Piccolo, grande uomo

di kazuha89
(/viewuser.php?uid=151861)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


“Perché? ...oh dio quanto ti odio, Shinichi, perché? PERCHE’ LO HAI FATTO, SHINICHI,PERCHE?!’”
Aveva iniziato a piovere. La gente intorno a me probabilmente non si era accorta di nulla, tanta era la velocità con cui sfrecciavo accanto a loro. Non avrebbero potuto vedere niente,  se non altro che me, che correvo come un disperato verso l’ospedale.
Il freddo e l’aria gelida perforavano i miei polmoni mentre sferzavo il muro d’acqua gelida della pioggia, e ormai ero completamente zuppo, ma nemmeno se il freddo avesse indurito la mia pelle facendola sbriciolare come una zolletta di zucchero,  mi sarei fermato. E poi io il freddo nemmeno lo sentivo in quel momento, e la cosa mi terrorizzava a morte: avvertivo calore, calore lungo la pancia e il petto. Il calore di qualcosa che stava lentamente impregnando la mia maglietta
“Fatti forza, ok? Andrà tutto bene...oh maledizione, non dovrebbe stare lontano da un centro abitato, un ospedale, ma come ragionate, a Tokyo?!”
“Hei..Heiji..”
“Non parlare, stai zitto, risparmia il fiato. Lo trovo, quel maledetto ospedale, lo dovessi cercare tutta la notte, giuro che lo trovo!”
Una mano. Dalla zip chiusa della mia felpa, fece capolino una piccola mano tremante. Fulve macchie brillavano come rubini sul suo dorso, candido come la neve.
Indicava una macchina. Un maggiolino giallo era fermo davanti a noi, ad un semaforo..Il vecchio scienziato!
“Gra..grazie al cielo... Dott. Agasa!” urlai, tentando di sovrastare il caos della strada piena di auto. Qualcosa fece che si  il dottore, attirato da una vetrina di Takoyaki, si voltasse verso di noi. Lo vidi mettermi a fuoco. Con i movimenti da me permessi, feci cenno di avvicinarsi. Il fatto forse che fossi in mezzo al viale, scansato dal viavai di persone , in una posizione strana e senza ombrello nonostante il diluvio, parve far capire al doc che qualcosa non andava, perché fece in fretta manovra e accostò accanto al marciapiede, spalancando la portiera.
“Heiji, benedetto dio, che ci fai la fuori con questo uraga..”
“All’ospedale, si muova!” dissi, tuffandomi in macchina, fradicio come un pulcino bagnato.
“Ospedale? Ti senti male, ragazzo?..oh mio dio!”
Avevo aperto la felpa, e il doc dalla faccia, invecchiò venti anni in un colpo solo. Conan stava raggomitolato contro il mio addome, pallido e con lo sguardo assente, un alone scuro di sangue mi aderiva la maglietta alla pelle.
“shi..Shinichi...ma che diavolo..” biascicò, sconvolto, fissando Conan.
“Vada! Le spiegherò tutto dopo averlo dato ai dottori. AVANTI!”
Pigiai io l’acceleratore col piede, e il maggiolino scattò in avanti a tutta velocità. Superato lo spavento della vista del sangue e di Conan esanime, iniziò a sfrecciare in mezzo alle altre auto con una destrezza impareggiabile, gettando fugaci occhiate al mio involto, tentando di scorgere il viso di Conan. Ma io lo tenevo ben coperto e stretto. Non potevo permettermi errori di nessun tipo, se avesse abbandonato quella posizione...
Il doc scivolò nel piazzale dell’ospedale, e con l’auto ancora in movimento, saltai fuori e mi precipitai nell’ edificio.
“Aiuto, è un’ emergenza, vi prego aiutatemi!” urlai a squarciagola. I medici spuntarono da tutte le parti, per vedere chi avesse urlato. Mi guardarono esterrefatti per qualche secondo, poi qualcosa attirò l’attenzione di uno di loro.
“Oh buon dio..ma sei coperto di sangue!” esclamò, e mi indicò lo stomaco
I colleghi guardarono il punto indicato. Io invece, mi riflettei nelle porte scorrevoli accanto a me: sui miei jeans, era apparso un alone più scuro. Rosso scuro. Evidentemente il sangue era colato mentre ero seduto in macchina. Era tanto...
“Non è mio!” Urlai. “E’… è del mio fratellino!”
Immediatamente, il medico che aveva visto il sangue, notando come tenevo le braccia, corse da me e prese ad aprirmi la felpa.
“ Che hai fatto, ragazzo?” chiese, mentre mi tirava giù la zip.
“Piano! Abbiamo avuto un incidente. L’ho tenuto fermo,  in modo da impedire l’emorragia, l’ho bloccato coi miei vestiti!” dissi al dottore. Lui mi guardò quasi stupito.
Lentamente, mi sfilò Conan dalle braccia e lo sciolse dalla fasciatura della mia felpa. Le infermiere e gli altri dottori cacciarono gemiti e versi di stupore. Conan era quasi incosciente, ed esangue. La sua felpa bianca era quasi del tutto coperta dalla macchia enorme di sangue sulla schiena. Due fori dai bordi anneriti e bruciacchiati vicino alla spalla destra.
“Oh mio... infermiera, una barella, di corsa!”
L’infermiera parve estrarre la barella dal nulla e si precipitò verso di noi. Il dottore posò delicatamente Conan  su di essa, e immediatamente le infermiere e altri due dottori, la spinsero verso la corsia.
“Abbiamo un bambino di sei anni circa, ferita d’arma da fuoco all’altezza del polmone destro, emorragia in corso. Liberatemi  subito una sala operatoria, e chiamatemi il chirurgo Sakage, e ditegli di venire qua subito! Tu sei suo fratello, hai detto? Servirà sangue, ne ha perso una montagna. Probabilmente gli hai salvato la vita, mettendolo in quella posizione: gli hai tenuto la schiena dritta posandolo al tuo addome e cosi hai evitato che contraesse i muscoli delle spalle e hai evitato che le ferite rimanessero spalancate o che si allargassero di più, bravissimo!”
“Si, la ringrazio, ma...io non..non posso darvi il sangue. Lui..lui veramente non è il mio fratellino, l’ho detto solo perché...beh comunque non abbiamo lo stesso sangue. Però so con certezza che il suo gruppo è AB positivo, dottore.”
Lo ricordavo da quella volta. La prima volta che gli avevano sparato..
“Bene. Mi si portino due flebo di AB positivo, in fretta, e uno di ferro! Il bambino ne ha urgente bisogno!” gracchiò alle infermiere. “ Mi spiace, ma adesso lei aspetta qui. Dobbiamo andare in sala operatoria, e non si può entrare se non si è sterilizzati, altrimenti si rischia di portar dentro virus o corpi estranei che potrebbero infettare le ferite. Come si chiama il piccolo?” disse poi rivolto a me.
“Co..Conan, e ha sette anni  e mezzo, dottore...” biascicai.
“Bene. Coraggio, Conan, vedrai che adesso ti faremo star bene, non mollare!” disse il dottore a Conan, mentre insieme, si dirigevano nella sala operatoria.
Lo vidi portarlo oltre un paio di porte ad apertura automatica, poi sparirono lungo le corsie e non li vidi più.
Io rimasi li, e poco a poco tutte le emozioni respinte e soffocate dalla tensione del momento, compreso la stanchezza di quella corsa frenata per la città, mi vennero addosso come una parete di mattoni. Non fosse stato per il Dottor Agasa che, vedendomi, mi corse incontro e mi acchiappò al volo, sarei crollato li in mezzo al corridoio.
“Oh povero figlio, calmati adesso, calmati. Su da bravo, siediti e respira per bene..”
Mi sospinse a sedere su una sedia di plastica appoggiata contro una parete, e vi ricaddi sfinito. Ero mentalmente devastato e sconvolto.
Il dottore mi diede qualche minuto per riordinare le idee, asciugandomi il viso con un fazzoletto. I capelli zuppi mi facevano colare l’acqua sulla fronte. Poi mi voltò il viso verso di lui.
“Allora, adesso mi puoi dire che accidenti è capitato? Perché Shinichi è ridotto così? Chi è stato?”
Io presi bene fiato. Ero ancora parecchio scosso e avevo i brividi dal freddo, ma quel vecchietto aveva tirato su Shinichi come suo, e mi pesava negarli  la verità, quindi mi sforzai:
“Io..io non so..non so come si sia..come si sia permesso di farlo,io... io credo... credo davvero che stavolta non gli concederò il mio perdono tanto..tanto facilmente. Lo sa che mi deve..che mi deve dire tutto, lo sa che..che in quelle condizioni non deve..non deve fare stupidaggini... io sono..sono le sue gambe, io..io sono  grande, lo posso aiutare, ma lui..lui non mi ha detto niente e... è andato là e basta.”
Presi fiato. Tremavo da testa a piedi.
“Mi scusi, giovanotto, le ho portato del tè caldo molto zuccherato. E si cambi quei vestiti, per carità,o le prenderà una polmonite. Ecco, uno dei colleghi ha prestato dei vestiti, li prenda e si levi quelli zuppi”.
Era uno dei dottori che mi aveva visto e sentito quando ero entrato. Teneva una tazza di te bollente molto profumato in una mano,  appesi al braccio un maglione, dei calzini e dei pantaloni, e dietro la barba bruna brizzolata, un sorriso bonario.
“Ah..no, io..io sto bene...”
Lui sorrise. Tese la tazza al Dottor Agasa.
“Senti,ragazzo mio, ho un figlio della tua età e uno del tuo fratellino, non raccontarla a me. Il piccolo si preoccupa sempre del grande, anche se dovrebbe essere il contrario. E’ così con i fratelli. I piccoli sono sempre in ansie per i grandi, e i grandi per i piccoli. Non vorrai mica che quel bambino esca da là, e cosi debole venga a sapere che ti sei ammalato? Lo farai star peggio, povera creatura. Su, da bravo, vieni, ti do una mano a cambiarti.”
Mi tirò su praticamente di peso dal mio sedile, e mi accompagnò in uno dei bagni riservati ai medici. Lì, mi aiutò a cambiarmi, e controllò che stessi bene anche io.
“Ah ma tu guarda che bel set di muscoli che abbiamo! qui sento odore di Kendo! Ho ragione?”
“Si..sono..campione regionale..” mormorai, mentre il dottore mi infilava per la testa il maglione asciutto.
“Lo sapevo, hai lo stesso fisico di mio figlio Irota, il maggiore. Bene, tu a quanto vedo non hai riportato ferite gravi, a parte qualche livido e quel taglio sullo zigomo che neanche è profondo.”
Mi  passai la mano sul viso . Non mi ero accorto di averla, quella ferita. Dovevo aver sbattuto da qualche parte, mentre correvo..
“Il piccolo, invece, Ryoga, ha sempre il pallone da calcio in mano, un vero flagello per le amate ceramiche di mia moglie. Dimmi ragazzo, come vi chiamate tu e tuo fratello? Bisognerà avvertire qualcuno che siete qua. Non hai 18 anni, vero?”
“Io..no..ne ho 17, dottore..”mormorai. Il calore dei vestiti asciutti pareva un balsamo sulla mia pelle gelata e umida.
“Si, come Irota, avevo visto bene, allora. E il piccolo avrà sei, massimo sette anni, vero?”
“No..cioè si, scusi..”
Ero ancora mentalmente impostato sulla modalità “Shinichi”.
“Si come il mio Ryo-kun. Mi dai il numero dei vostri genitori? Devono essere avvisati.
“No! Io...io e lui non abbiamo..non abbiamo gli stessi genitori. Vede, lui  in realtà..in realtà non è mio fratello. L’ho detto perché...io gli voglio bene come se lo fosse, capisce? io lo considero mio fratello, ma non lo è...”
A mente lucida, nemmeno io sapevo perché avevo detto che eravamo fratelli, a dire il vero...
Il dottore mi sorrise, gentile.
“Certo che capisco. Difatti mi pareva fossi un po’ troppo brunetto per essere il fratello maggiore di quel fantasmino, per quanto fosse pallido, povera stella...allora, figliolo, ti devo chiedere chi sei, se non sei parente del piccolo.”
“Si, certo. Io mi chiamo Heiji Hattori, vengo da Osaka. Sono Il figlio del questore di polizia.” Risposi, infilandomi i calzini. Avevo i piedi viola dal freddo.
“Heizo Hattori è tuo pare? L’ho visto spesso in tv..si, devo dire che ora che ti guardo bene si vede che sei sangue del suo sangue, anche se devi avere gli occhi di tua madre, visto che non sono come quelli del questore. E’ apparsa in tv anche lei una volta, ora che ci penso...si, gran bella donna, me la ricordo abbastanza bene..si, vedo molto dei tuoi in te.” disse, ridendo.
Io cercai di sorridere, ma ero troppo teso e stremato.
“E invece il piccolo, chi è? l’hanno adottato i tuoi genitori?” chiese, prendendo una cartella clinica in bianco e una penna, per inserire i dati.
“No, lui ha i suoi genitori. Si chiama Conan, Conan Edogawa,  ha sette anni e mezzo, e vive qui a Tokyo, presso l’agenzia investigativa del detective Goro..” risposi, piano.
“E’ il figlio del detective Goro? Ma perché due cognomi diversi, allora?ha il cognome di sua madre?” chiese il dottore, mentre scriveva.
“No,non è suo figlio. Vive solo a casa loro, con il detective e sua figlia...è a lei che i genitori di Conan hanno affidato il piccolo, mentre lavorano.” risposi io. Parlare si stava facendo difficile. I miei nervi stavano crollando.
“Dove lavorano i suoi genitori, all’estero?” chiese il dottore.
“Si..”
“E dove? Li dobbiamo avvertire, sai..”
“Io..io non lo so, io..”
Mi si chiudevano gli occhi.
Poi divenne improvvisamente buio, e non ricordo cosa successe. Quando mi risvegliai, posavo la testa su qualcosa di morbido, che profumava di pompelmo. Qualcosa di fresco mi sfiorava la fronte.
“Oh, dottor Agasa, si sta riprendendo..Heiji, guardami, mi riconosci?”
La voce veniva dall’alto, ma era vicina. Capì allora che ero disteso sulle gambe di qualcuno. E quel qualcuno aveva parlato chino verso di me. Quel profumo di pompelmo, infatti, mi era molto famigliare.
“Heiji, guardami, avanti. Su coraggio, apri bene gli occhi. Sai chi sono?”
Quella voce. Nemmeno se avessi perso metà cervello, l’avrei confusa con altre.
“Non ti vedo bene, ma la tua voce la conosco..che fai qui, Kazuha?”
Finalmente la misi a fuoco. Mi guardava dall’alto, gli occhi rossi e gonfi. Aveva pianto...
oh dio..no!
“Il bambino!” dissi, saltando su in fretta.
Un capogiro assurdo. Avevo la nausea.
“No, Heiji, hai la pressione sotto le suole, devi muoverti piano!” sbottò Kazuha, afferrandomi e spingendomi di nuovo con la testa sulle sue gambe.
“No, io..Conan..”
“Calma, non ci hanno detto ancora nulla. Su, bevi questo, te lo do io che tremi ancora un bel po’, te lo verseresti addosso. Senti, il dottor Shinzo fa il tè come tua madre...”
Kazuha mi tirò su piano, e mi posò alle labbra un cucchiaio, che conteneva un liquido ambrato dall’odore aromatico... era il tè del kansai.
“Beh ovvio, sono del kansai anche io, ragazza mia, la signora fa semplicemente il te alla nostra maniera.” disse una voce al mio fianco. Mi girai. Era il dottore di prima.
“Do..dottore..”  dissi sommessamente.
“Tranquillo, ti hanno solo ceduto i nervi. Ora, bevi lì e poi fammi vedere come stai...”
Kazuha mi dette qualche altra cucchiaiata di te . Sembrò che il calore mi andasse in circolo nelle vene.
“Bravo, e ora diamo un’occhiata..”
Mi tirò a sedere piano, poi puntò una pila nei miei occhi, mi sentì la febbre, mi ascoltò la respirazione e il cuore e mi misuro battito e pressione.
“E’ debole come un fringuello, ma sta bene. Tu, kazuha, continua a farlo bere, intesi? E beva anche lei signorina, è pallida come il suo bambino..”
Parlava con qualcuno che non vedevo,alle mie spalle. Mi voltai
C’era una piccola folla, dietro di me.
Il vecchio Goro stava posato al muro accanto alla porta del bagno. Sua moglie Eri, stava seduta accanto a lui in uno dei sedili di plastica della sala d’attesa, il bel viso preoccupato, tenendogli la mano che il marito le aveva messo sulla spalla. Ran era seduta accanto a sua madre, una tazza di tè in mano, l’espressione sconvolta, il viso bianco come il latte. A terra, seduta in mezzo alle sue gambe, stava la sua amica Sonoko, anche lei pallida e tesa, le avvolgeva le braccia attorno alle gambe. Il suo fidanzato, Makoto, era in piedi accanto a Ran. Anche vicino a me avvertivo la presenza di persone. Mi guardai intorno.
L’ispettrice Sato, l’agente Takagi e l’ispettore Megure erano in piedi accanto alla finestra, mentre Kazuha era seduta accanto a me e mi aveva tenuto posato alle gambe mentre ero svenuto. Tutti i presenti però guardavano nella stessa direzione: guardavano me.
Bene, sapevo cosa volevano, e il tè del mio amato paese mi aveva dato abbastanza forza da poterli accontentare. Solo dovevo stare attento...i poliziotti non dovevano capire più del necessario. Notai poi però che mancava una persona: il dottor Agasa.
“Dove sta il doc?” chiesi. Ora parlare mi riusciva discretamente, anche se ancora mi girava un po’ la stanza intorno.
“E’ andato a prendere la piccola Ai, l’aveva lasciata solo per pochi minuti per comprare il latte, ma poi è successo questo e nessuno l’ha avvisata. Si è spaventata, povera bambina, quando ha saputo, e ha preteso di essere portata qui anche lei.” Rispose kazuha, dandomi  altro tè e tamponandomi la bocca con un fazzoletto bagnato con cui prima mi teneva fredda la fronte.
“Bene, quando arriva, vi spiegherò ogni cosa. Solo, una premessa, agenti.” E mi rivolsi ai poliziotti. “Non chiedetemi chi è stato...non ne ho idea, non li ho visti..”
Sato batté il tacco sul pavimento, irata. Takagi la cinse a se.
“Sicuro?” chiese, serio come non mai oltre la spalla di lei, cercando di calmarla.
“Sicurissimo, mi spiace. Lo sai, Takagi, che aiuto se posso. Abbiamo lavorato tante volte insieme, mi conosci, siamo praticamente colleghi, no? Inoltre, voglio bene a quel bambino quanto voi, e non esiterei a far arrestare neanche il primo ministro, se fosse coinvolto...”
Takagi annui, mentre Sato si asciugava le lacrime furtiva con la sua cravatta, nascosta nella sua giacca.
Agasa non tardò a fare presenza, e con lui arrivò una pallidissima Ai.
“Parla, Osaka, chi si è permesso?” mi ringhiò venendomi vicino.  Era una foglia al vento, tremava tutta, ma il suo sguardo era fermo, risoluto e gelido come sempre.
Io la guardai attentamente. Leggimelo negli occhi, Lady Macbeth....
Lei mi guardò fisso. Era tutto li, in quello sguardo silente. E lei lo capì.
La vidi irrigidirsi come sotto un getto di acqua gelida, serrare i pugni e mordersi le labbra, furibonda come mai nella vita.
“Perché..mi hai fregata, brutto...figlio di buona donna...” esalò piano a denti stretti, scossa dai tremiti. Nessuno a parte me, poté udire quel sussurrò. Agasa però, che la conosceva, le si accostò piano e la prese in braccio.
“Buona, perla mia, buona..”
Lei si aggrappò a lui con forza, le dita sbiancate dalla pressione contro la stoffa, gli occhi sbarrati dalla collera. Tuffò il volto nel camice del dottore, soffocando i singhiozzi.
Si, lei sapeva. Lei aveva capito, e anche il dottore aveva capito. Quella che raccontai al mio pubblico, in seguito, fu una versione adatta alle loro orecchie. Raccontai che di ritorno dalla sala giochi, io e Conan ci eravamo congedati dopo i saluti dai piccoli detective, e ci eravamo diretti verso casa. Ma sulla nostra strada, qualcuno aveva deciso di deviarci. Raccontai che Conan e io avvistammo dei trafficanti di droga vicino al porto, che lui non aveva avuto la pazienza di aspettare i rinforzi della polizia, e che era intervenuto mosso dal troppo zelo, che quei tipi, nel buio, lo avevano preso per  un poliziotto di guardia al molo e avevano sparato senza pensarci, e lo avevano colpito alla schiena, per poi fuggire al mio arrivo.
Ma era la loro verità, non la mia. Né quella di Conan.
No, l’autentica verità era che Conan mi aveva tradito, anzi...Shinichi mi aveva tradito. Mi aveva mentito, ed era andato là da solo. Era di lui che Ai parlava, era con lui che era arrabbiata. Aveva ingannato e tradito entrambi. Ed ero furioso anche io,come lei. Sapeva che eravamo contrari, e ci ha mentito. Shinichi..me la pagherai cara..sei andato da solo, e guarda cosa è successo. Lo hai fatto per amore, lo so, ma non ti perdonerò comunque. Non dovevi obbedire, non lo dovevi ascoltare. Se solo Ai avesse eliminato la lettera, se l’avesse bruciata. Ma lui l’aveva vista, e ora lottava contro la morte..
La morte che quella notte, su invito, Shinichi  aveva raggiunto in quel maledetto porto. . La morte, che là lo aveva atteso, vestita di nero, i lunghi capelli biondi mossi dal vento. La morte, che quella notte portava il nome di..Gin.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Le ore passavano lentamente, come se il meccanismo del naturale scorrere del tempo si fosse inceppato. Come un ingranaggio poco oliato. Come una bicicletta in salita. Eravamo ancora tutti li, nessuno si era mosso. Anche coloro che erano sopraggiunti solo per dovere, come l’ispettore Megure e colleghi, steso il rapporto e constatati i fatti, erano voluti restare,  divorati anche loro dalla preoccupazione per quel bambino, che nella stanza accanto, lottava tra la vita e la morte sotto ai ferri dei dottori.
Io dal canto mio, avevo perso il conto delle domande che mi erano state fatte, e non ne ricordavo nessuna. Mi limitavo a ripetere come un disco rotto le stesse cose ad ogni domanda: non sapevo chi aveva sparato, non sapevo perché avevano fatto fuoco su di noi anche dopo aver visto che c’era un bambino, e non sapevo se effettivamente avessero notato questa cosa o meno. Sapevo per esperienza su pelle che quel tipo di risposta era la quinta essenza dell’esasperazione per un uomo di legge, ma io ero fermo sui miei passi. Avrei tenuto la maschera fino alla fine, l’avevo promesso.
Cinque ore, e ancora silenzio. La tensione si tagliava a fette. Eravamo tutti in uno strano stato di allerta catatonica: apparentemente assenti, ma vigili ad ogni suono o movimento.
Goro aveva consumato il pavimento a furia di misurare la sala d’aspetto avanti e indietro, da destra a sinistra, e ora stava appoggiato alla parete accanto alla sala operatoria mordendo stressato una sigaretta spenta. Sua moglie Eri sorseggiava un caffè preso da una macchinetta, fissando il vuoto. Sonoko tracciava cerchi sul pavimento con il dito, seduta accanto a Makoto, che stava in piedi davanti alla porta del bagno, le braccia conserte. Takagi fissava fuori dalla finestra le macchine giù in strada, mordendosi il labbro per il nervosismo. Sato  gli sedeva accanto, l’aria tesa, graffiandosi le ginocchia. L’ispettore Megure tamburellava le dita sul tavolinetto con fare impaziente, seduto nel suo angolo a rileggere il mio resoconto sull’accaduto.  Kazuha era distesa su tre sedie, con la testa in grembo a Ran e fissava il soffitto, mentre io il dottor Agasa  Ai e Ran tenevamo gli occhi piantati sulla lampadina rossa sopra la porta della sala operatoria. Spegniti, spegniti, maledizione...
E poi eccola. Spenta.
Come un sol uomo, tutti si voltarono a guardare la porta della sala operatoria.
“Heiji...” pigolò Ran venendo svelta da me.
Le presi la mano, e anche Kazuha mi si aggrappò al braccio. Cercavano sostegno da me, ma io in cuor mio tremavo più do loro. Senza sapere perché, guardai Goro. Mai come allora mi ero sentito tanto bambino. Lui parve capirlo. Mi scoccò un’occhiata tesa e mi si accostò, posandomi una mano sulla spalla. Notai che Sato aveva preso le mani a Takagi, e entrambi erano agitati. Megure gli si accostò, tesissimo. Il doc prese Ai in braccio, e lei gli si appoggiò alla spalla, il bel visino ansioso. Sonoko si accostò a Eri, e Makoto posò una mano sulle loro spalle.
