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di LostinStereo3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** tre. ***
Capitolo 4: *** quattro. ***
Capitolo 5: *** cinque. ***
Capitolo 6: *** sei. ***
Capitolo 7: *** sette. ***
Capitolo 8: *** otto. ***
Capitolo 9: *** nove. ***
Capitolo 10: *** Dieci. ***
Capitolo 11: *** Undici. ***
Capitolo 12: *** Dodici ***
Capitolo 14: *** Tredici ***
Capitolo 14: *** Quattordici ***
Capitolo 15: *** quindici ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Camminavo piano, su quella strada solitaria, mossa da qualche forza soprannaturale che mi spingeva a camminare, a camminare e a camminare e ancora a camminare.
Non sapevo da quanto tempo camminavo, non mi importava, il tempo era solo un numero, uno scorrere di numeri in successione che si accavallavano, uno dietro l’altro, in una continua gara verso un misterioso traguardo.
Che senso aveva questo? Perché il mondo era così crudele?
Se era vero che Dio esisteva, perché aveva permesso tutto ciò?
Mio padre diceva sempre di aver fede, ma lui non c’era più e io la fede l’avevo persa.
Se era vero che Dio esisteva, perché aveva permesso a due ladri malfamati di uccidere mio padre? Perché non aveva fatto in modo che la vita di quei due bastardi fosse normale, di modo che non avrebbero avuto bisogno di fare una cazzo di rapina in banca?
E perché proprio la sua banca? E non quella di un altro? Perché proprio mio padre?
Perché proprio la mia vita doveva andare a puttane? Perché?


Era passato appena un mese, o già un mese, dipende dai punti di vista, ed era un mese che avevo smesso di vivere: non andavo più a scuola, non uscivo più con i soliti amici, non studiavo più, non leggevo più.
Semplicemente me ne stavo sdraiata sul pavimento della mia camera con la musica a tutto volume, così da attutire i miei pensieri.
E così i giorni si susseguivano, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo notte. Ma io non me ne accorgevo, stavo lì e basta.

Mi ricordo che quando tornavi la sera dal lavoro, passavi sempre in camera mia e, se mi trovavi stesa a terra con la musica alta, mi urlavi di abbassare, ma io non ti davo retta, presa dai miei stupidi problemi.
Solo adesso mi rendo conto che volevi passare del tempo con me, che ti avrebbe fatto piacere fermati a chiacchierare sulle nostre giornate, ti avrebbe fatto piacere se io ti avessi chiesto come stavi o semplicemente come era andata a lavoro. Ma io non lo facevo mai, non parlavo mai e non ascoltavo mai, troppo presa dai miei stupidi e irrilevanti problemi.


D’un tratto mi fermai.
Ero arrivata a un bivio.
Mi morsicai il piercing a lato della bocca.
Che fare? Che strada prendere?
Presi e rigirai, tornando sui miei passi, su quella strada dritta e infinita e all’improvviso pensai che l’indomani sarei tornata a scuola.
Mi bloccai a quel pensiero così repentino ed impulsivo che avevo avuto.
Non succedeva da tempo che la mia mente pensasse in quel modo.
Semplicemente lasciavo che i miei piedi mi portassero dove loro avevano deciso, senza badare al cervello. Quello era sempre spento o in standby, sia che stessi vagando per qualche via, sia che stessi stesa per terra in camera.

Ma ormai era deciso, sarei tornata a scuola.















Non so come mi sia venuta l'idea per questa storia, mi è venuta e basta, l'ho scritta. 
Non so perchè i Green Day c'entrano con la storia, ma appena finito il primo capitolo mi sono resa conto che stavo pensando a loro, quindi in qualche modo c'entreranno. 

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Capitolo 2
*** 2. ***



 

Aprii gli occhi, svegliata dalla sveglia che segnava le 7 e 30. Subito realizzai che sarei dovuta tornare a scuola, era giovedì.
Mi alzai per forza di inerzia, mi lavai e mi vestii, pescando a caso dall’armadio un paio di soliti jeans strappati e una felpa scolorita.
Pensai a te.
Tu amavi la mia diversità, a differenza della mamma che continua ancora a dirmi di vestirmi in un modo più dignitoso.
A me non frega niente dei vestiti, metto la prima cosa che capita e tu eri fiero di me, dicevi che sono altre le cose importanti. E io ero felice di sapere che almeno su alcune cose eravamo d’accordo.

Riempii la solita borsa a tracolla con qualche libro e me la poggiai su una spalla uscendo distrattamente da casa con l’iPod nelle orecchie.

Il tragitto da casa a scuola non era molto lungo.
Spesso mi accompagnavi tu a scuola, anche se io odiavo quando lo facevi, preferivo starmene per i fatti miei e arrivare a piedi. Solo adesso ho capito che era uno degli altri tuoi tentativi di entrare nella mia vita, di sapere della mia vita, di starmi accanto.

Il cortile era pieno di gente, nonostante fosse ancora presto per l’inizio delle lezioni.
Mi nascosi, sedendomi sugli scaloni dietro la palestra e mi accesi una sigaretta. Feci un tiro, e poi un altro.
Una volta mi trovasti un pacchetto di sigarette nella borsa, io vigliaccamente negai che fossero mie.
Tu mi dicesti che fumare faceva male, che ci eri passato e che non ne eri più uscito, io imperterrita continuai a dire che il pacchetto non era il mio, ma di un amico.
Mi cullai nella convinzione di essere stata furba, ma adesso so che tu sapevi; che voi sapevate; che la mamma sa.

Sentii suonare la campanella, buttai la cicca, mi alzai e andai dentro, verso la classe di storia.

Nel momento in cui misi piede nella classe, 23 occhi mi si puntarono addosso.
Occhi attenti, indagatori, sorpresi, diffidenti, superficiali, cattivi.
Me ne fregai di tutti loro e mi diressi, sotto lo sguardo di 23 persone, verso l’ultima persona che si aspettavano, verso il 24esimo paio di occhi, che a differenza di tutti, non aveva alzato gli occhi dal foglio sbiadito su cui scriveva una serie di parole all’apparenza senza senso.

“Posso sedermi?”

Che stupida, il banco non è di sua proprietà, perché gli ho chiesto se avrei potuto sedermi?
E senza aspettare risposta o cenno, mi sedei, buttando la tracolla logora per terra.
Mi accorsi che ancora tutti mi stavano fissando, ma non feci in tempo a parlare che il professor Felix entrò in classe, con il suo solito paio di occhialetti marroni e la sua giacchetta anni sessanta.

“Noto con piacere che la signorina Alexandra Thomas è di nuovo tra noi, complimenti cara, ci mancavi”
Era serio? Non so quale forza sovrannaturale mi abbia fermato dall’alzarmi e prenderlo a calci.
Feci un mezzo sorrisetto forzato e poi tornai a concentrarmi sulle mie scarpe.
Il mio compagno di banco ancora non alzava gli occhi dal suo foglietto raccattato.
Lo guardai di sottecchi, ma sembrava non rendersi conto di stare a scuola.
Lasciai perdere, tornando alle mie scarpe, mentre Felix iniziava la sua noiosa lezione sulla conquista del nostro amato continente, l’America.

Billie Joe Armstrong continuava a scrivere, sempre più preso dalle parole che si aggrovigliavano nella sua testa.





Ebbene sì, non sono morta. Ultimamente la scuola mi opprime, considerando che devo recuperare, quindi mi sto mettendo sotto a studiare.
L'avevo detto che questa sarebbe stata la storia dei Green Day ed eccoci qui, Billie Joe ha fatto il suo ingresso in campo..ora vedremo.
Mi sono presa molte libertà, ambientando la storia ai giorni d'oggi, parlando di loro giovani, ma mi andava così, chiedo venia.
Bene la smetto di stressarvi, prima o poi ci vedremo con il terzo capitolo, per adesso godetevi questo ;)

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Capitolo 3
*** tre. ***


Dopo due lunghissime ore di storia, lunghe più per il fatto che ero seduta vicino a Billie e perché la classe sembrava provare più interesse per me che per la lezione, mi catapultai fuori a fumare.
Ne avevo un disperato bisogno.
Mi nascosi al solito sugli scaloni dietro la palestra e mi fermai a fissare alcuni ragazzi che si facevano belli agli occhi di tutti infilando una palla in un cesto.
Non l’ avrei mai capita, la gente così.
Che senso ha tutta quella apparenza? I ragazzi palestrati e le ragazze in minigonna, davvero troppo corta anche per essere definita tale. Tutti belli e perfetti nei loro vestiti firmati.
Mi piombò addosso la realtà. Io non ero come tutti loro, io non ero una di loro, non lo ero mai stata. Ringraziai il cielo che fosse così.

