Clermont di son usagi (/viewuser.php?uid=15493)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
Clermont
ra un giorno come tanti quello
che, per Elena sarebbe diventato l’inizio della fine.
Elena aveva 17
anni e frequentava il terzo anno in una scuola superiore come tante, aveva
lunghi capelli neri e occhi grigi. Francese per parte di madre, italiana per
padre, viveva in Italia da quando era nata a parte qualche visita in Francia, a
Clermont, dai parenti della madre; parenti che, da ciò che aveva capito,
avevano origini nobili.
A parte per questa particolarità, a prima vista, Elena
appariva come una ragazza come tante che viveva in un paesino nel nord Italia
con la sua famiglia. Ma un giorno non fu più una come tante.
Era una
giornata soleggiata di metà maggio e stava passeggiando con la sua migliore
amica per una via affollata quando, improvvisamente, la strada per la quale
camminava e le persone intorno a lei cambiarono. L’asfalto divenne porfido, le
persone cambiarono abbigliamento e tutte avevano gli occhi fissi su di lei.
Inizialmente
pensò che si trattasse di uno scherzo dei suo amici, ma quando vide che stavano
sopraggiungendo dei soldati capì che si sbagliava. Il capo dei soldati si
avvicinò a lei e le disse «Vous êtes
une sorcière! Arrêtez-elle!». Ma prima che potesse rispondere due
soldati le bloccarono le braccia, le legarono le mani con delle corde, la
sollevarono e la misero su di un cavallo. In quel momento Elena realizzò di
trovarsi nella Francia del passato.
Dopo alcuni
minuti di viaggio sentì il cavallo fermarsi e delle possenti mani afferrarla
per la vita e sollevarla. Quando fu con i piedi per terra vide davanti a sé un
enorme palazzo e sulla facciata lesse le parole “Palais de Justice”. Fu trascinata in una sala molto ampia che
fungeva da tribunale.
Passati alcuni secondi a
dibattersi da quelle mani dei soldati così forti e così strette, Elena perse
ogni speranza e si lasciò trascinare fin su una sedia accanto ad una persona
che lei identificò come il giudice. Quest’uomo era alto, con molti capelli
grigi, gli occhi scuri, magro e con in viso una strana espressione, quasi
felicità mista a preoccupazione. Elena pensò avesse circa 35 anni, nonostante
il viso fosse pieno di rughe. Dopo qualche istante quest’ultimo parlò, disse
alcune frasi in latino che Elena non comprese, poi, in francese, continuò
«Strega, il vostro modo di vestire è quello del demonio, avete da dire qualcosa
in vostra discolpa?» «Non sono una strega!» «Zitta, figlia del demonio, voi
sarete impiccata alle prime luci dell’alba, perché ci potreste portare alla
dannazione solo col vostro sguardo!» «Non avete mai letto Dante? La donna,
proprio attraverso gli occhi, porta l’uomo alla beatitudine e alla salvezza»
«Taci, voi non potete conoscere Dante, è troppo colto per una donna, e in
particolare, per una strega». Fece segno alle guardie di portarla via e, mentre
Elena stava uscendo dall’aula vide un uomo che aveva indosso una cappa blu che
gli ricopriva il volto, l’unica cosa che riuscì ad intravedere furono delle
ciocche di capelli biondi che spuntavano da esso.
Elena venne condotta in una
cella molto piccola, umida e buia, con una balla di paglia in un angolo.
Trascorsero alcune ore, o minuti, questo, Elena non seppe capirlo, poiché la
luce che riusciva ad entrare nella cella era fioca, poi apparve improvvisamente
di fronte a lei quell’uomo che precedentemente aveva intravisto nell’aula e che
per poco non la spaventò «Non vi preoccupate, madamigella, non voglio farvi del
male» le disse l’uomo, poi dolcemente continuò «Desidero solo liberarvi.
Fidatevi, ve ne prego». Elena lo fissò un po’, poi rispose «Mi fido di voi».
L’uomo estrasse delle chiavi da un taschino del farsetto ed aprì la serratura
della porta della celletta; poi cercò qualcos’altro nella cappa ed estrasse un
altro mantello simile al suo, ma più piccolo e molto più femminile e glielo
porse. Lei lo indossò senza fare polemiche e lo seguì fuori dal palazzo.
Avevano percorso circa 600 metri dal Palais de
Justice, passando per piccoli vicoli quando alcuni soldati gli vennero
incontro. L’individuo bisbigliò ad Elena «Copritevi il volto e non parlate
mai», poi alzando il tono continuò «Gendarmi, amici miei, cosa fate in giro
sotto questo sole?» un paio di loro si avvicinarono ai due e dissero «Maestro
Matteo de Foisos, qual buon vento vi porta da queste parti?» «Stavo cercando un
po’ d’ispirazione per terminare il mio ultimo poema» «Avete ancora quel brutto
blocco?» poi, rendendosi conto della presenza di Elena, disse «Ma cosa vedono i
miei occhi. Quella creatura accanto a voi chi è? Se mi è lecito saperlo» l’uomo
orgoglioso della domanda rispose sorridendo «Questa fanciulla è la mia futura
moglie. È molto timida e riservata» «Non sapevo che vi stavate per sposare,
maestro» disse in tono accusatorio il gendarme «Volevo che fosse una sorpresa»
poi, come per cambiare discorso, chiese «Come mai, ad ogni modo, siete qui?», il
soldato, come tornando alla realtà rispose «È fuggita la strega e la stiamo
cercando, voi ne sapete qualcosa?» «Sprecate il vostro tempo con me. Sapete che
mi curo solo di letteratura, non di prigioniere» «Se sapete qualcosa fateci
sapere» «Contateci pure».
Elena, che non vedeva nulla da
sotto il mantello, sentì i passi dei due soldati che si allontanavano; poi una
grossa mano afferrò la sua e si sentì trascinare per alcuni vicoli. Durante il
tragitto Elena spostò leggermente il mantello da davanti al volto per vedere
l’uomo che la stava trascinando. L’unica cosa che vide, dato che l’uomo le
mostrava le spalle, furono i lunghi capelli mossi, biondi, che, colpiti dai
raggi del sole, sembravano d’oro, in quel momento ad Elena venne in mente un
verso di Petrarca “Erano i capei d’oro a
l’aura sparsi” ed emise una piccola risata, l’uomo si fermò bruscamente e,
senza voltarsi, disse «Cosa avete da ridere, madamigella?!», quel tono non
piacque ad Elena, sembrava molto minaccioso, e, molto timidamente gli ripose «Perdonatemi,
signore, mi era venuta alla memoria un verso di Petrarca osservando i vostri
capelli» «Conoscete anche Petrarca?!» le chiese bruscamente, lei stava per
rispondere quando l’uomo riprese a camminare, trascinandola dietro sé.
Alcuni minuti dopo i due
arrivarono in una via e si fermarono bruscamente; alcuni secondi dopo, l’uomo
disse «Potete scoprirvi il viso, madamigella, se lo gradite, qui non ci vedrà
più nessuno». Lei si tolse il cappuccio e, curiosa, cercò di vedere il volto di
colui che l’aveva salvata due volte, ma la via era troppo buia e non riuscì a
vederlo. Lui le fece segno di entrare in un portone, lei obbedì, percorse
alcune rampe di scale poi, sempre su indicazione dell’uomo, entrò in una stanza
molto ampia e buia. Sentì l’individuo allontanarsi da lei e lo intravide
accanto alla finestra. Tirò le tende e fece entrare la luce. Solo in quel
momento riuscì a vedere il volto dell’uomo. Che avesse i capelli biondi lo
aveva già scoperto in molte occasioni, ma vide che era anche molto affascinante,
era alto, circa 175 cm
pensò, magro, con gli occhi grigi ed era stranamente somigliante a qualcuno che
lei aveva già visto prima ma non si ricordava più dove.
L’uomo si avvicinò ad Elena e
le disse «Spero di non avervi fatto paura poco fa, volevo solo salvarvi la
vita» «Perché mi avete salvata? Neanche conoscete il mio nome ed io il vostro»
«Che sbadato! Credevo che già aveste avuto modo di conoscerlo, intendo prima,
dai soldati» «Scusatemi ma ero abbastanza spaventata da non prestare attenzione
alle vostre e alle loro parole» «Se proprio desiderate un nome, eccolo: Matteo
de Foisos» anche questo nome rievocò in lei un ricordo, però molto vago per
comprendere meglio, poi lui continuò «Potrei ora sapere il vostro?» «Elena De
Stefano, mio padre è italiano» «Potrei sapere da dove venite e perché siete
conciata in codesta maniera?» Elena gli raccontò tutto ciò che era accaduto, il
fatto che lei venisse dal futuro, poi continuò «Potete non credermi, vi capisco
perfettamente; però ditemi piuttosto, perché mi avete salvata?» «Perché
conoscete Dante» «Solo per questo?!» «Sì. Mi sono sempre chiesto se esistesse
qualcuno che conoscesse il mitico Dante o un qualsiasi autore italiano e voi,
madamigella, citate sia Dante che Petrarca come se li conosceste da sempre. Per
questo io desidero sposarvi, per salvarvi la vita» «Se non volessi?» «A me non
importa che voi mi amiate, desidero solo condividere con voi questa mia
passione per la letteratura italiana. Se col tempo vorrete amarmi o meno non
sarò io a deciderlo» «Come mai vi trovavate al Palais de Justice?»
«Vi ho seguito da quando siete apparsa in mezzo alla strada. Mi avete colpito
così tanto che è stato più forte di me non seguirvi» «Devo allora ringraziarvi
per questa vostra curiosità, se non vi foste incuriosito io sarei morta. Grazie
mille! Se c’è qualcosa che posso fare per sdebitarmi, ditemi pure, sono
disposta a fare qualunque cosa o quasi» «Venite con me allora».
L’uomo la portò in un’altra
stanza, più piccola ma molto più accogliente, con un divano al centro della
sala. Matteo fece sedere Elena poi si assentò un attimo e, quando tornò, aveva
in mano un libro. Elena capì che si poteva trattare solo di un libro: “La Commedia”; e, infatti,
era quello. Matteo si sedette dietro di lei, appoggiando il mento sulla spalla
della ragazza, per leggere quello che diceva Elena. Lei aprì il libro e lesse:
Nel mezzo del cammin di nostra
vita
Mi ritrovai per una selva
oscura
Ché la diritta via era
smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è
cosa dura
Esta selva selvaggia e aspra e
forte
Che nel pensier rinnova la
paura!
Tant’è amara che poco è più
morte;
Ma per trattar del ben ch’i’
vi trovai,
Dirò de l’altre cose ch’i’
v’ho scorte.
Io non so ben ridir com’i’
v’intrai,
Tant’era pien di sonno a quel
punto
Che la verace via abbandonai.
Improvvisamente smise di leggere. Matteo si accorse che
alcune lacrime stavano cadendo sulle pagine; senza pensarci, tolse il libro
dalle mani di Elena e l’abbracciò; lei, allora, si volse ed iniziò a piangere
fra le sue braccia. Dopo alcuni minuti, Elena si calmò leggermente e Matteo,
approfittando di questa quiete, le chiese «Come mai piangete?» «Mi ricorda la
mia epoca, la mia migliore amica, e tutti quelli conosco» «Perdonatemi per
avervi fatto leggere», dal suo tono Elena capì che era veramente dispiaciuto
per quello che era accaduto, poi rispose «Non potevate saperlo, non lo sapevo
nemmeno io. Potrei sapere che anno è oggi?» «Per essere precisi, oggi è il 18
maggio 1516»; Elena fece un calcolo veloce, e sussurrò «488 anni», poi, alzando
il tono, chiese «Quanti anni avete?» «Ho 26 anni, voi? Se mi è lecito saperlo»
«Vi è lecito saperlo. Io ne ho 17». Dopo una breve pausa, Matteo disse «Sapete,
madamigella, v’invidio» «Voi invidiate me?!» «Voi sapete l’italiano e conoscete
molti dei miei scrittori preferiti, molto meglio di me» «È strano ascoltare una
cosa del genere; soprattutto perché ho trascorso la mia vita a sognare di
andarmene dall’Italia, di dimenticare l’italiano e di vivere in un altro Stato,
con un’altra lingua e cultura» «In questo voi mi assomigliate». Rimase ancora
per qualche minuto fra le braccia di Matteo, poi cadde addormentata.
Quando si svegliò si era
dimenticata di trovarsi nel passato; se ne ricordò solo quando vide Matteo
parlare con un altro uomo che la spaventò. Elena aveva letto molti libri
storici e quell’uomo le ricordava fisicamente uno dei personaggi; ed anche il
giudice che solo poche ore prima l’aveva condannata all’impiccagione ma non
potevano essere la stessa persona poiché questi era un prete. Era un uomo
dall’aspetto austero, calmo e cupo; non lo vide molto nitidamente poiché era
ancora assonnata; ma dimostrava circa 35 anni. Tuttavia era già calvo, solo
sulle tempie aveva un po’ di capelli, radi e grigi. La fronte era alta e larga
e cominciava a solcarsi di rughe, ma negli occhi infossati splendeva una
giovinezza straordinaria, una passione profonda.
D’istinto Elena si alzò e si
nascose dietro Matteo che, essendo più alto di lei, la nascose totalmente.
Matteo, meravigliato di quella reazione le chiese «Che fate?!», lei, in
italiano, disse «Quell’uomo»; improvvisamente l’uomo, anche lui in italiano,
ripose «Grazie, per la vostra gentilezza»; Matteo, alquanto turbato dal suo
comportamento disse «Scusateci», poi afferrò il braccio di Elena, la trascinò
fuori dalla stanza e, prima che lei avesse il tempo si parlare, le disse
sbrigativamente «Come vi siete permessa di dire una cosa del genere al vescovo
di Clermont. Ditemi, perché lo avete trattato a questo modo?!» «M’incute paura»
«Non vi farà alcun male, quell’uomo è mio amico» «Sentite, non so perché ma mi
fa molta paura!» «Fidatevi di lui, è il mio maestro, è stato lui ad insegnarmi
l’italiano» Elena, ad ogni modo, non si sentì per niente confortata da quelle
affermazioni, e, rassegnata, rispose «Ho capito. Chiederò scusa a quell’uomo».
