A Little's Enough di Molly182 (/viewuser.php?uid=86999)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chap 1 ***
Capitolo 2: *** Chap 2 ***
Capitolo 3: *** Chap 3 ***
Capitolo 4: *** Chap 4 ***
Capitolo 5: *** Chap 5 ***
Capitolo 6: *** Chap6 ***
Capitolo 7: *** Chap 7 ***
Capitolo 8: *** Chap 8 ***
Capitolo 9: *** Chap9 ***
Capitolo 10: *** Chap 10 ***
Capitolo 11: *** Chap 11 ***
Capitolo 12: *** Chap 12 ***
Capitolo 13: *** Chap 13 ***
Capitolo 14: *** Chap 14 ***
Capitolo 15: *** Chap 15 ***
Capitolo 16: *** Chap 16 ***
Capitolo 17: *** Chap 17 ***
Capitolo 18: *** Chap 18 ***
Capitolo 19: *** Chap 19 ***
Capitolo 20: *** Chap 20 ***
Capitolo 21: *** Chap 21 ***
Capitolo 22: *** Chap 22 ***
Capitolo 23: *** Chap 23 ***
Capitolo 24: *** Chap 24 ***
Capitolo 25: *** Chap 25 ***
Capitolo 26: *** Chap 26 ***
Capitolo 27: *** Chap 27 ***
Capitolo 28: *** Chap 28 ***
Capitolo 29: *** Chap 29 ***
Capitolo 30: *** Chap 30 ***
Capitolo 31: *** Chap 31 ***
Capitolo 1 *** Chap 1 ***
Chap
1
Prendere
un aereo non
era mai
stato così difficile come in quell’istante!
C’era in gioco tutta la mia vita, i
miei sogni e la speranza di stare bene, una volta atterrata.
New
York era diventata troppo piccola per me e la gente che ci abitava,
troppo
opprimente. Non sarei riuscita a stare soltanto un altro secondo in
quella
città, anche se dovevo ammettere che alcune persone mi
sarebbero mancate.
Non
si poteva fingere che la propria vita passata non fosse mai esistita,
anche se,
certe persone, avresti voluto non incontrarle durante il tuo cammino,
ma ci
sono sempre quelle che sono state un punto di riferimento per te. Come
i
genitori e gli amici, quelli veri, con cui hai vissuto per tutta la
vita e ti
senti in colpa a lasciarli ma sai che è la cosa giusta da
fare, abbandonare
quella città infernale, e niente ti avrebbe fatto cambiare
idea, anche se una
parte di me, chissà quale, stava lottando per non farmi
partire.
“Si
avvisano i passeggeri che il volo TD 30128 per San Diego è
in partenza al Gates
3, vi preghiamo di dirigervi verso l’imbarco”,
aveva annunciato lo speaker
dell’aeroporto.
Avevo
fatto un lungo respiro e poi mi diressi verso l’imbarco.
Poche ore di aereo non
mi sarebbero costate nulla se in cambio c’era una vita nuova.
“Grazie
per aver volato con noi, benvenuta a San Diego”, mi
annunciò l’hostess quando
le passai davanti per scendere dall’aereo.
Percorsi
tutto il corridoio che mi portò nella zona del ritiro
bagagli e quando furono arrivate
le mie valigie, mi diressi verso il bancone delle informazioni.
Era
sera tardi, quasi mezzanotte e mezzo, e l’aeroporto era
particolarmente vuoto
ad accezione dei passeggeri che aspettavano il loro volo sulle panchine
o che
dormivano ignari di quello che succedeva intorno. Regnava il silenzio
più
assoluto.
“Mi
scusi, col volo avrei anche prenotato una macchina”, dissi
alla ragazza dietro
al bancone.
“Certo,
ha il biglietto con sé?”
“Sì,
aspetti un attimo”, poggiai la mia borsa sul bancone e
iniziai a tirare fuori
tutti gli oggetti che avevo all’interno e la ragazza
m’inviò un’occhiata di
disapprovazione.
È
strano come, quando hai bisogno di una cosa e
‘casualmente’ non la trovi perché
s’infila sempre sul fondo della borsa, sotto a tutto.
“Ecco,
scusi”, le porsi il biglietto. “Sa
com’è, quando si cerca una
cosa…”, iniziai a
blaterare imbarazzata.
“Non
si preoccupi”, mi disse digitando sulla tastiera del
computer. “Ecco, vede, c’è
un problema”
“Quale
problema?”, chiesi nervosa.
“Non
so davvero come sia potuto capitare, ma la macchina che aveva prenotato
non c’è
nel nostro parcheggio”.
“Come
la macchina non è nel vostro parcheggio?", dissi alzando
leggermente il
tono della mia voce. "Guardi bene, la prego! Ci deve essere
assolutamente
un errore”
“Niente”
“E
non ci sono altre auto?”, l’hostess scosse la testa
desolata.
“Può
prendere un taxi”, mi suggerì.
“Un
taxi? Mi costerebbe un occhio della testa”, dissi esasperata.
“Dannazione! Non
doveva andare così!”, mi ripetei camminando avanti
e indietro davanti a lei.
“Ehi,
ti sono caduti questi”, la voce di un ragazzo mi aveva
interrotto dal mio
monologo. Mi voltai a fissare quel tipo strano. Indossava una maglietta
gialla
e portava un berretto nero e bianco la cui visiera gli copriva
metà viso. In
una mano aveva un borsone da viaggio e nell’altra mi porgeva
la custodia dei
miei occhiali da sole.
“Grazie”,
gli dissi prendendoglieli e riponendogli in borsa per poi tornare a
discutere
con l’hostess. “Davvero non
c’è una sola macchina nel parcheggio?”
“Sono
desolata”
“Serve
una mano?”, mi aveva chiesto lo stesso ragazzo di prima.
“No,
grazie”
“Dico
sul serio, sembri una che ha bisogno di aiuto”.
“So
badare a me stessa, grazie per gli occhiali e buona serata”,
gli dissi
voltandomi verso di lui.
“Scommetto
che sei una di quelle che non parla con gli sconosciuti”.
“Non
si è mai troppo cauti”
Non
avevo la minima idea di cosa volesse da me. L’avevo
già ringraziato per gli
occhiali ora poteva anche andarsene.
“La
prego, guardi bene”, le chiesi decidendo di ignorarlo mentre
se ne stava fermo
in piedi a fissarmi. Dopo qualche istante, scosse la testa e si diresse
verso
l’uscita.
L’hostess
aveva scrollato la testa per la medesima volta e si era scusata. Certo,
tanto
quella che rimaneva a piedi ero io e non lei!
Poi
come se fosse un segno, mi si accese una lampadina, o qualcosa che le
assomigliasse e capii che l’entrata nella mia nuova vita era
stata un completo
disastro ma il proseguimento non avrebbe dovuto fare la stessa fine,
certo che
no, si poteva correggere.
“Fa
niente, grazie lo stesso”, dissi alla ragazza.
Presi
la mia valigia e il mio borsone e corsi verso il ragazzo che era quasi
arrivato
alla porta e lo afferrai per la maglietta.
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Capitolo 2 *** Chap 2 ***
Chap 2
“Ehi, scusa, è ancora disponibile il tuo aiuto?”
“Mica non parlavi con gli sconosciuti?”, mi chiese lui con uno strano sorriso ironico.
“A volte faccio delle eccezioni e poi, sei stato gentile a raccogliermi gli occhiali e quindi…”, feci spallucce.
“Dove hai detto che sei diretta?”
“Nella periferia di San Diego”
“Oggi è il tuo giorno fortunato!”, mi affermò. “Anch’io devo andare lì!”
“Fortunato non mica tanto visto com’è andata”, mi lamentai e ricevetti uno sguardo torvo da parte sua. In effetti, era meglio non contraddirlo poiché era disposto a darmi un passaggio. “Non intendevo il tuo aiuto”, mi affrettai a giustificarmi.
Uscimmo dall’aeroporto e un getto d’aria calda mi colpì in faccia. La differenza di temperatura, a confronto dell’aria condizionata dell’aeroporto, era notevole.
“A proposito io sono Thomas”, mi disse porgendomi la mano dopo aver abbandonato il suo borsone nel bagagliaio della sua macchina.
“Mary”
“Come il Maryland”
“Avanti, nessuno si ricorda del Maryland ad eccezione di quelli che ci abitano, non sarà la prima volta che incontri questo nome”.
“In effetti, no”, mi sorrise. Prese le mie valigie e le poggiò di fianco alla sua.
“Cosa sei venuta a fare a San Diego?”, mi chiese curioso. “Sei venuta a trovare il fidanzato?”
“No!”, dissi un po’ troppo bruscamente.
“Allora è un viaggio di piacere?”
“Diciamo di vita, come mi hanno ripetuto più volte ‘è un viaggio di capriccio’, ma per me è molto di più che una stupida idea, è una fuga”.
“Non è che finisco nei casini, vero?”
“Tranquillo, è una fuga annunciata”
“Magari un giorno mi spiegherai”, mi sorrise.
“Magari un giorno”
“E da dove sei fuggita?”
“New York, ci sei mai stato?”
“Qualche volta”
Guardando fuori dal finestrino realizzai solo in quell’istante che quello che avevo voluto fare da tempo, ormai, si era realizzato. Ero in California, a San Diego. Le strade, gli incroci, i semafori e le vie illuminate dai lampioni della città erano reali.
“Dov’è che abiti?”, mi chiese mentre la periferia si apriva davanti a noi. Cercai il foglietto nella borsa e questa volta lo trovai subito e con una pessima pronuncia spagnola gli lessi l’indirizzo.
“È questa…”, annunciai indicando una casa a destra della strada.
La macchina accostò davanti all’abitazione e scesi a fissare la casa davanti a me.
“Hai scelto un bel posto, dove venire ad abitare”.
“Già”, sorrisi più a me stessa che alla sua notazione. “I bagagli, aspetta!”, gli dissi ricordandomi dei vestiti e dei miei oggetti personali che l’avrebbero riempita.
“Ti do una mano”, prese i borsoni dalla macchina e ci camminiamo lungo il vialetto. “Hai le chiavi?”
“Quelli dell’agenzia mi avevano avvisato che le avrebbero lasciate dentro la cassetta della posta”, poggiai le valigie a terra e corsi verso di questa ma la trovai vuota. “Non capisco, dovevano essere qui!”
“Aspetta, provo con la porta sul retro”, appoggiò anche lui i borsoni e sparì dietro la casa per poi ricomparire qualche istante dopo davanti a me. Aveva tolto il cappellino e poggiato sul tavolo della cucina. “È carina, molto accogliete”, mi disse prendendomi le borse dalle mani e poggiandole davanti alla scala che avrebbe condotto al piano superiore”.
“Molto”
“Ora devo andare”, annunciò guardando l’orologio che portava al polso. “È stato… un piacere contribuire alla tua fuga”.
“Grazie e scusa il disturbo, in qualche modo ricambierò”.
“Certo, ci vediamo allora”, si rimise il suo cappello e mi rivolse un ultimo sguardo e un sorriso prima di scomparire dietro la porta.
Non potei fare a meno di guardarmi intorno, la casa era grande, vuota ad eccezione dei mobili. Stare lì da sola era un po’ inquietante ma era la mia prima casa. Il primo posto che avrei potuto definire tutto mio!
Salii al piano superiore e ispezionai tutte le stanze. Fui particolarmente attratta da una, era quella sopra la cucina. Non era certamente la più grande ma aveva un’enorme finestra che affacciava sulla strada. All’interno c’era un letto, un grande armadio e uno specchio, su una parete era fissato un orologio delle dimensioni del Big Bang che mi faceva ben notare che erano le due passate.
Portai al piano superiore le borse che Thomas aveva sistemato davanti alle scale e le misi in quella stanza. Nella mia stanza.
Il tempo di raggiungere il letto che crollai in un profondo sonno con i vestiti ancora addosso.
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Capitolo 3 *** Chap 3 ***
Chap
3
I raggi del
sole
che entravano prepotenti dalla finestra mi colpirono violentemente il
viso
costringendomi a svegliarmi. Mi strofinai gli occhi e per la prima
volta in
tutta la mia vita, alzarmi dal letto non fu stato difficile. Scesi
lentamente
le scale, ancora sbadigliando, e mi ricordai che praticamente la casa
era
vuota, non aveva né cibo né caffè. Il
mio amatissimo caffè.
Velocemente,
ritornai al piano superiore e mi chiusi in bagno. Lasciai cadere i
vestiti sul
pavimento e mi buttai sotto il getto d’acqua della doccia, il
tempo di vestirmi
e in meno di mezz’ora ero fuori dalla porta di casa diretta
per chissà dove.
Mi
voltai per guardarla, ancora non mi sembrava vero.
Il
sole
splendeva nel cielo e un leggero venticello rinfrescava
l’aria. Per essere metà
Aprile faceva piuttosto caldo, niente a che vedere col clima di New
York.
Camminando
sempre dritto trovai un bar e m’intrufolai dentro per
assumere la mia prima
dose di caffeina. Non potevo stare senza caffè! Seduta al
tavolo notai che
vicino al bersaglio delle freccette era appesa una bacheca con vari
annunci.
Alcuni avevano richiamato la mia completa attenzione.
Guardai
attentamente quei foglietti e uno in particolare si
differenziò dagli altri.
Era scritto con una caratteristica calligrafia e pur avendo cercato di
rallegrare il biglietto con delle stelle si notava che non ci avesse
dedicato
molto del suo tempo per compilarlo. Lo strappai e lo infilai in borsa
ed uscii
dal locale.
Dovevo
imparare quale autobus prendere e le varie lignee per raggiungere il
centro
della città. Chiesi informazione al barista e pochi minuti
dopo mi trovai ad
aspettare l’autobus alla fermata.
Camminando
tra i negozi stavo attenta ai cartelli attaccati alle vetrine. Sconti,
svendite, marche, niente che dicesse che cercavano personale.
Ormai
era passata già gran parte della mattinata e stavo davvero
per rinunciarci,
mille persone cercavano lavoro ogni giorno e di sicuro non lo avrei
trovato di
certo io, il primo giorno che mettevo piede in città, certo
che no!
Mi
sedetti su una panchina e come se fosse un segno, lo vidi. Un cartello
con
scritto ‘Staff Wanted – Se Busca
Personal’. Era il negozio adatto a me!
Entrai
e davanti a me si estendevano scaffali di CD e dal soffitto scendevano
vari LP
mentre altri erano fissati al muro. Nulla era più perfetto
che quel negozio.
Andai
verso il bancone, dove c’era un ragazzo con degli indomabili
capelli castani,
quasi biondi, e un tatuaggio sul braccio.
“Mi
scusi, state ancora cercando una commessa per il negozio?”
“Si
certo”, mi disse alzando solo in quell’istante gli
occhi dal PC.
“Vuole
che le mostri il curriculum?”
“Passami
il tuo iPod”, allungò la sua mano verso di me e
dopo averlo cercato nella
borsa, titubante glielo passai.
Fece
scorrere il suo dito sul piccolo schermo tra le varie canzoni. Non
accennava
nessuna parola ad eccezione di qualche “Mhm... ” di
approvazione.
“Perfetto!”,
annunciò dopo un po’. “Ancora nessuno si
era offerto di lavorare qui”.
“Troppo
impegnativo?”
“Diciamo
che chi si è presentato aveva una mp3 scarso”.
“Non
di marca?”
“Non
di gruppi degni da ascoltare”
“Capisco...
”, accennai un imbarazzato sorriso.
“Sei
davvero interessata?”
“Certo”
“Allora
puoi già iniziare a lavorare da questa settimana, in questi
giorni non c’è
molto da fare ma devo sapere se posso avere la tua completa
disponibilità per
tutto il giorno”, annuii. “A volte ci sono gruppi
che vengono a pubblicizzare i
loro record o semplicemente a firmare qualche autografo ed è
puramente
l’inferno, quindi ti toccherà lavorare duramente,
sei disposta?”
“Puoi
fidarti di me!”
“Bene”,
mi sorrise allungando la mano. “Benvenuta a bordo, io sono
Gary”
“Mary”
“Allora
ci vedremo domani alle nove, Mary”.
“Ok
grazie mille”
Uscii
dal negozio con un sorriso stampata sul viso. Mi sembrava che fosse
stato un
segno del destino farmi sedere su quella panchina.
“Scusa”,
dissi andando a sbattere contro qualcuno. “Oh sei tu,
ciao”
“Ci
rincontriamo”
“Eh
già”
“Come
va la casa?”
“Ancora
non sono riuscita a godermela ma suppongo che lo farò
presto”.
“Certo”,
si passò una mano tra i capelli. “Senti, stasera
c’è uno show privato, beh non
è tanto privato se no non ci sarebbe nessuno, almeno spero
che non sia così, ma
c’è musica, sarebbe carino se ci
venissi”, mi disse porgendomi un volantino
piegato che teneva in tasca.
“Sempre
che riesca a trovare il posto”, mi sorrise. “Ora
devo andare, è stato... un
piacere rincontrarti, Thomas”.
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Capitolo 4 *** Chap 4 ***
Chap
4
Avevo
fatto la spesa ed ero riuscita a tornare a casa senza perdermi. Ottimo
direi!
Cucinando
mi era tornato in mente il biglietto che avevo strappata al bar. Lo
cercai
nella borsa e lo fissai, rigirandomelo tra le mani.
Avere
una coinquilina sarebbe stato bello ma avrei rinunciato a una parte
della mia
privacy, ma qualcosa mi aveva spinto a prendere quel biglietto. La
strana
calligrafia, la scarsa voglia che avevano avuto per compilarlo o
probabilmente
la stanchezza dello jet lag mi aveva fatto capire che la proprietaria
di quel
volantino era esattamente la persona di cui mi sarebbe piaciuto
diventare amica
e non di uno di quegli studenti perfettini troppo impegnati negli studi
con cui
sarebbe stato impossibile rivolgere quattro chiacchiere.
Istintivamente
presi il cellulare e composi il numero che era stato scarabocchiato
velocemente
e pochi istanti dopo mi rispose una voce annoiata.
“Pronto?”
“Sì,
chiamo per l’annuncio che... ”, non mi
lasciò terminare la frase.
“Ah
sì, certo”, mi disse ricevendo ora tutta la sua
attenzione. “Dimmi quando
possiamo vederci”
“Ecco,
io sono arrivata da poco e non so ancora bene dove andare”.
“Facciamo
tra mezz’ora al bar, dove ho lasciato
l’annuncio”.
“Va
bene”
“Sembri
simpatica dalla voce, sono proprio curiosa di conoscerti, a tra
poco”, mi disse
riattaccando il telefono.
Guardai
l’orologio che segnava pochi minuti alle due, non era mia
abitudine mangiare a
quell’ora ma tra la ricerca del lavoro e la spesa avevo fatto
davvero tardi e
fra poco mi sarei dovuta presentare al bar a incontrare
quell’eccentrica
ragazza.
Alle
due e venti ero ancora a casa e quando gettai l’occhio sul
cellulare notai di
essere in un notevole ritardo. Mi dovetti gettare fuori di casa e
correre verso
il bar. Entrai e mi guardai attorno. Praticamente era vuoto ad
eccezione di una
ragazza con lunghi capelli biondi seduta a un tavolo vicino alla
finestra.
Supposi che era lei.
“Scusa
il ritardo”, dissi, titubante, avvicinandomi.
Si
alzò in piedi mostrandomi un paio di jeans stretti e una
canotta abbinati a una
camicia a quadri legata con un nodo. “Tranquilla, piacere io
sono Nicole”, mi
rispose porgendomi la mano e tornando a sedersi.
“Piacere
Mary”, feci come lei.
“Allora,
dimmi un po’”
“Cosa?”
“Possiedi
una casa? un appartamento? Sei sola? Con il ragazzo? Genitori?
Animali?”
“Ho
una casa, abito da sola e per il momento non ci sono animali, anche se
vorrei
prendere un gatto o un cane più avanti”.
Un
cameriere si avvicinò a noi e prese le nostre ordinazioni
portandoci poco dopo
due frappè.
“Come
mai sei qui?”, mi chiese dopo aver dato un sorso al suo
bicchiere.
“Un
viaggio di vita”, dissi disegnando dei cerchi con la
cannuccia.
“Eri
stanca della tua città, giusto?”, immediatamente
alzai la testa per guardarla,
in una semplice frase aveva capito tutto. “Ti
capisco!”, mi rispose al mio
annuire.
“Anche
tu?”
“Diciamo
di sì, Montreal, per quanto io l’adori, non era
più la stessa e poi c’è da
notare un elemento fondamentale”.
“Il
clima”, dicemmo insieme scoppiando poi in una fragorosa
risata.
Sembrava
che ci conoscessimo da una vita.
“Esatto”,
aggiunse lei. “Tu di dove sei?”
“New
York”
“Non
mi dire”
“Ci
sei mai stata?”
“Non
fisicamente, ma le sere passate a vedere Sex In The City e Gossip Girl
mi hanno
permesso di conoscerla meglio delle mie tasche”, risi.
“Senti
ti va di venire a vedere la casa?”, le proposi alzandomi per
andare a pagare il
conto. Uscimmo dal locale e una gettata d’aria calda ci
colpì il viso.
“Ti
seguo con la macchina?”, mi chiese e divenni rossa.