Rientrai dentro, avevo letteratura inglese.
Pensai che forse sarebbe andata meglio questa volta, amavo quella materia.
Mi ricredei appena 5 minuti più tardi quando, entrando, trovai la stessa situazione della classe di storia, con l’unica differenza che c’era meno gente.
Mi guardai intorno e decisi, come prima, di sedermi vicino a lui.
Come prima, era indaffarato a scrivere su un fogliettino consunto e non fece caso a me per tutta l’ora. Mi chiesi come facesse ad essere così indifferente al mondo.
Non lo avevo mai veramente notato, nel senso che sapevo che lui c’era, ma non ci facevo caso. Passavo la mia giornata scolastica con i miei amici e non mi interessava di nessun altro, avevo una visione distorta e poco realistica della vita.
Avevo chiuso i rapporti con tutte le mie vecchie amicizie, erano amicizie false e inutili.
Ero sola e mi andava bene così.

A fine giornata mi resi conto che eravamo insieme praticamente in tutti i corsi.

Mi alzai dalla sedia nella classe di matematica nello stesso istante in cui la campana suonò, raccolsi la mia roba e la buttai nella tracolla che giaceva indisturbata sul pavimento.
Lui non sembrava essersi accorto della fine delle lezioni e continuava ad avere la testa china sul solito
foglio.

“Non vai a casa?” mi mozzicai la lingua appena mi resi conto che avessi parlato.
Che mi era saltato in mente?

Lui alzò la testa dal banco, accorgendosi per la prima volta della mia presenza.
Si voltò verso di me, mi puntò addosso i suoi occhi e mi uccise con uno sguardo.
Restai colpita e impressionata dalla potenza dei suoi occhi così profondi e verdi.
Quasi impaurita non dissi niente e me ne andai da quella merda di scuola, maledicendo me stessa.

Camminai con le cuffie alle orecchie e il capo chino fino a casa, dove mi buttai sul letto sfinita.















No, non sono morta. Sono partita per Monaco (città bellissima, voglio viverci) e quando sono tornata non ho avuto un momento libero tra la scuola, la mia vita e la mia pigrizia. Ma eccomi qui, pronta a tormentarvi di nuovo con questa storia.
5 persone seguono la mia storia? *-* vi amo.

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Capitolo 4
*** quattro. ***



Mi affacciai alla finestra della mia camera, che dava sul giardino davanti alla nostra casa.

Lo osservai. Era incolto.
Di solito eri tu ad occuparti del giardino.
Il sabato mattina ti alzavi di buon ora e dopo aver fatto la spesa, entravi in garage, indossavi gli abiti da lavoro (che ti rendevano dannatamente sexy agli occhi della mamma) e uscivi in giardino con il tagliaerba.
Passavi tutta la mattinata fuori per poi rientrate prima di pranzo e cucinare per noi.
Spesso ti guardavo dalla mia finestra.
Ti riempivi di graffi lungo tutte le braccia e a volte anche sul viso.

Lo osservai di nuovo.
La mamma lo aveva voluto lasciare così, non aveva accennato a chiamare un giardiniere o chiedere a me di darle una mano a sistemarlo.

Mi scossi dai miei pensieri e mi spicciai a riempire la tracolla e ad uscire da casa o altrimenti avrei fatto tardi per la scuola.

Camminavo con la musica nelle orecchie quando mi sentii bussare su una spalla.
Mi voltai lentamente togliendomi una cuffietta.
“Ciao” mi salutò allegra Jane.
“Ciao” risposi incerta. Che voleva? Era un mese che non mi rivolgeva la parola, né lei, né tutti gli altri amiconi si erano fatti sentire e adesso rispuntava dal nulla?
“Che vuoi?” domandai brusca proprio mentre lei apriva bocca per dire non so quale cavolata.
Mi guardò stranita, ma subito si riprese aprendosi in un largo sorriso finto.
“Ti ho vista andare verso scuola e quindi ho pensato di salutarti e proseguire insieme. Mi chiedevo come stessi.”
La guardai allibita.
“Sto una meraviglia e sono in grado di arrivare a scuola con i miei piedi, grazie.”
Presi e me ne andai, lasciandola lì come una mezza deficiente.

Mi fermai a fumare al solito posto prima di entrare in classe.
Snobbai bellamente Jane e con passo deciso mi avviai verso il banco di Billie Joe, l’ultimo verso la finestra, che già era impegnato con il suo solito foglio.
Mi sedetti non facendo caso a lui, non avrei commesso lo stesso errore del giorno prima.

“Che fai? Non saluti? Sei maleducata.”

Mi bloccai con lo sguardo fisso sul banco, spaesata.
Poi mi voltai verso di lui.
I suoi occhi furono, come il giorno prima, un attentato.

“Ah..ciao” biascicai.
Ero così sorpresa di questa sua reazione, com’era possibile che ieri fosse stato così scontroso e oggi invece sembrasse essere l’esatto contrario?
Lui ricambiò il mio saluto con un sorrisetto sarcastico, poi continuò a fare quello in cui era impegnato prima che arrivassi.
Mi soffermai un attimo a guardarlo.
Aveva i capelli pessimamente tinti di un blu strano, tendente al celeste, un piercing ad anellino al naso e due buchi all’orecchio destro.
Si girò improvvisamente, sorprendendomi a fissarlo.

“Cosa guardi?” chiese, con voce atona.

“Mi chiedevo perché oggi mi rivolgessi la parola.”

Lui affilò lo sguardo “Mi andava semplicemente così.”

Feci spallucce e mi voltai, fingendo di interessarmi alla lezione.







Dopo quasi un mese dall'ultimo capitolo, eccomi di nuovo qui. 
Mi era venuta una malsana paura della pagina completamente bianca della pagina di word.
Ho messo su Warning prima e adesso 21st Century Breakdown e la mano ha preso a scrivere.
Sarete felici di sapere che adesso quei 3 demoni (?) stanno suonando Christian's Inferno.
Manca un mese alla fine della scuola, sono nella merda.
Passo e chiudo.

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Capitolo 5
*** cinque. ***



Lontano, ti sento così lontano e allo stesso tempo così vicino e presente.


Uscii sotto la pioggia insistente che stava bagnando tutto intorno.
Odiavo la pioggia, contribuiva a rendere questo mondo ancora di più una merda.
Per questo decisi di uscire comunque, con l’iPod nelle orecchie che era diventato il mio compagno di vita e il cappuccio della felpa tirato bene sulla testa, nonostante qualche ciuffo di capelli neri volasse via.

Camminai a lungo, con le mani affondate nelle tasche dei jeans sdruciti e la pioggia che continuava a battere insistente contro il mio corpo che, ormai completamente bagnato, vagava alla ricerca di qualcosa di non realmente definito.

Trovai un parchetto con una tettoia e decisi di stendermi lì, almeno avrei potuto fumare in pace senza che la sigaretta si bagnasse.

Con mano tremante me l’accesi e feci un abbondante tiro che mi riempi i polmoni.
Decisamente una sensazione piacevole.

Osservai il posto anche abbastanza isolato che avevo scelto per la mia fumata.
Con il sole e parecchio tempo fa sicuramente era stato un bel posto, c’erano altalene e due scivoli e altri giochi per bambini spensierati.
Adesso di quella felicità restava ben poco: le altalene erano staccate e penzolanti; gli scivoli coperti di scritte a tratti romantiche a tratti parecchio volgari; la ruota scolorita emetteva un sinistro suono mossa dal vento.

In quel clima parecchio grottesco decisi di accendermi un’altra sigaretta.


“Che cazzo ci fai tu qui?”

Sussultai parecchio impaurita da quella voce improvvisa che indubbiamente ce l’aveva con me, prima di girarmi e notare Billie Joe che con sguardo penetrante si avvicinava.