Soddisfatto da quella risposta, Matteo sorrise, la prese per mano e
l’accompagnò nella stanza dal vescovo. Appena entrò nella stanza, si accorse
che l’uomo la stava osservando dalla testa alla punta dei piedi, poi disse
«Maestro de Foisos, volete che questa creatura resti abbigliata in codesta
maniera? Procuratele degli abiti più consoni». Matteo obbedì ed uscì dalla
stanza. Elena attese che Matteo fosse abbastanza lontano da non poterla
sentire, poi disse «Non crediate che io mi fida di voi, continuo a pensarla
nello stesso modo. Per volontà di Matteo, vi chiederò scusa, ma io non lo penso
assolutamente»; mentre parlava, Elena, si rese conto che il vescovo era molto
stupito di quelle parole, poi fece per risponderle quando entrò Matteo, che
disse «Scusate se v’interrompo, maestro; ma mia sorella vorrebbe vedere Elena,
perché di me non si fida». Elena seguì Matteo fin davanti ad una porta, poi lui
bussò e disse «Roberta, ti ho portato Elena. Io torno dal monsignor vescovo
Guillaume de Rym».
Elena entrò molto titubante
nella stanza dove c’era una ragazza poco più grande di lei, con i capelli
biondo scuro lunghi, finemente legati in un acconciatura che le conferiva un
aspetto molto elegante e gli occhi azzurri. Mentre Elena rimase con Roberta per
cambiarsi d’abito, scoprì molte cose su Matteo. Il padre era morto quando lui
aveva solo 7 anni e, da circa un anno, era morta anche la madre; e da allora si
era preso cura della sorella minore come se fosse stata sua figlia. Non aveva
mai lavorato in vita sua, poiché i genitori, essendo nobili, gli avevano
lasciato molto denaro; ma spesso lui scriveva dei poemi per guadagnare qualcosa
da poter lasciare alla sorella in caso lui fosse mancato prematuramente. A
parte questo profondo amore nei confronti della sorella, che aveva sei anni in
meno di lui, Matteo era pazzo per la letteratura e la lingua italiana; talmente
tanto che aveva perfino imparato l’italiano per leggere ogni opera nella lingua
originale e non dover fare affidamento sulle traduzione, che, come diceva lui “uccidevano l’opera”.
Proprio mentre lei stava
scoprendo queste cose sul conto di colui che l’aveva salvata, poche stanze di
fianco, quello stesso uomo stava decidendo la sua vita. Matteo, infatti, mentre
Elena dormiva, era andato in chiesa a chiamare l’amico, il vescovo Guillaume de
Rym, per sposarli il più in fretta possibile. Avevano ormai deciso tutto, la
cerimonia sarebbe stata segreta e si sarebbe svolta pochi giorni dopo, quando
entrarono Elena e Roberta. Elena si sentiva molto impacciata in quell’abito,
solo pochi minuti prima era vestita molto leggera ed ora indossava vestiti
molto lunghi, che, in fondo, a lei piacevano. Per educazione, Matteo riferì ad
Elena ciò che i due avevano deciso in sua assenza, dopo averci pensato un po’, la
ragazza disse «So che sono solo una donna e per voi non conto, ma credo che non
convenga fare tutto di nascosto. Voi avete annunciato le nozze e i soldati, per
quanto stupidi, se ne potrebbero ricordare» «La ragazza ha ragione» commentò il
vescovo «Non avevamo pensato alle guardie» continuò Matteo, poi, vedendola
troppo preoccupata disse «Roberta, portala via, per favore. Madamigella, non vi
turbate inutilmente, le cose, prima o poi, le aggiusteremo».
Elena fu accompagnata in una
camera da letto da Roberta. Ormai la giornata era al termine, e, nonostante non
avesse sonno, si sdraiò sul letto per non pensare a ciò era accaduto. Il suo
pensiero, cadde sulla sua famiglia che solo poche ore prima non voleva più
vedere ed ora ne sentiva la mancanza.
Il mattino seguente, quando si
svegliò, vide nella sua stanza Matteo che la fissava; lei fu sorpresa da quella
vista. L’uomo vedendo che Elena si stava svegliando, si voltò e disse
«Perdonatemi, madamigella, non volevo spaventarvi. Ero venuto a chiamarvi, ho
bussato ma non mi avete risposto e così sono entrato; appena vi ho vista
risposare volevo uscire, ma sono rimasto incantato da voi e mi è stato
impossibile allontanarmi» «Grazie del complimento, se è ciò che era. Potreste
uscire?» «Sì, volevo solo informarvi che la colazione è pronta e che ieri sera
io e il vescovo abbiamo deciso tutto, se voi non siete d’accordo, modificheremo
qualcosa. A proposito, ieri sera il vescovo è rimasto qui a dormire, perciò in
cucina ci sarà anche lui, se non lo volete incontrare affermerò che siete
ancora turbata da quello che è accaduto ieri» «No, verrò. Sono grande
abbastanza da assumermi le mie responsabilità. Dopotutto non posso fuggire da
tutti i miei problemi. Datemi solo qualche minuto per prepararmi». Matteo uscì
e l’attese fuori dalla porta.
Alcuni minuti
dopo, Elena raggiunse Matteo e, con lui, si diresse alla cucina, dove Guillaume
de Rym stava dialogando con Roberta.
Elena si
sedette e, per la prima volta da quando era in quella casa, si sentì molto a
disagio fra quelle persone anche se non riuscì a capire il motivo di quella
sensazione; stava pensando a così tante cose, che il suo volto s’incupì, quando
il vescovo disse «Avete dormito bene, madamigella? Ieri credo di non avervi
dato una buona impressione, vi chiedo perdono» «La colpa è solo mia, non mi
sono preoccupata di conoscervi e vi ho giudicato frettolosamente». Il
comportamento che Guillaume ebbe nei suoi confronti la rassicurò e, nonostante
il suo aspetto che incutesse ancora paura, nel profondo qualcosa si mosse.
Terminata la
colazione, Elena, Matteo e Guillaume si recarono nello studio di Matteo dove
discussero per tutta la mattinata sul matrimonio; che si sarebbe tenuto il
giorno successivo nella chiesa principale della città e Guillaume stesso
avrebbe svolto la cerimonia.
Il giorno
dopo, quello delle nozze, Elena parlò con Roberta e le disse, alquanto triste
«Avevo pensato spesso a questo giorno e credevo che quando mi sarei sposata
l’avrei fatto per amore. Quante volte ho immaginato il mio matrimonio e chi
sarebbe stato mio marito. Non avrei creduto di sposare un uomo che neanche
conosco», Roberta la rassicurò dicendole «Elena, vi giuro che mio fratello è un
brav’uomo e magari, anzi, sicuramente, voi non lo amate, ma vi assicuro che
alla fine v’innamorerete di lui», Elena non sapeva che rispondere a
quell’affermazione perciò annuì semplicemente.
La cerimonia
fu una cosa molto riservata, gli unici invitati furono i parenti più stretti di
Matteo, in quanto i suoi genitori erano morti.
Quando Elena e
Matteo uscirono dalla chiesa, a cerimonia conclusa, ella vide Guillaume sulla
piazza che la fissava con odio e passione. Lei si spaventò e, istintivamente,
nascose il volto sul petto di Matteo; iniziò persino a chiedersi come poteva,
il vescovo, essere in due posti contemporaneamente: pochi istanti prima era in
chiesa, ed ora nel centro della piazza; a meno che non fosse “flash” non poteva
essere lui. Improvvisamente si ricordò che esisteva qualcuno in quell’epoca
simile a Guillaume: il giudice. Si allontanò da Matteo e, debolmente, gli
chiese «Scusatemi, come si chiama l’uomo che mi ha condannata?» Matteo fu molto
conciso nella risposta «Ne parleremo dopo» fu tutto ciò che disse.
Appena
tornarono a casa, Matteo prese per mano Elena e l’accompagnò nel suo studio;
fece per parlare ma cambiò idea, prese un sacchetto da un cassetto, lo aprì e
lo privò del contenuto: un anello che porse alla ragazza dicendo «Questo
apparteneva a mia madre, voleva che lo dessi alla donna che un giorno avrei
sposato». Elena fissò l’anello e si ricordò di averlo già visto da qualche
parte, a bruciapelo chiese «Dov’è la mia borsa?» «Intendete quello strano
oggetto che avevate a tracolla la prima volta che vi vidi?» «Proprio quello,
dov’è?». Matteo uscì dallo studio e, quando tornò, aveva in mano la borsa di
Elena, lei, avidamente, la prese ed iniziò a cercare qualcosa dentro. Tirò
fuori molti oggetti che a Matteo parvero buffi. Ad un tratto Elena estrasse un
medaglione, lo aprì e disse «Ecco dove vi avevo già visto, a chi assomiglio e
dove ho già visto quell’anello», detto questo porse il medaglione a Matteo che
la guardò con aria molto stupita; lei capendo che non aveva compreso il
significato della sua esclamazione disse «Vi spiego cosa intendevo. Io mi
chiamo Elena, sia perché questo nome piaceva ai miei genitori, sia perché una
mia antenata si chiamava in questa maniera. Qualche giorno fa, quando vi vidi
per la prima volta in viso, ebbi la sensazione di conoscervi, di avervi già
visto prima di quel momento, ma non compresi bene dove ciò era accaduto. Qualche
anno fa mia madre mi disse che assomigliavo molto alla mia omonima antenata e
mi diede questo medaglione che la mia famiglia si tramanda di generazione in
generazione da Elena de Foisos. Come
ho fatto a non capirlo prima?!» «Nessuno può pensare che possa accadere quello
che è accaduto a voi», mentre Matteo parlava, Elena aprì il medaglione e vide
che conteneva un foglietto scritto, con la sua calligrafia:
Clermont,
15 giugno 1516
Se stai
leggendo questo foglio, significa che hai scoperto la verità. Non
terrorizzarti, la vita in quest’epoca, dopo tutto, è migliore di quella del
2004. Te lo garantisco.
Elena
Elena rimase a fissare quelle
parole per molto tempo prima che riuscisse a riprendersi. Aveva ancora gli
occhi fissi nel vuoto quando Matteo le prese il foglio, ormai ingiallito dal
tempo, poiché aveva già 488 anni, lo lesse, ma non capì nulla di ciò che era
scritto perché era scritto in italiano. Stava per parlare quando, fissando il
foglio, vide una scritta in francese, scritta con la sua calligrafia:
Consolala
Matteo. Falle dimenticare e impegnala con qualche passatempo.
In pochi secondi, Matteo rifletté, poi disse «Insegnatemi
l’italiano e la vostra cultura», ancora scossa per ciò che aveva scoperto e
senza prestare molta attenzione, Elena rispose «Se proprio lo desiderate...».
Improvvisamente Elena si ricordò di dover domandare una cosa a Matteo e
continuò «Come si chiama il giudice?» «Chi?» «L’uomo che mi ha condannata a
morte» «Quello! Si chiama Victor de Rym ed è il fratello gemello del mio
maestro Guillaume de Rym» «Perché non me lo volevate dire prima?» «Così, mi
piaceva l’atmosfera che si era creata e mi dispiaceva rovinarla», Elena sorrise
ed alzò gli occhi al cielo.
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Capitolo 2 *** capitolo 2 ***
Clermont
ra trascorso ormai un mese da quel giorno ed ogni pomeriggio,
per alcune ore, Elena e Matteo andavano nello studio dove la ragazza insegnava
l’italiano e tutto ciò che sapeva al marito. In poco tempo i due iniziarono a
provare rispetto reciproco. Il rispetto diventò amicizia profonda, ma si sa che
l’amicizia può diventare amore.
Era una
giornata di fine giugno molto calda e Matteo ed Elena erano rimasti a studiare
fino a tardi. Dalla piazza provenivano le grida di gioia di alcuni bambini che
giocavano fra di loro. Accaldata, Elena, si alzò e si affacciò alla finestra
per cercare un po’ di frescura, alcuni minuti dopo Matteo la raggiunse e,
abbracciandola, le chiese dolcemente «Non credete che sia ora di uscire da
questa casa?», Elena, infatti, non era mai uscita dall’edificio, poiché aveva
paura che qualcuno potesse riconoscerla e la facesse arrestare nuovamente;
continuò a fissare la piazza senza rispondere al marito, poi, improvvisamente,
disse «Vengo dal 2004» «Come, scusate?» «Non vi ho mai detto da che epoca
provenivo, ora che siate mio amico e marito posso rivelarvelo: provengo dal
2004» «Lo sapevo già. Lessi il biglietto che trovaste nel vostro medaglione un
mese fa. Parlatemi della vostra epoca» «Cosa volete sapere? Sempre che mi
crediate» «Quali sono le più importanti opere letterarie della vostra epoca?»,
ma Matteo non prestò attenzione a nessuna delle parole della risposta di Elena.
I suoi occhi erano fissi sulle rosse labbra di Elena che si muovevano così
graziosamente mentre lei parlava che lui ne rimase incantato. Quando Elena
terminò la sua risposa fissò Matteo nell’attesa di un suo commento, ma ciò non
arrivò mai. Elena non aveva mai visto quella espressione sul volto di Matteo,
era abituata a quella sua espressione sognante, ma in quel momento sembrava
piena di passione. Istintivamente Elena si allontanò da Matteo, ma lui si
riavvicinò e la cinse dolcemente ed ingenuamente in vita. Elena si guardò
attorno, come per cercare una via di fuga da quella situazione. L’uomo sentì il
corsetto di Elena scivolargli via delle mani come un’anguilla. Un attimo dopo
Elena era seduta alla scrivania, Matteo si domandò perfino come avesse fatto ad
arrivare fin là in così poco tempo, ma si sa, l’agitazione fa fare qualsiasi
cosa.
Rimasero a studiare ancora per un po’ e, frequentemente, Elena si
accorse che Matteo non le fissava gli occhi mentre lei parlava ma le labbra.
Quando non riuscì a sopportare quella situazione si alzò e disse «Sentite, sono
stanca, credo mi ritirerò nella mia stanza. Continuiamo domani», detto questo
uscì speditamente dallo studio, Matteo cercò disperatamente di richiamarla
«Madamigella!» urlò più volte, ma lei sembrava svanita nel nulla. Quando capì
che anche se avesse urlato con tutta la voce che aveva in corpo fino a
diventare muto lei non lo avrebbe sentito tornò nel suo studio e pensò “A
quanto pare non sono ancora così vittorioso in amore come speravo”.
Ma proprio mentre Matteo entrava nel suo studio, Elena si gettava sul
letto e, in contemporanea al marito pensò “Non so ancora per quanto riuscirò a
fuggire da lui. Non ce la farò a sopportare ancora per molto” e con questo
pensiero nella testa, si addormentò.
Era trascorsa un’altra settimana ed Elena era riuscita a resistere alle
pressioni di Matteo che, in quella settimana, si era calmato un po’.
Quella
mattina di luglio Elena si svegliò con, sul comodino, una lettera, l’aprì e
lesse
Recatevi nel mio studio, madamigella, c’è una sorpresa
per voi.
