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Ci ho impiegato un pò a mettere giù questo mio sequel ideale, che tra l'altro non è ancora finito. Spero che gli amanti di questo anime&manga non siano offesi da esso, ma riescano a riconoscervi i personaggi che tanto hanno amato. Abbiate pietà di un'umile scribacchina-_-..
Ritrovar se stessi
Ritrovar se stessi
Il mio seguito di Candy Candy by
Silvì
Eccomi qui con la MIA continuazione della storia e finalmente ho un po’ di tempo per buttarla giù, non
sarà lunga,
sarà
soprattutto una cosa introspettiva, ma diversa da quella della mia cara amica
Odissea del forum italiano di Candy Candy,
anche
perché lei è molto più brava di me a scrivere.
Per il titolo ho
deciso di prendere spunto da un brano di una canzone di Battisti, ovvero EMOZIONI,
perché credo si adatti perfettamente a ciò cheho in mente di scrivere.
Ah spero di non
sconvolgere gli amanti di Albert, in particolare la
mia cara Esthertr, perché..insomma lo capirete nel leggerlo,
però non
temete lo tratterò con la massima cura perché anche io lo amo,
anche se non come Terry ovviamente.
Bene fatte
queste piccole premesse vi auguro buona lettura e spero tanto che vi piaccia la
mia continuazione della storia:
ovviamente
i personaggi non sono miei ma della nostra amata/odiata Mizuki.
Ah quasi
dimenticavo per rendere più credibile la storia
ho deciso un piccolo cambiamento che non so quanto sia in linea, speriamo -_-
…
Altra
dimenticanza: questo racconto viene pubblicato in
contemporanea sul forum italiano di Candy Candy e
presto lo
troverete anche nel mio blog di fan faction.
CAPITOLO I: UNA VISITA A SORPRESA
“E’ una fredda serata
di inizio Marzo, il vento sferza forte le fronde degli
alberi, alberi che assumono l’aria lugubre di fantasmi mentre gli ultimi
bagliori del tramonto illuminano la via. Tuttavia il sole si sta facendo più
caldo: la primavera è ormai alle porte.
Un tempo, da bambino, odiavo
la primavera, perché passavo le mie giornate in compagnia della mia
matrigna e dei miei fratelli, che han sempre mal sopportato la mia
presenza. Quasi l’esser al mondo, per me, equivalesse
ad una colpa. E in un certo senso lo era: io
ero il frutto del peccato di mio padre con una donnaccia. Un’attrice. Una
donna non nobile. Mi viene quasi da ridere al pensiero che io, il figlio
illegittimo, il figlio non voluto,ho seguito le sue disonorevoli
orme.
Ma, come sempre, sto perdendo il
filo del discorso, del resto io sono un attore non uno scrittore .
Si ora amo la primavera. Non posso
farne a meno perché lei la ama. Perchélei me l’ ha fatta amare. Parlandomi delle
rose bianche che il suo primo amore coltivava e a cui aveva dato il suo nome.
Il suo
nome che io non posso e non voglio pronunciare, ma che non posso dimenticare. Perché il solo sentirlo mi dà una gioia infinita.
Mi dà la forza della terra che ora rinasce dopo un lungo e gelido
inverno. Ma nel contempo mi dà un dolore
terribile. Il dolore di un veleno potente ma non mortale, che
mi consuma a poco a poco. Lentamente.
Come ero stato geloso
un tempo quando lei mi parlava di Anthony, del suo amore per lui.
Ora darei qualsiasi cosa pur di sentirla parlare anche solo di lui, pur di
sentire di nuovo la sua voce. La voce della mia
tarzatuttelentiggini.
Lei che rincorre il
treno.
Lei che si arrampica
sugli alberi.
Lei che sorride a
tutti con uguale generosità.
Lei che balla con
me in Scozia.
Lei che mi dice
addio perché non possiamo stare insieme.
Mi sento un mostro eppure ho
desiderato che l’altra morisse davvero, che mi lasciasse libero
per sempre.
Ma è stato
un attimo, solo un attimo, perché poi appena vedo il suo sguardo triste
capisco che lei non ha colpa alcuna: Susanna mi ha salvato la vita. Ed
è giusto che io le stia accanto. La sua vita è stata distrutta per
colpa mia e io devo riparare. Anche se tutto questo fa
soffrire anche lei.
E ora il rimorso
per quel pensiero crudele mi attanaglia lo stomaco.
E mi rende,
consapevole una volta di più, che io non sarò mai come il suo
Anthony.
Come il suo principe della
collina.
Come Albert.
Eppure io ho avuto il suo
amore.
E questo mi basta
per andare avanti.
Per cercare di sorridere alla
vita.
Non sorriderò
mai come te amore mio, lo so.
Solo il tuo sorriso sa illuminare
il mondo.
Sa far risplendere il sole.
Ma ci proverò,
per te.
Perchétu sia
orgogliosa di me.
E se puoi dimenticami, sii felice
ti prego.”
Terence Granchester, figlio
illegittimo del Duca Granchester e della grande attrice
Eleaonor Baker,a sua volta
affermato attore anche lui,chiuse
un quaderno dalla copertina blu, dove aveva vergato quelle poche righe con un
calamaioe lo ripose in un cassetto
del comò della sua camera. Si alzò e prese dal proprio taschino
interno, della sua giaccia marrone, come sempre assai sgualcita, una piccola
chiave di ottone argentato, la infilò nella
serratura del cassetto, e la girò due volte. Poi la rimise nel taschino.
Con fare noncurante osservò per qualche secondo la sua stanza: un
semplice letto di legno scuro, un comodino stracolmo di copioni, un enorme
comò, regalo di Susanna, una sedia elegante, quasi da re,erano tutto
l’arredamento di quel posto. Non gli serviva nient’altro. Ed anzi
era fin troppo per i suo gusti. Sentì bussare
alla porta.Si trattenne dallo
sbuffare spazientito. Sicuramente era Susanna.
“Terence..”
Aprì la porta e le sorrise
più dolcemente che potè.
E si
ripetè mentalmente ciò che aveva appena scritto: Lei non aveva
colpe.
“Dimmi Susanna.”
“C’è una
visita..”
L’uomo la fissò
preoccupato: era nervosa, tesa. No anzi era proprio
terrorizzata. Tremava come una foglia. Aveva lo stesso sguardo di quando aveva tentato di uccidersi. Smarrito.La sua figura
pareva ancora più piccola di quella che era.
“Di chi?”
Si inginocchiò
e le prese le mani.
“Non so come dirtelo..”
Il giovane attore sbattè
le palpebre più volte.
“Come sarebbe a
dire?”
La ragazza si strinse
convulsamente al petto le mani dell’amico.
“Vieni di
là ti prego..”
Incapace di proferire parola
Terence assentì e la seguì in salotto, dove attendeva il
misterioso visitatore.
Chiunque fosse
l’avrebbe pagata cara.
Non gli piaceva che qualcuno facesse star male Susanna: non l’amava è vero,
ma le voleva bene e vederla soffrire faceva soffrire anche lui.
Forse era un giornalista di
qualche giornale scandalistico venuto a tormentarla.
Con questo pensiero nella mente
accelerò il passo per dirne quattro a quel sanguisuga,
ma non appena entrò nell’ampio salone di casa Marlowe, le parole
gli morirono in gola..
Ciao Grace grazie a te di aver letto e recensito la mia storia con dei commenti così carini !
Sono davvero molto contenta che ti intrighi:
cercherò di aggiornare con una certa frequenza!
Mi sa che il finale che ho in mente ti spiazzerà..
Buona lettura, By Silvì
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CAPITOLO
II: L’OSPITE MISTERIOSO
“Albert?” domandò Terence stupito.
Si quello che aveva davanti era indubbiamente il suo
vecchio amico, ma…
Dov’era il simpatico vagabondo che aveva conosciuto
anni fa?
Ora pareva un impettito uomo d’affari con indosso
quell’elegante completo blu, in giacca e cravatta e con il volto
perfettamente rasato.
Deglutì a più riprese per darsi un contegno.
“Si Terence sono io. Sono sempre io nonostante
l’abbigliamento “ mormorò la voce pacata dell’uomo, ma
con un tono di disappunto che non sfuggì alle orecchie del suo giovane
amico, che gli sorrise divertito
Il più vecchio gli sorrise di rimando e
spalancò le braccia sconsolato quasi come a dire:
“ Guarda come mi tocca
bardarmi”
Il giovane Granchester gli sorrise quasi per incoraggiarlo
“Ti trovo bene.. nonostante tutto” il
ragazzo calcò la voce sarcasticamente sulle ultime parole.
Il capo della famiglia Andrei fece con la mano un gesto
seccato
“Lascia stare ti prego..”
“A cosa devo questa piacevole visita?Non ti
aspettavamo..”
Susanna aveva osservato tutta la scena in silenzio cercando
di controllarsi: sapeva perché quel..quell’Albert fosse li. Lo
sapeva..Gli lanciava occhiate di fuoco, tremando come una foglia. Aveva sperato
e pregato che quel momento non avvenisse mai. Lui..lui non poteva..
“Lo so io perché è qui…
perché vuole convincerti a lasciarmi ecco perché…
perché sono solo un peso per te”
Terence le prese di nuovo le mani e gliele strinse con fare
affettuoso
“Susanna ti prego, Albert è mio caro amico,
siamo amici da sempre e non vuole nuocerti in un nessun modo, ne sono
sicuro..”
“Ha ragione Terence, mia cara signorina Marlowe, io
voglio soltanto il suo bene mi creda”
La giovane lo fissò con rabbia crescente: pareva sul
punto di esplodere. E nel contempo pareva una bambina sperduta, che sentiva che
la terra le sarebbe presto mancata sotto i piedi.
“Non è vero, voi mi odiate, mi odiate, mi
odiano tutti!!!”
L’ attore inglese le accarezzò il viso
“Susanna forse è meglio che ti porto un
po’ a riposare e resto io con Albert, d’accordo?”
L’inferma tremò di nuovo nella sua sedia a
rotelle.
“Si hai ragione Terence caro, sono molto stanca. Ma
tu..tu promettimi che..che non..non gli permetterei di metterti contro di
me”
Ora più che mai pareva una bimba smarrita.
“Non temere mia cara”
Poi rivolto all’amico
“Torno subito”
Prese la sedia a rotelle dove sedeva la giovane donna e la
portò nella sua camera.
Delicatamente la prese in braccio e la poggiò sul
letto.
“Riposa ora ti prego”
Lei annuì in preda al panico
“Non mi abbandonare”
“Non lo farò te lo prometto”
Lentamente rientrò in salone chiedendosi a
più riprese cosa significasse quella visita.
Sapeva bene che Candy e Albert si erano fidanzati
ufficialmente ormai da tempo e che il loro matrimonio doveva avvenire entro
breve: sempre che non fosse già avvenuto. Conosceva fin troppo bene
entrambi da sapere che avrebbero sicuramente preferito una cerimonia senza
tanti fronzoli.
“Scusami non ti ho nemmeno fatto accomodare: prego
siediti” mormorò rivolto all’amico.
Subito quest’ultimo gli sorrise di nuovo, quasi con
fare paterno, poi accettò l’invito.
“Stai bene? Suppongo che il tuo nuovo abbigliamento
sia per rappresentare al meglio gli Andrew” fece il ragazzo e nel
pronunciare quel cognome usò un disprezzo che non si curava di
nascondere.
“Esattamente. Comunque ti ringrazio sto bene. E tu
come stai?”
Terence gli lanciò quasi un’occhiataccia: che
razza di domande faceva?
“Ma certo che sto bene sono la più grande
stella del teatro, che potrei volere di più dalla vita?”
“Magari essere felice con una donna..”
ironizzò Albert con una punta di malinconia.
“Se sei venuto a fare prediche quella è la porta. Oltretutto non le posso accettare da chi..”
“Da chi?”
“Sai benissimo cosa voglio dire..”
“Non lo so.”
Il più giovane si alzò e i suoi occhi blu
cobalto parevano il cielo prima di un uragano
“Per caso sei venuto a dirmi che vi siete già
sposati e che Candy è incinta?”
“Non essere meschino!”
“Ah ora sarei io il meschino?E tu che vieni a
sbattermi in faccia la tua felicità, la tua felicità accanto
all’unica donna che ho amato in vita mia?Mi va bene sapervi felici non
fraintendermi, era quello che volevo per entrambi, ma non hai il diritto di
venirmelo a sbattere in faccia, e fare prediche sulla mia vita!”
Il capo della famiglia Andrew scosse la testa.
“Non sono venuto a fare questo, se tu mi lasciassi
spiegare.”
Terence lo fissò torvo per qualche secondo, poi con
calma apparente si risedette.
“Di quello che devi dire e poi vattene..”
“Credevo fossimo amici.”
“Si un tempo ma ora capisci anche tu che la cosa non
è più attuabile.”
Albert sospirò tristemente
“Ho sempre tenuto molto alla tua amicizia”
“Anche io” replicò il ragazzo in tono
asciutto, che tradiva però una certa mestizia nel cuore.
Si anche lui aveva sempre tenuto molto all’amicizia
di Albert: era il suo più caro amico. Forse il suo unico amico insieme a
lei. E saperla con lui le dava conforto, malgrado tutto.
“Sai… se dovevo perderla preferisco….
Preferisco sapere che sia con te.”
L’uomo gli sorrise grato: come gli mancavano le
risate fatte con quel ragazzo. Lui era l’unico, insieme a lei, che
comprendesse e condividesse la sua sete di libertà. La sua voglia di
essere soprattutto se stesso.
“Ti ricordi… ti ricordi quando… quando tu
mi dicesti che la chiamavi Tartan tutte lentiggini? Eravamo al mio zoo e lei…
lei ci sorprese a ridere come pazzi”
Il giovane Granchester scoppiò a ridere, incapace di
trattenersi, subito imitato dal suo vecchio amico: si sentivano di nuovo i due
ragazzi spensierati di tanti anni prima, senza pesi nel cuore, ma tanti sogni e
tante speranze per il futuro.
Il più vecchio fu il primo a fermarsi.
“Ti sbagli sai?”
“Su cosa?” rispose Terence asciugandosi, con il
dorso della mano destra, le lacrime causate dal troppo ridere.
“Non sono felice. Non lo è nessuno. Tantomeno lei.”
“Cosa vuoi dire?Ma… ma… non dovete
sposarvi?”
“Non ci sarà nessun matrimonio.”
“Co… come?”
“Non ci sarà nessun matrimonio: Candy ed io
abbiamo deciso di comune accordo di lasciarci.”
“Ma perché? Siete… siete perfetti
insieme!”
“Ti sbagli di nuovo. Tu e lei eravate
perfetti.”
“Albert… ti prego lo sai che non posso…
anche lei lo sa… “
L’ex vagabondo sorrise malizioso.
“Ti stai sbagliando ancora: lei non lo
sa.”
Terence spalancò gli occhi.
“Di che accidenti stai parlando? Come non lo
sa?”
“Sai perché ci siamo lasciati? Perché
né io né lei sappiamo mentire: lei mi vuole bene,
mi è grata per tutto, ma non mi ama e non lo farà mai. E’
te che ama e io non sarò mai te:è molto semplice.
Lei conserva tutte le riviste che parlano di te, tutte, persino i
terribili giornali scandalistici e i suoi occhi si illuminano quando vede una
tua foto o un articolo su di te. E’ così fiera di te, vorrebbe
venire ad applaudirti ogni volta, ma si trattiene… o meglio si è
trattenuta fino ad adesso… “
Terence tappò la bocca dell’amico con la mano
“Smettila perché mi stai facendo
questo!”
“Perché ti sono amico, perché non
è giusto che continui a sacrificarti così. E per cosa?Credi che
Susanna sia felice? L’ hai vista prima? A me non pareva affatto una
persona felice. Lei lo sa, lo sa che non potrà mai averti! Lo sa! La
gratitudine non è amore Terence: io l’ ho imparato sulla mia
pelle. Ho capito che ho diritto ad avere accanto una donna che mi ami! E anche
Susanna ha diritto ad avere un uomo che la ami come tu ami Candy e come Candy
ama te. “
Il ragazzo prese di peso l’amico e lo trascinò
alla porta.
“Vattene… tu non capisci: io non posso
abbandonare Susanna!”
“E chi ti ha detto di farlo? Tu puoi essere felice
con Candy e aiutare Susanna: una cosa non esclude l’altra.
Ti ricordi? Anche Candy te lo disse poco dopo
l’incidente, poi si convinse che questa assurda farsa era la cosa giusta:
non lo è mai stata mettitelo bene in testa! Anche Candy ora lo sa!Non
è sacrificandoti così che ridarai a Susanna le sue gambe e la sua
vita.”
Furioso il giovane Granchester tirò un pugno in
pieno viso ad Albert e lo sbattè fuori di casa.
Poi quasi barcollando si diresse verso il piccolo bar del
salotto, prese una bottiglia di whisky, si versò un abbondante bicchiere
e lo trangugiò tutto d’un fiato.
Le parole appena udite lo avevano ferito come una pugnalata
in pieno petto: non poteva lasciare Susanna, non poteva. Anche se ora Candy era
libera. Candy che aveva lasciato Albert perché amava ancora lui.
Ancora dopo più di tre anni? Com’era
possibile? E cosa voleva dire il suo amico con “Anche lei lo
sa” e “O meglio si è trattenuta fino ad adesso..”
Tremò dalla testa ai piedi: voleva forse…
forse dire che lei avrebbe lottato per riaverlo accanto a se?
Avrebbe lottato per lui? Com’era possibile?
“Ti prego Terence possiamo ancora
stare insieme, non è giusto che ti immoli per starle vicino: le staremo
vicino insieme. Le daremo tutto il nostro appoggio..” *
Abbandonò il bicchiere vuoto sull’elegante
tavolino di ebano e rientrò in camera. Da Susanna.
Dormiva, ma anche nel sonno tradiva tutta la paura, il
terrore che provava.
“A me non pareva affatto una persona
felice. Anche Susanna ha diritto ad avere accanto un uomo che la ami”
Le prese la mano e la strinse.
“Che cosa devo fare? Che cosa devo fare?”
bisbigliò a voce impercettibile.
“Non abbandonarmi ti prego..”
Una lacrima solitaria scivolò lungo la guancia
abbronzata del ragazzo mentre una campana lontana rintoccava le undici di sera.
FINE CAPITOLO SECONDO
* Non sono queste le parole precise di Candy ma so
che poco prima della separazione lei dice qualcosa del genere a Terence.
Oh che bello i miei lettori stanno aumentando:
x Andy Grim= grazie per le tue belle parole.
Sono davvero contenta che attendi con ansia i prossimi capitoli e spero di non deluderti.
x SemplicementeMe= ringrazio anche te per i complimenti per il mio umile lavoro.
E' bello sapere che trovi la mia storia interessante:
non temere Candy non piangerà sempre :P
e suvvia non lo faceva nemmeno nell'anime;).
Spero di non deludere anche te!
Buona lettura del capitolo 3..By Silvì
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CAPITOLO III: UN GRANDE
RICEVIMENTO
Sei mesi prima….
Una luminosa giornata di fine autunno, quando le foglie
gialle e secche ormai coprono le strade e a volta pare difficile distinguere il
selciato dalla via.
Quelle giornate dove si sente che l’estate vorrebbe
ancora dire la sua ma l’inverno gelido e potente sa che
l’avrà vinta presto e allora lascia alla bella stagione questo
successo effimero.
Il vento non era gelido ma una leggera brezza cercava
inutilmente di spazzare vie quelle foglie.
Inutilmente si.
Perché le foglie erano troppe e quel leggero
venticello nulla poteva contro di loro.
Come l’estate e l’autunno nulla possono, per
ora, contro l’inverno.
