo giuro! Farò qualsiasi cosa per lei, signore! Ma la prego, non mi lasci più qui!»
Vorkof rise, come se si fosse saziato lo spirito, respirò a fondo e parve calmarsi definitivamente mentre i suoi occhi acquistavano una luce diversa. Prese il viso di Yuri fra le mani, un gesto che un osservatore distratto avrebbe definito paterno.
«Di che cosa hai paura? Stare solo ti fa paura?» chiese.
Yuri non capì che senso avesse quel genere di domanda, le parole dell'uomo erano colorate da una sfumatura di delusione che lo allarmò.
«Non mi abbandoni...» disse ancora una volta, disperato.
«È solo questo? No, non mi sono sbagliato... c'è qualcosa di più, vero? Qualcosa che ti terrorizza, qualcosa che odi e temi allo stesso tempo.» disse Vorkof mentre lo scrutava come se fosse capace di leggerne i pensieri, «Non ti piacerebbe controllare questa paura? Usarla a tuo piacimento? Devi credere in me, Yuri. Non ti farebbe piacere controllare quello che ti spaventa? Incutere il terrore... anziché esserne soggetto.»
Erano pensieri distorti senza alcuna logica e discorsi vaghi fatti ad un ragazzino debole e vulnerabile.
Yuri annuì, perché non c'era altro da fare e perché lo voleva davvero anche se sembravano tutte cose irrealizzabili. Allo stesso tempo però, il desiderio infinito che provava in quel momento lo portò a convincersi che in qualche modo fosse davvero possibile e che quell'uomo poteva sul serio far accadere tutto ciò.
Voleva controllare la paura.
Non voleva più piangere.
«Di che cosa hai paura?»
Yuri inspirò, cercando la risposta.
«Della neve.» rispose infine, ma le lacrime non si fermarono.
Lente e silenziose, come fiocchi di acqua gelata.
Vorkof sollevò le sopracciglia in un’espressione di sorpresa, e finalmente lo lasciò andare.
«Ma certo.» disse a se stesso, pensieroso.
Si passò una mano sul viso fissando gli occhi azzurri e bagnati di lacrime del ragazzino; Yuri stava in piedi tremante, ma incapace di muoversi o di distogliere lo sguardo. La mente dell'uomo sembrava lavorare frenetica.
Vorkof poggiò una mano sulla guancia di Yuri, accarezzandolo.
Il bambino chiuse gli occhi e rabbrividì.
Una lacrima scivolò e raggiunse la bocca.
L'uomo la osservò colare.
Lenta, veloce e poi ancora lenta.
Passò il pollice sulle labbra bagnate di Yuri, asciugandole.
Lo osservò ancora per qualche istante prima di sollevarsi e rimettersi la maschera; si voltò ed uscì dalla cella ordinando ai suoi uomini: «Ripulitelo e riportatelo ai dormitori. Dormitorio E.»
Yuri, confuso, afferrò in ritardo il significato di quelle parole.
I due tirapiedi di Vorkof lo afferrarono per le braccia e lo fecero uscire; percorsero il lungo corridoio, salendo poi le scale mentre grosse gocce d'acqua cadevano rumorose dal soffitto.


* * *

Il sole era appena sorto quando Kai aprì la porta della stanza di Yuri; Boris, che stava dormendo su una sedia accanto al letto, si svegliò di colpo. Un pessimo risveglio a giudicare dal modo in cui guardò il giapponese.
«Cosa vuoi?» lo apostrofò.
Kai osservò Yuri riposare silenziosamente con un panno bagnato sulla fronte.
«Ha la febbre.» disse, rimanendo sulla porta.
«Sì.» rispose Boris, seccato, avrebbe voluto aggiungere che era tutta colpa di Kai se Yuri stava male, ma venne interrotto.
«Non era una domanda.»
Boris ridusse gli occhi a due sottili fessure e socchiuse la bocca irrigidendo la mascella, furente.
«Non prendermi in giro, pensi che io sia uno stupido? Forse pensi che lo siamo tutti, vero?»
«Non so di che parli.» rispose candidamente il giapponese.
«Credi che io non abbia capito perché sei venuto qui?» lo sfidò Boris incrociando le braccia sul petto.
«Avete chiesto il mio aiuto.»
«Yuri ha chiesto il tuo aiuto, io non lo avrei fatto neanche morto, ma non mi riferivo a quello, lo sai benissimo. Ti diverte irritarmi?» disse a denti stretti, cercando di mantenere un volume basso per non svegliare il proprio capitano, cosa che Kai faceva invece senza fatica, e questo serviva solo ad infastidirlo ancora una volta.
«Che cosa stai cercando di dire?»
Boris si alzò e lo raggiunse, fronteggiandolo: «Io sono convinto che tu sappia molto più di quello che lasci intendere. Tu sai cosa sta accadendo a Yuri.»
«Pensi che se lo sapessi veramente non lo avrei già detto?» lo provocò Kai, «Che razza di persona credi che io sia?»
«Un bastardo. E vediamo se indovino un'altra cosa: scommetto che la tua visita qui ha un secondo fine. Ci dev'essere qualcos'altro che ti ha portato a Mosca.»
Incredibilmente, nel dire tutto ciò, Boris era riuscito a mantenere un certo controllo. Per un momento venne invaso da una sensazione di orgoglio e di potere: aveva messo Kai con la spalle al muro, ormai doveva confessare. Sorrise, preparandosi a godere di quel momento di trionfo.
Kai lo guardò e arricciò le labbra, il suo sorriso spense quello di Boris.
«Sei proprio una brava mogliettina gelosa.» lo canzonò il blader; gli occhi del russo divennero due lampi, le guance si colorarono di rosso e la sua bocca si spalancò pronta a replicare, ma Kai rivolse lo sguardo oltre la sua spalla.
Credendo che Yuri si fosse svegliato, Boris si girò per controllare, ma il capitano dai capelli rossi stava ancora dormendo. Esasperato e imbarazzato per essersi fatto ingannare da un trucchetto così elementare, si voltò nuovamente pronto a riversare la sua rabbia sul giapponese, ma Kai non c'era più.
Boris si affacciò nel corridoio, lo vide allontanarsi salutandolo con una mano.
«Proprio una brava mogliettina.» disse Kai, divertito.
Non potendo lasciare da solo Yuri, a Boris non rimase altro da fare che borbottare imprecazioni.

* * *

Sergej sedeva sulle scale che dal cortile salivano al portone principale del Monastero.
L'aria del mattino era fredda e pungente. Si strinse nella giacca per combattere il gelo ed osservò il cancello chiuso davanti a sé.
«Mattinieri?» chiese una voce alle sue spalle.
«Kai.» disse voltandosi sorpreso, «Anche tu lo sei, vedo.»
Il giapponese scese qualche gradino guardando il cielo.
«Yuri ha la febbre.» disse, «Ma Boris sta facendo un ottimo lavoro.» aggiunse, anche se la sottile ironia non poteva essere colta da Sergej.
Il russo sfregò i piedi sul terreno, sembrava non fare caso al suo interlocutore, troppo preso dai suoi pensieri.
«È normale, con tutta la pioggia che ci siamo presi ieri notte... ma tu stai bene invece.» constatò Sergej.
Kai ebbe l'impressione che anche nelle sue parole volesse nascondersi quella stessa accusa che Boris aveva invece mosso senza giri di parole.
«Già.» rispose, un po' sulla difensiva, «Anche tu.»
Sergej annuì, come se la cosa non lo interessasse e Kai capì che il biondo non voleva accusarlo di nulla.
C'era qualcos'altro di cui voleva parlare.
«Kai, ascolta...» disse il russo con un filo di voce, «...vorrei confidarti una cosa.»
Il giapponese aggrottò la fronte, sorpreso.
«Una cosa accaduta molto tempo fa.»





FINE QUATTORDICESIMO CAPITOLO, continua...

N.d.A: Grazie ancora a tutti voi lettori per i commenti e il sostegno! Come vedere sto cercando di pubblicare un po' più regolarmente ora che posso, anche perché ho un sacco di appunti già scritti per i prossimi capitoli su cui lavorare. Sono felice che l'idea dei riassunti sia cosa gradita, non è così semplice come sembra farli e spero vadano bene. Se avete delle domande, chiedete pure.
Boris mi fa un sacco di tenerezza in questo capitolo, peccato non sia un pochino più furbo! XDD


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Capitolo 15
*** MORTE E RINASCITA ***


L’AMORE BIANCO

… di Simmy-Lu …


Capitolo QUINDICESIMO: MORTE E RINASCITA





«Kai...» disse Sergej con un filo di voce, «...vorrei confidarti una cosa.»
Il giapponese aggrottò la fronte, sorpreso.
«Una cosa accaduta molto tempo fa.»
Kai scese un altro scalino con tutta calma e si sedette accanto a lui, pronto ad ascoltarlo.
Osservò i piedi del russo muoversi nervosamente.
Il biondo alzò lo sguardo verso il cielo; fece una smorfia e finalmente si decise a continuare.
Guardò Kai negli occhi e disse: «Si tratta di quella che Yuri ha chiamato "tomba".»
Si fermò subito dopo, indeciso; il suo capitano non gli avrebbe mai dato il premesso di raccontare una cosa del genere se soltanto avesse sospettato che lui ne era a conoscenza.
«È da un po' di tempo che ci penso... quella notte c'ero anch'io, anche se Yuri non può ricordarlo.» aggiunse con un po' di esitazione.
«Di che parli?» chiese Kai.
«Tu sai cos'ha Yuri, vero?» domandò Sergej, senza attendere la risposta, come se fosse ovvia, «Ti racconto questo perché, se lui ti ha fatto vedere quel posto... allora sei l'unico che può capire.»
«Va bene.» rispose Kai.
«Ho la sensazione che Yuri stia scivolando in un abisso in cui il suo cuore diventerà ancora una volta di ghiaccio.» disse Sergej.
Kai abbassò lo sguardo, come a voler soppesare le sue parole.
Quando lo risollevò annuì lentamente.
Sergej sospirò: «Yuri ha cominciato a comportarsi in modo strano da qualche tempo e sono convinto che il motivo abbia a che fare con ciò che è successo ultimamente con il Monastero.»
«I vostri problemi economici.» aggiunse Kai.
«Sì, esatto. Era normale che fosse preoccupato, lo siamo tutti, ma per lui è diverso.», fece una pausa guardandosi alle spalle come se avesse paura di poter essere udito da qualcun'altro, «Vedi... non credo che a lui interessino i ragazzini che ospitiamo.»
«Perché?» chiese Kai con un mezzo sorriso.
Sergej alzò le spalle: «Non so, forse ha passato quasi tutta la sua vita qui e considera questo mucchio di pietre come una casa... e poco gli importa di tutto il resto.»
«Anche tu hai passato qui molto tempo.» intervenne Kai.
«Già, ma io ho ancora dei parenti. Se non potessi più vivere nel Monastero potrei stare da loro per qualche tempo. Anche Boris ha ancora il padre anche se...» mimò il gesto di bere da una bottiglia, «Non tornerebbe da quella spugna neanche morto.»
«Capisco.»
«Invece Yuri non ha niente e nessuno, forse è questo che lo sta facendo andare fuori di testa!»
«Nessuno sta andando fuori di testa, Sergej...» disse Kai spazientito, passandosi le dita delle mani sugli occhi; il ragazzo biondo gli stava riempiendo la testa di chiacchiere inutili come se finalmente avesse trovato un buon amico a cui confidare tutto quello che pensava.
Iniziava a sentire freddo seduto su quei gelidi gradini.
«Perché non mi parli della "tomba"? Hai detto "quella notte c'ero anch'io", che significa?» aggiunse cercando di riportarlo al discorso iniziale.
«Certo.» annuì Sergej, «Dunque... tu ricordi il sistema?»
«Sistema?» domandò Kai scettico, quasi sofferente, consapevole del fatto che la reale spiegazione avrebbe tardato ancora ad arrivare e troppo poco combattivo di primo mattino per sollecitare il russo ad una versione ridotta e focalizzata del racconto.
«Sì, insomma, il modo in cui funzionavano le cose qui al monastero: le punizioni, gli incontri di beyblade, i dormitori, gli allenamenti...» specificò il biondo.
«Ho capito, ma cosa c'entra questo con Yuri?»
«Io in realtà non so molto sulla sua vita, intendo prima del monastero. Per me allora era solo uno dei tanti bambini che Vorkof aveva raccolto dalla strada; erano come delle cavie. Vorkof li sottoponeva a durissimi allenamenti... qualcuno resisteva e veniva spostato di dormitorio in dormitorio a seconda della bravura in modo da stimolare la competizione. Solo i più meritevoli riuscivano ad ottenere delle stanze singole.»
«I meritevoli e i nipoti di gente importante.» puntualizzò Kai con amara ironia riferendosi a se stesso.
Sergej sorrise di sbieco e continuò: «Chi non era in grado di sopportare tutto questo veniva cacciato oppure, a seconda dei casi, portato nelle celle dei sotterranei...» disse gravemente perdendosi in qualche antico ricordo.
«Vai avanti.» lo incalzò Kai.
«Yuri era uno di quelli che non sarebbero durati qui dentro nemmeno una settimana. Era debole e spaventato. La notte aveva incubi tremendi: gridava nel sonno come se stesse per morire di dolore.» si passò una mano sul mento, «Lo so perché ne parlavano tutti, era oggetto dello scherno dei compagni di dormitorio, e non solo il loro.»
Il giapponese non aggiunse nulla e guardò i rami degli alberi, neri contro il cielo lattiginoso.
Se il suo interlocutore non aveva aggiunto altro, pensò, probabilmente era l'unica persona a conoscenza della causa degli incubi di Yuri.
Fissò davanti a sé, così come Sergej.
«Durante gli allenamenti a cui ci sottoponevano, Yuri di sicuro non combinava granché e così Vorkof decise di infliggergli la punizione che meritava. Nessuno ne parlava mai, ma molti non tornavano dai sotterranei.»
«Cos'è successo a Yuri?» chiese Kai.
«Beh... lui tornò e Vorkof ordinò che venisse spostato in un nuovo dormitorio, il dormitorio E: il mio.»
«Il tuo? Ma non eri più grande ed esperto? Le camerate erano divise per livello, giusto?»
«Infatti, ero in un dormitorio con altri ragazzi più forti. Quella decisione non aveva alcun senso. Perché mettere un bambino incapace fra blader più abili? Naturalmente, dopo la permanenza nei sotterranei, Yuri era più spaventato e fragile di prima...»
«Continuava ad avere incubi e ad urlare nel sonno.» disse Kai.
«Ovviamente. E puoi immaginare come reagissero gli altri: lo picchiavano, lo chiudevano nei bagni... Questa situazione durò un paio di settimane, fino a quando una notte vennero a prenderlo.»
Kai incrociò le braccia stringendosi nel cappotto e rimanendo in silenzio nell'aria umida e carica di pioggia.
«C'erano Vorkof e qualcuno dei suoi sottoposti. Era alquanto strano perché le punizioni non venivano mai eseguite da lui personalmente... Lo afferrarono per gambe e braccia buttandolo fuori dalla stanza. Yuri urlava e supplicava. Vorkof lo schiaffeggiò violentemente inveendo contro di lui, ma nessuno di noi si mosse. Poi uno dei monaci indicò me e altri ragazzi e ci ordinarono di vestirci e di seguirli; ubbidimmo, avevamo il terrore di essere puniti per qualcosa che non sapevamo di aver fatto. Vorkof prese Yuri per i capelli e lo trascinò per tutto il corridoio fin nel cortile, proprio qui.» disse, indicando con la mano davanti a sé, «Io ero corso di sotto insieme agli altri, avevamo appena avuto il tempo di metterci il cappotto e le scarpe; ci diedero delle pale. Vorkof spinse Yuri a terra con un calcio... facendolo cadere nella neve. Faceva molto freddo, nevicava e c'era vento. Gli gridò di andarsene: "Vattene!" urlò, "Sei inutile, piccolo bastardo!". Yuri era in ginocchio, in lacrime. Si aggrappò ai vestiti di Vorkof pregandolo di non mandarlo via. Non l'ho mai visto così disperato come allora. Nonostante questo lui non si fece impietosire e lo prese nuovamente a calci. "Non vuoi andartene, eh?!" disse, "Allora so io cosa fare con te!". Lo afferrò e lo obbligò a seguirlo. I monaci ci ordinarono di fare altrettanto e così camminammo dietro di loro. Nevica. Nevicava così tanto che vedevamo a stento dove stavamo andando. Le gambe affondavano nella neve gelata fino all'altezza del ginocchio. Yuri continuava a piangere. Li seguimmo, entrando nella foresta. Procedemmo ancora fino a raggiungere un punto preciso.»
«Lo stesso in cui eravamo ieri notte.» disse Kai.
«Sì.»
«C'era già quella grossa buca?»
Sergej annuì: «Vorkof la fece scavare dai suoi sottoposti apposta per quel momento.»
«Ecco perché Yuri ha detto "è stata scavata per me", era stato tutto organizzato... Ma a che cosa gli è servita?» chiese Kai non riuscendo ad arrivare ad una conclusione logica.
«Vorkof vi fece cadere Yuri.» rispose il ragazzo biondo gravemente.

... Io qui sono morto. Morto e poi rinato ...

Kai spalancò gli occhi, quell'informazione l'aveva colpito con l'intensità di un sasso che viene scagliato contro un muro, era come se quel rumore sordo rimbalzasse nella sua testa.
«Cosa?»
Sergej fregò le mani l'una con l'altra, poi le incrociò poggiandovi sopra il mento.
«Nemmeno io allora capii subito il perché di una cosa tanto assurda. Dopo aver fatto cadere Yuri... Vorkof lo apostrofò ancora con parole molto dure e gettò nella fossa anche il suo beyblade. Poi ci ordinò di buttarvi dentro la neve.»
Kai chiuse gli occhi, arrivando infine a comprendere.
Era tutto così semplice, così elementare.
«Ci guardammo gli uni con gli altri esitando, era stato tutto troppo crudele anche per noi, ma non potemmo fare altro che eseguire gli ordini. Così persi la mia pala... e cominciai a gettare nella buca la neve circostante. Nevicava molto. C'era vento. Faceva freddo. Yuri tremava mentre supplicava per l'ennesima volta Vorkof che lo guardava inespressivo. E a quel punto...»
Sergej mosse le mani cercando di formare con i gesti le parole che voleva pronunciare.
«Cosa accadde?»
«Yuri urlò. Ti giuro che... non ho mai sentito nulla di così inumano uscire dalle labbra di qualcuno. Non era solo dolore... non so spiegartelo. Sembrava che l'anima gli fosse stata strappata via... Subito dopo cadde a terra e credetti che fosse svenuto... più che altro lo sperai perché altrimenti poteva soltanto essere morto. Allora ci fermammo, pensando che fosse tutto finito, ma Vorkof ordinò di continuare e così buttammo altra neve nella fossa fino a seppellirlo completamente... poi... luce, una luce accecante, come un lampo... e ghiaccio. Yuri era in piedi circondato dal ghiaccio, aveva riempito tutta quella buca. Il beyblade roteava davanti a lui emettendo un intenso bagliore bianco, senza che avesse dovuto lanciarlo. Non sembrava pienamente cosciente, ma aveva gli occhi aperti. La fronte gli brillava e fissava Vorkof con odio...»
Kai guardò Sergej e poté scorgere sul suo viso un profondo turbamento, l'ombra della paura che solo qualche anno prima i ragazzi della squadra russa provavano nei confronti del loro capitano.
«Io... io avevo capito che era successo qualcosa di grave, ma era tutto così surreale che non potei fare altro che starmene lì, immobile, a fissare tutto senza fare niente...»
«Cosa ha fatto Vorkof?» chiese Kai, desideroso di conoscere i particolari dei fatti successivi.
«Niente... o meglio, nulla di peggio che non avesse già fatto. Era sorpreso quanto noi, immagino. Quella situazione però durò solo qualche secondo, poi la luce sparì e Yuri svenì di nuovo. Il beyblade si fermò. Vorkof lo raccolse guardandolo affascinato. Ricordo che sorrideva; ordinò ai monaci di consegnarlo in laboratorio e di riportare Yuri al monastero. Da quel momento ebbe una stanza singola.»
«Sergej, cosa c'era nella luce? Lo ricordi?» domandò il giapponese scandendo bene le parole, come se parlasse ad un bambino un po' distratto.
«Nella luce? Non ho visto nulla...» ammise il russo.
Kai si portò una mano al mento.
«No, certo, non avresti potuto...» disse rivolto più a se stesso che al ragazzo biondo.
Il portone si aprì di scatto ed entrambi si voltarono.
In cima agli scalini c'era Boris, ansimante e terrorizzato.
«Dobbiamo... dobbiamo chiamare un dottore!»







FINE QUINDICESIMO CAPITOLO, continua...


N.d.A:
Grazie a tutti voi che leggete questa storia. Ho aggiornato la pagina dei riassunti che ora arrivano fino al capitolo 14. Questo capitolo è di completo dialogo fra Sergej e Kai. Mi piace molto scrivere dialoghi e ho preferito far raccontare al nostro ragazzone biondo cosa è accaduto a Yuri alla "tomba" senza usare flashback. Spero solo che il racconto così non risulti troppo pesante.


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Capitolo 16
*** LA PAURA DI BORIS ***


L’AMORE BIANCO


… di Simmy-Lu …


Capitolo SEDICESIMO: LA PAURA DI BORIS





Il lupo d'argento correva veloce in testa al branco.
Correva veloce sulla neve immacolata che brillava di cristalli ghiacciati sotto la luna bianca di luce.
Il suo incedere era elegante e forte.
Non ricordava nulla del luogo in cui era diretto, ma era convinto che non appena lo avesse raggiunto la memoria sarebbe tornata quella di un tempo.
Si accorse di un silenzio pesante, come di morte attorno a sé e l'istinto gli suggerì di fermarsi.
Si voltò per controllare i suoi compagni di viaggio.
Non vide nessuno alle sue spalle.
Tornò sui suoi passi nella notte infinita, cercando le tracce del loro passaggio.
Le uniche impronte che fiutò furono le sue.
Alzò la testa e tese le orecchie per udire un suono lontano, ma non sentì che il vento farsi gioco di lui.
Abbaiò in direzione delle stelle, ma non ottenne risposta.
Fu allora che si ricordò di essere solo.
Non c'era più stato un branco da quando era divenuto uno spirito sposando la sua anima con le nevi dell'inverno.
Alzò il muso verso il cielo e ululò, gridando disperato alla luna tutto il proprio dolore e l'angoscia della solitudine.
In quel momento avvertì un richiamo, forse una risposta.
Era il grido di un cuore giovane e spaventato.
C'era odio e tanta paura in quella voce di bambino.
E il lupo finalmente ricordò il motivo del suo lungo viaggio.
Desiderava da tempo un posto in cui riposare, un posto che lo accogliesse.
Una casa.
Quel piccolo cuore freddo e senza speranza sarebbe stato un luogo perfetto in cui dimorare, in cui prendere una nuova forma.
In cambio avrebbe donato al suo ospite il suo terrificante potere.
Il lupo ricominciò a correre più veloce di prima.
Un istante dopo si dissolse in una luce bianca e accecante, raggiungendo il bambino e il suo desiderio.