Mi
aveva preso alla sprovvista. Quando ero a NY, non usavo mai la
macchina,
neanche l’avevo. Pur avendo la patente, mi spostavo con i
taxi perché erano più
comodi e non dovevo patire il traffico infernale. E poi non sapevo
guidare con
il cambio automatico.
“In
verità sono venuta a piedi, non ho la macchina”.
“Allora
sali su che ti porto io”, mi disse prendendomi per un braccio
e pochi minuti
dopo eravamo davanti alla casa.
“Eccola
qui”, annunciai aprendo la porta e la lasciai passare.
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Capitolo 5 *** Chap 5 ***
Chap 5
Le mostrai il piano
terra, guardava la casa attentamente.
“Certo, la
casa non sta cadendo a pezzi anzi è in ottime
condizioni solo che ha bisogno di un’imbiancata alle
pareti”, mi giustificai.
“Non
è un problema, è davvero stupenda!”, mi
sorrise.
“Vieni, ti
mostro quale sarebbe la tua stanza”.
Salimmo le scale fino
al piano superiore e percorrendo il
corridoio mi fermai davanti a una porta, esattamente di fronte alla mia
camera.
“Mi hai
lasciato la camera col balcone?”, mi chiese
impressionata.
“Sì,
ehm io preferivo quella che affacciava sulla strada,
spero che non sia un problema?”
“È
perfetta!”, disse realmente felice. “Davvero,
quando
posso portare le mie robe?”
“Per me
anche subito”, le risposi ridendo.
“Vieni”, le
dissi scendendo giù per le scale ed entrando in cucina.
“Davvero, mi
farebbe piacere se fossi te la mia
coinquilina”, le sorrisi. “Sono nuova di qui quindi
non conosco molta gente e
visto che mi sembri un tipo a posto, non credo che mi strangolerai con
delle
calze a rete durante la notte, giusto?”, le chiesi sempre col
sorriso stampato
sul volto ma che pian piano svaniva a una sua non risposta.
“Vero?”, richiesi
preoccupata.
“Certo”,
disse lei pochi secondi dopo scoppiando a
ridere. “Non per vantarmi, ma non canadesi non abbiamo la
minima capacità di
fare male nemmeno a una povera e indifesa mosca”.
“Meno
male”, mi lasciai scappare insieme a un sospiro di
sollievo. “Beh, come puoi vedere, la stanza è
libera da subito e come dicevo
prima, ci terrei davvero che tu venissi a stare qui, so che posso
sembrare
disperata e questa può sembrare una supplica ma
davvero…”, m’interruppe.
“Non saprei,
la tua proposta è allettante ma sai, ho visto
molte altre case e ce n’era una in particolare che mi ha
attirato, è di una
ragazza non so se la conosci, si è trasferita da poco,
quindi...”.
“Quindi
è un si?”
“Solo per la
stanza”, disse ridendo.
“Ah beh, se
è così, allora... ” risi insieme a lei.
“Comunque
non mi hai ancora detto quanti anni hai”.
“Ne ho
ventuno”
“Non
c’è così tanta differenza tra di noi,
io ho solo tre
anni più di te”.
“Beh,
potresti farmi da sorella maggiore”
“In teoria,
ma penso che sia un ruolo più appropriato a
te, senza offesa”.
“Credo che
tu abbia ragione, per la mia età mi definisco piuttosto
noiosa”.
“Suvvia,
stando con me cambierai radicalmente”.
“Dovrei
preoccuparmi?”
“Fidati di
me”, mi rassicurò. “Sai, ci vedo
già le domeniche mattine a
preparare pancake caldi e tazze di caffè
bollenti”, disse sedendosi al tavolo
insieme a me.
“Mi hai
proprio letto nel pensiero”, le sorrisi.
“Comunque, vuoi una mano per portare qui le tue
cose?”
“Mi saresti
d’aiuto”
Era fatto! Avevo
trovato una coinquilina e ora stavamo
portando i suoi oggetti in casa mia, anzi, nella nostra casa.
Ero rinchiusa nella
mia stanza a sistemare i vestiti, che
avevo rimandato, mettendoli nell’armadio. Sbirciando nella
mia borsa ritrovai
il volantino che quel ragazzo mi aveva dato e mi venne
un’idea.
“Nicole?”,
la chiamai scendendo le scale.
“Si?”
“Ti andrebbe
di andare a uno show?”
“Che tipo di
spettacolo?”
“Non saprei,
oggi un ragazzo mi ha dato questo”, le porsi
il volantino. Lesse attentamente e non
disse niente, sembrava quasi impietrita. “Ehi”
“Come hai
avuto questo foglio?”
“Me
l’ha dato un ragazzo stamattina”.
“Devi
assolutamente dirmi chi era questo ragazzo, davvero
come sei riuscita ad averlo?”, stava camminando avanti e
indietro per la
stanza.
“L’altra
sera un ragazzo, un certo Thomas, mi ha dato un
passaggio dall’aeroporto e stamattina l’ho
incontrato al negozio di CD e mi ha
dato questo volantino, penso che l’abbia fatto per
gentilezza”.
“Sai il
cognome del ragazzo?”
“Non credo
che me l’abbia detto, indossava un berretto che li copriva
metà
volto e poi aveva una strana voce irritante”.
“Oddio,
davvero non ci credo!”
“Cosa?”
“Hai
conosciuto Thomas DeLonge e non hai la più pallida idea di
chi lui sia”.
“Lo conosci
anche te?”, chiesi come se fosse una cosa
normale. “È per caso un atleta?”
“Atleta? Ah, ti
riferisci per la sua altezza! No, niente del genere e poi con i piedi
che ha
farebbe solo casini”.
“Molti
giocatori di basket hanno i piedi lunghi”, le feci notare.
“Davvero, ma
da dove arrivi? Sei sicura di essere di New
York?”
“Sì,
credo di si”
“Beh, lo
avresti scoperto ugualmente vendendo quel
ragazzo sul palco e non sul pubblico”, sembrava che si fosse
calmata. Si
sedette sul divano e iniziò a spiegarmi la situazione.
“Allora, Thomas suona la
chitarra e canta in una famosa band chiamata Blink-182 e quello che ti
ha dato
è uno dei rarissimi volantini per accedere allo show privato
che terranno prima
di pubblicare il loro album così da far sentire qualche
nuova canzone”“.
“Capisco”
“Ti prego,
ti prego, ti prego, ci andiamo?”
“Sai, non
pensavo che ti piacessero”
“Spero che
tu sia sarcastica”, le sorrisi.
“Tu sei
pazza”
“Su questo
ho i miei dubbi su chi delle due sia quella
pazza”, ridemmo entrambe e mi sedetti sul divano di fianco a
lei.
“Mi spieghi
cosa ci trovi di straordinario in Thomas?”
“Tom
è un bel ragazzo, anzi è così sexy, e
anche Travis
non è un brutto ragazzo, però secondo me
è un po’ troppo magro ma il mio
preferito è Mark. Dio! Mark ha dei buffi capelli che battono
la forza di
gravità e poi è così bello e ha due
occhi magnifici azzurri, dove riesci ad affogarci
dentro e il suo sorriso... penso di essermi innamorata di
lui”.
“Beh, spero
vivamente che tu possa diventare la moglie di
questo Mork ma... “.
“Mark”
mi corresse.
“Sì,
Mark ma non so se sarebbe il caso di andarci, cioè
se vuoi puoi andarci te io preferisco stare a casa, finisco di
sistemare delle
cose e magari mi leggo un libro”.
“Stai
scherzando spero!”, mi disse. “Tu vieni a questo
concerto eccome,
crollasse il mondo. Devi far sapere a Thomas che sei venuta ad
ascoltarlo e indi
per cui andremo sotto il palco”.
“Questo
piano ha un secondo fine, vero?”, dissi un po’
scettica ma comunque
ridendo. “ E comunque perché mai dovrebbe volerlo
sapere”.
“Lo so io il
perché... ”, rise.
“Va
bene”, mi arresi. “Ci andiamo ma sappi che lo
faccio
per te e solo perché non mi rifiuto mai di andare a qualche
concerto”.
“Grazie”,
mi saltò addosso. “Già mi stavi
simpatica prima
ma ora che so che conosci Thomas DeLonge ti adoro”.
“Approfittatrice”,
risi.
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Capitolo 6 *** Chap6 ***
Chap
6
Il locale era pieno di
ragazzi con la maglia dei Misfits e
che commentavano quanto fosse bravo un certo Travis alla batteria
mentre le
ragazze impazzite urlavano quanto fossero sexy Mark e Thomas. Che poi,
mi
chiedevo cosa ci trovassero di così attraente in quel
ragazzo.
“Ma sono
tutte così le fans?”
“In
verità no, queste sono quelle che seguono la band solo
perché conosco al massimo,
gli ultimi CD pubblicati ma quelle vere sono quelle che vanno oltre
l’aspetto
fisico e che ormai hanno superato i sedici anni”.
Seguii Nicole tra la
folla e dopo essermi scusata con
ogni persona a cui schiacciavo per sbaglio un piede o andavo a sbattere
contro
riuscii a raggiungere il sottopalco.
Le luci si spensero e
una nube di fumo bianco invase il palco,
dove poco dopo comparvero tre ragazzi.
Lo show
proseguì con alcune canzoni, molte delle quali
erano davvero belle altre invece, tendevano al pervertito ma erano
simpatiche
allo stesso tempo. Si vedeva proprio quanto ci mettessero
d’impegno per far
divertire ogni singolo ragazzo presente in quella sala e forse mi stavo
ricredendo su Thomas, vedendolo sul palco a cantare e
scherzare mi aveva
totalmente fatto cambiare idea su di lui. In fondo non era
così male e la sua
voce non era così irritante, era questione di abitudine e
poi il fatto che
fosse un musicista mi aveva fatto mutare l’opinione su d lui
a prescindere. Non
si doveva mai sottovalutare il fascino di un musicista!
Quando il concerto
finì, si accesero le luci e il locale
iniziò a svuotarsi. Nicole mi prese la mano e mi
trascinò dietro a un tendone.
“Non credo
che qui si trovi l’uscita”
“Lo so,
infatti, stiamo entrando”
“Non credo
che dovremmo stare qui!”
“Suvvia,
l’ho fatto un casino di volte perché mai
dovrebbero scoprici ora”.
“Mi sembra
ovvia la risposta”
“E voi cosa
ci fate qui?”, disse una voce alle nostre spalle.
“Te
l’avevo detto”, le sussurrai ma ricevetti
un’occhiata
che m’incenerì e lentamente ci girammo.
“Sei te, ci hai fatto prendere un
colpo”, dissi tirando un sospiro di sollievo vedendo che la
persona che ci
aveva richiamato era Thomas.
“Sei venuta
alla fine”, mi disse guardandomi.
“Si beh,
Nicole ci teneva e quindi... ”
“Piacere io
sono Thomas”, disse lui porgendole la mano.
“Certo, come
se non sapessi chi tu sia, tutti ti
conoscono ad eccezione di lei, mi pare ovvio”, disse
armeggiando con la sua
borsa tirando poi fuori un blocchetto e una penna.
“Tom!”,
lo chiamò un ragazzo che sbucava per metà da una
porta blu. “Eccoti! Pensavo che gli alieni ti avessero rapito
di nuovo”, disse
ridendo. Nicole aveva ragione! Mark aveva un sorriso stupendo che ti
faceva
sciogliere e poi la sua voce era così bella. “Fra
poco andiamo a mangiare tu
che fai?”
“Arrivo”
“Ok”,
aggiunse prima di scomparire di nuovo dietro alla
porta.
“Mi faresti
un autografo?”, gli chiese Nicole.
“Certo,
ecco... ”, le disse porgendoglielo. “Vorresti
avere anche quelli di Mark e Travis?”
“Davvero?”
“Certo”,
gli porse uno dei suoi sorrisi che regalava a
tutti. “Mark!”, lo chiamò.
“Che
c’è?”
“Ti mando
una bella ragazza bionda, trattatemela bene”,
rise e uno strano sorriso malizioso comparve su entrambi i volti dei
ragazzi.
“Stanne
certo!”
“Mi devo
fidare?”, chiesi preoccupata per Nicole.”
“Sì,
tranquilla”, continuò a ridere. “Allora
ti siamo piaciuti?”
“Potevi
dirmi che avevi una band e che probabilmente ero
l’unica persona in tutta San Diego a non sapere chi tu
sia”.
“Perché
è una cosa così assurda e adorabile...
”,
arrossii.
“Adorabile?”
“Sì,
direi di si!”, mi sorrise. “Comunque non hai
risposto alla domanda di prima”.
“Siete stati
bravi, credo che se vi avessi conosciuto
prima, la mia adolescenza sarebbe stata diversa”.
“Adolescenza?”,
chiese confuso. “Quanti anni hai?”, mi
fissò in silenzio come
se per magia potesse comparire la mia età da un momento
all’altro.
“Ventuno”
“Sei
così giovane!”, arrossii di nuovo. Odiavo quando
capitava.
“Ehm...
grazie!”, dissi insicura sull’esattezza della
risposta data.
“Comunque
hai bisogno di una mano per la casa?”, mi
chiese. “Il CD sta uscendo e abbiamo qualche mese di pausa
prima che inizi il
tour”.
“Non
c’è problema”
“Dico sul
serio, non ho molto da fare”
“Non ti devi
scomodare, davvero, è tutto a posto”.
“Va bene,
allora ci vediamo domattina”, replicò lui.
“Eccomi,
andiamo?”, mi chiese Nicole che era appena
tornata impedendomi di ribattere. Annuii. “Thomas
è stato un piacere
conoscerti, Mary ti aspetto fuori.”
“A domani,
allora”, mi disse prima che mi voltassi per
sparire dietro alla tenda per poi raggiungere Nicole.
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Capitolo 7 *** Chap 7 ***
Chap 7
Quando mi svegliai la
mattina seguente ero in un fottuto
ritardo, ancora non ero riuscita a capire come funzionasse la sveglia e
quindi
mi ritrovavo a correre giù dalle scale.
Aprii la porta di casa
e andai a sbattere contro una persona.
Sarei caduta a terra se non fosse stato per quell’individuo
che mi sorreggeva.
“Buongiorno!”,
mi disse con un gran sorriso stampato in
faccia e il solito berretto.
“Che ci fai
qui?”, gli chiesi spostandolo di lato e
chiudendo la porta alle nostre spalle. “Non ho il tempo per
parlare, sono in
ritardo”.
“In ritardo
per cosa?”, mi disse cercando di seguirmi
mentre camminavo a passo svelto lungo il marciapiede.
“Per il
lavoro! È il mio primo giorno e la sveglia non ha
suonato quindi ho fatto tutto di corsa e non ho neppure mangiato, avrei
potuto
prende la macchina di Nicole ma non so dove ha messo le chiavi
quindi... “.
“Aspetta, ti
do un passaggio”, mi bloccò prendendomi per
un braccio. “Ho la macchina”
“Solo
perché sono in ritardo”, mi lasciai convincere.
“Che ci facevi qui?”, gli chiesi quando fummo in
macchina.
“Te
l’avevo detto che sarei venuto”
“Di solito
le persone che non hanno nulla da fare non
sono sveglie a quest’ora e poi mi ero dimenticata di
te”.
“Grazie...
”
“Non farci
caso, ho la memoria che fa schifo, scusa”.
“Nessuna
persona normale si dimenticherebbe di una
rockstar che la viene a trovare a casa”.
“Non sono
strana!”, dissi girandomi verso di lui e
fulminandolo. “E comunque non bado a certe
etichette”
“Dove
lavori?”
“Al negozio
di CD in centro”
“Hai quindi
conosciuto Gary... ”
“Sì,
è un tipo strano quel ragazzo”
“Non puoi
dire che è strano se anche a te da fastidio,
prima ho avuto paura che mi tirassi pugno”.
“A volte
capita che ne tiri uno”
“E tu non
saresti strana?”
“Perché
tu non hai qualche indole assurda?”
“Diciamo che
non sono il tipo più equilibrato su questo
pianeta, non bisogna essere del tutto normali per scrivere una canzone
sugli
alieni”.
“Quindi
abbiamo costatato che nessuno dei due è normale,
mi sembra... ehm, tutto normale”, dissi tornando a guardare
la strada. “Posso
chiederti un favore? Forse pretendo un po’ troppo, ti conosco
da poco quindi..”
“Dimmi”,
disse interrompendomi.
“Siccome non
hai niente da fare, ti andrebbe di tornare a casa mia e fare una
sorpresa a Nicole”.
“Del
tipo?”
“Prepararli
dei pancake e svegliarla”, mi guardò un
po’
scettico. “Suvvia, i migliori chef sono maschi e poi sarebbe
felice se fossi te
a svegliarla”.
“Va bene, lo
faccio solo perché sono un mago nel cucinare
pancake”.
“Va bene
grande cuoco, però dovete lasciarmene qualcuno”.
“Cercheremo”,
mi sorrise.
“Eccomi
arrivata”, gli dissi vedendo l’insegna del
negozio davanti a me. “Grazie del passaggio”
“Mi devi un
favore, anzi due”
“Certo”
“Ci vediamo
stasera a casa”
“Detto
così suona strano”
“Vero,
allora ci vediamo più tardi a casa tua”, disse
mettendo fuori dal finestrino la testa.
“Va bene,
ciao Thomas”, lo salutai prima di entrare nel
negozio.
“Buongiorno”
mi disse Gary. “Sei puntuale, ottimo
inizio”, continuò. “Ecco qui, muffin e
caffè”
“Accogli
così tutti i nuovi dipendenti?”, chiesi
prendendo la tazza di caffè fumante.
“È
una sottospecie di rito”, mi sorrise.
“Grazie,
comunque”
Rimangia tutto quello
che avevo pensato su di lui. Quel
ragazzo era un santo e mi aveva evitato di morire di fame.
Il negozio come il
resto della città era ancora deserto e
i clienti non sarebbero arrivati prima delle dieci e mezzo e
ciò mi dava
abbastanza tempo per imparare cosa avrei dovuto fare.
L’intera
giornata passò più o meno tranquillamente. CD e
DVD da ordinare e sistemare negli scaffali, genitori a cui consigliare
quale
disco sarebbe meglio per proprio figlio e spiegare alle ragazzine che
comprare
gli album di quei musicisti usciti dalla tv non era esattamente il tipo
di
buona musica da ascoltare.
“Per oggi
è tutto!”, mi disse Gary chiudendo la cassa.
“Allora a
domani”
“Vuoi un
passaggio per il ritorno?”
“No, grazie
prendo l’autobus”, presi la borsa da dietro al
bancone e mi diressi
verso la porta. “Eccomi a casa”, annunciai varcando
la soglia di casa.
“Bentornata”
“Vado a
farmi una doccia”
“Ok, tra
poco è pronta la cena”
Salii le scale e pochi
istanti dopo mi trovai sotto il
getto d’acqua.
“Come
è andato il lavoro?”
“Normale,
niente di pesante e, invece, la tua giornata?”
“Devo dire
che ho avuto una magnifica sorpresa, grazie”,
disse inforcando la pasta nel suo piatto.
“Di
nulla”, le sorrisi. “Thomas
dov’è?”
“Aveva delle
faccende da svolgere, se n’è andato proprio
poco fa”.
“Capito”
Quella sera non
facemmo niente di speciale se non
guardare la tv e una lunga chiacchierata sui futuri progetti sul
weekend e di
come potevamo ridipingere la casa.
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Capitolo 8 *** Chap 8 ***
Chap 8
La mattina seguente
riuscii a svegliarmi in anticipo
quindi avrei potuto fare le cose con calma . scesi le scale lentamente
indossando il mio pigiama che poi consisteva in un pantaloncino e una
canottiera colorata.
Entrai in cucina e
accesi la macchina del caffè. Non
potevo affrontare la giornata senza la mia fumante tazza di
caffè.
“Hola niña”,
mi disse una figura seduta al mio
tavolo. “Che bel pigiama”, aggiunse mangiando un
miscuglio di latte e cereali
da una tazza.
“Oh, ciao
Thomas”, dissi capendo a chi appartenesse
quella voce.
“Ti prego,
se fai così mi monto la testa”
“Come hai
fatto ad entrare?”
“Avrei
scommesso la mia Strastocaster che tu e Nicole
avevate lasciato la porta sul retro aperta”.
“Sì...
ehm... Vuoi del caffè?”, dissi cercando di
cambiare argomento.
“Sarebbe
perfetto”, gli porsi l’altra tazza sul
mobiletto. “Sai che è reato entrare nelle case
degli altri quando loro non ci
sono?”
“Ma voi
dormivate e poi stavo morendo di fame, non vorresti che una famosa
rockstar morisse di fame, non potresti mai immaginare le
conseguenze”
“Ovvero?”
“Migliaia di
mie fans potrebbero cercarti e trovarti e tu saresti costretta a
scappare in Canada sotto falso nome”
“Interessante,
sai è un rischio che potrei correre”
“Ma che
dolcezza”, mi sorrise. “Tutto quel caffè
non ti fa
bene”
“È
l’unica cosa che mi fa ragionare”
“Tu sei
strana”
“Ancora con
questa storia?”
“Scusa, cosa
farai oggi?”
“Vado
al lavoro”,
dissi poggiando la mia tazza nel lavandino e poi poggiandomi a questo.
“È
quello che fanno le persone normali, lavorano per guadagnare e con i
soldi
possono mangiare... è tutto un ciclo”
“Anche fare
il musicista è un lavoro impegnativo”
“Oggi cosa
farai?”