Eppure per la bellissima giovane, dai capelli d’oro,
dagli occhi color del cielo, e dal viso pieno di lentiggini, che si stava
agghindando con un raffinato abito di seta celeste, dai ricami bianchi vicino
ai bordi, aiutata dalle sue più care amiche, quella non era una
giornata di autunno.
No era una giornata di primavera.
L’inizio di una nuova vita.
Si guardò allo specchio facendo mille smorfie di
gioia.
Ora sapeva che il passato era dietro le sue spalle, aveva
vinto, grazie a lui.
Al suo amore silenzioso e paziente.
Si paziente perché aveva saputo starle vicino,
rimarginare la sua profonda cicatrice senza darle nessuna fretta.
Vegliandola e proteggendola come aveva sempre fatto.
E ora lei sentiva di amarlo.
Si forse non lo amava come l’altro.
Ma lo amava ne era certa: di un amore diverso, tranquillo,
che non sarebbe mai bruciante e folle come per l’altro.
Ma sempre amore era.
E conosceva fin troppo bene l’altro da sapere
che sarebbe stato felice per lei, malgrado tutto.
Perché la amava sinceramente.
Anche se avrebbe sofferto sapendola con un altro uomo, ma
sarebbe stato contento di sapere che lei era serena e che quell’altro
uomo era lui.
Il suo più caro amico.
William Albert Andrew, il suo futuro marito, che da quel
giorno sarebbe diventato ufficialmente il suo fidanzato.
La figura più minuta e pallida delle altre due
donne, vestita come sempre all’ultima moda, con la sua aria da perfetta
signora dell’alta società, la fissò con piglio
severo.
“Candy la vuoi finire di fare quelle smorfie? Ti
ricordi che oggi è il giorno del tuo fidanzamento ufficiale con uno dei
più rinomati gentiluomini degli Stati Uniti: cerca di essere una
signorina di buone maniere per una volta.”
Candy scoppiò a ridere, incapace di trattenersi: lei
una signora di buone maniere? Impossibile: nemmeno in un milione di anni!
Patty, l’altra giovane accanto a lei, vestita di un
semplicissimo abito di lino nero, segno del suo lutto perenne per il suo unico
grande amore, imitò subito quella risata: quando quella bionda
matta rideva, lei si faceva subito contagiare.
Era qualcosa di travolgente quella risata, quasi come una
valanga di neve che preannuncia il disgelo della primavera.
Annie le fissò imbronciate per qualche secondo poi
scoppiò a ridere : anche su di lei la risata della sua amica aveva
poteri inimmaginabili. Ma Candy aveva sempre avuto un grosso potere
sull’amica d’infanzia, lo sapeva, forse è quello che sotto
sotto l’aveva invidiata: anche lei non poteva resistere al
fascino magnetico di quella persona speciale. Si perché in definitiva il
fascino che Candy esercitava sugli altri, peraltro involontariamente, non era
mero calcolo ma solo la sua personalità generosa che faceva
sentire al sole e al sicuro chiunque venisse in contatto con lei.
Annie ora la sapeva.
Lo aveva capito finalmente.
E ringraziava Dio ogni giorno che la sua amica
l’aveva sempre amata nonostante le sue invidie perché aveva saputo
leggere dietro di esse, vedendovi la sua insicurezza e fragilità, la sua
disperata voglia di essere amata da tutti.
Si forse non avrebbe mai avuto la spina dorsale di
rispondere male a sua madre, ma ora si sentiva bene con se stessa e questo le
bastava.
Ma soprattutto le bastava osservare i suoi piccoli,
adorabili, gemelli, Stear e Candy, far impazzire il suo amato marito Archie nel
loro immenso giardino.
Archie che ora la guardava con un amore che mai avrebbe
pensato di vedere rivolto a lei.
Quando lo aveva sposato aveva temuto che presto o tardi lui
l’avrebbe lasciata.
Che presto o tardi si sarebbe trovato un’amante.
La sua insicurezza l’aveva spinta a pensare che
Archie facesse diventare Candy la sua amante.
Come aveva potuto entrarle nella testa una simile orribile
congettura?
Non sapeva quando aveva compreso esattamente che il marito
finalmente ricambiava il suo amore.
Forse era stato quella volta che l’aveva fissata
orgogliosa mentre lei rifiutava, incredibilmente decisa, l’ordine della
madre di indire un ricevimento una settimana dopo il suo travagliato parto per
celebrare, in società, la nascita dei gemelli.
Era furiosa, davvero furiosa: lei aveva rischiato di morire
e sua madre pretendeva di fare una festa?
Non sapeva come aveva potuto trattenersi dal risponderle
male, forse le era venuto in soccorso il ricordo di quanto le aveva detto
un’amica speciale tempo fa.
“Mia cara Annie mi chiedi come
faccio a farmi rispettare da tutti?Con voce calma e decisa perché dentro
sono calma e decisa.”
Aveva fissato sua madre con rabbia, nonostante fosse ancora
sofferente e le aveva risposto sicura.
“Non ci sarà nessun
ricevimento, non ora almeno: come vedi sto ancora male. Ah una cosa i bambini
si chiameranno Candy e Stear..”
A momenti a sua madre era venuto un colpo apoplettico: come
se non sapesse che lei disprezzava la sua Candy. Avrebbe voluto prenderla a schiaffi per quel suo disprezzo. Non che
Annie odiasse la madre adottiva, anzi le voleva un gran bene, le era grata per
averle dato una casa e il suo affetto, ma negli ultimi anni Annie Brighton
Corwell aveva capito che sua madre badava un po’ troppo alle apparenze.
Si sua madre le voleva bene, ma prima venivano le
esteriorità.
Scosse la testa cercando di concentrarsi su Candy: era il
suo grande giorno dopotutto.
“Cara sei felice vero?” mormorò la voce
dolce di Patty.
La testolina dalle lunghe dorate e ribelli chiome si mosse
in un lieve cenno di assenso.
“Si ma vorrei tanto poter evitare tutto questo: fosse
per me sposerei Albert domani stesso senza queste inutili procedure.”
“Sono sicura che per lui è lo stesso ma un
po’ dovete rispettare la buona creanza.”
L’amica le sorrise amabilmente e allargò le
braccia
“Su cos’aspettate a abbracciare la futura
signora Andrew?”
Annie e Patty si sorrisero divertite e la strinsero
commosse: insieme si sentivano invincibili.
Patty sentiva la gioia di Candy diventare sua.
Si lei non avrebbe mai dimenticato Stear ma ora era serena,
in pace e per la prima volta vedeva un futuro per se stessa senza dolore.
Era sicura che il suo Stear, ovunque fosse, era felice per
lei.
E quando a volte il dolore si faceva troppo forte, andava
da Candy o da Annie e tutto passava.
I momenti più belli era quando prendeva in braccio
il piccolo Stear, il maggiore dei gemelli di Archie ed Annie: diventava ogni
giorno più simile allo zio. Aveva la sua stessa vivacità, i suoi
stessi occhi curiosi di sapere tutto, e spesso, dopo aver distrutto un
giocattolo, il piccolo Corwell tentava di rimetterlo apposto. Allora Patty
iniziava a ridere come una matta e sentiva di nuovo le calde braccia di Stear
stringerla.
Le pareva persino di scorgerlo dietro i rami di qualche
albero del giardino dell’amica.
E sorrideva, felice per lei.
Candy lo guardò dritta negli occhi, quasi sentendo
questi pensieri.
“Lui è sempre con te ne sono sicura e..”
Avrebbe voluto aggiungere altro ma si trattenne: la sua
naturale sensibilità le aveva fatto comprendere che era ancora presto
per tastare questo terreno.
Patty assentì senza dire una parola mentre Annie si
avvicinava con una grossa collana di perle.
“Oh Annie ti prego non vorrai farmi mettere quella
roba?”
“Una signorina per bene indossa le perle.”
“Io non sono una signorina per bene”
“Tanto è inutile che fai storie:la metti e
basta”
La giovane sbuffò spazientita.
“Sei impossibile: non riesco mai a dirti di no.
Presto mi obbligherai ad andare alle feste di beneficenza dell’alta
società newyorkese .”
La signora Corwell le mise la collana senza aggiungere altro.
“Su andiamo… che la festa abbia inizio..”
Nella stanza dall’altra parte della grande residenza
newyorkese degli Andrew, Albert finiva di sistemarsi, aiutato dal suo fedele
George: anche lui, come la sua amatissima futura sposa, avrebbe evitato
volentieri tutto questo. Ma così si sarebbe inimicato tutta la
società di New York, e presto nessuno avrebbe più voluto fare
affari con lui e di certo non poteva mandare sul lastrico la sua famiglia solo
perché odiava fare i ricevimenti.
Beh certo non sarebbe stato un male lasciare in miseria la
sua insopportabile sorella e quella vecchia brontolona della zia Elroy: almeno
si sarebbero levate una volta per tutte quella loro espressione insolente
quando guardavano i non altolocati, come se questi ultimi non meritassero
appieno la loro attenzione, come se fossero degli esseri umani inferiori.
C’era da considerare, tra l’altro, che anche Archie ed Annie
avrebbero però pagato le conseguenze del suo gesto se lui non avesse
indetto quella festa.
Inoltre sapeva bene che quella celebrazione avrebbe fatto
schiattare di rabbia l’intera famiglia Legan: la signorina che veniva dal
nulla, senza arte né parte, che si fidanzava ufficialmente con il capo
della famiglia Andrew.
A questo pensiero mancò poco che iniziasse a ridere.
Le sue divertenti osservazioni furono però
interrotte dal bussare alla porta.
L’uomo sospirò rassegnato: se fosse stata di
nuovo sua sorella o sua zia le avrebbe cacciate a calci.
Quelle due donne avevano il potere di fargli perdere la sua
nota calma.
“Vai ad aprire per favore e se sono chi sai tu
mandale via”
“Certo signore” mormorò pacatamente
George che aggiunse con fare divertito
“Forse dovreste diseredarle signore”
“Ottima idea peccato non servirebbe a nulla, hanno
soldi a volontà purtroppo: fosse per me passerebbero la loro giornata a
lavare piatti!”
Il suo maggiordomo soffocò a stento una risata ed
andò ad aprire la porta: quando vide chi era rimase di stucco. Certo che
quella gente era proprio dura a cedere: bisognava prenderne atto.
“Signore la signorina Legan..”
Il giovane Andrew alzò gli occhi verso il soffitto:
ecco un’altra persona che aveva sicuramente bisogno di lavorare come
lavapiatti. Non che ciò avrebbe migliorato il suo naturale pessimo
carattere ma almeno le avrebbe levato quella smorfia fastidiosa dalla faccia,
che lei spacciava per sorriso.
“Entra pure Iriza ma fai in fretta, come vedi sono
occupato..”
La ragazza cercò di usare l’arma della
dolcezza.
“Mio caro zio William sono venuta ora perché
sono molto preoccupata per te..”
Al sentire quella falsa gentilezza lo stomaco dell’ex
vagabondo si contrasse.
“Senti Iriza potresti venire al dunque?Manca
pochissimo all’inizio della festa e non sono ancora pronto.”
“Zio caro è proprio per la festa... sei
proprio sicuro di…”
“Iriza ti ringrazio per la tua sincera “
mormorò a voce pacatissima l’uomo calcando il tono di voce,
volutamente, sull’ultima parola“ preoccupazione ma ne abbiamo
già parlato sia con tua madre, che con la prozia Elroy: Io Amo Candy e intendo sposarla.”
“Capisco che tu voglia sposarla, sai bene quanto
tutti noi siamo affezionati a quella cara ragazza, ma non potevate sposarvi con
riservatezza? Sai zio lo dico per te: i tuoi affari potrebbero venire
danneggiati se si sapessero le origini di Candy. “
Di nuovo lo stomaco del giovane si contrasse: se continuava
così rischiava di tirar su ciò che aveva mangiato lo scorso
Natale.
“Mia cara Iriza non temere i miei affari non
saranno affatto danneggiati dal mio fidanzamento ufficiale con Candy, anzi. Ora
scusami ma devo pregarti di andartene: ci rivedremo nel salone.”
La giovane Legan sospirò : era inutile sapeva fin dall’inizio che la
sua sarebbe stata una battaglia persa in partenza. Eppure sua madre e sua zia
avevano insistito che andasse a fare l’ennesimo inutile tentativo.
Sono sempre più contenta di vedere che coloro che recensiscono la mia umile opera siano sempre di più:
grazie davvero di cuore!
x Scandros= benvenuta tra i miei lettori!grazie per i tuoi complimenti e per le critiche costruttive, ti ho scritto una mail privata;).
x Rayne= benvenuta anche a te! Si è vero nel manga si intuiva che forse Candy sarebbe finita con Albert, ma l'autrice ha scritto 3 lettere successive al manga, dove si mostra che Candy ama ancora Terence e viceversa: avrei persino voluto usare dette lettere, ma poi ho scartato l'idea. Se vuoi saperne di più contattami via mail;), baci anche a te:*
x SemplicementeMe= Mi spiace ma ci vorrà ancora un pò di tempo ma la mia idea è, appunto, che si riconcilino, ma in maniera assai inaspettata;).. Anche io non sopporto Iriza, quanto a Neal...vedrete..
x Andy Grim= devo confessare che ho saputo da poco il vero legame che univa i Legan e gli Andrew, grazie al forum italiano di Candy Candy, che frequento regolarmente ormai da un anno e che poi trovare sul circuito forumfree. Eggià hai ragione: povero Anthony:(: è proprio il caso di dire parenti serpenti.. Ovviamente l'invito a contattarmi via mail vale anche per te così come per tutti i miei lettori;): senza di voi come farei?
IMPORTANTE: questa settimana ho aggiornato praticamente tutti i giorni perchè volevo fare in modo di essere in pari con la contemporanea pubblicazione sul forum di Candy : dalla prossima non sarà più così, ergo non aspettavi nuovi capitoli prima di lunedì.
Grazie ancora per i vostri commenti e abbiate pazienza: questo weekend vado via e non posso scrivere ;).
Buona lettura!By Silvì. P.s: se per caso vi piace molto il mio stile vi invito ehm a dare un'occhiata al mio account dove trovate tutte le altre storie che sto scrivendo: ehm scusate la pubblicità non occulta -_-.. come vedete me ne vergogno -_-..
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CAPITOLO IV: LA GRANDE RIVELAZIONE..
Sempre sei mesi prima…
Il grande salone di casa Andrew era addobbato a festa,
tutto splendeva, tutto pareva voler fare da cornice alla gioia di due giovani
innamorati.
L’Alta Società newyorkese era li con loro a
festeggiare, ma solo pochi erano amici sinceri, la maggior parte erano li
perché attirati dal buon nome di quella potente famiglia.
Albert, suo malgrado, aveva dovuto invitarli tutti, ma
aveva almeno cercato di invitare i più sopportabili, ma il risultato non
cambiava di molto: quella gente non gli piaceva.
Per niente.
E sapeva che per Candy era lo stesso.
Lei odiava quella falsa gentilezza, quell’ipocrisia
mascherata da buone maniere.
Voltò il capo verso di lei e le sorrise quasi a
chiederle scusa.
Ella ricambiò con un sorriso che le fece tremare le
gambe: non c’era rincrescimento in quel sorriso.
Nemmeno fastidio per essere in mezzo a persone con cui non
aveva nulla a che spartire.
Solo una grande gioia, una grande riconoscenza.
“E’ la nostra festa Albert, il
resto non conta”
diceva quel sorriso
Lui annuì con un breve cenno del capo, stringendole
delicatamente la mano che teneva nella propria.
Poi con un movimento elegante la portò al centro
della sala, dove giù i musici avevano iniziato a suonare una lieve
melodia, e prese a ballare con lei.
La sua Candy.
Finalmente.
L’aveva amata per tanti anni, e mai e poi mai aveva
pensato di poter essere, per lei, che più di un semplice fratello
maggiore: e gli era bastato quell’affetto tenero che lei gli donava. Non
aveva mai chiesto di più. Lui voleva che fosse felice, non importa con
chi.
E ora lei lo amava, si lo sentiva.
Certo non come aveva amato Terence.
Ma lo amava.
E a lui bastava.
Non poteva e non voleva chiederle di più.
Lei gli sorrise ancora e lui si sentì in paradiso.
Albert, com’era stato buono con lei, sempre
così paziente, la aveva dato un nome, una famiglia, una casa.
“Mio caro Albert farò di
tutto per renderti felice come meriti” si promise tra se e se.
La ragazza lo guardava dritto negli occhi: erano belli
quegli occhi, così sereni e limpidi e gridavano tutto il suo amore per
lei. Si sentiva fiera e felice di poter suscitare in quelle iridi celesti, come
il cielo del mattino, tanto ardore.
Quella chioma bionda, ora non più lunga come un
tempo, aveva quasi il colore del sole.
Peccato che aveva dovuto tagliarla: erano così belli
i capelli lunghi fino alle spalle.
Si i suoi capelli lunghi dal colore del fusto di
Papà Albero.
Rabbrividì..cosa..cosa stava pensando?
No..no i capelli del suo Albert sono color del sole.
Chiuse impercettibilmente le palpebre per una frazione di
secondo.
Poi concentrò di nuovo nello sguardo del suo futuro
sposo.
Ora il suo sguardo era blu cobalto come la notte: la notte
calda e avvolgente, piena di stelle, come solo può esserlo una notte di
estate. E le stelle di quella notte palpitano cariche di emozioni, cariche di
passioni.
E lei vuole perdersi in quella notte, più luminosa
di qualsiasi giorno, più vibrante di qualsiasi tempesta.
Quasi senza volerlo si guardò intorno e si accorse
con stupore che gli ospiti erano spariti tutti.
Erano soli..
Lo stesso salotto degli Andrew era sparito: al suo posto un
meraviglioso prato verde, pieno di fiori multicolori e di alberi da frutto. Una
fresca e tiepida brezza le stava scompigliando i capelli, facendola sentire
leggera come una farfalla. E non lontano udiva il rumore dell’acqua che
si infrangeva sugli scogli.
Si guardò: il suo vestito non era più celeste
ma era rosso.
Rosso come quello di Giulietta.
Alzò di nuovo lo sguardo verso il suo fidanzato e si
accorse che ora i capelli dell’uomo erano davvero castani come il
fusto di Papà Albero e lunghi fino alle spalle e indossava
anch’egli uno strano costume.
Simile a quello di Romeo.
E di colpo comprese: quello non era Albert.
Quello era Terence.
Ancora una volta i suoi occhi si chiusero
impercettibilmente mentre il suo cuore si riempiva di angoscia: cosa stava
facendo al suo più caro amico? Cosa stava facendo?
Perché si era il suo più caro amico, lei lo
amava si, ma non come una fidanzata, come una sorella.
Rabbrividì a questa ammissione.
Agli occhi degli estranei i due parevano una coppia di
innamorati che ballava alla propria festa di fidanzamento.
Agli occhi degli estranei appunto, ma i due non erano
estranei fra di loro.
Entrambi conoscevano l’uno dell’altro ogni
sussulto, ogni segreto, ogni pensiero: l’uomo si accorse subito che
qualcosa era cambiato in lei. Irrimediabilmente. O forse più
semplicemente aveva preso coscienza di cos’erano insieme:
un’illusione. La pallida ombra di un passato amore mai finito.
Quando la musica finì il giovane portò la
fidanzata sulla terrazza più nascosta della sala, con la scusa che
faceva troppo caldo li. Delicatamente la fece sedere su una delle poltroncine
bianche accanto alla porta finestra. Lei non disse nulla . Ma del resto
non serviva. Non erano mai servite le parole tra di loro. Erano fratello e
sorella. Eppure ora quel silenzio gli faceva male. Troppo male. Tuttavia lei
continuò a non proferire parola per diverso tempo e quando finalmente
parlò a lui parve che fosse un’illusione. L’ennesima
di quella serata.