* * *


Boris chiuse la porta e tornò a sedersi accanto al letto di Yuri, il capitano dormiva tranquillamente.
Incrociò le braccia e lo fissò corrucciato, senza vederlo davvero; non riusciva infatti a togliersi dalla mente l'immagine di Kai Hiwatari che lo derideva eludendo le sue domande e prendendosi gioco di lui così facilmente.
Gonfiò il petto e sbuffò sonoramente, cercando nella piccola stanza qualcosa che lo distraesse e gli facesse passare l'irritazione.
C'era un libro sulla consunta scrivania di legno.
Si alzò e lo prese, cercando inutilmente di leggerne il titolo anche dopo aver socchiuso gli occhi per tentare di distinguere meglio le lettere.
Lo rigirò fra le mani cercando qualche ulteriore indizio, ma capì ben presto che il volume era uno di quelli che Sofia prestava a Yuri e si ricordò che il capitano l'aveva in mano l'ultima volta che era tornato al monastero dopo aver fatto visita alle sorelle. Ciò significava che il libro era in francese e lui non sarebbe riuscito a leggerne nemmeno una parola.
Storse la bocca in una smorfia, disgustato, e aprì il volume sfogliando qualche pagina incomprensibile; se si fosse trovato davanti a dei geroglifici sarebbe stata la stessa cosa, non era mai stato attirato dalle lingue straniere. Yuri invece si applicava nello studio con volontà e interesse. Era sempre stato così, anche quando le lezioni venivano loro impartite dai monaci perché ricevessero l'istruzione obbligatoria di base. Non che la loro istruzione fosse in qualche modo in cima alla lista delle loro preoccupazioni, il tutto era sfruttato da Vorkof come una vetrina, come l'immagine di facciata che voleva dare del suo Monastero.
Ma anche quando la Borg venne smascherata e conosciuta da tutto il mondo per quello che era realmente e i ragazzi vennero abbandonati ad un destino incerto, Yuri aveva continuato a studiare da solo, riuscendo a diplomarsi.
C'era in lui una necessità di conoscenza legata ad uno scopo e non fine a se stessa.
Quando Boris lo trovava intento a leggere in quei rari momenti di pace che Yuri poteva permettersi, avvertiva un senso di pesantezza, come di colpa nei suoi confronti. Se Yuri non fosse stato tanto capace e non si fosse dedicato alla loro causa con la rabbia che nasce dall'orgoglio e dalla sofferenza, avrebbero perso già da tempo quel poco che possedevano. Era stato Yuri a farsi carico di ogni cosa, mantenendo così in piedi ciò che era rimasto dopo la dipartita di Vorkof.
Innumerevoli erano state le occasioni in cui era rimasto alzato fino a notte fonda nel tentativo di comprendere meglio il testo di un documento importante scritto in un complicato gergo legale.
Boris sfogliò un'altra pagina del libro per rivolgere poi una triste e fugace occhiata a Yuri che riposava silenziosamente.
«Sei troppo intelligente per stare in un posto come questo.» disse, riportando subito lo sguardo su libro.
Il suo cuore accelerò e Boris si voltò nuovamente per verificare qualcosa che la sua mente a primo impatto aveva classificato come improbabile.
Yuri era immobile, ma pallido come un cadavere.
Boris gli si avvicinò incredulo, solo un minuto prima avrebbe giurato che stesse bene e, anzi che stesse migliorando. Allungò una mano per toccargli la fronte, ma la ritrasse subito mentre il libro gli cadeva di mano incontrando rumorosamente il pavimento.
Yuri era freddo.
Freddo come il ghiaccio.
Boris fece un passo indietro, terrorizzato. Le sue labbra cercarono di comporre dei suoni senza risultato.
Uscì correndo dalla stanza e senza nemmeno rendersene conto arrivò all'atrio principale, ansante; vide il portone socchiuso e Sergej parlare con Hiwatari. Lo aprì e l'unica cosa che riuscì a dire fu: «Dobbiamo... dobbiamo chiamare un dottore!»


«Boris, calmati! Che succede?» chiese Sergej sorpreso rimanendo però sugli scalini; conosceva l'amico e sapeva che spesso si agitava per cose di poco conto, inoltre poco prima Kai gli aveva riferito che non c'era nulla di cui preoccuparsi.
Il giapponese ebbe una reazione decisamente diversa, una reazione di collera che nessuno dei due russi si sarebbe aspettato: si alzò di scatto e afferrò Boris per la maglia.
«Vi avevo detto di non lasciarlo solo!» disse, «Che cosa è successo?»
Boris ebbe solo il tempo di balbettare confuso un vago «Non lo so...», prima che Kai lo oltrepassasse dirigendosi di sopra, ai loro dormitori.
Sergej guardò Boris, la sua espressione denunciava la gravità della situazione.
Entrambi si affrettarono a raggiungere Hiwatari.
«Boris, che diavolo è successo?» domandò ancora una volta Sergej.
«Non lo so!» piagnucolò il ragazzo, «Ero lì... e lui stava bene, mi sono distratto un momento e poi...»
«E poi cosa?» ruggì Sergej, la situazione era talmente assurda e si stava evolvendo tanto rapidamente che non riusciva nemmeno a trovare una risposta razionale.
Ma i due giovani non ebbero il tempo per discutere oltre.
Avevano raggiunto il corridoio delle loro stanze e videro Kai, fermo davanti a quella di Yuri.
Boris uscendo aveva lasciato la porta aperta.
Qualcosa di piccolo e lucente galleggiò nell'aria.
Si avvicinarono lentamente.
C'era neve sul pavimento appena fuori della camera.
E c'era neve vicino al letto.
Brillava.
Fredda e bellissima.
«Cosa...» sillabò Sergej in preda all'incredulità.
«Non... quando sono andato via io non... non c'era...» riuscì a dire Boris e inspiegabilmente i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Piccoli fiocchi di neve fluttuavano a mezz'aria.
Come coriandoli.
Un benvenuto per qualcuno che arriva.
Come piume.
Un saluto per qualcuno che scompare.
Boris si rese conto che bisognava fermare ciò che stava accadendo, qualsiasi cosa fosse. Strinse la spalla di Kai che restava immobile senza dire niente.
«Fermalo.» disse quasi senza fiato, «Lo so che tu puoi... fermalo!»
Il giapponese si voltò a guardarlo.
Non c'era nulla di umano nei suoi occhi.
Boris lo lasciò andare trattenendo a fatica il tremore della mano.
«Andatevene.» ordinò Kai con un tono che non ammetteva repliche.
«Che sta succedendo?» chiese Sergej con timore.
«Andatevene!!» gridò Kai prima di entrare nella stanza e chiudere la porta dietro di sé.




FINE SEDICESIMO CAPITOLO, continua...

N.d.A:
Ho deciso di fare un passo indietro in questo capitolo riallacciando così la parte iniziale a quello che ha descritto Sergej in quello precedente così da far capire un po' quello che è successo a Yuri e spiegare anche perché Boris arriva trafelato dagli altri due. Problemi esistenziali sul titolo a parte, spero vi piaccia.
Come al solito grazie a tutti coloro che leggono, recensiscono e che mi sono di conforto nei momenti di dubbio. Spero che la storia continui a piacervi.


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 17
*** L'ALBA DI UN NUOVO GIORNO ***


L’AMORE BIANCO


… di Simmy-Lu …


Capitolo DICIASSETTESIMO: L'ALBA DI UN NUOVO GIORNO





Boris si sentì perso e spaventato come se non avesse più avuto il pavimento sotto ai piedi. Una forza sconosciuta stava agendo sotto i suoi occhi con effetti evidenti, ma dalla dinamica invisibile ed inspiegabile. Tutti loro sarebbero stati trascinati nel vortice, Yuri per primo. Dovevano fare qualcosa per impedirlo, per fermare quella paura irrazionale che si agitava indemoniata dentro di lui.
Guardò Kai, che restava immobile e silenzioso a fissare quello spettacolo irreale e posò una mano sulla sua spalla e strinse le dita cercando di scuoterlo da quell'apparente indifferenza.
«Fermalo.» disse quasi senza fiato, «Lo so che tu puoi... fermalo!»
Il giapponese si voltò a guardarlo.
Non c'era nulla di umano nei suoi occhi.
Il buio nelle iridi scarlatte rifletteva una calma e una coscienza antica e distaccata, ma allo stesso tempo una rabbia muta dalla potenza devastante.
Boris lo lasciò andare trattenendo a fatica il tremore della mano.
«Andatevene.» ordinò Kai con un tono che non ammetteva repliche.
«Che sta succedendo?» chiese Sergej con timore.
«Andatevene!!» gridò Kai prima di entrare nella stanza e chiudere la porta dietro di sé.


* * *

L'alba di un nuovo giorno.
Andrej ne percepiva la luce riflessa dalla polvere che danzava sotto il tetto di quello stabilimento abbandonato.
Sapeva che avrebbe dovuto sentire il freddo del terreno sotto la sua schiena, ma non era così.
Tutto era inerte, così come lo era il suo corpo.
Ogni pensiero, ogni affanno, ogni piccola o grande cosa per la quale aveva agito in passato gli pareva ora tanto sciocca e inutile da farlo sorridere.
... Prima o poi accadrà, Andrej ...
Erano le parole di Yuri in quella chiesa affollata di ipocriti. Risuonavano nella sua mente come rintocchi di una campana lontana.
Vecchia.
Distante nello spazio.
... Sarai nei guai e nessuno ti aiuterà ...
Aveva riso, esorcizzando l'angoscia di una previsione troppo corretta e si rendeva conto soltanto adesso di tutta la verità racchiusa in quelle frasi semplici e dirette.
... Se hai un problema è tuo soltanto ...
Era la regola, una delle poche che tutti rispettavano.
Ad Andrej non importava. Era sempre vissuto in solitudine, abituato alla presenza degli altri che cercavano in lui solo occasionale protezione. Allontanava quello spillo di malinconia che puntava dritto al cuore tutte le notti prima di addormentarsi.
La sua era stata una scelta di vita e non se ne pentiva. Apparteneva alla strada e questo lo faceva sentire libero.
Una vita fatta di indipendenza.
Sorrise.
Che vita triste era stata invece.
Non aveva mai guadagnato più di quello che aveva perso.
I ricordi delle ultime ore giocavano con la sua memoria e le immagini si sovrapponevano incerte.
Che assurdità mettersi a litigare da solo contro un gruppo per i confini del territorio.
Avevano tutti fame e avevano tutti freddo, ma questo non bastava a metterli sullo stesso piano.
Non avevano capito che ierano uguali, che soffrivano tutti dello stesso dolore.
Eppure adesso Andrej vedeva chiaramente e capiva.
L'egoismo insensato era esploso nell'ira.
Un coltello, qualcuno che fuggiva.
Alzò la mano che teneva premuta sulla ferita e guardò le dita scarlatte.
Com'era rosso il sangue.
Non credeva di essere in condizioni così gravi da non potersi rimettere in piedi dopo la caduta, ma incomprensibilmente non ne provava la volontà.
Cercò una risposta sola a mille domande diverse.
Chiuse gli occhi, stanco.
Dopo, forse.
Dopo si sarebbe alzato e avrebbe fatto un sacco di cose, avrebbe risposto a tutte quelle domande con una facilità sorprendente.
Nessuno si era accorto di quando fossero prive di un vero significato.
La polvere danzava illuminata dalla luce del mattino.
E la chiazza di sangue si allargava.
Lenta e scura.


* * *


L'alba di un nuovo giorno.
Katia guardava il letto vuoto nella stanza, dall'altra parte del vetro. Nicolaj era scappato; come ci fosse riuscito nelle sue condizioni era un mistero. Un'infermiera aveva dato l'allarme. Un medico era accorso e avevano chiamato le guardie della sicurezza. L'avevano cercato, ma senza successo.
Quella camera era stata oggetto di visite continue da parte dei dottori che non riuscivano a spiegarsi le cause dell'assideramento. Katia non era stata in grado di rispondere alle loro domande.
E anche se lo fosse stata, non l'avrebbe fatto.
Nicolaj era lontano.
Forse sarebbe morto senza le cure adeguate.
Non le importava.
Grazie a Yuri non sarebbe più tornato.


* * *


Kai chiuse la porta ed avanzò nella stanza.
Il pavimento era coperto di neve e il suo fiato si condensava nel'aria gelata.
Sotto le scarpe, la neve.
La neve, su ogni cosa.
Rabbrividì mentre i fiocchi fluttuavano candidi e terribili intorno a lui.
Yuri era rannicchiato sul letto, in un angolo, come un cane in un giaciglio nuovo e troppo grande; il suo pallore era allarmante, le labbra violacee si mossero in parole senza suono mentre gli occhi guardavano altrove.
«Yuri?» lo chiamò.
Il russo voltò la testa di scatto come se non potesse vederlo e cercasse tramite l'udito di accertarsi della sua presenza.
Kai fece un passo avanti pronunciando nuovamente il suo nome, ma Yuri arretrò contro il muro portando le mani sopra la testa in posizione di difesa. Le dita erano bluastre, contratte e ferite.
Una forza lo respinse gelida e fu costretto ad arretrare, come se entrambi avessero potuto toccarsi e spingersi l'un l'altro.
«Brucia...» balbettò Yuri.
Il giapponese fece un passo indietro, il cuore in gola, cercando di pensare razionalmente e trovare una soluzione. Non poteva avvicinarsi e quindi tentare di svegliarlo per riportarlo indenne al mondo reale.
Doveva fare qualcosa o l'amico sarebbe rimasto intrappolato in quella dimensione di incoscienza per sempre.
Infilò una mano in tasca e ne estrasse Dranzer; il beyblade reagì all'istante e il bitpower brillò.
Sul palmo il ragazzò poté sentirne il calore aumentare gradualmnte di intensità. Strinse la trottola con entrambe le mani cercando di concentrarsi ed isolare i proprio pensieri da tutto il resto, dal corpo e soprattutto dal gelo che gli pungeva la pelle con innumerevoli aghi.
L'aria calda cominciò lentamente ad avvolgerlo come una spirale.
Una spirale sempre più ampia.
La neve lentamente si sciolse.
Come la tristezza in un abbraccio.
Ogni cosa fu avvolta dal calore.


* * *


Yuri aprì gli occhi nell'alba di un nuovo giorno.
Non sapeva quanto tempo fosse rimasto incosciente. Ricordava il bianco gelido che l'avvolgeva e il suono lontano del vento, come tanti anni prima.
Forse era un sogno che aveva già fatto.
Forse qualcosa che aveva realmente vissuto.
Un luce bruciante si era fatta largo nello spazio infinito.
L'aveva vista di nuovo.
Rossa, avvolta dalle fiamme.
Piume di sangue si adagiavano ai suoi piedi allontanando il freddo e la neve.
Scacciando ogni preoccupazione ed ogni pensiero.
Yuri ne era sicuro, era la stessa figura che per un istante si era sovrapposta a quella di Kai quando, frastornato e confuso, era tonato al monastero dopo aver parlato con Andrej.
Aveva attribuito la cosa alla stanchezza e allo stato della sua psiche in quel particolare momento. Adesso però ne aveva la conferma: l'aveva vista davvero, non era stata un'allucinazione o il parto di una mente provata.
Cercò di ricordarne i particolari, ma tutti gli sfuggivano a piccoli passi un secondo prima che riuscisse ad afferrarli; era certo che fosse qualcosa di familiare, qualcosa che conosceva bene.
Alzò le mani, tendendo le dita e i contorni vennero illuminati dalla luce.
La pelle tirò dolorosamente in corrispondenza dei piccoli tagli ed escoriazioni che non ricordava come si fosse provocato.
Un vuoto, come di vertigine, lo scosse in un fremito e per un momento il potere che gli era parso di sfiorare lo spaventò. Ritrasse le mani, in bilico, e gli parve di cadere.
Respirò a fondo, cercando di calmarsi.
Doveva sapere.
Sentì il suo corpo leggero, svuotato.
Libero.
Una sensazione che aveva provavo raramente, forse mai.
Venne pervaso da una strana frenesia e gli arti produssero un piacevole formicolio, come se si fosse riappropriato del proprio posto nel mondo, della sua personale esistenza.
Si persuase che la verità avrebbe portato la certezza.
Doveva parlare con Kai.
L'unico che potesse spiegarli ogni cosa.
Cercò di alzarsi, ma faticò anche solo a mettersi seduto e si portò una mano sulla testa che gli girava come se il suo cervello fosse stato su una giostra.
La sensazione di leggerezza evidentemente non implicava quella della gravità e dell'equilibrio e in quell'attimo di rinnovata instabilità fu assalito dal dubbio.
Era possibile che anche Kai avesse vissuto situazioni analoghe alle sue?
Il giapponese non era parso affatto sconvolto dagli ultimi avvenimenti, quindi la sua supposizione era plausibile.
Che egli già sapesse? Che fosse venuto a Mosca per quello specifico motivo e non fosse in realtà interessato affatto alle sorti del Monastero?
Il solo pensierò lo tramortì.
Si portò una mano al petto. Il cuore batteva senza controllo.
Non sarebbe stata la prima volta che, per perseguire i suoi scopi, Kai lo usava, ingannandolo sui suoi reali intenti. Possibile che fosse tanto abietto da prendersi gioco di lui in tali circostanze?
Che vantaggio poteva trarre Hiwatari dal nascondergli la verità?
Che cosa avrebbe voluto in cambio?
Gli occhi di Yuri si riempirono di lacrime di rabbia.
Era debole.
Debole e impotente.
Tutta la fatica fatta fino a quel punto era stata vana.
Tutta la fiducia riposta, una fantasia.
Tutto ciò che aveva sacrificato, infruttuoso.
Si aggrappò alle coperte e cercò di soffocare l'ira e la paura racchiuse nei suoi gemiti.
Forse si stava sbagliando, pensò.
Forse era saltato alle conclusioni troppo in fretta.
Forse.
Yuri tremò e il freddo arrivò nuovamente ad avvolgerlo e intorpidirlo.
Si addormentò.
Ed ebbe il solito incubo, quello che era tornato puntualmente a tormentarlo.
Uno dei tanti che non l'avrebbe mai abbandonato.







FINE DICIASSETTESIMO CAPITOLO, continua...


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 18
*** INCUBO ***


L’AMORE BIANCO


… di Simmy-Lu …


Capitolo DICIOTTESIMO: INCUBO





Neve, vento e ancora neve.
Tutto è avvolto nel gelo.
Il treno in corsa si allontanava rumoroso.
Un momento ancora, poi solo il sibilare del vento.
Solo la neve.
Solo il freddo, il dolore.
Binari deserti e nulla all'orizzonte.

... Dove mi trovo? ...

Neve, vento e ancora neve.
Yuri?
Si voltò di scatto, ma non c'era nessuno alle sue spalle.
Il vento sussurrava il suo nome.
Gioco malvagio.

... Vorrei solo un posto in cui poter riposare ...

Fa freddo, Yuri, sibilò il vento.
Stanco, il bambino cadde in ginocchio.
Prostrato ai piedi del Dio Inverno.

... Solo per una notte... vorrei un posto caldo in cui poter riposare ...

Un posto accogliente.
Come una casa.

«Vieni qui, piccolo bastardo!»


* * *


Yuri si svegliò di soprassalto, tanto che per poco non cadde dal letto per la foga con cui si era messo a sedere.
Era sudato e sentiva freddo.
Tremava.
Era passato tanto tempo dall'ultima volta in cui aveva rivissuto quell'incubo in maniera tanto nitida.
Appoggiò la fronte sulle ginocchia e respirò a fondo per calmare il battito del proprio cuore.
Si accorse di avere le mani fasciate e le dita ricoperte di cerotti.
Cercò di fare ordine nei suoi pensieri.
Doveva assolutamente scoprire quali fossero le reali intenzioni di Kai, quale fosse il vero motivo che lo aveva spinto a precipitarsi a Mosca dopo la sua telefonata.
Non gli importava quale sarebbe stato il prezzo da pagare per ottenere la salvezza del monastero.
La porta della stanza cigolò sui cardini e sulla soglia apparve Boris.
«Ti sei svegliato!»
Teneva fra le mani un piatto fumante avvolto in un canovaccio.
«È lo stufato di Sergej.» disse, poggiandolo sulla consunta scrivania, «Mangialo finché è caldo.»
«Per quanto ho dormito? Non ricordo di essere mai stato tanto a letto in vita mia...» chiese Yuri, massaggiandosi una mano per poi bloccarsi e spalancare gli occhi di fronte all'invitante profumo del cibo, «Da dove arriva questa carne?»
«Hiwatari.» fu l'unica lapidaria parola che uscì dalla bocca di Boris.
«Oh.» rispose laconicamente Yuri, ben sapendo quanto il giapponese riuscisse ad irritare l'amico che si limitò ad emettere una sorta di grugnito e a consegnargli il piatto per non farlo alzare.
«Grazie.»
«Hai bisogno di energie. Siamo preoccupati per te. Da quanto tempo non fai un pasto degno di questo nome?» borbottò il compagno accomodandosi sulla sedia accanto al letto.
«Hai intenzione di sorvegliarmi mentre mangio?» sogghignò Yuri portando il cucchiaio alle labbra, «È davvero buono. Sergej dovrebbe fare il cuoco o qualcosa del genere.»
«Sergej potrebbe fare un sacco di cose. Anche tu potresti fare un sacco di cose. Una delle cose che potresti fare sarebbe confidarti con i tuoi amici.»
Yuri deglutì con calma e posò il cucchiaio nel piatto.
Si voltò a fissare Boris che ricambiò lo sguardo con determinazione.
«Cosa succede?» domandò controllandosi a fatica, «Cosa succede fra te e Hiwatari? Cosa succede con il beyblade?»
«Kai è venuto qui per aiutarci.» spiegò con lenta freddezza il ragazzo dai capelli rossi.
«E che cosa vuole in cambio? Non farmi credere che tu sia così ingenuo.»
Yuri strinse le labbra. Sperava di tenere per sé i suoi dubbi a riguardo, ma Boris aveva fiutato il pericolo prima di lui.
Fin dal principio.
«Non lo so.» rispose impassibile, «Ma ho intenzione di scoprirlo.»
Guardò nel piatto, prese nuovamente il cucchiaio e gustò pigramente il sapore del cibo.
Boris osservò il profilo fiero e gli occhi glaciali e distanti di Yuri che aveva per l'ennesima volta innalzato un muro invalicabile fra sé e il resto del mondo.
Yuri aveva preso la sua decisione, stabilito un piano che non prevedeva alcuna collaborazione.
La sua sicurezza escludeva Boris dai suoi pensieri.
Il ragazzo si chiuse in un contemplativo silenzio.
«Yuri, Sergej ed io siamo tuoi amici. Qualsiasi cosa ti stia accadendo non sei costretto ad affrontarla da solo. Hiwatari, il beyblade... perché non me ne parli? Se Kai non è intenzionato ad aiutarci troveremo un'altra soluzione.» disse Boris, in un ultimo, estremo tentativo di indurre il proprio capitano a confessare le sue preoccupazioni.
«Come posso parlare di qualcosa che non conosco? Non so cosa mi stia accadendo al beyblade. Ma le priorità adesso sono altre.»
«Hiwatari sa qualcosa.»
«Io non credo, non avrebbe senso tenere questo segreto per sé. Ha già la sua merce di scambio ed è il monastero. La sua disponibilità è la nostra unica speranza. Non ci sono altre possibilità e tu lo sai bene... se Kai non ci aiuta nel giro di qualche mese saremo in strada.»
«No, lui sapeva esattamente cosa fare quando sei stato male, quando la stanza era piena di neve! Ho avuto paura che...»
Boris non continuò.
Gli occhi di Yuri erano specchi di ghiaccio.
Freddi e vuoti come raramente erano stati prima di allora.
Una pioggia sottile colava sui vetri della finestra.
Le domande senza risposta divennero effimere certezze.


* * *


Il sole era tramontato.
Le nuvole ricoprivano il cielo di quella sera priva di anima.
Irina presto avrebbe chiuso gli occhi, abbandonandosi al sonno.
Scivolando in quel dolce oblio su un letto d'ospedale.
Si sarebbe risvegliata il mattino dopo.
Leggera.
I medici avevano optato per un parto cesareo.
E lei si era risvegliata come da un sogno.
Aveva davvero partorito un bambino?
Forse, continuava a ripetersi, era stato tutto un semplice sogno.
La coppia americana era arrivata.
Il bambino era in salute, aveva detto Katia.
Avrebbero presto avuto l'altra metà del compenso che spettava loro.
Non doveva preoccuparsi.
Irina si sentì come un guscio vuoto.
Pensò a Yuri, desiderando di vedere ancora il rossore che gli colorava le guance.
Quando la guardava negli occhi.
Tutte le cose dovrebbero essere così semplici.
Come il suo amore.


