La Leggenda della Pioggia

di Filakes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le lacrime dell'angelo ***
Capitolo 2: *** Sotto quel ciliegio ***
Capitolo 3: *** Benvenuta nel Mondo Nascosto ***
Capitolo 4: *** Compassione e Riluttanza ***
Capitolo 5: *** Difficoltà ***
Capitolo 6: *** Preoccupazione ***
Capitolo 7: *** Decisione ***
Capitolo 8: *** Ricordi ***
Capitolo 9: *** Impegno ***
Capitolo 10: *** Controllo e Partenza ***
Capitolo 11: *** Silenzio ***
Capitolo 12: *** La Grande Cascata ***
Capitolo 13: *** Scontro ***
Capitolo 14: *** Pericolo e Rivelazione ***
Capitolo 15: *** Verso Senar ***
Capitolo 16: *** Sulla tomba del fratello ***
Capitolo 17: *** L'inerzia del nostro essere ***
Capitolo 18: *** La Festa di Senar ***
Capitolo 19: *** Che sia amore? ***
Capitolo 20: *** Lettera, Amore e Passato ***
Capitolo 21: *** Incubo e Ritorno ***
Capitolo 22: *** Addio ***
Capitolo 23: *** Discendente ***
Capitolo 24: *** Fedeltà sbagliata ***
Capitolo 25: *** Codardo ***
Capitolo 26: *** L'ultima notte a Senar ***
Capitolo 27: *** Timore e Terrore ***
Capitolo 28: *** L’informatore, il tentativo di fuga e la Belva Sacra scomparsa ***
Capitolo 29: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 30: *** Idiota ***
Capitolo 31: *** Lacrima e Dovere ***
Capitolo 32: *** Rabbia ***
Capitolo 33: *** Paura ***
Capitolo 34: *** Libertà ***
Capitolo 35: *** Tutto per una ninfa ***
Capitolo 36: *** La decisione di Febe ***
Capitolo 37: *** Intimità ***
Capitolo 38: *** Bugia ***
Capitolo 39: *** Il mio valore ***
Capitolo 40: *** Emy e Cloud ***
Capitolo 41: *** Aiuto ***
Capitolo 42: *** Notte di Sangue ***
Capitolo 43: *** Duello ***
Capitolo 44: *** Erin: tra follia e libertà ***
Capitolo 45: *** Di nuovo insieme a Senar ***
Capitolo 46: *** Il Bacio Rubato ***
Capitolo 47: *** Tra ninfe e draghi ***
Capitolo 48: *** Sospetto ***
Capitolo 49: *** Il potere di Ame, l'unica Discendente ***
Capitolo 50: *** Destino ***
Capitolo 51: *** Preparazione ***
Capitolo 52: *** Allenamento ***
Capitolo 53: *** Morrigan e Luke: duello e amarezza ***
Capitolo 54: *** Piano ***
Capitolo 55: *** Salvataggio ***
Capitolo 56: *** A un passo dalla morte ***
Capitolo 57: *** Pianto e Manufatti ***
Capitolo 58: *** Chiarimenti e saluti ***
Capitolo 59: *** Fratello e Sorella ***
Capitolo 60: *** Strategie ***



Capitolo 1
*** Le lacrime dell'angelo ***


La leggenda della Pioggia Capitolo I:

“Le lacrime dell’angelo”

   Quella mattina la pioggia picchiettava con insistenza sul vetro e ogni minuto aumentava d’intensità, tanto che Ame si risvegliò dal sonno. A tentoni cercò di afferrare la sveglia sul comodino, per vedere che ore erano: le 7:50 del primo giorno di vacanza estiva. Si stiracchiò sbadigliando e appoggiò i piedi sul pavimento freddo, troppo per essere una giornata estiva. Si alzò in piedi e si diresse verso la finestra, aveva sempre amato la pioggia, capace di rinfrescare e pulire la terra e in particolare amava i temporali estivi: si metteva alla finestra o sul balcone e rimaneva a fissarli ammaliata. Si mise a guardare le goccioline correre verso il basso e tracciare un percorso per le altre gocce, che poi si sarebbero unite a quella di partenza. Sorrise malinconica: quanti progetti aveva mandato in fumo quella pioggia? Molti, anche il suo. Come ogni anno, Ame aveva deciso che sarebbe andata ad aiutare sua nonna in campagna con l’orto, ma quel giorno era fuori discussione.
 
  Si avviò in cucina per far colazione e, accanto alla fetta di torta al cioccolato preparata da sua madre, trovò un foglietto. “Sono andata al lavoro prima, ma ti ho lasciato dormire, spero che gradirai la torta che ti ho fatto. Con affetto, mamma”. Ame sorrise un poco, la sua mamma si dava molto da fare nel lavoro e nonostante la stanchezza, era sempre molto amorevole con tutti. L’aveva vista piangere una sola volta in vita sua, ed era stato orrendo. Era stato un giorno invernale, sua madre aveva avuto un problema al lavoro e, sovraccarica di stress, era scoppiata in lacrime. L’allora bambina Ame aveva fatto di tutto per consolarla, ma sua madre con un sorriso tirato le aveva detto che non c’era alcun bisogno di preoccuparsi: andava tutto bene. Così Ame, che aveva sempre paragonato sua madre ad un angelo, pensò che la pioggia fossero le lacrime degli angeli. Erano lacrime che avevano la stessa forma della voglia di caffè che aveva Ame sotto al collo. Distolse il pensiero da quei ricordi, si scaldò una tazza di latte e ci versò del caffè caldo gustandosi la sua colazione; amava il cioccolato fondente e sua madre nella torta al cioccolato ne aveva messo un po’ spezzettato.
 
  Dopo aver rassettato la cucina, decise comunque di andare a trovare sua nonna a cui era molto affezionata: non avrebbero curato l’orto, ma potevano lo stesso chiacchierare e gustarsi le brioche calde che Ame aveva intenzione di portargli. Infatti, quando sua nonna era una bambina non poteva comprarsi la brioche, così quando passava davanti alla pasticceria rimaneva a sentire il dolce profumo che usciva dal locale ogni volta che qualcuno apriva la porta d’entrata. Prese velocemente un ombrello e, una volta uscita, si diresse verso il centro città, da cui poi avrebbe preso un autobus che l’avrebbe condotta da sua nonna. Camminando verso il centro pensò in quale pasticceria avrebbe preso le brioche e, alla fine, le venne in mente una pasticceria molto rinomata in centro vicino alla fermata dell’autobus.

  Una volta raggiunta, entrò nel locale inspirando a pieni polmoni il dolce profumo di dolci appena sfornati. Prese alcune brioche e un dolcetto al cioccolato a parte per lei che si mangiò mentre aspettava l’autobus. La pioggia continuava a scendere senza sosta.

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Capitolo 2
*** Sotto quel ciliegio ***


Capitolo II:

“Sotto quel ciliegio”

Una volta salita sull’autobus, Ame timbrò velocemente il biglietto e si guardò intorno per trovare un posto libero. Si accorse, però, non senza dispiacere, che tutti i posti erano occupati. Rassegnata, afferrò un aggancio per tenersi in equilibrio e sbirciò le persone che le erano intorno.

Di fronte a lei c’era un ragazzo con i capelli tinti di un rosso acceso, che stava ascoltando della musica, e da quel poco che giungeva alle orecchie di Ame, sembrava rock. Tese l’orecchio per tentare di capire chi fosse il gruppo o il titolo della canzone, non rendendosi conto che nel frattempo si era messa a fissare il giovane con un po’ troppa attenzione: era un bel ragazzo alto, spallato e con profondi occhi verdi. Gli occhi di Ame si spostarono sulle sue labbra rosee e carnose; il giovane alzò lo sguardo ed incrociò quello di lei, che subito voltò il viso verso il finestrino, arrossendo. La pioggia era aumentata e il cielo era sempre più scuro. Ame iniziò a credere che forse non sarebbe dovuta uscire con quel tempo, certo le piaceva la pioggia, ma i lampi che ogni tanto illuminavano la città erano davvero inquietanti.
Sbirciò di sottecchi il ragazzo, ma fu costretta a distogliere lo sguardo subito: la guardava ancora. Si mise così a giocare con l’ombrello e realizzò appena in tempo che alla fermata successiva sarebbe dovuta scendere e si avvicinò allo sportello, ma di colpo l’autobus frenò e perse l’equilibrio. Fortunatamente qualcuno le afferrò un braccio e riuscì a non cadere, si voltò e vide il giovane con le cuffie che le sorrideva, Ame farfugliò un ringraziamento sentendosi un’imbranata e scese velocemente dal mezzo con il cuore in subbuglio.

Aprì l’ombrello e con passo deciso si diresse verso la casa di sua nonna, si era dimenticata di avvisarla del suo arrivo nonostante la pioggia, ma sapeva che l’avrebbe accolta sempre e comunque. La strada era piena di buche, che ospitavano l’acqua piovana creando delle pozzanghere più o meno profonde e anche impegnandosi, non riuscì ad evitarle tutte; in un attimo, al picchiettio della pioggia si aggiunse quello della grandine, che Ame non poteva sopportare.
Affrettò il passo guardando un po’ davanti a sé e un po’ il cielo, mancava poco alla casa di sua nonna, così iniziò a correre senza badare alle pozzanghere, ma appena giunta di fronte al cancello si bloccò, c’era un biglietto in cui sua nonna avvisava che era andata di corsa dalla zia Rosa e che sarebbe tornata per le 16, e scriveva ad Ame in particolare che l’aveva chiamata a casa, ma non l’aveva trovata.

Sconsolata, Ame tornò sui suoi passi ma si trovò di fronte un tenero gattino tigrato, che aveva un collare su cui era inciso un indirizzo molto lontano da lì.
- Ti sei perso, piccolino?
Sussurrò Ame con dolcezza inchinandosi in modo da coprire con l’ombrello anche il gatto. Protese una mano e se la lasciò annusare dal gatto infreddolito e vedendo che il tempo non accennava a migliorare, anzi sembrava prossimo a peggiorare, prese in braccio il gattino fradicio e decise di portarlo a casa con lei per poi chiamare i padroni e avvertirli che aveva trovato il gattino, ma non appena il cucciolo sentì l’odore delle brioche si lanciò sul sacchettino e afferratolo con la bocca fuggì nel frutteto di sua nonna.
Ame allora lo inseguì scavalcando il muretto di corsa, ma quando aveva raggiunto e afferrato il gatto un fulmine colpì il ciliegio accanto a loro.
Ame urlò spaventata e per alcuni secondi non riuscì a vedere, poi con un tonfo sordo cadde sull’erba stranamente asciutta.

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Capitolo 3
*** Benvenuta nel Mondo Nascosto ***


Capitolo III:

“Benvenuta nel Mondo Nascosto”

Cadde come un peso morto sulle ginocchia, sopra ad un manto d’erba asciutta.
Per qualche istante non riuscì né a vedere né a sentire alcunché, ma avvertì un forte dolore alle ginocchia. Lentamente si alzò in piedi e con le mani si stropicciò gli occhi. A poco a poco iniziò a ritornarle la vista e a sentire il vento tra le fronde degli alberi intorno a lei; il sole splendeva e i suoi raggi obbligarono Ame a coprirsi gli occhi.
“Che cavolo sta succedendo?” pensò.
Il gattino tigrato le aveva appoggiato il sacchettino delle brioche ai piedi e le faceva le fusa. Ame pensò di stare sognando così si diede un pizzicotto.
No, non era affatto un sogno.

- Ma dove sono finita? Mannaggia a te micio!
Esclamò rivolta al gatto, che la fissava curioso.
- Non avevo mai visto qualcuno incolpare un gatto.
Sentì dire da una voce profonda e armoniosa alle sue spalle. Si voltò di scatto.
Di fronte a lei si ritrovò il giovane che aveva visto sull’autobus, ma con vestiti diversi: pantaloni di un tessuto che non riconobbe e una maglietta senza maniche, che sembravano però di un’epoca remota.

Ame lo fissò stupita e a malapena riuscì a dire:
- Chi sei?
- Mi chiamo Enea. Piacere di conoscerti Ame.
- Come sai il mio nome?
- Qui lo conoscono in molti.
Lo fissò senza capire a cosa alludesse, ma proseguì con le domande.
- Dove siamo?
- Questo mondo è uno dei tanti mondi paralleli, che non sono conosciuti dove vivi tu. Ti trovi in una dimensione parallela.
- Perché?
Enea non rispose, lasciò che quella domanda le risuonasse più volte nella mente. Il gattino si avvicinò ad Enea e gli fece le fusa; il ragazzo si chinò ad accarezzarlo e lo prese in braccio.
- Bravo Tora.
Bisbigliò al gatto accarezzandolo.
- Hai fatto il tuo dovere.
Ame non riusciva a capire ciò che stava accadendo, come non aveva capito una sola parola che Enea, così aveva detto di chiamarsi il ragazzo, aveva detto.
- Perché?
Ripeté con decisione.
- Ho fatto in modo che il piccolo Tora ti portasse qui, perché ci servi.
- A cosa?
Enea la fissò qualche istante i suoi occhi verdi fissi in quelli di lei.
- In questo mondo che per anni ha sofferto terribili guerre e un enorme spargimento di sangue serve una persona capace di riportare la pace.
- Stop! Un momento, io che cosa c’entro? Non tirare fuori sciocche storie su poteri che non sapevo di avere o cose del genere, perché lo trovo a dir poco improbabile.
- Infatti, tu non possiedi alcun potere e anzi, rispetto agli abitanti di questo mondo parti in notevole svantaggio.
Quel discorso era a dir poco assurdo, Ame non vi trovava alcun senso e ciò che diceva il ragazzo era in contraddizione.
Il ragazzo capendo i dubbi che affliggevano la giovane sorrise e si spiegò.
- Tu sei una delle poche persone del tuo mondo capace di provare la vera compassione, persone che qui ormai non ci sono più, e in un certo senso una cosa di speciale ce l’hai.
Enea indicò la voglia di caffè a forma di goccia.
- Quello è il marchio dei Puri, o detti anche Custodi, capaci di riportare la pace dove c’è la guerra e giustizia dove ci sono solo ingiustizie.
Lei spalancò gli occhi sbalordita, c’era senz’altro un errore.
Enea le lanciò un mantello.
- Metti questo, i tuoi abiti sono troppo diversi dai nostri, e seguimi. Una volta arrivati in un posto sicuro ti spiegherò meglio.

Ame esitò qualche istante mentre Enea incominciò ad avviarsi.
In fondo Ame non vedeva altra scelta, ma per qualche motivo sperava di svegliarsi da quel sogno.
Il vento la spinse verso Enea e velocizzando il passo lo raggiunse.

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Capitolo 4
*** Compassione e Riluttanza ***


Capitolo IV:

“Compassione e Riluttanza”

  Camminava in silenzio dietro al giovane tenendo gli occhi fissi su di lui, ancora non sapeva se si sarebbe dovuta fidare, non capiva se faceva bene a seguirlo.
Il rumore dei loro passi si ripeteva uguale e monotono, ogni tanto pestavano dei rami secchi, il silenzio intorno a loro era assordante e fastidioso.

  Tora miagolò piano come ad attirare l’attenzione ed Enea lo guardò con attenzione, come se stesse ascoltando ciò che diceva. Si fermò di colpo e si voltò verso Ame, la afferrò per un braccio ed entrarono nella foresta correndo.
-         Ehi! Aspetta! Cosa…?
Non fini in tempo la frase che una freccia le passò a due centimetri di distanza e sentì alcuni uomini urlare dietro di loro, terrorizzata Ame corse a perdi fiato.
Seminati gli inseguitori cambiarono direzione e proseguirono per circa un chilometro.
-         Non mi chiedi chi erano?
-         Speravo lo dicessi tu.
Affermò Ame scostandosi i capelli castani dagli occhi.
-         Allora dovrai aspettare di arrivare nel luogo più sicuro per noi ribelli.
-         Ribelli?
La domanda cadde nel vuoto e quella situazione iniziò a dare sui nervi ad Ame: lei voleva solo andare a trovare sua nonna e chissà come era finita in un’altra dimensione, assurdo. Davvero assurdo.

  Dopo alcuni minuti giunsero di fronte ad una casa di legno, Enea apri la porta e Tora scappò velocemente all’interno. Enea fece strada ad Ame che rimase pietrificata sulla porta: c’era una tigre in casa.
-         E quello è…
-         Tora.
-         Cosa?
-         E’ la sua vera forma.
Ame strabuzzò gli occhi ma in fondo era tutto così strano. Tora si avvicinò ad Ame e le lecco la mano, Ame allora le accarezzò il muso.

  -         Entra ora ti spiegherò tutto.
Ame varcò la porta e seguì Enea in quella che doveva essere la cucina.
-         Mi chiamo Enea e la mia famiglia è andata dispersa dalla prima notte in cui l’esercito di Wareck ha distrutto il nostro villaggio. Il nostro mondo era rimasto a lungo tempo in pace e pochi Custodi scelti governavano seguendo la via del bene e mantenendo l’armonia, ma un Traditore, ovvero un Custode che si era macchiato di orrendi crimini, si è rivoltato contro i Custodi, seminando sangue e paura, il suo nome è Wareck.
Fece una breve pausa il volto scuro, la testa bassa. Nei suoi occhi si leggeva un profondo senso di tristezza mista a rabbia, respirò profondamente e con un enorme sforzo fissò gli occhi grigio ghiaccio di Ame, proseguì.
-         Da allora si è auto proclamato tiranno e ha governato mantenendo la paura nel popolo. Quelli che ci inseguivano prima erano dei suoi sottoposti, persone crudeli che non hanno alcuno scrupolo. Tutte le fazioni dei ribelli sono state distrutte, pochi prigionieri, molti morti e se qualcuno osa contraddire Wareck viene ucciso. Ora entri in gioco tu.
Ame lo fissava aspettando che proseguisse mentre le parole pronunciate da Enea si insediavano nella sua mente.
-         Per anni abbiamo cercato di nascosto persone che avrebbero potuto contrastare il Traditore, ma nessuno in questa dimensione ne è in grado. Poi abbiamo trovato te, l’unica che soddisfa quasi tutti i requisiti per farcela, i più importanti, il resto te lo insegneremo. Ci aiuterai?
Il silenzio che cadde fu assoluto, Ame ci pensò seriamente e infine arrivò ad una conclusione.
-         Non lo so.
Dichiarò con fermezza.
-         Prima vorrei capire di più… è tutto così strano per me.
-         Per alcune settimane, ti prego, rimani qui e pensaci, poi deciderai se ti sembra opportuno o no aiutarci, ma ti prego, prova a vivere in questo mondo e ad aiutarci per qualche tempo, sei l’ultima speranza per un mondo che rischia di morire, di cadere in terribili tragedie, peggiori di quelle che l’hanno già colpito, troppi innocenti hanno perso la possibilità di vivere vorremmo evitarne altri.

  Detto ciò si alzò e lasciò Ame da sola, Tora le si affiancò silenziosamente, lei accarezzò la tigre; lo sguardo perso nel vuoto senza sapere cosa fare. Poteva davvero essergli utile? Non lo sapeva, per lei era ancora troppo difficile capire ciò che le stava accadendo, poco più di due ore prima stava andando a trovare sua nonna e ora non sapeva nemmeno se l’avrebbe mai più rivista.
 
  Scostò la sedia e guidata da Tora andò in quella che sarebbe diventata la sua camera: una stanza spoglia con solo un letto e un tavolo. Si trovava di fronte ad un bivio e doveva scegliere.
Si tolse il mantello, lo gettò sul letto e si sdraiò. Si addormentò dopo alcuni istanti mentre ancora pensava a quella strana giornata.

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Capitolo 5
*** Difficoltà ***


Capitolo V:
“Difficoltà”

  La mattina seguente Ame si cambiò in fretta con gli abiti che Enea le aveva prestato, decisamente maschili, ma si accontentò.
Lo raggiunse nel retro della casa dove c’era uno spiazzo d’erba, una piccola radura, con un fantoccio piantato nel terreno.
Enea aveva una spada di legno in mano e la lanciò ad Ame.
-         Finché rimani qui devi allenarti.
-         Perfetto.
Affermò Ame sorridendo, impugnare quella spada di legno le provocò un’emozione di gioia famigliare: da tre anni praticava un’arte marziale che prevedeva l’uso delle spade di bambù. 
-         Vediamo cosa sai fare.
La sfidò Enea.

  Si misero l’uno di fronte all’atra e non appena Enea si mosse, Ame con un movimento veloce gli colpì il busto, Enea parò velocemente il colpo facendo alzare la spada di Ame e mirò alla testa di lei, ma Ame riuscì a fermare il colpo. Rimasero qualche istante a fissarsi, aspettando la mossa dell’altro.
Non appena Ame vide Enea inspirare, Ame lo spinse via e mirò al suo capo ma si fermò poco prima di colpirlo, commettendo un terribile sbaglio: Enea approfittò della sua indecisione, le colpì il braccio e la spinse, facendola cadere a terra.
-         Perché non mi hai colpito?
-         Perché non hai protezioni, non volevo farti male.
-         Non devi avere alcuno scrupolo, come credi di difenderti se no?
La provocò Enea.
Ame si rialzò piano, con un sorriso soddisfatto, ora si sarebbe impegnata sul serio.
Enea si mosse velocemente verso di Ame, lei mantenne la punta della sua spada fissa a mirare il collo di Enea, gli deviò la spada e lo colpì in testa emettendo un urlo che nasceva dalla pancia. Poi gli colpì il fianco e lo disarmò.
-         Vedi, non sono proprio indifesa. L’idea di fanciulla gentile e bisognosa d'aiuto non coincide con me.
Ame amava il combattimento, le dava carica e grinta e quella scarica di adrenalina era fantastica. Spesso si stancava prima della fine di ogni allenamento ed era proprio allora che dava il massimo, nell’esatto momento in cui non aveva più fiato combatteva come un leone.
Enea si massaggiò piano il fianco e raccolse la spada. Ame era esile e minuta, non si sarebbe mai aspettato che avesse tutta quella forza e quella grinta. Non poteva credere di essersi fatto disarmare da lei. Così senza lasciarle il minimo tempo le si avventò di nuovo contro, ma Ame non era affatto impreparata.
Smisero dopo una mezz’ora in piena parità, Ame non aveva più fiato e tentò di respirare regolarmente.
-         Ok, facciamo un po’ di pausa, ti va un po’ d’acqua?
Lei annuì, non aveva abbastanza fiato per rispondere.

  Poco dopo erano di nuovo nella radura, Tora si era svegliata, si era accovacciata a terra e li fissava come uno spettatore.
-         Nel combattimento corpo a corpo te la cavi bene, ma devi sapere che molte persone in questo mondo riescono a controllare gli elementi, soprattutto nell’esercito di Wareck, quindi complicherò un po’ le cose.
Ame giurò di vedere un sorrisetto compiaciuto comparire sul viso di Enea.
Enea le fece cenno di iniziare, così gli si avvicinò e non appena Ame fu a pochi passi da lui, da terra spuntò una radice di un albero che la fece inciampare, quando riuscì ad alzarsi la radice le si legò alla caviglia del piede destro ed Enea la attaccò, Ame riuscì a parare i colpi, ma quando lui la spinse, non potendo indietreggiare cadde.
Enea le puntò la spada al collo e lei tentò di colpirgli la pancia ma un’altra radice le bloccò le braccia.
-         Hai perso.
Proclamò Enea.
-         Ma tutto questo è barare!
Urlò lei con rabbia.
-         Forse non hai ancora capito che questo non è il tuo mondo, qui le regole sono diverse.
Le radici allentarono la presa lasciandola libera. Non aveva ancora deciso se aiutarli o no e pensare che i nemici l’avrebbero potuta sconfiggere tanto facilmente e ucciderla, le fece venire ancora più dubbi.
Andarono avanti ancora per un po’ ad allenarsi, ma Ame finiva sempre a terra, e verso ora di pranzo decisero di smettere.
Ame era piena di lividi e ne approfittò per riposarsi.
Mangiò velocemente e dopo un’ora tornarono ad allenarsi, ma l’esito era sempre lo stesso, persino Tora sembrava dispiacersi per Ame, alla fine della giornata era così abbattuta che non riuscì a cenare e andò subito a dormire.
 
Dalla finestra Enea vide un falco arrivare e uscì insieme a Tora, attaccata ad una zampa del falco c’era una lettera: i ribelli delle montagne del nord erano stati catturati e condannati a morte.
Wareck si stava muovendo, avvicinandosi a loro.

 

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Capitolo 6
*** Preoccupazione ***


Capitolo VI:
“Preoccupazione”

Per una settimana si era allenata fino allo stremo, ma i risultati non cambiavano: per quanto si impegnasse non riusciva a farcela, quando Enea controllava le piante Ame perdeva sempre e la situazione era a dir poco frustrante.
In più Enea aveva da tempo un’aria preoccupata, e non riusciva mai a concentrarsi appieno sul combattimento, il che la faceva sentire ancora peggio e ogni volta che tentava di chiedergli il perché di quel malessere, lui alzava le spalle e le assicurava che tutto andava bene.
 
La sede dei ribelli delle montagne del nord era a solo due settimane di cammino da lì, il che voleva dire che in ogni momento i sicari di Wareck avrebbero potuto attaccarli.
Enea non voleva di certo mettere Ame alle strette, ma quella situazione complicava notevolmente le cose e non ricevendo altre notizie non sapeva dove avrebbe potuto nasconderla.
Possibile che Wareck sapesse già di lei? Sarebbe stato un vero problema.
Durante la notte Enea scrisse una lunga lettera e poi la legò al collare di Tora.
-         Portala da Lou e vedi di tornare prima dell’alba, va’!
Tora partì velocemente e sparì di colpo in mezzo al bosco.
Se qualcosa fosse andato storto, non sarebbe nemmeno riuscito a dare inizio al suo piano.
 