“Su, vediamo di calmarci.” mormorò. “Vedrete che sta bene..”.
“Il ragazzo ha ragione. Come dico sempre io, quella peste ci seppellirà tutti, altroché!” disse Goro con aria serena, ma notai varie perle di sudore sulla sua fronte.
Finalmente, il dottore che mi aveva portato via Conan nella home dell’ospedale, uscì dalla sala, l’aria stanca e un asciugamano tra le mani. Appena ci vide, si bloccò. Dopo qualche secondo passato a guardarci uno per uno, disse:
“Mm ..immagino che nessuno di voi sia parente del bambino, vero?”
il tono era inespressivo.
Ran gli si avvicinò un poco, senza lasciarmi la mano.
“Ecco.. la sua mamma lavora all’estero,e  io...io sono la sua babysitter, lui.. sta con me, lui..è stato affidato a me,io.. mi dica, il bambino sta bene, vero?”
Fu come se avessero fatto saltare un idrante di acqua gelida e i presenti si fossero beccati il getto in pieno. Nessuno aveva avuto il coraggio di chiedere per paura della risposta, quando il dottore era uscito, ma tutti la volevano fare, quella domanda, senza però averne il coraggio. Ran però l’aveva fatta. E ora la risposta sarebbe arrivata.
Il dottore la osservò per altri tre - quattro secondi, probabilmente indeciso se violare la prassi di riservatezza del paziente con noi che non eravamo dei parenti. Poi però parve decidere, e sospirò.
“L’intervento è riuscito, se è questo che vuole sapere, signorina. Il piccolo aveva la pleure e il polmone sinistro leggermente lacerati, abbiamo dovuto intervenire chirurgicamente per suturare la ferita. Non ha riportato molti danni al polmone, dato che il proiettile era di piccolo calibro. Ha perforato pleure e polmone e si è fermato. Lo abbiamo estratto facilmente. Tuttavia il collasso polmonare dovuto alle ferite ha causato un arresto respiratorio temporaneo..”
“Arresto? Cioè vuol dire che il bambino non..non respira più?” mormorò Goro bianco come un lenzuolo.
“No, la respirazione autonoma non gli è più stata possibile circa dieci minuti dopo l’inizio dell’intervento. Il bambino non è più riuscito a respirare da solo, pertanto abbiamo dovuto ricorrere ad una ventilazione invasiva, ossia un respiratore artificiale sta fornendo ossigeno ai suoi polmoni. Non abbiamo dovuto ricorrere alla tracheotomia, fortunatamente è bastato l’ inserimento di una cannula nella laringe attraverso la bocca,fintanto che non riuscirà a riprendere la respirazione per conto suo. Comunque sarebbe comunque stato necessario un supporto respiratorio, dopo l’intervento, dato che la pleure è stata danneggiata, e che quindi la respirazione autonoma sarebbe stata un po’ difficoltosa per lui, soprattutto perché è piccolo..”
“Allora adesso sta bene. Appena riprenderà a respirare da solo, starà bene, vero?” chiese Eri, rincuorata.
Un alito di sollievo si sparse per la stanza. Tutti tirammo un bel respiro di sollievo: era salvo, grazie a dio era salvo...
“Vorrei poterlo dire..”
Stop. Tutti ci bloccammo sul posto come in un film quando si preme il pulsante “STOP”.
“Co..cosa?” balbettò Ran, il sorriso gelato in faccia.
“Che vuol dire con “vorrei poterlo dire”? Conan sta bene,vero?” chiese Goro, stralunato. Il momento di serenità sembrava appartenere a secoli prima. Il gelo era tornato rapido come un fulmine. Tutti di nuovo guardavamo il dottore. Lui so passò una mano sulla fronte, apparentemente soppesando le parole.
“Ecco... E’ vivo se è questo che volete sentirvi dire. Tuttavia..”.
Il doc si fece avanti, il nervoso dipinto in faccia, con Ai ancora in braccio.
“Tutta via? Tuttavia cosa? Ha intenzione di farci morire tutti di ansia? Insomma, che accidenti ha il bambino, eh? Sta o non sta bene?” sbraitò.
Il dottore lo guardò fisso. Sospirò.
“No, non sta bene. Io almeno la vedo in questa maniera, poi le opinioni variano, e anche il modo in cui la gente prende queste cose varia da individuo a individuo, perciò quello che penso io non è necessariamente il modo di interpretare la faccenda..”
“Ma che va cianciando, vuole dirci una buona volta come sta di preciso Conan? Prima dice che l’intervento è riuscito, però dice che non sta bene. Poi ci dice che è vivo, ma in quella maniera indecente, e ora se ne esce dicendo “per me non sta bene, ma le opinioni sono tante”. Io non sono un medico, nessuno qui è medico, quindi veda di essere chiaro, prima che perda la pazienza!”
“Goro..” mormorò sua moglie.
Si fece avanti, l’espressione dura.
“Io..io credo di aver capito che cos’ è successo al bambino” disse piano.
Il dottore la guardò, stupito.
“Bene, allora se lo ha capito, può comprendere le mie parole” le disse.
Lei annui.
“Io non l’accuso di nulla, ma vorrei sapere come è successo, se almeno si poteva o no evitare”.
Il dottore sospirò.
“La ferita era piccola, ma non per questo non ha fatto danno. Il polmone, in seguito alla perforazione della pleure, durante l’intervento è collassato, e per questo il piccolo, a un certo punto, ha smesso di respirare. Siamo intervenuti prontamente, come ho già detto, ma  l’emorragia e l’apnea momentanea  hanno portato ad una troppo prolungata assenza di ossigeno al cervello, e in seguito all’ipossia celebrale..”
“Ipossia?” esclamai.
Il dottore annui.
Conoscevo quel termine. Recentemente l’avevo letto in un romanzo. Ipossia è il termine medico usato per descrivere la mancanza di ossigeno al cervello. Ha varie conseguenze, e nel mio romanzo il tipo era finito in...”
“Oddio..no,ti prego..” mormorai ad alta voce.
“Hai capito vero, Heiji?” mormorò Eri.
No, non può essere. Qualcuno mi dica che sto sbagliando...
 “Purtroppo l’ipossia in un paziente cosi giovane ha quasi sempre le stesse conseguenze. Noi abbiamo fatto ricorso immediatamente al respiratore, e gli abbiamo fatto una trasfusione di sangue, ma... l’ipossia ci ha battuti sul tempo e...”
“Basta giri di parole. E’ entrato in coma, fine..”
Ci voltammo. Ai fissava il dottore con aria assente, appollaiata tra le braccia del dottor Agasa, che sembrava sotto shock.
Il dottore la guardò stupito, poi annui.
“Si, circa dieci minuti dopo l’intervento. Mi dispiace, noi abbiamo fatto il possibile..”
Un tonfo sordo. Qualcosa scivolò via dalla mia mano. Mi voltai. Ran era crollata a terra, in ginocchio, lo sguardo vitreo, spento.
“Ran!”
Goro corse da lei e cercò di farla alzare, ma era una bambola di pezza, inerte. Sua madre era ancora al suo posto, le lacrime che scendevano silenziose dietro gli occhiali. Alle mie spalle, sentivo i singhiozzi sommessi di Sonoko e Sato, mentre i loro fidanzati cercavano impotenti di calmarle. Ai fissava un punto lontano oltre la spalla del dottor Agasa, che apriva e chiudeva la bocca senza scaturire un suono. Kazuha appesa al mio braccio, scuoteva la testa incredula...
Ma che.. diavolo!
“Ma la volete piantare?! Perché state piangendo, eh? Non è morto, chiaro, è solo in coma. Dal coma la gente esce di continuo, e parlo della gente comune! Lo conoscete tutti Conan, mi pare, e quindi sapete perfettamente che lui di comune non ha niente,a cominciare  dal nome! E’ una forza della natura, e una cosa stupida come il coma, di certo non avrà la meglio su di lui. Quindi vedete di piantarla con questa valle di lacrime, e piuttosto organizziamoci con i turni da fare qui. Non voglio che quando si sveglia, non ci sia nessuno con lui, perciò ci sarà qualcuno qui 24 ore su 24. Il primo turno posso farlo io, visto che ho dormito un po’ prima, se nessuno ha niente in contrario”.
Tutti mi guardarono scioccati, ma non mi importava. Io non avevo la minima intenzione di mollare e di piangermi addosso, arreso all’idea, perché non era ancora detta l’ultima parola, e a parer mio non sarebbe stata detta mai.
Tutti mi guardavano con una nauseante espressione di pietà, come a volermi dire che ero coraggioso a sperare, ma che ormai era finita, quando Ran improvvisamente alzò la testa e mi guardò. Aveva una nuova luce negli occhi. Sembravano bruciare. Scivolò via dalla presa del padre, e si diresse decisa verso di me. Mi prese le mani.
“Chi è che piange? Chi ha detto che è tardi? Io non ho mai detto una cosa simile! Hai ragione, stiamo solo perdendo tempo. Se permetti, vorrei fare il turno con te, stanotte. Potrebbe spaventarsi, se domani mattina si sveglia e non capisce dov’è, e vorrei essere qui se succede.”
Io la guardai. Era evidente che stava raccogliendo tutto il coraggio che aveva per affrontare quella situazione, e la sua determinazione mi commosse. Non era forte come voleva dare a vedere, ma aveva tirato su le energie da sotto le suole per affrontare quella montagna, ed era riuscita a stare in piedi, per amore del suo piccolo Conan, e io non sarei stato quello che l’avrebbe fermata. Ti ammiro davvero molto, piccola Ran..
“Bene, se per tuo padre e tua madre va bene, si può fare.” Le risposi.
Goro mi guardò per un momento, spiazzato. Poi intercettò lo sguardo della figlia, e capì anche lui quello che avevo capito io.
“Bene. Il prossimo turno lo faremo io e tua madre, allora” rispose rivolto alla moglie. Eri annui, decisa.
“Io e Makoto verremo dopo scuola, a darvi il cambio!” esclamò Sonoko. Makoto annui.
“Sonoko, non voglio che ti disturbi..” disse Ran, colpita.
Lei denegò.
“E’ la mia piccola peste, quella, e non la mollo! Avrà bisogno di qualcuno che gli tiri le orecchie per averci fatti dannare tutti, quando si sveglia, e quel ruolo è mio!”
“E ci vorrà qualcuno che la fermi” disse Makoto alzando una mano e sorridendo.
“Dopo il turno anche noi faremo un salto, vero?” disse Sato rivolta a Takagi.
Lui annui.
“Si, cosi terrete aggiornato anche me, che non potrò venire tutti i giorni..” borbottò l’ispettore Megure. “Però non potrete venire qui sempre, avete i turni da rispettare. Alternatevi con l’agente Yumie e Chiba. Voglio che ci sia sempre almeno un agente in zona. Ricordiamoci che un pazzo stanotte ha sparato a Conan a sangue freddo, e che se anche Heiji e il piccolo non l’ hanno visto, potrebbe temere di essere stato riconosciuto da uno dei due, e quindi tentare di eliminare i testimoni scomodi. Quindi occhi aperti, ma anche massima discrezione. Non commetterà passi falsi, se vede poliziotti qua intorno, e non lo prenderemo mai se capisce chi siete, quindi verrete qui in borghese, sia voi che gli altri. Yumie e Chiba, come voi, conoscono Conan, quindi dovreste sembrare semplici amici in visita molto facilmente. Io verrò con meno frequenza, visto che mi si conosce a causa della tv, ma prometto che io e Shiratori lavoreremo al caso notte e giorno. Quel maledetto finirà in gabbia, dovessi portarcelo a rate. Goro, domani mattina fai in modo di contattare i genitori del bambino. Devono sapere che cosa è capitato...”
“Ah no, li chiamo io, ispettore!” intervenni, prontamente. Mancava solo che si mettessero a cercare i genitori di Conan e saltasse fuori che non esistevano...
“Ma come, li conosci? Io ho visto la signora Edogawa solo una volta, ma non ha lasciato recapito telefonico” chiese Ran, stupita.
“Ah si, la signora ha chiamato Heiji molte volte, vero ragazzo?” disse il doc, dandomi una pacca sulla schiena. “Vedi Ran, Conan chiama spesso sua madre quando è da me, e gli parla sempre del suo amico Heiji, così un giorno Fumiyo mi ha chiesto il suo numero, per capire che tipo fosse. No, Heiji?”
“Si, esatto! La mamma di Conan è contenta che lui abbia me come mentore, dato che somiglio a Shinichi” dissi io.
Ran sospirò, poi sorrise.
“Si, è vero che gli somigli..” disse piano. “Ah..mi chiedo se sia il caso di avvisarlo. E’suo cugino, dopotutto...e i kudo! Lo vorrebbero sapere, credo..”
“Faccio io domani, tranquilla, sbrigo io le telefonate, tu pensa a lui..” le dissi.
Lei mi guardò confusa, poi annui.
“Bene, per stanotte è fatta” disse Goro. “Domani mattina verso le 7, io e tua madre verremo qui a darvi il cambio..”
“No, darete il cambio solo a Ran. Io di qui non mi muovo.” Dissi.
Tutti mi guardarono.
“Heiji, apprezzo l’energia, ma non puoi stabilirti pianta stabile qui..” disse Goro.
“E’ minorenne, gli serve un tutore, e io ne farò le veci. Il tutore può restare in ospedale, se il paziente è minorenne, no dottore?”
Il dottore mi guardò basito.
“ma..sarebbe meglio che un adulto..”
“I genitori del piccolo sono all’estero, dubito che lo possano raggiungere, almeno non subito. Ci vorrà qualche giorno. Lo farò solo finché non arrivano, promesso” lo rassicurai.
Lui mi guardò fisso, poi annui.
“In fin dei conti sei tu che lo ha salvato, meriti questa fiducia. Solo finché non arrivano i genitori, però” precisò.
“D’accordo” dissi, tranquillo.
Un ora dopo, tutto era deciso. La mattina,l’avvocato kisaki e Goro avrebbero dato il cambio a me per permettermi di dormire. Al pomeriggio, Sonoko e Makoto avrebbero dato loro il cambio, così l’avvocato avrebbe solo spostato gli appuntamenti al pomeriggio senza rinunciarci, e cosi pure Goro (povero ufficio, senza la sua mente, sarà il caos, là dentro..)  la sera poi sarebbero venute Ran e kazuha, e infine la notte  il doc (Ai in pratica) e io, che poi sarei stato il jolly, che faceva presenza fissa.
“Sei sicuro che non vuoi che resti?” mi chiese kazuha, prima di salire in macchina.
“No, vai pure a dormire, bambina, ci vediamo domani sera” le dissi.
“Ok, ma al minimo movimento, chiama, qualsiasi ora, ok?” mi rispose lei, salendo sul sedile posteriore.
“Promesso!” le risposi.
La macchina parti, e io rientrai, diretto al reparto terapia intensiva.
“Il dottore dice che non lo possiamo vedere ancora..” disse Ran, mentre prendevamo un caffè dalla macchinetta. Erano passate le due, ma l’adrenalina corsa nelle ultime ore ancora aveva da sciamare.
“Lo so, è normale. Lo hanno operato poche ore fa, è presto. Le ferite sono ancora fresche, potremmo entrando, far passare qualche battere o corpo infetto che causerebbe delle infezioni. E poi è debole, deve riprendersi, meglio non disturbarlo. Scommetto che si sono sbagliati...”
“Che vuoi dire?” mi chiese Ran, bevendo il caffè.
“Non può essere in coma. Secondo me è solo K.O. per via dell’emorragia. Vedrai che dormirà per tutto il giorno e poi si sveglierà come se niente fosse. Mica lo sanno che il cervello inattivo in questione è quello di un genio..” .
“Tu...tu credi questo?”
Io annui.
“Una mente come le nostre, Ran, nemmeno a livello inconscio smette di funzionare. Un cervello normale non salva informazioni, immagini, frasi o elementi come fa il mio o il suo. Non registra movimenti, non coglie sottigliezze o punti inosservati come facciamo noi. Le menti comuni non hanno il raziocino e la lucidità marziale come fanno le nostre. Noi abbiamo un cervello speciale, non siamo come tutti gli altri. Noi due siamo più unici che rari, dei prodigi fin dalla più tenera età. Siamo.. menti superiori”.
Ran mi guardava allucinata.
“Heiji, so benissimo che tu hai questo tipo di caratteristiche ma...Conan è solo un bambino dotato, nulla di più. Se lì ci fossi tu, pure io saprei che domani saresti bello che sveglio, ma Conan... ah beh si anche lui ce la farebbe. Lui che ha davvero una mente come la tua..”
“Lo vedi? Lo dici anche tu..”
“No, non lui Conan..parlo di Shinichi. Lui ha la “mente superiore” come te. Lui è come hai detto tu, non Conan, no?”
“Si..certo..” dissi, ed evitai di guardarla, nascondendomi dietro al fumo del mio caffè.
Per quella notte, e per il giorno dopo, i dottori non ci permisero di vederlo. Dissero che si doveva aspettare che la ferita fosse almeno un po’ cicatrizzata, prima di far entrare nell’ambiente sterile qualcuno, che prima avrebbe potuto introdurre corpi estranei nella stanza che avrebbero potuto infettare la ferita, o peggio compromettere la guarigione  del polmone. Io avevo sperato di non arrivare nemmeno al momento della visita con Conan ancora in quello stato, ma quando le 24 ore passarono, e finalmente ci diedero il via libera, niente era cambiato.
Chi sceglie un mestiere come strada da percorrere, deve essere in qualche modo predisposto per quest’ultimo,non può fare a casaccio, a seconda dell’ispirazione. Uno che sceglie di fare il pompiere, non può deciderlo sapendo di temere il fuoco o le altezze, o magari soffrendo di crisi di panico. Per fare il pompiere ci vuole raziocinio, nervi saldi e un bel po’ di fegato. Uno che decide di fare il medico, non può andare a farlo sapendo che appena vede il sangue sviene, o se decide di diventare medico chirurgo, lo va a fare sapendo di non avere ne nervi saldi ne mano ferma, ne lo stomaco forte. Fai il mestiere per cui sei fisicamente e mentalmente predisposto. Uno che ha un bel po’ di coraggio e nervi saldi può fare il pompiere. Uno con la manina ferma e un bello stomaco, va a fare il chirurgo. Ci si nasce o no, per fare le cose, per quanto le studi. Cosi penso io.
Ma uno che decide di fare il poliziotto, o il detective, sa che non è un mestiere come gli altri. Non puoi nascerci poliziotto, e non puoi imparare a fare il poliziotto. Ok l’accademia e tutte le altre belle cose che seguono, ma il vero mestiere, quello fuori dai poligoni e dalle aule, non lo impari mai del tutto, nemmeno dedicandogli la vita intera. Questo è quello che mi ha detto sempre mio padre: Heiji, io conosco poliziotti che hanno passato una vita a fare i poliziotti, e nemmeno il giorni prima della pensione, hanno mai spesso di sorprendersi, nel loro lavoro. Convinti di aver visto tutto, saltava fuori qualcosa che non avevano visto. Mai, il nostro mestiere fino in fondo, non lo si conosce mai.
Io non avevo mai capito realmente cosa intendesse dire: insomma, visto un cadavere, gli hai visti tutti, per quanto saltino sempre fuori nuove modalità, a volte belle raccapriccianti. Arrestato un assassino, arrestatone dieci, a un certo punto  nemmeno ti scomponi più, no? Io non capivo cosa volesse dire, mio padre. Un poliziotto conosce il suo mestiere, nulla lo deve impressionare, lucidità sempre e solo. Sennò il poliziotto, che lo è andato a fare?
Eppure..
Io ne ho visti cento di cadaveri, ridotti male qualche volta. Ho visto cose che sconvolgerebbero il sonno ai più senza scompormi, rimanendo lucido. Ho patito la paura, ma senza perdere il controllo. E credevo che nulla ormai, potesse più spaventarmi. Sono un detective, no? Sono un futuro poliziotto,no? I poliziotti non hanno paura, no?
Allora perché avevo le gambe che tremavano, davanti a quella scena?
Piccolo. Ricordo di aver pensato solo questo. Poi la mie mente si è inabissata, e non ricordo di aver pensato più a niente.
Si, piccolo. Piccolo il suo viso, quasi nascosto sotto a quei tubi che partivano da una macchina grande il doppio di lui. Piccolo il suo corpo, in un letto che pareva enorme. Piccola la sua testa, su un cuscino che sembrava un materasso. Piccolo il suo petto, che faceva su e giù a comando di quella macchina infernale.
Piccolo io, che lo guardavo tremando, senza poter fare niente. Piccolo quel poliziotto, che il suo ultimo giorno di lavoro dopo anni, è riuscito a sorprendersi ancora nel suo lavoro, che invece credeva di conoscere.
“Amore mio..”
Ran mi proiettò bruscamente nella realtà. Si era avvicinata titubante a letto di Conan, e lo guardava con gli occhi sbarrati. Deglutì, e invocai le forze per poterla imitare.
Oddio. Sembrava tutto cosi surreale, un incubo assurdo, da cui supplicavo di essere svegliato. Ma non c’erano bruschi risvegli, ne fronti imperlate di sudore, ne cuori pronti a schizzare via dal petto per me. Solo la cruda e terrificante realtà.
Meccanico, presi una sedia e feci accomodare Ran accanto al letto, mentre io mi sedetti davanti all’altra sponda. Avevo l’impressione di essere diventato stranamente rigido, nei miei movimenti, come se avessi ruggine sulle articolazioni. Anche deglutire, sembrava una fatica immane.
“Tu credi che possa sentirci?” mormorò Ran. Aveva fatto scorrere un dito nella mano di Conan, e gli carezzava il dorso della mano col pollice. Dio, come aveva trovato la forza di toccarlo? Io lo guardavo come fosse una statua in un museo, e non riuscivo nemmeno a pensare di avvicinarmi. Ma lei invece no. Lei lo coccolava come sempre, come se lui in realtà fosse solo assopito, come i soliti pomeriggi dopo scuola, quando collassava sul divano con gli occhiali di traverso e i fumetti sulla pancia. E ora chiedeva se secondo me, se gli avessimo parlato, ci avrebbe sentito. Iniziavo a chiedermi chi fosse li per far coraggio a chi, tra me e lei.
“Non..non ne ho idea.” Borbottai. Neanche parlare adesso, ed ero sempre stato una serpe, io, in fatto di lingua lunga.
“Io personalmente, non mi sono mai trovata davanti una cosa simile, ma non è che non ne abbia mai sentito parlare, anzi. Ho letto in molte riviste dell’argomento. Sai, il dottore ha ragione: varia da individuo, il modo di prenderla, questa cosa.”
Amen, sorella. E io come individuo avevo scoperto, con mio grande disappunto, che la stavo prendendo di merda.
“Molte persone, ho letto, che sono state in coma, dicono di ricordare delle voci. Non dei discorsi veri e propri, ma le voci si. E ne hanno avuto conferma una volta risvegliati. Però non tutti sentono. Non varia solo l’approccio degli esterni, ma anche quello dei diretti interessati. Sai, il coma ha vari stadi: leggero, meno leggero, poco profondo e..molto profondo. Si, credo che siano questi ultimi due i casi in cui la gente non sente nulla.”
In quel momento, pure io non avrei voluto sentire nulla..che diavolo aveva? Che significava questa leggerezza nel parlarne?
Poi me la vedo osservarmi, e sorride. E adesso che ha?
“Guarda che stai facendo tremare il comodino col ginocchio.” Disse, e indicò il comodino al mio fianco.
Traballava come scosso dal terremoto. Lo osservai. Il mio ginocchio era puntato contro i suoi cassetti..e tremava come una foglia.
“Anche io ho paura, è normale, sai?” Sussurrò lei. Prese la sua sedia, fece il giro del letto e la accostò alla mia. Prese una delle mie mani fra le sue.
“Riderebbe di te se fosse sveglio, sai?” ridacchiò.
Ridendo, aveva passato un dito sul palmo della mia mano. “c’era un mestolo di sudore, sopra.
Lo guardai. Oh si, riderebbe di me,e alla grande aggiungerei. Direbbe che sono il solito emotivo, che  è li che lui si differenzia da me. Si perché ci metterei la mia mano sudaticcia sul fuoco, che lui al mio posto sarebbe il ritratto della serenità. Cercherebbe solo di pensare ai vari personaggi dei romanzi da lui conosciuti che ci erano passati, e il modo in cui ne erano usciti per vedere se poteva provarli con me. Oppure starebbe là fuori a cercare Gin per infilargli i braccialetti. O in extremis, sparargli nel culo..no, quello lo farei io, lui ha troppa classe. Lui gli sparerebbe nel derrière..
Scoppiai a ridere.
“Beh adesso perché ridi?” chiese Ran, stupita.
“Ahaha..no,nulla. E’ solo che hai ragione. Si, lui riderebbe di me, come fa sempre. E non dire di no..”
