Il rosso e l'azzurro di una prigionia

di Manu75
(/viewuser.php?uid=13867)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PRIMA PARTE ***
Capitolo 2: *** SECONDA PARTE ***
Capitolo 3: *** ULTIMA PARTE ***



Capitolo 1
*** PRIMA PARTE ***


'Il rosso e l’azzurro di una prigionia'

 
PRIMA PARTE

 

I corridoi della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts erano deserti e non un solo rumore rompeva il silenzio innaturale di quella notte di giugno. Una cappa pesante sembrava avvolgere il vecchio ed imponente edificio, che si stagliava greve nel buio, illuminato solo dai raggi della luna.
L’ombra di un qualcosa di cupo sembrava aver zittito persino gli animali notturni.
Non fosse stato per la leggera brezza che accarezzava a tratti le fronde degli alberi e increspava leggermente la superficie del Lago Nero, si sarebbe detto che un Incantesimo Congelante fosse stato gettato sulla scuola e su tutto ciò che la circondava. 
In quell’atmosfera desolata, nell’infermeria della scuola, un gruppetto di persone stava riunita intorno ad un letto, isolato dagli altri da una tenda paravento.
Delle candele illuminavano tremolanti la stanza.
Sul letto giaceva, semisdraiato, un ragazzo sui quindici anni, i capelli neri arruffati, gli occhi verdi che brillavano dietro un paio di occhiali dalle lenti rotonde. Il viso e il corpo magri del ragazzo portavano i segni di una lotta recente, l’espressione sul suo volto era di esausta, incredula, disperazione.
Il ragazzo e le persone che gli erano attorno, una mezza dozzina, avevano gli occhi puntati su due figure leggermente discoste dalle altre, in piedi, l’una di fronte all’altra quasi al centro della stanza.
Il Preside di Hogwarts Albus Silente, un uomo molto anziano, alto e dall’aria energica, stava ritto coi lunghi capelli d’argento che catturavano la luce delle candele di fronte ad un uomo più giovane, un uomo dai lunghi capelli neri che gli incorniciavano un volto aguzzo, dominato da un lungo naso aquilino.
- Severus - stava dicendo Silente, - sai che cosa devo chiederti di fare. Se sei pronto….se sei in grado…..-
- Lo sono -, rispose prontamente, con voce bassa ma decisa, l’uomo dai capelli corvini.
Gli occhi azzurri di Silente, così chiari e limpidi che facevano apparire torbida ogni cosa sui quali si posavano, si incatenarono per un secondo a quelli neri e stranamente bui di Severus Snape.
- Allora, buona fortuna.- mormorò Silente.
Severus girò sui tacchi e, senza degnare nessuno di uno sguardo né tanto meno rivolgere un saluto ad alcuno, varcò l’uscita dell’Infermeria e sparì, sentendosi addosso lo sguardo del vecchio Preside, che sembrava quasi bruciargli la nuca.