Dalla sua stanza illuminata da una candela Ame vide Tora correre tra gli alberi e allontanarsi.
Appoggiò una mano sulla finestra e guardò la luna rossa, sospirando.
Chissà cosa stavano facendo i suoi fratelli e i suoi genitori, sperava solo che non fossero troppo preoccupati per lei. Mancava da casa da poco più di una settimana, aveva ancora poco tempo per decidere. Tutto le sembrava così strano, quasi come se fosse un sogno da cui si sarebbe dovuta svegliare a momenti e, sinceramente, una parte di lei lo sperava.
Sentiva il bisogno di piangere, ma non ci riusciva, qualcosa la bloccava.
Poi a darle preoccupazione c’era Enea, che le chiedeva di fidarsi, ma lui non gli diceva tutto ciò che lei doveva sapere. Ame immaginava che Enea le stesse nascondendo più cose di quelle che gli aveva detto.
La sua attenzione venne poi catturata dai lividi intorno ai polsi, doloranti, davvero ne valeva la pena? Ame preferiva non darsi alcuna risposta. Una parte di lei, spinta dalla curiosità, voleva rimanere in quel posto magico, per scoprire e capire, per vivere cose che altrimenti non avrebbe vissuto, l’altra non vedeva l’ora di allontanarsi da quel luogo e tornare alla semplice vita di prima.
Si infilò sotto le coperte e pensò che da quando era lì non aveva mai fatto neanche un sogno. Nemmeno un incubo, nulla.
 
Enea era ancora sveglio quando Tora arrivò con la risposta affermativa di Lou, su di lei si poteva sempre contare, pensò Enea, in fondo era da un po’ che non la vedeva e non vedeva l’ora di riabbracciarla.
Lei più di tutti meritava di vedere Wareck sconfitto.
 
Quando Ame si svegliò, l’aria intorno a lei era diversa e, senza potersi svegliare completamente, Enea la incitò a vestirsi e a mettersi delle lenti a contatto color cioccolato, cosa che fece anche lui, senza dirle il perché, poi uscirono di fretta.
-         Non ci alleniamo oggi?
Domandò Ame ancora assonnata.
-         E’ meglio se prima ci allontaniamo da qui, andremo da un’altra parte, un posto molto più sicuro.
Senza chiedere nient’altro, Ame prese in braccio Tora, che era tornata nella versione “tascabile”, e seguì Enea verso quella che aveva l’aspetto di una città medioevale.
Dopo aver percorso numerose stradine isolate, si fermarono davanti ad un portone di legno rovinato.
Enea bussò tre volte, dopo alcuni secondi bussò ancora due volte e dopo dieci secondi ancora tre volte.
-         Chi siete?
Chiese con tono sospettoso una voce femminile e cristallina dall’interno.
-         Gemme di fuoco verde.
Bisbigliò Enea.
La porta si aprì leggermente, facendo intravedere il viso della giovane.
 
Aaron guidava le truppe di Wareck verso i rifugi dei ribelli, uno di loro dopo essere stato catturato, nel tentativo di salvarsi la vita aveva parlato dell’arrivo di una Discendente della Pioggia, il che era assurdo visto che tutto il clan era stato sterminato anni prima, ma per ogni evenienza Wareck gli aveva ordinato di trovare i ribelli di Emyer e consegnarli a lui ancora vivi.
La caccia era aperta.

Piccole Spiegazioni:

Buon giorno a Voi che sieti giunti a leggere il sesto capitolo, bravi! Innanzitutto Vi ringrazio e poi volevo solo dare due indicazioni:
1) Ame in giapponese significa pioggia, ma non per questo Ame è giapponese, anzi quando ho pensato al suo personaggio era decisamente italiana.
2) Il personaggio che ora entrerà in scena, Lou, è un personaggio a cui sono affezionata ed ho pensato di dirvi come si pronuncia il suo nome, in pratica si pronuncia "Lo" con la "o" allungata.
Bene sperando che il racconto Vi sia di gradimento, Vi ringrazio e Vi auguro buona giornata.
Filakes.

 

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Capitolo 7
*** Decisione ***


Capitolo VII:
“Decisione”

  La porta si aprì ed una ragazza con lunghi capelli mossi e neri fece loro cenno d’entrare.
Era alta e formosa, le gambe perfette, le labbra carnose, rosse come le rose, sembrava una dea da tanto era bella.

  La ragazza chiuse la porta e bisbigliò poche parole, creando una barriera di protezione, e poi guidò Ame ed Enea lungo un corridoio, passarono accanto a numerose stanze senza fermarsi. Arrivarono davanti a quella che sembrava essere una cucina e dopo aver chiuso le finestre e le tende, la ragazza sorrise ad Enea.
-         Da quanto tempo.
Le brillavano gli occhi, era chiaro come il sole che ne era innamorata e Ame sentì una fitta al petto.
-         Direi troppo.
Se Enea non avesse dato le spalle ad Ame lei si sarebbe accorta che lo sguardo di Enea era carico di emozioni, non meno di quello della ragazza.
Tossicchiando Enea si ricompose.
-         Lou lei è Ame.
-         Molto piacere.
Lou le afferrò la mano e le sorrise, Ame era come stregata da quella ragazza.
-         Vi preparo del thè caldo sedetevi, vi prego.
I due si accomodarono sulle sedie di legno ed Enea si tolse le lenti, così Ame fece lo stesso.
- Cavoli, quando ho sentito bussare ho preso un colpo, ho infilato le lenti di corsa e mi danno un bel po’ fastidio.
Esclamò Lou appoggiando le sue lenti sulla mensola vicino alla finestra e quando si voltò per appoggiare un piatto colmo di biscotti fatti in casa, Ame rimase senza parole. Le iridi della ragazza erano scarlatte, un rosso così acceso sembrava innaturale.
Lou alzò lo sguardo, incrociò quello stupito di Ame e preoccupata le chiese se c’era qualcosa che non andava.
-         Oh, no, nulla. Solo che non avevo mai visto degli occhi rossi… ecco tutto.
-         Ah, non sapevo che per te era insolito… vuoi che rimetta le lenti?
-         Ma no, figurati, solo che da dove vengo non ne ho mai visti, non naturali, ma sono molto belli.
Ame arrossì imbarazzata e Lou le sorrise amichevolmente.
Il thè ormai era pronto e Lou lo versò nelle tazze di porcellana.
-         Allora ci darai una mano?
Chiese mentre riempiva l’ultima tazza e il profumo del thè riempiva la stanza.
-         Io ancora non lo so.
-         Capisco.
Il volto di Lou si fece sempre cupo donandole un aspetto tetro. Ma c’era qualcosa in più che traspariva dai suoi occhi, non era tristezza bensì delusione.
-         Purtroppo Ame non c’è più molto tempo per decidere.
Commentò Enea.
-         E che non ho ancora capito bene tutta la faccenda, insomma è davvero così terribile ciò che è successo?
Lou impallidì e la teiera le scivolò dalla mano, cadendole sul tavolo e rovesciando il thè rimasto. Scusandosi, prese uno straccio e asciugò come poteva il liquido caldo che si diffondeva sulla superficie lignea.
Ame aveva intravisto alcune lacrime spuntare dagli occhi di Lou. Enea si era alzato e le aveva dato una mano, preoccupato.
-         Posso?
Domandò Enea guardando Lou, lei non gli rispose ma annuì un poco.
-         La famiglia di Lou è stata sterminata da Wareck, sotto ai suoi occhi.
Alcuni singhiozzi fecero sussultare Lou che uscì velocemente dalla stanza.
-         Non è mai riuscita a dimenticare quella notte e nemmeno io. Avevamo tredici anni quando quel pazzo ha deciso di privarci del nostro futuro.

  Ame si sentì terribilmente in colpa e pregò Enea di raccontargli tutto.
Ma lui non ci riuscì, era già difficile ricordare quella notte, figuriamoci raccontarla.
Poco dopo Lou tornò in cucina. Scusandosi di nuovo.
-         Vedi Ame, io non sono la sola ad aver perso tutto quella notte e quando mi sento dire di essere stata fortunata a sopravvivere mi viene da urlare. Che senso ha sopravvivere se non si può vivere? E come me ce ne sono tanti, per questo ti chiedo di aiutarci e in cambio ti giuro di proteggerti a costo della vita.
Giurò Lou guardandola negli occhi, occhi che nascondevano una terribile sofferenza.
-         Va bene.
Affermò Ame.
-         Vi aiuterò, anche se non so come.
Lou la abbracciò di slancio ed Enea la fissò confuso. Se avesse saputo che Lou l’avrebbe aiutata a decidere l’avrebbe portata lì molto prima.
-         Vieni con me ho un regalo di ringraziamento.
Lou trascinò Ame fuori da quella stanza con un sorriso tirato sulle labbra.
Enea tornò a sedersi scuotendo la testa, perso in vecchi e dolorosi ricordi.
 
  Aaron sfondò la porta della casa di legno, immersa nel bosco, ed ordinò ai soldati di perlustrare la casa. Dalle informazioni ricevute i due ribelli dovevano essere lì.
-         Signore qui non c’è nessuno.
Disse un soldato ad Aaron, il più giovane generale delle truppe di Wareck.
-         Merda!
Sbraitò Aaron ribaltando il tavolo di legno.
Erano fuggiti.

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Capitolo 8
*** Ricordi ***


Capitolo VIII:
“Ricordi”

Enea sentiva dalla cucina le voci delle due ragazze, ma era così immerso nei suoi pensieri da non riuscire a concentrarsi su ciò che dicevano, anche se ogni tanto sentiva delle risate.

  Ben sette anni prima tutto era cambiato nella sua vita e in quella di Lou.
I due si conoscevano fin da piccoli ma erano destinati a ricoprire ruoli diversi, lei sarebbe diventata una Custode del Fuoco, lui un guerriero.
Ma la notte del 16 novembre di quando avevano tredici anni, il loro futuro fu spazzato via, come le foglie morte vengono spazzate via dal vento autunnale.
Quella sera nel piccolo villaggio dove vivevano si era festeggiata la ricorrenza della fondazione del villaggio, i genitori di Enea erano andati via per lavoro, un lavoro che dava il voltastomaco ad Enea, anche per questo non sentiva la loro mancanza.
Quella sera aveva incontrato Lou insieme alla sorella Erin e avevano passato una serena e allegra serata.
Nessuno di loro avrebbe immaginato cosa sarebbe successo quella notte.

  Enea era già andato a dormire quando sentì provenire dalla strada urla di terrore miste a grida terrificanti.
Enea si alzò velocemente dal letto e fece in tempo a vedere le fiamme divampare in casa sua, terrorizzato corse fuori e riuscendo ad arrivare in strada vide in lontananza un gruppo di uomini con lunghe tuniche nere dare fuoco alle case e uccidere senza scrupolo le persone. Realizzò che a due isolati da lì c’era la casa di Lou, con il cuore in gola si mise a correre senza mai fermarsi, scavalcando i corpi privi di vita lasciati in mezzo alla strada. Purtroppo riconobbe alcuni di quei corpi: amici, parenti.
Con le lacrime che iniziavano a bruciargli gli occhi raggiunse la casa di Lou. Sentì delle urla provenire dalla casa e si fiondò dentro.
Appena entrato calpestò una pozza di  sangue e vide i corpi dei genitori di Lou lambiti dalle fiamme con un pugnale conficcato in mezzo alla schiena.
Salì velocemente le scale, il fratello di Lou, Denny, accasciato a terra, dal fondo del corridoio udì le urla disperate di Lou ed Erin.
Un uomo con un lungo mantello nero stava puntando il pugnale alla gola di Erin che faceva da scudo col suo corpo a Lou, la cui gamba era bloccata sotto ad un mobile. D’istinto Enea spinse via l’uomo, gli prese il coltello e dopo una colluttazione lo trafisse in pieno petto, non capì subito cosa aveva fatto.
Le gambe di Erin cedettero e iniziò a tossire sangue era stata colpita molte volte, non sarebbe sopravvissuta.
-         Enea, ti prego porta via di qui Lou, ti supplico.
Gli occhi rossi di Erin lo guardarono imploranti.
Enea spostò il mobile che bloccava la gamba di Lou e la prese in braccio.
-         Erin, vieni con noi, Erin!
Lou urlava disperata porgendo la mano alla sorella.
-         Mi dispiace Lou, non riesco a muovermi. Abbi cura di te.
Enea corse in corridoio ripercorrendo a ritroso la strada.
-         Lou chiudi gli occhi.
Sussurrò Enea, ma ormai era troppo tardi. Lou aveva visto il corpo del fratello inerme a terra, gli occhi le si riempirono di lacrime e faceva fatica a respirare, vedeva male a causa di tutte quelle lacrime e distinse solo le sagome dei corpi dei genitori.
Le urla strazianti di Lou laceravano il cuore ad Enea.

  Quella notte si nascosero nel bosco, ma fortunatamente un gruppo di ribelli trovandoli, li portarono nel loro nascondiglio, dandogli una casa.
Prima che Lou tornasse a parlare ci vollero mesi.
 
Enea si ridestò dai suoi ricordi accorgendosi solo allora di aver pianto.
Si alzò e raggiunse le ragazze.
-         E questo è l’ultimo!
Sentì esclamare a Lou, aveva preso dei vestiti per Ame.
Ame ringraziò.
-         Come mai hai solo maglie che arrivano alle ginocchia e tutte a maniche lunghe? Non ne hai di più corte e comode?
Domandò Ame a Lou.
Lou esitò qualche istante, poi Enea la sentì dire:
-         Perché io sono più comoda così, credimi.
Mentiva ed Enea lo sapeva. Su tutto il lato destro, dalla coscia alla schiena aveva la cicatrice di un’ustione, un marchio orribile che le ricordava quella notte del 16 Novembre.
 
-         Così non li hai trovati.
-         No, signore.
Dichiarò Aaron a Wareck, con la testa bassa, in ginocchio.
-         E’ vero che lei è una discendente della pioggia?
-         Non so risponderle, ma ne dubito.
-         Sarà meglio per te.
Sibilò Wareck tra i denti. Aaron si alzò e uscì da quella stanza.
Li avrebbe trovati e uccisi.

 

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Capitolo 9
*** Impegno ***


Capitolo IX:
Impegno

Sbadigliando Ame si svegliò e allungando le braccia sopra la testa si stiracchiò. Sentì bussare alla porta.
-         Sì?
-         Sono Lou, è pronta la colazione Ame.
-         Arrivo subito.
Ame si vestì velocemente con gli abiti che Lou le aveva procurato: decisamente più femminili, ma soprattutto della sua taglia.

  Il giorno prima lei ed Enea si erano trasferiti da Lou, che li aveva accolti volentieri.
La sera precedente, poco prima di andare a dormire, Lou aveva detto ad Ame che sarebbe stata lei ad allenarla dora in poi.
Entrata in cucina Ame vide Enea e Lou parlare con aria seria, ma non appena si accorsero della sua presenza, Enea la salutò distratto e i due non continuarono il discorso. Facendo finta di niente Ame si sedette di fronte a Lou, che le porse una tazza di latte caldo e dei biscotti rigorosamente fatti in casa.
-         Questa mattina pensavamo di farti fare un po di allenamento nel corpo a corpo e oggi pomeriggio, invece, di spiegarti le informazioni base sul controllo degli elementi.
-         Ok, mi impegnerò al massimo.
-         Bene, ora mangia.
La esortò Lou con dolcezza.
Ame mangiò velocemente e poi seguì Enea e Lou in una stanza gigantesca.

  -         Questa stanza occupa gran parte della casa e serve per allenarsi, là in fondo ci sono gli attrezzi per esercitarsi.
Lou indicò un piccolo ripostiglio traboccante dei più disparati attrezzi da cui i tre presero delle spade di legno.
Ame affrontò Enea per primo.
Le loro spade si incrociarono spesso a mezzaria e ogni colpo risuonava nellaria, rimbombando nella stanza.
Dopo alcuni minuti Lou fermò il loro incontro: erano pari.
-         Ora tocca a me.
Lou si posizionò di fronte ad Ame che ancora ansimava senza fiato.
Enea diede il via allincontro.
Con estrema agilità e abilità Lou affondava i colpi, rompendo la guardia di Ame con facilità, sembrava una danza, bellissima e mortale.
Ame le teneva testa a fatica, mentre Lou non aveva alcuna difficoltà a parare i suoi colpi, così Ame tentò di colpirle il fianco ma con un gesto veloce Lou parò il colpo e la disarmò.
Ame era rimasta completamente spiazzata senza riuscire a distogliere lo sguardo da quello scarlatto di Lou; questultima raccolse la spada di Ame e gliela porse.
-         Su, di nuovo.
La incitò Lou.

  Lallenamento era stato pesante e Ame si massaggiò le spalle, era riuscita a colpire Lou una sola volta, una misera ed insignificante volta, mentre laltra le aveva lasciato parecchi lividi sul corpo.
-         E davvero abile.
Affermò Ame rivolta ad Enea.
-         Puoi dirlo forte. Da quando quel gruppo di ribelli si è preso cura di noi ci siamo allenati molto e lei con particolare cura e impegno. Se cadeva otto volte, nove volte si rialzava, magari stanca, magari ferita, ma per quanto le costasse fatica tornava a reggersi sulle sue gambe.
Raccontò Enea con lo sguardo rivolto a Lou.
-         Prima o poi la batterò.
Affermò Ame con decisione.
-         Già, e spera di riuscirci presto!
Enea le sorrise e le diede una pacca benevola sulla testa.
Il cuore di Ame accelerò i battiti e alzò lo sguardo per guardare Enea in viso. Lou ed Enea erano alti quasi uguali, lui la superava di poco, mentre Ame era davvero minuta, sembrava una bambina in  confronto a loro.

  Nel pomeriggio Lou spiegò alcune cose fondamentali ad Ame:
-         Prima di tutto devi sapere che i Custodi sanno governare il loro elemento alla perfezione, ogni clan impara a controllare un elemento.
Le cominciò a spiegare.
-         Poi devi sapere che è molto semplice capire che elemento controlla la persona che hai davanti: basta guardare il colore delle iridi degli occhi.
Proseguì Lou indicando i suoi occhi.
-         E questo è uno dei motivi del perché Wareck obbliga ad indossare le lenti: per uniformare la massa e in caso di scontro con i ribelli, questi non sanno cosa è in grado di fare lavversario.
Aggiunse Enea.
-         Io controllo il fuoco mentre Enea le piante.
Riprese Lou.
-         Però tu vieni da un altro mondo e perciò non controlli alcun elemento e tantomeno sei capace di praticare incantesimi di alcun tipo. Per questo dovrai sempre indossare questo.
Lou le porse una collana con appeso un ciondolo di una pietra trasparente con riflessi dei colori più disparati.
-         Questo ti permetterà di convertire la tua energia normale in unenergia capace di farti controllare elementi, fare alcuni incantesimi e farti guarire in fretta, anche se in modo limitato.
Ammise Lou mentre Ame indossava la collana.
-         Tienila nascosta sotto la maglia, mi raccomando.
-         Da domani ci alleneremo sul controllo degli elementi, va bene?
Domandò Enea.
-         Certo.
Affermò Ame con un sorriso sulle labbra.
 

-         Così sei riuscito a fallire, eh Aaron?
Lo schernì Emerald.
-         Lasciami in pace, non hai nulla da fare?
Sbottò Aaron furioso.
-         In realtà mi diverte vederti fallire, sai potresti non essere il braccio destro di Wareck ancora per molto. Non mi dispiacerebbe prendere il tuo posto.
Aaron proseguì lungo il corridoio senza rispondere. Doveva elaborare un piano il prima possibile.

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Capitolo 10
*** Controllo e Partenza ***


Capitolo X:
“Controllo e Partenza”

  Lou le aveva fatto promettere di indossare sempre il ciondolo, sia che dormisse sia che facesse qualsiasi cosa. Ame lo teneva nascosto sotto la maglia e quando andò in giardino notò che Tora aveva incastonato nel collare una pietra simile  a quella del suo ciondolo.
Attraversò il giardino e raggiunse l’entrata secondaria della palestra, ma sentì chiamare il suo nome da dietro.
-         Ame ci alleniamo in giardino!
L’avvisò Enea dall’altra parte del giardino.

  -         Per migliorare nel corpo a corpo devi prima di tutto imparare alcuni incantesimi di difesa e le basi del controllo degli elementi.
Spiegò Lou e avvicinandosi ad Ame le insegnò gli incantesimi e i gesti che doveva compiere.
-         Inizia Enea.
Enea appoggiò la mano a terra e Ame avvertì la terra tremare sotto di sé. Ame appoggiò entrambe le mani a terra e sussurrò poche parole, che avrebbero dovuto bloccare le radici che stavano per sbucare dal terreno.
Ma era stata troppo lenta e le radici le legarono le gambe, facendole perdere l’equilibrio.
-         Pronuncia l’incantesimo di fuoco!
Le ricordò Lou.
Quando Ame lo pronunciò le radici si ritrassero, ma il ciondolo iniziò a scottare sulla sua pelle.
-         Tutto bene?
-         Credo di sì.
-         Ricorda: fuoco batte terra, terra batte acqua, acqua batte fuoco.
-         E aria?
-         Batte tutto, ma non preoccuparti, da quanto ne sappiamo coloro che la controllavano sono stati sterminati tutti da Wareck, ne aveva troppa paura.
Dopo pochi minuti ricominciarono, ma ogni volta che usava un incantesimo qualunque sentiva il ciondolo bruciarle la pelle.
-         Mi fa male.
-         Ti brucia perché ancora non sai controllarti. Non toglierlo!
L’ammonì Enea vedendo che stava per sfilarsi la collana.
-         Quando saprai controllare tutto, le cose andranno molto meglio, per questo ci alleniamo.
Dopo Enea si fece avanti Lou, che controllava alla perfezione il fuoco. Immediatamente una pioggia di fuoco si avventò su Ame che la schivò a fatica.
-         Usa gli incantesimi di controllo!
La incitò Enea.
Lou scatenò una palla di fuoco del diametro di almeno tre metri contro Ame, che spaventata innalzò un muro d’acqua ma era decisamente troppo debole e la palla di fuoco superò la barriera, allora Ame creò una semplice bolla difensiva intorno a lei e riuscì a difendersi. Il ciondolo iniziò a bruciare più intensamente e la barriera cadde poiché Ame aveva perso la concentrazione e fu subito colpita da una lingua di fuoco che ancora non si era spenta. Il dolore era lancinante.
-         Stai esagerando.
Enea rimproverò Lou.
-         Se vuole davvero affrontare Wareck deve allenarsi e nessuno le ha detto che sarebbe stato facile o rilassante. E non abbiamo molto tempo!
-         Ma nemmeno che l’avremmo cotta arrosto!
-         Va bene. Ame fai una pausa e guarda me ed Enea.

  I due si fronteggiarono con aria decisa.
Enea con un colpo del piede fece tremare la terra che si crepò sotto Lou e usando le piante che si trovavano dietro di Lou tentò di legarla, ma lei piroettò su se stessa creando un vortice di fuoco e distruggendo le piante, poi passò al contrattacco.
Lou evocò una pioggia di fuoco decisamente più fitta di quella usata contro Ame, ma Enea creò una barriera gigantesca, riuscendo a coprire anche Tora ed Ame. Enea appoggiò entrambe le mani a terra e sollevò la zolla di terra dove c’era Lou, e poi la fece schiantare di colpo. Ame sussultò preoccupata.
Quando la polvere si dissolse Ame cercò Lou, ma non c’era alcuna sua traccia, Enea dissolse la barriera e fu subito colpito da una palla di fuoco, Lou era appoggiata al ramo di un albero ansimante, un rivolo di sangue usciva dalla sua bocca sorridente. Il ramo si piegò su se stesso e la imprigionò.
-         Arrenditi.
La incitò Eneasorridente.
-         Scacco matto.
-         Cosa?
Enea fu avvolto da una spirale di fuoco che gli si stringeva a poco a poco attorno.
-         Ok, ok. Domani voglio la rivincita.
I due scoppiarono a ridere, avevano messo sotto sopra metà del giardino.
Ame rimasse immobile con gli occhi spalancati: con lei avevano giocato, non erano stati affatto seri.
Terrorizzata Ame si ripromise di impegnarsi di più.
 

  Lou pensò che la notte fosse calata troppo presto, Ame dormiva di già esausta ed Enea stava sistemando gli ultimi bagagli.
-         Sei sicuro di andare? Sarà pericoloso.
-         Lo so, ma cosa posso farci, tutto è pericoloso per noi.
Con uno strattone chiuse finalmente l’ultimo borsone.
-         Per le informazioni che abbiamo può esserci un sopravvissuto del clan dell’aria, dobbiamo arrivare prima di Wareck.
-         Con chi vai?
-         I ribelli dell’est, sembra che lui si trovi in quelle zone.
-         Fa attenzione.
-         Ho lasciato una lettera per Ame dove le spiego la faccenda. Tornerò presto.
Enea schioccò un bacio sulle labbra di Lou.
-         Torna presto.
Con un cenno della mano Enea salutò Lou e Tora lo affiancò. Insieme si allontanarono nella notte buia.
Lou chiuse la porta con le lacrime agli occhi.
 