“Mi andava di starci, è un parco pubblico, mica è vietato stare qua.”

Ignorandomi bellamente chiese “che stai facendo?”

Con un cenno gli indicai la mia mano dove c’era la sigaretta che da poco avevo acceso.
Il suo sguardo indugiò un attimo sulla mia mano, poi sul mio volto, poi guardò lontano e rapidamente si sedette vicino a me. Con un gesto secco mi portai la sigaretta alle labbra e tirai.

“Vengo spesso qui.” Billie mi guardò e notai che nei suoi occhi c’era insicurezza.
Probabilmente non sapeva e non aveva ancora capito che tipo di persona ero e se si sarebbe potuto fidare. Ma parve convincersi e infatti proseguì.

“Vengo spesso perché mi piace, è un posto magico.”
Stavo per interromperlo dicendogli che io di magico non ci vedevo proprio niente, era un parco abbandonato e distrutto, ma lasciai stare e lui proseguì.

“Può sembrare strano, ma siamo stati proprio io e miei amici a ridurlo così, o almeno in parte.”
Indugiò ancora.

Da bambino ci venivo con mio padre” mi guardò “anche mio padre è morto, ben 7 anni fa.”

Non capii perché mi dicesse quelle cose, ma forse voleva solo farmi capire che lui sapeva come ci si sentiva.

E all’improvviso provai qualcosa di strano dentro me, un sentimento che mi legava strettamente ad Armstrong, come non lo ero mai stata con nessuno.

I nostri sguardi si incontrarono per un attimo e insieme ci accendemmo l'ennesima Marlboro Light.













Vi stupisco sempre, lo so. Sono passate due settimane e eccomi a postare di nuovo. Stavolta mi sono auto-stupita (?)

L'unica cosa che vi dico è di non pensare subito, immediatamente, automaticamente a Billie e Alex come ad una coppia, hanno solo incontrato qualcuno che capisce cosa si provi a perdere un padre.
Anyway, non sperate che pubblichi di nuovo così presto come è successo questa volta. La scuola sta per finire e se non voglio essere bocciata, o almeno se voglio passare con meno debiti possibili, devo mettermi sotto queste ultime due settimane.
Vi amo, anche se non sempre recensite, cattivelli 

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Capitolo 6
*** sei. ***



Mia madre tempo fa mi chiese perché non volessi mai andare in vacanza con loro in estate.
Io le rispondevo con sguardo furbo che volevo che passassero del tempo da soli, lei e mio padre. Come se non capissero che mi scartavetravo i coglioni in vacanza con loro.
Quell’ anno avevano deciso di andare in ‘non so quale’ località di mare perché, e cito mio padre “Ci vogliamo rilassare e goderci gli unici giorni di riposo in tutto l’anno”.
“Contenti voi” avevo risposto, con un’alzata di spalle.

E invece nel giro di 2 secondi tutte le nostre certezze se n’erano andate a quel paese.
Neanche la settimana di vacanze estive, la stessa da sempre, era più una certezza.

L’estate si avvicinava, ormai era aprile e, sebbene il nostro giardino fosse incolto ormai da mesi, si vedevano i segni della primavera anche lì.
Ma non in casa nostra. Quella era inquietantemente uguale.

Un sabato mattina me ne stavo tranquillamente gironzolando per casa, aprendo il frigorifero regolarmente ogni due minuti e richiudendolo regolarmente 3 secondi dopo sconsolata, quando sentii bussare alla porta.
Me la presi comoda per andare ad aprire, pensando fosse mia madre che mi ricordavo essere uscita qualche ora prima diretta non so dove. Arrivata alla porta la spalancai e incurante mi incamminai verso la cucina per un’altra sbirciata al frigorifero.

“Sei maleducata. Non mi inviti ad entrare?”

Una voce profonda e graffiante parlò. Quella non era mia madre.

Mi girai e un paio di occhi verdi infiammati mi colpirono l’anima.

“Che ci fai tu qui?” chiesi sorpresa.

Entrò senza aspettare che glielo dicessi e si chiuse la porta alle spalle.

“A scuola erano preoccupati che sparissi di nuovo. Perché ieri non sei venuta?”

“Come se te ne importasse qualcosa, di me e della scuola” ribattei, scettica.

“Hai ragione, ma mi hanno chiesto tue notizie.”

“E che hai detto tu?”

“Che avevi la diarrea” scoppiò a ridere, tanto che gli occhi cominciarono a lacrimargli.

“Ma sei idiota o cosa? Una balla migliore non te la potevi inventare? Ho la cacarella, che grande cazzata.”

Riemerse a fatica dal conato di risate.

“È la prima cosa che mi è venuta in mente, scusa” altre risate.

“Sì certo, come no.”


Salii le scale fregandomene di Billie Joe nel mio ingresso e me ne andai in camera mia.
Mi buttai di peso sul letto con tutte le scarpe e con grande disappunto notai che lui mi aveva seguita e adesso se ne stava impalato sulla porta a fissare l’enorme caos in cui doveva apparire la mia camera.


“Si può sapere che cazzo vuoi?”

“Siamo nervosette stamattina”

Lo ignorai.

“Insomma?”

Mosse qualche passo e cominciò a studiare la mia lunga fila di cd sulla libreria.
“Devo dire che ti avevo sottovalutato, hai dei buoni gusti musicali.”

“La smetti di ignorarmi?”

Mi guardò improvvisamente con interesse prima di tornare a studiare la mia collezione.

“Guarda che neanche tu hai risposto alla mia domanda” precisò lui.

“E quale domanda scusa?”

“Ti ho chiesto perché ieri non sei venuta a scuola. Hanno tutti sentito la tua mancanza, soprattutto Jane, lei era veramente preoccupata.”

“Sì certo, non ci credo neanche se lo vedo. Non mi si è inculata per mesi e adesso vuole farsi i cazzi miei. Comunque non sono venuta ieri perché non avevo voglia, ti basta come risposta?”

“Mi è più che sufficiente” rispose.

Lo osservai. Era non troppo più alto di me, con quei vestiti trasandati e la tinta blu/celeste fatta male. Dava l’idea di uno che aveva vissuto così tante disgrazie in appena 17 anni di vita, sembrava che non gli fregasse un cazzo di tutto quello che lo circondava e arrivai alla conclusione che era proprio così.
 
“Perché sei qui?” chiesi.

“Te l’ho detto, per vedere che fine avevi fatto”

“E perché tutto quest’interesse? A scuola non mi degni mai di uno sguardo. Abbiamo praticamente tutti i corsi insieme e io mi siedo ormai sempre vicino a te, ma tu non dai segni di vita, non ti frega niente di me e poi ti presenti a casa mia di sabato mattina per sapere perché il giorno prima non sono venuta. Sei strano, sei lunatico” conclusi.

“Se ti da’ così fastidio che sia venuto allora me ne vado.”

Ecco aveva cambiato umore di nuovo.

“Non ho detto questo. Mi chiedevo solo il perché.”

“L’ho fatto, non ti basta questo?”
Si era stranito, questo era chiaro, così decisi di lasciar perdere.

Mi accomodai meglio sul letto e iniziai a sonnecchiare lasciandolo sbirciare liberamente nella mia camera.

“È strana la tua camera.”

“Perché scusa?” cosa aveva di strano proprio non lo sapevo.

“A parte il fatto che sia rossa, il che è già abbastanza inquietante, poi boh, è strana. Non ci sono foto né poster o cose di altro genere, tipiche di qualsiasi adolescente, solo tanti cd e libri” rispose lui alternando lo sguardo da me alla camera, dalla camera a me.
Era sveglio il ragazzo, aveva colto proprio nel segno, al primo tentativo poi.

“Primo. Io amo questo rosso e il fatto che la mia camera sia rossa.
Secondo. La musica e i libri sono la mia vita.
Terzo..” presi fiato “Prima avevo moltissime foto attaccate in giro, di ogni tipo, poi ho tolto tutto. Mi opprimevano.”

Billie mi guardò fissa, con un’intensità sconvolgente. Sembrava che mi stesse scavando dentro.
Poi con molta tranquillità e naturalezza prese la macchina fotografica che mi aveva regalato mio padre l’anno prima,buttata alla bell’ e meglio sulla scrivania, si avvicinò, si sedette sul letto, puntò uno di quei pozzi smeraldo nell’obiettivo e mi scattò una foto.