Matteo de Foisos
Alquanto
titubante Elena si recò nello studio del marito e trovò, sulla scrivania, una
rosa bianca e, sotto ad essa, un altro foglio con su scritto “Voltatevi”, non fece nemmeno in tempo a
voltarsi che la porta dietro di lei sbatté chiudendosi, e nell’ombra vide un
uomo i cui lineamenti le erano famigliari, così come la voce, aspra e forte «È
stato facile condurvi qui, strega», quell’ultima parola, così dura le fece
ricordare a chi apparteneva quella voce: a Victor de Rym. L’uomo si avvicinò a
lei e l’abbracciò, lei si divincolò più che poté per fuggire da quel mostro, ma
lui non accennava ad allentare la presa. Ogni speranza era ormai svanita in
lei: solo un miracolo poteva salvarla. Ma proprio in quel momento un miracolo
accadde: qualcuno aprì la porta. Victor, sorpreso dal nuovo venuto allentò la
presa ed Elena fuggì. Appena Elena si rese conto che era Matteo gli corse incontro
e lo abbracciò in lacrime.
Nessuno
dei due uomini parlò per alcuni minuti: l’unico rumore in quella stanza era il
pianto di Elena. Improvvisamente Matteo disse «Come avete fatto ad entrare in
casa mia?», il suo tono era molto minaccioso, «Mi ha fatto entrare vostra
sorella, de Foisos, mi è bastato dirle che ero quel tonto di mio fratello
Guillaume perché mi aprisse», sempre più arrabbiato Matteo gli rispose «Andate
via da casa mia e non tornateci mai più! Soprattutto non provate ancora a fare una
cosa simile a mia moglie». Victor si avvicinò alla porta, si fermò vicino ad
Elena e le sussurrò «Ci rivedremo, ve lo prometto». Appena Elena sentì la porta
chiudersi, si abbracciò più saldamente al petto di Matteo e pianse ancora più
forte. Dopo alcuni minuti si calmò, si staccò dal marito e disse, con la voce
ancora strozzata dal pianto «Perdonatemi, grazie, ad ogni modo, per avermi
salvato da quell’uomo» «Dovere. Era mio compito proteggervi, come vostro
marito»; Elena si mise a ridere nel sentire quella risposta: era il primo vero
sorriso da quando era tornata indietro nel tempo. Quando smise di ridere disse,
con le lacrime agli occhi «Scusatemi. Eravate troppo buffo quando mi avete
risposto!» «Perché vi fa tanto ridere?» «Perché da dove provengo una frase di
quel tipo è ridicola» «Ho capito! La prossima volta non vengo ad aiutarvi,
vorrei vedere come reagireste»; al solo ricordo di ciò che era accaduto, Elena
rabbrividì.
Rimasero
alcune ore a dialogare fra loro, quando Matteo chiese «Voi mi
amate?» «Perché
questa domanda?» «Così...» «Non lo
so» «Mi amerete mai?» «Come siete
insistente!» «Ma...» «Non vi risponderò,
non ora, non qui» gli rispose Elena
molto infastidita, ma Matteo continuò «Amate
qualcuno?» «Non lo so, per il
momento» «Perché non posso essere
io?» «Adesso basta» gli urlò Elena
alzandosi in piedi, Matteo, capendo di aver esagerato, rispose
«Perdonatemi,
madamigella», poi chiese «Posso farvi una domanda?»,
ancora guardinga rispose
«Ditemi» «Per caso un vostro antenato era
spagnolo?» «Che io sappia no,
perché?» «Avete i capelli neri, di certo non
francesi, e la carnagione
leggermente scura, tipica della Spagna; solo negli occhi non lo
sembrate»
«Anche la mia me, tornata nel passato, era così»
«Vi dimenticate che, essendo
voi, anche lei proveniva dal futuro, quindi aveva le vostre stesse
identiche caratteristiche.
Mi permettete di dirvi una mia opinione? Promettetemi che non vi
arrabbierete»
«Dite» «Sembrate un’egiziana» «Una
zingara, volete dire?» «Sì, non voglio che
lo prendiate come un insulto» «Non preoccupatevi, per me
è un complimento»
«Nella vostra epoca è un complimento?» «No,
dovrebbe essere un insulto, ma io
lo prendo sempre come un complimento. C’è una ragione per
questo mio modo di
pensare, ma non ve lo rivelerò mai e poi mai»
«Sarà... Sentite, non credete che
dobbiate uscire da questa casa? Come avete potuto notare le persone
possono
entrare e cercare di arrestarvi» «Quello non mi voleva
arrestare» «Come,
scusate?» «Lasciate perdere» «Dovete uscire,
magari con me, o con mia sorella o
con Guillaume, ma fatelo!» «Quando arriverà il
momento di uscire lo farò, sto
aspettando un segno». Appena terminò di pronunciare quella
frase, dalla
finestra sentì l’allegro suono di un tamburello e gli
applausi di alcune
persone. Curiosa, si affacciò alla finestra e vide una folla
disposta a cerchio
con, al centro, una ragazza, che aveva circa la sua età, danzare
per il piacere
della gente che le era intorno, Elena si appoggiò alla finestra
e ne rimase
incantata. Matteo, vedendola così assorta, disse «Ecco il
segno» e,
ingenuamente, le prese la mano, ma lei la ritrasse e disse
«È troppo presto!»
«Ma...il segno» «Non è questo».
Piuttosto rattristato Matteo uscì dallo studio.
Elena si affacciò nuovamente alla finestra e lo vide camminare
nella piazza a
testa bassa.
Elena lo
fissò un po’ rattristata per come si era comportata; stava per gridare il suo
nome, quando fu nuovamente attratta dalla giovane zingara che danzava,
incominciò ad osservarla e si dimenticò del resto. Non sentiva più neppure i
rumori che provenivano dallo studio. Improvvisamente sentì una mano nodosa
sulla sua bocca che le impediva di parlare, di gridare, ed un’altra mano che la
prese per l’addome e la spinse indietro, verso il petto dell’individuo. Elena
non riuscì a vedere a chi appartenessero quelle mani e quel petto, ma lo
immaginò: non poteva essere altri se non Victor. Elena sapeva che, questa
volta, Matteo non sarebbe intervenuto. Istintivamente iniziò a piangere, ma
questo gesto non fece commuove Victor, che, impassibile, la voltò e la cinse in
vita, sempre tenendole una mano sulla bocca per impedirle di chiedere aiuto. La
ragazza, senza pensare a ciò che stava facendo ed avendo le mani libere, cercò
di allontanare l’uomo spingendolo per il petto, ma lui era troppo robusto
perché venisse allontanato da una ragazzina. Elena aveva quasi perso ogni
speranza quando le venne un’idea. Ingenuamente, l’uomo, aveva tenuto la mano
sulla sua bocca, allora Elena gli morse la mano, sentì che aveva morso talmente
forte che gli fece uscire il sangue. Finalmente l’uomo la lasciò andare, lei
prese la piccola statua che Matteo usava per tenere fermi i libri e diede un
colpo in testa a Victor che cadde a terra, svenuto.
Elena uscì
di corsa dallo studio e dalla casa, corse nella piazza e, quando vide che le
persone la stavano fissando, iniziò a camminare a passo veloce. Appena
intravide Matteo fra la folla avvertì una sensazione di sollievo, lo chiamò ma
lui non la sembrò sentire; lei, allora, affrettò ancora di più il passo e,
quando gli fu ancora più vicina, lo richiamò. Appena si voltò, Matteo, sorrise,
le corse incontro e l’abbracciò. Elena si allontanò e disse «Perdonatemi, ma ci
stanno guardando tutti» «E che guardino pure quanto vogliono. Voi siete uscita
dopo tanto tempo e poi io vi amo», quelle ultime parole, Matteo, non le avrebbe
volute dire, ma gli sfuggirono, felice com’era che Elena fosse uscita di casa;
Elena arrossì, il marito, vedendola, le chiese «Ho detto qualcosa che non
dovevo?», lei, balbettando, gli rispose «No, è che è nessuno mi ha mai detto
una cosa simile», cambiando discorso, Matteo disse «Cosa vi ha convinto ad
uscire?» «Quell’uomo orribile! Voi siete uscito, lui è tornato e, e...» ma non
continuò mai quella frase perché rincominciò a piangere. Matteo la consolò, la
strinse forte a sé e la portò in chiesa, da Guillaume.
Appena
Guillaume vide Elena, con gli occhi gli rossi, disse «Pasqua di
Dio! Cos’è
successo?», la ragazza stava per rispondere quando Matteo vide
che stava per
iniziare piangere, allora la bloccò e disse «È
vostro fratello». Elena tentò di
non piangere ma fu più forte di lei: nascose il volto nel petto
di Matteo ed
incominciò a piangere. Guillaume rimase stupito nel vederla;
Matteo, che era
abituato a quella situazione fece segno al maestro di non parlare.
Elena pianse
per alcuni minuti poi, asciugandosi gli occhi, chiese a Guillaume
«Avete
conosciuto Luigi XI?» «Sì, perché?»
«È per “Pasqua di Dio”, l’avete imparata
da
lui, vero?» «Sì, ma come fate a sapere di questa sua
abitudine, voi non lo
avete potuto conoscere» «Lo so che, dato che lui
morì il 30 agosto 1483,
essendo noi nel 1516 ed avendo io solo 17 anni non posso averlo
conosciuto»
«Infatti» «Matteo non ve lo ha detto?»
«Detto cosa?» «Ve lo dirà in futuro».
Guillaume cercò di riportare Elena alla sua domanda,
perciò le disse «Cosa vi
fa fatto mio fratello?». Elena raccontò, con molte
difficoltà ed interruzioni,
ciò che era accaduto e che Matteo ascoltò per la prima
volta. Quando terminò il
racconto Matteo disse «Perciò vi chiedo di dire a vostro
fratello di non avvicinarsi
mai più a casa mia, a voi forse darà ascolto»
«Farò tutto il possibile perché
ciò accada, ve lo prometto, ma non sarà facile,
conoscendo mio fratello».
lena e
Matteo uscirono dalla chiesa ed attraversarono la piazza per ritornare a casa,
quando Elena, che aveva ripreso a fissare la zingara, vide che qualcuno la
stava maltrattando. Fu impossibile per lei non intromettersi, lo aveva sempre
fatto in tutta la sua vita e non pensò nemmeno per un secondo di poter rimanere
estranea alla vicenda. Si avvicinò alla zingara, che era caduta a terra a causa
degli spintoni che le persone le avevano dato, e l’aiutò ad alzarsi, mentre la
folla continuava a schermire la giovane danzatrice. Elena, che non aveva mai
capito quando doveva tacere, alterata disse «Cosa vi ha fatto questa giovane?!
C’è un buon motivo per cui deve essere maltrattata?» ma nessuno rispose allora
lei continuò «Se non c’è nessun motivo per cui deve essere maltrattata, perché
lo fate?», una debole voce si alzò dalla folla «Gli zingari mangiano i nostri
bambini!» «Ne avete la prova?» le chiese Elena gelidamente «Anni fa a una donna
di Reims fu mangiata la figlia!» «Si dà il caso che sua figlia non è mai stata
uccisa dagli zingari ma dalla brava gente di Parigi, e quando la ritrovò
benedisse gli egiziani. V—» in quel momento Matteo l’afferrò per il braccio e
la trascinò lontano, quando si fermarono Elena stava per parlare ma Matteo la
fermò e le disse «Cos’avete fatto? Io e Guillaume stiamo cercando di
proteggervi e voi vi comportate in questa maniera?» «Ma la stanno
maltrattando!» «Non so come la pensiate nella vostra epoca, ma qui gli zingari
sono trattati in questo modo» «Ma è da barbari!» «Questo è il nostro pensiero e
se non volete attirare troppa attenzione su di voi cercate di non intromettervi
mai più» «Per favore, se non posso intromettermi io, aiutatela voi. Quella
giovane non ha mai fatto male a nessuno» «Non mi schiero mai...non è mia
abitudine farlo» «Vi prego, fatelo per me» «Ma...» «Farò qualsiasi cosa, ma
aiutatela!». Matteo s’impietosì, le prese le mani e disse «Lo farò per voi, ma
non voglio niente in cambio, l’unica cosa che vorrei, a parte un vostro
sorriso, è anche la sola che non avrò mai: il vostro amore», Elena fece finta
di non avere udito l’ultima parte della risposta di Matteo; sorrise, contenta,
lo abbracciò e gli diede un bacio sulla guancia. Matteo rimase immobile con una
mano sulla guancia, Elena allora, vedendolo fermo, gli disse «Muovetevi! Avete
una damigella da salvare! Forza, sbrigatevi!».
Matteo
lentamente si avvicinò alla zingara e disse «Amici miei, vorrei chiedevi un
favore, potete smettere d’importunare questa giovane?» «Anche voi con
quest’idea! Non bastava quella mocciosa di prima?!», appena udì questa frase
Elena s’infuriò e corse verso l’uomo che aveva pronunciato quell’oscenità, era
molto vicina quando Matteo la bloccò e disse «Perdonatela, questa è mia moglie
e proprio oggi è uscita per la prima volta di casa da quando siamo sposati
perché non si è sentita molto bene, ed ancora adesso non è molto in salute» e
mentre diceva ciò tutta la folla aveva gli occhi fissi su Elena, lei si
avvicinò a Matteo e gli chiese bisbigliando «Scusatemi, perché mi fissano?» «Vi
stanno solo guardando. State calma e non parlate più». Lei obbedì. Alcuni
istanti dopo la loro attenzione era nuovamente sulla zingara, Matteo se ne rese
conto e perciò disse «Scusatemi, ma mia moglie vorrebbe portare via la zingara,
che voi lo vogliate o meno lo farà ugualmente» detto questo prese la mano della
moglie, che a sua volta afferrò il braccio della zingara, e la trascinò fino
alla casa.
Appena
furono dentro all’edificio, Matteo perse di vista le due giovani, solo alcuni
minuti dopo scoprì che erano nel suo studio a parlare. Entrò e si sedette in un
angolo ad ascoltare il dialogo delle due ragazze. La zingara fu la prima a
parlare, disse «Perché mi hai aiutata, señorita?» «Perché non volevo che vi
maltrattassero» «Grazie, però io dovrei andare via» «Potrei sapere il vostro
nome?» «Mi chiamo Lola, voi?» «Elena, quello è mio marito, Matteo», la giovane
zingara si avvicinò a Matteo e disse «Señor,
grazie per avermi aiutata», poi, quando tornò a sedersi, Elena le chiese
«Quanti anni avete?» «Ne avrò 17
in agosto» «Perciò avete la mia stessa età». Lola si
alzò improvvisamente e disse «È tardi, perdonatemi, ma devo andare», poco prima
che uscisse Elena le chiese «Dove posso trovarvi?» «Al fiume, ogni mattina»,
detto questo la giovane fuggì velocemente dalla stanza e dalla casa.