Dunque, lui era tornato.
Severus sentiva le tempie pulsare veloci, allo stesso ritmo del suo cuore, mentre percorreva i corridoi bui e deserti della scuola.
Respirando a fondo, fece ordine nei propri pensieri, controllando l’emozione che saliva ad ondate. Cercando di dominare la paura e la sottile angoscia che gli si annidavano dentro. Nonostante non nutrisse dubbi sul fatto che l’Oscuro Signore fosse infine tornato, provava una strana sensazione di irrealtà.
Eppure si era preparato a questo per quasi quattordici anni.
Continuò a camminare con passo svelto e deciso. Giunto quasi nell’atrio della scuola, deviò e si immise nel sotterraneo che portava al suo Studio. La stanza cupa che era sua da quando era divenuto insegnante di Pozioni.
Una volta giuntovi, si guardò attorno. La stanza era illuminata da un’unica candela, la cui luce era resa quasi perenne da un semplice incantesimo. Danzando, le fiamme illuminavano le pareti umide ricoperte da scaffali di libri e da una moltitudine di contenitori trasparenti, colmi di liquidi verdastri nei quali galleggiavano sinistramentestrani ed inquietanti esseri. Gettò un ultimo sguardo a quell'ambiente così familiare, recuperò il proprio mantello nero e quindi, dopo esserselo avvolto addosso, si chiuse la porta alle spalle.
Ripercorse il lungo sotterraneo e, giunto nell’atrio della scuola, aprì il pesante portone di legno e uscì nella notte.
Una volta all’aperto, Severus s’incamminò lungo la strada che portava al grande cancello d’ingresso che delimitava il perimetro della scuola. Ai lati del pesante cancello in ferro si ergevano due alte colonne sormontate da altrettante statue in pietra, raffiguranti dei cinghiali alati.
I guardiani silenziosi di Hogwarts.
Giuntovi davanti, Severus estrasse la propria bacchetta e con un solo, leggero, movimento del polso sciolse l’Incantesimo che permeava il cancello stesso. Una volta aperto lo attraversò, richiudendolo e sigillandolo nuovamente in un istante.
In quel momento chiunque si trovava al di là di quelle austere sbarre di ferro, chiunque si trovava ad Hogwarts, vicino ad Albus Silente, era al sicuro.
E lui era la fuori.
Respirò a fondo l’aria fresca della notte e, nuovamente, riordinò i propri pensieri ponendoli in invisibili cassetti, serrati e celati nella sua mente.
Al momento opportuno solo alcuni di quei cassetti si sarebbero lasciati aprire, gli altri sarebbero rimasti inaccessibili.
Chiuse gli occhi, con la brezza notturna che gli accarezzava il volto e gli agitava la nera veste intorno al corpo e, in un istante, si smaterializzò.


Quando riaprì gli occhi si trovava dinnanzi ad un altro cancello, in un luogo lontanissimo. Questo cancello era arrugginito e dietro ad esso si estendeva un giardino incolto e, infine, illuminata dai raggi della luna, si ergeva una casa, anch’esse vecchia e trascurata. Se non fosse stato per un luce fioca che baluginava a tratti dietro una finestra, si sarebbe detta disabitata.
Severus l’osservo per un istante, estrasse la bacchetta e mormorando qualcosa la avvicinò cautamente alla serratura del vecchio cancello arrugginito, non accadde nulla. Senza più esitare lo spinse ed entrò.
Camminava a passi decisi, il mantello nero che svolazzava alle sue spalle gli conferiva un’aria sinistra e misteriosa che ben si accordava a quel luogo, il volto pallido sembrava riflettere la luna. Giunto davanti alla vecchia porta d’ingresso la studiò un istante. Non sembravano esserci Incantesimi protettivi nemmeno lì. Lentamente afferrò la maniglia e la spinse. La porta cigolò stancamente, aprendosi su un ingresso semibuio che odorava di legno marcio. Severus mosse un passo e le assi del pavimento scricchiolarono sotto i suoi piedi.
Scrutò nell’oscurità, cercando di abituare gli occhi a quel buio, che era quasi totale, nonostante la luna filtrasse a tratti delle assi che saldavano le imposte. Dopo aver riflettuto un secondo, mormorò “Lumus” e la punta della sua bacchetta si accese di luce all’istante, illuminando l’entrata quasi a giorno. Gettò uno sguardo intorno, poi qualcosa ai suoi piedi si mosse e, mentre il suo cuore mancava di una battito, vide un lungo, enorme serpente strisciare quietamente verso di lui. Severus rimase immobile mentre l’orrendo rettile si fermava ai suoi piedi, facendo saettare la lingua biforcuta. Sembrava studiarlo con gli occhi luccicanti, in una raggelante espressione di curiosità. .
Dopo quell'esame, durato qualche secondo, il serpente si voltò pigramente e, strisciando attraverso l’ingresso, raggiunse le scale malandate, cominciando a risalirle.
Severus colto da un presentimento mormorò “Nox” e il buio ridiscese intorno a lui. Allora ripose la bacchetta nella tasca interna del mantello, in modo che fosse facilmente raggiungibile e seguì il sinistro rettile lungo la scalinata.
Ogni passo che muoveva sembrava potesse essere quello decisivo a far sprofondare i gradini, che sembravano reggerlo a stento, mentre non un solo rumore si levava dalle vecchie assi marce al passaggio del serpente.
Giunto in cima alle scale, Severus gettò uno sguardo a destra e poi a sinistra e colse nuovamente il movimento strisciante della sua, inconsueta, guida. Si incamminò dietro quell'impressionante essere, attraversando il lungo corridoio. Man mano che procedeva il chiarore sembrava accrescere, il riverbero di una debole luce giungeva dalla stanza che si stagliava proprio alla fine del lungo percorso.
Severus si irrigidì leggermente e accarezzò la sagoma della sua bacchetta, attraverso il tessuto del mantello. Ma non la estrasse e non rallentò di un passo.
L’enorme rettile che lo precedeva strisciò, con un guizzo elegante, oltre la porta semiaperta, sparendo dalla sua vista.
Dunque egli si trovava oltre quella barriera sottile.
Severus dominò i propri pensieri, il volto deciso, lo sguardo fermo, le mani fredde, giunse infine davanti alla porta di legno scuro da dietro la quale non proveniva alcun rumore.
Si fermò un solo istante, avvertendo prepotentemente la presenza di colui che lo attendeva aldilà, in quella stanza dove stava per decidersi la sua sorte, stava per compiersi il suo destino.
Un destino che non era più nelle sue mani. Come non lo era ormai da molto tempo.
Spinse la porta con delicatezza ed entrò.