Mi sporsi verso Conan.
“Perché mentiresti. Si, mi sa che è meglio che tu non mi possa vedere, ora come ora. Tremo come un bambino. Oh che stupido, l’ho detto..beh allora spero tu non mi possa sentire..no, anzi..”
Tesi una mano, e afferrai quelle piccole dita tiepide tra le mie.
“Spero tu mi senta, perché so che tu di ridermi dietro, non ha mai perso un’occasione. Solo perché sai di essere meglio di me. Mi deridi e mi tratti come se fossi io, il bambino, non tu. Sei una peste. Sei uno sbruffone. Sei..sei un bastardo..”
“Cosa?” esclamò Ran.
“Come hai osato farmi una cosa simile? Che cavolo credevi di fare? Sei un moccioso, ficcatelo in quella testa! Non è questione di territorio, tu hai bisogno di me! Non me lo dovevi fare..mi senti, non me lo dovevi fare, Shinichi!”
“Heiji! Ma che ti salta in mente di dire?..e ora che cosa c’entra Shinichi?”
Le mie mani, chiuse attorno alla sua, tremavano. Ma non era paura. Avevo perso il controllo. Merda, che avevo detto?
“No, niente, scusa. Solo che..beh il piccolo emula Shinichi e cosi..beh sto solo facendo scarica badile. In realtà no, non va data la colpa a Shinichi per tutto quello che è successo, è vero..senti, Ran, mi ci vorrebbe un bel caffettone come lo fanno a casa mia. Almeno, se non mi calma, mi scotta la lingua e sto zitto. Ti spiace cercarmi quel dottore del Kansai? Lui sa che ci vuole per farmelo avere..”
Lei mi guardò, sgomenta. Poi però sorrise e annui.
“Certo che si. Vado e torno.” Disse, e uscì dalla stanza.
Salvato in coroner. Ci voleva sul serio una bella scottata alla mia lingua. Ma con la soda caustica, però. Maledetti nervi.
“Maledetti nervi, si..” ripetei anche ad alta voce. “Quanto fiato ha buttato a dirmelo, eh? Sempre la stessa litania: Heiji, controlla i nervi! Tu sei troppo capraio con le cose, non va bene nel nostro mestiere. Delicatezza, urge delicatezza, sia che si stia lavorando su una scena del crimine, sia che si debba presentare un’accusa contro un criminale: sempre e solo delicatezza..oh, amico mio..”
Feci scorrere le due dita contro il dorso del mio indice.
“Non so di nuovo cosa fare, adesso. E tu a riguardo non hai lasciato istruzioni. Sei o no il mio mentore? La tua delicatezza qui dubito possa servire..e quindi cosa, mi chiedo. Cosa serve adesso? Cosa faresti ,tu?”
Gli carezzai una guancia. Era pallido, ma sereno.
“Beh, calma innanzitutto, questo lo so. Poi..poi cercheresti di prenderla con razionalità, so anche questo. He he..poi cercheresti di svegliarmi, credo, o di comunicare con me. Ma come, pagherei per saperlo. Che tu a riguardo ne sappia più di me, ci scommetto la moto. Si, certo, tu mi ci tireresti fuori in un paio di giorni, anche pezzo per pezzo, ma ce la faresti. Solo che qui non ci siete tu e la tua conoscenza da tartaruga millenaria onnisciente. No,qui ci sono io, il toro testa calda con nel cranio il posto materiale per parcheggiare un aerostato..Beh no, dai, non sono poi cosi scemo, al diavolo..solo non ho sangue freddo, tutto qua. Perdo la mia intelligenza affogandola in galloni e galloni di sangue caldo e pulsante, ecco. Però standomene qui a elogiarti e a degradare me, non muovo un granello di polvere. No, devo darmi da fare. Uff, come venirne fuori, però..”
Lo osservai. Sorvolando sul fatto che era intubato e aveva la flebo con il sangue al braccio sinistro, sembrava davvero solo addormentato.
“Che situazione del cazzo..” mormorai. “Che accidenti posso fare? E se non riesci nemmeno a sentirmi? Cavolo, è chiedere tanto, nel 21° secolo, un po’ di certezze da parte della medicina? Diavolo, almeno sapere questo! Si, ok, è in coma, ma vogliamo trovare il modo di capire quanto profondo sia questo stramaledetto coma? Vogliamo fornire ai poveri cristi qui fuori qualche certezza materiale, o li lasciamo mantecare nei dubbi come la carne nello spezzatino? No, scusa,non sei d’accordo anche tu? A quest’ora io pagherei per sentirmi dire da uno di quei tizzi la fuori: si, guardi, secondo la macchina, il paziente a livello inconscio è in grado di sentirla, gli parli pure che magari si sveglia; no guardi, il paziente secondo la macchina non la sente nemmeno per sbaglio, lei in questo momento sta parlando da solo come un matto. Almeno si saprebbe di che morte morire, no? Non si finirebbe qui a fare tentativi a casaccio,no? Uff, che stress..”
Lo guardai: poi gli misi una mano sulla fronte, e presi a mandargli su e giù il ciuffo.
“Kazuha ha ragione, hai davvero un bel visetto, quando ha i capelli via dalla faccia. Almeno, da piccolo ce l’hai. Da grande, sei bruttarello, a mio parere..”.
Ma che mi mettevo a dire?
“Ok, sto delirando..ho appena detto che non so nemmeno se mi senti e che è facile che stia parlando al muro, e mi metto a sfotterti? Ah bene , 24 ore e sto già andando ai matti. Preparati, perché quando ti sveglierai, io indosserò una bella camicia cinghiata bianco latte e..cosa?”
Un dito. Mi bruciassero tutte le fiamme dell’inferno se me lo sono sognato. Aveva mosso un dito. L’indice della mano destra, dall’altra parte del letto.
Lo guardai. Dormiva.
“Mah..forse sono solo i nervi  che scattano..” mormorai, osservandolo. “riflessi incondizionati, niente di più..”
Tric. Un leggero grattare sulle coperte. Mi voltai di scatto. Il suo indice..stava piantato nella coperta!
“No, aspetta, non fare scherzi, sai..”
Corsi alla sponda opposta del letto, e mi piazzai col naso praticamente sul copriletto, a un baffo da quella mano. Ferma.
“Ok..se hai deciso di posticipare il mio internamento facendomi esaurire, ti informo che sei sulla buona strada..oddio, devo calmarmi..le allucinazioni, mi stanno venendo..”
Stavo per rialzarmi, quando..
Tric.
Niente margine di errore. Stavolta non erano i nervi. Lo aveva fatto apposta.
“Ok” Presi quella mano tra le mie. “Ok. Rifallo. Se sei davvero tu e non un tessuto nervoso impazzito..rifallo!”
Non successe niente.
“Shinichi? Se lo hai fatto davvero tu, lo puoi rifare..avanti, rifallo!”
Un breve momento di silenzio e immobilità, poi..
Tric. La sua unghia mi graffiò il palmo della mano.
“Oh mio..cavolo, ma chi sei, Houdini? Sei riuscito a..un momento..Shinichi?”
Per un secondo, lo guardai fisso, sperando quasi si voltasse di scatto e mi facesse: shh! Non dire quel nome, potrebbe tornare Ran!
Ma lui rimase immobile.
“No, non sei sveglio..ma allora come hai fatto a..”
Tic.
Un colpetto, delicato come il tocco di una piuma, ma c’era stato. Aveva picchiettato col dito sul palmo della mia mano.
“Oh dio..ok, fammi calmare. Ok..”
Ero agitato come una scolaretta al primo giorno di scuola. Se era quello che credevo, eravamo arrivati ai confini della realtà.
“Ecco il caffè”
Ran era tornata.
“No! Non muovere un muscolo, ferma! Rimani li..”
Posai la mano di Conan sul palmo bene aperto. Se si fosse mosso, lo avrei visto perfettamente.
“Che stai facendo?” mi chiese Ran.
“Silenzio! Ora non chiedere. E lasciami fare..” mormorai.
Mi avvicinai a Conan.
“Ok. Ascoltami bene. Sei..sei davvero tu?” gli chiesi.
Niente per qualche secondo. Poi..
Tic. Il colpetto sul palmo.
“Oddio, grazie..ok ci sono, fratellino..”
“Cosa significa? che vuol dire quello che stai facendo?” chiese Ran avvicinandosi piano.
La guardai.
“Ran..non mi chiedere come, ma credo..credo che stia provano a comunicare con me..”
Ran sbarrò gli occhi.
“Ok, Heiji, va bene. Dormire poco a volte fa questo effetto, ma adesso ti bevi il tuo bel caffè e..”
“Non sono matto, chiaro? Uff, guarda se non mi credi..”
Mi misi in posizione di nuovo.
“Ok, bello, facciamo alla vecchia maniera: un colpetto si, due no. Va bene?”
Silenzio. Tic. Un colpetto
Ran fissò la mia mano.
“Sarà un nervo, Heiji, non fare il matto, per piacere..”
“Sono i nervi, kud..cioè Conan?”
Silenzio. Tic tic. Due colpi.
La mia tazza di caffè precipitò nel vuoto e andò a schiantarsi al suolo.
“Oddio” squittì Ran.
“Non mi dire che non lo hai mai visto fare, ora che ci penso..” dissi, osservando attentamente Conan.
Lei mi fissò, sconvolta. Poi però annui.
“Si, ma capita in un caso su un milione..”
“Quante volte lo devo ripetere? Questo non è un bimbo qualunque, zucchero. Ok, andiamo al sodo, ora. Da quel che so io, non è molto costante come cosa: potrebbe smettere e non esserne più capace, bisogna far presto..”
Tic. Un colpo.
“Visto? Ho ragione! Ok, scusa se ci ho messo tanto a capirlo, ti ho fatto perdere tempo. Bene, vuoi dirci qualcosa?”
“Chi ti ha sparato?” sussurrò Ran. “E’ questo che vuoi dirci, cucciolo?”
“Lascia perdere, non sa chi era, perché non lo ha visto..”
“Magari si!” rimbeccò lei.
“Se dico di no è no..”
“Ma..”
Tic, tic, tic. Tre colpi.
“No, aspetta, non significa niente. Cosa significa prima no e poi si?”
Pausa. Poi successe una cosa assurda. Ancora oggi mi fa rabbrividire il solo pensiero.
Il dito di Conan prese a picchiettare come in presa a degli spasmi sul palmo della mano.
Ran sospirò.
“Ecco, lo sapevo. Vedi? Sono terminazioni nervose, altro che comun..”
La tacitai con un cenno, senza smettere di fissare il dito che picchiettava. Poi si fermò, e la mano ricadde sul letto, inerte.
Ran mi cinse la testa con le braccia.
“Oh Heiji..” mormorò. “Non serve a niente perdere il controllo. Vedrai, tornerà da noi, ne sono certa.
Io fissavo il vuoto. La cinsi in vita con un braccio.
“No, invece..” mormorai con voce velata.
La porta si aprì mentre Ran mi guardava interrogativa. Goro, due borse scure sotto agli occhi, e sua moglie Eri, visibilmente stanca, entrarono.
“Mamma, papà, già qui?”
Eri si avvicinò circospetta al lettino di Conan.
“Eravamo svegli, e così. Non che si abbia dormito molto, chiaramente..dai, fammelo vedere, va..”
Goro raggiunse la moglie accanto al letto.
“Ciao, canaglietta...” mormorò. Posò una mano sul pancino di Conan, mentre sua moglie gli sfiorava la guancia con le labbra rosse macchiandolo leggermente di rossetto.
“Piccolo amore..sai, vorrei essere io l’avvocato che difenderà quel derelitto che gli ha sparato, una volta preso..”
Tutti la fissammo.
“Mi presenterei in tribunale ubriaca fradicia, cosi lo farei arrestare prima ancora di battere ciglio!” ringhiò.
Goro sogghignò.
“Che cosa dicevi, Heiji?” chiese Ran, dopo un po’.
Io scossi il capo.
“Niente..” mormorai, afono.
Per tutto il giorno la gente fece avanti e indietro. Vennero anche i baby- detective, cupi e dispiaciuti, a salutare il loro amico e collega, armati di palloncini e bigliettini “guarisci presto!” e di oggetti portati per Conan una volta sveglio, come peluche e giochi vari.
Io da canto mio, non parlai a nessuno. La gente la prese come stanchezza, dato che il mio era un turno a circuito chiuso, e mi lasciarono in pace. Solo con una persona, in realtà, avevo intenzione di parlare, e la aspettai tutto il giorno. E finalmente, a serata inoltrata, eccola.
“Oh Heiji, povero ragazzo, che faccetta smunta. Toh, ti ho portato la cena. Tranquillo, ha cucinato Ai..”
Ai camminava lenta alle spalle del dottor Agasa, il viso scuro, l’aria stanca.
“So tutto.” Disse, e mi si sedette accanto. “Ho avuto il messaggio da Ran, che ha chiamato il doc. Ti informo che per una donna di scienza quale sono, la cosa ha più di una spiegazione, se è questo che volevi sentire. Comunque, straordinario il nostro Shinichi, non c’è che dire..”
“A caso..” mormorai piano.
Lei mi guardò.
“Cosa?”
“Ran ha detto che Conan batteva il dito per via dei nervi, vero?”
Ai annui.
“Si, esatto. Può capitare, come ho già detto..”
“si certo..se fossero davvero stati i nervi, si..ma non lo erano”
Ai mi guardò intensamente.
“Come?”
“Non lo ha mosso a caso, quel dito. Gli ho chiesto tre volte se era lui, Ai..”
Lei mi sorrise, amara.
“Lo so che è dura, sto male anche io. Ci si attacca a tutto, in questo stato..”
“tsè..stronzate..” ringhiai.
Lei si voltò. Io fissavo il vuoto, gli occhi sbarrati.
“Lui ha parlato chiaro, bella mia. A Ran saranno sembrati nervi, quelli..ma a me no.”
“Osaka, stai andando fuori di testa?” chiese fissandomi.
Io la guardai. Mi riflettei nei suoi begli occhi chiari. Sembravo un pazzo.
“Dammi la mano.” Le dissi piano.
Lei mi guardò, analitica, poi mi tese la piccola manina esile. Io ci posai un dito, e inizia a picchiettarlo sul suo palmo. Lei in primis mi osservò allibita, poi lentamente, le sbocciò in volto la paura..”
“No..non ci credo..” sibilò.
Io mi fermai.
“Ecco tutto. Ora sei ancora convinta che sia fuori di testa?” chiesi, afono.
Lei si fissò la mano per venti secondi buoni.
“No..” mormorò poi “No..”
Il doc ci aveva osservati in silenzio.
“Posso chiedere di che state parlando? Perché quei gesti?”
“Morse..”sussurrò Ai.
“Come?” chiese il doc.
Lei lo guardò.
“Samuel Morse, dottore. Nel 1835 Samuel Morse inventò un codice ad intermittenza per trasmettere segni di punteggiatura, lettere e numeri..il codice porta il suo nome: codice morse.”
“Morse, ma che..oh cielo..”
Mi raggiunse.
“Vuoi dire che Shinichi ha usato..”
Io annui, amorfo.
Il doc raccolse le forze.
“Oh dio mio, quando smetterà di sorprendermi..allora, il messaggio lo hai preso?
Annui di nuovo.
“Dimmelo, ti prego!” disse con ardore.
Io risi, senza sapere che altro fare. Ero distrutto. In silenzio gli presi la mano, e gli picchiettai il palmo.
“No, fermo, non lo conosco il codice morse..” disse il doc.
Io mi fermai. Lo guardai negli occhi, dolci e spaventati allo stesso tempo.
“Fa..” dissi picchiettandogli di nuovo la mano. “che..sia..nel..mio..corpo..”
Lui mi guardò, poi lentamente spalancò la bocca.
“No..signore,ti prego,no..”
“Si.” Disse Ai, mentre lacrime silenziose colavano sul suo bel viso di bambina. “Ha chiesto di morire nel suo corpo.. sa che non riuscirà più a svegliarsi.”

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Mi sentivo in colpa. Ad aver saputo le cose che so adesso allora, me ne sarei stato zitto. Va beh che io non avevo chiesto niente, lo aveva fatto Goro. Beh avrei dovuto zittire lui, allora. Quel dottore..quel dottore ci aveva preso alla grande, altro che parere. La sua diagnosi era speculare alla realtà, lui l’aveva detto che sarebbe andata cosi.
Più mi guardavo intorno, più me ne convincevo. Una cosa fuori dal comune.
Lui aveva detto: la maniera di approccio a questa cosa varia da individuo a individuo.
Parole sante.
Ero lì, seduto nella cucina dove i dottori, tra un paziente e l’altro, scappavano a bersi un caffè o a schiacciare un breve pisolino ristoratore durante i turni di notte, e riflettevo, cercando ci ingoiare il biscotto che avevo appena messo in bocca.
Teoricamente, io che non ero un medico non avrei avuto accesso a quella stanza, ma dato che ormai erano tre giorni che ero chiuso in quel edificio, i medici mi diedero il permesso di usarla. Erano del parere che alla lunga, sempre in quella stanza, avrei finito con l’esaurirmi. Mai cosi lontani dalla realtà, belli miei.
Io non potevo esaurirmi, perché non ne avevo il tempo. Si, tre giorni, e nemmeno il tempo materiale a fondermi il cervello, mi era rimasto.
Dopo quella mattina, in cui Shinichi lasciò quel messaggio usando tutte le forze che gli restavano, gradualmente, tutto era andato a farsi benedire, compresi i miei colleghi vigilantes di Conan. Uno alla volta, li avevo visti sgretolarsi come castelli di sabbia.
Logico pensare che non ho riferito mai il messaggio di Shinichi. Come avrei potuto? Come spiegare che significava “fa che sia nel mio corpo” senza arrivare a spiattellare tutta la faccenda? No, troppa carne al fuoco, preferì lasciarli nel beneficio del dubbio. Ran riferì al popolo la versione dei nervi, e io la tenni in piedi, e nessuno ne parò più. Beh, nessuno, tranne me e Ai.
Per quanto mi odiasse, e percepivo il suo rancore uscire da lei come se avesse un profumo particolare, alla fine dovette accettare che se voleva parlare a qualcuno del reale avvenimento di quel giorno, io ero l’unica persona con cui poteva farlo.
Lo rispetto già adesso che nemmeno esiste ancora, il suo povero marito.
Ancora avevo da riprendermi dallo shock di quel fatto, che già lei con la delicatezza di un’incudine gettata dal 30°piano, era partita a mettere in piedi montagne di congetture:
“Non negativizziamo, adesso, rimaniamo lucidi..” ripeteva, la piccola mano candida a sorreggersi il mento, mentre passeggiava lenta avanti e indietro davanti alla mia poltrona, mentre io la osservavo assente, sgranocchiando i miei biscotti, che nemmeno parevano aver sapore.
“Ok. Shinichi non ama lasciare nulla al caso, è un perfezionista, lo sanno anche i sassi. Quindi, non escluderei che abbia solo voluto puntualizzare una cosa che pensava avremmo potuto dimenticare o tralasciare: lui non vuole morire nel corpo di Conan, ma nel suo.”
“Beh, mi sembra anche giusto..” dissi, inghiottendo il pugno di segatura travestita da frollino che avevo in bocca. “Pure tu non credo saresti felice di schiattare in quei pantaloncini con le margherite sulle tasche..”
Ai arrestò la sua marcia giusto il tempo di fulminarmi, poi riprese, meditabonda.”
“Si, credo di aver ragione. Era solo un fuoco di paglia..non è detto che sappia davvero di dover morire. No, per me ha solo messo le mani avanti, tutto qua..”
“Bene, e questa è fatta. Ora, che pensi di fare, a riguardo?”
Lei mi guardò, infastidita, come se la mia voce le risuonasse solo come un ronzio di mosca.
“Che vuol dire? Che dovrei fare?” chiese.
Io sigillai i biscotti, e li rimisi nella loro credenza.
“Beh, non è chiaro se sta davvero morendo, ma è chiaro cosa vuole se dovesse capitare..” dissi, stiracchiandomi. “Lui vuole il suo corpo. E tu sei l’unica che glie lo può ridare.”
“Secondo la tua vasta mente deduttiva, come accidenti faccio a dargli l’Apotoxina, se ha uno stramaledetto tubo infilato in gola? Sono capsule a filmino, le deve inghiottire!”
“Non puoi ridurle a una soluzione iniettabile?” le chiesi.
Lei denegò.
“La trasformazione non avviene per endovena, la sostanza nemmeno li tocca i vasi sanguinei, ne il sangue. L’alterazione molecolare intacca gli organi partendo dallo stomaco. Agisce come la maggior parte delle medicine in pastiglia, ma il sangue non lo tocca. Difatti, nelle analisi, non risulta la sua presenza, non è rilevabile. Il sangue non si altera ne muta come il resto del corpo. Persino il gruppo sanguineo rimane tale, come la morfologia del corpo, d’latro canto: il colore della pelle, dei capelli, delle iridi, la forma dei denti, i nei e le lentiggini. Tutto uguale, solo..ridotto. Un clone perfetto nel dettaglio di se stessi, più giovane.”
La osservai. Sapevo che aveva ripudiato quella gente, e aveva dimostrato la sua fedeltà alla nostra parte, ma non poteva nascondere chi era, nemmeno se lo voleva. Lei era nata con quella mente geniale, e il suo genio aveva l’effetto di una droga su di lei. Mentre parlava, si crogiolava nel suo stesso brodo, ubriacandosi con le sue stesse parole. Lei amava quello che era, quello che la sua mente era in grado di partorire, la sua genialità. E amava la sua creatura, l’Apotoxina. Per lei era come parlare di un figlio. L’amava davvero, anche se l’aveva messa inginocchio.
“Bene.” Dissi più che altro per tacitare quel monologo da genio malvagio. “Dunque non lo potrai aiutare..”
“No. Se continua ad aver bisogno del respiratore, il condotto orale sarà fuori uso, quindi niente antidoto..”
Il doc Agasa si era escluso dalla nostra conversazione, ma ne io ne Ai lo avremmo comunque coinvolto. In quei tre giorni, io e lei eravamo stati presi dal nostro problema, ma nel resto del mondo, ignaro di tutto, il meccanismo aveva cominciato a cedere.
Goro ormai faticava a ostentare sicurezza, e con lui sua moglie. Le facce tranquille dei primi momenti, erano state sostituite da espressioni di tirata preoccupazione. Sonoko e Makoto,dapprima ottimisti, stavano lentamente perdendo smalto, e ora si limitavano a momenti di silenzio. I poliziotti erano sempre di corsa, nel loro viavai nell’ospedale, quindi mi era difficile capire cosa passasse loro per la testa, ma sia Yumi che Sato erano visibilmente pallide, nelle loro apparizioni, e i loro colleghi sempre più accigliati e tesi. Kazuha invece faceva quasi tenerezza. Era diventata l’ombra di Ran, il mio soggetto principale d’osservazione, come se temesse che da un momento all’altro che saltasse dalla finestra.
Si, anche io la osservavo per quello. La piccola Ran aveva avuto la reazione che più delle altre avevo temuto: il rifiuto.
Sia Sonoko, che Sato, che Yumi, che Kazuha e che sua madre Eri, una volta almeno avevano pianto. Non erano certo da biasimare, la situazione era spinosa non poco, e i nervi alla lunga cedono. Ma lei no. Lei ostentava sempre un’aria quasi vanesia, inverosimilmente serena. Lei, come me, aveva assunto il ruolo del Jolly: spesso veniva in ospedale anche tre volte al giorno, e spesso rimaneva con me a fare la notte, ma sembrava non stancarsi mai. Mi preparava colazione, pranzo e cena insieme a Kazuha nel cucinino dell’ospedale tutti i giorni, teneva aggiornato l’ispettore, si occupava dei compiti a casa, accudiva come al solito suo padre, e tutto questo senza mancare mai di rimanere accanto a Conan. Io francamente, mi chiedevo quanto ancora avrebbe retto alla pressione. Una reazione cosi capita spesso, lo sapevo: la mente, in qualche maniera, si protegge dalla realtà, somatizzando tutto con l’ignoranza. In poche parole, evitava di guardare in faccia la realtà, e si teneva occupata per riuscire a distrarsi.
Non sapevo che fare. Prenderla e ficcarle sotto il naso la realtà equivaleva a infilarle la testa sotto un getto d’acqua gelida: le avrebbe solo fatto male. Ma nemmeno lasciarla li a crogiolarsi in una finta illusione mi andava tanto a genio. Non potevo certo lasciare che rimanesse cosi fono al risveglio di Shinichi, no?
Eppure più la guardavo affaccendarsi nel cucinino mentre mi cucinava delle omelette per cena, più pensavo: no, è una follia, deve svegliarsi!