  Aaron e le sue truppe si mossero verso est, dovevano eliminare l’ultimo sopravvissuto del clan dell’aria, ma sarebbe stato un viaggio snervante: ad affiancarlo c’era quello spocchioso di Emerald. Sbuffando avanzò con le truppe nella fredda aria notturna.

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Capitolo 11
*** Silenzio ***


Capitolo XI:
“Silenzio”

  Ame si svegliò dal torpore del sonno, aprì lentamente gli occhi e scostò le lenzuola; era una tiepida giornata estiva e l’aria fresca entrava dalla finestra che Ame aveva lasciato aperta la sera prima. Sentì dei rumori in cucina e capì che Lou si era già alzata.
Si alzò dal letto e andò a lavarsi il viso e non appena tornò nella stanza si accorse della presenza di una lettera sul suo comodino indirizzata a lei.
La aprì dopo aver letto, con sorpresa, il nome del mittente.
Ad Ame,
come presto ti accorgerai sono partito. Lo so non è una cosa molto simpatica lasciarti in casa di una sconosciuta, ma fidati di Lou.
Ieri sera sono stato contattato dai ribelli dell’est, sembra che abbiano trovato un sopravvissuto del clan dell’aria, ed è nostro compito portarlo al sicuro, se la notizia è arrivata a noi, Wareck lo sa già.
Abbi cura di te, tornerò presto, lavora sodo mi raccomando.
Enea.”

  Ame ripiegò la lettera e si diresse in cucina senza fiatare, lievemente scombussolata.
-         Buon giorno.
-         Buon giorno a te Ame.
Si sedette sulla sedia più lontana da Lou. Ame ancora non capiva cosa sentiva per Lou, tra loro cera una specie di sottile muro di vetro che le divideva, le sembrava che Lou tenesse un certo distacco da lei.
In silenzio, con il solito sorriso, Lou appoggiò la torta in centro al tavolo e un bicchiere di succo di frutta di fronte ad Ame.
-         Ultimamente ti vedo sempre sorridente.
-         Dici?
Domandò Lou senza scomporsi.
-         Ma non mi sembri felice.
Lou andò avanti a sistemare sul tavolo la colazione e poi si sedette di fronte ad Ame.
Si fissarono negli occhi, il sorriso di Lou piano piano si dissolse.
-         Come mai lo chiedi?
-         Era un’affermazione.
Sottolineò Ame.
Lou alzò un sopracciglio con aria interrogativa.
-         Quando c’è Enea sei sempre allegra e si vede, ma se lui non c’è un velo di tristezza che cala su di te.
-         Il perché è ovvio.
-         Ma tu provi anche paura.
-         Ogni volta che si allontana da me potrei non vederlo mai più, il che mi sembra un buon motivo non credi?
-         Già, ma quello che intendevo è...
-         Muoviti a mangiare e vieni ad allenarti.
La esortò Lou accennando un lieve sorriso e uscì dalla stanza lasciando Ame sola.
 


  Enea non era nemmeno a metà tragitto e camminava in mezzo alla boscaglia affiancato da Tora, che non l’aveva mai abbandonato.
Il silenzio circondava tutto intorno a loro, un pacifico silenzio li avvolgeva, persino le cicale tacevano.
Ci avrebbe messo un giorno, se continuava spedito, a raggiungere il primo punto in cui farsi riconoscere, e forse entro una settimana avrebbe raggiunto il luogo dell’incontro per poi prelevare il bambino, era decisamente troppo tempo.

  Il messaggio che Adrien gli aveva inviato era stato chiaro: avevano trovato il bambino poco prima dei sicari di Wareck e lo avevano nascosto in un loro rifugio, ma dovevano portarlo via di lì. Purtroppo erano impossibilitati a lasciare la base poiché molti di loro erano gravemente feriti.
Il sole così alto faceva dedurre che fosse mezzogiorno.
Per quanto potesse andare veloce doveva sbrigarsi, il bambino doveva essere portato via di lì prima che i soldati di Wareck arrivassero.
Tora sbadigliò ed Enea le accarezzò il muso con lo sguardo assorto.
 


  -         Ame alzati!
Ame era a terra scottata dal ciondolo e da Lou. Le fiamme di Lou però non la bruciavano, come se Lou non volesse farle alcun male. Ansimante Ame si mise in ginocchio e appoggiò le mani a terra.
-         Ame è troppo evidente quello che vuoi fare!
Le urlò Lou.
Ame però alzò le mani sollevando un enorme quantità d’acqua presa dal terreno e la lanciò con un getto contro Lou che presa alla sprovvista bloccò il colpo all’ultimo.
Il ciondolo scottò di nuovo, ma molto meno rispetto al giorno prima.
-         Brava!
Esclamò Lou.
Lou soffiò un getto di fuoco sottile, apparentemente innocuo ma quando fu a pochi metri da lei si accorse che sembrava essere appuntito.
Ame si scostò ma il getto seguì ogni suo movimento, si fece prendere da un ramo che la portò sull’albero, ma un istante prima di essere colpita si buttò giù e l’albero fu colpito al posto suo.
Ame non aveva ancora provato a manovrare il fuoco così lasciò che Lou le lanciasse una pioggia di fuoco e provò a contrastarla per poi lanciarla contro al mittente, ma era troppo debole per fare una cosa del genere e fu colpita in pieno.
-         Tutto ok?
-         S…sì.
Tossì Ame rialzandosi.
 


  Aaron fece fermare le truppe per un po’ di ristoro e andò nella sua tenda improvvisata; tutto ciò che voleva era del semplice silenzio per poter pensare in santa pace.
Pensò a come muoversi e se fosse stato più agevole dividere le truppe in gruppi più piccoli per scovare prima il rifugio dove si trovava il bambino capace di controllare l’aria.
-         Generale, Emerald vuole parlarle.
-         Fallo entrare.
Disse sospirando rassegnato.
-         Ma come sei scuro in volto o mio bel morettino.
Esordì Emerald entrando nella tenda.
-         Cosa vuoi?
Domandò scocciato Aaron, fulminandolo con lo sguardo.
-         Controllarti, sono qui per questo, no? Per essere sicuri di portare a termine la missione. Ti stai un po’ rammollendo.
Aaron fu tentato di tirargli un pugno in pieno viso, ma si costrinse a trattenersi. Emerald gli si avvicinò, i suoi capelli biondi e lunghi raccolti in una coda stretta svolazzarono.
-         Non è che hai ripensamenti?
-         Non dire sciocchezze!
Urlò esausto alla fine, non ne poteva già più di quell’essere. Sarebbe stato lui a portare a termine la missione, lui e nessun altro. A qualsiasi costo.

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Capitolo 12
*** La Grande Cascata ***


Capitolo XII:
“La Grande Cascata”

  Dopo una lunga ed estenuante settimana, in cui Enea e Tora avevano camminato senza mai fermarsi, tagliando in mezzo ai boschi raggiunsero la Grande Cascata.
La Grande Cascata era un’enorme cascata che ricadeva scrosciante in un lago limpido in cui vivevano diversi pesci dai colori vivaci.
Era però impossibile avvicinarsi troppo ad essa nessun essere vivente sarebbe riuscito a passarci attraverso, per raggiungere la grotta che proteggeva: la pressione dell’acqua era notevole e se non si moriva schiacciati si annegava spinti verso il fondale con violenza.
In quella grotta c’era il rifugio dei ribelli dell’est e buona parte di loro facevano parte del clan dell’acqua.

  Enea controllò che non ci fosse nessuno nei paraggi, e vedendo che accanto a lui c’era solo Tora, appoggiò le mani sulla roccia nel punto pi vicino alla cascata e fece spuntare una lastra di roccia che per qualche secondo avrebbe resistito alla pressione dell’acqua, ed insieme a Tora passarono sotto alla lastra ritrovandosi nella grotta.
Con un botto improvviso la lastra cadde e la cascata continuò a scorrere con violenza bloccando di nuovo il passaggio alla grotta.
L’eco dei passi riempiva la grotta e l’umido penetrava nelle ossa.
Ancora qualche centinaio di metri e sarebbe arrivato.
 
  Ame riusciva a controllare la terra e l’acqua, ma se si trattava dell’aria o del fuoco non riusciva a fare molto, anzi ben poco.
Quando aveva provato ad usare l’aria era volata a cinque metri d’altezza e se non fosse stato per Lou si sarebbe schiantata al suolo.
In quella settimana aveva potuto parlare molto di più con Lou ed ora andavano decisamente d’accordo. Ame però vedeva Lou ogni giorno più triste e stanca come se fosse logorata dall’interno. Più volte le aveva chiesto cos’avesse, ma le poche volte che le rispondeva, affermava che era perché sentiva la mancanza di Enea. Ma non era quel tipo di preoccupazione, Lou le teneva nascosto il vero motivo.

  La notte prima Ame era stata svegliata dalle urla di Lou, urla di dolore. Ame era corsa nella sua stanza e si era accorta che Lou stava dormendo, era sudata e agitata. Ame le aveva posato una mano sulla fronte: era bollente. Era corsa a prendere dei panni e li aveva bagnati con acqua fredda e poi li aveva appoggiati sulla fronte, sui polsi e sulle caviglie di Lou e le era stata accanto tutta la notte.
Quando Lou si era svegliata l’aveva trovata la mattina seguente ancora addormentata, con la testa appoggiata sul materasso e le gambe scomposte, appoggiate a terra.

  -         Ame ora voglio insegnarti ad usare bene il fuoco, non puoi essere allenata da me e non saper come controllarlo. Vieni qui.
Ame si avvicinò con prudenza a Lou, ma non vedendola muovere alcunché si avvicinò abbassando la guardia e quando era a due passi da lei, un muro di fuoco le separò.
-         Ma come?
-         L’arte del fuoco è l’unica che può essere usata senza particolari metodi o imposizioni delle mani.  Si tratta solo di concentrazione, devi visualizzare nella tua mente ciò che vuoi fare e concentrarti, trasformando la tua energia in fuoco, è molto difficile, ma quando se ci riuscirai saremo a buon punto e per premio ti porterò ad una festa del villaggio. Da quando sei qui non fai altro che allenarti!
Sorridendo Ame annuì allegra, in fondo ne aveva bisogno.
Quel pomeriggio iniziò a fare esercizi di concentrazione e meditazione, per riuscire ad usare appieno il fuoco.

 
  Enea curvò ancora a destra e si trovò di fronte ad un enorme masso, tirò un calcio nel mezzo e lo sbriciolò. Dopo poco sentì una voce assonnata lamentarsi.
-         Ma che modi sono questi?
Sbadigliò Adrien, i capelli biondo cenere scompigliati, gli occhi azzurri ancora socchiusi dal sonno.
-         E’ pieno pomeriggio.
Gli fece notare Enea.
-         Sì, be’… Emy porteresti un attimo Enea da Ian, io vado a sistemarmi.
Stiracchiandosi si allontanò borbottando.

  Emy dopo aver fatto un cenno di saluto ad Enea lo condusse dal bambino che era in una stanza assieme ad una signora di mezza età: la donna che lo aveva salvato e portato dai ribelli.
Ian guardò con curiosità il nuovo arrivato poi tornò a concentrarsi sulla piuma che stava facendo fluttuare nell’aria.
La signora si alzò e si presento ad Enea.
-         Mi chiamo Dalila.
-         Piacere, Enea.
Le strinse la mano sorridendo. La donna era paffuta e brizzolata, aveva un’aria combattiva e decisa.
-         Potrei parlare solo con… Ian?
-         Va bene. Emy ti va di aiutarmi a cucinare?
La ragazza annuì, i boccoli color castano scuro le rimbalzarono sulle spalle, e seguì Dalila in cucina.

  Enea non aveva mai sentito parlare Emy, non sapeva se la ragazza fosse muta o semplicemente non avesse intenzione di parlare. Distogliendosi da quei pensieri si rivolse ad Ian.
-         Io sono Enea.
Il bambino lo fissò.
-         Lo so. L’hai appena detto alla zia.
Enea aggrottò le sopraciglia.
-         Quanti anni hai?
-         Otto. Tu?
-         Venti.
Enea sorrise e proseguì.
-         Dove sono i tuoi genitori?
-         Sono partiti per un viaggio. Io vivo con zia Dalila. I tuoi?
-         Vivo da solo.
-         E non hai paura?
-         Un po’. Soprattutto la sera ma con me c’è la mia tigre.
Indicò Tora accovacciata fuori dalla porta.
-         Bella! La posso accarezzare?
-         Certo è molto brava, non morde.
Ian si alzò con gli occhi luccicanti e corse ad accarezzare Tora, felice.
La piuma che fino a poco prima fluttuava si posò delicatamente a terra.
 
  Aaron, cinque soldati ed Emerald camminavano in silenzio nella boscaglia, con le orecchie tese a cogliere il minimo rumore.
Avevano sentito delle rocce cadere e stavano cercando quel luogo, sperando che nascondesse il rifugio dei ribelli.
Qualche centinaio di metri più avanti si ritrovarono vicino ad un fiumicello che scorreva veloce.
-         Qui vicino non c’è la Grande Cascata?
Domandò Aaron.
-         Sì, è a un’oretta da qui.
Confermò serio Emerald.
-         Ci siamo.
Sorrise Aaron.

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Capitolo 13
*** Scontro ***


Capitolo XIII:
“Scontro”

  Enea mangiò con gusto la pietanza che aveva nel piatto, era una settimana che non faceva un pasto decente…
Era davvero troppo tempo, il suo pensiero corse a Lou e ad Ame, sperava solo che tutto andasse bene.
Si voltò verso Adrien, che come al solito mangiava lentamente, facendo quasi venire l’ansia.
-         Tu ed Emy venite con me?
-         Per forza, ormai non siamo più al sicuro qui.
Sospirò Adrien fissando pensieroso il bambino che parlava allegramente con Dalila. Chissà se capiva la gravità di quella situazione.
-         Hai per caso scoperto chi ha parlato con il braccio destro di Wareck? Chi ci ha tradito?
-         Per ora sono solo voci che girano, ma sembra sia stato Roy.
-         Ma non l’hanno giustiziato?
-         Non gli serviva a niente dopo aver dato l’informazione, in più voi siete scappati, perciò potevano pensare che la soffiata fosse falsa.
Enea ricordava Roy come un ragazzo esile ed emotivamente fragile, senza personalità, né coraggio, per questo non si stupì troppo di quella rivelazione.
-         Sono proprio curioso di conoscere la Discendente, sai?
Lo sguardo di Adrien era un misto di emozioni su cui dominava la curiosità.
-         Lei non sa di essere una Discendente, ho preferito non dirle niente su questo argomento.
-         Ma come? E’ una cosa essenziale!
Adrien era sorpreso e stupito da quella omissione di Enea.
-         Quando la conoscerai capirai.
Sospirò Enea sollevando lo sguardo. Ame era cocciuta, testarda e sensibile, forse troppo, per questo era meglio tenerle nascosto ancora per un po’ quella vicenda.
Adrien si era infine arreso con un’alzata di spalle e aveva ripreso a mangiare.
Ian stava giocando con Dalila e Tora.

  Emy appoggiò una mano sulla spalla di Adrien facendogli segno di stare fermo.
Dopo pochi secondi la ragazza lo strattonò violentemente per il braccio, che aveva appena mosso, e lui si rovesciò l’acqua addosso.
-         Ma che cavolo fai?!
Sbraitò Adrien scocciato.
-         Sta arrivando qualcuno?
Domandò Enea rimanendo col fiato sospeso
Emy fece cenno di sì con il capo, gli occhi del colore della sabbia del deserto erano spalancati dal terrore.
-         Quanti?
Domandò Adrien fissandola negli occhi.
Emy mostrò le mani: erano in sette.
-         Sono forti?
Mostrò due dita.
-         Prendi Ian e Dalila e scappate!
Ordinò Adrien alzandosi di scatto.
-         Andate da Noah, sai dov’è vero?
Emy annuì decisa, prese per mano Ian e Dalila, e di colpo scomparve.
 
  Emy oltre a sentire le vibrazioni delle piante e degli animali, e quindi i loro pensieri, sapeva anche teletrasportarsi in un raggio di venti chilometri, ma poteva farlo solo una volta al giorno, tanto era alto il dispendio di energie.
Adrien ed Enea si guardarono negli occhi.
-         Si comincia.
Sussurrò Adrien, l’adrenalina iniziò a scorrergli nelle vene.
-         Tora, aiutaci anche tu, va bene?
La tigre emise un agghiacciante ruggito.
-         Perfetto.
 
  Aaron camminava in testa al gruppo, la Cascata cadeva fragorosa nel lago.
Emerald gli stava accanto e Aaron sentiva il suo sguardo pressante su di lui.
-         Luke puoi controllare l’acqua del fiume e fermarla per qualche istante?
-         Sì signore!
Affermò il soldato, si tolse il guanto della mano destra e la immerse nell’acqua creando un getto d’acqua che deviò il fluire dell’acqua.

  Il gruppo entrò velocemente nella grotta, Luke chiudeva la fila.
I loro passi risuonarono nella grotta.
Camminarono finché, ad un certo punto, un giovane con i capelli biondi scompigliati gli si parò davanti, appoggiato ad un’alabarda.
- Oh, ma guarda intrusi. Che sorpresa!
Sul volto del giovane spuntò un sorriso minaccioso.
-         Mi sa che è l’ora della pappa anche per te, Tora.
Una tigre dal folto pelo lo affiancò, le zampe tese, pronte a balzare in ogni momento.
-         Dov’è il ragazzo del clan dell’aria?
-         Non so di cosa tu stia parlando. Chi siete?
-         Non siamo qui per giocare, fuori il ragazzo!
-         Ripeto: Non. So. Di. Cosa. Parli.
-         Se la metti così non ho altra scelta, prendetelo.
Tre dei soldati si scagliarono contro Adrien e lo trafissero con le spade.
La sua figura tremò e poi si scompose, dell’acqua cadde a terra.
-         Era un fantoccio d’acqua!
Urlò uno dei tre.
Si guardarono attorno disorientati, Tora con un balzo saltò loro addosso, e quelli caddero, picchiando la testa e perdendo i sensi.
Luke prese una freccia per colpire Tora.
Un getto d’acqua colpì Luke poco prima che potesse scoccare la freccia, facendolo volare dall’altra parte della grotta. Luke picchiò violentemente la schiena contro la fredda e dura roccia della parete della grotta.
 Dalla terra spuntò una pianta che legò l’ultimo soldato per poi scaraventarlo a terra.
-         Fatevi vedere!
Urlò Aaron sguainando la spada. Emerald prese l’alabarda e si mise in posizione, schiena contro schiena lui ed Aaron rimasero immobili.
Aaron non aveva alcun potere quindi stava ad Emerald avvertire il pericolo. Il silenzio si fece pesante, le orecchie erano tese ad ogni minimo rumore. Emerald si guardò intorno, un luccichio brillò sopra le loro teste.
-         Dall’alto!
Una stalattite cadde nell’esatto punto in cui erano i due, le schegge graffiarono il loro viso e le loro braccia, ma almeno erano vivi. Per il momento.
-         Vigliacchi fatevi vedere!
-         Noi saremmo i vigliacchi?! O lo siete voi che volete uccidere un bambino?
L’accusa di Enea risuonò nella grotta, e la sua figura sbucò dall’ombra della caverna, l’arco teso, la freccia puntata contro Aaron.
-         Andatevene o non esiterò ad uccidervi.
-         Fatti sotto allora.
Lo provocò Emerald scagliandosi contro di lui, ma fu costretto a fermarsi: un getto d’acqua lo bloccò come un muro.
-         Tu sei mio biondino.
Disse Adrien.
-         Vediamo chi sa usare meglio l’alabarda, eh?
Lo sfidò alzando un sopracciglio.
Emerald gli corse in contro e lo stesso fece Adrien.
I due si fronteggiarono alla pari, le alabarde si scontrarono più volte a mezz’aria con tonfi secchi e decisi.
Con un colpo Emerald ferì al busto Adrien, che riuscì a rimanere in equilibrio e affondò un colpo per trafiggergli il ventre, ma Emerald scansò il colpo e si rimise in guardia. Per poi riprendere il combattimento.

  -         Perché lo fate?
Domandò Enea ad Aaron tenendosi a distanza da lui.
-         Sono ordini.
-         Quindi non sai pensare con la tua testa.
Aaron strinse il manico della spada finché le nocche divennero bianche.
La punta della spada mirava al collo di Enea i due si guardarono negli occhi.
-         E tu per cosa combatti?
-         Per la giustizia.
-         Ne sei sicuro? Sei sicuro di essere dalla parte del bene?
-         Noi non uccidiamo innocenti, quindi non dire stronzate!
La freccia parti dall’arco di Enea ad alta velocità, Aaron la fermò, la punta della freccia si bloccò sul filo della spada.
-         Sei bravo.
Si complimentò Enea, mentre la freccia cadeva ai piedi di Aaron.
Prima che Enea potesse ricaricare l’arco Aaron gli fu addosso, ma una radice gli bloccò il piede.
Con rabbia Aaron sradicò la radice, Enea abbandonò l’arco a terra e, sguainata la spada, colpì il braccio di Aaron, lasciandogli solo un taglio superficiale.
Aaron gli affondò la spada mirando al collo, Enea parò il colpo. I due si fissarono negli occhi, entrambi volevano vincere.
Aaron indietreggiò con un passo e fece calare la spada colpendo il busto di Enea, che urlò per il dolore.
Una macchia si sangue iniziò a inzuppare i vestiti e continuò a espandersi.
Aaron stava per dargli il colpo di grazia, la spada alta, pronta a dividerlo a metà, quando con la coda dell’occhio vide Emerald imprigionato in una gabbia d’acqua, Adrien pronto ad affondare l’alabarda nel petto dell’avversario.
Aaron corse in soccorso del compagno disarmando Adrien, che spaventato perse la concentrazione e la barriera d’acqua si lasciò andare, Emerald cadde a terra ed iniziò a tossire acqua, privo di forze.
Una freccia trafisse la pancia di Aaron, che aveva abbassato la guardia, Enea ne scagliò un’altra che gli trafisse la spalla destra, una pianta lo legò e lo immobilizzò, stritolandolo.
Enea e Adrien se ne andarono, feriti, lasciando i nemici moribondi.
 
  Aaron si dimenò, aumentando la perdita di sangue dalle ferite, la testa gli girava vorticosamente.
-         Me la pagherete!
L’urlo risuonò fin nella foresta e il giovane perse i sensi.

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Capitolo 14
*** Pericolo e Rivelazione ***


Capitolo XIV:
“Pericolo e Rivelazione”

  Ame era di fronte allo specchio, si legò i capelli castani in una coda di cavallo, picchiettò la maglia per sistemarla ed uscì in giardino.
Lou era appoggiata con la schiena ad un albero, le occhiaie erano profonde: per molte notti si era svegliata in preda allo spavento, ogni notte faceva solo incubi. Si guardò le mani che tremavano, ogni giorno pregava perché Enea tornasse, aveva bisogno di lui, solo lui poteva fermare quello che le stava accadendo, e se quella cosa si fosse risvegliata prima che Enea tornasse, Ame era in grave pericolo.
Ame le si avvicinò quasi saltellando, la coda che sbatteva a destra e a sinistra.
-         Cosa facciamo oggi?
Le domandò sorridendo.
-         Oggi sono un po’… stanca. Quindi cosa ne dici se facciamo pratica ancora con le tecniche di fuoco?
-         Va bene!
-         Però voglio che tu entro oggi lo sappia controllare, quindi ti metterò in condizione di non poter muovere le mani.
Ame guardò Lou un po’ sorpresa ed un po’ spaventata, mentre la ragazza rientrava in casa.

 Qualche istante dopo tornò in giardino con un fazzoletto di stoffa e una corda.
-         Ora ti lego i polsi per non farti muovere le mani e ti lego il fazzoletto in modo che tu non possa pronunciare una “A”!
Senza lasciar replicare Ame, Lou le fece stendere davanti a sé le braccia e le legò i polsi, poi la fece girare e le annodò il fazzoletto come ad imbavagliarla, legandolo stretto, in modo che stesse su.
Dopo di che si allontanò da Ame.
-         Ora concentrati, voglio vederti incendiare questo posto!
Scherzò Lou, lontana da Ame.
Ame la guardò male, poi chiuse gli occhi e si concentrò. Nella sua mente visualizzò una fiammella, una piccola fiamma che però emanava già calore. Respirò profondamente ed immaginò che l’ossigeno alimentasse la fiamma, che piano piano prendeva forma e si ingrossava.
Un altro respiro profondo e iniziò a vedere un piccolo muro di fuoco. Un altro respiro ed ecco che diventava un incendio.
-         Bene così Ame! Continua così!
La voce di Lou giunse inaspettata e la concentrazione di Ame vacillò, ma non perse di vista la fiammella che stava alimentando nella sua mente.
Ame riempì i polmoni d’aria ed iniziò a sentire davvero del calore, un calore piacevole, amico.
Il fuoco che Lou vedeva prendere forma davanti ad Ame era un fuocherello piacevole e benigno.
Lou sorrise e si accovacciò a terra, incrociando le gambe, appoggiò la schiena al muro e sospirò. La sua vita era stata segnata per sempre, ma forse grazie ad Ame sarebbe riuscita ad avere un po’ di pace.

