I'll protect you; I'll love you.

di _NyuKumi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** . Ichi 一 ***
Capitolo 2: *** . Ni 二 ***
Capitolo 3: *** . San 三 ***



Capitolo 1
*** . Ichi 一 ***


 

 

 

 

Era la prima volta che viaggiavo da sola. A stento avevo preso il treno.

In quel momento invece mi trovavo in aeroporto, che osservavo lo schermo con i voli del giorno.

“Seoul.. “

Non sapevo cosa fare, come comportarmi. Sapevo solo che dovevo andarmene da quel posto. Dovevo scappare. E se non avessi approfittato di quel momento, sarei rimasta in quell'inferno per l'eternità.

 

Ciao ciao Tokyo.

~ ~ ~

 

-Papà?-

-Kumi-chan?-

-Non ne posso più..-

-Sei sola? Tua madre non è in casa?-

-No, non c'è.. sarà andata a bucarsi ulteriormente le braccia..-

-Non dire così, ti prego..-

-Mpf.. Tanto lo sai anche tu.-

-Beh.. sì. Tesoro, devo staccare. Ti chiamo domani, okei?-

-Okei.. Ciao papà.-

 

Posai piano il telefono sul comodino, sprofondando il viso sul letto.

Ed eccomi, di nuovo sola. Ci stavo facendo l'abitudine.

Rimanevo giornate intere chiusa in casa ormai da un bel po', da sola, da quando mio padre aveva lasciato il Giappone. Forse lui era l'unica persona di cui avevo bisogno in quei momenti, di cui sentivo davvero la mancanza.

Con mia madre non ci parlavo mai, se non per urlarle contro. In casa non c'era quasi mai, era in giro a fare chissà cosa (non mi è mai interessato saperlo), quando rientrava rimaneva chiusa in bagno o morente sul letto.

Oppure sfogava la sua rabbia su di me.

La droga la stava portando via, lentamente.

E' anche per questo che papà se n'è andato. Ancora non riesco a capire perché non l'ho seguito.

Sono rimasta qui, nell'inferno.

A scuola la situazione non è migliore, la mia debolezza si riflette anche lì: vengo presa in giro, maltrattata. “Figlia della drogata” mi chiamano. Eh già, mia mamma la conoscono tutti in città. E naturalmente, i ragazzi della mia scuola di divertono ad attaccarmi prendendo di mira lei.

Ieri è stata la volta dell'acqua però. Un secchio dritto in testa. Si divertono così.

Ogni volta rimango zitta, troppo debole per reagire, corro semplicemente via piangendo.

Una lacrima. Due.

 

Quando la smetterò di frignare?! Sono anni che subisco cose del genere, nulla dovrebbe toccarmi ormai.. perché sono così debole?!

 

“Quanto mi faccio pena, Dio..”

Feci per alzarmi, quando sentii la porta aprirsi.

Era mia madre.

Stranamente in anticipo, direi.

Mi asciugai gli occhi lucidi con la manica della maglietta, che era già piuttosto fracida. Osservai la porta della camera, era aperta. Non mi andava per niente di sentire quella donna delirare. Mi avvicinai e cercai di chiuderla, ma.. troppo tardi. Prese la maniglia esterna e la teneva stretta.

“Kumikoo~ Kumi-chaan! Cos'hai fatto oggi a scuola eh?”

Era strafatta, e puzzava di alcool.

Tirai forte la maniglia della porta, cercando di evitare le sue fastidiose attenzioni.

Cosa c'è, mh?~ Dovresti parlare.. con la tua mamma..”

Entrò brutalmente nella stanza, spingendomi verso il letto.

Drogata, ubriaca, senza controllo.

Ecco cosa dovevo subire ogni santo giorno.

Cosa mi avrebbe lanciato contro, oggi?

Ieri era un piatto.

Oggi avrebbe preso un coltello, magari.

“Erika.. lasciami in pace. Esci.”

