Like apple and cinnamon.

di GurenSuzuki
(/viewuser.php?uid=67051)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


CHAPTER 1




Un candido petalo dalle sfumature rosate entra dalla finestra aperta, posandosi delicato sul mio banco perfettamente lindo.
Lo prendo delicatamente tra due dita, saggiandone la consistenza quasi eterea: scivola come fosse seta.
Lo rinchiudo nel palmo puntando lo sguardo reso ghiacciato dalle lenti artificiali  sul panorama offerto dalle imposte spalancate: Tokyo si estende coi suoi palazzi grigi che da bambino mi ricordavano le guglie di un antico castello medievale. Di quelli che ricoprivano le pagine dei miei libri di favole e che credevo fossero un sogno stupendo. Sorridevo guardandoli. Ora capisco che sono solo abitazioni e fabbriche, nonostante un barlume di allegria riesca a trapelare dai loro profili, grazie al caldo sole primaverile.
Oggi è una giornata troppo bella per essere sprecata dietro a questo pezzo di legno, ad ascoltare una vecchia raggrinzita spiegarmi qualche assurda formula di Trigonometria che sicuramente non capirò -dato che nemmeno mi interessa farlo.
Vorrei solo uscire, respirare l'aria fresca e frizzante, sentire il sole scaldarmi la schiena: e invece sono bloccato qui ancorato coi piedi per terra.
Io non voglio stare a terra. Io voglio volare, spiegare le mie ali e librarmi in cielo, sentendo l'aria fredda dell'alta quota lambirmi la pelle del volto e scompigliarmi i capelli.
Chiudo gli occhi e simulo la sensazione che proverei con l'immaginazione: favoloso.
Poi, il mio ritaglio di perfezione viene sottratto dal suono trillante e fastidioso della prima campanella del lunedì: il primo giorno di scuola è forse il più frustrante, coadiuvato interamente dalla nostalgia dei giorni di libertà e dalla consapevolezza di avere innanzi a sè ben undici mesi di scuola.
Sospiro immaginando la signora Fuwa entrare col suo passo baldanzoso, ampollosamente vestita e col suo solito cipiglio poco amichevole aprire il registro, gracchiare l'appello e incominciare con le solite prediche, ormai di rito ad inizio anno per una classe turbolenta e poco partecipe come la nostra.
Prendo una penna e inizio a giocherellarci, conscio che non la userò per tutto il giorno.
Sto appunto rigirandomela tra le dita poco interessato, incassato nel banco, quando sento una voce sconosciuta -e maschile- salutare amichevolmente.
"Buongiorno a tutti"
... e questo chi è?




E così questo è il mio primo giorno in questo istituto.
Non posso fare a meno di trattenere un sorriso divertito.
Il mio primo giorno e già mi ritrovo a fronteggiare una classe descritta dal corpo docenti come un ritrovo di teppisti, tanto che nessuno voleva occuparsene.
Alla fine mi sono offerto di farlo io.
Non mi faccio di certo spaventare da un gruppo di marmocchi.
In fondo deve ancora nascere chi sarà in grado di sottomettermi.
Non conosco la parola sconfitta.
Così come non conosco la parola sottomissione.
E’ qualcosa che hanno imparato persino i miei genitori.
Nessuno ha il controllo della mia vita.
Nel momento in cui sono sgusciato via dal ventre di mia madre ed il mio cordone ombelicale è stato reciso, sono diventato un uomo libero.
Libero di vivere la sua vita come vuole.
E di compiere le sue scelte.
Ed io ho scelto di cantare.
Di far vibrare la mia voce al di sopra degli altri denunciando i mali di questo mondo corrotto.
Se in questo momento mi trovo a camminare nei corridoi di questo istituto, cercando di evitare degli alunni in ritardo che corrono come una mandria di bufali, è solo perché questa dannata società non ha posto per i poeti.
Per i sognatori.
Vuole materialismo.
Fatti concreti.
Fredda materia senza ideali.
Chi non segue questa regola, è tagliato fuori dalla società e destinato alla miseria.
Prima o poi riuscirò a realizzare il mio sogno.
E ci sono vicino, lo sento.
In fondo la mia è una delle voci più apprezzate nei locali notturni.
Ogni volta che salgo sul palco la piccola folla davanti ai miei occhi comincia ad agitarsi e ad invocare il mio nome come un esercito di soldati invoca il proprio condottiero trionfante.
Si, ormai manca poco.
E’ solo questione di tempo, poi finalmente riuscirò a compiere quel salto di qualità necessario per dedicarmi solo al canto.
Ma in attesa che questo accada vado avanti con il mio lavoro.
Mio padre avrebbe voluto che diventassi un medico.
Un pezzo grosso.
Pretendeva di manipolare la mia vita come se non fossi altro che un pezzo da gioco su una scacchiera.
Non lo accettavo.
Non potevo accettarlo.
Stare rinchiuso in uno studio non era quello che volevo dalla mia vita.
Mi sono ribellato e sono stato cacciato di casa.
Disconosciuto.
Senza che neanche la mia propria madre prendesse le mie difese.
Costretto a rifugiarmi dai miei nonni  per un tetto sopra la testa e a pagarmi gli studi solo con la potenza delle mie corde vocali.
Già gli studi.
Ho sempre odiato studiare.
Ma la verità è che senza un titolo di studio non si può fare niente in questa città e dovevo guadagnarmi da vivere.
I soldi che le mie esibizioni mi fruttavano erano quasi insufficienti per le spese scolastiche, tanto che per riuscire a coprirle dovevo trascorrere intere nottate insonni nei karaoke o in localacci malfamati che pur di attirare clienti accettavano di assumere minorenni..
Per quanto sia  un’amara e scomoda verità, non importa quanto talento si possa avere.
Finchè non riesce a sfondare, un vocalist non riuscirebbe nemmeno a pagarsi l’affitto di casa. A meno che  non faccia  anche un altro lavoro.
Credo di essere la dimostrazione vivente di questo.
Se volessi contare solo sugli introiti delle mie performance canore, non ce la farei a sostenere i costi della pigione per il mio appartamento  e tantomeno quelli delle bollette.
Ma non è stata solo per una futile questione di soldi che ho scelto di fare questo mestiere.
Dicono che i giovani sono il futuro.
La speranza per un mondo migliore.
Tante frasi usate solo per far leva sugli elettori da politici che in realtà dei giovani ed i loro problemi se ne sbattono altamente.
Ma io invece voglio crederci.
Voglio credere che un giorno una nuova generazione spazzerà via la corruzione e la crudeltà del mondo.  
E fin quando il mio sogno di condannare i mali che affliggono questa terra devastata  dall’alto di un palco non sarà realizzato, voglio essere uno di quelli che contribuiranno alla formazione di quei ragazzi che potrebbero salvare il futuro.
Perché in questo stesso istante, in uno dei banchi di queste aule, potrebbero esserci coloro che saranno in grado di abbattere i muri della crudeltà delle persone e risanare le ferite che storpiano la società e la faccia stessa della terra.
Ed io ho un solo modo per aiutarli: insegnargli a pensare con la loro testa.
A non tollerare costrizioni, né sottomissione, né schiavitù.
Solo in questo modo avranno le armi per realizzare i loro sogni.
Le stesse armi che sto usando io.
La campanella che annuncia l’ultimatum per gli allievi di entrare in classe trilla e mi distoglie dai miei pensieri.
Mentre continuo a camminare  il mio sguardo corre alle targhette sulle porte delle aule, alcune già chiuse altre ancora aperte, finquando non arrivo alla prima classe della giornata in cui avrò lezione: la V D.
Quella dei teppisti.
Senza esitare ne varco la soglia passando in rassegna con lo sguardo i suoi occupanti.
La mia scolaresca finquando la loro insegnante non sarà dimessa dall’ospedale.
Con un sorriso che  vuole essere il più amichevole possibile mi avvio verso la cattedra, salutandoli.
“Buongiorno a tutti.”
Un brusio perplesso si leva dal fondo dell’aula fino ai primi banchi.
Sicuramente si stanno chiedendo che fine abbia fatto la loro insegnante.
Con calma appoggio la cartellina e il registro che ho con me sul ripiano della cattedra, poi mi avvio alla lavagna.
Il familiare odore del gesso mi solletica le narici mentre afferro un gessetto nuovo e lo spezzo, lasciandone una metà nell’apposito contenitore  metallico, accanto al cancellino.
Con un movimento quasi artistico procedo a tracciare il Kanji di Kyo, occupando lo spazio intero della lavagna.
Kyo.
E’ così che mi presento a questi ragazzi.
Tooru Nishimura è il nome che mi hanno dato quei genitori che mi hanno voltato le spalle.
Il nome con cui questa società cinica e materialista mi ha schedato.
Il  nome di  uomo in ceppi.
Ma io ho spezzato le mie catene, sono libero da loro.
E il mio vero nome adesso è Kyo.
Completata la mia opera ripongo il pezzo di gesso ora smussato e mi volto verso i miei allievi.
Vedremo se sono davvero i teppisti che gli altri dicono che siano.
In fondo anche io sono stato definito un teppista solo per essere un uomo libero.
Nuovamente scandaglio la classe con lo sguardo in un’altra panoramica generale, poi passo alle presentazioni.
“Il mio nome è Kyo. La vostra insegnante di matematica, la Signora Fuwa, ha avuto un incidente domestico e attualmente è ricoverata in ospedale per un braccio rotto e l’anca lussata. Ne avrà per qualche mese, ma a parte questo sta bene. Fino ad allora la sostituirò io. Per andare d’accordo con me ci sono solo tre regole da rispettare: Prestatemi attenzione quando spiego; Impegnatevi; E soprattutto, in tutto ciò che fate dalla mattina quando aprite gli occhi fino  alla sera quando li chiudete, pensate sempre e solo con la vostra testa.”




Un ragazzo, che non dimostra più di 25 anni, è appena entrato, stretto nei suoi pantaloni di simil-pelle e una giacca dello stesso tessuto. Ha capelli biondi arruffati e sul suo volto svettano diversi piercing. Ha uno sguardo molto austero, quasi inviolabile, come avesse messo un lucchetto alla propria anima.
Va verso la lavagna -lasciando la porta aperta- e inizia a scrivere un Kanji. Mentre traccia le corpose linee col gesso precedentemente spezzato, noto che sulle dita della mano destra ha un tatuaggio... anzi, tre. Un tribale sull'indice e due scritte in una qualche lingua dell'est europeo su mignolo e anulare.
Quando termina di scrivere ripone il gesso e si fa da parte per permetterci di leggere.
Kyo.
Kyo.
Kyo!?
Sì, Kyo!
Fa ballare i suoi occhi castani per tutta la classe, osservandoci uno ad uno. Poi parla e una scarica infinita di brividi mi si propaga lungo la spina dorsale.
“Il mio nome è Kyo. La vostra insegnante di matematica, la Signora Fuwa, ha avuto un incidente domestico e attualmente è ricoverata in ospedale con un braccio rotto e l’anca lussata. Ne avrà per qualche mese, ma a parte questo sta bene. Fino ad allora la sostituirò io. Per andare d’accordo con me ci sono solo tre regole da rispettare: Prestatemi attenzione quando spiego; Impegnatevi; e soprattutto, in tutto ciò che fate dalla mattina quando aprite gli occhi fino alla sera quando li chiudete, pensate sempre e solo con la vostra testa.”
Dio. Non solo ha una voce profonda e sensuale... ma pure delle idee proprie. Sento che potrebbe iniziare a piacermi quest'assurda materia!
Non è male, in ogni senso. Mi incuriosisce il suo comportamento, i suoi sguardi e la sua gestualità.
Non ho mai fissato tanto intensamente qualcuno.
E' il classico insegnante che è per la libertà assoluta d'espressione, suppongo: credevo esistessero solo nei telefilm.
Continuo a giocare con la penna, e lo guardo con l'espressione più intensa che i miei occhi abbiano mai assunto, mentre Kyo si siede alla cattedra ed apre il piccolo registro che ha portato con sé.
Prende anche lui una bic e la scorre lungo tutto il foglio con la scansione dei nomi, poi inizia a fare l'appello.
Ogni lettera scivola tra quelle labbra adorne di un cerchietto metallico con la stessa fluidità dell'acqua e io mi ritrovo in balia delle onde.
"Natsu Aime"
La ragazza più corteggiata della classe alza una mano dalle unghie laccate di rosa shocking, sbattendo le lunghe ciglia finte e muovendosi un poco dietro al banco.
Kyo la guarda giusto un attimo e poi si rituffa sul registro, completamente disinteressato dai tentativi di abbordaggio di Natsu.
Credo sia un ragazzo parecchio corteggiato: insomma, non solo ha un viso armonioso e uno stile suo, è anche parecchio sopra le righe e in modo non troppo appariscente. Sembra quasi si voglia rivelare a pochi e sono determinato a raccogliere quest'assurda, ma quanto mai intrigante, sfida.
"Matsumoto Takanori".
Alzo con uno scatto fulmineo il braccio.
"Io, ma mi chiami Ruki" dico riabbassando l'arto.
Lui mette da parte il registro, allaccia le dita sotto al mento e vi si poggia per poi dire "Perchè, cos'ha il nome Takanori Matsumoto che non va?" con un sorrisetto sbilenco e terribilmente strafottente.
Io arriccio un angolo della bocca, per poi rispondergli, alzando lo sguardo dalla penna che ancora rigiro tra le mani "... Takanori Vicino al Pino*? Oh nulla" esalo ironico.
La classe si lascia andare a qualche risolino.
Lui socchiude lievemente gli occhi e poi inarca un sopracciglio cesellato, spronandomi a parlare senza usare parole, solo gli occhi. E' impressionante questo ragazzo.
Prendo fiato prima di parlare.
"Takanori Matsumoto è il nome con cui il mondo mi ha etichettato. Non sono io. Solo delle stupide lettere datemi da due persone che non mi conoscevano -e non è cambiato molto da allora. Il nome migliore che una persona può possedere è quello che si crea da sola. E il mio è Ruki."
Kyo apre gli occhi qualche millimetro di più, fissandomi quasi ipnotizzato. Poi sorride enigmatico e mi risponde in un modo che mi lascia esterrefatto.
"Mi piaci, Ruki."