“Touché!”,
rise
“Vado a
prepararmi”, salii le scale e poco dopo le scesi.
“Beh, io vado, Nicole si sveglierà tra
poco”
“Aspetta ti
posso dare un passaggio”
“Ma non sono
in ritardo”
“Potremmo
passare del tempo insieme a discutere sul fatto
che sono uno scansafatiche”
“Se proprio
insisti”.
“Davvero non
c’è niente che possa fare per voi?”, mi
chiese in macchina.
“Beh,
potresti lavare i panni e stirarli”
“Qualcosa di
più mascolino”
“Io e Nicole
dovremmo ridipingere le pareti di casa, nel weekend andremo a
comprare le vernici”, dissi ridendo.
“Oggi inizia
il weekend, ti accompagno io!”
“Dico sul
serio, non ce n’è bisogno, stavo
scherzando”
“Perché
pensi che stare con te sia un peso?”
“Semplicemente
non voglio disturbare”
“Non lo
è!”, mi assicurò. “Comunque
oggi ti vengo a
prendere al lavoro e parlerò con Gary così da
farti uscire prima”
“Dico sul
serio, non ce n’è...”, interruppi la
frase al suo sguardo
inceneritore. “Deve essere sempre una partita persa con
te?”
“Hai capito
come funziona!”
“Sono
arrivata!”, dissi scendendo dalla macchina. “Grazie
per il passaggio”
“A
dopo”
“Va
bene”, entrai nel negozio. “Buongiorno
Gary”, gli dissi
mettendomi dietro al bancone.
La giornata
passò tranquillamente, niente di emozionante
oltre che sistemare dei CD e ordinarne degli altri.
Mi stavo occupando
della sezione Alternative Rock quando
un ragazzo si appoggiò allo scaffale davanti al mio.
Indossava una camicia
azzurra a maniche corte e degli occhiali leopardati, strani per un
ragazzo. Mi
ricordava qualcuno ma non mi veniva in mente chi lui fosse.
“È
uno dei migliori CD dei Jimmy Eat World”
“Scusa?”
“‘Bleed
American’, è anche raro”
“Vuole che
glielo porti alla cassa?”
“Sì,
grazie!”, disse seguendomi al bancone.
“Ha bisogno
di nient’altro?”
“In
verità sono qui per te?”
“Ci
conosciamo?”
“In
verità sì! Sei venuta insieme a quello schianto
della
tua amica bionda allo show dell’altra sera”, disse
con un sorriso da ebete.
“Ah,
si”, dissi ricordandomi di lui.
“Sono Mark e
tu sei... Mary, giusto?”
“Si”
“Tom non fa
altro che parlare di te!”, mi disse e iniziai
a sentire le mie guance che bollivano. “L’ultima
volta che era così ossessionato
da una ragazza ci ha scritto una canzone”
“Davvero?”
“Allora
è vero che arrossisci!”, disse indicando le mie
guance rosse.
“Cosa?”,
cercai di fare finta di nulla.
“Tom dice
che lo fai spesso”
“Thomas non
sa proprio niente”, cercai di sbollire ma il
fuoco dentro di me stava divampando. “Comunque, il CD lo devi
comprare?”,
annuì. “Sono 18.20$”
“Ecco”,
disse porgendomi delle banconote. “Ah mi
dimenticavo, sono qui anche per parlare con Gary, Tom mi ha minacciato
di
tagliarmi una parte essenziale di me – sai a cosa mi
riferisco – se non lo
avessi convinto a farti uscire prima”
“Davvero,
Mark, non devi farlo, non è che io e lui stiamo
insieme”
“Oh si che
lo devo fare”, disse toccandosi il cavallo dei pantaloni.
“Dov’è?”
“Di sopra,
al ripiano dei DVD”, quando scomparve sugli
ultimi gradini della scala a chioccia mi passai una mano sul viso.
“Ma che
razza di persone mi capita di incontrare!”, mi lasciai
sfuggire.
Poco dopo scese di
nuovo al piano dei CD e si avvicinò al
bancone dove mi trovavo.
“Tutto a
posto”, mi sorrise.
“Grazie!”
“Beh, ci si
vede in giro”, disse poi uscendo. “Ah,
comunque è la traccia otto di ‘Enema Of The
State’”, aggiunse facendo capolino
con la testa per poi sparire di nuovo.
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Capitolo 9 *** Chap9 ***
Chap 9
Cercai tra i CD da far
ascoltare il disco indicato prima
da Mark, ne trovai uno con una ragazza, se si poteva chiamare
così, in abiti da
infermiera. Doveva essere quello! Lo misi nel lettore e mandai avanti
le
canzoni fino alla traccia otto.
Ascoltai ogni singola
parola di quella canzone era
davvero bella e pur essendo qualcosa di romantico non mancava quella
nota di
ironia che riuscivano a mettere in qualunque canzone.
Iniziai a pensare a
tutto ciò che era successo in questi
giorni e al mio incontro con Thomas. Quel ragazzo avevo dei modi di
fare
totalmente stravaganti. Sorrideva sempre e anche se non era il classico
ragazzo
che t’ispirava fiducia ti conferiva una sorta di
tranquillità che ti metteva a
proprio agio.
Mi continuavo a dire
che stava andando tutto fin troppo
bene e che, prima o poi, tutto questo sarebbe finito. In soli tre
giorni a San
Diego avevo trovato una coinquilina che era totalmente fuori di testa e
pur
conoscendoci da poco sapevo che potevo contare su di lei e poi
c’era Thomas,
che non sapevo se definirlo come un amico o un conoscente ma era stato
così
gentile da essersi disposto di aiutarci a dipingere la casa.
I miei pensieri furono
interrotti dalla suoneria del mio
cellullare.
“Pronto, chi
è?”
“Sono
Thomas”
“Chi ti ha
dato il mio numero?”
“Nicole”
“Co avrei
scommesso!”
“Sono qui
fuori, esci”
“Sai che ti
odio?”
“Mi odierai
in macchina, forza!”
“Ok”,
riattaccai la chiamata. “Gary, io vado!”,
annunciai. “Scusa il disturbo, davvero, io non avrei voluto
ma...”
“Tranquilla,
so cosa significa trasferirsi da poco”
“Grazie”,
gli sorrisi prendendo la borsa da dietro il
bancone. “Allora a domani”
“Domani
sarà sabato?”, annuii. “Domani
avrò delle faccende da fare e terrò il
negozio chiuso quindi vedilo come un giorno di vacanza”
“Oh, ok,
allora a Lunedì”, uscii dal negozio e trovai nel
parcheggio Thomas
appoggiato al cofano della sua macchina.
“Ehi!”
“Ehi!”,
ripetei. “Forza, non eri te quello che aveva
fretta?”, dissi aprendo la portiera della sua macchina.
“Avanti!”
“Hai
conosciuto Mark?”
“Sì,
un tipo bizzarro”
“Sì,
lui è così!”, sorrise. Si vedeva che ci
teneva
davvero. “Ma è un grande amico pur la sua
sbadataggine”, gli sorrisi a mia
volta.
“Quindi cosa
hai fatto oggi?”
“Diciamo che
io e Nicole ci siamo dati da fare”, alzai
spontaneamente un sopracciglio. “Nel senso che non ce ne
siamo stati con le
mani in mano e abbiamo iniziato a verniciare casa”
“Beh, la tua
vacanza sta sfruttando”, gli sorrisi. “Che
stanze avete fatto?”
“Al pian
terreno solo la cucina, mentre il piano
superiore tutto”
“Anche la
mia camera?”, chiesi quasi terrorizzata.
“In
verità no, io e Nicole discutevamo su quale colore
sarebbe stato meglio, lei diceva una tonalità chiara invece
io optavo per
qualcosa di più forte, tipo il rosso”
“In
verità avete sbagliato entrambi, un azzurro andava
più che bene”
“Ecco
appunto perché ho preferito che tu venissi con me”
“Per
scegliere il colore?”, chiesi confusa. “Avresti
potuto chiamarmi”
“Ma
così non avrei passato del tempo con te”, mi disse
togliendo gli occhi
dalla strada e guardandomi. Rigorosamente divenni rossa mentre il suo
sorriso
si trasformava in una risata. Girai il volto così da vedere
la strada fuori dal
finestrino cercando di far passare il rossore sulle mie guance.
Nel giro di
un’ora avevamo comprato la vernice per la mia
stanza e per i corridoi. Preso tutto, tornammo a casa. Ormai si era
fatta l’ora
di cena indi per cui non c’era molto da fare.
“Nicole,
sono tornata”, dissi poggiando i barattoli di
vernice di fianco alla porta.
“Andato bene
il lavoro?”
“Normale”,
la raggiunsi seguita da Thomas. “Domani avrò
già il mio primo giorno libero”
“Magnifico
così io e te potremmo finire al più
presto”,
mi sorrise.
“Thomas vuoi
restare a cena?”, gli chiesi.
“Volentieri”,
ci sedemmo tutti e tre a tavola, ognuno al
rispettivo posto.
Ogni volta che alzavo
lo sguardo da tavola mi sembrava di
stare in uno di quei telefilm americani dove tutta la famiglia o gli
amici si
riunivano in cerchio per cenare, raccontandosi come era andata la
giornata. In
effetti loro erano i miei unici amici e anche una parte della mia
famiglia,
erano speciali come la sensazione che provavo: quella di sentirmi a
casa mia
per la prima volta.
Vorrei ringraziare Layla
che continua a
recensire ogni singolo capitolo e questo mi fa davvero
piacere. Grazie:)
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Capitolo 10 *** Chap 10 ***
Chap
10
Finita la cena,
continuammo a restare seduti a tavola per
parecchio tempo finché il telefono di Thomas
iniziò a squillare.
“Dovresti
rispondere”, gli dissi guardandolo.
“Non
è importante”
“Fallo”
Lui si alzò
da tavola e sparì nella sala, camminava
nervoso attorno al tavolino davanti alla tv e sembrava scocciata.
“Ehi, credo
proprio che li piaci”
“Non dire
sciocchezze!”
“Ancora non
lo hai capito? Pensavo che tutte le ragazze
avessero una sorta di radar per queste cose”
“Quali
cose?”, le chiesi. “Davvero non capisco”
“Lascia
stare, vedrai che avrò ragione”, mi disse
sparecchiando la tavola.
“Comunque, ho visto che stai cambiando la tua idea su
Thomas”
“In che
senso”, continuavo a non capire.
“TI va di
restare a cena?”, disse imitando la mia voce.”
“Mi sembrava
carino, infondo sta dando una mano con le pareti quindi
teniamocelo buono”
“Ma che
approfittatrice!”, rise.
“Ho imparato
dalla migliore”
“Certo, e
magari, tanto che ci siamo li possiamo far fare
il bucato”
“Gliel’ho
già proposto ma ha detto che voleva fare
qualcosa di più mascolino”
“Dio,
t’immagini Thomas DeLonge con il grembiule a fare il
bucato?”, ci
guardammo per un istante e scoppiammo a ridere. “È
il mio sogno erotico”, disse
continuando a ridere.
“Mica amavi
Mark?”
“Sì
ma se non te lo pigli te, ci provo io!”
“Tutto tuo,
cara”, feci un gesto con la mano come segno
d’inchino. “A
proposito, sai che oggi è venuto da me al lavoro?”
“Tom?”
“No,
Mark”
“E cosa
aspettavi a dirmelo? Avresti potuto chiamarmi!
Cosa avete fatto?”
“Tranquilla,
niente di sconcio ha comprato solo un disco”
“Eh...
Eh...”, disse ammiccando.
“Non pensavo
che avessi una mente così maliziosa”
“Quante cose
che non sai di me e... quante cose che non sai su cosa si
può fare
su un bancone”
“Mi devo
spaventare?”
“Forse un
po’”, rise.
Il nostro discorso fu
interrotto da Thomas che era
rientrato in cucina. Sembrava un’altra persona e il sorriso
li era scomparso.
“Devo
andare, scusate”, disse prendendo il suo cappellino
dalla mensola che divideva la cucina con la sala. “Grazie per
la cena”, disse
prima di avviarsi per la porta d’ingresso. Lo
seguì.
“Thomas?”,
lo chiamai prima che salisse sulla macchina.
“Tutto a posto?”
“Sì,
non ti preoccupare”, disse fingendo un sorriso poco
sicuro.
“Se domani
avrai da fare non serve che vieni”
“L’ho
promesso”
“Davvero,
dico sul serio, va tutto bene?”, mi avvicinai a lui.
“Sei cambiato
tutto di un colpo”
“Sono solo
piccoli problemi che continuo a rinviare e non
lasciare...”
“Problemi
che hanno lunghi capelli e che sono carine?”,
gli chiesi sorridendo.
“Può
darsi...”, mi sorrise a sua volta, questa volta
senza farlo sembrare sforzato. “Ci vedremo domani”
“Buona
notte”
“Notte”
Lui salì
sulla sua macchina e quando chiusi la porta lui
non c’era più.
“Che ti ha
detto?”
“Che
verrà domani”
“E non ti ha
baciato?”
“Perché
mai avrebbe dovuto farlo?”, chiesi con fare
ovvio. “E poi, credo che abbia la ragazza”
“Ma non ha
mai accennato nulla al riguardo”
“Già”
“Li piaci e
al momento non vuole farti sapere se ha la
ragazza perché vuole vedere come procedono le cose con
te”
“Tua
teoria?”
“Tutta
mia”, disse fiera di sé.
“Vado a
dormire mia indovina”
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Capitolo 11 *** Chap 11 ***
Chap 11
“Buongiorno”,
mi disse la solita voce l’indomani mattina.
“Buongiorno
Thomas”, gli dissi prendendo una tazza per me
e accendendo la macchinetta del caffè.
“Dormito
bene?”
“Credo di
si”, immersi i cereali dentro al latte. “Sai,
inizio a dubitare sulla vera esistenza della tua casa, per quanto ne so
sul tuo
conto potresti anche dormire nella tua macchina”, gli sorrisi.
“Non mi
piace fare colazione da solo, è deprimente”,
disse mangiando un’altra cucchiaiata di cereali.
“Un giorno ti porterò a
vederla”
“Un giorno
dovrò chiudere la porta sul retro”
“Non lo
farai mai”
“Probabile...
come mai qui presto? È sabato”.
“Non
riuscivo a dormire”
“E hai
realmente pensato di trovarci sveglie alle sette e mezzo del
mattino?”
“Non Nicole,
certamente, ma tu sì ed infatti ti sei svegliata poco dopo
il mio
arrivo”
“Va bene, va
bene”, mi arresi. “Pronto per verniciare,
allora?”
“Come non
mai”
“Non fare
tanto il sarcastico, signorino!”, lo rimproverai.
“Tu ti sei offerto
e ora non puoi sottrarti dall’impegno preso”
“Si
signora!”, disse scattando all’attenti. Rise e poi
poggiò anche la sua
tazza nel lavandino.
“Vado a
vestirmi”, dissi avviandomi verso le scale
seguita da lui.
“Intanto
inizio a preparare il colore”
Salii e in poco tempo
scesi le scale e trovai già metà
corridoio preparato. Iniziammo a dipingere quelle pareti e verso
metà mattinata
si svegliò Nicole.
“Come mai
sveglia così presto?”, le chiesi Thomas
stuzzicandola.
“Qualcuno ha
fatto troppo casino”, disse lei sorpassandolo e dirigendosi
verso
la cucina.
“Pensavo che
ci volesse qualcosa di più forte per tirati
giù dal letto”, gli urlò lui.
“Sono
abituata a sentire voci maschili, sai, mi sono
disorientata un attimo prima di riconoscere a chi appartenesse quella
voce
stridula”
“Disse la
bella addormentata”, rise.
“Buongiorno
anche a te Tom”, gli disse tornando da noi
con la sua tazza di caffè.
“Giorno
Nicole”
Era incredibile come
in così poco tempo erano riusciti ad
entrare in sintonia e prendersi in giro come due vecchi amici.
“Sai, potrei
abituarmi ad averti in giro per casa, mi
farebbe piacere avere un uomo tuttofare”
“Non mi
dispiacerebbe fare l’uomo tuttofare e poi mi
piace stare con te”, gli sorrisi e un leggero colorito rosa
comparve sulle mie guance.
“Mary, hai
visto le chiavi della macchina?”, mi annunciò
Nicole dopo pranzo.
“Dovrebbero
essere sulla mensola vicino al telefono, dove
vai?”, le urlai dalla sala. Avevamo finito il corridoio e ora
c’eravamo spostai
in sala.
“Roger
non vuole
funzionare, vado in lavanderia”, frugò sul piano.
“Eccole, a dopo”
“Roger?”,
mi chiese Thomas.
“Sì,
la lavatrice”
“Come mai li
avete dato un nome?”
“Sembrava
carino”
“Siete
pazze”, rise. “Ti va di accendere la
radio?”
“Va
bene”
Poggiò il
pennello e si chinò davanti alla piccola
radiolina appoggiata sul mobile e girava la rotellina in cerca di una
stazione
radio abbastanza decente per lui.
Dopo
un’eternità si staccò dalla radio e
ritorno alla sua
parete. Una canzone movimentata era finita e una più lenta
stava prendendo il
suo posto.
In pochi passi si
avvicinò a me e mi torse il rullo dalle
mani. “Mi permetti?”, mi chiese prendendomi una
mano e stringermi a lui, passò
l’altra sua mano sulla schiene senza aspettare una mia
risposta.
“Non fa
tanto telefilm ballare in mezzo ad una stanza?”
“Non
importa”
Appoggiai la testa
alla sua spalla e mi lasciai dondolare
dalla musica. Eravamo in mezzo a una stanza non decisamente elegante ed
eravamo
completamente sporchi di vernice. Di certo non eravamo romantici ma la
scena
sembrava proprio tirata fuori da un film.
“Vedo che ci
metti moco a prendere confidenza con le
persone”
“Di solito
c’impiego meno tempo”, mi sorrise a pochi
centimetri dal mio volto.
“Forse
è meglio che riprendiamo con le pareti”
“Stai zitta
e resta qui”, mi sussurrò. Se non fosse stato per
un tono così
seducente avrei avuto la capacità di risponderli e mandarlo
a quel paese ma
quel ragazzo mi stava provocando uno strano effetto.
Spostai le mie mani
attorno al suo collo mentre le sue si
posizionarono sui miei fianchi e restammo così per il resto
delle successive canzoni
che la radio fece passare, magicamente tutte lente, finché
il cellulare di lui
riprese a squillare.
“Rispondi!”,
lo obbligai.
“Non ne ho
voglia”
“Inizio ad
odiare la tua suoneria”
“Posso
toglierla”
“Magari
potrebbero essere i tuoi problemi”
“Sei per
caso gelosa?”
“No,
cioè solo che non mi sembra giusto evitare una chiamata,
tutto qui”, No.
Non ero gelosa! Almeno lo credevo.
Alla fine
accettò di rispondere al telefono e per non
disturbare mi spostai in cucina. Lo vidi fare come l’ultima
volta. Sguardo
scocciato e camminava per tutta la stanza. Quando chiuse la chiamata
invio un
“Fanculo” al telefono.
“Tutto a
posto?”, gli chiesi.
“Devo
andare”, prese il suo solito cappello e si diresse
verso la porta. “Ci vediamo”
|
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Capitolo 12 *** Chap 12 ***
Chap 12
Rimasi da sola in
mezzo alla stanza. Come il giorno
prima, aveva ricevuto una telefonata e il suo umore era mutato
immediatamente.
“Dov’è
Tom?”, mi chiese Nicole quando rientrò in casa.
“È
andato, come ieri”
“Ah”
sembrava un po’ delusa. “Non è successo
niente?”
“Del
tipo?”
“Un
bacio”
“Ci
risiamo... ”, dissi scuotendo la testa. “Abbiamo
solo
ballato”
“Solo?”
“Qual
è il significato di ballare nella tua mente
perversa?”
“Beh fare
sesso”, disse spontaneamente.
“Ah beh,
vedi troppi film”
“È
questione di tempo, vedrai”
“Ok, allora
facciamo che io torno in camera mia e faccio
finta che questa discussione non ci sia mai stata”, dissi
ridendo.
Non sapevo di cosa si
trattava ma stava di fatto che il
giorno dopo non si fece vedere né quello successivo.
Non
m’importava se la mattina non avevo più un
passaggio,
non mi dispiaceva prendere l’autobus. La cosa che mi mancava
di più era fare
colazione con lui, trovarlo, la mattina presto, seduto al tavolo della
cucina
con la sua tazza di cereali. Chissà se lo avrei rivisto.
“Buongiorno”,
dissi entrando in negozio lunedì mattina.
“Ciao Mary,
passato bene il week end?”
“È
stato piuttosto faticoso, dipinto le pareti e
finalmente io e la mia coinquilina siamo riuscite a far funzionare la
lavatrice”.
“Fine
settimana impegnativo!”
“Già”
Passai la giornata
piuttosto tranquillamente, come il
resto della settimana. Le giornate erano così tranquille che
lasciavano la mia
mente libera di pensare, cosa che non dovevo permettere. Infatti,
pensai ai
vari motivi per cui Thomas non si era fatto vedere per
un’intera settimana.
Finita la mia giornata
lavorativa, tornai a casa. Ad
aspettarmi seduto sul dondolo, c’era una figura che non
riuscivo a riconoscere.
Pian piano che mi avvicinavo l’immagine diventava
più nitida così che quando
salii i tre gradini, trovai seduto sul dondolo Thomas.
