If you could change one past thing in your life what would it be?

di imsofreakingsorry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Incontro ***
Capitolo 2: *** Incubo ***



Capitolo 1
*** Primo Incontro ***


Dopo aver cancellato le storie precedenti, spero di poter portare a termine almeno questa. Senza rendermi conto troppo tardi che è una schifezza.




Aeroporto di New York, Settembre 2024 – Dave Karofsky ha 30 anni

Era una domenica pomeriggio di settembre sotto il cielo di New York.
Un uomo scese da un taxi, prese una borsa dal bagagliaio e si chinò sul finestrino per passare al guidatore il suo compenso; poi girò su stesso e si avviò verso l’edificio di vetro e acciaio di fronte a lui.
Quell’uomo era David Karofsky, e gli anni passati erano stati buoni con lui.
Il suo fisico era maturato insieme a lui, lasciandosi indietro la goffaggine dei suoi anni al liceo. Faceva l’avvocato a Cleveland, Ohio.
Si diresse meccanicamente al check-in per prendere il volo per tornarsene a casa.
”Dove sei diretto, straniero?”
Stupito di sentire quella voce così familiare, si girò di scatto.
Due occhi azzurri lo stavano guardando carichi di tenerezza e qualcosa che Dave sperava di aver interpretato nel modo giusto.
”Quand’è stata l’ultima volta che ti ho baciato?”, chiese lui
”Direi un’ora fa”
”Quasi un’eternità”, mormorò lui, stringendolo a sé.
Quel ragazzo era Kurt, l’uomo della sua vita. Lo conosceva ormai da quindici anni e doveva a lui il meglio di sé: era stato lui a spingerlo fuori da quel guscio in cui si nascondeva, lui ad indurlo a frequentare legge, ad aprirsi con gli altri.
Era folle che Kurt fosse venuto a salutarlo con il rischio di arrivare tardi a lavoro.
Il fatto era che la loro era una storia complicata. Lui viveva a Cleveland, Kurt a New York. Complici anche orari di lavoro che non coincidevano mai.
Certo, avrebbero potuto decidere di convivere, ormai, ma nessuno dei due era ancora riuscito a dire di no al proprio lavoro.
Dopo lunghi studi di legge, Dave era riuscito ad aprire la propria società di avvocati a Cleveland. Kurt, invece, era una promettente star di Broadway, cosa che aveva sempre sognato fin da piccolo, e non sarebbe stato certo Dave a portargli via quel lavoro di cui andava tanto fiero.
I due giovani avevano quindi una vita piena dove non c’era spazio per la noia. Ma lo stare separati stava complicando sempre di più il loro rapporto.
“Lascia che ti accompagni a prendere il tuo volo”, disse Kurt.
Dave annuì. Poi, dato che lo conosceva bene, chiese: “Volevi dirmi qualcosa prima di partire?”
”Sì”, rispose lui prendendolo per mano
Ma mentre si avviavano verso l’imbarco non fece altro che parlare di lavoro.
”Kurt…”
”Sì?”
”Dove vuoi andare a parare, esattamente?”
”Vorrei che adottassimo un figlio, Dave”
”Così, su due piedi? Ne vuoi rubare uno all’aeroporto?”
Questa era l’unica cosa che Dave era riuscito a dire: una battuta per mascherare la sorpresa. Kurt però non sembrava aver voglia di ridere.
”Non sto scherzando, Dave, e ti prego di rifletterci seriamente”, riprese lui, lasciando la sua mano e dirigendosi verso l’uscita del terminal.
A Dave non piaque il senso di gelo che di colpo aveva pervaso la sua mano una volta che Kurt l’ebbe lasciata.
“Aspetta, Kurt”, fece lui – nel vano tentativo di trattenerlo.
”Questo è l’ultimo avviso per il signor David Karofsky, passeggero del volo 206 con destinazione…”
Stava per salire a bordo, quando si girò per rivolgere un ultimo saluto a Kurt.