“Mi piaci, Ruki.”
Le parole fluiscono spontanee dalle mie labbra, dirette verso il ragazzo seduto nel banco a destra dell’ultima fila.
Dal resto della classe si leva un sommesso brusio perplesso e la ragazza che ha cercato di ottenere le mie attenzioni durante l’appello mi fissa indignata.
La mia affermazione deve aver fatto scandalo, ma la cosa infine mi diverte.
Potranno scervellarsi per tutto l’anno per capire cosa abbia voluto dire con quel mi piaci, ma nessuno di loro potrà mai arrivare alla verità con assoluta sicurezza.
Quel Ruki mi piace.
Mi piace il modo in cui ragiona.
Mi piace il modo schietto in cui affronta qualcuno più grande di lui senza sottomissione o servilismo.
Mi piace il fatto che porti la sua divisa aperta, esattamente come facevo io.
Mi piace quel ciuffo fuxia che spicca tra il nero dei suoi capelli e che lo distingue dal resto della classe.
Mi piace il suono cristallino della sua voce.
Ma più di ogni altra cosa, mi piace perché pensa nel modo giusto.
Nel mio stesso modo.
Quel modo che mi sono ripromesso di insegnare a questi ragazzi per rovesciare le sorti di un’umanità destinata alla sofferenza.
Continuo a guardarlo negli occhi, resi azzurri da qualche paio di lenti artificiali, godendo del loro stupore.
Chissà a cosa sta pensando questo figlio della ribellione.
Mi piacerebbe saperlo.
Sorrido ancora, poi termino di fare l’appello.
Tutti presenti.
Bene, per essere una classe indisciplinata almeno non hanno saltato il primo giorno di scuola.
Con calma mi alzo e vado a chiudere la porta, tornando a far risuonare la mia voce.
Si zittiscono all’istante.
Probabilmente li incuriosisco.
“Sapete una cosa ragazzi? Il vostro amico Ruki ha ragione.” Comincio tornando verso la cattedra, saltando a sedere sul suo ripiano, prima di proseguire “Il miglior nome per una persona è quello che quella stessa persona compone per se stessa. Per questo motivo, la prima lezione di oggi la passeremo in questo modo: voglio che prendiate un foglio, uno qualsiasi, ci scriviate il nome che vi hanno imposto alla nascita e sotto questo quello che invece voi scegliete per voi stessi. Perché sarà con quello che io vi chiamerò d’ora in avanti. Esattamente come voi mi chiamerete sempre Kyo, in ogni circostanza. Persino di fronte al Preside se dovesse capitare.”







Finalmente la campana dell'ultima ora trilla, lasciandoci liberi.
Ripongo celermente i libri dentro la tracolla ed esco.
Il sole mi coglie impreparato e strizzo gli occhi. Infilo gli occhiali da sole e procedo spedito per la via che mi condurrà a casa.
Con le mani affondate nelle tasche, l'i-pod nelle orecchie che mi aiuta ad aprire le porte del mondo da sogno che ho creato procedo lungo le grandi e affollate strade di Tokyo, col sole a lambirmi il volto.
Quel prof, Kyo, mi piace.
Molto.
Le sue idee, il suo modo di fare schietto e diretto, la sua franchezza: tutto ha un effetto calamitico sulla mia mente, che ammetto essere ai limiti del ribelle.
Sembra abbia le mie stesse idee su molti punti. Mentre la classe pensava a che nome fosse meglio utilizzare per descriversi ha parlato un po'.
... e per la prima volta ho visto i miei compagni pendere dalle labbra di qualcuno, letteralmente.
E' incredibile, ha una presenza fortissima e una personalità complicata, di certo.
Ne sono estremamente affascinato.
Poi anche il fatto di usare dei nomi d'arte per chiamarci… è così schifosamente fuori dagli schemi che potrei amarlo.
Forse sta cercando di fare il grande, ma non mi importa: almeno ci prova.
Gli altri insegnati -così come gli adulti nella maggior parte dei casi- non tenta nemmeno di capire qualcosa di noi ragazzi. Restiamo sempre e comunque dei poveri bambini ignoranti, incapaci di articolare pensieri concreti e di avere idee nostre.
Mentre cammino, calpesto involontariamente dei piccoli fiori rosati, dai petali così simili a quello che si è posato sul mio banco stamattina.
A proposito: lo estraggo dalla tasca posteriore in cui l'avevo precedentemente infilato e lo faccio scivolare sulla pelle della mani senza guardarlo. E' così liscio che sembra realmente seta.
Passo per il parco, fermandomi su una panchina. Poggio la testa sullo zaino e fisso i rami di un ciliegio, genuflessi dal peso degli steli vergini in boccio.
Un fascio di luce si fa strada tra i delicati petali lievemente dischiusi, arrivando a centrare il mio occhio destro. Mi scosto.
Non vedo l'ora di sapere quando avrò un'altra ora con quel biondino.
Quel 'mi piaci' lanciato così enigmaticamente mi ha lasciato a dir poco perplesso. Insomma, è un qualcosa di totalmente inusuale da dire a uno studente, nonostante debba ricordarmi di star parlando di Kyo. Tutte le leggi vengono stravolte quando si tratta di lui, il giorno e la notte si uniscono e tutto va guardato al contrario.
E'… forte.
Incredibilmente.
Anche lui mi piace, parecchio, a tutto tondo. Ogni minima piccolezza sia riuscito a cogliere oggi mi ha stregato e affascinato a tal punto che ho maledetto la campana che segnalava la fine dell'ora: evento unico, non c'è che dire.
Però ho voluto lanciargli anche io un piccolo segnale, adesso sta a lui coglierlo.
Un ghigno mi si disegna in volto al pensiero di cosa gli ho lasciato scritto sul mio biglietto...








In fin dei conti come primo giorno non è stato poi male.
Oltre alla famigerata classe di teppisti ho avuto a che fare anche con due terze e una quarta, fin troppo disciplinate per i miei gusti.
Di quelle che si alzano dai banchi e si inchinano per salutare il professore.
Un gesto che ho sempre odiato.
E’ vero è un segno di rispetto verso l’insegnante, ma se l’insegnante stesso non ricambia quel saluto, allora non ha motivo di esistere.
Un professore non è in cima alla piramide del sapere.
Gli allievi hanno da imparare da lui, tanto quanto lui ha da apprendere dai propri alunni.
Qualcosa che molti sembrano ignorare.
Come se fosse qualcosa di inaccettabile.
Così, chiusi nella loro falsa superiorità, pretendono rispetto e dimostrazioni di quest’ultimo, quasi che quell’inchino fosse qualcosa che gli è dovuto per diritto, restituendo in cambio solo uno sguardo sprezzante.
Il preciso modo di comportarsi dei miei professori.
Li disprezzavo.
Li disprezzo ancora.
Disprezzo quel saluto ad inizio lezione così come disprezzo le persone dall’animo corrotto.
Il popolo di dannati che infesta la terra.
Gli ho vietato di inchinarsi di fronte a me.
Non devono più farlo.
I gesti meccanici e privi di sentimento sono per i soldati.
E loro invece sono solo ragazzi che si suppone debbano essere educati da uomini più saggi di loro ma che invece fanno di tutto per renderli gli uni uguali agli altri, soffocando la loro personalità.
Tutto l’opposto di ciò che desidero io.
Tutto l’opposto di come dovrebbe essere.
Scuoto il capo trascrivendo su un quaderno nuovo l’elenco dei nominativi degli allievi affiancati ai loro nuovi nomi.
Alla fine ho chiesto in ogni classe dove sono stato assegnato di scegliersi un nominativo.
Forse molti non hanno compreso il perché di questo gesto, ma non importa.
Confido che lo capiranno nei prossimi mesi.
Perché se credono di aver a che fare con il classico insegnante che assegna compiti impossibili, solo per il gusto di metterli in difficoltà, limitandosi a spiegazioni stentate… beh hanno sbagliato indirizzo.
Finalmente termino anche questa classe e passo alla successiva.
La V D.
Non posso fare a meno di lasciarmi andare ad un sorrisetto.
Me la sono conservata per ultima, come ciliegina sulla torta.
Ruki…
Confesso che è la prima volta che un allievo riesce a catturare istantaneamente la mia simpatia.
Ho pensato spesso a lui oggi.
Anche durante le prove di questo pomeriggio per lo spettacolo di stasera.
Guardo l’orologio appeso alla parete.
Sono le sette passate.
Ho più o meno due ore e mezza per prepararmi.
Abbastanza per trascrivere il loro elenco di nomi, prepararmi, andare al locale e mangiare qualcosa lì prima dello spettacolo.
Senza perdere tempo tolgo la fascia di carta, con su scarabocchiato il nome della classe, che tiene insieme quei fogli.
Sono molto soddisfatto di loro.
Ci hanno pensato su parecchio prima di scegliersi il loro nome.
Esattamente come avevo suggerito.
Decidere per se stessi un nome non è una passeggiata.
E’ qualcosa che fa fatto tenendo conto di quello che si prova nel proprio animo, delle proprie idee e di cosa si vuole trasmettere.
Solo considerando questi elementi sarà possibile creare un nome che sembra essere cucito addosso a chi lo porta da sempre, come un marchio indelebile che dichiara chi si è, cosa si vuole dalla vita, e quali sono i  propri sogni.
Un nome che potrebbero avere anche altre persone ma che se pronunciato richiamerà alla mente di chi lo ascolta solo ed esclusivamente quel soggetto che lo ha scelto per sé seguendo il flusso di emozioni della propria anima.
Esattamente come il nome Ruki, se fosse portato anche da dieci, cento, mille altre persone, mi farà pensare sempre e solo a quel ragazzo con i capelli neri e il ciuffo fuxia seduto all’ultima fila, con quel sorrisetto strafottente sulla faccia.
Aggrotto le sopracciglia, pensieroso.
Questo mi fa ricordare che proprio lui che aveva già il suo nome ha consegnato per ultimo.
Perplesso afferro il primo foglio sulla pila, ossia l’ultimo che mi è stato dato - il suo -.
E’ piegato a metà.
Senza indugiare oltre lo apro.
Che peste!
Non ha scritto neanche il nome e il cognome veri come avevo chiesto.
Semplicemente un enorme RUKI scritto a caratteri cubitali in inchiostro nero occupa l’intero spazio, poi la mia attenzione viene attirata da una scritta molto più piccola, in basso a destra.

‘Penso che potrei appassionarmi alla stupida materia che insegni.
                                                                                                    Ruki’

Beh…
Questo è…
Inaspettato.
Leggo più e più volte quelle righe cercando di capire cosa si celi dietro di esse.
Ironia?
Una sorta di ammirazione?
Un apprezzamento per la mia filosofia?
…un apprezzamento a ME?

Una risata sommessa fa sobbalzare le mie spalle prima di acquietarsi in un sorriso mentre porto l’estremità della mia penna tra i denti, mordendone piano il tappo.
Una brutta abitudine che dovrei perdere quella di mangiare le penne.
Credo di poterle classificare come uno dei miei alimenti base, ormai.
Cosa hai voluto dire, piccolo Ruki?
Mi hai restituito quel ‘mi piaci’ che ti ho lanciato senza darti modo di interpretarlo nella maniera corretta, facendo in modo che adesso abbia io qualcosa su cui scervellarmi tutta la sera?
Bravo.
Molto bravo.
Ti ammiro, Ruki.
Ma… sai una cosa?
Non credo esista un modo corretto di interpretare quel ‘mi piaci’.
Potrei dirti che mi piaci perché ragioni nel modo che io reputo corretto.
Perché sento che almeno in parte hai le mie stesse idee, solo guardando il modo in cui ti muovi e parli.
Perché il suono della tua voce è cristallino e deciso, privo di qualsivoglia accenno di sottomissione.
E anche perché con quella faccia da schiaffi e quel sorriso impertinente ti trovo molto carino, non lo nego.
In poche parole, mi piaci nella tua interezza.
Mi piaci a 360 gradi.
Per questo motivo, non c’è un preciso modo di interpretare quello che ti ho detto.
Perché non si riferisce a qualcosa di specifico della tua persona.
Ma a te in tutto e per tutto.
Sarà interessante confrontarmi con te, Ruki.
Non vedo l’ora, credimi.
Davvero non vedo l’ora.
Con un sorriso infilo quel biglietto nella tasca dei miei calzoni e mi metto al lavoro per completare il mio elenco.
Ho deciso.
Voglio darti un segno della mia stima, piccolo.
Anche se non lo saprai mai, questa sera sul palco la mia voce  vibrerà per te.













____________________________________________________________

*Ehggià, la traduzione in italiano di Matsumoto è proprio Vicino al Pino xDDD. Povero Ruru ç_ç


Tora’s note:
u.u”
Il titolo è preso dalla canzone 'Apple and Cinnamon' di Utada Hikaru, da qui l'ispirazione per la nostra opera letteraria u.u. Inoltre, come avrete già intuito in questo AU Kyo ha ancora il vecchio look che il sottoscritto adora (pochi tatuaggi, piercing e capelli biondi) così come Ruki e il suo stupendo ciuffo fuxia. XD


GurenSuzuki's note: bhe, che dire, credo non ci vogliano grandi commenti. Ruki ribelle e Kyo insegnante ghetto-style. La riproponiamo dopo un anno, qui nel fandom dei gazettE, sperando possiate apprezzarla nonostante la coppia travagliata. Che dire, non mi aspettavo di rivederla pubblicata, ma è un piacere poter riscrivere queste righe, una collaborazione divertente e produttiva, si spera xD. Un bacio ragazzuole.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