 
FINE PRIMA PARTE
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** SECONDA PARTE ***


Il rosso e l’azzurro di una prigionia'



SECONDA PARTE

 




La stanza rettangolare era illuminata fiocamente, si potevano distinguere le sagome dei vecchi mobili coperti, per la maggior parte, da teli bianchi che li facevano apparire come spettri informi. Il lungo serpente si era acciambellato al fianco di una bassa poltrona, che occupava la parte centrale della stanza.
Una grande finestra lasciava filtrare la luce della Luna, che accarezzava il pavimento coperto da un consunto tappeto.
Davanti a quella stessa finestra si stagliava la figura di un uomo.
Questi stava immobile, dando le spalle alla porta, e sembrava non essersi accorto che qualcuno era appena entrato nella stanza ed ora stava, altrettanto immobile, in attesa.
Severus riuscì a controllare i battiti del cuore, osservando per un istante quella sagoma spettrale dalla quale era separato solo da pochi passi. Il cranio candido di quell’uomo riluceva e la nuca bianca sembrava pulsare lievemente anche a quella distanza.
Severus avanzò lentamente poi, giunto quasi al centro della stanza, si inginocchiò chinando la testa profondamente, quasi a sfiorare la superficie del tappeto logoro.
Attese immobile per dei secondi che parvero anni. Quattordici anni.
Una sensazione fortissima di deja-vù lo colse.
Vent’anni prima si era inchinato per la prima volta davanti a quello stesso uomo. L’aveva fatto con l’animo colmo di gioia e soddisfazione, con la sensazione di avere finalmente trovato il proprio posto.
Sigillando prontamente l’emozione che cresceva dentro di sé, continuò a rimanere immobile. Poi, un leggero fruscio lo avvertì che l’uomo si era voltato. Poteva sentirne lo sguardo che percorreva lentamente la sua figura.
Improvvisamente dinnanzi ai suoi occhi, che fissavano il tappeto, ondeggiò l’orlo di una leggera veste nera.
L’Oscuro Signore gli stava proprio di fronte. Incombeva su di lui.
Severus continuò a rimanere assolutamente immobile, ancorato al pavimento, in attesa.
- Severus.- Quella semplice parola volò fino a lui, come trasportata dal gelido vento che l’aveva formulata: una voce agghiacciante. Non vi era traccia di umanità in quel suono.
- Alzati, Severus - ordinò quella stessa voce.
Ubbidì rialzandosi lentamente, il capo sempre chino.
Poi , una volta che fu nuovamente in piedi, raddrizzò lentamente la testa trovandosi a fissare il volto di colui che non vedeva da quattordici anni. Un volto molto diverso da quello che ricordava.
Rimase impassibile, osservando quei lineamenti inumani. Al posto del naso vi erano solo due narici appiattite, due fessure da rettile. La pelle era bianca e, talmente sottile, che lasciava intravedere interamente le vene azzurrine che pulsavano sotto di essa. La bocca era completamente esangue. Ma furono gli occhi a turbarlo maggiormente. Occhi rossi, completamente rossi, con le pupille verticali.
Ogni traccia di umanità, anche la più remota, che una volta aveva albergato in quel volto si era dissolta, perduta per sempre.
Ma sul viso di Severus il turbamento non si fece cogliere.
Chinò nuovamente il capo, umilmente.
La gelida potenza che emanava da quel corpo magro ed emaciato ritto dinnanzi a lui, avvolto da una semplice tunica nera, era spaventosa.
