The Promise di kogarashi (/viewuser.php?uid=23199)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. 1 ***
Capitolo 2: *** Cap. 2 ***
Capitolo 3: *** Cap. 3 ***
Capitolo 4: *** Cap. 4 ***
Capitolo 5: *** Cap. 5 ***
Capitolo 1 *** Cap. 1 ***
On
behalf of her love She no longer sleeps Life no longer had meaning
Nothing to make her stay
She
sold her soul away…
THE
PROMISE
La sera del ballo fu la sera nella
quale la mia vita cambiò radicalmente. La mia vita, la mia
casa, la mia famiglia, i miei affetti, il mio amore…tutto mi
fu portato via nel giro di pochi istanti, durante una serata che si
prospettava sin dall’inizio carica di agitazione e di fermento.
Ma non di quel fermento e di
quell’agitazione che fanno da sfondo a qualsiasi festa, no, i
sentimenti che sfociarono in quella serata furono molteplici.
Allegria, gioia, contentezza…
E poi...
Dolore, disperazione, morte.
E poi il buio.
*
Ricordo ogni dettaglio talmente
nitidamente che è come se qualche artista avesse dipinto per
me ogni attimo di quella serata. Io, sciocca diciassettenne alle
prese con il primo ballo a corte ero forse la persona più
osservata e discussa dell’intera festa. Ovunque voltavo lo
sguardo vedevo gente che mi fissava, che parlava di me con altre
persone. Donne talmente prese da loro stesse incrociavano il mio
sguardo assumendo stupide pose di superiorità, riuscendo solo
a sembrare ancora più stolte e ignoranti di quello che gia
fossero.
Vagavo per l’enorme sala cercando
di non inciampare nelle pieghe del vestito da ballo, odiavo le
cerimonie e tutto ciò che concerneva qualsiasi impegno che
risultasse femminile o relativamente dolce. Ero sempre stata diversa
dalle mie amiche, tutte ammiratrici segrete di fronzoli e altri
accessori che alla sola parola mi facevano venire la pelle d’oca.
“Eppure ti ho cresciuta da
ragazza” diceva qualche volta esasperata mia madre.
Solitamente a quelle parole io sbuffavo
contrariata, ripetendole la stessa e identica frase che ormai le
ripetevo con noia da una decina d’anni:
“Solo perché hai partorito
una femmina, non significa che debba comportarmi da oca come le
altre”
A quelle parole mia madre nascondeva
sempre una risata, perdendo forse per qualche istante quel contegno
degno di una regina.
Riuscii ad uscire fuori sul piccolo
balconcino nel quale da piccola sostavo guardando meravigliata la
natura incontaminata fuori dalle mura del palazzo, all’interno
di esse i giardini tenuti come oro dai giardinieri erano uno
spettacolo neppure paragonabile a ciò che stava al di là.
Posai le braccia sul balcone fatto di
solito marmo, lasciando che la brezza fresca della sera facesse
volare i miei capelli rossi per me troppo lunghi. Li odiavo, quel
colore innaturale mi faceva sentire diversa, anche se in fondo, amavo
esserlo.
Fu in quel momento che lo incontrai.
Fino a quel momento non mi ero resa conto della persona che poco
distante da me osservava incantato la notte. Mi rimisi composta senza
togliergli gli occhi di dosso, era strano ma i suoi lineamenti, il
modo in cui scrutava tranquillo l’orizzonte con quegli occhi
scuri e profondi, il suo sorriso sereno mi toglievano il fiato. Era
perfetto, sotto qualunque aspetto lo si guardasse.
In quel momento lui distolse lo
sguardo, posandolo sul mio sorpreso e mi sorrise, mentre io
imbarazzata abbassavo di colpo il mio arrossendo.
“Non…non ti ho mai visto
da queste parti, vieni da qualche contea esterna?” chiesi
maledicendomi per il mio imbarazzo. Non avevo mai avuto problemi a
parlare con le persone, invece in quel momento qualsiasi cosa
tentassi di dire finiva inesorabilmente con un balbettio di voce.
Lui sorrise nuovamente e in quel
momento qualcosa in fondo al mio stomaco sussultò, facendomi
arrossire ancora più ferocemente tanto che dovetti voltargli
le spalle e posarmi una mano sul cuore, che aveva incoerentemente
iniziato a reagire a quella situazione in modo assurdo, battendo in
un modo talmente forte che mi faceva mancare il respiro, quasi avessi
corso per chilometri senza mai fermarsi.
“Esatto, vengo da una contea qui
vicino. Ho ricevuto l’invito al ballo così per caso, e
mio padre mi ha semplicemente obbligato ad accettare”
Mi voltai verso di lui sorpresa. La
sua voce provocava in me un miscuglio di sentimenti e di emozioni
strane che andavano dalla malinconia, alla gioia, alla commozione,
alla dolcezza.
“Ah” dissi semplicemente,
cercando di trovare qualsiasi argomento per continuare a discorrere
con lui. Non mi resi conto di essere talmente imbarazzata da
scostarmi una ciocca e portarmela dietro l’orecchio, come solo
le civette di corte facevano e quando me ne resi conto esclamai di
disgusto, riportando la ciocca dove si trovava, mentre quel ragazzo
scoppiava a ridere.
“A quanto vedo non sei una
ragazza molto femminile” disse cercando di ritrovare un minimo
di contegno, mentre la mia faccia assumeva un colorito più
rosso dei miei capelli mentre mi davo mentalmente dell’idiota
per la misera figura appena fatta.
“Mi dispiace” riuscii solo
a dire, senza trovare la benché minima scusa per
giustificarmi. Se mia madre o mio padre fossero stati li sarebbero
rimasti inorriditi dalla mia mancanza così profonda di tatto,
che mi portava a fare figure come quella.
Lui scosse la testa mantenendo
quell’insolito e così meraviglioso sorriso,
avvicinandosi a me lentamente, come se il tempo avesse
arbitrariamente deciso di rallentare il suo scorrere silenzioso.
Mi resi conto solo alcuni attimi più
tardi di quanto lui fosse vicino a me, talmente tanto che potei quasi
sentirne il respiro sulla mia pelle, lentamente alzò una mano
e mi scostò quella ciocca che prima avevo volutamente
ricacciato dov’era dal viso, portandola dietro al mio orecchio,
dove lei stette, quasi fosse stata anch’essa rapita dalla
figura di quel ragazzo.
“Hai dei begli occhi”
disse improvvisamente, fissandomi sorpreso e quasi ammirato, mentre
io rimanevo completamente pietrificata, incantata dai suoi, talmente
scuri e profondi quasi fossero le porte d’accesso di un
baratro, eppure così caldi da imprimersi nella mia memoria in
modo quasi tangibile.
“Grazie, anche i tuoi
sono…strani”
Lui mi guardò stranito, mentre
io abbassavo di colpo lo sguardo cercando un qualsiasi pretesto per
fuggire da quella conversazione talmente assurda e logora per i miei
nervi che credevo sarebbero implosi con me stessa.
“Bhe, grazie del complimento”
disse lui tornando a ridere di gusto.
Nonostante le figuracce che continuavo
a fare una dietro l’altra lui restava li, sereno e tranquillo,
come qualsiasi persona ingenua che non capisce quando qualcuno lo sta
offendendo. Ma forse era questo che lo rendeva diverso, che rendeva
diversa tutta quella situazione. Io non stavo cercando di offenderlo,
anzi, cercavo con tutta me stessa di rendermi carina e socievole, ma
le mie prove continuavano a fallire miseramente.
“Sei divertente” mi disse
ad un certo punto.
“Divertente?” chiesi io
sorpresa di quella constatazione.
Nessuno fino ad allora mi aveva mai
detto una cosa simile. Ero abituata a commenti poco carini sulla mia
persona, come “maschiaccio, antipatica, superba” ma mai
nessuno mi aveva detto che ero divertente.
“Sei divertente, e in qualche
modo carina”
Lo fissai quasi scandalizzata, forse
ero fin troppo diffidente verso le persone, ma quella frase mi fece
credere che mi stesse solo prendendo in giro.
“Ti stai burlando di me!”
sbottai mentre lui assumeva uno sguardo confuso e disorientato.
Senza un motivo apparente strinsi i
pugni e gli occhi mi si riempirono di lacrime che riuscii a
ricacciare indietro prima che facessero danno rotolando giu dal mio
viso.
Non sono sicura che lui se ne fosse
accorto, ma ricordo ancora perfettamente il tocco della sua mano che
sfiorava la mia guancia, mandando letteralmente a fuoco la mia pelle.
“Mi dispiace” disse.
Quel tepore mi restituì la
lucidità necessaria per riprende il controllo di me stessa,
voltai lo sguardo verso l’interno della sala, dove tutti si
stavano divertendo sorseggiando drink o spettegolando dell’ultima
moda. Mentre io ero fuori insieme ad un perfetto sconosciuto,
conosciuto per caso quella sera.
Sorrisi, cercando di essere il più
naturale possibile e quello che accadde dopo fu la cosa più
irrazionale che qualsiasi persona potesse fare.
“Come ti chiami?” mi
chiese.
“Misty…e…tu?”
“Ash…piacere”
Senza una benché minima ragione
scoppiai a ridere sentendo quel nome, mi piegai in due stringendomi
le braccia sulla pancia mentre lui mi guardava non riuscendo a capire
cosa ci trovassi di così divertente in un nome simile.
“Scusami…è solo
che…” dissi cercando di bloccare l’attacco di
ridarella acuta che mi aveva colpita improvvisamente.
“Ti stai burlando di me?”
chiese improvvisamente e io divenni tutta d’un tratto seria,
fissandolo sorpresa.
Credo che si fosse spaventato della
mia reazione così volubile perché scoppiò a
ridere di gusto mandando a quel paese il contegno e lasciando che il
cappello gli cadesse a terra dal ridere.
“Scusa, non volevo farti
spaventare, è solo che…la tua faccia”
Io rimasi inebetita a fissarlo, mentre
i suoi capelli sbarazzini si muovevano ondeggiando al vento, rapendo
il mio sguardo tanto che provai l’impulso irrefrenabile di
toccarli.
Mi fermai a pochi centimetri dal suo
viso, dopodichè mi abbassai velocemente per raccogliere il suo
cappello, mentre lui, ne sono certa mi guardava con uno sguardo
talmente profondo da trafiggermi.
Mi alzai tenendo lo sguardo basso e
gli porsi il cappello, che lui si rimise in testa senza smettere –
ne sono sicura – di fissarsi.
“Che ne dici di entrare? Stanno
per aprire le danze”
A quelle parole sbiancai. Odiavo
ballare e quindi mettermi in bella mostra davanti alla gente.
“Non so ballare” risposi
fin troppo in fretta perché risultasse vero.
Lui inarcò un sopracciglio
guardandomi dall’alto in basso prima di prendermi per mano e
trascinarmi dentro.
Appena entrammo le persone che stavano
discorrendo animatamente si bloccarono tutte, quasi fossero state
poste sotto l’influsso di un potente incantesimo che le
obbligava a guardarci come rapiti. Gli orchestrali che fino a quel
momento avevano solo guardato lo svolgersi della festa iniziarono a
suonare una melodia molto lenta e dolce ed Ash mi portò al
centro della pista, mentre io mi sforzavo di mantenere la
concentrazione sul pavimento per non dover incrociare gli sguardi dei
miei genitori che sicuramente mi guardavano con tanto d’occhi,
facendo poi battutine poco consone alla situazione.