“Ciao”,
mi accenno alzandosi in piedi.
“Che ci fai
qui?”, dissi entrando in casa seguita da lui
che chiuse la porta alle sue spalle.
“Ho portato
del gelato”
“E
dov’è?”
“Dentro il
freezer”
“Potevi
aspettare dentro”, dissi prendendo il barattolo di gelato e
due
cucchiai e li poggiai sul tavolo, dove lui si era già andato
a sedere.
“Non mi
sembrava carino dato che voi non c’eravate”.
“E
intrufolare cibo nelle case altrui lo è?”, si
limitò a
scrollare le spalle e a prendere un’altra cucchiaiata di
gelato.
“Comunque
volevo farmi perdonare”, mi alzai e posai il
mio cucchiaio nel lavandino e iniziai a lavare i pochi piatti della
colazione.
Lui si avvicino a me e posò le sue mani sui miei fianchi.
“Smettila di
giocare”
“Non sto
giocando, non volevo sparire così”.
“Non ti devi
far perdonare, non hai fatto assolutamente
nulla, puoi fare quello che vuoi”.
“Beh, allora
domani ti porterò in un posto stupendo”, mi
girai così da guardarlo negli occhi. “Ci vado
quando voglio stare da solo”
“Però
porti me”
“Perché
voglio condividerlo con te”
“È
quindi un invito?”
“Diciamo di
sì, accetti?”
“Solo
perché non ho di meglio da fare”, mi fece un
sorriso a pochi millimetri
dal mio volto. Quasi mi sciolsi.
“Senti, se
ti chiedo di restare a cena, te ne vai come
l’ultima volta?”
“Credo
proprio di no”, aggiunse continuando a sorridermi.
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Capitolo 13 *** Chap 13 ***
Chap 13
Quando
l’indomani mi svegliai, era presto. Il sole era
sorto da poco e il vicinato
dormiva ancora.
Scesi le scale
lentamente e mi preparai una tazza di
caffè. Mentre aspettavo che il liquido amaro scendesse
dentro la caffettiera,
iniziai a pensare alla sera prima e di quella strana sintonia che si
era creata
tra me e Thomas. Non ero realmente arrabbiata per il fatto che non si
fosse
fatto vedere per tanto tempo, infondo me lo aspettavo, stava andando
tutto troppo
bene e qualche intoppo ci doveva pur essere.
Presi la mia tazza e
la riempii e senza fare troppo
rumore mi chiusi la porta alle spalle e andai a sedermi sul dondolo del
portico.
Le persiane delle case
iniziavano ad aprirsi e alcune
famiglie si stavano preparando per andare a messa. Nella seconda casa
di fronte
alla mia c’era un bambino che correva per il giardino seguito
dalla madre che
cercava di farlo salire in macchina mentre il padre era già
al posto di guida
che sbuffava tra uno sbadiglio e l’altro.
Ero talmente presa a
guardare ciò che accadeva nel
vicinato che non mi accorsi di lui finché non mi si mise
davanti.
“Ciao New
York” mi salutò.
“Thomas non
chiamarmi così”, lo rimproverai. “Non
chiamarmi New York, mi da sui nervi”
“Scusa,
ricominciamo: Buongiorno Mary”
“Meglio!”,
tirai un sospiro. “Non ti avevo visto arrivare”
“La tua
considerazione su di me continua a diminuire”, mi
disse con un sorriso.
“Non
è così”, gli ricambiai.
“È che ultimamente sono
distratta dai miei pensieri”.
Si sedette di fianco a
me e restammo in silenzio a
guardare quella casa.
“Vuoi fare
colazione?”, gli chiesi dopo un po’. Lui
annuii ed entrammo in casa.
Si sedette al suo
solito posto e gli passai la ciotola,
che ormai era diventata sua, e i cereali con il cartone del latte.
Ce ne stavamo seduti
attorno al tavolo a fare colazione
come avevamo sempre fatto da quando c’eravamo conosciuti.
Sembrava che tutto
fosse tornata normale.
“Allora oggi
andiamo a Seaport Village?!!”, mi disse come
se fosse più un’affermazione che una domanda.
“Così
avevi deciso”, dissi con indifferenza posando la
tazza nel lavandino. “Vado a vestirmi tu fai... beh come se
fossi a casa tua,
cosa che fai già”
Salii le scale e sulla
porta della mia stanza era
appoggiata Nicole che mi aspettava. “Buongiorno”,
disse con un sorriso a
trentadue denti.
“Come mai
sveglia a quest’ora?”
“Ho sentito
la macchina di Tom”
“Sai che
è inquietante come cosa da dire?”
“Lo
so, lo so, ma
non siamo qui per discutere della mia pazzia ma di te”
“Che cosa
stai cercando di dirmi?”, le chiesi e mi fece
uno strano sorriso malizioso che mi spaventò.
“Dico sul serio, non cercare di
fare il cupido della situazione perché non ci metteremo mai
insieme... siamo
solo due amici”
“Mai dire
mai”
“Nicole,
davvero, non succederà niente, mi porta da
qualche parte a San Diego, non è nulla di speciale”
“Dipende dal
punto di vista, se la vedi come un ragazzo
che porta fuori una ragazza sì, è normale! Ma se
pensi che quel ragazzo sia una
fottuta rockstar sexy non mi sembra tanto normale”, disse.
“E poi sai quante
ragazze vorrebbero essere al tuo posto?”
“Non ne
dubito, le ho viste al concerto...”
“Appunto,
allora perché non cogliere
l’occasione?”, disse sedendosi sul mio
letto. “Fatti più bella del solito e fai
presto”, mi sorrise prima di uscire
dalla camera e chiudersi la porta alle spalle per poi scendere
velocemente le
scale.
Quella ragazza era
tutta fuori ma era questo che mi
piaceva di lei. Non potevo scegliermi coinquilina migliore.
Mi vestii velocemente
e scesi anch’io al pian
terrendo. Dell’ombra di Thomas non c’era
traccia. Per un secondo mi era venuto il terrore che fosse sparito
così come le
sere prima.
“Ti aspetta
in macchina”, mi disse Nicole affacciandosi
dalla cucina e tirai un sospiro di sollievo. Mi diede
un’occhiata e alzò il
pollice in segno di approvazione. “Sei stupenda,
baby”, aggiunse facendomi
l’occhiolino.
“A
dopo”, la salutai per poi scomparire dietro la porta.
Raggiunsi Thomas in
macchina che stava canticchiando una
canzone che passavano alla radio.
“Andiamo?”, gli chiesi sorridendo, lui accese il
motore e partimmo.
Quando la macchina si
fermò ci trovammo davanti una
grande insegna di legno con scritto Seaport
Village in
bianco.
Camminammo lungo la
strada dove ai lati di questa erano
posizionati negozi di vario genere e dall’altra
c’era il litorale, c’era
perfino una giostra
con i cavalli.
“Posso farti
una domanda?”, mi chiese.
“Dimmi”
“Non ti
mancano i tuoi genitori e i tuoi amici? Io non
riuscirei mai ad andarmene da un momento all’altro e
abbandonare tutto”
“Ma io non
me ne sono andata da un momento all’altro, ci
ho pensato e ripensato e quando ho sentito che fosse il momento giusto
di
andarmene, l’ho fatto”
“E hai
già chiamato qualcuno?”
“No, non
sono ancora pronta a farlo…”
“Allora
credono che sei stata rapita da qualcuno tipo... li
alieni”, disse ridendo e iniziando a camminare davanti a me
senza perdere il
contatto con i miei occhi.
“Non dire
sciocchezze!”, risi. “Non sanno dove sono
andata, certo, però ho lasciato a loro un biglietto con
scritto che me ne ero
andata”
“Ancora non
mi hai detto perché l’hai fatto”
“Vedi, a un
certo punto tutto intorno a te inizia starti
stretto”, dissi appoggiandomi alla ringhiera di legno e
guardai il sole alto in
cielo, volevo prendere tutti i raggi possibili così da
sentire il calore sulla
mia pelle. “Gli amici ti tradiscono, la città ti
soffoca, le persone su cui
potevi contare erano sparite nel momento del bisogno e diventavano
sempre più
false, arrivati a questo punto pensi ‘Che si fottano
tutti!’”, aprii gli occhi
e lo guardai.
“Sei
determinata a dire queste cose”
“Lo
sono!”, affermai fiera.
“E davvero
non ti manca nessuno di questi?”
“Per
nulla”, continuai. “Sono cresciuta senza legarmi a
niente, non mi sono mai affezionata troppo a qualcosa o a qualcuno,
più gli
vuoi bene e più velocemente se ne andrà o
farà qualcosa che ti ferirà e sarà
troppo tardi per rimediare allo stupido errore commesso”
“Presto le
cose cambieranno, però...”
“In che
senso?”
“Adesso se
qui, sei abbastanza lontana da tutti loro, sei
dove hai sempre voluto essere, non vedo il motivo per non legarti alle
persone,
non pensi?”
“Durante la
mia vita, ho sempre avuto paura di perdere
chi amassi, ma poi, certe volte mi sono chiesta se qua fuori ci sia
qualcuno
che ha paura di perdermi”, sospirai. “La cosa
è strana e lo so che non ha senso
però quello che sto cercando di dire è che non
credo che ci riuscirò”
“Però
potresti provarci”, non risposi, non sapevo cosa
dire. “Ehi, non sto dicendo che se ti affezionerai a noi, noi
ti feriremo,
soltanto che magari…”
“Ho capito
cosa stai dicendo”, dissi sorridendo.
“E come mai
hai scelto proprio San Diego?”
“Non lo so,
mi sarebbe piaciuto andate a Los Angeles
magari soltanto a visitarla oppure magari andarci a vivere”
“Quindi
stavi andando a Los Angeles?”
“Se il primo
aereo non fosse stato la mattina successiva
probabilmente, ora, sarei a L.A. con altre persone ma non mi sono
pentita della
decisione che ho preso, atterrando a San Diego ho conosciuto Nicole e
te ma non
prometto che resterò qui per sempre”, per pochi
istanti i nostri occhi si
scontrarono e una strana elettricità passò tra di
noi.
“Vieni”,
mi afferrò per mano e mi trascino davanti a un
locale.
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Capitolo 14 *** Chap 14 ***
Chap 14
“Vieni”,
cercò di convincermi a farmi entrare in un
locale che aveva le sembianze di una catapecchia
che sarebbe ceduta da un momento all’altro.
“Non mi
sembra sicura”
“Non
lasciarti ingannare dall’apparenza, all’interno
è
fantastica”, continuò a dirmi.
Più
guardavo quella casetta di legno costruita sopra al
mare e più mi rifiutavo di metterci piede dentro.
“Dico sul
serio, più avanti c’è
‘Frosted Robin Cupcakes’
è carino quel locale”, sbuffò al mio
ennesimo rifiuto.
“Fidati di
me”, disse prima di afferrarmi per mano e
trascinarmi all’interno del locale. “È
così tanto brutto?”, mi chiese una volta
entrati.
“No”,
dissi seccata. Non sopportavo quando aveva ragione.
“Un tavolo
per due”, disse a un cameriere che ci portò a
un tavolo vuoto davanti a una grande vetrata
che mostrava l’oceano sotto di noi. Una vista da lasciarti
senza fiato.
Mi guardai attorno e
vidi la gente che pranzava. C’erano
alcuni bambini che correvano attorno ai tavoli, altri che erano seduti
scomposti insieme alla propria famiglia e poi c’erano un paio
di coppiette
appartate a sussurrarsi chissà cosa.
“Di sera ce
ne sono molte di più, ti ci porterò anche a
cena”.
“Per vedere
le coppiette?”, gli chiesi ridendo.
“Mi diverto
a fare il guardone”
“E magari
possiamo infastidirle”
“Era quella
l’idea iniziale”, disse ridendo insieme con
me. “Anche se avevo in mente un’altra cosa... di
sera è stupendo, vedrai!”
Pranzammo
tranquillamente tra chiacchiere e risate finché non
arrivò il momento del
dolce.
“Ci porti
due ‘Pier’s
Chocolate Sinner’s Delight’”, disse
al cameriere. Questo si presentò poco
dopo con due piatti contenenti uno strato di brownie e mousse al
cioccolato
all’interno di una torta al cacao con della panna montata e
di fianco una
pallina di gelato alla vaniglia. Era una bomba di calorie che mi faceva
venire
l’acquolina alla gola. “Spero vivamente che tu non
sia a dieta perché devi
assolutamente assaggiarla se no mi toccherà mangiare anche
la tua”.
“Stai
scherzando vero?”, gli dissi guardandolo male.
“Prova a toccarla e vedi la fine che farai”, lo
minacciai ridendo.
Ci mettemmo a mangiare
quella prelibatezza continuando a
ridere.
“Tom?”,
la voce di una ragazza di fianco a noi li fece
alzare la testa di colpo. Gli comparve un sorriso che sembrava per lo
più finto
e si alzò ad abbracciarla.
“Ehi
Jen”
“Che ci fai
qui?”, disse guardando il locale. “È una
tua
amica?”, disse poi accorgendosi di me come se non mi avesse
visto.
“Sì,
lei è Mary”
“Ciao, io
sono Jennifer, la sua fidanzata”, mi disse
porgendomi casualmente la mano sinistra sulla quale era posato un
anello sul
quarto dito.
“Ciao”,
cercai di sorridere anch’io.
La situazione si era
fatta imbarazzante nei cinque
secondi in cui nessuno diceva niente. Poi lei ci chiese cosa facevamo
qui come
se ci fosse un’alternativa a stare seduti attorno a un tavolo
a mangiare.
“Pranzavamo,
Mary è qui da poco e gli stavo facendo
vedere un po’ San Diego”.
“E di dove
sei?”
“New
York” gli rispose.
“New
York?”, chiese lei sbalordita. “Deve essere bello
vivere lì”, continuò a sorridere.
“La ‘Grande Mela’, è
così che la chiamate,
vero?”, mi chiese e annuii. “Perché un
giorno non ci andiamo anche noi? Non
sono mai stata più di un giorno e mi piacerebbe
visitarla”, si rivolse a Thomas
posandoli una mano sul petto.
“In Autunno
è magnifica”, le suggerii. “Sentite, ho
dimenticato che oggi mi sarebbero arrivati gli scatoloni con il resto
delle mie
cose quindi è meglio che vada”, dissi prendendo la
borsa. “E Thomas, non c’è
bisogno che mi riaccompagni, posso prendere tranquillamente un
taxi”, mi rivoli
a lui prima che potesse dire qualunque cosa. “È
stato un piacere conoscerti,
Jennifer”
La salutai e mi avviai
verso la cassa. Con la cosa
nell’occhio vidi che lui le stava dicendo qualcosa e lei
annuii tranquillamente
continuando a sorridere e poco dopo lo vidi comparire al mio fianco.
“Lascia,
pago io”, disse porgendo una carta al signore
dietro al bancone.
“Grazie”
“Scusa, non
sapevo che fosse qui”, si portò il portafogli
nella tasca dietro ai pantaloni.
“Non ti
preoccupare”
“Aspetta, ti
posso accompagnare a casa, non è un
problema”
“Ma non puoi
lasciare la tua ragazza per portare a casa
me”
“Ma lei
è qui con le sue amiche”, disse indicando un
gruppo di ragazze con delle buste colorate in mano che avevano
raggiunto la sua
ragazza.
“Davvero,
non importa”, dissi uscendo dal locale seguita
da lui. “Ci vediamo Thomas”
Mi voltai e lo lasciai
sul piazzale del ristorante mentre
proseguivo verso l’uscita in cerca di un taxi.
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Capitolo 15 *** Chap 15 ***
Chap 15
“Beh?”,
mi chiese
Nicole appena entrai in casa.
Mi tolsi la borsa e mi
buttai sul divano di fianco a lei.
“Cosa?”
“Com’è
andata?”, mi disse voltandosi a sedere verso di
me.
“Bene”
“Sicura?”,
mi chiese scrutandomi bene.
“Sì,
abbiamo camminato, pranzato, mangiato una torta
magnifica e poi ho conosciuto la sua fidanzata”
“Cosa?”,
rimase allibita.
“Esatto,
fidanzata!”
“Oh...”
“Già”
“E Thomas
cosa ha fatto?”
“Niente”
“Ma
dai”
“Ha
semplicemente detto ‘lei è Mary’ e poi
Jennifer, la
sua fidanzata, si è presentata come tale sbattendomi quasi
in faccia il suo
anello”
“E posso
dedurre dal tuo umore che ti ha dato fastidio
che Thomas non ti abbia detto nulla su questa ragazza?”
“Tecnicamente
aveva accennato alla cosa, almeno credo”
“Quella
volta aveva usato la parola ‘problema’ e non
‘fidanzata’, è ben diversa la
cosa”
“Non
importa, davvero”, dissi poggiando la testa sullo
schienale.
“Si che
importa, più cose si sanno sulla concorrenza e
più sarà facile batterla”
“Ma io non
voglio batterla e poi... non ce la farei”
“Certo che
potresti farcela, quella ha rizzato le antenne
vedendoti con lui, ha visto un possibile pericolo e quindi ha dette
quella
frase”, mi spiegò. “Le ragazze la usano
quando temono che qualcun'altra possa
portargli via il ragazzo”
“Tua
teoria?”
“Mia
teoria”
“Beh, io non
so altro, guarda su Google probabilmente
troverai qualche sua notizia”
“Già
cercato, nulla che sia stato affermato”
“Mi sembrava
strano che ancora non lo avessi fatto”,
risi. “Comunque era chiaro che lui non volesse farmi sapere
di avere una
ragazza”
“E questo
significa che...”
“Che
probabilmente tutta questa storia si limiterà
all’amicizia, massimo a fare colazione insieme”
“C’è
ben altro, vi vedo quando siete insieme e non mi
sembra semplice amicizia”
“Non lo so
davvero”, presi il telecomando e cambiai canale.
“Toglimi una
curiosità quanto tempo impieghi a pensare a tutta questa
faccenda? Mi preoccupa
un po’, sai”
“Diciamo che
siete la cosa più eccitante del momento poiché
la televisione non manda in onda niente di bello”
“Capisco,
ora ci vedo un senso”, risi. “Comunque smettila
lo stesso, le tue aspettative su di noi tenderanno a sprofondare
vedendo che
non accadrà proprio niente col passare del tempo”,
mi alzai dal divano e me ne
salii in camera mente Nicole mi urlava dalla sala.
“Questo lo
vedremo e ricordati che quando accadrà, verrò
da te e ti dirò: ‘te l’avevo
detto!’”
“Ok,
ok”
“Comunque
sono arrivati i tuoi scatoloni, gli ho messi in
camera tua”
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Capitolo 16 *** Chap 16 ***
Chap 16
Passai il resto del
pomeriggio ad aprire scatoloni e a
sistemare tutti gli oggetti al suo interno. Mi ero messa le cuffie e non le avevo
tolte per tutto il tempo, non mi accorsi neppure che qualcuno era
entrato in
camera e si era sdraiato sul mio letto.
“Dio!”,
esclamai spaventata.
“Ehi, scusa,
non volevo spaventarti”, disse mettendosi a
sedere.
“Thomas,
cosa ci fai qui?”
“Volevo
vedere se ce l’avevi con me”
“E
perché mai?”
“Perché
ti ho mollato da sola a pranzo”
“In
verità, sono stata io a lasciarti lì da solo, ma
tecnicamente c’era la tua
fidanzata quindi non eri effettivamente da solo... ma comunque non ce
l’ho con
te, sul serio”
Mi sdraiai di fianco a
lui. “È venuta bene”, disse
guardandosi attorno interrompendo il silenzio che era calato.
“Sì,
anche senza l’aiuto di un tuttofare”
“Scusa, di
nuovo”
“Ti ho
già perdonato”
“Grazie”
Mi alzai dal letto e
andai verso la finestra. Il cielo si
era oscurato e da lì a poco avrebbe iniziato a piovere,
l’unico rumore che
avremmo sentito.
“Thomas,
è successo qualcosa?”, gli chiesi girandomi
verso di lui. “Sei troppo silenzioso e tu non sei
silenzioso”
“No,
è tutto apposto”
“Tom!”
“Visto che
l’album è stato posticipato, la casa discografica
ha deciso di anticipare il tour”
“Quando
partite?”
“Domani”
“L’hanno
anticipato di molto”, annuì. “Se devi
fare delle
cose prima che tu parta, non converrebbe che…”,
m’interruppe.
“Perché
pensi che sia un peso stare con te?”
“Non lo
penso, solo che, beh, tu mi sembri un tipo impegnato”
“Lo
sarò da domani ora sono un ragazzo normale che vuole
stare in compagnia di una sua amica”, non risposti a quella
affermazione, non
avevo voglia di litigare.
“Verrà
anche Jennifer?”, chiesi senza fare davvero caso a
cosa avevo detto interrompendo il silenzio che mi ero promessa di fare.
“Sì,
resterà con noi per i due mesi”
“Ok”,
mi sdraiai di nuovo al suo fianco e mi cinse le
spalle con un braccio e la conversazione cadde di nuovo in un silenzio.
“Andrai a
Los Angeles?”, mi sussurrò.
“Scusa?”