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Capitolo 3 *** capitolo 3 ***
Clermont
rano trascorse due settimane
dall’incontro con la zingara ed ogni mattina Elena spariva per circa un’ora e,
quando tornava, rimaneva nella sua stanza per molto tempo; a volte Matteo
passava davanti alla stanza della moglie e la vedeva ballare e l’udiva
canticchiare a mezza voce delle canzoni strane. Matteo aveva provato più volte
a domandare ad Elena dove si recasse ogni mattina ma lei non rispondeva mai e
cambiava spesso argomento.
Un giorno Matteo ottenne da
Elena la promessa che non sarebbe più uscita la mattina; ma non seppe, e non si
accorse, mai che la moglie usciva di casa appena lui si addormentava e tornava
alle prime luci dell’alba. Molte volte si sentì in colpa a tradire la fiducia
di Matteo, in fondo era solo grazie a lui se lei era viva, se respirava
quell’aria, se vedeva quel cielo e se ancora si poteva divertire con frottole e
follie; e forse, per pulirsi la coscienza da questa colpa, incominciò a leggere
al marito “La Commedia”,
almeno per poterlo rendere felice in qualche modo.
Ogni giorno Elena leggeva e
commentava, come poteva, un canto. Era un giorno sul finire di luglio e quel
pomeriggio lei lesse di Paolo e Francesca. Lesse l’intero canto, poi, al
termine, Matteo disse «Scusatemi, non ho ben capito questi versi, me li
potreste spiegare meglio?», Elena iniziò a spiegare quando Matteo le chiese «Potete
rileggere quei versi? Mi piacciono anche se non li comprendo molto bene». Elena
allora aprì il libro e lesse:
Amor, ch’a nullo amato amar
perdona,
mi prese del costui piacer sì
forte,
che, come vedi, ancor non
m’abbandona.
«Fermatevi, questa è la parte
che non ho compreso, di cosa parla?» le disse Matteo, lei allora rispose «Ve la
racconto e ve la ripeto, più semplificata, in francese?» «In francese, se non è
troppo difficile» «Non preoccupatevi, ed ascoltate. “Amore, che non permette a
nessuna persona amata di non riamare, mi fece innamorare a mia volta della
bellezza di costui, così intensamente che, come vedi, non mi abbandona nemmeno
adesso”», Matteo era pensieroso, quando vide Elena fissarlo, fu ricondotto alla
realtà, prese il libro dalle mani della moglie e, indicando dei versi, disse
«Non ho capito nemmeno questi». Lei riprese il libro e continuò a leggere:
Noi leggiavamo un giorno per
diletto
di Lancialotto come amor lo
strinse;
soli eravamo e sanza alcun
sospetto.
Per più fiatate gli occhi ci
sospinse
quella lettura, e scolorocci il
viso;
ma solo un punto fu quel che ci
vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto
amante,
questi, che mai da me fia
diviso,
la bocca mi basciò tutto
tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo
scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo
avante.
Matteo la interruppe
dicendole «Il resto l’ho capito» «”Noi leggevamo un giorno per piacere, di come
l’amore prendeva Lancillotto, noi eravamo soli e senza alcun sospetto. Il
racconto ci costrinse più volte a guardarci negli occhi e ci fece impallidire.
Ma fu un punto quello che ci vinse, quando leggemmo che la bocca desiderosa fu
baciata da un tale amante. Costui, che non fu mai diviso da me, mi baciò sulla
bocca tremando. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse. Da quel giorno non lo
leggemmo più”».
Elena
rimase con il viso basso, gli occhi fissi sul foglio, come se non osasse
guardare Matteo. L’uomo le tolse il libro dalle mani e lo appoggiò sulla
scrivania, poi, si avvicinò alla moglie, che non aveva ancora avuto il coraggio
di alzare lo sguardo, e, con un dito, le accarezzò le labbra, per cui la ragazza si raddrizzò scarlatta
come una ciliegia. Era ormai vicinissimo al volto di Elena e con una mano
dietro alla testa della moglie, proprio come Francesca e Paolo, Matteo riuscì a
baciare quella giovane ragazza che era sua moglie e che, da mesi, lui amava e
desiderava.
Appena
riaprì gli occhi, Elena vide che Matteo era diventato rosso, timidamente gli
chiese «Perché siete divenuto rosso?»
»»» », lui, arrossendo ancora
di più, rispose «Era il mio primo bacio, per voi?», la giovane si stupì e si
vergognò allo stesso tempo. Il marito rimase in attesa della risposta per molto
tempo, ma Elena stava cercando il modo più delicato per rispondergli, fece un
profondo respiro, poi disse «Mi duole dovervi dire che per me non lo era»,
nonostante avesse cercato di non essere troppo diretta nel dirlo, Matteo si
rattristò, a mezza voce disse «Siete sposata, vero?» «Sì, con voi» «No,
intendevo nella vostra epoca» «No» «Ma, allora...» «Sono cambiate molte cose
dal vostro pensiero. Per esempio questo, oppure la monarchia: sparirà, o la
chiesa: non avrà più questo potere sulle persone, anzi non avrà potere affatto;
non sapete quante persone non sono battezzate, per di più la chiesa, proprio
dal prossimo anno, 1517, subirà molte riforme, sarà cambiata. Nasceranno varie
ideologie religiose».
Quella notte si scatenò un violento
temporale. Elena, nonostante avesse 17 anni, aveva il terrore dei tuoni. In
piena notte si svegliò e si recò nella stanza di Matteo. Timidamente bussò alla
porta, una voce assonnata le rispose «Chi siete?» «Sono Elena, posso entrare?»
«Prego».
Non era
mai entrata nella stanza di Matteo da quando era arrivata in quell’epoca. Era
una stanza molto ampia, simile alla sua, solo che era priva di tende e cuscini.
Matteo si alzò e, avvicinandosi alla ragazza, le chiese «Cosa ci fate voi
qui?», ma non ci fu bisogno di spiegazioni poiché, proprio in quel momento, dal
cielo scese un lampo e pochi secondi dopo Elena era attaccata al petto di
Matteo con entrambe le mani sulle orecchie per non sentire il tuono. Quella
notte Elena la trascorse fra le braccia del marito che, nonostante non fosse in
grado di rendere muti i tuoni, la faceva sentire al sicuro e le faceva
dimenticare che fuori c’era un temporale.
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Capitolo 4 *** capitolo 4 ***
Clermont
irca un anno era passato da
quella notte e il rapporto fra Elena e Matteo era felicissimo. La profonda
amicizia si era trasformata in amore, proprio come un bruco che, da crisalide,
diventa farfalla.
Victor non si era più
presentato a casa loro e di questo Elena n’era grata.
Era un mattino d’inizio
luglio quando Elena si svegliò di soprassalto a causa di un incubo; Matteo, che
era accanto a lei, le prese le mani e le chiese «State bene?», lei, ancora un
po’ scioccata, rispose «Dammi del “tu”! Ormai è più di un anno che abitiamo
assieme e ci conosciamo» «Va bene. Stai bene?» «Sì, ho avuto solo un incubo»
«Ancora quell’incubo?! È da quasi un mese che vi, scusa, ti perseguita. Non
credi ti debba rilassare un po’?» «Sì, ma è che ho paura. E se non fossi una
brava madre? Se magari fosse menomato dalla nascita per causa mia? Non me lo
potrei mai perdonare» «Questo non accadrà. Sarai una brava madre. A proposito
quanto manca alla nascita del bambino?» «Poche settimane, se fossimo nel futuro
ti saprei dire anche se sarà un maschio o una femmina e la data approssimativa;
ma dovrai accontentarti di quel poco che posso dirti» «Non importa. Mi perdoni
se vado al fiume?» «Cosa andresti a fare al fiume?» «Vorrei terminare il mio
poema prima della nascita del bambino e se rimanessi qui non scriverei nulla»
«Ho capito. Vai pure. Se succedesse qualche cosa ti farò chiamare». Matteo
allora si vestì, prese alcuni fogli, qualcosa per scrivere ed uscì per recarsi
al fiume.
Quando
Elena rimase sola, in camera, si vestì ed iniziò a pensare a tutto quello che
era accaduto in quell’anno. Aveva trovato l’amore, nonostante fosse nato in un
modo diverso da come aveva sempre immaginato, e che, ciò la rendeva veramente
felice, da quell’amore sarebbe nato un bambino. Elena, infatti, era incinta,
ed, entro un paio di settimane, sarebbe nato suo figlio. Questo le faceva
scordare di provenire dal futuro e di tutto ciò che non esisteva nel
Cinquecento. Spesso si sentiva triste ma quando vedeva il viso innamorato di
Matteo si riteneva fortunata e felice se le era capitata una cosa così strana.
La sua
testa era piena di ricordi e pensieri che impiegò più del solito per uscire
dalla sua stanza. Appena aprì la porta vide Roberta seguita da un uomo, Elena
chiuse la porta, le si avvicinò e le chiese «Buongiorno Roberta! Se cerchi
Matteo non c’è, è uscito un po’ di tempo fa», alquanto delusa Roberta rispose
«Cercavo proprio lui» «Come mai? È successo qualcosa di grave?» «No, non
preoccuparti. Monsignore il vescovo Guillaume de Rym ha incaricato uno scaccino di portare da Matteo quest’uomo perché
parla italiano» sul volto d’Elena apparve un enorme sorriso «Se vuoi posso
parlare io con quest’uomo, come sai io conosco perfettamente l’italiano, anche
meglio di Matteo» «Credo vada bene. Matteo, ad ogni modo, dov’è?» «È al fiume
che scrive. Se vuoi chiamarlo sai dove trovarlo».
Roberta si
allontanò lasciando l’uomo con Elena, che, per la prima volta da più di un
anno, poté parlare in italiano, gentilmente disse all’individuo «Buongiorno, mi
è stato riferito che voi siete italiano», l’uomo con un forte accento toscano
rispose «Vi hanno riferito correttamente. Potrei sapere dove mi trovo?» «Vi
trovate a Clermont» «Nella regione dell’Île-de-France?» «No, siamo lontani da
Parigi! Siamo nella regione dei Midi-Pyrénées, quasi sul confine spagnolo» «Non
credevo di aver sbagliato così tanto la strada! Dovevo recarmi a Parigi, alla
corte di Francesco I» «Siete molto lontano allora, ci sarà circa un mese di viaggio
in carrozza per arrivare a Parigi da qui» «L’avevo immaginato» «Ma che sbadata!
Non mi sono nemmeno presentata! Mi chiamo Elena de Foisos» «Io mi chiamo invece
Leonardo da Vinci», appena udì questo nome Elena svenne per l’emozione.
Quando
riaprì gli occhi Matteo era accanto a lei, l’uomo era ancora lì. Appena Matteo
vide che Elena stava riprendendo i sensi, l’aiutò ad alzarsi e, preoccupato le
chiese «Ti senti bene?», senza rispondere alla domanda del marito, Elena indicò
l’uomo e debolmente disse in italiano «Siete veramente Leonardo da Vinci?» «Sì,
sono io in carne ed ossa. C’è qualcosa che non va?» «Mi sento male. Leonardo
davanti a me?! Io sto parlando con Leonardo!». Matteo si alzò in piedi, e, a
Leonardo, disse «Scusate, potete lasciarci soli un attimo?», l’uomo uscì dalla
stanza, poi Matteo chiese ad Elena «Si può sapere perché sei svenuta e poi ti
sei comportata così?» «Leonardo da Vinci è il pittore più famoso d’Italia e
progenitore di molte cose che, in futuro, saranno inventate» «Cose cosa?» «Chiedilo
a lui. Ma ti anticipo una cosa: l’uomo volerà», Matteo fece entrare Leonardo
che disse «Meraviglia! Scusate se ho inavvertitamente udito l’ultima frase ma
era detta con tale enfasi che non poteva non giungermi alle orecchie. Qualcuno
che non mi prende per pazzo quando dico che l’uomo volerà!» «Non siete pazzo,
siete un genio!» gli rispose Elena, Matteo sembrava molto scettico su
quest’idea «L’uomo non volerà mai. Se avesse potuto volare avrebbe avuto le
ali» «Per fortuna la storia non è fatta da persone come te, Matteo» gli rispose
Elena, poi, rivolta a Leonardo, continuò «Scusatemi maestro, ma non siete già
venuto in Francia? Come mai non parlate il francese?» «Veramente, madamigella
io il francese lo capisco perfettamente, d’altronde fra di voi, prima, avete
dialogato in francese e vi ho compreso. Il fatto è che, quando sono uscito
dalla carrozza, ho ritenuto di trovarmi ancora in Italia, sapete mi ero
appisolato, e così ho parlato in italiano, per il resto sono stati i vostri
compaesani a ritenermi ignorante nella loro lingua» «So che siete un pittore.
Avete alcune delle vostre opere con voi? Qualche bozza magari» «Sì, ho tutti i
miei schizzi, sapete mi sto trasferendo definitivamente in Francia» «Potrei
vederne alcuni?» «Sono nella mia carrozza» «Perché non vi fermate in questa
casa, fino a che non vi sarete riposato e vogliate ripartire», gli chiese
gentilmente Elena, con la stessa cortesia Leonardo le ripose «Grazie della
proposta, accetto volentieri, anche perché non saprei dove andare. Se volete
accompagnarmi, messere, andrei a prendere le mie cose» disse rivolto a Matteo.
Circa
trenta minuti dopo i due uomini erano di ritorno. Si recarono nella stanza in
cui Elena li stava attendendo ed, appena entrarono, videro la ragazza stesa a
terra con la mano destra insanguinata, un pugnale accanto ed una ferita al
braccio sinistro. Matteo si avvicinò a lei per sollevarla e posarla su una
sedia, ma Leonardo lo fermò «Non toccatela». Il pittore si accostò alla
giovane, dopo un po’, si voltò verso Matteo e gli disse «Andate a prendere
degli stracci per pulire la ferita e dell’acqua calda per disinfettarle il
braccio». Quando Matteo tornò, Elena stava iniziando a riprendere i sensi e si
stava sedendo sul pavimento; l’uomo posò l’acqua e gli stracci accanto a Leonardo
ed, abbracciando la moglie le sussurrò «Sono felice che tu stia bene», lei vide
la sua mano insanguinata disse «Cos’è accaduto? Perché ho la mano piena di
sangue?», poi, muovendo il braccio ferito, e sentendo dolore, continuò «Ora
ricordo», ma Leonardo la interruppe «Riposatevi, vi farà bene» «No, rimandare
il ricordo renderà solo più doloroso farlo», si alzò e, rivolta a Matteo,
chiese «Mi puoi portare dello zucchero?», se l’ordine che gli diede Elena era
strano, Matteo non lo diede a vedere, uscì e, quando tornò aveva in mano una
ciotola che porse alla moglie. Lei prese una mancata di zucchero e la mise
sulla ferita; Leonardo, meravigliato, le chiese «Scusatemi, a cosa serve?» «Per
aiutare la ferita a cicatrizzarsi» «Affascinante! C—», ma Matteo lo interruppe
«Cos’è accaduto?». Elena si avvicinò alla finestra e cominciò «Ero qui che
aspettavo il vostro ritorno, quando ho sentito dell’aria sulla schiena, così mi
sono avvicinata alla porta per chiuderla, ma quando sono tornata alla finestra
ho visto un uomo, o almeno credo che fosse tale, non lo vidi in volto poiché
ero controluce, intravidi solo il pugnale. L’unica cosa che ricordo prima di
essere svenuta è il dolore al braccio» «So chi è stato, è sicuramente lui. Non
bisognava fidarsi di questa quiete» disse Matteo a denti stretti, Elena gli
prese le mani e gli disse «Non è stata la quiete prima della tempesta.