Non riuscivo a chiamarla per nome, era più forte di me. Ho smesso di chiamarla 'mamma' all'età di 12 anni. Due anni dopo il divorzio dei miei. Quando capii finalmente quanto quella donna fosse fuori di testa. Quando me ne feci una ragione.

“Chiamami.. mamma.. MAMMA!”

Mi colpì la testa. La colpì talmente forte che per un attimo pensai di stare per perdere i sensi.

 

Kumiko.. stai.. calma.

 

“ESCI DA QUESTA FOTTUTA STANZA!”

Stavo perdendo letteralmente il controllo, feci per spingerla via, ma mi schiaffeggiò.

Sapore di ferro.

Bene, sanguinavo.

“Ragazzina impertinente!”

Ora ce l'aveva con i capelli. Li strinse forte tra le mani.

 

Non.. resisto.

Portatemi via da tutto questo.. vi prego.

 

Cercai di liberarmi da quella presa, cercai di allontanarmi. Mi dimenavo tra le lacrime.

Faceva un male cane. Un dolore allucinante.. al cuore.

Dopo vari tentativi, la strattonai così forte che cadde a terra, urlando parole incomprensibili.

Non ricordo cosa successe in quegli ultimi cinque minuti.

So solo che presi il mio zaino, il cellulare e quella busta.

Scappai via in lacrime.

Le ultime parole che sentii uscire dalla bocca di Erika furono 'Torna indietro, stronza'.

 

Devo chiamare mio padre.. Devo parlare con qualcuno..

 

-P-papà..-

-Kumiko.. che c'è? E' l'alba, cosa succede?!-

-P-pa.. pà..-

-S-stai piangendo?! Che è successo?!-

-Papà.. io.. n-non lo so.. L'ho spinta via. Papà.. non ce l'ho fatta..-

 

Quanto potevo essere pietosa in quel momento?

Dopo un quarto d'ora di singhiozzi e pianti disperati, riuscì a spiegargli l'accaduto.

“Ti raggiungo a Seoul, domani.” Così gli dissi, spiegandogli dei biglietti che avevo preso qualche settimana fa. Non so cosa pensai quando decisi di comprarli, ma sapevo che ne avrei fatto uso.

E così fu.

 

~ ~ ~

 

Un altro giorno di scuola andato.

Un altro giorno ricco di gente ipocrita, ignorante, oppressiva.

Quanto poteva farmi schifo la scuola?

Eppure andavo bene. La mia media era la più alta della classe.

Dovevo compensare il mio carattere chiuso, in qualche modo. L'andare bene a scuola mi sembrava la soluzione più adatta.

“Suo figlio è un alunno modello!”

“Potrebbe essere ammesso ad università di prestigio!”

Era questo quello che dicevano i professori di me, e non solo loro.

Yang Yoseob era conosciuto così.

Gli adulti mi considerano il figlio che qualunque genitore possa desiderare: intelligente, rispettoso, che da grandi soddisfazioni.

Mpf, tutta una maschera. Una stupida maschera che serviva a far tacere i miei, a renderli felici.

Studiavo, passavo giornate intere sui libri, solo per loro. Per non deluderli.

A causa di questa mia 'falsa' immagine, non ho mai avuto molti amici. E' dalle elementari che vengo preso di mira.

Quando vengo infastidito, però, reagisco. E' l'unica cosa che non riesco ad evitare. La rabbia prende il sopravvento e finisco ogni volta per fare a pugni.

Riuscivo a nascondere qualsiasi lato vero del mio carattere, tranne quello.

Qualsiasi mio desiderio, qualsiasi mia voglia di ribellione, la sopprimevo.

Cosa volevo fare realmente? Non lo sapevo. Più passavano i giorni, più dimenticavo quali fossero le mie passioni, cosa mi piaceva e cosa no.

L'unica cosa che ancora non avevo scordato, era cantare. Quando lo facevo mi sentivo me stesso. Mi sentivo il vero Yang Yoseob, quello che nascondevo.. da sempre.