“Oggi, mi
hai detto che saresti andata a Los Angeles”
“Non lo so,
forse”
“Promettimi
che ti troverò quando tornerò”
“Intendi qui
sul letto o a San Diego”
“Promettimi
che
non te ne andrai”
“Thomas...
perché?”, dissi alzandomi dal letto, seguita
da lui. Aprii la porta e scesi le scale. “Nicole?”,
non volevo affrontare
questa conversazione, non volevo rimanere da sola con lui.
“Nicole non
c’è”, disse lui seguendomi
giù dalle scale.
“Dov’è?”
“Non lo so,
la sua auto non c’è”
“Ok”,
dissi attraversando la sala.
“Mary, sono
serio!”, mi bloccò prendendomi per un braccio
e mi guardò negli occhi.
“Davvero Tom
non capisco qual è il tuo problema”
“Pensi che
sia possibile innamorarsi di qualcuno che
conosci da poco?”
“Della
serie, amore a prima vista?”
“Del
tipo”
“Non
credo”, abbassai accidentalmente lo sguardo. “Hai
trovato un’altra ragazza?”
“Stai
scherzando?”
“Cosa?”
“Mi hai
chiesto davvero se ho trovato un’altra ragazza
quando ti ho esplicitamente chiesto di restare?”,
lasciò il mio polso e si
diresse verso la porta poggiando la mano sulla maniglia
“Thomas,
aspetta, cosa stavi dicendo?”
Con pochi passi
eliminò la distanza tra di noi così da
posare il suo sguardo su di me e restai come cristallizzata. I suoi
occhi mi
avevano stregato e quello che potei ricordare fu la sensazione delle
sue labbra
sulle mie e il rumore della pioggia che sbatteva contro le finestre.
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Capitolo 17 *** Chap 17 ***
Chap 17
“Sei
impazzito o cosa?”, lo spinsi via allontanandomi da
lui.
“Aspetta”,
disse prendendomi per un braccio e facendomi voltare
.“Perché stai scappando?”
“Non sto
scappando sto soltanto andando lontano da te”
“Ma
è casa tua”, disse ridendo.
“Allora
vattene e non ridere”
“Ma tu mi
fai ridere”, mi disse sorridendo.
“Non devi
dire queste cose”, fuggii dalla sua presa e mi
diressi verso la cucina.
“Ehi”,
mi riprese e sta volta finii nel suo abbraccio.
“Non
abbracciarmi”, restò in silenzio senza aprire le
sue
braccia. “E poi, non hai, tipo, delle valigie da preparare o
cose del genere?”
“Ci
penserò stasera”
“Senti
è meglio che tu vada”
“Ogni volta
che qualcuno ti bacia, inizia a diventare
sclerotica o capita solo con me?”
“Finiscila
di parlarne, non dovevi baciarmi e smettila”
“Di fare
cosa?”
“Di guardami
così”
“Sono gli
unici occhi che ho”
“Ascolta, tu
domani te ne andrai chissà in quale parte
del mondo e con te ci sarà Jennifer, in altre parole la tua
ragazza, io non
credo... non posso essere l’altra”
“Non vedo
quale sia il problema?”
“Non hai
pensato che io abbia un ragazzo?”
“Stai
parlando sul serio?”
“Perché?
Non potrei averne uno?”
“Dico
soltanto che hai abbandonato tutti e non credevo
che ne avessi uno, perché non me l’hai
detto?”
“Perché
avrei dovuto dirtelo, se non erro, tu non mi hai detto niente riguardo
a Jennifer”
“Io...”
“Tu hai
accennato a ‘dei problemi’ e non è la
stessa cosa di ‘ho una ragazza’”
“Hai
ragione, basta!”, alzò le mani al cielo.
“È tutto
così fottutamente perfetto, io ho una ragazza, tu hai un
ragazzo, non ti sembra
così fottutamente perfetto?”
“Thomas”
“È
ok”, disse dirigendosi verso la porta. “Beh,
chiamalo
e mollalo e soprattutto vedi di esserci al mio ritorno”
“Thomas...”
“Ci
vediamo”
Lo guardai scomparire
dietro la porta e soltanto quando
ebbi la forza di richiuderla mi poggiai con la schiena al muro e inizia
a
pensare a com’era degenerata la faccenda. Inizia a sentire
già la sua mancanza
e di come l’indomani non lo avrei trovato al tavolo a
mangiare latte e cereali
e non avremmo litigato su chi dei due fosse il più strano o
altre cavolate del
genere.
Non sapevo neanche se
lo avrei rivisto ancora.
Non saprei dire quanto
tempo passai seduta sul pavimento
a fissare la parete davanti a me ma so soltanto che verso sera
rientrò in casa
Nicole e mi vide così.
“Ehi”,
mi chiese vedendomi per terra. “Cos’è
successo?”
“Ce
l’hai una domanda di riserva?”
“Mary, mi
stai facendo preoccupare”
“È
successo che mi ha baciato, che io l’ho spinto via e
che abbiamo avuto una sottospecie di discussione”
“Oh...”
“E domani
mattina sarà già chissà dove”
“Quindi
hanno anticipato il tour?”
“Già”
“E cosa
penserai di fare?”
“Che cosa
dovrei fare?”
“Beh, non
resterai qui seduta per il resto della tua vita
a pensare a quanto sia stato stratosferico quel bacio e ne sono certa
che lo è
stato”
“No”
“Quindi?”
“Di sicuro
non salterò sul primo aereo a dirgli quanto è
stato stupido da parte sua o supplicarlo di mollare la sua
ragazza”, dissi
alzando soltanto adesso la testa. “Potremmo andare per un
po’ a Los Angeles”
“Sarebbe
un’idea”
“No,
aspetta, non posso!”
“Perché?”
“Perché
ho promesso a Thomas che non sarei andata via da
qui”
“Ti ha
chiesto di aspettarlo?”, annuii. “Che cosa
romantica!”
“Mhm...”
, mugolai.
“Quindi non
ti muoverai da San Diego?”
“Esatto”
“E davvero
non vuoi sistemare questa faccenda?”
“L’unica
cosa che al momento voglio fare è non vederlo per i prossimi
182
anni!”
“Dici sul
serio?”
“Si”
“Non posso
aspettare così a lungo per vedere come finirà
questa storia”
“Ma sta di
fatto che ora lui sarà dall’altra parte del mondo
con la sua ragazza
mentre io sono stata costretta a lasciare il mio ragazzo”
“Momento?”,
m’interruppe. “Hai detto ragazzo?”
“Sì,
cioè non ho un ragazzo ma ho ipotizzato di averlo
per fargli capire che non avrebbe dovuto baciarmi”
“Ci vedo un
senso”
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Capitolo 18 *** Chap 18 ***
Chap 18
Passai
l’intero mese e mezzo a non pensare a lui. Il
ricordo di quel bacio non mi sfiorò minimamente.
Che pessima bugiarda
che ero! Non avevo smesso di pensare
a lui nemmeno per un istante. Anche il più piccolo e
insignificante ricordo
avvolgevano la mia mente e me li facevano rivivere secondo dopo
secondo. Era
così snervante e bello allo stesso momento.
“Ci stai
ripensando vero?”, mi chiese Nicole lungo la
strada di ritorno dalla spiaggia.
Ormai eravamo
già a Giugno e il sole era fantastico così
come la temperatura dell’acqua.
“Come?”
“A
Thomas”
“È
solo che...”, m’interruppe.
“Che sei
arrabbiata con lui?”, provò a indovinare.
“No, lo sono
con me stessa!”, dissi guardando fuori dal
finestrino. “Non avrei dovuto dargli così tanta
confidenza soprattutto dopo che
avevo conosciuto la sua fidanzata”
“La
concorrenza”
“Non
chiamarla così”
“E come
dovrei?”
“Col suo
nome, Jennifer”, dissi. “Sembra così
carina,
intendo dire che sorrideva sempre e non sembravano di quelli falsi che
si fanno
per educazione”
“Non
dovresti preoccuparti di lei”, mi guardò per
qualche
secondo per poi tornare a fissare la strada. “Sai, mi sento
un po’ in colpa per
tutta questa storia, è come se ti avessi spinta io dentro a
questa situazione e
mi dispiace vederti così triste”
“Nicole, non
dire fesserie!”, la rimproverai. “Tu non
c’entri nulla, è soltanto colpa mia se
è successo tutto questo e soprattutto di
un...”
“Ragazzo
bellissimo che è pazzo di te”
“Non ne
siamo sicure”
“Tu no, ma
io sì, vi ho visti insieme e c’è una
strana
sintonia tra di voi... hai mai ripensato al suo bacio?”
“Qualche
volta”
“Appunto, se
non ti avesse importato nulla di quel bacio,
non ci avresti neanche pensato ed invece è riuscito a
trasmetterti qualcosa”
“Un’altra
delle tue teorie?”, gli chiesi ridendo,
scendendo dalla macchina che si era fermata sul vialetto di casa.
“Appena
sfornata dalla mia mente malata”
“Ora si
spiega tutto”, dissi entrando in casa.
“Credi che
ti chiamerà?”
“Ne dubito
fortemente, e poi dovrebbero tornare a giorni”
“Io vorrei
essere chiamata”
“Certo,
anch’io ma pensaci un attimo, pensa alle
probabilità che capitino che lui ti chiamasse e mentre
parlate senti la voce di
lei in sottofondo che lo chiama e sai per certo che in quel momento te
ne
uscirai con una risposta acida del tipo ‘Ora devo
andare’ e intanto ti sale una
strana voglia di non avere un maledetto telefono a dividervi
così da non riuscire
a picchiarlo", rigettai tutto di un fiato. "E per questo passeresti
per una stupida ragazzina gelosa che si è illusa per la
medesima volta”
“Vedo che ci
hai pensato parecchio”, rise. “Comunque per
lui sei una ragazzina, non fraintendermi, ma voglio dire tu hai ventuno
anni e
lui, beh, lui ne ha quasi trenta”
“Già”,
dissi salendo le scale.
“Però
sai che quando lo rivedrai tutta la rabbia che hai
nei suoi confronti sparirà al solo suo sguardo”
“Non ne
sarei così sicura”
“Puoi sempre
salire su un aereo e andare a cercarlo”
“Non lo
farò mai, non gli correrò dietro, non lo
bacerò e
non mi farò baciare di nuovo da lui”, le dissi.
“Ti stai
prendendo una bella cotta”
“Cosa?”
“Se non
t’importasse niente di lui non ti arrabbieresti”
“Lasciamo
stare...
vado a farmi la doccia”
Passai più
tempo del solito sotto il getto d’acqua sia
per eliminare completamente la sabbia dai capelli sia per quello che
c’eravamo
dette prima, io e Nicole, in macchina.
Aveva ragione, avrei
voluto anch’io essere chiamata ma
non ne avevo il diritto di sapere come stava e se non volevo che
entrasse a far
parte della mia vita era meglio non dare troppa importanza alla sua
assenza.
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Capitolo 19 *** Chap 19 ***
Chap 19
Uscita dalla doccia
non potei evitare di lanciare
un’occhiata al telefono e passai diversi minuti a fissarlo,
aspettando una
chiamata che non sarebbe mai arrivata.
“Ehi, sto
facendo i pancake”, mi disse quando apparii in
cucina.
“Per
cena?”
“Si, lo so
che è strano farli per cena ma ho pensato che
forse...”
“No, non
è strano, se li hanno inventati per mangiarli
significa che lo si può fare in qualunque
situazione”
“Dici?”
“Soltanto se
abbiamo lo sciroppo d’Acero e quello al
cioccolato”
“Cosa che
non abbiamo”, disse ridendo.
“Allora vado
a prenderlo, c’impiegherò pochissimo”
“Ma non
guidi”
“Ci
provo”
“Tanto la
macchina è già ammaccata, altri danni non ne
puoi fare”, rise. “Le chiavi sono di fianco al
telefono”, andai verso il piano
che divideva la cucina dalla sala e da una ciotola tirai fuori le
chiavi della
macchina.
Passai i primi tre km
a cercare di capire come
funzionasse quella macchina ma poi ero riuscita ad arrivare al
supermercato
senza altri problemi.
Comprai lo sciroppo al
cioccolato, delle patatine,
gelato, caramelle e altre schifezze.
“Mary?”,
mi disse una ragazza a pochi passi da me.
“Si?”,
mi voltai a guardare chi mi avesse chiamato.
“Sei
l’amica di Thomas, quella di ‘Seaport
Village’,
vero?”, le sorrisi.
“Ehm
si”, dissi impacciata. “Sei Jennifer,
giusto?”,
dissi fingendo. Sapevo benissimo chi essa fosse.
“Si”,
mi sorrise. “Che bello incontrarti, cosa mi
racconti?”
“Si, ehm,
niente di nuovo”, ero impacciata, non sapevo
come comportarmi. “Tu invece?”
“Io sono
tornata dal tour con i ragazzi da pochi giorni
ma visto che hanno impiegato una vita a pubblicare l’album e
che li hanno
anticipato il tour, li hanno aggiunto qualche data in più e
quindi torneranno
fra tipo quindici giorni”
“Sono sicura
che vi divertite sul bus”
“Di solito
sì ma non mi piace viaggiare in autobus,
m’innervosisce e sto male”
“Immagino...”,
le sorrisi.
“Stai
organizzando un pigiama party?”, disse indicando il
cestino della spesa continuando a sorridermi.
“Non
esattamente, cioè sì, forse, sai
com’è... serata tra
ragazze”
“Già,
mi sembra una vita che non ne faccio una, in questi
anni sono stata impegnata con il lavoro e con i vari progetti di
Thomas, mi
piacerebbe passare una serata in compagnia delle mie amiche o almeno
tra
ragazze”, sorrise.
“A volte ce
n’è davvero bisogno”
“Soprattutto
quando stai su autobus per quasi un mese in
mezzo a tre ragazzi che si comportano da adolescenti”, rise.
“Comunque dovresti
venire a sentirli qualche volta, Gli farebbe piacere a Thomas, per i
biglietti
te li posso far avere, cioè te li da lui, però
dico sul serio, sarebbe carino”
“Davvero,
non c’è bisogno di disturbarti...”
“Non lo
è”, continuò a sorridermi.
“Ok”,
sorrisi nervosamente. “Scusa Jennifer ma ora devo
proprio andare è stato…”, mi interruppi
cercando di trovare la parola migliore
per definire questo disastro. “...un piacere incontrarti, ci
si vede allora”
“Vuoi che ti
saluto Tom?”
“Tranquilla,
non ce n’è bisogno”
“Ok, allora
ci si rivedere”
“Certo”
Pagai alla cassa e
uscii immediatamente dal negozio.
Non potevo odiare
quella ragazza. Se almeno fosse stata
come una di quelle stupide ragazze che avevano solo fumo nel cervello
sarebbe
stato tutto più facile e i miei sensi di colpa sarebbero
stati placata, almeno
una parte, ma lei, invece, era così carina e gentile,
così terribilmente
tranquilla da farti stare male.
Quando ritornai a casa
Nicole
aveva appena messo a tavola due piatti contenenti i pancake ancora
caldi.
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Capitolo 20 *** Chap 20 ***
Chap 20
Erano passate due
settimane da quando avevo incontrato
Jennifer al supermercato e mi ero promessa che quando, sempre se, lui
si fosse
presentato davanti alla mia porta gliel’avrei sbattuta in
faccia.
Oppure mi sarei
limitata a non andare ad aprire, cosa che
feci finché il campanello non suonò per la sesta
volta.
“Mary, so
che sei in casa, aprimi”, mi urlò da dietro la
porta. “Ehi”, mi disse con quel tono
così famigliare da sotto il suo solito
cappellino. Mi limitai a guardare le sue scarpe nere per capire che non
sarei
riuscita a sbattergli la porta in faccia così alzai lo
sguardo incontrando i
suoi occhi e il suo sorriso. “Mi fai entrare?”, mi
spostai di lato lasciando
libero il passaggio. “Come stai?”, mi
chiese fermandosi in mezzo al soggiorno.
“Bene,
grazie”, dissi freddamente. “Il tour?”
“Bene anche
se hanno aggiunto...”
“Si lo so,
ho incontrato Jennifer qualche settimana fa”
Non volevo dargli
l’impressione che m’importasse qualcosa
di lui, che lo avevo aspettato così a lungo o che mi stesse
guardando come
sempre, ma era difficile fingere quando si aveva i suoi occhi puntati
addosso.
“Ti sei
divertito? Fatte nuove conoscenze? Sentito
qualcuno?”
“Sì,
i fan sono...”
“Sai cosa
intendo!”, mi lasciai fuggire. “La tecnologia
è
avanzata col passare del tempo e hanno inventato i telefonini”
“Lo so... mi
disp...”
“Lascia
stare, non dovremmo neanche discutere di questa
cosa, va tutto bene”
“Smettila di
dire che va tutto bene, so che non è giusto,
quindi smettila di dirlo… avrei dovuto chiamati, hai
ragione”
Gli passai oltre
entrando in cucina e mi appoggiai al
lavandino dandogli le spalle. Sentii i passi delle sue scarpe
raggiungermi poco
dopo e il suo braccio attorno alla mia vita. “Mi sei
mancata”, mi disse
sussurrandomi in un orecchio. Il suo respiro mi faceva il solletico e
il suo
sorriso mi scioglieva.
“Thomas,
smettila, non giocare con me”
“Non sto
giocando”
“Cosa ci fai
qui?”, gli chiesi liberandomi dalla sua
presa. “Non vi siete mollati giusto? Perché mai
dovreste? Lei è così carina e
gentile... vi ho visto assieme in tv e sui giornali, perché
non torni da lei e
mi lasci stare? Sappiamo benissimo perché non hai
chiamato”
“Mary...”
La peggior cosa che
può accadere è che quando litighi con
qualcuno senza alzare la voce è come se stessi facendo una
qualunque
discussione e non capisci se sta realmente accadendo o se è
soltanto la tua
voce interiore a urlare.
“Hai
ragione!”, gli dissi. “Non hai nessun motivo per
scusarti, infondo non mi hai detto che l’avresti lasciata e
non so neanche il
motivo per cui l’abbia pensato, siete stati insieme per
quanto? Due, tre anni?
“Cinque”
“Appunto,
sono stata così stupida a pensare che avresti
rotto con lei soltanto per uno stupido bacio e ho fatto come mi hai
detto, sono
restata qui ad aspettarti contro la mia volontà e sai una
cosa? Mi sento così
stupida e...”
“Smettila di
dire queste cose...”
“Non vuoi
rompere con lei, vero?”
“Il fatto
è che quando stai da troppo tempo con una
persona hai iniziato a prendere le sue abitudini e quando poi incontri
un’altra
persona che ti fa innamorare devi capire se vale realmente la pena
abbandonare
tutto per lei”
“Sei
serio?”
“Io...”
“Il semplice
fatto che tu mi abbia baciato è sufficiente per
rompere con lei, ascoltami bene, non lo dico perché voglio
che la lascia
all’istante ma per il semplice fatto che se l’amavi
realmente non avresti
dovuto avere la necessità di baciarmi e
nell’attimo in cui l’hai fatto, anche
se è durato per poco più di un secondo, hai
smesso di pensare a Jennifer per
quell’istante”
Non sopportavo
l’idea di stare nella stessa stanza con
lui. Avrei rischiato di prenderlo a sberle se mi avesse guardato di
nuovo negli
occhi con quell’aria dispiaciuta. Mi ero spostata ed ero
già fuori casa.
Sentii il rumore delle
sue scarpe sul marciapiede poco
distanti da me. Quel rumore che mi diceva che stava tornando da me,
quel rumore
che adoravo. Smisi di sentirlo quando fu
a pochi millimetri da me e non disse nulla. Le sue dita
s’intrecciarono con le mie
così da farmi fermare. Sorrideva come sempre e la sensazione
di rabbia stava
ricomparendo.
“Smettila di
sorridere”, gli dissi cercando di liberarmi.
Si limitò a non rispondermi e tirarmi verso di lui
così da far incontrare le
nostre labbra.
“Non
baciarmi”, gli dissi colpendoli con una mano il
petto.
“Perché?”
“Per
Jennifer”, mi fissò negli occhi e si mise a ridere.
“Sei
così diversa dalle altre”
“Finiscila
di dire queste cose”
“Fammi
indovinare, per Jennifer?”
“Si”
“E non ti
basta sapere che ho ancora tutti i bagagli in
macchina? Che appena sono atterrato ho pensato di venire qua da te e
non
tornare a casa?”
“Ti sembra
una scusa plausibile?”
“Perché
t’importa così tanto che ho la ragazza? Non
potresti fare come le altre e farti lasciare baciare?”, mi
chiese quasi
scocciato. “Voi ragazze non dovreste essere affascinate dalle
rockstar?”,
disse, ora, sorridendo e addolcendo la sua voce. “Ma in fondo
tu non sei come
le altre, non saremo qui se non ti avessi dato un passaggio quella
sera”, si
avvicinò di nuovo e mi rubò un altro bacio.
“Non
riuscirai a farmi cambiare idea”, mi spostai
allontanandolo da me. “E smettila di baciarmi, non voglio
essere baciata da te”
“Questo
è credule”
“È
la semplice verità”, mi allontanai.
“Lasciami qui e
vattene a casa”
“Ma la casa
è tua”
“E chi ti ha
detto che devi tornare a casa mia”, gli
dissi sottolineando l’ultima parola.
Ricominciai a
camminare lungo il vialetto ma sentii
ancora quel suono alle mie spalle e poi il suo braccio prendere la mia
mano.
“Cosa vuoi
ancora da me?”, gli urlai.