“Perdonami” bisbigliò a voce appena
udibile lei.
“Io volevo… io ti amo davvero… “
“Lo so mia cara Candy lo so ma non…”
“Non nel modo che vorresti…”
“E’ sempre amore e io ti sono grato di avere
riservato nel tuo cuore una piccola parte per me.”
“Albert caro non è piccola è enorme,
immensa..”
Con un gesto delicato della mano le sfiorò i
riccioli setosi .
“Mia piccola Candy sai… sono io che devo
chiederti perdono…”
“Per cosa? Per avermi ridato la serenità? Per
essermi stato sempre vicino quando avevo bisogno? Per avermi dato una famiglia?
Per essere stato il più leale e sincero amico che abbia mai
avuto?” mormorò lei tremante e a testa bassa.
“ Sono stato tutte queste cose per te è vero,
ma fino ad un certo punto. “
“Cosa vuoi dire?”
“Che dovevo essere più leale sia nei tuoi
confronti che nei confronti di Terence: siete sempre stati i miei migliori
amici e io non ho saputo proteggervi”
La giovane ebbe finalmente la forza di alzare il capo e di
fissarlo negli occhi.
“Non è stata colpa tua.”
“In effetti no ma avrei potuto fare di più per
voi”
Lei gli prese le mani e le strinse tra le sue
“Ti sbagli hai fatto tutto ciò che
potevi”
Lui scosse il capo senza dire altro: la ragazza, devastata
nel vederlo così insicuro, si alzò e lo abbracciò.
“Sei sempre stato e sarai sempre il mio migliore
amico.”
“Lo so piccola e ne sono fiero”
bisbigliò stringendola a se.
Un elegante signore anziano, che passeggiava vicino alla
terrazza, scorse i due fidanzati abbracciati e sorrise nel vedere
l’arditezza dei costumi moderni, ma soprattutto nel vedere una coppia
così innamorata.
Se gli avessero detto che quei due avevamo appena rotto il
loro fidanzamento non ci avrebbe mai creduto: era così evidente
l’affetto che li legava. Affetto si ma non amore. E mentre queste parole
risuonavano, per l’ennesima volta, nella mente del giovane Andrew,
quest’ultimo capì che voleva avere vicino una donna da amare e che
lo amasse come Candy e Terence si amavano. Ma prima doveva fare una cosa: forse
non era troppo tardi.
Miei cari lettori e mie care lettrici scusate se vi ho fatto attendere così a lungo, ma sono molto impegnata ultimamente, tuttavia cercherò di aggiornare almeno una volta a settimana, quando mi sarà possibile.
x Grace= grazie di essere tornata a leggere il racconto;) : la scena del ballo è una di quelle su cui ho lavorato di più perciò non sai quanto sia felice che piaccia. Sono molto contenta che tu ti sia iscritta al forum di Candy ;).. Hai ragione sugli errori, rimedierò.
x Isa= benvenuta tra le mie lettrici, ti ringrazio dei complimenti, specialmente per quanto riguarda la parte descrizioni: sono un pò il mio tallone d'achille e ci sto lavorando parecchio perciò è bello sapere che colpiscono;).
x Andy Grim= vedo che anche tu hai un debolo per i cattivi redenti;), spero di non deluderti su Neal ma anche sul resto;)..
Questo non sarà un capitolo molto lungo come vedrete, ma spero lo appreziate lo stesso: buona lettura!Silvì
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CAPITOLO V: IL DUBBIO
Terence osservava quel teatro vuoto, che conosceva come le
sue tasche, dove aveva recitato migliaia di volte, era uno dei palcoscenici più importanti di New
York, eppure per lui era solo la sua casa, il suo rifugio, e mai come in quel
momento sentiva che fosse così: non sapeva perché. O meglio lo
sapeva, ma non osava nemmeno sperarlo, nemmeno immaginarlo, nemmeno chiederlo a
qualcuno, si limitava a stare li, nel silenzio di quel teatro, dove
c’erano appena state le prove di una nuova rappresentazione teatrale, di
cui lui sarebbe stato il protagonista, e come sempre aveva sbalordito tutti. Ma
in quell’istante non gliene importava niente, proprio niente, era come
ipnotizzato da qualcosa… o meglio da qualcuno che sentiva disperatamente
vicino…qualcuno che gli sembrava quasi di toccare.
Una comparsa gli si avvicinò con fare circospetto
“Tutto bene Terence?”
Il giovane annuì con un breve cenno del capo.
“Sempre di molte parole, noto, beh vedi di non farti
chiudere dentro : capisco che ti senti come i tuoi personaggi, ma dormire in un
teatro mi pare un po’ troppo.”
Il giovane Granchester gli concesse un sorriso divertito
“Non preoccuparti Simon: resto ancora un po’ e
poi me ne torno a casa..”
L’uomo gli sorrise di rimando e lo salutò con la
mano, uscendo velocemente per una delle uscite principali.
“Bene” pensò il famoso attore
“Finalmente solo, ora signor Granchester vedi di trovare il fegato di
alzarti e andare a fare la domanda che ti preme agli addetti alle vendite, alle
maschere, alle donne delle pulizie, a chiunque: non serve a nulla star qui ad
arrovellarti.”
Respirò profondamente ripetendosi due o tre volte la
frase: sentiva quasi tremargli le gambe. Doveva sapere la verità, doveva
saperla: le parole di Albert, di qualche giorno prima, lo avevano
profondamente turbato.
Fin nel profondo dell’anima.
“Lei conserva tutte le riviste che
parlano di te, tutte, persino i terribili giornali scandalistici e i suoi occhi
si illuminano quando vede una tua foto o un articolo su di te. E’
così fiera di te, vorrebbe venire ad applaudirti ogni volta, ma si
trattiene… o meglio si è trattenuta fino ad adesso… “
Respirò di nuovo profondamente
“Si è trattenuta fino ad
adesso..”
Prese un fazzoletto dal taschino della giacca e se lo
passò sulla fronte.
“Ora basta Terence: sei un uomo o un vigliacco?Alzati
e scopri la verità!” si ordinò.
Quasi come se qualcuno lo avesse spinto con forza, il
giovane si alzò di scatto e si diresse speditamente verso
l’ufficio vendite del teatro. Li trovò una signora di mezza
età, decisamente paffuta, dalla pelle altrettanto grassa, e con
l’aria impettita della signora dell’alta società: in
settimana il personale era limitato
e presente solo negli orari delle prove.
“Buona sera signora, mi scusi se la disturbo, volevo
sapere una cosa importante.”
Vedendo arrivare il celebre attore il viso della donna si
animò, togliendosi l’aria snob e tirando fuori un sorriso ebete,
degno di un clown. A Terence venne il comprensibile sospetto che la signora
stesse tentando di sedurlo: scacciò subito quel pensiero che ebbe
il potere di fargli venire, contemporaneamente, un violento mal di testa e una
forte nausea.
“Mi dica signor Granchester “ mormorò
una voce che voleva essere flautata e, invece, suo malgrado strideva.
Il ragazzo deglutì, evitando accuratamente di
guardarla
“Ora io scappo non me ne frega
niente, non voglio stare un minuto di più in compagnia di questa”
“Non esiste, devi sapere la
verità”
“E devo chiederla a questa
qui?”
“Vedi qualcun altro?”
Mentre l’attore inglese conduceva questa sua
battaglia interiore, la signora allargò il sorriso.
“Signore cosa voleva chiedermi?”
“Volevo… volevo” mormorò
allargandosi il nodo della cravatta, che gli pareva ormai strettissimo
“Volevo sapere se per caso è venuta qui una ragazza di circa 23 anni,
lunghi capelli biondi e ricci, legati in due code, e il viso letteralmente
coperto di lentiggini”
Aveva detto le ultime parole tutte d’un fiato,
convinto che si fosse fermato non sarebbe più riuscito a ripartire, e
ora era senza respiro.
“Oh signore con tutte le persone che vengono qui come
faccio a ricordarmelo? E poi lo sa io non ci sono spesso. Dovrebbe provare a
domandare ad una delle maschere oppure agli addetti alle pulizie, questi
ultimi, in particolare, ci sono sempre”
“Giusto ha ragione, la ringrazio” e senza
aspettare un’ulteriore replica si fiondò di nuovo dentro al teatro
sperando di incontrare qualcuno.
Una volta dentro si guardò in giro e vide che
già c’erano due donne, non certo grasse come l’addetta alle
vendite, anzi decisamente magre, quasi smunte, e con l’aria sfinita, che
stavano pulendo: una sopra il palco e una in mezzo alle sedie. Velocemente si
avvicinò a quella sul palcoscenico.
“Mi scusi se la disturbo signora avrei bisogno di
un’informazione: lei è sempre qui non è vero?”
“Si certo signor Granchester” balbettò
la donna in evidente imbarazzo: difficilmente uno degli attori si rivolgeva mai
a lei
“Senta ha mai visto qui una giovane, molto bella, dai
lunghi capelli biondi, ricci ricci, legati in due code, e con il viso
abbronzato e coperto di lentiggini?”
“Ma signore, mi scusi se oso l’ardire,
però credo che lei mi stia prendendo in giro.. Questa è la zona
dell’alta società: le pare che una dama dell’alta
società abbia mai avuto un viso colorito? E per di più con le
lentiggini?”
Terence si grattò la testa con fare seccato:
possibile che si fosse sbagliato? Eppure l’aveva sentita in quegli ultimi
mesi. Aveva pensato ad un’illusione all’inizio ma poi le parole
dell’amico.
“Lei conserva tutte le riviste che
parlano di te, tutte, persino i terribili giornali scandalistici e i suoi occhi
si illuminano quando vede una tua foto o un articolo su di te. E’
così fiera di te, vorrebbe venire ad applaudirti ogni volta, ma si
trattiene… o meglio si è trattenuta fino ad adesso… “
Sospirò avvilito: non poteva essersi sbagliato no.
“Signora mi spiace se le dò
quest’impressione ma le giuro che non la sto prendendo in giro. Ho
bisogno di sapere se questa persona è stata qui”
Il viso sciupato della donna si raddolcì sentendo il
tono accorato del giovane.
“Provi a salire ai piani superiori, sa la zona del
popolo, li troverà Arnold, è lui che pulisce quella zona, sa il
teatro è molto grande, e servono almeno tre persone. Chieda lui: forse
ha visto la sua amica.”
Il giovane annuì sorridendogli quasi commosso e
salì celermente le scale, che portavano alle zone popolari. Camminava
speditamente sperando ardentemente di incontrare prima possibile questo Arnold:
lui era l’ultima persona a cui domandare di lei, e lui doveva
averla vista, doveva. Non sapeva cosa avrebbe fatto una volta avuta la conferma
dei suoi sospetti: ora l’importante era avere la certezza che lei
fosse stata li.
Finalmente si imbattè in qualcuno, un uomo di mezza
età anch’egli, molto magro, e con un’aria ancora più
sciupata della sue college al piano di sotto.
“Mi scusi lei è il signor Arnold?
“Si certo signor Granchester, come fa a sapere il mio
nome?”
“Me l’hanno detto le sue colleghe da basso.
Senta ho bisogno di un favore.”
“Mi dica signore”
“Negli ultimi mesi ha visto una giovane molto bella,
dai lunghissimi capelli biondi e ricci, legati al massimo in due code, dal viso
abbronzato e pieno di lentiggini?”
A quelle parole il viso dell’uomo si
ravvivò
“Si signore: da circa tre - quattro mesi la vedo
sempre. Come dimenticare una simile rara bellezza in mezza a tante finte
bambole di porcellana?”
Terence prese l’uomo per le spalle.
“Ne è sicuro?”
“Si signore”
“E viene qui ai piani alti?”
“Si indossa sempre un mantello che le copre il viso
mentre sale ma poi quando si mette a guardare lo spettacolo lo tira giù.
Dovreste vederla signore mentre voi recitate l’ultimo pezzo di qualche
opera: i suoi occhi si illuminano, anzi è come se si illuminasse
tutta e poi inizia a piangere, ma non di tristezza, no, di gioia, le sue sono
lacrime di gioia. A volte le porto un fazzoletto e lei mi ringrazia con una
voce così dolce da mozzarmi il respiro: sembra che invece del fazzoletto
le abbia portato da bere mentre lei stava morendo di sete.”
Il giovane Granchester aveva ascoltato le ultime parole
come se fossero le parole stesse di lei , il suo cuore aveva iniziato a
battere forte quasi come il fischio di una locomotiva, si sente in preda di
così tante emozioni che rischiò di cadere in terra: fu
l’uomo di fronte a lui che lo sorresse, lo fece sedere e gli portò
un bicchiere d’acqua.
“Non vi sentite bene signore?”
“Si… no… mi scusi… “
Lei veniva a vederlo… lei lo applaudiva in silenzio e
piangeva di felicità per i suoi successi… lei non aveva
rinunciato a lui…
Terence sentì come se fosse tornato in
quell’istante da un lungo viaggio all’inferno: aveva smarrito la
via. Ma ora non più. Ora era vivo. Ora era di nuovo se stesso.
“Sta tornando da me…sta tornando da me”
si ripeteva all’infinito mentre le lacrime gli offuscavano la vista.
X Grace= si hai ragione vi faccio un pò troppo stare in sospeso: che ci vuoi fare sono un pò sadica ^^.
Sono contenta che trovi le comparse che mi invento simpatiche;)
x Andy Grim= Oh si Terry si riprenderà ciò che è suo, ma quanto a Susanna per lei ho in mente una novità che spero vi sbalordirà tutti;)
x Rayne= non sai quanto sono contenta che di averti commosso con il mio racconto..
x Shalna= benvenuta tra le mie lettrici. Mi fa molto piacere che trovi la storia carina: Terry e Candy si rincongiungeranno ma mi farò penare ancora un pò.
Riguardo agli errori di battitura, hai perfettamente ragione, però credimi non hai idea di quanto volte li rileggo e correggo e lo stesso fa la mia beta reader,
ma purtroppo ce n'è scappa sempre qualcuno -_-'':
mi viene il dubbio che sia colpa del correttore automatico di word, dato che quando scrivo a mano non faccio così tanti errori -_-''''
Buona lettura a tutti e a settimana prossima, Silvì
Ritrovar se stessi
CAPITOLO VI: CHIARIMENTI
Quattro mesi prima..
Candy passeggiava nel grande giardino della sua amica Annie
Brighton Corwell, tenendo per mano la sua "nipotina" che portava il
suo stesso nome: era una giornata gelida come solo può esserlo nel mese di Gennaio
a New York, ma entrambe erano ben coperte da pesanti cappotti bianchi che si
intonavano perfettamente con la neve soffice che era caduta, abbondante, nelle
ultime settimane e che aveva trasformato la Grande Mela in un paesaggio quasi surreale, degno del Polo Nord .
La giovane era insolitamente assente e non riusciva a farsi
contagiare dalla spensieratezza della nipote, che le era omonima, non solo nel
nome, ma pure nei modi e nell'aspetto fisico, tranne per il fatto che i
riccioli della bimba era neri come la pece. Per il resto la piccola pareva
proprio il suo ritratto, in particolare gli occhi azzurri avevano la stessa
vivacità della zia "acquisita" e proprio come lei non c'era stagione
che le impedisse di giocare all'aperto: quella mattina aveva preteso di uscire
malgrado la temperatura fosse vicina allo zero. Annie era inorridita davanti a
tali richieste della figlia, ma Candy aveva preso le difese della bambina,
dicendo che si sarebbe recata lei in giardino con la piccola Corwell, stando
bene attenta che non si facesse nulla e che non prendesse freddo: la signora
Corwell allora aveva ceduto, notando anche la malinconia dell'amica e sperando
che una passeggiata con la sua vivacissima bambina servisse a tirarla su di
morale.
Da quando la ragazza e Albert si erano separati, la giovane
viveva in uno stato di perenne apatia, come se non fosse capace di fare
alcunché:
Annie e Patty temevano per lei e non sapevano come ridarle
la sua consueta gioia.
Candy non aveva nemmeno espresso il desiderio di tornare a
lavorare come infermiera: agli occhi degli estranei poteva anche essere che
rimpiangesse il suo rifiuto al giovane Andrew, ma non era affatto così.
Non era quello il problema: Annie e Patty lo sapevano bene.
E lo sapeva bene anche Albert.
Lei rimpiangeva un'altra cosa, un altro momento e ora
temeva che fosse troppo tardi: troppo tardi per riavere indietro l'unico uomo
che ella amava davvero.
Nella mente della giovane si susseguivano sempre quegli
ultimi momenti con lui..
Le sue braccia che la stringevano, il calore del suo petto
sulla sua schiena, i lunghi setosi capelli neri che le sfioravano le gote
facendola rabbrividire come non mai..
"Candy.."
"Lo so amore purtroppo dobbiamo
separarci"
Quell'ultimo istante insieme: cosa avrebbe dato per girarsi
e dirgli
"Ma non ti rendi conto che lei
approfitta di te? Del tuo buon cuore, del tuo grande senso del dovere per
separarci?
Vuoi davvero vivere una vita così? Ti
prego Terry restiamo uniti: ti prometto che le staremo vicino.."
Perché non gli aveva detto così?Perché? Perché in quel
momento gli era sembrato giusto ciò che faceva il suo amore e perchè
soprattutto Susanna le faceva una pena immensa: solo dopo tre anni aveva capito
cosa aveva fatto la giovane Marlowe! Aveva usato la generosità del suo Terry
per allontanarli: era stata meschina, crudele, vigliacca. Perché loro contro di
lei, povera disperata inferma, non potevano fare nulla.
E ora temeva, temeva che l'altra fosse riuscita a
circuirlo, a farsi amare da lui, a convincerlo a sposarla: temeva di andare da
lui e non vedere più nei suoi occhi l'immenso amore che aveva sempre
provato per lei.
"Perdonami amore mio: dimmi che mi
ami ancora. Dimmelo. Ho bisogno solo di saperlo: solo così posso tornare a
vivere. Perché sei tu, ora lo so, che mi dai la vita."
Un forte strattone al braccio la riportò bruscamente alla
realtà: la ragazza si voltò verso la nipote e vide che aveva il musetto
imbronciato.
"Che c'è piccola?"
"Zietta è un sacco di tempo che ti chiamo ma tu non mi
rispondi: facciamo un pupazzo di neve?"
Candy cercò di sorriderle come meglio poteva.
"Ma certo piccola.."
La bimba le strinse dolcemente la mano
"Che hai zia? Perché sei sempre triste?"
"Non è nulla non preoccuparti"
"Non è vero: se non fosse nulla tu non saresti così.
Tu sei sempre allegra e se non lo sei è perchè qualcuno deve essere stato molto
cattivo con te."
La giovane si inginocchiò e la abbracciò teneramente:
quella piccola peste aveva colto nel segno.
Casa Andrew
Albert era seduto nel suo studio dove tentava inutilmente
di dedicarsi agli affari: la sorella e la prozia Erloy erano venute ancora a
disturbarlo e non c'era modo di liberarsene.
"Oh mio caro William non sai quanto siamo contenti
della tua decisione di separarsi da quella ragazza: è stata una cosa molto
saggia" fece la più anziana della due
E subito la più giovane aggiunse " Hai finalmente
ritrovato il tuo senso dell’onore.."
Di nuovo: ormai da 15 giorni le due donne non facevano
altro che ripetergli quell'insopportabile ritornello! Ora come ora la proposta
di George di diseredarle era più allettante che mai.
Il giovane Andrew mugugnò qualcosa di incomprensibile, che
somigliava tanto ad un'imprecazione, pensando tra se e se
"Magari assoldare un killer per
togliersele finalmente dai piedi? Uhm no troppo dispendioso. E poi non ci tengo
a finire in galera o all'inferno per quelle due.