- Sei tornato.- disse Voldemort, in un tono quasi affettuoso - Ti stavo aspettando.- aggiunse, più freddamente.
Era più di una constatazione. Era un ordine. Voleva sapere il perché di quell’attesa.
- Mio Signore- esordì Severus, la voce bassa e modulata.- L’attesa che avete dovuto sopportare è stata indotta dal mio solo desiderio di compiacervi pienamente, eseguendo i Vostri ordini, come sempre.- 
Attese qualche istante prima di proseguire.
- Sono giunto, infine, su ordine di Albus Silente.- Le parole rimasero sospese nell’aria qualche istante.
Severus sapeva che in quei pochi secondi si giocava la sua vita.
Improvvisamente, l’Oscuro Signore allungò la mano sinistra ed artigliò quella destra di Severus. Lui riuscì a controllare uno spasmo e rialzò lo sguardo. Era come essere toccati da un cadavere. Solo che nessun cadavere era così spaventoso, così pericoloso. Voldemort lo osservò un istante negli occhi, lasciandosi scivolare lentamente all’indietro e trascinando Severus con sé. Giunto fino alla poltrona Voldemort vi si sedette, trattenendo sempre la mano di Severus, che si inginocchiò nuovamente ai suoi piedi. Il capo sempre chino, in un atteggiamento di profonda devozione. Una devozione che riusciva fin troppo bene a simulare.
Furioso con sé stesso, Severus dominò nuovamente ogni piccola sbavatura nelle sue emozioni.
Le dita dell’Oscuro Signore, sempre avvolte attorno alla sua mano, erano sottili ma straordinariamente, forti.
- Il mio prediletto - mormorò.
Le parole, pesanti come macigni, suonarono alle sue orecchie come una sentenza.
Per qualche istante rimasero così: immobili. Il servo e il padrone.
- Dunque mi sei ancora fedele, Severus.-, sussurrò Voldemort, chinandosi in avanti e stringendo fino allo spasimo la sua mano.
Ancora una volta non era una semplice constatazione.
Improvvisamente il Signore Oscuro si alzò, scansandolo con un gesto imperioso. Severus vacillò ma rimase comunque in ginocchio, avvertendo il fruscio della veste di Voldemort che si muoveva rapido nella stanza. Il lungo rettile sollevò il muso, saettando la lingua biforcuta, con aria vigile.
- Hai continuato a servirmi, in tutti questi anni, Severus?-, gli girava intorno, rapido come un serpente. I movimenti febbrili del suo corpo che contrastavano con la sua voce, ancora bassa e glaciale.
-Quattordici anni! Per quattordici anni hai continuato ad essermi fedele, sottostando però alle leggi di Albus Silente?!- E stavolta la voce si alzò, sferzando l’aria, permeata di puro odio.
- Hai conservato memoria del tuo Signore, Severus, in tutto questo tempo?Hai resistito alle lusinghe di quell’uomo?- nuovamente sembrò che la voce fosse intrisa di puro veleno.
Il cuore di Severus ebbe un balzo, ma non un muscolo si mosse sul suo viso.
- Non hai accarezzato nemmeno una volta, dunque, l’idea di cambiare il Padrone da servire?-
Sembrava che l’aria fosse frustata da quella gelida voce infuriata.
- Alzati, Severus. E guardami-
Lui si alzò lentamente e si girò ad osservare Voldemort diritto negli occhi, riuscendo tuttavia a mantenere un’aria di grande devozione ed umiltà.
