Clermont

di son usagi
(/viewuser.php?uid=15493)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Clermont

E

ra un giorno come tanti quello che, per Elena sarebbe diventato l’inizio della fine.

Elena aveva 17 anni e frequentava il terzo anno in una scuola superiore come tante, aveva lunghi capelli neri e occhi grigi. Francese per parte di madre, italiana per padre, viveva in Italia da quando era nata a parte qualche visita in Francia, a Clermont, dai parenti della madre; parenti che, da ciò che aveva capito, avevano origini nobili.

A parte per questa particolarità, a prima vista, Elena appariva come una ragazza come tante che viveva in un paesino nel nord Italia con la sua famiglia. Ma un giorno non fu più una come tante.

Era una giornata soleggiata di metà maggio e stava passeggiando con la sua migliore amica per una via affollata quando, improvvisamente, la strada per la quale camminava e le persone intorno a lei cambiarono. L’asfalto divenne porfido, le persone cambiarono abbigliamento e tutte avevano gli occhi fissi su di lei.

Inizialmente pensò che si trattasse di uno scherzo dei suo amici, ma quando vide che stavano sopraggiungendo dei soldati capì che si sbagliava. Il capo dei soldati si avvicinò a lei e le disse «Vous êtes une sorcière! Arrêtez-elle!». Ma prima che potesse rispondere due soldati le bloccarono le braccia, le legarono le mani con delle corde, la sollevarono e la misero su di un cavallo. In quel momento Elena realizzò di trovarsi nella Francia del passato.

Dopo alcuni minuti di viaggio sentì il cavallo fermarsi e delle possenti mani afferrarla per la vita e sollevarla. Quando fu con i piedi per terra vide davanti a sé un enorme palazzo e sulla facciata lesse le parole “Palais de Justice”. Fu trascinata in una sala molto ampia che fungeva da tribunale.

Passati alcuni secondi a dibattersi da quelle mani dei soldati così forti e così strette, Elena perse ogni speranza e si lasciò trascinare fin su una sedia accanto ad una persona che lei identificò come il giudice. Quest’uomo era alto, con molti capelli grigi, gli occhi scuri, magro e con in viso una strana espressione, quasi felicità mista a preoccupazione. Elena pensò avesse circa 35 anni, nonostante il viso fosse pieno di rughe. Dopo qualche istante quest’ultimo parlò, disse alcune frasi in latino che Elena non comprese, poi, in francese, continuò «Strega, il vostro modo di vestire è quello del demonio, avete da dire qualcosa in vostra discolpa?» «Non sono una strega!» «Zitta, figlia del demonio, voi sarete impiccata alle prime luci dell’alba, perché ci potreste portare alla dannazione solo col vostro sguardo!» «Non avete mai letto Dante? La donna, proprio attraverso gli occhi, porta l’uomo alla beatitudine e alla salvezza» «Taci, voi non potete conoscere Dante, è troppo colto per una donna, e in particolare, per una strega». Fece segno alle guardie di portarla via e, mentre Elena stava uscendo dall’aula vide un uomo che aveva indosso una cappa blu che gli ricopriva il volto, l’unica cosa che riuscì ad intravedere furono delle ciocche di capelli biondi che spuntavano da esso.

Elena venne condotta in una cella molto piccola, umida e buia, con una balla di paglia in un angolo. Trascorsero alcune ore, o minuti, questo, Elena non seppe capirlo, poiché la luce che riusciva ad entrare nella cella era fioca, poi apparve improvvisamente di fronte a lei quell’uomo che precedentemente aveva intravisto nell’aula e che per poco non la spaventò «Non vi preoccupate, madamigella, non voglio farvi del male» le disse l’uomo, poi dolcemente continuò «Desidero solo liberarvi. Fidatevi, ve ne prego». Elena lo fissò un po’, poi rispose «Mi fido di voi». L’uomo estrasse delle chiavi da un taschino del farsetto ed aprì la serratura della porta della celletta; poi cercò qualcos’altro nella cappa ed estrasse un altro mantello simile al suo, ma più piccolo e molto più femminile e glielo porse. Lei lo indossò senza fare polemiche e lo seguì fuori dal palazzo.

Avevano percorso circa 600 metri dal Palais de Justice, passando per piccoli vicoli quando alcuni soldati gli vennero incontro. L’individuo bisbigliò ad Elena «Copritevi il volto e non parlate mai», poi alzando il tono continuò «Gendarmi, amici miei, cosa fate in giro sotto questo sole?» un paio di loro si avvicinarono ai due e dissero «Maestro Matteo de Foisos, qual buon vento vi porta da queste parti?» «Stavo cercando un po’ d’ispirazione per terminare il mio ultimo poema» «Avete ancora quel brutto blocco?» poi, rendendosi conto della presenza di Elena, disse «Ma cosa vedono i miei occhi. Quella creatura accanto a voi chi è? Se mi è lecito saperlo» l’uomo orgoglioso della domanda rispose sorridendo «Questa fanciulla è la mia futura moglie. È molto timida e riservata» «Non sapevo che vi stavate per sposare, maestro» disse in tono accusatorio il gendarme «Volevo che fosse una sorpresa» poi, come per cambiare discorso, chiese «Come mai, ad ogni modo, siete qui?», il soldato, come tornando alla realtà rispose «È fuggita la strega e la stiamo cercando, voi ne sapete qualcosa?» «Sprecate il vostro tempo con me. Sapete che mi curo solo di letteratura, non di prigioniere» «Se sapete qualcosa fateci sapere» «Contateci pure».

Elena, che non vedeva nulla da sotto il mantello, sentì i passi dei due soldati che si allontanavano; poi una grossa mano afferrò la sua e si sentì trascinare per alcuni vicoli. Durante il tragitto Elena spostò leggermente il mantello da davanti al volto per vedere l’uomo che la stava trascinando. L’unica cosa che vide, dato che l’uomo le mostrava le spalle, furono i lunghi capelli mossi, biondi, che, colpiti dai raggi del sole, sembravano d’oro, in quel momento ad Elena venne in mente un verso di Petrarca “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi” ed emise una piccola risata, l’uomo si fermò bruscamente e, senza voltarsi, disse «Cosa avete da ridere, madamigella?!», quel tono non piacque ad Elena, sembrava molto minaccioso, e, molto timidamente gli ripose «Perdonatemi, signore, mi era venuta alla memoria un verso di Petrarca osservando i vostri capelli» «Conoscete anche Petrarca?!» le chiese bruscamente, lei stava per rispondere quando l’uomo riprese a camminare, trascinandola dietro sé.

Alcuni minuti dopo i due arrivarono in una via e si fermarono bruscamente; alcuni secondi dopo, l’uomo disse «Potete scoprirvi il viso, madamigella, se lo gradite, qui non ci vedrà più nessuno». Lei si tolse il cappuccio e, curiosa, cercò di vedere il volto di colui che l’aveva salvata due volte, ma la via era troppo buia e non riuscì a vederlo. Lui le fece segno di entrare in un portone, lei obbedì, percorse alcune rampe di scale poi, sempre su indicazione dell’uomo, entrò in una stanza molto ampia e buia. Sentì l’individuo allontanarsi da lei e lo intravide accanto alla finestra. Tirò le tende e fece entrare la luce. Solo in quel momento riuscì a vedere il volto dell’uomo. Che avesse i capelli biondi lo aveva già scoperto in molte occasioni, ma vide che era anche molto affascinante, era alto, circa 175 cm pensò, magro, con gli occhi grigi ed era stranamente somigliante a qualcuno che lei aveva già visto prima ma non si ricordava più dove.

L’uomo si avvicinò ad Elena e le disse «Spero di non avervi fatto paura poco fa, volevo solo salvarvi la vita» «Perché mi avete salvata? Neanche conoscete il mio nome ed io il vostro» «Che sbadato! Credevo che già aveste avuto modo di conoscerlo, intendo prima, dai soldati» «Scusatemi ma ero abbastanza spaventata da non prestare attenzione alle vostre e alle loro parole» «Se proprio desiderate un nome, eccolo: Matteo de Foisos» anche questo nome rievocò in lei un ricordo, però molto vago per comprendere meglio, poi lui continuò «Potrei ora sapere il vostro?» «Elena De Stefano, mio padre è italiano» «Potrei sapere da dove venite e perché siete conciata in codesta maniera?» Elena gli raccontò tutto ciò che era accaduto, il fatto che lei venisse dal futuro, poi continuò «Potete non credermi, vi capisco perfettamente; però ditemi piuttosto, perché mi avete salvata?» «Perché conoscete Dante» «Solo per questo?!» «Sì. Mi sono sempre chiesto se esistesse qualcuno che conoscesse il mitico Dante o un qualsiasi autore italiano e voi, madamigella, citate sia Dante che Petrarca come se li conosceste da sempre. Per questo io desidero sposarvi, per salvarvi la vita» «Se non volessi?» «A me non importa che voi mi amiate, desidero solo condividere con voi questa mia passione per la letteratura italiana. Se col tempo vorrete amarmi o meno non sarò io a deciderlo» «Come mai vi trovavate al Palais de Justice?» «Vi ho seguito da quando siete apparsa in mezzo alla strada. Mi avete colpito così tanto che è stato più forte di me non seguirvi» «Devo allora ringraziarvi per questa vostra curiosità, se non vi foste incuriosito io sarei morta. Grazie mille! Se c’è qualcosa che posso fare per sdebitarmi, ditemi pure, sono disposta a fare qualunque cosa o quasi» «Venite con me allora».

L’uomo la portò in un’altra stanza, più piccola ma molto più accogliente, con un divano al centro della sala. Matteo fece sedere Elena poi si assentò un attimo e, quando tornò, aveva in mano un libro. Elena capì che si poteva trattare solo di un libro: “La Commedia”; e, infatti, era quello. Matteo si sedette dietro di lei, appoggiando il mento sulla spalla della ragazza, per leggere quello che diceva Elena. Lei aprì il libro e lesse:

Nel mezzo del cammin di nostra vita

Mi ritrovai per una selva oscura

Ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

Esta selva selvaggia e aspra e forte

Che nel pensier rinnova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;

Ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,

Dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,

Tant’era pien di sonno a quel punto

Che la verace via abbandonai.

Improvvisamente smise di leggere. Matteo si accorse che alcune lacrime stavano cadendo sulle pagine; senza pensarci, tolse il libro dalle mani di Elena e l’abbracciò; lei, allora, si volse ed iniziò a piangere fra le sue braccia. Dopo alcuni minuti, Elena si calmò leggermente e Matteo, approfittando di questa quiete, le chiese «Come mai piangete?» «Mi ricorda la mia epoca, la mia migliore amica, e tutti quelli conosco» «Perdonatemi per avervi fatto leggere», dal suo tono Elena capì che era veramente dispiaciuto per quello che era accaduto, poi rispose «Non potevate saperlo, non lo sapevo nemmeno io. Potrei sapere che anno è oggi?» «Per essere precisi, oggi è il 18 maggio 1516»; Elena fece un calcolo veloce, e sussurrò «488 anni», poi, alzando il tono, chiese «Quanti anni avete?» «Ho 26 anni, voi? Se mi è lecito saperlo» «Vi è lecito saperlo. Io ne ho 17». Dopo una breve pausa, Matteo disse «Sapete, madamigella, v’invidio» «Voi invidiate me?!» «Voi sapete l’italiano e conoscete molti dei miei scrittori preferiti, molto meglio di me» «È strano ascoltare una cosa del genere; soprattutto perché ho trascorso la mia vita a sognare di andarmene dall’Italia, di dimenticare l’italiano e di vivere in un altro Stato, con un’altra lingua e cultura» «In questo voi mi assomigliate». Rimase ancora per qualche minuto fra le braccia di Matteo, poi cadde addormentata.

Quando si svegliò si era dimenticata di trovarsi nel passato; se ne ricordò solo quando vide Matteo parlare con un altro uomo che la spaventò. Elena aveva letto molti libri storici e quell’uomo le ricordava fisicamente uno dei personaggi; ed anche il giudice che solo poche ore prima l’aveva condannata all’impiccagione ma non potevano essere la stessa persona poiché questi era un prete. Era un uomo dall’aspetto austero, calmo e cupo; non lo vide molto nitidamente poiché era ancora assonnata; ma dimostrava circa 35 anni. Tuttavia era già calvo, solo sulle tempie aveva un po’ di capelli, radi e grigi. La fronte era alta e larga e cominciava a solcarsi di rughe, ma negli occhi infossati splendeva una giovinezza straordinaria, una passione profonda.

D’istinto Elena si alzò e si nascose dietro Matteo che, essendo più alto di lei, la nascose totalmente. Matteo, meravigliato di quella reazione le chiese «Che fate?!», lei, in italiano, disse «Quell’uomo»; improvvisamente l’uomo, anche lui in italiano, ripose «Grazie, per la vostra gentilezza»; Matteo, alquanto turbato dal suo comportamento disse «Scusateci», poi afferrò il braccio di Elena, la trascinò fuori dalla stanza e, prima che lei avesse il tempo si parlare, le disse sbrigativamente «Come vi siete permessa di dire una cosa del genere al vescovo di Clermont. Ditemi, perché lo avete trattato a questo modo?!» «M’incute paura» «Non vi farà alcun male, quell’uomo è mio amico» «Sentite, non so perché ma mi fa molta paura!» «Fidatevi di lui, è il mio maestro, è stato lui ad insegnarmi l’italiano» Elena, ad ogni modo, non si sentì per niente confortata da quelle affermazioni, e, rassegnata, rispose «Ho capito. Chiederò scusa a quell’uomo». Soddisfatto da quella risposta, Matteo sorrise, la prese per mano e l’accompagnò nella stanza dal vescovo. Appena entrò nella stanza, si accorse che l’uomo la stava osservando dalla testa alla punta dei piedi, poi disse «Maestro de Foisos, volete che questa creatura resti abbigliata in codesta maniera? Procuratele degli abiti più consoni». Matteo obbedì ed uscì dalla stanza. Elena attese che Matteo fosse abbastanza lontano da non poterla sentire, poi disse «Non crediate che io mi fida di voi, continuo a pensarla nello stesso modo. Per volontà di Matteo, vi chiederò scusa, ma io non lo penso assolutamente»; mentre parlava, Elena, si rese conto che il vescovo era molto stupito di quelle parole, poi fece per risponderle quando entrò Matteo, che disse «Scusate se v’interrompo, maestro; ma mia sorella vorrebbe vedere Elena, perché di me non si fida». Elena seguì Matteo fin davanti ad una porta, poi lui bussò e disse «Roberta, ti ho portato Elena. Io torno dal monsignor vescovo Guillaume de Rym».