Nessuno, fino a quel momento, mi aveva sentito cantare.

La prima persona che riuscì a farlo, fu una ragazza.

Quella ragazza mi cambiò completamente.

 

 

 

Angolo scrittrice: Salve a tutti! -3- Ecco la mia seconda fanfiction. Dio, spero vi piaccia, ma soprattutto.. spero di non lasciarla a metà come la prima! (vi prego perdonatemi çwç) Questa è un tantino diversa, però uno dei personaggi principali è sempre lui! LOL Grazie in anticipo ai lettori e alle recensioni (se ci saranno 8D)

Bye~ ~

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Capitolo 2
*** . Ni 二 ***


 

 

 

“Seobbiee~ Quanto sei carino oggi??”

“Jun.. levati dalle palle.”

Sussurrai piano quella risposta, un po' per non attirare troppo l'attenzione, un po' perché ero stufo di dar corda a quell'essere.

Yong Junhyung, così si chiamava.

Come potrei definirlo.. 'bullo'?

Sono quattro anni che mi usa come svago, puro divertimento.

Ogni giorno, lui e quell'altro, il suo scagnozzo, Hyunseung, non dimenticano di chiedermi soldi, nascondermi oggetti e altro. Con il passare degli anni diventano sempre più fastidiosi.

Quella mattina, alla fine dell'ora di matematica, non evitò di alzarsi e avvicinarsi a me.

Non voleva niente in particolare, solo rompere.

Picchiettavo nervosamente la penna sul banco, cercando di contenermi, mentre lui picchiettava la sua mano sulla mia guancia.

“Seobbie, puoi prestare qualche won al tuo amico? Sono finite le sigarette.. e non ho soldi.. Lo sai no?”

“Non posso.. non ne ho.”

“Yah! Non raccontarmi balle.. !”

Strinse forte la camicia della mia divisa, portando il suo viso a pochi centimetri dal mio.

“Tu. Yang Yoseob. Figlio degli avvocati più conosciuti di Seoul, esci senza soldi?! Non fare il difficile, altrimenti sai cosa faccio.”

Alle provocazioni di quel ragazzo era da parecchio che non rispondevo. L'ultima volta che successe, gli tirai un pugno in pieno viso, l'anno prima, rompendogli il naso. Non era mia intenzione arrivare a tanto, ma ero così incazzato che non sapevo cosa stavo facendo. Quello che successe dopo? Un casino. I professori, increduli, dovettero (a malincuore) sospendermi per un paio di giorni, insieme a lui ovviamente. I miei genitori erano fuori di loro, mia madre non mi rivolse la parola per settimane.

E tutto perché lasciai uscire un pizzico di me stesso.

Da quel giorno Jun non mi da pace e io rimango zitto, al mio posto. Il massimo che faccio è espormi poco, in silenzio, senza che nessuno se ne accorga. Era difficile, ma non potevo fare altro.

“Jun.. “

Mi alzai sospirando, ormai arreso.

“Quanto vuoi..?”

“Non rivolgerti a me con quest'aria d'insufficienza.”

 

Ma cazzo.. io accetto e non gli sta bene?!

 

“15 mila ti bastano?”

Presi una banconota dalla tasca dei pantaloni e gliela porsi infastidito. Me la tirò da mano con rabbia, mentre faceva cenno a Hyunseung di controllarmi le tasche.

“Questo atteggiamento di superiorità mi fa incazzare, e tanto. No, 15 mila non mi bastano.”

Hyunseung prese il resto dei miei soldi, lasciandomi in bianco.

 

Bene, anche oggi salto il pranzo quindi.

 

Alzai gli occhi al cielo mordendomi il labbro. Quanto mi risultava difficile non rompergli la faccia, non potete immaginarlo. Subivo tutto quello da sempre, fingendo di essere debole. E lui lo sapeva. Ne approfittava.