L’Oscuro Signore invase con potenza inaudita la sua mente, nel momento stesso in cui i loro sguardi si incrociarono. Sembrò che un uragano avesse scoperchiato il tetto di una casa. Severus poté quasi udire lo schianto della barriera che proteggeva la sua mente che si infrangeva. Come una lancia estratta da un corpo ferito, sentì il dolore dei suoi pensieri che venivano estirpati dai loro giacigli. Una tempesta sembrava infuriare dentro di lui.
Tuttavia, nonostante la battaglia che oltraggiava la sua testa e minacciava di spingerlo in un precipizio di follia, riuscì a controllare ogni piccolo anfratto della propria mente.
Lo sforzo minacciava di spezzarlo, ma non uno spasmo ebbe il suo volto.
Le labbra sottili non si strinsero, rimasero semiaperte in un atteggiamento quasi rilassato. Le mani non si contrassero, ma rimasero abbandonate lungo i fianchi. Il suo corpo non vacillò né indietreggiò.
Si offrì, apparentemente, senza riserve.
Alla fine, dopo quella che parve un’eternità, l’invasore venne nuovamente risucchiato fuori dalla sua mente.
Severus riuscì a controllare persino il respiro. Sentiva il sudore scivolargli lungo la schiena, per lo sforzo. Il suo volto però era impassibile e gli occhi, bui e bene aperti, ancora fissi in quelli di Voldemort.
I due si guardarono per qualche istante.
Poi le labbra dell’Oscuro Signore si contrassero in una smorfia di compiacimento.
- Il mio prediletto…- ripeté. Stavolta la voce era quasi morbida, le parole non caddero, ma scivolarono e avvolsero Severus.
Voldemort lo osservò ancora qualche secondo, poi gli porse la mano in maniera regale. Severus si avvicinò, si inginocchiò nuovamente e pose su quella mano le labbra, in segno di rispetto e sottomissione.
- Tuttavia, Severus- mormorò Voldemort, come riprendendo un discorso inespresso – tu sia bene che io non tollero che mi si faccia aspettare quando voglio vedervi riuniti tutti intorno a me.- la sua voce sembrava esprimere quasi una sorta di rammarico.
Severus sapeva cosa l’attendeva. L’aveva visto accadere decine di volte ai suoi compagni di un tempo, solo che non l’aveva mai sperimentato personalmente.
Cercò di rilassare i muscoli, ancora rigidi dallo sforzo precedente. Serrò le labbra e preparò il suo corpo, controllando la paura perché sapeva che, altrimenti, sarebbe stato molto peggio.
Voldemort ritirò la propria mano e si allontanò di un passo, estraendo la propria bacchetta con un movimento fluido.
- Crucio – sussurrò quasi amorevolmente.
Il dolore si abbatté su Severus. I nervi sembrarono incendiarsi sotto la furia di quella punizione. Quei pochi secondi furono infiniti. La stanza parve dissolversi davanti ai suoi occhi, mentre il suo corpo gridava di dolore. Poi tutto cessò.
Lentamente tornò alla realtà. Si ritrovò disteso a terra a fissare il soffitto con la vista annebbiata. Attese qualche secondo e si rialzò. Non aveva emesso neppure un debole suono.
Ansimando lievemente, si rimise in ginocchio, il capo nuovamente chino.
Allora il suo padrone dagli occhi scarlatti, rinfoderata la bacchetta, si sedette sulla poltrona. Il grosso serpente svolse le spire e scivolò lentamente, acciambellandosi ai piedi dell’Oscuro Signore, con l’aria soddisfatta di chi non vorrebbe trovarsi in nessun altro luogo.
- Ora, Severus, parliamo.- mormorò Voldemort, con la voce calma ma imperiosa.
E lui capì che la sua sentenza non sarebbe stata eseguita. Non quella sera.
La sua condanna era rimandata.