CHAPTER 2

Il Lux è un edificio abbastanza diroccato, piccolo e malmesso, nella più sporca e malfamata periferia a sud di Chiba. Non è esattamente il posto migliore dove passare le proprie serate, ma fanno buona musica. E soprattutto non ti fanno storie se non hai un documento che attesti la tua maggiore età.
E' una serata scura, in cui le luci di Tokyo ingurgitano ogni più piccolo barlume argentato del cielo nero. Soltanto un flebile e solitario spicchio di luna veglia sulle strade, e sembra quasi intagliato in quell'immenso drappo buio.
Il locale è scarsamente illuminato. In fondo alla sala c'è un piccolo palco semicircolare, sopra cui l'asta lucida di un microfono svetta vistosamente, riluce come avesse vita propria. E' ipnotizzante.
Mi stò rigirando un bicchiere tra le dita inanellate, gli occhi socchiusi ad osservare senza realmente vedere le piccole increspature della birra.
"Guarda che non diventa una vodka solo fissandola!"
La voce di quel debosciato di Ryo mi ridesta dallo stato catatonico in cui ero placidamente scivolato. Atteggio le labbra in una smorfia infastidita, alzando un sopracciglio senza nemmeno distogliere gli occhi dall'alcolico "Bhe, tenerti le mani sul pacco non te lo farà crescere a livelli ottimali, ma tu continui."
Questo è il livello dei nostri discorsi, più o meno. Io e Ryo ci conosciamo da praticamente una vita. Se cerco di riportare alla mente tanti piccoli particolari della mia infanza, lui è presente. Nonostante sia un idiota, una bertuccia in calore, stupido e infantile, è il mio migliore amico. Gli sono affezionato come a un fratello, e checchè io ne dica non potrei davvero essere sereno senza il suo buongiorno assonnato sul treno delle sei, andando a scuola.
"Invidioso che io almeno lo uso, Taka-chan?" ribatte instantaneamente, procurandomi un intenso fastidio all'udire il mio nome.
"Taci, stronzo."
"Piantatela voi due..." ci ammonisce senza nemmeno guardarci Kouyou, occhieggiando distrattamente il locale e i suoi avventori, accavallando in una posa languida le gambe lisce, scoperte da una minigonna che lascia ben poco all'immaginazione. Ecco, nonostante il volto da bambola e gli occhi obliqui sciolti di malizia, Kouyou è uno dei peggiori zotici che io abbia mai incontrato. Riesce a toccare livelli di scurrilità a me tutt'ora ignoti se solo lo si tocca sulle corde giuste, come riesce a riacquistare un'espressione pacifica e inviolabile. E' bello, Kouyou. Bellissimo. Ha un volto perfetto, un corpo mozzafiato. E gambe che si aprono con una facilità encomiabile. Ma come ho sempre sostenuto non sono affari nostri.
"Nervoso Kou-chan?" domanda pacificamente Yuu, lasciando scivolare la montatura scura degli occhiali sul naso, fino a scoprire gli occhi torbidi come catrame, che si puntellano in quelli screziati di nocciola del biondino al suo fianco, che ciondola distrattamente un piedino curato nell'aria. Yuu è un tipo strano, insondabile direi. Ha modi affabili e sensuali, movenze maschili con un aspetto abbastanza aggraziato da risultare un poco femmineo, lunghi capelli nero pece, tanto lisci al tocco che sembra di immergere la mano nell'acqua. E' altamente snob, e lievemente arrogante dall'alto del suo secondo anno da universitario. E' il più grande tra noi, ma sa essere il più infantile. Però è un balsamo per il mio cattivo umore, sa tirare su le persone con poche parole.
"Non sono nervoso..." ribatte stancamente la bambola, tirandosi via una dispettosa ciocca di capelli camomilla dagli occhi. Poi soggiunge "Finalmente iniziano a suonare, guardate."
Mentre ero ancora immerso in farneticazioni prive di senso, il palco ha iniziato a muoversi nell'ombra: cinque diverse figure sono salite e hanno iniziato a portare gli strumenti.
Improvvisamente, mentre ancora il locale è avvolto dalle spire dell'oscurità, una voce si erge, scivola nell'austero silenzio in cui è piombata la sala e si avvita poi in una scarica di brividi lungo la mia spina dorsale. E' una voce piena, morbida ma graffiante. E' virile. E' sensuale ai limiti della libidine.
Subito la segue una chitarra in un arpeggio melanconico, nostalgico quasi. Come una ninnananna, pare lo sciabordìo rilassante delle onde.
Improvvisamente, mentre le luci spaccano il buio, un urlo agghiacciante rieccheggia, da quella stessa voce. Ora il palco è illuminato e riesco a scorgere l'artefice di ciò: è un ragazzo. Biondo, scarmigliato.
Indossa una camicia aderente e leggera, aperta sul petto glabro. Il ventre è piatto e si intuisce perfettamente la forma guizzante di ogni muscolo addominale. La linea dell'ombelico termina sotto ad una cintura che tiene chiusi un paio di semplici jeans aderenti, che fasciano un fisico maschile ma per nulla volgare o disarmonico.
Il volto è tagliato trasversalmente da occhi magnetici, limpidi. Le sopracciglia sono corrucciate: ha lo stesso sguardo di una belva, prima di sferrare un attacco. Crudo, insensibile eppure attento a ogni barlume di vita.
Quei tratti però... mi ricordano qualcosa. Così come la voce che strilla in quel microfono stretto tra pallide dita sopra cui sono tatuate delle lettere in cirillico---
Kyo?!

Eccoli.
Sono questi i momenti che amo di più nella mia vita.
I momenti in cui ogni luce si spegne, ogni futile chiacchiericcio svanisce nel nulla.
Il silenzio totale.
L’attesa del pubblico.
I riflettori solo su di me.
Solo su di NOI, cinque artefici del nostro destino, cinque titani in lotta contro il mondo intero.
Poi la musica, infine la mia voce.
Tutto ciò che voglio.
Tutto ciò che ho sempre voluto: essere ascoltato.
Essere ascoltato e dire che questo mondo va di merda e fa di tutto per trascinarti dove vuole lui.
E ci vogliono coraggio, palle, e forza per nuotare contro la corrente di melma che ci viene contro da quando lasciamo l’utero di nostra madre.
E’ questo che fanno i Dir en Grey.
E’ questo quello che facciamo.
Avanziamo a gomitate cercando di elevarci con i nostri sentimenti e il nostro talento al di sopra di questo schifo confidando, sperando, che un giorno le nostre grida vengano ascoltate dagli altri. Ascoltate, non sentite, e che spezzino le catene di uomini nati liberi sulla carta ma già in catene in un modo ingiusto e corrotto prima ancora di vedere la luce.
Ed i liberati trarranno in salvo altri prigionieri e questi ultimi privi di ceppi faranno altrettanto in un ciclo di meravigliosa catarsi  finchè  questa terra martoriata non sarà finalmente libera da falsità, perversioni, ingiustizie.
Utopia.
Un Utopia nella quale io credo con tutto me stesso.
Senza sogni un uomo non vive.
Si limita a sopravvivere e senza nulla per cui lottare finisce trasportato via dalla corrente, sottomesso e reso uguale a tutti gli altri.
Non mento se dico che preferirei la morte ad una vita così.
Per questo canto.
Canto con ogni singolo frammento della  mia anima, mettendo a nudo la mia rabbia, la mia speranza, il mio dolore.
Come in questo momento.
Questa sera come ogni altra sera mentre un’accecante fascio di luce ci investe con il suo calore lasciandoci quasi liquefatti sul  palco, le mie mani si stringono attorno all’asta di questo microfono come se fosse la mia unica ancora di salvezza. Il mio corpo trema mentre si muove sinuoso al ritmo della melodia creata dai miei compagni e la gola brucia per quanto sfrutto le mie corde vocali a piena potenza, come se volessi squassare terra e cielo facendo collassare tutto questo una volta per tutte e far rinascere un mondo nuovo e migliore dalle ceneri del precedente. Un mondo nuovo guidato da una generazione nuova.
Una generazione come quella dei ragazzi della V D.
Una generazione come quella di Ruki.
Con un grido d’agonia mi contraggo su me stesso e proseguo a cantare questi versi che narrano di amore e dolore, di due anime che non riusciranno mai a raggiungersi né a toccarsi attraverso il muro dell’incomprensione. *
Quei muri che spero un giorno verranno spezzati via da ragazzi come te, Ruki.
Come ti ho promesso questa è la mia canzone per te.
Ed ora fai del tuo meglio, come io faccio del mio.
Accartocciato nella mia posizione mi sporgo per leccare l’asta del microfono dal basso verso verso l’alto provocando delle grida entusiaste da parte di qualche spettatore.
Se non stessi cantando sorriderei con ironia ed amarezza.
In mezzo a questa gente che grida per un gesto puramente scenico ci sarà qualcuno che ci sta ascoltando sul serio?

Lo seguo con gli occhi, flettere la spina dorsale come uno spago, manovrare il proprio corpo adattandolo alla mimica facciale e agli urli che spaccano le orecchie. E' uno dei canti più emozionanti che io abbia mai sentito. E'... viscerale. E' una mano che scosta un velo di nebbia. E' la luce che parla del buio.
E' ipnotico, porca puttana. Nonostante non si muova per tutto il palco e resti fermo dietro l'asta del microfono, ha la stessa forza di una tempesta. E quegli occhi. Quegli occhi così dannatamente vivi da rasentare l'assurdo, così consapevoli di ciò che gli sta attorno. Lui guarda questo pubblico, il buio di cui è intinta la sala, e ci vede.
"Ehi, Rukun, durello serale?" sento un polpastrello premermi la cerniera dei jeans - che senza rendermene conto è iniziata ad essere leggermente soffocante. Lo scosto con malavoglia e la smorfia sulla mie labbra si indurisce.
"Carino eh?" mi sussurra Kouyou, occhieggiandomi, come volesse capire la mia reazione.
"Mah. Normale." distolgo gli occhi dal palco, decisamente a malincuore, e passo una falange sul sottile bordo della pinta.
"Ma... Ruki, quello che canta non è lo sfigato supplente di matematica?"
Dannato Ryo, dannata lingua lunga di Ryo e dannata memoria di Ryo.
"Boh, forse. E non è sfigato."
Gli altri alla parola 'supplente' hanno drizzato le orecchie e ci fissano interessati.
"No, certo. Solo un patetico idiota che crede davvero di poter cambiare le cose." il biondo fa una smorfia nel parlare e queste parole mi irritano.
"Almeno lui crede in qualcosa. La tua massima aspirazione è scopare, Ryo." ribatto apparentemente disinteressato, giocando con un accendino.
"Le persone hanno tragurdi differenti nella vita." agita una mano nell'aria.
"Piantala di cercare di sembrare intelligente. Ti riesce male." in risposta sporge la lingua.
Mi danno fastidio, alle volte, le persone come lui. Ogni tanto mi fermo a pensare alle priorità della vita, o almeno, a quelle che dovrebbero essere tali. Le persone sono vicine e irraggiungibili, ma nonostante questo riesco a capire dai loro occhi a cosa pensano, su quali basi hanno gettato la loro vita. Non è presunzione, è semplice osservazione.
La maggioranza non ha voglia di cambiare il mondo in cui vive, troppa fatica per gli impiegati dal colletto bianco e il posto assicurato fino ai sessant'anni. Siamo così ordinari, noi giapponesi. Non una virgola fuori posto, tutto corretto e funzionale ai limiti dell'eccesso, razionali fino all'inverosimile. Un popolo triste. Tanto triste da aver creato un variopinto mondo al di fuori dagli ambienti tradizionali, riempiendolo di tutte quelle chincaglierie che ci vietano giorno dopo giorno. Siamo nella società più dicotomica che io conosca: da un lato il ferreo capitalismo delle industrie e delle aziente, e dall'altro il mondo dei consumi e degli eccessi della sfavillante vita notturna.
A noi giapponesi piace così, purtroppo.
A me l'ordine, la staticità, le emozioni sterilizzate, fanno schifo. Preferisco un mondo governato dal caos, ma nel quale io sia libero di essere ciò che voglio, di provare ciò che sento. Un mondo dove possa prendere ciò che la vita mi lancia di petto e godermelo fino in fondo. Provare sensazioni grezze, ma vere. Gordemi il dolore così come la gioia, perché sono mie e mai torneranno indietro.
Io voglio provarci, a cambiare gli ingranaggi.
Mi rendo conto che probabilmente è perché non ho ancora abbandonato il lato infantile della speranza, dell'onnipotenza e che probabilmente possegga un ego inversamente proporzionale alla mia altezza. Ma finché avrò fiato in gola nessuno mi vieterà di esprimere il mio pensiero.
Rivolgo di nuovo gli occhi al palco. Nonostante non lo stessi più osservando le sue parole mi si sono incise nella mente, a fuoco. Marchiate. Sono lettere così armoniose e crudelmente vere.
Improvvisamente, carponi sul palco, si rialza fluido, e passa la lingua lungo l'asta del microfono.
E io me la sento addosso, la sensazione di quel muscolo umido, poroso che passa sopra la mia pelle, lento. E i brividi m'avvolgono al sentire l'ennesima strofa sussurrata.
Improvvisamente tutto intorno si annulla. Ci siamo solo io e lui. Io, lui e la sua voce, che riempie la cavità del mio petto di calore. E' come se stesse cantando per me, questa sera. Solo per me.
Che pensiero idiota...
Cannot reach my voice.
Kyo, voglio raggiungerla. La tua voce. Me lo permetterai?






* 24ko Cylinder – Dir en Grey

note (Guren)

Tengo a dare una piccola nota di servizio:
Guren: testo normale, TimesNewRoman, punto di vista di Ruki.
Tora: testo corsivo, TimesNewRoman, punto di vista di Kyo.

Risponderò stasera privatamente alle vostre recensioni, vi ringrazio con tutto il cuore. Che dire, ci stiamo prendendo gusto a pubblicare xD ma non abituatevi ne!

See you next chapter!
Guren&Tora.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


CHAPTER 3

L’intervallo è sempre stato uno dei miei momenti preferiti quando ero uno studente.
Sarà perché non ho mai avuto realmente voglia di applicarmi in nulla.
Oppure semplicemente perché così potevo svignarmela indisturbato sul tetto per fumare una meritatissima sigaretta osservando la città dall’alto.
Quasi rimpiango quei tempi sotto certi aspetti.
All’epoca almeno nell’intervallo potevo dedicarmi in santa pace al fumo.
Adesso invece devo starmene rintanato nella Sala Docenti dove c’è un cartello con la terribile sentenza ‘No smoking’ ad armeggiare con i registri  per portarmi avanti col lavoro e scrivere  le programmazioni.
Tuttavia, mentre mastico il tappo della mia bic, penso che questo sia ancora il male minore.
Non so dire se mi secca di più non poter fumare, il fatto che la Fuwa sia indietro con il programma standard in due classi, i Professori più anziani che si permettono di scrutarmi dall’alto in basso come se non avessi il diritto di trovarmi ad occupare il ruolo che detengo,  oppure la professoressa di Giapponese che sono due giorni esatti che prova ad attaccare bottone mentre io ho tutt’altro a cui pensare.
Ed infatti eccola.
La vedo avvicinarsi in punta di piedi con la coda dell’occhio, le guance imporporate e l’espressione esitante come quella di un’adolescente innamorata.
Non posso fare a meno di sorridere, con ironia.
Ti piaccio non è vero?
L’ho visto centinaia di volte quello sguardo.
Lo vedo ogni sera in cui canto nel volto di donne e persino ragazzi che mi rincorrono dietro le quinte, chiedendo una firma su un pezzo di carta o persino, i più sfrontati, il mio numero di telefono.
Ma tu sei esattamente come gli altri.
Come gli altri ciò che ti attrae è solo la facciata esterna.
Ma di me non sai niente.
Stammi lontana o ti scotterai.
Non sono un uomo che si getta in relazioni superficiali e le scopate di una sola notte mi concedono solo un orgasmo di pochi secondi ma non mi lasciano nulla nell’anima.
Invece sembra proprio che abbia deciso di provare a scottarsi perché sento le sue dita affusolate picchiettare sulla mia spalla, approfittando del fatto che io sia seduto, fingendo di non guardarla.
“Niimurasan…” Esordisce con una voce allegra, ma tesa.
Sta fingendo una tranquillità che non possiede.
“Kyo.” Ribatto seccamente tornando a dedicarmi ai miei compiti.  
“Oh si, Kyo.” La sento correggersi e proseguire con voce più attutita. “ Come stai?” Prosegue e solo allora mi decido a sfilare la bic dalla bocca per voltarmi a guardarla.
Ha la bocca coperta da una mano dalle unghie lunghe e curate, terribilmente femminili.
Come tutta la sua figura in fondo.
E’ innegabilmente una bella donna, con ogni curva al posto giusto.
Ma troppo insistente e indiscreta per i miei gusti.
“Ti preoccupi molto per i tuoi colleghi, vero Nakashima?” Chiedo con un sorriso leggermente tagliente cercando di farle capire con tutto il tatto che uno come me possiede che farebbe bene ad alzare le tende e lasciarmi lavorare.
Alla mia domanda avvampa completamente e nel momento in cui i nostri occhi si incontrano distoglie lo sguardo volgendolo altrove mentre un sorriso timido si affaccia sulle sue labbra.
Non perdere tempo con me, Ayumi.
Non sono quello che cerchi.
“Ecco… volevo sapere se ti sei ambientato bene…” Riprende soffiando morbidamente le parole, abbassando la mano che aveva portato alle labbra mentre l’altra resta appoggiata sulla mia spalla.
Odio questi gesti da parte di persone che conosco poco e male da appena una manciata di giorni.
Odio quando invadono il mio spazio.
La tentazione di darle una risposta al vetriolo è forte e devo fare del mio meglio per trattenermi.
In fondo con questa gente, per quanto la prospettiva non mi entusiasmi, devo lavorarci ed io prendo sempre sul serio i miei impegni.
Sempre.
Per questo decido di adottare una condotta più socievole e forzo un sorriso apparentemente cordiale mentre mi alzo in modo da sottrarmi a quel contatto fastidioso.
“Ti ringrazio per l’interessamento, ma è un po’ presto per dire di essermi già ambientato.”
Rispondo chiudendo la bic che ripongo nel taschino della camicia e chiudendo il registro.
Ho già capito che stando qui non mi lascerà in pace fino alla fine dell’intervallo.
“Hai ragione.” Sussurra quasi lei tornando a guardarmi negli occhi. La vedo esitare ancora e tentennare per qualche istante prima di proseguire. “Kyo… ti andrebbe di andare a prendere un caffè?”
Chissà perché improvvisamente la mia mente mi riporta indietro ai giorni del liceo quando non ero in grado di attendere la pausa pranzo per andare a fumare e allora mi rintanavo in bagno per accendermi una sigaretta.
Credo sia perché in questo momento ho la tentazione di prendere i miei registri e chiudermi nel bagno dei professori fino al suono della campana.
Le sorrido cercando di nascondere il fatto che quelle attenzioni mi procurano più fastidio che altro.
“Ti ringrazio ma devo sbrigare delle questioni urgenti poi ho lezione nella III  B. Faremo un’altra volta.”
Spero che non mi chieda anche che questioni ho da sbrigare perché non ne ho idea.
Un lampo di delusione passa sul suo volto, ma lo dissimula immediatamente con un nuovo sorriso.
“Oh… va bene. Io invece ho lezione in V D.”
Alle sue parole inarco un sopracciglio, pensieroso.
La V D. Sono due giorni che non ho lezione da loro. Praticamente da quando li ho incontrati la prima volta.
Chissà come se la stanno cavando.
Soprattutto lui.
Beh lo saprò dopo l'ora della Nakashima.
“Capisco.” Rispondo con calma raccogliendo i miei registri. “ Allora, ci vediamo Nakashima.”
La saluto con calma volgendole le spalle per poi uscire dalla Sala Insegnanti.