“Tsk.”

Disse mentre andava via, con i miei soldi.

Un attimo dopo, suonò la campanella.

 

Mi tocca chiedere elemosina, di nuovo.

 

 

“Ajusshi.”

“Ah.. Yoseob. Di nuovo senza soldi?”

“Mh.. non le dispiace se rimango qui, a studiare?”

“Mi è mai dispiaciuto? Nessun problema.. Ti offro del ramen.”

Era lì che andavo ogni giorno, dopo scuola: 'Tokyo Ramen', il negozio di ramen proprio di fronte il liceo. Quell'ajusshi era parecchio gentile.

Ogni volta, se non avevo soldi, mi offriva qualcosa da mangiare. Lo ripagavo il giorno dopo. Mi lasciava stare con lui tutto il tempo che volevo. Non avendo molti amici, rimanevo lì pomeriggi interi: a volte lo aiutavo con la clientela, altre (la maggior parte) studiavo. Non avevo altro da fare.

Guardandolo quel giorno, quando entrai dalla porta del negozio, sembrava piuttosto preoccupato. La sua espressione faceva capire chiaramente che c'era qualcosa che non andava. Quando mi portò il piatto a tavola notai che gli tremavano le mani. Ogni volta che squillava il telefono o entrava qualche cliente, sussultava. Non gli chiesi nulla, non volevo sembrare invadente, ma ammetto che ero curioso. In fondo, a quell'ajusshi ero legato.

Dopo una mezz'ora circa, il suo cellulare squillò e corse nell'altra stanza del locale per rispondere. Sentii perfettamente la conversazione, ma non capii nulla. Parlava in giapponese, credo.

Dopo pochi minuti attaccò il telefono e iniziò a camminare avanti e indietro, più nervoso di prima.

A quel punto non riuscì a trattenermi.

“Ajusshi.. posso sembrarle invadente forse, ma.. c'è qualche problema?”

Quando gli rivolsi quella domanda, sembrò si fosse svegliato da un sogno. Aveva la testa da tutt'altra parte. Si girò verso di me e fece per rispondermi, quando la porta del locale si aprì.

O meglio, si spalancò.

C'era una ragazza sulla soglia.

Gli rivolsi una semplice occhiata, ma ancora oggi riesco a descriverla perfettamente. Aveva il fiatone, gli occhi gonfi e rossi. Sulle spalle portava uno zaino dall'aria pesante e indossava una divisa.

O-otouchan*..”

Kumi-chan!!”

Scoppiò a piangere immediatamente, appena rivolse lo sguardo all'ajusshi dietro di me.

Lui fece lo stesso, correndo verso di lei per abbracciarla forte.

Mi sentivo come un pesce fuor d'acqua.

Non capivo cosa stesse succedendo, solo una cosa era certa: la mia presenza era di troppo.

Avrei potuto facilmente lasciare la stanza, ma non ci riuscivo.

Non riuscivo a non distogliere lo sguardo da quella ragazza.

Mi ricordava tanto.. il mio.

 

 

*Papà.

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Capitolo 3
*** . San 三 ***





 

  • Icheon, aeroporto di Seoul. 

 

E ora? Sono qui.. che faccio?

 

Ero appena arrivata in una città che mi era praticamente sconosciuta e di cui conoscevo a malapena la lingua. L'unica cosa che potevo fare era chiamare papà..

 

Non posso crederci.. sono a pochi passi da lui.

 

 

 

“P-papà..”

Mio padre era di fronte a me.

Dopo aver sentito solamente la sua voce per 7 anni, dopo aver cercato disperatamente di non dimenticare come fosse il suo aspetto, il suo sorriso, eccolo d'avanti a me.

Era invecchiato, sì, ma lo ricordavo esattamente come l'uomo che 7 anni prima andò via da me piangendo, tendendomi la mano, facendomi segno di seguirlo.