E poi sarebbe troppo poco doloroso per
entrambe: ci vorrebbe qualcosa di lento si. Una lunga tortura decisamente
sarebbe la cosa migliore."
La sorella gli prese la mano e la strinse
"Mio caro William mi ascolti?"
Subito Albert ritrasse la mano come se fosse stato
morsicato da un serpente.
"Si è quasi un mese che vi sento, e ora avrei da fare,
sapete com'è: lavoro per mantenere alto il nostro tenore di vita, io!"
Subito la signora Erloy inorridì a quell'affermazione
"Albert cosa vorresti insinuare? Sai bene che delle
donne per bene non lavorano: mica come quella..."
Gli occhi azzurri del capo della famiglia Andrew si
rabbuiarono in maniera preoccupante
"Zia Erloy prova a dire qualcosa contro Candy e ti assicuro
che ti sbatto in mezzo ad una strada!"
"Come..."
"Hai capito benissimo: ne ho abbastanza del vostro
modo di comportarvi. Pretendete dagli altri rispetto ma non ne date neanche un
briciolo a nessuno: ora basta!
Ti farebbe proprio bene lavorare per vivere così forse
impareresti cos'è il vero rispetto!"
L'anziana donna divenne viola dalla rabbia ma non osò
replicare oltre sapendo bene che il nipote non stesse affatto scherzando: non
ci teneva a passare il resto della sua vecchiaia a lavorare di ago per campare.
In quell'istante bussò qualcuno alla porta, e quando
Albert diede il permesso, nella stanza entrò Neal che notando le espressioni
rabbuiate della madre e della zia, domandò
"E' successo qualcosa zio?"
"Niente di preoccupante: solo uno scambio di vedute un
pò vivaci sulla rottura del mio fidanzamento e sulla mia ex fidanzata."
Il giovane Legan fissò con fare canzonatorio le due donne:
era divertente vederle domate. Erano anni che quelle due, insieme a sua sorella
Iriza, facevano il bello e il cattivo tempo in quella casa.
Per anni aveva assecondato i loro maneggi sperando di
ottenere un briciolo di amore: inutilmente.
Non che si sentisse migliore di loro, anzi, si sentiva
peggio: si era fatto manovrare come un burattino arrivando a fare le cose più
meschine e trovandole persino divertenti.
Non sapeva di preciso quando non era stato più così: forse
era stato per l'onesto rifiuto di Candy? Era buffo ma era alquanto probabile.
Lui si era innamorato di lei e aveva dato per scontato che
lei dicesse di si, magari solo perchè era un Legan: come l'aveva sottovalutata.
Lei non era mai stata avida. Lei voleva amore e amicizia.
Non era come loro e ora Neal rimpiangeva di non aver colto
l'opportunità di poter diventare suo amico: lei lo avrebbe perdonato lo sapeva.
"Mamma, zia voi continuate a pensare che lo zio
William abbia lasciato Candy per l'onore e il decoro della famiglia: non credo
che sappiate cosa siano veramente queste cose. E non avete proprio capito
niente di loro due."
Sia le due donne che l'uomo lo fissarono stupefatti: era la
prima volta che il ragazzo si esprimeva così, ma questi non diede loro modo di
replicare.
"Zio sono salito perchè c'è un uomo che desidera
vederti: credo sia per un affare. Io stavo uscendo a fare una
passeggiata."
Albert, ancora interdetto, riuscì solo a balbettare
"D'accordo.. grazie . Neal... per tutto"
Il giovane gli sorrise e suo zio si accorse che quello non
era il suo solito sorriso falso, ma aveva qualcosa che non aveva mai avuto in
passato: spontaneità.
L'uomo gli sorrise di rimando e pensò che almeno qualcuno,
nella famiglia di sua sorella, poteva diventare una persona per bene.
Casa Corwell
Annie era nel suo salotto mentre sorseggiava del tea
insieme a Patty: di fianco a quest'ultima c'era come sempre il piccolo Stear,
che si stringeva a lei come se fosse il suo angelo custode. La ragazza, che
viveva in una piccola abitazione affittata da sua nonna non lontano da li, era
più spesso a casa dell'amica che nella propria: lei non aveva bisogno di
lavorare, quantomeno in senso materiale, ma aveva deciso lo stesso di trovarsi
qualcosa da fare, per provare a se stessa che stava tornando a vivere e così
dava lezioni private di francese e pianoforte alle figlie dei nobili e dei
ricchi di New York.
La cosa le piaceva, le dava la possibilità di stare in
mezzo ai bimbi, e nel contempo le dava l'opportunità di stare spesso dalla sua
amica: sua nonna sperava che lei si fidanzasse con qualcuno, ma per lei era
troppo presto, troppo presto. E chissà quando mai sarebbe venuto il tempo. Per
lei in quel momento esistevano solo le bambine a cui insegnava, le sue amiche e
il piccolo Stear: solo questo.
La signora Corwell la osservava preoccupata: ora come ora
era lei quella più sicura di tutte e tre. Lo sapeva. E la cosa non la faceva
affatto sentire la più forte, anzi: temeva di non esserlo abbastanza per loro.
"Patty stai bene?"
"Perché me lo domandi?Certo che sto bene.."
"Forse tua nonna.."
"Annie ti prego.."
"Io lo dico per te."
"Lo so cara lo so, ma non è il momento."
"Patty sono passati tre anni ormai"
"Per me è come se fosse successo ieri.."
Il più grande dei gemelli Corwell si mise in braccio alla
ragazza e la cinse
"Sono io il fidanzato della zia"
"Hai ragione piccolo" mormorò la ragazza
stringendolo a se mentre i suoi dolci occhi castani luccicavano dall'emozione.
La sua amica decise di cambiare argomento
"Candy è proprio giù, non l' ho mai vista così:
dovremmo fare qualcosa."
Patty assentì
"Si ma cosa?Non vuole nemmeno parlare di ciò che la fa
star male."
"Come te."
"Spiritosa"
"Io credo di avere un'idea.." mormorò Annie
strizzando l'occhio.
"Di che genere?"
"Lo vedrai presto"
L'amica le sorrise divertita e proprio in quell'istante
entrò in casa l'oggetto della loro conversazione, accompagnata dalla sua
piccola omonima: erano entrambe letteralmente coperte di neve ma ciò non
impediva loro di ridere come due matte. Annie al vederle si mise le mani sulla
faccia mentre Patty e Stear erano scoppiate a ridere a loro volta.
"Amelia, Amelia" fece la signora Corwell
scuotendo il campanellino della servitù.
Subito spuntò alla porta una signora sui cinquantanni,
dall'aria assai robusta, con i capelli grigi raccolti in una nocchia dietro la
nuca, e una divisa nera e bianca da cameriera.
"Si signora sono qui"
"Presto aiuti la signorina e mia figlia a ripulirsi e
le porti a fare un bel bagno caldo.."
"Posso pensarci io" intervenì la Candy più grande.
"Assolutamente no anzi tu devi fare prima possibile
perchè ho bisogno di te qui"
"Ma..ma.."
"Niente ma!"
La ragazza abbassò il capo sconfitta, facendosi levare il
cappotto, e seguendo Amelia e la nipotina nelle stanze da bagno: fece più in
fretta che potè perchè era curiosa di sapere cosa volesse di così urgente
l'amica e neanche mezz'ora dopo era di nuovo nel salone di quest'ultima che
però trovo sola.
"Patty è salita a prepararsi per le lezioni di domani
e ha portato Stear da Candy" le spiegò
"Capisco" mormorò la giovane Andrew sedendosi su
un elegante poltrona di raso bianco.
"Senti cara... avrei bisogno di dirti una cosa... anzi
molte cose... noi due non abbiamo mai parlato chiaramente... almeno io.."
Candy le sorrise dolcemente
"Cosa mi vuoi dire Annie cara?"
"Volevo chiederti perdono"
La ragazza dilatò le pupille
"Perdono?"
"Si"
"Per cosa?"
"Per essere... sta-stata invidiosa di te... per non ave-averti
più scritto per tanto tempo... per ave-averti ignorato per tanto tempo... e
persino di ave-aver dubitato di te e Archie.." balbettò la giovane.
"Io sapevo... sapevo che eri mia amica... lo sapevo...
ma non era di te che non mi fidavo... ma di me stessa... cre-credevo che
ne-nessuno potesse amarmi per co-come sono..per come tutti ama-amano te.."
L'amica la abbracciò stringendola forte a se
"Oh Annie lo sapevo non c'era bisogno che me lo
dicessi.."
"Invece si: mi sono tenuta dentro tutte questi pensieri
orribili su di te mentre tu non hai fatto altro che volermi bene e proteggermi
anche quando io non facevo altrettanto.."
"Annie..lo so che mi volevi bene malgrado tutto:so che
la tua non era cattiveria, lo so"
"Si ti volevo bene ma non ho mai saputo o voluto
dimostrartelo nel modo giusto perciò... perciò.. ho deciso di fare una cosa per
te..."
La giovane la guardò di nuovo stupita
"Fare una cosa per me?Di che parli?"
"Tu sei triste anche se cerchi di nasconderlo: gli
estranei stupidamente credono che tu sia triste per la rottura con Albert. Ma
io lo so che non è per quello."
"Annie ti prego.."
"Lasciami finire: non puoi continuare così! Non puoi:
devi tornare a vivere! E io so che c'è un solo modo per farlo" e
inaspettatamente tirò fuori da sotto il vestito un biglietto teatrale.
"Annie non posso.."
"Si che puoi Candy!Anzi devi: sei tu che mi hai
insegnato a lottare e ora non ti permetto di smettere di farlo! Avanti muoviti
vai a riprenderti la tua vita!"
Candy la fissò con un tale affetto e una tale devozione che
Annie pensò di essere la persona più fortunata del mondo: lei aveva un'amica
che valeva più dei suoi stupidi vuoti gioielli.
"Non ti ho mai meritato Candy, mai. Perdonami se
puoi"
Prima di tutto vi chiedo scusa per il ritardo ma ho avuto dei grandi casini con internet: ora paiono risolti ma non si sa mai..
X Ilaria: benvenuta tra le mie lettrici, sono contenta che ti piaccia l'idea e il mio modo di scrivere. Riguardo alle tue osservazione su Terence e Albert cercherò di tenerne conto come posso: cerca di tener presente che la mia è solo una libera interpretazione della storia;)
x Grace: ci ho sempre tenuto a dare una possibilità ad Annie e Neal e sono contenta che il risultato ti sia piaciuto. Su Susanna, credo che la mia risoluzione ti sorprenderà;)..
x Andy Grim: sai quello non è il mio giudizio(io non giudico mai nessuno in ogni caso) su Susanna persona ma sul suo comportamento, che ritengo estremamente scorretto. Hai ragione a dire che lei non chiede a Terence di stare con lui, ma fa peggio assumendo il ruolo di vittima: il suo gesto nobile diventa un'arma contro Terry e Candy.
Resto dell'idea che nella vicenda sua madre ha avuto fin troppo peso e quella di Terry nessuna, inoltre se fossi stata in Candy avrei lottato di più per il mio amore.
Ma non temere per Susanna io voglio darle una possibilità di dimostrare il suo valore;)
x lithtys: benvenuta tra le mie lettrici. Sono contentissima che la mia storia ti abbia preso così tanto da leggerla tutta d'un fiato;) e nel contempo commentare ogni singolo capitolo. Non posso che concordare su ciò che dici su Terry: lui doveva lottare per il suo amore, ma il problema è che purtroppo si trovava sotto ricatto morale o quasi.
Secondo me era più Candy a dovergli far capire che non doveva sacrificare la sua vita così;)..
Bene ora vi saluto e vi auguro buona lettura..By Silvì
Ritrovar se stessi
CAPITOLO VII: IN CHE MODO
VENISTI? DIMMELO..
Sempre quattro mesi prima..
Era un sabato sera particolarmente rigido a New York : la
temperatura era scesa ancora e la neve scendeva fitta sulla città.
Eppure anche quella sera il teatro di Broadway* era letteralmente
invaso dalla gente: da più di un mese sul celebre palcoscenico newyorkese
c’era di scena la più famosa opera di Shakespeare, ovvero ROMEO E GIULIETTA. E
a dare volto e anima al giovane Montecchi era la più grande stella teatrale del
momento: Terence Granchester.
I critici più severi erano entusiasti della sua
performance, e lo era altrettanto il pubblico pagante: per una volta la gente
comune e i rinomati recensori delle riviste erano d’accordo, arrivando persino
ad usare le stesse parole per definire l’interpretazione del giovane e celebre
attore inglese.
“E’ come se fosse davvero Romeo Montecchi: la sua selvaggia
giovinezza, la passione bruciante per Giulietta, la sua disperazione quando la
crede morta, hanno preso vita grazie a Terence. Terence non recita Romeo: è
Romeo!”
In mezzo a quella folla variegata, che gremiva non solo
l’entrata principale, ma anche quelle secondarie, di Broadway, quel sabato
sera, si muoveva una figura coperta di un elegante mantello color porpora, che
le copriva quasi interamente il volto, lasciando intravedere solo due profondi
occhi azzurro cielo: se qualcuno si fosse fermato un attimo a fissarli si
sarebbe accorto che dentro di essi si poteva leggere, oltre all’impazienza di
poter finalmente entrare, una strana apprensione.
L’apprensione di chi teme di aver perso davvero tutto e non
sa come andare avanti.
La figura si strinse nel mantello, cercando di non dare
nell’occhio, e non le fu difficile: dopotutto faceva così freddo che erano in
molti ad indossare gli indumenti più disparati per tenersi al caldo.
Ma la figura non sentiva freddo, non di fuori almeno: era
dentro che sentiva freddo.
Lo sentiva da così tanto tempo che credeva di doverci
convivere per sempre: aveva provato a scacciarlo, ma era stato tutto inutile.
Come si può pretendere di provare caldo vicino ad un misero
fuoco acceso dai fiammiferi quando si è provato il tepore del sole estivo?
Si il sole che la stringe nel suo abbraccio forte e
violento e lei sa che nulla la potrà mai turbare?Che nulla le potrà mai far
venire freddo?
Si perché lei aveva il sole dentro.
E meglio un tempo lo aveva: ora non più.
Lo aveva perso in una terribile sera di primavera, quando
pensava che invece lo avrebbe avuto per sempre: qualcuno le aveva portato via
il suo sole.
E lei non aveva fatto niente per impedirglielo: si odiava
per questo.
Come un’ombra salì le scale che portavano all’ingresso e
allungò il biglietto verso la maschera: un uomo dall’aria smunta, che, per
arrotondare, faceva anche le pulizie durante la settimana in quel teatro.
Aveva visto tante persone quella sera, eppure fu solo lei
a colpirlo.
Lei vestita da quello strano mantello, dalla bellezza così insolita e
dallo sguardo così turbato: da dove era sbucato fuori un simile angelo?
Ma lei nemmeno lo notò, e silenziosa come era
arrivata, salì le scale verso i posti dei meno abbienti, guardandosi intorno
con aria smarrita.
Quasi tremando si sedette sulla poltrona a lei assegnata,
facendo scivolare lungo le spalle, il cappuccio, mostrando a tutti dei riccioli
dorati come il grano maturo e un viso abbronzato cosparso di mille lentiggini.
Si guardò intorno di nuovo: forse aveva fatto male a
venire?
No nella sua mente non c’era nessun dubbio su questo punto:
aveva un bisogno disperato di sapere se non aveva perso definitivamente la sua
luce.
Il suo cuore le diceva che non era così, che lui
l’amava ancora, ma la paura le ottenebrava la ragione, facendole venire mille
dubbi:
come poteva pretendere che lui l’amasse ancora dopotutto
questo tempo?
Dopo che l’aveva lasciato solo con quel peso indicibile?
Dopo che non aveva avuto la forza di lottare per lui?
Si sentiva indegna di lui: del suo amore puro
e disinteressato.
Gli occhi della giovane si riempirono di lacrime, mentre
tratteneva a stento i singhiozzi: si passò una mano sul viso, decisa a
combattere questa volta.
A combattere di nuovo, come era solita fare anni prima:
sperava solo di essere in tempo.
Le luci si spensero in platea e il palco si illuminò: il
cuore di Candy iniziò a battere all’impazzata.
Lo avrebbe visto di nuovo finalmente: il suo
Terence.
Non era più suo insinuò una voce maligna al suo cuore: ella
la scacciò.
Non avrebbe permesso alla paura di sopraffarla.
Mai più.
Annie aveva ragione: doveva lottare per la sua vita!
Trasse un profondo respiro e concentrò il suo sguardo sul
palcoscenico: eccolo.
I capelli neri come l’ebano, lunghi fino alle spalle,
morbidi come la seta, gli occhi blu come il cielo sereno dopo una violenta
tempesta, quando l’arcobaleno risplende e caccia via la paura, specchi sulla
notte più tenera e calda, che pare avvolgerla nel suo abbraccio: voleva
perdersi di nuovo in quegli pozzi lucenti e non tornare mai più.
Solo li era stata davvero felice.
Quante poche volte gli aveva detto che lo amava?
All’inizio lo aveva persino respinto.
Perché aveva paura di tornare a vivere e di amare ancora
dopo Anthony: e lui le aveva ridato la vita, le aveva ridato il sole..
Persa com’era tra i suoi pensieri nemmeno si era accorta
che la SCENA PRIMA fosse finita, ma la voce di lui, tenera e suadente,
la riportò alla realtà.
“Ma piano!Quale luce spunta lassù da
quella finestra?Quella finestra è l’oriente e Giulietta è il sole!Sorgi, o
bell’astro, e spengi la invidiosa luna, che già langue pallida di dolore,
perché tu, sua ancella, sei molto più vaga di lei. Non essere più sua ancella,
giacché essa ha invidia di te. La sua assisa di vestale non è che pallida e
verde e non la indossarono che i matti, gettala. E’ la mia signora: oh!E’
l’amore mio! Oh se lo sapesse che è l’amore mio!Ella parla, e pure non proferisce
accento: come avviene questo? E’ l’occhio suo che parla; ed io risponderò a
lui. Ma è troppo l’ardire il mio, essa non parla con me: due tra le più belle
stelle di tutto il cielo, avendo da fare altrove, supplicano gli occhi suoi di
voler brillar nella loro sfera, finché esse abbiano fatto ritorno. E se gli
occhi suoi, in questo momento, fossero lassù, e le stelle fossero nella fronte
di Giulietta? Lo splendore del suo viso farebbe impallidire di vergogna quelle
due stelle, come la luce del giorno fa impallidire la fiamma di un lume; e gli
occhi suoi in cielo irradierebbero l’etere di un tale splendore che gli uccelli
comincerebbero a cantare, credendo finita la notte. Guarda come appoggia la
guancia su questa mano!Oh! Foss ’ io un guanto sopra la sua mano, per poter
toccare quella guancia!”**
La giovane tremò a quelle parole: era come se Terence
parlasse a lei, non all’attrice che impersonava Giulietta.
Non udì nemmeno ciò che disse quest’ultima: era come se ci
fosse lei sul palco, non quella sconosciuta.
O forse era la sua immaginazione che correva troppo?
Magari il giovane era così preso dalla parte perché le
piaceva, ma non pensava affatto a lei.
“Essa parla. Oh parla ancora, angelo
sfolgorante!Poiché tu sei così luminosa a questa notte, mentre sei lassù sopra
il mio capo come potrebbe un alato messaggero del cielo agli occhi stupiti dei
mortali, che nell’alzarsi non mostra che il bianco, mentre varca le pigre nubi
e veleggia nel grembo dell’aria?”