Mi dicono in molti che il mio comportamento fa trapelare un'insensibilità di fondo, coadiuvata da un certo menefreghismo, che mi porta ad essere considerato dalla gran parte dei docenti come un vandalo della peggior specie. Per non parlare dei luoghi comuni che -come in un irritante clichè- mi vedono col braccio nudo proteso verso l'ago di una siringa, o col naso immerso nella polvere. Ma il mio non è menefreghismo, ne si può parlare di insensibilità. Anzi, forse -devo a malincuore ammettere- sono proprio il fenotipo opposto di persona.
Anzitutto, non posso essere etichettato come menefreghista solo perché durante qualche lezione dormo invece che ascoltare, giusto? Mh. Okay, forse non sono proprio una persona attenta o partecipe...
Poi, passando all'altro punto, bhe... non ho mai "rivelato" i miei gusti sessuali semplicemente perché non credo debba interessare alle altre persone, ma credo sia abbastanza chiaro che alle curve procaci di un torace femminile preferisco un ventre muscoloso...
E, sì, solitamente preferisco ricoprire il ruolo passivo durante un amplesso, ma non per questo posso essere definito checca, chiaro? Ci tengo a sottolineare il concetto dato che madre natura mi ha affibiato un'acuta sensibilità e dei dotti lacrimali alquanto debolucci. Io piango, per sfogarmi. I miei nervi non contemplano altro modo se non farmi appannare la vista dalle lacrime per chetarsi, e non immaginate l'indescrivibile sensazione di impotenza quando sento le palpebre appesantirsi, conscio di non potere nulla contro l'inarrestabile flusso di emozione.
Questa spiccata sensibilità mi ha portato con gli anni ad affinare sempre nuovi schermi di protezione: maschere su maschere si sono incollate al mio volto, scivolando in ogni sorriso, smorfia o gesto che quotidianamente compio. Ormai io stesso non riesco più a distinguere dove io finisco e iniziano queste rappresentazioni fittizie di ciò che vorrei essere. Sono in questo equilibrio dinamico da anni ormai, e fin'ora è andato tutto bene. Se da un lato mi demoralizza il fatto che nessuno -nemmeno il mio migliore amico- si sia mai accorto di quanto i sorrisi che quotidianamente tendono le mie labbra siano il riflesso di una bugia, dall'altro mi tranquillizzano, perché nessuno riuscirà mai ad espugnare la mia fortezza.
Ho vissuto in quest'altalenante marea per così tanto da essermene assuefatto.
Ma stò bene così.
Come sempre il trillo delle campanella segna la fine dell'ora di Giapponese e quella gallina della Nakashima smette finalmente di cianciare e sparisce dalla classe.
"Che abbiamo ora?" chiedo stiracchiandomi a Ryo, immancabile compagno di banco dalla prima media.
Lui apre svogliatamente il diario e getta un occhio all'orario datoci. "Mh... matematica. Ci sarà il tuo bel biondone." sogghigna senza pietà. E improvvisamente trovo che la sua fronte starebbe davvero bene fracassata contro il banco. Non gli rispondo e tiro fuori il libro dallo zaino, appena in tempo per sentire il familiare brivido che mi avvolge interamente all'udire quella voce augurarci il buongiorno.
Rispondiamo in un coro singhiozzante, ma egualmente entusiasta. Devo dire che è riuscito a catturare la simpatia di tutti, qui dentro.
"Oggi vi ho preparato un compito da svolgere qui in classe, giusto per vedere come ve la cavate. La valutazione non farà media, tranquilli." dividiamo i banchi e Kyo fa passare i fogli con le varie domande.
Getto un'occhiata distratta al foglio protocollo, ci scribacchio sopra il nome, la classe e la data. Nemmeno perdo tempo a guardare le domande, so perfettamente di non essere in grado di rispondervi.
Tanto per non fare una figura pessima aspetto qualche minuto prima di consegnare, minuti in cui osservo la cascata di capelli biondi che nascondono parzialmente il viso di Kyo chino su dei registri, mentre mastica il tappo di una bic assorto.
Subito rievoco le immagini dell'altra sera, al Lux. E non posso fare a meno di ghignare.
Improvvisamente un'idea lampeggia. Cerco nell'astuccio -alquanto denutrito devo dire- un matita e scrivo con una grafia leggera e chiara un messaggio, poi mi alzo e con assoluta calma poggio il compito sulla cattedra.

Mentre i ragazzi svolgono il loro test d’ingresso mi dedico alla stesura del resto delle programmazioni dedicandomi nel frattempo al mio pasto preferito: il tappo della penna.
Sembra che niente sia cambiato da due giorni a questa parte.
Mentre consegnavo i fogli non ho potuto fare a meno di scoccare un’occhiata a Ruki.
E’ strano ma mi soffermo spesso a pensare a dove potrebbe arrivare un ragazzo così nella sua vita, cosa potrebbe fare e cosa ottenere.
E’  la prima volta che prendo uno studente così in simpatia e la cosa perplime me stesso per primo.
Prendo un grosso respiro, l’odore dei ciliegi in fiore nel cortile della scuola irrora la classe con il loro profumo.
Se il tempo è così bello anche la prossima volta li porterò a far lezione all’aperto, non ho intenzione di restarmene rintanato qui dentro.
Mentre sono assorto nei miei pensieri nel mio campo visivo arriva una mano che poggia sulla cattedra il foglio del test.
Istintivamente sollevo lo sguardo per vedere chi è il genio che ha completato da… quando? Appena dieci minuti si e no dall’inizio giusto in tempo per trovarmi davanti il sorriso accattivante di quel ragazzo pestifero  impertinente.
Gli sorrido spostando la bic dalle labbra mentre con una mano afferro il foglio appena consegnato.
“Già finito, Ruki?”
“A dire la verità non ho neanche iniziato.” E’ la sua risposta con un sorriso privo di imbarazzo.
Lo osservo con una punta di perplessità prima di portare lo sguardo sul foglio e notare che effettivamente tutte le domande sono in bianco e gli spazi in cui svolgere i calcoli completamente vuoti.
Tranne uno occupato da una scritta a matita che mi porta a sgranare gli occhi in un moto di sorpresa.

‘ Ti preferivo a petto nudo, come l’altra sera.’

Che CAZZO …??
L’altra sera quando??
Non parlerà mica del Luxury?
Sollevo su di lui uno sguardo interrogativo ricevendo in risposta una scrollata di spalle.
Urge indagare.
Non tanto perché me ne freghi qualcosa del fatto che se lo venissero a sapere i docenti anziani di questo istituto morirebbero d’ictus per l’indignazione, quanto per il fatto che visto che la cosa mi riguarda da vicino voglio almeno sapere quando e come mi ha visto.
“… Ruki, non prendertela ma sei un disastro.” Comincio dunque con un sorriso affabile. “Visto che non sei riuscito a fare nemmeno un esercizio, mentre i tuoi compagni fanno il loro test prendi il libro, il quaderno, una sedia e vieni a sederti alla cattedra.”
Alla mia richiesta torna verso il suo posto per prendere il materiale che gli ho chiesto.
Durante tutto il suo percorso non gli tolgo gli occhi di dosso nemmeno per un istante attendendo con pazienza il momento in cui verrà a sedersi per dare inizio al mio interrogatorio.
Interrogatorio di cui tra l’altro ho già la risposta dal momento che ci siamo esibiti solo al Luxury per questa settimana e a meno che, cosa che dubito, non sia riuscito in qualche astruso modo a scoprire dove abito e raggiungere il sesto piano della palazzina per vedermi mentre uscivo dalla doccia… beh, direi che la risposta è decisamente scontata.
Tuttavia una sicurezza in più non guasta.
Ed è per questo che una volta che si è sistemato accanto a me e mi ha porto il libro di matematica comincio a sfogliare quest’ultimo alla ricerca di qualche esercizio fattibile per lui , senza più guardarlo, dando finalmente voce alla mia domanda.
“L’altra sera quando?” Chiedo a bassissima voce mentre le mie dita scivolano tra le pagine praticamente nuove.
E’ evidente che deve averlo aperto poco o niente.
“Lunedì sera. Al Lux.” Dichiara con quella che sembra una nota divertita nella voce.
Come immaginavo, constato.
E  il fatto che un ragazzo di diciotto anni sia entrato al Luxury non mi stupisce nemmeno.
Chi cerca di sfondare suona ovunque per farsi notare, non importa se è una discoteca, un nightclub o un locale della peggiore categoria come quello di Lunedì dove i controlli non sono così rigorosi come dovrebbero essere.
Taccio per qualche istante riportando il tappo della bic alle labbra.
Con un moto pensieroso chiudo i denti sulla superficie di plastica segnata da diversi graffi derivanti dalla mia abitudine di compiere quel gesto che tanto concilia la mia concentrazione.
Se mi ha visto mi avrà anche sentito cantare.
In genere non me ne frega niente del parere degli altri sulla mia musica.
L’unica cosa che mi interessa è riuscire a trasmettere qualcosa.
Vorrei sapere se ci sono riuscito con uno della generazione futura come lui.
“E cosa ne pensi?” Domando con calma scrutandolo in tralice, alla ricerca del suo sguardo.
Per tutta risposta vedo le sue labbra atteggiarsi in un ghigno mentre stappa una biro, senza permettermi di incrociare i suoi occhi.
“A parte quello che ho scritto? Non male. Non mi siete dispiaciuti.” Dichiara lapidario e la risposta mi strappa una smorfia di ironia e disappunto.
Anche di delusione.
Da uno come lui che mi aveva dato l’impressione di essere in grado di spezzare gli schemi mi aspettavo qualcosa di più profondo e non che si fermasse davanti alla mia muscolatura.
Finora sono sempre stato in grado di intuire l’animo di una persona semplicemente osservandola per pochi minuti.
In lui mi era sembrato di rivedere i miei stessi ideali.
Che mi sia sbagliato?
“Quindi…” riprendo sottovoce senza poter trattenere una nota di feroce ironia nelle mie parole “…a parte i miei pettorali non ti è interessato nient’altro?”
”Mi piacerebbe poterti dire di si, ma purtroppo mi hai impressionato a trecentosessanta gradi.” E’ la sua risposta, ed è inaspettata. Come un temporale improvviso in un caldo giorno d’estate.
Ma che mi restituisce la fiducia che avevo riposto in lui. Taccio pensando a come replicare ed osservo l’espressione sul suo volto mutare e divenire seria.
“Li scrivi tu i testi?” E’ la sua domanda successiva.
Tutta l’ironia di poco prima scompare e lasca il posto ad un sorriso più quieto mentre torno a concentrarmi sul libro dove alfine individuo quello che sembra un esercizio di trigonometria alquanto elementare e lo segno con un x accanto al numero.
“ Si li scrivo io.” Rispondo senza esitare restituendogli il volume. “Ti hanno trasmesso qualcosa?”
E’ questo il quesito pressante.
La prova del nove.
La dimostrazione che non stiamo lottando invano.
Ora più che mai ricerco quegli occhi artificialmente azzurri e come prima, non riesco ad incrociare il suo sguardo, dedicato ora ad alternarsi tra il libro ed il quaderno su cui ha cominciato a trascrivere l’esercizio.
Ma il sorriso quasi dolce che gli è spuntato sulle labbra ha già nella mia anima il sapore di una ricompensa per anni di lotte, così come le parole che lo seguono. “ Molto. Troppo.”
In modo istintivo mi sporgo verso il suo orecchio, talmente vicino da poter sentire l’odore della sua pelle.
Sapone.
Nessun profumo.
Solamente un odore semplice e pulito.
Terribilmente differente da quelli che sento sui ragazzi da una botta e via nei camerini.
Ma questa riflessione dura il tempo di un battito di ciglia.
Voglio sapere cosa pensi, Ruki.
Voglio sapere cosa hai sentito.
Voglio sapere cosa possono carpire ragazzi come te dei miei pensieri.
Voglio sapere cosa puoi carpire TU.
“Quanto troppo?” E’ la mia unica domanda mentre la mia voce si spegne in un basso sussurro nel suo orecchio.