Anche in quel momento, dopo aver incrociato il mio sguardo, pianse.

Io feci altrettanto.

Con gli occhi pieni di lacrime intravidi la sua figura venire verso di me. Qualche secondo, poi il suo corpo caldo mi avvolse, sentendo il suo respiro sulla mia spalla.

L'abbraccio di un padre che aspettavo da un casino di tempo.

Mi lasciai andare tra i singhiozzi, sulla sua spalla, bagnandogli il maglione con le lacrime che non riuscivo a fermare.

Rimanemmo così un bel po'.

Solo quando lui si allontano di poco, mi resi conto che non eravamo soli. Seduto tra i tavoli del locale, proprio di fronte a me, c'era un ragazzo.. che mi fissava.

“C-chi è lui..?”

Sussurrai piano nell'orecchio di mio padre.

Quando si girò e lo guardò, quel tipo si alzò di scatto e uscì dalla stanza con il viso completamente rosso.

 

Che strano..

 

Mi incuriosiva parecchio sapere chi fosse, ma in quel momento avevo altro a cui pensare: mio padre era lì con me. Il suo corpo.. potevo toccarlo e stringerlo forte. Lo guardai negli occhi e vidi che stava sorridendo, quel sorriso stupendo che desideravo tanto poter rivedere. Gli occhi mi si riempirono nuovamente di lacrime, ma non dimenticai di sorridergli, per ricambiare quel dono stupendo che mi stava facendo.

Quando finalmente riuscì a rendermi conto della situazione e, soprattutto, a smettere di frignare, ci sedemmo insieme ad un tavolo e iniziai a raccontargli con calma tutto quello che era successo in quel periodo. Anche se lui lo sapeva bene.

“La mamma.. peggiorava giorno dopo giorno. I primi anni ero piccola e facevo di tutto per aiutarla, o almeno ci provavo. Allora non era così 'fuori di sé', riusciva ancora a mantenere un certo controllo. Era da un paio di anni però che, quando era a casa, delirava e piangeva per cose sconosciute e.. se la prendeva con me.”

“Se la prendeva con te? In che senso?”

Già, quel particolare l'avevo sempre evitato, quando parlavo con lui.

Non sapeva di quello che la mamma mi faceva ogni giorno, che si sfogava su di me.

In quel momento però, non potevo nascondergli più niente. Dovevo solamente tirare un forte respiro e lasciar andare tutto quello che avevo dentro. Strinsi forte un labbro fra i denti e ricominciai il discorso che avevo interrotto.

“Lei.. era molto nervosa. Sempre. Tornava a casa il pomeriggio o a tarda notte e, senza nessuna ragione, veniva verso di me e iniziava ad urlarmi contro. Se stavo dormendo mi svegliava. La maggior parte delle volte passava alle mani..”

Le lacrime scendevano, anche se stavo facendo degli sforzi assurdi per non farlo succedere.

“Kumiko..”

“M-mi tirava i capelli, mi schiaffeggiava.. C-certe volte se aveva un oggetto tra le mani.. lo lanciava contro di me..”

“Basta così.. ti prego.”

Tornò ad abbracciarmi e ad accarezzarmi piano i capelli.

Ecco cosa mi mancava, cosa cercavo da tanto tempo.

Tra le sue braccia mi addormentai, svegliandomi la mattina dopo in quella che sarebbe diventata la mia nuova camera.

 

Passò una settimana esatta dopo il mio arrivo in Corea.

Di mia madre neanche l'ombra, da quando ero scappata di casa non ricevetti un suo segno di vita. La cosa mi metteva ansia, ma allo stesso tempo ero sollevata. Non ero mai stata meglio come in quei giorni. Mai.

In quel periodo mio padre iniziò ad insegnarmi il coreano (anche se prima avevo imparato qualcosa da autodidatta) e io, per compensarlo, lavoravo al negozio di ramen giornate intere.