“O Romeo, Romeo! Perché sei tu
Romeo?Rinnega tuo padre; e rifiuta il tuo nome: o, se non vuoi, legati solo in
giuramento all’amore mio, ed io non sarò più una Capuleti. Il tuo nome soltanto
è mio nemico: tu sei sempre tu stesso, anche senza essere un Montecchi!Che
significa MONTECCHI?Nulla: non una mano, non un piede, non un braccio, non la
faccia, né un’altra parte qualunque del corpo di un uomo. Oh, mettiti un altro
nome! Che cosa c’è in un nome?Quella che noi chiamiamo rosa, anche se chiamata
con un’altra parola avrebbe lo stesso profumo soave; così Romeo, se non si
chiamasse Romeo, conserverebbe quella preziosa perfezione, che egli possiede
anche senza quel nome. Romeo, rinunzia al tuo nome, e per esso, che non parla
di te, prenditi tutta me stessa” ”
“Io ti piglio in parola: chiamami soltanto
amore, ed io sarò ribattezzato; da ora innanzi non sarò più Romeo.”
“Chi sei tu, che così protetto dalla
notte, inciampi in questo modo nel mio segreto?”
“Con un nome io non so come dirti chi
sono. Il mio nome, cara santa, è odioso a me stesso, poiché è nemico a te: se io
lo avessi qui scritto, lo straccerei.”
“L’orecchio mio non ha ancora bevuto cento
parole di quella voce, ed io già ne riconosco il suono.Non sei tu Romeo, e un
Montecchi?”
“Né l’uno né l’altro, bella fanciulla, se
l’uno e l’altro a te dispiace”
“In che modo venisti? Dimmelo!I muri del
giardino sono alti e difficili da scalare..”
“Con le ali leggere dell’amore ho superato
questi muri poiché non ci sono limiti di pietra che possono lasciar fuori
amore.”**
Candy rimase come pietrificata a queste ultime parole: ora
non poteva sbagliarsi. Era a lei che stava parlando.
Si gli occhi di lui erano accessi della stessa
passione di anni prima, di quando l’aveva baciata la prima volta in Scozia, e
la sua voce quasi tremava nel dirle.
“Non ci sono limiti di pietra che possono lasciar fuori
amore” ripetè lei, quasi per comprenderne il reale significato, quasi
per sincerarsene che lui le avesse dette.
Se non esistevano limiti di pietra perché dovevano esistere
limiti di tempo?
Lui l’amava gliel’aveva detto e lei sapeva bene che per uno
come lui l’amore vero è uno solo.
E all’improvviso sentì un forte calore invaderla,
scacciando via il freddo: non era più inverno, non lo sarebbe stato mai più.
Ancora una volta egli aveva saputo ridarle la vita e
l’amore: e ora ella lo avrebbe atteso.
Perché presto o tardi lui sarebbe tornato.
Per sempre.
FINE CAPITOLO SETTIMO.
*Non ho la minima idea se dove recitasse Terence era
appunto il mitico teatro di Broadway sia per ragioni temporali( esisteva già ai
primi del 900?Boh..)sia perché non so se nell’anime o nel manga si riferiscano
ad un teatro in particolare: ho nominato quello perché ero stufa di parlare in
maniera generica.
** Naturalmente tutte queste parti sono tratte da ROMEO E
GIULIETTA di WILLIAM SHAKESPEARE.
Eccomi qui: come sempre è stato internet a tenermi lontana! Ora i problemi si sono davvero risolti-_-.
x Kirby= benvenuta tra le mie lettrici;). Non sai quanto sia contenta che tu abbia letto e commentato ogni capitolo con tutta quella passione! Spero che anche questo ottavo ti piaccia;)..
x SemplicementeMe= beh si è tutto vero per me e spero anche per voi;)..
x lithtys = oh si Candy lotterà o meglio lo sta già facendo ma in maniera molto sottile;)
x Isa= felice che ti sia piaciuto il capitolo7
x Rayne= è bellissimo sapere che lo scorso capitolo ti abbia fatto battere così tanto il cuore;)
x Grace= Sono molto contenta di sapere che hai colto così tanto del capitolo 7: sei riuscita ad andare oltre le mie parole;)e a leggervi quello che volevo dire..
x Andy Grim= prima di tutto voglio dirti che ho visto che hai scritto anche tu un racconto e che lo leggerò presto. Inoltre sono felicissima di sapere che ti sei iscritta al forum di Candy;) . Infine grazie di cuore per i tuoi incoraggiamenti;)..
Bene miei cari buona lettura e a presto, Silvì
Ritrovar se stessi
CAPITOLO VIII : DUE ANIME
SOLE E UNA SPERANZA
Susanna Marlowe era sull’ampio balcone della sua casa e
osservava il cielo: non le era mai sembrato così minaccioso.
Neppure quando credeva di non poter vivere senza una gamba.
Eppure era una giornata di primavera assai calda e
luminosa, ma a lei pareva terribilmente cupa.
Sentiva che qualcosa sarebbe cambiato presto nella sua vita
e lei non poteva far nulla per impedirlo.
Lui sarebbe andato via per sempre.
Proprio mentre questo pensiero le attraversava la mente udì
un rumore sordo provenire dall’interno: qualcuno stava bussando con insistenza.
Impossibile che fosse Terence.
Lui aveva le chiavi e in ogni caso non sarebbe tornato
prima di sera: come ogni giorno era a teatro a provare.
Con le mani spinse la sedia a rotelle dentro casa ed andò
ad aprire.
In un primo momento rimase sbalordita nel vedere chi aveva
di fronte, poi la rabbia prese subito il sopravvento.
Aveva un faccia tosta a presentarsi di nuovo lì!
“Terence non c’è e anche se ci fosse non credo che vorrebbe
vederti”
“Difatti non sono venuto a trovare lui” fece la voce
gentile di Albert.
“Io non voglio certo vederla né parlarle.”
“Sempre così testarda vero signorina Marlowe, eh?”
“Ma come si permette? Non le è bastato scombussolare le
nostre vite?”
L’uomo spostò la sedia a rotelle e chiuse la porta,
andandosi a sedere sul divano.
“Nessuno le ho detto di accomodarsi: fuori da casa mia!”
Il giovane Andrew scoppiò a ridere: una risata che mostrava
più tristezza che gioia.
“Pensa davvero di potermi dare degli ordini? E’ così che fa
vero? Assume un’aria da povera derelitta e poi si mette a imporre le sue
disposizioni?”
“Io sono una povera derelitta! Non posso vivere senza
l’aiuto degli altri!”
“Lei si dovrebbe vergognare lo sa? Solo perché le manca una
gamba sostiene di non avere più niente! Io ho visto persone ridotte peggio di
lei, eppure ringraziavano Dio ogni giorno per quello che avevano! E lei che ha
ancora tutto dalla vita non fa che piangersi addosso!!!!”
“Tutto dalla vita???”
“Si tutto! Per prima cosa ha un tetto sulla testa! Poi ha
giovinezza, ha una mente brillante, altrimenti non si spiegherebbe come riesca
ad avere relazioni eccezionali con il difficile mondo dello spettacolo, ha un
favoloso bagaglio di esperienza come attrice e in ultimo è pure una bella
ragazza!!”
La giovane rimase sbalordita a quelle parole
“Mi dice che ho sconvolto le vostre vite: in che modo lo
avrei fatto? Crede che sia stato io a far capire a Terence che ama Candy
e che quest’ultima lo ricambia ancora??”
“La smetta!!!”
“Avanti mi risponda: prima che io parlassi con Terence lui
aveva mostrato amore per lei?? Oppure solo affetto?? Si un grande affetto, una
grande gratitudine, ma niente di più vero???”
“La smetta!!!” ripetè Susanna iniziando a piangere.
L’ex vagabondo si abbassò, la prese per le spalle e la
strinse a se.
“Mi creda Susanna nessuno la capisce come me..”
Lei si lasciò cullare da quelle braccia così rassicuranti.
Si lui era un estraneo per lei.
Forse un nemico.
Eppure sentiva di non dover temere nulla da lui.
Sentiva di potersi fidare.
Quel suo abbraccio prometteva sicurezza e protezione, ma
anche sincerità.
Lui non le avrebbe mai mentito per compiacerla.
Non che Terence lo avesse fatto, ma..
Rimasero così stretti per diverso tempo.
Sentendosi vicini come non mai: entrambi amavano due
persone che non potevano ricambiarle.
O almeno non potevano ricambiarle nel modo che volevano
loro.
Albert la capiva si: lui ci era passato.
Era stato terribile prendere coscienza che la persona che
amava non poteva darle ciò che voleva.
Eppure si era sentito stranamente liberato dopo: aveva
compreso come lui avesse diritto ad essere amato come desiderava.
Quella ragazza si era totalmente annullata pur di ottenere
un briciolo di amore da Terence: non era giusto.
Lei aveva diritto ancora alla sua vita.
“E’ felice Susanna?”
“No” bisbigliò ella a voce appena udibile.
“Lei ha ragione. Ha ragione su tutto. E per questo che la
odio!!”
Il giovane sorrise divertito mentre anche i suoi occhi si
riempivano di lacrime
“Beh non è la sola. E almeno lei non tenta di rubarmi i
soldi..”
La giovane Marlowe rise
“Chi le vuole rubare i soldi?”
“Mia sorella e mia zia. E probabilmente vogliono anche
farmi interdire..”
Lei alzò il capo, fissandolo per la prima volta in viso:
come era diverso lo sguardo calmo di lui da quello di Terence.
Era così sereno, così tenero. Gli sorrise.
“Non sarebbe una cattiva idea”
Lui ricambiò il sorriso perdendosi per qualche istante nei
suoi dolci occhi grigio perla.
Ella poi aggiunse sempre sorridendo
“Davvero pensa che abbia una mente brillante?”
“Assolutamente, altrimenti non sarebbe stata la grande
attrice che era..”
“ Che ero…”
“Le manca il palcoscenico Susanna?”
“Tantissimo. Darei qualsiasi cosa per potervi tornare,
anche solo in un’altra veste..”
“E crede che non sia possibile?”
“Cosa intende dire?”
“Ha una mente brillante: dovrebbe saperlo o capirlo da
sola..”
Susanna gli sorrise di nuovo
“Grazie Albert. Hai ragione: entrambi abbiamo diritto alla
vita e all’amore.”
L’uomo non disse nulla limitandosi ad stringerla ancora, lei,
di solito così schizzinosa, lo lasciò fare: aveva tanto bisogno di un abbraccio
vero.
In quell’istante Terence rientrò in casa: non si accorse
subito che non era solo.
Si sentiva vivo dopo tanto tempo: l’aver scoperto che Candy
lo seguiva a teatro da diversi mesi gli aveva aperto gli occhi.
Non era giusto ciò che stava facendo.
E non solo per lui e Candy.
Ma anche per Susanna.
Ancora una volta la sua piccola Tartan Tutte Lentiggini gli
aveva indicato la via.
Gli sembrava persino di vederla che lo rimproverava
“Terence Granchester stai buttando via la
tua vita e quella di Susanna.”
Scosse il capo sorridendo.
Doveva parlare con Susanna.
Era giunto il momento di chiarire la loro situazione.
Mise la giacca sull’attaccapanni di legno chiaro vicino all’ingresso
e si diresse verso il salotto, ma immediatamente si bloccò.
Non era pronto a vedere ciò che aveva di fronte.
Sbatté ripetutamente gli occhi.
Che diamine ci facevano Albert e Susanna abbracciati?
Incapace di muoversi o di proferire parola, rimase fermo
per diversi minuti.
Fu il suo amico ad accorgersi che era entrato.
“Ciao Terence!”
“Che… che diamine stavate facendo?”
Fu l’ex-attrice a rispondere
“Albert è venuto a trovarmi: non è solo amico tuo sai
Terence?”
Il giovane Granchester era sempre più stupito
“Interessante..”
Il capo degli Andrew si alzò e si diresse verso il giovane
“Ora vi lascio, sono certo che avrete molte cose di cui
parlare..A presto amico..”
“A presto” riuscì solo a balbettare Terence
“A presto Albert” mormorò dolcemente la giovane Marlowe
“A presto mia cara Susanna” le rispose Albert mentre usciva
I due giovani rimasero soli osservandosi in silenzio per
diverso tempo.
Ciò che era chiaro nelle loro menti, non era così facile da
rendere ad alta voce.
Il celebre attore andò a sedersi su una delle poltrone e si
versò un po’ di whisky in un bicchiere, senza tuttavia berlo: ne ammirava
il colore controluce e basta.
Susanna si avvicinò a lui.
Egli poggiò il bicchiere sul tavolino e la guardò.
Così fragile.
Ma anche così forte.
Non voleva abbandonarla, ma non aveva più intenzione di
rinunciare alla sua vita: ora sapeva di doverlo fare anche per lei.
“Susanna, ascoltami… Io ti sarò sempre grato per avermi
salvato la vita. Non potrò mai ripagarti per il tuo gesto generoso, e purtroppo
non potrò mai ridarti la tua gamba. Potrai sempre contare su di me, ma ho
deciso di andarmene. Ti rendi conto anche tu che questa situazione non ha
nessun senso: ci stiamo solo facendo del male.”
Bene lo aveva detto.
Ce l’aveva fatta: il primo passo era compiuto.
Ora bisognava attendere la reazione di lei.
Lo avrebbe implorato, avrebbe pianto, lo avrebbe accusato
di essere un ingrato.
E magari avrebbe pure minacciato di uccidersi.
Stavolta sarebbe stato tutto inutile.
“Lo so Terence” sussurrò invece ella.
Lui la fissò stupefatto.
Lei aveva parlato a voce bassa, ma sicura.
Non l’aveva mai vista così decisa.
Nemmeno quando era una stella del teatro e lui un semplice
debuttante.
“Devo chiederti scusa. Ho usato il mio gesto e la mia
infermità per tenerti legato a me.
Ho anche finto di volerti lasciare libero, quando
sapevo che così facendo tu ti saresti sentito ancora più in colpa”
A quelle parole il giovane tremò di rabbia: lo aveva fatto
apposta!!
Lo aveva fatto sentire un essere ignobile.
Un ingrato.
Aveva una gran voglia di prenderla a schiaffi.
“Ma devi credermi : quando ti salvai la vita lo feci senza
pensarci. Non avevo nessun piano. Così come quando tentai di uccidermi: ero
davvero disperata.”
Il ragazzo continuava a tremare, colmo di rancore: tutti quegli
anni buttati via!
“Ti capisco perfettamente se ora mi odi!”
Egli si alzò, determinato a colpirla.
Vendicarsi di tutto il dolore che aveva causato a lui e a
Candy.
Lei non fece nulla né assunse la sua aria da vittima, ma
attese la sua punizione, senza nessuna paura.
Furono minuti decisivi per entrambi.
“Io non ti odio. Qualcuno tempo fa mi ha insegnato che non
bisogna odiare nessuno.
Tu hai fatto delle cose meschine, ma hai avuto l’onestà di
ammetterle, chiedendo il mio perdono con sincerità e io te lo concedo.
Tuttavia… anche io debbo chiederti scusa… anche io… “
“Anche tu?”
“Si perché non ho avuto prima il coraggio che ho ora.
Perché ho pensato assurdamente che tu fossi solo da
compatire…
Mi spiace Susanna…
Non ti ho amato come volevi e come meritavi, ma fidati se
ti dico che ti voglio bene davvero..”
“Terence”
Lui la abbracciò con tutto l’affetto di cui era capace.
“Perdonami Susanna…”
“Terence caro. Io ti perdono… ti perdono… e ti sarò per
sempre immensamente grata per il tuo affetto e per tutto il tempo che hai perso
per me..”
Il ragazzo la strinse ancora di più: un lungo abbraccio che
diede ad entrambi la forza di fare ciò che era giusto per le loro vite e per i
loro cuori.
“Ora… te ne vai tu o devo cacciarti io?”
Terence le sorrise, un sorriso caldo pieno di ammirazione:
ora sapeva che lei se la sarebbe cavata.
“Me ne vado ingrata…”
“Ti farò portare le tue cose…”
Egli annuì, stringendola in un ultimo forte abbraccio e
uscì di corsa dalla porta, sentendosi finalmente in pace.
Libero.
Una sola lacrima solitaria scivolò lungo la guancia della
giovane Marlowe.
“Addio amore mio… sii felice… guai a te Candy se non lo
renderai felice!”
Spinse la sedia verso la camera del giovane Granchester,
che presto sarebbe stata svuotata.
Vi entrò.
Aveva sempre ammirato la sobria eleganza del ragazzo, certo
diametralmente opposta alla sua.
Sul comodino vi era, come abbandonata, una piccola chiave
argentata.
Che strano…
Si avvicinò e la prese..
Si era la chiave del cassetto di quel mobile.
Però di solito non c’era mai.
La infilò nella serratura, aprendo il cassetto.
Invece di biancheria, c’era un quaderno azzurro.
Lo prese.
Lo sfogliò rapidamente.
La scrittura di Terence.
Una frase saltò subito alla sua vista.
“Il suo nome che io non posso e non voglio pronunciare,
ma che non posso dimenticare.
Perché il solo sentirlo mi dà una gioia infinita. Mi
dà la forza della terra che ora rinasce dopo un lungo e gelido inverno.”
Parlava della sua Candy.
Erano i pensieri privati del giovane.
Si sentì in colpa per averli violati.
Lui non era più suo.
Non lo era mai stato.
Glielo avrebbe rimandato con la sua roba.
Lo rinchiuse e lo ripose nel cassetto..
Chiuse a chiave quest’ultimo e uscì dalla stanza.
Si diresse nella propria.
Qui prese un quaderno verde chiaro e un calamaio.
Guardò il sole che tramontava.
Era bellissimo.
Un giorno stava terminando così come un capitolo della sua
vita.
Eppure non aveva paura, solo si domandava che cosa avrebbe
fatto adesso.
“Le manca il palcoscenico Susanna?”
“Tantissimo. Darei qualsiasi cosa per
potervi tornare, anche solo in un’altra veste..”
“E crede che non sia possibile?”
“Cosa intende dire?”
“Ha una mente brillante: dovrebbe saperlo
o capirlo da sola.”
Così le aveva detto un amico.
Sorrise.
Iniziò a vergare alcune righe.
“MENTRE IL SOLE TRAMONTA, MENTRE IL MIO AMORE SE NE VA, IO
RINASCO… IO TORNO A VIVERE”
Incorniciò la scritta in stampatello, come se fosse il
titolo di qualcosa, poi riprese a scrivere.
Stavolta in corsivo.
La sua mano continuò a muoversi anche quando era notte
fonda, mentre di fianco a lei si accumulavano dei fogli…
Salve a tutti. Come prima cosa vi devo dire che questo capitolo sarà molto particolare, dato che seguendo il suggerimento della mia cara Esther ho deciso di non trattenermi più molto e seguire molto di più il mio cuore, con la conseguenza che me ne sono fregata altamente se i personaggi possano essere in OOC.
Come Esther mi ha fatto giustamente notare mica stiamo scrivendo per la Mizuki ma per noi stessi, ergo speriamo bene^_^.
X Andy Grim= ti ringrazio calorosamente dei tuoi meravigliosi complimenti, spero davvero di esserne all'altezza, io faccio del mio meglio.
Non sai quanto mi abbia commosso il tuo applauso!
Si io adoro i personaggi che si riscattano e credo che Susanna lo meritasse proprio;)
x SemplicementeMe= in effetti come titolo non sarebbe affatto male;). E' sempre bello sapere che la gente legge con piacere ciò che scrivo!
Come vedi questa volta sono stata abbastanza veloce:
non un lampo ma io scrivo ad ispirazione;).
x Kirby= non ti posso anticipare nulla per quanto riguarda Albert e Susanna, ma sono assai felice di sapere che ti è piaciuto come abbia fatto riscattare quest'ultima;).
x lithtys= concordo con te nel dire che la relazione tra Terry e Susanna non aveva nessuno futuro: era una cosa assurda;).
