Quando l'amore non basta più

di __WeatherlyGirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E' finita ***
Capitolo 2: *** L'ultimo bacio ***
Capitolo 3: *** Il camerino ***
Capitolo 4: *** E’ ora di salire sul palco ***



Capitolo 1
*** E' finita ***


Sabato - 12 Febbraio

 

Era una gran brutta giornata, la neve impediva di muoversi in città, e lo spettacolo di danza era rimandato. Y era seduta sul divano, con una coperta sulle ginocchia ad ascoltare della buona musica. V, invece, era a casa propria, in piedi che camminava per la sala, andando di qua e di là, senza una meta. Erano passati cinque mesi dalla loro separazione, era tutto accaduto in un piovoso giorno di Ottobre...

 

Domenica - 16 Ottobre

-Sei sempre il solito! Ora basta, V! E’ finita- E Y si dirigeva a grandi passi verso la camera da letto, V le andava dietro.

-Y, fermati, ti prego. Amore, calmati, mi dispiace...- Nonostante le scuse di V, Y continuava a camminare veloce, da dentro un armadio prese una grande valigia di pelle nera e la poggiò sul letto

-Ora falla, e smettila di chiamarmi amore. V, è finita davvero. Vattene- V era rimasto in piedi, pallido e rosso allo stesso tempo, non sapeva cosa dire o cosa fare. Era bloccato.

-Cosa fai lì in piedi? Non stavi così fermo quando ero via. Ne ho passate abbastanza, V, è ora di finirla- Y aveva pronunciato le ultime parole con un tono più gentile, quasi malinconico, come se stesse pregando V di andarsene.

-Cosa ne è stato di noi tutti questi anni, Y? Amore, ne abbiamo passate tante, ricominciamo!- Il volto corrucciato, quasi piangente di Y si stava raddolcendo, ma a quelle parole tornò aspro proprio come prima

-Tante?! Ne abbiamo passate tante?! Io sono andata in Germania un fine settimana e tu sei andato in giro con quell’altra! Io ne ho passate tante, tu ti sei solo divertito!- Ormai V non poteva dire più niente, Y aveva toccato il tasto dolente: il tradimento. V sapeva di avere sbagliato, di aver bevuto troppo un sabato sera e di aver commesso l’errore della sua vita. Aveva passato con Y tanti anni ormai, e per lui era diventata il suo mondo. 

La sua passione per la danza e la passione di V per la musica si erano completate; V e Y si erano completati. Come lo Ying e lo Yang, ma in quel caso uno dei due non era più della forma giusta per completare l’altro, e V sapeva di essere lui.

In silenzio sollevò la valigia dal letto, la poggiò sul pavimento e lentamente cominciò a riempirla. Svuotava i cassetti meccanicamente, andava dalla camera da letto al bagno lentamente, con piccoli passetti e ogni tanto guardava Y che lo seguiva con lo sguardo dal corridoio. 

Lei stava ritta, rigida, con lo sguardo fisso e vitreo. Nulla, nessuna emozione traspariva dal sui volto, ma V sapeva scavare più a fondo. Y era terrorizzata dall’avvenire, che ne sarebbe stato di lei senza il suo V? Ma d’altronde cosa poteva fare?, V aveva esagerato, per l’ennesima volta l’aveva usata, e appena lei se ne andava qualche giorno lui se la spassava. No, non doveva aver compassione di lui, ma era normale che provasse quelle sensazioni.

Poco prima di uscire V si mise le mani in tasca, ne tirò fuori un mazzo di chiavi e lo porse a Y, che si era appoggiata allo stipite della porta:

-Ecco le chiavi di casa, tieni- le disse

-V, mi dispiace, ma è meglio per tutti e due.-

-Y, permettimi di dire un’ultima cosa...- Ma prima che potesse terminare la frase lei si avvicinò alle sue labbra e lo baciò

-Ora è veramente finita. Vattene- e lo spinse fuori dalla porta. 

 

Questo è ciò che entrambi stavano ricordando, senza immaginare però che anche l’altro lo stesse facendo. V, mentre ripeteva quelle immagini nella propria mente, non aveva smesso di camminare nel salotto; Y, invece, aveva lentamente alzato la musica sempre più. Il suo Ipod stava casualmente riproducendo la playlist “Spettacolo”, dove erano tutte le canzoni che V aveva mixato per lei. In quel momento John Lennon stava cantando nel suo salotto Strawberry Fields Forever con quella voce un po’ roca, un po’ dolce e un po’ malinconica così bella da sentire. Ma a Y in quel momento non piaceva per niente, tutta quella gran bella musica le ricordava solo V. 