Ash si fermò in mezzo alla
pista, voltandosi verso di me e avvicinandomi con le braccia al suo
corpo, mi avvolse in un semi abbraccio talmente dolce che al pensiero
di quel momento ancora adesso sento il calore del suo
corpo…nonostante questo non sia più possibile.
“Ash…non so ballare!”
disse a voce talmente bassa che lui dovette avvicinarsi a me per
potermi ascoltare.
“Non preoccuparti, lasciati
andare, al resto ci penserò io” mi disse nell’orecchio.
E per la prima volta mi ritrovai a
ballare, completamente rapita dal mio partner, mentre ogni singolo
individuo in quella sala ci mandava occhiate equivoche, ma poco
importava in quel momento, era come se in quel momento tutto intorno
a noi fosse svanito nel nulla, le cose, le persone, le voci, la
musica, tutto era relativo in quel momento. Esistevamo solo noi due…
Quando la musica cessò mi
allontanai da lui lentamente, alzando il viso e perdendomi nei suoi
occhi scuri. Lui mi guardò sorridendomi prima di allontanarsi
e fare un piccolo inchino di fronte a me in segno di saluto e di
rispetto, dopodichè alzò il viso facendomi l’occhiolino
e ridendo quando io divenni un’altra volta rossa.
Quella serata terminò così.
Poco dopo Ash dovette tornarsene a casa, scortato da alcuni uomini ed
io, rimasi in mezzo alla sala, scoprendomi sorpresa di come il cuore
stesse male a quella lontananza. Quella notte dormii molto poco,
anzi, forse dovrei dire che non dormii per niente, continuavo a
ripensare a quell’incontro, e ogni volta che la mia mente
focalizzava il viso di Ash il mio cuore correva veloce, e io
arrossivo come una sciocca.
Solo più tardi mi resi conto di
quanto quel ragazzo mi avesse colpita.
Me ne ero completamente, totalmente
innamorata.
*
Non ricordo esattamente quando
successe, ma ricordo perfettamente come io e Ash ci mettemmo
insieme…
Quella sera avevo deciso d’ignorare
le lamentele dei miei genitori, in particolare di mio padre che si
comportava come un vero e proprio dittatore nei miei riguardi, sempre
troppo preso dai suoi impegni passava quel poco tempo che gli
rimaneva con me rimproverandomi qualsiasi cosa facessi o dicessi.
Così quella sera uscii da
palazzo diretta non sapevo bene dove, sellando il mio cavallo e
correndo veloce sulle colline verdi che a quell’ora si
riempivano di lucciole e di gracidii di rane e grilli.
Scesi da cavallo facendo attenzione a
non inciampare, il vestito che mio malgrado ero costretta ad
indossare in quanto membro femminile di un’importante casata
non avrebbe dovuto sgualcirsi, altrimenti avrei rischiato un castigo
forse peggiore della forca stessa.
Mi misi ad osservare le stelle nel
cielo, mentre le poche nuvole che occupavano il cielo notturno
correvano veloci, a formare altre nuvole più grosse e scure.
Tornai con lo sguardo a terra
posandolo sul mio cavallo, intendo ad abbeverarsi nel piccolo
ruscello che scorreva poco distante da dove mi ero fermata. Era un
cavallo giovane, di un nero talmente lucido da fare invidia ai
lustrascarpe del paese. Le zampe e la fronte portavano delle macchie
bianche simili a gocce che piovute su di esso lo rendevano ancora più
meraviglioso di quello che gia fosse.
Fu in quel momento che sentii uno
scalpiccio di zoccoli provenire da lontano e dirigersi quasi
sicuramente nella mia direzione. Inconsciamente afferrai le redini
del mio cavallo, pronta a saltare in sella e correre via se ce ne
fosse stato bisogno, mentre con lo sguardo aspettavo d’intravedere
colui o colei che si stava avvicinando con velocità esagerata
a me.
Improvvisamente dal buio della notte
uscì un bellissimo cavallo marrone, ma la mia attenzione fu
catturata dalla persona che lo stava cavalcando.
E il mio cuore perse un battito.
Vestito come un comune ragazzo di
campagna Ash rallentò l’andatura mentre il suo viso
s’illuminava vedendomi li, sorpresa e affascinata.
“Misty!” disse fermando il
cavallo quasi di fronte a me e scendendo da esso prima di dargli una
pacca e lasciarlo trotterellare fino al piccolo ruscello dove prima
si era abbeverato il mio cavallo.
“Cosa ci fai qui?” mi
chiese tutto d’un tratto voltandosi verso di me.
“Nulla di che, passeggiavo”
risposi io facendo spallucce come se essere li a quell’ora di
notte fosse una cosa normalissima per una ragazza.
Lui sorrise e si distese sul manto
verde, chiudendo gli occhi e lasciandosi accarezzare dalla brezza
della sera.
“E tu come mai ti trovi qui?”
chiesi.
“Per il tuo stesso motivo penso”
Lo guardai per un momento prima di
alzare nuovamente lo sguardo verso il cielo, dove le nuvole si
stavano addensando in modo preoccupante, ormai le stelle erano quasi
sparite dietro di esse ed un brivido di freddo mi avvolse.
“Credi che pioverà?”
chiesi rivolgendomi ad Ash che per tutta risposta si mise seduto
osservando i cavalli.
“Di solito gli animali sentono i
cambiamenti climatici prima di noi uomini, se notiamo qualche
cambiamento in loro torniamo indietro”
Non appena finì la frase un
lampo squarciò il cielo seguito subito dopo dal potente rombo
di un tuono e terrorizzata strillai chiudendo gli occhi e portandomi
le mani strette a pugno sulle orecchie.
Ash si alzò di scatto,
prendendomi e avvicinandomi a lui.
“Torniamo indietro” disse
voltandosi verso i cavalli e prendendo le loro redini con una sola
mano.
Nel giro di qualche istante stavano
correndo veloci verso le mura del paese, mentre la pioggia e il vento
ci sferzava il viso impedendoci di vedere bene la strada di casa.
“Non pensi che dovremmo trovarci
un riparo almeno finchè la pioggia non si placa?” gridai
cercando di farmi sentire.
E ci riuscii perché Ash prese
una svolta improvvisa e nel giro di qualche minuto ci ritrovammo di
fronte ad una baracca logora e vecchia. Facemmo entrare i cavalli e
Ash accese il fuoco, mentre io cercavo con tutta me stessa di calmare
i brividi che scuotevano il mio corpo.
“Tutto bene?” mi chiese
vedendo come io cercassi di farmi caldo con le mani.
Annuii, e mi avvicinai al fuoco,
trovando sollievo nel constatare che le mie mani non avevano perso la
sensibilità, come invece credevo.
Ci sedemmo accanto al fuoco in
silenzio, entrambi guardando il fuoco che scoppiettava.
“Strano come secondo incontro
non trovi?” disse Ash sogghignando divertito.
A quelle parole anche io non riuscii a
trattenere una piccola risata, mentre le mie guance s’imporporavano
appena. In quel momento non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso,
la luce del fuoco lo rendeva così bello che in confronto alla
sera del ballo sembrava aver acquisito vigore.
Lui si voltò verso di me e mi
sorrise, all’oscuro di come in quel momento i miei pensieri si
addensavano attorno a lui e solo a lui.
Non mi capacito ancora di quello che
feci in quel momento. Ricordo solo che mi tesi verso di lui e gli
sfiorai le labbra con le mie.
Quando mi allontanai da lui lo vidi
arrossire e portarsi meccanicamente le dita sulle labbra, preso alla
sprovvista da quel gesto.
Mi sentii stupida, perché lui
mi guardava con i suoi occhioni sgranati che alla luce del fuoco
risplendevano e mi diedi nuovamente dell’idiota per essere
stata così spontanea.
Non avevo mai baciato nessuno, per la
verità non avevo mai neppure provato un sentimento simile e
quindi imbarazzata mi alzai, scoprendo che il temporale fuori dalla
finestra sembrava essersi placato magicamente.
“Possiamo andare” dissi
cercando di non guardarlo in faccia. Però lo sentii annuire e
alzarsi mentre i suoi occhi non si distoglievano dal mio viso.
Uscimmo e cavalcammo fino dentro le
mura di cinta della città, dopodichè scendemmo e
c’incamminammo verso il mio palazzo, solo allora mi ricordai
che lui non faceva parte di quella contea.
“Non è tardi? I tuoi
genitori saranno preoccupati” dissi.
Lui controllò il grosso
orologio che sovrastava la chiesa e si mise una mano sulla nuca,
imbarazzato.
“Bhe in effetti, credo che sia
ora di andare”
Si voltò per andarsene, ma il
mio stupido autocontrollo vacillò nuovamente e lo chiamai
facendolo voltare verso di me.
“Si?”
Prima che potessi dire qualsiasi altra
cosa andai da lui e posai nuovamente le labbra sulle sue, più
a lungo questa volta, per imprimere quel calore e quella morbidezza
disarmante nella mia mente.
Fu magico quello che accadde dopo, mi
strinse a se, prolungando quel bacio che divenne molto più
simile al bacio di due innamorati che a quello di due estranei,
mentre il mio cuore batteva impazzito nel mio petto, furioso e
innamorato.
*
Il giorno della festa in onore del
compleanno di mia madre fu un evento che non dimenticherò mai.
Non potrò mai dimenticarlo, perché segnò il mio
destino e le mie scelte future.
Per tutto il giorno fu un via vai
assurdo di servitori che si davano da fare per rendere il ricevimento
e il ballo perfetti sotto qualsiasi punto di vista.
Mia madre per l’occasione aveva
sfoggiato il suo abito migliore, un vestito di raso e seta talmente
bello che le dame di corte facevano a gara per vederlo per prime.
Il mio abito, scelto appositamente per
il ricevimento era di seta finissima, di un rosa caramellato con
delle rifiniture violacee che mi dava il voltastomaco, ma per
quell’occasione dovevo sembrare almeno un po’ femminile,
per non ferire i sentimenti di mia madre. Mi fece indossare anche un
collare d’oro al collo che mi faceva somigliare più ad
un cane da passeggio con il collo rotto che ad una ragazza. Infine
per completare l’opera aveva voluto che indossassi per forza un
diadema incastonato di gemme verdi che s’intonavano
perfettamente – a suo dire – con i miei occhi.
La serata iniziò nel migliore
dei modi, almeno per loro, tutta quella gentaglia di nobili allietava
la festa come delle oche in un cortile di porci, ma da brava attrice,
fingevo che quelle persone mi piacessero.
Attesi appoggiata al muro di vedere
qualche persona che potesse alleviare le mie sofferenze per quella
serata così malsana finchè la porta non si aprì
e nella sala entrò lui, vestito come un cavaliere, con tanto
di mantello e cappello blu con un marchio dorato.
Appena lo vidi corsi da lui felice,
dimenticandomi dei tacchi che portavo ai piedi e che mi fecero
inciampare nelle pieghe del vestito. Chiusi gli occhi pronta alla
caduta e al silenzio più totale della sala, sostituite poi
dalle risate di scherno delle nobili più giovani. Ma quella
caduta e quella figuraccia non arrivarono mai. Quando riaprii gli
occhi mi ritrovai fra le braccia di Ash, che mi aveva preso al volo,
impedendomi di volare a terra come un sacco di patate.