Ho voluto dare a Susanna una possibilità perchè sono convinta che malgrado tutto non era cattiva.
Grazie anche a te dei meravigliosi complimenti..
X Tony= che dirti? Grazie è bellissimo sapere che i miei racconti ti emozionano sempre..
Bene finiti con i saluti doverosi eccovi il capitolo 9
e speriamo bene^_^.. By Silvì
CAPITOLO IX: SCANDALOSAMENTE SE STESSI
CAPITOLO IX:
SCANDALOSAMENTE SE STESSI
Qualche ora prima
Patricia O ’Brian camminava lungo un viottolo di Central
Park, tenendo per mano il piccolo Stear Corwell, suo nipote non di sangue ma di
cuore.
Era un bellissimo pomeriggio di fine Aprile e il parco era
come sempre pieno di gente: persone di ogni età che leggevano, correvano,
giocavano oppure semplicemente stavano sdraiate a godersi quel sole
primaverile.
Gli alberi erano in piena fioritura e ce n’erano di ogni
tipo: fiori di pesco, dai delicati colori di bianco e rosa, di albicocca, di un
tenue color arancione, e non solo.
I prati stessi erano stracolmi di aiuole di ogni tipo di
fiore: rose rosse, gialle e bianche, ciclamini lillà, campanule bianche,
occhi della madonna e genziane di un tenero color azzurro, così simile a quello
del cielo terso.
La natura era in amore e Patricia, Patty per gli amici,
cercava di consolare il suo cuore ancora fragile godendosi quello spettacolo,
ma senza farsi coinvolgere troppo:
come se avesse ancora paura di vivere.
Come se si sentisse in colpa per il fatto stesso di non
essere morta anche lei, con il suo Stear, ormai più di tre anni prima.
Lei non viveva, si limitava ad osservare la vita da fuori.
Stear… il suo unico amore… dai dolcissimi occhi verdi, dai
meravigliosi capelli neri, dal sorriso timido, capace, come pochi uomini sanno
fare, di arrossire per un complimento, e quegli occhiali, di cui si vergognava
tanto, lo rendevano ancora più bello.
Glielo aveva mai detto che adorava vederlo trafficare in
mezzo alle sue invenzioni?
No.
A volte lo aveva persino sgridato.
Glielo aveva mai detto che lo considerava l’uomo più bello
del mondo?
No.
Quante volte gli aveva detto che lo amava?
Poche, troppo poche…
Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di avere anche un solo secondo
di nuovo con lui.
Strinse la mano del nipotino, come se fosse la sua ancora
per non crollare.
Agli occhi delle persone che li vedevano passeggiare
sembrava che fosse il bambino ad aggrapparsi a lei, ma era esattamente il
contrario.
Il piccolo Corwell era forte, come suo zio, mentre lei era
fragile…
Anche quel giorno Patty aveva dato lezioni ad alcune
bambine dell’alta società: le facevano una pena immensa.
Erano tutte costrette ad imparare il francese e il
pianoforte solo perché così imponevano i canoni.
Che stupidaggini.
Lei faceva di tutto per alleviare loro quell’incombenza,
trasformando ogni lezione in un gioco: se l’avessero vista qualcuno dei
genitori delle sue studentesse l’avrebbero licenziata in tronco.
Una signorina per bene non fa certe cose.
Che poi che accidenti voleva dire essere una signorina per
bene?
Fare sempre le compassate?
Mai ridere troppo.
Mai piangere troppo.
Mai mangiare troppo, anzi mangiare proprio come un
uccellino!
Per quella gente lei doveva trovarsi subito un altro uomo:
tre anni di lutto erano troppi!
Eggià che ne sapevano loro del dolore che lei provava?
No loro pensavano che lei doveva trovarsi un altro bel
partito da accalappiare!
Le venne quasi la nausea a questo pensiero.
Per quanto potessero essere diverse, lei, Candy ed Annie,
avevano una cosa in comune di fondamentale importanza: non avrebbero mai
sposato nessuno per interesse!
Per loro i ragazzi erano prima di tutto persone da amare.
Sua nonna comprendeva le sue ragioni, ma voleva tanto che
ricominciasse a vivere, che fosse di nuovo la Patty spensierata di un tempo, ma
ormai si era rassegnata al fatto che non sarebbe mai stato più così: nel cuore
della nipote c’era una cicatrice indelebile.
La giovane O ‘ Brian era felice di avere una nonna così e
cercava in tutti i modi di farle capire che lei, tutto sommato, era serena.
Aveva le sue amiche, il suo lavoro, il piccolo Stear.
Strinse ancora di più la mano di quest’ultimo, camminando
speditamente verso il prato, dove diverse persone erano sdraiate a prendere il
sole o a leggere, tuttavia era talmente persa nei suoi pensieri che non si
accorse che un uomo, di circa trent’anni, dai capelli biondo cenere, dagli
occhi neri come l’ebano, dai tratti delicati e dallo sguardo dolce ma un po’
miope e per di più perso a guardare in aria il cielo, stava venendo nella
stessa direzione.
Lo scontro tra i due fu inevitabile.
Caddero per terra simultaneamente tra le risate del piccolo
Corwell e una paffuta bimba dai capelli biondo grano, dal viso pieno di
lentiggini e dai profondi occhi neri.
“Mi scusi signorina… non l’avevo vista…è che… senza
occhiali ci vedo poco da vicino” balbettò goffamente l’uomo, arrossendo
visibilmente mentre tentava di aiutarla ad alzarsi.
La ragazza le sorrise comprensiva.
“Non si preoccupi:è anche colpa mia. Ho sempre la testa tra
le nuvole.” Mormorò difatti quando era di nuovo in piedi.
“Io sono Patricia O ‘ Brian mentre quel birbante che ride è
il mio nipotino Stear Corwell.”
L’uomo le strinse la mano, continuando ad arrossire, e
balbettò
“Grazie signorina O ‘ Brian, lei è molto indulgente. Io
sono Colin Ford e quella birbantella che ride con suo nipote è mia figlia
Claudia.”
“Piacere signor Ford… senta… posso chiederle perché… ehm
non portava gli occhiali?”
“Perché… ehm… perché vede ho una leggera miopia e non
sempre mi servono… e… poi… a volte li dimentico”
Patty sorrise divertita
“Secondo me lei si vergogna di metterli. E fa male: gli
uomini con gli occhiali sono molto più affascinanti..”
Il giovane Ford le sorrise grato: un sorriso caldo come il
sole.
“Lei è davvero molto gentile signorina O ‘ Brian…senta
visto che i due bambini stanno giocando insieme… le andrebbe di chiacchierare
un po’ con me?
Non conosco nessuno qui al parco…”
“Si certo volentieri, ma… scusi l’intromissione… ma sua
moglie non viene mai?”
Colin fece per replicare solo che in quel momento un
vocione gracchiante interruppe ogni conversazione nel raggio di un chilometro.
“ Oh signorina O ‘ Brian finalmente l’ ho trovata… mia
cara… che state facendo qui da sola? Cosa vi è saltato in mente? “
Patty fu sul punto di tirare un sonoro ceffone alla padrona
di detta voce, ovvero una corpulenta signora di mezza età, che pareva la
gemella separata alla nascita di Suor Grey, solo che era ancora più brutta:
purtroppo per lei quella donna era la madre di una delle sue allieve.
“Buona sera signora McKey, non sono qui al parco da sola
come vede, ma con mio nipote Stear…” mormorò la giovane con la sua consueta
gentilezza, trattenendosi a stento da aggiungere che non erano affari della
signora se lei andava al parco da sola “Cosa voleva signora McKey?”
“La stavo cercando perché mio fratello aveva bisogno di
un’insegnante per sua figlia…” all’improvviso la donna si bloccò, sbattendo
ripetutamente le palpebre, nel soffermarsi sbigottita su Colin Ford.
“Ma allora vi conoscete già..”
Stavolta fu la giovane O ‘ Brian a sbattere gli occhi.
“Siete parenti?? “ balbettò passando ripetutamente lo
sguardo da Colin alla signora McKey: non potevano essere fratelli. Era
impossibile.
“Si” fece la voce gentile del giovane Ford “ Carolina è la
mia sorellastra”
“Ah ecco…” sussurrò a mezza voce Patty “ Quindi ha bisogno
di me per sua figlia.”
“Essi” intervenne di nuovo Carolina, con la sua voce flautata.
“Mio fratello è vedovo e a mia nipote manca di un
riferimento femminile, purtroppo non basta solo io: la bambina ha bisogno di
imparare le buone maniere.
Lo vede anche lei signorina O ‘ Brian. Inoltre ha bisogno
di studiare francese e il pianoforte come ogni signorina per bene”
Il povero Colin passò da tutti i colori dell’arcobaleno per
la mancanza totale di tatto della sorella.
“A me sembra una bimba molto educata” fece la ragazza con
voce gelida: ora più che mai voleva tirarle uno schiaffo. E al diavolo
l’etichetta.
Candy l’avrebbe approvata.
“Carolina ti spiace se parlo io con la signorina O ‘ Brian?
Tu hai già fatto abbastanza.”
La donna, arricciò il naso come se avesse sentito l’odore
di qualcosa di particolarmente puzzolente, e poi replicò
“D’accordo Colin fai pure: se sapevo non mi sarei stata
tanto da fare.”
“Sei stata molto gentile cara Carolina” aggiunse l’uomo con
falsa carineria, deciso a levarsela dai piedi.
“Non c’è di che caro fratello. Arrivederci Signorina O ‘
Brian.”
“ Arrivederci signora McKey. Mi saluti sua figlia Annette”
E finalmente la donna si allontanò dai due.
“Mi spiace molto signorina O ‘ Brian, io..” mormorò l’uomo
in evidente imbarazzo.
“Non si preoccupi signor Ford. E basta con quel signorina O
‘ Brian. Io sono Patty.”
“Piacere Patty! E io sono Colin” fece il giovane
stringendole di nuovo la mano.
“Ora che ci siamo presentati per bene, possiamo iniziare a
chiacchierare come voleva lei… anzi come volevi te.”
“Ecco ti stavo giusto dicendo di darmi del tu.”
I due si sedettero sul prato, vicino ad un albero di
melograno, osservando i bambini che giocavano a fare capriole sul prato
fiorito.
“ Comunque prima non era colpa solo degli occhiali. Non
stavo guardando di fronte a me..”
“ E perché?”
“Perché cercavo l’aquilone che avevo comprato a mia figlia,
ma temo sia ormai perduto. E poi non riuscivo a levare gli occhi dal cielo.
E’ da tempo che non lo vedevo così bello…”
“Si è vero è bellissimo… prima era sempre grigio”
Colin e Patty si sorrisero dolcemente senza dire nulla per
diversi minuti.
“Posso farti una domanda Colin?”
“Si dimmi Patty”
“Davvero hai lasciato gli occhiali a casa?”
“No perché?”
“Perché ho con me un libro di poesie di un nuovo poeta
italiano, si chiama Ungaretti * , e vorrei fartene leggere qualcuna. Non so se
tu ami la poesia..”
“Si amo molto la poesia, specialmente quella italiana..”
La giovane aprì la sua borsa tirando fuori un grosso libro
azzurro, nuovo di stampa mentre Colin tirava fuori gli occhiali da vista dal
taschino della sua giacca grigia:
non indossava la cravatta sotto di essa ma solo una
semplice camicia bianca.
Se li mise: erano a montatura a tartaruga ma gli stavano
molto bene, e facevano risaltare il nero dei suoi occhi.
La giovane O ‘ Brian gli allungò il volume, che aveva
aperto in una pagina precisa, dove vi erano stampate pochissime righe.
“Leggi qui..”
“Una intera nottata buttato vicino a un
compagno massacrato
con la sua bocca digrignata volta al plenilunio
con la congestione delle sue mani
penetrata nella mia quiete.
In un silenzio pieno di morte ho scritto lettere piene d'amore
Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”
La voce dolce e bassa del giovane Ford si introdusse come
un balsamo nel cuore ancora ferito di Patricia.
“E’ bellissima…”
“ Si… è come se me l’avesse mandata un mio amico caro…”
Colin la guardò, vedendo che aveva le lacrime agli occhi.
“Lo amava molto vero?”
Lei sorrise tra le lacrime, annuendo debolmente.
“A me invece sembra che me l’abbia mandata Karen…”
La ragazza annuì di nuovo
“Mi sento come quel soldato vicino al suo amico morto… non
voglio lasciarlo andare ma amo la vita…”
“Anche io Patty…”
Una leggera brezza iniziò a muovere le fronde degli alberi
facendo girare vorticosamente le pagine al grosso volume che Colin teneva sul
grembo, e, quando cessò, il libro rimase aperto su un’altra poesia, intitolata
COMMIATO…
Poche ore più tardi non lontano dal Central Park l’elegante
e alta figura di un giovane uomo bruno usciva da un portone di una piccola casa
rossa.
Aveva il respiro accelerato, le mani che si muovevano
intorno ai capelli neri setosi e si guardava intorno con aria smarrita.
Era libero finalmente, ma adesso andare da lei lo
spaventava.
Non sapeva bene come trovare le parole per dirle quanto
l’amava.
Per farle capire quanto le era mancata in tutto quel tempo.
E per chiederle perdono per averla fatto soffrire così
tanto.
Ora voleva lottare per riavere la sua Tarzan e non aveva
importanza se avrebbe passato un’intera vita a corteggiarla: sarebbe stato con lei.
Certo c’era un piccolo problema da risolvere: dove
accidenti era lei ?
Lui sapeva soltanto che lei era andata a vederlo a
teatro, non dove abitasse.
“Terence…”
Una voce familiare interruppe bruscamente le sue
riflessioni.
Si voltò rapidamente.
E vide che Albert era di fianco all’automobile di casa
Andrew, alla cui guida c’era il fedele George
“Ehi amico che ci fai qui?”
“Sapevo che saresti sceso subito.”
“ E quindi?”
“Lei è da Annie..”
“Ah grazie dell’informazione.”
“Sai dove abita Annie?”
“No”
“Al Greenwich Village, non lontano da qui.”
“Il quartiere degli artisti?”
“Si. In ogni caso puoi prendere la mia macchina.”
“E tu?”
“Faccio un giro nel tuo quartiere… anzi ex quartiere… ti
prego fammi il favore di non portarla a vivere qui: è un posto talmente lugubre
che persino lei perderebbe il suo buon umore”
Terence sorrise divertito
“Non mancherò amico… allora posso prendere davvero la tua
macchina?”
“Si puoi..”
“Ma non ti senti a disagio ad andare in giro con quel
signore compassato?”
“Non osare parlar male del mio fedele George: è il mio
migliore amico”
“Credevo di essere IO il tuo migliore amico.”
“Insieme a te è il migliore amico. E poi non è il caso che
tu faccia il geloso: non sono stato io a voler tagliare i ponti.”
“D’accordo, d’accordo hai ragione, ti chiedo scusa. Finita
la predica?Posso andare da Candy?”
“Si e si. E comportati da gentiluomo “
“ Io sono un gentiluomo”
“Si ma proprio in fondo in fondo in fondo”
Il ragazzo invece di replicare lo abbracciò di slancio
“Grazie di tutto…”
Albert ricambiò l’abbraccio commosso
“Non c’è di che. Dopotutto sono un gentiluomo no?”
“Si ma proprio in fondo in fondo in fondo”
I due giovani scoppiarono a ridere e questa volta era
davvero la loro risata di un tempo, niente più rivalità o gelosie: ora sapevano
che sarebbero stati amici per sempre.
Loro avevano saputo andare oltre queste cose.
“Vai idiota”
“Sei ti sentisse la zia Erloy…”
“Terence vuoi fare a pugni??”
Il giovane Granchester sorrise ed entrò nella macchina
degli Andrew.
“George per favore porta questo essere dai Corwell..”
“Ma mi posso fidare?” mormorò in tono finto spaventato il
suo anziano maggiordomo.
“Si anche se non sembra è un duca”
“Vogliamo finirla di fare gli spiritosi? Vorrei andare da
Candy se è possibile..”
“ Ok… ok e non darti tante arie…”
La macchina partì a velocità moderata verso il Greenwich
Village: l’ex vagabondo la guardò andare via, sentendosi come liberato.
Non provava nessuna tristezza.
Era davvero felice per i suoi più cari amici.
Neanche mezz’ora più tardi il celebre attore inglese stava
bussando alla porta dei Corwell: si sentiva così teso che avrebbero potuto
usarlo come archetto per un violino.
Sospirò diverse volte cercando di darsi in contegno.
Inutilmente.
Aveva il cuore che gli batteva a mille.
Pareva un tamburo.
Ma quanto accidenti ci mettevano ad aprire?
Se non si sbrigavano avrebbe buttato giù la porta.
Fece un altro grande respiro.
Finalmente il grosso portone dei Corwell si aprì.
Terence sospirò deluso.
Era davvero impensabile che a venirgli ad aprire sarebbe
stata lei ma sperava in una sorte decisamente migliore: chessò Annie o
Archie o Patty.
Non quella sottospecie di megera con la puzza sotto il naso
che lo stava squadrando da capo a piedi.
“Buona sera c’è la signorina Candy Andrew?So che abita
qui.”
La donna sospirò con aria avvilita: sembrava le avessero
piantato un coltello nel cuore.
“Si la signorina Andrew c’è ed è l’unica persona che pare
esserci in questa casa..”
Il giovane ignorò le ultime parole
“La potrei vedere?Sono Terence Granchester..”
“Quel Terence Granchester?L’attore? Come osa presentarsi
qui: questa è una casa rispettabile anche se ora non si direbbe”
“Non so con chi crede di avere a che fare ma anche io sono
persona rispettabile..”
“Si un uomo che convive con una donna senza essere sposato:
peccatore!”
Il celebre attore alzò gli occhi al cielo: ci mancava pure
una vecchia bigotta.
“Io non convivo con nessuno!E in ogni caso non sono affari suoi!!!!”
La donna provò a chiuderle la porta in faccia, ma il
ragazzo fu più veloce ed entrò in casa.
“Senta voglio solo vedere la signorina Andrew poi me ne
andrò subito..”
“Lo sapevo che frequentare Candy avrebbe portato Annie alla
perdizione:è diventata insolente, lascia i suoi figli a delle persone non certo
affidabili come Candy o Patty e ora è pure sparita con suo marito chissà dove,
lasciando questa casa semi-abbandonata, visto che la servitù è sparita.
E ora mi vedo pure arrivare un peccatore come lei: è
proprio degno di Candy!”
Stavolta Terence divenne blu dalla rabbia: come osava
insultare il suo angelo?
“Io questa la ammazzo non me ne frega
nulla: farò solo un favore all’umanità liberandola da una simile befana”
“Ragiona se la uccidi dovrai attendere
altri vent’anni per rivedere Candy e non credo proprio che questa volta lei ti
aspetterà”
Il ragazzo sospirò cercando di calmarsi.
“Sa cosa credo che stiano facendo sua figlia e suo marito?
L’amore, cosa che lei avrà fatto al massimo una
volta con il suo povero consorte!E si vede!”
La signora Brighton impallidì così tanto da sembrare un
cadavere a quelle parole e per non cadere si attaccò alla maniglia della porta.
L’inglese ne approfittò per indirizzarsi immediatamente
verso l’interno della casa.
Prima di tutto controllò il salone: no li non c’era.
Però la veranda era aperta..
Forse era in giardino..
Come un cavallo imbizzarrito il giovane corse fuori
superando quella finestra.
Mentre Terence cercava Candy, Albert camminava in mezzo al
quartiere dove l’amico aveva vissuto per anni.