Elena entrò molto titubante nella stanza dove c’era una ragazza poco più grande di lei, con i capelli biondo scuro lunghi, finemente legati in un acconciatura che le conferiva un aspetto molto elegante e gli occhi azzurri. Mentre Elena rimase con Roberta per cambiarsi d’abito, scoprì molte cose su Matteo. Il padre era morto quando lui aveva solo 7 anni e, da circa un anno, era morta anche la madre; e da allora si era preso cura della sorella minore come se fosse stata sua figlia. Non aveva mai lavorato in vita sua, poiché i genitori, essendo nobili, gli avevano lasciato molto denaro; ma spesso lui scriveva dei poemi per guadagnare qualcosa da poter lasciare alla sorella in caso lui fosse mancato prematuramente. A parte questo profondo amore nei confronti della sorella, che aveva sei anni in meno di lui, Matteo era pazzo per la letteratura e la lingua italiana; talmente tanto che aveva perfino imparato l’italiano per leggere ogni opera nella lingua originale e non dover fare affidamento sulle traduzione, che, come diceva lui “uccidevano l’opera”.

Proprio mentre lei stava scoprendo queste cose sul conto di colui che l’aveva salvata, poche stanze di fianco, quello stesso uomo stava decidendo la sua vita. Matteo, infatti, mentre Elena dormiva, era andato in chiesa a chiamare l’amico, il vescovo Guillaume de Rym, per sposarli il più in fretta possibile. Avevano ormai deciso tutto, la cerimonia sarebbe stata segreta e si sarebbe svolta pochi giorni dopo, quando entrarono Elena e Roberta. Elena si sentiva molto impacciata in quell’abito, solo pochi minuti prima era vestita molto leggera ed ora indossava vestiti molto lunghi, che, in fondo, a lei piacevano. Per educazione, Matteo riferì ad Elena ciò che i due avevano deciso in sua assenza, dopo averci pensato un po’, la ragazza disse «So che sono solo una donna e per voi non conto, ma credo che non convenga fare tutto di nascosto. Voi avete annunciato le nozze e i soldati, per quanto stupidi, se ne potrebbero ricordare» «La ragazza ha ragione» commentò il vescovo «Non avevamo pensato alle guardie» continuò Matteo, poi, vedendola troppo preoccupata disse «Roberta, portala via, per favore. Madamigella, non vi turbate inutilmente, le cose, prima o poi, le aggiusteremo».

Elena fu accompagnata in una camera da letto da Roberta. Ormai la giornata era al termine, e, nonostante non avesse sonno, si sdraiò sul letto per non pensare a ciò era accaduto. Il suo pensiero, cadde sulla sua famiglia che solo poche ore prima non voleva più vedere ed ora ne sentiva la mancanza.

Il mattino seguente, quando si svegliò, vide nella sua stanza Matteo che la fissava; lei fu sorpresa da quella vista. L’uomo vedendo che Elena si stava svegliando, si voltò e disse «Perdonatemi, madamigella, non volevo spaventarvi. Ero venuto a chiamarvi, ho bussato ma non mi avete risposto e così sono entrato; appena vi ho vista risposare volevo uscire, ma sono rimasto incantato da voi e mi è stato impossibile allontanarmi» «Grazie del complimento, se è ciò che era. Potreste uscire?» «Sì, volevo solo informarvi che la colazione è pronta e che ieri sera io e il vescovo abbiamo deciso tutto, se voi non siete d’accordo, modificheremo qualcosa. A proposito, ieri sera il vescovo è rimasto qui a dormire, perciò in cucina ci sarà anche lui, se non lo volete incontrare affermerò che siete ancora turbata da quello che è accaduto ieri» «No, verrò. Sono grande abbastanza da assumermi le mie responsabilità. Dopotutto non posso fuggire da tutti i miei problemi. Datemi solo qualche minuto per prepararmi». Matteo uscì e l’attese fuori dalla porta.

Alcuni minuti dopo, Elena raggiunse Matteo e, con lui, si diresse alla cucina, dove Guillaume de Rym stava dialogando con Roberta.

Elena si sedette e, per la prima volta da quando era in quella casa, si sentì molto a disagio fra quelle persone anche se non riuscì a capire il motivo di quella sensazione; stava pensando a così tante cose, che il suo volto s’incupì, quando il vescovo disse «Avete dormito bene, madamigella? Ieri credo di non avervi dato una buona impressione, vi chiedo perdono» «La colpa è solo mia, non mi sono preoccupata di conoscervi e vi ho giudicato frettolosamente». Il comportamento che Guillaume ebbe nei suoi confronti la rassicurò e, nonostante il suo aspetto che incutesse ancora paura, nel profondo qualcosa si mosse.

Terminata la colazione, Elena, Matteo e Guillaume si recarono nello studio di Matteo dove discussero per tutta la mattinata sul matrimonio; che si sarebbe tenuto il giorno successivo nella chiesa principale della città e Guillaume stesso avrebbe svolto la cerimonia.

Il giorno dopo, quello delle nozze, Elena parlò con Roberta e le disse, alquanto triste «Avevo pensato spesso a questo giorno e credevo che quando mi sarei sposata l’avrei fatto per amore. Quante volte ho immaginato il mio matrimonio e chi sarebbe stato mio marito. Non avrei creduto di sposare un uomo che neanche conosco», Roberta la rassicurò dicendole «Elena, vi giuro che mio fratello è un brav’uomo e magari, anzi, sicuramente, voi non lo amate, ma vi assicuro che alla fine v’innamorerete di lui», Elena non sapeva che rispondere a quell’affermazione perciò annuì semplicemente.

La cerimonia fu una cosa molto riservata, gli unici invitati furono i parenti più stretti di Matteo, in quanto i suoi genitori erano morti.

Quando Elena e Matteo uscirono dalla chiesa, a cerimonia conclusa, ella vide Guillaume sulla piazza che la fissava con odio e passione. Lei si spaventò e, istintivamente, nascose il volto sul petto di Matteo; iniziò persino a chiedersi come poteva, il vescovo, essere in due posti contemporaneamente: pochi istanti prima era in chiesa, ed ora nel centro della piazza; a meno che non fosse “flash” non poteva essere lui. Improvvisamente si ricordò che esisteva qualcuno in quell’epoca simile a Guillaume: il giudice. Si allontanò da Matteo e, debolmente, gli chiese «Scusatemi, come si chiama l’uomo che mi ha condannata?» Matteo fu molto conciso nella risposta «Ne parleremo dopo» fu tutto ciò che disse.

Appena tornarono a casa, Matteo prese per mano Elena e l’accompagnò nel suo studio; fece per parlare ma cambiò idea, prese un sacchetto da un cassetto, lo aprì e lo privò del contenuto: un anello che porse alla ragazza dicendo «Questo apparteneva a mia madre, voleva che lo dessi alla donna che un giorno avrei sposato». Elena fissò l’anello e si ricordò di averlo già visto da qualche parte, a bruciapelo chiese «Dov’è la mia borsa?» «Intendete quello strano oggetto che avevate a tracolla la prima volta che vi vidi?» «Proprio quello, dov’è?». Matteo uscì dallo studio e, quando tornò, aveva in mano la borsa di Elena, lei, avidamente, la prese ed iniziò a cercare qualcosa dentro. Tirò fuori molti oggetti che a Matteo parvero buffi. Ad un tratto Elena estrasse un medaglione, lo aprì e disse «Ecco dove vi avevo già visto, a chi assomiglio e dove ho già visto quell’anello», detto questo porse il medaglione a Matteo che la guardò con aria molto stupita; lei capendo che non aveva compreso il significato della sua esclamazione disse «Vi spiego cosa intendevo. Io mi chiamo Elena, sia perché questo nome piaceva ai miei genitori, sia perché una mia antenata si chiamava in questa maniera. Qualche giorno fa, quando vi vidi per la prima volta in viso, ebbi la sensazione di conoscervi, di avervi già visto prima di quel momento, ma non compresi bene dove ciò era accaduto. Qualche anno fa mia madre mi disse che assomigliavo molto alla mia omonima antenata e mi diede questo medaglione che la mia famiglia si tramanda di generazione in generazione da Elena de Foisos. Come ho fatto a non capirlo prima?!» «Nessuno può pensare che possa accadere quello che è accaduto a voi», mentre Matteo parlava, Elena aprì il medaglione e vide che conteneva un foglietto scritto, con la sua calligrafia:

Clermont, 15 giugno 1516

Se stai leggendo questo foglio, significa che hai scoperto la verità. Non terrorizzarti, la vita in quest’epoca, dopo tutto, è migliore di quella del 2004. Te lo garantisco.

Elena

Elena rimase a fissare quelle parole per molto tempo prima che riuscisse a riprendersi. Aveva ancora gli occhi fissi nel vuoto quando Matteo le prese il foglio, ormai ingiallito dal tempo, poiché aveva già 488 anni, lo lesse, ma non capì nulla di ciò che era scritto perché era scritto in italiano. Stava per parlare quando, fissando il foglio, vide una scritta in francese, scritta con la sua calligrafia:

Consolala Matteo. Falle dimenticare e impegnala con qualche passatempo.

In pochi secondi, Matteo rifletté, poi disse «Insegnatemi l’italiano e la vostra cultura», ancora scossa per ciò che aveva scoperto e senza prestare molta attenzione, Elena rispose «Se proprio lo desiderate...». Improvvisamente Elena si ricordò di dover domandare una cosa a Matteo e continuò «Come si chiama il giudice?» «Chi?» «L’uomo che mi ha condannata a morte» «Quello! Si chiama Victor de Rym ed è il fratello gemello del mio maestro Guillaume de Rym» «Perché non me lo volevate dire prima?» «Così, mi piaceva l’atmosfera che si era creata e mi dispiaceva rovinarla», Elena sorrise ed alzò gli occhi al cielo.


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Clermont

E

ra trascorso ormai un mese da quel giorno ed ogni pomeriggio, per alcune ore, Elena e Matteo andavano nello studio dove la ragazza insegnava l’italiano e tutto ciò che sapeva al marito. In poco tempo i due iniziarono a provare rispetto reciproco. Il rispetto diventò amicizia profonda, ma si sa che l’amicizia può diventare amore.

Era una giornata di fine giugno molto calda e Matteo ed Elena erano rimasti a studiare fino a tardi. Dalla piazza provenivano le grida di gioia di alcuni bambini che giocavano fra di loro. Accaldata, Elena, si alzò e si affacciò alla finestra per cercare un po’ di frescura, alcuni minuti dopo Matteo la raggiunse e, abbracciandola, le chiese dolcemente «Non credete che sia ora di uscire da questa casa?», Elena, infatti, non era mai uscita dall’edificio, poiché aveva paura che qualcuno potesse riconoscerla e la facesse arrestare nuovamente; continuò a fissare la piazza senza rispondere al marito, poi, improvvisamente, disse «Vengo dal 2004» «Come, scusate?» «Non vi ho mai detto da che epoca provenivo, ora che siate mio amico e marito posso rivelarvelo: provengo dal 2004» «Lo sapevo già. Lessi il biglietto che trovaste nel vostro medaglione un mese fa. Parlatemi della vostra epoca» «Cosa volete sapere? Sempre che mi crediate» «Quali sono le più importanti opere letterarie della vostra epoca?», ma Matteo non prestò attenzione a nessuna delle parole della risposta di Elena. I suoi occhi erano fissi sulle rosse labbra di Elena che si muovevano così graziosamente mentre lei parlava che lui ne rimase incantato. Quando Elena terminò la sua risposa fissò Matteo nell’attesa di un suo commento, ma ciò non arrivò mai. Elena non aveva mai visto quella espressione sul volto di Matteo, era abituata a quella sua espressione sognante, ma in quel momento sembrava piena di passione. Istintivamente Elena si allontanò da Matteo, ma lui si riavvicinò e la cinse dolcemente ed ingenuamente in vita. Elena si guardò attorno, come per cercare una via di fuga da quella situazione. L’uomo sentì il corsetto di Elena scivolargli via delle mani come un’anguilla. Un attimo dopo Elena era seduta alla scrivania, Matteo si domandò perfino come avesse fatto ad arrivare fin là in così poco tempo, ma si sa, l’agitazione fa fare qualsiasi cosa.

Rimasero a studiare ancora per un po’ e, frequentemente, Elena si accorse che Matteo non le fissava gli occhi mentre lei parlava ma le labbra. Quando non riuscì a sopportare quella situazione si alzò e disse «Sentite, sono stanca, credo mi ritirerò nella mia stanza. Continuiamo domani», detto questo uscì speditamente dallo studio, Matteo cercò disperatamente di richiamarla «Madamigella!» urlò più volte, ma lei sembrava svanita nel nulla. Quando capì che anche se avesse urlato con tutta la voce che aveva in corpo fino a diventare muto lei non lo avrebbe sentito tornò nel suo studio e pensò “A quanto pare non sono ancora così vittorioso in amore come speravo”.

Ma proprio mentre Matteo entrava nel suo studio, Elena si gettava sul letto e, in contemporanea al marito pensò “Non so ancora per quanto riuscirò a fuggire da lui. Non ce la farò a sopportare ancora per molto” e con questo pensiero nella testa, si addormentò.

Era trascorsa un’altra settimana ed Elena era riuscita a resistere alle pressioni di Matteo che, in quella settimana, si era calmato un po’.

Quella mattina di luglio Elena si svegliò con, sul comodino, una lettera, l’aprì e lesse

Recatevi nel mio studio, madamigella, c’è una sorpresa per voi.