“Dovresti fare attenzione a dove
metti i piedi sai?” mi disse sorridendo e in parte prendendomi
in giro per la mia goffaggine.
Gli diedi una leggerla sberla sul
braccio e lui rise, inebriandomi con la sua risata cristallina e
spontanea.
Durante la mezz’ora successiva
ballammo come avevamo fatto la prima volta. La mia goffaggine sulla
pista da ballo sembrava quasi scomparsa e lui, era talmente paziente
da non dire nulla neppure quando finivo con il pestargli i piedi.
Mentre eravamo li a danzare sentii
delle voci che parlavano animatamente di alcuni fatti di cronaca
avvenuti in una contea vicina, ma non ci feci caso, troppo presa a
ballare con Andrew, nonostante il suo sguardo in quel momento
tradisse una seria preoccupazione per quello che stava cercando di
catturare dalle parole degli altri ballerini.
Improvvisamente le porte della sala si
aprirono e mio padre venne di gran carriera verso di me, era da
qualche giorno che lo non vedevo e così sorrisi allontanandomi
un po’ da Ash per poter andare da lui. Ma Ash mi trattenne
inconsciamente, come se avesse visto qualcosa che non andava.
Il suo sguardo si era fatto duro e così
seguii anche io il suo sguardo e quello che vidi mi fece pietrificare
dalla paura.
Dietro mio padre c’erano alcuni
soldati della guardia, cavalieri e alti ufficiali che senza neppure
aspettare un qualsiasi ordine iniziarono a fare roteare le spade,
colpendo all’addome gli invitati che si trovavano più
vicino a loro.
Le grida superarono improvvisamente la
musica che si fermò e tutti cercarono di scappare in ogni
direzione, mentre io non mi muovevo di un passo, troppo presa a
vedere cosa ne fosse stato di mio padre e di mia madre.
Fu allora che li vidi. Mio padre che
prima stava venendo da me ora era a terra in una pozza di sangue,
mentre mia madre era poco distante da lui, riversa sulle sedia con
gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in quello che doveva essere
stato un grido di terrore, nonostante la distanza la vedevo ancora
respirare debolmente, nonostante il rivolo di sangue che le scendeva
dalla bocca e la spalla completamente coperta di sangue che scendeva
fino alla mano per poi gocciolare a terra.
“MADRE!!!” gridai perdendo
il controllo cercando di correre da lei ma Ash mi fermò.
“Dobbiamo scappare!” mi
disse e mi trascinò via, verso i corridoi del palazzo.
“I miei genitori! Non posso
lasciarli li!”
“Se torni ti uccideranno!”
mi gridò lui senza smettere di correre.
Aprì una botola dietro ad una
parete nascosta da un quadro e mi spinse dentro senza tanti
complimenti.
“Dove vai? Cosa sta succedendo
Ash?” dissi in preda al panico mentre iniziavo a tremare in
modo convulso, terrorizzata dalle immagini dei miei genitori morti.
“Tranquilla, andrà tutto
bene” mi disse prendendomi il viso fra le mani e baciandomi
delicatamente le labbra.
“Tornerò presto, vado solo
a controllare se se ne sono andati” disse “Ma tu ora
smetti di piangere d’accordo?”
Neppure mi ero resa conto di aver
iniziato a piangere e così mi asciugai il volto, tirando su
con naso, mentre il diadema crollava insieme ai miei capelli
impiastricciati di sudore.
“Promettimelo!” gli dissi.
“Cosa?”
“Che tornerai! Giuralo!”
Lui mi guardo e mi sorrise dolcemente.
“Te lo prometto” disse
dopodichè si voltò e se ne andò.
Non lo rividi più da quel
giorno…
CONTINUA…
°___° ok, questa fic nasce da 1
idea strampalata e totalmente sadica che mi è uscita di notte
mentre ero su msn insieme ad una mia cara amica…>___>’’
questo è il primo capitolo e penso che non durerà poi
molto xD spero solo che possa piacere…ù_ù ah…la
frase e il titolo provengono dalla canzone The Promise dei Within
Temptation *___*
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Cap. 2 ***
After the night he died
I wept my tears Until they dried But the pain stayed the same
I didn't want him to
die all in vain I made a promise
To revenge his soul in
time I'll make them bleed at my feet...
THE
PROMISE
Fin da bambina avevo
sempre avuto la certezza illusoria che nulla di quello che era
accaduto di brutto nel mondo alle persone a me vicine potesse
scalfirmi, come se io fossi diversa, come se fossi nata protetta da
un vetro così sottile e trasparente da non permettere a
situazioni brutte e no come la guerra, l’amore o al dolore di
colpirmi. Ma quella notte mi resi conto di quanto il mio punto di
vista fosse totalmente irrazionale, e di come ciò che accade
alle altre persone può colpirci.
Perché siamo esseri
umani. Ed è nel nostro destino soffrire.
Soffrire per vivere.
Quella notte non dormii,
ogni volta che i miei occhi cercavano di chiudersi io li riaprivo di
colpo, avevo paura di ciò che avrei potuto vedere
addormentandomi. Nonostante ciò però la mia mente
creava ugualmente nella mia testa immagini e ricordi che non
tolleravo, che non volevo ricordare, non in quel momento.
Non così.
Era come se qualcuno
avesse deciso di riversare in un pentolone tutti i miei ricordi,
facendomi tornare indietro nel tempo sino a quella maledetta notte.
Ma come capita di solito
in queste situazioni, gli eventi prevalgono sulla volontà…finendo
con il trascinarmi con loro.
Sognai.
Quella notte, fu la prima
volta che iniziai ad avere gli incubi su di lui. Non fui mai certa se
si trattassero di sogni con un fondo di verità o semplicemente
incubi dove vagavo, in balia di speranze alle quali la mia mente
tentava con ogni mezzo possibile di aggrapparsi.
Ricordo quel sogno perché
in parte ripercorreva a ritroso ciò che quella notte successe.
Una volta uscita dal mio nascondiglio camminai cercando di fare il
minimo rumore possibile. Temevo che qualcuno potesse sentirmi e mi
poggiai una mano sul petto, sentendo solo in quel momento il mio
cuore battere talmente forte da rimbombarmi nelle orecchie.
Quando arrivai alla
scalinata rimasi pietrificata dall’orrore. Gli invitati, i miei
amici, i miei stessi genitori erano a terra, con le gole tagliate,
come se chi aveva compiuto quel massacro fosse poi tornato indietro e
avesse sgozzato ogni singolo invitato, per essere sicuro di non
lasciare sopravvissuti…
Vagavo con lo sguardo
fisso verso una massa informe vicino al corpo senza vita di mio
padre, senza neanche accorgermi di come le mie scarpe calpestassero
di tanto in tanto le pozze di sangue colate dai corpi dei cadaveri
che mi circondavano loro malgrado.
Arrivai a quell’oggetto,
sollevandolo lentamente, mentre il mio cuore perdeva un battito e il
respiro mi si mozzava nel petto.
Il suo cappello.
Il cappello che Ash
portava al ballo era a terra, intriso di sangue.
Del suo sangue.
Mi voltai di scatto,
cercando intorno a me il suo corpo, terrorizzata al pensiero che
avrei potuto vederlo riverso a terra, con la gola tagliata come i
miei genitori.
Ma per qualche strano
motivo il suo corpo non era insieme agli altri, nonostante il mio
sguardo lo cercasse ossessivamente, non riuscii a scorgere la figura
esile del corpo di Ash da nessuna parte.
Strinsi inconsciamente il
cappello a me, stringendolo talmente forte da imprimere le macchie di
sangue sul mio vestito.
E piansi, lasciai che le
lacrime mi offuscassero la vista, le lasciai correre lungo il mio
viso, fino a bagnare parte del pavimento intriso di sangue, mentre il
mio sguardo si perdeva nell’incoerente massacro che si
stanziava di fronte ai miei occhi.
“Misty”
Mi voltai di scatto verso
la voce e lo vidi li, di fronte a me, con in mano la spada ancora
sporca di sangue usata per sgozzare le gole delle persone alle quali
volevo bene, lui, di fronte a me.
Gli occhi ancora profondi
ma pieni di un fuoco che non riconoscevo.
Ash aveva ucciso la mia
vita.
Aprii gli occhi di colpo,
rendendomi conto in quel momento del mio respiro accelerato e delle
lacrime che stavano bagnato il mio viso.
Un incubo.
Il primo di una lunga
serie che non mi avrebbe più lasciato vivere.
“Ti sei svegliata”
mi disse una voce vicina e calda e voltai lo sguardo, incontrando
occhi glaciali posati sul mio viso, occhi talmente azzurri da
risultare bianchi ad una prima veloce occhiata, occhi che
trasmettevano un misto di risentimento e malinconia. Eppure, gli
unici occhi che da quel giorno riconoscevo come amici.
“Jared” dissi
mettendomi seduta e lasciando che i miei gomiti facessero leva sul
materasso.
“Hai fatto un brutto
sogno?” mi chiese, scostandomi leggermente una ciocca di
capelli dal volto.
Io scrollai la testa in
senso di diniego, quell’uomo mi era stato vicino in quei
giorni, non volevo farlo preoccupare con stupidi incubi
adolescenziali. Nonostante ciò però, quei ricordi
riaffioravano nella mia testa in modo quasi testardo.
Non dovevo dimenticare.
La sera del massacro Jared
fu l’unica persona sopravvissuta a venire da me e a farmi
forza. Fu lui stesso a dirmi che Ash era scomparso e che forse adesso
era morto. Non ne ebbi mai la prova certa, ma quel sangue trovato sul
suo cappello non mi lasciarono dubbi, anche se, nei miei sogni e
nella mia mente qualcosa mi diceva che Ash era vivo.
Era sopravvissuto.
Da quel giorno Jared si
prese cura di me, nonostante fosse un uomo avanti con l’età
era ancora un grande combattente, sempre fedele alla casata dalla
quale provenivo. Mi aveva educata fin da piccola, e solo con l’arrivo
dell’adolescenza le nostre strade si erano un po’
sbilanciate, lasciando che fossi io stessa a camminare da sola, senza
nessuno al mio fianco che potesse sorreggermi.
Era un uomo saggio e
un’ancora di salvezza per me.
Fu durante quei giorni che
nella mia mente iniziò a delinearsi un pensiero corrotto. Un
pensiero rivolto al male che mi faceva tremare ma al tempo stesso
m’infondeva fiducia e una carica inattesa in tutto ciò
che facevo.
Li avrei stanati.
Avrei ucciso chi aveva
massacrato i miei genitori.
Li avrei fatti sanguinare
ai miei piedi.
Mi sarei vendicata di
ognuno di loro, fino a che le mie lacrime e il mio dolore non fosse
cessato con la loro morte.
All’inizio ebbi
paura di aver formulato un pensiero simile, eppure, con l’andare
del tempo quel pensiero divenne parte di me.
Con il passare dei giorni
i miei incubi peggiorarono, e così il mio malumore, arrivando
al punto che dovetti trovare qualsiasi espediente per riuscire a non
pensarci. Ma la cosa fu più facile a dirsi che a farsi. Fu
allora che Jared venne nuovamente in mio soccorso.
“Che ne dici
d’imparare a combattere?”
Rimasi impietrita da
quella proposta, mentre con una mano mi tendeva una spada che di
primo acchito doveva pesare parecchio, ma che lui riusciva a tenere
con una sola mano con estrema disinvoltura, quasi fosse stata fatta
di carta. Incerta la presi fra le mani, e la pesantezza dell’arma
mi fece sbattere la lama a terra.