 
FINE SECONDA PARTE

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ULTIMA PARTE ***


Innanzitutto volevo fare un ringraziamento a tutti coloro che hanno letto anche questa mia ff, anche senza commentare e recensire, e un ringraziamento particolare a Redistherose: grazie per la tua recensione e per i tuoi complimenti, che hai lasciato su 'Una lunga risalita', grazie mille!Sono felice di avere illuminato la tua giornata....per ora non ho ancora iniziato a scrivere nulla di nuovo, ma lo farò presto. Spero di trovarti ancora tra le mie lettrici!


Ecco l'ultima parte. Qui ho voluto rappresentare dei sentimenti che, spero vivamente, la Row finirà per attribuire a Severus prima o poi. E ho anche voluto omaggiare un grande personaggio: Albus Silente.....

Spero vi piaccia, e grazie!



 
'Il rosso e l’azzurro di una prigionia'




ULTIMA PARTE


 


Gli ultimi istanti della notte si stavano consumando e gli uccelli già cantavano nei loro nidi, quando Severus si ritrovò a fissare nuovamente il cancello che proteggeva l’entrata ai giardini di Hogwarts.
Le primi luci dell’alba filtravano rompendo, con il loro pallido oro, il blu denso della notte. Le stelle sembravano ritirarsi.
Il volto pallido di Severus portava i segni delle lunghe ore appena trascorse. Ombre nere si stagliavano sotto gli occhi, neri e bui come sempre, eppure più lucidi del solito.
Con un gesto stanco recuperò la propria bacchetta e colpì lievemente il cancello, che si aprì istantaneamente. Una volta che lo ebbe oltrepassato e sigillato nuovamente, si avviò verso il Castello. Il suo passo era deciso e rapido come sempre e tuttavia vi era una rigidità insolita nei suoi movimenti. Giunto infine davanti al grande portone chiuso si fermò. Improvvisamente i suoi muscoli sembrarono registrare lo sforzo immane che avevano compiuto quella notte, nel momento in cui l’Oscuro Signore aveva violato la sua mente, per poi straziare le sua membra con una Maledizione Cruciatus di violenza inaudita. Si rese conto di essere ancora rigido e, nell’istante in cui cercò di rilassare gli arti e i muscoli, un tremito convulso lo colse.
Il sudore gli imperlò la fronte e non riuscì a sollevare nemmeno un piede per muovere un passo. Si appoggiò allora con la fronte alla fredda pietra dell’edificio, cercando sollievo. Respirò a fondo e si impose di smettere di tremare. Si sentiva debole e frastornato. La sua mente, di solito composta e rigida, era un caleidoscopio di immagini ed emozioni. Aveva la nausea ed era disgustato dalla propria debolezza. Tuttavia non riusciva a placare quell’ondata di dolorosa consapevolezza che il suo corpo sembrava pretendere come tributo.
Improvvisamente avvertì un fruscio e un peso, caldo e confortante, gli si appoggiò sulla spalla. Voltò la testa e si trovò a fissare un essere di una bellezza straordinaria. L’essere emise un dolce suono ed esso, come forza liquida, filtrò tra le membra stremate di Severus. Improvvisamente, insieme al benessere fisico che ne trasse, avvertì una commozione e un sentimento di gratitudine travolgenti.
Lui gli aveva inviato la sua forza e il suo conforto nelle sembianze della sua Fenice: Fanny. Lui l’aveva atteso sveglio e ora lo invitava a raggiungerlo.
Severus osservò ancora per qualche istante la Fenice, soggiogato dagli occhi compassionevoli di quello splendido animale. Assaporò ancora un’ po il calore che filtrava attraverso il mantello, riscaldando il suo corpo gelido. Poi si raddrizzò e si ricompose. Fanny piegò il capo osservandolo ancora un istante poi, emettendo ancora il suo dolce canto, si sollevò in aria e scomparve.