Mi tirò a
sé e mi baciò per una medesima volta. Non
cercai di scappare questa volta né di staccarmi da lui, le
voci che echeggiavano
nella mia testa dicendomi di stare alla larga da lui erano state
soffocate
dalle sue labbra.
Una macchina che
suonò il clacson mi riportò alla
realtà
dei fatti, di cosa stava facendo e di come ero ceduta. Lo spinsi via.
“Lasciami
stare”, gli urlai. “Non seguirmi”, gli
dissi usando lo stesso tono di voce. Mi
voltai e tornai in casa, questa volta senza sentire il rumore delle sue
scarpe
dietro di me. Il tempo di chiudere la porta e le prime lacrime
scivolarono
sulle mie guance.
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Capitolo 21 *** Chap 21 ***
Chap 21
“Che ci fai
qui?”, mi chiese Gary mentre commentavamo dei
LP di parecchi anni fa.
“In che
senso?”, chiesi confusa.
“Non ho mai
sentito nessuno parlare con così tanta
passione, nessuno qui dentro ha lavorato mettendoci così
tanto entusiasmo per
la musica quindi mi chiedo cosa ci fai qui? Non dovresti essere in
qualche
rivista di musica a pedinare le band in tour oppure a criticare i nuovi
artisti”
“Ma mi piace
questo lavoro”
“Quanti anni
hai?”
“Che
importa?”
“Vai al
College”
“Ma mi piace
lavorare qui”
“Ma
è un peccato”
“Senti Gary,
se è un modo carino per dirmi che sono
licenziata...”
“Non dire
sciocchezze, non ti licenzierei mai, dico soltanto che sei sprecata a
lavorare qui, prendi almeno in considerazione l’idea di
andarci”
“Se ti dico
che penserò all’opzione di andare al college,
mi lascerai andare a casa?”
“Forse”
“Sì,
Gary, penserò al College”
“Beh, allora
ci vediamo lunedì”, disse sorridendomi e
spostandosi di lato da permettermi il passaggio. Presi la mia borsa di
dietro
il bancone e gli passai di fianco.
“Grazie”,
gli dissi uscendo dal negozio alle sei e mezzo.
Era passato il mese di
giugno e il sole di luglio
rispendeva in cielo come sempre, senza neanche una nuvola.
Nelle quattro
settimane passate avevo comprato,
finalmente, una macchina che risaliva a più di cinquanta
anni fa ma almeno
possedeva il cambio manuale.
Quando mi presentai a
casa con quel rottame mi ricordai
della faccia scettica di Nicole. La chiamava la ‘trappola che
si muove’, io
semplicemente ‘Sally’. Era perfetta per me, anche
se cadeva a pezzi e rischiavi
di rimanere incastrata nella cintura di sicurezza. Quando guardammo il
libretto
della macchina non potemmo non sussultare leggendo che risaliva al 25
Luglio
1942 e scoppiammo a ridere. Da quel momento non smise di sfottermi
dicendo che
vivevo nel passato e sinceramente, mi andava bene così.
Più che
altro l’avevo comprata per non chiedere sempre,
la macchina, a Nicole o magari di accompagnarmi da qualche parte e poi,
mi
permetteva di dormire qualche minuto in più di mattina
così da evitare lo
sbattimento dell’autobus.
In
quest’ultimo mese Nicole non faceva più nessun
riferimento a Thomas dopo che, per la millesima volta, li avevo detto
che non
m’importava più nulla di lui soprattutto del fatto
che fosse venuto a prima da
me. Non mi sarebbe importato finché sarebbe restato con
Jennifer e sapevamo
benissimo che non l’avrebbe lasciata.
Ormai,
nell’ultimo mese, la mia vita a San Diego non
riguardava più Thomas, avevo preso la mia strada e stavo
bene senza di lui ma
percorrendo la strada del ritorno non potevo non evitare il cartellone
posto
sul muro dove annunciavano il loro tour americano. Una maledetta foto
che mi
distraeva sempre e quel giorno non avrebbe dovuto toccarmi minimamente.
Quando
all’esame di guida ti dicono “Tieni gli occhi
sempre sulla strada” c’è un
motivo ben valido e tornando dal lavoro me lo sarei dovuto ricordare.
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Capitolo 22 *** Chap 22 ***
Chap 22
“Mi stavi
per investire”, urlò raccogliendo il cappellino
che era caduto a terra.
“Scusa, mi
dispiace”, gli dissi scendendo dalla macchina.
“Sei
tu...”, disse accorgendosi di chi avesse di fronte.
“Ok, so che
può sembrare che lo abbia fatto a posta ma non è
così, non ti ho proprio visto attraversare la
strada...”
“Lo spero
davvero”
“Non
è che ti ho visto e mi sono detta ‘Acceleriamo
così tiriamo sotto Thomas’, ero semplicemente
distratta”
“Nicole
dovrebbe cambiare auto”
“Lascia
stare la mia macchina”
“Dico
soltanto che non è affidabile”
“Le
apparenze ingannano, tu lo sembravi all’inizio ma
poi...”
“Poi
cosa?”
“Beh,
insomma, ti sei rivelato un vero bastardo e immaturo”
“Io sono
l’immaturo?”, emise una risata nervosa.
“Mi vuoi dire qual è il tuo problema?”
“Il mio
problema è che...”
“C’è
qualche problema?”, m’interruppe un signore dalla
macchina ferma dietro alla mia.
“No!”,
gli urlammo contro. L’uomo rientrò in macchina
facendo un gesto con la mano e scuotendo la testa.
“Che stai
facendo?”, gli chiesi mentre lo vidi fare il giro della
macchina e salire al posto del passeggero.
“Mi hai
appena offerto un passaggio”
“Io non ti
ho offerto proprio niente, scendi dalla mia macchina”
“Me lo devi,
mi hai quasi investito”
“Suvvia, non
farla così tragica, sei vivo e senza un graffio, non hai
proprio nulla da lamentarti”
“Mi devi un
favore, allora”, disse chiudendo lo sportello. Salii in
macchina e l’accesi.
“Non
è stato carino da parte tua”
“Baciarti
è stato carino, essere investito un po’ meno ma
comunque non va comunque bene”
“Piantala,
soltanto perché sei una rockstar pensavi che avrei fatto
tutto ciò che dicevi?”
“Non era
questo che avevo in mente mentre ti baciavo”
“E allora
sentiamo?”
“I tuoi
occhi, le tue labbra, il tuo profumo”, fermai la macchina di
colpo e ringraziai il cielo che quella fosse una strada deserta
perché qualcuno ci sarebbe venuto assolutamente addosso.
“Scendi”
“Dio,
pensavo che mi avresti spinto fuori dalla macchina in moto”
“Thomas,
scendi!”, gli ripetei guardandolo negli occhi. Non disse
nulla. Aprii la portiera e scese dalla macchina.
Ci limitammo a
guardaci, in silenzio, senza urlare.
“Non avrei
dovuto urlare, scusa”, mi disse poco dopo.
“Nemmeno
io”
“Solo che io
sono un ragazzo e non dovrei urlare contro una ragazza”
“Vuoi
litigare pure su questo?”
Sorrise. Dopo un mese
rivedevo il suo sorriso e una strana sensazione di calore si formava
dentro di me. Era una sensazione così piacevole che mi ero
dimenticata di sentire. Mi sentivo a casa.
Fece il giro della
macchina e si fermò davanti al mio sportello appoggiandosi
con le braccia sul finestrino. I nostri occhi s’incontrarono
e senza rendermene conto arretrai.
“Ti devo
chiedere scusa per averti baciato?”
“Non ce
n’è bisogno”
“Sai che non
sarei stato sincero se lo avessi fatto?”
“Il fatto
è che tu sei esattamente l’opposto del tipo di
ragazzo che ho nella mia testa”, dissi scendendo dalla
macchina. “Voglio dire, tu sei il classico ragazzo a cui
viene detto ‘Sei terribilmente sexy’ mentre io non
voglio avere niente a che fare con dei tipi del genere, e hai gli occhi
castani che a me non sono mai piaciuti, e sei sempre lì che
strimpelli la tua chitarra e ridi sempre e...”
“E... e... e
non va bene?”
“No, ti
comporti da immaturo, sei testardo e hai sempre ragione e poi sei
sempre accerchiato da ragazze che ti sbavano dietro e il semplice fatto
che tu mi piaci significa che sono diventata come una di quelle ragazze
che corre dietro alle persone famose”
“Quindi se
non fossi famoso ti sarei piaciuto?”
“No,
rimarrebbe il fatto che hai gli occhi scuri e della tua
immaturità”
“Potrei
provare con le lenti e comportarmi diversamente”
“Ma non
andrebbe bene comunque, non saresti più tu e al momento non
mi piace nessun altro”
“Il tuo
discorso è così incasinato”
“Sarà
che passo troppo tempo con Nicole”, dissi sconsolata
appoggiandomi al cofano della macchina.
“Allora
perché non me lo chiedi?”, mi chiese avvicinandosi
a me. “Perché non mi chiedi di lasciare
Jennifer”
“Perché
sta a te decidere se farlo o no, non posso obbligarti a
mollarla”
“Vedi?
Quando ti ho detto che sei diversa dalle altre ragazze dicevo la pura
verità, nessuno si sarebbe fatto questi
problemi.”, poggiò le sue mani sui miei fianchi.
“Sei così vulnerabile e forte allo stesso tempo e
non riesco a farmi piacere nessun’altra”
“Ricicli
sempre i discorsi degli altri?”
“Soltanto se
sono così complicati”
“Sali in
macchina che andiamo a casa”, mi liberai dalla sua presa ed
entrai in auto.
L'avevo dimenticato,
giuro, ma poi lui mi ha guardato e ha sorriso, e io mi sono di nuovo
totalmente innamorata di lui.
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Capitolo 23 *** Chap 23 ***
Chap 23
“Vieni, ti
preparo una tazza di caffè”, disse entrando in
cucina e accendendo la macchinetta al posto mio.
Accesi la radio e mi
sedetti sul davanzale sotto alla
finestra aspettando che mi porgesse la tazza. Si sedette, anche lui, al
solito
posto e tutto all’improvviso sembrava essere tornato normale.
“Sai, sei la
prima ragazza a cui preparo il caffè”
“Non ci
credo che non hai mai preparato un caffè a
Jennifer”
“Ci ho
provato, ma la mattina si sveglia sempre prima
lei”
“Capisco”,
un ghigno comparve sul suo viso. “Perché
ridi?”
“Non sto
ridendo”
“Si
invece”
“Sei per
caso gelosa?”
“Che
sciocchezze dici?”, dissi cercando di sembrare il
più naturale possibile ma non ci riuscii e scoppiai a ridere
anch’io. “Thomas,
smettila di ridere”
“Come faccio
a smettere se anche te stai ridendo”
“Non ha
senso il tuo discorso”, dissi voltandomi
dall’altra parte cercando di tranquillizzarmi un
po’.
“Ci
provo”, disse tornando a sedersi composto diminuendo
la risata.
Mi misi a guardare
fuori dalla finestra e di come il
cielo stava cambiando colore.
“Partirai di
nuovo?”, gli chiesi senza rendermi conto
della stupidità della domanda e di come sapessi
già la risposta.
“Tra qualche
giorno”, sentii il rumore della sua tazza
posarsi sul tavolo e della sua sedia spostarsi di fronte a me.
Stavano passando alla
radio una canzone e per distrarmi
dal suo sguardo cercai di concentrarmi sulle parole della canzone ma mi
accorsi
che erano le stesse che lui mi stava sussurrando a meno di un
centimetro dalle
mie labbra.
“Kiss me
beneath the milky twilight. Lead me out on the moonlit floor. Lift your
open
hand. Strike up the band and make the fireflies dance...”
“Silver
moon's sparkling, so kiss me...”
Mi tolse la tazza di
caffè dalle mani e la posò a ed in
pochi secondi tirò la sua sedia verso di me e coprii la
distanza tra di noi.
Appoggiò le
sue mani calde attorno al mio collo e per un
tempo indeterminato restammo così, incollati l'uno con
l’altra. Si staccò
leggermente così da permettermi di vedere un sorriso sul suo
viso, un sorriso
che non avrei smesso di guardare.
“Pensavo che
se fossi stata tu a chiedermi di baciarti
avrei potuto evitare di finire in ospedale”
“Molto
gentile da parte tua”, gli dissi sorridendo ma con
una nota di sarcasmo.
“Però
non hai rifiutato”
“Diciamo che
sei stato fortunato”
Restammo in silenzio,
senza accennare niente sul bacio,
sta volta però sorridevamo entrambi. Forse le voci nella mia
testa stavano
smettendo di urlare e si erano arrese a ciò che diceva il
mio cuore. Di solito
la ragione prevale sempre sull’amore, così avevo
sempre pensato e così avevo
sempre fatto ma questa volta qualcosa era andato diverso, non sapevo
cosa ma
non m’importava. Per una vota stavo bene.
“Questa
volta lei non verrà con noi”, mi disse sedendosi
vicino a me.
“Perché
me lo dici?”
“Mi sembrava
giusto fartelo sapere”, disse guardandomi
negli occhi. “Questa volta, quando me ne andrò
starò via per molto più tempo”
“Beh, mi
mancherai”
“Dici sul
serio? Non pensavo che l’avresti mai detto”
“Soltanto
perché non conosco molte persone eccetto te e
Nicole e Gary”
“Sta di
fatto che quando ti manca qualcuno fa davvero
schifo”
“Ma capisci
che ci tieni davvero a una persona”
“È
per caso un modo per dirmi che ti stai affezionando a
me?”, disse con un mezzo ghigno sulle sue labbra.
“No...
cioè... è un modo di dire”, mi si
colorarono le
guance. “Però se il fatto che mi mancherai ti fa
ridere puoi anche...”
“Non mi fa
ridere il fatto che ti mancherò ma che quando
t’innervosisci
diventi rossa e diventi più carina di come sei
già”
“Ah
bene”, dissi alzandomi ma mi blocco la mano così
da
farci stare in piedi in mezzo alla cucina.
“Mi piace il
fatto che ti mancherò, è un motivo in
più
per non farti partire”
“Se sorridi
in quel modo non penso proprio di poterti
credere”
“Hai
ragione, scusa ma è così…”
“Tieni”,
gli dissi slacciandomi un braccialetto di pelle
che portavo al polso. “Dovrebbe portare fortuna, non so se a
me ne ha data
tanto o proprio ha evitato ma spero che a te possa fare qualcosa di
meglio”,
glielo legai al polso. “E poi, sarà come un
ricordo di me e dell’unica volta
che non ti ho aggredito per avermi baciato”, gli sorrisi.
“Così ogni volta che
lo vedrai ti ricorderai di tornare qui, da me”, sorrise anche
lui. Allacciai il
braccialetto con un forte nodo così da non poterlo perdere e
in pochi secondi
intrecciò le sue dita con le mie. Con l’altra mano
mi sfiorò i capelli.
“Sai, credo
di aver proprio chiuso con le more”, disse
mettendosi a ridere.
“Ma io sono
mora”
“No, tu sei
castana e hai dei riflessi rossi che splendono
ogni volta che il sole colpisce i tuoi capelli, è ben
diverso”, mi limitai a
guardarlo senza aggiungere altro.
Mi sarebbe mancato
davvero.
Guadai
involontariamente l’orologio che segnava le otto
di sera. Si era fatto tardi ed era incredibile come il tempo passasse
veloce
quando lui era con me.
“Vieni con
me”, disse non lasciando la mia mano e uscendo
da casa. Salì sulla mia macchina al posto di chi guida e
partii.
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Capitolo 24 *** Chap 24 ***
Chap 24
“Dove stiamo
andando?”, gli chiesi guardando il cielo che
era diventato scuro.
“Ti ricordi
di quando siamo andati a Seaport Village?”
“Sì,
me lo ricordo...”, dissi con una punta di amarezza.
“Ti avevo
detto che ti avrei portata anche di sera”
“Sì...”
“Ecco,
stiamo andando lì”
“Ora mi hai
rovinato la sorpresa”, dissi ridendo.
“Ma tu me
l’hai detto”
“Mi sembrava
ovvio che tu dicessi che era una sorpresa”
“Voi ragazze
siete strane”, disse scuotendo la testa.
Durante il viaggio non
avevamo parlato del bacio, non c’eravamo
detti niente oltre a questa piccola discussione.
Poco dopo ci fermammo.
Prima che potessi scendere dalla
macchina era riuscito a fare il giro e venirmi ad aprire lo sportello.
Mi prese
la mano e ci dirigemmo verso il locale
dove eravamo stati la prima volta. Prendemmo lo stesso tavolo e
ordinammo la
stessa torta.
“Non
è che spunta Jennifer come l’altra volta,
vero?”
“Jennifer
è da qualche parte a festeggiare l’addio al
celibato”
“Suo?”
“Perché
me lo chiedi?”
“L’anello”
“Non
significa niente, è soltanto un regalo”, disse
mangiando un pezzo di torta. “Comunque è di una
sua amica o cugina, non lo so,
sta di fatto che noi non ci sposiamo”
“Ok”
“Sei per
caso gelosa?”, comparve sul suo viso un sorriso
per metà malizioso e metà beffardo.
“Non dire
fesserie”, diventai rossa.
“Certo”,
sogghignò poi lui.
“E adesso
cosa facciamo?”, gli chiesi quando finimmo la
torta.
“Vieni”,
mi disse, di nuovo, prendendomi la mano ed
uscendo dal locale dopo aver pagato.
Ci trovammo davanti a
una grande giostra, una di quelle
dove ci sono i cavalli che sembrano di porcellana.
“Una
giostra?”
“Non dirmi
che non ci vuoi salire? Ti ho visto come l’hai
guardata l’altra volta” disse ridendo.
“Non ridere
e offrimi un giro”, dissi cercando di
rimanere serie e salii sulla giostra seguita da lui. Scelsi il cavallo
che mi
piaceva di più e lui si appoggiò a uno di fianco
al mio.
“Avvistata
qualche coppietta?”, gli chiesi.
“Come?”
“L’altra
volta mi avevi detta che mi avresti portata a
vedere le coppiette che venivano la sera”
“Credo che
al momento siamo noi l’unica coppietta”
“Coppietta?”,
chiesi infastidita. “Thomas non ho mai
deciso di fare l’altra...”
“Lo so, lo
so però...”
“Tom, non
parliamone, godiamoci la serata”
“Hai
ragione”, disse sorridendo e calmandosi.
Alle nove fummo
costretti, da una voce che parlava
dall’altoparlante ,ad andarcene. Era incredibile come
passasse il tempo quando
stavamo insieme. Avevamo oltrepassato la mezzanotte e ci eravamo
rifugiati su
una spiaggia. Non c’era un’anima viva se non noi
due distesi sul cofano della
macchina a vedere l’oceano
di fronte a noi.
“Comunque
dicevo sul serio, prima”, si girò a guardarmi
non capendo. “Mi mancherai”
“Potrei...”
“Non essere
sciocco, non potresti mai farlo e pensa a
tutti i fan...”
“Non
intendevo mollare il gruppo ma il mio
‘problema’”,
disse disegnando delle virgolette in aria.
In quel momento non
seppi cosa pensare. Se credergli o no
anche se sapevo che non lo avrebbe mai fatto mi sarei illusa, per
quell’istante, che sarebbe andato tutto bene e che per una
volta sarei stata
felice, finalmente.
Poggiai la testa sulla
la sua spalla e sentii la sua mano
accarezzarmi i capelli. Lo vidi sorridere e chiusi gli occhi.
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Capitolo 25 *** Chap 25 ***
Chap 25
Non avevo la
più pallida idea del momento in cui smisi di
sentire l’infrangersi delle onde e il suo respiro
che mi aveva cullato ma
quando aprii gli occhi davanti a noi i primi raggi del sole si
riflettevano
nell’acqua dell’oceano.
“Mi sono
addormentata, scusa”
“Non tutti
siamo abituati a stare alzati tutta la notte o
almeno dopo mezzanotte”, disse ridendo e lo colpii su una
spalla scherzando.
“Sei davvero carina quando dormi”
“Non mi
è nuova questa frase”
“La
situazione si”, disse ridendo. “Anche quando sei
arrabbiata e quando sei nervosa e imbarazzata...”
“Ok, ho
capito”, gli sorrisi.
“Il sole sta
salendo”
“Dovremmo
andare”
“Non voglio
alzarmi”, disse sospirando. “Se adesso ci
alziamo sarei costretto a tornare a casa mia, visto che la macchina
è tua, e
una volta chiusa la porta di casa non smetterei di pensare alla sera
che
abbiamo passato insieme e chissà quanto tempo
passerà prima di poterti
rivedere”
Mi appoggiai di nuovo
alla sua spalla e sta volta, portò
il suo braccio attorno alle mie spalle. Restammo a fissare il cielo che
diventava sempre più chiaro.
Avrei voluto che mi
guardasse e mi dicesse che quando
sarebbe tornato le cose sarebbero tornate a posto, che avrebbe
riordinato le
idee e che Jennifer sarebbe uscita dalla sua vita perché
ormai c’ero io ad aver
preso posto nel suo cuore, ma non lo avrebbe mai detto. Se avesse
davvero
voluto lasciare Jennifer lo avrebbe già fatto senza che io
mi sentissi in
colpa. Già, perché starsene abbracciati davanti
al sole dopo aver passato una
notte insieme e dopo esserci baciati non significasse niente.