* * *


Aveva ripreso a piovere in quella notte senza stelle.
No.
Era neve quella che cadeva?
Neve.
Bianca e silenziosa.
Come sempre.
Yuri sedeva sul letto, nella sua stanza.
Forse il suo corpo aveva freddo.
Ma la sua mente era troppo occupata.
Nevicava ancora.
Alla fine nevicava sempre.
Le persone sono come la neve.
Le cose sono come la neve.
Il tempo è come la neve.
Tutto passa, si accumula e svanisce.
E poi ritorna.
Quanto tempo era passato?
Ore?
Minuti?
Aveva bussato alla sua stanza, ma lui non c'era.
Kai era sparito.
Come al solito.
Come sempre.
Yuri aveva lasciato una coperta sul suo letto.
Sperando che notandola avesse capito.
Che avesse ricordato.
Non sapeva se Kai avesse completamente ritrovato i ricordi della sua infanzia al monastero.
Un brivido lo scosse come una foglia; si sdraiò sotto le coperte, continuando a fissare dalla finestra la neve cadere piano.
Qualcuno bussò alla porta ma Yuri non si mosse.
La porta si aprì cigolando appena e venne richiusa.
Yuri sentì il peso della coperta che gli veniva buttata malamente addosso.
«Fammi posto.»






FINE DICIOTTESIMO CAPITOLO, continua...


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 19
*** PROPOSTA ***


L’AMORE BIANCO


… di SimmyLu …


Capitolo DICIANNOVESIMO: PROPOSTA





«Fammi posto.»
La voce di Kai giunse prevedibile.
Yuri si voltò su un fianco, trattenendo un mezzo sorriso imbarazzato che nascondeva una scintilla di soddisfazione: «Credevo...»
«...che non me lo ricordassi, lo so.» concluse l'amico sedendogli accanto, poi aggiunse con ironia, «Sbaglio o sei grande abbastanza per dormire da solo?»
«Non pensavo che te ne saresti ricordato e non ero certo che saresti venuto. È passato un sacco di tempo.» divagò Yuri.
Il giovane russo aveva raggiunto la stanza di Kai e aveva lasciato una coperta sul suo letto.
L'aveva fatto tante volte da bambino, quando gli incubi gli apparivano troppo reali e la presenza del ragazzino giapponese era l'unica in grado di allontanarli.
Come un fuoco che lo difendesse dalle tenebre e dal gelo.
Rimasero in silenzio per qualche minuto.
Kai era una sagoma indistinta di fronte a lui e lo guardava dall'alto coi suoi occhi dai minacciosi riflessi violacei.
«Allora, di cosa vuoi parlare?» chiese Hiwatari con atteggiamento indifferente e superficiale.
«Come fai a sapere che voglio parlarti?»
Yuri cercò di mantenere un tono neutro per dimostrare di avere il controllo della situazione.
Se voleva estorcere a Kai la verità avrebbe dovuto batterlo in astuzia e indurlo a parlare.
Il giapponese però non rispose.
Yuri si convinse di aver sentito il suo sorriso allargarsi sulle sue labbra.
Un suono sottile e impercettibile che disegnava uno schema conosciuto.
Si rese immediatamente conto che quella sarebbe stata una tattica inconcludente.
Non si poteva battere Kai in un gioco in cui era maestro.
Yuri cambiò immediatamente registro e decise di affrontare l'argomento con più decisione.
«Hai fatto quelle telefonate?»
«Sì.» rispose tranquillamente il giapponese.
Yuri fu colpito dalla sua sincerità e dal fatto che Kai non gliene avesse parlato prima.
Decise di non arrabbiarsi per così poco.
«E allora?» chiese.
L'urgenza con cui Yuri aveva posto la domanda rivelava tutto il suo nervosismo e la drammatica aspettativa in cui si agitava la sua unica speranza.
Kai si prese del tempo prima di rispondere, soppesando accuratamente le parole.
«Tu cosa pensi?»
«Cosa vuoi dire?» chiese il russo, colto alla sprovvista.
«Perché tieni tanto a questo posto? Perché non pensi a te stesso e ti crei un futuro con la tua ragazza... come si chiama?»
«Irina. Non è la mia ragazza. Non sono fatti tuoi.» rispose tagliente Yuri, «Stai cambiando argomento.»
«Relativamente...» indugiò Hiwatari, «Com'è?»
«Cosa?»
«Essere innamorati.»
Yuri lo fissò nel buio, non sapendo se essere ora davvero in collera o meno.
Kai lo stava allontanando dal punto focale del loro discorso riuscendo al contempo a metterlo in imbarazzo.
«Mi stai prendendo in giro?»
Kai sogghignò: «Scusa, volevo fare una domanda ad effetto.»
«Sei irritante.»
«Voglio sapere com'è fatta la ragazza che ti ha rubato il cuore. È divertente.» scherzò Kai.
«Non è divertente, è invadente. Buona notte!» ringhiò Yuri voltandosi pesantemente sul materasso e dando le spalle al suo enigmatico interlocutore.
Il giapponese rimase fermo, accanto a lui, senza aggiungere nient'altro.
Yuri capì che la risposta alla sua domanda era fra le righe sottili del suo silenzio.
«Non sei riuscito a concludere nulla, è così?»
Kai sospirò.
«Una società che ha rischiato e perso grosse somme di denaro con il progetto Borg e che ha cercato in tutti i modi di insabbiare le notizie a riguardo nonché distruggere ogni prova della collaborazione con Vladimir Vorkof, secondo te... come potrebbe mai impiegare dei capitali in quella che, di fatto, è ciò che rimane della stessa sede? Un certo tipo di persone comincerebbe a porsi delle domande e in qualche modo la verità verrebbe a galla. La compagnia Hiwatari non sarebbe affatto contenta di veder associato il suo nome a quello di un terrorista russo come Vorkof. In breve tempo si perderebbe credibilità, gli investitori svanirebbero, le quotazioni crollerebbero e l'azienda fallirebbe in men che non si dica.»
Yuri si sentì schiacciato dal peso della logica di quella spiegazione.
Contò i battiti del suo cuore e si impose di ragionare, di trovare una soluzione.
Non poteva abbandonarsi alle emozioni.
«Non ci avevo pensato.» confessò candidamente, «A dire il vero, io mi ero rivolto a te... a livello personale.»
Kai scoppiò in una sommessa risata: «Di quanti soldi credi che io disponga? E poi per quale motivo dovrei impegnare un patrimonio personale in un progetto senza garanzie che potrebbe fallire da un momento all'altro?»
Il ragazzo dai capelli rossi ringraziò la notte perché nell'oscurità riusciva a celare l'espressione sofferente e sconvolta del suo viso. Kai lo aveva costretto in un angolo, in una trappola da cui era impossibile uscire.
Perché era venuto a Mosca pur sapendo che non avrebbe potuto aiutarli in nessun modo? Stava nuovamente mentendo?
«Per me.» disse.
«Come?»
«Sono io la tua garanzia!» esplose Yuri mettendosi a sedere, «Io, Boris, Sergej e tutti i ragazzi che vivono qui. Questa è la garanzia!»
I loro occhi si incontrarono.
Ciechi.
«Saresti disposto a qualunque cosa per salvare questo posto, vero?»
Le parole di Kai erano lente e pesanti sulle sue labbra.
Yuri rimase in silenzio, sentendosi in balia della propria sventatezza.
Respirò a fondo, in attesa.
Kai cominciò a ridere all'improvvisò cogliendo il russo di sorpresa con quella reazione inaspettata.
«Sei così dolce che potrei anche darti un bacio!» ridacchiò il giapponese.
«Tu sei fuori di testa!» abbaiò Yuri.
Kai si prese un momento e riconquistò la calma, «Perché invece... non mi chiedi del beyblade. Ti sei confessato con me apertamente, ma non hai domandato nulla... proprio tu che ne avresti il diritto.»
Yuri si ritrovò di fronte ad un bivio, esattamente dove Kai voleva condurlo.
Desiderava due cose differenti, ma era convinto che Kai fosse disposto a trattare per una soltanto.
Una sola scelta disponibile.
«La cosa più importante adesso è il monastero.» dichiarò.
«Potrebbe ucciderti.»
Yuri abbassò lo sguardo.
Era spaventato, ma non poteva cedere.
«Mi sta rifiutando. L'ho avvertito. Forse è...»
«No, non è così.» rivelò Kai.
«E allora che sta succedendo?»
«Non lo so.»
«Stai mentendo!»
«Sei libero di non credermi, ma è evidente che non puoi continuare in questo modo.»
Kai aveva ragione.
Il suo corpo non avrebbe sopportato a lungo quella mancanza di equilibrio.
Nemmeno la sua anima.
Qualsiasi cosa stesse succedendo al suo beyblade... l'avrebbe trascinato nel baratro.
«Vuoi salvare questo posto, Yuri?»
«Smettila di cambiare continuamente argomento!»
«Vuoi davvero salvarlo?»
«Sì.»
Era la sua decisione.
La sua scelta.
«C'è una cosa che voglio che tu faccia.»
«Va bene.»
«Non hai sentito di che si tratta.»
«Non importa.» disse Yuri coraggiosamente.
Kai rimase immobile per un tempo infinito.
«Voglio che tu vanga in Giappone con me.»
Yuri spalancò gli occhi.
«Che cosa?!»
«Solo per un breve periodo.»
«Non posso farlo! Non posso lasciare Mosca!»
«Hai appena detto che non ti importava quale fosse la condizione.»
«Non pensavo che mi avresti chiesto di lasciare la Russia, di abbandonare il monastero!»
«Ci sono Boris e Sergej... o non li ritieni in grado di cavarsela senza di te?»
Yuri non replicò.
«Non preoccuparti, non devi rispondere subito.»
«Perché dovrei venire in Giappone?»
«Perché mi serve qualcuno che conosca a fondo tutte le problematiche di questo posto e che sia in grado di esporle.»
«Stai cercando di dirmi che c'è un altro modo per ottenere i finanziamenti?»
«Può darsi.»
«Voglio saperlo.»
«Devi fidarti di me.»
Il russo serrò le labbra.
Era riuscito a sapere cosa Kai volesse in cambio per investire nel monastero, ma l'ago della bilancia del potere pendeva solo in favore del giapponese.
Hiwatari avrebbe ottenuto in ogni caso quello che voleva: la sua partenza.
Yuri aveva solo una pallida speranza su cui fare affidamento.
Inoltre, la proposta di Kai pareva non avere alcun senso.
Cosa avrebbe ottenuto portandolo in Giappone con sé?
Non riusciva a trovare una risposta.
«Pensaci.» disse l'amico, interrompendo i suoi pensieri, «Nel peggiore dei casi avrai fatto solo un viaggio. Non hai nulla da perdere.»
Si distese accanto a lui.
La discussione era finita.
Il cervello di Yuri lavorava freneticamente.
Nessuno dei due disse nulla fino a quando Kai incrociò le braccia dietro la testa e, guardando il soffitto, cominciò a canticchiare.
«Una stufa accesa... che gioia una stufa...»
«Cosa stai dicendo?»
«Quella canzone... Pechka*.» sillabò pensieroso Kai.
«Canzone...?»
«Sì. Non mi ricordo come continua.»
La neve cadeva, fitta.
A Yuri sembrò di poterla sentire sulla pelle.
«Che gioia una stufa...» cominciò a cantare piano, «Che gioia una stufa, in una notte di neve. Accendiamola, raccontiamo qualcosa. C'era una volta, tanto tempo fa, una stufa accesa...»
«Sì, è questa.» confermò Kai dopo qualche istante, sorrideva tenendo gli occhi chiusi, «Ma non ricordavo che fossi così bravo a cantare.» lo punzecchiò ironicamente.
«Vai al diavolo!» gli disse Yuri tornando a dargli le spalle, sdraiato su un fianco.
Neve, vento e ancora neve.
Un momento ancora, poi solo il sibilare del vento.
Solo la neve.
«Kai, la tua domanda di prima... non era uno scherzo, vero?»
«Quale?»
«Davvero non ti sei mai innamorato?»
«No.» rispose, «Ma ti ho fatto quella domanda per prendermi gioco di te.»
Yuri colse in lui una sofferenza ricca di rabbia e desolazione.
Non aggiunse altro.
La palpebre divennero pesanti.
Neve, vento e ancora neve.
Il treno in corsa si allontanava rumoroso.
Un momento ancora, poi solo il sibilare del vento.
Solo la neve.
Solo il freddo, il dolore.
Binari deserti e nulla all'orizzonte.
Tutto era come allora, avvolto nel gelo.
Un grido straziante avvolto di freddo pungente.
Solo il freddo, il dolore.
Binari deserti e nulla all'orizzonte.
«Ti capita ancora?» chiese Kai, interrompendo ancora il silenzio.
Yuri rabbrividì appena.
«Di cosa parli?» chiese ostentando indifferenza.
«Del vero motivo per cui sono qui adesso.»
Kai aspettò la risposta senza porre di nuovo la domanda.
Il russo sentì il petto come pressato da una forza invisibile.
«Sì. Succede... a volte.» disse con un fil di voce, «Non mi libererò mai da quell'incubo.»
«Dormi.» sussurrò Kai con gentilezza e dolcezza inaspettata, «Io sono qui.»





FINE DICIANNOVESIMO CAPITOLO, continua...

(*)Pechka: "stufa" in russo.

N.d.A: Purtroppo non mi ricordo da dove avevo preso le strofe di questa nenia russa. È quello che accade quando si rispolverano appunti vecchi di tre anni...

Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 20
*** IL PRIMO INCONTRO ***


L’AMORE BIANCO


… di SimmyLu …


Capitolo VENTESIMO: IL PRIMO INCONTRO






«Ti capita ancora?» chiese Kai.
«Di cosa parli?»
«Del vero motivo per cui sono qui.»
Il russo sentì il petto come pressato da una forza invisibile.
«Sì. Succede... a volte.»
«Dormi.» sussurrò Kai con dolcezza inaspettata, «Io sono qui.»
Aspettò che il respiro di Yuri divenisse lieve e regolare, come il cadere della neve.
Solo allora si addormentò a sua volta.


* * *


Era una notte fredda.
Una di quelle che ti fanno desiderare di essere altrove, in un luogo lontano al di là del gelo e del dolore. L'aria era ghiacciata anche all'interno dell'edificio, tanto da riuscire, nell'illusione di un attimo, ad immobilizzare il tempo, lo spazio e la luce, come in un riflesso sfocato di un vecchio specchio.
L'eco del vento sussurrava in lame taglienti fra pietra e pietra per tutto il monastero, per ogni singolo corridoio dall'alto soffitto che scompariva nell'ombra, oltre la sterile opposizione di qualche fiaccola.
Tutti i ragazzi dormivano profondamente, rintanati nei propri letti cercando nella disperazione di un nuovo sogno il calore del loro stesso corpo.
Dormivano fra dita gelate, nasi arrossati, colpi di tosse e parole trascinate in sussurri.
Tutti. Tranne uno.
Kai Hiwatari era ben lontano dalla sua stanza e dal suo giaciglio e di conseguenza stava infrangendo una delle prime regole del monastero.
Sapeva bene che non era permesso girovagare a quell'ora della notte e che, se lo avessero scoperto, la punizione sarebbe stata peggiore di quanto potesse immaginare, ma lo muoveva un desiderio intenso ed irresistibile.
Non era semplicemente il capriccio di una bambino.
Era un bisogno quasi fisico che necessitava la dovuta soddisfazione.
Desiderava averlo più di ogni altra cosa al mondo e nulla contava la paura che lo faceva rabbrividire ad ogni passo.
Piccolo.
Potente.
Magnifico.
Desiderio proibito.
«Black... Dranzer.»
Kai ripeté a se stesso quelle due parole, come a darsi forza per svoltare l'ennesimo angolo buio.
Il vento sferzava impaziente l'oscurità senza trovare nulla a cui aggrapparsi, salvo vecchie e logore mura di mattoni.
Era una notte fredda di un qualunque Martedì.
Una notte come le altre, ma dell'unico giorno in cui il corridoio dell'ala est era sorvegliato da Rimeroff, un grosso uomo barbuto che aveva l'abitudine di addormentarsi durante il proprio turno.
Per Kai, era perfetto. Il corridoio dell'ala est era l'unica via che portava direttamente alle sale di sperimentazione dei nuovi beyblade.
Black Dranzer era in una di queste.
Doveva soltanto passare davanti alla guardia, che a quell'ora si era certamente già appisolata, introdursi nel reparto e cercare indisturbato l'oggetto.
Desiderava Black Dranzer.
Bramava quel beyblade dal primo istante in cui l'aveva visto all'opera nelle stanze degli esperimenti.
La sua luce era così forte, così violenta e vigorosa da annullare ciò che gli stava intorno, ribaltandone la percezione e convogliandone l'energia al suo interno.
Non aveva mai visto o percepito nulla di simile, nessun beyblade lo aveva mai attratto tanto.
Sentiva il suo continuo richiamo, come stregato da un suono impercettibile.
Doveva essere suo.
Gli altri potevano vedere quella luce oscura dalle potenzialità illimitate?
Non lo sapeva, non gli interessava. Kai ne era rimasto completamente abbagliato.
Black Dranzer era imbattibile.
Possedeva un potere inimmaginabile.
Lo desiderava.
Doveva lanciarlo.
Assolutamente.
Anche una sola volta.
Kai continuò ad avanzare, il passo prudente, come quello di un gatto su un filo sospeso.
Mancava davvero poco.
«No!»
Un urlo straziante lo fece trasalire.
Il cuore sobbalzò per lo spavento. Il ragazzino guardò a destra e poi a sinistra del corridoio.
Il grido era arrivato come una scarica elettrica; disperato e stridulo, come le pareti umide dell'edificio.
Kai si bloccò, immobile.
Non c'era modo di nascondersi.
Se qualcuno fosse arrivato in quel momento non avrebbe avuto scampo.
Lo avrebbero trovato.
Punito.
La prospettiva gli apparve istantaneamente vera e terrificante.
Si mise a correre per tornare indietro.
«No!!»
Ancora.
Agghiacciante.
Più vicino.
Ancora quella voce angosciata.
Non era lontana.
Dannazione! Doveva andarsene.
Chi era stato ad urlare?
E perché?
I pensieri nella mente di Kai si susseguivano rapidi e frenetici: non poteva che essere uno dei ragazzi del monastero. Ma non c'era tempo di capire, solo di correre più veloce.
«No, vi prego!»
Kai si fermò di colpo e per poco non cadde.
Fece qualche passo indietro.
Guardò sia a destra che a sinistra.
Nessuno.
Possibile che nessuno lo sentisse?
Eppure...
Un grido disperato.
Era lì.
In una di quelle stanze.
Kai si avvicinò ad una delle porte di legno del corridoio.
E lo sentì ancora, più flebile.
«Vi prego...»
Nessuno rispose.
C'era più di una persona in quella stanza?
Con il cuore che batteva dolorosamente nel petto come un tamburo, appoggiò la mano sulla maniglia e fece pressione. La porta si aprì cigolando sui cardini.
Il letto di quella camera era vuoto, ma c'era qualcuno che si lamentava.
Era sul pavimento.
Kai si avvicinò piano, dopo aver chiuso la porta con cautela.
Non aveva idea di chi fosse, ma se fosse riuscito a farlo tacere, i sorveglianti non sarebbero accorsi e il suo sogno di impadronirsi di Black Dranzer non si sarebbe infranto.
Il ragazzino continuava a dormire, agitandosi e dimenandosi per terra, vicino al letto.
Dalla finestra filtrava la debole luminescenza del manto nevoso illuminato dai raggi di luna.
«Vi prego...» mugolò per l'ennesima volta.
Aveva i capelli rossi.


La neve cadeva, fitta.
Neve, vento e ancora neve.
Il treno in corsa si allontanava rumoroso.
Un momento ancora, poi solo il sibilare del vento.
Solo la neve.
Solo il freddo, il dolore.
Binari deserti e nulla all'orizzonte.
Tutto era come allora, avvolto nel gelo.
E si ripeteva ogni notte nella veste teatrale e drammatica dell'ennesimo incubo.

... Dove mi trovo? ...

Neve, vento e ancora neve.
Yuri?
Si voltò di scatto, ma non c'era nessuno alle sue spalle.
Il vento sussurrava il suo nome.
Gioco malvagio.
Solo la neve.
Fa freddo, Yuri?
Sibilò il vento.
Stanco, il bambino cadde in ginocchio.
Prostrato ai piedi del Dio Inverno.

... Solo per una notte... vorrei un posto caldo in cui poter riposare ...

Un posto accogliente. Come una casa.

Il clangore metallico del treno sulle rotaie.
«Fuori di qui!»
«Lasciatemi stare!!»
«Non riprovarci mai più!»
«Sempre se sopravvivi!»
Una risata.
«Guarda che strani capelli!»
«No!!»
«Siamo stanchi dei bastardi di strada come te!»
«Vieni qui, piccolo bastardo!»
«No, vi prego!»

... Il vento conosce il mio nome ...

Fa freddo.
Dice il vento
Dormi, Yuri.
Sussurra il vento
Riposati, sei stanco, Yuri.
Ordina il vento.

... Vorrei un posto in cui poter riposare ...







FINE VENTESIMO CAPITOLO, continua...



Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 21
*** BAMBINO FANTASMA ***


L’AMORE BIANCO


… di SimmyLu …


Capitolo VENTUNESIMO: BAMBINO FANTASMA






Era una notte fredda.
Una di quelle che ti fanno desiderare di essere altrove.
In un luogo lontano.
Al di là del gelo e del dolore.


* * *

Kai si avvicinò al letto, dopo aver chiuso la porta di quella stanza con cautela.
Il ragazzino continuava a dormire, agitandosi e dimenandosi per terra, vicino al letto.
Dalla finestra filtrava la debole luminescenza del manto nevoso illuminato dai raggi di luna.
Aveva i capelli rossi.


* * *

La neve cadeva, fitta.
Neve, vento e ancora neve.
Il treno in corsa si allontanava rumoroso.
Un momento ancora, poi solo il sibilare del vento.
Solo la neve.
Solo il freddo.
Tutto era come allora, avvolto nel gelo.
E si ripeteva ogni notte nella veste teatrale e drammatica dell'ennesimo incubo.


* * *

Yuri non ricordava quasi nulla di sua madre.
Nella sua mente era solo un'ombra con un volto indefinito; era un ricordo che con il passare del tempo si faceva sempre più lontano ed impalpabile, come una vecchia foto che di anno in anno sbiadisce fino a scomparire.
Suo padre era invece un concetto senza forma. Un'idea.
Da quando aveva memoria, Yuri viveva con Mira. Era quella donna ad occuparsi di lui.
Era una persona gentile e non lo trattava con cattiveria, ma non era affettuosa: non l'aveva mai abbracciato, non l'aveva mai cullato, non gli aveva mai raccontato una favola.
Yuri, nella semplice e lineare logica da bambino, aveva trovato da solo la risposta a quelle mancanze che scavavano costantemente in un angolo vuoto e buio del suo cuore.
Non essendo suo figlio, Mira non avrebbe mai potuto trattarlo o amarlo come tale.
All'inizio, in un periodo che ricordava a stento, Yuri chiedeva continuamente notizie di sua madre, ma non aveva mai ricevuto una risposta.
Poi, un giorno, aveva smesso di piangere e di fare domande.
Erano così passati i giorni, le settimane, i mesi...


* * *

Era una giornata fantastica.
Nevicava.
Yuri amava la neve.
Adorava il suo cadere lento e inesorabile, il suo magico potere che le consentiva di ricoprire ogni cosa e di arrivare ovunque. La neve era capace di fermare tutto ciò che lo circondava.
Ne amava il candore, la consistenza effimera, il freddo. Amava il contrasto che il colore dei suoi capelli produceva con quel bianco accecante.
Guardava i fiocchi cadere e per un momento non esistevano paure o preoccupazioni.
C'era solo il bianco.
Era straordinario, rasserenante, semplice.
Ogni cosa sotto la neve diventava perfetta.
«La neve, Mira! La neve!» esclamò, felice.
La donna appariva strana da qualche tempo; «Vai a giocare.» gli disse con un nervoso sorriso.
Yuri approfittò subito dell'occasione senza badare a nient'altro; infilò sciarpa e cappotto e uscì.
Giocò fino a quando il sole non si eclissò oltre l'orizzonte e la luce venne meno.
I fiocchi cadevano senza sosta.
Meravigliosi.
Aveva le dita gelate e il suo stomaco brontolava per la fame: era ora di tornare.
Ma, rientrando in casa, non trovò nessuno.
Mira non c'era.
E nemmeno la sua roba.
Armadi e cassetti erano aperti.
Vuoti.
La finestra della cucina era spalancata.
La neve entrava nella stanza fluttuando leggiadra, posandosi sul pavimento illuminato da una luce fredda e spettrale.
Il riflesso di un riflesso.
Come un fantasma.
Tutta la sua roba era ancora lì e la ragione ammise ciò che la paura desiderava ardentemente negare: Mira se n'era andata e non sarebbe mai tornata a prenderlo.
Come sua madre, l'aveva abbandonato.
Questa volta Yuri non aveva bisogno di fare domande...