Lui, invece, stava nel più completo silenzio; il battere del suo cuore e il rumore dei suoi passi erano già abbastanza, ma allo stesso tempo niente. Il telefono squillò:

-V? Sono Y-

-Oh...ciao...- V era imbarazzato, agitato e tremendamente felice, ma non sapeva cosa dire

-Hey, tutto bene? Ti disturbo?-

-Oh, no. Cioè, sì, tutto bene, e non disturbi- Tu non disturbi mai, pensava V.

-Ti ho già detto che stasera non c’è lo spettacolo?-

-Sì, già detto-

-E ti ho già detto che è domani sera alle nove?-

-Sì...già detto- V era deluso, l’aveva chiamato solo per parlare dello spettacolo. Niente più.

-Bene, allora ci vediamo domani- Non vedo l’ora, pensava Y.

-A domani...- amore, avrebbe voluto completare V.

Appena V ebbe riagganciato, nel salotto di Y comparve I.

-Chi era?- le chiese

-Ho informato i genitori di alcune bambine riguardo allo spostamento dello spettacolo-Y teneva lo sguardo basso

-Non ci credo- esclamò I- era V, vero?- Y annuì.

-Devi smetterla di parlargli,- continuava lui -ti fa solo male. Pensiamo a noi due.- e mentre diceva questo la si sedette sul divano accanto a lei e la abbracciò. Ma Y si divincolò dall’abbraccio e corse via in cucina, dicendo di avere sete. E così terminò quella giornata di ricordi e di speranze, in attesa dello spettacolo.

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Capitolo 2
*** L'ultimo bacio ***


Domenica - 13 Febbraio

 

Finalmente la neve aveva abbandonato la città, e il cielo si stava debolmente rischiarando, quando la sveglia di Y gracchiò. La ragazza si sollevò dal letto, stirandosi le braccia e sbadigliando.Un nuovo giorno era iniziato. Il giorno dello spettacolo.

Y, dopo essersi alzata dal letto, si diresse in cucina dove per colazione mangiò una ciotola di cereali integrali, poi si vestì e si risedette sul divano, proprio come aveva fatto la sera prima. Mentre era ancora assorta nei suoi pensieri sentì bussare alla porta, si alzò e andò ad aprire: era V.

-E tu cosa fai qui?- V non rispose, rimase a guardarla negli occhi sorridendo debolmente. Y ripetè la domanda

-Mi spieghi perché sei venuto?- Silenzio. 

Il silenzio della solitudine si confondeva col frastuono della compagnia, dell’amore. Nessuno può immaginare cosa sentissero nella loro testa e nel loro cuore Y e V, e loro non sapevano che anche l’altro provava le stesse emozioni.

-Sono qui per parlarti...-iniziò debolmente V, Y stava già per chiudere la porta e lasciar fuori V quando lui si introdusse in casa. Inizialmente rimase un po’ sorpreso nel vedere come Y avesse lasciato tutto com’era: la tavola apparecchiata per due, il letto matrimoniale usato, il divano notevolmente utilizzato da entrambe le parti. V capì subito che la sua solitudine era molto diversa da quella di Y.

-Beh, ti sei sistemata bene vedo! Proprio come se ci fossi ancora io-

-Ma tu non ci sei. Parla, o vattene.-

-Parlo. O vuoi parlare prima tu?- Questo scambio di battute avvenne con V che continuava a guardarsi intorno e Y che lo seguiva intimorita con lo sguardo. Cosa aveva voluto dire con quell’ultima frase?

-V, io non ho niente da dirti. Ripeto, parla o vattene-

-Ti ricordi che ti dovevo dare quella base di Lucy in the Sky with Diamonds? Ce l’ho qui-

-V, ci vediamo stasera, non potevi aspettare?- Y aveva cambiato tono, era inquisitorio, ansioso, nervoso, e terribilmente triste.

-No. Io stasera non ci sarò- Y spalancò la bocca, poi gli occhi e poi crollò sul divano.

-E chi farà il Monaco? Chi? V non puoi farmi questo!- Y stava urlando, si contorceva sul divano come impazzita.

-Ehi, calmati- la voce di V, al contrario era pacata, serena - vedrai che andrà tutto bene. Perché il Monaco non lo fa lui?- E così dicendo indicò la camera da letto. I suoi occhi ardevano di un fuoco pericoloso e sincero. Il fuoco degli amanti. La gelosia. Inaspettatamente quanto distrattamente i loro occhi si incrociarono per un istante, ma in quel brevissimo lasso di tempo entrambi compresero cosa provasse l’altro.