“E’ pesante!”
dissi irritata e con disappunto.
“Ci farai
l’abitudine, in fondo sei una bambina”
Se fosse stata mia madre a
darmi della bambina sarei andata in escandescenze, eppure in quel
momento mi sentii davvero fragile e minuta a cercare di reggere
un’arma che era quasi pesante come me e che ricordavo fin
troppo bene, aveva ucciso le persone che amavo.
“Insegnami a
maneggiarla” dissi quasi senza rendermene conto.
Volevo vendicarmi, e quel
pensiero, unito al fatto della spada che tenevo ben salda fra le mani
mi diedero la forza necessaria perché il mio desiderio potesse
cominciare a prendere spessore.
E il tempo
passò…inesorabile.
*
“Così non va!
Se vuoi imparare a difenderti e ad attaccare inizia a maneggiarla
come se fosse parte di te! Un’appendice del tuo braccio!”
“Come se fosse
facile!”
“Se continui a
lamentarti come una femminuccia non sarai mai pronta!” gridò
Jared al limite della sopportazione, mentre io, offesa da quelle
parole lasciai cadere a terra con un tonfo la spada.
“Al diavolo!”
dissi digrignando i denti, mentre con una mano ricacciavo indietro
una ciocca di capelli rossi.
Ormai erano passati mesi
da quando Jared aveva iniziato ad allenarmi all’uso della
spada, eppure i miei miglioramenti erano pressoché nulli.
L’unica cosa che ero riuscita a fare era tenerla con una mano
sola senza lasciare che cadesse a terra, anche se, il dolore ai
muscoli del braccio a causa dei crampi provocati, mi facevano gridare
di dolore per tutta la notte.
Con il fiato corto mi
lascia cadere a terra, lasciando che la polvere del terreno e i raggi
del sole si mischiassero con il colore dei miei lunghi capelli rossi,
cercando per qualche istante almeno di separarmi da quella condizione
di rabbia e dolore per trovare un equilibrio che mi facesse restare
ancorata e lucida alla realtà.
Fu come una pugnalata in
pieno stomaco, il viso di Ash, il suo sorriso, la sua voce e tutto
ciò che restava di lui nei miei ricordi si affollarono
improvvisamente nella mia mente, non lasciandomi libera di respirare.
Involontariamente la mia mente corse al giorno del nostro primo
incontro e le fitte al petto diventarono pura follia.
“A quanto vedo
non sei una ragazza molto femminile”
...
“Hai dei begli
occhi”
Riaprii gli occhi di
colpo, le parole che la mia mente aveva formulato con la voce di Ash
erano talmente nitide che avevo pensato davvero per una frazione di
secondo che se avessi aperto gli occhi l’avrei visto li davanti
a me, a scostarmi nuovamente una ciocca di capelli dal viso.
Mi misi seduta, ancora
spaventata da quel ricordo così nitido e il mio sguardo corse
verso l’impugnatura della spada che giaceva inerme poco
distante da me.
Ciò che feci dopo
mi fece odiare me stessa.
Mi alzai in piedi e presi
di getto la spada, impugnandola in modo tale che la lama fosse
rivolta verso il mio viso e presi una ciocca dei miei capelli,
tagliandomeli via e lasciando che disegnassero piccoli cerchi prima
di cadere a terra.
“Che stai facendo? I
tuoi capelli!” gridò Jared correndo verso di me.
Non lo ascoltai, ricordo
che in quell’impeto di rabbia provocato dal dolore dei ricordi
tagliai i miei capelli in modo disordinato e convulso, aggrappandomi
all’insana idea che stroncando la loro lunghezza avrei anche
allontanato il dolore per la morte di Ash.
Se è davvero
morto.
Nonostante la mia mente
continuasse ad aggrapparsi a false speranze io continuavo a stare
male, ad odiare il mio passato e soprattutto, il mio presente.
Il mio presente senza di
lui.
Non mi resi conto di Jared
fino a quando non mi strappò dalle mani la spada, lanciandola
lontana e mi prese per le spalle, scrollandomi rabbioso per ciò
che avevo appena commesso, come se avessi appena commesso un
terribile peccato.
“Perché l’hai
fatto?” mi urlò contro, il viso contratto, le mani che
mi stringevano le spalle.
“…”
“Misty! Non mi avevi
detto che erano una delle cose che ti facevano amare te stessa? Non
erano un legame con Ash?”
Il respiro mi si mozzò
nel petto. Avevo dimenticato, avevo lasciato che il dolore e la
rabbia avessero il sopravvento sulle mie emozioni e sui miei
sentimenti e mi ero dimenticata di una cosa per me importante come la
mia stessa vita.
I miei capelli erano il
mio legame con Ash.
Era stata la prima cosa
che mi aveva toccato quando c’incontrammo per la prima volta, e
io, avevo reciso quel legame senza rendermi conto di ciò che
stavo facendo.
Avevo reciso una parte di
quel legame alla quale ero legata.
Mi ero allontanata da
lui.
“Misty…”
Mi allontanai da Jared,
sconvolta per quella constatazione improvvisa, portandomi le mani sul
volto e scoppiando a piangere senza ritegno, mentre ancora le
immagini di quel momento mi tornavano alla mente, ora più
dolorose e crudeli di quanto non lo fossero state precedentemente.
Mi buttai a terra,
restando in ginocchio, con le ciocche di capelli rosso fuoco che una
volta mi erano appartenute intorno a me.
“Perdonami,
perdonami”
Jared non disse nulla,
capì all’instante che quell’implorazione non era
rivolta a lui, ma bensì ad Ash.
Ad Ash e a ciò che
rappresentava per me.
Restai a lungo
inginocchiata a terra, con il viso coperto dalle mani, mentre sentivo
Jared vicino a me raccogliere silenziosamente ogni singola ciocca,
come se facendolo mi avesse voluto dire che lui c’era, che ci
sarebbe sempre stato.
Decisi di guardarlo, e
rimasi ferma in silenzio ad osservarlo mentre compiva quella strana
azione, senza riuscire a muovermi. Forse in quel momento Jared aveva
voluto dimostrami che avrebbe protetto ciò che ero e ciò
che sarei diventata un giorno.
Che mi sarebbe sempre
rimasto accanto.
Per sempre.
*
Da quel giorno il mio
cuore iniziò ad indurirsi, non lasciavo più trasparire
i miei sentimenti come un tempo, anche se, la notte, i miei sogni
tornavano a ricordarmi quanto quella maschera fosse deleteria per me.
Ma andava bene così.
“Sei migliorata”
Jared venne verso di me
offrendomi una bevanda fresca per ripagarmi del duro allenamento.
Ormai riuscivo a maneggiare la spada come se fosse parte di me, come
se non avessi fatto altro da quando ero nata. Sorrisi, accettando di
buon grado il dono e bevvi, lasciandomi inondare dal piacere che la
bevanda fresca aveva nella mia gola.
“Grazie”
Mi sorrise, spostando lo
sguardo sui miei capelli che dal giorno del taglio isterico avevano
gia cominciato a crescere, arrivando quasi alle spalle.
“Per fortuna non sei
riuscita a finire, chissà come li avresti corti adesso”
“Volevo solo
spuntarli” dissi io imbarazzata. In realtà in quel
momento avevo davvero intenzione di farli sparire per sempre,
tagliarli tutti, senza lasciare alcuna traccia della loro esistenza.
“Sembri un
maschietto sai?” mi disse.
Alzai le spalle, tornando
a bere.
“In fondo mi sto
vestendo come se lo fossi no? Basta abiti e basta essere femminile, o
verrò calpestata”
Mi sentivo più
tranquilla da quando Jared aveva deciso di prendersi cura di me. Era
come se avessi di nuovo un padre, e forse in realtà era così,
data l’età simile e il carattere pressoché
identico. Rimasi a guardare la bevanda che mi aveva offerto Jared,
indecisa se formulare o meno quella domanda che albergava da un po’
di tempo nelle parti più recondite del mio animo.
“Qualcosa non va?”
mi chiese d’un tratto, come se avesse avuto l’assurda
capacità di leggermi nel pensiero.
Alzai lo sguardo,
incontrando i suoi occhi glaciali preoccupati per me e sorrisi. Un
sorriso sforzato che gli fecero capire all’istante che qualcosa
non andava.
“Perché…perché
hanno fatto tutto questo? Cos’aveva fatto mio padre e tutti gli
altri della contea per ricevere un simile trattamento?”
Jared mi fissò per
minuti che parvero interminabili, dopodichè sospirò e
guardò verso un punto imprecisato del campo, dove ormai
iniziavano a delinearsi i primi sentori della sera.
“Sono questioni che
riguardano il regno, non ti è dato sapere”
“I MIEI GENITORI
SONO MORTI!” gridai a quella risposta.
Gli occhi di Jared
indugiarono nuovamente su di me, prima che con profondo rammarico
iniziasse a spiegarmi tutto.
Rimasi frastornata quando
finì il racconto. Sapevo che esisteva una faida fra contee, ma
mai avrei creduto che tutto quell’odio sarebbe sfociato in un
crimine talmente atroce come l’uccisione di decine e decine di
persone innocenti.
Perché altri non
erano che innocenti.
“Stai bene?”
mi chiese Jared avvicinandosi.
“Si…”
risposi senza però sentire davvero quella parola dentro di me.
Non stavo bene, i miei
genitori e i miei amici erano stati uccisi solo per una guerra ai
limiti dell’assurdo fra mio padre e il sovrano della contea che
si trovava ai confini del regno. I miei amici erano stati
barbaramente uccisi non per un regolamento di conti, ma solo perché
gli assassini non avessero avuto sopravvissuti in grado di poter
riconoscere i propri assalitori.
E poi Ash.
Come poteva una persona
come lui venire uccisa –se davvero era stata uccisa – e
poi sparire nel nulla, lasciando solo il cappello intriso del suo
odore e del suo sangue ormai secco.
“Loro sanno che sei
viva”
Tornai alla realtà
di colpo, guardai Jared non capendo cosa volessero significare quelle
parole, non capendone il significato.
“Non sono stupidi,
sapevano qualsiasi cosa della contea, anche la tua esistenza, e
quindi sanno che non sei stata uccisa come tutti gli altri”
“Questo vuol dire…”
“Che verranno a
cercarti per completare l’opera Misty”
Strinsi i pugni a quelle
parole. Volevo affrontarli, volevo vendicarmi, ma ora, ora che la
situazione iniziava a giocare a mio svantaggio iniziavo ad avere dei
dubbi. Erano molto più esperti di me nel combattimento, erano
tanti e io ero da sola. Sarei rimasta uccisa. Ne avevo la
consapevolezza.
Eppure il pensiero dei
corpi martoriati dei miei genitori a terra invasero le mie vene di
odio e rabbia, che fecero ribollire ulteriormente il mio sangue.
“Pensi che, qualcuno
abbia fatto il doppiogioco?”
“Credo che ci sia
stato un qualche infiltrato, e poi non ti hanno cercata a palazzo, i
morti erano solo nella sala…quindi questo significa che
qualcuno ha voluto intenzionalmente lasciarti viva, per poi ucciderti
affrontandoti da sola. In modo che fossi indifesa”
Seppi immediatamente dove
voleva arrivare, e lo squadrai con rabbia. Non poteva essere, non
doveva essere così.