* * *

Passo dopo passo, camminò per le strade di Mosca fino a perdersi.
Piangeva.
Aveva fame, freddo. Era spaventato.
Il vento soffiava impietoso in lame di ghiaccio.
I piedi si muovevano meccanicamente e gli occhi faticavano a rimanere aperti.
Urtò qualcosa e venne spinto a terra.
«Chi diavolo sei?!»
Yuri sollevò lo sguardo: di fronte a lui c'era un ragazzo con un mucchio di vestiti disordinati, gli occhi, infossati e scuri, erano spalancati sotto una cascata di capelli neri, lunghi e dal taglio irregolare.
Aveva l'aspetto sconvolto di un corvo spelacchiato.
«Ti ho fatto una domanda!» urlò dandogli un calcio.
Mentre cercava di difendersi dalla sua ira, arrivarono altri ragazzini che li circondarono come un branco di cani inselvatichiti.
«Chi è questo, Pavel?» chiese uno di loro.
«Guardate i capelli!»
«Quant'è buffo!»
Risate.
«Yu... Yuri.» balbettò.
«Cosa?»
«Yuri. Mi chiamo Yuri.»
«Yuri... e poi?»
Aprì la bocca, ma non disse nulla.
Il suo cognome? Non lo ricordava più. Non sapeva nemmeno se ne avesse mai avuto uno.
Pavel accennò un gesto svogliato con una mano e due ragazzi cominciarono a frugare nelle sue tasche come segugi in cerca della preda.
«Niente soldi, niente cibo. Non ha un bel niente!» latrò uno dei due.
«Da dove vieni?» abbaiò l'altro.
«Non lo so.»
«Sei solo?»
«Sì...»
«Dove stai andando?»
«Non... non lo so. Ho freddo.»
«Basta!» gracchiò il corvo e subito tutti tacquero; «Yuri... che cosa hai intenzione di fare?»
«Cosa?» chiese timoroso.
«Se continui a vagare senza meta finirai male. Una strega potrebbe catturarti, ucciderti e poi mangiarti.»
«Le streghe non esistono!» disse Yuri, non troppo convinto della propria affermazione.
«No? E tutta quella gente che scompare per le strade? Colpa delle streghe!» righiò uno dei ragazzi del gruppo.
«Ma le streghe preferiscono la carne dei bambini.» ululò un altro, «Perché è più tenera. Aspettano che il freddo li uccida per poi mangiarli!»
«A volre però non riescono ad aspettare e mandano le guardie e catturare i bambini per loro.» aggiunse Pavel, «Li portano in orfanotrofio. Sai cosa fanno ai bambini in quel posto? Appena capiranno che non hai una famiglia ti porteranno lì così le streghe potranno mangiarti!»
«Non voglio andare in orfanotrofio!»
Il ragazzo dagli occhi neri lo guardò dall'alto in basso, come se lo stesse studiando attentamente.
«Dimitri!» chiamò.
«Sì, Pavel?» guaì quello.
«Da domani Yuri prende il tuo posto.»
«Cosa!? Perché? Sono bravo con l'elemosina!»
«Perché è più carino e la sua faccina innocente fa molta più pena della tua.» disse duramente, ma con un ghigno selvaggio sulla bocca.
Dimitri non replicò.
«Vieni con noi, Yuri.» ordinò Pavel.
«Ma chi siete?» chiese lui, alzandosi.
«Noi siamo i bambini fantasma.»
«Fantasma?» domandò Yuri allarmato, soprattutto dopo aver sentito tutti gli orrori che potevano arrivare a compiere le streghe.
«Sì, fantasma. Perché possiamo sparire da un momento all'altro, senza che nessuno se ne accorga... o se ne preoccupi. Ora lo sei anche tu.»


* * *

Yuri entrò a far parte della banda di Pavel. Lo seguiva come un'ombra, imparando a sopravvivere per strada. Pavel lo portava spesso con sé, coinvolgendolo nei furti e insegnandogli a cavarsela in ogni situazione. Yuri era un ottimo allievo; spesso dimostrava di aver appreso una tecnica prima che Pavel trovasse il tempo per mostrargliela con più calma, cosa che spesso lo infastidiva perché al ragazzo piaceva molto essere ascoltato e ammirato, ma concedeva poco del suo sapere al resto del suo gruppo. Yuri, fra tutti, era il più sveglio ed intelligente, ma rimaneva un bambino.
Un bambino molto ingenuo.






FINE VENTUNESIMO CAPITOLO, continua...


N.d.A: I "bambini fantasma" di Mosca esistono davvero e non sono una mia invenzione, a parte, naturalmente, quelli di cui narra questa storia. Nel prossimo capitolo, concluso questo flashback sull'infanzia di Yuri, lascerò una nota più dettagliata ed esplicativa. Grazie a tutti.


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 22
*** IL DESERTO INVISIBILE ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo VENTIDUESIMO: IL DESERTO INVISIBILE






La grande Mosca.
La bellissima Mosca.
La fredda Mosca.
La città che d'inverno si trasforma in una madre premurosa dal gelido abbraccio di morte.


* * *

Arrivò l'inverno.
Arrivò la neve.
E Yuri non l'amava più.
Aveva cercato di ritrovare nel suo cuore quell'antica gioia che il suo candore gli aveva donato in passato, ma inutilmente.
Ora la neve era sinonimo di sofferenza, di fame.
Di solitudine e paura.
Le mani colorate di freddo bianco parevano emanare luce.
Yuri si era trasformato in un fantasma di effimera consistenza.
Trasparente, leggero, veloce.
Come luce riflessa.
Un giorno sarebbe diventato neve e avrebbe posseduto il suo terribile e terrificante potere.
Lui stesso sarebbe divenuto puro potere.
Erano le sue distorte convinzioni, folli pensieri, ma pur sempre pensieri, che tenevano occupata la mente nelle notti buie.
In quelle notti di cielo candido e luminoso.
Quelle notti fredde.
Che ti fanno desiderare di essere altrove.


* * *


L'equilibrio si ruppe all'improvviso e per volere del caso.


«Non azzardarti mai più a fare una cosa del genere!»
«Ma Pavel... le guardie mi avevano raggiunto e io non sapevo cosa...»
«Stai zitto! C'è una regola e devi ricordartela: se hai un problema è tuo soltanto. Non verrò una seconda volta in tuo aiuto.»


Quella fu per Yuri l'ultima lezione di Pavel.
Doveva imparare a cavarsela da solo.
Così Yuri divenne indipendente.
Taciturno e schivo.
Faceva ancora parte della banda del ragazzo più grande; in essa i piccoli orfani trovavano protezione e quella sicurezza gratificante data dal contatto umano.
L'ammirazione e l'attaccamento che aveva provato nei confronti di Pavel si affievolirono fin quasi a scomparire, lasciando spazio solo al rispetto conferito dal timore.
Pavel si occupava del gruppo nei momenti in cui erano necessarie regole, decisioni e organizzazione di furti e spostamenti.
Non era saggio rimanere troppo a lungo nello stesso posto.
In questo il ragazzo dimostrava una certa furbizia, ma Yuri aveva memorizzato tutti i suoi schemi ormai da tempo e riusciva spesso ad anticiparlo.


* * *


La notte, vicino al fuoco, i ragazzi si radunavano intorno a Pavel. Lo ascoltavano raccontare storie su mostri, cavalieri e streghe oppure discutere dei più svariati argomenti. Pavel adorava avere un pubblico, per questo, colmo di invidia, lanciava spesso fredde occhiate in direzione del gruppetto che di sera in sera si faceva più numeroso attorno a Yuri, che sedeva ormai sempre in disparte.
Forse a causa della sua bellezza che mesi di vita di strada non avevano scalfito, forse a causa dei suoi occhi azzurri e magnetici che catturavano come specchi i riflessi delle fiamme.
Yuri insegnava ai più piccoli così come era stato fatto con lui, ma non solo: il ragazzino coi capelli rossi mostrava loro cose nuove, idee che a Pavel non erano mai venute in mente.
Agiva di propria iniziativa e i suoi risultati erano sempre i migliori.
Era troppo intelligente per ridursi ad essere solo uno dei tanti cani del branco.
Non avrebbe ubbidito ancora a lungo al gracchiare del corvo.
E Pavel lo sapeva.


* * *


«Fa troppo freddo. Da domani passeremo le notti sui treni.» annunciò Pavel al resto della banda, «Ci divideremo in coppie, come sempre.»
«Se una volta saliti sulle carrozze ci dividiamo, perché dobbiamo essere per forza in due?» domandò Yuri suscitando la curiosità generale che si manifestò con un mormorio composto da tanti lievi guaiti.
Il viso pallido e grazioso brillava come un fiore in mezzo a tante pietre.
«Perché una coppia di mocciosi coperti di stracci dà più nell'occhio di un solo pulcioso bastardo, ma è meglio che uno guardi le spalle all'altro e dia l'allarme se arriva una guardia, no? Stai discutendo i miei ordini, Yuri?» strepitò aggressivamente Pavel.
«No... era solo una domanda.» rispose il ragazzino, cercando di non offenderlo.
Il resto del branco abbassò lo sguardo e tacque.
«Bene.» disse Pavel, consapevole della propria autorità, «Decidiamo le coppie. Yuri... tu verrai con me.»
«Voglio stare io con Yuri!» uggiolò Dimitri in segno di protesta.
«Ho detto che Yuri viene con me.» ripeté Pavel, gelido.
Nessuno si oppose.


* * *


La neve cadeva fitta dal cielo posandosi sulle banchine della stazione.
Yuri era nervoso.
Era la prima notte che passava su un treno. Oltretutto non era mai salito su uno di quei draghi di metallo le cui ruote stridevano assordanti. Ma il calore dei convogli era invitante così come gli avanzi di cibo che si potevano trovare al suo interno, come Pavel aveva raccontato in una delle sue storie.
Lo fissò, mentre aspettavano il momento adatto per intrufolarsi nella pancia di quella bestia rumorosa: Pavel aveva uno sguardo di ghiaccio, freddo e impassibile e continuava a giocherellare coi pochi rubli che aveva in tasca.
«Adesso.» mormorò avvicinandosi alla carrozza.
Lontani da sguardi indiscreti pagarono un "esattore", come l'aveva definito Pavel, con qualche moneta perché non li fermasse e proseguirono cercando di mantenere una certa distanza l'uno dall'altro in modo da non destare sospetti.
La tattica più comune, che Pavel gli aveva consigliato di adottare, era quella di sedersi accanto ad una signora, meglio se addormentata, e fingere di esserne il figlio o il nipote. In questo modo i controllori sarebbero passati oltre senza fare domande.
In definitiva, tutta la faccenda era alquanto pericolosa: chi veniva scoperto rischiava un pestaggio e la reclusione in orfanotrofio, oppure, nella peggiore delle ipotesi, di essere abbandonato sui campi gelati alla mercé delle streghe affamate.
Yuri cercò di scacciare dalla mente la terribile prospettiva e proprio in quel momento individuò una donna assopita sull'ultimo sedile del vagone. Aveva capelli castani che spuntavano come rovi da sotto il cappello e un viso magro e ossuto. Non si assomigliavano, ma ad uno sguardo approssimativo sarebbero potuti sembrare parenti.
Si sistemò accanto a lei, senza far rumore per non svegliarla. L'imbottitura consunta del sedile era la cosa più comoda su cui si fosse seduto durante quei lunghissimi mesi di dura sopravvivenza e il suo corpo reclamò il giusto abbandono del sonno.
Osservò Pavel seduto all'estremo opposto della lunga carrozza; la disposizione dei reciproci posti era studiata per tenere sotto controllo entrambe le porte.
Il corvo fece un gesto d'assenso con la testa.
I suoi occhi erano lontani ed estranei.
Occhi che Yuri aveva già visto in passato.
Inseguì nella memoria quella stessa espressione, ma la ricerca si perse in un dolce torpore prima di essere conclusa e il ragazzino si addormentò.


«Biglietto, signora.»
Yuri si svegliò, dimentico del luogo in cui si trovava.
Il treno sferragliava sotto di lui.
Si voltò.
E non ci mise molto a ricordare.
Davanti a lui c'era un uomo in divisa.
Una guardia.
Il cuore cominciò a galoppare.
Cercò Pavel con occhi terrorizzati.
Il ragazzo era sparito.
«Signora? Mi ha sentito? Devo controllare il suo biglietto.»
Non c'era modo di fuggire: il controllore era proprio di fronte a lui.
L'unica possibilità era che quell'individuo non facesse domande o che la donna, intuendo la situazione e impietosendosi, mentisse per lui.
La signora col cappello si riscosse e recuperò il cartoncino dalla propria borsa.
«Ecco a lei.» disse con pigra ostilità.
Il controllore verificò che il pezzo di carta fosse in ordine.
«Molto bene.» disse subito dopo restituendole il biglietto, «Il bambino… è suo figlio?»
Yuri cominciò a tremare.
Dov'era finito Pavel?
Perché non l'aveva avvisato?
Perché?
E finalmente ricordò.
Mira aveva il suo stesso sguardo il giorno in cui se n'era andata.
La donna esitò per un breve istante.
«No, non lo conosco.» dichiarò confusa.
Yuri alzò lo sguardo sull'uomo.
Un secondo.
Provò a scappare.
Fu inutile.
«Vieni qui, piccolo bastardo!»
Il controllore lo afferrò prontamente.
«Igor!» chiamò a gran voce, «Vieni! Ne ho trovato uno.»


Il clangore metallico del treno sulle rotaie.
«Avanti, cammina! Non ho voglia di trascinarti!»
Il ruggito del grande drago di metallo.
«Lasciatemi stare!!»
«Guarda che strani capelli!»
«No! Lasciatemi!»

... C'è una regola e devi ricordartela: se hai un problema è tuo soltanto. Non verrò una seconda volta in tuo aiuto ...

«Siamo stanchi dei bastardi di strada come te!»
Non c'erano più regole.
Pavel l'aveva abbandonato, così come aveva fatto sua madre, così come aveva fatto Mira.
«Pavel! Pavel, aiutami!»
«Cosa? Diamine, allora ce n'è un altro!»
La prospettiva che anche il corvo venisse catturato apparve piacevole e gratificante.
Lotta.
Freddo.
Follia.
Una porta aperta.
«Fuori di qui!»
«No!!»
Una risata.
«No, vi prego!»


La neve cadeva, fitta.
Neve, vento e ancora neve.
Il treno in corsa si allontanava rumoroso.
Un momento ancora, poi solo il sibilare del vento.
Solo la neve.
Solo il freddo, il dolore.
Binari deserti e nulla all'orizzonte.
Tutto era avvolto nel gelo.

... Dove mi trovo? ...

Neve, vento e ancora neve.
Yuri?
Si voltò di scatto, ma non c'era nessuno alle sue spalle.
Il vento sussurrava il suo nome.
Gioco malvagio.
Solo la neve.
Fa freddo, Yuri?
Sibilò il vento.

... Il vento conosce il mio nome ...

Fa freddo.
Disse il vento
Dormi, Yuri.
Ordinò il vento.
Stanco, il bambino cadde in ginocchio.
Prostrato ai piedi del Dio Inverno.
Il cielo era bianco sopra di lui.
La terra era bianca sotto i suoi piedi.
Fra le sue mani.
Solo il gelo.
Solo il vento.
Le linee scure dei binari si perdevano nell'orizzonte inconsistente.
In quel bianco infinito e impalpabile.
In quel deserto invisibile.





FINE VENTIDUESIMO CAPITOLO, continua...


N.d.A: Come al solito ringrazio tutti voi per il sostegno. Un grazie particolare a tutti coloro che commentano perché spendono qualche minuto del loro tempo per farmi sapere quello che pensano. Le vostre opinioni mi sono sempre utili per andare avanti e fare del mio meglio. Grazie anche a chi ha aggiunto questa storia fra i preferiti o le seguite, grazie di cuore.
Un abbraccio speciale per lexy90 e Ben Huznestova che hanno segnalato questa fanfic perché venisse aggiunta fra le consigliate di EFP per la categoria Beyblade. La storia è stata sottoposta alle dovute analisi, ha superato le verifiche ed è stata aggiunta! Potete quindi trovarla nell'elenco delle "Storie Scelte"! Grazie!

(*) Bambini Fantasma: vi avevo promesso una nota degna di questo nome ed eccola qui. Durante la narrazione si evincono alcuni dei particolari della vita di questi bambini di strada che hanno preso l'appellativo di "bambini fantasma" per via dell'alta mortalità, ma purtroppo il quadro non è completo. Fare un'analisi dettagliata durante la fanfic sarebbe stato fuori luogo, quindi mi permetto di informarvi dei dettagli adesso. Ho appreso della loro esistenza un paio di anni fa, quando avevo già cominciato a scrivere e pubblicare la storia, su una rivista e grazie ad un documentario che ho visto quasi per caso.
I bambini fantasma non esistono solo a Mosca o in Russia, sono ovunque, perché i bambini scompaiono come spettri anche in Italia. Alcuni di loro sono orfani abbandonati a se stessi, alcuni sono scappati di casa per sfuggire alle percorse o da un inferno di droga e alcol, di povertà e di assenze. Sono oltre mezzo milione in Russia, cinquantamila solo a Mosca. Dormono sui convogli, trovano avanzi di cibo. C'è chi beve e c'è chi respira l'odore della colla spalmata in una busta... per drogarsi, per perdere i sensi e dimenticare; c'è chi si vende per poco. I più piccoli scelgono rotte metropolitane, i più grandi arrivano fino in Mongolia, in Siberia. Se sorpresi, vengono picchiati, buttati giù dal treno e lasciati al loro destino nei campi ricoperti di neve. I bambini dei treni non si devono vedere. Muoiono assiderati.
I numeri sono impressionanti. Le storie assurde, toccanti, incredibili.
Io ho usato tutto questo in modo parziale, in un modo che ho creduto consono e adatto alla storia che sto scrivendo, e che si potesse legare all'infanzia di Yuri senza esagerare e che spiegasse così l'importanza che hanno alcune cose per il personaggio.
Per chi fosse interessato a saperne di più può leggere questo articolo o cercare su google.


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 23
*** IL COGNOME ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo VENTITREESIMO: Il COGNOME





La neve cadeva implacabile.
Una sottile linea di luce divideva il cielo dalla terra.
Due opposti ormai bianchi e indistinguibili.
Il vento sibilava parole, nomi.
Filastrocche di morte.
La stanchezza ebbe il sopravvento.
E così il sonno e il desiderio di abbandono.
Camminare non aveva alcun senso.
Respirare non aveva alcun senso.
Il bambino cadde in ginocchio.
Prostrato ai piedi del Dio Inverno.
Il dolore e il gelo apparvero piacevoli.
Era stato cacciato dal branco.
In quel deserto di neve gli parve di essere finalmente a casa.
Ecco, il momento era finalmente giunto.
Yuri sarebbe divenuto neve.
Puro potere.
Puro terrore.
Per paura e per vendetta.
Qualcosa lo colpì.
Rumore e graffi.
Sollevò la testa.
E i suoi occhi azzurri incontrarono il giallo delle iridi animali.
Un lupo dal manto grigio lo stava fissando incuriosito.
Un latrato, un ululato.
Il rumore del vento svanì.
Guardò meglio.
Gli occhi della bestia ora erano diversi.
Comuni, marroni e tristi.
Neve, vento e ancora neve.
Pensare non aveva alcun senso.
Si abbandonò al sonno.

«Dannata bestiaccia!! Cos'hai da abbaiare tanto? Che diavolo hai trovato?!»

Yuri aprì gli occhi.
Fiamme rosse danzavano davanti a lui.
«Non possiamo tenerlo, Stephan.» disse la donna.
«Ancora mi domando come abbia fatto a fiutarlo da qui.» fece l'uomo.
Due figure sedute accanto al fuoco proiettavano ombre sul pavimento di una povera e tiepida casetta.
Si trovava in un letto o qualcosa di molto simile.
Non aveva importanza, era la cosa più comoda e calda in cui avesse mai dormito.
C'era un cane sdraiato accanto a lui che contribuiva a riscaldarlo col corpo dal pelo ispido e folto.
«Se ascoltassi me e non il cane qualche volta... adesso non avremmo questo problema.»
«Che cosa ci potevo fare? Ha cominciato a grattare la porta come un indemoniato, l'hai visto no? L'avrebbe buttata giù pur di uscire! Ha corso come se avesse avuto tutti i demoni dell'Inferno alle calcagna! Si è fermato solo quando ha trovato il ragazzino vicino ai binari della ferrovia.»
«E tu hai dovuto camminare per più di un chilometro nel bel mezzo della tormenta. Parola mia, Stephan, tu sei matto come un cavallo! I tuoi vestiti sono fradici! Guarda!»
«Hai ragione tu... non possiamo tenerlo.»
«Certo che ho ragione. Di che vivrà stando qui? Non possiamo mantenerlo. E poi non voglio per casa uno di quei piccoli orfani vagabondi! Chissà quali malattie si porta addosso.»
«Non mi sembra malato.»
«Non sarà malato, ma è magro come un chiodo... ed è sporco. È più sporco di quel pazzo del tuo cane!»
«Non l'ha perso di vista un momento da quando l'ha trovato.» constatò Stephan meravigliato.
«Puoi portarlo in quel monastero di cui si sente parlare ultimamente. Ho sentito che i monaci danno del denaro a chi lascia i bambini...»
«Dei soldi per quel mucchietto d'ossa?» rise l'uomo, «Non essere sciocca, donna! Sempre a pensare al denaro!»
«Penso a cosa fare per vivere, Stephan. Il raccolto di quest'anno non ci ha fruttato molto e Dio sa come supereremo l'inverno! Porta il bambino in quel monastero e fatti dare dei soldi!»
«Va bene, va bene.» si arrese l'uomo.
«Si è svegliato.» gli fece notare la donna.
«Hai fame, ragazzo?» chiese Stephan riempiendo una ciotola con della brodaglia fumante che ribolliva sul fuoco.
Yuri si sollevò a sedere, guardandoli entrambi con occhi spiritati e diffidenti.
«Tieni, mangia.» disse l'uomo allungandogli la scodella e una grossa fetta di pane.
Il cane alzò la testa e annusò l'aria leccandosi i baffi.
«Non è per te, bestiaccia!» lo sgridò l'uomo affettuosamente, «Avanti prendila, non avere paura.»
Yuri afferrò la ciotola con frettolosa violenza, si voltò, dando la schiena all'uomo e mangiò così velocemente che Stephan credette che si sarebbe strozzato.
«Piano, piano! Ce n'è ancora se ne vuoi.»
Dopo la terza scodella, Yuri percepì un piacevole torpore pervadergli le membra e le palpebre si abbassarono anelando un sonno tranquillo. Concesse l'ultimo boccone del suo piatto al cane che masticò felice prima di sdraiarsi nuovamente al suo fianco e leccargli le mani.
«Come ti chiami?» chiese Stephan.
«Yuri.»
«Solo Yuri? Avrai un cognome, immagino.»
«Non lo so... non me lo ricordo.» biascicò addormentandosi.
«Come è possibile?» domandò la donna scettica.
Stephan alzò le spalle, «Pensi che a quei monaci importi qualcosa?»
«Potrebbero volere qualche informazione... o addirittura qualche documento.»
«Non essere sciocca, cosa credi che...»
«Zitto!» squittì lei; si alzò dalla sedia e prese un libro da un ripiano, «Se non ha un cognome gliene troveremo uno.»


«Mi raccomando, ricorda: il tuo cognome è Ivanov.» disse Stephan sistemandogli il berretto sulla testa. Era troppo grande, così come tutto quello che aveva addosso, ma non poteva lamentarsi: quell'uomo e sua moglie l'avevano sfamato e gli avevano dato dei vestiti puliti.
La prospettiva di vivere in un monastero non lo faceva impazzire di gioia, pensò, guardando le mura e il grande cancello che dividevano il resto del mondo da quel luogo di cui non sapeva nulla.
Il Monastero Vorkof aveva un'aria austera e imponente.
«Senti.» disse Stephan, «Non ho la più pallida di come andranno le cose da ora in avanti per te in questo posto, ma... puoi sempre scappare se non ti piace.»
L'uomo sorrise, cercando di sdrammatizzare e di convincersi segretamente che quella era la soluzione migliore per tutti.
«Non penso che lo farò.» rispose Yuri seriamente.
«Come fai a saperlo?»
Il ragazzino si voltò ad osservare l'edificio. Un monaco si stava avvicinando al cancello.
«Perché nessun posto può essere peggiore della strada.»