Y era disperata, si sentiva abbandonata e tradita ancor più di prima. V era uscito di sè, il vedere quel letto, quella tavola e quel divano avevano portato alla luce un V diverso, che neanche Y conosceva.

-V, basta, adesso vattene e fa in modo di presentarti stasera-

-No, Y. Se tra noi è finita dimmelo una volta per tutte. Abbandonami! Lasciami vivere la mia vita! Non farmi venire questa sera! O forse per te non è finita? O forse tu mi ami ancora? Perché io...- V non potè finire la frase che I si materializzò sulla porta. I suoi occhietti inquisitori si puntarono prima su V e poi su Y, ma quando si accorse che lei non gli avrebbe dato alcuna spiegazione allora girò i tacchi e se ne andò. Y lo rincorse per le scale per qualche gradino, chiamandolo per nome e supplicandolo di tornare indietro.

-Io non torno indietro,- rispose secco I- tu lo fai. Hai fatto una scelta, Y.-

-No! Per favore, tesoro- Fino a quel momento V era rimasto in disparte, ma sentendo pronunciare quella parola si lanciò contro Y, la prese e la portò in casa, mentre lei strepitava e I se ne andava. Quella scena tanto rumorosa aveva destato sospetti tra i vicini, ma tutti uscirono dai propri appartamenti quando ormai Y era rientrata, trascinata da V.

-Sei matto! Vattene! E’ finita davvero!- Ora Y urlava.

-No. No, Y, non lo è. Dimmi che cosa devo fare questa sera e saprò se è finita davvero.-

-V,- Y si era calmata e il suo tono era tornato pacato -non farlo per me. Odiami, ti prego. Fai in modo di trovarmi spregevole e dimenticami, ma fallo per le ragazze. Se tu non fai il Monaco questa sera lo spettacolo dovrà essere mandato a monte. A...- amore avrebbe voluto dire Y, ma si trattenne e cercò di rimediare - al Dehon alle 5 per le prove, va bene?-

-Y, scusami.- V le afferrò le mani e se le portò al petto, lei non fece nulla per divincolarsi -Tu non hai il coraggio di farlo, ma io sì. Amore- pronunciò quell’ultima parola con enfasi, trattenendo a stento i singhiozzi, che non si addicevano certamente ad un uomo come lui. Y invece non trattenne nulla, si lasciò andare in un pianto disperato, abbracciando V, il quale da parte sua non si aspettava affatto questa reazione.

-Non farlo...- singhiozzo -non chiamarmi...- singhiozzo -così! Oh...- singhiozzo -V!- 

E lo strinse a sè ancora più forte. Lui le passò una mano sulla guancia per asciugarle le lacrime, poi gliela passò tra i capelli, come ai vecchi tempi.

-Amore, è stato un brutto sogno. Ricominciamo- A quelle parole però Y si staccò da lui, si asciugò le lacrime con il retro della mano destra e arrossì.

-V, io non posso. Riparliamone stasera. Vieni allo spettacolo?-

V la guardò con amore, si avvicinò a lei e le sussurrò nell’orecchio - Se me lo chiedi così...-, poi si avvicinò alle sue labbra e la baciò.

Lei non mosse un muscolo, rimase dritta, impassibile, lui invece avrebbe preferito una reazione da parte sua: una risposta.

-Che succede?- 

-V, rifallo.- E lui ancora la baciò, sperando di essere ricambiato. Lei, invece, rimaneva sempre più impassibile, come se non provasse nulla, come se nemmeno si accorgesse che V la stava baciando.

-Perché me lo fai fare? Y...- Lei gli appoggiò un dito sulla bocca, e lui smise di parlare. Passò un minuto prima che uno dei due facesse qualcosa, erano rimasti fermi a guardarsi. V stava decidendo se riprovare o demordere, Y non capiva nulla.

-V, ci vediamo questa sera.- Dicendo questo gli diede un bacino sulla guancia e poi lo condusse alla porta.