“A cosa stai
pensando?”
“A Jennifer,
qualcuno dovrebbe pur farlo”
“Non
pensarci”
Mi sciolsi dal suo
abbraccio e scesi dalla macchina.
“Nessuno si chiederà dove sei finito?”
“Credo di
essere abbastanza grande per passare una notte fuori
casa”, disse sbuffando e scendendo dal cofano si mise al
posto del guidatore.
Era incredibile come
il suo umore fosse cambiato al solo
sentir nominare il nome di Jennifer, ma non poteva arrabbiarsi per il
semplice
fatto che non gli importava di tradire la sua ragazza mentre per me era
un
enorme peso sulla coscienza. In fondo c’era una ragazza di
mezzo che sarebbe
rimasta ferita, come poteva essere lei potevo esserlo anch’io.
Infilò le
chiavi ma non accese il motore e si limitò a
guardare oltre il parabrezza senza dire o fare niente.
“Perché
lo stai facendo? Perché perdi il tuo tempo con me
quando hai lei che è perfetta?”, gli chiesi ma non
si sprecò di rispondermi.
“Tom...”
“Sai cosa ho
capito?”, feci di no con la testa. “Che in
questi cinque anni in cui sono stato sicuro di amarla sono spariti in
un
istante... Sceso dall’aereo il mio primo pensiero fu stato di
tornare a casa
dove mi aspettava Jen e un secondo dopo ci sei stata tu con i tuoi
occhiali da
sole”, si poggiò completamente sullo schienale del
sedile e si volto a
guardarmi, finalmente. “Sei esattamente il tipo di ragazza
che non frequenterei
mai”
“Grazie...”
“Non
dovresti perdere il tuo tempo con me”
“E questo
ragionamento lo hai tirato fuori in cinque
minuti?”
“Ho passato
tutta la notte a guardarti e ho capito che è
tutto un grande sbaglio, non dovrei essere qui e tu non dovresti essere
con me,
sono uno stupido e tu sei troppo piccola dannazione!”
“Thomas...”
“Lascia
stare, scusa”, accese la macchina e partii verso
casa sua. “Non ha niente che non vada bene , lei
è...”
“...perfetta”,
completai la sua frase.
“Sì,
sono uno stupido a fare quello che sto facendo e sai
un’altra cosa?”, scossi di nuovo la testa.
“Quando ti ho visto, eri così
disperata a tal punto di chiedere aiuto ad uno sconosciuto, e
l’hai fatto! Hai
accettato il mio aiuto pur non sapendo chi fossi, la seconda cosa che
ho
adorato all’istante”
“E la prima
qual è stata?”, gli chiesi con tono di sfida.
“L’espressione
che avevi quando mi hai fermato”, lo guardai incredula.
“Emanavi
una strana sensazione, sembrava come avessi davvero bisogno di quella
macchina
per raggiungere la città come se stessi scappando da
qualcosa e ti si fosse
parato davanti un muro difficile da scavalcare, ed è per
questo che ti ho
chiesto se volevi che ti accompagnassi, perché in quel
momento c’eri solo tu e
non la ragazza al bancone e gli altri passeggeri.”
“Se stai per
dire che ti ho fatto tenerezza ti conviene
fermare la macchina e scendere, non sono né una bambina
né un cucciolo a cui
dire che ha un’espressione tenera e altre cazzate
varie”
“Hai
ragione, non sei una bambina, sai il fatto tuo e...”
“Tom!”,
lo rimproverai. “Ora ascoltami bene, non voglio
che tu debba lasciare Jennifer se non vuoi. Mi sembra ovvio che se non
l’hai
ancora fatto non t’interesso abbastanza e magari lo stai
facendo solo per
passare diversamente il tempo quindi non sei costretto a dirmi che ti
piaccio”
“Il fatto
è che stando ormai da tanto tempo con lei,
tutti la conoscono, i fan, Mark, Travis, i giornalisti e se dovessi
lasciarla
tutti mi chiederebbero perché l’ho rotto con una
ragazza perfetta e
inizierebbero a volere le tue foto, a entrare nella tua vita, non avrai
più
privacy, finirai sui giornali e le ragazzine inizierebbero a insultarti
e dire
cose false su di te pur non conoscendoti e non credo che tu lo
voglia”
“Non
è esattamente nel mio interesse finire sui
giornali”
“Lo
so...”
Arrivammo davanti a
una grande casa bianca.
“Beh, vuoi
fare colazione?”, mi chiese slacciandosi la
cintura ed uscendo dalla macchina. Lo seguii fuori.
“Jennifer
potrebbe tornare tra poco”, lo guardai fermo
sul vialetto.
“Forse
è meglio che vada a fare le valigie”
“Non hai una
sensazione di déjà-vu’”,
dissi sorridendo.
“Beh questa
volta non abbiamo litigato”, mi sorrise.
“Thomas...”,
lo chiamai. “Fingiamo che tutto non sia mai
accaduto... tu parti e fai il tour... quando torni ne
riparleremo”
“Non farmi
aspettare solo perché sai che lo farò”
“È
la cosa più giusta da fare, quando tornerai metteremo
le cose a posto”
“Questo vuol
dire che resti qui?”
“Dove pensi
che voglia andare?”, dissi sorridendo.
Iniziò a
camminare lungo il vialetto e fermarsi per un
istante davanti alla porta prima di aprirla. Ci guardammo senza
salutarci e poi
scomparve dietro di questa.
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Capitolo 26 *** Chap 26 ***
Chap 26
Quando arrivai a casa
erano circa le sette meno un
quarto. Andare a letto sarebbe stato inutile quindi andai in cucina e
mi
preparai la classica tazza di caffè e mi sedetti al solito
posto.
Fissavo quella sedia
vuota di fianco alla mia. Questa
volta sarebbe stata vuota per molto più tempo e nulla mi
avrebbe impedito di
pensare a lui e di quanto tempo ancora dovesse passare prima di vedere
il suo
sorriso sotto a quello stupido cappellino che li copriva il viso o
sentire la
sua voce che per me, prima era irritante ma ora avrei fatto qualunque
cosa per
ascoltarla ancora.
Forse Nicole aveva
ragione, mi stavo innamorando e questo
non andava per niente bene. Dovrebbero vietare le persone di
innamorarsi. Non
porta mai niente di buono.
Passai le successive
due ore e mezzo a contemplare cosa
sarebbe successo quando sarebbe tornato, a crearmi illusioni e
prepararmi a
essere ferita di nuovo.
I miei pensieri furono
interrotti dal campanello della
porta. Mi chiedevo chi potesse cercarci alle nove e mezzo del mattino,
non
conoscevo ancora molta gente e le uniche che frequentavano stavano,
una,
dormendo di sopra e, l’altro, stava preparando le sue
valigie. Gary non si sarebbe
mai presentata a casa mia e il postino non passava di domenica quindi
mi
chiedevo chi realmente fosse a rompere a quest’ora.
“Buongiorno”,
mi salutò una ragazza con capelli neri e un
grande sorriso.
“Ciao
Jennifer”, le sorrisi. “Come mai da queste
parti?”
“Tom mi ha
mandato da te”
“Come?”
“Sì,
stamattina prima che partisse mi ha chiesto se
potevo passare un po’ di tempo con te e farti conoscere la
città e qualche
persona mentre sta via e io li ho risposto ‘perché
no?’ e quindi eccomi qui”
“Capito”,
dissi un po’ dubbiosa. “Vuoi entrare?”,
spalancai la porta e le liberai il passaggio.
“Oggi hai da
fare?”, disse entrando in casa.
“Niente di
importante”
“Perfetto
allora possiamo andare a fare shopping”, disse
tutta estasiata. Non capivo se avesse assunto qualche strana dose di
qualcosa o
se fosse davvero estasiata di tutto questo ma stava di fatto che
continuava a
parlare e a sorridere. Sembrava che avesse l’argento vivo
addosso.
“Aspetta
Jennifer...”
“Chiamami
Jen”
“Ok, Jen...
aspetta un attimo, io non posso uscire con...”,
la fermai. Non credevo che fosse una buona idea uscire con lei
soprattutto dopo
aver baciato e passato la notte col suo fidanzato ma se avrei
rifiutato, credo,
che avrebbe sospettato qualcosa. “... conciata
così!”, mi affrettai a dire.
“Dammi un minuto che mi vesto, se vuoi in cucina
c’è il caffè”
“Non vedo
l’ora”, disse sorridendo e andando in cucina.
Salii le scale e vidi
Nicole appoggiata al muro della mia
stanza con le braccia incrociata e i capelli arruffati.
“Allora è così... esci
col nemico”
“Non sono
riuscita a rifiutare, dovevi vederla...”
“L’ho
potuta sentire”
“Infatti e
poi... sarebbe carino, sembra simpatica e non
voglio trattarla male”
“Ma lo
farà lei quando scoprirà di te e Thomas”
“Ma visto
che non glielo dirà mai…”
Entrammo in camera e
mentre sceglievo i vestiti, Nicole
si sedette sul letto e la vidi fissarmi dal riflesso dello specchio.
“Che
c’è?”
“Dico
soltanto che non dovresti”
“Ormai
è tardi”
“E adesso
dov’è?”
“È
di sotto a bere il caffè”
“Il nostro
caffè”
“Mary ti ho
portato il caffè... oh ciao!”, disse entrando
in camera mia. “Sono Jennifer, tu devi essere
Nicole”, annuì. “Thomas mi ha
parlato spesso di voi”, disse sorridendo.
“Davvero?”,
disse inviandomi un’occhiata e sorridendo
anche lei.
“Scusa non
pensavo che fossi sveglia, se vuoi ti porto
una tazza anche a te”
“Tranquilla,
fra poco scendo a prenderlo io”
“Oggi noi
andiamo in centro vuoi unirti a noi?”
“Sarebbe
carino ma ho la giornata piena, grazie per la
proposta”
“Sarà
magari per un’altra volta”
“Certo!”,
affermò lei falsamente.
“Mary ti
aspetto giù”, disse infine prima di chiudere la
porta.
“Mi
racconterai...”, pronunciò prima di uscire anche
lei
dalla stanza.
Mi vestii e scesi di
sotto insieme alle altre. Salutammo
Nicole e ci dirigemmo in centro con l’auto di Jennifer.
Entrammo in un
infinito di negozi e mentirei se dicessi
che non mi ero divertita. Credo che sia nel DNA di tutte le ragazze
amare fare
shopping e poi mi serviva qualche vestito carino e diverso dal solito
jeans e
converse che portavo sempre.
“Metti
qui”, disse aprendo il baule della macchina e
infilando le mie buste insieme alle sue.
“È
stato bello provarsi tutti quei vestiti”, disse
salendo in macchina e portandosi gli occhiali da sole sul naso.
“Si”,
le risposi sinceramente. “Almeno ho qualcosa di
diverso”
“Oh
sì, penso che non ci sia niente di meglio che
comprare nuovi vestiti quando si è tristi”
“Qualcosa ti
preoccupa?”
“No, nulla
di grave soltanto che ho salutato Tom di
sfuggita, ieri sera era ad un addio al celibato di una mia amica e
abbiamo
dormito nell’hotel in cui ha fatto la festa e quindi
è restato da solo ieri
notte”, sentii dei brividi percorrermi la schiena mentre lo
diceva. Sembrava
ignara di tutto.
“Deve essere
difficile vivere con lui che è sempre in
tour”
“Un
po’, ma poi so che torna sempre a casa e quando apro
la porta e lo ritrovo davanti con un mazzo di rose, gli salto addosso e
ci
baciamo come se fosse uscito per comprare il giornale”
“Capisco”
“E la cosa
divertente è che un tempo ero io a lasciargli
le rose sulle scale”, rise.
Sentendola dire queste
cose mi sentivo sempre più in
colpa per quello che avevo fatto. Lei sorrideva mentre mi raccontava
tutti i
loro fatti e vedevo i suoi occhi illuminarsi quando parlava di lui. Non
potevo
essere io quella ragazza che avrebbe rovinato la loro relazione.
“Però,
a volte, ho la sensazione che Tom possa tradirmi
mentre è in giro per il mondo”, disse continuando
il suo discorso. “Sta sempre
via e poi ci sono tutte quelle ragazze, non avrebbe problemi a trovarsi
una
ragazza per una o due notti”, disse seria. “Infatti
il soprannome ‘Hot Pants’
non gliel’hanno attribuito per niente”, aggiunge,
sta volta, ridendo. “Ma poi
ripenso alla canzone che ha scritto per me e smetto subito di
pensarci”
“’All
The Small Things”, lei annuì.
“Sì, l’ho sentita... è
divertente e molto
bella”
“Già,
è stato carino da parte sua, in verità mi ero
lamentata sul fatto che non avesse scritto una canzone su di me e pochi
giorni
dopo si era presentato davanti alla porta di casa con una chitarra e si
era
messo a cantarla”, disse ridendo. Si portò gli
occhiali sulla testa e spense il
motore della macchina. “Eccoci arrivate”
“Grazie per
la giornata”, le dissi meno sicura di prima.
“Dovremmo
rifarlo”
“Certo”,
finsi. “Ci vediamo”, dissi prendendo le buste
dal bagagliaio e salutandola con la mano entrai in casa.
In quel momento tutto
mi fu chiaro. Dovevo stare alla
larga da Jennifer, Thomas e da San Diego. Qualcosa doveva assolutamente
cambiare.
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Capitolo 27 *** Chap 27 ***
Chap 27
Stare a San Diego aveva preso una
strana piega. Nell’ultimo mese e mezzo Gary,
il mio capo, aveva spedito, di mia insaputa, diverse domande per i
college,
passavo le giornate con la fidanzata che mi aveva mollato il ragazzo
che mi
piaceva e la mia coinquilina/amica che cercava di fare la gentile con
lei pur
rimanendo sarcastica.
Credo che sarebbe
stato tutto piuttosto noioso se non
avessi incontrato Thomas, ma di sicuro non mi sarei trovata in questo
pasticcio.
“Si avvisano
i passeggeri che il volo TD 18203 per Los
Angeles è in partenza al Gates 6, vi preghiamo di dirigervi
verso l’imbarco”,
aveva annunciato lo speaker dell’aeroporto.
Prendere i voli serali
mi era sempre piaciuto. C’erano
meno persone e soprattutto, il panorama era di gran lunga migliore, era
stupendo vedere la città illuminata sotto di se.
Un’ora dopo
si estendeva sotto di me la pista del LAX e
la città dove ho sempre voluto vivere che brillava sotto ai
miei occhi.
“Ci
siamo”, disse Nicole mentre si allacciava la cintura
di sicurezza.
“Ci
siamo!”, ripetei anch’io le sue parole e il suo
gesto.
Stavamo per atterrare
a Los Angeles, la città degli
angeli, così la chiamavano.
Jennifer si trovava
nel sedile di fianco a noi. C’erano
capitati tre posti diversi e per fortuna eravamo riusciti a fare
scambio con
dei tizi con l’aria poco raccomandabile questo
perché Thomas si era limitato a
prenotare ‘tre biglietti San Diego – Los
Angeles’ senza ricordare di aggiungere
tre posti vicini.
L’aereo
atterrò e aspettammo i nostri bagagli. Uscite
dall’aeroporto sembravamo quel tipo di ragazze che si vedono
sempre nei film
dove sono tutte amiche e hanno appena finito l’high school,
ma c’era una
notevole differenza: primo, non eravamo appena uscite dal liceo e
secondo, non
eravamo neppure grandi amiche ad eccezione di me e Nicole, la cosa era
diversa.
“Dove
alloggiamo?”, chiesi a Jennifer. Poggiò le valigie
a terra e iniziò a frugare nella borsa.
“Allora,
Thomas voleva che alloggiavamo all’Hilton
perché Travis gliel’aveva consigliato ma poi
l’hanno chiamato e Tom mi ha
passato Mark che ha detto che se ne occupava lui e siamo finite
nell’Inglewood che
è vicino all’aeroporto”, tirò
pochi istanti dopo un foglietto rosa leggermente
stropicciato. “Quindi siamo all’ Econo
Lodge near LAX”
“Inglewood,
hai detto?”, chiesi mentre un taxi si
avvicinò a noi.
In meno di
mezz’ora l’autista parcheggiò il taxi
davanti
all’ingresso dell’hotel e ci scaricò le
valigie appoggiandole sull’asfalto.
Prese i soldi e velocemente risalì sulla sua auto diretta
chissà dove.
“Dunque
è questo”, disse Nicole mentre ce ne restavamo
tutte e tre a fissarlo.
“Abbiamo
costatato che Tom non sa prenotare i biglietti e
Mark non sa scegliere gli alberghi, mi sembra giusto”,
cercò di scherzare
Jennifer.
“Forza,
andiamo”, le incoraggiai.
Prendemmo le valigie e
andammo a fare il check-in.
Il tempo di salire in
camera che Nicole e Jennifer erano
crollate nei rispettivi letti mentre io non riuscivo a prendere sonno,
avvertivo la sua presenza
pur stando a chilometri di distanza.
Avevo la testa troppa
piena di pensieri che non mi
facevano dormire e per questo motivo avevo bisogno di prendere aria.
Aprii la
finestra del balcone e mi sedetti su una sedia lì fuori. La
calda aria di
agosto colpiva la mia pelle.
Faceva schifo quando
una persona ti manca così tanto che
guardi vecchi messaggi e cerchi di ricordare tutte le vostre
conversazioni. Per
qualche secondo può portare un sorriso sul tuo viso, ma poi
il dolore ritorna e
non dovresti guardare indietro, ma non puoi farne a meno.
Avevo voglia di
sentirlo ma non avevo il diritto di
chiamarlo. Avrei potuto inviarli un messaggio, meno confidenziale, ma
non ne
avevo ugualmente il diritto. Avrei aspettato che lui prendesse una
decisione e
quando saremmo rientrati entrambi a San Diego, se ancora non lo avesse
fatto,
avrei deciso io per entrambi.
L’indomani
saremmo dovute andare al concerto che si
sarebbe tenuto in quella città. Jennifer aveva insistito
così tanto. Le avevo
detto che potevano andare loro e che avrei preferito stare in stanza a
leggermi
un libro ma mi aveva risposto con un “Non essere stupida, i
libri non cambiano
mentre nei concerti c’è sempre qualcosa di
nuovo”, mi era piaciuta quella
frase, in fondo mettevo sempre al primo posto un concerto, qualunque
gruppo
fosse ma in quel caso non ce la facevo. Non ce l’avrei fatta
a sopportare Jen e
Tom insieme, non ce l’avrei fatta a fingere di sorridere.
Alla fine ero ceduta
alle sue suppliche anche perché
sapevo benissimo che Nicole ci avrebbe tenuto ad andarci e avrebbe
rifiutato se
ci fossero state soltanto loro due. Non potevo impedirle di vedere in
concerto
la sua band preferita, le dovevo molto.
La mattina successiva
visitammo un po’ la città e
tornammo per le sette in albergo così da prepararci e
dirigerci al concerto.
Avevamo la fortuna di
seguirlo dai lati del palco. Thomas
era a pochi metri da me, a volte si girava a guardare dalla nostra
parte.
Vedevo che Jennifer gli sorrideva ma la sua attenzione era incentrata
su di me.
Mi faceva uno strano effetto.
Finito il concerto gli
aspettammo fuori dove, dopo aver
fatto delle foto con qualche fan e firmato degli autografi, la band
s’incentrò
su di noi.
“Ehi New
York”, mi salutò Mark venendomi ad abbracciare.
Thomas mi lanciò un’occhiata. Sapeva che mi dava
fastidio quando mi chiamavano
così ma infondo, a Mark glielo avrei permesso.
“Ciao
Mark”, ricambiai.
“Nicole”,
disse sorridendo ed andando ad abbracciare
anche lei. “Non so se ti ricordi di me...”, disse
scherzando.
“Non credo,
ci siamo visti da qualche parte?”, rise.
“Sai
potremmo conoscerci più in fondo, se ti va”, disse
ammiccando ma continuando a ridere.
“Visto che
noi abbiamo finito potremmo andare da qualche
parte”, propose Thomas e tutti approvammo.
“Tom, io
volevo passare del tempo con te”, sentii sussurrare
Jennifer tra le chiacchiere degli altri. Lui capì che
l’avevo sentita e mi
guardò come se aspettasse una mia risposta, come se davvero
importasse
qualcosa. Accennai, comunque, un si con la testa.
La coppietta felice se
ne andò chissà dove lasciando me e
Nicole insieme a Mark e Travis.
“Beh
c’è qualche bar qui vicino?”, proposi.
Alla fine andammo in
un bar non tanto distante da lì e ci
passammo gran parte della serata tra una chiacchiera e una bevuta.
Tornammo in
albergo verso le tre del mattino e se Nicole non fosse stata con me,
quella
sera, non saprei dove sarei finita, probabilmente sarei svenuta
addormentata
sul divanetto del bar.
Avevo decisamente
bevuto troppo e non sapevo neanche il
perché di questa reazione. Avevo smesso di bere da quando
avevo deciso di
diventare una persona migliore andandomene via da New York e da tutte
le
persone che conoscevo ed ora ero ricascata in questo tranello.
Quando Nicole
aprì la porta, uno spiraglio di luce
illuminò il letto di Jennifer che, come immaginavo era
vuoto. Di sicuro non
avrebbe passato la notte in un’insulsa camera di albergo con
delle amiche
quando aveva il suo ragazzo a disposizione per una notte intera.