* * *

Era una notte fredda.
Una di quelle che ti fanno desiderare di essere altrove.
In un luogo lontano.
Al di là del gelo e del dolore.

Kai si avvicinò al letto, dopo aver chiuso la porta di quella stanza con cautela.
Il ragazzino continuava a dormire, dimenandosi per terra, vicino al letto.
Aveva i capelli rossi.
«Vi prego...» mugolò per l'ennesima volta,
Se fosse riuscito a farlo stare zitto, forse le guardie non sarebbero accorse e il suo sogno di impadronirsi di Black Dranzer non si sarebbe infranto.
Una debole luminescenza si diffondeva nella stanza a causa dei raggi diu luna che si riflettevano sulla neve.
La neve rendeva sempre tutto irreale.
«No! Cadrò dal treno...» disse ancora, agitandosi.
Doveva svegliarlo per farlo tacere, anche se, di conseguenza, ciò avrebbe comportato una marea di fastidi e domande.
«Svegliati!» sussurrò dandogli un piccolo colpo sulla spalla.
Senza alcun preavviso il ragazzino coi capelli rossi si aggrappò al suo braccio, svegliandosi di colpo: «Non buttarmi giù, ti prego! Morirò...»
Kai gli premette una mano sulla bocca afferrandolo perché non sfuggisse alla presa.
Si guardarono stupiti; gli occhi azzurri del primo erano riflessi in quelli purpurei del secondo.
«Se non taci, ti ammazzo io, idiota!» sillabò in giapponese, senza rendersene conto, cosa che non fece che preoccupare il suo prigioniero che non aveva evidentemente capito una parola e lottava per liberarsi.
«Zitto, dannazione!» gli ordinò Kai nelle poche parole della lingua russa che riusciva a pronunciare discretamente.
Il ragazzino spalancò gli occhi e si guardò intorno, come se fosse sorpreso, il petto scosso dal fiato corto dello spavento.
Kai gli intimò il silenzio con un gesto e molto lentamente tolse la mano dalla sua bocca.
«Chi sei?»
«Non ha importanza, ascolta...»
Kai aveva iniziato a parlare ma si fermò: aveva sentito dei passi nel corridoio.
«Le guardie. Cercano te?» chiese l'altro avvicinandosi alla porta e appoggiandovi sopra l'orecchio.
«I corridoi erano deserti prima che tu ti mettessi ad urlare come un pazzo!» bisbigliò il giapponese.
Il rumore dei passi si fece più forte e nitido, i due ragazzini stettero in silenzio, tesi.
«È questa?»
«Sì, quel bambino urla sempre.»
«Non sento niente, forse si è calmato.»
I passi si avvicinarono sempre di più fino a fermarsi proprio di fronte alla porta; Kai notò che il ragazzino aveva cominciato a tremare come una foglia.
«Ha smesso.»
«Andiamocene, inutile rimandare oltre la tua sconfitta.»
«La partita non è ancora finita.»
«Non mi hai mai battuto!»
Le voci scemarono.
«Ora posso sapere chi sei?» chiese di nuovo con voce incerta.
«Kai Hiwatari.» si presentò svogliatamente l'intruso.
«Io sono Yuri. Yuri Ivanov. Cosa ci fai qui?»
«C'è un beyblade che voglio lanciare.» confessò con un lampo negli occhi, «Tu perché gridavi in quel modo? Avevi un incubo?»
«Sì, tutte le notti, ma... Dimmi del beyblade!» disse Yuri cambiando argomento.
«Prometti di non dirlo a nessuno.»
«Te lo giuro.»

Yuri mantenne il segreto.
Il furto di Black Dranzer venne rinviato di qualche giorno in cui Kai continuò a far visita a Yuri.
Il potere della trottola prevalse sul piccolo Kai, che perse la memoria, dimenticando la sua esperienza in Russia fino a quando, durante il primo torneo mondiale di beyblade, i due ragazzi si incontrarono per la prima volta dopo tanto tempo...


* * *

Il sole non era ancora sorto, ma la luce del mattino imminente già riscaldava e colorava l'aria.
Kai, seduto, fissava l'amico dormire.
Il sonno di Yuri era ancora tormentato da terribili incubi, anche se definirli tali non era corretto.
Erano la realtà.
Si avvicinò e toccò Yuri su una spalla.
«Svegliati.»
«Devi... migliorare in delicatezza.» disse il russo massaggiandosi l'arto.
«Svegliati.»
«Sono sveglio.» sbadigliò.
«Allora dammi una risposta.»
«Di cosa stai parlando?»
«Del Giappone.»
«Avevi detto che ci potevo pensare.»
«Non c'è più tempo, Yuri.» disse Kai, voltandosi ad osservare la stanza.
Era piena di neve.






FINE VENTITREESIMO CAPITOLO, continua...


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Capitolo 24
*** LA SFIDA ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo VENTIQUATTRESIMO: LA SFIDA




Poteva essere un'ottima giornata...
Il sole, con la sua luce e il suo timido calore, aveva dato la speranza di poter finalmente vincere le nuvole.
...ma non lo sarebbe stata.
Cumuli carichi di pioggia si erano ridestati.
Roboanti, prepotenti e villani, ne fagocitarono i deboli raggi.
«Non c'è più tempo, Yuri.» disse Kai, voltandosi ad osservare la stanza piena di neve.
Yuri la fissò, impietrito.
Scese dal letto, come se muoversi fosse di qualche utilità.
I piedi, al contatto con il ghiaccio, lo fecero rabbrividire.
«Dobbiamo farla sparire!» disse concitato.
«Perché? Hai paura che qualcuno la veda?» insinuò spiritosamente Kai, contento del fatto che il russo non ricordasse come si fosse dissolta la prima volta.
«Non voglio che Boris o Sergej facciano altre domande.» spiegò mentre si chinava e cercava di ammucchiarne un po' con le braccia, «Vuoi aiutarmi o no?»
«Una persona normale troverebbe questa scena assurda.»
«Perché lo è!» abbaiò il russo.
«Boris e Sergej non sono degni della tua fiducia?» chiese malevolo Kai, alzandosi per dargli una mano.
Yuri si bloccò, pulendosi le braccia.
«Loro posso andarsene quando vogliono.»
«E tu no?»
«No. È questa casa mia.»
«Quindi... non riesci a fidarti di loro perché potrebbero abbandonarti?»
Il cielo tuonò ed improvvisamente fu tutto più buio.
Yuri riconobbe solo in quel momento la verità.
I suoi reali pensieri parvero avere una forma concreta solo quando le parole presero corpo nella bocca del giapponese.
«Pensala come vuoi!» disse stizzito, senza guardarlo e andò a sedersi nuovamente sul materasso, «Sei l'ultima persona al mondo che possa farmi una ramanzina sulla fiducia.»
Kai ignorò le sue ultime parole.
«E la tua fidanzata? Non hai paura che anche lei possa abbandonarti?» chiese con estrema semplicità.
Yuri si passò una mano fra i capelli rossi, poi sul viso.
«No, perché non è la mia fidanzata.» rispose infastidito.
«Già.» sorrise Kai, prendendo posto accanto a lui, «Quello che non hai non può lasciarti.»
Yuri sollevò la testa e guardò il compagno con stupore e risentimento.
Un lampo attraversò le sue iridi azzurre.
Un impeto di rabbia simile a quello che squarciava il cielo.
Aprì la bocca, pronto a controbattere, ma fu qualcun altro a parlare.
«Mi sono perso qualcosa?»
Sulla porta c'era Boris.
Li fissava ironico e minaccioso, evidentemente sconvolto da ciò che poteva osservare in quella stanza.
Il ragazzo aveva un insolito e scomodo talento, quello di essere nel posto sbagliato nel momento meno appropriato.
E, sfortunatamente per Yuri, non era l'unico a possederlo.
«Ti abbiamo portato la colazione!»
Sergej piombò nella stanza scortato da una decina di ragazzini fra cui spiccava Catrina, che reggeva un vassoio.
L'euforia del biondo si spense non appena si rese conto dello strambo spettacolo che aveva davanti: Yuri e Kai sullo stesso letto attorniati dalla neve.
«Che cosa sta succedendo qui?»
«Guardate! La neve!» strillarono i bambini meravigliati.
«Che bella!»
«Chissà come ha fatto ad arrivare qui!»
«È quello che stavo cercando di capire anch'io!» disse Boris, aspro, fissando Kai con un chiaro intento accusatorio.
«Perché quando c'è qualcosa di strano dai per scontato che la colpa sia mia?» chiese quello al limite dell'indifferenza, sovrastato dagli strilli dei bambini che smaniavano per cominciare una battaglia a palle di neve.
«Possiamo giocare, possiamo?»
«No, ragazzi, uscite subito, i grandi devono discutere.» disse Sergej cercando di farli uscire fra le ovvie e prevedibili proteste.
«Perché lo zio Yuri e quel signore dormono nello stesso letto?» domandò ingenuamente Catrina.
Ci fu un attimo di silenzio in cui i quattro blader si guardarono fra loro.
Chi con allarme, chi con sufficienza.
«Adesso basta con le domande!» alzò la voce Sergej prima di afferrare la bambina e coprirle gli occhi con una delle sue grandi mani.
«Non vedo niente!» si lamentò lei.
«Tutti fuori! Forza!»
«Sergej ti sei bevuto il cervello?!» ringhiò Yuri, mentre i ragazzini inveivano contro la porta che veniva loro chiusa in faccia.
«Noi dobbiamo parlare!» annunciò il biondo con solenne autorità, «È ora che ci spieghiate qualcosa su tutta questa faccenda!»
«Perché c'è una riunione di condominio nella tua camera, adesso?» chiese Kai a Yuri, vagamente annoiato, come se gli altri due non fossero presenti.
Boris si accigliò: «Perché ci sei tu nella sua camera, piuttosto!?»
«Potrei farti la stessa domanda.» lo rimbeccò Kai.
«Io vivo qui!» sbandierò il russo avanzando nella neve.
«In questa stanza? Ti piacerebbe... mogliettina.»
«Tu!! brutto...»
«Piantatela!» li ammonì Sergej e Boris dovette contenere la sua furia.
Yuri sospirò.
E tremò.
Un tremore appena percettibile dall'esterno.
Si agitava sotto la pelle.
Nello stomaco.
«Hiwatari mi ha chiesto di andare in Giappone con lui.» confessò.
«Cosa?!» esclamò Sergej.
«In Giappone?» domandò Boris incredulo, come se fosse la cosa più assurda che avesse mai sentito, «Perché devi andare in Giappone?» ripeté come un pappagallo, sedendosi sul letto accanto a lui.
«La cosa si sta facendo troppo promiscua anche per me.» disse Kai alzandosi e raggiungendo la parete opposta dove potersi appoggiare e osservarli.
Boris lottò per non aggredirlo ancora: «Yuri non lascerebbe mai Mosca!»
«Io credo ci sia qualcosa di molto più importante di cui occuparsi!» propose Sergej indicando la neve, «Dovevi aiutarlo!» accusò, rivolgendosi a Kai che si difese con tranquillità.
«È quello che sto cercando di fare.»
«Non mi pare!» contestò Sergej.
Boris ne approfittò: «Dovete smetterla di nasconderci quello che...»
Un tuono.
«Zitti!»
Era la voce di Yuri?
Era la voce di Yuri quel grido inumano?
Quel grido che pareva trovarsi oltre lui.
Oltre il suo corpo.
«Non vi sopporto.» aggiunse, alzandosi.
Sergej rabbrividì.
Era lo stesso verso bestiale con cui Yuri l'aveva allontanato da sé nel bosco, davanti alla grossa buca.
Boris rimase immobile trattenendo il fiato, senza avere il coraggio di muoversi, pur avvertendo il pericolo.
Yuri sollevò lo sguardo e fissò Kai.
Azzurro e porpora.
Un altro tuono e poi la pioggia.
Un'ombra saettò nel suo sguardo.
E tutto tornò normale.
«Voi... voi non fate altro che scaricare su di me il peso di tutto. Mi soffocate! Non fate altro che parlare! Lamentarvi. Tutto quello che ho fatto... tutti i miei sforzi... In Giappone c'è la possibilità di ottenere dei finanziamenti per salvare il monastero. La scelta di andare o meno è solo mia. Avete... avete paura che io vi lasci perché senza di me non siete niente!» ansimò, sembrava non vederli, «Senza di me questo posto non ha nessuna speranza. Come tutti voi.»
Calò il silenzio, interrotto solo dal suo respiro.
Dalla pioggia sottile.
«Queste non sono parole tue.» sussurrò Sergej.
Boris scosse la testa.
«Fa male.» intervenne Kai, «Ma è la verità. Dovete riconoscerlo.»
«Sei risentito e spaventato.» considerò il biondo, cercando di ragionare, «È normale che...»
Boris uscì sbattendo la porta.
Sergej continuò: «Nessuno avrebbe mai dovuto sopportare tutto quello che hai sopportato tu. Ma non possiamo rinfacciarci ogni cosa. La tua salute è la cosa più importante.»
Yuri non rispose e il ragazzone biondo ebbe il tempo di rendersi conto di quanto poco lui stesso credesse nelle sue parole.
Che fine avrebbero fatto?
Cosa ne sarebbe stato dei bambini?
«Una sfida.» disse Hiwatari.
«Cosa?»
«Una sfida di beyblade fra me e Yuri.» propose Kai, «Se vinco io, verrai in Giappone. Se vinci tu...»
«Stai scherzando?» sillabò Yuri.
«Affatto. Ne approfitteremo per verificare in che condizioni è il tuo Wolborg e capire qualcosa di più.»
Si fissarono.
Sergej era rimasto a bocca aperta.
La pioggia batteva sui vetri.
«E sia.» acconsentì Yuri.






FINE VENTIQUATTRESIMO CAPITOLO, continua...

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Capitolo 25
*** UNA VIGLIACCA ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo VENTICINQUESIMO: UNA VIGLIACCA




Raggiunsero l'arena esterna.
Yuri stringeva fra le mani Wolborg.
La pioggia cadeva fine, tagliando l'aria come infiniti e sottilissimi fili di nylon che riflettevano un tenue bagliore.
Il ragazzo guardò il suo beyblade.
Era tutto irreale.
Ironico.
Disperato.


* * *

Irina fissava la pioggia che cadeva fine e sembrava tagliare l'aria dal cielo, come tanti fili di nylon.
Strinse attorno alle spalle la coperta e si sedette sul letto, fissando la finestra.
Era tornata a casa nel pomeriggio.
Le sue sorelle non facevano altro che chiederle se stava bene o se aveva bisogno di qualcosa, preoccupate per la sua salute.
Fisica e mentale.
Molte madri dopo il parto cadono in depressione.
Ma lei non era una madre, perché non aveva un figlio.
La coppia americana aveva versato sul conto il resto della cifra pattuita.
Ad Irina sembrò che il mondo si muovesse in blocchi.
Spostamenti meccanici basati sul calcolo di cause ed effetti.
Il suo corpo era cambiato.
Bambini. Figli. Blocchi in movimento.

«Io le avevo detto di non farlo! Hai visto che faccia ha?! Non ha detto una parola da quando...»
«Smettila! Dovremmo solo essere riconoscenti. Lo ha fatto per noi. Pensa a quanto deve soffrire. Dobbiamo aiutarla a superare questo momento difficile...»
«È proprio per questo che sto dicendo che non avrebbe dovuto.»
«Mi sembra un po' tardi per questi discorsi!»
«Scusa tanto se mi preoccupo per mia sorella!»
«Cosa credi, che anche io non sia in ansia?»

Le voci di Katia e Sofia arrivavano distorte e attutite attraverso la porta.
Irina non avrebbe mai voluto fare una cosa del genere.
Era stata colpa di una serie di coincidenze.
Una coppia infelice.
La promessa di una somma di denaro che avrebbe permesso di risolvere molti problemi.
Una via di fuga.
Irina voleva scappare.
Isolarsi.
Rimanere sola.
Era stata scelta per i ricci capelli dorati, per gli occhi azzurri, per il viso aggraziato.
Perché era bella.
Ma la bellezza non le aveva portato altro che guai in quel mondo.
La bellezza era l'unico motivo per cui i ragazzi la avvicinavano e si interessavano a lei.
Era una sensazione gratificante, ma alla lunga aveva finito col detestarla.
Oltre il suo affascinante visino non erano capaci di vedere altro.
Si permettevano di trattarla come una bambola senz'anima, senza pensieri.
Senza sentimenti.
E così aveva fatto anche Nicolaj, l'ultimo di una lunga lista di giovani per cui aveva perso inevitabilmente la testa.
Il copione si era ripetuto, come uno spettacolo dalle repliche infinite.
Era stanca di cadere in quella trappola.
Voleva solo andarsene.
Solo essere rispettata.
Poi era arrivato Yuri.
Il modo in cui la guardava le era sembrato lo stesso con cui tutti gli altri l'avevano guardata prima.
Un modo che ormai le dava la nausea.
E Yuri era bello.
Bello e con un sacco di guai.
Come Nicolaj.
Come altri prima di lui.
Se si fosse tenuta alla larga dal pericolo non avrebbe sofferto e lo spettacolo non si sarebbe ripetuto.
La proposta della coppia americana era solo arrivata nel momento giusto.
Una scappatoia.
Un'assurdità.
Una cosa stupida.
Se fosse diventata grassa e brutta, gravida del figlio di uno sconosciuto, l'avrebbero lasciata in pace.
Avrebbe avuto il tempo di pensare.
Di crescere.
Di smettere di essere una volubile ragazzina.
Di trasformarsi in una donna.
E così fu.
Nicolaj era sparito più velocemente delle sue aspettative, portando con sé i suoi problemi.
Ma Yuri...
Yuri era rimasto.
Dimostrando quando in realtà lei si fosse sbagliata nel giudicarlo con superficialità.
Si era comportata con lui nello stesso modo in cui gli altri avevano fatto con lei.
Non era stata capace di vedere oltre.
Aveva fatto di tutto per allontanarlo, e adesso, sola e vuota, si rendeva conto di quanto avesse perso.
Quando gli aveva confessato ciò che aveva intenzione di fare, era rimasta in attesa, aspettando con un sottile piacere autolesionista di vedere sul suo volto quell'espressione di sorpresa e disgusto che era già comparsa in precedenza sulla faccia di Nicolaj.
Ma le cose non erano andate come aveva previsto.
Yuri l'aveva fissata per un tempo infinito, aveva abbassato lo sguardo e si era stretto nelle spalle, come se quella notizia non lo avesse sconvolto più di tanto.
Come se per lui potesse esistere qualcosa di molto peggiore.
«Hai paura?» le aveva chiesto.
E l'aveva stupita.
Ma lei, ancora, come una stupida, l'aveva respinto.
Commettendo l'ennesimo errore.
E adesso?
Adesso che si era resa conto di desiderare come mai gli era accaduto prima il timido, sincero amore di Yuri...
Era forse troppo tardi?
Strinse le braccia attorno a quel corpo che sentiva così diverso.
Blocchi in movimento.
Lento.
Calcolato.
Nulla era cambiato.
Irina non si era mai mossa.
Come una viaggiatrice senza meta, senza strada.
Una madre senza un figlio.
Era solo una vigliacca.





FINE VENTICINQUESIMO CAPITOLO, continua...


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Capitolo 26
*** GHIACCIO E FUOCO ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo VENTISEIESIMO: GHIACCIO E FUOCO




Neve, vento e ancora neve.
I fiocchi cadevano senza sosta.
Meravigliosi.
La finestra era spalancata.
Un pezzo di stoffa.
La tenda consumata.
Si sollevava mossa dall'aria gelida.
La neve entrava nella stanza fluttuando leggiadra.
I fiocchi si posavano sul pavimento, impadronendosene.
Illuminati da una luce fredda e spettrale.
Il riflesso di un riflesso.
Come un fantasma...


«Ah...»
Yuri tese la mano verso il cielo, come a volerlo toccare, come per afferrare qualcosa di invisibile.
Kai corse verso di lui e si inginocchiò accanto al corpo del moscovita.
«Yuri!!» urlò, ma il ragazzo non sembrò sentirlo.
Continuava a fissare il cielo bianco sopra di lui.
La pioggia lavò dal suo viso il rivolo di sangue che gli colava dal naso.
«Perché...»
«Yuri! Guardami!» disse Kai prendendogli il viso fra le mani per costringerlo a voltarsi e incontrare i suoi occhi.
Era ghiacciato.
Yuri era pallido, la sua pelle fredda.
Gli occhi vaghi e spenti.
Kai imprecò.


Una finestra lasciata aperta in pieno inverno.
Una casa deserta. Vuota.
... È forse questa la mia casa? ...
Una casa fredda in cui non abita nessuno.


* * *

Boris stava misurando a grandi passi il cortile per smaltire la rabbia, quando le sue violente riflessioni furono interrotte da grida eccitate di bambini.
I ragazzini incuriositi avevano infatti seguito Sergej, Yuri e Kai, dopo aver appreso che stava per svolgersi un incontro di beyblade.
Come spesso accadeva di fronte ad un'inaspettata novità, i pensieri del giovane russo cambiarono repentinamente direzione e l'ira sembrò dissolversi nel nulla.
«Che succede?» aveva chiesto avvicinandosi a Sergej che raccontò per sommi capi perché Kai avesse sfidato Yuri.
«Non dirai sul serio!» aveva esclamato, «È una follia! Non possono decidere una cosa del genere con un incontro di bey!»
«Una volta lo facevamo...»
«Non siamo più ragazzini, Sergej! E poi da quanto tempo Yuri non lancia Wolborg?! Non può essere certo all'altezza di un... Ma certo! È per questo! È per questo che Hiwatari l'ha sfidato!»
«Che vuoi dire?»
«Per qualche motivo Hiwatari è determinato a portare Yuri in Giappone. Non avrebbe mai proposto di risolvere tutto in questo modo se non fosse sicuro di vincere!»
Kai e Yuri avevano raggiunto la grande arena di pietra del cortile, accompagnati dal gruppo di bambini che aumentava gradualmente.
Come se emergessero dai mattoni dell'edificio che incombeva su di loro.
Uno spettro senza ombra sotto la pioggia sottile.
«Boris...» aveva sospirato Sergej dopo una lunga pausa, «...credo proprio che questo Yuri lo sappia già.»
Un grido di meraviglia aveva messo fine alla loro discussione.
I blader avevano lanciato le loro trottole.