Ma il doc Agasa mi aveva persuaso a far nulla. Lui pure era caduto pian piano tra le braccia dello sconforto. Beh ovvia come reazione: Shinichi e Ran sono i figli che non ha avuto, li ha tirati su lui fin da piccoli, li ha visti crescere, specie Shinichi. E’ toccato dai fatti in prima persona.
“Ran fa sempre così.” Aveva mormorato, una mattina. “Lei ignora il problema, finché non sparisce. Quando da piccoli, Shinichi la evitava per amor di popolo, lei non ci faceva caso, anche se la feriva. Sapeva che lui prima o poi si sarebbe ravveduto e sarebbe tornato. Ed ha sempre avuto ragione. E una ragazza forte, ma non è un diamante. Anche lei si rompe, solo che preferisce non farlo vedere.”
Beh, Ran, speriamo tu abbia ragione, pensai, mentre mangiavo le sue omelette. Se è sempre tornato, speriamo lo faccia anche stavolta.
Io poi avevo altre gatte da pelare, oltre a Ran e alla sua strana reazione..
Come sia rimasto sano di mente, me lo sto ancora chiedendo.
Per evitare ulteriori casini, mi ero addossato la responsabilità di avvisare io i genitori di Conan.
Li per li, sembrava semplice, dato che non c’era nessuno da avvisare, essendo Conan un identità fittizia. Poi però avevo realizzato. Conan era una maschera, ma dietro c’era una persona vera: Shinichi!
Il diretto interessato era un bluff, ma la situazione era vera. C’erano davvero dei genitori col figlio ridotto cosi..I Kudo!
Quando quel problema mi si è palesato davanti, ammetto di aver avuto un piccolo cedimento: dove trovavo il fegato di dire ad una madre che il suo unico amatissimo figlio, era stato ridotto al coma inseguito ad una sparatoria? Al solo pensiero, mi si felpava la lingua. Però lo dovevo fare, altrimenti sarei passato per un verme. Pensavo a mia madre, al posto di Yukiko Kudo, come sarebbe stata e che avrebbe fatto se fosse stata messa all’oscuro di una cosa simile. Beh avrebbe affettato Shinichi, immagino, e anche me una volta ripreso per la nostra incoscienza.
Beh era inutile star li a menare il can per l’aia, sperando che gli eventi evolvessero e io potessi svicolare dalle mie responsabilità. Il quarto giorno in ospedale, raccattai il mio fegato latitante, lo inchiodai al fianco e afferrai il telefono, pronto a fare il mio dovere.
“Ho chiamato i tuoi, oggi..”
Ormai nemmeno mi chiedevo più se Shinichi potesse sentirmi o meno. L’importante era sfogare la mia frustrazione in qualche maniera, o sarei saltato in aria come un petardo.
“Si, lo so che tu odi che i tuoi si preoccupino per te, però una cosa simile non è che puoi tacergliela no? beh..forse tu l’avresti fatto, se fossi stato cosciente. Non mi risulta abbiano saputo nemmeno della prima volta che ti hanno sparato, no?”
Gli rimboccai un po’ la coperta sotto al mento, e gli feci scivolare fuori un braccio, in modo da potergli tenere la mano. Era tiepido.
“Questo significa che sei vivo, in qualche maniera..” mormorai, più a me stesso che a lui. Lo osservai, poi gli presi un dito e lo posai sul palmo della mia mano.  Non si mosse di un millimetro.
“..ma non hai intenzione di dirmi nient’altro, eh? Uff..”
Gli ripresi per bene la mano.
“Tua madre si è agitata un sacco. Ha cominciato a inveirti contro, poi ha pianto, poi ha inveito di nuovo, e poi è arrivato tuo padre. Gli somigli molto, sai?”
Feci scorrere il pollice sulle sue dita, sfiorandole come fossero corde di una minuscola arpa.
“Si sentiva che era parecchio preoccupato, ma ha conservato raziocinio e lucidità, ha chiesto dove sei ricoverato, e ha detto che in serata sarebbero partiti per venire qua.”
Per un istante, mi ritrovai a sperare che, in preda alla rabbia, spalancasse gli occhi, si voltasse di scatto verso di me e mi urlasse: Ma sei scemo? Che diavolo gli hai chiamati a fare? Ora mi daranno il tormento finché non riusciranno a convincermi a seguirli in America! Ma perché non riesci a farti gli affari tuoi, Heiji Hattori!
Mi si annodò la gola. Quella frase. Era stata una delle ultime che gli avevo sentito dire, nel pomeriggio che aveva preceduto quella maledetta notte. Nella mia testa la sua voce infuriata echeggiava viva e concreta come se l’avessi appena sentita. Se solo avessi insistito.. se solo mi avesse ascoltato..
La mia mano, quella che non teneva la sua, si sigillò in un pugno posato sulla mia gamba, e iniziò a tremare.
Mai. Nemmeno per una volta lo aveva fatto. Lui era rimasto lui, anche in quel corpo. Il fiero, egocentrico, superbo e orgoglioso Shinichi Kudo, finche morte avesse vinto.
Sorrisi amaro.  Lo avevo adorato, per questo.
Si. In una realtà che ormai sembrava appartenere a secoli prima, io sognavo di eguagliarlo. Lui, fiero, egocentrico superbo e orgoglioso era la stella più splendente del mio firmamento, la mia guida. Il mio mito.
Ma i sogni fin troppe volte, che sia prima o che sia poi, si ritrovano a cozzare dolorosamente contro i freddi e duri muri della realtà. E io e i miei sogni ci eravamo finiti addosso ai 100 all’ora. Quella stella che avevo seguito e imitato fin dai miei più incerti inizi, si era rivelata troppo luminosa, persino per se stessa. Ed io come uno stupido, me ne ero restato a guardarla ardere senza dire o fare niente, finche spegnere il suo fuoco non era stato più possibile. E alla fine, quel fuoco, aveva bruciato entrambi.
Il mio pugno continuava a tremare.
Stupido io, ma ancora più stupido lui. Stupido lui, che credeva di poter fare sempre tutto da solo. Stupido lui, che non ci riusciva nemmeno nel suo vero corpo, a fare tutto da solo. Stupido lui, che fin troppe volte aveva avuto le labbra gelide della morte premute contro il collo, e ancora rifiutava di chiedere aiuto. Stupido lui, che ora era appeso per un filo pronto a spezzarsi. Stupido lui, che invece di lottare per la sua vita, aveva messo le mani avanti: fa che sia nel mio corpo..stupido..stupido..
“Stupido..” mormorai, le lacrime bollenti  che colavano come lava sulle mie guance. Non ricordavo quando fosse l’ultima volta che avevo pianto. Odiavo piangere, mi faceva sentire vulnerabile, e io odiavo sentirmi vulnerabile. Era come sentirsi un bambino, ed io non ero più un bambino..
Un secondo..che cosa? Un bambino? ma..ma si, certo!
Schizzai talmente in fretta su da quella poltrona che mi venne un capogiro. Sorreggendomi la testa, però, deambulai verso la porta. Afferrai la maniglia, e la spalancai.
“Lady Macbeth!” gridai, affacciandomi nella corsia.
Un paio di infermiere si voltarono, spaventate. Forse non avrei dovuto urlare in quella maniera, per di più un nome senza apparente senso. Ma io sapevo con chi stavo parlando, e sapevo che la diretta interessata avrebbe capito che stavo chiamando lei.
Infatti una manciata di secondi dopo, Ai fece capolino dalle scale che portavano al bar dell’ospedale, correndomi incontro con ancora il caffè tra le mani.
“Osaka, se hai deciso di farti internare, non hai che da proseguire in questa direzione!” sbraitò, concitata e col fiatone. “Metterti a chiamarmi a squarciagola  usano quel nomignolo..”
“Ti chiamo sempre così, che vuoi adesso?” risposi mesto, rientrando nella stanza. “Va beh, non importa..Entra, devo parlarti”.
Lei mi guardò dubbiosa, ma non fece domande, ed entrò. Appena ebbe varcata la soglia, chiusi con veemenza la porta, e diedi un silenzioso giro di chiave. Ai mi osservava.
“Bene, traggo le mie conclusioni..” disse. “troppe poche ore di sonno, una buona dose di stress e una bella fetta di disperazione sommate insieme ti hanno provocato un bell’esaurimento nervoso. Non che non l’avessi già messo in conto che qualcuno avrebbe fuso, a un certo punto. In base a quello che vedevo, davo Ran per sicura, dato che è già praticamente fuori controllo in quello stato,  ma anche tu eri previsto nei conti, prima o poi. Solo ti pensavo più duro, Osaka..”
“Piantala, non sono impazzito..” ringhiai. Feci stampare dal monitor collegato a Conan, i dati riportati sul suo stato attuale..Ma era arabo?
Lei sogghignò.
“Hai appena chiuso a chiave la porta della stanza di un paziente ricoverato in un ospedale, ed è sequestro di persona. Ci hai chiuso dentro anche me, quindi doppio sequestro, per di più di..si beh di minore, per quanto poco io e il signor kudo lo siamo. Poi..ah si, questa stanza è in costante monitoraggio dei medici, che ovviamente chiusi fuori non potranno adempire ai loro doveri, e se capita il peggio..diverrai un omicida.”
“Quando hai finito di dire idiozie, avvisami..” sbraitai, fissando quelle linee e quei numeri sconosciuti. Già ero parecchio nervoso per tutta la roba che mi stava frullando in testa. Mi ci voleva solo lei a sottolineare i lati peggiori di quello che stavo facendo. La conoscevo meglio di lei, la legge, e sapevo perfettamente che ad ogni mossa, entravo sempre più a fondo nel letame. Ma non avevo scelta.
Lei mi osservò un'altra manciata di secondi scervellarmi su quei grafici, poi me li strappò dalle mani.
“Idiota, nemmeno se ti sforzi fino a deporre un uovo, ci capirai mai niente. Sei una specie di poliziotto, non un medico..comunque che li hai stampati a fare? E perché ti stai comportando come un terrorista?”
“Riesci a leggerli? Se non ci riesci, mi levo un ostaggio dal groppone..” risposi, secco.
Lei mi guardò in tralice.
“Ovvio che li so leggere, con chi credi di parlare?” soffio.
“Bene, che cosa dicono?” chiesi, concitato.
“Che è in coma, mi pare evidente..”
“Spiritosa..di preciso, intendo!”
Ai sbuffò.
“Battito lento, ma stabile. Encefalogramma praticamente piatto, attività celebrale minima..è in coma, non è che i dati dicano granché in più da quello che vedi guardandolo..” disse indicando Conan.
“Ok. Tu credi che lo possiamo portare via di qui, senza far danni?” chiesi, tornado a fissare il monitor.
Lei mi guardò, inarcando un sopracciglio.
“Osaka, dove lo trovi il coraggio di dirmi che non ti sei lessato il cervello? Dove diamine lo vorresti portare, al circo?”
“No, a casa del doc. Anche la sua andrebbe bene, ma ho idea che Ran ci beccherebbe..” risposi, tranquillo, mentre osservavo i vari tubi e tubicini a cui Conan era collegato.
Ai si avvicinò a me.
“Osaka..io so che è dura per un cervello come il tuo dichiarare resa, ma se arrivi a destare preoccupazione in me, me che fino a ieri lavoravo chic to chic con i più grandi psicopatici della storia, credo che sia il caso di intervenire. Ora, da bravo bambino, apri quella porta, ti infili in un taxi, vai dal dottor Agasa, ti fai dare un po’ di camomilla, un sonnifero, anche curaro sparato con una cerbottana va bene, purché ti fai almeno 48 ore di sonno!”
Io sbuffai.
“Ok, basta perdere tempo. Ecco i fatti, e poi vediamo a chi lo spari, il curaro: Shinichi non ha mai, ne vuole adesso, ne penso vorrà mai tirare le cuoia in questa maniera, e se solo ci avessimo riflettuto, un ‘ipotesi simile neanche da ubriachi l’avremmo messa in piedi. Lui vuole vivere..”
Ai mi guardò per qualche secondo, poi annuì.
“Lo so anche io, questo, però la verità va guardata in faccia, per quanto brutta sia, e anche Shinichi lo sa. Il suo messaggio..”
“Tombola, il messaggio! Oh cielo, meglio non riferirgli mai come lo abbiamo interpretato all’inizio, o ci ammazzerà in massa, quando si sveglierà. Già io in questo momento mi sto vergognando come un ladro per la mia stupidità..”
“All’inizio? Ma cosa..” tentò lei, confusa.
“E’ sbagliato! Il significato che gli abbiamo dato è completamente sbagliato. Non so quante volte l’ho detto, ma non basteranno mai credo..sei un genio, Kudo!”
Ai spalancò gli occhi, e per la prima volta da quando l’avevo chiusa in quella stanza, parve prendermi sul serio.
“E’ sbagliato? Ma allora, cosa..”
“Fa – che – sia – nel – mio - corpo” scandì. “Fa che sia nel mio corpo, capisci? Lui non parlava della morte, non lo farebbe mai! Lui vuole tornare grande, ma non per morire!”
Lei parve riflettere.
“Non vedo altri sbocchi,Osaka. Se non voleva dire che desiderava riavere le sue sembianze per morire nel suo corpo, allora cosa voleva farci dentro al suo corpo adulto?”
Io la guardai, e sorridendo le posai una mano sulle spalle.
“Guarire, Lady Macbeth.” Le risposi.
Ai mi guardò allibita per qualche secondo, poi lentamente vidi attraverso ai suoi occhi grigi le mie parole acquistare un senso, il mio ragionamento filare, un piano prendere forma.
“Oh mio dio..ma è ovvio! Oh mio..ma cosa ci è passato per la testa? Pensare che volesse..ma è così ovvio!”
Cominciò a guardare quei grafici come avrei voluto che facesse, poi controllò il monitor per vedere quelli aggiornati. Dopo un paio di frenetiche occhiate ai grafici e allo schermo, si voltò di scatto verso di me.
“Ma come faccio?” chiese.
“Come “come faccio” che vuol dire?” chiesi, stupito.
Lei mi guardò.
“Osaka, vediamo se siamo veramente connessi, prima di iniziare a straparlare: Lui vuole guarire, e per farlo gli serve il suo corpo..” iniziò.
“..perché i danni al suo cervello provocati dall’emorragia e dall’ipossia e il tempo in cui il suo cervello è rimasto a secco di ossigeno sono direttamente proporzionati alle dimensioni di quest’ultimo e al fisico dove alberga: super mente, ma baby corpo.” conclusi io.
Lei annui.
“Ok, fin qui, ti trovo. Poi, per fargli riavere il suo corpo, devo dargli l’antidoto all’APTX, giusto?”
“Esatto, e una volta grande, i danni al fisico e al cervello saranno ridotti, e la sua attività celebrale dovrebbe tornare stabile. Lo ha detto anche il medico: i danni sono estesi perché è un bambino..”
“Bene. E, dunque, illuminami, come credi che possa fare a dargli l’antidoto?” chiese, stizzita.
“Come? Come sempre, ovvio..” risposi, confuso.
“Sei diventato scemo? Ha un maledetto tubo infilato in gola, Osaka, quante volte te lo devo ripetere! Come accidenti la inghiotte una pillola, me lo spieghi?”
La fissai. Non ci avevo pensato.
“Cavoli..” mormorai.
“A merenda..” aggiunse lei, crollando sulla mia poltrona accanto al letto di Conan.
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, mentre tiravo giù dal letto ogni neurone che avevo per scovare una soluzione. Poi l’idea venne.
“Non puoi cambiare la composizione del farmaco?” le chiesi.
Lei alzò la testa.
“Non giocare al piccolo chimico, o finirai per farti male. Non si cambia la composizione di una medicina dal 2 al 3, Osaka. E poi, come ti avrò spiegato almeno cento volte, l’APTX è un farmaco che non agisce toccando il sistema circolatorio. L’organizzazione, quella volta, pretese da me un veleno “fantasma”, ossia capace di uccidere, ma che non lasciasse tracce. La trasformazione è solo uno scomodo e inaspettato effetto collaterale..”
Mi strofinai la faccia con vigore. Si, ora che ci pensavo Ai l’aveva detto spesso che quel farmaco funzionava così. Anche mentre formulavamo le teorie sul messaggio in codice Morse di Shinichi. La guardai.
“E..questo effetto collaterale non si manifesta con nessuno degli altri intrugli che hai creato?” chiesi.
Lei parve rifletterci.
“No, quel farmaco è un vero e proprio mistero. Sai, io e Shinichi siamo gli unici con cui abbia fatto così. Gli altri hanno fatto tutta la fine per cui era stato creato..”
Rabbrividì.
“Gli altri? Quanta gente avete fatto fuori con quelle pillole infernali?” ringhiai.
Lei mi fulminò.
“Avete? Guarda, dolcezza, che io non ho mai voluto spargere nemmeno una goccia di sangue, sia chiaro. Gin, la notte in questione, mi ha sottratto una confezione di pillole di sua iniziative, e le ha usate senza nemmeno sapere i riscontri dei test sulle cavie. Lui ha ucciso quella gente, non io!”
“Ok, ok, bandiera bianca, chiedo scusa..” replicai io, mettendo le mani avanti.
“Comunque, io non me ne intendo molto di chimica, fuori da quella che uso sul lavoro, ma non ti basterebbe isolare l’enzima che provoca la regressione dalla composizione integra del farmaco?”
“Secondo te, che ci sto a fare tutte le sante notti china sul computer, i solitari? Sono mesi che cerco quello stramaledetto enzima, ma la formula di quel farmaco è complessa come poche. E poi credo che non si tratti di un singolare componente, bensì di una fusione tra due enzimi che ha scaturito questa impensabile reazione. Quindi è praticamente impossibile isolare ciò che provoca tutto questo”
E indicò il suo corpo.
Io sbuffai esasperato. Mi sentivo come uno che dopo mesi dedicati a un enorme puzzle, si ritrova alla fine e si accorge che manca l’ultimo pezzo.
“E’ preferibile pertanto cercare un antidoto, un qualcosa che abbia l’effetto contrario.” Continuò, mentre mogio, mi dirigevo verso la porta, per aprirla. “ Solo che ormai ne ho provate di tutti i colori, e ogni volta o io o Shinichi ci si ritrova al punto di partenza. Il problema è che il corpo si protegge, sviluppa ogni volta difese immunitarie sempre più forti, e si protegge. Ormai Shinichi ha buttato giù ogni forma di antidoto o tester da me creato, senza mai avere riscontri positivi. Il massimo che ha potuto ottenere è 24 ore, non di più. Ogni volta gli aumento la dose, ma non cambia niente. Uno di questo giorni, gli ho detto, ti farai venire un infarto a furia di mettere il tuo corpo sotto quella terribile pressi..oh mio dio..”
La vidi sbarrare gli occhi, come se avesse visto la luce dopo ore di buio.
“Che c’è?” le chiesi, la mano ancora sulla serratura.
“Oh dio..non so nemmeno io se sia..beh peggio di così, non credo.. però se il suo cuore..”
Corse al monitor, e fece stampare di nuovo i dati relativi allo stato di Shinichi.
“Il suo battito è molto più lento del solito, va almeno tre volte più lento. Mio dio, non so se osare.. però non dovrebbe andare storto, visto che il cuore è lento..”
“Cosa, cosa non dovrebbe andare storto? Hai avuto un idea?” le chiesi raggiungendola di corsa.
Lei sospirò, tesa.
“Quando ero ancora operativa per quei mostri, ai tempi in cui misi in piazza l’APTX, durante i vari esperimenti, creai un farmaco, a induzione endovenosa.” Disse, lo sguardo perso nei ricordi. “Però me lo bocciarono, essendo troppo semplice risalire al motivo del decesso, se la sostanza rimaneva anche in piccola parte in circolo. E poi le cavie avevano reagito male. Era troppo forte, troppo aggressivo sugli organi, specie il cuore, che pure con L’APTX, è l’organo che fa il lavoro più duro. Invece di alterarli, come fa l’APTX, li sforzava fino a farli esplodere. Tutti i test portavano lo stesso responso: deceduto.
Deglutì, allarmato.
“Una bomba nucleare formato aspirina..” mormorai.
Lei annui.
“A grandi linee, si. Tuttavia non era molto diverso dal suo successore, l’Apotoxina 4869, infatti mi bastò ridurre di pochi grammi i suoi componenti, per arrivare a uno stadio ottimale. Non c’era niente di sbagliato nella formula, solo era troppo invasiva, troppo potente. Infatti, chiamai quell’esperimento Bioapotoxina 4869, l’Apotoxina bionica, in pratica. Scoprì in seguito che il problema sulle cavie era la velocità del loro battito, già elevatissima di natura. L’APTX tende ad accelerare il battito, provocando una leggera aritmia..”
Annui. Quante volte avevo visto Shinichi trasformarsi davanti ai miei occhi. Quante volte l’avevo sentito urlare: il cuore..mi fa male il cuore..
“La bio, invece, la procurava bella forte, troppo per il cuore delle cavie, già in aritmia di suo. Ogni volta, l’infarto le stroncava prima che potessero apparire i primi segni della mutazione oppure qualsiasi altra cosa..”
“Perciò tu vuoi dire” mormorai, cercando di arrivare al succo del suo ragionamento. “Che se il cuore umano in circostanze normali sopporta l’APTX senza esplodere, un cuore lento potrebbe assimilare pure la sua gemella cattiva, la bio, esatto?”
Lei sospirò, tesa.
“Si, è possibile..”
Io battei le mani, esultante.
“Oro puro, sorella! La bio è pure in formato endovenoso, no? perfetto, la puoi creare? Hai ancora la formula, vero?”
Lei annui.
“Mi basta raddoppiare le dosi dell’APTX, e otterrò la bio. Però temo comunque il peggio. Se il cuore di Shinichi accelera anche solo di un battito al secondo, potrebbe avere un infarto. E allora sarebbe la fine..”
Io le afferrai le spalle.
“Non succederà, io mi fido di te, e anche lui. Tu ce la puoi fare, Lady Macbeth” le dissi.
Lei mi guardo sconcertata. Poi assunse quella sua solita espressione di sufficienza.
“Me lo chiedo da un po’, Osaka: perché mi chiami in quella maniera?”
Io le sorrisi.
“La lady nera di indecifrabile spirito, a cui nessuno sa dare un volto. Tuttavia considerata dai più, una donna di rara e unica essenza.” Risposi.
Lei sbatté gli occhi, stupita. Poi rimise in piazza l’espressione di sufficienza di prima, ma con un mezzo sorrisetto sotto ai baffi.
“Ma bravo Osaka, allora ogni tanto sai come si parla a una donna, eh?” mormorò, le guance leggermente rosse.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Ma come diavolo facevano i criminali a dormire la notte? Come riuscivano a vivere tranquilli con il peso delle loro malefatte a infossarli nel terreno come picchetti? Per l’amor di dio..
Non vedevo l’ora che tutto quel casino finisse. Mai più. Mai più infrangerò la legge, fosse pure una cosa banale come uscire sovrappensiero da un bar senza aver pagato le gomme, come capita a un sacco di gente.
Mi sentivo uno schifo. Tutto il tempo a guardarmi intorno mentre io e Ai cercavamo come matti una santa maniera per poter attivare il nostro piano. Oh dio, pure quello era una trasgressione dietro l’altra.
Alla fine avevamo deciso: Ai avrebbe osato un tentativo con la bio. Poi, pregando che dio ce la mandasse buona e Shinichi non si ritrovasse della conserva al posto del cuore, la guarigione avrebbe seguito il suo flusso, ma almeno il nostro caro vecchio Kudo sarebbe tornato tra noi. Si, perché Ai era dell’avviso che una reazione alla bio potesse essere il risveglio dal coma. Non stavo nella pelle al pensiero!
Però quanta polvere avremmo dovuto sollevare..
In primis, per dargli il farmaco, dovevamo trovare un modo per portare Shinichi fuori da quell’ospedale.  A mio modesto parere, un settenne che in una notte butta su una sessantina di chili, un buon metro e venti di altezza e una decina d’anni, poteva attirare un pelo l’attenzione.
Poi, come convincevamo i nostri a non fare domande, ammesso che i medici ce lo lasciassero portare via? Si sarebbero pur chiesi che diavolo volevamo fare, e allora forse ci avrebbero pure costretti a vuotare il sacco. Già sentivo le dita di Ran serrate attorno al collo..
E dulcis in fundo.. e se fosse stato un buco nell’acqua?
Su quel tasto, rifiutavo anche solo di passarci su.
Ai, però, da brava ex mente criminale, non si era fatta un solo scrupolo che fosse uno, manco per sbaglio. La sua coscienza doveva essersi suicidata..
Aveva pensato a tutto. Essendo lei una specie di medico, non le sarebbe stato difficile portare Shinichi fuori di li, se solo riusciva a procurarsi un permesso speciale di trasferimenti firmato dai genitori del paziente. Problema..non esistevano i genitori di Conan! Nemmeno lui, tecnicamente, esisteva..