Il sole di settembre inondava la sala partenze, Dave agitò la mano, ma il suo grande amore era già scomparso.
 

~~~~~~


Era ormai ora di scena quando il suo aereo atterrò. Dave stava per uscire dal terminal e prendere un taxi, quando tornò sui suoi passi. Stava morendo di fame. Turbato dalla proposta e dalla reazione di Kurt, non aveva toccato nessuno degli spuntini che le hostess gli aveva proposto e sapeva di che, nel suo appartamento, avrebbe trovato un frigorifero vuoto ad aspettarlo.
Si guardò intorno e avvistò un ristorante in cui si ricordava di essere già stato con il suo migliore amico, Blaine, che a volte lo accompagnava. Entrò e si sedette al banco, ordinando un’insalata con pollo – aveva preso l’abitudine di mangiar sano da Kurt – e un bicchiere di vino bianco. Dopo che il cameriere ebbe preso nota della sua ordinazione, si avviò verso i bagni e compose il numero di Kurt. Nessuna riposta. Sicuramente non gli voleva parlare. Non che ci fosse da stupirsi.
Ma non si era pentito di aver reagito in quel modo. La proposta di Kurt era saltata fuori dal nulla, tanto più che la carriera di entrambi era praticamente solo agli inizi. E non erano nemmeno sposati. La verità era che non si sentiva ancora pronto. Era già stupito di essersi meritato l’amore di Kurt, fino a quel giorno non aveva osato chiedere di più. Non voleva sfidare il destino che già gli aveva donato tanto. Non era questione di mancanza d’amore. Questo sperava che fosse chiaro anche a Kurt. Lo amava tanto. Aveva amore da vendere. Solo aveva una paura matta.
Ma questo era un discorso che Kurt non voleva assolutamente intendere.
Tornato al banco, finì di mangiare ed ordinò un caffè.
Era nervoso e nella tasca della giacca sentiva il peso del pacchetto di sigarette comprato quella mattina. Inutile dire che non resistette alla tentazione di fumarne una. Certo, avrebbe dovuto smettere di fumare, come Kurt e Blaine non mancavano mai di fargli notare. Uno era un salutista, l’altro un medico. Dave era praticamente incastrato. Ma nessuno dei due poteva tenerlo d’occhio 24 ore su 24.
Smetterò presto, ma non stasera, pensò aspirando il fumo. Si sentiva troppo depresso per imporsi un sacrificio del genere.
Il suo sguardo vagava per il ristorante, ma di colpo si fermò a fissare la vetrata che dava verso l’aeroporto.
Scorse un uomo che – vestito solo con un pigiama – sembrava scrutarlo con estrema attenzione.
Strinse gli occhi per guardarlo meglio. L’uomo era sicuramente sulla sessantina, un’aria ancora atletica – sebbene non l’avrebbe mai definito magro –, una barba incolta e leggermente brizzolato. Dave aggrottò la fronte. Cosa ci faceva un uomo scalzo, in pigiama, nel terminal dell’aeroporto?
Non erano sicuramente affari suoi, ma qualcosa lo spinse ad alzarsi e ad uscire. Quell’uomo aveva l’aria smarrita, quasi si fosse ritrovato lì di colpo, per caso.
Chi era quell’individuo? Forse un paziente scappato da qualche istituto?
Quando fu a meno di tre metri di distanza, comprese finalmente quale fosse il motivo per cui quella visione l’avesse così tanto turbato. Quell’uomo somigliava spaventosamente a suo padre Paul, morto cinque anni prima per un cancro al pancreas.
Fece ancora qualche passo verso di lui. Da vicino la somiglianza era ancora più stupefacente: la stessa forma del viso, lo stesso neo che lui aveva ereditato.
E se fosse davvero lui? Ma no, che sciocchezze. Paul era morto. E sepolto. Aveva assistito al funerale. Aveva pure pianto. E Kurt gli aveva tenuto la mano per tutto il tempo.
”Posso aiutarla?”, disse.