Ebbene sì, non sono morta. Sto resistendo all'estate e al caldo asfissiante. Tralasciando il fatto che qui fa un freddo boia.
Mi ero ripromessa di postare più spesso adesso che la scuola fosse finita, ma è una settimana che sono ferma su questo capitolo e fa pure abbastanza/TANTO schifo.
Però è lungo, tanto lungo.

Perchè tanta gente legge la storia, ma nessuno recensisce? Io voglio sapere che ne pensate.

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Capitolo 7
*** sette. ***



Di colpo mi svegliai, mi guardai intorno non ricordando di preciso dov’ero. Feci un rapido rewind e tutto tornò al suo posto.
Ci eravamo sdraiati tranquillamente sul letto e silenziosamente eravamo caduti in un sonno leggero e piacevole.
Mi accorsi di essere abbracciata a lui; il suo braccio dietro la mia testa a cingermi la spalla ed il mio sulla sua pancia.
Non ricordavo di essermi stretta a lui e inconsciamente mi apparve un sorriso sulla faccia ancora assonnata.
Sbadigliai e mi voltai a guardarlo mentre apriva gli occhi, ormai sveglio anche lui.
Mi sorrise, ma appena si rese conto della situazione sembrò stupito quasi quanto me.

“È la prima volta che mi sveglio in un letto con una ragazza ancora vestito.”

“Non so se esserne lusingata o schifata, sinceramente.” Risposi, senza troppi peli sulla lingua.

Lui rise facendo vibrare tutta la cassa toracica.

Mi stiracchiai un po’ e poi mi sistemai meglio sul letto. Ripensandoci, avevo fame.

“Ho fame, scendo in cucina a prendere qualcosa, vieni?”

“Tu mangi più di me.”

Gli diedi un buffetto e scesi di corsa le scale catapultandomi in cucina, avevo veramente fame.
Tre secondi dopo ecco arrivare anche Billie, che si buttò con la delicatezza di un elefante su una sedia.
Sul frigorifero c’era un biglietto.

Stavate dormendo perciò non vi ho svegliato per pranzo, ma vi ho lasciato qualcosa. Io torno a lavoro,
Mamma.


Aprii il fornetto e infatti trovai un timballo di pasta, che misi a scaldare e 5 minuti dopo già ce lo stavamo divorando come se non avessimo mai mangiato.

“Fortuna che io ero quella che mangiava tanto, tu c’hai messo tre minuti a finire un piattone enorme.”

“Dormire mi mette fame.” Si giustificò lui.

Alzai gli occhi al cielo.

“Ho voglia di fumare.”

“E allora fumiamo.”

“Sì però fuori.”

Lo presi per mano per indicargli la strada verso il piccolo giardino incolto sul retro, dove spesso avevo passato i pomeriggi più belli quando ero ancora piccola a giocare con mio padre che mi rincorreva e mi faceva il solletico.
Ci sedemmo sul bordo delle scale e iniziammo a tirare assaporando lentamente il gusto soddisfacente della sigaretta.

“Sai,” gli dissi “a volte il mondo fa proprio schifo, anzi sempre, in genere fa veramente tanto schifo, ma ogni tanto incontri qualcuno che rende tutto questo meno una merda.”
Ci guardammo e mi parve di vedere un luccichio nei suoi occhi, così verdi, così arroganti, così menefreghisti, così persi, così veri.

Ancora una volta ci ritrovammo abbracciati, la mia testa sotto la sua, il suo braccio intorno alle mie spalle, la mia mano a stringere la sua, ognuno perso nel suo mondo.


“Billie?”
“Mmh?”
“Mi manca. Ogni giorno. Sempre di più.”
“Lo so Alex, lo so.”







Toh, è un mese che non scrivo ed ecco qua quello che è uscito. Boh. No, cioè in realtà forse mi pure piace. Billie mi sembra dolce qui, ogni tanto pure lui, come me, ha dei momenti di dolciosità lol
Sono le due di notte, sono a casa da sola perchè i miei sono partiti e mi scoppia la testa #partyhard
Perciò vi mollo, peace. Notte.

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Capitolo 8
*** otto. ***




Il weekend era passato e si prospettava un’altra settimana lunga e monotona, uguale a quella precedente, che era stata uguale a quella prima ancora.

Quel lunedì però mi alzai quasi di buon’umore e ancora insonnolita scelsi a caso, come sempre, qualcosa da mettermi e scesi strascicando i piedi, giù in cucina dove la mamma mi aveva lasciato due pancake e un bicchiere di succo di frutta. Bevvi velocemente e addentai un pancake e poi uscii di corsa da casa restando fedele al mio iPod.

Dopo la solita sigaretta dietro la palestra, entrai in classe quasi speranzosa dirigendomi verso il solito banco in fondo di cui io e Billie ormai eravamo i proprietari.
Aspettai un po’ di tempo, di solito era sempre in ritardo.
In realtà veniva a scuola in orario ma poi passava quasi tutta la prima ora in cortile con i suoi amici, quindi non mi preoccupai.
Al suono della campanella sussultai, non avevo seguito una parola della fottutissima lezione di matematica, così mi alzai lentamente raccogliendo la mia tracolla da per terra e buttandomela a caso su una spalla, uscii dalla classe.
Una cosa era chiara, Billie aveva fatto sega, di nuovo.

Tornata a casa, mi trovai un fogliettino consunto sul letto.
Lo riconobbi subito, solo lui sapeva ridurre in quello stato un pezzo di carta. Mi avvicinai per leggerlo.

Stasera suono. Ti passa a prendere Mike alle 8.30
Billie Joe



Fermi tutti. Chi cazzo era Mike? E perché Billie aveva dato per scontato che ci sarei voluta andare? Uomo di molte parole, poi.
E un’altra cosa, suonava? Non lo sapevo, cioè non me lo aveva mai detto.
Certo non è che parlavamo poi così tanto, ci sedevamo solo vicini a scuola, e due o tre volte ci eravamo incontrati fuori, ma quasi sempre per caso.

Ero decisa a non dargliela vinta, così ciondolai per casa tutto il pomeriggio, non trovando pace nemmeno per un attimo.

Alzai gli occhi verso la sveglia posata sul comodino: le 8.30 e infatti dopo due minuti sentii suonare alla porta.
Proprio quando che mi ero convinta a cominciare un nuovo libro mi rompevano i coglioni.
Scesi le scale fino al salotto con meno voglia di quella che ci mettevo tutte le mattine per andare a scuola e con la delicatezza e il passo di un elefante andai ad aprire.
Mi trovai davanti uno spilungone allampanato dai capelli più gialli di un canarino.

“Chi cazzo sei tu?” domanda scontata.

“Muoviti dai, che tra poco suoniamo.”
Bene, aveva ignorato bellamente la mia domanda e si era voltato percorrendo a ritroso il vialetto del mio giardino incolto fino a raggiungere la sua macchina, anche se non ero sicura che una cosa..così, si potesse definire macchina.
Ovviamente dedussi che quello fosse Mike.

“Ma io non ci voglio venire” gli urlai contro dall’ingresso.

Lo sentii borbottare qualcosa prima che si voltasse verso di me e mi urlasse a sua volta.

“Billie mi ha detto che se avessi opposto resistenza, ti avrei dovuto prendere anche con la forza, e non ci vuole chissà che forza sovraumana a caricarti, quindi muoviti se non vuoi essere alzata di peso.”

“Vi odio” gli urlai di rimando.

Corsi a recuperare la vecchia fidata tracolla e uscii di casa raggiungendo Mike su quel trabiccolo senza neanche aver guardato la mia stupida faccia allo specchio.
 
“Tu quindi suoni con Billie? Cioè voi suonate?” chiesi, un po’ confusa e un po’ imbarazzata.

“Certo che suoniamo, non lo sapevi? Io e Billie ci conosciamo praticamente da sempre.”

Mike sembrava un tipo apposto, un po’ tormentato, ma era tranquillo. Non parlava molto, se non era per me non avremmo mai intrapreso una conversazione.

“No, non lo sapevo, Billie non me ne aveva mai parlato. E siete solo voi due?”

“Scherzi? Con noi c’è anche Trè.”