Se mi hanno trasmesso qualcosa?
Spero stia scherzando. Mi chiedo chi sia la persona che non possa essere in qualche modo toccata dalle parole che ha cantanto -e in certi punti strillato- l'altra sera. Mi si sono annidate nello stomaco, nel cuore o in qualsiasi cazzo di posto abbia una nicchia per le emozioni. Mi si rimescolano ancora, come un'onda. E le sue parole mi rimbombano in testa, una dopo l'altra le sgrano come perle di un rosario, e mi ticchettano nelle orecchie, amplificandosi.
Mi hai lasciato qualcosa, Kyo. Qualcosa forse non tangibile, ma ugualmente potente. Forse io e te vediamo con gli stessi occhi.
"Molto. Troppo." un sorriso fa per sbocciare sulle mie labbra, ma lo trattengo leggermente. Mi fa stare bene parlare con lui. Sono tranquillo, calmo.
Mentre sto ancora ricopiando il problema, lo sento muoversi e in uno scatto quasi felino accostarsi al mio orecchio.
La sua presenza è calda. Tutto il suo corpo, posso sentirlo, emana un grande calore. Ho il suo collo a pochi centimetri dal viso e posso sentire il suo profumo, il suo odore.
E' un odore forte, virile. Un profumo speziato, menta forse.
E' penetrante.
Non giriamoci attorno, odora di sesso. Sesso crudo, fine a se stesso. Odora di perdizione. Libidine pura.
"Quanto troppo?"
Nel momento in cui le parole scivolano fuori da quelle labbra all'apparenza così morbide, una sensazione avvolgente si arriccia nel mio basso ventre. Come mille braci incandescenti, pronte a spegnersi in centinaia di scariche elettriche in ogni mio arto. Chiudo gli occhi, soggiogato.
"Abbastanza perché io li ricordi ancora." traggo un profondo respiro, poi continuo cercando di ignorare il terremoto che ho in testa. "Mi è piaciuta specialmente la prima canzone, mi ha... colpito. Ho interpretato un amore crudo, vero. Forse non romantico, non bello, non facile. Un amore più vero di tanti altri. Sporco. Due anime che non riusciranno mai a raggiungersi né a toccarsi attraverso il muro dell’incomprensione.*" arriccio con le dita la copertina del libro, nervoso. Ho paura che mi giudichi un idiota, che abbia frainteso totalmente il contenuto della canzone, che non abbia colto nemmeno l'accenno di ciò che voleva trasmettere. La peggior delusione per un artista è che il proprio messaggio venga stravolto.
Racimolo le ceneri del mio coraggio e apro gli occhi, adagiandoli nei suoi. Ha gli occhi scuri, e nonostante siano calmi posso notare lo stesso luccichìo che ho scorto mentre cantava. E' molto più blando, ma sempre presente. Le iridi sono grandi, tonde come biglie, chiuse da due palpebre oblique e sottili, orlate di ciglia nere come il carbone. Sono occhi vivi, che catturano ogni guizzo attorno a loro. Sono occhi di chi vede e ha visto. Sono occhi intelligenti.
Mi guarda tanto intensamente che sembra voglia bucarmi. Poi, cripticamente, sussurra "Dovremo parlare." e subito puntualizza "Non a scuola." sfoderando un sorrisetto apoteosi della sicurezza.
Non mi lascio scappare l'occasione e dico "Magari davanti alla cena." inclinando lievemente il capo di lato, esponendo la gola.
Le labbra gli si piegano in una smorfia, preludio ai sette inferni, poi lo sento sussurrare nuovamente "Prima i miei pettorali poi un invito a cena? E' una sorta di proposta oscena?"
Ribatto con finta innocenza, raddrizzando la postura. "Tu canti mezzo nudo, tu subisci le conseguenze."
"Oh, lo so bene." il ghigno di prima non si scolla dai lineamenti, anzi si accentua in un modo dannatamente erotico. "Ma è la prima volta che la conseguenza in questione è così interessante."
Queste parole mi scivolano addosso nella forma di un lungo, lunghissimo brivido che muore alla base della nuca, diramandosi e stemperando lentamente, lasciando una qualche sensazione di lieve torpore.
Nonostante tutto trovo la faccia tosta di ribattere "Attento che potrei interpretarla male. Molto male."
Mi regala un sorriso intrigato "Fammi un esempio." Un ultimo sussurro scivola nel mio orecchio, prima che torni a posarsi contro lo schienale. Subitaneo il suo calore viene a mancare e un refolo d'aria gelata mi solletica la pelle. Accavalla le gambe e un braccio ciondola nell'aria distrattamente, mentre l'altro si piega puntellandosi al ginocchio. La camicia leggera che porta scivola leggermente sul petto, aprendo i lembi del colletto, che rivelano il candore di una pelle glabra ma che non perde la propria mascolinità. Osservo una mano pigramente adagiata sul bracciolo della sedia, le dita che penzolano nel vuoto, anche loro così dannatamente virili.
Sento quelle stesse falangi passarmi come un brivido lungo la pelle delle braccia, del collo, delle labbra.
Dio mio, devo andarmene.
"E' più interessante la pratica alla teoria." Simulo una scioltezza ben lungi dall'essere mia, non so nemmeno come.
Lui inarca un sopracciglio, mettendoci dentro tanti di quei significati da lasciarmi basito. In quel semplice gesto, tanto semplice quanto irrisorio, leggo un'implicita sfida. Vuoi giocare, Kyo? So che il fuoco non è tiepido, e a volte può bruciare. Ma non mi importa.
"Allora?" Somando lievemente spazientito dal suo silenzio ostinato e loquace.
"Sabato." Risponde lui, pizzicando tranquillamente con due dita la bic mangiucchiata, che stappa prendendo il mio quaderno e appuntandoci sopra alcune cifre. Il suo numero di telefono. "Decidi tu." Aggiunge chiudendo il tappo.
Gli sfilo delicatamente dalle mani la penna, facendo attenzione a scontrare la sua pelle calda. Strappo un lembo di pagina e appunto il nome di un pub con un orario.
Appena glielo metto tra le dita, la campanella suona e tutti i miei compagni si alzano per restituire il compito.
Io, senza una parola, prendo la sedia, il libro e il quaderno e lascio la cattedra con la più intensa erezione che abbia mai avuto.


*24ko Cylinder - Dir en grey, stessa frase che riprende nel secondo capitolo Kyo.

Note.
Saaaalve a tutti. Qui è sempre guren che parla. Non ho molto da dire su questo capitolo, specie perché siamo ancora in una fase di 'transizione' diciamo. Si stanno conoscendo e... bhe iniziano a vedersi i segni dell vicinanza reciproca. O almeno da parte di Ruki.
Il prossimo capitolo segnerà una svolta significativa *trollface* non perdetevelo.

See you next time, babe!
guren&Tora.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter 4 ***



CHAPTER 4

Mi rigiro rapidamente davanti allo specchio per l’ennesima volta, mi chiedo cosa si consumerà per primo: se lo specchio o la mia pazienza soprattutto visto che ho cambiato idea su cosa indossare per ben tre volte per poi ricadere sul solito stile casual di sempre.
Trovo alquanto ridicola, molto ridicola a dire il vero, questa mia preoccupazione per l’abbigliamento, soprattutto in questo frangente, eppure mentirei a me stesso se non ammettessi di aver atteso questo sabato quasi con ansia.
E la cosa mi secca.
Mi secca terribilmente, al punto quasi da farmi rimpiangere di aver accettato anche se, dopo averci rimuginato sopra per giorni, non saprei dire da chi precisamente è partito l’invito.
Sono un uomo fatto e finito, di certo non un liceale che conta i giorni che lo separano dal grande appuntamento della sua vita.
Figuriamoci.
Con uno sbuffo mi avvicino ulteriormente allo specchio e con un movimento rapido insinuo le dita tra i capelli tinti di fresco. La solita tonalità bionda.
Sposto il ciuffo sul lato e guardo l’orologio al polso.
La vista dell’orario mi strappa uno sbuffo seccato.
“Bah!”
 Ho giusto mezz’ora di tempo ancora e non ho certo intenzione di far la parte della donnicciola vanitosa che arriva in ritardo perché ha passato tutto il tempo a sbattere le ciglia al suo riflesso allo specchio.
Inoltre, tanto per mettere in chiaro le cose nel mio cervello, è solo una cena che ha come scopo un’unica cosa: il dibattito. Lo scambio di opinioni.
Anche se più cerco di imprimere nella mia testa questo concetto, più ho l’impressione che dall’affinità intellettuale siamo invece finiti a fare il gioco del gatto e del topo.
Non posso fare a meno di stirare le labbra in un sorriso che, guardando la mia immagine riflessa, sembra più una smorfia.
Mi dispiace disilluderti, Ruki, ma il gioco sono io a condurlo.
Non ho mai permesso a nessuno di prendere il controllo, né di influenzarmi e non comincerò certo adesso facendomi prendere dall’agitazione per decidere cosa indossare.
Per questo do seccamente le spalle alla superficie riflettente ed afferro le chiavi dell’auto dal mobile accanto prima di uscire, spegnere la luce, e chiudere la porta a chiave.

Sono davanti allo specchio, che fisso con aria corrucciata una bomboletta di lacca spray. Okay, forse non ho l'espressione più intelligente del mondo, ma è dall'esatto momento in cui mi sono alzato da quella merda di cattedra che rimugino su ogni più insignificante dettaglio. Sto impazzendo, va bene comportarsi un po' istericamente -sono pur sempre un gay di diciotto anni, per la miseria!- ma diventare una donna incinta all'ottavo mese mi pare prematuro. Sono arrivato dal domandarmi se stavo meglio con i pantaloni nero nero o poco nero al chiedermi se spararmi i capelli o meno.
Uno sbuffo seccato mi satura le guance, prima che mi osservi ancora una volta allo specchio, posando la lacca sul riapiano, deciso a lasciare i miei capelli in piena libertà. Bha, qualsiasi maglia, giacca o pantalone che metto mi parrà sempre inadatto, quindi forse è meglio andarci e tanti saluti. Anche perché se non mi muovo rischio di arrivare in ritardo, e già il divario d'età è considerevole, almeno non comportiamoci in tutto e per tutto come un immaturo dodicenne!
Afferro il cappotto e le chiavi deciso ad uscire, ma un attimo prima che la lama seghettata possa combaciare con la serratura ci ripenso, e mi volto verso la superficie riflettende accanto alla porta.
Kyo è il genere d'uomo che non chiede il nome prima di scopare, non pensa a nulla mentre lo fa e probabilmente non ricorda assolutamente niente poche ore più tardi, perché è soltanto un numero insignificante che sale. Di gente insignificante.
Ma avrò comunque ciò che voglio, anche se conosce il mio nome, anche se non potrà dimenticarsi di me per almeno un anno scolastico e soprattutto... anche se non riuscirà a scordarsi di aver fottuto un suo studente tanto facilmente.
Arricciando dispettosamente un angolo della bocca, esco e chiudo la porta, infilando il cappotto.

…centocinquantasei…centocinquantasette…centocinquantotto…direi che può bastare.
Contare i miei passi camminando avanti e indietro davanti alla mia auto sta diventando alquanto noioso.
Centocinquantotto passi che corrispondono, vediamo un po’… a più o meno dodici minuti di ritardo di quel pestifero essere.
I casi sono due, o è semplicemente in ritardo oppure mi ha dato buca. Ed io che mi preoccupavo di non essere puntuale.
Sorrido non so se con più sarcasmo, ironia o fastidio mentre mi siedo sul cofano della mia stessa auto.
Fastidio…
Si, sono infastidito dall’idea che possa avermi dato buca, non ho nessun problema ad ammetterlo.
Ci tenevo particolarmente a questo scambio intellettuale.


Puttanate, Kyo, lo sai benissimo.
Assorto infilo le mani nella tasca dei jeans azzurri estraendo il pacchetto di sigarette e l’accendino.
Non è da me girare attorno a qualcosa e nemmeno negarla.
Soprattutto a me stesso.
Nel momento in cui mi ha fatto quell’invito conoscere il suo pensiero non era più l’unica cosa che mi interessava.
Ha incominciato ad attrarmi.
Tenendo lo sguardo sui pesanti anfibi neri che indosso apro il piccolo contenitore di cartone e con una pressione decisa del pollice faccio uscire
un cilindretto di nicotina su cui chiudo prontamente le labbra.
Questa roba è veleno.
Ma è veleno che aiuta a pensare e che manda via lo stress.
Do fuoco ad un’estremità del mio palliativo cancerogeno e aspiro una prima intensa boccata spegnendo poi  l’accendino che torno a riporre in tasca
con il pacchetto di sigarette.
Ho bisogno di riflettere.
Pft… riflettere…
In questo caso è una finta riflessione, posso giocare a carte scoperte.
Non è il primo ragazzo di diciotto anni che mi attrae fisicamente sicuramente non sarà l’ultimo.
E il fatto che sia un mio allievo non rappresenta un problema.
Non per me almeno.
La parola favoritismo non esiste nel mio vocabolario.
Ma il clichè del professore che scopa il suo studente in cambio di voti alti è così caro alla mentalità comune che qualora dovessero scoprire un eventuale rapporto di natura più…intima, per così dire, non esiterebbero a puntarci il dito contro.
Ridicoli, patetici, figli della media borghesia…
Mi disgustate.
Vi disprezzo.
Disprezzo voi, le vostre idee e il vostro mondo.
Disprezzo il vostro finto perbenismo, disprezzo il modo in cui squadrate tutto e tutti dall’alto in basso, disprezzo il vostro piccolo, squallido, mondo artificiale.
Aspiro un’altra boccata di fumo, con stizza, rilasciandola in un unico colpo.
Ed immerso nelle mie riflessioni non mi accorgo di nulla finquando il cilindretto di nicotina non mi viene sfilato di bocca.