Matteo de Foisos

Alquanto titubante Elena si recò nello studio del marito e trovò, sulla scrivania, una rosa bianca e, sotto ad essa, un altro foglio con su scritto “Voltatevi”, non fece nemmeno in tempo a voltarsi che la porta dietro di lei sbatté chiudendosi, e nell’ombra vide un uomo i cui lineamenti le erano famigliari, così come la voce, aspra e forte «È stato facile condurvi qui, strega», quell’ultima parola, così dura le fece ricordare a chi apparteneva quella voce: a Victor de Rym. L’uomo si avvicinò a lei e l’abbracciò, lei si divincolò più che poté per fuggire da quel mostro, ma lui non accennava ad allentare la presa. Ogni speranza era ormai svanita in lei: solo un miracolo poteva salvarla. Ma proprio in quel momento un miracolo accadde: qualcuno aprì la porta. Victor, sorpreso dal nuovo venuto allentò la presa ed Elena fuggì. Appena Elena si rese conto che era Matteo gli corse incontro e lo abbracciò in lacrime.

Nessuno dei due uomini parlò per alcuni minuti: l’unico rumore in quella stanza era il pianto di Elena. Improvvisamente Matteo disse «Come avete fatto ad entrare in casa mia?», il suo tono era molto minaccioso, «Mi ha fatto entrare vostra sorella, de Foisos, mi è bastato dirle che ero quel tonto di mio fratello Guillaume perché mi aprisse», sempre più arrabbiato Matteo gli rispose «Andate via da casa mia e non tornateci mai più! Soprattutto non provate ancora a fare una cosa simile a mia moglie». Victor si avvicinò alla porta, si fermò vicino ad Elena e le sussurrò «Ci rivedremo, ve lo prometto». Appena Elena sentì la porta chiudersi, si abbracciò più saldamente al petto di Matteo e pianse ancora più forte. Dopo alcuni minuti si calmò, si staccò dal marito e disse, con la voce ancora strozzata dal pianto «Perdonatemi, grazie, ad ogni modo, per avermi salvato da quell’uomo» «Dovere. Era mio compito proteggervi, come vostro marito»; Elena si mise a ridere nel sentire quella risposta: era il primo vero sorriso da quando era tornata indietro nel tempo. Quando smise di ridere disse, con le lacrime agli occhi «Scusatemi. Eravate troppo buffo quando mi avete risposto!» «Perché vi fa tanto ridere?» «Perché da dove provengo una frase di quel tipo è ridicola» «Ho capito! La prossima volta non vengo ad aiutarvi, vorrei vedere come reagireste»; al solo ricordo di ciò che era accaduto, Elena rabbrividì.

Rimasero alcune ore a dialogare fra loro, quando Matteo chiese «Voi mi amate?» «Perché questa domanda?» «Così...» «Non lo so» «Mi amerete mai?» «Come siete insistente!» «Ma...» «Non vi risponderò, non ora, non qui» gli rispose Elena molto infastidita, ma Matteo continuò «Amate qualcuno?» «Non lo so, per il momento» «Perché non posso essere io?» «Adesso basta» gli urlò Elena alzandosi in piedi, Matteo, capendo di aver esagerato, rispose «Perdonatemi, madamigella», poi chiese «Posso farvi una domanda?», ancora guardinga rispose «Ditemi» «Per caso un vostro antenato era spagnolo?» «Che io sappia no, perché?» «Avete i capelli neri, di certo non francesi, e la carnagione leggermente scura, tipica della Spagna; solo negli occhi non lo sembrate» «Anche la mia me, tornata nel passato, era così» «Vi dimenticate che, essendo voi, anche lei proveniva dal futuro, quindi aveva le vostre stesse identiche caratteristiche. Mi permettete di dirvi una mia opinione? Promettetemi che non vi arrabbierete» «Dite» «Sembrate un’egiziana» «Una zingara, volete dire?» «Sì, non voglio che lo prendiate come un insulto» «Non preoccupatevi, per me è un complimento» «Nella vostra epoca è un complimento?» «No, dovrebbe essere un insulto, ma io lo prendo sempre come un complimento. C’è una ragione per questo mio modo di pensare, ma non ve lo rivelerò mai e poi mai» «Sarà... Sentite, non credete che dobbiate uscire da questa casa? Come avete potuto notare le persone possono entrare e cercare di arrestarvi» «Quello non mi voleva arrestare» «Come, scusate?» «Lasciate perdere» «Dovete uscire, magari con me, o con mia sorella o con Guillaume, ma fatelo!» «Quando arriverà il momento di uscire lo farò, sto aspettando un segno». Appena terminò di pronunciare quella frase, dalla finestra sentì l’allegro suono di un tamburello e gli applausi di alcune persone. Curiosa, si affacciò alla finestra e vide una folla disposta a cerchio con, al centro, una ragazza, che aveva circa la sua età, danzare per il piacere della gente che le era intorno, Elena si appoggiò alla finestra e ne rimase incantata. Matteo, vedendola così assorta, disse «Ecco il segno» e, ingenuamente, le prese la mano, ma lei la ritrasse e disse «È troppo presto!» «Ma...il segno» «Non è questo». Piuttosto rattristato Matteo uscì dallo studio. Elena si affacciò nuovamente alla finestra e lo vide camminare nella piazza a testa bassa.

Elena lo fissò un po’ rattristata per come si era comportata; stava per gridare il suo nome, quando fu nuovamente attratta dalla giovane zingara che danzava, incominciò ad osservarla e si dimenticò del resto. Non sentiva più neppure i rumori che provenivano dallo studio. Improvvisamente sentì una mano nodosa sulla sua bocca che le impediva di parlare, di gridare, ed un’altra mano che la prese per l’addome e la spinse indietro, verso il petto dell’individuo. Elena non riuscì a vedere a chi appartenessero quelle mani e quel petto, ma lo immaginò: non poteva essere altri se non Victor. Elena sapeva che, questa volta, Matteo non sarebbe intervenuto. Istintivamente iniziò a piangere, ma questo gesto non fece commuove Victor, che, impassibile, la voltò e la cinse in vita, sempre tenendole una mano sulla bocca per impedirle di chiedere aiuto. La ragazza, senza pensare a ciò che stava facendo ed avendo le mani libere, cercò di allontanare l’uomo spingendolo per il petto, ma lui era troppo robusto perché venisse allontanato da una ragazzina. Elena aveva quasi perso ogni speranza quando le venne un’idea. Ingenuamente, l’uomo, aveva tenuto la mano sulla sua bocca, allora Elena gli morse la mano, sentì che aveva morso talmente forte che gli fece uscire il sangue. Finalmente l’uomo la lasciò andare, lei prese la piccola statua che Matteo usava per tenere fermi i libri e diede un colpo in testa a Victor che cadde a terra, svenuto.

Elena uscì di corsa dallo studio e dalla casa, corse nella piazza e, quando vide che le persone la stavano fissando, iniziò a camminare a passo veloce. Appena intravide Matteo fra la folla avvertì una sensazione di sollievo, lo chiamò ma lui non la sembrò sentire; lei, allora, affrettò ancora di più il passo e, quando gli fu ancora più vicina, lo richiamò. Appena si voltò, Matteo, sorrise, le corse incontro e l’abbracciò. Elena si allontanò e disse «Perdonatemi, ma ci stanno guardando tutti» «E che guardino pure quanto vogliono. Voi siete uscita dopo tanto tempo e poi io vi amo», quelle ultime parole, Matteo, non le avrebbe volute dire, ma gli sfuggirono, felice com’era che Elena fosse uscita di casa; Elena arrossì, il marito, vedendola, le chiese «Ho detto qualcosa che non dovevo?», lei, balbettando, gli rispose «No, è che è nessuno mi ha mai detto una cosa simile», cambiando discorso, Matteo disse «Cosa vi ha convinto ad uscire?» «Quell’uomo orribile! Voi siete uscito, lui è tornato e, e...» ma non continuò mai quella frase perché rincominciò a piangere. Matteo la consolò, la strinse forte a sé e la portò in chiesa, da Guillaume.

Appena Guillaume vide Elena, con gli occhi gli rossi, disse «Pasqua di Dio! Cos’è successo?», la ragazza stava per rispondere quando Matteo vide che stava per iniziare piangere, allora la bloccò e disse «È vostro fratello». Elena tentò di non piangere ma fu più forte di lei: nascose il volto nel petto di Matteo ed incominciò a piangere. Guillaume rimase stupito nel vederla; Matteo, che era abituato a quella situazione fece segno al maestro di non parlare. Elena pianse per alcuni minuti poi, asciugandosi gli occhi, chiese a Guillaume «Avete conosciuto Luigi XI?» «Sì, perché?» «È per “Pasqua di Dio”, l’avete imparata da lui, vero?» «Sì, ma come fate a sapere di questa sua abitudine, voi non lo avete potuto conoscere» «Lo so che, dato che lui morì il 30 agosto 1483, essendo noi nel 1516 ed avendo io solo 17 anni non posso averlo conosciuto» «Infatti» «Matteo non ve lo ha detto?» «Detto cosa?» «Ve lo dirà in futuro». Guillaume cercò di riportare Elena alla sua domanda, perciò le disse «Cosa vi fa fatto mio fratello?». Elena raccontò, con molte difficoltà ed interruzioni, ciò che era accaduto e che Matteo ascoltò per la prima volta. Quando terminò il racconto Matteo disse «Perciò vi chiedo di dire a vostro fratello di non avvicinarsi mai più a casa mia, a voi forse darà ascolto» «Farò tutto il possibile perché ciò accada, ve lo prometto, ma non sarà facile, conoscendo mio fratello».

lena e Matteo uscirono dalla chiesa ed attraversarono la piazza per ritornare a casa, quando Elena, che aveva ripreso a fissare la zingara, vide che qualcuno la stava maltrattando. Fu impossibile per lei non intromettersi, lo aveva sempre fatto in tutta la sua vita e non pensò nemmeno per un secondo di poter rimanere estranea alla vicenda. Si avvicinò alla zingara, che era caduta a terra a causa degli spintoni che le persone le avevano dato, e l’aiutò ad alzarsi, mentre la folla continuava a schermire la giovane danzatrice. Elena, che non aveva mai capito quando doveva tacere, alterata disse «Cosa vi ha fatto questa giovane?! C’è un buon motivo per cui deve essere maltrattata?» ma nessuno rispose allora lei continuò «Se non c’è nessun motivo per cui deve essere maltrattata, perché lo fate?», una debole voce si alzò dalla folla «Gli zingari mangiano i nostri bambini!» «Ne avete la prova?» le chiese Elena gelidamente «Anni fa a una donna di Reims fu mangiata la figlia!» «Si dà il caso che sua figlia non è mai stata uccisa dagli zingari ma dalla brava gente di Parigi, e quando la ritrovò benedisse gli egiziani. V—» in quel momento Matteo l’afferrò per il braccio e la trascinò lontano, quando si fermarono Elena stava per parlare ma Matteo la fermò e le disse «Cos’avete fatto? Io e Guillaume stiamo cercando di proteggervi e voi vi comportate in questa maniera?» «Ma la stanno maltrattando!» «Non so come la pensiate nella vostra epoca, ma qui gli zingari sono trattati in questo modo» «Ma è da barbari!» «Questo è il nostro pensiero e se non volete attirare troppa attenzione su di voi cercate di non intromettervi mai più» «Per favore, se non posso intromettermi io, aiutatela voi. Quella giovane non ha mai fatto male a nessuno» «Non mi schiero mai...non è mia abitudine farlo» «Vi prego, fatelo per me» «Ma...» «Farò qualsiasi cosa, ma aiutatela!». Matteo s’impietosì, le prese le mani e disse «Lo farò per voi, ma non voglio niente in cambio, l’unica cosa che vorrei, a parte un vostro sorriso, è anche la sola che non avrò mai: il vostro amore», Elena fece finta di non avere udito l’ultima parte della risposta di Matteo; sorrise, contenta, lo abbracciò e gli diede un bacio sulla guancia. Matteo rimase immobile con una mano sulla guancia, Elena allora, vedendolo fermo, gli disse «Muovetevi! Avete una damigella da salvare! Forza, sbrigatevi!».

Matteo lentamente si avvicinò alla zingara e disse «Amici miei, vorrei chiedevi un favore, potete smettere d’importunare questa giovane?» «Anche voi con quest’idea! Non bastava quella mocciosa di prima?!», appena udì questa frase Elena s’infuriò e corse verso l’uomo che aveva pronunciato quell’oscenità, era molto vicina quando Matteo la bloccò e disse «Perdonatela, questa è mia moglie e proprio oggi è uscita per la prima volta di casa da quando siamo sposati perché non si è sentita molto bene, ed ancora adesso non è molto in salute» e mentre diceva ciò tutta la folla aveva gli occhi fissi su Elena, lei si avvicinò a Matteo e gli chiese bisbigliando «Scusatemi, perché mi fissano?» «Vi stanno solo guardando. State calma e non parlate più». Lei obbedì. Alcuni istanti dopo la loro attenzione era nuovamente sulla zingara, Matteo se ne rese conto e perciò disse «Scusatemi, ma mia moglie vorrebbe portare via la zingara, che voi lo vogliate o meno lo farà ugualmente» detto questo prese la mano della moglie, che a sua volta afferrò il braccio della zingara, e la trascinò fino alla casa.

Appena furono dentro all’edificio, Matteo perse di vista le due giovani, solo alcuni minuti dopo scoprì che erano nel suo studio a parlare. Entrò e si sedette in un angolo ad ascoltare il dialogo delle due ragazze. La zingara fu la prima a parlare, disse «Perché mi hai aiutata, señorita?» «Perché non volevo che vi maltrattassero» «Grazie, però io dovrei andare via» «Potrei sapere il vostro nome?» «Mi chiamo Lola, voi?» «Elena, quello è mio marito, Matteo», la giovane zingara si avvicinò a Matteo e disse «Señor, grazie per avermi aiutata», poi, quando tornò a sedersi, Elena le chiese «Quanti anni avete?» «Ne avrò 17 in agosto» «Perciò avete la mia stessa età». Lola si alzò improvvisamente e disse «È tardi, perdonatemi, ma devo andare», poco prima che uscisse Elena le chiese «Dove posso trovarvi?» «Al fiume, ogni mattina», detto questo la giovane fuggì velocemente dalla stanza e dalla casa.