L’uomo indietreggiò, il turbamento che aveva provato Dave si rispecchiava anche in lui.
”Dave…”, mormorò finalmente l’altro.
Come faceva a conoscere il suo nome? E quella voce!
Dire che tra Dave e suo padre non fosse mai scorso buon sangue, era un eufemismo; ma ora che il padre era morto, lui rimpiangeva di non essersi aperto prima con lui. Di non essersi fatto capire da quell’uomo che tante volte aveva provato a penetrare il suo guscio, invano. Dave non si era mai sentito così inebetito.
Prima di rendersi conto dell’assurdità di quello che stava per dire, una domanda gli sfuggì dalle labbra:
”Sei tu papà?”
”No, Dave, non sono tuo padre”
Quella risposta non fece altro che turbare Dave ancora di più.
”Ma allora lei chi è?”
L’uomo si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla. Con un’espressione che tante volte aveva visto guardandosi allo specchio, finalmente parlò di nuovo:
”Io sono te, Dave”
Dave si irrigidì, incapace di muovere un passo o formulare una frase di senso compiuto.
”Sono te fra trent’anni”
L’uomo fece per aggiungere qualcosa, ma un fiotto di sangue iniziò a colargli dal naso.
Dave si girò per tirare fuori un fazzoletto dalla tasca, preoccupato, e lo porse all’uomo. Ma nel tempo che impiegò ad alzare di nuovo lo sguardo verso di lui, quell’uomo era già sparito.

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Capitolo 2
*** Incubo ***


Cleveland, Settembre 2054, Dave Karofsky ha sessant’anni.

Dave si svegliò all’improvviso. Era steso sul pavimento, relativamente lontano dal suo letto; ed il cuore gli batteva all’impazzata, era zuppo di sudore.
Si era appena svegliato da uno degli incubi peggiori che avesse mai avuto nella sua vita.
Di solito i sogni che faceva non li ricordava mai, ma questo – per chissà quale motivo – restava ancora vivido nella sua mente: stava vagando per l’aeroporto di Cleveland e si era imbattuto nel… suo doppio. Ma un doppio che doveva anche avere la metà dei suoi anni, a giudicare il suo aspetto e i vaghi ricordi che aveva di quand’era giovane. Anche lui era sembrato stupito di vederlo. Come dargli torto, del resto. Il motivo per cui questo sogno gli era rimasto così impresso, era perché era stato così reale da fargli credere – per un breve istante – di essere stato davvero catapultato trent’anni indietro.
Si sollevò a fatica e lanciò un’occhiata al flacone che conteneva delle pillole color oro che aveva appoggiato sulla sua scrivania. La sera prima ne aveva inghiottita una, ed ora un dubbio stava prendendo forma dentro di lui: che fosse stata quella a causare quello strano sogno? L’indiano – che aveva assistito legamente senza chiedere alcun compenso – gliele aveva regale, ma era stato molto evasivo in merito agli effetti e gli aveva raccomandato di non “usarlo mai per altro scopo per quello previsto”. Si spostò verso la finestra, nella speranza che il paesaggio familiare attorno a lui lo calmasse un po’.
Era appena riuscito a convincersi di aver fatto solo un brutto sogno, quando, guardando la propria immagine riflessa nel vetro della finestra, notò qualcosa che gli fermò il fiato in gola: una macchia scusa sulla maglia del pigiama. Abbassò gli occhi per esaminarla meglio. Sangue?
Per un attimo il cuore sembrò impazzirgli, ma poi si calmò. C’era una spiegazione logica anche a quello: doveva aver perso sangue dal naso durante la notte e aver proiettato nel sogno quell’evento reale.
Eppure c’era qualcosa che ancora lo tormentava, ma cosa?
Stava già per arrendersi e darsi del pazzo, quando ebbe di colpo un’intuizione. Iniziò a frugare nelle tasche del pigiama, dove trovò un fazzoletto di carta macchiato di sangue. Dietro le macchie scure, però, era ancora leggibile il nome di un famoso ristorante dell’aeroporto. Il cuore ricominciò a battere all’impazzata e questa volta non diede segno di smettere.