  Lou cominciò a tossire, il suo corpo era scosso dai conati. No. Non poteva succedere in quel momento.
Ame aprì gli occhi, il fuoco davanti a lei sprizzava allegria, guardò Lou e la vide accasciarsi a terra, scossa da colpi di tosse. Con le mani ancora legate tentò di sfilarsi il fazzoletto ma era troppo stretto e con le mani in quello stato non poteva di certo slegarselo. Corse in contro a Lou, i suoi movimenti erano goffi e incerti, ma a pochi metri da Lou, Ame si fermò.
Le iridi rosse di Lou facevano da contorno a pupille troppo piccole, innaturali; Lou sputò sangue, il suo corpo scosso da conati e da colpi di tosse iniziava ad essere attorniato dalle fiamme. Ma erano fiamme diverse dal solito.
Lou si alzò in piedi, lo sguardo assassino puntato su Ame; no, quella non era Lou.
Ame indietreggiò impaurita, con le mani legate e la bocca imbavagliata non poteva fare molto. Provò ad evocare il fuoco ma non riuscì a concentrarsi, Lou le si avvicinò con una rapidità sovraumana e la lanciò a quattro metri di distanza. Ame sentì un dolore lancinante alle ossa: si era riparata la testa con le braccia ed ora avvertiva un dolore penetrante al braccio sinistro.
A fatica si alzò in piedi, Lou camminava verso di lei.
“Che cavolo le è preso?!” Pensò Ame col cuore in gola per la paura.
Col piede sinistro si tolse la scarpa dal piede destro, con quel contatto avrebbe potuto usare le tecniche della terra. Ma dopo aver sbattuto il piede a terra si ricordò di non poter parlare e quindi di non poter evocare alcunché. Si mise a correre terrorizzata lontano da Lou e in lontananza vide un masso con uno spigolo tagliente.
Evitò per un pelo una fiammata di Lou e corse verso il masso, le gambe molli per la paura la rendevano ancora più impacciata e per poco non cadde. Raggiunto il masso incominciò a sfregare le corde sullo spigolo, ignorando il dolore al braccio sinistro; era terrorizzata e non riusciva a piangere. Ame continuò a tagliare la corda e mentre lo faceva sentiva la pelle ferirsi, ma nulla l’avrebbe fermata.
All’improvviso Lou le afferrò il collo e la sbatté a terra con violenza, Ame le tirò una ginocchiata al ventre e si divincolò. Il ciondolo le uscì dalla maglietta, e ad Ame venne l’idea.
Mentre Lou avanzava come una furia verso di lei, Ame si concentrò sul ciondolo: se non avesse funzionato sarebbe morta.
Il ciondolo iniziò ad oscillare, scaldandosi. Ame si concentrò mentre Lou, che l’aveva ormai raggiunta, la tirò per i capelli. Improvvisamente le corde presero fuoco e sciogliendosi liberarono i polsi di Ame, che si slegò immediatamente il fazzoletto che la imbavagliava.
Appoggiò la mano destra al terreno, sollevò una roccia e la scagliò contro Lou. Ame la legò con delle radici, fatte uscire dal terreno, e con dell’acqua tolta dalle piante la inondò.
Il ciondolo di Ame era attratto da Lou, così Ame le si avvicinò, il ciondolo puntava al ventre di Lou. Ame glielo appoggiò in prossimità dell’ombelico, tenendolo legato al polso destro.
Il petto di Lou continuò a sussultare, ansimante, ma poco alla volta la ragazza si calmò, tornando in sé.
-         S… Scusami.
Balbettò perdendo i sensi.
 

  Ame stava mettendo una pezza bagnata con l’acqua fredda sul suo braccio sinistro, aveva appena finito di bendarsi i polsi feriti.
Dalla finestra la luce della luna rischiarava la stanza di Lou, che giaceva immobile nel letto. Respirava regolarmente, il petto si alzava e abbassava a ritmo regolare. Inutilmente Ame aveva provato a svegliarla e con il braccio che le doleva, aveva dovuto trascinarla da sola in casa.
Ame era scossa e disorientata da quello che era successo quel pomeriggio. Era come terrorizzata da Lou, ma il suo inconscio sapeva che la ragazza non era stata in sé quel pomeriggio e per questo Ame si sedette su una sedia vicino al letto di Lou, che dormiva.
Socchiuse gli occhi, esausta. Quel giorno sarebbe potuta morire e avrebbe detto addio ad aiutare i ribelli, a rivedere la sua famiglia.
-         Ame…
Ame aprì gli occhi e guardò Lou, che si era svegliata e aveva puntato i suoi occhi scarlatti e dispiaciuti su Ame.
-         Io non volevo, non credevo…
-         Era per questo che ultimamente eri preoccupata? Per questo che ogni notte urlavi?
-         Sì. Solo Enea ha una specie di amuleto che può placare quel… quell' essere.
-         Come mai non l’ha dato a te?
-         Perché bisogna saperlo usare e far parte del clan della terra.
-         E io come ho fatto allora a placarlo?
-         E chi lo sa? Forse sei più brava di quel che credi!
Lou ridacchiò nervosamente distogliendo lo sguardo da Ame, che la guardò sospettosa.
-         Perché continuate a nascondermi la verità, tu ed Enea?
-         Ma cosa stai dicendo Ame?!
Esclamò Lou ancora più nervosa e cominciò a tossire. Ame lasciò cadere il discorso, non era quello il momento.
-         Cos’era quella cosa?
Chiese poi, mentre si appoggiava allo schienale della sedia per sentirsi sostenuta da qualcosa, per rassicurarsi.
-         Ognuno dei quattro grandi clan possiede una… Belva Sacra, è indispensabile per farne parte. Ogni cento anni la Belva si reincarna in un membro del suo clan di appartenenza, ritenuto idoneo per forza e intelletto. La Belva inizia a manifestarsi dopo che la persona prova un forte dolore, capita che in periodi di pace non si manifesti mai.
Fece una breve pausa per riprendere fiato.
-         Quando la Bestia si manifesta di solito si è adulti e capaci di controllarla, se ciò non accade ad un membro del clan più debole come elemento viene insegnato come controllare la Belva. Nel mio caso la Belva si è svegliata dopo la morte della mia famiglia. E' una belva assassina che brama vendetta. I ribelli che ci avevano accolto hanno insegnato ad Enea come placare la Belva, purtroppo lui è partito in fretta e in furia senza pensare che questo sia il periodo del fuoco. Ma è andata bene.
-         Se lo dici tu…
Sussurrò Ame accarezzandosi il braccio sinistro. Sospirando si alzò per andare nella sua stanza.
-         Aspetta!
Esclamò Lou, ed Ame si voltò.
-         Ti ringrazio davvero per ciò che hai fatto, senza il tuo intervento sarebbe successo un vero guaio. Tra pochi giorni c’è una festa nel villaggio qua vicino e lì c’è la tomba di mio fratello, ti va se ci andiamo?
-         Certamente, volentieri.
Ame sorrise e lasciò la stanza, chiudendo dietro di sé la porta. Si avviò nella sua stanza, così fredda e diversa dalla sua vera camera. Rivolse un ultimo sguardo alla luna mentre si metteva sotto le coperte e con un soffio spense la candela accanto al suo letto.
Con il cuore che ancora le batteva all’impazzata dalla paura, si addormentò.

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Capitolo 15
*** Verso Senar ***


Capitolo XV:
“Verso Senar”

  Ame si svegliò assetata, i capelli attaccati alla pelle sudata. L’afa aumentava ogni giorno di più ed era diventato insostenibile fare qualsiasi cosa, non aveva mai piovuto e la temperatura era davvero alta.
Ame si alzò controvoglia e si legò i capelli.
Lou dormiva ancora, erano passati alcuni giorni da quel pomeriggio di paura e se il braccio di Ame era completamente guarito, Lou faticava persino ad alzarsi.
Ame andò in cucina e scrisse un biglietto per Lou e lo lasciò sul comodino della ragazza.
“Lou non preoccuparti, vado al ruscello vicino per lavarmi e fare scorta d’acqua. Torno presto.
Ame”
 Dopo aver chiuso la porta Ame rimise il sigillo di protezione e percorse la stradina che l’avrebbe condotta verso il ruscello, in una piccola e fresca radura. Era da così tanto tempo che viveva lì, che ormai conosceva ogni strada o vicolo, le era capitato di dover aiutare Lou con la spesa o di andare a prendere dell’acqua, soprattutto in quei giorni di caldo.
Ame sbuffò, le lenti a contatto le davano terribilmente fastidio, si ripromise di sistemarle appena arrivata a destinazione.
Girò a sinistra, il sole caldo e mattutino sulla pelle era abbastanza piacevole, ma di lì a poco sarebbe diventato bollente, da quando era lì non aveva mai piovuto, nemmeno una goccia d’acqua.
I secchi che portava si scontravano a ritmo regolare, scandendo ogni passo.
Superati i primi alberi, Ame iniziò ad intravedere la radura e a sentire il rumore del ruscello. La radura era colorata dai fiori più disparati, le api si posavano di fiore in fiore e poi si addentravano tra gli alberi.
Ame raggiunse la riva del ruscello, si tolse l’abito, lo appoggiò su un cespuglio e si sciolse i capelli, prese la saponetta e si immerse con la biancheria nell’acqua fino alla vita, lasciandosi cullare dalla corrente, che le accarezzava il corpo. Si tuffò per bagnarsi fino alla testa, l’acqua era fresca e rilassante, accanto a lei passò un pesce argentato e poi uno azzurro. Si rialzò, la canottiera aderiva alla pelle, si guardò intorno, non vide nessuno. Si tolse la biancheria per potersi lavare bene e si sistemò le lenti, l’unica cosa che non tolse fu il ciondolo.
Si lavò e si rilassò alcuni minuti, poi uscendo dal ruscello si avvolse in una salvietta, lavò la biancheria e gli abiti e li lasciò asciugare mentre con i secchi raccoglieva l’acqua. I capelli le si asciugarono velocemente, come i vestiti, e si rivestì in fretta.
Da lontano sentì delle voci e, spaventata, se ne andò in fretta.

  Dopo mezz’ora era di nuovo a casa a preparare il pranzo.
Su un vassoio appoggiò un piatto di riso e un bicchiere d’acqua fresca e si diresse verso la stanza di Lou. Dopo aver bussato alla porta entrò nella stanza e vide Lou seduta.
-         Ti ho portato qualcosa da mangiare.
-         Grazie.
-         Come ti senti?
-         Molto meglio, domani possiamo riprendere gli allenamenti.
-         Non devi sforzarti!
Esclamò Ame appoggiando il vassoio sulle gambe di Lou.
-         Oggi vorrei andare in quel villaggio che ti dicevo, ti va?
-         Sei sicura di riuscire a muoverti?
-         Sicurissima.
Affermò convinta.
-         Allora va bene.
Sospirò Ame.
-         Ci fermeremo là per un po’, la festa è tra una settimana circa.
-         Quindi dobbiamo portarci dietro le cose?
-         No, abbiamo un rifugio lì.
-         E se Enea tornasse?
-         L’appuntamento è lì.
Dichiarò Lou mentre si portava alla bocca un cucchiaio di riso.
Ame si mise abiti comodi ed aiutò Lou a vestirsi, aveva già visto la cicatrice di Lou, ma ogni volta rimaneva sorpresa e si dispiaceva per la ragazza; quanto ancora avrebbe sofferto?
Uscirono di casa a pomeriggio inoltrato verso il villaggio, senza immaginare cosa sarebbe successo, senza sapere che la vita di entrambe avrebbe avuto una svolta.
 
 
  -         Ma come vi siete conciati, Aaron!
Rose stava medicando il fratello minore, per giorni le truppe li avevano cercati e li avevano trovati in fin di vita.
-         E’ colpa di quel deficiente di tuo marito, si è fatto catturare come un idiota!
Sbottò Aaron mentre il disinfettante bruciava le ferite.
-         Potevi lasciarlo lì, se proprio era un peso per te!
Esclamò la sorella imbronciata e strinse forte le bende attorno alla ferita sul ventre del fratello.
-         Ehi! Fai piano! Comunque non potevo, non sono certo diventato generale lasciando morire i miei uomini. E poi… l’ho fatto per il mio nipotino.
Aaron accarezzò la pancia della sorella, sarebbe presto diventato zio e anche se non gli faceva piacere, Emerald ne era il padre.
-         Tu sei sicura di non aver tradito Emerald, eh?
Chiese speranzoso il ragazzo.
-         Non dire idiozie, scemo!
Rose ridacchiò e tirò uno scappellotto al fratello.
-         Tra quanto andrai da Wareck?
-         Appena finisci di medicarmi, spero solo che non mi ammazzi.
-         Lo spero anch’io.
Sospirò Rose accarezzando la testa del fratello poi si passò nervosamente la mano destra fra i capelli ramati, gli occhi color cioccolato fissavano dispiaciuti il fratello.
-         Puoi vestirti ora. Sta’ attento.
-         Tranquilla.
Aaron diede un bacio sulla fronte della sorella e si rimise la divisa militare.
Rose seguì con lo sguardo il fratello che usciva dall’infermeria a testa alta, lo sguardo fiero, ma lei vi aveva letto una profonda paura.
Emerald, che era rimasto dietro la tendina dell’infermeria, andò verso la moglie e sospirò.
-         Mi spiace, Rose.
Si scusò e appoggiò una mano sulla spalla della moglie.
-         Se vuoi fare ancora l’amore con me devi salvare mio fratello, sei tu che l’hai messo nei guai!
Esclamò Rose indispettita e se ne andò sbattendo la porta.
Emerald era rimasto spiazzato, le parole della moglie risuonarono all’infinito nelle sue orecchie, così uscì a passo lento dalla stanza verso la sala regia, in qualche modo avrebbe tirato fuori dai guai il cognato, contro il suo interesse.
Aaron era inginocchiato, la testa bassa, le ferite che dolevano.

  -         Aaron, ragazzo mio, com’è andata?
Chiese Wareck, fingendo di non sapere del fallimento.
-         Male, signore.
-         Come mai, Aaron?
-         Per colpa mia, signore.
-         E, per curiosità, quanti erano i ribelli?
-         In due: un dominatore dell’acqua e uno della terra; più una tigre.
-         E voi, quanti eravate?
Il cuore di Aaron iniziò a martellare nel petto.
-         Eravamo in sei, signore.
-         In sei…
Una folata di vento fece volare Aaron dall’altra parte della stanza, facendolo schiantare contro il muro.
-         E non avete vinto…
Un’altra folata e il vento lo alzò per alcuni metri e poi lo lasciò cadere a terra. La porta sbatté attirando l’attenzione di tutti i presenti ed Emerald entrò nella sala regia.
-         Signore, vi prego, in realtà la colpa è mia!
Emerald urlò quella confessione col cuore in gola.
-         Lui mi ha salvato, stavo per morire, l’ha fatto perché presto sarò padre, perdonatelo vi prego!
Wareck fissò Emerald, uno sguardo freddo e pericoloso.
-         Quindi è colpa tua, mio caro Emerald?
-         Sì, signore.
-         Per punizione sarai imprigionato per una settimana nei sotterranei, mi hai deluso Emerald. Portatelo via!
Delle guardie presero Emerald e lo condussero fuori.
-         Per quanto riguarda te, Aaron, partirai domani verso le pianure, tra poco a Senar ci sarà una festa importante, è probabile che i ribelli andranno lì, ci sono parecchie tombe delle nostre vittime e anche loro vorranno divertirsi un po’.
-         C… Certamente, signore.
-         Non tornare senza informazioni.
-         Sì, signore.
Wareck lasciò la stanza, Rose corse dal fratello.
-         Vieni, devi riposarti.
Insieme lasciarono quel luogo.

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Capitolo 16
*** Sulla tomba del fratello ***


Capitolo XVI:
“Sulla tomba del fratello”

Lou era appoggiata ad Ame che la sorreggeva tenendole il braccio destro intorno ai fianchi, camminavano a rilento sotto il sole che andava tramontando. Entrambe rimanevano in silenzio, lo sguardo di Lou era basso, mentre Ame guardava davanti a sé.
-         Ti ringrazio Ame.
-          Figurati.
Sorrise lei, volgendo lo sguardo verso Lou.
Era quasi sera e si erano allontanate molto dal loro villaggio.
-         Manca poco.
La avvisò Lou.
In lontananza Ame intravide le prime case, tutte ammucchiate, quasi messe a casaccio, che facevano da contrasto con il bosco vicino.
-         E’ qui che sei nata?
-         No, è molto lontano da qui, in ogni caso ora il mio villaggio non esiste più.
L’amarezza nell’affermazione di Lou fece quasi pentire Ame di aver posto la domanda.
-         Tuo fratello è sepolto qui, però. Come mai?
-         Senar è stata la “capitale” dei ribelli, è stato l’ultimo villaggio a cadere, anzi, prima era una vera e propria città. Per questo molti ribelli o i loro parenti sono stati sepolti qui.
-         Capisco.
Ame sentiva nell’aria l’odore della legna che bruciava nei forni misto a quello del cibo che cuoceva, avevano camminato molto e aveva fame.
-         Quando arriveremo al rifugio mangeremo, tranquilla.
Sorrise Lou che aveva capito a cosa stava pensando Ame.
Insieme si addentrarono per le vie coperte di ciottoli, qualche passante le osservava incuriosito, probabilmente in quel villaggio si conoscevano tutti, e vedere facce nuove era una novità.
Arrivarono di fronte ad un’osteria e Lou fece segno ad Ame di entrare.
Una volta dentro, Ame vide davanti a se un giovane ragazzo dai capelli ricci e rossi, con un sorriso smagliante.
-         Lou, quanto tempo come stai!
-         Bene grazie e tu come stai, Joi?
-         Bene grazie, me la cavo, e lei chi è?
-         Lei è il nostro “asso”, Ame.
-         Piacere.
Disse Joi porgendole la mano, Ame la strinse, sorridendo a quel simpatico ragazzo.
-         Lou, quando vuoi è tutto pronto di sotto.
-         Grazie, allora andiamo a sistemarci un po’.
Joi le fece passare dietro al bancone di legno di rovere e aprì una botola nascosta sotto ad un tappetino. Ame intravedeva degli scalini, Lou si era staccata da lei e aveva iniziato a scendere le scale con una candela spenta, presa dal bancone, nella mano sinistra ed Ame la seguì.
-         Buona permanenza!
Esclamò infine Joi richiudendo la batola dietro di loro e per un attimo Ame si ritrovò nel buio più assoluto, poi Lou accese la candela illuminando tutto intorno.
-         Sarebbe questo il rifugio?
-         Sì, ti piace?
-         E’… come dire? Un po’ angusto.
-         Stai tranquilla, questa è solo l’entrata.
Lou avanzò qualche passo, aprì una porta e fece cenno ad Ame di seguirla.
-         Caspita!
Davanti ad Ame c’era una casa enorme, loro si trovavano sulla cima di una rampa di scale. Ame le scese di corsa e andò in giro a curiosare.
La casa era illuminata da alcune candele sparse in giro e, con meraviglia, vide un bellissimo tavolo in legno di ciliegio, intagliato con dei decori vari, e dietro al tavolo un finestrone che dava su un giardino.
-         Lou, ma qui c’è un giardino, com’è possibile?
-         L’ha fatto Enea e quando non ci siamo Joi se ne prende cura. Dà molta più luce.
-         Già! E’ fantastico!
Esclamò Ame allegra, sembrava quasi tornata bambina.
-         Sistemati che andiamo a mangiare.
Qualche minuto più tardi Ame e Lou erano sedute ad un tavolo dell’osteria assieme a Joi che aveva preparato loro una zuppa calda.
-         Allora come mai siete qua?
Domandò Joi togliendosi il grembiule pieno di macchie di vario genere.
-         Sono venuta a trovare Denny.
-         Capisco. Vi fermerete molto?
-         Sì, abbiamo appuntamento qui con Enea quando avrà recuperato un bimbo del clan dell’aria.
-         Dell’aria? Sul serio? Credevo fossero tutti morti.
-         Lo credevamo anche noi.
-         E tu Ame, come mai hai accettato di aiutarci? Non sei preoccupata?
Chiese Joi ad Ame, sempre sorridendo.
-         Ormai sono qui, perciò faccio quello che posso.
-         Capisco, ma per quanto riguarda... Ahia!
Lou aveva tirato un calcio sotto al tavolo a Joi e con un’occhiataccia gli aveva fatto capire di stare zitto.
Joi indispettito, si alzò sbuffando e si rimise il grembiule.
-         Be’, non importa, spero rimarrete fino alla festa.
-         Certo.
Confermò Ame.
-         Bene, allora io vi saluto, ho un po’ di cose da fare in cucina.
Affermò allontanandosi verso una porticina da cui uscivano diversi profumi.
-         Ame ti saluto anch’io, vado da mio fratello, tu riposati, ok?
-         Va bene, sei sicura di andare da sola?
-         Sicurissima.
 
Lou camminava lentamente tra le innumerevoli lapidi del cimitero, passando in mezzo agli alberi che con le loro fronde proteggevano dal sole le tombe grigie. Sospirando si fermò di fronte a quella del fratello. Accarezzò la fredda e muta lapide, una lacrima le scese sulla guancia ma subito l’asciugò.
-         Ciao Denny. Come va?
Domandò alla lapide, mentre gli occhi le pungevano per le lacrime.
-         Sai, è passato molto tempo da quando ti sono venuta a trovare, mi dispiace molto… ma sai, abbiamo trovato una Discendente, forse ora tutto si risolverà. Quando abbiamo scoperto che la tua amata Crystal è morta, abbiamo creduto che tutto fosse perduto, che fosse lei a chiudere la catena delle Discendenti della Pioggia, invece non è così…
Lou si inginocchiò di fronte alla tomba dove lettere sbiadite riportavano la scritta: “Qui giace Denny Eldur, morto nella Notte di Sangue, 16 novembre, all’età di ventidue anni.”
-         Come vorrei che tutto questo non fosse mai successo, come vorrei abbracciare te, la mamma, il papà, Erin… mi mancate tanto. Pensa, Erin mi ha salvato la vita e io non ho potuto nemmeno seppellirla, nessuna traccia del suo corpo, ti rendi conto?
Ormai Lou piangeva, la sua voce era incrinata dal pianto, le lacrime scorrevano copiose, il corpo scosso dai singhiozzi. Quel dolore la lacerava molto più della Belva Sacra.
-         Io e Erin dovevamo aiutarti col matrimonio e invece… mancava solo un mese…
Lou non riusciva a finire la frase, piangeva e basta. Tutte le volte in cui era andata sulla tomba di suo fratello si era dovuta trattenere perché con lei c’era sempre Enea o Joi o chiunque altro, e lei non poteva dar sfogo al suo dolore, non voleva che altri la vedessero in quello stato.
La sua era una flebile voce che invocava un passato che non sarebbe mai più tornato. Denny non le avrebbe più fatto alcuno scherzo, non l’avrebbe più aiutata ad allenarsi, non l’avrebbe più abbracciata né tantomeno consolata. Non avrebbe mai più rivisto il radioso sorriso del fratello, non avrebbe mai più visto suo fratello aggrottare la fronte quando era preoccupato e non lo avrebbe visto passarsi la mano sul collo quando era nervoso. Nulla, mai più.
-         Lou...
Lou sentì una voce calda e famigliare, si asciugò gli occhi e si guardò in giro.
-         Lou…
-         Denny?
-         Lou… Erin… Viva…
-         Cosa?
Il vento agitava i rami degli alberi, Lou sentiva la voce del fratello in lontananza, la sentiva male e disturbata.
-         Erin…è… viva…
-         Erin è viva?! Dov’è?
Ma non le giunse alcuna risposta e il vento si fermò. Per un attimo Lou aveva creduto di aver sentito il fratello, ma era stata solo un’illusione dovuta alla tristezza, probabilmente era stato solo il vento.
Però un moto di speranza si era risvegliato nel cuore di Lou.
Erin forse era davvero viva, di lei non si era ritrovato né il corpo né le ceneri, dopotutto.
Lou si alzò in piedi, sistemandosi la maglia togliendo la polvere e la ghiaia.
-         Grazie Denny.
Ringraziò rivolta alla lapide.
Ora aveva un altro motivo per vivere: doveva trovare sua sorella.



*******
Note:
Dopo un po' di assenza sono tornata, spero che il capitolo vi sia piaciuto, ora entreremo nel vivo della storia.
Il  titolo "Sulla tomba del fratello" è un rimando alla poesia di Catullo e a quella di Foscolo, nonostante il contesto sia molto diverso.
Bene, vi ringrazio e spero continuiate a seguirmi!
Filakes

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Capitolo 17
*** L'inerzia del nostro essere ***


Capitolo XVII:
Linerzia del nostro essere

  Enea era a letto, la febbre alta e le ferite lo lasciavano senza forze.
-         Meno male che dovevi aiutarci perché noi non avremmo retto un viaggio!
Esclamò Adrien, che oltre alle ferite per il recupero del piccolo Ian ora aveva anche quelle dello scontro con i sicari di Wareck.
-         Lo sai che cè andata bene, vero Adrien?
Bisbigliò Enea privo di voce.
-         Lo so. Aveva la divisa da generale.
-         Non era un generale qualunque, ha combattuto benissimo, probabilmente se fosse stato solo ci avrebbe battuto.
-         Invece ha preferito salvare il compagno. Anche loro avranno un briciolo dumanità, non possono essere solo cattivi.
Adrien fece una pausa, guardando Enea di sbieco.
-         Come noi non siamo santi anche noi uccidiamo, priviamo persone della loro vita
-         Ma non innocenti!
Urlò Enea con il poco di voce che era riuscito a racimolare per la rabbia.
-         E la Discendente? Lei in tutto questo non ha alcuna colpa, eppure voi lavete portata qui a combattere.
-         E diverso, lei ha accettato, non labbiamo obbligata.
-         Enea, non mentire, lei ha accettato solo perché non sa la verità.
Sospirò Adrien mettendo a nudo i tormenti e i sensi di colpa di Enea.
-         Sempre meglio una vita perduta che altre cento.
Rispose senza convinzione.