“Ash non lo avrebbe
mai fatto!”
“Il suo corpo non è
mai stato trovato Misty, non ci sono indizi che ci conducano a lui”
“Lo avranno portato
via! Oppure avrà cercato di scappare per allontanarli da me!
Lui…lui non può aver architettato tutto questo! Non può
esserne l’artefice…non Ash…lui…è
rimasto ucciso come tutti gli altri!”
Ma l’espressione sul
viso di Jared era irremovibile, Ash non era li, non era da nessuna
parte, e quella voce dentro di me ora urlava a più non posso
ciò che non volevo più ascoltare.
Ash non è morto…
“Jared, entriamo in
guerra”
Le parole mi uscirono
spontanee, non volevo credere che Ash potesse arrivare a tanto, lo
conoscevo, era una persona buona, mi fidavo di lui. Avrei trovato i
colpevoli e li avrei uccisi, e avrei fatto vedere a tutti che Ash non
era immischiato in tutto questo.
Fu in quel momento che
decisi di dare un senso alla sua morte.
Avrei combattuto per lui.
Avrei combattuto in
nome di Ash.
CONTINUA...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Cap. 3 ***
I held you tight to me
But you slipped away
You promised to return
to me
And I believed, I
believed
THE
PROMISE
Ricordo
che quando ero ancora molto piccola qualche volta mi affacciavo al
grande balcone fuori dalla mia stanza, giusto in tempo per vedere mio
padre uscire dalle mura del palazzo, in sella al suo cavallo nero,
seguito dai suoi uomini, o più semplicemente dalla sua scorta,
formata da persone enormi e sempre coperte da mantelline nere e mi
domandavo che gusto si provasse a combattere per degli ideali come
l’assunzione di nuove legioni e di nuovi territori.
Mi
domandavo ingenuamente come si potesse fare del male a degli uomini,
vendicarsi sui loro parenti più stretti che per giunta
risultavano all’occhio di qualsiasi altra persona come
innocenti, e poi ridere sulle loro carcasse mutilate.
Mi
chiedevo se tutto ciò fosse davvero necessario. Continuavo a
domandarmi se invece non ci fosse stata qualche altra soluzione,
perché non sempre sedersi al tavolo dei vincitori risulta
vantaggioso.
Non
avrei mai pensato che avrei risposto da sola a quella domanda.
Cos’è
più doloroso?
Amare
il prossimo oppure odiarlo?
*
Il
rapporto con mio padre era stato, sin dal principio, un rapporto
carico di profondo rispetto, lui, un uomo di potere, fiero ed
orgoglioso che non abbassava mai la testa. Che non si abbassava
neppure a fare una semplice e docile carezza alla sua unica figlia.
Forse
fu anche a causa di questo suo modo di comportarsi, che il mio
rispetto nei suoi riguardi si tramutò ben presto in odio, ma
non quell’odio sprigionato da chi decide, da un giorno
all’altro, di uccidere a sangue freddo un proprio famigliare o
qualsiasi altra persona, solo per un torto subito o per quella
caratteristica a pelle per la quale, un giorno, decidi
arbitrariamente di provare astio per qualcuno.
No,
l’odio che provavo io nei confronti di mio padre era molto
diverso. Era un odio molto più sottile, fatto di sguardi
accusatori e pieni di rancore.
Ricordo
ancora fin troppo bene la frase che mi disse un giorno, quando ancora
ero in quell’età dove si è troppo piccoli per
comprendere il senso di certi atteggiamenti adulti, ma nonostante
ciò, riuscii a capire che quella frase non era certamente
detta con l’amore che di solito un padre, un qualsiasi genitore
dice ad un figlio. No, quella frase era stata detta come una sentenza
di condanna eterna…
“Tu
vali meno di zero, avrei preferito di gran lunga un maschio ad
un’insulsa e stupida femmina”
Mia
madre a quelle parole sussultò inginocchiandosi accanto a me e
guardandolo male, non si sarebbe mai permessa di mettersi contro di
lui. La legge non lo consentiva. Andare contro al volere di un
sovrano equivaleva alla forca. Così si limitò a
guardarlo ergersi davanti a noi come un gigante, per poi voltarsi e
andarsene, mentre mia madre mi abbracciava teneramente, ed io non
potevo fare altro che guardare la grande ed imponente figura di
quell’uomo sovrastare il mio diritto alla vita.
Crebbi
con la consapevolezza del suo odio nei miei riguardi, nonostante
facessi di tutto per essere ciò che desiderava, ai suoi occhi,
commettevo sempre errori, macchiandomi di ridicolo e di umiliazioni
di fronte a tutti.
Fu
in quel periodo che il mio carattere prese forma, divenendo quel mio
modo d’essere scontroso e facilmente irritabile di adesso. Le
rare volte che lo incontravo, lo guardavo di sfuggita, indifferente,
proprio come lui.
Simili
A
volte, capitava che lui mi guardasse, ed io, conscia di ciò,
proseguivo imperterrita per la mia strada, qualunque essa fosse, con
lo sguardo fiero di chi decide, per forza di causa maggiore, di non
permettere mai a nessuno di calpestarmi. Di calpestare nuovamente i
miei sentimenti.
Non
mi sarei mai più sentita in dovere di provare amore per
qualcuno, ne affetto, ne qualsiasi altra emozione che mi precludesse
la felicità.
Ma
qualcuno, distrusse ciò che avevo creato.
Ash
Me
ne innamorai talmente tanto da non riuscire più a dividere la
realtà dall’illusione. Trasportata com’ero da un
sentimento dolce e tenero che non mi dava scampo alcuno.
Ero
convinta che le persone fossero solo strumenti in mano a gente più
potente, che li governava e li usava come pedine per i propri scopi,
non avevo mai creduto che un semplice sorriso potesse cancellare di
colpo un odio portato dentro di me in modo così viscerale.
“Mi
spieghi una cosa?” mi disse una volta Ash mentre eravamo seduti
sulle sponde di un fiume dove eravamo soliti rifugiarci durante i
nostri incontri.
“Mmmh?”
risposi io, senza distogliere lo sguardo dall’increspatura che
i miei piedi provocavano nell’acqua.
“Perché
hai sempre un atteggiamento così scontroso?”
Smisi
di giocherellare con l’acqua e voltai il viso verso di lui,
mentre un’espressione esterrefatta mi si disegnava sul volto.
“Prego?”
“Si
bhe, a volte, anzi, quasi sempre rispondi male a chiunque ti ponga
anche una semplice domanda” rispose lui imbarazzato, mettendosi
una mano dietro la testa e abbassandola.
“Ti
da fastidio?” chiesi.
Mi
guardò sorpreso da quella domanda.
“Certo
che no…solo che, ecco, mi sarebbe piaciuto sapere il perché”
Lo
fissai per alcuni istanti pensierosa, prima di alzarmi e scrollarmi
di dosso la polvere della terra ed avviarmi verso il mio cavallo.
“Non
penso siano affari tuoi Ash”
“Ma…”
“Ho
detto che non sono affari tuoi Ash!”
Mi
seguì, lo percepii dal rumore che dell’erba calpestata
sotto i suoi passi.
“Perché
te la sei presa adesso?”
“Non
me la sono presa!”
“Si
invece! Ti conosco Mis…”
“TU
NON MI CONOSCI AFFATTO!” gridai voltandomi come una furia verso
di lui. Lo spaventai, o comunque lo sorpresi, perché rimase
impietrito dal mio sfogo, restando a fissarmi sconcertato.
“Scusa…”
sussurrai abbassando sconfitta la testa. Mi sentivo a disagio. Tra
tutto quello che avrei desiderato c’era anche la speranza di
non ferire mai Ash con il mio comportamento, ed ora, quella semplice
speranza era sfumata sotto quelle grida.
Non
disse niente, sentii solo nuovamente i suoi passi, e pochi istanti
dopo mi ritrovai stretta fra le sue braccia, sorpresa da quella
reazione improvvisa. Mi sarei aspettata qualsiasi altra cosa, che si
voltasse e se ne andasse o chissà, che mi tirasse addirittura
uno schiaffo, ed invece, prendendomi completamente alla sprovvista mi
aveva abbracciata, affondando il viso nell’incavo del mio
collo.
“Mi
dispiace…”
No.
Non era lui quello a doversi scusare. Sentire la sua voce tremare mi
ferì più di qualunque altra cosa potesse avvenire
davanti a me. Sarei rimasta più scottata dal viso di Ash
oscurato dalla tristezza che all’intero mondo impreparato di
fronte alla distruzione.
Cercai
di trattenere a stento le lacrime, ma i flebili singhiozzi che mi
scuotevano alle spalle non mi lasciavano via di scampo. Scoppiai a
piangere senza ritegno, aggrappandomi come una bambina alla maglia di
Ash, mentre lui, silenzioso aumentava la stretta, come a volermi dire
che no, lui non se ne sarebbe andato. Che sarebbe rimasto accanto a
me.
Per
sempre
*
Mi
asciugai il sudore dalla fronte. Il tempo stava volgendo al caldo,
segno che ormai l’estate era alle porte. Lasciai cadere la
spada a terra e mi diressi verso il piccolo torrente che scorreva
vicino a dove Jared aveva deciso di piantare le tende per passare la
notte.
Pochi
istanti più tardi venni raggiunta da Geremy, il figlio
adottivo di Jared, un ragazzo della mia stessa età con
un’innata capacità di combattimento, ed anche una
spiccata capacità di farmi imbarazzare per i suoi timidi
atteggiamenti di approccio che alla vista di qualsiasi altra persona
potevano risuonare come prese in giro. Ma per me suonavano come
qualcos’altro.
Amore
“Sei
stanca?” mi chiese vedendomi intenta a rinfrescarmi il viso con
l’acqua fredda.
“No…solo
accaldata” risposi io senza guardarlo.
“E’
normale…è tutta mattina che combattiamo, una bella
pausa ci voleva”
“Gia…”
“Posso
farti una domanda?” mi chiese improvvisamente ed io, ignara, mi
limitai ad annuire, sollevando la testa.
“Perché
continui a sperare nel suo ritorno?”
Mi
prese alla sprovvista. Sapevo che Jared gli aveva raccontato tutto
ciò che era successo a palazzo, di come mi fossi salvata
grazie al tempismo di Ash nel portarmi via e di come, lui stesso,
fosse sparito senza lasciare traccia.
“Come?”
“Hai
capito bene…continuare a rincorrere un sentimento
sbagliato…cercare vendetta…non ti farà solo star
male? Perché continuare ad aggrapparsi al suo ricordo?”
“Ash
non è un ricordo” dissi mestamente.
“Come
fai ad esserne sicura? Cosa ti fa andare avanti in questa follia?”
Guardai
l’acqua scorrere limpida e sospirai alzandomi.
“Voglio
dare una ragione alla sua scomparsa…finchè avrò
vita…stanerò chi ha ucciso i miei genitori e ha portato
via Ash…non mi darò pace finchè non avrò
dato un nome a questo dolore”
“Misty…”
“Non
potrò andare avanti se non saprò di aver portato a
termine il mio lavoro…l’ho giurato a me stessa…avrei
vendicato le persone che amavo…combattendo in loro nome”
Mi
guardò in silenzio per qualche istante prima di sospirare e
abbassare lo sguardo, stringendo i pugni, quasi dentro di lui stesse
provando sentimenti contrastanti.