Sentendosi ancora debole, ma comunque ristorato, aprì il portone ed entrò nella Scuola. Ormai l’alba aveva scacciato quasi del tutto la notte, il freddo pavimento in pietra del vecchio castello si illuminava di pallidi riflessi bianchi e grigi.
Severus attraversò l’atrio e si diresse a passi svelti verso lo Studio di Silente. Giunto davanti al Gargoyle di pietra che ne celava l’ingresso, mormorò la parola d’ordine, con l’espressione di stupore misto ad impazienza con cui lo faceva sempre.
Decisamente non capiva e non condivideva il senso dell’umorismo del Preside.
Infine, una volta che il Gargoyle si fu scansato, risalì le scale a chiocciola e bussò alla porta dello Studio. Nell’attimo che ci mise a girare la maniglia ed ad entrare fu colpito dal contrasto tra l’atmosfera che emanava la porta dietro la quale si celava Voldemort e l’atmosfera che trasmetteva ora questa porta.
Gelida furia contro bruciante quiete.
Quando entrò si trovò di fronte Albus Silente, che l’attendeva in piedi, in mezzo alla stanza.
Era vestito con gli stessi abiti che indossava nel momento in cui si erano separati. La schiena diritta come una spada, nella postura di chi può affrontare il mondo e il suo giudizio con la tranquillità che deriva dalla consapevolezza di non avere colpe. I lunghi capelli e la lunga barba d’argento parevano dispensare luce, piuttosto che catturarla. I lineamenti segnati dall’età avanzata sembravano incisi dalle mani amorevoli di un artista intento a cogliere la saggezza e la purezza di spirito.
Fanny era appollaiata sul suo trespolo d’oro e lo osservò con dolcezza, poi infilò il capo sotto l’ala e sembrò addormentarsi.
Severus incontrò lo sguardo di Silente.
Gli straordinari occhi azzurri del Preside lo scrutarono, colmi di sollecitudine e ansia. Un nodo serrò la gola di Severus, contro la sua volontà. Riuscì a dominarsi ma, nel momento in cui aveva incrociato lo sguardo limpido e caldo del Preside, aveva avvertito un sollievo e un senso di sicurezza che si erano quasi sciolti dentro di lui.
Silente gli si avvicinò, il passo elastico e scattante di sempre, ponendogli una mano sulla spalla e, facendo pressione lievemente, lo spinse verso una sedia. Severus vi si lasciò cadere e attese che Silente prendesse posto sulla sedia che stava al di là del tavolo.
Si guardarono ancora un istante. Entrambi col viso tirato e segnato da quella lunga notte.
- Ebbene, Severus.- Mormorò Silente - Alla fine quello che abbiamo atteso a lungo è avvenuto. Immagino che sia stata un’esperienza dura.-
Severus chinò lievemente il capo in segno di assenso, senza distogliere lo sguardo dal volto fiero del Preside.
Il calore umano che quell’uomo sapeva infondere in ogni suo gesto, in ogni sua parola, riuscivano sempre ad ammaliare Severus. Con il solo potere dei più profondi e puri sentimenti che emanavano da lui, Albus Silente aveva la capacità di rendere tutto meno insopportabile, meno duro, persino meno raccapricciante.
Severus sentì una grande malinconia dentro di sé.
Avvertì il senso di inadeguatezza colmo di rimpianto che lo coglieva sempre, quando lo straordinario uomo che gli sedeva di fronte palesava così naturalmente, quasi inconsapevolmente, la propria grandezza.
Lo sguardo del Preside lo studiò ancora un attimo, pieno di rammarico e comprensione.
Quello era uno sguardo che solo altre due persone in tutta la sua vita gli avevano rivolto. Due donne. Sua madre e Lily Evans. Rammentò per un istante una mattina di giugno di tanti anni prima. Un volto giovane e intelligente. Due occhi verdi, limpidi e pieni di calore umano.
Qualcosa tremò nel suo animo. Ogni dolore e ogni istante di paura non sarebbero mai stati abbastanza. La sua non sarebbe mai stata una punizione adeguata, lo sapeva.