“Lo firmeranno i Kudo, che cosa cambia?” aveva risposto quando avevo sollevato quell’obiezione. Stavamo chiusi a chiave dentro la stanza di Conan a prendere le misure dei macchinari per vedere dove poi, in casa Agasa gli avremmo sistemati. Non chiudevo a chiave per molto tempo, e decidemmo di farlo solo la sera tardi, in modo che ci fosse meno folla e potessimo lavorare al piano indisturbati..oddio, piani.. Macchinazioni.. il figlio del questore!mio padre mi avrebbe seduto sul barbecue se mi beccava, garantito.
“Non lo so se lo faranno. Magari loro preferirebbero che restasse qua a farsi curare..”
“Basterà dire loro che se rimane qui a fare la pianta grassa, alla lunga gli staccheranno il respiratore. Vedrai come firmeranno svelti..tu mi reggerai il moccolo, dirai che Shinichi vuole questo, che tu lo vorresti se fossi lui, ecc..”
Aiuto, sono il complice di una pazza miniaturizzata! Addio carriera nella polizia. Nella pulizia, sarei finito. Il signore delle pulizie giù al distretto o in un bel ospedale. A proposito, pensai.
“Hai..hai in mente di rubare uno dei permessi dall’archivio dei dottori?” mormorai, la gola secca come se fosse foderata di moquette.
Lei si bloccò, il metro teso sul monitor principale.
“Quello è l’unico muro che non riesco a valicare. Per fingermi un medico, mi basta una dose di APTX, poi la mia vera me farà il resto. Ma quei permessi, davvero non so come averli. Non basta, poi, che siano d’accordo i genitori. Anche il medico curante deve concordare il trasferimento in altra sede. Altro problema..”
Iniziai a fregarmi la nuca e il collo, nervoso. Mi sarebbe venuta un orticaria da stress, alla lunga, sotto quella pressione.
“Beh abbiamo tempo per pensare: la bio è in fase di creazione, mi ci vorranno un paio di giorni. E’ presto per imbiancarci i capelli a furia di pensare. Troveremo un modo. Ora vado, le infermiere mi fanno sempre storie perché me ne torno a casa con il buio. Pensare che alcune sono più giovani di me, tsè..”
Mi diede una leggera pacca sul viso.
“stai sereno, Osaka. Ti si legge la colpa in viso. Non mi mandare tutto all’aria con le tue nevrastenie da chierichetto. Là ti ho messo la cena, mangia tutto e poi a nanna. Buonanotte.”
Detto questo girò lentamente la chiave, e sparì nel corridoio chiudendosi la porta alle spalle.
Wow. Persino a Hitler si sarebbe accapponata la pelle a dover lavorare con quella donna, giuro. Come riusciva a passare per una candida bambina, lo sapeva dio..
Comunque non aveva tutti i torti. Restare li divorato dai sensi di colpa, mi avrebbe infine ridotto come il tizio de “il cuore rivelatore”, che alla fine aveva spiattellato tutto ed era andato fuori di testa. Ispirai ed espirai un paio di volte, e questo mi fece calmare un po’.
“Dai che ce la facciamo, vecchio mio.” dissi a Shinichi, mentre condivo l’insalata di pollo preparata da Ai. Mentre mangiavo, lo osservai. Sembrava un po’ tesa, la sua espressione, rispetto ai giorni precedenti, come se il suo sonno fosse turbato. Che avesse capito cosa volevamo fare, e si fosse pentito?
“Va a quel paese!” gli sbottai, a bocca piena. “Non puoi tirare i remi in barca ormai, siamo in mare aperto! L’unica è remare e sperare di non colare a picco..
Finì di mangiare, poi portai i piatti nel cucinino, e gli diedi una sciacquata veloce, riflettendo. Non era bello quello che stavamo facendo..e nemmeno legale, maledizione.. però in amore e in guerra, tutto era lecito. E io volevo troppo bene a Shinichi per non giocarmi quella carta, per quanto fosse rischiosa. Non esistevano limiti ai miei gesti, se in gioco c’era chi mi era caro.
Tornai in camera di Shinichi più motivato e meno roso dai sensi di colpa. Il fine giustificava i mezzi, me ne ero convinto.
Entrai, e mi chiusi la porta alle spalle, ma appena lo feci, avvertì qualcosa. Era come se, in qualche modo, ci fosse qualcosa di diverso nella stanza.
Mi accostai al letto del mio piccolo amico.
“Tutto bene?” mormorai, e gli carezzai il viso. Sembrava tranquillo. La stanza era vuota. Nulla era fuori posto.
Feci spallucce. Essermi tolto lo stresso di dosso doveva avermi un po’ spossato. Mi accoccolai nella mia poltrona, e mi tirai sulle gambe la coperta che le mie donne, mamma e Kazuha, mi avevano fatto per natale ai ferri. Scaldava come un termosifone, quel groviglio di lana blu notte. Stavo per addormentarmi, quando quella sensazione mi fulminò di nuovo. Ma che diavolo stava succedendo. Mi voltai di scatto, e schizzai in piedi. Non erano i nervi. C’era qualcosa di strano, in quella camera.
Tesi le orecchie. Conoscevo quel tipo di sensazione, quel brivido..qualcuno era entrato nella stanza, lo percepivo forte e chiaro. Ma quando, che mi ero allontanato per pochi secondi e solo di pochi metri? Le infermiere di notte mi conoscevano ormai, era una settimana che ero lì dentro, e mi avrebbero avvisato se entravano per vedere il bambino. E poi le avrei viste passare, o almeno sentite. Le infermiere non si aggirano negli ospedali alla chetichella come ladri..
..ladri? no..non può essere..
Mi voltai verso la finestra, e visi che le tende erano spostate. Esasperato, sbuffai.
“Ma dimmi tu se si può essere tanto imbecilli! Per poco non vado a chiamare la sicurezza, brutto scemo! Dai, vieni dentro, non mi fa che cadi di rosso, diventando una frittella..” sbottai.
Rimasi in attesa per qualche secondo, poi la tenda si sposto di nuovo, e sulla soglia della finestra apparve una sagoma: il mantello candido mosso dal vento, quel cilindro così familiare..
Entrò leggero nella stanza come un gatto, e chiuse subito la finestra, per poi voltarsi a guardarmi.
“Bravo, hai del talento a sentire la presenza degli intrusi a pelle..” mormorò.
“In vero, avevo previsto che prima o poi saresti venuto. So che anche tu tieni a lui, a tuo modo. Lo hai designato tuo unico carceriere, se non sbaglio, vero..Furto Kid.” Risposi, tranquillo.
Lui annui, e si fece avanti. Posai la mano all’interruttore della lampada sul tavolinetto di Shinichi, ma Kid mi fermò con un gesto.
“Non accendere la luce, ti prego! Non voglio tu mi veda in faccia.. In teoria nemmeno sarei dovuto venire. Sapevo che eri qui..”
“E perché allora lo hai fatto?” chiesi, senza levare il dito dall’interruttore.
Kid sospirò.
“Lo dovevo vedere. Non potevo non venire. Quando ho saputo da papà Nakamori la notizia che il figlio del detective Goro era in fin di vita in seguito ad un incidente, per poco non mi prendeva un colpo. Sono partito subito per Tokyo, ma quando sono arrivato, l’altro ieri, ho trovato il posto pieno di poliziotti e tu come sentinella fissa. Sconfortato, avevo deciso di tornare a casa, ma alla fine non me la sono sentita. Lo volevo vedere, volevo vedere come stava. E’ il mio carceriere ufficiale, come hai detto tu, ma è anche..un mio carissimo amico.”
Nulla vi era, in quel tono, del solito Kid a cui eravamo abituati. La sua voce era triste, flebile, quasi tremula. E pure la sua entrata smascherava il suo stato d’animo. Una goffaggine non sua lasciare le tende tirare e far sentire la sua presenza. Lui era il “ladro fantasma” dopotutto. Doveva essere davvero molto preoccupato.
“Io conosco il tuo volto, Furto Kid, e anche lui sa chi sei” mormorai, docile.
Lui si irrigidì.
“Non è vero!” sbotto, teso.
Io annui, sedendomi sulla sedia davanti al letto, di fronte a lui.
“Si che lo sa. Come tu sai chi è lui, non è così?”
Lui titubò, poi annuì.
“Si, ma me lo ha detto lui di preciso cosa è successo e chi era, io avevo solo capito che non era un bambino come gli altri. Ma non credo proprio lui sappia chi sono io..”
“Sei il figlio di Nakamori, giusto?” dissi io, sistemando le coperte di Shinichi.
Sentì Kid trattenere il respiro.
“Come..come lo hai scoperto?” mormorò, la voce ridotta a un filo.
Io risi piano.
“Me lo hai detto tu pochi minuti fa. Quando hai parlato di come hai saputo del fattaccio hai detto “papà” Nakamori.. chi chiamerebbe “papà” Nakamori se non suo figlio? Io so che Nakamori ha una figlia femmina e uno maschio della mia età , e tu ovviamente non sei una ragazza,no?
Lui rimase interdetto per un paio di secondi, poi rise piano.
“Ok, quel ragazzino alla fine mi ha rovinato definitivamente, perfetto. Prima mi ci affeziono sapendo che vuole mettermi i bracciali, poi gli permetto di aprirmi il suo cuore, incrementando i miei sentimenti per lui. Un anno fa, poi, per poco non mi ammazzo per salvarlo. E ho pure svolazzato come un dannato piccione sopra un mare di volanti della polizia per aiutarlo! E ora finisco pure per tradirmi, tanta è la mia preoccupazione per lui. Ah dio, che cosa mi hai fatto, Shinichi Kudo?”
Accesi la luce. Il chiarore fioco della lampada gli illuminò il volto.
Era davvero lui, il figlio dell’ispettore Nakamori. Teso e triste, mi guardò.
“Ti prego, non lo dire a nessuno, nemmeno alla tua ragazza, ok? In circostanze normali, scapperei in una coltre di fumo, come faccio sempre,ma non lo voglio fare. Sono venuto qui di mia spontanea volontà sapendo che eri qui, no? non voglio fare nulla di male. Voglio solo stare un po’ qui con lui, poi toglierò il disturbo. Non mi importa se sai chi sono veramente, tanto per rispetto suo non mi arresteresti mai, ma gli altri poliziotti non lo devono sapere, o verranno a prendermi, e io ho altri piani. Una sola persona al mondo mi arresterà: lui.
Non permetterò a nessuno di prendere il suo posto come mio carceriere, nemmeno a te che gli somigli tanto. Se dovesse succedere il peggio, io mi costituirò di mia spontanea volontà quello stesso giorno, lo giuro..”
Una lacrima colò sul suo viso in genere sprezzante e allegro, e mi ritrovai toccato dal suo inusuale comportamento. Era un uomo d’onore, bisognava ammetterlo. Era venuto anche se rischiava tutto. Voleva davvero bene a Kudo. Gli porsi una mano.
“Sarai pure un lestofante, ma ti rispetto, amico. Se un ladro vecchio stile, hai rispetto per i tuoi rivali. Io, da parte mia, stanotte mi sono addormentato sulla mia poltrona e mi sono fatto una dormita fino alla mattina, perciò non ho nulla da dire a nessuno.”
Kid mi guardò colpito, poi prese la mia mano.
“Noi apparteniamo a una generazione di guardie e ladri ormai estinti, caro mio, bisogna tenersi saldi per non finire come quella gentaglia là fuori. Io nemmeno giro armato, quando.. beh lavoro. Per quanto riguarda lui..” e indico Shinichi. “E’ si il mio carceriere, ma è anche uno dei miei più cari amici. Sono un po’ strano io, non amo socializzare più di tanto. Lui è uno dei pochi con cui abbia legato. Lo sento affine, lo capisco, e lui in un certo senso capisce me. Come se fossimo..fratelli.”
Ascoltandolo, mi sembrava di vedere un me stesso replicato. Shinichi significava le stesse cose per entrambi. E pure io, come Kid, non mi accostavo più di tanto, al modo la fuori..fratelli..
“Bene, a quanto pare non solo il solo messo così, dunque.” Dissi, ridacchiando.
Kid mi guardò confuso.
“Non capisco..” disse.
Io annui.
“Io sono esattamente come te. Io pure vedo solo in Shinichi una persona degna della mia fiducia, capace di capirmi e di farsi capire a sua volta, legato a me come da un legame fraterno, di sangue. Io sono sempre stato per i fatti miei fin da piccolo, e un po’ devo dire mi dispiaceva. Poi è apparso Shinichi sui giornali: Era un bambino come me, eppure faceva cose straordinarie, e così ho cominciato a seguire le sue gesta: non credevo esiste qualcuno come me, e invece lui era lì, nero su bianco. Mi convinsi a diventare come lui, e pian piano ci riuscì..beh quasi. Siamo figli di mondi diversi, noi tre, ma abbiamo lo stesso pensiero. Io, il figlio ribelle del questore di Osaka, lui il principino viziato e solitario, e infine tu, il figlio del capitano della polizia di Kyoto che..beh non ha seguito esattamente le orme del padre. Però tutti e tre abbiamo una cosa in comune: questo bambino. Lo proteggiamo e condividiamo il suo segreto, guidati da un profondo rispetto e una quanto bizzarra amicizia. Siamo guardie e ladro, ma con sani principi.”
 Mi voltai verso Shinichi. Avevo capito perché entrato in quel posto, avevo detto che era mio fratello. Lo avevo detto perché nel mio cuore, lui lo era davvero. Lui era il mio migliore amico, il mio fratellino.
“Eh si, tu si che sei un marmocchio nato con la camicia,eh? Nella più nera delle sfortune, è riuscito a nascere qualcosa di buono, alla fine,eh?”
Kid mi guardò colpito.
“Può..può sentirci?” chiese, avvicinandosi, titubante.
“Non ne ho idea, ma io gli parlo lo stesso, proprio come se dormisse. Poi se mi sente, bene, sennò..beh meglio, oserei dire. Ultimamente sono un po’ via di testa,straparlo..”
Kid annui.
“Anche io gli avrei parlato, fossi stato in te. Rende meno definitiva la cosa. Sembra solo che dorma, se gli si parla normalmente, no?”
Io annui. Aveva capito perfettamente.
“Ok..” disse, schiarendosi la voce. “Allora gli parlerò anche io, così non potrà dire che non sono passato a vedere come stava e darmi dell’ingrato. Hei, Sherlock Holmes, qui Lupin 2000. Ascoltami bene, se puoi: non ti azzardare a fare scherzi, chiaro? Se osi giocarmi qualche brutto tiro, sta tranquillo che troverò il modo di vendicarmi, dovessi aspettare di raggiungerti all’altro mondo, te la farò pagare..”
“Oh poco ma sicuro, e io te lo terrò fermo. E’ colpa sua se è ridotto così. Sto aspettando pure io che si svegli, per dargli una sonora batosta “alla Heiji”..non sai che ha combinato, questo pazzo..
Gli raccontai della notte al porto, di come mi aveva fregato ed era andato là da solo. Vidi la rabbia sorgere sul volto di Kid.
“Sempre il solito incosciente..” ringhiò. “Infatti mi sembrava che la versione della polizia non reggesse..oh, kudo, ma come hai potuto?”
“Già. E ora tocca a me stare qui mangiato vivo dalla preoccupazione e a inventarmi un modo per salvargli la pelle..”
Kid sospirò.
“Non esiste modo di svegliarlo, deve farcela da solo, purtroppo. Farei di tutto per aiutarlo anche io, ma non possiamo fare nulla, né tu ne io, ne i dottori qui fuori..”
“Eh si, i dotto..ehi, un momento..ma tu puoi fare qualcosa!” esclamai.
Kid mi guardò, stupito.
“Io? Io sono un mago illusionista, non uno stregone alla Merlino, detective del Kansai, non mi sopravvalutare..”
“Ma il medico, volendo, lo puoi fare?” insistetti.
“Ragazzone, io a malapena riesco a curarmi il raffreddore, figurati fare il dottore..”
“Oh Gesù, non un medico vero, tonto! Io parlo di travestirti da medico e riuscire a darla a bere..”
“Ah..uff, e che ci vuole. Basta che non mi mandino a operare qualcuno, ce la faccio tranquillamente. Ma se devo impersonare un dottore preciso, devo studiarmi bene il soggetto, in modo da copiarlo speculare e rendere bene la truffa. Io ci tengo che sia fatto bene, il lavoro, sono un perfezionista..” disse, con aria di superiorità.
Io lo guardai, e mi sorse in viso un ghigno.
“Credo sia la prima volta che sono felice di sentire qualcuno parlare così. Kid, ho del lavoro per te..”
“Che tipo di lavoro?” chiese, curioso. “Riguarda lui?”
Io annui.
“ Diciamo che si è riscattato dalle sue colpe, a modo suo. Non ci crederai, ma da quando è in questo stato..una volta è riuscito a comunicare con me..”
Kid trasalì.
“Come? Scherzi, vero?”
 “No, caro mio. Credo abbia usato tutte le forze che gli rimanevano, ma ci è riuscito. Così..”
Picchiettai col dito sul tavolino. Kid in primis parve non capire, poi colse il senso del mio gesto.
“Per le catene del grande Houdini..Morse! ma.. ma è un genio, dannazione!”
“Si che lo è, lo dico sempre..comunque questo è il messaggio da lui trasmesso: fa che sia nel mio corpo.”
Kid parve rimuginarci su. Poi mi fisso, sconvolto.
“ Oh no..non vorrai mica dirmi che vuole..”
“In primis lo credevo anche io , ma poi..”
Gli raccontai delle mie teorie, e poi del piano fatto con Ai. Tirate le somme, rifletté qualche istante, poi annui.
“Si, si può fare, no problema. E’ un furtarello da nulla, e per la parte del medico di Conan, due giorni mi bastano per memorizzarla per bene. Ora vado: devo mettermi subito al lavoro, stanotte stessa!”
“Che vuoi fare?” chiesi
Lui mi ammonì con il dito.
“Fai la tua parte, io farò la mia. Mi farò sentire io. Notte..fratellino. kiss!”
Detto questo spiccò il volo dalla finestra e sparì nella notte.
Non sapevo come ero finito a confessare tutto proprio a furto Kid. Mai nella vita ci avrei creduto, se me lo avessero raccontato. Ma il mio cuore era sereno, lui non ci avrebbe traditi. In fondo..eravamo fratelli, no?
La mattina dopo sentì le infermiere discutere concitate. Qualcuno aveva frugato negli inventari a parer loro, anche se tutto era in ordine e nessuna porta o serratura era stata scassinata. Erano spariti dei moduli di vario tipo, a sentirle. Alla fine decisero che probabilmente erano solo stati buttati via per sbaglio da una di loro o da qualche giovane collega in erba. Insomma, avevano detto, senza scassinare nemmeno una serratura o far saltare nemmeno un allarme, se davvero erano stati rubati, avrebbe dovuto essere stato..un fantasma.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


I due giorni chiesti da Ai per la preparazione del farmaco erano trascorsi..e altri 5 di seguito. Più la settimana che era trascorsa da quella notte, erano due settimane.
Due settimane prigionieri di quell’incubo.
E come se non bastasse, Furto Kid era svanito senza dare notizie. Che scemo, che imbecille..ma che mi era passato per la mente? Snocciolare tutto così, al primo venuto? Ma no, il primo venuto sarebbe stato meno grave..avevo snocciolato tutto all’ultima persona al mondo a cui dire checchessia!
E ora chissà dove stava..povera progettare tutti i suoi adorati furti indisturbato, il maledetto. Se i due mastini sono ben legati alla catena, chi avrebbe mai beccato il gatto?
“Sai, era l’occasione buona per tentare di svegliarti, amico! Almeno mia avresti potuto tappare la bocca! Con tutte le volte che lo hai fatto, avrai il brevetto ormai..”
Già, la mia linguaccia ormai era famosa. Non si contavano più le volte in cui mi ero impappinato e avevo quasi rivelato il segreto di Shinichi. Era per quel motivo che non piacevo ad Ai. Mi reputava un mocciosetto zelante con troppa lingua e troppo poco giudizio. Quanto aveva ragione..
Mentre cercavo una maniera abbastanza dolorosa per ammazzarmi, Ai entrò nella stanza, con la mia colazione. Mi guardava a malapena in faccia da quando aveva saputo del mio colloquio notturno con il ladrastro. Poi dopo che era sparito, mi domandavo quanti pasti preparati da lei avrei ancora potuto consumare prima di beccare quello avvelenato..
“Beh abbiamo perso abbastanza tempo: i Kudo arrivano oggi pomeriggio, e devono sapere del piano. Non ti sarà difficile parlargliene, dopo tutta la pratica che hai fatto ,no?
Si, grazie, inveisci pure, me lo merito, pensai.
Mi limitai ad annuire.
Lei mi guardò con la coda dell’occhio.
“Per i permessi..ci arrangeremo in qualche maniera. Al limite, possiamo chiuderci qua dentro e attuare il piano, se proprio vedo che i medici fanno storie. Mal che vada, finirai tu in galera, mica io.”
Prego, prego, nessuno scrupolo..
Annui di nuovo.
“Bene, allora io vado, che tra un po’ devono venire i bambini. Ci vediamo oggi pomeriggio. Fai colazione..”
Detto questo uscì, ma non prima di fulminarmi con una delle sue occhiate.
Io sospirai. Mi voltai verso Shinichi.
“Se hai in mente di svegliarti per prendermi a calci pure tu, questo è il momento buono. Ho il morale sotto le scarpe, sono vulnerabile. Uff, e oggi pomeriggio mi devo sorbire i tuoi da solo. Sai che allegria, spiegare tutta questa storia: In primis devo dirgli che ho disertato alla protezione del loro amato figlio. Va bene che mi sei scappato sotto il naso, ma avrei dovuto sapere che lo avresti fatto e tenere la guardia alzata.
Poi devo dire loro che il colpo che ti ha ridotto così era per me. Sicuro che diranno cose del tipo: Shinichi è fatto così, non ne siamo sorpresi, ecc.. Ma in cuor loro vorrebbero che i ruoli si invertissero, e io non gli do torto. Sono i tuoi genitori, è normale.
 E in ultimo, devo dir loro del piano, e ovviamente questo include il fatto che ti ho venduto al tuo acerrimo nemico..chissà se resterà abbastanza di me per poter avere una degna sepoltura..”
Gli carezzai la fronte.
“Sono già trascorse due settimane, sai? Davvero. Non posso certo dire che siano volate, però. Ti assicuro che è una situazione del cavolo, quella dove siamo. Per me meno, io mi mantengo lucido con questi monologhi. Beh monologhi, una parte di me, quella più vicina al cervello, razionale e cinica che generalmente uso quando lavoro per intenderci, pensa sul serio che siano solo monologhi, ovvero che in questo momento sto parlando da solo, e che prima o poi me ne renderò conto e sprofonderò nella depressione. Ma rimane sempre quell’altra metà, quella più vicina la mio cuore, sentimentale e emotiva che crede davvero fermamente che tu possa sentirmi. E io mi appello a quella parte di me ogni santo giorno da qui a due settimane, facendo tacere con tutte le mie forze l’altra, per riuscire a stare a galla. Sai per esperienza quanto sia dura far tacere il cuore per far spazio alla razionalità. Con il mestiere che abbiamo scelto, se lasciassimo campo libero ai sentimenti, ci toccherebbe diventare degli alcolizzati per riuscire a sopportare la pressione. No,l’unica è non guardare in faccia nessuno e andare avanti per la propria strada. Che sia bella o brutta, la verità è una sola, sempre, e deve trionfare su tutto e tutti. Me lo hai insegnato tu, la prima volta che abbiamo lavorato insieme..”
Mi si contorse lo stomaco. Faceva davvero male pensarci. Pensare a quei tempi, quando lui era il mio mito, quando divorato dalla smania di misurarmi con lui, di batterlo, mi ero recato all’agenzia e avevo preteso di vederlo e di sfidarlo. Allora non sapevo cosa stesse passando, e cosa ancora doveva passare. Allora la mia vita era ancora leggera. Le mie notti non erano mai turbate da incubi affiancati da sudati e ansimanti risvegli, i miei pensieri mai costellati dall’ansia. Non tenevo mai il cellulare sempre acceso e sempre a portata di mano. Non andavo certo in crisi se non mi arrivavano messaggi per più di due giorni, e mica partivo di corsa per Tokyo se ciò accadeva. Si, la mia vita era cambiata da quando conoscevo Shinichi, nero su bianco. Però mai nella vita mi pentirò di quello che ho fatto. Non so adesso dove sarebbe Shinichi se non mi avesse.. beh, confidato il suo segreto.
“Si, quella volta hai detto che ti avrei portato solo guai, e che maledivi la tua disattenzione nei miei confronti. Hai detto che non sopportavi che sapessi la verità, che reputavi il tutto un errore fatale, che prima o poi ti avrei fatto pentire di avermi detto chi eri. Beh quel giorno è arrivato..e tu probabilmente nemmeno te ne rendi conto..Ma ti giuro..”