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Clermont

E

rano trascorse due settimane dall’incontro con la zingara ed ogni mattina Elena spariva per circa un’ora e, quando tornava, rimaneva nella sua stanza per molto tempo; a volte Matteo passava davanti alla stanza della moglie e la vedeva ballare e l’udiva canticchiare a mezza voce delle canzoni strane. Matteo aveva provato più volte a domandare ad Elena dove si recasse ogni mattina ma lei non rispondeva mai e cambiava spesso argomento.

Un giorno Matteo ottenne da Elena la promessa che non sarebbe più uscita la mattina; ma non seppe, e non si accorse, mai che la moglie usciva di casa appena lui si addormentava e tornava alle prime luci dell’alba. Molte volte si sentì in colpa a tradire la fiducia di Matteo, in fondo era solo grazie a lui se lei era viva, se respirava quell’aria, se vedeva quel cielo e se ancora si poteva divertire con frottole e follie; e forse, per pulirsi la coscienza da questa colpa, incominciò a leggere al marito “La Commedia”, almeno per poterlo rendere felice in qualche modo.

Ogni giorno Elena leggeva e commentava, come poteva, un canto. Era un giorno sul finire di luglio e quel pomeriggio lei lesse di Paolo e Francesca. Lesse l’intero canto, poi, al termine, Matteo disse «Scusatemi, non ho ben capito questi versi, me li potreste spiegare meglio?», Elena iniziò a spiegare quando Matteo le chiese «Potete rileggere quei versi? Mi piacciono anche se non li comprendo molto bene». Elena allora aprì il libro e lesse:


Amor, ch’a nullo amato amar perdona,

mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m’abbandona.

«Fermatevi, questa è la parte che non ho compreso, di cosa parla?» le disse Matteo, lei allora rispose «Ve la racconto e ve la ripeto, più semplificata, in francese?» «In francese, se non è troppo difficile» «Non preoccupatevi, ed ascoltate. “Amore, che non permette a nessuna persona amata di non riamare, mi fece innamorare a mia volta della bellezza di costui, così intensamente che, come vedi, non mi abbandona nemmeno adesso”», Matteo era pensieroso, quando vide Elena fissarlo, fu ricondotto alla realtà, prese il libro dalle mani della moglie e, indicando dei versi, disse «Non ho capito nemmeno questi». Lei riprese il libro e continuò a leggere:

Noi leggiavamo un giorno per diletto

di Lancialotto come amor lo strinse;

soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fiatate gli occhi ci sospinse

quella lettura, e scolorocci il viso;

ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disïato riso

esser basciato da cotanto amante,

questi, che mai da me fia diviso,

la bocca mi basciò tutto tremante.

Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:

quel giorno più non vi leggemmo avante.

Matteo la interruppe dicendole «Il resto l’ho capito» «”Noi leggevamo un giorno per piacere, di come l’amore prendeva Lancillotto, noi eravamo soli e senza alcun sospetto. Il racconto ci costrinse più volte a guardarci negli occhi e ci fece impallidire. Ma fu un punto quello che ci vinse, quando leggemmo che la bocca desiderosa fu baciata da un tale amante. Costui, che non fu mai diviso da me, mi baciò sulla bocca tremando. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse. Da quel giorno non lo leggemmo più”».

Elena rimase con il viso basso, gli occhi fissi sul foglio, come se non osasse guardare Matteo. L’uomo le tolse il libro dalle mani e lo appoggiò sulla scrivania, poi, si avvicinò alla moglie, che non aveva ancora avuto il coraggio di alzare lo sguardo, e, con un dito, le accarezzò le labbra, per cui la ragazza si raddrizzò scarlatta come una ciliegia. Era ormai vicinissimo al volto di Elena e con una mano dietro alla testa della moglie, proprio come Francesca e Paolo, Matteo riuscì a baciare quella giovane ragazza che era sua moglie e che, da mesi, lui amava e desiderava.

Appena riaprì gli occhi, Elena vide che Matteo era diventato rosso, timidamente gli chiese «Perché siete divenuto rosso?» »»» », lui, arrossendo ancora di più, rispose «Era il mio primo bacio, per voi?», la giovane si stupì e si vergognò allo stesso tempo. Il marito rimase in attesa della risposta per molto tempo, ma Elena stava cercando il modo più delicato per rispondergli, fece un profondo respiro, poi disse «Mi duole dovervi dire che per me non lo era», nonostante avesse cercato di non essere troppo diretta nel dirlo, Matteo si rattristò, a mezza voce disse «Siete sposata, vero?» «Sì, con voi» «No, intendevo nella vostra epoca» «No» «Ma, allora...» «Sono cambiate molte cose dal vostro pensiero. Per esempio questo, oppure la monarchia: sparirà, o la chiesa: non avrà più questo potere sulle persone, anzi non avrà potere affatto; non sapete quante persone non sono battezzate, per di più la chiesa, proprio dal prossimo anno, 1517, subirà molte riforme, sarà cambiata. Nasceranno varie ideologie religiose».

Quella notte si scatenò un violento temporale. Elena, nonostante avesse 17 anni, aveva il terrore dei tuoni. In piena notte si svegliò e si recò nella stanza di Matteo. Timidamente bussò alla porta, una voce assonnata le rispose «Chi siete?» «Sono Elena, posso entrare?» «Prego».

Non era mai entrata nella stanza di Matteo da quando era arrivata in quell’epoca. Era una stanza molto ampia, simile alla sua, solo che era priva di tende e cuscini. Matteo si alzò e, avvicinandosi alla ragazza, le chiese «Cosa ci fate voi qui?», ma non ci fu bisogno di spiegazioni poiché, proprio in quel momento, dal cielo scese un lampo e pochi secondi dopo Elena era attaccata al petto di Matteo con entrambe le mani sulle orecchie per non sentire il tuono. Quella notte Elena la trascorse fra le braccia del marito che, nonostante non fosse in grado di rendere muti i tuoni, la faceva sentire al sicuro e le faceva dimenticare che fuori c’era un temporale.


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Clermont

C

irca un anno era passato da quella notte e il rapporto fra Elena e Matteo era felicissimo. La profonda amicizia si era trasformata in amore, proprio come un bruco che, da crisalide, diventa farfalla.

Victor non si era più presentato a casa loro e di questo Elena n’era grata.

Era un mattino d’inizio luglio quando Elena si svegliò di soprassalto a causa di un incubo; Matteo, che era accanto a lei, le prese le mani e le chiese «State bene?», lei, ancora un po’ scioccata, rispose «Dammi del “tu”! Ormai è più di un anno che abitiamo assieme e ci conosciamo» «Va bene. Stai bene?» «Sì, ho avuto solo un incubo» «Ancora quell’incubo?! È da quasi un mese che vi, scusa, ti perseguita. Non credi ti debba rilassare un po’?» «Sì, ma è che ho paura. E se non fossi una brava madre? Se magari fosse menomato dalla nascita per causa mia? Non me lo potrei mai perdonare» «Questo non accadrà. Sarai una brava madre. A proposito quanto manca alla nascita del bambino?» «Poche settimane, se fossimo nel futuro ti saprei dire anche se sarà un maschio o una femmina e la data approssimativa; ma dovrai accontentarti di quel poco che posso dirti» «Non importa. Mi perdoni se vado al fiume?» «Cosa andresti a fare al fiume?» «Vorrei terminare il mio poema prima della nascita del bambino e se rimanessi qui non scriverei nulla» «Ho capito. Vai pure. Se succedesse qualche cosa ti farò chiamare». Matteo allora si vestì, prese alcuni fogli, qualcosa per scrivere ed uscì per recarsi al fiume.

Quando Elena rimase sola, in camera, si vestì ed iniziò a pensare a tutto quello che era accaduto in quell’anno. Aveva trovato l’amore, nonostante fosse nato in un modo diverso da come aveva sempre immaginato, e che, ciò la rendeva veramente felice, da quell’amore sarebbe nato un bambino. Elena, infatti, era incinta, ed, entro un paio di settimane, sarebbe nato suo figlio. Questo le faceva scordare di provenire dal futuro e di tutto ciò che non esisteva nel Cinquecento. Spesso si sentiva triste ma quando vedeva il viso innamorato di Matteo si riteneva fortunata e felice se le era capitata una cosa così strana.

La sua testa era piena di ricordi e pensieri che impiegò più del solito per uscire dalla sua stanza. Appena aprì la porta vide Roberta seguita da un uomo, Elena chiuse la porta, le si avvicinò e le chiese «Buongiorno Roberta! Se cerchi Matteo non c’è, è uscito un po’ di tempo fa», alquanto delusa Roberta rispose «Cercavo proprio lui» «Come mai? È successo qualcosa di grave?» «No, non preoccuparti. Monsignore il vescovo Guillaume de Rym ha incaricato uno scaccino di portare da Matteo quest’uomo perché parla italiano» sul volto d’Elena apparve un enorme sorriso «Se vuoi posso parlare io con quest’uomo, come sai io conosco perfettamente l’italiano, anche meglio di Matteo» «Credo vada bene. Matteo, ad ogni modo, dov’è?» «È al fiume che scrive. Se vuoi chiamarlo sai dove trovarlo».

Roberta si allontanò lasciando l’uomo con Elena, che, per la prima volta da più di un anno, poté parlare in italiano, gentilmente disse all’individuo «Buongiorno, mi è stato riferito che voi siete italiano», l’uomo con un forte accento toscano rispose «Vi hanno riferito correttamente. Potrei sapere dove mi trovo?» «Vi trovate a Clermont» «Nella regione dell’Île-de-France?» «No, siamo lontani da Parigi! Siamo nella regione dei Midi-Pyrénées, quasi sul confine spagnolo» «Non credevo di aver sbagliato così tanto la strada! Dovevo recarmi a Parigi, alla corte di Francesco I» «Siete molto lontano allora, ci sarà circa un mese di viaggio in carrozza per arrivare a Parigi da qui» «L’avevo immaginato» «Ma che sbadata! Non mi sono nemmeno presentata! Mi chiamo Elena de Foisos» «Io mi chiamo invece Leonardo da Vinci», appena udì questo nome Elena svenne per l’emozione.

Quando riaprì gli occhi Matteo era accanto a lei, l’uomo era ancora lì. Appena Matteo vide che Elena stava riprendendo i sensi, l’aiutò ad alzarsi e, preoccupato le chiese «Ti senti bene?», senza rispondere alla domanda del marito, Elena indicò l’uomo e debolmente disse in italiano «Siete veramente Leonardo da Vinci?» «Sì, sono io in carne ed ossa. C’è qualcosa che non va?» «Mi sento male. Leonardo davanti a me?! Io sto parlando con Leonardo!». Matteo si alzò in piedi, e, a Leonardo, disse «Scusate, potete lasciarci soli un attimo?», l’uomo uscì dalla stanza, poi Matteo chiese ad Elena «Si può sapere perché sei svenuta e poi ti sei comportata così?» «Leonardo da Vinci è il pittore più famoso d’Italia e progenitore di molte cose che, in futuro, saranno inventate» «Cose cosa?» «Chiedilo a lui. Ma ti anticipo una cosa: l’uomo volerà», Matteo fece entrare Leonardo che disse «Meraviglia! Scusate se ho inavvertitamente udito l’ultima frase ma era detta con tale enfasi che non poteva non giungermi alle orecchie. Qualcuno che non mi prende per pazzo quando dico che l’uomo volerà!» «Non siete pazzo, siete un genio!» gli rispose Elena, Matteo sembrava molto scettico su quest’idea «L’uomo non volerà mai. Se avesse potuto volare avrebbe avuto le ali» «Per fortuna la storia non è fatta da persone come te, Matteo» gli rispose Elena, poi, rivolta a Leonardo, continuò «Scusatemi maestro, ma non siete già venuto in Francia? Come mai non parlate il francese?» «Veramente, madamigella io il francese lo capisco perfettamente, d’altronde fra di voi, prima, avete dialogato in francese e vi ho compreso. Il fatto è che, quando sono uscito dalla carrozza, ho ritenuto di trovarmi ancora in Italia, sapete mi ero appisolato, e così ho parlato in italiano, per il resto sono stati i vostri compaesani a ritenermi ignorante nella loro lingua» «So che siete un pittore. Avete alcune delle vostre opere con voi? Qualche bozza magari» «Sì, ho tutti i miei schizzi, sapete mi sto trasferendo definitivamente in Francia» «Potrei vederne alcuni?» «Sono nella mia carrozza» «Perché non vi fermate in questa casa, fino a che non vi sarete riposato e vogliate ripartire», gli chiese gentilmente Elena, con la stessa cortesia Leonardo le ripose «Grazie della proposta, accetto volentieri, anche perché non saprei dove andare. Se volete accompagnarmi, messere, andrei a prendere le mie cose» disse rivolto a Matteo.