-A più tardi-

-Ciao, Y.-

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Capitolo 3
*** Il camerino ***


Dalle cinque del pomeriggio la compagnia di danza non aveva smesso di provare tutte le varie coreografie. Per Y tutto doveva essere perfetto: le uscite, le entrate, i movimenti coordinati, le coreografie più difficili dovevano essere eseguite alla perfezione. Nonostante la neve si aspettavano che qualcuno li andasse a vedere, sicuramente i genitori e i parenti dei ragazzi sarebbero andati, magari anche qualche amico, e -con un po’ di fortuna- anche quelli che con la compagnia non c’entravano niente, ma semplicemente avevano visto i manifesti e avevano deciso di andare. Y incessantemente riprendeva le bambine, dava ordini alle più grandi, correva da una parte all’altra del teatro senza aver neanche il tempo materiale di riflettere. Tutto ciò che era accaduto quel pomeriggio non sfiorava la sua mente, i suoi pensieri. Così era fatta Y, aveva la forza di controllare la propria mente ed il proprio cuore, e decidere a cosa pensare, per cosa preoccuparsi. 

V, invece, era rimasto dietro le quinte, attendendo che fosse il proprio turno per provare: anche lui avrebbe ballato, sicuramente in una parte minore, una piccola coreografia fatta apposta per lui da Y: la parte del Monaco. In realtà, per quanto minore fosse questo personaggio l’intero spettacolo non era niente senza di lui, proprio come la vita di Y.

E così, freneticamente e ansiosamente, arrivò l’ora dello spettacolo. I genitori cominciarono ad entrare nel teatro, gli amici prendevano posto e tutto il pubblico trepidava. Ma dietro le quinte si respirava un’altra aria.

Quella sera, Y e V condividevano il camerino.

-Non ti dispiace se mi cambio, vero?- disse Y

-Mi devo cambiare anche io, quindi...- rispose V. Era assurdo come dopo tutto quel tempo passato insieme, non riuscissero neanche più a parlarsi senza provare imbarazzo. Y si girò verso la porta e cominciò a cambiarsi, V si voltò verso lo specchio e fece lo stesso. Ma questo non fu un caso: Y sapeva che, se si fosse specchiata avrebbe visto riflesso anche V, e lui, per lo stesso motivo, fece in modo di specchiarsi e vedere Y. Lei si tolse i pantaloni, prima una gamba e poi l’altra, poi si tolse la maglietta, rimanendo così solo in biancheria intima. Nel frattempo V non faceva niente, ogni tanto si piegava fingendo di dover raccogliere qualcosa da terra, ma non togliendo mai gli occhi da quello specchio. E’ difficile dire se Y non si accorgesse o non si volesse accorgere di essere osservata, ma come se niente fosse continuò a cambiarsi. All’improvviso, ancora in biancheria, si voltò verso V:

-Beh, cosa fai ancora vestito? Si va in scena tra poco-

-Io stavo aspettando...- Probabilmente solo in quel momento Y capì cosa stesse accadendo veramente.

-Cambiati, V, non farmelo dire ancora, per favore- Ancora una volta la sua voce era supplicante. I suoi occhi erano fissi su quelli di V, pieni di lacrime represse.

-Y, va bene, mi cambio- ancor prima che Y fosse riuscita a muoversi, V si era di nuovo voltato verso lo specchio e lentamente si toglieva la maglietta. La donna continuava a fissarlo dal riflesso nello specchio e la situazione sembrò essersi ribaltata.

V era silente, stranamente calmo, e con gesti ampi e lenti si toglieva i vestiti da addosso. Y era ferma, ancora in biancheria intima, aspettando che V dicesse o facesse qualcosa.

Nel frattempo, nel silenzio, V era ormai senza vestiti. Y, senza controllare i propri movimenti cominciò ad avanzare verso di lui, lentamente ed altrettanto in silenzio. Cosicché V neanche se ne accorse, fino a che non sentì una mano cingergli la vita e il respiro di lei sempre più vicino. Lui rimase impietrito, alzò lo sguardo e lasciò andare la borsa che teneva tra le mani, poi la osservò dallo specchio. Y era sempre più vicina a lui, la sua mano destra cingeva il fianco di V, mentre la sinistra era stesa lungo il proprio fianco. A piccoli e lenti passi si avvicinava alla schiena di V, sperando che lui si voltasse e facesse qualcosa. E fu così. Quando ormai lei era molto vicina, lui si voltò, la prese tra le braccia e la baciò. Dal corridoio venivano le voci delle ragazze che si preparavano, ma sembrava che Y e V non sentissero nulla. V la prese in braccio, senza lasciarle le labbra e l’appoggiò sul tavolo. La scena continuò per qualche minuto, fino a che dei passi nel corridoio si avvicinarono alla porta e qualcuno bussò. 

Come svegliati improvvisamente da un bellissimo sogno, Y e V si separarono, Y scese dal tavolo e andò ad aprire la porta del camerino, mentre V riprendeva la borsa coi propri vestiti di scena e prese fuori il pezzo di sotto. Ad aver bussato non era I, come Y e V avevano sospettato preoccupati, bensì era K, la madre di Y.