  Il silenzio cadde nella stanza e Adrien si sedette accanto ad Enea sul letto, lo sguardo basso. Tutto ciò che faceva da anni era combattere, uccidere e piangere. Ogni notte Adrien si chiedeva se davvero valesse la pena combattere una guerra che tanto sarebbe stata persa, davvero speravano di battere Wareck? Era solo una mera illusione e lo sapevano tutti. Andavano avanti per inerzia: la loro vita era stata troncata in due e la parte che ora vivevano prevedeva il disfacimento del loro essere.
Per quanto Adrien sperasse in un cambiamento, sapeva che sarebbe stato difficile se non impossibile, quella che inseguivano era una fragile e sbiadita chimera.
E poi? Cosa sarebbe successo se avessero vinto? Perdere significava morire, ma vincere? Avrebbero buttato giù una dittatura, assicurando un futuro migliore ai posteri e la libertà di questi ultimi. Ma loro? Ormai le loro anime erano straziate dagli orrori visti e compiuti, sarebbero rimasti un involucro vuoto, avrebbero vissuto aspettando che la morte desse un senso alla loro vita. Adrien aveva un solo piccolo sogno: se, e quando, avessero vinto la guerra, lui sarebbe andato lontano, a vivere sulle montagne del nord, isolato dal mondo, dal frastuono, dal rumore. Si sarebbe allontanato per zittire la sua coscienza, per fingere una vita che non gli apparteneva più.
Improvvisamente una mano gli aveva afferrato la spalla dolcemente, Adrien aveva alzato lo sguardo: Emy lo fissava preoccupata porgendogli un fazzoletto di stoffa. Adrien non si era accorto, ma aveva iniziato a lacrimare. Ringraziando si asciugò il volto con il fazzoletto e poi le sorrise.
-         Grazie, ora sto bene.
Quelle quattro parole equivalevano a quattro pugnalate nel cuore di Adrien, qualcuno, in passato, aveva detto che parlare male fa male allanima ed era dannatamente vero.

  Noah entrò nella stanza con il piccolo Ian in braccio.
Noah era alto e robusto, nerboruto; i capelli color castano scuro, portati corti; una cicatrice che andava dalla parte sinistra della fronte, fino alla guancia destra e se non fosse stato per il suo sorriso sarebbe stato davvero inquietante.
-         Come state?
Chiese con la sua voce profonda.
-         Io meglio, Enea è uno straccio.
-         Non sono mica io quello che si mette a frignare! Credimi Noah, lui sta peggio!
Proclamò Enea tirandosi a fatica a sedere sul letto.
-         In ogni caso state tranquilli e mettetevi a riposo, tutti e due. Quando starete meglio partirete.
-         Noah, dove sono gli altri?
-         Emy li ha portati ieri da Jenna, visto che stanno molto meglio di voi li ho mandati a cercare rinforzi negli altri Paesi.
-         Capisco.
Sospirò Enea rimettendosi a letto.
-         Mi fareste un favore?
-         Sì, dimmi.
-         Scriveresti a Lou quello che è successo e le diresti di aspettarci a Senar? Ah, chiedile se ha avuto problemi con la Belva, mi sono dimenticato di lasciarle linfuso derbe che servono a calmarla.
-         Enea, ma tu sei davvero unidiota! Non solo non dici alla Discendente chi è, ma rischi di farla ammazzare da Lou! E non solo lei, non hai pensato ai cittadini del villaggio? Sei un cretino!
Urlò Adrien adirato. Enea doveva coordinare le cose, invece prendeva tutto troppo alla leggera, sembrava aver completamente dimenticato il valore della vita.
-         Concordo con Adrien, le preparo io linfuso e glielo mando con la lettera. Ma pensa te questo
Borbottò Noah uscendo dalla stanza con il bimbo in braccio. Emy guardava con disappunto Enea, mentre aiutava Adrien a sdraiarsi a letto, ed il ragazzo ringraziò il fatto che non parlasse mai, perché non sarebbero state parole dolci quelle che gli avrebbe detto.
Enea si mise ad osservare il soffitto, aveva chiesto a Joi di inviargli una lettera quando le ragazze fossero arrivate, ma ancora non aveva ricevuto alcunché ed era preoccupato.
 


  Aaron era in viaggio da solo, Wareck non aveva permesso a nessuno dei suoi sottoposti di aiutarlo, nemmeno ai guaritori, doveva cavarsela da solo e riconquistare la sua fiducia, così aveva detto. A ogni passo le ferite gli facevano male, non aveva nemmeno potuto riposarsi per farle cicatrizzare, Rose aveva fatto quello che poteva per farlo muovere senza troppi danni al fisico e aveva riempito la sua sacca di farmaci e infusi derbe a scopo terapeutico.
Il suo corpo era fasciato in bende strette, appena fosse arrivato vicino a Senar si sarebbe riposato, non prima. Erano cinque giorni che viaggiava, ne mancava solo uno a Senar; sarebbe arrivato la mattina del giorno della festa e avrebbe raccolto più informazioni possibili.
Aaron si era ripromesso, però, di uccidere i due ribelli della grotta se li avesse incontrati. Lo avevano ridotto uno schifo e lo avevano lasciato in agonia, senza ucciderlo.
Nei due giorni che erano trascorsi tra lo scontro e il loro ritrovamento, Aaron aveva passato momenti di immenso dolore.
Le frecce conficcate non avevano colpito punti vitali, ma il dolore che gli provocavano era lancinante. Sì, li avrebbe uccisi senza estorcere loro alcuna informazione, non meritavano alcun riguardo.



*****
Note: la frase "Parlare male fa male all'anima" è una frase di Socrate, grande filosofo greco, che personalmente amo molto.

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Capitolo 18
*** La Festa di Senar ***


Capitolo XVIII:
“La Festa di Senar”

  Ame trattenne il fiato e Lou con uno strattone le strinse il corpetto, facendolo ben aderire al corpo di Ame, poi le allacciò i nastri dello stesso color lavanda del vestito di seta.
-         Bene ora passiamo ai capelli!
Esclamò Lou prendendo due ciocche di Ame e con movimenti rapidi e decisi ne fece due treccine che infine le legò con dei nastri dello stesso colore del vestito, fermandoglieli dietro la testa con un fiocco.
-         Stai benissimo.
Affermò Lou portandola davanti allo specchio.
Ame rimase immobile a guardare il suo riflesso. Il vestito di seta arrivava fino a terra con un’ampia gonna, il corpetto stretto le metteva in risalto il vitino ad ape, le due treccine le tenevano fermi i capelli lasciati sciolti. Rimase a guardarsi estasiata, non le era mai capitato di mettere un abito così bello e prezioso, certo le mancava il respiro da tanto il corpetto era stretto, ma “chi bella vuole apparire un poco deve soffrire”. Già e lei aveva sofferto tanto per essere in forma ora. Infatti, fino a poco più di un anno prima, Ame era sovrappeso e questo l’aveva sempre messa a disagio, finché un giorno si era decisa a fare movimento e a mangiare solo nei pasti e così era riuscita a perdere peso, con un enorme sforzo, ma ne era valsa la pena.
Poi Ame aiutò Lou con il suo vestito azzurro abbellito da ricami di pizzo color pervinca, anche quello di seta, infine l’aiutò a raccogliere i suoi lunghi capelli ricci in uno chignon basso abbellito con dei fiori azzurri e blu.
Erano pronte per la festa, mancava solo mezz’ora all’inizio dei festeggiamenti così salirono nell’osteria di Joi per fare uno spuntino prima di andare.
-         Tu non vieni?
Chiese Ame a Joi, portandosi alla bocca un cucchiaio di macedonia fresca preparata dal giovane.
-         Vi raggiungo più tardi, prima ho da tenere l’osteria, arriverò verso mezzanotte, se va tutto bene.
Affermò sorridendo mentre puliva il bancone con uno straccio pulito.
Lou aveva finito di mangiare e guardava Ame con attenzione.
-         Ascolta Ame. 
Esordì Lou attirando la sua attenzione.
-         Devi sapere che potresti incontrare i soldati di Wareck, per questo devi stare molto attenta e tenere sempre su le lenti. Non dare confidenza ad alcuno. Non sbilanciarti, non devi dire nulla, nemmeno se vengono da te dicendoti che sono ribelli, anzi se te lo dicono sono di sicuro sicari di Wareck, nessuno andrebbe in giro a dire che è un ribelle.
Considerò Lou pensierosa, scuotendo la testa, poi sospirò.
-         Devi fare assoluta attenzione a tutto ciò che accade, se succede qualcosa di strano scappa e chiamami. Intesi?
-         Sì.
Affermò Ame con la bocca piena, annuendo decisa.
-         Bene, sbrigati a finire, la festa ci aspetta!
Esclamò alzandosi dalla sedia.
 


  Aaron si sistemò i vestiti che coprivano il suo corpo ferito, si passò la mano sulle guancie, si era appena rasato la barba nel bagno di quella stanzetta cadente. Era pronto per uscire a raccogliere informazioni, non c’era occasione migliore a Senar che la Festa.
Sorridendo alla sua immagine riflessa uscì dalla stanza, diretto verso il centro del villaggio, molte persone si erano già riversate per le strade di ciottoli, riempite di bancarelle e giovani che danzavano allegri. Aaron non riconosceva nessuno: né amici né nemici.
Stava calando la sera, il cielo era tinto con i colori più disparati: arancio, rosa, rosso, azzurro e blu.
Mentre avanzava verso la piazza principale notò che molte ragazze lo osservavano sorridendo. Aaron era consapevole di essere un bel ragazzo, ma non gli erano mai interessate le vicende d’amore. Quando Wareck lo aveva raccolto dalla strada assieme a Rose, gli aveva fatto promettere di essergli fedele e in cambio avrebbe dato loro protezione, un’istruzione e soprattutto un luogo in cui vivere. Da allora Aaron si era impegnato in ogni allenamento per diventare sempre più forte. Aaron aveva la sfortuna di non far parte di alcun clan, quindi non aveva alcun potere, questo lo aveva stimolato al massimo per impegnarsi: nessuno gli avrebbe regalato niente. Così era riuscito a diventare il braccio destro di Wareck, e ora, all’età di diciannove anni, era il più giovane generale che ci fosse mai stato.
Raggiungere questo obbiettivo era però costato molto ad Aaron: niente amici e tantomeno ragazze, ma si era procurato un’enormità di nemici invidiosi che non vedevano l’ora di vederlo fallire. L’unica ragazza a cui voleva bene era sua sorella, nessun altra.
Fino a quella sera.

  Quando arrivò nella piazza una piccola orchestra iniziò a suonare alcune canzoni tipiche, mentre una donna robusta con un vestito rosso e bianco intonava canti d’amore. Le lanterne furono accese e la piazza si riempì di gente che rideva, scherzava e ballava. Per un attimo Aaron pensò di unirsi ai festeggiamenti, solo per quella volta, ma subito si ricompose, aveva una missione precisa. Si stava guardando intorno quando un uomo nerboruto lo urtò e Aaron sentì una fitta alle ferite.
-         Ehi, ma ti sembra il modo?!
Tossì dolorante.
-         Non metterti in mezzo al passaggio, ok moscerino?
Rispose quello con aria minacciosa. Aaron stava per rispondergli in malo modo, quando una ragazza esile e di bassa statura si mise tra i due.
-         Dai, non vi arrabbiate è una festa, bisogna divertirsi!
Ridacchiò nervosa la ragazza.
Aveva lunghi capelli castani con riflessi lievemente ramati e gli occhi scuri, ma Aaron capì immediatamente che erano lenti a contatto: stonavano decisamente con la sua figura. Accanto a lei c’era una ragazza decisamente più alta, con i capelli neri raccolti in uno chignon, e lo osservava con sospetto.
Nonostante la ragazza con i capelli scuri fosse molto più bella dell’altra, qualcosa di quella più minuta lo colpì, piacevolmente.
L’uomo nerboruto dopo averla guardata male se ne andò borbottando a denti stretti.
Aaron rimase immobile a guardare la ragazza, perfino le ferite sembravano fargli meno male mentre la osservava.
-         Tutto bene?
Gli chiese la ragazza vedendo che si era portato il braccio al ventre.
-         Sì, sono solo un po’ indolenzito…
-         Mi dispiace molto, cos’hai fatto?
-         Niente di che, grazie per l’interessamento.
Ringraziò con un mezzo sorriso tagliando corto, non era il caso che si capisse che lui era un soldato. La ragazza dopo aver ricambiato il sorriso si allontanò in compagnia dell’amica.
Aaron rimase imbambolato per un attimo, poi dandosi dell’idiota si accorse di non averle nemmeno chiesto il nome, ma ormai la ragazza si era mescolata con la folla che continuava ad aumentare e non c’era verso di rintracciarla, così iniziò a camminare per la piazza, cercando la giovane.
 


  -         Ame devi fare attenzione!
-         Che c’è? Che ho fatto di male?
Domandò Ame a Lou.
-         Ti sei messa in mezzo ad una potenziale rissa e nemmeno sapevi se quelli erano soldati di Wareck! Devi avere più cura della tua vita e della tua incolumità.
-         Scusa.
Borbottò impacciata Ame.
-         E’ che il ragazzo era così carino…
Lou scoppiò a ridere divertita, lo aveva immaginato. Ame arrossì di colpo e imbarazzata si diresse verso una bancarella che vendeva mele caramellate.
-         Tu ne vuoi una?
Chiese a Lou mentre pagava la sua.
-         No grazie voglio andare in quella bancarella là che vende collane, fai pure un giro dove vuoi, ma stai attenta.
-         Ok.
Affermò Ame e poi addentò la mela caramellata.

  Dopo alcuni istanti Ame sentì qualcosa tirarle la gonna, abbassò lo sguardo e vide una bambina dai capelli biondi lisci, gli abiti lisi, vecchi e rovinati. Ame si abbassò per ascoltarla.
-         Mi potrebbe prendere una mela?
Domandò speranzosa. Ame contò gli spiccioli che le erano rimasti.
-         Certo piccolina.
Stava per pagarla quando qualcuno diede i soldi al posto suo, si voltò e vide il giovane di prima, il suo cuore perse un battito e poi accelerò all’impazzata.
-         Non dovevi.
Bisbigliò Ame imbarazzata porgendo la mela alla piccola, che dopo aver ringraziato, corse via.
-         Figurati.
-         Te li ridò subito.
Proclamò porgendogli le monete, ma lui scosse la testa sorridendo.
-         In qualche modo però devo sdebitarmi!
-         Prima mi hai aiutato, mi basta; ma potresti dirmi il tuo nome.
-         Il mio… nome?
-         Esatto.
Ame ci pensò un attimo, Lou le aveva detto di fare attenzione, era però vero che dire il suo nome non doveva essere chissà quanto pericoloso.
-         Mi chiamo Ame, tu?
-         Io sono Aaron, molto piacere.
Disse il ragazzo porgendole la mano. Lei la strinse senza pensarci troppo e quando si sfiorarono entrambi furono percorsi da una scossa.
-         Ti va di ballare?
-         Sì, volentieri, ma ti avviso, non ne sono capace.
Ammise Ame, mentre Aaron la stringeva a sé. Il cuore di Ame era fuori controllo e avvampò imbarazzata. D’altro canto lo stesso Aaron si sentiva impacciato.
Dopo aver ballato alcuni minuti, Aaron sentì una fitta al busto e si dovette fermare, non avrebbe dovuto ballare. Probabilmente era sbiancato perché il volto di Ame era preoccupato.
-         Cosa c’è?
Domandò infatti.
-         Nulla…
-         E’ inutile che lo nascondi.
Ame vide che gli abiti di Aaron avevano iniziato a macchiarsi di sangue e impallidì.
-         Ma è sangue!
Aaron si appoggiò alla ragazza, gli girava la testa. A fatica Ame lo portò lontano dalla piazza e trovò uno spiazzo libero, circondato da alberi, e appoggiò il giovane alla corteccia di una quercia.
-         Vado a chiamare aiuto.
Ma il ragazzo non le rispose, aveva perso conoscenza. Ame lo fece sdraiare e provò a chiamarlo e a scuoterlo, ma il ragazzo non dava segni di vita. Il ciondolo di Ame emanava un dolce calore, la ragazza tolse la camicia e la giacca ad Aaron, prese il ciondolo e tenendolo con la mano destra lo appoggiò sulle ferite del giovane e si concentrò. Quando vide che aveva ripreso colorito e il sangue non fuoriusciva più dalle ferite, si alzò. Il suo vestito era macchiato del sangue del ragazzo.
-         Ame cosa ci fai lì? Ma, il tuo vestito!
Esclamò Lou, che l’aveva raggiunta.
-         Che è successo?
Domandò sconcertata e Ame fu costretta  dirle tutto.
-         Dobbiamo andarcene.
Esordì Lou prendendo Ame per mano.
-         Ma, lui…
-         Sta benone, credimi. E’ meglio se torniamo da Joi.
-         Ma perché?
-         Ame io conosco i ribelli e lui non lo è. Se ha delle ferite vuol dire che combatte e se non è un ribelle allora è un soldato di Wareck! Se penso che te l’avevo detto, devi fare attenzione, insomma!
A malincuore Ame si allontanò con Lou, mentre Aaron iniziava a fatica a riprendere conoscenza.

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Capitolo 19
*** Che sia amore? ***


Capitolo XIX:
“Che sia amore?”

  Ame era seduta a malapena sullo sgabello di legno, lo sguardo basso le mani giunte sul grembo. Lou andava avanti e indietro per la stanza, sproloquiando la sua filippica contro il comportamento di Ame di quella sera. Joi era appoggiato al bancone e osservava la scena immobile, lanciando ogni tanto occhiate di rimprovero ad Ame e scuotendo la testa quando non era d’accordo con Lou. L’osteria era chiusa e l’unica luce proveniva dalla candela sul bancone.
-         Ti sei resa conto di ciò che hai fatto? E se lui si svegliava mentre lo guarivi con il ciondolo? Se ora collega il tuo nome a quello della ragazza che stanno cercando? Sei troppo poco prudente!
Si inalberò Lou, mentre senza sosta camminava avanti e indietro, Joi annuiva deciso, d’accordo con tutto quel che Lou diceva. Ame si sentiva una stupida, ma non riusciva ad alzare lo sguardo verso quello di Lou, che continuava a inveire contro il suo atteggiamento.
-         Se penso che stai rischiando la vita più del necessario... Ha così poco valore per te? Quando si sveglierà si chiederà perché la ferite sono completamente guarite. Non credi?
Le iridi scarlatte ardevano di rabbia mentre osservavano Ame, che si fece piccola piccola sullo sgabello.
-         E noi che facciamo di tutto per tenerti al sicuro!
A quel punto Joi guardò di sbieco Lou, con espressione sarcastica.
- Certo, come no.
Bisbigliò in modo da farsi sentire solo da Lou, che gli lanciò uno sguardo di fuoco.
-         Mi spiace.
Disse Ame con sincerità alzando lo sguardo verso Lou.
-         Sono felice che ti spiaccia, ma il problema rimane.
Commentò con un’acidità che Ame non aveva mai sentito nella sua voce e che la irritò molto.
-         Mi spiace davvero, ma quando l’ho visto in quello stato, il ciondolo ha avuta la stessa reazione come con te quando la Belva ha preso il controllo del tuo corpo, perciò ho pensato di aiutarlo.
Affermò con decisione Ame guardando Lou dritta negli occhi, il tono lievemente alterato.
-         E non sono pentita di ciò che ho fatto, ma mi dispiace di averti creato tanti problemi.
Ammise sostenendo lo sguardo di Lou che la fissò a metà tra lo stupefatto e lo sconvolto.
 Joi le guardò stranito poi si lasciò scappare un sorriso, quelle due erano decisamente testarde.
-         Lo dico per il tuo bene Ame, dimenticalo.
La voce di Lou aveva perso autorità, sembrava quasi implorante.
-         Mi spiace, ma domani andrò a cercarlo.
-         Ma sei scema?
Sfuggì a Lou, che strabuzzò gli occhi, Joi era diventato un sasso, gli occhi sbarrati fissavano Ame.
-         Probabile.
Ammise lei alzandosi, non ne poteva più di quella filippica senza fine.
-         Ora vado a dormire, buona notte.
Augurò a denti stretti mentre passava loro davanti per raggiungere la botola, poi scese. Lou era rimasta immobile, le vene che pulsavano e le mani che le prudevano; Joi si era limitato ad augurarle buona notte con un filo di voce.
 
  Quando la mattina dopo Ame si svegliò il suo umore non era per niente migliorato, aggrottò la fronte sbadigliando, poi si stiracchiò e appoggiò i piedi nudi sul pavimento. Non aveva la minima idea di che ore fossero, ma dopo essersi guardata intorno capì che era ancora presto: Lou dormiva come un sasso e dall’osteria non proveniva alcun rumore.
Dopo essersi sciacquata il viso con dell’acqua si mise dei vestiti comodi e prese il vestito color lavanda macchiato di sangue: sarebbe andata a lavarlo al ruscello che aveva visto qualche giorno prima.
Si mise le lenti a contatto e senza far rumore uscì dal rifugio e poi dall’osteria. Il sole l’abbagliò per un istante, ma poco dopo si abituò, il caldo era afoso, così accelerò il passo verso il ruscello. Dopo pochi minuti si ritrovò nella piazza principale, dove la sera prima aveva ballato con Aaron e il suo cuore accelerò i battiti: dal momento in cui l’aveva visto aveva provato un’attrazione profonda per quel ragazzo. Non le importava chi fosse, non le importava se era un nemico, la sera precedente erano stati loro due a ballare, Aaron e Ame, il resto non le importava. Come una stupida scosse la testa, la sua coscienza le diceva che in ogni caso lei non faceva parte di quel mondo, perciò era inutile e controproducente innamorarsi di un ragazzo di quella dimensione, qualunque fosse.
Dentro di sé si sentì pervadere da sentimenti contrastanti, poi mettendoli tutti a tacere proseguì, con la consapevolezza che probabilmente non lo avrebbe nemmeno più rivisto.

  Arrivata al ruscello iniziò a lavare via la macchia dall’abito, ma faceva fatica, era seccato durante la notte. Lo immerse di nuovo nell’acqua fredda e sfregò con più forza. Ci mise un bel po’ di tempo, ma la macchia alla fine si era arresa ed era riuscita a lavarla via.
Appoggiò l’abito sul prato per farlo asciugare, e immerse i piedi nel ruscello. L’acqua fresca era estremamente piacevole, alzò gli occhi al cielo e osservò le poche nuvole muoversi veloci, portate dal vento.
Si sdraiò sul prato, gli occhi chiusi, con le braccia si riparò il viso poi sospirò. Pensò a Lou, probabilmente era intrattabile perché era preoccupata per Enea, che non aveva ancora fatto avere sue notizie e non era ancora arrivato, quando, secondo Lou e Joi, doveva arrivare a Senar persino prima di loro; sospirò pensierosa. Poi sentì qualcosa cambiare, come se si trovasse all’ombra; aprì gli occhi e osservò davanti a sé. Un ragazzo alto e moro le sorrideva e la salutava con un gesto appena accennato.
Ame si tirò su a sedere e contemplò Aaron davanti a lei.
-         Ehilà!
Disse il ragazzo continuando a sorridere.
-         Ciao.
Bisbigliò Ame sbattendo più volte le palpebre per metterlo a fuoco.
Aaron sembrò deluso da un saluto così distaccato e si sedette accanto a lei, mantenendo una certa distanza, a gambe incrociate.
-         Ame giusto?
Chiese tentando di avviare un discorso.
-         Già, e tu sei Aaron.
Sorrise lei tentando di tenere a freno il più possibile l’emozione.
Il ragazzo annuì e guardò il vestito che stava asciugando.
-         Già lavato?
-         Sì, si era un po’ macchiato.
-         Capisco… Scusa se te lo chiedo, ma sai cos’è successo ieri? Mi sono svegliato ‘sta mattina vicino alla boscaglia e non ricordo granché, a parte il ballo.
Disse indicando un punto impreciso dietro di sé.
-         Non saprei, dopo che abbiamo ballato sono dovuta tornare a casa.
Mentì Ame alzando le spalle. Aaron non era soddisfatto dalla risposta, ma lasciò perdere il discorso, ora gli interessava stare con Ame.
-         Stai bene con i capelli sciolti.
-         Grazie.
Ame arrossì e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, imbarazzata.
-         Abiti qui?
Domandò lui curioso.
-         No, sono venuta qua per vedere alcuni amici.
Rispose lei, tenendosi sul vago.
-         E tu?
-         Lo stesso. Più o meno.
Sorrise e il cuore di Ame perse un colpo. Era bellissimo.
-         Fai parte di qualche clan?
Chiese Aaron, notando le lenti a contatto.
Ame sussultò e lo guardò negli occhi.
-         Non proprio.
Ammise Ame, guardando le iridi scure del ragazzo: color cioccolato e con sfumature nocciola.
-         Tu?
Chiese lei di rimando.
-         No, vedi? Le mie iridi sono scure.
Le fece notare come fosse la cosa più ovvia del mondo e lei si diede della stupida, non doveva insospettirlo.
-         I tuoi familiari sono qui?
Continuò lui e Ame non capiva perché le facesse tante domande.
-         No.
Rispose scuotendo appena la testa.
Lui capì che tutto quel terzo grado le dava fastidio, così cambiò argomento.
-         Che bella giornata, eh?
-         Già, anche se un po’ afosa per i miei gusti.
Ammise sorridendo, non voleva sembrare polemica.
Aaron la guardò: anche con quei vestiti semplici e i capelli scompigliati dal vento stava bene. Le si avvicinò e lei lo osservò col cuore a mille.
Lui la guardava da sotto le lunghe ciglia e le sorrideva, era tutto così fantastico e surreale…
Ame sapeva che era sbagliato ma non riusciva a togliere gli occhi da quel ragazzo.
-         Quanti anni hai?
Gli chiese tentando di nascondere l’emozione.
-         Diciannove, tu?
-         Diciassette e mezzo.
Sorrise, non avevano poi una grossa differenza d’età; anzi, era davvero irrilevante.
Dopo alcuni minuti passati in silenzio, Ame realizzò che non aveva avvisato Lou della sua uscita e in fretta si alzò e prese l’abito ormai asciutto.
-         Scusa ma devo andare.
-         Ci rivedremo?
Domandò lui speranzoso.
-         Facciamo oggi, verso il tardo pomeriggio, qui?
-         Va bene.
Sorrise lui alzandosi.
-         Ti accompagno?
-         Non c’è alcun bisogno, grazie comunque!
Esclamò e velocemente corse verso il centro del villaggio, accennando un breve segno di saluto a cui lui rispose malinconico.
Si diresse anche lui verso il villaggio, ma più lentamente, completamente dimentico della missione.
Sospirò, chissà, forse quello che provava era amore. Scosse la testa, indignato, come poteva lui provare amore? Per una ragazza tanto comune poi! Anche se in fondo sapeva che quelle emozioni travolgenti che Ame gli scatenava, per quanto estranee, ormai facevano parte di lui. Di un nuovo lui.