In fondo non conoscevo nessuno e non andavo a scuola, lavorare per lui era l'unica cosa che potessi fare. Poi mi piaceva, tanto. Lavorare in quel negozio mi fece scoprire quanto mi piacesse cucinare.

La clientela di papà erano la maggior parte ragazzi, o meglio, ragazzi del liceo che si trovava proprio di fronte il negozio.

In particolare, riconobbi subito quel ragazzo.

Il tipo che mi fissava.

Si fece vivo esattamente due giorni dopo: si sedeva ad un posto e ci rimaneva per ore. Era sempre solo e ogni volta mi sentivo costantemente osservata. Spesso e volentieri avrei voluto parlarci, ma la mia timidezza mi frenava.

“Papà.. chi è quel ragazzo?”

“Lui? Ah, è Yoseob, un ragazzo interessante.”

“Interessante? E perché mai? A me mette ansia.. cioè, guardalo.”

“Invece è un ragazzo intelligente ed educato. Perchè interessante? Beh, ho sempre pensato che dietro quell'aria da ragazzo silenzioso si nascondesse tutt'altro.. E poi, mi ricorda vagamente te.”

Questa fu la sua risposta.

Diventai ancora più curiosa.

 

Perché gli ricordo io? Magari siamo entrambi sfigati..

 

 

Una mattina uscì di casa presto, la dispensa in negozio era praticamente vuota e avevo bisogno di andare a fare compere prima che papà si svegliasse.

Quando finì di prendere il necessario tornai subito in negozio, posai le buste della spesa sul bancone e uscì fuori la porta per girare l'insegna ad “Aperto”.

Stavo per rientrare quando sentii chiamare il mio nome.

“K-kumiko?”

C'era un ragazzo di fronte a me. Un ragazzo che non avevo mai visto prima. Era.. bellissimo: capelli rossicci, spalle larghe, occhi felini che ti ipnotizzano con un solo sguardo e un sorriso.. stupendo.

Sì, perchè stava sorridendo.

Venne verso di me per abbracciarmi. Uno sconosciuto mi stava abbracciando.

“Kumi-chan! E' una vita che non ci vediamo!”

Parlava in giapponese.

 

Ma.. chi diamine è?!

 

 

 ~  ~  ~  ~  ~

 

 

Quella ragazza.. Kumiko si chiamava. La figlia di Kenzo-Ajusshi.

La figuraccia che feci il giorno in cui arrivò mi fece sentire un completo idiota. Ero praticamente fuori luogo eppure continuavo a guardarla. A fissarla come un maniaco.

Non potevo farci niente, era più forte di me.

Come il mio sguardo quel giorno si posava verso di lei, così fece i giorni successivi, quando ripresi a tornare al negozio. Il mio aiuto lì ormai non serviva più, lei aveva preso il mio posto. Però continuavo a recarmi lì per studiare... e per vederla.

Non conoscevo il motivo per cui piangeva in quel modo il giorno del suo arrivo, sta di fatto che quando entrava un cliente nel locale, riusciva ad accoglierlo con un sorriso stupendo. Un sorriso che riservava anche a me. Appariva come la persona più solare dell'universo.

Ogni giorno mi promettevo di rivolgerle la parola, e ogni giorno non lo facevo.

Quella mattina mi alzai presto, volevo passare al negozio prima di entrare a scuola.

Non sapevo come, ma era quello giusto per parlarle.

 

Dai Yoseob, sii uomo!

 

Ero agitatissimo. Più la meta era vicina, più scordavo tutto quello che avevo pensato di dirle il giorno prima.

 

Perchè faccio così?! Cavolo oh, devo solo parlarle.. che ci vuole..!

 

Svoltai l'angolo, trovandomi a pochi passi dal locale, ma mi fermai improvvisamente.

Ecco cosa mi trovai d'avanti agli occhi: Kumiko e un ragazzo.. abbracciati.

Quel ragazzo..

 

Lee.. Kikwang?!

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