Per un momento gli balenò l’idea di tornare su da Susanna
ma preferì di no.
Voleva stare solo.
Aveva come un bisogno di ritrovare la pace.
Un tempo era stato molto felice di vivere da vagabondo, in
mezzo agli animali.
Ora doveva essere un uomo d’affari compassato.
Odiava quel ruolo.
Ma non poteva rinunciarvi: altrimenti sarebbe finito tutto
in mano a sua sorella e alla zia Erloy.
Eppure poteva e doveva esserci un modo per continuare ad
essere il capo degli Andrew senza rinunciare alla sua vera vita.
In quel momento diverse persone corsero fuori da un piccolo
parchetto non lontano da li.
“Aiuto…”
“Che succede?”
“Un animale…è scappato da una gabbia…” gli rispose
un’anziana donna minuta, dall’aria gentile e spaventata.
“Che animale?”
“Una tigre…”
“Ma c’è uno zoo qui?”
“Si dentro il parco signore..”
Subito il giovane corse dentro al parco senza nemmeno
pensarci.
Non era molto grande, somigliava un po’ al suo zoo di
Londra, perciò per lui fu facile orientarsi e trovare ciò che cercava.
Sapeva bene dove le tigri che scappavano si andavano a
rifugiare.
Vicino a qualche chioschetto** che vendeva da mangiare.
L’uomo si avvicinò.
Era proprio spaventata.
E affamata quella povera bestia.
“Signore che fa? Si fermi…è pericoloso..” gli urlò l’uomo
del chioschetto che si era rifugiato sotto il bancone.
“Non si preoccupi lei vada via..”
L’ambulante, un corpulento signore di mezza età, non se lo
fece ripetere due volte, e scappò fuori dal parco.
Albert prese un hot dog e lo buttò al felino, che subito lo
agguantò con aria affamata: a vederlo mangiare così, non potè non sorridere
intenerito.
Si abbassò e prese ad accarezzarla.
La tigre non si ribellò e si mise a fare le fusa.
“Hai fame eh bel gattone? Povero piccolo”
Gli lanciò un altro hot dog che l’animale mangiò in pochi
bocconi.
“Uhm mi sa che te li mangerai tutti eh?” e scoppiò a
ridere: in mezzo di nuovo ai suoi animali, libero, lontano dagli stupidi
problemi materiali.
Eccola li.
La sua Tarzan tutte lentiggini.
I riccioli biondi a causa delle luce del tramonto ora
parevano davvero d’oro colato.
I suo occhi erano più azzurri del lago Michigan.
E le lentiggini le coprivano come sempre il nasino
meravigliosamente perfetto.
Era lei stessa una creatura perfetta.
Qualcuno un tempo aveva chiamato una rosa bianca Dolce
Candy.
E lei era davvero una rosa.
Scese lentamente le scale che portavano in giardino,
passando in mezzo a diversi cespugli di fiori.
Si fermò un attimo.
Delle rose bianche.
Ne staccò una come ipnotizzato.
E riprese a camminare.
Superò le aiuole arrivando dove lei era seduta, in
mezzo al prato, tenendo tra le braccia una bambina che le somigliava in maniera
incredibile, anche se aveva i capelli neri.
Quasi come se lo avesse sentito alzò il capo e lo guardò.
Non vi era nessuna sorpresa nel suo sguardo.
Solo un immenso amore e una grande gioia.
“Sapevo che saresti venuto dopo che ti avevo lasciato UN
MESSAGGIO a teatro…ci hai messo un po’ troppo però…”
“Scusami Tarzan ma la tua grafia non era molto
leggibile…e poi era ben nascosto: ho avuto bisogno di una maschera del teatro
per trovarlo…”
“Si certo tutte le scuse sono buone duca di Granchester “
“Non sono più un duca” mormorò allungandole la rosa bianca.
“Un fiore dal signor Granchester?E’ un evento” mormorò lei
sorridendogli teneramente e prendendo la rosa tra le mani.
“Potevi venire anche senza nulla… “ aggiunse commossa
La bambina che era stata in silenzio fino a quel momento
mormorò
“E’ il tuo fidanzato vero zia?”
“Si piccola sono il suo fidanzato.”
“Io non ho ricevuto nessuna proposta di matrimonio..”
“Sei incontentabile..”
La piccola Corwell urlò
“Che bello la zia si sposa, si sposa!”
“Vedi non possiamo deludere i bambini…”
La giovane Andrew sorrise tra le lacrime
“E’ proprio la tua copia spiccicata: ora dovrò sorbirmi
anche una piccola Tarzan in miniatura?”
“Ti dovrei prendere a botte, lo sai?”
“Perché sto per baciarti?”
“No perché non ti decidi a farlo!!!”
Il ragazzo le prese le labbra e iniziò a baciarla con tutta
la passione che aveva dentro.
Questa volta non era come il loro primo bacio in Scozia.
Lei contraccambiava.
Gli cinse forte le spalle come se temesse che da un
momento all’altro andasse via.
Le loro lingue si intrecciarono scambiandosi tenere e
irruente carezze, come se si conoscessero da sempre.
Un desiderio violento colpì entrambi, che dimentichi del
posto dove si trovavano, continuare a baciarsi.
E quel bacio voleva dire tante cose.
“Ti amo… perdonami se ti ho lasciato
solo…”
“Ti amo anche io… perdonami se ti ho fatto
male…”
“Non lasciarmi più…”
“Non lasciarmi più”
Archie e Annie uscirono in giardino proprio in
quell’istante.
Sorrisero nel vedere i loro amici finalmente di nuovo
insieme.
“ Papà… mamma avete visto il fidanzato della zia!!! Si
sposeranno presto” urlò la piccola Candy saltando in braccio al padre.
“Era ora…” fece Annie alla figlia
“Così la zia non sarà mai più triste… mai più… mai più…”
“Difatti piccola… mai più…” replicò il giovane Corwell.
“E così finalmente se ne andrà quella…” aggiunse la voce
acida della signora Brighton.
“Mamma!!!” urlò inviperita la migliore amica di Candy.
“Mia cara bambina, io lo dicevo per lei: così finalmente
avrà una vita sua e non starà più qui ad elemos…” ma ancora una volta la mamma
di Annie non riuscì a terminare di parlare: quando si accorse di cosa
stavano facendo nel giardino gli ospiti di sua figlia e suo genero, cadde a
terra svenuta..
“Papà che ha la nonna?”
“Niente dorme..”
“Strano posto per dormire..”
“Lei è tutta strana..” bisbigliò a mezza voce Archie.
Annie gli diede un pizzicotto divertita, poi impallidì quando
voltò la testa verso il giardino: quello non era più soltanto un bacio…
“Ehm andiamo a cena fuori tesoro?”
“Mi pare un’ottima idea..su andiamo piccola..”
“Si papi… si mami… o che bello gli zii fanno l’amore…”
“Candy!!!!” urlò sconvolta la signora Corwell
FINE CAPITOLO NONO
*Ungaretti è diventato famoso diversi anni
dopo la prima guerra mondiale, ergo è impossibile materialmente che nel 1917,
in pieno conflitto cioè, Patty avesse un suo libro di poesie, se poi si
considera che la vicenda di Candy si svolge negli Usa… Insomma licenza poetica:
credo che la poesia VEGLIA letta da Colin sia perfettamente adatta alla
circostanza e così l’ ho messa..
**Non ho la minima idea se ai primi del
Novecento ci fossero già i chioschetti per gli hot dog, ma anche qui licenza
poetica^_^..
Chiedo venia per l'immenso ritardo con cui aggiorno finalmente ma sono stata un pò incasinata, ringrazio ancora una volta i miei fedelissimi lettori e le mie fedelissime lettrici per i loro complimenti meravigliosi.
Come augurio di buon natale vi regalo il capitolo 10: augurissimi a tutti!!! E buona lettura, Silvì
CAPITOLO X: CI SONO GIORNI…
CAPITOLO X: CI SONO GIORNI…
Quattro Mesi dopo…
Terence Granchester, figlio illegittimo
del Duca di Granchester e della grande attrice americana Eleonor Baker, nonché
celebre e talentuoso attore egli stesso, si guardava seccato allo specchio: tra
le cose che odiava di più era vestirsi in ghingheri per una qualche occasione
mondana.
Non che quella a cui si apprestava a
partecipare si potesse definire propriamente un’occasione mondana, anzi, dato
che ci sarebbero state non molte persone a quell’evento, cosa incredibile per
una stella teatrale della sua fama, ma purtroppo per lui, dolente o volente,
doveva vestirsi in maniera impeccabile: dopotutto sarebbe stata davvero
un’occasione speciale quella.
Il suo matrimonio.
Non riusciva a pensarci senza causare un
incontrollabile tremore alle sue gambe e un imporporarsi delle sue guance: si
sentiva peggio di un adolescente alla prima cotta.
Per fortuna era da solo in quella
piccola e spoglia stanza, dove vi erano soltanto due sedie di legno scuro e uno
specchio in mogano e che era attaccata alla sacrestia della cattedrale di Saint
James Park, adibita a suo camerino, altrimenti si sarebbe sentito sprofondare
di vergogna..
“Oh vedo che anche il Duca di
Granchester si emoziona e io che l’ ho sempre reputato un uomo di ghiaccio..”
mormorò una voce familiare alle sue spalle.
“Le ultime parole famose” sussurrò a
voce appena appena udibile il giovane.
“Come?”
“Vuoi morire con la spada o con la
pistola Albert?”
“Ma come siamo permalosi signor Duca! Su
sono convinto che la tua futura sposa gradirebbe sapere che, sotto la tua aria
da delinquente incallito, si nascondesse invece un uomo molto timido e
sensibile.”
“La smetti di parlare come un demente?”
Il giovane Andrew scoppiò a ridere
divertito e Terence non potè fare a meno di imitarlo.
“Ti odio sul serio: sei l’essere più
spregevole della terra!” mormorò ironicamente il celebre attore quando smise di
ridere.
“Lo so, lo so” replicò Albert facendogli
la linguaccia.
“Dovresti andare alla casa di Pony così
forse impareresti la vera educazione: sono convinto che la zia Erloy
approverebbe.”
“Ok uno pari palla al centro. Vediamo di
sistemare quella cravatta perché è una cosa che non si può guardare.”
“Ha parlato mister eleganza.”
“Ma certo io sono un uomo davvero
elegante: me lo dice sempre George!”
Un sorriso malefico spuntò sulla labbra
dell’inglese
“Lui non conta: è innamorato di te!”
L’ex vagabondo represse un conato di
vomito, replicando ironicamente
“Ti prego Terence! E poi è vecchissimo,
non è mica un uomo prestante come te: peccato che Candy sia arrivata prima!”
Stavolta fu l’attore a reprimere un
conato di vomito.
“Senti va bene che lavoro in un ambiente
un pò equivoco ma a me piacciono solo le donne!”
“Non avevo dubbi: che peccato! Ma me lo
dai un bacio di addio?” fece il capo degli Andrew avvicinandosi
pericolosamente.
“La smetti?”
L’uomo scoppiò a ridere di nuovo,
seguito dal suo giovane amico: era bello sentirsi di nuovo complici come un
tempo, senza più ombre, né rivalità.
Quando Terence e Candy gli avevano
annunciato il loro prossimo matrimonio qualche mese prima, lui si era sentito
immensamente felice, accogliendo la notizia come il naturale corso degli
eventi, e aveva insistito da far da testimone al suo più caro amico.
Quest’ultimo, benché fosse felice della
proposta, aveva tergiversato per diverso tempo: temeva di ferirlo, sapeva bene
quanto l’uomo amasse ancora Candy, ma Albert era riuscito a convincerlo.
“ Terence non sei mai stato mio rivale,
ma solo il mio più caro amico, e credimi vederti sposare Candy non può che
rendermi felice, perché so quanto vi amate”
“Albert, lo so, ma vedi io non so se
avrei mai potuto farlo se fossi stato al tuo posto: non potrei mai essere così
generoso.”
“Ti sbagli amico mio: ti conosco troppo
bene. Puoi far credere agli altri di essere un duro ma io so che hai un grande
cuore e lo sa anche Candy, perciò sono felice che ti ami: se dovevo perdere la
mia piccola Candy preferisco che sia stato a favore tuo”
“Hai vinto Albert: del resto non potrei
pretendere un testimone migliore di te. Ma vedi di non piangere all’altare
mentre pronunciamo i giuramenti”
“Non te lo posso giurare questo”
E si erano abbracciati con calore, quasi
ridendo, come due fratelli.
“Meno male che ci sei tu a farmi il nodo
alla cravatta: sai alla Sample School mica insegnavano certe cose!”
“Per te non basterebbero un esercito di
istitutrici, nemmeno un esercito di Zie Erloy.”
“Ma sai che la direttrice della Royal Saint Paul
School, Suor Grey, pareva la sua gemella? Sia come carattere che fisicamente:
non le avranno mica separate alla nascita?”
“Può essere: forse la madre ha avuto un
colpo al cuore vedendo due esseri tanto orrendi e il padre li ha separati per
salvaguardare la salute della moglie.”
“Che amore che nutri per tua zia.”
“Eh lo so, sono un uomo dalle mille
virtù..”
Mentre Albert e Terence scherzavano,
nella sagrestia, che era proprio di fronte alla camera dove si trovavano i due
giovani, Candy ultimava di prepararsi con l’aiuto di Patty e Annie: indossava
un elegante vestito bianco di seta, ricamato a mano, di mille fiori, che le
scendeva perfettamente lungo le curve morbide del seno e dei fianchi. In testa
portava un piccolo velo di taffettà che le copriva a malapena il capo: i suoi
riccioli dorati erano sciolti lungo le spalle, senza nessun codino o molletta a
fermarli. Si era infatti convinta finalmente a levarsi quelle acconciature da
bambina.
Se il suo futuro sposo aveva la
tremarella alle gambe, lei era più o meno sull’orlo del collasso, tanto che più
che di aiuto per vestirla, le sue amiche le servivano per reggersi in piedi.
A portarla all’altare sarebbe stato
Archie, almeno avrebbe potuto reggersi a lui lungo la navata della cattedrale
di New York, addobbata di splendidi fiori bianchi, soprattutto rose, ma anche
gigli: per fortuna nessun giornalista sapeva dell’evento in corso, questo
nonostante le minacce di Iriza di spiattellare tutto ai giornali.
Era bastato uno sguardo dello zio
Albert, che la giovane Legan era subito battuta in ritirata.
“Candy se continui così invece di
sposarti dovremmo portarti in ospedale..” la rimproverò la signora Corwell,
vestita di un semplice abito di organza sul rosa chiarissimo.
“Sto benissimo, sono solo un po’
nervosa: anche tu eri così Annie quando hai sposato Archie!”
“In effetti” ironizzò Patty, anch’essa
vestita di rosa “Eri più bianca del tuo vestito!”
Candy scoppiò a ridere, a crepapelle, a
quelle parole: la sua risata era così contagiosa che le sue amiche iniziarono a
ridere anche loro.
Un lieve rumore alla porta smorzò,
tuttavia, l’ilarità delle tre ragazze.
“Vado io” mormorò Patty, che appena fu
alla porta rimase senza parole.
“Chi è Patty?” fece la futura signora
Granchester incuriosita.
“Beh…” rispose la giovane O ’Brian
totalmente imbarazzata e incredula.
“Allora Patty?” insistette Annie.
“Sono Neal..” balbettò esitante il
misterioso ospite.
“Entra.. pure” replicò la voce gentile
di Candy, che pure era stupita anch’essa della strana visita del cugino
acquisito.
“So che la mia presenza non è gradita e
vi mette in imbarazzo tutte, ma volevo portare un piccolo dono alla futura
sposa se è possibile” la voce del giovane Legan era quasi un sussurro.
“Ma certo che è possibile ed è pure
gradita”
“So che di solito la futura sposa deve
portare una cosa nuova, una cosa in prestito e una usata..” e le porse una
piccola scatola marrone.
La giovane lo aprì: vi era dentro un
fazzoletto azzurro chiaro con ricamate, a mano, due iniziali.
A. A.
Gli occhi di Candy si riempirono di
lacrime.
“Era di Anthony: sono certo che ora è
felice per te… come… come lo sono anche io…”
La ragazza gli prese le mani commossa.
“Ti prego resta…”
“Non mi merito di vedere la tua gioia…”
“Oggi è il giorno più bello della mia
vita e voglio che tutti i miei amici siano con me, per poter condividere con
loro la mia felicità”
Neal non potè far altro che
abbracciarla.
“Perdonami piccola Candy”
“L’ ho già fatto mio caro cugino..”
Nella camera di fronte Albert stava
tentando di far tornare normale quella che doveva essere la cravatta blu di
Terence, ma che ora sembrava più o meno uno straccio per la polvere.
“Ma si può sapere che ti ha fatto di
male questa povero tessuto? Se eri nervoso potevi prendere a noleggio un
punchball e sfogarti con lui.”
“Oppure prendermela con te..”
“Con che motivazione?”
“Rompimento di scatole…”
“Capisco… sto diventando noioso come mia
zia?”
“No peggio!” replicò divertito l’amico.
“Ah grazie, Terence, sono commosso..ma
forse è meglio dargli una stirata…”
“Ma faremo tardi…”
“Non credo che la cerimonia inizierà
senza lo sposo”
Il celebre attore gli fece una smorfia
da bambino dell’asilo.
“Sembri la tua quasi nipote Candy…o la
tua quasi sposa Candy…avremo presto Tarzan tre?”
“Io non ho le lentiggini..”
“E per forza sei pallido come un morto…”
“Ha parlato l’africano…”
“Vabbè vediamo se posso trovare il modo
di sistemartela, non puoi andare in chiesa con sta roba!”
“Ma non è così conciata dai!”
Albert lo fissò torvo mostrando il
povero tessuto, che era così stropicciato, che era ormai impossibile capire
cosa fosse.
“D’accordo hai vinto ma fai in fre…”
In quell’istante entrò una donna dai
lunghi capelli neri e lisci, che gli cadevano lungo le spalle, un viso tondo ma
grazioso, leggermente abbronzato, e due teneri occhi color nocciola, che
indossava un semplice vestito grigio chiaro, a campana, con bottoni verdi sul
davanti, che metteva in mostra il seno prosperoso.
“Scusate se entrò così senza bussare ma
il prete mi ha chiesto di darvi una mossa..”
“Non preoccuparti Catherine, anzi ti
ringrazio della tua premura, solo che abbiamo un problema. A proposito tu
conosci già il futuro sposo vero?”
“Più o meno…comunque piacere Duca
Granchester, io sono Catherine McKenzie, l’assistente del signor William per la
sezione risorse zoofile della sua azienda…”
“Ah piacere signorina, io sono Terence e
basta, niente duca per favore”
“Allora piacere Terence” e gli allungò
la mano stringendola calorosamente.
“Che problema avete?”
“Guarda un po’ qui la sua cravatta…”
La giovane sbiancò
“Ma che le avete fatto? Le è passata
sopra una diligenza?”
Il giovane Andrew fissò di nuovo torvo
l’amico
“Albert si è seduto sopra quando è
entrato prima!”
“Eviterò commenti è meglio..Catherine
puoi fare qualcosa?”
“Si ovviamente…arrivo subito…”
E in un lampo fu fuori dalla porta sotto
lo sguardo ammirato di Albert, sguardo che non sfuggì a Terence.
“Però ti tratti proprio bene: hai delle
assistenti da favola!”
“Ehi tu!Ti ricordo che stai per
sposarti... »
“Non sarai mica geloso?”
“Di chi?”
“Di quella bella signorina che è appena
uscita dalla porta.”
L’uomo lo fissò senza capire mentre
nella sua mente passavano varie immagini: uno sguardo azzurro come il cielo,
uno grigio come le perle e uno verde nocciola.