Circa trenta minuti dopo i due uomini erano di ritorno. Si recarono nella stanza in cui Elena li stava attendendo ed, appena entrarono, videro la ragazza stesa a terra con la mano destra insanguinata, un pugnale accanto ed una ferita al braccio sinistro. Matteo si avvicinò a lei per sollevarla e posarla su una sedia, ma Leonardo lo fermò «Non toccatela». Il pittore si accostò alla giovane, dopo un po’, si voltò verso Matteo e gli disse «Andate a prendere degli stracci per pulire la ferita e dell’acqua calda per disinfettarle il braccio». Quando Matteo tornò, Elena stava iniziando a riprendere i sensi e si stava sedendo sul pavimento; l’uomo posò l’acqua e gli stracci accanto a Leonardo ed, abbracciando la moglie le sussurrò «Sono felice che tu stia bene», lei vide la sua mano insanguinata disse «Cos’è accaduto? Perché ho la mano piena di sangue?», poi, muovendo il braccio ferito, e sentendo dolore, continuò «Ora ricordo», ma Leonardo la interruppe «Riposatevi, vi farà bene» «No, rimandare il ricordo renderà solo più doloroso farlo», si alzò e, rivolta a Matteo, chiese «Mi puoi portare dello zucchero?», se l’ordine che gli diede Elena era strano, Matteo non lo diede a vedere, uscì e, quando tornò aveva in mano una ciotola che porse alla moglie. Lei prese una mancata di zucchero e la mise sulla ferita; Leonardo, meravigliato, le chiese «Scusatemi, a cosa serve?» «Per aiutare la ferita a cicatrizzarsi» «Affascinante! C—», ma Matteo lo interruppe «Cos’è accaduto?». Elena si avvicinò alla finestra e cominciò «Ero qui che aspettavo il vostro ritorno, quando ho sentito dell’aria sulla schiena, così mi sono avvicinata alla porta per chiuderla, ma quando sono tornata alla finestra ho visto un uomo, o almeno credo che fosse tale, non lo vidi in volto poiché ero controluce, intravidi solo il pugnale. L’unica cosa che ricordo prima di essere svenuta è il dolore al braccio» «So chi è stato, è sicuramente lui. Non bisognava fidarsi di questa quiete» disse Matteo a denti stretti, Elena gli prese le mani e gli disse «Non è stata la quiete prima della tempesta. Quell’individuo non era Victor, ormai lo riconosco, lui in confronto alla persona che si è intrufolata qui è molto più basso e un po’ più robusto». Il volto di Matteo si era incupito nell’ascoltare quel racconto, perciò Elena, per confortarlo un po’ lo abbracciò e gli sussurrò «Non è successo niente, io e il bambino stiamo bene. Questo è quello che veramente importa».

Quella sera Leonardo da Vinci si fermò a casa di Matteo. Elena trascorse la serata ad osservare le bozze del pittore come se fossero delle sacre reliquie. Quando tutti furono stanchi e le candele erano quasi totalmente consumate, Matteo accompagnò Leonardo nella sua stanza, quella che, fino ad un anno prima, era appartenuta ad Elena, poi, appena si fu congedato dal pittore, andò nella propria camera dove la moglie lo attendeva. Appena entrò le disse «Come fai a fidarti di quell’uomo in questo modo?» «Perché non credo che un uomo che crea cose meravigliose possa essere malvagio» «Tu lo conosci solo per quello che la storia ricorda e, sicuramente, non si ricordano i lati negativi di una persona» «Matteo, se, per caso, invece di essere qui Leonardo da Vinci ci fosse Dante Alighieri, tu ti fideresti oppure no?» «Certo che mi fiderei di lui» «Ecco, allora io mi fido di Leonardo come tu ti fideresti di Dante e non capisco perché per te sia diverso», Matteo non sapeva più cosa rispondere, perciò augurò buona notte ad Elena e si addormentò.


Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Clermont

E

ra da una settimana esatta che Leonardo era giunto a Clermont e non era ancora ripartito poiché, volendosi sdebitare con Matteo ed Elena per la loro accoglienza, li aveva invitati a Parigi. Inizialmente i due avevano accettato l’invito ma, sfortunatamente, il giorno prima della partenza era nato il bambino e così i due avevano dovuto rimandare il viaggio almeno a quando il neonato non avesse avuto almeno un mese.

Quella mattina Matteo vide Elena per la prima volta dopo la nascita del figlio. Quando Elena si svegliò vide, per prima cosa, suo figlio, Matteo, infatti, glielo aveva messo accanto, e voltandosi vide il marito che si era addormentato sul letto vicino a lei mentre le stava accanto; lei si sedette cercando di non far rumore, per non svegliarlo e, prendendo una coperta, gliela mise sulle spalle.

Era quasi riuscita nel suo intento se non fosse che, muovendosi, aveva svegliato il bambino. Alle urla del figlio, Matteo si svegliò e, appena vide Elena sveglia, le chiese «Come stai?» lei, che aveva preso in braccio il neonato e lo calmava, rispose «Bene, anche se sono stata meglio» poi, guardando il bambino continuò «Come lo chiameremo?» «Non avevo mai pensato al nome da dargli» «Io avevo pensato a “Paolo”» «”Paolo”... come mai? Qualcuno che conoscevi e a cui volevi bene si chiamava così?» «No, non per quello. È perché è un nome che mi è sempre piaciuto» «Non è brutto come nome» «Pensare che sarebbe mancato solo un anno perché il mio desiderio fosse diventato realtà. Se solo non fossi arrivata qui!» «Se volevi tanto rimanere nella tua epoca, perché sei venuta qui?» «Io non volevo! Stavo camminando per la strada con la mia migliore amica e, in un secondo, tutto intorno a me è cambiato. Inizialmente credevo che fosse uno scherzo, ma non lo era. Pensai che la mia vita sarebbe finita quel giorno, poi, però, arrivasti tu; l’uomo che mi salvò la vita nonostante non sapesse niente di me. Se devo essere sincera avevo paura di te» «Paura?!» «Sì, non ti conoscevo, non ti avevo mai visto in volto e, nel primo dialogo che c’è stato fra noi, tu hai utilizzato un tono minaccioso e che mi ha terrorizzata» «Non volevo farlo apposta. Dato che siamo in periodo di confessioni, ti voglio rivelare una cosa: non ti ho voluta sposare perché conoscevi Dante, magari anche per quello, ma principalmente poiché eri una ragazza molto carina e, se me lo lasci aggiungere, questa permanenza nel passato ti ha fatto diventare anche più bella» «Non cercare di adularmi. Non credevo di potermi innamorare di te. Sarà stato il tuo nome; il mio idolo si chiama così, però lui è più grande di te... Chissà cosa sta succedendo nel mio presente. Magari mi hanno presa per morta». In quel momento bussarono alla porta: era Roberta con Guillaume.

I due rimasero nella stanza per poco tempo, quello necessario perché Roberta prendesse Paolo e Guillaume, Matteo. In poco più di un minuto era da sola. Allora si alzò dal letto e, affacciandosi alla finestra, vide la zingara che canticchiava fra sé e sé alcune melodie gitane. Elena la chiamò e lei, appena la vide, disse «Come stai, Elena? Sono mesi che non ti vedo» «Bene, anche se sono un po’ stanca, perché non vieni su?» «Non voglio disturbare» «Non disturbi. Forza, vieni pure»; vide Lola sparire nel portone e, un attimo dopo, apparire Guillaume che alzò lo sguardo e la salutò, lei, sorridendo, contraccambiò il saluto.

In un anno Elena aveva imparato a conoscere e a voler bene a Guillaume come ad un padre o un fratello maggiore. Oramai i due erano diventati amici, molte volte Elena usciva di casa e non vi ritornava per molte ore poiché si recava in chiesa da Guillaume.

Lola alla porta la riportò alla realtà. La zingara abbracciò felice Elena e le disse «Cos’hai fatto per tutto questo tempo che non ti ho più vista?» «Veramente...ho avuto un figlio» «E non me lo hai detto?! Quando è nato?» «Ieri sera, sono così felice» «E perché non è con te? Fra noi egiziani i bambini non si separano mai dalle madri per i primi giorni» «L’ha preso Roberta per portarlo a riposare e lasciarmi tranquilla» «Ma...è un maschio o una femmina?» «Un maschio. Tu, Lola, come stai? Hai qualche novità?» «Sì. Qualche settimana fa è entrato nella corte degli zingari un viaggiatore che i miei fratelli malviventi volevano uccidere così, per salvargli la vita, l’ho sposato» «Non me lo hai mai detto!» «Non ci siamo viste, come facevo a dirtelo?! Comunque l’ho sposato solo perché non volevo avere nessuna persona sulla mia coscienza» «Per quanto dovete stare sposati?» «Per due anni» «Come si chiama?» «Heron» «Che strano nome! Da dove proviene, lo sai?» «No, non abbiamo quasi mai parlato. Mi evita sempre e quando gli rivolgo una domanda fa finta di non avermi sentita e se ne va» «È anche maleducato!» «Infatti!» «Com’è esteticamente?» «È un uomo molto alto con i capelli biondi, ha anche uno strano accento nella sua parlata, credo che non sia francese» «Senti, Lola, che ne dici di andare a vedere mio figlio Paolo? Da quando è nato l’ho visto solo per mezz’ora» «Per me va bene, io sono una ragazza molto curiosa e non vedo l’ora di vedere tuo figlio: sia tu che Matteo siete delle belle persone e il vostro bambino non può che essere bello». Elena si cambiò d’abito poi, con l’aiuto di Lola, scese le scale e si recò nella stanza di Paolo. La porta era stata solo accostata e così poté entrare senza fare rumore; appena entrò vide un uomo, totalmente al buio, con, in braccio, Paolo. Senza nemmeno riflettere Elena disse «Chi siete? Cosa ci fate qui con mio figlio?», l’uomo si volse e, meravigliato, rispose «Elena, sono solo io, Matteo. Volevo vedere mio figlio!» «Perdonami» gli disse debolmente Elena, allora prese Paolo e fece segno a Lola di avvicinarsi. Quando la zingara vide Paolo disse «Avevo ragione. Scommetto qualsiasi cosa che questo bambino quando sarà grande avrà molte spasimanti» «“Ogni figlio è bello a mamma sua” ma lui sarà veramente bello. Ne sono sicura», presa dall’emozione Elena non si rese conto di aver parlato in italiano, Lola si stupì nel sentirla, per la prima volta, parlare in quella lingua; ma Elena pensava ad altre cose perché potesse vederla. Prese per mano il marito e si affacciò alla finestra. Il sorriso, sempre presente sul suo volto, in poco tempo sparì, appena Matteo se ne rese conto le chiese «Cosa c’è?» «Quell’uomo» rispose la ragazza indicando un uomo nella piazza «Chi è? Qualcuno che conosci?» «Sì, è colui che mi ha lasciato quella bella cicatrice sul braccio». Vedendoli così intenti ad osservare qualcuno, Lola, curiosa, si avvicinò ai due e, felice, disse «Elena, guarda! C’è mio marito; è quello alto vestito di nero» Matteo si volse bruscamente e chiese «Quello biondo?» «Sì, lui», con voce tremante Elena disse «Una settimana fa mi ha quasi pugnalato. Guarda il mio braccio sinistro, è stato lui a farmi quella cicatrice» «No, non può essere stato lui, non farebbe del male ad una mosca!» rispose incredula la gitana «Non farà male ad una mosca ma ad una ragazza sì» «L’hai visto in volto? Sei sicura che sia lui?» «Non l’ho visto ma sono sicura che sia lui» «Se non l’hai visto non puoi sapere che è veramente stato lui! A quanto pare non sei l’amica che credevo!» detto questo Lola corse via dalla casa.

Uscita dalla casa, Lola, credette di piangere poiché aveva litigato con l’unica persona che fosse sua amica senza essere anche una malvivente o una zingara. Stava per imboccare un vicolo per tornare fra la sua gente, quando vide Heron parlare con un uomo piccolo e grassoccio, appena terminarono la discussione lo strano individuo seguì l’omino in un vicolo buio. La curiosità era il difetto peggiore di Lola, seguì i due nel vicolo.

Seguì i due uomini per numerose strade finché non arrivò di fronte ad un palazzo, dove l’uomo piccolo si congedò. Heron aprì il portone dell’edificio e vi entrò; con incredibile agilità Lola riuscì ad entrare a sua volta nel palazzo senza che nessuno se ne accorgesse. Per molti scalini seguì Heron senza fare rumore e rimanendogli sempre abbastanza lontano perché lui non si potesse rendere conto di lei ma perché lei riuscisse sempre a vederlo. Improvvisamente Heron entrò in una stanza ma richiuse la porta dietro si sé impedendo quindi l’accesso alla stanza a Lola che, però rimase fuori ad ascoltare la conversazione.

Intanto nella stanza Heron si era seduto e, con lui c’era un uomo, quell’individuo che Elena non riuscirebbe a guardare in volto senza provare paura. Il primo a parlare fu Heron «Perché mi avete chiamato?» «Vi ho pagato per svolgere un compito, dopo una settimana non ho ancora visto il risultato» rispose l’uomo che si trovava con Heron, Lola credette dovesse essere un uomo non molto coraggioso poiché la sua voce tremava di paura; Heron, con noia, rispose «Non è colpa mia se quella ragazza è svenuta, inoltre era anche incinta. Mi basta spezzare una vita, due sono troppo» «Avevate la vostra preda su un piatto d’argento e ve la siete fatta sfuggire!» «Io non volevo approfittare della sua debolezza. Solo un debole lo fa» «Va bene, voi non lo siete. Ma io vi ho pagato perché me la portaste non la sfregiaste, avete rovinato quella sua bella pelle morbida che una volta riuscii a sfiorare, cosa darei per poterlo fare ancora» «Vi devo lasciare solo?» «No, io voglio quella ragazza viva e incolume il più velocemente possibile» «C’è un uomo con lei, sempre» «Uccidetelo» «Ma...» «Fate come ho detto, non voglio vederlo più. Troppe volte si è intromesso nelle mie faccende» «Come volete, ma per questo nuovo lavoro voglio essere pagato il triplo di prima» «Così sia. Ma ora andate e tornate solo a compito ultimato».

Sentendo che i due uomini si stavano alzando, Lola fuggì via il più in fretta possibile per non essere vista. Cercò di essere sempre silenziosa ma anche veloce, poiché aveva sentito che Heron stava lasciando, anche lui, il palazzo. Fortunatamente trovò una porta aperta, uscì e si nascose in un angolo buio dove vi rimase fino a tardo pomeriggio quando tornò fra la sua gente.

Appena entrò nella sua stanza Lola era ancora scioccata per ciò che aveva sentito quel giorno seguendo Heron. Si sdraiò sul letto a riflettere: doveva dire ad Elena che qualcuno stava cercando di rapirla, ma il suo orgoglio era troppo alto e non voleva nemmeno ammettere che aveva torto, che Heron non era così buono come credeva lei, ma non voleva più parlare con Elena. Perciò, sapendo ciò che Heron doveva fare, si avvicinò di più al marito e, dovunque egli andasse lei non lo lasciava mai solo, lo accompagnava sempre.

Ma, dopo un mese lei si stancò di fare la serva di Heron, che aveva approfittato della situazione per ordinare a Lola qualsiasi cosa, ed andò a raccontare ciò che aveva sentito ad Elena e Matteo.