Lo guardai aspettando che continuasse, ma mi resi conto che non aveva assolutamente intenzione di andare avanti, perciò lasciai cadere il discorso così e mi accesi una sigaretta. Strano tipo ‘sto Mike.

“Siamo arrivati” annunciò il biondo.

Scendemmo dalla macchina insieme e ci avviammo verso il locale che era già abbastanza popolato. Dopo due minuti Mike sparì e mi trovai da sola in mezzo a una folla sconosciuta e già mezza ubriaca alle 9 di sera.

All’orizzonte una serata devastante. Mi presi una birra tanto per fare qualcosa nell’attesa che “la cosa” cominciasse.











Ebbene sì, nonostante tutte le forze a me contrarie sono ancora viva e cosa più raccapricciante, ho anche scritto e postato.
Il capitolo fa schifo, mi sembra diverso dai precedenti e non mi convince, ma l'ho scritto e basta, l'ho pure postato. Se fa schifo amen.
Comunque io e la costanza non andiamo per niente d'accordo, quindi boh, non so quando posterò di nuovo.
Salut a tutti e buone vacanze, e grazie a tutti quelli che recensiscono :3
(Che poi non sono sicura che "salut a tutti" abbia un senso, ma va beh.)

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Capitolo 9
*** nove. ***



Che cazzo era tutto quel macello? Possibile che Billie e sti altri due piacessero così tanto?
A quanto pare sì.
Certo il locale non era grandissimo, ma era pieno e la folla sembrava impazzita. Un ammasso di gente strana e ubriaca che pogava come non avevo mai visto fare.

Rimasi sorpresa, non pensavo che fossero così bravi, e mi dovetti ricredere sul loro conto, li avevo decisamente sottovalutati.

Tra una canzone e l’altra, tra un pogo e l’altro, tra una sigaretta e l’altra, tra una birra e l’altra, Billie e compagnia bella scesero dal palco su di giri come un bambino davanti a un albero di Natale pieno di regali.
 
“Alex” mi sentii urlare in un orecchio.

Mi girai verso la fonte che mi aveva perforato un timpano, infastidita e sarcastica.

“Billie” urlai di rimando.

“Che cazzo ti urli? Sei pazza?”

Ma era scemo o cosa? “Sei tu che hai urlato, io mi adeguavo alla tua tonalità”

“Si vabbè lasciamo perdere. Allora come ti siamo sembrati?” urlò, di nuovo, tutto entusiasta, sedendosi vicino a me e prendendo due birre e porgendomene una.

“Perché non mi avevi detto che suonavi e che avevi un gruppo?” urlai ancora io, per infastidirlo, come lui stava facendo con me senza rendersene conto.

“Perché continui ad urlare? La vuoi smettere?”

“Ma allora sei proprio scemo, o è l’alcool? Sei tu che urli come un indemoniato.”

“Ma non è vero.”

“Vogliamo far nascere una discussione su questo? Piuttosto usciamo da qui che sto diventando claustrofobica”

“Aspetta, vado a cercare Mike e Trè così li avviso che sto uscendo e non mi cercano. Ma aspetta, vieni con me che te li faccio conoscere.”

Quindi senza aspettare un mio segno di assenso, mi prese la mano libera dalla birra e ci facemmo spazio tra la gente, cercando lo spilungone giallo canarino e l’amico senza volto.

“Eccoli lì” urlò, di nuovo, Billie.

“Ragazzi” li chiamò.

“Fottuto nano dove eri finito?” chiese il batterista senza volto, che adesso aveva un volto.

“Sta zitto monopalla” si volevano bene eh.

“Ragazzi, vi presento Alex. Alex, questi sono Mike e Trè.”

“Ciao testa a lampadina, a saperlo che eravate bravi non ti facevo arrabbiare per portarmi qui.”

“La prossima volta sognatelo che ti vengo a prendere, panda.”

“Ma voi già vi..ah, si, ok niente.” Billie Joe il confuso.

“Povero Billie, ha problemi di memoria” lo presi in giro.

Lui mi lanciò un’occhiataccia e poi riferendosi agli altri due disse “noi ci facciamo un giro, cià.”
 
Finalmente fuori da quel locale soffocante, mi lanciai su un muretto poco distante dall’entrata e mi accesi una sigaretta, seguita a ruota da Billie.

“Non volevi venire stasera?” chiese.

“In realtà non mi andava di uscire, no. Però bella trovata quella del bigliettino sul letto davvero, anche se non so come hai fatto ad arrivarci al mio letto.”

“Beh se non volevi venire non venivi, sti cazzi, cioè se non ti andava era meglio che stavi a casa.”

Ecco lo sapevo, gli si era già girata l’elica. E anche a me a dire il vero. Sti cazzi..

“Se non te ne fregava niente che venissi, perché hai fatto tutto questo? Io ancora non sono riuscita a capirti Billie, veramente. Dici una cosa, ma da come ti comporti ne fai trasparire un’altra, ma il giorno dopo è tutto il contrario. Non mi va di star a combattere anche con le tue di stranezze, ce ne ho abbastanza già per i cazzi miei senza che ti ci metti anche tu, quindi se la vuoi smettere di fare l’idiota bene, altrimenti io me ne vado e ci rivediamo a scuola se ci vieni, o se ci vado io.”

Gli avevo scaricato addosso tutto, ma seriamente non ce la facevo più con i suoi improvvisi cambiamenti di umore.
Me ne pentii un momento dopo aver vomitato tutto, ma ormai era fatta, così scesi velocemente dal muretto e mi avviai accendendomi l’ennesima sigaretta, verso casa.
Avrei camminato un po’, ma con tutto il nervosismo che avevo addosso mi avrebbe fatto bene fare due passi.
 




Ed eccomi, appena scattato il 5 settembre, a postare di nuovo. Un capitolo abbastanza lungo direi.
Io che per tutta l'estate non faccio una ceppa e non posto mai, mi ritrovo a scrivere e postare proprio adesso che sono presa dalla montagna di esami di ammissione al liceo artistico.
Anyway, spero che vi piaccia, a me non convince, ovviamente. Aspetto con ansia il vostro parere, alla prossima.

P.S. Sapete qualcosa su Billie Joe? Pare che Adrianne abbia postato una foto su instagram di Billie con una flebo.
Qualcuno di voi era all'I-Day? Io purtroppo no, anche se vista come si è svolta la serata dico "per fortuna" adesso, ci sarei rimasta troppo di merda. Anche se amo gli All Time Low e mi piacciono anche gli AVA e i Social Distortion, quindi alla fine non sarebbe stata proprio una grandissima delusione.
Bah, sto scrivendo una cifra e devo andare che domani ho la sveglia alle 6 e 40, spero solo che Billie stia bene, cià.

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Capitolo 10
*** Dieci. ***



L’indomani svegliarsi fu veramente un trauma. La sveglia cantò puntuale e repentinamente la spensi, combattuta tra la scelta di andare a scuola o restare a dormire.
Alla fine la mia parte razionale optò per la seconda e quindi svogliatamente uscii da sotto le coperte.

Scivolai piano in camera di mia madre, ma mi sorpresi di trovarla già vuota e sistemata. In realtà non ci diedi peso più di tanto.
Andai dritta al tuo armadio e lo aprii. Subito il tuo profumo mi invase e ne fui felice, era proprio quello che cercavo.
Presi uno dei tuoi maglioni che tanto amavo e tornai in camera mia per finire di vestirmi.
Jeans a caso, come al solito, ma il tuo maglione mi dava una sicurezza in più.
Mi ricordava quando ero bambina e avevo freddo, allora tu mi prendevi in braccio e mi facevi entrare insieme a te nel maglione e insieme ci scaldavamo, poi a poco a poco io mi addormentavo e tu mi portavi a letto.
Istintivamente sorrisi ripensando a te e a quei momenti. L’unica cosa di cui ero sicura, era che mi mancavi ogni giorno sempre di più.

Arrivai a scuola in ritardo, praticamente stavo per saltare quasi tutta la prima ora. Mi affrettai per entrare, ma poi ci ripensai e andai al solito posto dietro la palestra e mi accesi una sigaretta.
Per una volta che saltavo un’ora non sarebbe successo niente.

Fumavo tranquilla quando sentii arrivarmi alle spalle qualcuno, così mi girai di scatto.