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Capitolo 20
*** Lettera, Amore e Passato ***


Capitolo XX:
“Lettera, Amore e Passato”

  Ame entrò nell’osteria col fiatone, Joi le accennò un saluto e tornò a servire i clienti. Ame non poteva scendere nel nascondiglio, c’era troppa gente, così si guardò intorno per cercare Lou.
-         Joi sai dov’è Lou?
-         E’ al solito tavolo.
Disse mentre serviva da mangiare ad un’anziana signora.
-         E’ arrivata una lettera, o meglio un pacco, da Enea.
Proseguì con un sorriso.
Ame rimase sorpresa, allora Enea stava bene!
Corse da Lou e la vide intenta ad aprire il pacco, quando vide Ame la guardò con uno sguardo di rimprovero, ma non lo sostenne a lungo, Lou era troppo felice di quella novità.
-         Cos’ha scritto?
-         Non lo so, la sto aprendo ora.
La voce di Lou era rotta dall’emozione, Ame le si sedette accanto e Lou iniziò a leggere la lettera in silenzio. Ame vide il suo sguardo spegnersi piano, la gioia lasciò il posto alla preoccupazione.
-         Allora?
Chiese Ame impaziente.
-         Un attimo.
La zittì Lou, concentrata sulla lettera.
Dopo alcuni secondi posò la lettera e sorrise ad Ame.
-         Dovrebbero arrivare domani sera, hanno avuto un po’ di problemi, ma ora va tutto bene.
Iniziò Lou, più serena.
-         Ed hanno una sorpresa per te: Noah ha forgiato la tua spada.
Concluse sorridendo.
-         La mia… spada?
-         Sì, come credi di combattere senza spada?
-         Anche tu ne hai una?
-         No, io uso l’arco, ma l’ho prestato ad Enea, per questo non lo hai ancora visto.
Lou si alzò con la lettera e il pacco pieno di bottigliette in vetro, piene di strani intrugli.

-         Dove sei stata, tu, invece?
-         Oh, io sono andata a lavare l’abito per togliere la macchia di sangue.
-         E l’hai incontrato?
Domandò Lou con tono di rimprovero.
-         Non sono affari tuoi.
-         Sì che lo sono.
Sibilò a denti stretti, l’ostilità di Lou verso quel ragazzo era spropositata, ma Ame sapeva il perché.
Joi si era avvicinato ad Ame e le aveva appoggiato una mano sulla spalla.
-         Lo diciamo per te, non affezionarti a quel ragazzo. Cosa faresti se dovessi combattere contro di lui?
-         Combatterei. E poi ancora non siamo sicuri che sia un soldato di Wareck, magari si era ferito in un incidente!
L’affermazione di Ame era a metà tra la speranza e l’illusione.
Lou la osservò qualche istante, poi alzò le spalle e si obbligò a sorriderle: non avrebbe mai fatto cambiare idea ad Ame, avrebbe capito da sola in che guaio si stava per cacciare.
 


  -         Io vado al ruscello.
Comunicò Ame mentre si dirigeva fuori dall’osteria. Era pomeriggio inoltrato, l’aria era più fresca e il sole meno caldo, Lou le fece un cenno distratto mentre sorseggiava da una boccettina, di quelle arrivate quella mattina, un intruglio color smeraldo.
Quella mattina dopo aver ricevuto la lettera avevano deciso di riprendere gli allenamenti all’arrivo di Enea e degli altri, il che voleva dire non avere più tempo per Aaron, ma forse era meglio così: Joi aveva ragione, ma lei non riusciva a star lontana da lui.
Dopo un po’, uscita dalla stradina, calpestò l’erba morbida e dopo aver fatto qualche passo, lo vide.
Aaron era appoggiato ad un albero, le braccia incrociate, lo sguardo perso ad osservare il cielo. Ame sorrise, le gambe erano diventate molli e si concentrò per non inciampare mentre andava da lui; il cuore a mille.
Una folata di vento si alzò e mosse i capelli corti di Aaron, col cuore in gola, e le farfalle nello stomaco, Ame gli si avvicinò.
-         Ciao.
Esordì, la voce rotta dall’emozione. Non riusciva a smettere di sorridere, probabilmente sembrava un’ebete.
-         Ciao!
Esclamò Aaron ed inaspettatamente, l’abbracciò.
Ame rimase immobile, arrossì in viso e senza volere si irrigidì: non se lo aspettava.
Aaron, preoccupato, si distaccò da lei e la osservò sorpreso: Ame era immobile con gli occhi spalancati e la bocca leggermente aperta.
-         Tutto ok?
Chiese Aaron esitante.
-         Uhm… Sì, credo di sì.
Balbettò sentendosi un’idiota.
“Perché non ho ricambiato l’abbraccio? Sono davvero un’idiota!” pensò.
-         Perdonami, è che non me l’aspettavo.
Ammise in fine, guardandolo negli occhi con affetto. Lui sorrise e la riabbracciò, la strinse a sé e questa volta Ame si concentrò e ricambiò l’abbraccio, trattenendo il fiato per l’emozione.
-         Sai Ame, sei strana.
Ridacchiò Aaron staccandosi da lei: non aveva mai provato il desiderio di abbracciare, di sentire una ragazza così vicino a sé.
-         Perché?
Chiese preoccupata Ame.
-         Perché sento il bisogno di stare con te e non mi era mai successo.
-         Mai?
Si stupì Ame mentre si sedevano all’ombra, sotto le fronde dell’albero.
-         Mai.
Aaron guardò Ame, lei lo fissava stupita.
-         Nemmeno io ho mai provato qualcosa di simile… Strano, eh?
Sussurrò Ame, distogliendo lo sguardo, imbarazzata. Era assurdo, a malapena si conoscevano eppure lei lo amava in modo assoluto ed intenso.
-         Forse eravamo destinati a conoscerci.
Considerò Aaron prendendole la mano sinistra.
Quel tocco fece salire ad Ame un brivido sulla schiena, non osava muoversi, né parlare. Poi pensò che se non fosse stato per i ribelli, lei non sarebbe mai andata in quel luogo e mai avrebbe conosciuto Aaron. Considerare quell’eventualità la fece rattristare per alcuni istanti, poi si voltò a guardare il ragazzo accanto a lei e tutte le sue preoccupazioni sparirono.
-         Già, forse è così.
Sorrise.
Le labbra carnose e rosse di Aaron si dischiusero in un caldo sorriso.
-         La cosa strana è che mai avrei creduto di incontrare qualcuno come te, Ame. Almeno non in questo periodo e con la carica che ricopro.
Le rivelò alzando le spalle.
Ame lo fissò corrucciata. Aveva detto “carica”?
-         In che senso “carica”?
-         Sono un generale.
Il fatto che lui avesse ammesso ciò che Ame temeva, la fece indietreggiare. Lui se ne accorse, ma fortunatamente fraintese.
-         Tranquilla, non sono qui per far del male alla gente, sono qui per proteggervi dai ribelli.
Tentò di rassicurarla.
Ame si obbligò a tornare normale, si avvicinò a lui con cautela.
-         Hai mai ucciso qualcuno?
Fu la domanda spiazzante di Ame.
-         Io… be’ sì. Fino a poco fa eravamo in guerra, se non uccidevo sarei stato ucciso ed ora non sarei qui con te.
Le fece notare con calma, tentando quasi di discolparsi.
Ame rimase per un po’ in silenzio, qualcosa le suggeriva di andarsene, ma non lo avrebbe fatto, l’attrazione per Aaron era enorme e anche i ribelli comunque avevano ucciso, anche se lo avevano fatto per i loro diritti.
-         Perché?
Gli chiese con un filo di voce.
-         Cosa?
-         Perché hai deciso di combattere?
-         Perché era l’unica scelta che avevo per vivere e per assicurare a mia sorella di salvarsi dalla morte.
Aaron aveva parlato in tono malinconico e Ame tornò a stringergli la mano.

-         Io e mia sorella avevamo perso tutto: i genitori, la casa e lei si era gravemente ammalata. Quando trovavamo un pezzo di pane o una cosa qualsiasi da mangiare, lei la lasciava a me. Avevo dodici anni, non mi accorgevo di ciò che lei stava passando: il suo corpo si indeboliva sempre più e si ammalò presto. Senza casa, senza neanche un riparo, lei peggiorava ogni giorno, nessuno ci aiutava, nessuno ci ascoltava.
Il suo voltò si scurì di rabbia al ricordo di quel periodo.
-         Poi un giorno dei soldati che stavano mangiando dovettero lasciare il loro pranzo incustodito, per fermare una rissa. Io avevo fame e mia sorella ancora di più, così rubai parte del loro pranzo, sperando che non se ne accorgessero, ma non fu così. Mi catturarono, presero anche mia sorella e ci tolsero il cibo dalle mani, io mi dimenai, lottai, urlai: non dovevano far del male a mia sorella Rose. Riuscii a divincolarmi e iniziai a picchiarli, ma ero debole, minuto. Uno di loro estrasse la spada, ma poi qualcuno lo fermò. Wareck lo aveva fermato.
Ame lo ascoltava senza fiatare, aspettava che continuasse.
-         Mi disse che in me vedeva un guerriero, così mi promise di guarire mia sorella e di adottarci a patto che mi fossi schierato con lui, avrei dovuto combattere. Accettai senza esitazione e anche oggi non mi pento di ciò che ho fatto. Rose ora è viva, sta per avere un figlio e non deve vivere le atrocità della guerra, spettano a me.
Concluse, rivolgendo ad Ame uno sguardo triste. Lei non sapeva cosa dire, anche lei avrebbe fatto lo stesso probabilmente, non poteva e non riusciva a condannare Aaron.
-         Posso capirti, credo.
Riuscì solo a dire tentando di rassicurarlo.
Lo abbracciò e lui la strinse a sé, rimasero immobili alcuni istanti.
Aaron si scostò da lei e la baciò sulle labbra. Un bacio leggero, ma intenso, pieno d’amore.
Ame sbatté gli occhi sorpresa, il cuore le batteva tanto forte da farle credere di sfondarle il petto.
-         Scusa.
Si scusò preoccupato.
-         Non devi scusarti!
Scoppiò lei a ridere e senza lasciarlo replicare lo baciò, questa volta il bacio fu più lungo, ricambiato da entrambi.

  Dal giorno successivo le sarebbe stato molto più difficile vedere Aaron, Enea non avrebbe lasciato stare come aveva fatto Lou, ma in qualche modo Ame avrebbe trovato il modo di vederlo ancora.
Quella sera Ame tornò al rifugio camminando a trenta centimetri da terra.

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Capitolo 21
*** Incubo e Ritorno ***


Capitolo XXI:
“Incubo e Ritorno”

  Ame si trovava al buio, era spossata, faticava a respirare. I suoi occhi ormai abituati all’oscurità scrutarono intorno a sé, ma la stanza era vuota. Provò ad alzare un braccio, scheletrico, ma le catene le bloccarono il movimento, lasciò perdere ed appoggiò il braccio a terra, il tintinnio monotono delle catene risuonò nella cella.
Aveva sete, una terribile sete, le davano da bere il minimo indispensabile affinché non morisse e poco cibo. Era stata avventata ad andare contro Wareck, ma per fortuna prima aveva avvisato Lou ed Enea dell’esistenza di un’altra Discendente sulla Terra, in una dimensione parallela. Aveva provato a contattarla mentre era prigioniera, in fondo erano unite dallo stesso sangue e dallo stesso destino: lei era l’involucro, l’altra il potere; ma non ci era riuscita, era troppo debole, la sua mente perdeva ogni giorno lucidità.
In quel momento sentì i passi delle guardie avvicinarsi: l’incubo orrendo sarebbe ricominciato, ma lei non avrebbe versato nemmeno una lacrima, anche a costo di morire.
 

  Ame si svegliò di soprassalto, sudata e ansimante. Era la prima volta che sognava da quando era lì e mai si sarebbe aspettata che il primo sogno fosse un incubo. Era stato strano: terribilmente reale, non come i soliti sogni bizzarri, impossibili. Le atmosfere, il dolore, la paura che aveva provato, le sensazioni e i rumori sentiti, era stato tutto terribilmente reale.
Ame si passò la mano tra i capelli, senza capire il perché di quel sogno. Si alzò e andò nella stanza di Lou, doveva parlarle subito.
A tentoni nel buio, Ame arrivò nella sua stanza e accese una candela.
Ciò che vide fu orribile: Lou era nel letto, ansimante, il corpo percosso da singulti, il sangue usciva dalla bocca carnosa della ragazza, i suoi occhi erano vitrei, inespressivi. Ame le si avvicinò e provò a chiamarla, ma nulla, il suo sguardo era come quello di un morto.
Senza pensarci due volte Ame corse a chiamare Joi, ancora in camicia da notte, una volta davanti alla porta della stanza del ragazzo, bussò. Nessuna risposta. Ame bussò ancora con insistenza e non smise finché Joi, assonnato ed irritato, aprì la porta.
-         Cosa vuoi?
Biascicò, strizzando gli occhi alla luce della candela.
-         Lou ha una crisi, non sta bene, ti prego scendi!
Urlò Ame in preda all’ansia.
Senza farselo ripetere, Joi si precipitò giù dalle scale ed entrò nella stanza di Lou.
Le si avvicinò e la studiò per alcuni istanti.
-         Ame, passami le boccettine che le sono arrivate oggi.
-         Subito.
Joi le osservò, poi prese l’unica vuota.
-         Lo immaginavo.
Disse scuotendo la testa.
-         Cosa?
-         Ha sbagliato infuso, tranquilla, non è ancora grave. Puoi uscire dalla stanza, per favore?
Ame annuì e si chiuse la porta alle spalle ansiosa.
Dall’interno della stanza sentì Joi armeggiare, poi lo senti recitare formule a lei sconosciute. Dopo di che le urla di Lou furono strazianti.
Ame era preoccupata, ma non poteva fare nulla, solo attendere che Joi le spiegasse cos’era successo.
Furono momenti interminabili, poi le urla cessarono. Joi aprì la porta con lo sguardo spossato, fece un cenno ad Ame di entrare.
Lou era distesa in modo composto sul letto, avvolta da piante che emanavano una luce bluastra, alcune di queste le trapassavano il corpo, in punti non vitali, non le facevano uscire nemmeno una goccia di sangue.
Il suo viso era pacifico, sereno, il petto si alzava e abbassava regolarmente.
-         Anche tu del clan della terra?
Domandò Ame, più serena.
-         Sì, ma non come Enea o Noah, io mi occupo della medicina, ma solo loro due sanno fare quegli infusi, e nemmeno troppo bene a quanto pare.
Considerò appoggiandosi ad una sedia nella stanza angusta. Il suo viso, illuminato dalla luce bluastra, emanata dalle piante, sembrava ancora più stanco.
-         Capisco. Tranne il fatto che un medico faccia l’oste.
Sospirò Ame, poi sbadigliò.
-         Come mai sei sveglia a quest’ora?
-         Ho fatto un incubo e volevo parlarne con Lou, ma quando sono entrata l’ho travata in quelle condizioni.
-         Che incubo era?
Ame gliene parlò, descrivendo ogni particolare, ogni sensazione.
-         Deve essere stata Crystal.
Considerò sorpreso Joi.
-         Chi?
-         Nulla, ti spiegherà Lou, prima o poi. L’unica cosa: se rifai quel sogno, comunica con lei, è importante.
Si alzò e dopo aver augurato la buona notte ad Ame tornò nella sua stanza.
Ame diede un ultimo sguardo a Lou, le dispiaceva terribilmente per lei, le accarezzò la fronte e tornò a dormire.
 

  Per tutto il giorno seguente Ame e Joi, a turno, si occuparono di Lou e dell’osteria, Lou non si era mai svegliata e non aveva più avuto crisi violente, con estrema felicità degli altri due.
Ame non aveva incontrato Aaron, non aveva avuto il tempo di uscire, il che le era dispiaciuto: con l’arrivo di Enea non sapeva se avrebbe mai più rivisto Aaron.
La giornata giunse al termine, Joi ed Ame erano scesi nella stanza di Lou, di lì a poco Enea e gli altri sarebbero arrivati.
-         Mi spiace di averti fatto lavorare tanto oggi, ma avevo bisogno di un aiuto.
Sorrise stanco Joi.
-         Figurati, mi fa piacere esserti stata utile.
Replicò Ame con un sorriso appena accennato, anche lei era stanca.

  Poi tutto accadde in un secondo.
Lou iniziò a contorcersi, gli occhi scarlatti spalancati, ed iniziò ad urlare. Più si agitava più il sangue le scorreva dalle ferite dovute alle piante. Joi, di scatto, si alzò e la bloccò, ma come una furia Lou si dibatteva, disperata, Ame era pietrificata.
-         Ame corri incontro ad Enea, dovrebbero essere vicini, ti prego, Lou sta per morire!
-         Cosa?!
La voce di Ame era incrinata dal terrore.
-         Vai! Le piante ti indicheranno il percorso, sbrigati, solo Enea sa cosa fare!
La voce di Joi era decisa e perentoria, Ame corse fuori.

  Non appena fu uscita dall’osteria notò che un albero emanava una luce bluastra, innaturale, così vi si avvicino, e notò che altri alberi erano iridescenti. Proseguì per quella strada correndo, facendo attenzione a non inciampare, il cuore in gola. Alcuni alberi le ferirono le braccia scoperte, ma non le importava, Lou stava per morire e l’unica salvezza era Enea. Ame sentì il sangue macchiarle la maglia ed espandersi, solo allora si accorse di avere parte della maglia stracciata e un taglio sul ventre, ma non era grave, fortunatamente.
Continuò a correre e in lontananza li vide: un gruppo eterogeneo avanzava affaticato verso di lei.
-         Enea! Enea!
Urlò Ame, sbracciandosi.
Il ragazzo le corse in contro e quando la vide si preoccupò.
-         Ma che ti è successo?
Domandò incredulo.
-         Nulla, è Lou che sta male! Devi correre da lei!
Ansimò Ame, esausta per la corsa.
Senza aggiungere altro Enea corse via, senza aspettare gli altri. Ame si portò la mano al ventre, ora iniziava a sentire dolore.
Il gruppo la raggiunse: una donna teneva un bambino in braccio, addormentato, una ragazza castana con gli occhi ambrati li precedeva, dietro di loro un giovane biondo, con gli occhi azzurri, chiudeva la fila.
-         O povera gioia, cosa ti è successo?
Chiese preoccupata la donna di mezza età, avvicinandosi ad Ame.
-         Nulla, stia tranquilla.
Sorrise Ame.
-         Mi chiamo Ame.
Si presentò al gruppo.
-         Piacere io sono Dalila e il bambino è il piccolo Ian.
-         Io sono Adrien e lei è Emy.
Aggiunse poi il biondo indicando prima se stesso e poi la ragazza, ancora più minuta di Ame.
-         Questa è tua.
Il giovane sorrideva pacifico e le porse una spada in un fodero scuro, abbellito con incisioni dorate e argentee. La guardia era intagliata in modo da raffigurare un dragone, la spada aveva la tipica forma della katana giapponese. Ame la prese con delicatezza e la ammirò stupefatta, la estrasse dal fodero e vide la lavorazione perfetta di quell’arma, la rinfoderò ancora piacevolmente sorpresa.
-         Grazie mille!
Esclamò allegra.
-         Di nulla.

  Emy si bloccò e fece segno agli altri di tacere.
-         Si avvicina qualcuno?
Domandò Adrien alla ragazza.
Lei annuì.
-         Dobbiamo andarcene.
Affermò Adrien.
-         Non c’è più tempo.
Disse Ame, mentre una figura iniziava a prendere forma nel buio della foresta.
-         Voi andate resto io.
Li incitò poi Ame.
-         Ma cosa dici?
-         Voi siete stanchi e tu, Adrien, li devi proteggere mentre andate al rifugio, io li trattengo, poi vi raggiungo, non preoccupatevi, davvero. Ho tenuto testa a Lou.
Spiegò Ame.
Adrien non era molto convinto.
-         Li porto al rifugio e poi torno da te, cerca di rimanere in vita.
-         Ok.
Annuì Ame e lo salutò mentre si allontanava velocemente col gruppo.
Ame portò la spada al fianco sinistro, fissò il fodero alla cinta ed estrasse la spada con la mano destra, l’adrenalina le pervase il corpo.
Attese in silenzio, nel buio, l’arrivo del nemico.

  La figura si stava definendo, i suoi passi decisi mettevano ansia ad Ame.
-         Avete smesso di nascondervi, eh, ribelli?
Quando Ame sentì quella voce desiderò sparire, ma era troppo tardi.
Aaron era di fronte a lei.

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Capitolo 22
*** Addio ***


Capitolo XXII:
“Addio”

  Ame era pietrificata, la spada sguainata contro Aaron.
-         Ame?!
La voce incredula di Aaron la fece sentire colpevole, voleva sparire.
-         Cosa ti è successo? Sono stati i ribelli? Ti hanno ferita?
Domandò Aaron ansioso, fraintendendo la situazione.
Ame non accennava a rinfoderare la spada e non riusciva a parlare.
-         Sono io, Aaron. Abbassa la spada Ame.
Continuò lui avvicinandosi, ma Ame indietreggiò.
-         Mi dispiace…
Bisbigliò Ame con la voce incrinata dalla tristezza.
-         Ame, cosa ti dispiace?
-         Ti prego Aaron, basta. Io… io sono una ribelle!
Disse infine guardandolo negli occhi. Per la prima volta Aaron vide gli occhi di Ame: grigi con riflessi azzurri, verdi e pagliuzze color nocciola. Erano bellissimi.
-         Una ribelle?
Aaron non ci credeva. Perché lei, l’unica ragazza che amava, doveva essere sua nemica?
Poi collegò il colore degli occhi e il nome di Ame alla Discendente che stavano cercando, la cosa si complicava ancora di più.
-         Ame tu sei… la Discendente?
Ame non rispose, confusa.
-         Discendente?
Domandò a voce troppo bassa perché Aaron la sentisse.
Lei non aveva la minima idea di ciò che stesse parlando Aaron.
 


  Aaron era abbattuto, se l’avesse catturata i ribelli sarebbero stati facilmente sconfitti, privati della loro ultima speranza, ma lui non riusciva a pensare di catturare la ragazza che amava per portarla al patibolo. No, non l’avrebbe fatto, doveva essere stata Ame a guarirgli le ferite, la notte della festa, le doveva la vita.
-         Allora Ame credo che non dovremmo più vederci.
Proclamò tentando di mantenere un tono di voce deciso, ma gli era complicato.
-         Addio.
Aaron si voltò per andarsene.
-         Aaron… mi spiace, io ti amo!
Urlò Ame, era la prima volta che glielo diceva.
Aaron si fermò un istante, il cuore a mille, anche lui l’amava, per questo si sarebbe fatto dare un’altra missione pur di non catturarla.
Lentamente si incamminò nella foresta, senza voltarsi indietro e sparì nel buio della sera.
 


  Ame singhiozzò lasciandosi andare sulle ginocchia, lasciò cadere la spada e urlò contro il cielo tetro e scuro.
Le veniva da piangere: non l’avrebbe più rivisto, mai più.
Sentì le lacrime pungerle gli occhi, forse avrebbe pianto, finalmente.
Qualcuno le appoggiò una mano fresca sulla spalla, si voltò e vide Adrien che la guardava con un misto di sorpresa e dispiacere, probabilmente aveva sentito tutto.
-         Non piangere. Non devi, le tue lacrime sono preziose.
-         Ma cosa dici?
Singhiozzò asciugandosi gli occhi.
-         Lou ora sta bene, dobbiamo tornare indietro.
Commentò Adrien aiutandola ad alzarsi.
Con un braccio le cinse la vita e fece passare il braccio sinistro di Ame intorno alle sue spalle. Non si sarebbe mai aspettato che una ragazza così esile fosse la Discendente, né che amasse il generale che aveva quasi ucciso Enea e lui. Strinse Ame a sé, sorreggendola, mentre lei fissava il cielo cupo.
Nella notte fredda e cupa i due si incamminarono verso il rifugio.