Gli presi la mano.
“..Anche se lo facessi con il solo scopo di prendermi a pallonate, per urlarmi che sono il solito idiota, che lo sapevi che ti avrei deluso, anche se fosse solo per questo..io vorrei che ti svegliassi comunque. Qui va sempre peggio,Kudo. Posso far finta di niente quanto mi pare, non risolverà il problema che si sta creando là fuori..”
Era vero. Portare i paraocchi come i cavalli serviva a ben poco, ormai, la situazione andava aggravandosi ogni giorno di più. Goro, sua moglie, Sonoko e tutti gli altri, polizia compresa, ormai venivano all’ospedale solo per proforma, tanto per farsi vedere da Ran. Ran..lei era il problema.
Ai lo aveva detto, lo aveva previsto. Ran era ufficialmente crollata. Ormai parlava col contagocce, e perlopiù erano frasi sconnesse e prive di senso, come: oh, oggi è nuvolo, meglio mettere un ombrello nello zainetto di Conan..
Io la osservavo, e mi sentivo male. Per fortuna, Kazuha le stava accanto, e si poteva dire tranquillamente che era rimasta lucida per entrambe. Era più forte di quanto pensavo, la mia bambolina.
Dopo pranzo (senza veleno, grazie al cielo..) arrivarono i Kudo. AI, da brava bimba, aveva tagliato la corda prima ancora che il profumo della signora Kudo uscisse dall’ascensore. Grazie mille..
Io aspettai dentro la stanza di Shinichi. Il mio fegato di era dato malato, quel giorno..
“Heiji, tesoro..”
Mi voltai.
Yukiko Kudo era in piedi sulla soglia, bella come sempre, anche se vedevo un sottile velo scuro nel suo sguardo solitamente allegro e frizzante. Indossava un maglioncino rosso e dei jeans scuri, e ai piedi delle scarpe col tacco, mentre i lunghi capelli erano fissati in una coda da un nastro. Era impeccabile, nonostante tutto. Suo marito le faceva da ombra, nel suo completo giacca-pantalone scuri e col soprabito della moglie in braccio e le valige al fianco. Avevano provato a partire non appena li avevo chiamati, ma il signor Kudo era stato raggiunto dagli editori ed era rimasto bloccato. E poi io stesso avevo sconsigliato loro di arrivare con troppa tempestività, per non destare sospetti. Chi è che piomba sul posto saputo che il figlio intravisto di una lontana parente sta male?
“Salve..signora Kudo.”
Avrei pagato a peso d’oro per due dannate gocce di saliva in bocca.
Lei mi guardò intenerita, poi volò verso di me e mi gettò le braccia al collo. No, così era cento volte peggio.
“Oh, amore, non so cosa dire..oh, Gesù santissimo..”
“Lei..lei non deve dire niente. La colpa..la colpa è mia..” bofonchiai, il viso premuto nel suo maglione.
Lei mi afferrò il viso e mi guardò fisso. Aveva gli occhi lucidi, ma la voce era ferma.
“No! lo dico sempre: se ti vengono in mente solo stupidaggini, si fa sempre meglio a tacere. Quindi, heiji, non dire niente, per piacere! Incolparsi dell’incoscienza di mio figlio..ma dove ti viene! Come se potesse qualsiasi cosa a questo mondo riuscire a fermarlo, quando si pianta in testa un pensiero..su, fammelo vedere..”
Mi passò oltre e prese posto alla mia sedia. Allungo una mano e afferrò quella di Shinichi.
“Ciao, Shin-chan. Neanche ti sto a dire chi sono, tanto non serve. Solo io ti chiamo così, no? e poi, tu la riconosci sempre la voce della mamma..”
Una lacrima corse sul suo bel viso, ma la sua espressione non mutò. Lo guardava come se fosse il suo bambino assopito nel letto della sua cameretta, coi volumi di Conan Doyle sul comodino e la camicia col farfallino rosso appesi alla sedia della scrivania, accanto allo zainetto pronto per il giorno dopo. Una sera come tante, in cui era tornata a casa tardi e lo aveva trovato già sotto le coperte e aveva deciso di dargli un bacio prima di andare a dormire anche lei.
Yusaku Kudo restava nel suo ruolo, alle spalle della moglie. Non sapevo dire perché non parlasse, ma speravo non fosse d’accordo con il mio pensiero. Non osavo chiedere..
“Bene,  è pallido, ma mi sembra star bene, a parte tutto, no?” disse la signora Kudo, dopo aver fatto sparire la lacrima dalla sua guancia con un gesto impaziente.
Io venni scosso dai miei pensieri.
“Ah..si,certo, la ferita è guarita, però gli lasciano su il polmone artificiale ancora un po’, per precauzione credo..” borbottai.
Lei annui.
“Chiederò per quanto ancora questa “precauzione” sarà necessaria. Non mi va che rimanga appiccicato a quel mostro, se non serve..” disse guardando disgustata il macchinario che aveva sostituito il polmone collassato di Shinichi. Poi si voltò verso il marito.
“Hai in mente di fare la pianta grassa per tutto il giorno? Non è una veglia funebre, Yuzo, nostro figlio è lì!”
Lui sospirò.
“Bella faccia tosta! Osa parlare colei che mi ha lavato a secco la camicia a furia di piangerci dentro, quando heiji ha telefonato..” rimbeccò lui, mesto.
Lei tirò su il naso.
“Gioia, veniamo al dunque, per piacere, almeno mio marito manifesterà presenza. E’ come la sua prole, qui: niente cuore, solo cervello. Racconta per bene che è successo, da bravo.”
Suo marito le scoccò un ‘occhiataccia, poi si accostò a lei, e mi fissò intensamente. Li guardai entrambi. Lo guardo e l’espressione di lui e gli occhi di lei: Stavo guardando Shinichi.
Raccontai per filo e per segno di quella notte. Mi sentivo meglio quando raccontavo la versione vera, non la montatura creata per le orecchie della polizia. Almeno non mi dovevo sforzare per inventare dettagli inesistenti e far combaciare le versioni di tutti. Poi raccontai del piano, e li presi ad osservare i mie ascoltatori per bene, mentre parlavo. Alla prima manifestazione di disappunto o paura, avrei ritirato le carte dal banco. Nessuno mi avrebbe mai spinto a preoccuparli o spaventarli di nuovo.
Alla fine, i Kudo si guardarono per un lungo istante, poi sospiravano.
“E dire che sono stata attenta, quando lo allattavo. Non ho mai bevuto ne mangiato cose strane. Eppure guarda che razza di..demonio! ma che diavolo hai in corpo, Shin-chan, eh? Ma ti rendi conto? Misericordia..appena ti alzi, vedi che ti succede..farai bene a fare il giro largo dalle mie parti, perché se mi arrivi tra le grinfie, giuro sulla tua testa che come ti ho fatto, ti disfo! E stavolta non ci saranno papini che reggano!”
Era furiosa. Io e il signor Kudo la osservavamo inermi riversare la sua rabbia su suo figlio. Wow..promemoria: non fare mai perdere le staffe alla signora Kudo.
Poi, mentre sembrava pronta a ripartire con un nuovo vomito di parole cariche di rabbia, inspiegabilmente mi venne incontro e mi scoccò un bacio sulla fronte.
“Tu..tu sei da fare santo subito, tesoro mio, sfido chiunque a dissentire! Ti sei addossato il peso di questa cosa senza battere ciglio, hai fatto il pendolare da qui al kansai e non hai mai detto A o Ba. Hai rischiato il pelo cento e più volte, e ancora eri li al suo fianco..tu sei un angelo ai miei occhi ,Heiji..il suo angelo.”
In quel momento, mi sentii come uno che ha portato di peso un divano a tre piazze sulle spalle per sei rampe di scale e finalmente vede il salotto dove va messo e se ne libera. Mai stato meglio..
“So bene che fareste a cambio, ma mi rincuora non sapervi convinti della mia colpevolezza..” mormorai.
La signora Kudo portò una mano al petto, sconcertata.
“Come? Io sono una madre, tesoro! Con tutto il male che sto patendo, credi che vorrei far scarica badile su una collega? No, che dio non voglia mai tua madre porti questo fardello, Heiji..”
“Yuko ha ragione. Per quando siamo in pena per nostro figlio, non vorremmo mai che i ruoli di invertissero. Meno che meno dopo tutto quello che hai fatto per Shinichi. Guarda come sei sciupato.. da quando tempo non esci da questo edificio, figliolo?”
Non vi era rancore in quella voce. Avevo veramente messo giù il divano.
“Da quando ci sono entrato con lui..non l’ho mai lasciato, neanche per un momento..”
La signora Kudo portò le mani alla bocca, commossa. Poi mi strinse forte, strofinando la guancia contro la mia.
“Ok, amore, basta così. Hai fatto più di quanto avresti dovuto. E’ finita, tranquillo, siamo qui noi adesso..”
Io la allontanai.
“No!” esclamai con veemenza. “Non me ne vado, anche se siete qui! Io non mi muovo, senza di lui. Usciremo da qua come ci siamo entrati, insieme!”
Lei mi sorrise.
“lo so, tesoro, e accadrà stasera, se tutto va bene.” Rispose lei piano al mio orecchio.
Io oltre la sua spalla, guardai suo marito. Sorrideva, tranquillo.
“Come, scusi?” chiesi confuso.
Lei mi lasciò andare, si diresse verso il marito, frugò nella sua giacca con mani leggere, e da una tasca interna estrasse dei fogli di carta piegati. Li spiegò al meglio, e me li mostrò:
“Circa due settimane fa, mentre ero in veranda a prendere il fresco, mi è spuntato davanti qualcosa che per poco non mi fa venire un infarto. Riacquistata lucidità, ho visto che era un colombino bianco, e legato alla zampa, aveva questi fogli e un biglietto. Diceva di compilare i moduli, e di aspettare in veranda alla stessa ora, che qualcuno gli avrebbe ritirati la sera successiva. Io ho fatto come richiesto, senza però capire. La sera dopo però, ho avuto le mie risposte, e il mio cuore ha fatto un salto, stavolta di gioia. Purtroppo però, quegli sciacalli degli editori hanno tenuto Yuzo al cappio fino a stamane. Abbiamo perso del tempo prezioso, maledizione..”
“Signora..scusi se chiedo, ma..” dissi,  mentre leggevo i moduli di trasferimento ben compilati e firmati tra le sue braccia, soffocando un qualcosa che era mezzo riso e mezza furia omicida. “Le risposte di cui parla..per caso..glie le ha fornite un tizio vestito di bianco col cilindro che volava su un deltaplano?”
Lei mi guardò interdetta.
“Oh dio, no, come ti viene in mente?” rispose la signora Kudo, allibita.
Io mi interdissi.
“Ah no?”
Lei denegò.
“No, gioia. Me le ha fornite il portiere del nostro hotel. Era la prima volta che lo vedevo, da un mese che alloggiavamo lì, ma non potevo non fidarmi di lui. Somigliava al mio Shin-chan..”
Io la guardai, poi mi morsi un pungo.
“Mi sa che andrò a farmi la licenza di caccia..e a comprami un fucile..”
La signora Kudo sghignazzò.
“Lei sapeva che ti saresti arrabbiato, quando stamattina, l’abbiamo chiamata.”
La guardai.
“Lei chi?”
“La dottoressa che avrà in cura nostro figlio quando lo porteremo fuori. Ci ha fatto un ‘ottima impressione, nonostante tutto, e abbiamo molta fiducia nelle sue capacità” rispose lei.
“Ma di chi parla, signora Kudo? Nessun dottore avrà in cura suo figlio, una volta fuori di qui!” esclamai, ma a voce bassa.
“Vero” disse una voce di donna dietro di me “infatti io sono una scienziata, non un medico. Però non è il caso di fare tanto i precisini, signor pescivendolo linguacciuto..”
Mi voltai. Una donna sui venti anni in camice bianco mi fissava con aria di sufficienza, come se fossi un granello di polvere su un mobile antico. Aspetta un po’..quello sguardo, quella sufficienza..quel gelo..Maledetta!
“..Ai!?” ringhiai.
Lei annui, e ridacchiò sotto i baffi.
“dai, poche chiacchiere per una volta nella tua vita, Osaka. Il sole mangia le ore, non avrò questo stacco di coscia ancora per molto, quindi diamoci una mossa..”
Ok, niente licenza..datemi direttamente il fucile!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Caini traditori..giuda pugnalatori alle spalle..
“Hai in mente di fare il becco tutto il giorno?” mi mormorò Ai mentre pinzava i moduli ad una cartella, dove in precedenza aveva aggiunto i fogli con le ultime analisi di Shinichi.
“Non mi parlare, Mata Hari maledetta..” ringhiai.
“Mata Hari era una spia, mica una traditrice..e se posso dirlo, io sono proprio il contrario di Mata Hari. Non mi sono fatta sfuggire niente di quello che stavo facendo, a differenza di qualche uccellino canterino..”
“ Messalina..”
“Ok, ora ti prendo a calci..”
Battibeccammo per tutto il tempo, sotto gli occhi dei Kudo che assistevano quasi divertiti. Io invece, ero divorato dal nervoso. Per settimane, quello sciacallo in gonnella mi aveva fatto vergognare come un ladro per quello che avevo fatto, mi aveva parlato come se fossi quello che aveva spifferato a Hitler e soci dove stava nascosta Hannah Frank, e io come un imbecille mi divoravo vivo dal rimorso..maledetta!
“Beh, cara, se posso dire la mia, usi un po’ troppo il pugno di ferro, quando impartisci le punizioni. In fin dei conti, Heiji è solo un ragazzo..” disse la signora Kudo, carezzandomi la testa, su cui avrebbe fritto alla grande un’omelette.
Ai sorrise amabile.
“Se una piantina viene la sciata crescere come meglio crede, viene su storta. Io voglio solo che Heiji impari quando e con chi, e soprattutto di cosa, è il caso di parlare..”
“Piantala, bestiaccia malefica! Hai 2 anni più di me, non ti permetto di insegnarmi niente, chiaro?” rimbrottai, furibondo. Lei mi ignorò. La signora Kudo mi fece un buffetto.
“Su, su, calma adesso, sangue caldo. Tieni belli carichi quegli afflussi di adrenalina per dopo. Ci serviranno..non lo vedo facile, il vostro piano..”
“Il “suo” piano, casomai. Io che ne so? Niente!” rimbeccai, immusonito.
Ai mi guardò con lo sguardo che si riserva ai broccoli, e chiuse la cartellina.
“Ok, io sono pronta. L’antidoto, dato che non ne ho abusato come il nostro uomo, si di me dovrebbe durare 48 ore, quindi sono coperta. Ora, in teoria il nostro ladro gentiluomo dovrebbe essere qui a momenti, e quando arriverà, scatterà l’operazione “portiamo Shinichi fuori di qui”..”
“Uhm..che nome elaborato..fantasia, portami via..” mormorai, ostile.”
Ai mi fulminò.
“Dicevo.. quando Kid sarà qua, io e lui in veste di medici lo porteremo via. Lui, nelle vesti del dottor Chitosa, il medico che si è occupato di Conan finora, darà ordine ad un ambulanza di accompagnare il bambino all’indirizzo del dottor Agasa. Mi scusi, signora Kudo, ma abbiamo ritenuto poco sicura casa sua. Ran va dentro e fuori, potrebbe vedere qualcosa..”
“Avete? Oh, quindi anche il doc sapeva più di me..che bello!” sbuffai.
Ai si voltò verso di me, stavolta decisamente arrabbiata.
“Ora basta, sono due ore che non fai che ragliare come un mulo, ne ho abbastanza..Se imparassi a tenere la bocca chiusa, non accadrebbero certe cose! E adesso, se sento anche mezza parola da te, sta pur certo che ti avveleno veramente la cena, chiaro?!”
Non aveva urlato, ma le parole erano uscire come lastre di ghiaccio dalla sua bocca, falciandomi come un ciuffo d’erba dal prato. Cavolo..aveva davvero pensato di avvelenarmi, avevo visto giusto! Oddio..
“Ti ho punito, perché lo meritavi, e tu lo sai!” riprese.
Io la guardai un po storto, ma annui.
“L’ho detto subito che avevo sbagliato, ma non occorreva..”
“Sai, forse l’ho omesso, ma alcuni membri dell’organizzazione  sono camaleontici. Maestri nel camuffarsi, per dirla bene. Sai bene che chi ha fatto il danno è Gin, che non è capace di simili prodezze, questo no, però non sai affatto bene che fatto il suo compito, Gin ha il vizio di mandare dei cosiddetti “netturbini”  a vedere se il lavoro è venuto bene. Visto che il cadavere di Conan non è stato trovato, non ti ha attraversato la mente l’idea che magari Gin sappia perfettamente che gli è scappato di nuovo, e che magari avrà deciso di provvedere a e rimediare al danno? No, vero? Beh una che vive con quei mostri, la lingua finisce per inghiottirla, credimi, e nessun pensiero viene mai preso sottogamba..forse tu, che ci tieni sempre tanto a mettere il naso in questa faccenda, nemmeno ti sei reso conto realmente quanto quelle persone siano pericolose. Quanto la loro sete di vendetta può essere sconfinata. Quanto la loro crudeltà può essere disumana. Hanno preso un ragazzino di sedici anni e gli hanno calato in gola con due dita del veleno solo perché gli aveva intravisti, e nemmeno di faccia. E poi gli hanno pure sparato, e aveva le sembianze di un bambino di sette anni, e ancora non si sono scomposti. Mi scuso, signori Kudo, sono un po’ cruda, alle volte..”
Mi voltai. I Kudo guardavano Ai impietriti. Era del loro unico figlio che lei stava parlando.
“Senza parlare di quello che è stato fatto a me. Prima mi portano via i miei genitori, poi Akemi, e poi per dessert 15 anni di abusi mentali da quella bestia di Gin. Condannata a morire di fame in una stanza caldaie..anche se non avessi avuto il farmaco e non avessi avuto occasione di scappare, quello era il paradiso, a confronto con la vita che mi avevano fatto fare..”
“Ok, dacci un taglio, ho afferrato. Ora, ti prego, smettila, mi sto sentendo male..”
Lo dimenticavo sempre. Mi era troppo semplice accostare Ai a quella gente come loro pari, per via dei suoi modi, tanto semplice che dimenticavo sempre cosa era stata costretta a vedere e subire negli anni in loro compagnia. Lei aveva sempre detto che non era d’accordo con la loro modalità di pensiero, che era stata sconvolta nel sapere che quel mostro di Gin le aveva rubato le pasticche e che con esse aveva troncato un sacco di vite. Lei aveva sempre paura quando uno di loro era in zona, o anche se sembrava solo esserlo. Forse avrei dovuto prestare più attenzione a quella paura nei suoi occhi. Ai era una bambina distaccata e apatica, molto scostante e musona, e talvolta anche piuttosto cinica e insensibile. Anche da donna era così. Se una persona con un simile carattere tremava di terrore al pensieri di quegli individui, era chiaro che non erano una faccenda da prendere alla leggera..
Solo ora capivo. Si, riuscivo a capire perché aveva fatto ciò che aveva fatto..
“Scusami, credo di aver capito le tue intenzioni. Penso che tu abbia ragione: sono davvero un ragazzino con la lingua troppo lunga che non conosce il suo nemico. Mi dispiace davvero..Shiho.” mormorai.
Lei sussultò. Era la prima volta che la chiamavo così.
La signora Kudo intervenne.
“Cara, credo che abbia capito.” Disse, carezzandomi una guancia.
Ai mi soppesò per qualche secondo.
“Si, concordo. Ah che fatica, però. Certi bimbi sono davvero duri da tirare su..”
Ok,questa te la potevi risparmiare, però.
“Toc toc!” disse una voce alle spalle di Ai. Ci voltammo.
Il dottor Chitosa era sulla doglia, sorridente.
“Ah..dottor Chitosa, è qui!” disse la signora Kudo, sorridendo e andandogli incontro. Ai assunse subito una postura più professionale.
“Ah siete qui, bene..oh bene..” afferrò una mano della signora Kudo. “Lo sa? È persino più bella di quando le regalai la rosa a sei anni..” mormorò, e le fece il baciamano con aria pomposa.
“Come, prego?Dottore, non credo lei possa avermi regalato niente, a sei anni. Io non ero nemmeno nata, quando lei aveva sei anni, con tutto il dovuto rispetto..” squittì la signora Kudo. Poi parve riflettere sulle sue stesse parole. E sorrise, sospirando. “Ah sei tu, Kid, che spavento.. temevo che il dottore avesse perso la ragione..”
Kid sogghignò.
“Suo figlio è identico a suo marito.” Disse.
“Lo so” rispose lei, felice.
“Già, lei non è sveglia come il caro Kudo, che si sarebbe ricordato subito che il dottor Chitosa non aveva idea del vostro arrivo qui oggi, e senza ausilio dell’indizio della rosa che lui nemmeno conosce. Si,lui mai nella vita sarebbe rimasto fregato così facilmente..” mormorò Kid, allontanandosi  da lei con aria esasperata e dirigendosi verso Ai. La signora Kudo rimase di sale. Il marito sogghignò.
“Piccola peste..” sbottò la signora Kudo.
“Ah no, io esigo la perfezione, mia cara. Se lei non sta attenta a cosette come questa, finisce che va tutto in malora. Quest’operazione è delicata come i cristalli del mio maggiordomo: un minimo tocco, e vanno in mille pezzi..”
La signora Kudo mi guardò.
“Ora ti capisco, heiji. E’ irritante passare per scemo..”
Venti minuti buoni di messe a punto, di prove e di preparativi vati, il cast era pronto a andare in scena. Avevo già avuto le farfalle nello stomaco prima d’ora, ma in quel momento avrei parlato più che altro di tafani inferociti..
Uscimmo in passerella con disinvoltura: Il dottor Chitosa (quello vero, a detta di Kid, faceva la nanna nel suo Doblò dopo una bella fiutata di cloroformio, e sarebbe rimasto tra le braccia di Morfeo per almeno cinque o sei ore se non si andava a svegliarlo.. delicato,il ladrastro..) la sua collega, la dottoressa Kamura (uno dei ruoli di mamma Kudo ai tempi del liceo, una genialata della signora)  i Kudo, in visita al piccolo Conan per conto della cugina di lei, e io, che con aria tranquilla camminavo a braccetto con la signora Kudo, cercando nel frattempo di non farmela sotto.
Avevamo scelto l’orario del dopocena, quando il traffico di visitatori era ridotto. C’erano solo Ran e Kazuha, e in quel momento erano nel cucinino a farmi la cena. E poi dire che Ran c’era, era un eufemismo..
“Bene, siamo d’accordo, allora.” Disse Kid rivolto ad Ai, imitando tanto bene il tono e l’accento del dottor Chitosa che quasi mi venne un accidente. “Il respiratore però credo che dovrà tenerlo ancora un po. Lo spostamento potrebbe aggravare le condizioni del paziente. Comunque verrà trasferito tramite ambulanza, quindi il trasporto di macchinario e paziente non sarà difficile. Dopodiché affido il piccolo a lei, collega, sperando la sua reputazione le renda giustizia, ma è una cosa di cui non dubito affatto”.
Ai annui, serena.
“troppo buono. Bene, grazie della fiducia in me riposta, collega. Le chiederei però di accompagnarmi comunque al nuovo domicilio del paziente. Sa lei lo ha seguito finora, e le sue tracce mi sarebbero utili per delineare le mie..”
Kid annui.
“Si, nessun problema, tanto qui io ho finito. Bene, heiji, ti spiace chiamare i barellieri? D’ loro che un paziente, secondo volere della sua famiglia, va trasferito in diverso domicilio.”
Io annui. Benone, tutto filava liscio come l’olio. Nessuno sospettava niente. I barellieri non dissero niente, quando li avvisai, e mi seguirono senza fare domande. A detta loro, capitava spesso che i parenti portassero via i pazienti in quello stato, se passava tanto tempo.
In quatto e quattr’otto, Shinichi era a bordo della barella. La signora Kudo mi si era ancorata stretta al braccio, quando le infermiere e i barellieri avevano spostato Shinichi, e lui non aveva fatto una piega. Tranquillo, presto questa maledetta storia sarà finita, amico mio..
Ecco, le infermiere avevano lasciato campo libero ai barellieri, Ai aveva spinto fuori il respiratore dalla stanza, e Kid aveva coperto bene Shinichi. Ora bastava spingerlo fino all’ambulanza e..
“Mamma kudo? Perché è qui? E perché lo porta via?”
Mi bloccai, agghiacciato. Ran era in piedi davanti alla barella. Era sbucata da cucinino e bloccava la via nel corridoio, l’aria assente. Maledizione.
“Ah, angelo mio, sei qui! Ah, vedi, sua madre vuole che il piccolo stia a casa del dottor Agasa, ora che la guarigione delle ferite è ultimata. Sai, non è che i medici possano fare granché, quindi tanto vale portarlo via da questo posto, no? se si sveglia in casa del dottore, sarà più tranquillo,no?