Quell’individuo non era Victor, ormai lo riconosco, lui in confronto alla
persona che si è intrufolata qui è molto più basso e un po’ più robusto». Il
volto di Matteo si era incupito nell’ascoltare quel racconto, perciò Elena, per
confortarlo un po’ lo abbracciò e gli sussurrò «Non è successo niente, io e il
bambino stiamo bene. Questo è quello che veramente importa».
Quella
sera Leonardo da Vinci si fermò a casa di Matteo. Elena trascorse la serata ad
osservare le bozze del pittore come se fossero delle sacre reliquie. Quando
tutti furono stanchi e le candele erano quasi totalmente consumate, Matteo
accompagnò Leonardo nella sua stanza, quella che, fino ad un anno prima, era
appartenuta ad Elena, poi, appena si fu congedato dal pittore, andò nella
propria camera dove la moglie lo attendeva. Appena entrò le disse «Come fai a
fidarti di quell’uomo in questo modo?» «Perché non credo che un uomo che crea
cose meravigliose possa essere malvagio» «Tu lo conosci solo per quello che la
storia ricorda e, sicuramente, non si ricordano i lati negativi di una persona»
«Matteo, se, per caso, invece di essere qui Leonardo da Vinci ci fosse Dante
Alighieri, tu ti fideresti oppure no?» «Certo che mi fiderei di lui» «Ecco,
allora io mi fido di Leonardo come tu ti fideresti di Dante e non capisco
perché per te sia diverso», Matteo non sapeva più cosa rispondere, perciò
augurò buona notte ad Elena e si addormentò.
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Capitolo 5 *** capitolo 5 ***
Clermont
ra da una settimana esatta
che Leonardo era giunto a Clermont e non era ancora ripartito poiché, volendosi
sdebitare con Matteo ed Elena per la loro accoglienza, li aveva invitati a
Parigi. Inizialmente i due avevano accettato l’invito ma, sfortunatamente, il
giorno prima della partenza era nato il bambino e così i due avevano dovuto
rimandare il viaggio almeno a quando il neonato non avesse avuto almeno un
mese.
Quella mattina Matteo vide Elena
per la prima volta dopo la nascita del figlio. Quando Elena si svegliò vide,
per prima cosa, suo figlio, Matteo, infatti, glielo aveva messo accanto, e
voltandosi vide il marito che si era addormentato sul letto vicino a lei mentre
le stava accanto; lei si sedette cercando di non far rumore, per non svegliarlo
e, prendendo una coperta, gliela mise sulle spalle.
Era
quasi
riuscita nel suo intento se non fosse che, muovendosi, aveva svegliato
il
bambino. Alle urla del figlio, Matteo si svegliò e, appena vide
Elena sveglia,
le chiese «Come stai?» lei, che aveva preso in braccio il
neonato e lo calmava,
rispose «Bene, anche se sono stata meglio» poi, guardando
il bambino continuò
«Come lo chiameremo?» «Non avevo mai pensato al nome
da dargli» «Io avevo pensato
a “Paolo”» «”Paolo”... come mai?
Qualcuno che conoscevi e a cui volevi bene si
chiamava così?» «No, non per quello. È
perché è un nome che mi è sempre piaciuto»
«Non è brutto come nome» «Pensare che sarebbe
mancato solo un anno perché il
mio desiderio fosse diventato realtà. Se solo non fossi arrivata
qui!» «Se
volevi tanto rimanere nella tua epoca, perché sei venuta
qui?» «Io non volevo!
Stavo camminando per la strada con la mia migliore amica e, in un
secondo,
tutto intorno a me è cambiato. Inizialmente credevo che fosse
uno scherzo, ma
non lo era. Pensai che la mia vita sarebbe finita quel giorno, poi,
però,
arrivasti tu; l’uomo che mi salvò la vita nonostante non
sapesse niente di me.
Se devo essere sincera avevo paura di te» «Paura?!»
«Sì, non ti conoscevo, non
ti avevo mai visto in volto e, nel primo dialogo che c’è
stato fra noi, tu hai
utilizzato un tono minaccioso e che mi ha terrorizzata»
«Non volevo farlo
apposta. Dato che siamo in periodo di confessioni, ti voglio rivelare
una cosa:
non ti ho voluta sposare perché conoscevi Dante, magari anche
per quello, ma
principalmente poiché eri una ragazza molto carina e, se me lo
lasci
aggiungere, questa permanenza nel passato ti ha fatto diventare anche
più
bella» «Non cercare di adularmi. Non credevo di potermi
innamorare di te. Sarà
stato il tuo nome; il mio idolo si chiama così, però lui
è più grande di te...
Chissà cosa sta succedendo nel mio presente. Magari mi hanno
presa per morta».
In quel momento bussarono alla porta: era Roberta con Guillaume.
I due
rimasero nella stanza per poco tempo, quello necessario perché Roberta
prendesse Paolo e Guillaume, Matteo. In poco più di un minuto era da sola.
Allora si alzò dal letto e, affacciandosi alla finestra, vide la zingara che
canticchiava fra sé e sé alcune melodie gitane. Elena la chiamò e lei, appena
la vide, disse «Come stai, Elena? Sono mesi che non ti vedo» «Bene, anche se
sono un po’ stanca, perché non vieni su?» «Non voglio disturbare» «Non
disturbi. Forza, vieni pure»; vide Lola sparire nel portone e, un attimo dopo,
apparire Guillaume che alzò lo sguardo e la salutò, lei, sorridendo,
contraccambiò il saluto.
In un anno
Elena aveva imparato a conoscere e a voler bene a Guillaume come ad un padre o
un fratello maggiore. Oramai i due erano diventati amici, molte volte Elena
usciva di casa e non vi ritornava per molte ore poiché si recava in chiesa da
Guillaume.
Lola
alla
porta la riportò alla realtà. La zingara abbracciò
felice Elena e le disse
«Cos’hai fatto per tutto questo tempo che non ti ho
più vista?» «Veramente...ho
avuto un figlio» «E non me lo hai detto?! Quando è
nato?» «Ieri sera, sono così
felice» «E perché non è con te? Fra noi
egiziani i bambini non si separano mai
dalle madri per i primi giorni» «L’ha preso Roberta
per portarlo a riposare e
lasciarmi tranquilla» «Ma...è un maschio o una
femmina?» «Un maschio. Tu, Lola,
come stai? Hai qualche novità?» «Sì. Qualche
settimana fa è entrato nella corte
degli zingari un viaggiatore che i miei fratelli malviventi volevano
uccidere
così, per salvargli la vita, l’ho sposato»
«Non me lo hai mai detto!» «Non ci
siamo viste, come facevo a dirtelo?! Comunque l’ho sposato solo
perché non
volevo avere nessuna persona sulla mia coscienza» «Per
quanto dovete stare
sposati?» «Per due anni» «Come si
chiama?» «Heron» «Che strano nome! Da
dove proviene, lo sai?» «No, non abbiamo quasi mai parlato.
Mi evita sempre e
quando gli rivolgo una domanda fa finta di non avermi sentita e se ne
va» «È
anche maleducato!» «Infatti!»
«Com’è esteticamente?» «È un uomo
molto alto con
i capelli biondi, ha anche uno strano accento nella sua parlata, credo
che non
sia francese» «Senti, Lola, che ne dici di andare a vedere
mio figlio Paolo? Da
quando è nato l’ho visto solo per mezz’ora»
«Per me va bene, io sono una
ragazza molto curiosa e non vedo l’ora di vedere tuo figlio: sia
tu che Matteo
siete delle belle persone e il vostro bambino non può che essere
bello». Elena
si cambiò d’abito poi, con l’aiuto di Lola, scese le
scale e si recò nella
stanza di Paolo. La porta era stata solo accostata e così
poté entrare senza
fare rumore; appena entrò vide un uomo, totalmente al buio, con,
in braccio,
Paolo. Senza nemmeno riflettere Elena disse «Chi siete? Cosa ci
fate qui con
mio figlio?», l’uomo si volse e, meravigliato, rispose
«Elena, sono solo io,
Matteo. Volevo vedere mio figlio!» «Perdonami» gli
disse debolmente Elena,
allora prese Paolo e fece segno a Lola di avvicinarsi. Quando la
zingara vide
Paolo disse «Avevo ragione. Scommetto qualsiasi cosa che questo
bambino quando
sarà grande avrà molte spasimanti»
«“Ogni figlio è bello a mamma sua” ma lui
sarà veramente bello. Ne sono sicura», presa
dall’emozione Elena non si rese
conto di aver parlato in italiano, Lola si stupì nel sentirla,
per la prima
volta, parlare in quella lingua; ma Elena pensava ad altre cose
perché potesse
vederla. Prese per mano il marito e si affacciò alla finestra.
Il sorriso,
sempre presente sul suo volto, in poco tempo sparì, appena
Matteo se ne rese
conto le chiese «Cosa c’è?»
«Quell’uomo» rispose la ragazza indicando un uomo
nella piazza «Chi è? Qualcuno che conosci?»
«Sì, è colui che mi ha lasciato
quella bella cicatrice sul braccio». Vedendoli così
intenti ad osservare
qualcuno, Lola, curiosa, si avvicinò ai due e, felice, disse
«Elena, guarda!
C’è mio marito; è quello alto vestito di
nero» Matteo si volse bruscamente e
chiese «Quello biondo?» «Sì, lui», con
voce tremante Elena disse «Una settimana
fa mi ha quasi pugnalato. Guarda il mio braccio sinistro, è
stato lui a farmi
quella cicatrice» «No, non può essere stato lui, non
farebbe del male ad una
mosca!» rispose incredula la gitana «Non farà male
ad una mosca ma ad una
ragazza sì» «L’hai visto in volto? Sei sicura
che sia lui?» «Non l’ho visto ma
sono sicura che sia lui» «Se non l’hai visto non puoi
sapere che è veramente
stato lui! A quanto pare non sei l’amica che credevo!»
detto questo Lola corse
via dalla casa.
Uscita
dalla casa, Lola, credette di piangere poiché aveva litigato con l’unica
persona che fosse sua amica senza essere anche una malvivente o una zingara.
Stava per imboccare un vicolo per tornare fra la sua gente, quando vide Heron
parlare con un uomo piccolo e grassoccio, appena terminarono la discussione lo
strano individuo seguì l’omino in un vicolo buio. La curiosità era il difetto
peggiore di Lola, seguì i due nel vicolo.
Seguì i
due uomini per numerose strade finché non arrivò di fronte ad un palazzo, dove
l’uomo piccolo si congedò. Heron aprì il portone dell’edificio e vi entrò; con
incredibile agilità Lola riuscì ad entrare a sua volta nel palazzo senza che
nessuno se ne accorgesse. Per molti scalini seguì Heron senza fare rumore e
rimanendogli sempre abbastanza lontano perché lui non si potesse rendere conto
di lei ma perché lei riuscisse sempre a vederlo. Improvvisamente Heron entrò in
una stanza ma richiuse la porta dietro si sé impedendo quindi l’accesso alla
stanza a Lola che, però rimase fuori ad ascoltare la conversazione.
Intanto
nella stanza Heron si era seduto e, con lui c’era un uomo,
quell’individuo che
Elena non riuscirebbe a guardare in volto senza provare paura. Il primo
a
parlare fu Heron «Perché mi avete chiamato?»
«Vi ho pagato per svolgere un
compito, dopo una settimana non ho ancora visto il risultato»
rispose l’uomo
che si trovava con Heron, Lola credette dovesse essere un uomo non
molto
coraggioso poiché la sua voce tremava di paura; Heron, con noia,
rispose «Non è
colpa mia se quella ragazza è svenuta, inoltre era anche
incinta. Mi basta
spezzare una vita, due sono troppo» «Avevate la vostra
preda su un piatto
d’argento e ve la siete fatta sfuggire!» «Io non
volevo approfittare della sua
debolezza. Solo un debole lo fa» «Va bene, voi non lo
siete. Ma io vi ho pagato
perché me la portaste non la sfregiaste, avete rovinato quella
sua bella pelle
morbida che una volta riuscii a sfiorare, cosa darei per poterlo fare
ancora»
«Vi devo lasciare solo?» «No, io voglio quella
ragazza viva e incolume il più
velocemente possibile» «C’è un uomo con lei,
sempre» «Uccidetelo» «Ma...» «Fate
come ho detto, non voglio vederlo più. Troppe volte si è
intromesso nelle mie
faccende» «Come volete, ma per questo nuovo lavoro voglio
essere pagato il triplo
di prima» «Così sia. Ma ora andate e tornate solo a
compito ultimato».
Sentendo
che i due uomini si stavano alzando, Lola fuggì via il più in fretta possibile
per non essere vista. Cercò di essere sempre silenziosa ma anche veloce, poiché
aveva sentito che Heron stava lasciando, anche lui, il palazzo. Fortunatamente
trovò una porta aperta, uscì e si nascose in un angolo buio dove vi rimase fino
a tardo pomeriggio quando tornò fra la sua gente.
Appena
entrò nella sua stanza Lola era ancora scioccata per ciò che aveva sentito quel
giorno seguendo Heron. Si sdraiò sul letto a riflettere: doveva dire ad Elena
che qualcuno stava cercando di rapirla, ma il suo orgoglio era troppo alto e
non voleva nemmeno ammettere che aveva torto, che Heron non era così buono come
credeva lei, ma non voleva più parlare con Elena. Perciò, sapendo ciò che Heron
doveva fare, si avvicinò di più al marito e, dovunque egli andasse lei non lo
lasciava mai solo, lo accompagnava sempre.