Con uno scatto felino gli sfilo dalle dita callose la sigaretta e me la porto alle labbra, palesando la mia attenzione con un "Lo sai che fumare fa male?" per poi appoggiarmi il filtro tra le labbra e inspirare profondamente. Lui si volta, sorridendo sensualmente dischiude la bocca "Molto generoso da parte tua offrirti di prendere il cancro al mio posto."
A tale affermazione segue un inchino scherzoso, con tanto di palmo aperto puntato per aria, prima di rialzarmi "Buonasera!"
"Sei in ritardo."
Lo so porca vacca, e non lo sarei se non mi fossi perso ad osservarlo fare avanti e indietro sul marciapiede, sbuffando ogni qualvolta controllasse l'ora che mano a mano si faceva sempre più tarda.
"Dovevo farmi bello." Mi passo scherzosamente una mano tra i capelli lisci prima di soggiungere "Anche se non ne ho bisogno." con tono di noncuranza.
Lui tende un sorriso di lato, ispira l'ultima boccata della sigaretta, per poi spegnerla sotto il tacco della scarpa "Stavo pensando di farti un complimento, ma visto che te lo sei detto da solo ne farò a meno."
Eh no, così non va.
"E a che complimento pensavi?" Chiedo venando la voce di una punta di malizia.
"Che ti importa saperlo?" Sorride, i muscoli del viso si tendono, la pelle si illumina assieme allo sguardo. Poggia il bacino sul cofano dell'auto, incrociando le braccia al petto, sopra alla stoffa della maglietta che si riempie di pieghe; e con uno sforzo posso immaginarmi i fasci di tendini che si disegnano sull'incarnato ambrato. Riporto la mia attenzione alla realtà giusto in tempo per dire, senza alcuna possibilità di controllo sulle corde vocali "Sono una mezza donna, i complimenti mi interessano sempre." posando le mani sui fianchi.
Esattamente un secondo dopo mi pento di quell'affermazione.
Una mezza donna? Come diavolo mi è venuto in mente di dire una simile stronzata?
"In tal caso" Inizia con un sorriso divertito, che si tinge di libidine istantaneamente "Sei molto bello, Ruki."
Okay, forse quest'uomo non ha ben capito che sta parlando con un diciottenne pronto a saltargli addosso al minimo cenno di apprezzamento. Vuole forse che lo stupri?
Non posso fermare lo sbocciare di due fiori carmini sulle gote, prima di ribattere con un "Grazie, anche tu." fingo una nonchalance che assolutamente non posseggo, probabilmente sembrando anche molto goffo.
"Sei carino quando arrossisci. Quasi non sembri lo sfacciato di sempre." Dicendo ciò si alza dall'auto e si avvicina, con una lentezza esasperante.
Tutto ciò che vorrei dirgli stempera, si stinge e non distinguo più una parola dall'altra quando è abbastanza vicino da poter percepire il suo calore e il suo odore virile.
"Ricordati la mia posizione." Mi rendo conto in ritardo del doppio senso contenuto in quella frase -e per una volta non è voluto.
Lui si impensierisce, assume un'espressione seria mettendosi le mani in tasca. Poi sorride. "Correggimi se sbaglio, ma credo che la tua posizione l'abbia mandata a stendere quando hai scritto quell'apprezzamento sul foglio del tuo compito."
Scuoto le spalle con un sorrisetto. "Quindi ora che posizione avremmo?"
"Tu cosa avevi in mente?" Ribatte provocatorio.
"Te l'ho già detto, non mi piace molto la teoria. E questa è teoria."
"Capisco."
Improvvisamente annulla ogni distanza e mi bacia. Un bacio che si arrotola sulle rispettive lingue in una maglia di gusti, e scende assieme al respiro nello stomaco, strizzandolo: il diviario d'età, il ruolo e lo status che ci dividono... ogni differenza si dissolve mentre la sua lingua schiocca nel mio palato e si accarezza con la gemella. Non è un bacio dolce o lento. Se devo essere sincero, mi ha letteralmente infilato la lingua in gola. Ma nonostante la velocità non è per niente confusionario, sa quello che fa ed è così sfacciatamente sicuro che se non fossi troppo impegnato a non farmi venire un'epistassi, proverei l'irrefrenabile voglia di pigliarlo a ceffoni.
Ma ogni pensiero si sgretola e diviene polvere, mentre mi circonda la vita con le braccia e mi tiene stretto, così caldo e sicuro, mentre le lingue vorticano con velocità, quasi volessimo trapassare i rispettivi palati.
Serro gli occhi e smetto di pensare.


notes. (guren)
Bhe, capitolo che è stato un parto, lo giuro o.o
Tra varie influenze, impegni e quant'altro sayonara. Ne è passato di tempo, come state?
Non ho particolari note da fare, risponderò alle vostre recensioni privatamente appena avrò un pochino di tempo :)

Sì yaoiste.
Arriva la lemon.

guren&Tora

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chapter 5 ***


CHAPTER 5


Il materasso ondeggia e si piega cedevole sotto il peso dei nostri corpi mentre le nostre bocche sono ancora impegnate in una schermaglia serrata e quasi ininterrotta.
Non so neanche come ci siamo arrivati qui e nemmeno mi interessa.
Pochi minuti prima eravamo davanti al locale ed invece adesso siamo sul letto del mio appartamento dove sono già mezzo nudo e senza la più pallida idea di dove siano finiti il mio giubbotto e la mia camicia né di quando li abbia tolti.
E non potrebbe fregarmene di meno.
Non mentre mi perdo nel calore delle labbra di questo ragazzo, non mentre sento le sue dita percorre la pelle della mia schiena in un modo tanto febbrile da farmi quasi perdere la testa.
Mi piaci, Ruki.
“Mi piaci, Ruki” sussurro in un soffio al suo orecchio prima di appropriarmi con le labbra del suo lobo e cominciare a leccarlo e morderlo.   
E’ raro che qualcuno riesca a prendermi in questo modo.
Dovresti sentirti onorato, Ruki, lo sai?
Alla mia domanda lo sento inarcarsi sotto il mio corpo ed emettere un alto gemito acuto prima che le sue dita si insinuino tra i miei capelli invitandomi con una lieve pressione ad osservarlo in viso.
Il suo volto è qualcosa su cui non potrei mai comporre una canzone.
E’ tutto l’opposto di quello che denuncio.
Ed è anche una delle visioni più erotiche che abbia mai avuto modo di vedere.
I capelli scarmigliati, gli occhi lucidi, le guance arrossate, le labbra dischiuse ed umide... labbra che si muovono e tentano di formare parole attraverso il respiro affannato.
Parla, Ruki.
Fammi sentire la tua voce.
Fammi capire se sei un angelo o un demone.
“Anche tu, Kyo.” mormora delicatamente, e la sua voce è come un petalo di loto che mi accarezza il viso.
“Mi piace il tuo odore.” Aggiunge ancora strappandomi un’espressione stupita e perplessa al tempo stesso. Sorrido e mi adagio meglio sul suo corpo chiudendo le labbra su un capezzolo ancora coperto dalla stoffa dei suoi abiti.
“Perché, che odore è?” Chiedo passando la lingua a più riprese su quel piccolo bottoncino di carne che preme contro la stoffa umida della camicia.
Le sue dita si contraggono tra i miei capelli in una stretta spasmodica e devo trattenermi per non gridare di dolore visto che a momenti me li strappa.
“E’ virile… sensuale… mi ecciti.”
“E quando ti ecciti strappi i capelli alla gente?”
Lo punzecchio vendicandomi per quella tirata di capelli che mi ha fatto vedere le stelle, scivolando con le labbra a tormentare anche l’altro capezzolo.
“Scusami…” mormora debolmente lasciando la presa. Lo ha detto in un modo così dolce che per un istante mi viene voglia di chiedergli scusa.
Forse lo farò dopo.
Forse non lo farò affatto.
Forse mi brucerò e mi ridurrò in cenere toccando la sua pelle nuda che posso sentire incandescente attraverso queste barriere di stoffa.
Forse andrò in Paradiso.
Forse andrò all’Inferno.
Forse non me ne frega niente di dove finirò se sarà lui a portarmici.
Avevo mai conosciuto il significato della parola desiderio prima d’ora?
Perché l’ho scoperto proprio con questo ragazzo sfacciato?
Non lo so, non lo so e ora non mi importa.
Non mi sono mai posto tante domande mentre ero in situazioni simili e non voglio cominciare ora.
Con più decisione comincio a mordicchiare quel punto delicato ma quando con la lingua urto qualcosa di metallico al di sotto della camicia mi risollevo leggermente dal suo corpo per cercare di capire di che si tratti.
Identificare l’oggetto non mi porta via che pochi istanti ed ha l’effetto di strapparmi un sorriso divertito.
Un anellino di metallo al capezzolo fa bella mostra di se attraverso la stoffa umida della camicia.
Lentamente insinuo una mano al di sotto dei suoi indumenti, raggiungendo in un percorso di carezze appena accennate quel punto sensibile per cominciare a giocherellare con quell’anellino.
“Questa non me l’aspettavo.” Soffio sulle sue labbra socchiudendo gli occhi.
Non risponde, le sue palpebre sono chiuse e il labbro inferiore stretto tra i denti.
Mi sento bruciare.
Come se nel mio corpo non scorresse più sangue ma un fiume di fuoco.
E so che se nè accorto.
Come io mi sono accorto che la stessa cosa sta succedendo a lui.
D'altronde è difficile non accorgersi di un'erezione che preme contro la propria gamba.
Non posso trattenere una risata sommessa, leggermente arrochita dal desiderio.
"Sembra che qualcuno qui abbia una certa fretta..." Lo stuzzico smettendo di tormentare il piercing per scivolare con la mano lungo il suo inguine.
In risposta vedo i suoi occhi aprirsi mentre le sue dita vanno a pizzicarmi poco sotto la cintura.
"Anche qui." Risponde con quella sua solita sfacciataggine.
Sorrido appropriandomi con le labbra di una piccola porzione di collo.
"Allora bisogna fare qualcosa." Graffio piano la pelle con i denti cominciando a liberare quel corpo sinuoso dai propri abiti.


Quelle mani calde che mi stanno facendo impazzire lentamente, prendono a slacciarmi i bottoni della camicia che porto, uno alla volta; dapprima con lentezza. Insinua le dita aperte a ventaglio in morbide carezze sul petto, i polpastrelli scivolano come acqua sulla mia pelle accaldata e mi fanno rabbrividire. Ma poi congiunge le nostre bocche, che mano a mano si fanno sempre più voraci, come le mie falangi che gli slacciano di scatto i pantaloni, facendo tintinnare la cintura. Glieli abbasso e prima di poter raggiungere i boxer lui mi alza sul suo bacino, sedendosi, e mi scivola via dalle dita. Porta i palmi alle mie natiche, saggiandole con cura e mi strappa parecchi mugolii compiaciuti.
Vado a fuoco, mi sembra di bruciare completamente. Ogni arto, ogni muscolo è irrorato di calore, tanto che sembra consumarmi.
Non avevo mai provato prima un desiderio, una voglia, un'attrazione così assoluta per qualcuno.
Continuando a chiudermi le labbra con sempre maggior irruenza, mi slaccia con due sole dita i pantaloni e me li fa scivolare assieme all'intimo lungo le cosce, carezzandomele velocemente. Me li sfila dalle caviglie e li lancia per la stanza, mentre io faccio lo stesso coi suoi.
Ora siamo completamente nudi, uno di fronte all'altro, in ginocchio in mezzo all'immenso letto matrimoniale che odora di lui.
"Kyo?"
"Mh?" Mi chiede facendosi sbocciare un sorriso apoteosi della sessualità su quelle labbra ormai carminie per i baci scambiatici.
"E'... è da un po' che non lo faccio... fai piano, per piacere." Soffio piano nel suo orecchio.
In tutta risposta Kyo mi alza il viso, tenendomi una mano su una guancia, e ricongiunge le nostre bocche; ma questa volta in modo quasi dolce, abbastanza rassicurante da farmi abbandonare alle sue braccia, fiducioso.
Continua a baciarmi, mentre lentamente scivola sul materasso, fino a stendersi e pormi a cavalcioni. Mi chino per continuare a tenere congiunte le nostre bocche, mentre lui armeggia con il cassetto del comodino.
"Cosa fai?" Gli chiedo poco lucidamente.
"Non ti hanno mai fatto delle lezioni sul sesso sicuro?" Risponde con tono velato di derisione, mentre mi lecca il collo con lingua famelica.
Non gli rispondo, vedendolo estrarre un tubetto color prugna e un profilattico, che adagia accanto alla mia coscia.
Smette di baciarmi giusto il tempo per lubrificarsi tre dita, poi mentre mi fissa negli occhi, fa scivolare una falange nel mio stretto anello di muscoli, che lo circondano come un guanto. Una scarica elettrica mi spezza il respiro. Sentire quel dito muoversi dentro di me, sfregare sulla parete anteriore e poi su quella posteriore, scivolare fuori col ritmo di un'onda per poi reinserirsi in un unico gesto fluido... è qualcosa che mi annebbia.
Dopo ne aggiunge un secondo che sforbicia assieme al gemello, in una danza disordinata ma dannatamente piacevole.
Non mi è mai successo di concentrarmi tanto sull'amplesso da non avere più percezione di ciò che mi circonda. Esistono solo le sue dita che mi dilatano. Il resto lo dimentico; e alla fine non posso esimermi dal farmi soverchiare dal piacere. Non mi riesco a trattenere, e praticamente senza che lui mi abbia toccato, ho un orgasmo.
Quasi non me ne accorgo, tanto naturale è il passaggio dal semplice piacere al culmine di questo, come se mi scivolasse addosso un pezzo per volta, stillando come il mio seme fa sul ventre di Kyo.
Mi tengo l'inguine con le mani, imbarazzato, mentre chiudo gli occhi e mi mordo le labbra per non gemere, e sento gocciare il frutto del mio piacere tra le dita.
"Scu-scusami..." Articolo pieno di imbarazzo, tenendo le palpebre serrate.
"E allora?" Apro gli occhi e allaccio il mio sguardo al suo, inciso di soddisfazione e assolutamente sensuale "Quella è solo la prima." mi soffia sulle labbra, tirandomi giù per potermi baciare con estrema lentezza. Fa scivolare fuori le dita, delicatamente, e me le passa lungo il fianco, e poi sul petto, fino a rigirarmi il capezzolo. Sono ancora appiccicose per il lubrificante e calde, immensamente calde.
Mi rivolta sotto si sé e inizia a stuzzicarmi le cosce, i piccoli bottoncini di carne che svettano sul mio petto glabro, i fianchi magri, le natiche, la schiena... continua a baciarmi e toccarmi, a toccarmi e baciarmi, finché non riesce a farmi eccitare ancora.
Scarta il profilattico e se lo fa scivolare per tutta la lunghezza della virilità, fissandomi, facendomi arrossire ancor di più.
A quel punto non perde ulteriormente tempo, e dopo avermi fatto allacciare le gambe attorno alla sua vita, si fa spazio in me. Si introduce con delicatezza, attento a non farmi male, esattamente come gli ho chiesto. Vedo il suo volto stropicciarsi a poco a poco dal piacere, le sopracciglia corrucciarsi sensualmente di concentrazione, mentre gli cingo il collo con le braccia. Penso di avere più o meno la stessa espressione, se non chè io ho le labbra aperte: mi ha mozzato il fiato, mi ha spaccato di netto la ragione. Non è entrato solo nel mio corpo con una delicatezza che mai gli avrei attibuito, ma è riuscito a scavarsi una nicchia nella mente, tale da amplificare il piacere.
E mentre inizia a spingere, sento il rumore che fanno le maschere quando mi scivolano via dal viso e si infrangono contro il pavimento, sbriciolandosi.

Il suo grido acuto vibra nelle mie orecchie mentre lo sento riversare il suo piacere tra le mie dita.
Pochi secondi dopo l'orgasmo mi sorprende con la stessa intensità di un fiume in piena strappandomi un verso sommesso che non avrei voluto emettere ma che non ho potuto trattenere e con un ultima spinta mi faccio strada dentro di lui riversandomi nella protezione che ho indossato.
Il mio corpo trema nel lasciare l'adrenalina e l'eccitazione scemare e devo puntellarmi con le mani sul materasso per imperdirmi di crollargli addosso con tutto il peso.
Trattenendo l'orlo del condom  con due dita abbandono quella cavità e mi perdo ad osservarlo.
E' bello.
Fottutamente bello.
Fottutamente bello e fottutamente sexy.
La luce bianca della stanza si riflette sul ventre piatto e sul petto, imperlato da stille, di sudore evidenziandone il candore. Ha una mano tra i capelli, e il respiro corto, in sincrono con il mio che comincia a stabilizzarsi a poco a poco.
Lo vedo roteare gli occhi finchè il suo sguardo non incrocia il mio e solo allora mi rivolge un sorriso.
Un sorriso che mi abbandona sui confini dello stupore.
Perchè quello è uno dei sorrisi più dolci che mi abbiano mai rivolto.
E per la prima volta in tutta la mia vita mi rendo conto che non ho nessuna voglia di alzarmi e defilarmi al più presto come è accaduto per tutti gli altri e le altre che ho avuto.
Perchè?
Cosa c'è di diverso?
Vorrei poter avere una risposta, ma quando le mani di Ruki raggiungono il mio volto e mi attraggono a sè chiudo gli occhi.
E mentre torno a baciarlo dimentico ogni domanda.