Lo scontro era cominciato in sordina, con i due beyblade che ruotavano a vuoto nell'arena, concedendosi dei brevi e tiepidi contatti di quando in quando, come in un incontro fra principianti.
Dranzer scivolava pigramente sulla pietra, limitandosi ad attaccare Wolborg senza reale intenzione; il bey del russo rimaneva in attesa sul fondo della conca e non rispondeva ai colpi inferti che riusciva a schivare senza troppi problemi.
Kai e Yuri si erano scambiati una sola occhiata prima di effettuare il lancio, poi, senza dirsi nemmeno una parola, avevano allestito uno spettacolo soporifero di comune accordo.
«Ma che diamine combinano?!» aveva esclamato Boris appena prima di ricevere una poderosa ed eloquente gomitata dal ragazzone biondo accanto a lui.
Alcuni dei ragazzini avevano infatti cominciato a spazientirsi.
Poco alla volta, la maggior parte di loro perse l'iniziale interesse e decise di tornare all'interno dell'edificio.
Sergej convinse gli ultimi spettatori rimasti a fare altrettanto con la minaccia di una brutta influenza che avrebbe colpito tutti se avesse continuato a stare sotto la pioggia.
«Ecco fatto.» aveva detto tornando al fianco di Boris.
Liberati dal pubblico invadente, i due contendenti iniziarono finalmente a fare sul serio.
«Da quanto tempo non lanci un bey?» aveva chiesto Kai con una sfumatura di folle gioia nella voce.
«Si potrebbe dire da una vita intera!» aveva risposto Yuri con la stessa eccitazione.
La rotazione di entrambe le trottole aumentò di intensità, tanto da sollevare l'acqua accumulata sul fondo dell'arena.
Sembrava che il tempo non fosse mai passato.
La potenza degli attacchi di Kai si era fatta devastante.
Forse più di quando lo avevano visto in azione l'ultima volta durante i campionati mondiali.
Ma la tecnica e la resistenza di Yuri non erano state piegate dagli anni trascorsi.
Collisione.
Schizzi di scintille.
Lame di vento.
L'onda d'urto prodotta nel preciso momento in cui Dranzer e Wolborg entravano in contatto era così intensa da costringere Sergej e Boris a seguire lo scontro da diversi metri di distanza.
Boris comprese quanto fosse stato previdente da parte dei compagni evitare che i bambini assistessero da così vicino.
Però, nonostante l'incredibile violenza esternata da entrambi, i blader sembravano mantenere il livello dell'incontro entro un limite stabilito.
Non erano ancora ricorsi al potere dei rispettivi Animali Sacri.
La Fenice Rossa, dominatrice del fuoco.
Il Lupo d'Argento, padrone del ghiaccio.
I poli opposti della medesima forza millenaria.
Kai, in particolare, era il più restio fra i due a portare a termine con la dovuta determinazione i suoi attacchi.
Soltanto allora Boris si rese conto dell'evidenza dei fatti.
Hiwatari stava solo giocando.
Come il gatto con il topo.
Tutti i suoi attacchi non erano volti ad annientare l'avversario.
A piegarlo con brutalità per giungere all'agognata vittoria.
A Kai vincere non interessava affatto.
Almeno non più di quanto gli premesse provocare Yuri.
La differenza fra i due era ormai palese.
Kai stava mettendo alla prova Yuri.
Ma perché?
Yuri aveva gridato, rabbioso.
«Se vuoi che lo faccia non hai che da chiedere!»
«Mi chiedevo quanto ancora mi avresti fatto aspettare!»
Yuri aveva allora fatto ricorso a tutta la sua energia, evocando il BitPower.
La superficie dell'arena era divenuta ghiaccio.
Un'esplosione di luce e vento.

Fu allora che avvenne qualcosa di terribile e inaspettato.

Ghiaccio e Fuoco.
Due ombre al di là della luce.

Boris dovette chiudere gli occhi per non esserne accecato.


* * *


«Yuri! Guardami!» urlò Kai cercando di riportarlo alla realtà.


Una finestra lasciata aperta in pieno inverno.
Una casa deserta. Vuota.
... È forse questa la mia casa? ...
Una casa fredda in cui non abita nessuno.


«Perché...» sussurrò Yuri.

Neve, vento e ancora neve.
Il riflesso di un riflesso.
Il fantasma di un'altra vita.
Irreale.
Ironico.
Disperato.

«Perché é tutto così freddo?»







FINE VENTISEIESIMO CAPITOLO, continua...


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 27
*** L'ANIMA IMPRIGIONATA ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo VENTISETTESIMO: L'ANIMA IMPRIGIONATA





... «Luce, una luce accecante, come un lampo... e ghiaccio. Yuri era in piedi circondato dal ghiaccio, aveva riempito tutta quella buca. Il beyblade roteava davanti a lui emettendo un intenso bagliore bianco, senza che avesse dovuto lanciarlo. Non sembrava pienamente cosciente, ma aveva gli occhi aperti. La fronte gli brillava e fissava Vorkof con odio...» ...


* * *

Segrej aveva capito che in quell'evocazione c'era qualcosa di strano.
Di sbagliato.
Qualcosa a cui aveva, in parte, già assistito.
Kai aveva lasciato un varco nella sua difesa in modo troppo evidente e Yuri si era avventato su di lui con una violenza improvvisa e irresistibile.
Un lampo.
Uno scoppio di energia.
Il Lupo d'Argento si era manifestato in tutto il suo terrificante potere.
Dranzer non aveva reagito e la Fenice Rossa non era intervenuta in aiuto del suo possessore.
Ma, prima che i due beyblade fossero entrati in collisione, il Lupo si era dissolto per divenire luce.
La stessa luce che illuminava la fronte di Yuri.
La stessa che Sergej aveva visto in quella notte di neve anni prima.
Un secondo dopo non era più stato in grado di vedere nulla.
Limbo.
Linee.
Contorni.
Paura.
Due punti scuri nella luce.
Bianco.
Ricordi.
Dolore.
Un attimo di sospensione.
Una spinta.
Un salto.
Ed erano stati scaraventati lontano.
Anime trascinate con facilità.


* * *

... «Sergej, cosa c'era nella luce? Lo ricordi?»
«Nella luce? Non ho visto nulla...»
«No, certo, non avresti potuto...» ...



* * *


Boris e Sergej correvano verso quella che poco prima era stata l'arena del cortile, il centro dello scontro, dell'esplosione.
Si erano rialzati fra i detriti e la polvere che impediva loro di vedere, cercando di orientarsi in quel caos seguendo la voce di Kai che ripeteva, invano, il nome di Yuri.
Tossirono, avvicinandosi e chiamando a loro volta il capitano.
La pioggia lavò loro la terra di dosso e diradò pian piano la polvere nell'aria.
L'arena non c'era più.
Al suo posto solo terra e pietre.
Yuri era steso a terra.
Kai corse verso di lui e si inginocchiò accanto al corpo del moscovita.
«Yuri!!» urlò, ma il ragazzo non sembrò sentirlo.
Fissava il cielo bianco sopra di lui.
«Yuri! Guardami!»



... Una finestra lasciata aperta in pieno inverno.
Una casa deserta. Vuota.
La casa in cui era stato abbandonato.
Una casa fredda in cui non abita nessuno ...


Kai poggiò un orecchio sul suo petto.
Il suo cuore...
Il suo cuore batteva così lentamente.
Batteva appena.
«Perché...» disse Yuri guardando verso l'alto: verso il cielo, verso il bianco.
«Rispondimi razza di idiota!» urlò il giapponese esternando la propria paura, cercando di risvegliarlo da quello stato, «Che cosa diavolo ti è saltato in mente?! Volevi ucciderci entrambi!? Rispondi, maledizione!!»


... Neve, vento e ancora neve.
I fiocchi cadevano senza sosta.
Meravigliosi.
Illuminati da una luce fredda e spettrale ...


Yuri tremò.
Le sue lacrime si unirono alla pioggia.
La pioggia è la dimostrazione dell'impotenza degli uomini.
L'acqua cade dal cielo.
Niente può fermarla.
Nessuno è padrone della pioggia.
La pioggia produce il senso dell'impossibilità.
Della prostrazione.
«Perché é tutto così freddo?» disse Yuri in un soffio.
«Yuri!»
Tutto così freddo...
Era il momento di abbandonarsi?
Così freddo...
Di lasciarsi andare?
Freddo...

Kai afferrò Yuri per le mani.
Chiuse gli occhi.
Era lì.
L'anima di Yuri, debole e lontana.
Sarebbe bastato un alito di vento per farla volare via.
Si sarebbe persa per sempre.
Intrappolata nel ghiaccio.
Il panico lo invase.
Non aveva mai pensato che sarebbero potuti arrivare fino a questo punto.
Potevano dunque spingersi così lontano?
Poi, così come era arrivata, l'angoscia se ne andò, lasciando spazio ad una inaspettata consapevolezza.
Sapeva esattamente cosa fare.
Chinò la testa su di lui.
Appoggiò la fronte sulla sua.
Doveva sciogliere la prigione di ghiaccio.
«Suzako... aiutami...»
Per un secondo ebbe la sensazione di trovarsi all'interno di una casa piena di neve.
Una casa che non conosceva.
Una casa in cui qualcuno era stato lasciato solo.
Una casa in cui qualcuno era stato tradito.
Una casa vuota.
E fredda.

Sergej riuscì a fermare Boris appena in tempo, buttando entrambi a terra.

Luce.
Calore.
Puro potere.

Una dea di fuoco e sangue dalle piume scarlatte.









FINE VENTISETTESIMO CAPITOLO, continua...


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 28
*** LA VERITÀ ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo VENTOTTESIMO: LA VERITÀ




Kai aprì gli occhi.
Una cortina di nebbia gli impedì di definire i contorni di ciò che gli stava di fronte.
Sbatté le palpebre e riconobbe il soffitto, la finestra; il materasso bitorzoluto sotto la schiena e le coperte ruvide e calde sulla pelle.
Era nel letto della sua camera al Monastero Vorkof.
Non ricordava come ci fosse arrivato, né perché sentisse dolore in ogni parte del corpo.
Contrasse la fronte e scavò nella memoria fino a quando anche gli ultimi avvenimenti riaffiorarono in frammenti sfocati che pian piano ripresero una forma netta nella sua mente.
Voltò la testa, percependo lo sforzo dei muscoli indolenziti.
Accanto a lui c'era Yuri, seduto su una sedia a braccia incrociate.
Per quanto tempo era rimasto in silenzio a fissarlo?
Aveva perso i sensi dopo l'evocazione...
Per quando aveva dormito?
«Ho chiesto a Boris e Sergej di lasciarci soli.»
Aveva un graffio su una guancia, ma sembrava che tutte le sue preoccupazioni fossero svanite d'un colpo. I suoi occhi avevano acquistato una nuova luce, d'intensità naturale.
Come se le ombre che attanagliavano il suo cuore l'avessero abbandonato.
Kai arricciò un angolo della bocca in un sorriso, o in una strana smorfia di sofferenza.
«Devi raccontarmi tutto, Kai.»
«Hai rischiato di ucciderci.» disse il giapponese mettendosi faticosamente a sedere, «Cosa c'è da raccontare?»
«Voglio spere cosa è accaduto.»
Kai lo fissò, poi distolse lo sguardo, come se la risposta potesse trovarsi lì intorno, su qualche oggetto. Chinò il capo e si grattò la testa sbuffando.
«Verrai in Giappone?»
«Adesso basta. Sono stufo dei tuoi giochetti. Voglio la verità.»
Eccolo, il determinato, glaciale Yuri Ivanov che tornava ad impartire ordini.
Era piacevole e allo stesso tempo snervante riconoscere il tono imperioso di un tempo, come un filo d'acciaio che legava fra loro ogni sua parola.
«Ehi!» disse Kai, fingendosi infastidito, «Io per te ho appena rischiato la pelle! Prima di aggredirmi potresti almeno ringraziarmi.»
«E per cosa esattamente? Non so nemmeno cos'è successo!»
«Beh... al momento anche io sono piuttosto confuso.» constatò Kai passandosi una mano sulla fronte.
Yuri si alzò con un grugnito, sembrava stentasse a mantenere la calma.
Avrebbe voluto prendere Kai per le spalle e scuoterlo.
Erano mesi che non si sentiva così bene, così pieno di energia.
Era di nuovo se stesso.
E non sapeva perché.
Misurò la piccola stanza con passi nervosi.
Voleva la verità.
A costo di dovergliela strappare dalle labbra con la forza.
Era stanco di aspettare.
«Ci stavamo affrontando. Mi sono accorto di un varco nelle tue difese e ho deciso di attaccare.» disse, sperando che ripercorrere insieme l'accaduto avrebbe giovato, «Il Lupo... Un attimo prima c'era il Lupo d'Argento e un attimo dopo...»
«Un attimo dopo?»
Kai e Yuri si guardarono.
Gli occhi di Hiwatari non avevano l'espressione maliziosa e beffarda che l'aveva condotto ad accettare la sua sfida.
Erano calmi e comprensivi.
Niente tattiche, niente inganni.
Il russo capì quanto fosse vicino alla soluzione.
«Non sono più riuscito a controllarlo e...»
Si bloccò.
La visione, il tassello mancante, era davanti proprio davanti ai suoi occhi.
Avvertì un senso di vertigine.
Si aggrappò alla sedia. Si sedette.
«Io... l'ho vista.»
Boccheggiò, cercando di controllarsi.
«Credevo di essermelo immaginato, ma non mi ero sbagliato!» farfugliò, «Era la stessa presenza che ho avvertito in te quando sono tornato al monastero...»
«La stessa che hai capito essere anche dentro di te.» disse Kai.
Yuri non replicò.
Respirare regolarmente sembrava fin troppo complicato in quel momento.
«Non sono venuto qui solo perché mi hai chiesto di aiutarti, Yuri.»
Il russo lo fissò con occhi spiritati.
«Il vero motivo per cui sono a Mosca è proprio questo...»
«Di che parli?» chiese Yuri con nervosa urgenza.
Ad un tratto non era più tanto sicuro di voler davvero sapere come stavano le cose.
Il suo istinto gli suggeriva che c'era qualcosa di cui aver paura.
Un mostro pronto a divorarlo nascosto nell'ombra.
«È successo a tutti noi. E ora, inspiegabilmente... anche a te.»
«Non capisco...»
«Yuri... che cosa hai visto nella luce?»
«Era la Fenice Rossa, ma... non era...»
Cos'era?
Contorni e linee di un potere inimmaginabile.
Paura, dolore, fuoco e sangue.
Si premette le mani sulle tempie cercando di fermare l'ondata che stava per travolgerlo.
«Yuri, calmati! Respira. Avanti...» disse Kai con ferma gentilezza.
Yuri sollevò il capo ed incontrò i suoi occhi purpurei.
«Danzer.» disse il giapponese, «Dov'è Dranzer? Dov'è il mio beyblade?»
Yuri si alzò guardandosi intorno, stordito.
Il beyblade di Kai era sul tavolo sotto la finestra, dove lo aveva lasciato quando lo avevano portato nella stanza.
Lo prese con delicatezza; era rovinato, graffiato in più punti, ma ancora integro.
Il BitPower sembrò risplendere per un secondo al suo tocco.
Si rese conto che non voleva quell'oggetto fra le mani.
Lo porse velocemente a Kai.
«Chiudi la porta a chiave.»
Per un attimo il russo esitò.
Era una richiesta inaspettata e senza alcun senso, ma non fece domande, raggiunse la porta e girò la chiave nella serratura.
Il rumore dello scatto metallico degli ingranaggi riempì la stanza.
Yuri non si mosse rimanendo dov'era, accanto alla porta.
Non aveva alcuna intenzione di avvicinarsi al compagno, al suo beyblade.
Era pericoloso.
Infilò una mano in tasca, cercando istintivamente Wolborg, ma non lo trovò e fu colto dal panico.
Era senza difese.
Il suo beyblade era in condizioni ben peggiori di quelle di Dranzer e lo aveva lasciato in camera sua per ripararlo.
Capì che era la cosa più stupida che avesse potuto fare.
«Non avvicinarti.» disse il giapponese, respirando come se fosse improvvisamente molto affaticato.
Yuri trattenne il fiato.
Kai premette l'indice e il pollice sulla parte superiore della trottola.
E fu come avvertire l'arrivo di un terremoto.
Dal beyblade si sprigionò calore, potere e vento.
Era inconsistenze e trasparente, ma scorreva nelle loro vene come il sangue.
Potevano stringerlo fra le dita.
Era fascino.
Luce...
Terrore.
...e ombra.



... «Di che cosa hai paura? Stare solo ti fa paura?»
«Non mi abbandoni...»
«È solo questo? No, non mi sono sbagliato... c'è qualcosa di più, vero? Qualcosa che ti terrorizza, qualcosa che odi e temi allo stesso tempo.» disse Vorkof mentre lo scrutava come se fosse capace di leggerne i pensieri, «Non ti piacerebbe controllare questa paura? Usarla a tuo piacimento? Devi credere in me, Yuri. Non ti farebbe piacere controllare quello che ti spaventa? Incutere il terrore... anziché esserne soggetto.» ...





Ricordi.
Passato.
Presente.
Gioia e tristezza.
Yuri tremò, ma senza riuscire a distogliere lo sguardo.
Un brivido gli percorse la schiena fino alla nuca.
Ciò che provava non era soltanto paura.
Era piacere.
Un piacere molle, aspro e sensuale.
Era la manifestazione di un potere a lui opposto.
Contrario.
In qualche modo sbagliato.
Era magia.
Kai sollevò la mano.
Ed estrasse dal beyblade una piuma rosso sangue.
Una piuma scarlatta capace di emettere luce e calore.
Di proiettare ombre con violenza.
Ombre più scure e buie di qualsiasi altra ombra.
Yuri emise un singulto, sconvolto.
Kai strinse la piuma nella mano.
La luce si affievolì un poco.
Il suo volto era una maschera.
Sembrava felice e allo stesso tempo disperato.
La sua fronte emetteva un tenue bagliore, delineando il simbolo della Fenice Rossa.
Allentò la presa.
La piuma prese fuoco.
Si dissolse in fumo dorato.
Fili di fumo aleggiarono accanto a lui.
Si colorarono.
Brillarono.
Si ricomposero.
Formarono qualcosa di effimero.
Di instabile.
Inconsistente.
Ma reale.
Una donna.
Una dea dagli occhi dorati.
Dal mantello di piume di fuoco.
Dal copricapo ricco come una corona.
Una divinità.
La voce di Kai arrivò da lontano.
Da un altro mondo.
Da un'altra vita.
«Ti presento Suzako... la Fenice Rossa dominatrice del fuoco.»






FINE VENTOTTESIMO CAPITOLO, continua...


Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 29
*** EVOLUZIONE ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo VENTINOVESIMO: EVOLUZIONE




Le gambe di Yuri non furono più in grado di sostenerlo; le emozioni erano troppe perché potessero sopportarne il peso.
Scivolò a terra, la schiena contro la rigida superficie della porta.
Era terrorizzato.
Spaventato.
Poteva avvertire un sottile scricchiolio penetrargli nelle orecchie.
Era come se ogni pietra del monastero soffrisse per la presenza di quella creatura dal devastante potere.
Suzako, divinità del fuoco, era lì.
Davanti a lui.
Evanescente ed incorporea come fumo.
Leggera e luminosa, in continuo movimento.
Una fiamma danzante nell'oscurità.
Era un sogno? Un'allucinazione?
Era reale?
Era quello... il vero potere dei beyblade?
La causa del suo malessere?
Che cos'era esattamente?
In un attimo la dea si mosse e avvolse Kai, scomponendosi e ricomponendosi, circondandogli il collo con le braccia sottili, pallide e lucenti.
Come un'amante sensuale.
I lunghi capelli di fuoco non lo bruciavano e l'avvolgevano senza ferirlo.
Le piume delle vesti erano sangue e oro.
Fluttuanti, liquide.
Dal suo copricapo, che svettava fieramente come una corona senza peso, pendevano lunghe piume dorate, nastri luccicanti e campanelli, che incorniciavano il viso perfetto dagli occhi d'aquila.
Il volto divino pareva inespressivo, ma Yuri colse un sorriso soddisfatto quando ella poggiò la testa sulla spalla di Kai.
Il viso del giapponese, invece, era trasformato.
Era pieno di sofferenza e tristezza.
Perché?
Era apparso così anche il volto di Yuri agli occhi dei suoi compagni?
«Ma... ma cosa...?» balbettò scuotendo la testa, allontanando la realtà.
«È accaduto a me...» esordì Kai con un filo di voce, «... a Takao con il Drago Azzurro, Seiryu, e a Rei con la tigre bianca, Byacco.»
Domande vuote.
«Ed ora, inspiegabilmente, è accaduto anche a te.»
Il ragazzo giapponese trasse un profondo respiro: era affannato, come se faticasse a respirare, consumato da un grande sforzo fisico.
«In... Inspiegabilmente? Cosa significa? Che cos'è che mi sta accadendo? E perché...»
Kai levò stancamente una mano e il russo si bloccò. Ci fu un lungo momento di silenzio, come se il blader si stesse concentrando per raccogliere le energie.
Si voltò, incontrando le gialle iridi rapaci della dea.
Suzako sollevò una pallida mano per accarezzargli il viso.
Kai chiuse gli occhi.
Si baciarono.
Un bacio che sembrò rubargli l'anima.
Yuri boccheggiò.
Incantato e inorridito allo stesso tempo.
C'era qualcosa di sbagliato in tutto quello, Yuri lo sapeva.
Era insensato e pericoloso, come una danza cieca sull'orlo di un precipizio.
Suzako divenne luce, poi fumo, poi più nulla.
L'eco distratta di un campanello.
L'ombra di una piuma rosso sangue sulla pallida neve moscovita.
Inconsciamente, Yuri cercò di arretrare, rifuggendo la dissonanza dell'anima di un potere opposto al proprio.
Kai poggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa fra le mani, esausto.
«Non... Non sono venuto qui solo per cercare di aiutarti a risolvere i problemi del monastero... Quando mi hai chiamato, spiegandomi la situazione, ho percepito che qualcosa non andava e ho supposto che quello fosse per te uno sconvolgimento sufficiente... ad innescare reazioni nel beyblade.» sospirò, «Io e Takao crediamo che possa trattarsi di un'ulteriore evoluzione del BitPower.»
Yuri faticò a dare un significato concreto a ciò che Kai stava dicendo.
Era come essere tornato da un viaggio che si è appena dimenticato.
«Un'ulteriore evoluzione?» chiese, senza realmente comprendere il significato di quelle parole,  «Cosa... Perché non me lo hai detto subito?»
«Non potevo essere sicuro che si trattasse della stessa cosa. Non sappiamo se è... un cambiamento che prima o poi riguarderà tutti noi oppure solo alcuni. Ti avrei sconvolto inutilmente e, con ogni probabilità, alterato i fatti...»
«Alterato i fatti?!» lo interruppe Yuri, «Tu! Tu mi hai spinto a fare...»
«Ero curioso di sapere se effettivamente le cose stavano come credevo... e alla fine ho avuto ragione.» disse Kai, alzando per la prima volta la voce, «Se avessi perso il controllo, come è accaduto durante il nostro scontro, senza di me saresti morto! Boris e Sergej non avrebbero potuto salvarti, non avrebbero potuto fare niente! È stata una fortuna che io fossi presente quando hai oltrepassato il limite!»
Yuri scosse la testa, come a voler negare l'evidenza.
«Io... io non so cosa sia successo. Non sono mai stato in grado di... di raggiungere una potenza del genere... Non ricordo cosa ho fatto...»
Stavano parlando?
Stavano davvero parlando?
«Il potere dei BitPower si è evoluto. E il loro contenitore materiale non è più sufficiente.» disse Kai osservando Dranzer, «Come potrebbe una cosa tanto piccola e fragile... contenere una divinità?»
E all'improvviso la comprensione avvolse Yuri.
Con la delicatezza di una foglia che cade dolcemente sulla terra.
Con la disperata tranquillità della morte.
«Hanno bisogno di una dimora diversa, capace di contenere tutto il loro devastante potere ed esprimere tutto il loro potenziale...»
Per un secondo gli occhi di Kai brillarono di una feroce follia.
Chi era quella persona davanti a lui?
«Ma a quale prezzo, Yuri? Questo potere potrebbe ucciderci. Potrebbe farlo davvero...»
Rabbrividì, come se fosse ormai consapevole di essere stato contaminato da una sostanza letale e velenosa.
La risposta era una soltanto.
Ed era una pazzia.
«Dobbiamo liberarcene.» disse Yuri.
La sua voce era lontana, appena udibile.

... Il lupo d'argento correva veloce in testa al branco.
Il suo incedere era elegante e forte. ...


«Ma in che modo?»
Come avrebbero potuto?
Come?
Come potevano separarsi da qualcosa che faceva parte di loro?

... Il lupo si accorse di un silenzio pesante, come di morte attorno a sé.
Si voltò. Non vide nessuno alle sue spalle. ...


Cosa gli sarebbe rimasto?
Nessuno vuole rimanere solo.
«Da cosa dipende l'evoluzione?»
«Evidentemente non dalla natura o dalla purezza del potere degli Animali Sacri.» disse Kai.
Gli elementi puri delle divinità principali erano cinque: aria, fuoco, acqua, elettricità, terra.
In teoria i più potenti, ma spesso i blader con elementi derivati o di capacità inferiore riuscivano ad imporsi su di essi.
Perché?

... Il lupo ululò in direzione delle stelle, gridando disperato alla luna tutto il proprio dolore e l'angoscia della sua solitudine, ma non ottenne risposta. ...