“Ah, sei tu” esclamai.

“Cosa? Sei delusa? Ti aspettavi il principe azzurro?” il solito Billie Joe.

“Soltanto sorpresa, tutto qua.”

Si sedette accanto a me sugli scaloni e si accese a sua volta una sigaretta. Nessuno dei due parlava, e il silenzio si stava facendo parecchio pesante, perché entrambi volevamo dirci così tante cose che alla fine stavamo zitti.

“Siete stati davvero bravi ieri sera” esordii.

“Grazie” rispose secco lui.

Alzai gli occhi al cielo, stava ergendo un muro e non mi stava bene.

“La gente vi ama proprio, e tutti e tre insieme siete energia pura.”

Sorrise involontariamente, ma tornò serio immediatamente dopo.

“Siamo amici da sempre” mi rispose molto semplicemente.

Presi un bel respiro.

“Senti ce la fai a parlarmi? Perché così fa schifo. Se non vuoi stare con me che sei venuto a fare? Stavo benissimo qui da sola. Stai qui, parlami cazzo.”

Mi puntò il suo sguardo addosso.

“Sono incazzato okay? Ieri sera te ne sei andata così e sembrava che non ci saresti mai voluta venire lì. Che dovrei fare? Sono fatto così, cambio umore spesso. E se non va bene allora non lo so, torniamo estranei.”

Ecco lo sapevo, adesso era lui l’incazzato.

“Ma che cazzo dici? Cristo sei l’unica persona che mi ha capito e mi capisce, che mi è stata vicino, come potrei tornare indietro così su due piedi? Io lo so come sei fatto, ma tu anche sai come sono fatta io. Lasciamoci alle spalle ieri, forse è meglio. La prossima volta che suonate vengo.”
Era seriamente vero tutto quello che avevo detto, lo sentivo e glielo dissi, così che anche lui potesse saperlo.

“Non mi va di entrare, saltiamo scuola oggi. Vieni con me, ti voglio far vedere un posto.”

Saltò in piedi afferrando la sua roba e passandosi una mano nei capelli celesti stinti, improvvisamente molto allegro.

“Sei proprio lunatico” lo presi in giro io, alzandomi a mia volta. Di sicuro non avevo problemi a saltare scuola. Non me ne fregava proprio niente.

“Stai un po’ zitta e seguimi.”

“Ma dove andiamo?”
“Alex ti ho detto di stare zitta e seguirmi, e stai attenta che se ci beccano finiamo in punizione e non mi va proprio di passare altro tempo qui dentro.”

“Billie, e finiscila di lamentarti e sta un po’ zitto tu.”

Eravamo finalmente fuori da scuola.

“Avrei proprio voglia di una birra.”

“Alex, sono le 10 di mattina, neanche io bevo così presto.”

“Io ho voglia di una birra, non mi frega di che ero sono Billie.”

Alzò gli occhi al cielo ridendo “vada per la birra allora.”










Quant'era che non scrivevo? Veramente tanto. Non so, sto parecchio incasinata.
Tengo particolarmente a questo capitolo per vari motivi, quindi, boh, trattatemelo bene :3
Ma avete sentito UNO? A me piace tanto.
Alla fine spero sempre di aggiornare il più presto possibile, ma come ben sapete le mie speranze sono vane.
Love you all.

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Capitolo 11
*** Undici. ***



Stavamo vagando per la città come vagabondi, all’apparenza senza una meta, con le birre in mano e gli sguardi complici di chi ha bigiato.

“Si può sapere dove andiamo?” chiesi a Billie.

“E fidati su” rispose lui con aria allegra.

E fidiamoci su, ogni tanto si può anche fare, mi dissi.
Eravamo arrivati in una parte della città che non conoscevo troppo bene, si vedeva il mare e la cosa mi piaceva. Amavo il mare d’inverno.
D’estate invece lo odiavo, troppo affollato, e finiva per perdere tutta la sua aurea poetica.
Anche tu detestavi il mare, mi ricordo che quando ancora andavamo insieme in spiaggia, tu restavi le ore sotto l’ombrellone a leggere il giornale, ti levavi solo la maglietta e per tutta l’estate ti restava il segno della collanina che non toglievi mai. Chissà chi te l’aveva regalata, te l’ho sempre voluto chiedere. Forse la mamma, un giorno le chiederò di raccontarmelo.

“Andiamo al mare?” chiesi ancora a Billie.

“Alex, ti pare che ti porto al mare? Troppo scontato. No, ti voglio far vedere un posto che è ancora più bello del mare” mi rispose sognante.

“Se lo dici tu..” ero alquanto scettica, il mare d’inverno era difficile da superare.

Camminammo ancora per una diecina di minuti, quando Billie si fermò e annunciò che eravamo arrivati.

“Questo è il mio angolo di paradiso” mi disse.

Mi guardai intorno.
Era un grosso parcheggio coperto e abbandonato, c’erano alcuni divani buttati alla bell’ e meglio, alcune sedie e delle coperte. Scritte, graffiti e poster sui muri dominavano la scena. Sembrava quasi un rifugio per senzatetto, ma mi stupii che fosse comunque abbastanza pulito.
Aveva un non so che di intimo, di casa, di posto sicuro. Decisamente mi piaceva.
Mi girai verso Billie, ma mi trovai davanti uno spettacolo mozzafiato.
C’era il mare.
Quasi non svenni alla sua vista, era bellissimo.
L’entrata del parcheggio era ovviamente enorme, e, superata la stradina per arrivare, cresceva una fitta vegetazione tipica della costa, poi si apriva una grossa distesa di spiaggia e infine l’oceano, immenso e azzurro, profondo e scuro, ghiacciato e sicuro.

“Sono..sono, sono senza parole” balbettai “avevi decisamente ragione, è più bello del semplice mare.”

“Qui ci vengo spesso, quando non voglio stare a casa. Lo conosce poca gente, negli anni 80/90 era tipo un punto d’incontro per i punk e i disadattati, adesso invece è solo un posto tranquillo dove fumare, fare skate e scrivere. Io, Mike e Trè ogni tanto lo pure puliamo, è come se fosse la nostra seconda casa.”

“Non avevo mai visto un posto del genere, è unico, come te.”

Ma che andavo blaterando? Avevo dato fiato alla bocca senza pensare a quello che dicevo. Adesso ero alquanto imbarazzata. Anzi, decisamente imbarazzata.

“Alex?” mi chiamò Billie.

“mm?”

“Vieni qui” allargò le sue braccia e mi fece posto vicino a lui su uno di quei divani.

Era il paradiso.

Avvistai un bomboletta poco lontano da dove stavamo accoccolati e mi precipitai a raccoglierla. Provai
se funzionasse: era rossa, perfetta.

“Welcome to paradise”

Billie Joe mi sorrise e io tornai da lui, serena.







Ciao. Sono passati 3 mesi e io neanche me ne sono accorta.
Ecco Christie Road un po' rivisitata da me, sogno un posto così tutto mio.
:3

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Capitolo 12
*** Dodici ***



Montai sulla vecchia Comet sepolta in garage e misi in moto piano. Il motore tossì un paio di volte prima di ruggire trionfante.

Spinsi piano sull’acceleratore e mi avviai per uscire dal vialetto e poi sulla strada.

Avevo voglia di fare qualche chilometro, di guidare e non pensare.

La pioggia batteva forte sui vetri dell’auto e inevitabilmente il pensiero andò a te.

Da piccola ero terrorizzata dai grossi temporali, dal vento urlante e dai fulmini che squarciavano il cielo.

E tu lo sapevi.
E io mi rannicchiavo sotto le coperte del mio letto e tu all’improvviso arrivavi e mi prendevi tra le tue braccia grandi e forti e mi dicevi di stare tranquilla, che gli angeli avevano solo un disturbo intestinale e attaccavi a ridere trasformando il mio pianto in risata e mentre fuori continuava a piovere, noi due ridevamo e io mi addormentavo su di te.

Una lacrime silenziosa scivolò dall’occhio e la buttai via con un gesto della mano, accompagnata da un lieve sorriso.
Ricordarti era allo stesso tempo maledettamente doloroso e magnificamente bellissimo.