Ma, dopo
un mese lei si stancò di fare la serva di Heron, che aveva approfittato della
situazione per ordinare a Lola qualsiasi cosa, ed andò a raccontare ciò che
aveva sentito ad Elena e Matteo.
Uscì dalla
sua casa ed andò a casa di Elena, per la prima volta dopo quel litigio. Bussò e
Roberta le aprì la porta, la quale rimase meravigliata di vedere una zingara
alla sua porta, diffidente le chiese «Cosa venite a fare qui, zingara?» «Devo
parlare di una cosa ad Elena e Matteo», Roberta, dispiaciuta, le ripose «Mi
dispiace ma sono partiti qualche giorno fa per Parigi» «Quando torneranno?»
«Non ne ho idea, non hanno parlato di nessuna data di un possibile ritorno» «Va
bene, grazie lo stesso», e mentre si allontanava pensò fra sé “Meglio così,
almeno a Parigi, Heron non potrà fargli del male e, quando torneranno glielo
dirò”. Molto più sollevata, Lola andò nella piazza dove aveva conosciuto Elena
ed iniziò a ballare per la gente.
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Capitolo 6 *** capitolo 6 ***
Clermont
opo quasi tre settimane di
lungo viaggio, e precisamente il 4 settembre, Elena, Matteo e Leonardo
finalmente arrivarono a Parigi. Leonardo aveva insistito molto perché Matteo ed
Elena lo accompagnassero alla corte del re; e, nonostante Elena preferisse
visitare Parigi, Matteo la obbligò ad andare alla corte del re poiché per lui
era una cosa importante.
Circa un’ora dopo i tre
scesero dalla carrozza, Elena si avvicinò a Matteo e gli disse «Mi sento in
colpa per essere venuta fin qui con Paolo», infatti, con loro, c’era anche
Paolo «Non potevamo lasciarlo a Clermont» la rassicurò Matteo «Hai ragione,
però mi sento una madre snaturata per aver fatto affrontare ad una creatura
così piccola questo lungo viaggio!» «Non sei una cattiva madre! Non
preoccuparti. Ormai Paolo è cresciuto parecchio, è un bambino robusto» «Spero
tu abbia ragione. Sai, Matteo, sono agitata. È la prima volta che vedo un re»
«Non capita tutti i giorni di essere alla corte reale» «Questo è vero, ma è
ancora più difficile visitare la corte reale se non ci sono più dei re» «Come
fate a governare la nazione?» «Dei re ci sono ancora, ma sono rimasti per lo
più per figura. È il parlamento a governare al posto del re e la maggior parte
degli Stati sono democratici» «Come può il popolo governare?» «Il popolo elegge
delle persone che li rappresentano e che prendono le decisioni migliori per lo
Stato» «Come può questa essere democrazia se altri decidono per loro» «Matteo,
è complicato spiegartelo. Prendilo come dato di fatto» «Io voglio capirlo!»
«Smettetela di parlare di democrazia nel palazzo d'un re!» li interruppe
bruscamente Leonardo. Da quel momento nessuno dei due parlò più. L’unico ad
emettere qualche rumore era Paolo che, appena entrato nel palazzo del re iniziò
a piangere ed Elena impiegò molto per tranquillizzarlo.
Appena
entrarono nella sala del trono Elena rimase affascinata dalla grandezza e dalla
magnificenza della stanza, Matteo dovette quasi trascinarla. Attraversarono
l’intera sala per arrivare ai piedi del re, Francesco I che, con voce solenne
disse «Mi hanno riferito che voi avete accolto il mio pittore Leonardo da Vinci
nella vostra casa poiché lui si era smarrito. Ve ne sono grato e per questo
vorrei sdebitami con voi» «Essere di fronte ad un potente re come voi è la più
grande ricompensa che un uomo possa desiderare» rispose Matteo, ma Francesco I
continuò «Non siate così modesti, ci sarà pur qualcosa che desiderate, o siete
venuti fin a Parigi solo per incontrare me», Elena stava per parlare ma Leonardo
richiamò l’attenzione del re che, terminato il discorso del pittore, disse
«Leonardo sostiene che la vostra sposa vorrebbe visitare interamente Parigi, è
vero?» «Sì, Leonardo ha perfettamente ragione» «Perfetto, vi dono una casa a
Parigi dove desiderate voi, quando avrete deciso riferirtelo ad uno dei miei
scrivani», timidamente Elena disse «Veramente, vostra maestà, avremmo già
deciso» «Meraviglioso. Cos’avreste deciso?» «Si potrebbe sulla piazza del
sagrato di Notre-Dame?» «Certo che si potrebbe. Potete andare, ho molte cose da
fare».
Usciti dal
palazzo un servitore del re li fermò e disse «Sua maestà il re mi ha ordinato
di accompagnarvi alla vostra dimora. Seguitemi alla carrozza», appena furono
dentro Matteo chiese ad Elena «Hai già visitato Parigi?» «No» «Allora come hai
potuto rispondere al re?» «Matteo, devi sapere che sognavo di recarmi a Parigi
da molto tempo, ma non avrei mai pensato in un modo come questo».
In quello
stesso momento a Clermont, Victor stava vagando per la città, pensando ad Elena,
alla sua dolce pelle e a ciò che lui aveva progettato di farle. Sapeva
perfettamente che rapirla non gli avrebbe permesso di essere riamato da Elena,
ma voleva almeno sperarci. In lui la speranza era l’ultima cosa a morire. Ciò
era dovuto al suo passato. Quando Victor e Guillaume nacquero la loro madre
morì a causa di complicazioni durante il parto, i due bambini furono cresciuti
dal padre, un uomo politico molto importante nella città, che, nonostante
addolorato per la perdita della moglie, si risposò. La donna era molto bella e
gentile e, in poco tempo, si affezionò ai due figli adottivi.
Per molti
anni questa famiglia fu felice, finché, un giorno, dopo un burrascoso litigio,
la matrigna, a cui Victor era molto affezionato, se ne andò. Ciò provocò in
Victor un trauma enorme che si tramutò in un odio molto forte contro il padre,
che aumentò quando Guillaume decise di dedicarsi alla vita monastica,
lasciandolo solo col padre.
Proprio a
causa di quest’odio era diventato molto violento con tutti, perciò il padre lo
costrinse a studiare legge. Durante gli studi si trasferì a Tolosa e lì, in un
giorno molto freddo dell’inverno, entrando in una taverna molto accogliente
incontrò la sua matrigna che si era risposata. In tutti quegli anni Victor non
aveva mai smesso di sperare di poter rincontrare la sua matrigna. Per ciò lui
era una persona molto speranzosa, anche se la ragione sa che tutta quella
speranza è inutile per ottenere quello che desiderava.
Intanto Elena e Matteo erano
finalmente arrivati sul sagrato di Notre-Dame a Parigi.
La casa
che Francesco I donò loro era situata proprio di fronte a Notre-Dame;
paragonata a quella di Clermont era più piccola ma la sua architettura era
migliore.
Elena trascorreva molte ore
affacciata alla finestra, la mattina o la sera, ad osservare la cattedrale;
partecipava anche a svariate messe ogni giorno perché le piaceva molto
osservare l’architettura di Notre-Dame e la maggior parte delle volte Paolo era
con lei.
Una
mattina di due anni dopo Matteo si svegliò al pianto di un neonato; in quei due
anni, infatti, era nato un altro figlio: una femmina che Elena aveva insistito
per chiamarla Angelica. Aveva allora 3 mesi ed era già molto bella, con i
capelli neri e gli occhi azzurri. Matteo si svegliò e prese in braccio Angelica
per farla smettere di piangere, intanto anche Paolo, che dormiva con i due
genitori, si era svegliato. Al coro delle urla della figlia, Elena si svegliò.
Macchinalmente Elena si alzò, prese in braccio Angelica e, ancora assonnata, la
cullò finché non si calmò, quando smise di piangere la posò sul letto. Stava
per tornare a dormire quando Matteo la fermò e le disse «Oggi sono tre anni che
ci conosciamo», Elena, ancora intontita, rispose «È vero, mi ero dimenticata di
ciò che è accaduto. Ormai per me il 1500 è la mia casa. Pensandoci meglio. Non
ti ho mai raccontato la mia storia» «No. In quel giorno in cui arrivasti
dicesti cose che non ho mai capito» «Mi domandavo come mai tu non avessi detto
nulla. Normalmente a sentire una cosa del genere si rimane increduli» «Da quel
poco che tu dicesti il primo giorno, ti ritenni delirante, lo stesso quando
scopristi il medaglione. Io non feci altro che assecondarti. Solo col tempo
compresi quello che dicevi e cosa intendevi dire. Se devo ammetterlo, la cosa
mi affascina parecchio. Quanti uomini hanno una moglie che proviene dal futuro?
Dimmi tu che puoi saperlo, diventerò uno scrittore importante?» «Non ti
risponderò. Tu devi vivere per il presente, non con la prospettiva del futuro»
«Per favore» «No, io so cosa significa sapere tutte le cose orribili e
meravigliose che accadranno, cose che neanche la persona con la più fervida
immaginazione può pensare» «Allora, mi parli della tua famiglia?» «Già che non
ti ho mai parlato di loro. Comunque la mia famiglia siete voi: tu, Angelica,
Paolo, Roberta e Lola. A proposito di Lola e Roberta, mi mancano. Cosa ne dici
di tornare a Clermont?» «A me piacerebbe. Ma non eri felice di essere a
Parigi?» «Sì, ma mi manca quel paesino tranquillo, la mia amica gitana, Roberta
e Guillaume» «Ma sai che tornare là significa avere nuovamente a che fare anche
con Victor» «Sono dell’idea che si sia dimenticato di me» «Sarà, ma io non mi
fido».
Matteo aveva ragione a non
fidarsi, poiché in quei due anni Victor non si era per niente scordato di lei,
anzi, ogni giorno, quell’idea fissa si era rafforzata molto. Ma Elena e Matteo
non potevano sapere cosa significava tornare a Clermont ed abbandonare quel
perfetto luogo d’asilo. Così, una settimana dopo, partirono per tornare a
Clermont.
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Capitolo 7 *** capitolo 7 ***
Clermont
rascorse
altre tre settimane, Matteo, Elena e i due figli fecero ritorno a Clermont.
Nei
due anni in cui furono lontano dal loro paese accaddero tante cose, alcune
delle quali avrebbero sconvolto molto Elena. Fra i due adulti, lei era talmente
felice di essere di ritorno e di poter rincontrare tutte le persone a cui
voleva bene che preferì recarsi subito da Lola e Guillaume.
Insieme
con Angelica si recò nel covo degli zingari, dove incontrò la sua migliore
amica, Lola. In quegli anni era cresciuta molto ed era diventata ancora più
bella, i suoi lineamenti e il fisico erano maturati ed ora si poteva definire
una donna, più di quanto lei non fosse. Appena Lola la vide le corse incontro
felice del ritorno dell’amica, quando le fu vicino l’abbracciò e le chiese
«Come va? Come sei stata a Parigi?» «Bene, non potrei stare meglio, ho un
marito che mi ama e che amo e due figli meravigliosi. Piuttosto, tu? Non ti ho
più vista da quel giorno in cui litigammo. Scusami, avevo torto» «Non
preoccuparti, avevi ragione tu e fortunatamente i due anni di matrimonio sono
terminati, ora sono sposata con un uomo che amo, quanto ad Heron non l’ho più
visto e ne sono felice. Per il resto sto benissimo» «Non sai quanto mi sei
mancata, ho così tante cose da raccontarti» «Adesso che mi viene in mente,
dovrei dirti qualcosa, ma non mi ricordo più cosa. Magari mi verrà in mente.
Forza, racconta!». Elena rimase insieme a Lola a chiacchierare per ore prima di
decidersi ad andarsene. Quando uscì preferì far prima visita a Guillaume che a
Roberta.
Uscì quindi dal covo degli zingari e si recò in
chiesa. Appena entrò si accorse che c’era qualcuno con Guillaume, percorse un
piccolo corridoio e, appena fu dal vescovo, scoprì chi fosse l’uomo con lui.
Era Matteo con Paolo. Meravigliata della presenza del marito chiese «Cosa ci
fate voi due qui? Non dovevate essere a casa?» Matteo si avvicinò a lei e le
disse «Eravamo a casa, infatti, però volevo parlarti; così siamo venuti qua»
«Era così importante che non sei neanche riuscito ad aspettare il mio ritorno a
casa?» «Più che altro è che sapevo che saresti tornata tardi e poi Paolo voleva
vederti, l’hai viziato troppo ed ora vuole stare sempre con te!» «Si vede che
tu non sei un buon padre, e comunque quella che l’ha cresciuto finora sono io,
non tu. Com’è bello poterti rivedere, Guillaume!». In quel momento le campane
suonarono le sei di sera e Matteo disse «Perdonatemi ma conviene tornare a casa.
È tardi e si staranno preoccupando».
Elena, dopo aver salutato Guillaume, prese in
braccio Angelica mentre il marito afferrò la mano di Paolo ed uscirono dalla
chiesa.
Sulla
strada di ritorno Elena domandò a Matteo «Perché prima hai detto “si staranno
preoccupando”?» «Quando arriveremo a casa lo scoprirai» «Dai, dimmelo, per
favore» «Fra poco saremo a casa e lo scoprirai», improvvisamente Elena chiese
al marito «Posso chiederti una cosa? Come sono morti i tuoi genitori?» «Mio
padre è stato ucciso da uno del popolo, durante una rappresentazione teatrale.
Era scoppiata una violenta lite e lui ha cercato di riappacificare gli
spettatori; solo che loro non volevano smettere. Così uno di loro ha estratto un pugnale e
lo ha colpito. Io ero lì e l’ho visto morire ma non ho potuto fare nulla per
salvarlo. Era un uomo favoloso: altruista, generoso con tutti; lo ammiravo
molto ed è sempre stato il mio modello ed essere, anche per poco, simile a lui,
per me è un grandissimo onore.
«Mia
madre è mancata nel 1514, l’inverno di quell’anno fu particolarmente freddo.
Lei si trovava in un paese vicino da una sua sorella e là si ammalò. Io e
Roberta facemmo appena in tempo a salutarla un’ultima volta, poi lei morì».
Mentre stavano parlando erano arrivati a casa.
Quella sera Elena, dalla stanchezza, si addormentò
nello studio di Matteo.
Quando
si svegliò, la mattina seguente Elena vide che Paolo era accanto
a lei nel
letto che la guardava, cercando di essere il più sveglia
possibile gli chiese
«Cosa ci fai qui, tesoro?» «Papà litiga con un
uomo in cucina» meravigliata
Elena domandò «Com’è quest’uomo?»