Era forse la malattia a dargli alla testa? A farlo impazzire? Probabile.
Qualche mese prima – in occasione di una fibroscopia fortemente voluta da Blaine – aveva scoperto di avere un cancro al polmone. Non che se ne fosse stupito, non si fuma più di un pacchetto al giorno per quarant’anni senza ricevere una giusta punizione. Su questo era stato da sempre molto coraggioso – o molto stupido –, i pericoli li aveva sempre conosciuti e li aveva accettati. Le cose arrivavano quando dovevano arrivare, da lui la morte era arrivata prima degli altri, tutto lì.
Blaine aveva fatto il possibile, aveva pure cercato cure alternative – a cui lui non credeva per niente – da quando era disperato per Dave. Ma il tumore era stato scoperto troppo tardi, ormai anche tutti gli altri organi erano pieni di metastasi. Gli avevano suggerito un mix di chemioterapia e radioterapia, ma Dave aveva deciso di passare i suoi ultimi mesi di vita nel modo più naturale possibile. Aveva tentato fino all’ultimo di tenere questa cosa per se, ma Blaine già lo sapeva e sua figlia Angela non aveva tardato a capirlo. Di certo la tosse, i dolori alle costole e alla spalle non l’avevano aiutato a nascondere la cosa.  Dopo una doccia iniziò a prepararsi, i segni della malattia sembrano sparire per un paio di minuti, lasciando a Dave la possibilità di vedere riflesso nello specchio un sessantenne ancora giovane ed aitante. Fino a poco tempo prima era riuscito a conquistare uomini giovani e belli, che a volte avevano anche la metà dei suoi anni. Ma erano tutte storie di poco conto, perché chi lo conosceva bene sapeva che nella sua vita c’erano stati solo due grandi amori: sua figlia Angela e Kurt Hummel.
E Kurt era morto da trent’anni.   
Quella mattina, per togliersi ogni dubbio, aveva deciso di andare in ospedale da Blaine. In tutti gli anni della loro amicizia, era riuscito a farsi amici anche gli altri medici dell’ospedale, ed alcuni di loro gli dovevano un favore.
”Mi puoi analizzare questo?”, aveva chiesto al direttore del laboratorio dell’ospedale
”Di che si tratta?”
”Sta a te dirmelo”
Non aveva tempo per fermarsi ed passare del tempo con il suo migliore amico, un cliente lo stava aspettando nel suo ufficio, e non se la sentiva di lasciare il suo stagista – Derek – da solo, nonostante fosse davvero un ragazzo in gamba.
Sì, Dave lavorava ancora. Più volte si era chiesto se fosse stato davvero il caso di continuare e mettere a rischio la riuscita delle sue arringhe, ma d’altro canto era il suo lavoro uno dei motivi per cui viveva.
Per mantenersi lucido prima di ogni caso, comunque, fumava quante sigarette voleva, tanto ormai il danno era fatto, si diceva. Così la mente restava concentrata e non vagava troppo.
Ma quella mattina – dopo aver ragionato ancora sul sogno di quella notte – era giunto alla conclusione che a fine mese avrebbe smesso di lavorare. Rifletté ancora un attimo su quella decisione e si sentì vecchio ed infelice.
”Signor Karofsky”
La voce di Derek lo riportò alla realtà. Quest’ultimo, con un gesto quasi timido, gli porse un bicchiere di caffè.
”Sono venuto per salutarla un ultima volta”
”A salutarmi?”
”Sì, la segretaria non le ha riferito che il mio stage qui è terminato?”
”Sì, sì, deve avermene parlato”, si ricordò lui.
”Grazie per la sua gentilezza e la sua comprensione, signore, da lei ho imparat molto”
”Grazie del suo aiuto, Derek, lei diventerà un bravo avvocato”
”Lei invece lo è già, anzi, è un grande avvocato”
Dave scosse il capo, imbarazzato per il complimento. Il giovane stagista fece un passo avanti.