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Ehilà! So che il capitolo è più corto del solito, ma spero che lo apprezzerete ugualmente, purtroppo ho avuto poco tempo per scrivere ultimamente...
Spero di non avervi deluso e che continuerete a seguirmi! :)
Filakes

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Capitolo 23
*** Discendente ***


Capitolo XXIII:
“Discendente”

  Ame era seduta sul suo letto, immobile, lo sguardo fisso a terra. Respirava piano, e la sua mente vagava fastidiosamente, fino ad arrivare all’accaduto della sera prima, sentì le voci allegre degli altri di sopra: si erano ritrovati dopo tanto tempo ed Enea aveva salvato Lou, per un pelo. Ma Ame non se la sentiva di raggiungere gli altri, non ancora per lo meno. Grazie al ciondolo aveva medicato le ferite corporee, ma non quelle dell’anima.
Si sentiva stupida: lo sapeva che sarebbe andata a finire così, ma non credeva così presto, in fondo cosa aveva vissuto di quell’amore? Pochi attimi, come se avesse visto una torta fantastica e avesse solo assaggiato un cucchiaino di glassa, prima che gliela portassero via.
Sospiro e alzò lo sguardo, la stanza era illuminata un poco dalla candela, odiava piangersi addosso, odiava sentirsi così vulnerabile, ma si sentiva davvero male. Si diresse a passi misurati in bagno e nello specchio vide la sua immagine riflessa: gli occhi spenti, quasi privi di vita, il viso terribilmente pallido, i capelli in disordine. Così non andava affatto bene, prese una bacinella d’acqua e si lavò il viso, poi con un pettine si sistemò i capelli, e si colpì le guance con le mani per dare un po’ di rossore e per svegliarsi.


  Alcuni minuti dopo raggiunse gli altri di sopra: erano seduti lungo una gran tavolata piena di cibo e chiacchieravano allegri, solo Lou aveva il viso stanco.
-         Era ora Ame!
Commentò allegro Enea alzando un calice pieno di vino, aperto per l’occasione.
Ame si sedette tra Lou e Adrien, entrambi la osservarono alcuni istanti preoccupati, poi si guardarono negli occhi.
-         Come stai?
Sussurrò Lou senza farsi sentire dagli altri.
-         Insomma… Tu invece? Ti vedo stanca.
-         Già, ma sto molto meglio rispetto a ieri, credimi.
Sorrise Lou.
Adrien versò dell’acqua nei bicchieri di Ame e di Lou, poi iniziò a chiacchierare allegramente con Joi, sbirciando di tanto in tanto Ame, che mangiava piano, assorta nei suoi pensieri.
-         Ora che ci siamo quasi tutti dobbiamo andare avanti ad allenarci, Joi mi ha detto che avete battuto la fiacca voi due.
Commentò Enea, rivolto a Lou e ad Ame.
-         Ho pensato che se ci rilassavamo un po’ non sarebbe stato male, soprattutto perché non sapevo com’ero messa con la Belva… se si fosse risvegliata di nuovo sarebbe stato un bel casino.
Si giustificò Lou mentre prendeva una mela rossa dal centro della tavola.
Emy se ne stava zitta, osservava sorridendo gli altri, quel clima pacifico la faceva sentir bene sentiva le loro anime tranquille, tranne quella di Ame, così si concentrò su Ian, il più puro di tutti e lo salutò amichevolmente. Lui sorrise e ridendo soffiò su un bicchiere che volò su Enea, rovesciandogli l’acqua in testa.
-         Ehi! Bimbetto!
Esclamò Enea alzandosi di scatto dalla sedia, con troppo impeto e un attimo dopo cadde all’indietro, tra le risate di tutti.
Ame sorrise, in fondo quelle erano le persone che voleva aiutare, lo aveva deciso lei, avrebbe accettato col tempo il fatto di non poter stare con Aaron, per quanto difficile.
 

  Un’ora dopo erano nel giardino sotterraneo. Ame vide Tora, la sera prima non l’aveva notata, le corse incontro e le accarezzò la testa.
-         Come stai Tora? Mi sei mancata cucciolona!
La tigre le leccò la mano poi si rannicchiò sotto un pero, mentre gli altri si radunavano al centro.
-         Con la terra e il fuoco Ame si è già allenata molto, perciò ho pensato che Ame si potrebbe allenare con Adrien con l’acqua e io e Lou aiuteremo Ian a sviluppare il suo potere.
Spiegò Enea rivolto ad Ame e Adrien.
-         Perfetto!
Esclamò Adrien tirandosi indietro i capelli e legandoli in un codino corto e spettinato. Afferrò la mano di Ame e la trascinò vicino ad un melo.
Ma Ame si fermò, le era venuta in mente una cosa.
Senza dire nulla si allontanò da Adrien, tornando indietro, diretta verso Enea.
-         Ame dove vai? Torna qui!
Protestò Adrien frustrato ma Ame non gli rispose, né tantomeno tornò indietro.

  -         Enea, devo farti una domanda.
Annunciò non appena lo ebbe raggiunto.
-         Dimmi.
-         Aaron, il generale di ieri sera, mi ha chiamata “Discendente”, cosa intendeva?
Enea la fissò alcuni istanti senza parlare, Lou dopo essersi ripresa aveva raccontato tutto ad Enea che era rimasto sconcertato dalla storia d’amore tra Ame e Aaron, ma fortunatamente il problema si era risolto prima che lui intervenisse.
-         Nulla che ti riguardi, Ame. Non ora almeno.
-         Invece sì, voglio sapere tutto, io mi sto mettendo in gioco, ma voi state nascondendo troppe cose. Quelle importanti le voglio sapere.
Lo sguardo di Ame era fisso in quello di Enea, il ragazzo cercò un aiuto in Lou, ma lei non sembrava volerlo aiutare, poi guardò Adrien che lo fissava con un sorrisetto di sfida. Sospirò sconsolato e guardò Ame di nuovo.
-         Va bene, hai vinto.
Borbottò.
-         E’ una lunga storia quindi mettiti a sedere, per favore.
I due si sedettero a gambe incrociate sul prato e gli altri si avvicinarono.

  -
        Esiste una leggenda, antica quanto è antico il mondo. Esistevano tre divinità: Saurus, Lenn e Yanin.
Yanin amava Lenn e il suo amore era corrisposto, ma sfortunatamente anche Saurus amava Yanin e non poteva accettare certo che lei stesse con Lenn. Per lungo tempo non fece nulla, crogiolandosi nella rabbia e nella gelosia, avvelenando il suo animo. Poi Yanin e Lenn ebbero una figlia, finalmente il loro amore era stato coronato dalla gioia più grande, ma l’equilibrio si ruppe.
Saurus non poteva accettare di aver perso Yanin per sempre,e così tentò di ucciderli tutti e tre, in preda alla follia, Lenn andò contro Saurus, sacrificandosi per lasciare a Yanin il tempo di salvare la bambina, che fu inviata sul nostro mondo, Yanin pianse disperata mentre vedeva Lenn cadere a terra privo di vita e la bambina arrivò sulla terra portata dalla pioggia. Crescendo la bambina fece emergere straordinari poteri che diedero vita ai quattro grandi clan, donando un frammento del suo potere a ciascuno dei quattro capi famiglia. Prima di lasciare il potere al consiglio dei custodi, da lei creato, per diventare sacerdotessa, creò una legge che nessuno potesse mai abrogare: poiché la sacerdotessa aveva sempre figlie femmine come primogenite, ogni primogenita doveva sposarsi con un membro di uno dei quattro grandi clan, diverso per ogni generazione: prima acqua, poi terra, poi fuoco ed infine aria; in modo che il potere della Discendente rimanesse intatto, finché non ci fosse stata una Discendente così forte da combattere e vincere Saurus, che creava scompiglio nel mondo pur di uccidere la discendenza delle altre due divinità. Finché due secoli fa non accadde un imprevisto.
    Enea riprese fiato, Ame lo guardava aspettando che continuasse.
-         Sapphire era destinata ad un membro del clan del fuoco, ma si innamorò di un membro del clan dell’acqua, scapparono insieme e lei ebbe una primogenita che non sarebbe dovuta mai nascere. Furono separati e la bambina spedita in un’altra dimensione, Sapphire fu obbligata a sposare un uomo che non amava e tutti fecero finta di nulla e le cose proseguirono con tranquillità senza che un tale disonore fosse reso noto, la famiglia delle Discendenti ha sempre tenuto nascosto il fatto, fino a poco tempo fa. Tu, Ame, discendi dalla vera primogenita di Sapphire, e, dopo molte generazioni, sei l’unica abbastanza forte da poter custodire il potere. In un certo senso, dal punto di vista della discendenza, meriti più tu il nome di Discendente della Pioggia rispetto a Crystal, infatti il potere ha scelto te, per questo tu ci devi aiutare.
    Ci fu un minuto di pausa, Ame non mutò minimamente espressione.
-         Perché l’altra volta mi hai detto tutte quelle cazzate?
-         Non ero sicuro che ci avresti aiutato, perciò se alla fine avessi deciso di tornare nel tuo mondo era meglio che tu non sapessi la verità. L’unica cosa vera è che davvero sai provare pietà e compassione e la voglia che hai sul collo è un simbolo, non dei custodi, ma della Discendente della Sacerdotessa della Pioggia.
Concluse Enea.
Ame era confusa, molto confusa, doveva pensare con tranquillità, così tornò nel rifugio, senza ascoltare le proteste di Adrien.
“Com’è strana la vita” pensò mentre camminava nel buio, sapendo che la verità non era ancora emersa del tutto.

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Capitolo 24
*** Fedeltà sbagliata ***


Capitolo XXIV:
“Fedeltà sbagliata”

  Trascinata in catene per un lungo corridoio buio, Ame vide il sangue gocciolare dai suoi polsi. Allora capì, era in contatto con Crystal.
La sua mente vagava, non doveva pensare assolutamente a ciò che le sarebbe successo, altrimenti il desiderio di suicidarsi sarebbe aumentato. Le guardie aprirono la porta e la luce della stanza le ferì gli occhi. Ansimò tentando di abituarsi alla luce, sbatté più volte le palpebre e pian piano iniziò a distinguere le forme della stanza. I suoi occhi si posarono in quelli grigi di Wareck. Era bello, tanto bello quanto crudele, con gesti lenti, Wareck si passò una mano tra i capelli ricci, sembrava quasi un dio, un dio della guerra senza scrupoli. Le sue labbra si incresparono in un ghigno crudele e osservò Crystal. Accanto a lui sedeva la figlia, mezza ninfa, i capelli neri lunghi e lisci fino alla vita, i tratti delicati e armoniosi. Distolse lo sguardo da Crystal, odiava vedere l’orrore che suo padre compiva su persone indifese.
-         Morrigan, ti prego di ritirarti nelle tue stanze.
-         Certo padre,
Rispose senza emozione, si alzò e seguita dai servi si affrettò a lasciare la stanza.
-         Allora vuoi collaborare oggi, Crystal?
La ragazza non rispose, sfidandolo con lo sguardo, cosciente del fatto che non l’avrebbe uccisa, nonostante lo desiderasse. Anche se si divertiva lo stesso a maltrattarla.
-         Erin, vuoi avere tu l’onore di cominciare?
-         Certo, padre.
Erin si avvicinò minacciosa a Crystal.
Erin li aveva traditi, in realtà non era mai stata dalla loro parte. Era stata lei a ordinare l’omicidio della sua famiglia, ma sfortunatamente per lei, Lou si era salvata, per colpa dell’inaspettato arrivo di Enea, non aveva potuto attaccarli di persona a quei tempi, era troppo debole.
-         Non ucciderla, mi raccomando.
-         Ai vostri ordini.
 

  -         Ame! Ame! AME!
Ame aprì gli occhi spaventata. Lou ed Emy erano accanto al suo letto.
-         Tutto bene?
-         S…Sì, solo un incubo.
Balbettò in preda all’ansia.
Deglutì e tentò di assumere un’espressione serena, non sapeva se parlarne con Lou o meno, non sapendo se ciò che aveva sognato era vero.
Si sedette sul letto ed Emy le porse un bicchiere d’acqua fresca.
-         Grazie.
Ame bevve l’acqua in un solo sorso, Poi si alzò, ne doveva parlare assolutamente con qualcuno.
Si obbligò a sorridere, ma Emy continuava a scrutarla preoccupata. Tutte e tre salirono alla taverna di Joi e una volta arrivate, Ame prese in disparte il ragazzo per parlargli del nuovo incubo, eliminando il particolare di Erin.
-         Ma è terribile! Se fosse vero, oh, povera Crystal! Almeno è viva…
-         Però potrebbe essere un semplice incubo.
-         Dubito, troppi particolari coincidono. Ne hai parlato con Lou o con Enea?
-         No, ne ho parlato solo con te…
-         Capisco.
Sospirò Joi pensieroso.
-         ‘Sta sera ne parleremo a cena, ora vai ad allenarti, Adrien ti aspetta.
-         Ma non l’ho visto di sotto!
-         Ti aspetta nel bosco.
Concluse e servì da mangiare a dei viandanti.


  Ame uscì dall’osteria e si diresse verso il bosco, dopo un centinaio di metri lungo il sentiero, vide Adrien seduto su una roccia che l’aspettava sorridendo.
-         Finalmente!
-         Scusa, non sapevo che mi stavi aspettando, me l’ha detto Joi pochi minuti fa.
-         Già, anch’io l’ho detto a Joi poco fa.
Sorrise Adrien.
-         E allora cosa recrimini!
Si imbronciò Ame.
Adrien scoppiò a ridere e balzò in piedi, poi la prese per una mano, noncurante della sorpresa di Ame, e l’accompagnò vicino a un piccolo corso d’acqua.
-         Fammi vedere cosa sai fare.
La incitò Adrien osservandola.
Ame inspirò e recitò alcune formule, facendo muovere l’acqua, la innalzò la fece piroettare e poi la lasciò ricadere. Sorrise soddisfatta al ragazzo.
-         Non va bene.
Sentenziò impassibile.
-         Come “Non va bene”?
Domandò incredula Ame.
-         Hai parlato.
-         E allora?
-         Non devi.
-         Ma è impossibile!
Protestò Ame innervosendosi.
-         No che non lo è! E’ come quando controlli il fuoco, è la stessa cosa.
-         Ma Lou mi ha detto che si può fare solo col fuoco…
-         No, credimi, non è così, lo ha detto per far sembrare il suo clan più figo degli altri!
Rise Adrien scuotendo la testa.
-         Ora, quindi, ti immergi nell’acqua e non esci finché non riesci ad usare l’acqua senza aprire bocca, o non ti senti male.
Sorrise ironico e la spinse in acqua, lui, invece, si sedette a riva osservandola, non doveva lasciarle il tempo di deprimersi per quel generale. Ame non doveva versare una sola lacrima, mai.
-         Ehi! Che simpaticone! Cosa dovrei fare, ora?
Sbuffò verso Adrien.
-         Chiudere gli occhi e inspirare ed espirare profondamente. Senti l’acqua che ti scorre addosso? E’ fresca e rilassante. Senti che scende a valle? Ora pensa a come sarebbe se scorresse a monte. Devi riuscire a farla scorrere proprio a monte.
Spiegò Adrien mentre la osservava chiudere gli occhi e rilassarsi.
Ame sentiva l’acqua cullarla dolcemente, piano, era davvero rilassante. Svuotò la mente, era libera, poteva sentire l’acqua, vederla senza aprire gli occhi, provò ad obbligarla a scorrere nel verso opposto, ma non sentiva alcun cambiamento.
Inspirò ancora, riempiendosi i polmoni d’aria fresca e pulita, Espirò liberandosi. L’acqua era così piacevole in quella giornata calda, davvero molto piacevole.
Il vento le scompigliò i capelli e sorrise, era davvero in pace con il mondo.

Adrien la stava osservando e quando la vide sorridere, quando vide i suoi lineamenti distendersi e il vento accarezzarla, il suo cuore perse un colpo. “Che stupido” si ammonì e si concentrò sull’allenamento.
Vide degli zampilli d’acqua andare nella direzione opposta alla corrente.
“Di già? Ma come fa! Forse la corrente non è abbastanza forte…”. Considerò.
Si concentrò e intensificò la resistenza dell’acqua, gli zampilli cessarono ed Ame aprì gli occhi scocciata.
-         Cosa stai facendo?!
-         Nulla!
-         Non dire cazzate, me ne sono accorta!
Adrien sorrise ammiccante.
-         Sarebbe troppo facile.
Sogghignò.
-         Ora torna a concentrarti!
-         Va bene, va bene.
Sbuffò Ame richiudendo gli occhi.
 


  Aaron entrò nella sala principale e, dopo aver attraversato un lungo corridoio, bussò al portone della sala regia.
Una guardia aprì la porta e Aaron entrò, dopo dieci passi si inchinò, distogliendo lo sguardo dal corpo martoriato della Discendente, che in quel momento era sotto le cure di Rose, non doveva morire per nessun motivo.
-         Che notizie mi porti?
-         La Discendente venuta dall’altra dimensione si trova a Senar, protetta da alcuni ribelli e credo che presto ne arriveranno altri.
-         Allora tornerai lì con alcune truppe scelte.
-         Chiedo il permesso di essere sollevato dall’incarico.
-         Perché?
-         Perché voglio rimanervi fedele.
Wareck capì cosa intendeva il ragazzo: era più fedele all’uomo che aveva salvato lui e la sorella, che ad una ragazza appena conosciuta, aveva senso.
-         Permesso accordato. Luke!
Chiamò il giovane del clan dell’acqua.
-         Guiderai tu le truppe, partirai domani mattina, Aaron ed Emerald ti aiuteranno a mettere insieme le truppe.
-         Ai vostri ordini, signore.
Il ragazzo si inchinò e usci dalla stanza.


  Una volta guarita la Discendente, Rose raggiunse il fratello.
-         Come ti senti?
-         Come un verme calpestato. Ecco come.
Senza aggiungere altro si congedò nella sua stanza.

 

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Capitolo 25
*** Codardo ***


Capitolo XXV:
“Codardo”

  -         Così va meglio Ame!
Esclamò Adrien vedendo l’acqua andare a monte e poi dividersi.
Ame ansimò per lo sforzo, non era stato facile, le labbra stavano diventando viola, era immersa nell’acqua da troppo tempo. Senza aspettare il permesso di Adrien, uscì dall’acqua, i vestiti erano fradici, attaccati al corpo, si sdraiò a terra.
-         Ma cosa fai? Devi allenarti!
-         Un attimo per favore!
Ansimò Ame fissandolo negli occhi azzurri.
-         Ok, tanto è ora di pranzo, asciugati che torniamo indietro.
Borbottò distogliendo lo sguardo.
-         Grazie.
Ame si alzò, strinse il ciondolo e pensò al calore del fuoco, in poco tempo gli abiti si asciugarono e i due si incamminarono verso l’osteria.
 


  Aaron lanciò un mantello pesante a Luke.
-         Ti servirà, con questo non si accorgeranno di te per un po’.
-         Grazie.
Luke lo indossò, gli occhi azzurri ardevano di bramosia, aveva avuto fortuna, se avesse portato a termine quel compito avrebbe fatto un bel passo avanti nella scala sociale.
-         Non capirò mai il motivo per cui ti sei fatto soffiare questo compito.
-         Non me lo sono fatto soffiare, è una mia scelta. Il motivo non ti interessa.
-         Ok.
Luke alzò le spalle e montò a cavallo.
-         Ci si vede.
Aaron lo fissò allontanarsi con le truppe, si sentiva uno schifo, rientrò al castello e per poco non si scontrò con Erin.
-         Sai, sei davvero strano fratellino.
-         Te l’ho già detto, io non sono tuo fratello e non voglio che tu mi chiami così. L’hai dimenticato? Tuo fratello l’hai fatto ammazzare.
-         Suvvia, era solo una palla al piede, solo perché era il promesso sposo di quella Discendente lo portavano tutti in palmo di mano, a nessuno importava che io fossi dieci volte più brava.
-         Mi fai vomitare.
Commentò disgustato Aaron.
-         Parli così perché ti credi un grande per aver salvato tua sorella? Per cosa? Per essere condannato a servire una causa in cui non credi?
Domandò alzando un sopracciglio.
-         Non è importante, lei ora è viva e sta bene, questo è abbastanza.
-         Ma Ame verrà uccisa o quantomeno torturata, si chiama così giusto?, pensi davvero di essere meglio di me, Aaron?
Lo provocò con un ghigno.
Aaron non rispose, passò avanti, lo sapeva anche lui di non essere migliore di lei, ma ormai era tardi per pentirsi, troppo tardi.

  Andò nella sua stanza, e si lasciò cadere sul letto, fissò il soffitto senza pensare, non voleva pensare. Gettò un’occhiata alla spada accanto al suo letto, la prese e la tolse dal fodero, la lama luccicava tetra alla luce del sole. Si sedette e la rinfoderò con cautela, doveva fare attenzione.
Sentì bussare alla porta, due colpi delicati.
-         Rose, vattene.
La porta si aprì con cautela.
-         Rose, per favor… ah, sei tu. Cosa vuoi?
-         Parlare un po’, posso?
Emerald entrò nella stanza e si sedette su una sedia di fronte a lui.
-         Come mai ti comporti così? Pensavo che saresti partito anche tu.
-         Manca poco alla nascita del mio primogenito, non potrei mai mancare. Poi, ormai, non ho più possibilità di prendere il tuo posto, né lo voglio ancora, mi hai salvato la vita e non la voglio più rischiare inutilmente, non vedrei più Rose. Penserai che sono un codardo.
-         Un po’.
Ammise Aaron.
-         Ma ti posso capire, la guerra non porta alcuna felicità.
Sospirò, si passò una mano tra i capelli.
-         Come stanno le tue ferite?
-         Eh?
-         Le ferite dello scontro contro i ribelli.
-         Oh, me le ha guarite.
-         Rose?
-         No.
Cadde un silenzio pesante.
-         Quando pensi che saranno di ritorno?
-         Dipende, sono a cavallo quindi poco, ma se devono combattere direi al massimo cinque giorni.
Aaron si alzò, prese la spada, una sacca con medicinali e soldi e si diresse verso la porta.
-         Cosa fai?
-         Io non ci sarò, sai, sono molto più codardo di te.
 


  Ame prese un pezzo di pane, stava per portarlo alla bocca, quando Joi parlò.
-         Ame deve dirvi una cosa.
Ame, sconsolata e affamata, appoggiò il pezzo di pane e si schiarì la voce.
-         Mi è capitato per due notti di fare dei sogni strani.
-         Ah sì? Mi spiace.
Commentò sarcastico Adrien.
-         Lasciami finire.
Lo fulminò, poi proseguì e raccontò i due sogni, senza mai nominare Erin.
-         Joi pensa che Crystal sia viva e stia cercando di contattarmi e dopo ciò che mi hai detto ieri ne sono sicura anch’io.
-         Quindi, Crystal non è morta?
La voce di Lou era piena di speranze.
-         Così sembrerebbe.
Ame si sentì a disagio, se il sogno era vero, allora Erin…
-         Dobbiamo affrettare i tempi, prima uccidiamo Wareck prima la liberiamo.
Enea era su di giri.
-         Non esageriamo, non la uccideranno, perciò anziché affrettarci rischiando di non raggiungere l’obbiettivo, dobbiamo studiare un buon piano e far arrivare Ame al massimo livello, solo così metteremo la parola fine a questa pazzia.
Li ammonì Joi, Emy annuì completamente d’accordo.
-         Ok, ho bisogno di parlare con Ivan. Lou, Emy e Tora verrete con me; Joi, tu proteggerai Dalila ed Ian, Ame e Adrien continuerete ad allenarvi, al mio ritorno devi saper usare l’acqua alla perfezione. Partiremo questa notte.
-         Chi è Ivan?
-         La persona più subdola e odiosa esistente, ma è un ottimo informatore.
Rispose Adrien ad Ame.
-         Manderò una lettera a Noah in modo che ci raggiunga da Ivan.
Concluse Enea e il pranzo continuò nel silenzio più assoluto.
 


  -         Quindi vuoi partire?
La voce di Wareck era annoiata e stanca.
-         Sì, cercherò informazioni sulle Belve Sacre della terra e dell’acqua, le uniche di cui non sappiamo nulla.
-         Va bene. Quando partirai?
-         Ora.
-         Prendi dieci uomini e tutto ciò che vi serve, anche i cavalli, e non tardare a tornare.
-         Sì, signore.

Concluse Aaron, cogliendo la sfida lanciata dal tiranno.

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Capitolo 26
*** L'ultima notte a Senar ***


Capitolo XXVI:
“L’ultima notte a Senar”

  -         Ok, ho preso tutto.
Enea si mise in spalla la sacca preparata poche ore prima.
-         Mi raccomando, dovete stare attenti, tra due giorni dovremmo essere di ritorno.
-         Sempre che Ivan non ci voglia far perdere tempo.
Puntualizzò Lou entrando nella stanza.
Emy fece segno di essere pronta ai due, Enea prese in braccio Tora, sotto forma di micio, e si avvicinò ad Emy.
-         Mi raccomando: quando torniamo dovete esserci tutti, vivi possibilmente.
Affermò serio Enea, un attimo prima di sparire con gli altri.