Ancora un attimo si lasciò cullare dallo sguardo accogliente del Preside. Severus sapeva bene che Albus Silente avrebbe voluto poter caricare su di sé tutta la sua fatica, la sua pena, tutto il suo dolore.
Poi spostò lo sguardo su Fanny, il cui piumaggio sembrava ardere, accendendo di scintille rosse l’aria mattutina.
- Se mi permetti, Severus…-, mormorò gentilmente Silente, riportando la sua attenzione su di sé.
Lui capì e incrociò nuovamente lo sguardo dell’anziano Preside con tranquillità. Non sarebbe riuscito comunque a parlare, non ne avrebbe avuto la forza. Ora che la tensione si era sciolta sentiva una quieta debolezza ammorbidirgli le membra. La sua mente, ora serena, era distesa e lui sentiva il pulsare del proprio cuore in profondità. Una sensazione meravigliosa.
Quando Albus Silente si inabissò nelle acque dei suoi pensieri, Severus avvertì la dolce sensazione dell’incresparsi lieve della propria mente. Sembrava che una mano gentile smuovesse con delicatezza le acque di un ruscello, alla ricerca di un tesoro luminoso. Le immagini e i suoni che quella mano carpiva erano scrutati con rispetto e gentilezza per poi essere rilasciati, come sabbia fine tra le dita, senza venire dispersi.
Stavolta il corpo di Severus rimase realmente rilassato ed immobile, le mani abbandonate, le gambe distese, i capelli che gli sfioravano il volto stanco.
Alla fine Silente si ritirò, osservandolo con aria grave.
- Capisco bene di averti chiesto molto ma ti ringrazio, Severus. Per il momento voglio solo che tu vada a riposare, più tardi ti pregherò di raggiungermi nuovamente. Ci sono molte cose che dobbiamo decidere. E’ inutile farlo, però, con la mente ed il corpo esausti.-
Severus annuì nuovamente, sempre in silenzio.
Silente si alzò e lo invitò a fare altrettanto.
Poi, posandogli una mano sul braccio, con la sollecitudine di un padre verso il proprio figlio, lo accompagnò alla porta.
- La cosa più importante, ora, è che tu sia ritornato sano e salvo- mormorò, con la voce che lasciava trasparire una sottile commozione. Gli strinse ancora un attimo il braccio e lo spinse dolcemente facendolo uscire dalla stanza.
Quando la porta si richiuse alle sue spalle, il suono che emise, ricordò a Severus quello di un ultimo ingrediente che, aggiungendosi agli altri, completa una Pozione.
La Pozione creata per lui e da lui, era ormai pronta e ora poteva avvertirne gli effetti.
Era definitivamente legato.
Non aveva scampo. Non aveva scelta. Non aveva un destino.
Lo avvertiva chiaramente perché era prigioniero, per propria scelta, di due uomini che, in modi e in tempi diversi, lo avevano avvinto nelle spire di un fato segnato.
L’uomo dai freddi occhi rossi aveva lusingato la sua voglia di riscatto, facendo leva sui suoi sentimenti torbidi e violenti, quali l’odio e la vendetta, donandogli, contemporaneamente, un’inebriante sensazione di appartenenza. Il desiderio di rivalsa che ne era conseguito l’aveva catapultato in un abisso dove non c’era spazio per nulla che non fosse morte e sopraffazione, seppur colme di un potere effimero.
L’uomo dai caldi occhi azzurri non aveva fatto altro che tendergli una mano, aiutandolo a risalire. Aveva, prontamente, risposto al suo grido d’aiuto. Così facendo l’aveva depositato in un limbo di redenzione e pentimento. L’aveva accolto con calore, fiducia, affetto, mostrandogli cosa fossero il rigore, la lealtà, la grandezza e condannandolo, pur senza volerlo, ad una tortura perenne: il senso di colpa.
Avrebbe ripagato l’uno con il tradimento e l’altro con la propria vita.
Ma alla fine, forse, sarebbe stato libero.



 
FINE

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=95924