Accostai la Comet in uno slargo in mezzo alla via di periferia in cui ero arrivata, non mi era affatto familiare.
Scesi dall’auto, feci qualche passo osservando e restai lì, a godermi lo scroscio dell’acqua sulla giacca troppo grande da cui mi era impossibile separarmi.

Feci qualche giro su me stessa allargando le braccia, come a volere che l’acqua mi entrasse ancora più dentro di quanto non lo stesse già facendo, quasi a volermi perforare l’anima.

Sensazione stupenda.

E poi qualcosa ruppe quel mio stato di quiete e beatitudine.

Qualcuno mi aveva presa e abbracciata con forza e non ebbi bisogno di aprire gli occhi per sapere chi fosse, era lui, lo conoscevo. Lui, le sue braccia, il suo respiro, il suo cuore.

“Alex..”
Billie Joe mi teneva stretta la testa tra le sue mani e le nostre fronti si scontravano.

Riaprii gli occhi e quei profondi pozzi verdi mi incasinarono.

“Sono felice” gli sussurrai.

Mi guardò a lungo nell’anima prima di inclinare leggermente la testa e baciarmi.
Sotto la pioggia ancora battente noi ci scoprivamo vivi per la prima volta.


Poggiò la fronte sulla mia e con le labbra ancora sulle mie mi rispose.

“Sono felice.”










Diciamolo che faccio progressi, un mese o poco più.
Ci credete se vi dico che mentre scrivevo mi sono emozionata? Cioè avevo le lacrime, non so..
Il capitolo è breve, ma molto intenso e penso che proprio per questo non sono riuscita a scrivere di più.
Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono.

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Capitolo 14
*** Tredici ***


 


Con Billie non eravamo soliti tenerci per mano.


“Stasera abbiamo un’altra serata” mi disse mentre eravamo malamente adagiati sul divano nel mezzo di Christie Road (così l’aveva chiamata lui, qualche giorno prima)
Scattai a sedere con la faccia felice.

“Davvero? E dove?”

“Al Gilman, un posto assurdo. È un locale per tutte le età e quindi non si può bere, ma credimi..è
troppo perfetto.”

Lo guardai fiera. Lui sembrava veramente entusiasta di suonare, soprattutto in quel posto.
Cioè io sapevo che lui sarebbe stato felice di suonare ovunque, ma quel posto lo entusiasmava particolarmente.
Mi riaccomodai senza fare troppi complimenti sul suo petto e lui sembrò apprezzare.
Alzai la testa a guardarlo e vidi che lui stava facendo lo stesso.
Ci sorridemmo in contemporanea e poi tornammo alle nostre sigarette.

Le giornate con lui erano magnifiche. Intense e senza pretese, semplici.

Non avevamo parlato di cosa era successo quel giorno di pioggia. Soltanto capitava che ci baciassimo di nuovo, con dolcezza e sentimento.
Non era una cosa frequente e regolare, succedeva soprattutto in quei momenti in cui uno dei due era più vulnerabile.
 
 

“Hey ragazzi”

Ecco arrivare Mike e Trè, super felici come non mai.

“Hey monopalla” il solito Billie. Alzai leggermente gli occhi al cielo.

“Rompi il cazzo come al solito eh Billie? Pensavo che Alex ti avesse addomesticato.”

“Non sono una domatrice di cavalli Trè” ribattei ridendo.

“Qual buon vento?” domandai più rivolta a Mike, indaffarato con una bustina di erba.

“Volevamo farvi partecipi del nostro nuovo acquisto” ammiccò con aria sognante.

Trè ridacchiò, Billie gli andò dietro e io guardai tutti e tre pensando che erano perfetti insieme.

Mike accese l’amica verde e tra una cosa e l’altra iniziammo a fumare tranquilli. Non era una novità per me, tanto meno per loro.
Però con Billie non avevo mai fumato, e pensai che in tutti i giorni che avevamo passato insieme lui non aveva mai accennato a roba del genere.

Lo guardai felice e mi avvicinai di più a lui fino a sfiorargli le labbra.
Lo colsi alla sprovvista, ma non se lo fece ripetere due volte e subito si attaccò a me come se ne fosse dipendente, molto più che dal fumo.
La sua lingua giocava con le mie labbra, così le schiusi e quasi lo sentii esultare.

Partirono una serie di applausi e fischi e mi ricordai solo allora che non eravamo soli.

Merda.

Mi staccai subito, turbata.
Mike e Trè continuavano a fare i coglioni. Io ero a disagio.

“Piantatela voi due.”

Billie, oh Billie.

Ma che reazioni del cavolo avevo?
Io e Billie eravamo solo io e Billie, non volevo che altri entrassero in quello che noi eravamo, e in quello che non eravamo.

“Alex, sono solo Mike e Trè, stai tranquilla” mi sussurrò Billie sfiorandomi leggermente il viso con un dito.

E in effetti mi resi conto che ai due già non fregava più un cazzo del breve momento tra noi due ed erano tornati allegramente a passarsi la canna raccontando aneddoti.
Colsi nella loro conversazione piena di risate, parole confuse come “Billie Joe”, “birra”, “cane”, “porca puttana”. E tante tante risate.

Tornai da Billie rasserenata, gli presi la mano e scrissi con la mia fedele penna sempre presente nella tasca dei jeans

“i’m feeling good”.







Ciao a tutti, sono tornata.
Nel frattempo ho avuto la brillante idea di:
-compiere 18 anni :)
-assistere alla rottura dei my chemical romance
-deprimermi per un coglione.
Ah, dimenticavo. Verso la fine del capitolo stavo ascoltando 'i'm feeling good' dei muse, e mi è sembrato carino inserirla.
Ringrazio tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo e anche chi legge senza recensire :)

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Capitolo 14
*** Quattordici ***



Billie mi riaccompagnò a casa per le 5 di pomeriggio, fedelmente scortato da Mike e Trè che continuavano a fare i coglioni dietro di noi.
Fui liquidata dal trio con un “Alex noi andiamo a farci belli per la serata” e risi pensando alla loro idea di “farci belli”.
Sicuramente si sarebbero fatti una doccia giusto per far calare un po’ la tensione e si sarebbero messi un paio dei soliti jeans con una vecchia tshirt.

“Ti passo a prendere per le 7 con il furgone di Mike, ci facciamo un paio di birre tutti insieme e poi andiamo al Gilman” mi disse Billie con un mezzo sorriso dolce.

Niente baci o abbracci strani come saluto, solo uno sguardo fugace e poi ci girammo entrambi: io per entrare in casa, lui per raggiungere i suoi amici.

Mi chiusi la porta alle spalle e mi appoggiai piano con la schiena, elaborando un po’ la situazione che da qualche tempo andava avanti.
Era decisamente qualcosa di strano e mai successo prima, nella mia vita intendo, in quella degli altri non lo so. Però mi piaceva, era quello l’importante no? Questa situazione mi piaceva, quindi mi dissi di non pensarci troppo.

Salii allora nella mia camera e misi su qualcosa a caso, mi accorsi poi che fosse My generation, dei The Who. Andava bene, dai.

Mi infilai in doccia canticchiando e pensando a cosa mettermi, non che me ne importasse molto in realtà, però volevo essere presentabile. Mi asciugai al volo i capelli e scesi in cucina, volevo mangiare qualcosa. Presi un bicchiere di succo ace dal frigo, il mio preferito, e dei biscotti alla vaniglia.
Mi sedetti poi sul tavolo e mandai lo sguardo fuori, al giardino.

Il succo ace me lo compravi sempre tu papà, te lo ricordi? Io venivo tutti i sabati con te al supermercato perché amavo da matti fare spesa insieme.
Buttavo nel carrello qualsiasi tipo di cosa sembrasse commestibile agli occhi di una bambina e tu mi rimproveravi dicendo che non mi avresti più portato.
E invece puntualmente ogni sabato ci ritrovavo insieme.

Finii i miei biscotti e tornai sopra, diedi una sciacquata ai denti e mi posizionai davanti all’armadio ridendo da sola come una scema pensando al fatto che per la prima volta non sapevo che mettermi.

Mamma a questo punto, se fosse stata in casa, mi avrebbe rinfacciato i milioni di jeans e tshirt enormi che continuavo a comprare. Risi di nuovo.