«Alto, magro e brutto» «E perché papà
è
arrabbiato?» «Non lo so»; Elena abbracciò il
figlio poi disse «Io vado a
vedere, tu stai qui».
Elena si vestì velocemente poi andò in cucina ma
la trovò vuota, si recò anche nello studio di Matteo ma anche qui non trovò
nessuno. Decise allora di tornare da Paolo e là, finalmente, trovò il marito,
curiosa gli domandò «Con chi stavi litigando prima?» «Ma io non stavo litigando
con nessuno» «Paolo mi ha detto che eri con un uomo» «Ma non ero con nessuno,
ti ho detto» «Tu mi stai nascondendo qualcosa, ne sono sicura. Ormai ti conosco
fin troppo bene, ma se mi stai nascondendo qualcosa so che hai i tuoi buoni
motivi per farlo» dopo una breve pausa Matteo disse «Che ne dici di uscire un
po’, noi due da soli?» «E i bambini? Non vorrai mica lasciarli da soli! È da
irresponsabili!» «No, possiamo chiedere a mia sorella di tenerceli per un paio
di giorni» «A parte che non sono ancora riuscita a incontrare tua sorella, però
dov’è che vorresti andare?» «Vicino a qui c’è una cosa di mia proprietà, non ci
vado più da quando mia madre è morta; volevo venderla. Ora che la famiglia si
sta allargando abbiamo bisogno di denaro e quella casa mi può fruttare
parecchio. Però prima di venderla volevo dargli un’ultima occhiata» «Non mi
fido, i bambini sono così piccoli…» «Prenditi una pausa. È da quando è nata Angelica
che fai la mamma a tempo pieno e non più la moglie. Ho bisogno di te, anch’io
ho bisogno di una pausa. Per favore…» «E va bene, mi hai convinta» «Allora, tu
vai da Guillaume, ti vengo a prendere fra un po’».
Elena salutò i suoi figli, in particolar modo Angelica,
poi si recò da Guillaume ed attese Matteo.
Entrò
in chiesa e s’incamminò da Guillaume per parlare con lui mentre attendeva
Matteo ma, appena arrivò davanti allo studio del vescovo qualcosa le impedì di
entrare in chiesa. Insieme a Guillaume c’era qualcuno: suo fratello Victor.
Elena voleva fuggire ma era talmente terrorizzata che non riuscì a muovere le
gambe.
Intanto nello studio, Victor, con il solito tono
minaccioso, arrogante e pieno di sé disse «Fratello, guai a te se mandi a monte
il mio brillante piano!» il fratello, come sempre pacato e riflessivo rispose
«Non posso proibirti di fare sciocchezze ma posso evitare che tu faccia delle
stragi»; Victor afferrò la maniglia della porta, iniziò a girarla , poi si
volse per l’ultima volta verso Guillaume e continuò «Ricordati le mie parole,
fratello, o tu farai la stessa identica fine!» detto questo aprì la porta ed
uscì. Elena, che non si era ancora riuscita a muovere fu scoperta da Victor che
la fissò con uno sguardo penetrante, lei, terrorizzata, non si rese conto in
quale lingua stesse parlando, in italiano disse «Scusate, non ho fatto niente.
Io stavo camminando e vi ho sentito. Non è colpa mia, parlavate così forte che
vi ho sentito e io… scusatemi, per favore». In quel momento era apparso anche
Guillaume che, come volesse coprirla, disse al fratello «Non preoccuparti, era
solo italiano, glielo sto insegnando»,
con tono acido Victor commentò «Ma davvero? A me sembrava più la lingua
delle streghe piuttosto che italiano!», cercando di essere sicuro di sé
Guillaume rispose «Andiamo, tu credi troppo a queste cose! Arriverà il giorno
in cui qualcuno ti accuserà di stregoneria!»; alquanto irritato e senza dire
una sola parola, Victor uscì.
Appena Guillaume fu sicuro che nessuno lo sentisse
disse «Cosa ti è passato per la testa?! Parlare in quella lingua che nessuno
conosce!» «Perdonatemi, la paura mi ha fatto dimenticare tutto» «Ad ogni
modo, piccola, perché sei qui?» «Matteo ha deciso di andare un paio di giorni
in una casa che sta per vendere. Secondo me lo fa per nascondermi qualcosa. Voi
che ne pensate?» «Io so cosa non vuole dirti. Me lo ha detto ieri. In ciò che
sta cercando ardentemente di tenervi all’oscuro centro anche io, perdonami»
«Alle scuse preferirei la verità. Ma sembra che non sia all’altezza della
verità» «Quando voi tornerete, ti diremo tutto» «Diremo cosa?» chiese Matteo
che era appena entrato nella stanza; con uno sguardo profondo, Guillaume
rispose «Tu sai di cosa sto parlando, non credi che sia un comportamento
infantile? È grande abbastanza per sapere la verità!», severissimo Matteo disse
«Elena esci per favore, aspettami fuori dalla chiesa, io devo parlare un attimo
con Guillaume» «Ma…» «Fa come ti ho detto. Per una volta nella tua vita, chiudi
quella bocca e dammi ascolto!». Triste Elena eseguì l’ordine del marito ed uscì
dalla chiesa. Rimase alcuni minuti ad attendere Matteo, poi lui arrivò.
Appena Elena vide Matteo credette che fosse molto
arrabbiato per qualcosa che Guillaume doveva avergli detto, sorridente, si
avvicinò al marito che, quando la vide, cambiò improvvisamente espressione e
tornò ad avere l’aria dolce che Elena era abituata a vedere. Matteo le prese la
mano e le sussurrò «Ti amo, scusami se prima ti ho trattata male, non era mia
intenzione». Poco dopo Matteo si allontanò un attimo per prendere i cavalli che
aveva lasciato vicino alla chiesa e poi partirono.
Mezz’ora dopo erano arrivati di fronte ad una casa
imponente, il giardino attorno era stato trascurato da quando la madre era
morta, ma appena entrarono videro che era rimasta pulita come se qualcuno ci
stesse ancora abitando. Le stanze erano sontuose, anche se, paragonate alle
ville sfarzose del Re che avevano visto a Parigi, erano modeste e semplici.
Girovagando
per le stanze Elena si ricordò di aver già visitato quella villa prima di
allora; infatti, quella casa, col tempo, era diventata un museo che aveva
visitato durante una visita ai parenti di sua madre.
Quella sera, quando Matteo andò
nelle cantine per controllare che non ci fosse più nessun oggetto di loro
proprietà, scovò alcune persone che si erano rifugiate là. Infuriato, li
costrinse ad uscire; proprio in quel momento arrivò Elena che impedì a Matteo
di cacciarli di casa. Fuori la temperatura era bassa e farli passare la notte
all’aperto equivaleva condannarli a morte. Elena riuscì a convincere Matteo di
permettergli, almeno per quella notte, di rimanere in casa; lui accettò, a
patto che, la mattina seguente, poco dopo l’alba se ne andassero dalla sua proprietà.
Quando, la mattina seguente, Elena si svegliò,
trovò davanti alla sua porta un foglio e un orecchino. Prese il foglio e lesse:
Mucias gracias, señorita por averci aiutado da aquél ombre.
Yo te lascio esto orecchino por rengraziarte.
Que tu puede una vida muy feliz
Quando terminò di leggere,
Matteo era già arrivato vicino a lei, le prese il foglio di mano e lesse ciò
che vi era scritto. Dopo che ebbe finito, s’infuriò talmente tanto che strappò
il foglio e le disse «Non provare a raccontare questa storia in paese, non
voglio diventare lo zimbello di tutti! E non metterti mai quell’orecchino, è da
plebaglia comune, non voglio che la gente creda che io sia diventato un nobile
da quattro soldi». Arrabbiata e delusa dalla reazione di Matteo, gli diede uno
schiaffo e, preso il cavallo, tornò a casa dai suoi figli.
Appena fu tornata a Clermont si precipitò a casa,
dove, per la prima volta dopo tanto, rincontrò Roberta. In quel momento fu
felicissima di averla potuta riabbracciare, ma questa felicità era destinata a
svanire presto.
Roberta accompagnò Elena dai
figli, ma quando entrò nella stanza, qualcosa colpì la sua attenzione: invece
di due bambini ce n’erano tre. Oltre a Paolo e Angelica, c’era una bambina di
circa un anno che rassomigliava molto a una bambola di porcellana talmente era
bella e delicata. Roberta si avvicinò a questa bambina, la prese in braccio e
disse «Elena, ti presento la mia bambina, si chiama Fiordaliso»; fu molto
felice per Roberta, che finalmente aveva trovato l’uomo della sua vita.
Le due donne stavano parlando quando,
improvvisamente, qualcuno bussò al portone. Elena andò ad aprire. Davanti a sé
vide un vassallo del Re con un pacco in mano, dopo essersi accertato della sua
identità, l’uomo le lasciò il pacco e se ne andò.
Tornata in casa prese il
pacco e lo aprì, dentro vi trovò un quadro, una lettera e un piccolo sacchetto.
Aprì la lettera e lesse.
Bonjour madame et messieur de Foisos,
Meglio parlare in italiano, lo preferisco. Come
avete potuto notare vi ho voluto mandare un mio quadro appena completato per
ringraziarvi al meglio per la gentilezza che voi avete dimostrato nei miei
confronti. Ho cercato di fare in modo che questo dipinto fosse il più simile
alla realtà, e spero lo sia.
In quel sacchetto ho messo un piccolo gioco,
inventato da me, per il vostro bambino Paolo.
Come dite voi, madame Elena, Hola (anche se non so
cosa significhi).
Spero che nel giungervi la mia lettera voi tutti
godiate di ottima salute.
Leonardo Da Vinci
Terminato di leggere, Elena
guardò il quadro e riconobbe la stessa immagine contenuta nel suo medaglione.
Fissando l’immagine di Matteo non riuscì a trattenere le lacrime; sentendola
piangere Roberta si avvicinò a lei e le chiese «Cos’è successo?» «Ho dato uno
schiaffo a Matteo» «Hai fatto solo bene! Non sai quante volte si merita un
bello schiaffo! Quando eravamo piccoli avrei tanto voluto farlo anch’io, ma
nostra madre ci ha sempre impedito di picchiarci» «Sì, ma io non sono sua
sorella» «E cosa importa? Poi, se conosco bene mio fratello, vedrai che
arriverà qui quasi in ginocchio per chiederti scusa; inoltre sono certa che se
l’hai picchiato un motivo l’avevi avuto. Non preoccuparti; se Matteo fosse un
uomo normale allora saresti nei guai, ma lui ti ama troppo e non ti farà mai
nulla di male, anzi, è disposto a star male lui piuttosto che vederti soffrire»
«Grazie Roberta. A proposito, chi è il papà di questa bella bambina?» «Matteo
non te l’ha detto?» «No, sono giorni che continua a nascondermi qualcosa»,
sentendo dei passi Roberta disse «Dev’essere arrivato».
Ma non fu il marito di Roberta ad arrivare; bensì fu
Matteo che, appena vide Elena si ginocchiò e le disse «Perdonami! So che sono
già lo zimbello di tutti, in fondo nessun uomo lascerebbe tutte queste libertà
alla propria moglie e alla sorella. Ti prego perdonami! Ti amo troppo e non voglio
renderti infelice» «Tu però dimmi cosa stai cercando di nascondermi da giorni»
«Non serve che te lo dica, tanto fra poco lo scoprirai da sola». Roberta, che
capì a cosa si riferiva Matteo disse «È
mio marito, vero? Da quando ti ho detto che mi ero sposata e poi hai scoperto
con chi, mi tratti diversamente. Due anni a Parigi e neanche una lettera,
mentre io almeno una volta ogni due settimane ti facevo avere mie notizie.
Torni e te ne vai via subito. Si può sapere cosa c’è che non va con me?!»
«Veramente non centri tu, inoltre io ho risposto a tutte le tue lettere e se me
ne sono andato via subito era perché non volevo che Elena vedesse tuo marito»
«Ma perché?» «Lo capirai quando i due si vedranno» «I due chi?» disse un uomo
entrando in quella stanza. Quest’uomo era molto alto, magro, coi capelli
biondi.
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Capitolo 8 *** capitolo 8 ***
Clermont
eravigliata Elena urlò «Tu!»
«Scusa ragazzina, ci conosciamo?» «Non ti ricordi di me?! Mi hai quasi
pugnalata!» «Mi spiace ma io non ho mai fatto del male ad anima viva»
«Bugiardo!!». Elena stava quasi per ferire Heron, perché quell’uomo altri non
era se non lui, quando Matteo la bloccò; le afferrò la mano, la portò nel suo
studio e, prima che lei potesse parlare, disse «Non provare mai più a colpirlo!
Non abbiamo nessuna prova per incolparlo, purtroppo non puoi pensare che
qualcuno ti creda e soprattutto che Roberta ti creda!» «Ma è la verità, lui ha
tentato di uccidermi!» «Io ti credo, ma se gli altri no, non posso obbligarli a
pensarla come me!» «Matteo, ho paura!»
«Di morire?» «No,
di non vederti più, di non sentirti» «Non permetterò mai che tu muoia
per mano sua» «Grazie Matteo».
Quando
tornarono indietro Heron era sparito. Elena allora andò nella sua stanza e lo
trovò dentro. Prima ancora di lasciarlo parlare disse «Vattene via dalla mia
stanza, mostro!», quando l’uomo si voltò disse «Sei da sola, piccolina…» la
porta in quel momento si chiuse da sola, poi Heron continuò «Guarda, guarda, sembra
che tutto ti sia contro. Sei qui, sola con me, nessuno ti può sentire, nessuno
ti può salvare…» mentre parlava continuava ad avvicinarsi sempre di più ad
Elena finché non la bloccò contro la parete e le sussurrò ad un orecchio «Ricordo
ancora con quale piacere ho ferito il tuo dolce braccio; eri così bella che
avrei voluto possederti. Peccato sia arrivato quel guasta feste di tuo marito,
ma non arriverà, non oggi. Tu quest’oggi sarai mia, soltanto mia!» intanto che parlava continuava
ad abbracciarla e a toccarla. Proprio mentre Heron baciò Elena, Matteo entrò e,
in un primo momento, rimase di pietra; poi però afferrò l’uomo ed iniziò a
prenderlo a pugni. Elena cercò di separare i due uomini ma Matteo le disse «Ti rendi conto di quello che ha
fatto? Di quello che ti stava facendo?»
«Sì; però non è prendendolo a pugni che si risolve qualcosa» «E cosa
dovrei fare?! Trattarlo come un essere umano? Lui è solo una bestia, e così
dovrà essere trattata!» «Fermatevi!» gridò Elena.