«Io penso che ci siano delle cause scatenanti che riguardano il possessore del Bit.» continuò il giapponese, «Non ci sarebbe stata ragione della scelta del custode, di una condivisione fra noi e loro...»
«Ma il ghiaccio... Il Lupo d'Argento...»

... Fu allora che il lupo si ricordò di essere solo.
In quel momento avvertì un richiamo, forse una risposta.
Era il grido di un cuore giovane e spaventato.
C'era odio e tanta paura in quella voce di bambino.
E il lupo finalmente ricordò il motivo del suo lungo viaggio.
Desiderava da tempo un posto in cui riposare, un posto che lo accogliesse.
Una casa.
Quel piccolo cuore freddo e senza speranza sarebbe stato un luogo perfetto in cui dimorare, in cui prendere una nuova forma.
In cambio avrebbe donato al suo ospite il suo terrificante potere. ...


«Esatto: il lupo.» disse Kai, «Ma c'è qualcos'altro...»






FINE VENTINOVESIMO CAPITOLO, continua...

N.d.A: Mi scuso con tutti voi per il ritardo abissale con cui pubblico questo capitolo.

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Capitolo 30
*** CRESCITA ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo TRENTESIMO: CRESCITA





«Esatto: il lupo.» disse Kai, «Ma c'è qualcos'altro...»

... Il lupo d'argento correva veloce in testa al branco.
Correva veloce sulla neve immacolata che brillava di cristalli ghiacciati sotto la luna bianca di luce.
Si accorse di un silenzio pesante, come di morte attorno a sé e l'istinto gli suggerì di fermarsi.
Si voltò per controllare i suoi compagni di viaggio.
Non vide nessuno alle sue spalle ...


«Ma c'è qualcos'altro... Durante il nostro incontro ho lasciato che mi attaccassi per verificarlo. È comparso il Lupo d'Argento... ma subito dopo è accaduta una cosa che non mi aspettavo e ho dovuto reagire di conseguenza. È stato molto rischioso. Non sapevi quello che facevi e non potevi controllarlo.» spiegò Kai.

... Tornò sui suoi passi nella notte infinita, cercando le tracce del loro passaggio.
Le uniche impronte che fiutò furono le sue.
Alzò la testa e tese le orecchie per udire un suono lontano, ma non sentì che il vento farsi gioco di lui.
Abbaiò in direzione delle stelle, ma non ottenne risposta ...


Solo allora Yuri ricordò.
Ricordò il momento esatto.
Linee che convergono in un solo punto d'origine.
Durante l'incontro gli attacchi di Kai erano stati brutalmente provocatori, così come le sue parole.
Yuri aveva allora fatto ricorso a tutta la sua energia, evocando il BitPower.
La superficie dell'arena era divenuta ghiaccio.
Un'esplosione di luce e vento.
Dranzer non aveva reagito e la Fenice Rossa non era intervenuta in aiuto del suo possessore.
Ma, prima che i due beyblade fossero entrati in collisione, il Lupo si era dissolto per divenire luce.
Ed era avvenuto qualcosa di terribile e inaspettato.
Fra il Ghiaccio e il Fuoco.
Si erano delineate due ombre al di là della luce.
Nel Limbo.
Solo linee.
Contorni.
Solo paura.
Due punti scuri.
Fra il bianco.
Fra i ricordi.
Dolore.
Un attimo di sospensione.
Una spinta.
Un salto.
Ed erano stati scaraventati lontano.
Anime trascinate con facilità.
Impotenti.
Piccole.
Insignificanti al cospetto di due divinità.
Suzako, Dominatrice del Fuoco, e...

«Era una...» biascicò Yuri.

... Fu allora che il Lupo si ricordò di essere solo.
Non c'era più stato un branco da quando era divenuto uno spirito sposando la sua anima con le nevi dell'inverno ...


«Sì.» disse Kai, «Una Dama Azzurra.»
«...uno Spirito della Neve.»

... Il lupo alzò il muso verso il cielo e ululò, gridando disperato alla luna tutto il proprio dolore e l'angoscia della solitudine.
In quel momento avvertì un richiamo, forse una risposta.
Era il grido di un cuore giovane e spaventato.
C'era odio e tanta paura in quella voce di bambino.
E il lupo finalmente ricordò il motivo del suo lungo viaggio.
Desiderava da tempo un posto in cui riposare, un posto che lo accogliesse.
Una casa.
Quel piccolo cuore freddo e senza speranza sarebbe stato un luogo perfetto in cui dimorare, in cui prendere una nuova forma.
In cambio avrebbe donato al suo ospite il suo terrificante potere.
Il lupo ricominciò a correre più veloce di prima.
Un istante dopo si dissolse in una luce bianca e accecante, raggiungendo il bambino e il suo desiderio ...


Adesso tutto era chiaro.
L'elemento di Kai era il Fuoco e il suo Animale Sacro una delle Cinque Divinità.
Non era comprensibile il perché la Fenice fosse evoluta ad uno stadio superiore acquisendo un potere ancora maggiore.
E non poteva essere nemmeno scontato che una simile evoluzione avvenisse, ma era certo che soltanto i cinque possessori degli elementi puri potessero ambire ad un tale risultato.
Il Lupo d'Argento, da solo, non avrebbe mai potuto competere con la dea Suzako, né avrebbe potuto sviluppare un'altra forma. La causa dei suoi disagi e dell'enorme potere ora in suo possesso era la presenza di una seconda entità: una Dama Azzurra, uno Spirito della Neve figlio dell'Inverno. Il suo risveglio era dovuto ai turbamenti del ragazzo stesso, che erano stati fonte di nutrimento per il proprio ospite.
Invece di rallegrarsi o gioire per questa consapevolezza, Yuri avvertì nuovamente quel senso di inadeguatezza che già in passato l'aveva pervaso.
La convinzione che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato era ora più ferma che mai.
Non era in grado di controllare quel potere.
Non voleva controllarlo.
Una tale devastazione lo spaventava.
Era certo che un simile potere lo avrebbe completamente annientato.
Lo avrebbe ucciso.
«Che cosa è successo dopo lo scontro?» chiese, «Non riuscivo a capire dove fossi, non riuscivo a muovermi.»
«Eri intrappolato.» rispose Kai, «La tua anima era intrappolata in un incubo o in un ricordo, ma solo tu puoi sapere quale. Prova a ricordare.»
Yuri scosse la testa.
«C'era una casa. Tutto era freddo e provavo una grande solitudine. Non so spiegartelo con precisione... Ho capito che l'unico modo di liberarti era usare il fuoco, riversare in te il mio potere. Ora ti senti meglio, ma non durerà a lungo.»
Yuri chiuse gli occhi e sospirò.
Era combattuto dal sentimento di perdita e di abbandono di qualcosa di meraviglioso ed irripetibile e la paura e il desiderio di agognata libertà e una probabile quanto possibile prospettiva di felicità e normalità.
Aveva aspettato a lungo per decidersi, per capire.
Era il momento di crescere...
«Verrai in Giappone?» chiese Kai, dopo un lungo silenzio.
«Vuoi davvero aiutarci?»
Kai annuì.
«Allora verrò.» disse il russo, «Ma c'è una cosa che devo fare, prima.»
...e non averne paura.




FINE TRENTESIMO CAPITOLO, continua...

N.d.A: Nella terza serie dell'anime, la G-Revolution, si vede questa figura femminile azzurra quando Yuri evoca il proprio potere ed effettua gli attacchi. Questa figura mi ha sempre incuriosito anche perché non è mai stata definita in alcun modo nelle puntate dell'anime (o mi sono persa l'unica puntata in cui questo è stato fatto? XD). Ad un certo punto mi è venuta l'idea che potesse essere uno qualche spirito legato al ghiaccio, dato che esistono delle fate russe che si associano alla neve o al freddo (non ricordo il nome né dove lo avessi letto, perdonatemi)...e mi è venuta in mente questa storia. Quindi, qualsiasi riserva voi abbiate, perndetevela con gli animatori della serie! XDD

Beyblade © Takao Aoki

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Capitolo 31
*** FORBICI E BACI ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo TRENTUNESIMO: FORBICI E BACI




«...per questo motivo ho deciso di andare in Giappone.»

Non era stata una notte facile per Yuri.
Non aveva chiuso occhio, cercando di riordinare le idee e pensando cosa dire a Sergej e Boris.
Aveva fatto su e giù nella sua stanza, nel suo officio e infine si era recato in cortile.
L'aria era umida e il grande solco che si era aperto come una crepa al posto dell'arena era più grosso di quanto ricordasse.
Lo fissò come se non fosse capace di fare altro.
Poi si rilassò.
Inspirò ed espirò.
Uscì dal perimetro del monastero, oltrepassando il cancello cigolante.
Non sapeva dove stava andando, ma muoversi lo aiutava a seguire il filo dei propri pensieri.
Un lento incedere che sapeva bene non lo avrebbe condotto tanto lontano.
Quella presa di coscienza fu come una liberazione.
Si rese conto che tutto era semplice come quella inconcludente passeggiata notturna.
Era inutile cercare una soluzione diversa da quella che già sapeva di dover prendere.
Le mezze verità e le bugie, così come le tattiche e i sotterfugi non lo avevano mai portato da nessuna parte.
L'unica soluzione, anche se difficile da prendere, era dire la verità.
Tornò indietro e il Monastero sembrò guardarlo con sufficienza, per la prima volta dopo tanto tempo il peso di quelle pietre non grava più su di lui e la sua imponenza pareva aver perso il suo potere nella soffusa luce del primo mattino.
Raggiunse la sua stanza e si sedette sul letto, impaziente di parlare coi compagni, impaziente di liberarsi.
Si alzò e raggiunse il bagno.
Aprì il rubinetto del lavabo e si sciacquò la faccia con l'acqua gelata, osservando poi il suo riflesso nello specchio ossidato.
Quando era successo?
Quando le sue mani erano diventate così grandi?
Quando le sue spalle erano diventate così larghe?
Quando il suo viso aveva assunto tratti tanto spigolosi?
Andò in camera, frugò nel cassetto della scrivania per cercare qualcosa e quando l'ebbe trovato tornò in bagno. Raccolse i capelli, sollevò la mano e cominciò a tagliare.
Era già mattina.


«...per questo motivo ho deciso di andare in Giappone.»
Aveva detto loro tutto pregandoli di non interromperlo.
Aveva raccontato del Bitpower cercando di contenere il discorso senza perdersi in particolari che li avrebbero probabilmente sconvolti. Infine aveva confessato la sua decisione di andare in Giappone e cercare una soluzione per salvare il Monastero con l'aiuto di Hiwatari.
Boris fece un sacco di domande, sfogando tutto il suo disappunto; Yuri cercò di rispondergli senza spazientirsi.
Sergej invece non disse una parola limitandosi ad ascoltare fino a quando incrociò le braccia e chinò il capo sul petto.
«Quando partirai?» chiese.
«Domani sera.»
C'era ancora una persona con cui doveva parlare.


* * *


Yuri aveva un piano.
A Yuri piaceva avere un piano d'azione quando si apprestava ad affrontare una situazione difficile.
Avere un piano lo tranquillizzava, gli consentiva di affrontare gli ostacoli singolarmente, di preoccuparsi di un dettaglio alla volta e di non entrare in ansia.
Il suo piano era semplice e per questo gli piaceva. Un piano semplice era più facile da seguire ed aveva una maggiore probabilità di riuscita.
Doveva solo arrivare a casa di Irina, bussare alla porta e chiedere di parlare con lei in privato.
Facile e semplice.
Aveva già pronto il discorso, parola per parola.
Le avrebbe detto la verità, così come aveva fatto con i suoi compagni.
Le avrebbe detto ciò che provava.
Era programmato.
Era perfetto.
Purtroppo però anche i piani più semplici e apparentemente infallibili non hanno alcuna risorsa per affrontare le variabili impreviste.
Yuri infatti non aveva messo in conto che sarebbe stato colto dal panico una volta arrivato davanti al portone del palazzo in cui Irina viveva in un piccolo appartamento con le sorelle.
Aveva cercato di calmarsi, ma non riusciva a fare quel passo in più e varcare la soglia dell'edificio.
Era una follia.
La consapevolezza di quel pensiero gli giunse improvvisa.
Quello stupido piano che aveva elaborato immaginando più volte come si sarebbero svolti i fatti nella sua mente... era una follia.
Che cosa gli era saltato in mente?
Era forse impazzito?
Se Irina non fosse stata in casa? L'avrebbe aspettata? Quanto tempo aveva a disposizione? E se non avesse avuto abbastanza tempo? O se Irina si fosse rifiutata di parlargli? Perché lo aveva dato per scontato? E se avesse riso di lui? Se l'avesse trattato male?
Fece il giro dell'isolato due volte prima di decidersi.
Fronteggiò l'ingresso con determinazione schiarendosi la voce.
Aprì il portoncino con il cuore in gola.
Irina era lì.
Irina era di fronte a lui sulle scale, appena uscita di casa.
C'era qualcosa di nuovo in lei, negli occhi stanchi, nei capelli un po' arruffati, nei vestiti trasandati e logori.
Qualcosa di decadente, triste e tremendamente sensuale.
Yuri ricordava di avere qualcosa da fare, ma non riusciva a ricordarsi cosa fosse. Si era dimenticato del suo piano e il discorso che si era preparato era solo un insieme di parole senza senso.
Tutte le frasi erano volate via, come un palloncino che lentamente si allontana verso il cielo senza dare la possibilità di riacciuffarlo.
«Yuri...» disse Irina.
Le sue labbra pronunciarono il suo nome e rimasero leggermente dischiuse, sorprese.
Quelle di Yuri si mossero senza ottenere alcun suono.
Fu ancora lei a parlare.
«Ciao.»
«Ciao.» riuscì finalmente a rispondere, sembrava non avere idea del perché si trovasse lì.
Lei sorrise appena, illuminandosi.
Scese qualche gradino.
«Ciao!» ripeté.
«Volevo... volevo vederti.»   
«Sì.»
Gli occhi di Irina avevano il peso dell'universo.
Qualcosa al di là del suo stesso essere gli impose di agire.
Doveva dirglielo, dirglielo subito.
Con una frase di senso compiuto.
Una sola semplice frase.
«Vado in Giappone.»
Aveva senso, sì, ma non era esattamente quello che voleva dire.
«Oh...» biascicò lei abbassando lo sguardo.
«Non so di preciso quanto rimarrò... È per il monastero.»
«Quel tuo amico...»
«Sì, lui.»
Irina annuì chinando il capo.
Il silenzio li avrebbe divorati.
Avrebbe divorato quel momento.
Parlare.
Doveva solo parlare.
«Irina...»
«Yuri, ascoltami...»
«No! Ascoltami tu.»
Solo un altro po' di coraggio, Yuri.
«Tu sei... per me sei importante. E... sono innamorato di te.»
Irina non disse nulla.
«So che non è il momento giusto, so che dovrei aspettare, ma adesso sono qui... e sono stanco di aspettare. Vorrei che avessi il coraggio di dirmi come stanno le cose. Vorrei sapere se anche tu provi qualcosa per me.»
Il silenzio si fece padrone di entrambi.
La ragazza scese gli ultimi gradini.
«Quando ritorni... promettimi che tornerai da me.»
Le sue labbra formularono la risposta su quelle di lei.





FINE TRENTUNESIMO CAPITOLO, continua...


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Capitolo 32
*** CAPOVOLGIMENTO ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo TRENTADUESIMO: CAPOVOLGIMENTO




Yuri aveva camminato a qualche metro da terra per quasi tutto il resto della giornata.
I suoi piedi si muovevano leggeri, mentre il cuore veleggiava sul mare della felicità e le labbra erano piegate in un tenue sorriso.
Nella sua mente non c'era spazio se non per Irina, se non per rimirare costantemente la sua immagine e fantasticare su cosa avrebbero potuto fare insieme.
L'umore si incrinò leggermente solo verso sera, quando l'ora della partenza fu ormai prossima.
Boris si era chiuso in un improbabile mutismo e Sergej aveva dato sfogo al suo estro in cucina, cercando di rimpinzarlo il più possibile prima che partisse.
Sorrise quando li salutò, seguendo Kai fuori dal Monastero.
Le cose sarebbero andate per il meglio.
Avrebbero risolto i loro problemi.
Avrebbero dato una casa ai bambini.
Stava affrontando tutto con troppa leggerezza.
Se ne rendeva conto.
Ma con l'amore che gli offuscava ogni pensiero, sembrava impossibile fare diversamente.

* * *

L'hostess stava segnalando ai passeggeri l'ubicazione delle uscite di sicurezza.
Era una donna giovane, ma c'era in lei qualcosa di spossato e tirato, come se sotto il trucco si nascondessero rughe profonde.
Forse, pensò Yuri, era la stanchezza di troppe ore di volo consecutive. Ripetere quelle istruzioni mille e mille volte non doveva essere il massimo del divertimento a giudicare dalla sua espressione annoiata sotto la frangetta castana, specialmente se i passeggeri facevano soltanto finta di ascoltarti oppure non ti prestavano direttamente nessuna attenzione.
Yuri cercò di immaginare se, nell'eventualità di un disastro aereo, fosse stato in grado di mantenere il sangue freddo e ricordare le indicazioni dell'hostess su salvagente, mascherina ed uscite di sicurezza.
No, non avrebbe ricordato un bel nulla e sarebbe stato preda del panico come tutti gli altri.
Odiava volare.
L'idea di essere sospeso nel vuoto a svariati chilometri di altezza non lo esaltava.
Kai, seduto al suo fianco, sonnecchiava indisturbato.
Faceva parte di quella categoria di passeggeri che non si preoccupa di fingere interesse per la spiegazione di routine.
«Smettila di fissarmi e stai attento.» disse senza aprire gli occhi, «Non gonfierò il tuo giubbotto di salvataggio.»
«Invece di dormire, potresti aiutarmi a ripassare un po' di giapponese. Ci sono alcune cose che non ricordo.»
Kai sbuffò, muovendo pigramente una mano come per allontanarlo.
«Il tuo giapponese va bene così com'è. L'altro giorno hai parlato in modo corretto. Hai una memoria di ferro per i vocaboli...io non ricordo nemmeno cosa ho mangiato oggi. Dovresti studiare lingue straniere all'università.»
«Oggi non hai mangiato nulla, hai solo dormito. E non essere assurdo... non potrei mai andare all'università.» sibilò a denti stretti il russo.
Kai non rispose, sembrava essersi di nuovo appisolato.
L'hostess concluse il suo monologo.
Yuri non riuscì a chiudere occhio.
Detestava volare.
I motori dell'aereo si accesero e il velivolo si spostò raggiungendo la pista per il decollo.
Aumento di potenza.
Accelerazione.
Corsa.
Volo.
Yuri strinse Wolborg nella tasca della giacca.
Qualcosa nel suo stomaco sembrò per un poco trattenerlo a terra.
Poi le case e gli edifici si fecero piccoli.
Le luci solo puntini colorati nella notte.
Lontano.
Tutto era ormai lontano.
Irina.
Sergej e Boris.
Il Monastero.
Tutto.
Il dolore, la felicità, l'amore.
Tutto sembrava lontano e inafferrabile ora che lo era fisicamente da Mosca.
Dalla sua casa.
Cosa poteva definirsi reale, così lontano dalla terra?
Il passato, la sofferenza, gli abusi.
Forse erano solo ricordi.
Di un'altra vita.
Ma non erano spariti.
Erano solo sepolti più a fondo dove era più difficile vederli, ma dove, forse, era più facile ascoltarli.


Kai aprì pigramente un occhio e lo osservò contrariato.
«Che cosa hai fatto ai capelli?»


* * *

Quando finalmente rimise i piedi sulla terraferma, tirò un sospiro di sollievo.
Si sentiva inspiegabilmente leggero e sicuro.
Controllò Wolborg nelle sue tasche.
Sembrava un oggetto completamente inanimato, come se avesse perso qualcosa durante quella lunga traversata.
Non era a Mosca e qualcosa era cambiato.
Così come per Kai.
Il giapponese, dopo quel breve dialogo prima del volo, non aveva aperto bocca e dalla sua espressione pareva non avere intenzione di farlo ancora per diverso tempo.
Sembrava turbato.
Estraniato dal mondo presente e immerso in una propria dimensione.
Qualcosa era cambiato.
Qualcosa si era invertito.
Come in una partita in cui le squadre si scambiano il terreno di gioco.
«Seguimi.» disse Hiwatari nella sua lingua madre.
Era un ordine.
E fu l'unica parola che Yuri gli sentì pronunciare fino a qualche giorno dopo.
Non gli piacque.
Fuori dall'aeroporto li aspettava una grossa macchina scura.
L'autista li salutò con un inchino, prese i loro bagagli e li fece accomodare nell'auto.
Kai si rintanò in un angolo della vettura, la testa sorretta stancamente dal braccio appoggiato alla portiera. Gli occhi chiusi. La fronte contratta, indice di sofferenza.
Non gli piacque.
Non gli piacque per niente.



FINE TRENTADUESIMO CAPITOLO, continua...


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Capitolo 33
*** DEMONI ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo TRENTATREESIMO: DEMONI





C'era qualcosa di regale e segreto, di solenne ed estremamente contraddittorio in Giappone.
Casa Hiwatari non faceva eccezione.
Tutto era ordinato, spigoloso, asettico, avvolto dal silenzio e dall'immobilità.
Ma queste erano solo caratteristiche apparenti. Oltre il velo dell'esteriorità si celava un mondo brulicante e frenetico di servitori, camerieri, collaboratori, in una lista pressoché infinita.
Il personale era sempre disponibile ad esaudire ogni più piccola richiesta, anche nel cuore della notte.
Quella in cui si trovava era solo una delle residenze della famiglia Hiwatari.
Kai si muoveva con algida disinvoltura in quello strano mondo di insonni figuranti senza volto.
Lo stesso non si poteva dire del ragazzo russo. Si sentiva fuori posto in quell'ambiente austero, perfetto e immacolato.

I giorni passavano, ma le occasioni per seguire Kai nei suoi giri d'affari e risolvere così la situazione del Monastero, erano state esigue e decisamente poco o per nulla proficue.
Yuri cominciava a spazientirsi.
Avevano incontrato Takao Kinomiya e parlato dell'accaduto, ma i loro erano solo giri di parole che tornavano sempre al punto di pazienza. Anche Takao sembrava essere pervaso da quella stanca tristezza che non voleva abbandonarlo.
Aveva descritto le sembianze della personificazione del suo potere con gioia ed esaltazione, ma c'era un'indistinta paura nel suo sguardo.
Come una tacita richiesta d'aiuto.

I giorni passavano.
Kai era sempre più sfuggente e taciturno.
Ottenebrato, nascosto, rifuggiva la sua compagnia con ogni scusa.
Fra le mura di quella casa si agitavano demoni potenti e silenziosi.
Yuri capì che avrebbe dovuto trovare il modo di risolvere i suoi problemi da solo.