Uscì dalla sua casa ed andò a casa di Elena, per la prima volta dopo quel litigio. Bussò e Roberta le aprì la porta, la quale rimase meravigliata di vedere una zingara alla sua porta, diffidente le chiese «Cosa venite a fare qui, zingara?» «Devo parlare di una cosa ad Elena e Matteo», Roberta, dispiaciuta, le ripose «Mi dispiace ma sono partiti qualche giorno fa per Parigi» «Quando torneranno?» «Non ne ho idea, non hanno parlato di nessuna data di un possibile ritorno» «Va bene, grazie lo stesso», e mentre si allontanava pensò fra sé “Meglio così, almeno a Parigi, Heron non potrà fargli del male e, quando torneranno glielo dirò”. Molto più sollevata, Lola andò nella piazza dove aveva conosciuto Elena ed iniziò a ballare per la gente.


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Clermont

D

opo quasi tre settimane di lungo viaggio, e precisamente il 4 settembre, Elena, Matteo e Leonardo finalmente arrivarono a Parigi. Leonardo aveva insistito molto perché Matteo ed Elena lo accompagnassero alla corte del re; e, nonostante Elena preferisse visitare Parigi, Matteo la obbligò ad andare alla corte del re poiché per lui era una cosa importante.

Circa un’ora dopo i tre scesero dalla carrozza, Elena si avvicinò a Matteo e gli disse «Mi sento in colpa per essere venuta fin qui con Paolo», infatti, con loro, c’era anche Paolo «Non potevamo lasciarlo a Clermont» la rassicurò Matteo «Hai ragione, però mi sento una madre snaturata per aver fatto affrontare ad una creatura così piccola questo lungo viaggio!» «Non sei una cattiva madre! Non preoccuparti. Ormai Paolo è cresciuto parecchio, è un bambino robusto» «Spero tu abbia ragione. Sai, Matteo, sono agitata. È la prima volta che vedo un re» «Non capita tutti i giorni di essere alla corte reale» «Questo è vero, ma è ancora più difficile visitare la corte reale se non ci sono più dei re» «Come fate a governare la nazione?» «Dei re ci sono ancora, ma sono rimasti per lo più per figura. È il parlamento a governare al posto del re e la maggior parte degli Stati sono democratici» «Come può il popolo governare?» «Il popolo elegge delle persone che li rappresentano e che prendono le decisioni migliori per lo Stato» «Come può questa essere democrazia se altri decidono per loro» «Matteo, è complicato spiegartelo. Prendilo come dato di fatto» «Io voglio capirlo!» «Smettetela di parlare di democrazia nel palazzo d'un re!» li interruppe bruscamente Leonardo. Da quel momento nessuno dei due parlò più. L’unico ad emettere qualche rumore era Paolo che, appena entrato nel palazzo del re iniziò a piangere ed Elena impiegò molto per tranquillizzarlo.

Appena entrarono nella sala del trono Elena rimase affascinata dalla grandezza e dalla magnificenza della stanza, Matteo dovette quasi trascinarla. Attraversarono l’intera sala per arrivare ai piedi del re, Francesco I che, con voce solenne disse «Mi hanno riferito che voi avete accolto il mio pittore Leonardo da Vinci nella vostra casa poiché lui si era smarrito. Ve ne sono grato e per questo vorrei sdebitami con voi» «Essere di fronte ad un potente re come voi è la più grande ricompensa che un uomo possa desiderare» rispose Matteo, ma Francesco I continuò «Non siate così modesti, ci sarà pur qualcosa che desiderate, o siete venuti fin a Parigi solo per incontrare me», Elena stava per parlare ma Leonardo richiamò l’attenzione del re che, terminato il discorso del pittore, disse «Leonardo sostiene che la vostra sposa vorrebbe visitare interamente Parigi, è vero?» «Sì, Leonardo ha perfettamente ragione» «Perfetto, vi dono una casa a Parigi dove desiderate voi, quando avrete deciso riferirtelo ad uno dei miei scrivani», timidamente Elena disse «Veramente, vostra maestà, avremmo già deciso» «Meraviglioso. Cos’avreste deciso?» «Si potrebbe sulla piazza del sagrato di Notre-Dame?» «Certo che si potrebbe. Potete andare, ho molte cose da fare».

Usciti dal palazzo un servitore del re li fermò e disse «Sua maestà il re mi ha ordinato di accompagnarvi alla vostra dimora. Seguitemi alla carrozza», appena furono dentro Matteo chiese ad Elena «Hai già visitato Parigi?» «No» «Allora come hai potuto rispondere al re?» «Matteo, devi sapere che sognavo di recarmi a Parigi da molto tempo, ma non avrei mai pensato in un modo come questo».

In quello stesso momento a Clermont, Victor stava vagando per la città, pensando ad Elena, alla sua dolce pelle e a ciò che lui aveva progettato di farle. Sapeva perfettamente che rapirla non gli avrebbe permesso di essere riamato da Elena, ma voleva almeno sperarci. In lui la speranza era l’ultima cosa a morire. Ciò era dovuto al suo passato. Quando Victor e Guillaume nacquero la loro madre morì a causa di complicazioni durante il parto, i due bambini furono cresciuti dal padre, un uomo politico molto importante nella città, che, nonostante addolorato per la perdita della moglie, si risposò. La donna era molto bella e gentile e, in poco tempo, si affezionò ai due figli adottivi.

Per molti anni questa famiglia fu felice, finché, un giorno, dopo un burrascoso litigio, la matrigna, a cui Victor era molto affezionato, se ne andò. Ciò provocò in Victor un trauma enorme che si tramutò in un odio molto forte contro il padre, che aumentò quando Guillaume decise di dedicarsi alla vita monastica, lasciandolo solo col padre.

Proprio a causa di quest’odio era diventato molto violento con tutti, perciò il padre lo costrinse a studiare legge. Durante gli studi si trasferì a Tolosa e lì, in un giorno molto freddo dell’inverno, entrando in una taverna molto accogliente incontrò la sua matrigna che si era risposata. In tutti quegli anni Victor non aveva mai smesso di sperare di poter rincontrare la sua matrigna. Per ciò lui era una persona molto speranzosa, anche se la ragione sa che tutta quella speranza è inutile per ottenere quello che desiderava.

Intanto Elena e Matteo erano finalmente arrivati sul sagrato di Notre-Dame a Parigi.

La casa che Francesco I donò loro era situata proprio di fronte a Notre-Dame; paragonata a quella di Clermont era più piccola ma la sua architettura era migliore.

Elena trascorreva molte ore affacciata alla finestra, la mattina o la sera, ad osservare la cattedrale; partecipava anche a svariate messe ogni giorno perché le piaceva molto osservare l’architettura di Notre-Dame e la maggior parte delle volte Paolo era con lei.

Una mattina di due anni dopo Matteo si svegliò al pianto di un neonato; in quei due anni, infatti, era nato un altro figlio: una femmina che Elena aveva insistito per chiamarla Angelica. Aveva allora 3 mesi ed era già molto bella, con i capelli neri e gli occhi azzurri. Matteo si svegliò e prese in braccio Angelica per farla smettere di piangere, intanto anche Paolo, che dormiva con i due genitori, si era svegliato. Al coro delle urla della figlia, Elena si svegliò. Macchinalmente Elena si alzò, prese in braccio Angelica e, ancora assonnata, la cullò finché non si calmò, quando smise di piangere la posò sul letto. Stava per tornare a dormire quando Matteo la fermò e le disse «Oggi sono tre anni che ci conosciamo», Elena, ancora intontita, rispose «È vero, mi ero dimenticata di ciò che è accaduto. Ormai per me il 1500 è la mia casa. Pensandoci meglio. Non ti ho mai raccontato la mia storia» «No. In quel giorno in cui arrivasti dicesti cose che non ho mai capito» «Mi domandavo come mai tu non avessi detto nulla. Normalmente a sentire una cosa del genere si rimane increduli» «Da quel poco che tu dicesti il primo giorno, ti ritenni delirante, lo stesso quando scopristi il medaglione. Io non feci altro che assecondarti. Solo col tempo compresi quello che dicevi e cosa intendevi dire. Se devo ammetterlo, la cosa mi affascina parecchio. Quanti uomini hanno una moglie che proviene dal futuro? Dimmi tu che puoi saperlo, diventerò uno scrittore importante?» «Non ti risponderò. Tu devi vivere per il presente, non con la prospettiva del futuro» «Per favore» «No, io so cosa significa sapere tutte le cose orribili e meravigliose che accadranno, cose che neanche la persona con la più fervida immaginazione può pensare» «Allora, mi parli della tua famiglia?» «Già che non ti ho mai parlato di loro. Comunque la mia famiglia siete voi: tu, Angelica, Paolo, Roberta e Lola. A proposito di Lola e Roberta, mi mancano. Cosa ne dici di tornare a Clermont?» «A me piacerebbe. Ma non eri felice di essere a Parigi?» «Sì, ma mi manca quel paesino tranquillo, la mia amica gitana, Roberta e Guillaume» «Ma sai che tornare là significa avere nuovamente a che fare anche con Victor» «Sono dell’idea che si sia dimenticato di me» «Sarà, ma io non mi fido».

Matteo aveva ragione a non fidarsi, poiché in quei due anni Victor non si era per niente scordato di lei, anzi, ogni giorno, quell’idea fissa si era rafforzata molto. Ma Elena e Matteo non potevano sapere cosa significava tornare a Clermont ed abbandonare quel perfetto luogo d’asilo. Così, una settimana dopo, partirono per tornare a Clermont.


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Clermont

T

rascorse altre tre settimane, Matteo, Elena e i due figli fecero ritorno a Clermont.

Nei due anni in cui furono lontano dal loro paese accaddero tante cose, alcune delle quali avrebbero sconvolto molto Elena. Fra i due adulti, lei era talmente felice di essere di ritorno e di poter rincontrare tutte le persone a cui voleva bene che preferì recarsi subito da Lola e Guillaume.

Insieme con Angelica si recò nel covo degli zingari, dove incontrò la sua migliore amica, Lola. In quegli anni era cresciuta molto ed era diventata ancora più bella, i suoi lineamenti e il fisico erano maturati ed ora si poteva definire una donna, più di quanto lei non fosse. Appena Lola la vide le corse incontro felice del ritorno dell’amica, quando le fu vicino l’abbracciò e le chiese «Come va? Come sei stata a Parigi?» «Bene, non potrei stare meglio, ho un marito che mi ama e che amo e due figli meravigliosi. Piuttosto, tu? Non ti ho più vista da quel giorno in cui litigammo. Scusami, avevo torto» «Non preoccuparti, avevi ragione tu e fortunatamente i due anni di matrimonio sono terminati, ora sono sposata con un uomo che amo, quanto ad Heron non l’ho più visto e ne sono felice. Per il resto sto benissimo» «Non sai quanto mi sei mancata, ho così tante cose da raccontarti» «Adesso che mi viene in mente, dovrei dirti qualcosa, ma non mi ricordo più cosa. Magari mi verrà in mente. Forza, racconta!». Elena rimase insieme a Lola a chiacchierare per ore prima di decidersi ad andarsene. Quando uscì preferì far prima visita a Guillaume che a Roberta.

Uscì quindi dal covo degli zingari e si recò in chiesa. Appena entrò si accorse che c’era qualcuno con Guillaume, percorse un piccolo corridoio e, appena fu dal vescovo, scoprì chi fosse l’uomo con lui. Era Matteo con Paolo. Meravigliata della presenza del marito chiese «Cosa ci fate voi due qui? Non dovevate essere a casa?» Matteo si avvicinò a lei e le disse «Eravamo a casa, infatti, però volevo parlarti; così siamo venuti qua» «Era così importante che non sei neanche riuscito ad aspettare il mio ritorno a casa?» «Più che altro è che sapevo che saresti tornata tardi e poi Paolo voleva vederti, l’hai viziato troppo ed ora vuole stare sempre con te!» «Si vede che tu non sei un buon padre, e comunque quella che l’ha cresciuto finora sono io, non tu. Com’è bello poterti rivedere, Guillaume!». In quel momento le campane suonarono le sei di sera e Matteo disse «Perdonatemi ma conviene tornare a casa. È tardi e si staranno preoccupando».

Elena, dopo aver salutato Guillaume, prese in braccio Angelica mentre il marito afferrò la mano di Paolo ed uscirono dalla chiesa.

Sulla strada di ritorno Elena domandò a Matteo «Perché prima hai detto “si staranno preoccupando”?» «Quando arriveremo a casa lo scoprirai» «Dai, dimmelo, per favore» «Fra poco saremo a casa e lo scoprirai», improvvisamente Elena chiese al marito «Posso chiederti una cosa? Come sono morti i tuoi genitori?» «Mio padre è stato ucciso da uno del popolo, durante una rappresentazione teatrale. Era scoppiata una violenta lite e lui ha cercato di riappacificare gli spettatori; solo che loro non volevano smettere. Così uno di loro ha estratto un pugnale e lo ha colpito. Io ero lì e l’ho visto morire ma non ho potuto fare nulla per salvarlo. Era un uomo favoloso: altruista, generoso con tutti; lo ammiravo molto ed è sempre stato il mio modello ed essere, anche per poco, simile a lui, per me è un grandissimo onore.

«Mia madre è mancata nel 1514, l’inverno di quell’anno fu particolarmente freddo. Lei si trovava in un paese vicino da una sua sorella e là si ammalò. Io e Roberta facemmo appena in tempo a salutarla un’ultima volta, poi lei morì». Mentre stavano parlando erano arrivati a casa.

Quella sera Elena, dalla stanchezza, si addormentò nello studio di Matteo.

Quando si svegliò, la mattina seguente Elena vide che Paolo era accanto a lei nel letto che la guardava, cercando di essere il più sveglia possibile gli chiese «Cosa ci fai qui, tesoro?» «Papà litiga con un uomo in cucina» meravigliata Elena domandò «Com’è quest’uomo?» «Alto, magro e brutto» «E perché papà è arrabbiato?» «Non lo so»; Elena abbracciò il figlio poi disse «Io vado a vedere, tu stai qui».