Rabbia
“Io…non
potrei andare bene?”
Mi
resi solamente conto pochi attimi più tardi di quello che
stava succedendo.
Geremy
si stava lentamente avvicinando a me, potevo sentire il suo respiro
sul mio viso, ed il mio corpo era completamente paralizzato da quegli
occhi talmente azzurri da sembrare fatti di ghiaccio. Un ghiaccio che
però ardeva.
“…Geremy?”
sussurrai rapita da quello sguardo serio.
Pochi
centimetri e le sue labbra avrebbero sfiorato le mie. In un bacio che
non volevo…ma che forse, mi avrebbe fatta andare avanti.
“Quello
non è un corpo che galleggia?” disse improvvisamente
Geremy distogliendo gli occhi da miei ed indicando un punto
imprecisato del fiume.
“Un
corpo che galleggia?” d’istinto mi voltai verso il punto
da lui indicato
Non
so per quanto tempo rimasi pietrificata di fronte a quella sagoma
scura che galleggiava senza peso nel fiume. Ricordo però
perfettamente di come mi sia messa a correre verso quella figura,
implorando tutti gli dei possibili di trasformare quell’angoscia
che provavo in qualcos’altro, che quella persona non fosse chi
pensassi, perché non poteva essere vero. Non doveva esserlo.
“Misty!
Che diavolo stai facendo? Hai la cintura e la fodera della spada!
Affogherai!”
Ignorai
le parole di Geremy, nella mia mente si stava affacciando sempre più
il terrore che quel momento fosse un incubo, o un sogno.
“No…ti
prego…” sciolsi l’imbragatura della cintura
tuffandomi in acqua e nuotando con tutte le mie forze verso quel
corpo, lottando contro la corrente che andava via via allontanandomi
da quella sagoma.
Improvvisamente
uno spostamento più feroce dell’acqua portò il
viso di quella persona a galla e fu in quel momento che il mio
respiro si mozzò, sparendo di colpo.
Un
viso che per troppo tempo avevo scacciato, per paura di dover
affrontare quel dolore, un dolore che anche adesso rischiava di
lacerarmi l’anima. Quei capelli corvini sbarazzini e quell’aria
da ragazzo spavaldo quale non era mi fecero venire le lacrime agli
occhi.
Era
lui…
“ASH!”
Riuscii
con un ultimo sforzo ad aggrapparmi al suo corpo trasportato dalla
corrente e a riportarlo con estrema fatica a galla.
Non
mi curai di nient’altro se non di lui, gli toccai il viso
schiaffeggiandolo piano e continuando a pronunciare il suo nome come
un mantra, forse più per me stessa che per lui.
“Oh
mio dio!” esclamò Jared avvicinandosi di corsa a me e ad
Ash, inginocchiandosi e cercando anch’esso di farlo riprendere.
“E’…è
vivo?”
Avevo
paura, paura della risposta, paura che si voltasse verso di me e
scrollasse la testa dicendo quelle maledettissime parole che avevo
già sentito innumerevoli volte da quel giorno.
“Mi
dispiace Misty”
Invece…
“Il
cuore batte ancora…”
Lo
guardai pietrificata. Ci misi un po’ a rendermi effettivamente
conto delle parole di Jared. Il suo cuore batteva. Era vivo…era
vivo.
Non
so cosa successe nei secondi successivi a quella presa di coscienza.
Ricordo solo vagamente il pugno di Jared colpire forte l’addome
di Ash e lui tossire tutta l’acqua ingurgitata e riaprire
lentamente gli occhi.
Quanto
mi erano mancati quegli occhi. Quel castano intenso che mi faceva
sciogliere come neve al sole. Li amavo.
Lo
amavo
“Ash…”
“Misty…cosa…?”
Non
gli diedi tempo per finire la frase, mi buttai su di lui scoppiando a
piangere come una bambina, mentre sentivo le braccia di lui timide
stringermi gentilmente, inebriandomi di un tepore che fino a quel
momento stavo trasformando in un ricordo.
“Sei
vivo! Sei vivo! E ti ricordi di me!” singhiozzai senza tregua,
mentre lui più lucido mi accarezzava i capelli. Non
m’interessava se poco distante da li ci fosse Jared che tossiva
insistentemente, probabilmente pensando che per un cavaliere quale
ero – almeno nella sua testa – quello non era
l’atteggiamento più consono.
Ma
non mi sarei mai limitata ad una stretta di mano, una pacca sulla
spalla o qualsiasi altra stupidaggine che si riservavano gli uomini
quando erano tra amici.
Lui
era Ash, il mio Ash, ed era li, tra le mie braccia, e respirava,
rideva.
Vivo
“Hai
intenzione di tenerlo li a terra ancora per molto?”
Mi
ricordai solo in quel momento di Geremy, e presa da un qualche
impulso strano mi staccai veloce da Ash mettendomi in ginocchio e
lasciando che si mettesse seduto facendo leva sui gomiti.
“Non
cambi mai eh? Sempre impulsiva”
La
Misty di un tempo gli avrebbe risposto a tono, magari dandogli
qualche botta, ma ero completamente frastornata da quella situazione,
troppo felice per pensare ad una vendetta fisica su di lui.
“Stupido”
mi limitai a rispondere arrossendo lievemente.
E
forse, in quella calda giornata afosa per la prima volta riuscii a
sorridere nuovamente come un tempo. Perché quel giorno, il mio
cuore era tornato a battere, insieme alla mia anima…
CONTINUA
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Cap. 4 ***
Sometimes
I wonder
Could I
have known their true intensions?
THE
PROMISE
“Sono
contenta che tu sia vivo…lo sapevo che non potevi essere
morto”
Mi
guardò accigliato sedendosi sulla paglia della piccola tenda
dell’accampamento che Jared aveva messo su per lui.
“Sarebbe
stato meglio se fossi morto…”
Lo
guardai sorpresa, da quando Ash formulava simili pensieri? Da quando
il suo viso era diventato così stanco e triste?
“Dove
sei stato in tutto questo tempo?” chiesi avvicinandomi a lui e
sfiorandogli il viso con la punta delle dita “Ero…ero
preoccupata da morire…”
Cercai
di ricacciare indietro quelle stupide lacrime. Ero forte, continuavo
a ripetermelo, ma il ritrovare Ash aveva mandato a quel paese tutti i
miei buoni propositi.
Aspettai
una risposta, una qualsiasi parola di spiegazione, che potesse
rincuorarmi, ma non arrivò. Ash si sdraiò, voltandosi e
dandomi le spalle, sussurrando solo un sommesso “Buonanotte”
ed io non ebbi la forza – non in quel momento almeno – di
rovinare quel momento con la mia cocciutaggine.
E
di questo me ne pentii amaramente…
Feci
per uscire dalla tenda, quando ad un certo punto, la mia attenzione
fu attirata da un rumore soffocato, e istintivamente mi voltai verso
la sagoma raggomitolata del ragazzo dietro di me.
“Ash?”
“Sto
bene” rispose secco lui, con la voce rotta nonostante cercasse
invano di tenerla dura e ferma “Va a dormire, è tardi”
“No
che non me ne vado! Che hai?” risposi, facendo dietrofront,
inginocchiandomi accanto a lui e posando con dolcezza la mano sulla
sua spalla. Solo in quel momento mi resi conto di quanto il suo corpo
stesse tremando. Non era dovuto al freddo, no, era dovuto a
qualcos’altro.
“…Ash
cosa?”
“Com’è
stato?” mi chiese interrompendomi senza voltarsi, continuando a
restare in quell’assurda posa, quasi cercasse di sparire
facendosi sempre più piccolo.
“Che
cosa?” gli domandai cercando di afferrare il senso delle sue
parole.
“Vederli…i
tuoi genitori…”
Fu
come se qualcuno mi avesse afferrato con violenza e sbattuto contro
lo spigolo di un qualche mobile. Sentii la gola farsi di colpo secca
e il respiro annullarsi, mentre immagini che avevo ormai sepolto in
fondo al mio cuore tornavano con ferocia a farsi largo nella mia
testa.
Mio
padre steso a terra in una pozza di sangue e mia madre, con gli occhi
sbarrati e vitrei che sembrava volersi allungare verso di lui per
raggiungerlo mentre esalava i suoi ultimi respiri.
Istintivamente
strinsi le mani a pugno, coprendomi gli occhi, cercando con tutta me
stessa di ricacciare indietro quei ricordi. Non volevo ricordare.
Volevo dimenticare quella sera, dimenticare di aver perso di colpo,
nel giro di qualche ora, non solo la mia famiglia ed i miei amici più
cari. Avevo perso la mia intera vita.
“Misty?”
Mi
resi conto del tempo passato solo quando sentii le mani calde di Ash
posarsi con delicatezza sulle mie strette a pugno, allontanandole dal
mio viso e tenendole ben salde alle sue.
“Mi
dispiace”
Scossi
la testa alzando lo sguardo e cercando un pretesto per non dare a
vedere come quella semplice domanda avesse riaperto quel baratro dal
quale cercavo ancora di uscire.
“…va…tutto
bene…”
Era
assurdo per me poter anche solo pensare di mentire ad una persona
come Ash, seppi fin da subito che aveva capito come mi sentivo,
perché non disse nulla, mi lasciò semplicemente le mani
afferrandomi per le spalle e tirandomi a lui, in un qualcosa di molto
simile ad un abbraccio consolatorio. Un abbraccio che non avevo mai
voluto da nessuno ma che ora, in quella situazione, reclamavo a gran
voce dentro di me.
Mi
aggrappai a lui, affondando il viso sulla sua spalla, pregando di
poter smettere di vivere da un momento all’altro pur di restare
così, pur di sentire quel calore avvolgermi fino a
stritolarmi.
Diventare
una cosa unica con lui.
Restammo
così, aggrappati l’uno all’altro fino all’alba,
senza proferire parola, semplicemente noi, io e lui, e in quel
momento mi resi realmente conto di quanto Ash fosse importante per
me. Così tanto da cancellare la mia esistenza se fosse stato
necessario.
Solo
quando mi svegliai mi resi conto di essermi addormentata. MI ero
stupidamente convinta di essere rimasta sveglia a rimuginare per
tutto il tempo, ma probabilmente ero stata trascinata nel mondo dei
sogni senza neppure rendermene conto. Non che avessi sognato in
effetti, ma la prima cosa che notai riaprendo gli occhi fu il fatto
che Ash non era al mio fianco.
Mi
alzai, facendo leva sui gomiti, ancora leggermente intontita prima di
alzarmi e uscire dalla tenda, guardandomi attorno. E fu allora che lo
vidi.
Ash
era li, in piedi vicino al fiume, illuminato dalla luce del sole del
mattino, che riesce a darti sensazioni così diversificate da
farti mancare il respiro nei polmoni.
“Ash...”
sussurrai avvicinandomi a lui ancora di spalle, stringendomi le mani
intorno al corpo a causa della brezza mattutina che pizzicava, tanto
era ancora fredda.
“Ehi...”
rispose lui voltandosi appena verso di me e mostrandomi un piccolo
sorriso, quasi di circostanza, che non sfuggì ai miei occhi.
Per
quanto potessi risultare cieca nei confronti di determinate cose e
situazioni, niente riusciva a scappare dal mio sguardo attento quando
si trattava di lui.
“Che
succede?” domandai mettendomi di fianco a lui e guardandolo.