Note. (guren)
Insomma, per la lemon mica potevamo aspettare *ghigno* probabilmente eravamo più esaltati noi nel passarci i pezzi che voi nell'attenderli!
Bhe, eccola qui, voglio una cascata di recensioni porche. Tirate fuori le vene pervertite che voglio sapere cosa ne pensate!!
A me sinceramente piace molto *-*

See you next time.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Chapter 6 ***


CHAPTER 6

Il modo in cui mi sveglio ha da sempre determinato il mio umore.
Avendo un udito molto fine, alla mattina il mio sonno si interrompe automaticamente ad una certa ora. Questa mia caratteristica è una manna dal cielo: posso evitare tecnologie odiose e terribili quali le sveglie, o la voce di mio padre.
Se però malauguratamente sono troppo stanco per riuscire a svegliarmi senza incursioni altrui allora sarò irritabile e nervoso per tutto il giorno, alla stregua di un bambino.
Quando riprendo coscienza di me, però, non sono stato disturbato da rumori particolari: effettivamente non credo ci sia un motivo preciso dietro il mio risveglio.
La prima cosa che percepisco è un odore. Un profumo soffuso, delicato, di sapone. Forse detersivo da bucato. Mi satura le narici e ispiro profondamente per racimolarne quanto più posso.
La seconda cosa che percepisco è una sensazione. Mi sento al caldo, ben coperto da quello che sembra un piumino, in un letto molto morbido e comodo.
La terza cosa che percepisco è il mio corpo. Sono nudo.
La quarta cosa che percepisco è che quello non è il mio letto, quelle non sono le mie coperte, e probabilmente se sono senza vestiti c'è un motivo.
Con la naturalezza che un petalo di ciliegio infonde alla sua caduta verso il suolo, il ricordo della serata trascorsa con Kyo mi scivola fra i pensieri, facendo si che sorrida forse un po' stupidamente, con la bocca coperta dal lenzuolo confortevole.
Apro gli occhi, notando di essere solo, nella stanza illuminata dalla luce aranciata di un'abat-jour. Osservandomi attorno ancora annebbiato dal sonno appena lasciato, noto che è una bella stanza, colorata di tinte chiare, rilassanti ed è molto più ordinata di come me la sarei aspettata.
Mi tiro su a sedere, strofinandomi una palpebra e svegliandomi del tutto; inizio a far andare il cervello; allora, per primo sarebbe bene fare una doccia. Anzi, meglio ancora, trovare asciugamani e vestiti di ricambio.
Apro le ante dell'armadio, e frugo tra le pile di indumenti, fino a tirare fuori una felpa dall'aspetto molto caldo e un paio di pantaloni comodi. Nel farlo però un rettangolo di pesante cartone scivola per terra e vi cozza con un rumore sordo. Per altro mi trafigge pure il pollice con il bordo.
"Porc..."
Mi trattengo a stento dal bestemmiare sonoramente, mentre raccolgo l'oggetto incriminato con sguardo severo, accorgendomi in ritardo che si tratta di un album di fotografie.
Incuriosito lo apro, senza pensare che è proprietà privata e che non ho il benché minimo diritto di appropriarmente, anche se solo per un'occhiatina.
Lo apro a casaccio, in una pagina del mezzo e la prima foto che vedo è un'istantanea: Kyo è inquadrato mentre siede con tranquillità su un gradino. Indossa un leggero yukata color crema decorato con rombi bianchi, quasi invisibili. Ha i capelli biondi morbidi e lisci, più corti di adesso, e si tiene una guancia con la mano. Ha uno sguardo dolce, perso a guardare qualcosa senza vederla, probabilmente sta pensando, ma senza che nemmeno una di quelle rughe di concetrazione che gli ho visto spesso palesino la propria attenzione. Ha la pelle chiara, appena dorata dal bacio del sole, ed è bellissimo.
Con un sorriso mesto in volto chiudo l'album, lo rimetto al suo posto assieme ai vestiti caduti, prendo gli indumenti che ho scelto e mi infilo nel bagno, chiudendo la porta alle mie spalle.

Bistecca congelata, bistecca congelata, gelato alla vaniglia, ghiaccio, zuppa congelata... una massa di roba congelata informe a cui non so dare un’identità… ah no ecco è un polpo.
Quand’è che ho comprato un polpo congelato?
Scrollo le spalle e chiudo la celletta del congelatore per passare al figorifero.
Ramen precotto, bottiglie d’acqua, ramen precotto, due mele, ramen precotto, qualche lattina di birra, ancora ramen precotto, uova, succo d’arancia, latte.
Direi che non c’è molta scelta, ma in fondo non sono quasi mai a casa e gli unici ospiti che ricevo sono quei quattro e per loro basta una birra, un succo di frutta per Shinya ed una pizza ordinata all’ultimo momento.
Solo che all’una di notte non so quante pizzerie facciano ancora servizio d’asporto per cui…
Con uno sbuffo afferro un paio di confezioni di ramen e senza troppi complimenti le schiaffo nel microonde per scaldarle prima di andare a recuperare una lattina di birra.
In silenzio chiudo l’anta del frigorifero e mi appoggio con la schiena al tavolo.
Lo schiocco della linguetta di metallo che si piega spezza il silenzio.
Probabilmente Ruki sta ancora dormendo.
Non posso impedirmi di sorridere con una punta di soddisfazione. Ci sa fare, ma sono sicuro che non è mai stato con nessuno come me vista la velocità con cui è crollato addormentato subito dopo.
Continuo a sorseggiare la mia birra per un po’, poi il microonde emette il suo ‘bip’ elettronico informandomi che la cena è pronta. Appoggio la lattina ancora quasi piena sul tavolo ed in silenzio mi volto per aprire lo sportello. E’ in quel momento che sento due braccia sottili stringermi alla vita ed un peso leggero e caldo premere contro la mia schiena.
“Bravo hai azzeccato il mio piatto preferito.”
La sua voce è divertita, forse anche un po’ ironica ma non posso fare a meno di distendere le labbra a mia volta in un accenno di sorriso.
“Meglio così perché non c’è molto altro in frigo.” Rispondo con il medesimo tono.
Alle mie parole le sue braccia lasciano il mio corpo e ruoto il capo osservandolo mentre si dirige verso il frigorifero e lo apre.
Nel far ciò mi rendo conto che quelli che ha indosso sono i miei vestiti.
“Mh, beh, hai le prime necessità: alcol e cibo precotto.” Sghignazza ironico curiosando all’interno dell’elettrodomestico semivuoto.
“E tu hai addosso i miei vestiti mi sembra.” Ribatto portando sul tavolo i due contenitori di cibo.
 “Si, sai…” mi rivolge un sorriso che capto mentre lo scruto in tralice “…ho preferito evitare di girarti nudo per casa.”
“Oh beh non hai niente che non abbia ancora visto.” Ribatto a questo punto, sfoggiando un sorriso divertito mentre vado ad incrociare le braccia sul petto.
Intanto lo osservo.
I miei vestiti gli vanno un po’ larghi,  le sue spalle sono molto più esili delle mie, e suggeriscono le forme del suo torace in modo ammiccante.
Senza potermelo impedire me lo rivedo nudo davanti disteso sulle lenzuola. Un flash di pochi attimi che scaccio via scuotendo il capo.
“Allora lunedì avrai argomenti più interessanti da esporre durante la lezione.” Sorride malizioso mentre richiude il frigo, ma a me è passata la voglia di scherzare.
“Ruki, credo che sia superfluo dirti che non deve saperlo nessuno.” Affermo serio cercando il suo sguardo.
“Si, lo so, sta tranquillo.” E’ la sua risposta mentre fissa i suoi occhi nei miei.
La calma e la maturità nel suo tono mi lasciano sorpreso e credo che sia piuttosto evidente anche ai suoi occhi che non me lo aspettavo.
“Bene allora.” Distolgo il volto andando a recuperare le posate. “Questo Paese ama gli scandali. Avremmo entrambi guai se trapelasse qualcosa.” Storco le labbra mentre lo dico.
Afferro un paio di forchette di plastica dal loro contenitore e mi avvicino a lui porgendogliene una.
Mi sorride in modo quasi malinconico e non ne capisco la ragione, ma poi torna il solito Ruki di sempre.
“Beh, non mi sembri il tipo che alza il voto agli studenti solo perché sono passati dal tuo letto, vero?”
Chiede con un sorriso scherzoso.
“No non lo sono. E tra l’altro sei il primo dei miei studenti che passa nel mio letto e il primo in assoluto che mette piede in casa mia ed usa persino i miei vestiti.” Gli faccio notare mentre lascio la forchetta tra le sue dita. Ma appena mi allontano mi ritrovo afferrato per il bordo dell’accappatoio.
Senza poter avere il tempo di reagire Ruki mi trae a sè catturando le mie labbra con le sue in un bacio vorace.
E’ come il richiamo di una sirena. Lascio cadere la mia forchetta e lo avvolgo tra le braccia immergendomi più a fondo nella sua bocca, cercando il suo sapore con impazienza.
Non sono mai stato così impaziente, mai.
Cos’ha di speciale questo ragazzo?
“E chi è abituato a venire nel tuo letto, allora?” Sussurra maliziosamente sulle mie labbra, disegnandone i contorni con la lingua con un erotismo tale da farmi perdere la testa.
“Nessuno come te.” Rispondo allora sospingendolo contro il frigorifero mentre la mia bocca comincia a tormentare una porzione di pelle sul collo.
Lo sento sollevare una gamba ed allacciarla alla mia vita. In un gesto fulmino il mio braccio scatta a sorreggerlo e accolgo nel mio palmo quella natica perfetta prendendo a massaggiarla.
Mi geme tra le labbra, morbidamente, posso avvertire le dita affusolate di Ruki risalirmi tra i capelli e prima che possa fare altro torno ad impadronirmi della sua bocca esplorandola voracemente.
Solo quando non ho più fiato mi stacco e mi rendo conto che il frigo è ormai lontano e che entrambi siamo distesi sul tavolo.




Preparato per dolci, lievito, burro, zucchero, cioccolato fondente, caffè in polvere, latte...
Osservo il cestino della spesa nelle mie mani, controllando di avere preso tutto. Bhe, sì, dovrei esserci. Allora mi dirigo verso le casse, a quest'ora del mattino praticamente vuote, e inizio a disporre gli ingredienti per la colazione sul nastro.
Mentre lo faccio mi immagino già che faccia farà Kyo quando mi vedrà arrivare a casa sua con tutta questa roba, a un'orario improponibile per giunta. Sono le otto e mezzo di domenica mattina, ed è dalle sette che penso e ripenso soltanto che ho voglia di cucinare per lui. Anche se probabilmente mi spedirà fuori a calci, data l'ora. Ma posso sempre provare. E poi, chi resiste a pancake e caffè?
Ripongo tutto nella borsa di plastica, mentre un sorriso mi sboccia timidamente agli angoli della bocca. Data la tenacia con cui sto trattendomi dal ridere a trentadue denti, credo che la mia espressione somigli più a una smorfia. Ma che importa?
Ogni passo che compio, ogni boccata d'aria che respiro, ogni movimento mi ricorda ieri sera. Sembra una maledizione. Se muovo le dita in un certo modo mi rivedo mentre prendo il volto a Kyo e gli scosto i capelli dalla fronte, se sollevo un oggetto mi rivedo mentre prendo la ciotola di ramen dal ripiano, se fumo rivedo Kyo che fa lo stesso, abbracciando il filtro della sigaretta maliziosamente... E quando mi vestivo percepivo la sensazione delle sue fottute dita che mi passavano sulla schiena, che mi inchiodavano al tavolo e che si insinuavano in me con sensualità.
Se socchiudo gli occhi scorgo le sue iridi feline che mi trapassano e davanti a cui mi sento nudo anche con tutti i vestiti addosso.
Dopo aver fatto sesso sul tavolo ed esserci ricomposti, mi ha fatto mangiare seduto sul suo grembo, e abbiamo parlato. Tantissimo e di qualunque cosa, dalle più stupide alle più intelligenti. Ad un certo punto gli ho domandato dove avesse trovato l'ispirazione per comporre la canzone che ho ascoltato al Lux.
Lui mi ha risposto 'dalle mie riflessioni', e al chiedergli delucidazioni mi ha detto che riguardano per lo più il genere umano, l'amore, la vita. Concetti vaghi, ma che una buona penna sa comunque far diventare innovativi, o interessanti, degni di nota.
Da qui siamo partiti con una lunga chiaccherata sulla società, su ciò che pensiamo di questa, dei nostri valori...
Mi ha stupito molto positivamente riscontrare che abbiamo le stesse opinioni, in molti casi.
Dopo gli ho detto di aver visto la foto, nell'album che mi ha fracassato il piede. Mi ha dato del ficcanaso, scurendosi lievemente, ma poi abbiamo continuato a parlare e a scherzare assieme.
Verso le tre mi ha riaccompagnato a casa, nonostante avessi insistito per andare in treno e non disturbarlo. Lui ha proferito una sola ed unica parola, che ha tagliato di netto ogni mio tentativo di replica come fosse una canna di bambu "Scordatelo."
Una volta arrivati mi ha salutato con molto calore, baciandomi avidamente; poi sono entrato e lui se ne andato.
Ho provato un misto di felicità e tristezza. Felicità perché è stata una delle serate più piacevoli che abbia mai passato, tristezza perché ero di nuovo a casa.
Nonostante credessi che avrei faticato alquanto ad addormentarmi, dati i tanti pensieri per la testa (tra cui un Kyo nudo che saltellava in ogni dove), appena mi ero steso a letto ero caduto addormentato. E avevo dormito quattro ore di fila, salvo essere svegliato dal sole, dato che non mi ero premurato di chiudere le imposte.
E così mi ero ritrovato al supermercato dall'altra parte della città.
Mentre ripercorro passo passo la nottata appena trascorsa, suono il citofono privo di nominativo del palazzo e attendo con le buste in braccio.




yukata: indumento tradizionale estivo maschile.

guren&Tora notes.
Uhuhuh. Bhe, entriamo nel vivo della storia direi :D
Non ho particolari note da fare, tranne buona pasqua a tutti! Dai che ora ci sono le vacanze :D
Saluti e auguri da guren, Tora, Ruki e Kyo!