Elena si vestì velocemente poi andò in cucina ma la trovò vuota, si recò anche nello studio di Matteo ma anche qui non trovò nessuno. Decise allora di tornare da Paolo e là, finalmente, trovò il marito, curiosa gli domandò «Con chi stavi litigando prima?» «Ma io non stavo litigando con nessuno» «Paolo mi ha detto che eri con un uomo» «Ma non ero con nessuno, ti ho detto» «Tu mi stai nascondendo qualcosa, ne sono sicura. Ormai ti conosco fin troppo bene, ma se mi stai nascondendo qualcosa so che hai i tuoi buoni motivi per farlo» dopo una breve pausa Matteo disse «Che ne dici di uscire un po’, noi due da soli?» «E i bambini? Non vorrai mica lasciarli da soli! È da irresponsabili!» «No, possiamo chiedere a mia sorella di tenerceli per un paio di giorni» «A parte che non sono ancora riuscita a incontrare tua sorella, però dov’è che vorresti andare?» «Vicino a qui c’è una cosa di mia proprietà, non ci vado più da quando mia madre è morta; volevo venderla. Ora che la famiglia si sta allargando abbiamo bisogno di denaro e quella casa mi può fruttare parecchio. Però prima di venderla volevo dargli un’ultima occhiata» «Non mi fido, i bambini sono così piccoli…» «Prenditi una pausa. È da quando è nata Angelica che fai la mamma a tempo pieno e non più la moglie. Ho bisogno di te, anch’io ho bisogno di una pausa. Per favore…» «E va bene, mi hai convinta» «Allora, tu vai da Guillaume, ti vengo a prendere fra un po’».

Elena salutò i suoi figli, in particolar modo Angelica, poi si recò da Guillaume ed attese Matteo.

Entrò in chiesa e s’incamminò da Guillaume per parlare con lui mentre attendeva Matteo ma, appena arrivò davanti allo studio del vescovo qualcosa le impedì di entrare in chiesa. Insieme a Guillaume c’era qualcuno: suo fratello Victor. Elena voleva fuggire ma era talmente terrorizzata che non riuscì a muovere le gambe.

Intanto nello studio, Victor, con il solito tono minaccioso, arrogante e pieno di sé disse «Fratello, guai a te se mandi a monte il mio brillante piano!» il fratello, come sempre pacato e riflessivo rispose «Non posso proibirti di fare sciocchezze ma posso evitare che tu faccia delle stragi»; Victor afferrò la maniglia della porta, iniziò a girarla , poi si volse per l’ultima volta verso Guillaume e continuò «Ricordati le mie parole, fratello, o tu farai la stessa identica fine!» detto questo aprì la porta ed uscì. Elena, che non si era ancora riuscita a muovere fu scoperta da Victor che la fissò con uno sguardo penetrante, lei, terrorizzata, non si rese conto in quale lingua stesse parlando, in italiano disse «Scusate, non ho fatto niente. Io stavo camminando e vi ho sentito. Non è colpa mia, parlavate così forte che vi ho sentito e io… scusatemi, per favore». In quel momento era apparso anche Guillaume che, come volesse coprirla, disse al fratello «Non preoccuparti, era solo italiano, glielo sto insegnando», con tono acido Victor commentò «Ma davvero? A me sembrava più la lingua delle streghe piuttosto che italiano!», cercando di essere sicuro di sé Guillaume rispose «Andiamo, tu credi troppo a queste cose! Arriverà il giorno in cui qualcuno ti accuserà di stregoneria!»; alquanto irritato e senza dire una sola parola, Victor uscì.

Appena Guillaume fu sicuro che nessuno lo sentisse disse «Cosa ti è passato per la testa?! Parlare in quella lingua che nessuno conosce!» «Perdonatemi, la paura mi ha fatto dimenticare tutto» «Ad ogni modo, piccola, perché sei qui?» «Matteo ha deciso di andare un paio di giorni in una casa che sta per vendere. Secondo me lo fa per nascondermi qualcosa. Voi che ne pensate?» «Io so cosa non vuole dirti. Me lo ha detto ieri. In ciò che sta cercando ardentemente di tenervi all’oscuro centro anche io, perdonami» «Alle scuse preferirei la verità. Ma sembra che non sia all’altezza della verità» «Quando voi tornerete, ti diremo tutto» «Diremo cosa?» chiese Matteo che era appena entrato nella stanza; con uno sguardo profondo, Guillaume rispose «Tu sai di cosa sto parlando, non credi che sia un comportamento infantile? È grande abbastanza per sapere la verità!», severissimo Matteo disse «Elena esci per favore, aspettami fuori dalla chiesa, io devo parlare un attimo con Guillaume» «Ma…» «Fa come ti ho detto. Per una volta nella tua vita, chiudi quella bocca e dammi ascolto!». Triste Elena eseguì l’ordine del marito ed uscì dalla chiesa. Rimase alcuni minuti ad attendere Matteo, poi lui arrivò.

Appena Elena vide Matteo credette che fosse molto arrabbiato per qualcosa che Guillaume doveva avergli detto, sorridente, si avvicinò al marito che, quando la vide, cambiò improvvisamente espressione e tornò ad avere l’aria dolce che Elena era abituata a vedere. Matteo le prese la mano e le sussurrò «Ti amo, scusami se prima ti ho trattata male, non era mia intenzione». Poco dopo Matteo si allontanò un attimo per prendere i cavalli che aveva lasciato vicino alla chiesa e poi partirono.

Mezz’ora dopo erano arrivati di fronte ad una casa imponente, il giardino attorno era stato trascurato da quando la madre era morta, ma appena entrarono videro che era rimasta pulita come se qualcuno ci stesse ancora abitando. Le stanze erano sontuose, anche se, paragonate alle ville sfarzose del Re che avevano visto a Parigi, erano modeste e semplici.

Girovagando per le stanze Elena si ricordò di aver già visitato quella villa prima di allora; infatti, quella casa, col tempo, era diventata un museo che aveva visitato durante una visita ai parenti di sua madre.

Quella sera, quando Matteo andò nelle cantine per controllare che non ci fosse più nessun oggetto di loro proprietà, scovò alcune persone che si erano rifugiate là. Infuriato, li costrinse ad uscire; proprio in quel momento arrivò Elena che impedì a Matteo di cacciarli di casa. Fuori la temperatura era bassa e farli passare la notte all’aperto equivaleva condannarli a morte. Elena riuscì a convincere Matteo di permettergli, almeno per quella notte, di rimanere in casa; lui accettò, a patto che, la mattina seguente, poco dopo l’alba se ne andassero dalla sua proprietà.

Quando, la mattina seguente, Elena si svegliò, trovò davanti alla sua porta un foglio e un orecchino. Prese il foglio e lesse:

Mucias gracias, señorita por averci aiutado da aquél ombre.

Yo te lascio esto orecchino por rengraziarte.

Que tu puede una vida muy feliz

Quando terminò di leggere, Matteo era già arrivato vicino a lei, le prese il foglio di mano e lesse ciò che vi era scritto. Dopo che ebbe finito, s’infuriò talmente tanto che strappò il foglio e le disse «Non provare a raccontare questa storia in paese, non voglio diventare lo zimbello di tutti! E non metterti mai quell’orecchino, è da plebaglia comune, non voglio che la gente creda che io sia diventato un nobile da quattro soldi». Arrabbiata e delusa dalla reazione di Matteo, gli diede uno schiaffo e, preso il cavallo, tornò a casa dai suoi figli.

Appena fu tornata a Clermont si precipitò a casa, dove, per la prima volta dopo tanto, rincontrò Roberta. In quel momento fu felicissima di averla potuta riabbracciare, ma questa felicità era destinata a svanire presto.

Roberta accompagnò Elena dai figli, ma quando entrò nella stanza, qualcosa colpì la sua attenzione: invece di due bambini ce n’erano tre. Oltre a Paolo e Angelica, c’era una bambina di circa un anno che rassomigliava molto a una bambola di porcellana talmente era bella e delicata. Roberta si avvicinò a questa bambina, la prese in braccio e disse «Elena, ti presento la mia bambina, si chiama Fiordaliso»; fu molto felice per Roberta, che finalmente aveva trovato l’uomo della sua vita.

Le due donne stavano parlando quando, improvvisamente, qualcuno bussò al portone. Elena andò ad aprire. Davanti a sé vide un vassallo del Re con un pacco in mano, dopo essersi accertato della sua identità, l’uomo le lasciò il pacco e se ne andò.

Tornata in casa prese il pacco e lo aprì, dentro vi trovò un quadro, una lettera e un piccolo sacchetto. Aprì la lettera e lesse.

Bonjour madame et messieur de Foisos,

Meglio parlare in italiano, lo preferisco. Come avete potuto notare vi ho voluto mandare un mio quadro appena completato per ringraziarvi al meglio per la gentilezza che voi avete dimostrato nei miei confronti. Ho cercato di fare in modo che questo dipinto fosse il più simile alla realtà, e spero lo sia.

In quel sacchetto ho messo un piccolo gioco, inventato da me, per il vostro bambino Paolo.

Come dite voi, madame Elena, Hola (anche se non so cosa significhi).

Spero che nel giungervi la mia lettera voi tutti godiate di ottima salute.


Leonardo Da Vinci

Terminato di leggere, Elena guardò il quadro e riconobbe la stessa immagine contenuta nel suo medaglione. Fissando l’immagine di Matteo non riuscì a trattenere le lacrime; sentendola piangere Roberta si avvicinò a lei e le chiese «Cos’è successo?» «Ho dato uno schiaffo a Matteo» «Hai fatto solo bene! Non sai quante volte si merita un bello schiaffo! Quando eravamo piccoli avrei tanto voluto farlo anch’io, ma nostra madre ci ha sempre impedito di picchiarci» «Sì, ma io non sono sua sorella» «E cosa importa? Poi, se conosco bene mio fratello, vedrai che arriverà qui quasi in ginocchio per chiederti scusa; inoltre sono certa che se l’hai picchiato un motivo l’avevi avuto. Non preoccuparti; se Matteo fosse un uomo normale allora saresti nei guai, ma lui ti ama troppo e non ti farà mai nulla di male, anzi, è disposto a star male lui piuttosto che vederti soffrire» «Grazie Roberta. A proposito, chi è il papà di questa bella bambina?» «Matteo non te l’ha detto?» «No, sono giorni che continua a nascondermi qualcosa», sentendo dei passi Roberta disse «Dev’essere arrivato».

Ma non fu il marito di Roberta ad arrivare; bensì fu Matteo che, appena vide Elena si ginocchiò e le disse «Perdonami! So che sono già lo zimbello di tutti, in fondo nessun uomo lascerebbe tutte queste libertà alla propria moglie e alla sorella. Ti prego perdonami! Ti amo troppo e non voglio renderti infelice» «Tu però dimmi cosa stai cercando di nascondermi da giorni» «Non serve che te lo dica, tanto fra poco lo scoprirai da sola». Roberta, che capì a cosa si riferiva Matteo disse «È mio marito, vero? Da quando ti ho detto che mi ero sposata e poi hai scoperto con chi, mi tratti diversamente. Due anni a Parigi e neanche una lettera, mentre io almeno una volta ogni due settimane ti facevo avere mie notizie. Torni e te ne vai via subito. Si può sapere cosa c’è che non va con me?!» «Veramente non centri tu, inoltre io ho risposto a tutte le tue lettere e se me ne sono andato via subito era perché non volevo che Elena vedesse tuo marito» «Ma perché?» «Lo capirai quando i due si vedranno» «I due chi?» disse un uomo entrando in quella stanza. Quest’uomo era molto alto, magro, coi capelli biondi.


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


Clermont

M

eravigliata Elena urlò «Tu!» «Scusa ragazzina, ci conosciamo?» «Non ti ricordi di me?! Mi hai quasi pugnalata!» «Mi spiace ma io non ho mai fatto del male ad anima viva» «Bugiardo!!». Elena stava quasi per ferire Heron, perché quell’uomo altri non era se non lui, quando Matteo la bloccò; le afferrò la mano, la portò nel suo studio e, prima che lei potesse parlare, disse «Non provare mai più a colpirlo! Non abbiamo nessuna prova per incolparlo, purtroppo non puoi pensare che qualcuno ti creda e soprattutto che Roberta ti creda!» «Ma è la verità, lui ha tentato di uccidermi!» «Io ti credo, ma se gli altri no, non posso obbligarli a pensarla come me!» «Matteo, ho paura!» «Di morire?» «No, di non vederti più, di non sentirti» «Non permetterò mai che tu muoia per mano sua» «Grazie Matteo».

Quando tornarono indietro Heron era sparito. Elena allora andò nella sua stanza e lo trovò dentro. Prima ancora di lasciarlo parlare disse «Vattene via dalla mia stanza, mostro!», quando l’uomo si voltò disse «Sei da sola, piccolina…» la porta in quel momento si chiuse da sola, poi Heron continuò «Guarda, guarda, sembra che tutto ti sia contro. Sei qui, sola con me, nessuno ti può sentire, nessuno ti può salvare…» mentre parlava continuava ad avvicinarsi sempre di più ad Elena finché non la bloccò contro la parete e le sussurrò ad un orecchio «Ricordo ancora con quale piacere ho ferito il tuo dolce braccio; eri così bella che avrei voluto possederti. Peccato sia arrivato quel guasta feste di tuo marito, ma non arriverà, non oggi. Tu quest’oggi sarai mia, soltanto mia!» intanto che parlava continuava ad abbracciarla e a toccarla. Proprio mentre Heron baciò Elena, Matteo entrò e, in un primo momento, rimase di pietra; poi però afferrò l’uomo ed iniziò a prenderlo a pugni. Elena cercò di separare i due uomini ma Matteo le disse «Ti rendi conto di quello che ha fatto? Di quello che ti stava facendo?» «Sì; però non è prendendolo a pugni che si risolve qualcosa» «E cosa dovrei fare?! Trattarlo come un essere umano? Lui è solo una bestia, e così dovrà essere trattata!» «Fermatevi!» gridò Elena.