Alla fine, messa alle strette dall’orario, optai per un paio di calze nere rubate dall’armadio di mamma, un paio di jeans abbastanza vecchi e stracciati che finii di tagliare, non facendoli eccessivamente corti, una maglia, tagliata anch’essa per l’occasione, dei Ramones e i miei soliti anfibi neri semplici.
Mi sistemai un po’ la faccia truccando gli occhi di nero.
Guardai la mia immagine riflessa nello specchio: potevo andare.

Raccattai la tracolla e scesi nel giardino sul retro per fumare ed aspettare Billie.

Sentii qualcuno entrare in casa, sicuramente era mamma.
Me la trovai alle spalle che mi guardava con un’aria strana.

“Ciao, tutto bene a lavoro?” domandai.

“Sì, certo. Dove vai così sistemata?” chiese lei a brucia pelo.

“Vado a sentire dei miei amici che suonano in un piccolo locale tranquillo, qui in città” cercai di darle tutte le informazioni, rimanendo sempre sul vago.

Lei ci pensò un po’, poi parve decidersi a parlare.

“C’è un giovanotto con i capelli blu qui fuori che ti aspetta, ha detto di chiamarsi Billie.” Fece uno strano sorriso che non capii, ma non ci diedi tanto peso.

Mi alzai in piedi ripescando la borsa e salutai mamma dicendole di non aspettarmi in piedi.

Billie era lì che mia aspettava, impalato davanti alla porta d’ingresso con l’aria un po’ scossa.

“Cos’è successo?” domandai, spingendolo verso l’esterno e chiudendomi la porta alle spalle.

“Io..io..io ho appena conosciuto tua madre?” balbettò.

“Simpatica?” domandai ridendo nel vedere la sua faccia.

“Mi ha chiesto se fossi caduto in un barattolo di vernice blu e se avessi bisogno del bagno per farmi una doccia al volo.” Billie era ancora alquanto scioccato.

Risi di gusto, pensando che mia madre certe volte non si risparmia proprio e lo trascinai verso la macchina.

Lui salì e mise in moto, cercando ancora di riprendersi.

“Allora vocal lead, sei carico?” domandai per distrarlo dal suo pensare ancora a mia madre.

Lui parve come risvegliarsi da 3 giorni di sonno.

“Certo che si Alex, che domande? Adesso andiamo nel garage di Trè, c’è qualche altro amico e stiamo lì prima del concerto. Ci sono birre eccetera.”

Era nervoso il ragazzo, si vedeva lontano un miglio.

Arrivammo davanti al famoso garage, Billie Joe parcheggiò alla buona e scendemmo.

Prima di entrare, gli afferrai al volo la mano e lui si girò a guardarmi.
Aveva gli occhi pieni di quel qualcosa misto ad adrenalina ed insicurezza che mi sembrò quasi un cucciolo abbandonato con la voglia di dimostrare al mondo quanto in realtà valga.

Avevamo ancora le mani legate quando, con una mossa del tutto irrazionale e spontanea, mi avvicinai a baciarlo.
Era tutto così nuovo per me, ma sentivo di essere a casa, mentre le mie mani correvano ad arruffare i suoi capelli e le sue a stringermi la schiena.

Adesso capivo cosa fossero le farfalle nello stomaco, e le mie avevano deciso di ballare il valzer.
O forse si stavano dando ad un pogo carico e sfrenato?






Ciao bellezze, quant'è che non aggiorno? Ma ormai ci siete abituati anche voi ai miei alti e bassi, no? No, ok..scusate.
Anyway boh..non so che dire sulla storia. Ah ecco, ho inserito il cd My generation perchè proprio oggi stavo pensando ai The Who, in senso generale, e mi andava di metterli.
Ah, vi voglio chiedere una cosa. Però non so se è proprio giusto. A parte che non mi ricordo se ho inserito una descrizione fisica di Alex, o comunque cenni al suo aspetto fisico..vabbè senza perdermi in chiacchiere, volevo sapere come voi vi immaginate Alex, se è uguale a come me la figuro io insomma. Però io non ve lo dico come la immagino.
Ok, basta chiacchiere.
Grazie mille davvero a chi ha recensito lo scorso capitolo e chi tiene la storia tra le seguite pur non recensendo.

Love you all.

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Capitolo 15
*** quindici ***


Il garage di Trè era stracolmo di gente, persone che io non avevo decisamente mai visto. Il caos era l’ordine lì dentro, non ero abituata a cose di questo tipo.
Uno stereo strillava musica punk che non riuscii ad identificare, la gente ballava disinteressata e ubriaca.
Notai Trè che, con una faccia molto poco sobria, stava fissando senza pudore le tette sporgenti della ragazza di fianco a lui. Rideva come un ebete.
Mike invece non si vedeva, chissà dov’era finito quella fottuta testa a lampadina.

Billie Joe mi teneva ancora per mano e,dopo essere arrancati verso il tavolo degli alcolici, mi piazzò una birra in mano, sorridendomi.
Bevve un lungo sorso dalla sua e poi ai avvicinò al mio orecchio.

“Sono un po’ agitato, il Gilman è un gran posto”
“Ei, stai tranquillo, lo so che siete bravi e conquisterete tutti come al solito” cercai di calmarlo, senza in realtà sapere bene cosa dire.

“Billieeee vieni quii devi assolutamente vedere che cazzo ha rimediato Trè” urlò qualcuno, capii poi che fosse un certo Jason che era loro amico da parecchio tempo.

Insomma Billie mi trascinò con lui e Jason a vedere cosa aveva Trè di tanto fantastico.
Mi ritrovai spiaccicata sul divano tra Billie e la ragazza a cui Trè stava fissando le tette da ore.

“Alex devi assolutamente fumare, questa è roba buona di zio Trè Cool”

“E fammi provare allora, te la stai fumando da solo, ingrato” gli risposi, ridendo.

Scoppiarono tutti a ridere, compreso lui e anche la ragazza vicino a me.

“Tu sei Alex? Tra questa gabbia di matti non si parla d’altro che di te, stavo per non sopportarti più, menomale che ho appena scoperto che sei simpatica. Io sono Ysabel, ma chiamami Ysa, o Bel, o come cazzo ti pare insomma, perché il mio nome fa proprio cagare.”

Questa tipa pazza iniziò a parlare, senza che, insomma, la conoscessi davvero e mi raccontò tutta una storia che non capii, mentre fumavamo e continuavamo a bere birra.
Io mi riparavo tra le braccia di Billie Joe, che stava facendo il coglione con tutta altra gente che non ricordo, e ogni tanto annuivo ad Ysabel, che parve non capire che non la stessi filando assolutamente.

Ubriaco come una spugna, Billie andò a spegnere la musica che ancora scaldava l’atmosfera di degrado che si era creata.

“Brutti stronzi, mi stavo quasi dimenticando che dobbiamo suonare al Gilman, quindi forza,muovete quei culi” urlò alla gente.

Prese poi per mano me e io tirai su anche Ysabel, che si trascinò dietro Trè. Billie acciuffò poi per i capelli Mike, che spuntava da non so dove.

Ci ritrovammo tutti sul vecchio furgone di Mike, lui, Billie Joe, io, Trè, Ysabel e quel tale Jason, ammassati come sardine tra i vari strumenti che servivano ai Green Day per la serata.

“Alex, prendi la mia Blue e trattala bene” mi urlò Billie Joe dal posto del guidatore.

“Certo amoreeee” gli risposi, presa dall’euforia del momento.

Ridemmo tutti insieme senza motivo e continuammo così fino al Gilman, mi sentivo come se avessi trovato finalmente il mio posto.
E mentre guidavamo tra risate e urla, guardai tutto questo da occhi esterni e pensai che, per chi ci avesse visto, saremmo sembrati proprio un branco di scemi senza uno scopo, ma io sapevo, oh si, lo sapevo bene, che ognuno di noi era su quel furgoncino per un motivo e sorrisi, perché ancora una volta non mi ero lasciata abbindolare dalle apparenze, e mi sentivo amata e rispettata da persone che mai avrei pensato potessero condividere qualcosa con me.





Ciao a tutti, è tantissimo che non aggiorno e lo so, sono proprio una brutta persona.
Grazie a tutti quelli che hanno recensito o che hanno letto. Non so se dopo tutto questo tempo c'è ancora qualcuno che è disposto a leggere le mie boiate.

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