“Amico mio tu non me la racconti giusta:
prima ti pesco abbracciato a Susanna ora flirti con la tua bella assistente.
Sei forse innamorato?”
L’inglese aveva detto quelle parole in
tono speranzoso: voleva tanto che il suo amico si innamorasse di nuovo, che
trovasse una persona che lo rendesse felice.
Non gli piaceva saperlo triste: se c’era
una persona al mondo che meritasse l’amore di una donna era sicuramente il suo
amico.
L’ex vagabondo gli sorrise di rimando,
toccato sensibilmente da quella premura.
“No Terence è troppo presto…ma un giorno
succederà…”
Il ragazzo non replicò oltre ma lo
abbraccio con affetto: Albert ricambiò l’abbraccio senza proferire parola.
Qualche minuto dopo Catherine rientrò
con in mano la cravatta, che sembrava di nuovo essere tale.
“Ma… ma come hai fatto?” strabuzzò gli
occhi il capo degli Andrew.
“Segreto!” che gli fece l’occhiolino e
uscì di nuovo dalla stanza.
“Come l’ hai conosciuta?” domandò
Terence mentre l’amico gli annodava la cravatta al collo.
“Sai un giorno è scappata una tigre da
uno zoo, era affamata poverina, e io riuscì a riportarla al suo posto, anche se
prima svuotai un baracchino degli hotdog per saziarla. Convincerla a ritornare
in gabbia non fu facile, ma poi sbucò Catherine dal nulla e mi aiutò: ho
scoperto poi dopo che era laureata in biologia e che suo padre era stato
esploratore in Africa, così l’ ho assunta. “
“Una bella storia… pare quasi la fiaba
la di Cenerentola”
E fissò emblematicamente l’amico.
“Ti ho già detto che è presto…”
“Si si…”
Neanche dieci minuti dopo Terence e
Albert erano finalmente in chiesa, di fianco al parroco, Padre Samuel, un uomo
sulla sessantina, pelato, e senza barba, un po’ grassottello, e dallo sguardo
simpatico, quasi paterno: conosceva da sempre gli Andrew e si sentiva onorato
di poter celebrare quel matrimonio così speciale nella sua parrocchia. In
quest’ultima vi erano riuniti pochissimi invitati, che erano tutti gli amici
più cari del giovane Granchester e soprattutto di Candy: naturalmente c’era
anche la madre del giovane mentre suo padre, per espresso desiderio
dell’attore, non era stato invitato. Quest’ultimo conosceva abbastanza il
genitore da sapere che avrebbe disapprovato la sua scelta per tutta una serie
di futili motivi, al contrario Eleonor Baker appariva raggiante, sembrava quasi
essersi riappropriata della giovinezza perduta, e il suo cuore palpitava forse
più di quello del figlio: per tanto tempo aveva sofferto il silenzio sapendolo
prigioniero di una situazione sbagliata, sentendosi totalmente incapace di
aiutarlo.
E ora vederlo di nuovo libero, di nuovo
felice in attesa di sposare la sua Candy era una tale gioia che temeva quasi
che il cuore le scoppiasse in gola.
Il ragazzo sorrise alla madre con grande
affetto, quasi a volerle dire “Mamma ora sto bene: c’è che Candy con me” :
per la prima volta la donna sentì di meritare il perdono di suo figlio, di
meritare di nuovo il suo amore. “Tu hai fatto il miracolo Candy e io vi
proteggerò sempre ve lo giuro, a costo della fama, dello stupido onore, di
tutto.”
La marcia nuziale, partita in
quell’istante, distolse lo sguardo di Terence dalla figura della madre: eccolo
li il suo angelo biondo, più bella che mai con quell’abito bianco, simbolo
della sua purezza soprattutto interiore.
Gli occhi blu del giovane si riempirono
di lacrime e il suo corpo fu scosso dai tremiti, tanto che il suo amico di
fianco lo dovette tenere.
“Credevo di essere io quello che doveva
piangere…”
“Dopo facciamo i conti insensibile vagabondo…”
Candy vedendo il suo amore così
emozionato, tremò anch’essa: quanta la amava. Solo con il suo amore si sentiva
viva, si sentiva avvolta dal calore anche nella più gelida notte invernale,
protetta come e più dell’abbraccio di Miss Pony e Suor Maria, che ora, sedute
in prima fila, la osservavano commosse.
Archie la tenne in piedi, sussurrandole.
“Ancora qualche passo mia cara.”
Lei lo guardò con gli occhi lucidi,
annuendo, incapace di parlare.
Ancora due passi e fu di fronte a
Terence: il giovane Corwell prese la mano della ragazza e la mise in quella
dell’inglese.
“Comportati bene con lei delinquente.”
“Sarà fatto signor Corwell: prendilo
come un giuramento.”
“Sarà fatto signor Duca.”
Candy e Terence si strinsero forte la
mano, dandosi forza l’uno l’altro.
Padre Samuel fissò i due giovani,
sentendosi quasi avvolto dalla forza di quell’amore così grande.
“Sapete ci sono delle volte in cui è
difficile trovare le parole per descrivere un amore come il vostro: si teme
quasi di sporcarlo con un linguaggio non adatto. Ma di una cosa sono sicuro,
che un amore forte come il vostro è la prova dell’amore che Dio prova per noi.
Ci può essere buio a volte, si può sentire freddo, ci si può sentire soli, ma
lui non ci lascia, lui ci ama sempre e voi vi siete sempre amati, anche quando
tutto sembrava perduto.
Candy e Terence mi hanno chiesto di non
usare il linguaggio solito che viene usato nei matrimoni, ma qualcos’altro e io
assecondo volentieri la loro richiesta. Vi prego parlate pure miei cari.”
I due ragazzi si voltarono e si
strinsero forte le mani, iniziando a parlare insieme, persi l’uno nello sguardo
dell’altra:
“Mettimi come un sigillo sul tuo cuore,
come un sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l’amore; tenace
come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del
Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo.
Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne
avrebbe che considerazione * ”
L’anziano parroco sorrise sensibilmente
toccato
“E’ con mia grande gioia che vi dichiaro
marito e moglie. Terence puoi baciare la sposa, su lo so che non vedi l’ora di
farlo! Altrimenti finisce che mi svieni da un momento all’altro”
E mentre nella chiesa riecheggiarono le
risate degli invitati per quelle parole, Terence Granchester e Candy White
Andrew si scambiarono il loro primo bacio di marito e moglie.
Lo so, lo so, vi ho fatto penare un sacco e perciò mi scuso per il mostruoso ritardo, ma spero tanto che questo epilogo possa piacere a tutti voi ;)...
Buona lettura, Silvia
Epilogo
New York, un anno dopo.
Un giovane uomo molto alto, dai lunghi
capelli biondi fino alle spalle, stava camminando attraverso un sentiero
acciottolato, al fianco del quale c’erano diversi alberi in piena fioritura
primaverile.
C’erano fiori di pesco e di albicocco
sopra i rami dei vari alberi e in mezzo ai prati c’erano lillà, genziane,
violette e primule.
C’era un temperatura mite nell’aria e
una leggera brezza faceva muovere le fronde degli alberi.
L’uomo, che indossava dei semplici
pantaloni azzurro chiaro e una camicia bianca e che portava degli occhiali
scuri, respirava lentamente, osservando quel giardino in fiore con una
meravigliosa gioia nel cuore.
Era passata l’angoscia ed era passato
il tormento.
Si sentiva finalmente in pace.
Per tanto tempo si era sentito in
colpa per non protetto abbastanza i suoi amici, ma ora tutto questo era davvero
passato.
Poteva pensare a se stesso,
finalmente.
Non che avrebbe mai smesso di vegliare
su di loro né sarebbe sfuggito di nuovo ai suoi doveri presso la sua famiglia,
ma ora… ora aveva trovato il modo di poter fare tutte questo cose insieme.
Uno strano profumo gli arrivò alle
narici.
Un profumo di rose.
Si voltò verso destra.
Erano rose, ma non erano bianche,
erano rose rosa, le rose più profumate e quelle più durature.
Eppure lui continuava a preferire
quelle bianche.
“Candy…”
Una piccola bambina, dai
lunghi riccioli biondi piangeva su un prato.
“Sai piccola, sei più
bella quando sorridi”
E lei aveva sorriso… il
più bel sorriso che avesse mai visto, ma quel sorriso non era mai stato
completamente suo.
Aveva vegliato su di lei, attendendo,
attendendo, e poi c’era stato quel momento di sogno incredibile, in cui lei
aveva accettato di sposarlo.
Perché lo amava… sì quello era vero,
ma non come voleva lui.
Non si può stare insieme per
gratitudine né perché si è amici da una vita.
Aveva sofferto quando lei era tornata
da Terence?
No… l’amava troppo… non era riuscito
ad essere triste.
La gioia negli occhi di lei e di lui.
Lui, il suo caro adorabile folle
amico.
Sarebbero stati felici per sempre, lo
sapeva.
E non li avrebbe mai più persi,
nessuno dei due.
Terence lo aveva persino preso in giro
su una sua eventuale ragazza.
No, per ora non c’era nessuna ragazza,
nessuna.
Era troppo presto, troppo presto.
Ma un giorno sarebbe arrivata e anche
lui sarebbe stato amato follemente e appassionatamente.
Passione, ossessione, amore.
Una ragazza dai lunghi capelli neri, dall’espressione
dolce e simpatica, che portava un elegante paio di occhiali da vista, gli stava
venendo incontro sorridendogli, ma lui non se ne accorse.
I suoi pensieri erano altrove e anche
se ne fosse accorto, l’avrebbe scambiata per un’estranea.
“Albert… Albert!”
Il giovane si levò gli occhiali da
sole, puntando i suoi occhi azzurri dentro quelli verdi della giovane.
“Patty?” balbettò confuso.
La ragazza annuì sorridendo e lo
abbracciò.
“Ciao cara, come stai?”
“Bene… sì ora sto bene…”
“Ma che hai fatto?” mormorò sempre più
incredulo osservando i vestiti della sua amica: non che indossasse nulla di
speciale, era solo un abitino celeste, rigorosamente abbottonato fino al collo,
ma… era quasi corto… era sopra le ginocchia e… ed erano pieno di fiori
colorati. E il viso di lei… era pieno di luce…
“Beh… ecco… io… è difficile da
spiegare…” balbettò Patty arrossendo vistosamente. “Ma posso presentarti il mio
amico Colin?” aggiunse indicando un bel ragazzo dai capelli biondi e gli occhi
neri, che teneva per mano una bellissima bimba bionda.
“Ma certo..” fece il giovane Andrew
sorridendole di nuovo e poi allungando prontamente la mano verso Colin,
aggiunse “Piacere io sono Albert”
“Piacere mio, mi chiamo Colin Ford e
questa è mia figlia Claudia..” replicò il ragazzo stringendogli la mano.
Albert voltò un secondo la testa verso
Patty, che notandolo, arrossì ancora di più.
“Ehm… io insegno a sua figlia
Claudia…”
“Certo, certo…” mormorò Albert
sorridendole quasi ironicamente.
La giovane O’Brian impallidì stavolta.
“Sul serio” si affrettò a dire il
giovane Ford.
“Ma certo, ci credo… piuttosto vi
piace qui?”
“Certo, è favoloso, non pensavo si
potesse trovare uno zoo così grande in zona… mia figlia adora gli animali”
“Anche io”
“Albert non fare il modestone,
sappiamo che questo posto è tuo…”
“E’ suo?” balbettò Colin fissando
incredulo il giovane che aveva di fronte: sapeva che lo zoo apparteneva alla
nobile famiglia Andrew e Albert sembra tutto tranne che un “nobile”.
“Sei un Andrew?”
“Purtroppo sì… ognuno ha le sue
disgrazie, ma ci sono anche i lati positivi ad avere tanti i soldi, ad esempio
comprare uno zoo non certo ben tenuto e trasformarlo in un paradiso come
questo”
“In effetti… lo è…” mormorò Colin
incantato.
“Venite vi porto in un posto speciale…
è un posto che ancora non è aperto al pubblico… sto cercando allestirlo meglio
che posso”
I due ragazzi e la bambina lo
seguirono nel boschetto, che man mano che proseguivano, si faceva sempre più
fitto.
Quel posto pareva quasi immenso… quasi
perché verso destra, in fondo al sentiero, si intravedeva un grosso recinto
nero, alto quasi due metri.
“Dove ci stai portando?” mormorò
incuriosito il ragazzo.
“Aspetta e vedrai” fece indicandogli
il recinto, vicino al quale c’era una grande scala nera. “Dobbiamo salire là…”
aggiunse indicando proprio la scala.
I giovani affrettarono il passo
arrivando all’imponente costruzione e salirono sulla scalinata, che era fatto
di legno spesso.
I gradini erano tantissimi e
sembravano portare fino al cielo.
Una volta arrivati in cima, Colin,
Patty e Claudia rimasero senza fiato.
Oltre il grosso recinto si potevano
vedere diverse specie di animali e ognuno di loro poteva passeggiare
liberamente in un habitat simile a quello proprio naturale.
“Come hai fatto?” balbettò Patty,
sorridendo estasiata.
“Con l’aiuto di scienziati ed esperti
sono riuscito a ricostruire in parte il loro habitat… “
“E’ fantastico… “ sussurrò la piccola
Claudia “Gli animali sono tutti liberi”
“Sì, quasi…” fece Albert “Quasi”
“Beh, di sicuro stanno meglio che in
un zoo normale” mormorò il giovane Ford, con gli occhi sempre fissi su quello
strano e affascinante spettacolo.
Tigri e leoni liberi di correre vicino
al centro di New York!
“O mamma io devo andare… ho visto
adesso l’ora “ gridò all’improvviso Patty “Scusami Albert, ma mi sono ricordata
che devo fare lezione tra poco alla cugina di Claudia”
“Non preoccuparti… su andiamo” e
scesero velocemente tutti insieme l’enorme scalinata.
“Scusami, devo proprio andare”
balbettò la giovane abbracciandolo di slancio.
“Vai cara, non preoccuparti”
“Ti accompagno Patty… e Albert…
piacere di averti conosciuto e grazie per averci fatto vedere questo posto”
fece Colin stringendo la mano di Albert
I due giovani e la piccola si
allontanarono verso gli alberi, ma anche da quella distanza il giovane Andrew
poté vedere la piccola Claudia stringere una mano di Colin e una di Patty.
Il ragazzo sorrise impercettibilmente,
voltandosi di nuovo verso la scala.
Voleva salire su di nuovo per mettersi
ad osservare il suo mondo.
“Posso disturbare il signor Andrew o è
troppo impegnato con i suoi amici?” sussurrò una voce gentile alle spalle.
“Anche tu sei una mia amica” replicò
il giovane girandosi di nuovo.
Riccioli castano chiaro… lunghi fino
alle spalle… occhi di un grigio tenue e un viso particolare… difficile da
descrivere…
Se non ricordava male una volta un
critico aveva definito il suo ovale simile a quello di una Madonna del
Raffaello.
“E poi dovrei essere io a chiederti se
hai un po’ di tempo per me… sei di nuovo una celebrità.. la grande scrittrice e
sceneggiatrice Susanna Marlowe”
Lei sorrise… un sorriso caldo e
sereno..
Non l’aveva mai vista così bella.
E stava sorridendo a lui.
Era troppo presto, ma… ora… ora lei
stava sorridendo solo a lui.
L’abbracciò, stringendola a sé.
“Cosa ti porta qui?”
“Ho scritto una nuova sceneggiatura e
vorrei che la leggessi”
“Ma Susanna, io mica sono un critico”
“Lo so, ma il tuo parere conta più di
tutti”
“La leggerò allora” mormorò
sorridendole.
Un sorriso dolce e calmo.
Il sorriso del suo più caro amico.
Colui che le aveva detto che poteva
fare qualsiasi cosa.
E non mentiva… lei era riuscita a fare
quello voleva.
Ora non aveva più paura.
Grazie ad un angelo biondo che
sorrideva solo a lei.
Sì, era troppo presto… ma sorrideva
solo a lei.
Diverse ore più tardi, vicino alla
Casa di Pony, poco sopra il lago Michigan, una giovane donna bionda passeggiava
nei prati.
Il sole era ormai tramontato da
un’ora, ma non faceva freddo, anzi c’era persino caldo, come se fosse già
estate.
Per precauzione, però, la ragazza
indossava, sopra alla semplice camicia da notte azzurra, un grosso scialle di
lana color verde mare, regalo di nozze di Suor Maria.
In condizioni normali, sarebbe andata
in giro solo con la camicia da notte, ma ora non si poteva certo definire in
condizioni normali, considerando il grosso ventre che le spuntava da sotto il
seno.
Oltre allo scialle e alla camicia, non
aveva voluto altro, non si era nemmeno legata i capelli, che ora le scivolavano
liberi lungo la schiena, tenendogliela calda.
Non indossava nemmeno delle ciabatte o
delle scarpe.
Era a piedi nudi, come nella sua
spensierata e felice infanzia.
Aveva temuto di non poter più vivere
un periodo come quello e in effetti, così era stato.
Ma ne erano venuti altri di periodi
belli.
La vita era bella anche perché ogni
suo anno è diverso dall’altro.
Anche se alcuni anni le erano sembrati
tutti uguali, ora si rendeva conto che c’era sempre stato qualcosa di diverso e
di speciale.
Alzò gli occhi al cielo… un cielo
pieno di stelle e illuminato da una meravigliosa luna piena.
Tutto era pace… tutto era sereno.
Sarebbero tornate altre tempeste, lo
sapeva.
E avrebbe avuto di nuovo paura.
Ma… poi… poi il sereno sarebbe tornato
di nuovo.
Perché oltre alle sue mamme e i suoi
amici, adesso c’era lui .
Un calore improvviso le avvolse il
ventre.
Guardò in basso.
Due bellissime mani da pianista la
stringevano dolcemente.
E un secondo dopo dei lunghi capelli
setosi le fecero il solletico al viso.
“Allora è vero che dovrò sopportare
altri Tarzan”
Lei si voltò, baciandogli dolcemente
le labbra.
“E se anche fosse, ti dispiacerebbe?”
“Oh certo che no… sarei disposto a
sopportare anche venti Tarzan…”
“E se invece fossero dei piccoli
duca?”
Il giovane fece una smorfia,
baciandole impercettibilmente il viso.
“Spero che il destino non sia così
maligno con me”
“Chissà” sussurrò baciandogli il naso.
“Lo sai che secondo certi… come
definirli… uhm… beh diciamo secondo certe persone… una donna in stato
interessante non dovrebbe pensare a certe cose?”
“Quali cose, signor Terence?”
“Queste…” sussurrò leccandole il
collo.
“Ah sì… e perché mai?”
“Beh a quanto pare, sarebbe peccato
mortale indurre in tentazione una quasi mamma…”
“Che orrore… quindi andremo
all’inferno…” replicò baciandogli il mento.
“Temo di sì…” mormorò fingendosi
contrito.
“Ma senti…”
“Dimmi…”
“Secondo te, quante donne in stato
interessante, hanno conosciuto queste… come definirle… persone?”
Terence sorrise prendendola in braccio
e posandola sull’erba.
“Credo nessuna”
“E allora che ci vadano loro
all’inferno…” mormorò catturandogli le labbra.
Passione, amore, dolcezza.
Le loro labbra unite…
Terence la spogliò lentamente,
baciandole ogni lembo di pelle che liberava dai tessuti.
Candy gli strinse le spalle,
attirandolo a sé, baciandolo, ancora e ancora.
Era così inebriante sentire i loro
corpi che si univano.
Baciarsi… amarsi… essere uniti.
Solo questo contava.
Non avevano ancora comprato una casa
per loro, ma non ne avevano bisogno, perché casa per loro significava stare
insieme.