“...devo
partire” mi rispose semplicemente, tornando a guardare l'acqua
del fiume che scorreva lenta e tranquilla, come se anche lei fosse
ancora mezza addormentata.
“Come?
Ma...sei appena...ti ho appena ritrovato!” esclamai sconvolta
da quella notizia, ma fu come se Ash ignorasse le mie parole, chiuse
gli occhi, lasciandosi cullare dal rumore dell'acqua.
“Mi
dispiace, ma ho lasciato delle cose in sospeso che proprio...”
“Quali
cose in sospeso Ash? Di che stai parlando? Anche ieri...sei diverso!”
“Misty
non dire assurdità”
“Non
sto dicendo assurdità! Che ci facevi nel fiume in balia delle
onde? Cos'è successo? Perchè mi tratti con così
tanta freddezza, perchè sei...”
“...questo
significa che qualcuno ha voluto intenzionalmente lasciarti viva, per
poi ucciderti affrontandoti da sola. In modo che fossi indifesa “
Mi
bloccai di colpo, mentre le parole di Jared mi tornavano in mente,
senza motivo apparente, e mi sforzai di concentrarmi su Ash e sul
perchè avesse d'improvviso preso quella decisione.
“Misty
tu...non hai idea di ciò che ho fatto...non sai chi sono io in
realtà”
“Il
suo corpo non è mai stato trovato Misty, non ci sono indizi
che ci conducano a lui”
“Io
sono...”
“BASTA!”
gridai, più alla mia mente e ai miei ricordi che tornavano ad
affollarsi che alle parole del ragazzo di fianco a me.
“NON
LO VOGLIO SAPERE! NON M'INTERESSA! PER ME TU SEI ASH E BASTA!”
gridai con la voce disperata, mentre mi rendevo conto solo in
quell'esatto momento di aver afferrato il braccio di Ash, tremando
come una foglia, guardandolo in preda al senso di colpa.
Forse
dentro di me sapevo gia la verità, ma cercando con tutta me
stessa di ricacciarla via, perchè era una verità che
non mi apparteneva.
Che
non doveva appartenermi.
Mi
allontanai appena da lui, ma non appena lo feci, Ash mi afferrò
per le spalle, impedendomi di andarmene, di fuggire.
“No...devi
ascoltarmi!”
“Non
voglio!”
“E
invece devi! E' importante!”
“Che
diavolo state combinando voi due di prima mattina?” esclamò
una voce scocciata alle nostre spalle, e per quanto mi sembrò
stupido, vedere la figura di Geremy mi rincuorò.
La
mia via di fuga.
“Non
ti riguarda” rispose Ash perdendo forza sulle mie spalle,
dandomi la possibilità di liberarmi e andare da Geremy.
“Nulla,
una sciocchezza. Jared ha gia preparato la colazione? Sono affamata”
mentii allontanandomi con Geremy e lasciando Ash – ne sono
certa – a fissarmi mentre mi allontanavo.
Non
ero ancora pronta per una cosa del genere. Venire a sapere verità
che avevo sepolto dentro di me faceva male. Forse in parte avrei
preferito restare ignorante a vita.
Sarebbe
stata la soluzione migliore...
*
Quella
sera decisi di andare a dormire presto, stanca e spossata per una
giornata che mi aveva tolto fin dal mattino forze sia fisiche che
mentali, gli allenamenti con Jared erano stati estenuanti e mi
stiracchiai appena, alzando di sfuggita gli occhi al cielo,
sorprendendomi di come si fosse oscurato, pronto a sfogarsi con un
temporale fuori dal comune.
Sospirai,
entrando nella tenda e fermandomi di colpo.
Ash
era li, davanti a me, guardandomi serio.
“Cosa
ci fai qui?” domandai.
“Ti
stavo aspettando. Dobbiamo parlare”
Feci
dietrofront uscendo dalla tenda senza neanche aspettare che iniziasse
il discorso, ma dei passi alle mie spalle mi fecero capire che questa
volta non sarei riuscita a sfuggire.
“Fermati!”
mi ordinò, prendendomi per un polso e obbligandomi a voltarmi
verso di lui.
“Piantala!
Non voglio ascoltare le tue...”
“Sono
figlio di quell'uomo!” gridò sovrastando le mie parole e
lasciandomi ammutolita a fissarlo, mentre il rumore di un tuono
impediva al ragazzo di fronte a me di sentire il mio cuore
frantumarsi.
“...ricordi
quella notte? Quando c'è stato...” deglutì “...il
massacro. Colui che ha estratto per primo la spada...”
“...era
tuo padre” sussurrai finendo io stessa le sue parole, mentre le
immagini di quella notte tornavano ad affollare la mia testa.
Quella
volta non ci feci caso, o forse si, ma ero decisamente più
concentrata sui miei genitori che sul riconoscere chi aveva compiuto
quella carneficina. Ma in quel momento, tornando con la mente a
quella notte mi resi effettivamente conto di essere rimasta
terrorizzata da quella figura alta e fiera che estraeva la spada,
colpendo a morte mio padre.
“..mi
dispiace...non sapevo che...che avesse deciso di sterminare il tuo
casato”
“Mi
hai tradita!” gridai furiosa, tornando in me e allontanandomi
da lui con uno strattone mentre la pioggia iniziava a scendere
furiosa “Mi hai...CI hai controllati! Hai aspettato il momento
più propizio per colpirci...MI HAI COLPITA ALLE SPALLE!”
“Non
è così! Forse all'inizio si...dovevo visionare la
situazione...ma con l'andare del tempo...mi sono
affezionato...altrimenti perchè...”
“BALLE!”
gridai ancora, e imprecai contro me stessa pensando che la spada per
poterlo colpire e vendicarmi del dolore provato in tutto quel tempo
si trovava nella sua custodia nella tenda.
“Sono
davvero innamorato di te Misty!” gridò lui di rimandò
spiazzandomi e lasciandomi basita, mentre lui disperato mi tirava a
se, abbracciandomi in una morsa che non mi lasciò possibilità
di replica.
“...se
solo fossi riuscito...”
“...perchè?
Perchè proprio i miei genitori?” domandai sull'orlo
delle lacrime, mandando a quel paese tutto ciò per cui avevo
combattuto.
Diventare
forte.
“Non
lo so...” sussurrò.
“Si
ma...”
Posò
la fronte sulla mia, e solo in quel momento mi accorsi del dolore che
stava provando. Forse anche lui, come me aveva dovuto sopportare e
subire situazioni che non aveva fatto altro che obbligarlo ad
indurire il cuore.
Proprio
come me.
Posò
una mano sul mio viso, sfiorando poi con delicatezza le labbra sulle
mie, in un bacio casto e carico di rispetto.
“Sarebbe
stato meglio se non ti avessi mai incontrata”
Lo
guardai, incapace di rispondere a quelle parole. Mi limitai a fissare
Ash senza proferire parola, mentre lui mi guardava sotto la pioggia,
sorridendomi amaramente, sciogliendo quella carezza e voltandosi,
allontanandosi di nuovo da me.
No.
Avrei
voluto gridarlo, dirgli di non andarsene, di non lasciarmi di nuovo
da sola, ma fu come se il mio intero corpo avesse deciso di propria
spontanea volontà di lasciarlo andare.
Perchè
sapevo che la prossima volta che l'avrei incontrato non ci sarebbero
stati ne sorrisi, ne abbracci, ne baci. Ne qualsiasi altra cosa che
poteva presupporre un qualsiasi sentimento di affetto.
E
rimasi così. Sotto la pioggia, guardando la figura della
persona che amavo allontanarsi sempre di più.
Sia
dal mio mondo...
...che
dal mio cuore.
CONTINUA...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Cap. 5 ***
As
the pain stayed the same I'm going to haunt them down all the
way I made a promise To revenge his soul in time One by one
they were surprised
THE
PROMISE
Non
so quanto tempo passò da quando le spalle di Ash sparirono
all'orizzonte in piena tempesta, ma rimasi li, ferma per tutta la
notte, continuando a fissare quel punto, come se in qualche piccola
parte del mio cuore, serbassi la speranza di rivedere la sua sagoma
riapparire e tornare da me.
“...perchè?”
Ormai
aveva quasi smesso di piovere. Me ne resi conto perchè il
freddo pungente dei vestiti bagnati contro la pelle iniziava a darmi
fastidio, mentre un leggero vento iniziava ad alzarsi, facendo
scuotere lievemente il mio corpo. E forse, in parte, quei tremori non
erano a causa del freddo. Ma delle lacrime che cercavo con tutta me
stessa di tenere a freno.
“Misty! Che ci fai qui fuori?
Rischi di prenderti un malanno!”
Geremy. Il suo senso di
protezione era pari a quello di un fratello, solo con sentimenti più
profondi.
“Non preoccuparti, va tutto bene”
risposi voltandomi appena verso di lui e accennando una sorta di
sorriso di circostanza “...come sempre”
aggiunsi.
“Vieni, devi scaldarti...anzi no, prima devi
cambiarti! Sei fradicia” disse prendendomi per mano e facendomi
strada nella sua tenda. Jared probabilmente era ancora nel mondo dei
sogni. Sentivo il suo russare fin da li.
Non ero mai entrata
nella tenda di Geremy, non che ci fosse chissà che dentro, ma
era comunque accogliente per essere la tenda adibita ad un
ragazzo.
“Grazie” dissi quando mi allungò
una coperta, obbligandomi a sedermi su alcuni strati di paglia e
versando del te caldo dentro una tazza tirata fuori da una piccola
scatola di legno piena di polvere.
“Allora, spiegami
cos'è successo? Dov'è finito quel tipo?”
“Ash”
puntualizzai io quasi irritata.
“Si come vuoi. Allora,
dov'è finito quell'Ash”
Roteai gli occhi, non
poteva proprio soffrirlo eh? Sospirai bevendo un sorso della bevanda,
fermandomi poi a fissare i cerchi liquidi dentro di essa.
“Se
n'è andato” risposi afona, guardando il vuoto e
ripercorrendo gli ultimi avvenimenti dentro la mia testa, costatando
quanto avessero fatto male le sue parole.
Geremy mi osservò
per alcuni istanti, spostando lentamente lo sguardo dal mio e
volgendolo verso l'uscita “...cos'hai intenzione di
fare?”
Quella domanda mi prese alla sprovvista e gli fui
grata. Al contrario di chiedermi cosa fosse accaduto, o per quale
motivo mi trovassi in quelle condizioni, si limitò a chiedermi
semplicemente cosa volessi fare. Gli sorrisi con dolcezza.
“Sei
davvero un amico”
“Cos...?” arrossì
imbarazzato alle mie parole e la dolcezza che provavo nei suoi
confronti aumentò, così come anche il mio senso di
colpa “...perdonami” dissi alzandomi.
“Per
cosa?”
“...perchè andrò a cercarlo.
Non ci riesco. Nonostante tutto non riesco a fare a meno di lui”
“Ma
lui!”
“Lo amo! Ed è l'unica cosa di cui
sono sicura in questo momento”
Si alzò,
abbassando la testa una volta di fronte a me.