”Pensavo… pensavo che forse potremmo cenare insieme, questa sera”, disse, e d’un tratto le sue guance si tinsero di rosso. Era molto timido e fargli quella proposta doveva essergli costato davvero molto.
”Mi dispiace, non posso”, aveva risposto lui, stupito della piega che aveva preso la conversazione.
”Capisco.” Derek tacque per qualche secondo, poi aggiunse: “Il mio stage terminerà ufficialmente tra dieci minuti, se è questo che la trattiene…”
Dave lo guardò meglio. Che età poteva avere? Non ci aveva mai fatto caso, ne gliel’aveva mai chiesto. Ventiquattro, al massimo venticinque anni? Non era mai stato ambiguo con lui, quindi si sentiva a disagio.
”No, non si tratta di questo”, replicò, stringendo le labbra.
”Strano”, ribattè Derek. “Ho sempre avuto l’impressione di non esserle indifferente. E sapendo che anche lei è gay…”
Che cosa doveva rispondergli? Che una parte di lui era già morta e l’altra avrebbe fatto presto la stessa fine?
Che il luogo comune secondo il quale l’amore non avrebbe età era solo una cazzata?
”Non so che dirle”
”Allora non dica niente”, mormorò offeso lui. Ma prima di andarsene si girò ancora verso Dave.
”Ah, dimenticavo, il centralino ha ricevuto un messaggio per lei: il suo amico Blaine la sta aspettando da mezzora e sta iniziando a spazientirsi”
Dave prese un taxi al volo. Aveva un appuntamento con Blaine per il pranzo ed era in grande ritardo. Come esistono in amore, così a volte i colpi di fulmine esistono anche nell’amicizia. Blaine e Dave si erano conosciuti circa quarant’anni prima in circostanze particolari. In apparenza erano agli antipodi: Blaine era un tipo molto elegante che amava viaggiare da un uomo all’altro come nulla fosse, Dave era invece piuttosto riservato e solitario.
Ma in ogni caso, Blaine per Dave era l’amico che avrebbe continuato ad essergli amico anche quando gli altri se ne fossero tutti andati.
”Scusa il ritardo”
”Oh, tranquillo Dave, con il tempo ho imparato ad abituarmi alla tua strana concezione di puntualità”
Dave aveva appena iniziato a formulare una frase, quando fu colto da un colpo di tosse.
Blaine gli porse un bicchiere d’acqua e lo guardò preoccupato.
”Dave… Dovresti farti curare. So che non cambierà nulla, ma almeno le cure alleverebbero un po’ i sintomi”
”Sto bene, ti dico. Il brutto sogni di stanotte mi ha lasciato un po’ sottosopra. E sono preoccupato, perché penso sia legata ad una cosa strana che mi è capitata un paio di settimane fa…”
”Una cosa strana?”
”Bé, ti avevo parlato del caso Mudaliar. Ecco, il vecchio – per ringraziarmi – mi ha regalato una bottiglietta con delle pillole d’oro… che, a quanto ha detto lui, avrebbero esaudito uno dei miei più grandi desideri…”
”Aspetta, stai cercando di dirmi che ne hai presa una? Dave? Nel tuo stato di salute non credo proprio sia stata una…”
”Blaine… Quell’uomo mi ha guardato negli occhi e mi ha detto che in questo modo avrei potuto rivedere una persona…”
Per un attimo il suo amico sembrò non capire. Poi un lampo di comprensione attraversò i suoi occhi.
”Kurt…”
Di colpo entrambi furono presi da una grande tristezza. Ma Dave non voleva lasciarsi scappare quest’occasione di raccontare all’amico quel sogno incredibile.
”Non puoi immaginare quanto mi abbia turbato rivedere il me stesso di trent’anni fa… Lui ai quei tempi era ancora vivo, Blaine… Lo capisci?”
”Credi sul serio che sia stata la pillola presa ieri sera a farti quest’effetto?”
”Cos’altro, sennò?”

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