Improvvisamente
Heron bloccò Matteo, gli puntò un coltello alla gola e disse «Solo tu puoi
salvarlo, Elena. Basta un tuo sì e il tuo adorato maritino avrà salva la vita»
«Cosa devo fare? Sono disposta a tutto pur di salvargli la vita» «Devi
concederti a me e consegnarti al mio padrone che deciderà cosa fare di te»
Matteo, che non voleva che la moglie accettasse quel patto, disse «Non devi
farlo! La mia vita non vale questo sacrificio. Preferirei morire che pensarti
sua» «Mi dispiace Matteo, non voglio vivere nel rimorso di averti lasciato
morire quando potevo salvarti la vita»; dopo una breve pausa continuò «Fa di me
quello che vuoi». Come promesso, Heron lasciò libero Matteo che corse da Elena
e le disse «Cambia idea, ti supplico, fallo almeno per i bambini» «Ma non
capisci?! Se avessi rinunciato tu saresti morto e poi mi avrebbe rapito lo
stesso» «Troverò un modo per liberarti, lo giuro». In quel momento Heron
disse «Elena, il tempo è scaduto, devi venire con me» «Un attimo!» rispose ad
Heron; poi, voltandosi verso Matteo, continuò «Una vita per una vita, ho
saldato il mio debito. Ti amerò per sempre» con le lacrime agli occhi diede un
ultimo bacio al marito, poi si avvicinò ad Heron. I due stavano uscendo dalla
stanza quando Matteo aggredì Heron sperando di poter liberare la moglie, ma Heron
si voltò e lo pugnalò dicendo «Non volevo farlo»; Elena corse da Matteo, che
era in fin di vita. Con il poco fiato che gli rimaneva, disse «Aveva promesso
che non mi avrebbe ucciso, il patto non è stato rispettato, ora sei libera»
«Matteo, sei un pazzo! Perché l’hai fatto?» «Ti amavo troppo per vederti con un
altro» «E i bambini?! Non ci hai pensato?!» «Ti amo. Ad--dio» «Matteo, NO! Ti
prego svegliati! Non puoi abbandonarmi così! Ti supplico, torna da me». Elena
rimase per alcuni minuti a piangere sul cadavere del marito poi Heron la
sollevò di peso e la portò via. Durante tutto il tragitto Elena non fece altro
che piangere e dibattersi; a chi la vedeva Heron diceva che era in preda ad un
attacco di follia. Quando Heron liberò Elena lei non aveva ancora smesso di
piangere, preso da un atto di pietà, portò la donna in una stanza e lì la
lasciò per tutto il giorno.
La mattina
dopo, Elena aveva smesso di piangere anche se, ormai, non aveva più la vitalità
di sempre; chi l’avesse vista l’avrebbe scambiata per una statua greca:
bellissima esteriormente ma senz’anima.
Poco dopo che si era svegliata,
nella stanza, entrarono Heron e Victor. Fino al giorno prima, se avesse
incontrato Victor, avrebbe cercato di aggredirlo però, questa volta, rimase
ferma, con gli occhi ancora gonfi per il tanto pianto; Victor riuscì
addirittura ad avvicinarsi ad Elena senza che lei opponesse la minima
resistenza. Victor si sedette accanto ad Elena che, per la prima volta dopo un
giorno in silenzio, con un leggero tono di voce, disse «Mi fate pena, entrambi.
Potete avere il mio corpo, ma di sicuro non avrete mai il mio cuore» «Io non
voglio il tuo amore! Ti ho desiderata dal primo istante in cui ti vidi e non
avrei mai permesso che t’impiccassero. Ti avrei salvata io, ma è arrivato quell’idiota
di de Foisos a rovinare i miei piani; ma ora non verrà più quello stupido
perché, finalmente, ha avuto la fine che si meritava». Nel sentire queste
affermazioni, Elena sputò addosso a Victor, lui si ripulì e disse «Sei una bestia feroce, ma io
saprò domarti!»; detto questo uscì dalla stanza, infuriato, lasciando la donna
sola con Heron. Lui le si avvicinò e le disse «Vedrai
che prima o poi ti passerà»
«Come posso tornare felice
sapendo che non potrò più abbracciare i miei figli; che l’uomo che amavo e che
mi aveva salvato la vita ora non c’è più?! Ed è tutta colpa mia! Solo mia!» «Se tu hai una colpa è quella di
essere così bella e misteriosa»
«Com’è possibile che tu,
che ora mi conforti, abbia potuto fare delle cose così malvagie?» «Avevo
bisogno di denaro ed ero disposto a fare qualsiasi cosa per vivere. Così ho
scoperto che Victor cercava qualcuno che lavorasse per lui; seppi solo dopo
cosa avrei dovuto fare» «Potevi tirarti indietro però» «No, aveva minacciato di far del
male alla mia famiglia se non gli avessi obbedito. Ora però riposati, sono
certo che ti farà bene un po’ di riposo».
Heron
uscì dalla stanza e si recò da Victor, che lo stava aspettando, con un sorriso
maligno; il giudice gli chiese «Com’è
andata?» «Il piano ha funzionato, sono
certo che fra pochi giorni lei si fiderà ciecamente di me. Come si può credere,
però, che io sia una brava persona?!»
«È il più grande difetto di chi è buono di spirito».
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Capitolo 9 *** capitolo 9 ***
Clermont
ra trascorso un mese dalla morte
di Matteo ed Elena non si era ancora ripresa, non era neppure riuscita a
rivedere i suoi figli. Nel paese giravano voci che dicevano che lei era
veramente una strega e che, dopo aver avuto degli eredi a cui tramandare la sua
magia, aveva ucciso il marito, che sapeva tutto, ed era sparita.
Durante quel mese, Elena aveva
tentato più volte la fuga ma ogni volta Victor la ritrovava prima che lei
potesse essere lontana e al sicuro.
Era
una mattina di fine luglio quando il piano di Victor ed Heron venne a galla.
Heron entrò nella stanza di
Elena e le disse «Buon
giorno Elena! Victor mi ha detto di portarti a vedere una cosa» «E
se io non volessi?» «Ti prego, Elena, fallo per la
mia famiglia, Victor potrebbe rifarsi su di loro»
«Va bene, ma lo faccio
solo per loro. Cosa devo vedere?»
«Non me l’ha voluto dire,
ha detto solo che è una sorpresa».
L’uomo accompagnò Elena in una
stanza che lei non aveva mai visto, molto luminosa, ma con uno spesso strato di
polvere che ricopriva gli oggetti. Una volta dentro Heron si congedò dicendo «Ti lascio sola, torno fra poco,
tu intanto siediti da qualche parte».
Mentre aspettava, Elena si guardò attorno e vide che, in un angolo c’era un
piccolo coltello che attirò la sua attenzione; appena lo raccolse la porta
dietro di sé si aprì ed Heron disse«Ti
ho portato la sorpresa, siediti perché potresti svenire dalla sorpresa. Chiudi
anche gli occhi e non aprirli finché non te lo dico io». Elena obbedì ma appena chiuse gli occhi qualcosa
la costrinse ad aprirli.
Sentì una mano che le percorreva
il corpo, quando aprì gli occhi vide Victor che, con sguardo lussurioso,
continuava a toccarla. Prima che l’uomo avesse potuto rendersene conto, Elena
si era alzata e stava puntando il coltello, che aveva trovato, a Victor. In
preda alla rabbia disse «Heron,
fammi uscire da qui, per favore»
ma con una strana voce Heron rispose «Mi
dispiace, sciocca, io non sono mai stato dalla tua parte. Mai. Sono solo un
bravissimo attore, ti ho ingannata così bene». Allora il suo istinto prevalse
ed Elena bloccò Victor puntandogli il coltello alla gola sussurrandogli «Digli di lasciarmi andare!» «Tu
mi dai il tuo amore?» «Scordatelo!» «Allora
tu dammi le tue labbra!» «Tu liberami» «Tu
concediti a me e poi lo sarai».
In preda alla rabbia, Elena affondò
leggermente il coltello nella carne ed uscì qualche goccia di sangue; preso
dallo spavento, Victor, con tono autoritario, continuò «Heron lasciala andare, è libera». Per evitare che Victor la
fermasse prima che lei fosse libera veramente, afferrò un pesante oggetto e
colpì l’uomo, che cadde a terra privo di sensi.
Non
appena riuscì ad uscire da quella casa infernale, Elena si precipitò in Chiesa
dove corse da Guillaume. Qui, la prima parola che pronunciò fu “Asilo”,
meravigliato, il prete chiese «Elena,
cosa ti è successo? Dopo la morte di Matteo sei sparita. Non sei neanche venuta
al suo funerale, ed ora, che ritorni qui a me, implori il diritto d’asilo. Cosa
può esserti mai capitato?».
Elena cercò di calmarsi, poi raccontò a Guillaume ciò che le era successo; al
termine il prete disse «Adesso
Victor mi sente» «No, rischieresti solo di
morire. Per favore, avvisa Roberta che porti qui i miei bambini e che faccia
venire anche Lola, ho bisogno di parlarle».
Guillaume esaudì le richieste di
Elena e, dopo circa mezz’ora, Roberta arrivò coi bambini. Paolo appena vide la
madre le corse incontro ed Elena iniziò a piangere dalla felicità; proprio in
quel momento arrivò anche Lola. Dopo qualche minuto Elena disse «Lola, ho bisogno di un grande
favore da parte tua» «Dimmi pure, se posso lo farò
volentieri» «Prendi i miei figli e crescili
tu come fossero tuoi».
Roberta, però, s’intromise e disse «Scordatelo!
Non lascerò che i figli di mio fratello crescano con gli zingari» «Lo
faccio per il loro bene, Roberta. Conoscendo Victor, sarebbe in grado di vendicarsi
sui miei figli, ma fra gli zingari loro sono al sicuro. Farò in modo che i
bambini sappiano chi sono e qual è la loro origine e tu, Roberta, mi aiuterai»
«Come farai?» «Lola lo farà per me. Farà in modo che crescano senza pericoli e,
quando saranno grandi abbastanza racconterà loro la verità e torneranno da te»
«Non dire sciocchezze! Tu vivrai e sarai tu ad occuparti dei tuoi figli» disse
Roberta «No, Roberta, purtroppo so che non sarà così. Io morirò molto presto,
me lo sento» «Non scherzare su queste cose!». Elena rimase coi bambini poi, a
tarda sera, a malincuore dovette dire addio a Roberta, Lola e ai suoi figli.
Quella
notte Elena non riuscì a dormire poiché continuava a ricordare quando era morto
Matteo e poi di quel giorno appena trascorso.
Alle prime luci dell’alba,
Guillaume andò a fare visita ad Elena. Appena lo vide, Elena ebbe una strana
sensazione, il suo istinto le diceva di non fidarsi, ed aveva ragione.
Guillaume, o almeno quello che Elena credeva essere il prete, le si avvicinò e
disse «Vieni con me, è già
tutto pronto, ho trovato il modo per salvarti da mio fratello. Hai solo da
fuggire con me» «Dove mi porterai?» «In
posto non lontano da qui, da dei miei colleghi. Là sarai al sicuro. Te lo
prometto». Titubante,
Elena lo seguì fuori dalla chiesa, per diverse vie, fino ad arrivare alla “Place du Roi”, chiamata dal popolo “Place des condamnées”, poiché al centro
della piazza si trovava un patibolo dove venivano giustiziate solo le donne
poiché agli uomini spettava tutt’altra fine: la decapitazione.
Elena
cercò di ribellarsi ma Victor, perché in realtà Guillaume era Victor, la
trattenne e le disse «Ecco
la tua ultima scelta! O ti concedi a me per sempre o ti darò in pasto al boia» «Preferisco
essere la sposa della forca che un gioco nel tuo letto!» «Non
fare sciocchezze, a questo mondo bastano due morti per questo peccato!» «Due
morti?!» «Il mio caro
fratellino è andato a fare compagnia al tuo dolce maritino all’inferno!» «Assassino!» «Allora,
sei o no dell’assassino? Mi basta un sì e ti porterò via da questo posto e
vivremo felici» «Mai! Preferisco raggiungere
Matteo e Guillaume!».
Preso da un impeto di follia, trascinò Elena fino alla forca dove legò il bel
collo con la corda e, una volta attivato il meccanismo di morte, fissò il corpo
della donna ondeggiare privo di vita.
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Capitolo 10 *** capitolo 10 ***
Clermont
ictor staccò la corda dal corpo
di Elena e, una volta che la ebbe fra le braccia, andò nel suo palazzo a
contemplare tale bellezza. La coprì di baci e di carezze per ore intere,
proprio come una madre che coccola il suo bambino.
Il suo corpo era ancora caldo e
il rigor mortis non era ancora sopraggiunto, quando Heron entrò in quella
stanza, trovando Elena stesa al suolo in una pozza di sangue, con sopra di sé
Victor, morto. Accanto ai due corpi senza vita, Heron trovò un foglio, lo aprì
e lesse
Una rosa che si disseta dei raggi del sole
Un fringuello che canta un’ode alla vita
Anima di fragile cristallo,
La tua morte pesa sui nostri cuori
Gonfi di nero dolore
Ma il tuo canto e la tua bellezza continueranno
A risuonare nell’eco dei nostri passi
Tra le strade di questa indifferente città
E finché questo Sole risplenderà sulle sciagure umane
Il giorno dopo questo
ritrovamento si celebrarono i funerali di entrambi. Elena fu sepolta accanto
alla tomba di Matteo, affinché potessero essere accanto per l’eternità. Sulla
loro tomba fu posta una statua che li raffigurava, insieme e felici; sulla
lapide fu incisa la poesia di Victor.
Dopo
circa vent’anni, Angelica si sposò con uno zingaro e, proprio quel giorno, Lola
decise che era il momento adatto per mantenere la promessa fatta alla sua
grande amica anni addietro. Raccontò ad Angelica e a Paolo il loro passato e,
alquanto meravigliati, decisero di ritornare ad essere dei de Foisos.
Dopo
circa 465 anni, dai figli di Angelica, nacque Elena.
Quando Elena compì 14 anni, i
suoi genitori la portarono in Francia, a Clermont, dai suoi parenti. Là le
raccontarono la romantica storia dei loro antenati Matteo ed Elena, visitò il
museo e fu portata, da sua madre, alla cappella di famiglia per poter vedere la
testimonianza delle loro origini nobili. La statua che era stata posta sulla
tomba dei due antenati colpì l’attenzione di Elena, che vi si avvicinò e, letta
la poesia sulla lapide, disse «Quanto
vorrei poter vivere una storia d’amore bella come la loro!». Ma purtroppo il destino era
pronto ad esaudire il sogno di una ragazza.
The End
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