“...lo
capisco...ed è per questo che qualsiasi cosa tu deciderai, io
rimarrò al tuo fianco”
“Grazie Geremy”
risposi, prendendogli il palmo della mano e posandoci sopra la tazza
che mi aveva dato poco prima “Ti voglio bene”
Mi
voltai uscendo dalla tenda, rendendomi perfettamente conto che ora,
qualsiasi cosa decidessi di fare, il mio rapporto con Ash era ormai
destinato a morire. Ma nonostante tutto volevo provare. Provare a
riportarlo indietro. Perchè per quanto odiassi ciò che
aveva fatto ai miei genitori, lui, in quel momento, era la mia
famiglia.
“Jared!” dissi con tono risoluto, mentre
l'uomo che dormiva nella tenda accanto a quella di Geremy scostava un
lembo di tenda, guardandomi con lo sguardo di chi è ancora nel
mondo dei sogni.
“Andiamo in guerra”
*
Non
seppi come ebbi la forza di mettermi la maglia di ferro e le restanti
parti dell'armatura, ma ogni pezzo che indossavo, era come un macigno
che andava a sommarsi al peso che sentivo dentro.
“...perchè
siamo arrivati a questo Ash? Perchè?”
Uscii dalla
tenda ritrovandomi davanti Jared e Geremy con gia i cavalli sellati
pronti alla partenza, insieme ad alcuni cavalieri che con molta
probabilità, Jared aveva chiamato in rinforzo.
Non
riuscii a proferire parola, mi limitai a tenere lo sguardo basso e
salii sul cavallo che nitrì appena sotto il mio peso, presi
con decisione le redini, dandogli un piccolo colpo con i talloni e
partimmo alla volta del regno del padre di Ash.
“Sei
sicura di ciò che stai facendo?”
“Si”
Continuavo
a ripetere a me stessa che no, non mi sarei tirata indietro, non
stavolta. Anche se la posta in gioco non era più la vita di
qualcuno.
Era il mio cuore.
Cavalcammo per molte ore
prima di giungere ai sentieri sterrati che caratterizzavano la tundra
di quel luogo. Aleggiava una foschia strana, quasi inquietante. Poi
li vidi. Una decina di cavalieri in armatura proprio di fronte a
noi.
In
attesa.
Deglutii
appena, ormai sapevo che tornare indietro era impossibile
“Misty,
aspettiamo un tuo ordine.
“Perchè sono così
pochi? E' così smagro il loro esercito?” domandai.
“No,
sicuro hanno pensato che non ci sarebbero voluti molti uomini per
farci fuori una volta per tutte”
Sospirai
agitata.
“Volevo ringraziarvi...per essermi stati vicino
in questi anni...comunque andrà...non mi pentirò mai di
ciò che ho fatto”
Anche
l'essermi innamorata di Ash.
E
partimmo alla carica.
La prima cosa che vidi fu solo il grande
polverone alzato dai cavalli al galoppo che ci venivano incontro, e
poi un forte boato, segno che lo scontro fra i cavalieri nemici e i
miei era ormai iniziato.
Cercai fra le tante armature la
figura che più mi premeva di trovare. Dovevo a tutti i costi
riconoscerlo prima che qualcuno lo colpisse. Stando ben attenta a non
farmi colpire anche io. Ma il caos che regnava era così
assurdo che facevo fatica a capire da che parte dovessi andare,
finchè mi decisi a scendere da cavallo e a lasciarlo correre
via, imbizzarrito.
Perlomeno qualcuno si sarebbe salvato in
quella che, mi resi conto solo in quell'istante, stava diventando una
carneficina.
Perchè poi? Perchè i sovrani non
combattono mai, ma mandano il popolo a farlo? Non dovrebbero essere
loro i primi a stare tra le file e combattere in prima linea?
Sentii
un rumore metallico alle mie spalle e mi voltai appena in tempo per
scansarmi da un fendente di spada.
“Maledizione!”
ringhiai tirando fuori la spada e iniziando un combattimento con quel
cavaliere di cui non conoscevo neppure il volto.
“Non
toccarla!” gridò qualcuno e vidi Geremy arrivare alle
spalle del cavaliere e trafiggerlo con rabbia.
“Stai
bene?” mi domandò, mentre estraeva la spada da
quell'uomo che stramazzò a terra senza vita.
“Non
c'era bisogno di ucciderlo!”
“Questa è una
guerra. O si vive o si muore. Non si deve avere clemenza con
nessuno!”
Non riuscii a rispondergli perchè vidi
un altro cavaliere arrivare verso di me, e agii d'impulso, senza
capire, senza guardare, senza ascoltare.
Il
mio cuore.
Strillai
chiudendo gli occhi e alzando la spada, colpendo all'addome il
cavaliere che si bloccò di fronte a me.
Aprii piano un
occhio, e ciò che vidi mi gelò il sangue nelle
vene.
“...no...”
Tremai, e fu come se il
mondo intorno a me iniziasse a vorticare furiosamente mozzandomi il
respiro.
“...no....no....NO....!”
Lasciai
cadere a terra la spada sorreggendo quel corpo e
quell'armatura.
“Sapevo che eri...un'ottima
spadaccina...” disse prima di accasciarsi al suolo con un
tonfo.
“ASH NO!”
Vedere il colpo che io
stessa avevo inferto ad Ash mi diede la nausea, facendomi sprofondare
nel dolore più acuto che mai, prima di allora, avessi provato.
Mi tolsi l’elmo inginocchiandomi pesantemente al suo fianco,
mentre lui, con una smorfia di dolore si premeva le mani ormai
impregnate di sangue sulla ferita.
“Perdonami, perdonami
se puoi”
Non voleva attaccarmi, non aveva la spada
sguainata, ma io l'avevo ugualmente colpito.
Stupida,
stupida, STUPIDA.
Non
riuscii più a controllare le lacrime, avevo creduto di averlo
perso per sempre, e quando finalmente l’avevo ritrovato, ero
stata io stessa a rendere vana quella ricerca.
L’
avevo ferito a morte
Quasi
non mi accorsi della sua mano che, a fatica, si tendeva verso il mio
viso rigato dalle lacrime e macchiato dal dolore.
“Non
piangere”
Come poteva dire una cosa del genere in quella
situazione? Lui stava morendo davanti ai miei occhi, e nonostante
ciò, continuava a pensare a me.
Perché era così
altruista?
“Stupido” dissi soffocando un
singhiozzo.
Lui rise, una risata dolorosa e amara che lo fece
sussultare dal male, mentre il suo viso assumeva nuovamente quella
smorfia che precede la morte e che avevo visto ormai un anno fa,
comparire sul volto di mio padre.
“Ti prego non
lasciarmi” sussurrai prendendo la sua mano e stringendola,
soffocando un singhiozzo fra le sue dita.
Ed in quel momento
seppi che invece questa volta l’avrebbe fatto. Non sarebbe
tornato più, sarebbe volato via, lontano da me, la promessa
che mi aveva fatto stava per spezzarsi.
Ed ero stata io a
rendere ciò possibile.
Troppo presa dalla mia visuale
concentrata su Ash mi resi conto solo in un secondo momento che
Geremy stava correndo verso di noi, deciso a distruggere per sempre
la gia sottile esistenza rimasta ad Ash.
“A morte il
traditore!”
Non pensai, mi alzai di colpo mettendomi fra
Ash ed il suo giustiziere ed un lancinante dolore mi colpì
all’addome facendomi esplodere negli occhi una scia di puntini
luminosi, mentre ogni singolo senso si concentrava sul dolore, mentre
anche l’udito di colpo svaniva.
Dolore
Quando
presi di nuovo coscienza delle mie sensazioni abbassai lo sguardo e
vidi nella mia armatura una profonda apertura, dalla quale
fuoriusciva del sangue vivo.
“Misty!” gridò
Ash alle mie spalle, mentre Geremy iniziava ad assumere un colorito
cinereo.
Nel giro di pochi istanti caddi a terra, con la
faccia nella polvere, la quale, mi rendeva difficile il
respiro.
“Maledizione Misty!” disse qualcuno, e
pochi istanti dopo Ash mi girò di lato, dandomi leggere pacche
sul viso per farmi riprendere.
“Non mollare! Avanti,
stringi i denti”
Le parole arrivavano troppo lontane
perché riuscissi ad udirle perfettamente, era come un eco
distante chilometri dal luogo dove mi trovavo, la bellissima figura
di Ash adesso mi sembrava più simile a quella di un angelo che
a quella di un ragazzo troppo esile e spaventato per poter
combattere.
“Ti amo Misty! Avanti resisti”
Cercai
di tenere gli occhi aperti, quanto bastasse per fissare i miei occhi
in quelli della persona che amavo, ma la vista si offuscava sempre di
più. Cercai inutilmente di rispondere con un semplice “Anche
io” ma la voce non usciva.
Che stessi per morire?
Non
aveva più nessuna importanza, per qualche strano motivo non
avevo paura, per la prima volta sentivo di non essere sola, sentii
che stavolta, ovunque sarei andata, non sarei rimasta
indietro...perchè con me c'era finalmente Ash al mio fianco e
mentre le lacrime bagnavano il mio volto, Ash tossì sangue, ed
io, chiusi definitivamente gli occhi, mentre la mia mente sussurrava
un leggero e soffocato.
“Anch’io”
*
La
guerra terminò poche settimane più tardi. Alcuni
cavalieri, viste com’erano andate quel giorno le cose, decisero
di tornarsene a casa. Lo spettacolo che avevamo offerto loro era
troppo per le loro membra stanche.
E’ stata creata una
piccola tomba nel luogo in cui Misty ed Ash sono morti. Un piccolo e
semplice tributo alla loro memoria.
Ci siamo improvvisati
scultori quel giorno, mentre seppellivamo i loro corpi ormai bianchi
e freddi, creando una piccola statua che li raffigurava, reduci
dall'errore più grande che un uomo potesse mai compiere in
vita sua. Quel giorno, avevamo imparato tutti una grande lezione.
Anche se si è diversi, anche se l'odio è così
profondo e radicato nelle nostre vite, c'è sempre uno
spiraglio di amore che può salvarci.
E loro erano
l'amore. L'amore che nonostante le difficoltà e l'odio, era
riuscito ad insinuarsi così in profondità da annientare
tutto quell'odio e quel rancore che ci aveva impregnato gli animi per
tutti quegli anni.
Quella scultura era importante.
Una
sorta di innocuo ricordo del loro primo incontro la sera del
ballo.
“Qui giacciono i resti di due anime volte
all’amore e all’affetto totale”
FINE E
dopo un botto di tempo e incalcolabili anni (?) metto fine a questa
storia. Il finale mi lascia un po' perplessa, non perchè non
mi piace ma perchè mh, bho, forse non mi piace molto che le
storie finiscano male XD ahahahahahah *parla proprio lei*. Vi
ringrazio tutti/e sentitamente per i commenti e soprattutto per
averla letta. Perlomeno non vi ho annoiati con una storia che a mio
dire è forse un po' troppo mentale ecco. Però mi rendo
conto che creare in un personaggio la prima persona è una
fighezza unica *ç* no seriamente, non bisogna stare li a
mettere tutti quei “disse di qua” e “disse di la”
XD basta immedesimarsi ed il gioco è fatto (restando sempre IC
col personaggio da “muovere”). Quindi, grazie infinite. E
spero di riuscire a trovare la forza (più mentale che fisica
eh) per andare avanti anche con Disturbia, che è una bella
gatta da pelare visto quanto è complessa come trama e come
“immedesimazione” (>__> ma io a che pensavo quando
l'ho iniziata?)
^___^
bhe alla prossima! Ciaooooo!!! ^O^/
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=952706
|