Ran fissava la signora Kudo come se fosse sonnambula. Io nel frattempo, mi chiedevo che fine avesse fatto Kazuha, che sapeva bene che ran non doveva mai star sola, finche riversava in quello stato..
“Signorina, sta intralciando il passaggio.” disse Kid, con gentilezza.
Ran si voltò, meccanica.
“Non sono scema, lo so dove sono..” rispose, afona.
Io la guardai. Kazuha, vieni qui, porca vacca..
“Cara, non possiamo passare con la barella, se resti lì..” disse Ai, spazientita. Ok che ran non le piaceva chissà quanto, ma un po di maniere, santo cielo..
Ran la guardò.
“So anche questo, grazie..ehi, ma chi diavolo è lei?” disse, e assunse un’aria di sfida.
Ai sospirò.
“Mi hanno assunta i Kudo, secondo indirizzo del collega Chitosa. Sarò io ad occuparmi del piccolo, d’ora in avanti. Agasa e io ci conosciamo, quindi non ci sono problemi..”
“Io non la conosco, però, quindi un problema esiste..” rispose Ran gelida.
Oh per l’amor di..ma che accidenti ha, adesso? Kazuha!
“Ran, bambolina mia, che stai dicendo?” disse la signora Kudo, accostandosi a lei. Ran la guardò. Si muoveva come un automa, faceva venire la pelle d’oca.
“Impedisco che portino via il mio bambino, secondo lei che faccio?” rispose, secca.
Oh bene, favoloso..mai momento più adatto esisteva per impazzire del tutto, piccola Ran.
“ran, ma dove sei?” disse una voce proveniente dai bagni. Un attimo dopo, Kazuha usci tutta trafelata da essi. Era ora!
Ran si voltò a guardarla.
“Vogliono portarmelo via..” disse.
Kazuha guardò la scena, e rimase interdetta. Io dalla mia postazione, tentai invano di farle dei segni, senza destare troppa attenzione, specie quella di Ran.
“Ma..che succede qui? Heiji, che fanno?”
Ah adesso mi vedi, brutta oca..
“I kudo, secondo volere della cugina della signora, cioè la mamma di Conan, sono stati autorizzati a portare via Conan di qui. Lo portano dal dottor Agasa..” risposi, mesto. Ero ansioso che Kazuha capisse e levasse Ran da lì.
“ma..ma i medici che dicono? Conan deve essere costantemente controllato!” rispose lei, allarmata.
Io sbuffai.
“Tonta, gli Edogawa hanno mandato la dottoressa Kamura apposta per questo! È una collega del dottor Chitosa, quindi ci fidiamo. Ora..” e mi avvicinai a lei, per non farmi sentire da Ran “Sposta ran da lì davanti, e mettila a dormire. Straparla alla grande, dice che Conan è il suo bambino..”
Kazuha mi guardò allarmata, poi assunse un’espressione colpevole.
Oh dio, che aveva combinato, adesso?
“Ah..ecco a dire il vero è un pezzo che..che che lo dice, mica è la prima volta. Saranno..si, un tre giorni che è di quell’avviso. Non è che straparla, Heiji, però io non sapevo cosa fare, così l’ho lasciata stare..”
“Come sarebbe a dire che non straparla?”
“Non so come spiegarlo! Lei dal canto suo, ha le idee chiare. Si comporta come un animale che difende i suoi cuccioli. Ieri, per esempio, ha detto che non le andava a genio che i dottori toccassero troppo il bambino, e nemmeno tu gli dovevi stare troppo sopra, secondo lei..”
“Io? Io non gli devo stare sopra? Ma siamo impazziti? Io mi prendevo cura del bambino, kazuha!” sbraitai.
Lei annui.
“E’ l’istinto: lei vede in tutto e in tutti una minaccia per  il suo cucciolo, adesso che è vulnerabile..”
“Cucciolo? Istinto? Non è una leonessa, è una ragazza, e Conan non è un leoncino, ne tantomeno suo..”
“Vuole rimettere mio figlio nella sua stanza, per cortesia?” mormorò Ran, con aria minacciosa.
..Prego?
“Oh no, ricomincia..” belò Kazuha.
Io mi voltai.
“Ri-comincia? Lei..lei ha già fatto così prima?” chiesi, sconvolto. I kudo fissavano Ran, senza parole.
Kazuha annui. “Beh,non ha mai impedito ai dottori di lavorare, ma è un paio di giorni che dice che Conan è suo figlio. E’ partita gradualmente: prima diceva che era il suo tesoro, che se lo perdeva, era finita. Poi che l mondo aveva solo lui, che era l’amore della sua vita, e poi..che eccola lì.”
Io non ci vidi più.
“Quando accidenti pensavi di dirmelo, a pasqua?!”
Lei assunse un espressione da cane bastonato.
“Tu sei ridotto uno straccio, come facevo a dirtelo? Stai giorno e notte accanto a Conan, lei era compito mio! Non potevo addossarti anche Ran, avresti fuso..”
“Beh invece ha fuso lei! Cavolo, Kazuha, è impazzita, lo vedi?”
Ran si voltò di scatto verso di me.
“Chi è che è impazzito?” chiese.
Io la guardai. Era fuori come un balcone, fissava il vuoto.
“Ran..” tentai, calmo. “Ascolta, dolcezza, adesso tu vieni con me, ti bevi tipo un silos di camomilla e dormi fino a natale, ok? Stai un po fuori, se non te ne sei resa conto..”
“Oh no, affatto..” rispose lei, con una voce che sembrava la ninnananna di un pazzo. “Loro sono fuori, se pensano che permetterò che portino via mio figlio da qui..”
“Ran..che figlio?” chiesi, senza tanti complimenti. Se anche esplodeva, era sempre meglio che lasciarla lì a delirare.
Ran mi guardò come se fossi ebete.
“Mio figlio, Heiji, mio figlio Conan, di che altro figlio dovrei parlare?”
Io mi fregai le tempie.
“Ah ok, bene. E sentiamo, il padre chi sarebbe, lo spirito santo?” chiesi.
Lei inarcò le sopracciglia.
“Proprio tu mi chiedi chi sia il padre?”
Io mi bloccai. Ah no, eh..
“No, frena..mica penserai che..che il padre sia..sia io?!”
Kazuha squittì.
Ran emise un verso, tra un miagolio e una moina, indefinito.
“Ma che diavolo dici? Ma sei rimbambito? No che non sei tu il padre, santo dio..” disse Ran,  vagamente confusa, come se il matto in quella situazione fossi io. Beh, menomale, almeno quello, se non altro..
“E’ Shinichi suo padre, mi sembra ovvio, è la sua fotocopia..”
Silenzio.
Io guardai i Kudo, che guardarono Ai, che guardò Kid, che guardò me. Poi tutti guardarono me
Ok, toccava a me, perfetto..
“Ran..” le dissi piano. Ma perché quanto tutto è incasinato oltre ogni dire per i fatti suoi, salta sempre fuori qualcosa a complicare ancora di più? E lo scaricamento di badile complessivo non era d’aiuto. “Ran, cocca, ascolta me, adesso. Ma ti pare..no, di lì non andiamo da nessuna parte. Ok, prendiamo fiato..”
La guardai: Ran mi guardava con un’aria sognante da far venire i capelli dritti. Era sicura nel suo ragionamento. Nella sua mente, i matti eravamo noi! Come, avrei voluto sapere io, come avrei dovuto fare per farle capire, emotivamente instabile com’era senza fare ulteriori danni, che ad essersi rimbambita era lei, invece?
Il tempo stringeva. Se un qualsiasi rumore avesse per sbaglio svegliato il dottore addormentato nel parcheggio, noi l’ non dovevamo esserci più. SE l’antidoto decideva di fare di testa sua e di scemare riportando Ai nel suo tenero corpo infante svergognando la verità su di lei e Conan in piazza, io lì non avrei voluto esserci, o Kazuha e Ran avrebbero dato il via ad una battuta di caccia all’uomo. Avrei voluto solidarietà maschile in quel momento, ma Kid nella sua posizione sembrava sul punto di spalancare il suo deltaplano e di prendere la prima finestra per darsi alla fuga. Ai aveva i miei stessi pensieri, e non osava muoversi, ma forse era meglio non fare affidamento su di lei: a suo parere, si poteva benissimo investire Ran con la barella e lasciarla lì nel corridoio. No, tutto dipendeva da me..
Poi ad un tratto, mi investì una sensazione inaspettata. Nervoso.
Mi venne un tale nervoso che iniziai a mordermi la lingua in bocca. Friggevo letteralmente sul posto. Dopo tutto il male patito, dopo tutta la preoccupazione che avevo dovuto sopportare chiuso per mezzo mese in quelle 4 mura che ormai mi erano scese al vomito, a parlare con un bambino che supplicavo dio di riavere indietro, conscio che stava così per me, per avermi salvato. Dopo tutta la tribolazione di quelle persone che avevo visto cadere divorate dallo sconforto all’idea che ce la facesse. Dopo tutta questa bella frittata di cose orribili sopportate da queste 4 ossa finalmente si apriva una scappatoia che poteva cambiare tutto,.. e lei decide di andare fuori di testa? No, bella. Sei vuoi andare ai matti, aspetti il tuo turno dove sei stata finora.
Avanzai inferocito verso di lei, frugandomi in tasca.
“Ran, scusa, ma non ho tempo da perdere, adesso..buonanotte!”
“Ma cosa?..”
Ran strabuzzò gli occhi, poi mi cadde di peso tra le braccia. I presenti emisero un gemito di sorpresa.
“Bene, adesso..”
La presi in braccio.
“..andiamo, per piacere, dottor Chitosa, dottoressa Kamura..”
Come risvegliati da un sonno ad occhi aperti, i finti dottori e i barellieri, ripresero la marcia verso il parcheggio delle ambulanze.
“Ma..la signorina..” mormorò uno dei barellieri.
“E’ collassata, che vuole farci? Le daremo dei Sali o che so io, quando saremo nell’ambulanza..” rimbeccai, correndo appresso alla barella.
Arrivati, Ai disse ai barellieri che la loro presenza nel veicolo non era necessaria, che arrivati a destinazione, la sua equipe personale avrebbe provveduto, e se ne liberò. Chiuso il portellone, mollai Ran su uno dei sedili, e sospirai. Ero gonfio di adrenalina. I kudo mi guardarono, interrogativi, con Ai e Kid.
“Che c’è?” chiesi, col fiatone.
Guardarono in coro Ran, che russava al mio fianco.
“Ah lei..orologio narcotizzante. L’ho tolto a Conan quando l’hanno ricoverato. Non mi andava che i medici ci pasticciassero, e magari facessero partire gli aghi per sbaglio. Me lo sono ritrovato in tasca, e così..”
Mi guardarono torvi.
“Che bambino cattivo..” disse Ai, sogghignando.
“Ehi, staremmo ancora lì a discutere con Ofelia qui presente, se non mi fossi mosso io, chiaro?” dissi indicando Ran.
“Ha ragione..” mormorò il signor Kudo. “Non era in se. Dormire le farà bene, e non ci sarà di ostacolo..”
“Grazie, signor Kudo.” Dissi, annuendo.
L’ambulanza arrivo in meno tempo previsto. Un po di fortuna cominciava a girare, finalmente. Congedato anche l’autista e scaricato il prezioso cargo, era ora per Ai di fare la sua magia. Agasa ci rimase un po quando mi vide entrare con Ran.
“Ha appena telefonato Kazuha in preda all’isteria. Diceva..beh quello che sto vedendo, praticamente..ma perché è rimasta lì da sola, Heiji?”
Porca miseria..
“L’ho dimenticata, scusi, ho un po di caos in testa, al momento. La va a prendere lei, per favore? La tenga occupata, non può venire qui, adesso. La tiri lunga per strada, ok?” chiesi, mentre con Ai e Kid spingevo la barella nel laboratorio di Ai.
Agasa annui. Passando, guardò Il nostro paziente con aria preoccupata.
“Tranquillo, dottore, si fidi di me.” Disse Ai.
Depositai Ran sul divano e i Kudo, che in primis dissero che volevano assistere alla cosa, ma che poi su suggerimento di Ai cambiarono idea,  dissero che sarebbero rimasti con lei, ed entrai con Kid e Ai nel laboratorio. Un gran movimento di macchinari e sistemazione di paziente dopo, eravamo pronti. Ai aveva  anche estratto il respiratore. Shinichi emise un verso strozzato, quando il tubo scivolò fuori dalla sua bocca, e mi si fermò il cuore, ma Ai disse che si trattava di uno spasmo involontario. Gli infilò  uno stetoscopio sotto la schiena, e ascoltò.
“Respira.. Bravissimo, bambolotto, respira bene..meno male, un pensiero in meno, il polmone è guarito. Cigola un po,ma è funzionante. Però sei debole, eh? Ok..”
La vidi estrarre dal frigo, dei sacchetti collegati ad una specie di aghetto e si diresse verso Conan. Io mi voltai. Stavo sudando freddo. Odiavo quei maledetti cosi..
 Kid dopo un po, si defilò. Ero convinto se ne fosse andato, ma poi ricomparve, stavolta in abiti da “lavoro”.
“Mi si era sciolta la faccia, col sudore..” disse a mo’ di scusa. Prese ad osservare con me Ai che, sistemato Shinichi, smanettava con provette e siringe un composto violaceo molto liquido e schiumoso.
“Sei stato grande, Kid.” Dissi. “Se vuoi, puoi andare, adesso. Ti farò sapere io come va. Sei a rischio, se resti, lo so..”
“No, voglio restare, se posso..” rispose, deciso.
Io lo guardai. Poi annui.
“Ti fa onore..”
Lui sorrise. Si tolse la giacca e il mantello e il cilindro, e li posò da una parte. Era sudato fradicio, come me.
“Hai fatto bene a liberarti dei vestiti impiccioni. Tra un po mi servirà la vostra collaborazione..” mormorò Ai assorta, agitando una provetta mentre ci calava dentro una polverina nerastra.
“Noi? Ma a che ti serviamo, non siamo medici!” risposi, stupito.
Lei ci guardò.
“Il medico sono io, tranquilli, voi servite solo a tenere fermo Shinichi. La bio è un composto molto diverso dalla sua sorellina minore, l’ APTX, ma non del tutto dissimile. La trasformazione avverrà come di..ahi!”
Poso svelta le provette, e si afferrò il petto, affannosa. Nel giro di pochi minuti, la vedemmo rimpicciolire davanti agli occhi. Una manciata di minuti dopo, la piccola Ai si teneva coperta con il camice bianco, ormai enorme.
“..consueto..maledizione! Oh beh, fa nulla, ormai non mi serviva il mio corpo di donna..ah, vi girate per cortesia, ragazzoni? Dovrei cambiarmi..”
Io e Kid ci voltammo di scatto. Notai che Kid era un po cereo.
“Non ti ci abituerai mai, ti avviso. Io l’ho visto un paio di volte, ma ogni volta mi sciocco a morte..”
Lui annui.
“Houdini santissimo..” mormorò, rauco.
Dopo un po, Ai ci diede via libera. Ora indossava un camice più piccolo, su un vestitino color pesca  a fiori neri.
“Un regalo del dottore, adora viziarmi, e io lo lascio fare. Ha agognato a lungo di avere una bambina, sapete, e mi spiace deluderlo.. che gusti ha, quell’uomo, però, giuro che non lo capisco..” disse osservando il suo look, contrariata. Io e Kid ridacchiammo piano.
“Bene, la pappa è pronta..” disse, spruzzando un po di liquidi color cachi in aria per liberare la siringa dall’aria. La osservammo dirigersi verso Shinichi. Nemmeno quello zuccheroso abitino provenzale a fiorellini poteva smorzare l’effetto: anche nei panni di una tenera bambina, Ai era inquietante, nella sua professionalità.
“Un avvertimento. Ve lo stavo dicendo prima di..beh ritornare piccola. La bio è un composto molto instabile. Fa quello che fa l’ APTX , certo, ma non so se sia più o meno veloce , ne se il processo di trasformazione sia più incisivo o doloroso, ma credo lo sarà, quindi voglio essere pronta a tutto, e lo dovete essere anche voi. Non voglio vedervi giocare ai 4 cantoni, se inizia a comportarsi in maniera strana, ci siamo capiti? Qualsiasi cosa accadrà, voi non lo dovete mollare. Potrebbe reagire male, ovvero agitarsi e dimenarsi, e quindi potrebbe cadere dal lettino e farsi male.
Gli ho tolto il respiratore, ora respira da solo, ma è debole, quindi ho dovuto mettergli una flebo di vitamine e  una di sali minerali, perciò non può muovere le braccia, e se si agita potrebbe strapparsi la flebo, e sarebbe una seccatura, perciò voglio una presa salda si di lui, niente vacillamenti, ok? E’ per il suo bene, ed è la sola possibilità che abbiamo. Lui stesso, se potesse, vi direbbe di non fare complimenti, e lo sapete bene. Ah, un’altra cosa..”
E stavolta guardò più me che Kid.
“Non ho assicurazioni di nessun tipo sul suo risveglio, intesi? Non voglio scenate, se poi ritorna grande ma non si sveglia. Potrebbe rimanere incosciente, dopo che avrà riavuto il suo corpo. La sua è una teoria, dopotutto. I danni al polmone saranno ridimensionati e pure quelli al cervello, questo si, però non è detto che esca dal coma. Vorrei che questo fosse chiaro, per evitare false illusioni. Nemmeno lui, credo, ha la certezza di svegliarsi.”
Un brivido mi corse lungo la schiena, mentre gli occhi glaciali di Ai mi fissavano.  Annui. Lei fece lo stesso, mentre avanzava con la siringa tra le mani, e io e Kid ci calavamo sul minuscolo e gracile corpo di Conan per impedirgli eventuali movimenti. Sentì contro il mio gomito, il cuore di Shinichi battere.
Il cuore..si, io avrei ascoltato ancora il mio cuore..diceva che Shinichi ce l’avrebbe fatta..che si sarebbe svegliato.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Svegliati..
Non succederà niente di male..
Svegliati..
Però ho paura..
Svegliati..
Sono solo un ragazzo..
Svegliati..
Se solo riuscissi a smettere di tremare..
“Osaka, concentrati, per cortesia!” disse una voce.
Mi riscossi dai miei pensieri. Ai mi fissava, arrabbiata.
“Non è il momento di perdersi nei propri pensieri. E piantala di borbottare, mi rendi nervosa. Se sbaglio la vena, il suo sermone sarà inutile..”
La guardai. L’ago della sua siringa era ad un baffo dal braccio mingherlino di Conan. Kid mi fissava, il volto teso.
“Dai, ragazzone..” mormorò.
Io annui, un nodo in gola, il cuore che martellava.
Due secondi, e sarebbe stato troppo tardi, per tornare indietro. Non era il momenti di vacillare, niente tentennamenti. Eppure..
Eppure. Già, maledetto il tizio che aveva coniato quella parola. La parola del dubbio, per antonomasia.
Si, le prove spingono in quella direzione, eppure..
Si, sembra lui il colpevole, eppure..
Si, mi fido quando dici che tornerai, eppure..
Shinichi Sapeva che Ran era sua comunque, non c’era fretta di dirle cosa provavi per lei. Già, il tempo insieme non era certo destinato a finire..
Eppure..
Eccola, mesta parola. Eccola a colpire il filo rosso del destino come un colpo di accetta,troncandolo di netto.
Si, Shinichi. Credevi che avresti avuto una vita davanti per dire a Ran che l’amavi. Eppure..
Credevi che saresti tornato da lei, appena constatato che cosa faceva quel tipo nel vicolo. Eppure..
E io credevo di essere abbastanza forte da sopportare qualsiasi cosa. Eppure..
“Ok, ho trovato la vena, finalmente..” mormorò Ai. Premette lo stantuffo, e il liquido partì alla volta del vaso sanguineo.
Eppure..non ero pronto affatto.
“Ok, è in circolo..”
Niente. Per un secondo parve davvero non succedesse niente, che la tanto famigerata bio, così  invasiva e potente, in realtà fosse solo un fuoco di paglia.
“Beh?” chiese Kid.
Ai osservava ogni millimetro del corpo di Conan.
“Non può essere..vuoi vedere che a furia di antidoti, ha tirato su anticorpi abbastanza forti da fermare pure la bio? Giuro che se è così, lo ammazzo io, questo idiota..” ringhiai.
“No..la bio non l’ha mai presa..il suo corpo non ha mai buttato giù niente di così forte. Non capisco cos..”
“OH MIO DIO!” urlò Kid.
Tempo un battito di ciglio, e si era scatenato l’inferno.  Il corpo di Shinichi sembrava impazzito. Ogni singolo muscolo, ogni tendine, ogni terminazione nervosa, scattava come una molla, e con una forza spaventosa. Io e Kid lo tenevamo stretto, ma a fatica. Era come se avesse il diavolo in corpo. La sua pelle divenne improvvisamente rossa, come se si fosse scottato al sole, e il calore che sprigionava era intenso come quello di un braciere. Aveva la febbre altissima. Il respiro si faceva sempre più affannato, quasi bestiale, e tremava come in preda alle convulsioni. Sembrava la mutazione del dottor Jeckyll in Mr. Hyde, ma era orribile da vedere su un bambino. Poi Conan  prese a fare versi, simili a ringhi.
“Oddio..si sta svegliando!” urlai, ormai sdraiato sul suo sterno, per riuscire a domare quell’energia assurda.
“No! sono spasmi da dolore, sta ancora dormendo. Non mollarlo per nessun motivo.. inizia a cambiare!”
Lo guardai, e per poco non mi cedettero le gambe. Era iniziata la trasformazione.
 I vestiti iniziavano a stapparsi sulle braccia e anche i pantaloni di lacerarono, facendo posto a delle braccia e a delle gambe più gradi e più lunghe. I bottoni della giacca del pigiama di Conan schizzarono via per la pressione della stoffa, che si strappò per far posto al petto adulto di Shinichi. Anche il viso, rosso e teso per lo sforzo, iniziò a mutare. La forma del mento, la larghezza della fronte, la lunghezza del collo. sdraiato si di lui, gli afferrai una mano, e la senti crescere dentro la mia.
“Forza, amico mio, è quasi finita..” gli mormorai.
Ancora pochi istanti, qualche altro lembo di stoffa cedette, e poi come venne, la cosa finì. Io, kid e Ai rimanemmo fermi per qualche istante, poi crollammo.
“Bene..come supponevo, il processo di mutazione è stato un po’ più evasivo e doloroso, per il paziente, ma più rapido. Bene, e ora vediamo come stai, Sherlock..”
Io e kid eravamo fradici di sudore e senza forze, ma anche se col fiatone, restammo in attesa del responso di Ai. Lei esaminò con cura tutto il corpo di Shinichi. La visi sistemargli sul petto la piastra per le radiografie, per vedere come stavano i polmoni e il cuore. Poi infilò lo stetoscopio sotto la schiena di Shinichi, e ascoltò attentamente. Dopo qualche istante, fece un passo indietro, e sorrise.
“I danni ai polmoni sono nulli, posso dire con piacere che è guarito completamente!” disse.
Io e Kid lanciammo un grido di gioia e ci corremmo incontro per abbracciarci.
“Meno male, sapevo di avergli staccato il respiratore troppo presto, però se glie lo avessi lasciato, si sarebbe soffocato, con quegli spasmi.” Disse Ai, asciugandosi la fronte.
“Sei grande, ragazza!” disse Kid.
Lei lo guardò.
“Ragazza?” disse, gelida.
“Ah, lascia stare Kid, le fai sempre un torto, in qualunque maniera la chiami. Ai, sei il meglio, grandissima!” dissi, stringendole la mano
Lei sorrise leggermente.
“Lo so, non occorre dirmelo..” disse lei.
I kudo irruppero nella stanza, allarmati dalle nostre grida. Alla vista del figlio, si bloccarono.
“Shin..Chan..” gemette la signora Kudo, e corse al capezzale del figlio, e gli afferrò una mano.
“Allora, dottoressa, com’è andata?” chiese il signor Kudo, mettendo una mano sulla schiena della moglie e una sulla testa del figlio.
“Oh beh, complicato come avevo previsto, ma anche un successo, come avevo previsto. Ora sta bene, i polmoni sono sani come pesci. Però ora vorrei fargli una tac al cervello, per vedere se anche lì è tutto ok..”
Senza tante cerimonie, prese da uno scaffale, un macchinario simile ad un casco da parrucchiera, e lo mise sulla testa Di Shinichi.
“Ok, adesso noi signore aspettiamo nel corridoio, pericolo radiazioni. Sarà pure il corpo di una bambina, ma non voglio che si danneggi con dei tumori o robaccia simile. Gli uomini rischiano meno, sono fisicamente più resistenti..” disse Ai, e prese la signora Kudo per mano e la spinse fuori con lei. Un paio di minuti dopo, la macchina cominciò a srotolare fogli e lastre. Ai e la signora Kudo uscirono dal bagno.