Improvvisamente Heron bloccò Matteo, gli puntò un coltello alla gola e disse «Solo tu puoi salvarlo, Elena. Basta un tuo sì e il tuo adorato maritino avrà salva la vita» «Cosa devo fare? Sono disposta a tutto pur di salvargli la vita» «Devi concederti a me e consegnarti al mio padrone che deciderà cosa fare di te» Matteo, che non voleva che la moglie accettasse quel patto, disse «Non devi farlo! La mia vita non vale questo sacrificio. Preferirei morire che pensarti sua» «Mi dispiace Matteo, non voglio vivere nel rimorso di averti lasciato morire quando potevo salvarti la vita»; dopo una breve pausa continuò «Fa di me quello che vuoi». Come promesso, Heron lasciò libero Matteo che corse da Elena e le disse «Cambia idea, ti supplico, fallo almeno per i bambini» «Ma non capisci?! Se avessi rinunciato tu saresti morto e poi mi avrebbe rapito lo stesso» «Troverò un modo per liberarti, lo giuro». In quel momento Heron disse «Elena, il tempo è scaduto, devi venire con me» «Un attimo!» rispose ad Heron; poi, voltandosi verso Matteo, continuò «Una vita per una vita, ho saldato il mio debito. Ti amerò per sempre» con le lacrime agli occhi diede un ultimo bacio al marito, poi si avvicinò ad Heron. I due stavano uscendo dalla stanza quando Matteo aggredì Heron sperando di poter liberare la moglie, ma Heron si voltò e lo pugnalò dicendo «Non volevo farlo»; Elena corse da Matteo, che era in fin di vita. Con il poco fiato che gli rimaneva, disse «Aveva promesso che non mi avrebbe ucciso, il patto non è stato rispettato, ora sei libera» «Matteo, sei un pazzo! Perché l’hai fatto?» «Ti amavo troppo per vederti con un altro» «E i bambini?! Non ci hai pensato?!» «Ti amo. Ad--dio» «Matteo, NO! Ti prego svegliati! Non puoi abbandonarmi così! Ti supplico, torna da me». Elena rimase per alcuni minuti a piangere sul cadavere del marito poi Heron la sollevò di peso e la portò via. Durante tutto il tragitto Elena non fece altro che piangere e dibattersi; a chi la vedeva Heron diceva che era in preda ad un attacco di follia. Quando Heron liberò Elena lei non aveva ancora smesso di piangere, preso da un atto di pietà, portò la donna in una stanza e lì la lasciò per tutto il giorno.

La mattina dopo, Elena aveva smesso di piangere anche se, ormai, non aveva più la vitalità di sempre; chi l’avesse vista l’avrebbe scambiata per una statua greca: bellissima esteriormente ma senz’anima.

Poco dopo che si era svegliata, nella stanza, entrarono Heron e Victor. Fino al giorno prima, se avesse incontrato Victor, avrebbe cercato di aggredirlo però, questa volta, rimase ferma, con gli occhi ancora gonfi per il tanto pianto; Victor riuscì addirittura ad avvicinarsi ad Elena senza che lei opponesse la minima resistenza. Victor si sedette accanto ad Elena che, per la prima volta dopo un giorno in silenzio, con un leggero tono di voce, disse «Mi fate pena, entrambi. Potete avere il mio corpo, ma di sicuro non avrete mai il mio cuore» «Io non voglio il tuo amore! Ti ho desiderata dal primo istante in cui ti vidi e non avrei mai permesso che t’impiccassero. Ti avrei salvata io, ma è arrivato quell’idiota di de Foisos a rovinare i miei piani; ma ora non verrà più quello stupido perché, finalmente, ha avuto la fine che si meritava». Nel sentire queste affermazioni, Elena sputò addosso a Victor, lui si ripulì e disse «Sei una bestia feroce, ma io saprò domarti!»; detto questo uscì dalla stanza, infuriato, lasciando la donna sola con Heron. Lui le si avvicinò e le disse «Vedrai che prima o poi ti passerà» «Come posso tornare felice sapendo che non potrò più abbracciare i miei figli; che l’uomo che amavo e che mi aveva salvato la vita ora non c’è più?! Ed è tutta colpa mia! Solo mia!» «Se tu hai una colpa è quella di essere così bella e misteriosa» «Com’è possibile che tu, che ora mi conforti, abbia potuto fare delle cose così malvagie?» «Avevo bisogno di denaro ed ero disposto a fare qualsiasi cosa per vivere. Così ho scoperto che Victor cercava qualcuno che lavorasse per lui; seppi solo dopo cosa avrei dovuto fare» «Potevi tirarti indietro però» «No, aveva minacciato di far del male alla mia famiglia se non gli avessi obbedito. Ora però riposati, sono certo che ti farà bene un po’ di riposo».

Heron uscì dalla stanza e si recò da Victor, che lo stava aspettando, con un sorriso maligno; il giudice gli chiese «Com’è andata?» «Il piano ha funzionato, sono certo che fra pochi giorni lei si fiderà ciecamente di me. Come si può credere, però, che io sia una brava persona?!» «È il più grande difetto di chi è buono di spirito».


Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


Clermont

E

ra trascorso un mese dalla morte di Matteo ed Elena non si era ancora ripresa, non era neppure riuscita a rivedere i suoi figli. Nel paese giravano voci che dicevano che lei era veramente una strega e che, dopo aver avuto degli eredi a cui tramandare la sua magia, aveva ucciso il marito, che sapeva tutto, ed era sparita.

Durante quel mese, Elena aveva tentato più volte la fuga ma ogni volta Victor la ritrovava prima che lei potesse essere lontana e al sicuro.

Era una mattina di fine luglio quando il piano di Victor ed Heron venne a galla.

Heron entrò nella stanza di Elena e le disse «Buon giorno Elena! Victor mi ha detto di portarti a vedere una cosa» «E se io non volessi?» «Ti prego, Elena, fallo per la mia famiglia, Victor potrebbe rifarsi su di loro» «Va bene, ma lo faccio solo per loro. Cosa devo vedere?» «Non me l’ha voluto dire, ha detto solo che è una sorpresa».

L’uomo accompagnò Elena in una stanza che lei non aveva mai visto, molto luminosa, ma con uno spesso strato di polvere che ricopriva gli oggetti. Una volta dentro Heron si congedò dicendo «Ti lascio sola, torno fra poco, tu intanto siediti da qualche parte». Mentre aspettava, Elena si guardò attorno e vide che, in un angolo c’era un piccolo coltello che attirò la sua attenzione; appena lo raccolse la porta dietro di sé si aprì ed Heron disse«Ti ho portato la sorpresa, siediti perché potresti svenire dalla sorpresa. Chiudi anche gli occhi e non aprirli finché non te lo dico io». Elena obbedì ma appena chiuse gli occhi qualcosa la costrinse ad aprirli.

Sentì una mano che le percorreva il corpo, quando aprì gli occhi vide Victor che, con sguardo lussurioso, continuava a toccarla. Prima che l’uomo avesse potuto rendersene conto, Elena si era alzata e stava puntando il coltello, che aveva trovato, a Victor. In preda alla rabbia disse «Heron, fammi uscire da qui, per favore» ma con una strana voce Heron rispose «Mi dispiace, sciocca, io non sono mai stato dalla tua parte. Mai. Sono solo un bravissimo attore, ti ho ingannata così bene». Allora il suo istinto prevalse ed Elena bloccò Victor puntandogli il coltello alla gola sussurrandogli «Digli di lasciarmi andare!» «Tu mi dai il tuo amore?» «Scordatelo!» «Allora tu dammi le tue labbra!» «Tu liberami» «Tu concediti a me e poi lo sarai». In preda alla rabbia, Elena affondò leggermente il coltello nella carne ed uscì qualche goccia di sangue; preso dallo spavento, Victor, con tono autoritario, continuò «Heron lasciala andare, è libera». Per evitare che Victor la fermasse prima che lei fosse libera veramente, afferrò un pesante oggetto e colpì l’uomo, che cadde a terra privo di sensi.

Non appena riuscì ad uscire da quella casa infernale, Elena si precipitò in Chiesa dove corse da Guillaume. Qui, la prima parola che pronunciò fu “Asilo”, meravigliato, il prete chiese «Elena, cosa ti è successo? Dopo la morte di Matteo sei sparita. Non sei neanche venuta al suo funerale, ed ora, che ritorni qui a me, implori il diritto d’asilo. Cosa può esserti mai capitato?». Elena cercò di calmarsi, poi raccontò a Guillaume ciò che le era successo; al termine il prete disse «Adesso Victor mi sente» «No, rischieresti solo di morire. Per favore, avvisa Roberta che porti qui i miei bambini e che faccia venire anche Lola, ho bisogno di parlarle».

Guillaume esaudì le richieste di Elena e, dopo circa mezz’ora, Roberta arrivò coi bambini. Paolo appena vide la madre le corse incontro ed Elena iniziò a piangere dalla felicità; proprio in quel momento arrivò anche Lola. Dopo qualche minuto Elena disse «Lola, ho bisogno di un grande favore da parte tua» «Dimmi pure, se posso lo farò volentieri» «Prendi i miei figli e crescili tu come fossero tuoi». Roberta, però, s’intromise e disse «Scordatelo! Non lascerò che i figli di mio fratello crescano con gli zingari» «Lo faccio per il loro bene, Roberta. Conoscendo Victor, sarebbe in grado di vendicarsi sui miei figli, ma fra gli zingari loro sono al sicuro. Farò in modo che i bambini sappiano chi sono e qual è la loro origine e tu, Roberta, mi aiuterai» «Come farai?» «Lola lo farà per me. Farà in modo che crescano senza pericoli e, quando saranno grandi abbastanza racconterà loro la verità e torneranno da te» «Non dire sciocchezze! Tu vivrai e sarai tu ad occuparti dei tuoi figli» disse Roberta «No, Roberta, purtroppo so che non sarà così. Io morirò molto presto, me lo sento» «Non scherzare su queste cose!». Elena rimase coi bambini poi, a tarda sera, a malincuore dovette dire addio a Roberta, Lola e ai suoi figli.

Quella notte Elena non riuscì a dormire poiché continuava a ricordare quando era morto Matteo e poi di quel giorno appena trascorso.

Alle prime luci dell’alba, Guillaume andò a fare visita ad Elena. Appena lo vide, Elena ebbe una strana sensazione, il suo istinto le diceva di non fidarsi, ed aveva ragione. Guillaume, o almeno quello che Elena credeva essere il prete, le si avvicinò e disse «Vieni con me, è già tutto pronto, ho trovato il modo per salvarti da mio fratello. Hai solo da fuggire con me» «Dove mi porterai?» «In posto non lontano da qui, da dei miei colleghi. Là sarai al sicuro. Te lo prometto». Titubante, Elena lo seguì fuori dalla chiesa, per diverse vie, fino ad arrivare alla “Place du Roi”, chiamata dal popolo “Place des condamnées”, poiché al centro della piazza si trovava un patibolo dove venivano giustiziate solo le donne poiché agli uomini spettava tutt’altra fine: la decapitazione.

Elena cercò di ribellarsi ma Victor, perché in realtà Guillaume era Victor, la trattenne e le disse «Ecco la tua ultima scelta! O ti concedi a me per sempre o ti darò in pasto al boia» «Preferisco essere la sposa della forca che un gioco nel tuo letto!» «Non fare sciocchezze, a questo mondo bastano due morti per questo peccato!» «Due morti?!» «Il mio caro fratellino è andato a fare compagnia al tuo dolce maritino all’inferno!» «Assassino!» «Allora, sei o no dell’assassino? Mi basta un sì e ti porterò via da questo posto e vivremo felici» «Mai! Preferisco raggiungere Matteo e Guillaume!». Preso da un impeto di follia, trascinò Elena fino alla forca dove legò il bel collo con la corda e, una volta attivato il meccanismo di morte, fissò il corpo della donna ondeggiare privo di vita.


Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** capitolo 10 ***


Clermont

V

ictor staccò la corda dal corpo di Elena e, una volta che la ebbe fra le braccia, andò nel suo palazzo a contemplare tale bellezza. La coprì di baci e di carezze per ore intere, proprio come una madre che coccola il suo bambino.

Il suo corpo era ancora caldo e il rigor mortis non era ancora sopraggiunto, quando Heron entrò in quella stanza, trovando Elena stesa al suolo in una pozza di sangue, con sopra di sé Victor, morto. Accanto ai due corpi senza vita, Heron trovò un foglio, lo aprì e lesse

Una rosa che si disseta dei raggi del sole

Un fringuello che canta un’ode alla vita

Anima di fragile cristallo,

La tua morte pesa sui nostri cuori

Gonfi di nero dolore

Ma il tuo canto e la tua bellezza continueranno

A risuonare nell’eco dei nostri passi

Tra le strade di questa indifferente città

E finché questo Sole risplenderà sulle sciagure umane

Il giorno dopo questo ritrovamento si celebrarono i funerali di entrambi. Elena fu sepolta accanto alla tomba di Matteo, affinché potessero essere accanto per l’eternità. Sulla loro tomba fu posta una statua che li raffigurava, insieme e felici; sulla lapide fu incisa la poesia di Victor.

Dopo circa vent’anni, Angelica si sposò con uno zingaro e, proprio quel giorno, Lola decise che era il momento adatto per mantenere la promessa fatta alla sua grande amica anni addietro. Raccontò ad Angelica e a Paolo il loro passato e, alquanto meravigliati, decisero di ritornare ad essere dei de Foisos.

Dopo circa 465 anni, dai figli di Angelica, nacque Elena.

Quando Elena compì 14 anni, i suoi genitori la portarono in Francia, a Clermont, dai suoi parenti. Là le raccontarono la romantica storia dei loro antenati Matteo ed Elena, visitò il museo e fu portata, da sua madre, alla cappella di famiglia per poter vedere la testimonianza delle loro origini nobili. La statua che era stata posta sulla tomba dei due antenati colpì l’attenzione di Elena, che vi si avvicinò e, letta la poesia sulla lapide, disse «Quanto vorrei poter vivere una storia d’amore bella come la loro!». Ma purtroppo il destino era pronto ad esaudire il sogno di una ragazza.

The End


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=95498