See you next time!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Chapter 7 ***


CHAPTER 7

 
 
Il rumore stridulo del citofono mi strappa via dal sonno strappandomi una smorfia infastidita. Ad occhi chiusi striscio sul materasso verso il comodino e finalmente mi decido ad aprire un occhio per vedere che ore sono. Ed il mio primo pensiero al riguardo è: Chi CAZZO mi rompe le palle a quest’ora del mattino quando avrei tutto il diritto a starmene a dormire??
Sbuffo e torno a chiudere gli occhi sperando che il seccatore se ne vada, ma a quanto pare è una speranza vana visto che pochi secondi dopo una nuova scarica sonora mi costringe ad aprire gli occhi di scatto.
Con un ringhio recupero in fretta un paio di jeans grigi e mi avvio verso il citofono aprendo le comunicazioni.
“Si può sapere chi diamine è a quest’ora??”
Sicuramente non è il postino visto che è domenica.E la voce che mi raggiunge trillando me lo conferma.
“Sono io!
“…”
Per una manciata di istanti rimango bloccato davanti al citofono con un’espressione che non saprei se definire più perplessa o interdetta. Che diamine ci fa lui qui di prima mattina?
“Ruki?”
Chiedo, ma più che chiedere è una specie di ringhio dalla stana nota perplessa e assonnata che abbandona la mia gola mentre affondo la mano destra a riavviare i capelli.
“In persona! Mi apri o vuoi lasciarmi qui fuori tutto solo con le buste della spesa in mano?”
Buste della spesa? Ma che diamine ha in mente?

Non so davvero cosa pensare. Forse è per questo che mi limito ad un nuovo, secco verso e premo il pulsante per aprire il cancello.
Cerco di scacciare via la sonnolenza che avvolge ancora il mio corpo affondando la mano destra dietro la nuca per riavviare energicamente i capelli e con l’altra apro la porta attendendo sulla soglia che le porte dell’ascensore quasi di fronte a me si aprano.
Posso sentire il suono meccanico risuonare sommesso e dopo pochi istanti le porte di aprono e ne emerge quel pestifero essere avvolto in un giubbotto nero, da cui sporgono dei blue-jeans decisamente aderenti, ed una sciarpa grigia. Ha due buste della spesa tra le braccia e mi viene incontro con il sorriso entusiasta di chi abbia appena visto qualcosa di bellissimo.
Uno sguardo molto simile a quello che la mia chitarra acustica riserva alla birra e al nostro batterista.
Mi sorprendo ad indugiare sulle linee rosee di quel sorriso, risalgo sulle gote arrossate dal freddo, sugli occhi, su quel ciuffo fuxia che spicca sul nero e poi ridiscendo lungo il medesimo percorso e proseguo andando più in basso, inseguendo la forma delle gambe.
Per un attimo le sento di nuovo avvinghiate ai miei fianchi ed un brivido mi attraversa lungo la spina dorsale come una scarica elettrica e torno ad osservare il suo volto.
Ruki è l’innocenza e il peccato infusi al suo interno da una schiera di dei capricciosi.
Come il Vaso di Pandora racchiude in sé ingenuità, malizia e speranza.
L’ingenuità di un ragazzo di sentimenti puri, la malizia del più esperto degli amanti, la speranza di una generazione più giusta.
Mi rende quasi ammirato.
Mi confonde.
Mi rapisce.
Non apro bocca quando mi raggiunge ed esclama un “Ciao!” con quella voce energica e decisa. Arretro per farlo passare e lui entra togliendosi rapidamente le scarpe e sparisce in cucina muovendosi per il mio appartamento come se fosse in casa propria. Lo seguo finché non sparisce dalla mia visuale girando l’angolo e solo allora chiudo la porta e lo seguo.
 
Una volta entrato nella cucina di Kyo mi levo in fretta la sciarpa e il cappotto, appendendoli a una sedia. Alzo la tapparella ancora abbassata, dato l’orario, e mi beo del calore del sole sulla faccia; questa stanza è molto diversa di giorno, assume più tinte, specialmente nei punti del legno dove la luce si riflette con pigrizia. Da un certo senso di pace. E mi serve proprio pace in questo momento, perché Kyo non può credere che aprirmi la porta vestito unicamente di un paio di jeans morbidi aiuti il mio raziocinio a rimanere intatto.
Inizio a guardare a casaccio dentro armadietti e cassetti, alla ricerca sparsa di terrina, bicchieri, ciotole, piatti, mestoli, posate e quant’altro. Quando mi rialzo tenendo tra le mani buona parte del materiale che mi serve incrocio gli occhi di Kyo. E’ appoggiato con una spalla all’infisso della porta della cucina, il corpo che descrive una forma sinuosa e morbida, felina, coi muscoli delle braccia incrociate che si tendono, posati sopra il petto appena mosso dal respiro. Ha le iridi pigramente socchiuse, come se stesse osservando qualcosa di particolarmente desiderato, sospirato. Le sottili occhiaie che gli cerchiano gli occhi rendono lo sguardo fulvo ancor più penetrante e per nulla dissimile da quello che giusto ieri sera mi puntava addosso senza veli, mentre mi affondava dentro.
Un brivido freddo mi fa tremare lievemente le gambe e in un lasso di tempo labile quanto un respiro Kyo passa dall’attrazione all’appena malcelata... confusione, credo. Non capisco bene, dato che ha aggrottato le sopracciglia in un moto che definirei pensieroso e i capelli biondi come spighe di grano gli ricadono scomposti lungo la fronte. Con uno sbuffo seccato cerca di domarli con la mano ruvida, per poi sparire lungo il corridoio.
Io continuo col mio lavoro: tiro fuori gli ingredienti, li dispongo sulla penisola, armeggio un po’ con la macchinetta del caffè.
Vederlo mi ha scombussolato abbastanza, un po’ troppo direi. Ora come ora avrei dovuto iniziare a pensare con più lucidità a ieri sera, ma qualcosa me lo impedisce. O meglio, in realtà riesco ad essere lucido, ma non nel modo in cui dovrei. Sono andato a letto con un insegnante, Cristo! E non mi sento minimamente in colpa per di più.
Però bisogna anche ammettere che non mi è mai importato granché degli sterili doveri dettati dalla società dell’apparire, quindi perché iniziare adesso? Le persone dovrebbero fare ciò che le rende felici, anche solo per qualche secondo, giusto? E allora perché dovrei negarmi qualcosa che mi da serenità e piacere? Ma forse sto correndo troppo. Lui ha la sua vita, il suo passato e il suo presente. E il suo futuro. Non è detto che io ne debba fare parte. Condividiamo molte idee, è vero, ma questo basta a farci dire “sì, possiamo stare bene uno con l’altro”? O ci scopriremo due mondi inconciliabili, separati da un muro d’incomprensione invalicabile?
Un rumore attutito di acqua mi raggiunge i timpani delicatamente; credo che si sia infilato nella doccia.
Non pensarci. Non pensare che è nudo, dico nudo, sotto l’acqua. NO!
Scuoto la testa con un pizzico di aggressività, strizzando gli occhi, come se l’acqua in realtà mi fosse piovuta addosso, scacciando anche la miriade di dubbi e domande senza risposta che mi affollano la testa. Inizio a misurare le porzioni di ogni ingrediente e, cercando una qualche sorta di distrazione, dalla mia gola fluiscono naturali come germogli dalla terra fresca le parole di una canzone.
 
 
Mi sto lasciando trasportare.
Mi sto lasciando trasportare troppo.
Mi piace.
E’ inutile negarlo.
E’ qualcosa che va al di là del desiderio fisico.
Me ne sono accorto mentre lo baciavo ieri notte sotto casa sua.
Me ne sono accorto mentre lo osservavo fare il padrone nella mia cucina.
No, non lo stavo semplicemente osservando.
Lo stavo divorando.
Lo stavo divorando con il solo sguardo.
Ho pensato al suo corpo nudo.
Ho pensato alla sua mente.
Ho pensato al suo cuore.
Ho pensato che forse potevamo andare oltre la semplice scopata senza impegno.
Ho avuto paura.
E sono fuggito sotto il getto d’acqua tiepida e confortante della doccia.
Lascio che l’acqua e la schiuma dello shampoo mi scorrano sul capo e sul corpo e chiudo per un istante gli occhi.
Devo pensare.
Non ho paura di quello che può dire la gente.
Gli indici puntati contro, i sorrisi di scherno, le insinuazioni: tutte cose che non temo. Cose vuote. Prive di importanza, senso, valore. Inutili.
E’ altro quello che mi tormenta.
Ruki è solo un ragazzo.
Vive nella sua Primavera, passeggiando tra i petali di ciliegio in fiore, mentre io cammino sotto il sole cocente dell’Estate.
I nostri modi di pensare sono simili ma io sono già un uomo.
Lui non lo è ancora.
Se andassimo oltre, potrei non essere in grado di comprenderlo sempre.
Potrei farlo soffrire.
E non è mai stato questo quello che ho voluto.
Forse dovrei troncare tutto questo prima che si trasformi in qualcosa di incontrollabile.
Ma il solo pensiero mi lascia un fastidioso senso di vuoto nello stomaco.
Come un morso della fame ma che con la fame non ha nulla a che vedere e che mi fa capire che non ho nessuna intenzione di rinunciarci.
Sono un egoista.
Riapro gli occhi e chiudo l’acqua.
Discosto le ante della cabina, lentamente, come se questo semplice gesto mi costasse fatica, ed allungo un braccio ad afferrare l’accappatoio mentre esco infilando i piedi nelle ciabatte nere da doccia.
Mi avvolgo nell’indumento bianco chiudendolo accuratamente con la cintura e sollevo il cappuccio sul capo per frizionare i capelli. C’è odore di bagnoschiuma in bagno.
Un odore semplice, pulito.
Mi fa pensare a lui.
All’odore della sua pelle.
Non so cosa fare.
Sposto lo sguardo sullo specchio ed il mio riflesso mi mostra tutta la portata della mia incertezza.
Sospiro e lascio il bagno per dirigermi in camera da letto e cambiarmi, ma mi blocco appena metto piede in corridoio.
Lo sento cantare.
Lancio uno sguardo quasi sorpreso in direzione della cucina e mi incammino in quella direzione cercando di provocare il minor rumore possibile.
Ha una voce armonica e melodiosa. Decisa, dai toni mascolini, ma decisamente morbida e dolce nelle sue tonalità.
E’ evidente che non sia un professionista ma ha l’impostazione vocale adeguata per diventarlo.
Un passo dopo l’altro guadagno l’uscio della stanza. Mi da le spalle, intento ad armeggiare con una terrina. Non ho la minima idea di cosa stia facendo e non mi importa.
Ma soprattutto non ho la minima idea di cosa stia facendo io mentre mi avvicino alla sua schiena e distendo le braccia oltre quest’ultima finché le mie mani non arrivano a chiudersi sui suoi polsi, imprigionandoli in una stretta decisa ma non dolorosa.
“Canti bene.” Soffio al suo orecchio, prendendo a depositare qualche piccolo bacio dietro il padiglione auricolare. “Dovresti pensare a coltivare il tuo talento.” Aggiungo ancora, morbidamente, mentre le dita si distendono e cominciano ad accarezzare il dorso dei polsi e delle mani in piccoli movimenti circolari.
Lo sento irrigidirsi leggermente alle  mie parole e la pelle rosea della sue gote assume un’accesa tinta di rosso. E’ una cosa che mi strappa un sorriso divertito.
Dov’è la tua sfacciataggine, Ruki?
“E’… è solo un hobby...” Mormori, quasi con voce tremante, mentre ti sottrai al mio tocco e ti volti verso di me con lo sguardo smarrito di un cervo che si imbatte in un lupo.
Vedi in me un predatore pronto ad azzannarti alla giugulare?
Accarezzo la linea sinuosa del tuo collo sottile.
Si, Ruki, vorrei davvero morderti, arrossarti la pelle, imprimere su di te il mio marchio.
“Una voce come la tua non è accettabile che resti nascosta.” Ribatto portando lo sguardo nei suoi occhi. Oggi non porta quelle lenti a contatto colorante. Al posto di quell’azzurro freddo e intrigante c’è un castano dalle tonalità più calde e morbide.
Ha dei bellissimi occhi.
“Il mondo  e chi lo abita sono sordi. Ascoltano solo chi ha una voce abbastanza forte per farsi udire.”
Lentamente sollevo la mano destra portandola sotto al suo mento e lo invito a guardarmi in volto.
Le parole a volte non sono sufficienti ad esprimere la reale intensità di un pensiero.
Ed io penso che abbia talento.
Penso che abbia qualcosa da gridare contro questo mondo corrotto.
Penso che possa davvero salvarlo.
Se davvero questo ragazzo è in grado di pensare come penso io, allora sarà capace di leggermelo negli occhi.
Guardami, Ruki.
“Se anche tu hai qualcosa da dire al mondo, Ruki, allora canta. Posso insegnarti a farlo. Posso insegnarti a spiegare le ali, ma poi dovrai volare da solo.”
 
Odio il modo in cui riesce a soggiogarmi con un solo sguardo o un solo tocco. Sentire il suo respiro caldo sul viso è deleterio, allora mi sporgo e gli do un leggero bacio a fior di labbra.
“Dovrai impegnarti però.”
Gli punto un dito contro il naso, scherzosamente.
“Sei tu che dovrai impegnarti.” Mi bacia delicatamente, più e più volte, quasi un tocco fugace di labbra, approfondendo il contatto man mano che il numero dei baci cresce, finché non incolla la sua bocca alla mia, frugandomi il palato con lingua esperta.
Mi stacco piano, per riprendere fiato dall’apnea cui ci siamo costretti e stampandomi in faccia un sorriso malizioso ribatto “Lo sai che le tue lezioni saranno solo un motivo in più per starti addosso?”
Mi guarda fisso per qualche istante, occhi negli occhi, e mi perdo nel colore scuro di quell’iride felina, cercando di decifrarne i contorni, i limiti, non riuscendoci. Gli occhi sono un mezzo molto più diretto delle parole, perché parlano una lingua universale, che non ha bisogno di intermediari, e conoscono parole che la lingua non riesce a formulare, concetti che non riesce a racchiudere in un dato numero di lettere. Gli occhi sono per tutto ciò che non deve avere confini o limiti.
“Vedi di studiare perché non ti farò un trattamento di favore quando sarai alla lavagna.” Stringe tra le labbra la pelle del mio collo, mordendola con delicatezza. Sbatto le palpebre, mentre i brividi che mi hanno attorcigliato lo stomaco si dileguano, lasciando posto per una risposta sfacciata.
“Il giorno prima i miei pantaloni si restringeranno casualmente in lavatrice.” Gli passo una mano lungo la linea dritta della schiena chiusa dall’accappatoio morbido, saggiando con i polpastrelli i fasci di muscoli tonici. Amo la sua pelle, è qualcosa di totalmente erotico, che mi manda nel pallone. E’ tesa e guizzante, è salata e ruvida.
Un ghigno malizioso e arrogante gli tende le labbra “Puoi provarci, marmocchio, puoi provarci.”
Quando le nostre bocche si abbracciano e le nostre lingue si intrecciano, chiudo gli occhi.

Elucubrazioni. (guren)
Siamo finalmente tornati! Abbiamo scritto questo capitolo praticamente in due giorni, colti da un moto di ispirazione viUlenta *-* non posso che esserne felicissima, mi mancava moltissimo scrivere questa fic. Questi personaggi bastardelli hanno un po' modificato il corso naturale della storia, ma così avremo più spunti per poter diramare la fic in più direzioni!
Salutoni,
guren&Tora

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=605401