“Ok, fammi vedere un po..è una vita che voglio vedere che diamine ha nella testa, questo qui..” disse, osservando sul monitor luminoso, le lastre e leggendo i responsi. Rimase a fissarli per qualche secondo.
“Bene..i danni provocati dall’ipossia si sono ridotti a quelli di una momentanea apnea, ovvero è come se avesse perso i sensi dopo aver trattenuto troppo il fiato..In poche parole, sta meglio di me, adesso.”
Tumulto generale. I kudo si abbracciarono forte, pazzi di gioia, e io e Kid ci demmo un doppio cinque. Poi però Ai si avvicinò a Shinichi, e la vidi diventare seria.
“Ehi, Macbeth, che succede? Sta bene, no? festeggia!” chiesi, mentre mamma Kudo mi abbracciava in preda alla felicità, tra le braccia del marito.
Ai sospirò.
“Sta bene, si, questo è vero. Eppure..”
No. Non di nuovo quella dannata parola.
“Eppure?” chiese il signor Kudo, posando a terra la moglie.
“Eppure non da segni. Mi dispiace, signori Kudo..è ancora in coma.”
No, non poteva essere.
“No, ti sbagli. Kudo sta solo dormendo, adesso. Oddio, ha il sonno di un masso, il che potrebbe benissimo passare per Coma, ma è solo sonno. Ok, adesso lo sveglio io, sta’ a vedere..Kudo?”
Gli afferrai una mano stretta, picchiettandogli una guancia.
“Kudo, su svegliati, basta dormire, la sveglia è suonata, fratellino, giù dalle brande..”
“Heiji..”
“Dai svegliati, basta fare il “bello addormentato”..che poi tanto bello non sei, quindi sei fuori dal personaggio in partenza..”
“Osaka,smettila..”
“Sta’ zitta..Svegliati Kudo, avanti..”
La mia mano aveva ripreso a tremare. Svegliati..
“Finiscila, Heiji, per l’amor di dio..”
“Fate silenzio,voi! Svegliati..”
“Osaka!”
“SVEGLIATI!” Urlai.
Le lacrime presero a colarmi sul viso, irrefrenabili.
La signora Kudo prese a singhiozzare.
“NON PIANGA! NON C’E N’E’ MOTIVO..” gridai, pulendomi il naso con la manica. “Kudo, svegliati, maledizione. Abbiamo fatto come hai detto, sei nel tuo corpo. Sei guarito, porca miseria, adesso svegliati!”
Una mano mi tocco un braccio. Scattai come un serpente a sonagli.
“Giù le mani, non toccar..” ringhiai.
Uno schiaffo pari a una frustata in pieno viso.
“Basta, adesso!” disse Ai.
Caddi inerme a sedere sul letto, al fianco di Shinichi, tenendomi la guancia.
“Mi sembrava di averti avvisato, Osaka! Io non ho mai detto che si sarebbe svegliato, e ti avevo pure chiesto di non farti illusioni e di fare scenate, se non fosse successo. Lui stesso non ha mai parlato di svegliarsi! L’unica cosa che tutti avevamo messo in conto, è che sarebbe guarito, una volta tornato grande, e così è stato. Più di così, no può fare nessuno..”
“Kudo..” mormorai, la guancia pulsante, le lacrime che colavano senza posa. “Kudo..”
“Heiji, tesoro mio..” mormorò la signora Kudo. La guardai. Il bel viso era una maschera di tristezza. “Shin-chan..sapeva quello che faceva quando ha chiesto di tornare sé stesso. L’unica cosa che possiamo fare è..accettare la cosa e..”
Io la allontanai, sconvolto.
“Accettare? No, io non accetto un bel niente. Io sono uno scapestrato, una testa calda, un capraio, come mi ha sempre chiamato Kudo. Io non accetto mai niente, io faccio di testa mia, sempre..e la mia testa dice che deve svegliarsi, fine del discorso.”
“Forse il messaggio originale non era poi tanto sbagliato, Osaka..”
“CHIUDI LA BOCCA! Kudo non vuole morire, mettitelo in testa! Lui Ha un compito da svolgere, e nemmeno lo sfiora l’idea di morire. Quei maledetti sono ancora là fuori, e lui li deve prendere. Kudo non lascerà che vincano. L’unica che deve vincere..è la verità!”
Mi voltai e mi chinai al capezzale di Kudo.
“Non puoi lasciarli vincere..non puoi lasciare che ti cancellino dalla faccia della terra. Nessuno sa la verità, e nemmeno la sapranno, se ti arrendi, Kudo. Ran ti sta aspettando, le hai promesso che saresti tornato da lei. Io e te..Oh Kudo..Io e te dovevamo fare l’accademia insieme. Dovevamo aprire la nostra agenzia! Vuoi..vuoi lasciare tutto così? Vuoi semplicemente sparire? Kudo,tu sei l’uomo più testardo che conosco, e so che vuoi
davvero una cosa, la ottieni. Nemmeno quel tuo corpo di bambino ti ha fermato, Kudo! E so che se lo vuoi, ti puoi salvare. Avanti Kudo, sforzati, apri gli occhi! Mettici tutta la tua forza, e apri quegli occhi. Kudo, ti prego..Kudo..”
Ero stremato. La mia volontà iniziava a venire meno. Solo l’inerzia mi faceva andare avanti. Kid nel suo angolo, tremava di rabbia, mentre si asciugava gli occhi coi guanti. I kudo mi guardavano commossi, e Ai non osava fare un passo. Si limitava guardarmi, in silenzio.
“No, Kudo, non me devi fare questa..Kudo, non ti azzardare..non ti azzardare a morire, Kudo..”
Era la prima volta che pronunciavo quelle parole, e mi mancò il fiato. Crollai in ginocchio, scosso dal pianto.
“Kudo..ti prego..Kudo..Kudo!!!”
“Cosa..”
Mi bloccai, la faccia affondata tra le lenzuola. Era stato un sogno, l’avevo immaginato..
Strinsi la mano di Shinichi.
“Kudo..” mormorai.
“Cosa?”
Spalancai gli occhi. Non poteva essere.
Alzai lo sguardo. Shinichi era disteso, gli occhi chiusi.
“Oddio.. sto impazzendo anche io, bene. Tra un po finirò ai matti, per colpa tua..”
E affondai la faccia nuovamente tra le coperte.
“..E vacci, almeno smetterai di ciarlare. Beh, perlomeno io non dovrò più sentirti, se ti internano..Non ti sopporto più, giuro..”
Alzai la testa così velocemente che mi venne un capogiro.
“Ku..Kudo?”
“Che vuoi..Hattori?”
La sua mano attorno alla mia, si strinse. Io la guardai.
“Kudo..” belai, la voce ridotta a un filo.
“Pronuncia un l’altra volta quel nome, e ti strozzo..”
“Oh mio dio..Shin-chan!”
La signora Kudo si fece avanti.
“Shin-chan..amore, mi senti. Apri gli occhi, amore mio, guardami, sono la mamma.”
Shinichi fece una smorfia. Poi lentamente, aprì gli occhi. Si voltò a guardare me e sua madre.
“Ma..mamma. Oh cielo, mamma, sei indecente. Ti è colato il mascara dappertutto, sembri un clown. E tu sai che odio i clown..”
La signora Kudo si tuffò sul figlio, e lo abbracciò forte.
“Mamma! Mi fa male, tutto, fa’ piano! Oh cavolo, perché ho male dappertutto.. Hattori, che accidenti hai combinato?”
“Io? Perché te la prendi sempre con me! Io ho solo decifrato il codice, è stata Ai a buttarti quella porcheria nelle vene..”
“Ah così da eroe passo a carnefice, bene..” disse Ai, avvicinandosi. “Comunque Kudo ha ragione, signora, faccia piano. Sono settimane che non si muove, sarà annodato come una cravatta..”
“Settimane? Ci avete messo delle settimane a tirarmi fuori? Oddio, ma come fa uno di tutta coscienza a morire, lasciandovi da soli, eh?” sbottò, e iniziò a tossire. “Che male alla gola..”
“Bene..il vecchio Kudo è tornato..” disse Kid, scuotendo la testa, gli occhi rossi. “Vedi ti tacere, o ti farai del male. E’ un pezzo che non parli, sei arrugginito. Oh quanto si stava bene, senza sentire le tue dannate omelie sulla giustizia..”
Shinichi alzò la testa.
“Che ci fai tu, qui?” chiese, rauco.
Kid sogghignò.
“Niente..avevo un lavoretto in zona, e sono passato per vedere se eri in casa. E mi sono ritrovato davanti questa scena.” E indicò il laboratorio. “Comunque, ora tolgo il disturbo. Non vorrei mai ti venissero i 5 minuti e decidessi di arrestarmi. Arrivederci, Shinichi Kudo..”
Fece per scavalcare la finestra del laboratorio.
“Ma falla finita. Dovresti essere contento che sono ancora vivo. Dopotutto.. tu appenderesti mantello e cilindro al chiodo, se io non fossi più sulla piazza per arrestarti. Non è così.. Lupin 2000?”
Kid rimase con un piede sollevato in aria. Si voltò.
“Come..come mi hai chiamato?”
Shinichi tossì e si schiarì la gola.
“Mi sembra di avere delle tagliole, in gola. Meglio se non parlo..” rantolò. Kid mi guardò. Il dubbio c’era, e bello grosso, ma Shinichi aveva messo su la maschera, e quindi Kid decise di lasciare le cose come stavano. Scoccò a Shinichi un occhiata, e lui sorrise.
“Vai, approfittane finché puoi, dannato piccione..un giorno vedi se non riesco a metterti in gabbia!”
Kid fece un cenno con la mano.
“Sono qui fuori che ti aspetto..Sherlock Holmes.”
Detto questo, una cortina di fumo si spigionò nell’aria. Dissolta questa, Kid era sparito.
“Al solito..”mormorò Shinichi. “Ai, mi fa male la gola. Mi daresti qualcosa?”
Ai denegò.
“il tuo sistema immunitario sta bene, sei solo un po fuori allenamento. Parla poco e piano, e vedi che passerà. Vado a vedere come sta Ran..”
Shinichi sbarrò gli occhi.
“Oh mamma..speriamo stia meglio. Non vorrei mai fosse andata fuori di testa davvero..”
Io lo guardai.
“Cosa?”
Shinichi alzò gli occhi al cielo.
“Si sentono delle cose davvero interessanti, quando si è in coma. Parlo per mia esperienza, ovviamente. La gente crede di stare in chiesa a confessarsi, o roba simile..
Lo fulminai.
“Tu..tu riuscivi a sentirmi?” sbottai.
Shinichi sorrise.
“No. Sentivo la tua voce, ma non capivo tutto quello che dicevi. Era come se entrassi e uscissi da un sonno profondo dentro ad una scatola al buio. A volte ero sveglio, e capivo quello che succedeva, altre no..Il mio corpo non rispondeva, per quello la mia mente spesso andava alla deriva. Non ricordo tutto quello che hai detto, poi,  parlavi a nastro tutto il tempo. Ho sentito quando hai chiamato Ran per il dito. Lì mi ricordo di aver usato tutta la mia forza per mandarti il messaggio. Poi dopo quel momento, sono rimasto assente un bel po’. Ero sfinito. Poi ricordo..beh un miscuglio di cose confuse, credo..”
Io dentro di me, tirai un sospiro di sollievo. Meno male, era davvero imbarazzante la marea di cose che gli avevo detto. Uffa, credevo che non sentisse, perciò le avevo dette..
“Beh mi sembra palese che hai sentito Kid, però..” dissi, ridendo.
Shinichi rise.
“Si, che matto, venirmi a trovare, cose dell’altro mondo! Il topo che visita il gatto. Però è bello sapere che in lui vige ancora l’antico rispetto di un ladro gentiluomo al suo carceriere. E’ veramente una cosa in via di estinzione. Hattori..secondo te, posso bere un po d’acqua?”
Io storsi la bocca.
“No, temo, potresti vomitarla o rigurgitarla, visto che non ingoi niente da quasi un mese. Ti posso bagnare la bocca un po, se la senti secca, ok?”
Lui annui
Io corsi al lavandino e bagnai un asciugamano di acqua e ghiaccio, e tornai da Kudo. Gli passai piano il panno sulle labbra, attento a non lavargli la faccia.
“Che sollievo, mi sento uno straccio. Che mi avete dato, la solita sboba non mi fa stare cosi male..”
“Sbobba nuova. Bioapotoxina si chiama. Hai fatto male i conti, vecchia volpe. Con un tubo in gola, non potevi prendere pasticche..”
Shinichi strizzò gli occhi.
“Caspita, è vero..beh è già un miracolo aver partorito l’idea in quelle condizioni, no?”
La signora Kudo annui.
“tesoro, ora faresti meglio a riposare..”
Shinichi la guardò allarmato.
“E se poi non..”
Lei gli bacio la guancia. Suo padre gli carezzò la testa.
“Non accadrà.” Rispose.
Shinichi mi guardò.
“Resti in zona, immagino..”
Io lo guardai. Sorrisi.
“Io di qui, non mi muovo.”
Lui annui, e chiuse gli occhi, pochi istanti, e russava alla grande.
I Kudo mi guardarono.
“Grazie al cielo è finita..” disse il signor Kudo, piano. La moglie annui, spossata.
Io incrociai le braccia e le posai al letto di Shinichi, Mi si chiudevano gli occhi. Ero stanco morto, come se l’intero messe sotto pressione mi fosse crollato addosso tutto in una volta.
“Dormi, amore..” mormorò la signora Kudo, mettendomi una coperta sulle spalle. “Ne hai bisogno quanto lui..”
Un paio di minuti dopo, russavamo in due.
Mi svegliai dopo quelli che mi parvero pochi minuti, ma era l’alba quella che andava stiracchiandosi fuori dalla finestra. Gli uccellini cantavano tra i rami fioriti. La primavera era arrivata senza che me ne accorgessi. La mia mano teneva ancora quella di Shinichi. L’abitudine l’aveva mossa . Però era troppo famigliare quella sensazione. La mano che avevo tenuto in quei giorni, a cui mi ero abituato, non era come quella che avevo preso la sera prima, che era la mano di un ragazzo grande, ovvero la mano di Shinichi. Era più piccola, era di un bambino. Era quella di Conan.
Ma allora perché, se avevo preso una mano grande.. ora tra le dita ne sentivo una piccola?
Scattai a sedere. No, dio fa che non abbia sognato tutto, ti prego..
“La pressione, Hattori!” disse una voce. Alzai lo sguardo. Shinichi era disteso davanti a me.. ma era tornato piccolo.
“Shin..Conan! Ma cosa..” mormorai.
Lui sorrise, amareggiato.
“Buco nell’acqua. Stanotte, mi sono trasformato di nuovo. Però non ho sentito niente, tanto è vero che mi sono svegliato così e basta, senza i soliti dolori. Nemmeno la bio funziona, sfortunatamente..”
Lo guardai. Sembrava tranquillo, anche se un po deluso.
“stai bene, però? Non sei peggiorato di nuovo, vero?”
Mi misi una mano sul petto, e sulla fronte. Il suo addome faceva su e giù tranquillamente, ed era fresco e ben colorito in viso.
“Si, tranquillo, sto benissimo. Ai ci è rimasta stamane, quando a visto che ero tornato un bambino, però ormai le mie ferite erano sparite e i danni al cervello colmati, quindi non ha fatto differenza che io sia tornato..così. Ah, chiamami Conan, per cortesia. Ran e i suoi sono di la che fanno colazione con i miei, Sonoko e i marmocchi..”
Sbuffai, sollevato.
“Meno male..”
Shinichi sorrise.
“Non riesco a muovere le gambe, i muscoli sono atrofizzati, è normale. Mi dovranno spostare con la carrozzina, per un po di giorni. Ran la deve andare a prendere all’ospedale oggi pomeriggio. Vorrei l’avessero già presa. Non mi va che Ran mi tenga in braccio. Sono un uomo, per quanto l’apparenza mi remi contro, ed è imbarazzante..”
Io sorrisi e annui.
“Tranquillo, starò qui io finché non starai bene come prima..”
“Non è necessario, grazie..” rispose lui, con sufficienza.
“Si, farò proprio così… Ah Ran è sveglia? Come sta?” dissi, stiracchiandomi.
“Bene..” disse Shinichi guardandomi esasperato. “Non ricorda nulla da qui a tre giorni. Ha rimosso il momentaneo,,crollo, ecco. E gradirei che rimanesse rimosso, per piacere. Io figlio di me stesso e suo..suona come quella frase che fa sbarellare le persone che la sentono. Com’era..ah si: Sono il padre di mia madre. Gesù, che cosa assurda..”
Io annui.
“Meglio che non ricordi niente, hai ragione. E poi temo si vergognerebbe..”
“Kazuha però è furiosa con te. Dice cose tipo: mi poteva  avvisare, mi ha lasciato lì come un imbecille nel corridoio, lo farà a fettine, ti voglio tanto bene Conan, ma perderai il tuo amichetto ecc..” disse Shinichi, schioccandosi le dita per aiutarne il movimento. Io rabbrividì.
“Che potevo fare? Era l’ultimo dei miei pensieri, badare a lei..”
Shinichi annui.
“Già, eri sempre attaccato a me, come facevi?..Ciao Ran!” disse, d’un tratto allegro.
Ran era entrata nel laboratorio, evidentemente dopo aver sentito che eravamo svegli.
“Amore, sei sveglio! Hai dormito bene, pulcino?”
Shinichi annui.
“Come un ghiro. Ho fame, però!”
Ran fece una smorfia.
“Oh tesoro, non puoi mangiare niente di solito, solo tè caldo, o rischi di vomitare. Mi dispiace..”
Lui scosse la testa.
“Caccia qua, una cosa calda nella pancia è meglio di niente!” disse, ridendo.
Ran si risollevò.
“Intanto fatti aiutare da Heiji a vestirti, poi il tè lo prendiamo tutti insieme in salotto, ok?”
Lui annui, felice.
Si muoveva come un robot ruggine, e perciò più che aiutarlo, dovetti vestirlo io, come una grossa bambola in carne e ossa.
“Che strazio, non riesco a muovermi. Mi sento un’ impedito..” borbottò con la testa dentro al maglione.
“Un po di esercizi col fratellone Heiji, e ti rimetto in sesto per le olimpiadi juniores, vedrai.” Risposi, infilandogli i calzini e le pantofole.
“L’Heiji che cosa, scusa?” rispose lui, acido. Io lo ignorai. Caro, vecchio, ingrato Kudo.
Lo portai, un po di malagrazia in salotto. Li scoppiò il giubilo. Le ragazze avevano preparato uno striscione “EVVIVA CONAN!” lungo tutta la stanza, e c’erano un mare di regali sparsi su tutto il pavimento. I piccoli detective alla vista del loro amico, coi nasi colanti e gli occhi rossi, corsero ad abbraccialo tutti contemporaneamente , e fu un ammucchiata, da cui per miracolo riuscì a ripescare Shinichi illeso, ma ben strapazzato..
“Piano, ragazzi, è un po malconcio. Tra un paio di settimane, lo potrete anche buttare nel canale, ma per ora, delicati ok?” dissi loro, mentre Shinichi si sistemava gli occhiali un po piegati sul naso, guardandoli torvo. Kazuha mi guardò come se fossi un fungo parassita, e io distolsi in fretta lo sguardo, mentre i piccoli detective, uno alla volta, portarono i doni al loro collega, e lo aiutarono a scartarli, anche se più di una volta Shinichi gli ripeté che riusciva a farcela anche da solo.
Dopo un po’ però dovettero congedarsi per andare a scuola, e dopo i saluti Shinichi poté finalmente cercare di mandar giù qualcosa al sicuro tra le braccia di Ran, con Sonoko, sua madre, l’avvocato Kisaki e Kazuha a coccolarlo come un bambolotto. Bel fortunello, il caro Kudo..
Però scopri che seppure riusciva a muovere le dita, la presa non era delle migliori, e mandò in frantumi la sua tazza di tè che aveva tentato di tenere in mano. Lo vidi incupirsi, mentre osservava sua madre raccogliere i cocci.
“Il mio corpo..” mormorò.
“Combini guai anche se non vuoi tu, eh?” disse Goro. Le donne presenti,  gli dettero letteralmente fuoco con un occhiata. Goro si andò a riparare dietro al signor Kudo, che sorrise un po a disagio. Io presi la mia tazza di tè e un cucchiaio.
“Ok, vorrà dire che mangerai ad imbocco. Lo faccio io, così resta una cosa tra uomini. Su, apri..”
Shinichi mi guardò un po sorpreso. Poi apri timidamente la bocca e prese una cucchiaiata di tè. Lo inghiottì e rimase in attesa, per vedere se ritornava su. Constatato che lo stomaco lo accettava, glie ne diedi un’altra bella cucchiaiata. Stava meglio ad ogni boccone.
“Oh Heiji, Shinichi ha ricevuto un dono prezioso quando ti ha conosciuto..” disse la signora Kudo, commossa. Tutti la guardarono. Io feci finta di mischiare il tè, e Shinichi per poco non soffocò.
“Beh è vero, mamma Kudo, ma..che c’entra con Conan?” chiese Ran, battendo piano sulla schiena di Shinichi, che annaspava, fulminando la madre.
Lei sorrise, tranquilla.
“C’entra, amore mio, perché heiji è una benedizione per chi lo incontra. Ha fatto tanto per il piccolo Conan, e so che è stato prezioso anche per Shinichi. Mio figlio non è molto bravo a manifestare ciò che sente, ma so che ti vuole bene, Heiji.”
Io la guardai, Poi guardai Shinichi, che fissava imperterrito la tazza del tè. Sorrisi.
“Se lo dice lei. Io ho i miei dubbi..” risposi, e diedi un altro bel cucchiaio di tè a Shinichi, che mi guardò quasi basito.
La signora Kudo si alzò.
“Bene, noi andiamo. Shin..ah cioè Conan sta bene, quindi vorrei chiamare quella svanita di sua madre per dirglielo. Ci vediamo domani, pulcino.”
Afferrò Shinichi e lo bacio mille volte, mentre lui tentava  con i pochi movimenti che gli riuscivano, di fuggire.
“Piantala, mamm..ah volevo dire..Yukiko!” sbraitò lui, tutto spettinato e imbrattato di rossetto.
“Non puoi impedirmelo e sei piccolo, morbido  e tenero come un tempo..lascia che vada all’inferno come madre snaturata, ma ne approfitto!” mormorò lei, con un ghigno. Suo padre scosse la testa.
“Stai bene, figliolo, e mangia più che puoi.” Disse, carezzando la testa del figlio. Shinichi annui, e carezzò il braccio del padre.
“Va bene, pap..Yusaku.” disse.
Detto questo, i Kudo salutarono Ran, I Mouri  e tutti gli altri, e se ne andarono.
“Va bene, oggi il grande detective offre il pranzo, per festeggiare la guarigione della peste, ok’” disse Goro, pizzicando una guancia a Conan, che lo guardò storto.
“Ma zio Goro, Shinichi non è qui, e se parli di me, sarò pure figlio del questore, ma non dell’imperatore del Giappone! Come pago il pranzo a tutti?” chiesi, mentre Shinichi ridacchiava sul divano.
Goro mi fulminò
“Parlavo di me, giovinastro!Il pranzo lo pago io!”
“Allora sto ancora dormendo? Deve essere un sogno per forza ..” disse Conan, e tutti scoppiarono a ridere. Goro grugnì.
“Appena ti rimetti, me la paghi..”
Ran si chinò per prendere Conan dal divano, ma lui la scansò, e allungò le braccia verso di me.
“Voglio stare sulle spalle di Heiji!” disse.
Io lo guardai confuso.
Ran annui, sorridendo.
“Ok, ma tieniti bene, intesi?” disse, e me lo sistemo sulle spalle, dove lo sentì ancorarsi al mio collo.
“Heiji non mi lascerà cadere!” rispose lui, mentre gli afferravo salde le gambe.
Poi mentre Ran si voltava, lo sentì sussurrarmi. “Adesso siamo pari..”
“Cos..?”
“Io voglio tanto bene al mio fratellone Heiji!” disse in tono allegro.
Le ragazze lo guardarono e risero. Io rimasi lì, colpito e sorpreso. Poi sogghignai.
“Ma tu senti, davvero mi vuoi tanto bene?” rimbeccai.
Lui annui. Poi mugugno.
“Mettiamo le cose in chiaro: Io non ho detto niente adesso, e tu non hai detto niente mentre dormivo. Siamo intesi, Hattori?
Io lo guardai, po risi divertito.
“Anche io ti voglio tanto bene, piccolo..” risposi. Le ragazze sorrisero anche a me, perfino Kazuha.
Shinichi dall’alto delle mie spalle, mi guardò stupito.
“Si, siamo intesi, Kudo.” Risposi.
 
FINE
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=957255