-Hai bisogno di qualcosa?- chiese alla figlia -si comincia tra dieci minuti-

-Sì, mamma- rispose distratta Y-lo so. Non preoccuparti, puoi andare a controllare cosa fanno le bambine?-

-E tu cosa fai ancora svestita?- e poi K aggiunse, rivolgendosi verso V -cosa ci fa qui?-

Y sospirò, voltandosi anche lei verso l’uomo e ammiccandogli; K vide dal riflesso nello specchio.

-Mamma, fa il monaco, non ricordi?- Y sospirò nuovamente controllando spaventata lo sguardo della madre, cercando di comprenderne i sentimenti.

-Y,- disse K avvicinandosi all’orecchio della figlia -fa’ in modo che sia solo il monaco, perché I...-e poi col la destra indicò il corridoio.

Y diede uno sguardo fuori e vide I in piedi, con un cappellino da baseball e una giacca a vento, che la salutava. Lei sorrise, rientrò nel camerino e chiuse la porta.

-Cosa voleva?- chiese V, ignorando che I fosse così vicino

-Nulla, voleva solo sapere se avevo bisogno di qualcosa.E non credo di aver bisogno di niente- e con gli occhi che le brillavano, Y fece l’occhiolino a V. Lui finalmente si sentì felice, come non lo era da molto tempo, ormai.

-Dove eravamo rimasti?- e si riavvicinò a lei, cercando ancora le sue labbra; ma lei si allontanò ridendo, e disse:-Ehi, tra poco si va in scena, prepariamoci!- E lui sentì una gioia e una voglia di salire sul palco mai provate prima.

Così, scherzando e ridendo, si prepararono per andare in scena e lo spettacolo cominciò.

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Capitolo 4
*** E’ ora di salire sul palco ***


Il primo ad entrare in scena era proprio V, e subito dopo entrò Y. Come era bella quando ballava!
V non riusciva a staccare gli occhi da lei. Seguiva i suoi fianchi che ondeggiavano, lei che sorrideva e ballava: era veramente felice.
Verso la fine dello spettacolo ci fu nuovamente una scena in cui erano entrambi sul palco. V, dalla parte sinistra doveva camminare lentamente verso destra, e lei sarebbe dovuta entrare. Quando Y ricomparve sul palco, lui si fermò, e cominciò ad osservarla. Y stava trasmettendo nella sua danza tutte le sue emozioni. I suoi piedi esprimevano gioia. Le sue braccia esprimevano gioia, persino le ginocchia, le mani, tutto di lei esprimeva gioia agli occhi di V. Nulla era sbagliato, nulla era giusto.
Y era l’incarnazione della vita umana, tra gioia e tristezza, sentimenti vari, se qualcuno avesse dovuto rappresentare la vita avrebbe dovuto ritrarre Y. E V lo stava facendo: nella sua mente un invisibile pennello toccava la tavolozza dei colori e poi disegnava ciò che Y esprimeva.
Il pennello disegnava velocemente un paesaggio primaverile con il sole e la casetta di campagna. Poi ritraeva una famiglia felice, e a quel pensiero V sorrise. Aveva sempre sognato di metter su famiglia con Y, di sposarla, avere dei figli, magari comprare una casa e andar via da quell’appartamento in affitto.
Sognava di andare finalmente d’accordo anche con K, ma com’era possibile se tra lui e Y era finita?
V ripensò a quei dieci anni passati con lei, tra alti e bassi, ma comunque erano sempre stati insieme.
La scuola di danza di lei, i problemi sul lavoro di lui, quando comprarono Byron, il loro gatto. E poteva finire così, senza un motivo?
A V tornò in mente quella minaccia, o almeno lui l’aveva intesa così. V, io non posso. Riparliamone stasera. gli aveva detto Y, ma che cosa poteva significare?
Qualcosa di brutto?
Forse era malata.
V cominciò a preoccuparsi, ma sicuramente se fosse stata malata non avrebbe neanche preso parte allo spettacolo.
Quindi non poteva essere nulla di male. I muscoli del viso di V si rilassarono e fu il momento di uscire dal palco.




NdA: Ciaoo! Grazie per aver letto anche questo capitolo! :) E' corto corto, lo so, ma in realtà ho scritto tutta la storia per arrivare qui, alla riflessione di V, quindi mi sembra ASSOLUTAMENTE necessario postarlo! Un bacione e mi raccomando, RECENSITE! xxx Winniethepooh

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