Sospirò, steso sul letto della sua stanza.
I pensieri vorticavano nella sua mente in un ciclo senza fine, perpetuo e immutabile.
L'insofferenza e il risentimento crescevano, in quei momenti di depressa staticità.
Bussarono.
«Avanti.» disse mettendosi a sedere.
Una cameriera aprì la porta e si inchinò; aveva una divisa scura con tanto di grembiule e crestina inamidata.
«La cena è pronta. Il signore preferisce consumare il pasto in sala o nella sua stanza?»
«Scendo subito, grazie.»
La donna chinò di nuovo il capo e chiuse la porta senza far rumore.
Yuri aveva passato la giornata da solo e, esclusa la passeggiata fatta al mattino nel parco della villa, era rimasto confinato nella casa per il resto del tempo.
Sperò che Kai cenasse con lui per potergli parlare apertamente.
Si stropicciò gli occhi e si preparò a raggiungere la sala da pranzo.
Attraversò il corridoio del primo piano e scese le scale.
Sentì delle voci provenire dallo studio; la porta della stanza era socchiusa e proiettava un rettangolo di luce sulla parete opposta.
Non avrebbe voluto ascoltare la conversazione, ma non poté fare altrimenti: uno dei due interlocutori era Kai.
Dapprima non riuscì a distinguere che qualche parola, poi i toni si fecero più accesi.
«Ma cosa ti sei messo in testa?»
«Non ti riguarda in ogni caso.»
«Non dovrebbe riguardarmi? Kai, questa è un'autentica follia e tu lo sai bene!»
«Cos'hai? Improvvisamente ti metti a fare il padre!?»
«Sono preoccupato per te.»
«Avresti dovuto preoccuparti anni fa... ormai è tardi.»
Silenzio.
«Sai come tuo nonno risolve questo tipo di problemi. Stai giocando con il fuoco. Non otterrai mai il controllo delle industrie Hiwatari! Non te lo permetteranno!»
«Vattene.»
«Kai...»
«Ho detto vattene!!»
Kai urlò, qualcosa cadde a terra e si ruppe.
Un uomo uscì dalla stanza e incontrò gli occhi del russo nella penombra.
«Oh...tu devi essere Ivanov, Yuri Ivanov. Io sono Susumu Hiwatari, il padre di Kai.»
Disse tutto in un solo fiato, cercando di mantenere il proprio contegno in maniera infruttuosa; porse la mano a Yuri e la strinse bruscamente.
Suo figlio non gli assomigliava per nulla.
«Mi dispiace... hai sentito?» chiese preoccupato, sembrava avere una gran fretta.
Yuri annuì.
«Tu sei suo amico, cerca di farlo ragionare.»
Il russo stava per chiedere spiegazioni perché non aveva idea di che cosa stesse parlando quell'uomo, ma dalla porta dello studio comparve Kai.
I suoi occhi erano sottili fessure.
Susumu si allontanò velocemente.
Kai guardò Yuri scrutandolo dalla testa ai piedi, come se avesse potuto occultare dei segreti sulla sua persona.
«Cosa ti ha detto?» domandò il giapponese.
«Nulla, ci siamo solo presentati.»
«Che ci fai qui?»
«La cena.» spiegò Yuri.
Kai si voltò, osservando il lungo corridoio deserto.
«Ti raggiungo fra qualche minuto.»

Entrambi consumarono il pasto in un religioso e singolare silenzio, soli nella grande sala.
Kai toccò appena il cibo e dato che non sembrava intenzionato ad intavolare alcun tipo di conversazione, Yuri decise di affrontare l'argomento senza indugiare ulteriormente.
Non voleva ficcare il naso in questioni che non lo riguardavano, ma se gli affari di Hiwatari avessero compromesso la salvezza del Monastero, quello era un problema che riguardava anche lui.
Doveva saperne di più.
«Tuo padre era molto preoccupato per te.»
Kai sollevò gli occhi dal piatto guardandolo di traverso.
«Voglio dire... forse dovreste parlare con più calma e...»
«Stai cercando di darmi dei consigli sul rapporto con mio padre?» sibilò velenoso il giapponese.
«Io...»
«Sentiamo, cosa potresti insegnarmi? Tu non hai mai avuto una famiglia.»
Yuri lo fissò incredulo.
Era un'affermazione fin troppo maligna.
Persino per Kai Hiwatari.
Ma c'era qualcosa oltre il ragazzo.
Qualcosa che a volte non riusciva a governare.
Qualcosa che Yuri conosceva bene.
Fra le mura di quella casa si agitavano demoni potenti e silenziosi.
Kai parve smarrito.
«Non volevo dirlo.» sussurrò.
Il russo non rispose.
«Domani mattina vieni con me. Andiamo in un posto.»





FINE TRENTATREESIMO CAPITOLO, continua...

N.d.A: Susumu Hiwatari è il nome del padre di Kai che compare nel manga volume 3.

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Capitolo 34
*** IL DIO DIABOLICO ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo TRENTAQUATTRESIMO: IL DIO DIABOLICO




Erano saliti su quel treno da chissà quanto.
Una gentile voce femminile scandiva i nomi delle fermate che si susseguivano infinite.
Yuri fissava un punto sul pavimento del treno, convinto di trovarsi lì da molto più tempo di quel che avrebbe desiderato.
Forse era sempre stato sul quel treno.
Era un'autentica assurdità, ma l'impressione era quella.
Un'eternità passata in viaggio, in perenne movimento.
Kai era seduto accanto a lui.
Algido e silenzioso come sempre.
Il russo aveva accuratamente evitato di rivolgergli la parola dalla sera precedente e sembrava che ad Hiwatari andasse bene così.
Dove stavano andando?
Non glielo aveva detto e lui non aveva alcuna intenzione di aprire bocca e domandarglielo.
L'unica consolazione di Yuri era che sicuramente, qualsiasi fosse il motivo del loro spostamento mattutino, riguardasse in qualche modo il Monastero.
Era l'unica spiegazione, altrimenti Kai non si sarebbe disturbato a trascinarlo con sé.
Forse quel giorno avrebbe finalmente concluso qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Ciò nonostante aveva una brutta sensazione.
Non sapeva identificarla con esattezza.
Più si avvicinavano alla loro meta più Yuri sentiva il pericolo avvicinarsi.
La voce gentile scandì il nome di un'altra fermata.
Un nome incomprensibile.
Che cosa stupida da pensare.
Cosa sarebbe potuto accadere di così terribile?
«Dobbiamo scendere alla prossima.» disse Kai.

Lasciata la stazione cominciarono a camminare.
Erano in periferia, ma non troppo lontani dagli sfarzi cittadini.
Le case sembravano ammassate le une accanto alle altre in un susseguirsi labirintico e monocromatico.
Case vecchie.
Case stanche.
Persone con cui era meglio non incrociare gli sguardi.
Che cosa diavolo ci facevano lì?
La sensazione di disagio aumentò e Yuri decise di mettere da parte l'orgoglio.
«Kai, dove stiamo andando?»
«Siamo quasi arrivati.» disse freddamente il giapponese.
«Quasi arrivati dove?»
Kai non rispose, ma dopo qualche passo indicò un edificio di diversi piani.
L'istinto di Yuri gli suggerì di allontanarsi.
Non aveva senso.
Seguì il compagno.
Era l'unica cosa che poteva fare.
Il palazzo era così mal ridotto che Yuri credette in un primo momento potesse essere abbandonato.
Salirono la prima rampa di scale, poi la seconda.
Voci indistinte provenivano dagli appartamenti.
«Kai... cosa ci facciamo qui?»
Hiwatari non rispose, continuando ad avanzare davanti a lui.
Imboccò il corridoio del terzo piano e si fermò solo quando furono davanti alla porta dell'appartamento numero trentaquattro.
Bussò e fece un passo indietro.
Yuri si irrigidì.
Qualcosa di orribile stava per accadere e lo spirito della fredda inquietudine si impossessò di lui.
Strinse i pugni lungo i fianchi e si rese conto, senza sapere il perché, che seguire Kai in quell'edificio non era stata affatto una buona idea.
Gettò una rapida occhiata al profilo del compagno: Kai non sembrava tradire alcuna preoccupazione.
Si sforzò di scorgere sul viso del giapponese qualche altro segno che indicasse un qualsiasi sentimento, ma non trovò nulla.
Kai fissava impassibile quella porta.
Qualcuno si avvicinò dall'interno dell'appartamento strisciando i piedi, poi parve sbattere contro la porta come se avesse calcolato male le distanze.
Yuri sobbalzò quando udì un rauco grugnito di disapprovazione.
L'inquilino tastò la porta, afferrò la maniglia e armeggiò con qualcosa di metallico facendo un gran fracasso.
La porta si aprì.
Una voce femminile proruppe dall'appartamento adiacente con uno strillo.
«Io te l'avevo detto!» gridò la donna.
Il pianto di un neonato scoppiò improvviso, attutito dalle sottili pareti.
Un suono ovattato.
Distante.
Yuri non credeva di essere realmente in quel luogo.
Era solo tornato ad immergersi in uno dei suoi tanti incubi.
La paura serpeggiò in lui, correndo indemoniata.
Gelò.
Il suo riflesso negli occhi vacui e offuscati dell'uomo che gli stava davanti non poteva essere reale.
I capelli violacei e sporchi gli ricadevano sul viso spigoloso in ciocche scomposte e sottili.
La barba cresceva ispida e disordinata.
Yuri avrebbe riconosciuto quel volto ovunque.
Fra mille altre facce, l'avrebbe riconosciuto.
Eppure esitò, in quell'istante.
Non voleva credere.
Si rifiutava di credere che potesse trovarsi a pochi passi da lui.
Ma non poteva sbagliarsi.
Le iridi spente che ricambiavano il suo sguardo di ghiaccio erano quelle di Vladimir Vorkof.
Lo fissò.
Rigido, freddo.
Non era possibile.
Non era possibile che Kai gli avesse fatto quello.
Vorkof spostò lo sguardo da Yuri a Kai; sembrava non si rendesse conto della situazione.
Rise.
Una breve risata acuta.
«Ivanov...e Hiwatari.» biascicò, «I miei pupilli...» aggiunse in un ghigno.
Yuri non rispose, le unghie affondate nei palmi delle mani strette a pugno, le nocche bianche.
L'aria attorno a loro si raffreddò.
E Kai sorrise.
Il sorriso enigmatico e selvaggio di un diabolico dio.




FINE TRENTAQUATTRESIMO CAPITOLO, continua...

N.d.A: Il numero dell'appartamento è lo stesso del capitolo. Sto ridendo.

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Capitolo 35
*** FRAMMENTI ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo TRENTACINQUESIMO: FRAMMENTI




Yuri non credeva di essere realmente in quel luogo.
Uno strano senso di vertigine lo avvolse, una forza molle e incontrastabile lo spinse fuori dal suo corpo.
Erano tutte le emozioni di anni di sofferenze che sembravano volergli strappare l'anima, colpendolo come un'onda e trascinandolo lontano.

... Guarda quel bambino... Quello laggiù, quello coi capelli rossi... Guarda i suoi occhi... sono carichi di frustrazione. Di odio... Chiudetelo nelle celle dei sotterranei. Lo temprerà. E scopriremo cos'è che teme al punto di odiare così tanto...

Le iridi spente che ricambiavano il suo sguardo di ghiaccio erano quelle di Vladimir Vorkof.
Non era possibile che Hiwatari...

... «Bentornato a Mosca, Kai.» ...

Vorkof rise; sembrava non si rendesse conto della situazione.
Una breve risata acuta.
«Ivanov...e Hiwatari.» biascicò, «I miei pupilli...» aggiunse in un ghigno.
Yuri non rispose, le unghie affondate nei palmi delle mani strette a pugno, le nocche bianche.
L'aria attorno a loro si raffreddò.

... «Sono uguali e lo sai! Nonno e nipote! Guardano soltanto il loro tornaconto! Non fanno nulla per nulla! Lo hai già dimenticato!?» ...

Erano le parole di Boris che risuonavano nella sua testa.
Adesso quanto mai chiare, limpide.
Vere.
Come una terribile profezia.
Tutto si offuscò, poi più nulla, solo il nero profondo.
Solo buio.
Solo frammenti di ricordi, come schegge di vetro, pezzi di uno specchio distrutto che rifletteva la sua immagine mille e mille volte.
Sempre uguale e sempre diversa.

... «Scommetto che la tua visita qui ha un secondo fine. Ci dev'essere qualcos'altro che ti ha portato a Mosca.» ...

Il suo cuore pareva battere e non battere.

... «In Giappone? Perché devi andare in Giappone?» ...

Perché non gli aveva dato ascolto?
Perché aveva cocciutamente deciso di seguire Kai senza garanzie?

... «Cosa succede fra te e Hiwatari? Cosa succede con il beyblade?»
«Kai è venuto qui per aiutarci.»
«E che cosa vuole in cambio? Non farmi credere che tu sia così ingenuo.» ...


Ingenuo.
Stupido.
Quasi non riusciva a respirare.
Non era possibile...
La testa girava.
Gli occhi erano annebbiati.
Se dalla paura o dalla rabbia, non avrebbe saputo dirlo.

... «Perché dovrei venire in Giappone?»
«Perché mi serve qualcuno che conosca a fondo tutte le problematiche di questo posto e che sia in grado di esporle.»
«Stai cercando di dirmi che c'è un altro modo per ottenere i finanziamenti?»
«Può darsi.»
«Voglio saperlo.»
«Devi fidarti di me.» ...


Perché si era fidato di lui?
Il tempo accelerò e rallentò nello stesso istante.
Fu come percepire se stesso dall'alto del soffitto di quel sudicio appartamento; vide se stesso camminare e sentì Vorkof e Hiwatari parlare in suoni incomprensibili.

... «Per qualche motivo Hiwatari è determinato a portare Yuri in Giappone. Non avrebbe mai proposto di risolvere tutto in questo modo se non fosse sicuro di vincere!» ...

Qual'era il motivo per cui Kai aveva insistito tanto?
Perché la sue presenza in Giappone era determinante?

... «Perché tieni tanto a questo posto? Perché non pensi a te stesso e ti crei un futuro con la tua ragazza... come si chiama?» ...

Irina...
Il Monastero.
Yuri avrebbe fatto qualsiasi cosa per il Monastero.
Ma Kai?

... « La compagnia Hiwatari non sarebbe affatto contenta di veder associato il suo nome a quello di un terrorista russo come Vorkof. In breve tempo si perderebbe credibilità, gli investitori svanirebbero, le quotazioni crollerebbero e l'azienda fallirebbe in men che non si dica.» ...

Quale altra società avrebbe rischiato qualcosa per aiutarli?
Nessuna.
Convincerlo ad andare in Giappone per aiutarlo a cercare dei finanziamenti era soltanto una scusa.
Una menzogna.
Però...
Kai averebbe potuto convincere Yuri senza recarsi a Mosca.
I suoi poteri erano legati e di conseguenza amplificati dalla sua terra d'origine, ma per verificare le condizioni del suo beyblade avrebbe potuto sfidarlo anche in Giappone.
Il Lupo d'Argento e la Dama Azzurra si sarebbero manifestati comunque per proteggerlo da Suzako.
C'era qualcosa che Kai doveva fare a Mosca.
Ma cosa?

... «Come sai, da quando tuo nonno ha smesso di finanziare la Borg, dopo la nostra sconfitta al primo torneo mondiale, abbiamo avuto grossi problemi. Il giorno stesso dell'incontro fra me e Takao...» ...

Il Monastero!
Il Monastero era la chiave di ogni cosa.
Kai si inabissava e riemergeva da quelle mura in continuazione.
Cosa faceva quando era solo?
Dove andava?
Che sciocco.
Kai non gli aveva nascosto nulla.
La verità era sempre stata davanti a lui.
E non era stato in grado di vederla.
Il miglior luogo per nascondere qualcosa è alla luce del sole.

... «... gli scienziati e gli uomini agli ordini di Vorkof, hanno portato via tutti i documenti e le apparecchiature che c'erano nei sotterranei, quello che non hanno potuto portar via è stato distrutto. Tutti gli archivi, qualunque documento è stato bruciato. Qualcosa è rimasto, non credere che non mi sia dato da fare su questo punto, ma quello che ho avuto fra le mani non è mai stato utile...» ...

Documenti.
Prove.
Ma certo...

... «Sono preoccupato per te.»
«Avresti dovuto preoccuparti anni fa... ormai è tardi.»
«Sai come tuo nonno risolve questo tipo di problemi. Stai giocando con il fuoco. Non otterrai mai il controllo delle industrie Hiwatari! Non te lo permetteranno!» ...


Kai voleva il controllo delle industrie Hiwatari.
Per ottenerlo doveva sbarazzarsi di suo nonno e per farlo aveva bisogno di uno scandalo.

... «Una società che ha rischiato e perso grosse somme di denaro con il progetto Borg e che ha cercato in tutti i modi di insabbiare le notizie a riguardo nonché distruggere ogni prova della collaborazione con Vladimir Vorkof, secondo te... come potrebbe mai impiegare dei capitali in quella che, di fatto, è ciò che rimane della stessa sede? Un certo tipo di persone comincerebbe a porsi delle domande e in qualche modo la verità verrebbe a galla.» ...

Kai aveva bisogno di prove per collegare l'operato di suo nonno con la Borg.
Erano i documenti riguardanti il Monastero che Hiwatari stava cercando.
Non sicuro di trovarli a Mosca, si era messo sulle tracce di Vorkof.
Adesso era tutto chiaro.
Tranne una cosa.
A cosa poteva servirgli Yuri?

«Non so di cosa parli, piccolo Hiwatari.» disse Vladimir, seduto al tavolo della cucina.
Yuri era su una sedia sbilenca di fronte a lui, mentre Kai era in piedi.
Non capiva come fossero arrivati fino lì.
Il tavolo di legno era rovinato.
Yuri cominciò a distinguere i graffi sulla superficie, come se stesse tornando lentamente ad uno stato di coscienza.
Sentiva il suo cuore battere.
Provava una vaga nausea e un senso di vertigine, che sapeva si sarebbero acuiti non appena la sua mente di fosse liberata dello shock.
«Sai esattamente di cosa parlo.» rispose Kai, «Voglio quei documenti, Vorkof.»
L'uomo aveva smesso di parlare ma la sua voce continuava a riecheggiare nelle orecchie del ragazzo.

... Dannato ragazzino... Dannato bastardo impudente... Sei stato inutile!... Dovevo aspettarmelo da un lurido bastardo di strada! ...

Sollevò lo sguardo dal tavolo.
Kai tirò fuori la pistola dal nulla, come un prestigiatore.




FINE TRENTACINQUESIMO CAPITOLO, continua...

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Capitolo 36
*** IL RE CADUTO ***


L’AMORE BIANCO

… di SimmyLu …


Capitolo TRENTASEIESIMO: IL RE CADUTO





... Dannato ragazzino... Dannato bastardo impudente... Sei stato inutile!... Dovevo aspettarmelo da un lurido bastardo di strada! ...

Kai tirò fuori la pistola dal nulla, come un prestigiatore.
«Dimmi dove hai nascosto i documenti della Borg.»
Vorkof fece scorrere lo sguardo acquoso sull'arma e ridacchiò divertito come se la cosa non lo riguardasse.
Il suo fiato puzzava di alcol.

... «Ogni volta che non ti impegni, dimostri quanto la tua esistenza sia inutile! Ogni volta che perdi un incontro, tu offendi me e questo monastero!!» ...

C'erano un bicchiere e una bottiglia mezza vuota sul tavolo.
Vorkof continuò a ridere.
Allungò una mano e tracannò un sorso direttamente dalla bottiglia.

... «La tua piccola, miserabile vita mi appartiene, posso fare di te ciò che voglio. Nessuno ti aspetta là fuori. Se mi sbarazzo di te, sarai solo, Yuri.» ...

Yuri aveva smesso di respirare e fissava l'arma con occhi sgranati.
Avrebbe voluto fare qualcosa, ma non sapeva esattamente cosa.
Una parte di lui desiderava selvaggiamente che Kai premesse il grilletto.

... «Di che cosa hai paura? Stare solo ti fa paura?» ...

Quel luogo lo atterriva.
Sarebbe potuto scomparire nell'immobilità del suo corpo, risucchiato dall'arredamento, dalle pareti scrostate.
Si ricordò dell'esisenza dei propri polmoni.
«Che diavolo fai?»
Vorkof rise ancora, senza impegnarsi troppo, come se stesse guardando una scena comica già vista.
«Già... Che cos'hai intenzione di fare, piccolo Hiwatari? Vuoi uccidermi?»
Kai si voltò verso Yuri.
Il braccio teso, la mano destra che impugnava saldamente l'arma.
Gli occhi del giapponese erano vuoti e freddi.
Yuri tentò di dire qualcosa, ma non uscì alcun suono dalla sua bocca.
Kai voltò di nuovo la testa.
Respirò, raddrizzò la schiena.
Tolse la sicura alla pistola.
«Kai!» disse Yuri allarmato.
«Se non hai quei documenti, non vedo quale utilità possa avere la tua vita per me, Vorkof.»
Sorrise.
«Quindi ucciderti o meno che differenza avrebbe?»
Vorkof impallidì.
Una luce strana attraversò i suoi occhi.
«Vuoi quei dannati documenti?» urlò, «Avanti!»
Si alzò e raggiunse l'altra stanza.
Un letto sfatto, una cassettiera rotta, un armadio aperto.
«Avanti! Cerca! Cerca quello che vuoi!» strillò ubriaco aprendo i cassetti e mettendo a soqquadro la stanza, lanciando per aria tutto quello su cui riusciva a mettere mano, barcollando e inciampando.
Kai lo fissava dalla porta, Yuri era dietro di lui.
«Credi che se avessi quei maledetti documenti me ne starei qui, in questo schifo?!»
Ansimò, si guardò intorno mettendosi le mani nei capelli.
«Ho provato... io volevo... è colpa vostra!» ruggì in direzione di Kai, «Tua, di Kinomiya e di tutti quei... La B.E.G.A. doveva riportarmi alla gloria! Doveva riportami al potere! E adesso guarda! Guardami!»
Yuri lo fissò e gli sembrò di essere lontano, in un'altra dimensione.
Vladimir Vorkof era solo un'ombra.
Il fantasma di se stesso, di un ricordo che aveva assunto nel tempo forme e colori diversi da quelli originali.
Chi era quell'uomo per cui provava odio e disgusto?
Era un guscio vuoto.
Solo rabbia.
Commiserazione.

... «Non ti piacerebbe controllare questa paura? Usarla a tuo piacimento? Devi credere in me, Yuri. Non ti farebbe piacere controllare quello che ti spaventa? Incutere il terrore... anziché esserne soggetto.» ...

Yuri non provava paura, non più.
Quell'uomo era un inutile essere pieno di rancore.
Un folle, sadico, ubriaco...
Non provava paura.
Solo risentimento.
E un profondo disprezzo.

... «Io sono la tua unica speranza. Sono la tua famiglia, l'unico di cui ti puoi fidare. Sono il tuo re... sono il tuo dio! Mi devi obbedienza!» ...

Fu un attimo.
Vorkof uscì dalla stanza per scagliarsi contro Hiwatari come una bestia ferita e pericolosa.
Parole, urla, rumori tutto era confuso.
Tutto, tranne la rabbia.
Sottile, fredda.

... «Mi giuri la tua fedeltà? Giuralo, Yuri!! Giuralo adesso!» ...

«Yuri!» disse Kai, «No, Yuri! Smettila!»
Il russo riprese coscienza.
Hiwatari lo stava strattonando.
Vorkof era rannicchiato contro il muro davanti a lui, tremava violentemente.
L'aria era fredda.
Aveva perso di nuovo il controllo.
«Andiamo via. Non ha quello che cerco.» sussurrò Kai, trascinandolo verso la porta.
«Yuri!» lo chiamò Vorkof, «Sei.. sei diventato molto potente... se soltanto mi avessi ascoltato, se mi avessi obbedito... Yuri, piccolo Yuri... tu eri il mio preferito.»
Lo guardò, immaginando tutto quello che avrebbe voluto dirgli, tutto quello che avrebbe voluto rinfacciargli; ripensò a tutti gli anni di sofferenza di cui quell'uomo era responsabile, a tutte le vite che aveva rovinato, ma non disse nulla.
Non c'erano parole per esprimere quello che provava o quello che non provava affatto.
Era stato il tempo a farsi carico della sua vendetta e lui si era solamente aggrappato ai suoi ricordi per continuare ad odiare e sfogare la sua frustrazione.
Si rese conto di non avere nulla nel cuore se non vuoto e indifferenza.
Voleva solo dimenticare e andare avanti.
Si voltò e si chiusero la porta alle spalle.


Kai si soffermò un momento, scrutando gli occhi del compagno.
«Stai bene?»
«Avresti dovuto farmi questa domanda prima di portarmi qui!» rispose Yuri, «Che cosa credevi di fare?!»
Il giapponese non lo degnò di una risposta e si diresse rapido verso le scale, lasciando che l'altro gli corresse dietro con la sua collera.
«Non scappare, bastardo!» urlò Yuri, «Perché mi hai trascinato qui? Sapevi quello che sarebbe successo! Tu lo sapevi, ma l'hai fatto lo stesso!»
Ansimò, scendendo gli ultimi gradini, Kai era già uscito dall'edificio.
«Aspetta!» gridò, ormai in strada.
Kai si fermò, senza voltarsi.
«Sono stato al tuo gioco come uno stupido! Mi sono lasciato manovrare!»
Yuri finalmente lo raggiunse.
«Ma adesso basta! Pretendo che tu mi dia una spiegazio...»
Non riusciva a parlare.
Kai gli stava puntando contro la pistola.




FINE TRENTASEIESIMO CAPITOLO, continua...

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