Dio, quanto mi odiavo
in quel momento!
“Quel
bastardo!”, mugolai.
Facevo dei
ragionamenti stupidi come quelli di una
ragazzina, ma in fondo lo ero. Avevo soltanto ventun anni e lui nove in
più. La
differenza di età era troppa ed essermi illusa fino a quel
momento che avrebbe
davvero lasciato Jennifer per stare con me era troppo. Troppo tempo
sprecato.
Mi buttai sul letto
senza neanche cambiarmi e delle
lacrime solcarono il mio viso.
Non ero solita a
piangere per qualche ragazzo, non ero
solita a piangere per nulla ma quel ragazzo mi stava davvero facendo
dannare.
Aveva innescato qualche strano meccanismo nel mio cervello
così da non
riconoscermi più.
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Capitolo 28 *** Chap 28 ***
Chap
28
Passai il resto del
sabato chiusa in stanza con un mal di
testa atroce, causa del troppo bere della sera prima. Tutta colpa di
Thomas ,
di Jennifer, della loro storia d’amore e di tutti film che mi
ero fatta nella
mia stupida mente e che giocava brutti scherzi.
Avrei voluto che
potessimo cambiare di posto così da
essere lui quello che s’innamora e io quella che gli avrebbe
spezzato il cuore.
Stava passando la
terza notte da quando eravamo atterrate
a Los Angeles e come la prima la stavo passando sul balcone.
L’indomani saremmo
partite per tornare a San Diego, per tornare alla vita normale.
Guardando in
lontananza la città, stavo realmente
pensando che sarei potuto restare qui, nella città in cui
avevo sempre
desiderato essere, non ero neanche riuscita a godermela per dei stupidi
pensieri
che occupavano la mia mente.
Magari avrei potuto
cercare un appartamento in città o
nella periferia, così almeno da riuscire a dimenticarlo, ma
trasferirsi sarebbe
significato fuggire di nuovo da qualcosa. Lo avrei rifatto, solo
perché non
avevo la forza di affrontare tutti i problemi che mi portavo dietro.
Restare a Los Angeles
da sola sarebbe stata un’altra
avventura. Iniziare, di nuovo, tutto da capo, senza Nicole e senza di
lui. Mi
sarebbe, certamente, mancato il fatto di trovarlo seduto al suo solito
posto a
fare colazione o magari incontrarlo al supermercato, delle cose banali,
certo,
e mi sarebbero anche mancate le nostre discussioni e sentire di nuovo
la sua
voce irritante.
Avrei potuto chiedere
a Nicole di restare con me e so che
avrebbe accettato, lo avrebbe fatto per me e anche per non subire
un’ora di
aereo da sola con Jennifer, ma non gliel’avrei mai chiesto,
non potevo pretendere
pure questo. Aveva fatto tanti sacrifici e farle fare un tale
cambiamento
sarebbe stato un gesto totalmente egoista da parte mia.
Portai le ginocchia al
petto e restai così per non so
quanto tempo a guardare le luci davanti a me e a pensare a tutto, ma
quando
realizzai che il cielo si stava schiarendo e i primi raggi del sole si
stagliavano sulle finestre delle case vicine mi alzai e cautamente
m’infilai
nel letto sapendo che da lì a poco si sarebbero svegliate e
non volevo far
preoccupare Nicole.
Qualche minuto dopo
che avevo chiuso gli occhi sentii
Jennifer alzarsi e andare in bagno. Quando chiuse la porta sentii
Nicole
girarsi nel letto.
“Dove sei
stata?”, mi chiese a bassa voce.
“Come?”
“So bene che
ti sei appena sdraiata”
“Ho preso un
po’ di aria”
“Tutta la
notte?”
“Dovevo
schiarire un po’ le idee”
“Sul fatto
di tornare o no a San Diego?”, annuii.
“Entrambe sappiamo bene che non ti va di
tornarci...”
“Ma devo
tornaci, ho le mie cose lì, magari poi mi
trasferirò”
“Non hai
mica fatto una promessa a qualcuno?”
“Sì,
ma anche lui l’aveva fatto a una certa persona che
ora è di là chiusa in bagno e pensa che sono
soltanto una semplice amica ma
sai, non sono una di quelle ragazze che fanno tutto per un
ragazzo”
“Dovresti”,
disse mettendosi a sedere a gambe incrociate.
“Ricorda che in guerra e in amore è tutto
lecito”
“Ma questo
implica che ci saranno dei feriti”, mi sedetti
anch’io.
“Come tutto
del resto”
Non obbiettai
né risposi alla sua affermazione. Ci
limitammo a condividere un tranquillo silenzio interrotto qualche
minuto dopo
dalla vibrazione del mio cellulare. Mi era arrivato un messaggio.
‘So a cosa stai
pensando e dico sul serio guai a te se provi a restare a L.A. . Se
scopro che
non hai preso quell’aereo sappi che ti verrò a
cercare e ti riporterò a San
Diego, costi quel che costi. Mi hai fatto una promessa e devi
mantenerla, ti
prego.’
Quasi come se fosse un
segnale, le parole scritte sul
quel piccolo schermo mi fecero sorridere e mi avevano convinta a
tornare a
casa, già perché era quello il nome. San Diego
ormai era casa mia.
Sembrava che mi avesse
letto nella mente e quelle parole
mi avevano fatto capire che forse sarebbe valsa la pena lottare per una
volta,
anche se avrei comunque sentito i sensi di colpa.
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Capitolo 29 *** Chap 29 ***
Chap 29
Quella fu una giornata
come tante, avevo ricominciato a
lavorare da poco e finalmente potevo avere la testa occupata in
qualcosa che mi
piaceva.
Eravamo a Settembre e
la cosa incredibile è che c’era
ancora il sole che splendeva e non faceva freddo. Iniziavo ad amare San
Diego.
Da quando eravamo
tornate da Los Angeles era successo di
tutto. Avevo cercato in tutti i modi di evitare Jennifer cosa che non
aveva
funzionato visto che eravamo uscite diverse volte nell’ultimo
mese e mezzo a
bere un caffè insieme o andare al cinema a vedere un film
nuovo oppure restava
a cena da noi, cosa che accadeva spesso. Nicole si era arresa al fatto
di
essere scorbutica con lei e aveva ammesso che non era così
male tanto che
quella sera l’aveva invita a cenare da noi, cosa che mi aveva
fatto rimanere
senza parole.
Quel pomeriggio era
vuoto, gente ancora non ce ne era più
di tanta e decisi, allora, di dare un’occhiata ai CD che
avrei dovuto far
ascoltare ai clienti. Ne scelsi uno in particolare. Aveva uno sfondo
nero con
una striscia viola sfumata in centro che alludeva a una nebulosa che
vagava
nello spazio. Al centro era raffigurata la Terra all’interno
di un cubo di
cristallo e il sole che nasceva su un vertice di questo. Era di un
gruppo a me
sconosciuto, gli Angels And Airwaves.
Lessi il titolo, We
Don't Need to Whisper.
Faceva molto riflettere. Non abbiamo bisogno di
sussurrare.
Lo rigirai tra le mani
e mi chiesi il motivo di tutta
l’attenzione che avevo per quell’album, era come
una forza magnetica che mi
spingeva a studiarlo. Lessi le tracce e ne scelsi una in particolare.
La 9, ‘Good
Day’.
La canzone
iniziò lentamente come se fosse un bisbiglio e
piano aumentava una musica dolce seguita dalla voce del cantante che mi
sembrava così famigliare, ma era diversa, aveva qualcosa di
mieloso e di tranquillizzante. “I should of turned back. I shouldn't
know
better than to walk away defeated”. La musica poi era cambiata,
diventava
più solenne per poi scomparire e lasciare solamente la voce
del cantante “I
think I like today. I think it's good. It's
something I can get my head around”.
Presi la custodia del
CD in mano e la girai sul retro,
sotto le tracce lessi Producer Tom DeLonge. Dei brividi mi percorsero.
Era
incredibile come un ragazzo del genere potesse scrivere dei testi
così
magnifici.
“Ehi Mary
ancora qui?”, mi chiese Gary raggiungendomi
dietro al bancone e chiudere la cassa.
Lanciai
un’occhiata all’orologio e mi accorsi che era
tardi. “Non ho proprio visto l’ora”,
dissi prendendo la borsa e uscendo da
dietro il mobile. “Gary, posso chiederti un favore?”
“Dimmi?”
“Non
è che posso portare a casa questo CD?”, gli provai
a
chiedere. “Lo riporto domani come nuovo”
“Tranquilla,
prendilo pure” , mi disse sorridendo. “Un CD
non mi farà cadere in rovina”
“Grazie, sei
un tesoro ci vediamo domani”
Uscii di fretta dal
negozio e m’intrufolai nella mia
auto, accesi il motore e premendo sull’acceleratore mi
indirizzai verso casa.
Mi ero completamente
dimenticata che quella sera sarebbe
venuta a cenare Jen da noi e avevo promesso a Nicole che le avrei dato
una
mano.
“Scusami,
sono in un terribile ritardo, mi puoi perdonare?
Jen è già arrivata? Hai già preparato
qualcosa?”, le esposi una raffica di
domande.
“Prendi
fiato, non sei in ritardo e Jennifer non è ancora
arrivata e sì, ho iniziato a preparare qualcosa ma
tranquilla”, mi rispose
dolcemente.
“Ok”,
tirai un sospiro.
“Sabato prossimo comunque sono a casa, Gary ha una
commissione e tieni
di nuovo il negozio chiuso”
“Potremmo
andare in spiaggia”
Dalla borsa che avevo
appoggiato sul piano che divideva
la cucina dal salotto tirai fuori il CD che avevo preso al lavoro.
“Hai mai
sentito parlare de degli Angels And Airwaves?”,
le chiesi infilando il disco nello stereo.
“Certo che
gli ho sentiti ed è incredibile la
percettibilità dei testi”
“Quello che
ho pensato io appena li ho sentiti”
Iniziai ad
apparecchiare la tavola mentre le tracce
uscivano dalle casse, una dopo l’altra ma
all’improvviso suonarono al
campanello, doveva essere arrivata.
Istintivamente tolsi
via il disco e lo nascosi dentro un
cassetto lì vicino e come se non fosse nulla la saluta
quando si presentò sull’uscio
della cucina.
“Ehi Jen
tutto bene?”, le dissi sorridendo.
Passammo una serata
tranquilla tra una chiacchiera e
l’altra.
“Ehi Jen ti
va se sabato prossimo andiamo in spiaggia?”,
propose Nicole. “Mary ha la giornata libera”
“Mi
piacerebbe ma torna Tom e volevo organizzare qualcosa
di speciale”, potei sentire lo sguardo di Nicole posarsi su
di me e cercando di
far finta di niente guardai Jennifer.
“Capisco,
beh sarà per la prossima volta”
“Certo,
magari possiamo invitare anche Tom e Mark e
Travis, quei tre insieme sono peggio dei bambini di cinque
anni”
“Non vedo
l’ora”, continuai a sorridere. Un sorriso falso
ma che negli ultimi tempi mi usciva piuttosto bene.
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Capitolo 30 *** Chap 30 ***
Chap 30
Era passata una
settimana e Settembre sarebbe finito tra
pochi giorni.
Quella mattina mi
alzai più presto del solito, il sole
sarebbe sorto tra poco e non avevo la minima voglia di tornare a letto.
Mi misi a preparare la
solita tazza di caffè e mi sedetti
sotto alla finestra. La strada era ancora bagnata dalla pioggia che era
scesa la
sera prima, sulle piante c’erano ancora delle gocce e dai
tetti scendevano le
ultime lacrime dal cielo, così la chiamava mia nonna.
“Sveglia a
quest’ora?”, chiesi a Nicole vedendo il suo
riflesso entrando in cucina.
“Non ho
chiuso occhio tutta la notte, questo temporale
non mi ha fatto dormire”
“In effetti
non piove mai a San Diego ma quando lo fa è
pazzesco”
“Hai proprio
ragione”, facemmo una pausa di silenzio
prima che io tornassi a guardare fuori. “Oggi però
promette sole, potremmo
andare ugualmente in spiaggia”
“Forse, ci
sono delle nuvole che però non mi convincono”
“Un
po’ di vento e le porterà via”
“Siamo a San
Diego”
“Ma ha
appena piovuto, tutto è possibile”
“Bah..”
“Come siamo
arrivate a parlare del tempo?”, chiese poi.
“Credo che
stavi cercando qualche motivo per non farmi
pensare a Thomas”
“Giusto...”
“Grazie”,
le sorrisi sinceramente. “Ma non ho intenzione
di corrergli dietro e aspettarlo per l’eternità,
è chiaro che non vuole stare
con me”
“E questo
l’hai dedotto da...”, disse invitandomi a
continuare
la frase.
“Da come si
comporta”
“Ti
riferisci al fatto che ti ha chiesto di non andartene
via e di tutte le suppliche? Già credo anch’io che
ti odi”
“Lo sai cosa
intendo”, dissi scuotendo la testa. “Lui
non…”
“Non lo
saprai mai, magari lo fa soltanto per non
ferirla”
“Lesionando
me ma non mi importa cosa vuole, no!”
“Sai una
cosa?”, dissi di no con la testa. “È
sempre la
stessa cosa che ti ripeto”
“Sì,
sì... che quando tornerà e lo ritroverai sulla
soglia di casa tutta la tua rabbia scomparirà”,
dissi sovrastando la sua voce.
“Lo so”, sbuffai e ritornai a fissare fuori dalla
finestra.
“Va
bene”, disse bevendo un sorso dalla sua tazza. “Io
vado a prepararmi, ci vediamo più tardi”, si
girò di spalle e vidi dalla
finestra il suo riflesso che scuoteva la testa prima di scomparire
nell’altra
stanza.
Soltanto quando un
raggio di sole raccolse la mia
attenzione mi accorsi che il sole stava nascendo. Esattamente come
quando mi
ero svegliata tra le sue braccia la mattina della sua partenza e mi
resi conto
che sarebbe atterrato a momenti.
Salii in camera
cercando di non pensare a nulla. Volevo
solo tenere la mente libera. Mi vestii e prima che me ne rendessi conto
il sole
era già sorto. Stava illuminando tutta la via regalando un
tono più allegro
alle case del vicinato.
Scesi al piano di
sotto e iniziai a riordinare, cosa che
facevo ultimamente per tenere la mente occupata e a dir la
verità funzionava.
Passai davanti alla finestra che dava sul giardino e un’ombra
mi fece fermare.
Non realizzai al momento chi fosse ma corsi alla porta e la spalancai.
Guardai quel paio di
Macbeth nere a pochi centimetri da
me ed ebbi una strana sensazione che mi cresceva pian piano dentro di
me.
Alzai il volto e
trovai il suo sorriso coperto dall’ombra
del solito berretto che mi scrutavano dall’alto.
Ero finalmente
riuscita a non pensare a niente e l’unica
cosa di cui ero certa era che Nicole aveva fottutamente ragione. Tutta
la
rabbia, tutti i pensieri e tutte le scuse che si erano accumulate erano
spariti
e senza rendermene conto sul mio viso comparve un sorriso.
“Ehi”,
mi disse rompendo il silenzio.
“Bentornato
Tom”
“Lo dici sul
serio?”
“Si…
io… cioè credevi davvero che ti avessi aspettato
con
un fucile in mano?”
“Non proprio
però visto che hai tirato fuori
quest’ipotesi con facilità potrei pensare che ci
hai pensato almeno per un
istante”
“Non pensi
che se avrei voluto ucciderti lo avrei già fatto?”
“L’hai
quasi fatto”
“Però
non di mia spontanea volontà”
Per un tempo
indefinito restammo così in piedi uno di
fronte all’altra. Guardavo il suo modo buffo di non riuscire
a stare fermo pur
volendo e istintivamente gli gettai le braccia al collo e lo abbracciai.
“Mi sei
mancata”, mi sussurrò completando il mio
abbraccio.
Restammo
così per parecchio tempo e quando mi allontanai
da lui sorridevamo entrambi.
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Capitolo 31 *** Chap 31 ***
Eccoci arrivati all'ultimo
capitolo della storia.
Credo di averla conclusa frettolosamente e non mi convince tanto ma a
parte questo, vorrei ringraziare Layla
per aver commentato tutti i
capitoli ed essere arrivata fin qui.. Grazie ancora :D
Chap 31
“Cosa ci fai
qui?”, gli chiesi.
“Dove dovrei
essere secondo te?”
“Sai bene
dove dovresti essere”
“Non credi
che ci sia già”
“Per
nulla”
“Sai bene
perché sono qui”
“Non voglio
stare con te”
“Me lo hai
già detto”
“Ma voglio
stare con te, il fatto è che non accetto di
volerlo... Ho paura che mi farai soffrire”
“Non lo
farò”
“E poi
c’è Jennifer, non voglio fare l’altra,
non ce la
farei”
Si avvicino a me e
posò le sue mani sui miei fianchi.
“Mary, da quanto tempo non senti Jennifer?”
“Da circa
una settimana cosa alquanto strana visto che me
l’hai appioppata”
“Beh sappi
che lei mi ha telefonato ogni giorno e...”
“E con
questo?”
“Fammi
finire... dicevo che ho capito una cosa, quando
parlavo con lei pensavo a te, quando siete venute a Los Angeles
guardavo te e
quando quella sera sono andato via con lei non ho fatto altro che
desiderare
che ci fossi tu al suo posto”
“Non
è un po’ troppo sdolcinato?”
“Sarà,
ma è la verità”
“Ma continui
a stare con lei”
“Ascoltami,
durante il tour ho avuto modo di pensare a
noi”
“A
noi?”
“A
noi!”
“A noi, tu e
Jen o noi…”
“Noi...”
“Oh...”,
la mia espressione cambio in sorpresa.
“Ecco ho
perso il filo del discorso”
“Stavi
dicendo che hai avuto modo di pensare a
‘noi’”
“Giusto, beh
durante la nostra ultima telefonata abbiamo
parlato e le ho detto tutto”
“Cosa?”,
mi allontanai da lui. “Le hai detto di me e di
te e...”
“No,
tranquilla, le ho solo detto che non l’amavo più
come un tempo e sono rimasto sorpreso da come l’ha presa, mi
ha detto che era
giusto così e che avrei dovuto trovare la ragazza giusta da
amare”
“Quindi vi
siete...”
“Lasciati?
Si”, rispose sereno. “In verità
è stata lei a
mollare me”, disse abbozzando a un sorriso. “E ora
posso rispondere alla
domanda di prima, credo che sia questo il posto dove dovrei
essere”
“Ne sei
sicuro?”
“Mai stai
più sicuro di così”, si
avvicinò di nuovo.
“Però ancora non ti ho chiesto una cosa”
“Ovvero?”,
chiesi confusa.
“Vorresti
uscire con me?”
“Sarebbe un
appuntamento?”, annuì.
“Non abbiamo
avuto l’occasione di averne uno, almeno
decente e senza che ci siano dei tipi di
‘problemi’”, mi sorrise.
In quel momento il mio
cervello smise di funzionare e fu
il cuore a comandare. In un istante mi feci più vicina a lui
e alzandomi sulle
punte dei piedi lo baciai. Lasciai che le sue braccia si avvolgessero
attorno
ai miei fianchi e che le miei emozioni andassero a farsi fottere,
l’unica di
cui avrei avuto bisogno era la felicità che per una volta
aveva preso il
sopravvento sulle altre sensazioni.
Quel bacio lo
assaporai in modo diverso. Era speciale,
era il nostro primo vero bacio. Non un bacio rubato o contenente sensi
di colpa
verso qualcuno. Era il bacio perfetto.
“Posso
prenderlo per un si?”
“Credo di
si”
“E pensi che
ci sia un futuro in noi?”
“Probabile”
“Gentile da
parte tua”, disse ridendo e stringendomi
contro di lui. “Però tu vuoi ancora
andartene”
“Sì
ma non subito”
“Sai che Los
Angeles ha una brutta reputazione”
“Ogni
città ha una brutta reputazione
“E il mare
è lo stesso”
“Sai, si
trova nello stesso Stato”
“Sei davvero
sicura di voler ancora partire?”
“Sì,
ma come ho già detto prima non ci voglio pensarci
ora, magari in un futuro, certo, ma adesso non c’è
posto che non voglia stare
che a casa mia, a San Diego, con te”, gli dissi guardandolo
negli occhi e
comparve un sorriso sui nostri volti nello stesso istante.
“È
bello il modo in cui hai detto di voler stare a San
Diego con me”
La mia mano
scivolò verso la sua e mi voltai per entrare
in casa e una volta varcata la soglia, lui chiuse la porta alle sue
spalle.
“Ti va di
fare colazione?”, mi chiese.
“Latte e
cereali?”
“E tazza di
caffè?”
“Sarebbe
perfetto”
Lasciai la sua mano
per andare verso la dispensa ma mi
afferrò di nuovo e mi spinse verso di lui. Passo le sue mani
dietro la mia
schiena e mi travolse in un breve bacio.
In quel momento capii
che non esisteva attimo migliore di
quello e che avrei potuto viverne, molte altri, infinite volte
semplicemente
stando con lui.
È pazzesco
pensare come sarebbe stata diversa la propria
vita se non avessi mai incontrato quelle persone che hanno cambiato
tutto.
Arrivati a questo
punto mi bastava che lui fosse stato
onesto per il resto della vita e che tutto sarebbe andato bene.
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