  Nella stanza rimase il silenzio più assoluto per alcuni istanti, nessuno sapeva cosa dire.
La sera era calata da un pezzo, il vento era cambiato, gli alberi che si vedevano dalla finestra si muovevano facendo cadere le foglie dalle fronde scure.
Ame uscì dall’osteria senza dire nulla e sospirando ripercorse il tragitto fatto poche sere prima, quando Lou era tra la vita e la morte, quando lei si era sentita uno schifo, vulnerabile davanti ad Aaron.
Raggiunse lo spiazzo dove era accaduto tutto. Non sapeva perché si era diretta lì, né le interessava capirlo, la guidava solo l’istinto.
Si guardò in giro e vide un masso grigio, abbastanza regolare, si sedette sopra e fissò il cielo stellato: non lo aveva mai visto così bello, dove abitava lei l’inquinamento luminoso le aveva impedito di vedere le stelle così bene.
Si stiracchiò e sbadigliò, c’era molta pace in quel bosco, vicino agli alberi vide delle lucciole che svolazzavano senza sosta, in vita sua le aveva viste una volta sola, a cinque anni in montagna.
Stava per rialzarsi quando una visione comparve nella sua mente.

  Non era nella solita cella buia, era in una stanza chiara, era sdraiata, avvolta da lenzuola bianche da ospedale. Accanto al suo letto una donna con i capelli ramati e il pancione trafficava con delle medicine. Aveva lo sguardo preoccupato e stava parlando con uomo biondo, in piedi vicino alla porta.
-         E’ partito, quindi? Poteva salutarmi, almeno. Ogni volta che va via non so se torna, e tra un po’ il piccolo nascerà… Poteva anche rimanere.
Si lamentò scuotendo la testa, poi si rivolse a Crystal.
-         Ti fa ancora male la gamba?
-         Non… molto.
Rispose affaticata.
Se non fosse stato per Rose, quel posto sarebbe davvero stato un inferno. Rose ogni notte portava degli antidolorifici e un po’ di cibo a Crystal, in modo che potesse almeno dormire senza soffrire.
-         Ora ti lascio riposare, se hai bisogno chiama.
Le raccomandò la giovane, poi uscì dalla stanza col marito.
Erano proprio diversi i due fratelli, uno in prima fila nelle battaglie, l’altra pronta a rischiare la vita pur di curare sia gli alleati che i nemici.
Crystal chiuse gli occhi, quello era il momento migliore per contattare Ame.
Ame provo a far capire alla ragazza che l’aveva già contattata, ma come? Provò a parlare ad alta voce, concentrandosi.
-         Crystal…
Sentì la sua voce risuonare nei pensieri della ragazza, che rimase sorpresa.
Crystal aveva poco tempo.
-         Fa attenzione, stanno per…
La voce di Crystal non si sentiva più e Ame tornò a fissare la boscaglia di fronte a sé. Ansimante, capì che nessuna delle due era abbastanza in forma da riuscire a mantenere i contatti l’una con l’altra.
Ame si sentì di colpo insicura, indifesa. Si guardò in torno ma era tutto calmo, silenzioso, così tornò velocemente all’osteria.
-         Ma dove sei stata? Ci stavamo preoccupando!
-         Io sono stata un attimo nel bosco…
-         Un attimo? E’ notte inoltrata!
-         Cosa?
-         Non te ne sei accorta?
Chiese incredulo Adrien, lei scosse la testa.
-         Ho ancora visto Crystal.
Spiegò Ame.
-         Ecco perché non ti sei accorta del tempo che passava.
Commento Joi sbadigliando.
-         Io vado a dormire. Buona notte.
-         Buona notte.
Augurò Ame al ragazzo che raggiungeva la sua stanza vicino alla cucina.
 


  -         Capitano, i soldati chiedono se possiamo accamparci.
Domandò il tenente a Luke.
-         Va bene, dovremmo arrivare a destinazione domani, a pomeriggio inoltrato.
Commentò Luke scendendo da cavallo, le gambe intorpidite.
Ancora poco e poi avrebbe catturato la Discendente, sorrise tra sé, avrebbe ucciso chiunque si fosse messo di mezzo, nessuno avrebbe fermato la sua scalata al potere, nessuno.
 


  Aaron cavalcava verso la città della conoscenza, Kirein, dove erano racchiusi i più antichi scritti sulla storia di quel fragile Mondo.
Al suo seguito dieci tra i suoi più fidati sottoposti cavalcavano in silenzio. Nemmeno loro sapevano il perché di quella spedizione, né perché Aaron non avesse catturato la Discendente tempo prima, quando ne aveva la possibilità.
Senza volere, senza che se ne accorgesse, una piccola lacrima scese sulla guancia calda di Aaron, nella tiepida notte stellata.
 


  L’ultima notte che Ame passò a Senar.

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Capitolo 27
*** Timore e Terrore ***


Capitolo XXVII:
“Timore e Terrore”

  Leo si svegliò dal sonno ristoratore. Si alzò e si stiracchiò, sbadigliando rumorosamente. Accanto al letto il cellulare lampeggiava, lo prese in mano e vide due messaggi: uno dell’operatore telefonico, l’altro della sorella gemella, Ame. Guardò l’orario sul display: erano le nove e trenta del suo primo giorno di libertà. Si sedette sul letto e lesse il messaggio:
Leo, vado dalla nonna, raggiungimi quando ti svegli.”.
 
  Come ogni anno Ame era andata dalla nonna, senza aspettarlo.
Guardò fuori dalla finestra e vide il cielo coperto da nuvole scure, i lampi erano frequenti e lo scroscio d’acqua aumentava ogni minuto. Cosa le era saltato in mente di uscire con quella pioggia!
Si diresse in cucina dove trovò il padre intento a mangiare la torta al cioccolato fatta dalla madre.
-         Ehilà papà!
Sbadigliò Leo sedendosi sulla sedia.
-         ‘Giorno.
-         Dove sono le due pesti?
Domandò riferendosi ai due fratelli più piccoli.
-         Nina oggi ha ancora l’asilo, sai che finisce dopo di voi, Marco invece è a casa di un suo amico, l’ho appena accompagnato.
-         Ame, come al solito, non mi ha aspettato.
-         Cosa vuoi farci? Lo sai che odia perdere tempo, poi sono sicuro che vedendo il temporale le sia venuta voglia di uscire.
-         Già, è proprio strana. Se il temporale diventa meno forte la raggiungo.
-         A proposito, la nonna ha chiamato, è da zia Rosa che sta per partorire. Tra poco vado anch’io, anche la mamma sarà lì ora, perciò non credo che Ame sia dalla nonna ora, starà aspettando che torni o starà tornando a casa. Meglio se l’aspetti qui.
-         Va bene.

  Leo mangiò con calma la sua colazione, ma aveva un brutto presentimento. Perché Ame non li aveva chiamati? Perché non gli aveva mandato un messaggio che stava tornando e quindi di non raggiungerla?
Qualcosa lo tormentava, era come se sua sorella fosse in pericolo, mandò giù le preoccupazioni con un sorso di latte e si andò a vestire, le sarebbe andato incontro.
Infilò i jeans e una maglietta bianca a maniche corte, tentò di sistemare i capelli castani e ribelli,senza successo.
Si infilò le scarpe e uscì poco dopo il padre.
 


  Ame si svegliò tardi quella mattina, era mezzogiorno e aveva dormito come un sasso, senza sognare nulla, di nuovo.
Si alzò velocemente e corse al piano terra dell’osteria, Joi e gli altri si erano appena seduti a tavola.
-         Scusatemi!
-         Tranquilla, non ti abbiamo svegliato perché dormivi troppo bene, sembravi un angioletto.
Le spiegò Dalila, facendole posto.
-         Grazie.
-         Dopo pranzo però torniamo ad allenarci, ok?
Commentò Adrien mentre mangiava la zuppa.
-         Assolutamente.
Concordò Ame, sorridendo ad Adrien.
-         Gli altri torneranno domani se le cose vanno bene, perciò oggi ci alleneremo molto. Sei pronta Ame?
-         Sì, prontissima.
Finito il pranzo, Ame e Dalila aiutarono Joi a sparecchiare i tavoli, poi Dalila e Ian tornarono al rifugio, mentre Ame si avviò nel bosco con Adrien.

-         Oggi devi far entrare l’acqua negli alberi e poi toglierla.
-         Ok.
Ame si concentrò a fondo, senza parlare sollevò l’acqua e la diresse verso l’albero, ma anziché entrare vi si infranse rumorosamente, schizzando i due ragazzi.
-         Ci riprovo.
Adrien sorrise dell’imbarazzo di Ame, era molto più difficile fare le cose senza parlare.
Vide Ame concentrarsi e respirare piano, poi con più calma ci riprovò, l’acqua scintillava alla luce del sole e Ame la fissò per un attimo, ammaliata. Quante cose dava per scontate, per un attimo si sentì in completa armonia con quello che la circondava. Sorrise e tentò di far entrare l’acqua nell’albero, senza successo, ma meglio del tentativo precedente.
-         Ti consiglio di avvicinarti all’albero quando tenti di far passare l’acqua al suo interno.
-         Va bene.
 
  Dopo ore e ore di tentativi Ame riuscì a completare l’esercizio.
-         Ora bisogna festeggiare!
Esclamò Adrien togliendosi la maglietta.
Ame arrossì di colpo e si voltò, Adrien aveva un gran bel fisico, modellato bene. Sentì un tonfo nell’acqua, si era tuffato.
-         Vieni Ame!
-         Io, in realtà…
-         Dai, non ti mangio, giuro.
Ame lo guardò di sbieco, ma faceva davvero troppo caldo quel giorno per starsene sotto il sole, aveva indosso pantaloncini corti e una maglietta senza maniche, non le avrebbero dato troppo fastidio una volta uscita.
Ame si tuffò nell’acqua fredda, e si immerse completamente, si stava davvero bene.
Adrien la sollevò di colpo e la ributtò in acqua, una volta riemersa, ansimante, lo inseguì per buttarlo sott’acqua.
Le loro risate risuonavano nello spiazzo erboso.
Adrien uscì un attimo dall’acqua, per evitare un calcio di Ame.
Era davvero bello, le gocce d’acqua sul suo corpo brillavano alla luce del sole. Quel ragazzo le metteva il buon umore, era una ventata d’aria fresca.

-         Vieni giù!
-         No!
Rise Adrien.
-         Dai, faccio la brava!
-         Va bene, ma tra poco torniamo, è tardi.
-         Ok.
Adrien si stava per tuffare quando una freccia gli trapassò il ventre, il ragazzo cadde, tossì sangue mentre altre frecce lo colpivano.
-         NO!
L’urlo straziante di Ame risuonò verso il cielo.
Ame si voltò terrorizzata, uomini a cavallo in abiti scuri si avvicinavano, uscì di corsa dal’acqua, alzò un muro di roccia e corse verso il corpo di Adrien, morente. Joi le aveva insegnato a medicare le ferite. Iniziò a togliere con cautela le frecce e su ogni ferita appoggiò il ciondolo, bisbigliando brevi formule.
Il muro cadde, buttato giù dai membri del clan della terra, i nemici avanzavano.
-         Fermatevi!
Urlò Ame disperata.
-         Sei tu la Discendente?
Chiese il ragazzo che stava davanti agli altri.
-         Sì.
Ame deglutì a fatica, mentre il moro avanzava.
-         Come ci avete trovato?
Domandò, temendo la risposta.
-         Il nostro generale, Aaron, ci ha dato le indicazioni per trovarvi.
Ame si sentì morire, le gambe erano diventate molli, era bloccata dalla paura, dalla delusione e dalla rabbia.
-         Se ti consegni senza storie non lo uccideremo.
Promise Luke indicando Adrien.
Il cuore di Ame si fermò un attimo e poi martellò senza sosta contro la cassa toracica.
-         Solo se mi lascerete anche guarire tutte le sue ferite.
-         Va bene.
Ghignò Luke, era stato tutto molto facile, non c’era quasi gusto.
Come un automa, Ame guarì il ragazzo e si alzò. Aveva paura, molta paura. Attraversò il corso d’acqua e un membro del clan della terra la immobilizzò con delle liane e la strattonò per farla camminare. In preda al panico più totale, Ame si voltò verso Adrien. Luke la strattonò facendola cadere.
-         Ora muoviti, o cambio idea.
Col cuore in gola tentò di rialzarsi, ma le gambe non l’assecondavano. Luke le afferrò i capelli e con un colpo glieli tirò, Ame si alzò dolorante e cominciò a camminare, conscia che quello era solo l’inizio del suo inferno.
“Addio ragazzi, mi spiace” pensò mentre camminava.
“Addio”.

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Capitolo 28
*** L’informatore, il tentativo di fuga e la Belva Sacra scomparsa ***


Capitolo XXVIII:
“L’informatore, il tentativo di fuga e la Belva Sacra scomparsa”

  Adrien aprì piano gli occhi. Aveva la maglia squarciata e macchiata di sangue, ma, stranamente, lui stava bene. Si alzò in piedi, perché era lì? Non se lo ricordava.
Poi, come una doccia d’acqua fredda, gli tornò tutto in mente.
-         Merda!
Urlò. Avevano catturato Ame!
Di corsa tornò all’osteria, Joi era al bancone.
-         Joi, è successo un casino!
-         Cos’hai combinato?
Domando il riccio malizioso.
-         Non fare il cretino! L’hanno catturata!
Il viso di Joi sbiancò e la terrina che aveva in mano si frantumò in mille pezzi, mentre da lontano, il piccolo Ian piangeva.
 


  Era da un giorno che camminava, aveva sete e fame, era stanca e a malapena riusciva a reggersi in piedi.
Un soldato le avvicinò una borraccia d’acqua alla bocca per farla bere e per un attimo, Ame si sentì bene, ma fu questione di poco. Luke tirò un calcio alla borraccia, rovesciandone il contenuto a terra. Ame lo fulminò con lo sguardo e dopo un secondo qualcosa la colpì alla schiena.
Aveva più lividi ora che i primi tempi in cui si allenava con Enea. Non ne poteva più, si era lasciata catturare solo per salvare la vita di Adrien, ma ora era molto lontana da Senar, poteva ribellarsi. Fece finta di svenire e si lasciò cadere a terra come se il suo corpo fosse privo di vita.
-         Dell’acqua, presto!
Sentì dire.
Una mano le sollevò la testa e le rovesciò l’acqua in bocca, bevve il sorso per non ingozzarsi e aprì gli occhi di colpo. Diede una testata all’uomo che cadde all’indietro, si alzò e bruciò le liane che le stringevano le braccia.
-         Idioti, fermatela!
Urlò Luke.
Ame soffiò una palla di fuoco incandescente, creando una barriera tra lei e gli altri. Ansimò e corse verso est, si doveva allontanare il più possibile.
In un attimo le fiamme furono domate dai dominatori dell’acqua e una freccia le colpì una gamba. Ame urlò, incespicò e cadde. No, non poteva fermarsi, non aveva tempo per guarirsi la ferita, in fretta la fasciò con delle foglie e continuò a correre, ignorando il dolore.

  “Maledizione!” imprecò tra sé, quando dalla foresta sbucò un soldato. Era sola ed era circondata. Non aveva la sua spada con sé e le energie le stavano venendo meno. Strinse i denti ed estrasse l’acqua dagli alberi vicini, facendola schiantare contro i soldati. Il ciondolo iniziò a bruciare per lo sforzo, era troppo debole. Inciampò su una radice e cadde a terra, non riusciva ad alzarsi. Una freccia le bloccò il braccio sinistro.
Tentò di toglierla, quando qualcuno le saltò sul braccio destro, rompendoglielo.
-         WAAHH!
L’urlò di Ame uscì dalla bocca misto a del sangue.
-         Ora fai la brava o ti ammazzo.
Ringhiò Luke, stringendole il viso in una presa d’acciaio. Ame gli sputò in faccia.
-         Non dovevi farlo, mocciosa.
Luke strinse ancora di più la presa e le fece picchiare la testa contro il terreno. Impotente, Ame perse i sensi.
 


  La puzza di fumo in quel locale era terribile, Enea era seduto di fronte ad Ivan. L’informatore lo guardava con aria arrogante. Ivan non era particolarmente alto, piuttosto muscoloso, i capelli neri e corti erano disordinati. Gli occhi neri come la notte erano incastonati nella carnagione cadaverica e profonde occhiaie segnavano gli occhi del giovane. Il tatuaggio di un dragone marino saliva dalla schiena fino alla guancia destra, dove culminava con le fauci spalancate della creatura.
Oltre ad essere un informatore, Ivan commerciava prodotti fuori legge e di contrabbando, tra cui droghe, alcolici e armi. Le droghe e gli alcolici li usava per estorcere informazioni, con risultati molto positivi.
-         Dovresti smetterla di commerciare certe porcherie, rischiano di trovarti i soldati.
Consigliò Enea disgustato.
-         Non accetto consigli da un ribelle fuorilegge.
-         Touché.
Rimasero alcuni istanti a fissarsi negli occhi, dietro Enea c’erano Lou ed Emy, la prima come forza combattiva, l’altra per capire se l’uomo dicesse la verità o no.
-         Cosa vuoi sapere?
Tagliò corto Ivan.
-         Come possiamo intrufolarci nel castello di Wareck?
Ivan alzò un sopracciglio.
-         Oh, ti costerà un sacco di soldi quest’informazione.
-         Lo sospettavo.
Enea rovesciò un sacco pieno di monete d’oro sul tavolo.
-         Chi avete derubato?
Rise l’informatore.
-         Ti bastano?
Domandò brusco Enea.
-         Uhm, sì, direi di sì.
Alzò le spalle e raccolse le monete.
-         Allora, per entrare lì dovete avere un permesso speciale e per farvi ricevere dal tiranno dovete essere suoi stretti tirapiedi. Quindi non avete alcuna possibilità. Però…
-         Però?
-         Però ogni anno tiene una specie di “festival”, compagnie teatrali e di danza si contendono la possibilità di poter suonare e recitare per lui per tutto l’anno e l’immunità per loro e le loro famiglie dagli attacchi. Lui presenzia alla manifestazione, ovviamente.
-         Quando?
-         A metà dell’ultimo mese del periodo del fuoco.
-         Tra così poco?!
Enea era sconcertato, sarebbero riusciti nell’intento?
-         Io vi iscriverò in cambio di un lauto compenso.
-         Ok, ok, ti porterò tutti i soldi che vuoi.
-         No, non è questo. Voglio conoscere la Discendente, mi basta questo.
Lo sguardo di Ivan era serio e scrutava Enea con insistenza.
-         Va bene. Non sarà difficile.
-         Oh, lo sarà molto più di quel che pensi…
-         Perché?
Chiese spiazzato il ribelle.
-         Gli informatori sanno tutto e subito.
Sorrise enigmatico.
-         Dimmelo.
-         Oh, la piccola Discendente è stata catturata dai soldati di Wareck…
Ad Enea venne un colpo, non poteva essere vero.
-         Ma se l’altro ieri era da Joi…
-         Ora non lo è più.
Concluse Ivan con un ghigno.
 


  Aaron sedeva ad un tavolo di legno antico, i soldati accanto a lui cercavano nei vecchi libri informazioni sulle Belve Sacre. Delle quattro creature, avvertivano solo la presenza di tre Belve: quella del Fuoco, dell’Aria e anche quella della Terra, benché non sapessero dove fosse quest’ultima. Era noto che amasse fare strani patti con l’umano che l’ospitava, perciò era difficile trovarla.

  Della Belva Sacra dell’Acqua non si avevano notizie da due secoli. Tre secoli fa, infatti, la Belva si era scatenata in tutta la sua grandezza durante la Guerra Rossa, ma da allora più nulla. Nello scontro tra i quattro clan del secolo prima, nessun membro del clan aveva manifestato la Belva, e per evitare l’estinzione dell’intera stirpe, indifesa contro le altre Belve, era dovuta intervenire la Discendente. Di conseguenza doveva essere accaduto qualcosa due secoli prima. Ma cosa? Nulla era riportato negli scritti, nessuna informazione. Aaron non riusciva a capire.
 


  Leo scese dall’autobus, era davvero preoccupato. Aveva chiamato tutti per sapere se avevano sentito Ame, aveva fatto il giro delle librerie e delle fumetterie, dei negozi di dischi che la sorella frequentava, ma nulla. Nessuna traccia della gemella.
Camminò più velocemente, doveva trovarla. Perché nessuno si preoccupava? Perché nessuno si chiedeva dove fosse?
Ignorò le pozzanghere e la fanghiglia che gli lambivano i jeans fino alla caviglia.
Si trovò di fronte al cancello della casa di sua nonna, sbirciò dentro, ma non vide nessuno. Poi nella fanghiglia intravide delle impronte che raggiungevano il frutteto.
Chiuse l’ombrello sotto la pioggia battente, scavalcò il muro ed entrò nel giardino col cuore in gola.

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Capitolo 29
*** Faccia a faccia ***


Capitolo XXIX:
“Faccia a faccia”

  Morrigan era seduta sul letto, guardava fuori dalla finestra il tramonto. Si sentiva terribilmente sola in quella stanza, in realtà si sentiva sempre sola,
era tutto così strano, non si sentiva parte di nulla. Dopo la terribile morte della madre, una ninfa del bosco, il padre aveva perso la testa: essendo il portatore della Belva Sacra dell’aria, Wareck era riuscito in poco tempo a radunare un esercito e a distruggere i Custodi, autoproclamandosi Tiranno.
Morrigan sospirò, da anni ormai non riceveva più l’affetto del padre, anzi, per lui ogni scusa era buona per allontanarla.
Tutto quello che Morrigan voleva era essere utile al padre, voleva la sua approvazione, niente di più, niente di meno.
Odiava essere trattata come una fragile bambola di porcellana, odiava essere esclusa da tutto, odiava che Erin, Aaron e Rose fossero stati adottati dal padre e tenuti in palmo di mano, mentre lei veniva esclusa. Proprio lei, la vera figlia! Si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi: doveva, voleva fare di più.  Ma cosa? Non lo sapeva ancora.



  Luke entrò con il seguito di soldati nel perimetro del castello, la Discendente non aveva ancora ripreso i sensi. Era stata una stupida a tentare la fuga, una vera idiota.
Un moto di gioia lo pervase: era davvero riuscito a portare a termine il suo compito, senza ritardi né fatica. Sorrise vittorioso, aveva superato Aaron, ora bastava estorcere più informazioni possibili alla ragazzina e poi liberarsene, ma non c’era fretta, Aaron ci avrebbe messo molto tempo a tornare. Nemmeno i membri del clan dell’acqua sapevano dov’era la Belva Sacra, non c’era possibilità che Aaron tornasse con qualcosa di concreto. Per quel che sapeva, la Belva poteva essere ovunque, anche in un’altra dimensione.
 


  Leo seguì le impronte della sorella, che puntavano al frutteto. Perché era entrata? Cercava riparo dalla pioggia? Perché nel frutteto quando c’era il gazebo a due passi dall’entrata?
Intravide da lontano gli alberi da frutto e il cuore gli si fermò. Le impronte si fermavano davanti al ciliegio bruciato, probabilmente colpito da un fulmine. Non vide il corpo della sorella a terra, un pensiero orribile gli si insidiò nella mente. Con le gambe tremanti si avvicinò all’albero, gli occhi azzurri di Leo si posarono su un orecchino di Ame che giaceva nella fanghiglia, accanto alla pianta morta, lo prese in mano, lasciandosi andare sulle ginocchia.
La pioggia scendeva rabbiosa, confondendosi con le lacrime del ragazzo.



-         Adrien! Cosa stai facendo?!
Urlò Joi al biondo.
-         Vado a riprenderla.
-         Ma stai scherzando? Ora come ora ti faresti solo ammazzare!
Lo smontò Joi.
Adrien strinse i denti, era vero, ma non voleva lasciarla in balia di quei mostri, non Ame. Appoggiò una mano al ventre, l’aveva guarito, lei aveva preferito sacrificarsi e salvarlo, ora doveva renderle il favore. Prese la sua spada e quella di Ame e si avvicinò alla porta.
-         Aspetta almeno il ritorno di Enea!
Tentò di convincerlo l’oste sbarrandogli la strada.
-         Certo, come no. Non sappiamo quando torna, se torna, e intanto loro hanno Ame e possono farle ciò che vogliono.
-         Ma non la uccideranno, lo sai che Wareck ha bisogno di lei.
-         Ma per il suo scopo è pronto a torturarla, non lo posso permettere.
Con una spallata, Adrien superò l’amico ed uscì.
-         L’hai voluta tu.
Sospirò Joi.
L’oste appoggiò la mano a terra e fece spuntare delle radici che bloccarono le caviglie di Adrien.
-         Lasciami, cretino!
Protestò fulminando Joi.
-         Non posso.
Le radici salirono sul corpo di Adrien legandolo.
-         Ora fa il bravo e aspetta, arriveranno tra poco.
-         Come lo sai?
-         Sono da Ivan, lui saprà già dell’accaduto.
Gli ricordò Joi sbadigliando.
Adrien si innervosì ancora di più, non sopportava vederlo così calmo mentre Ame stava passando momenti orribili. Era sicuro che la ragazza avesse paura, si sentisse sola e indifesa in mezzo a nemici crudeli e sconosciuti.
Solo una persona l’aveva messa in quel casino.
“Caro Aaron, spera solo di non incontrarmi mai più, perché se succedesse ti ammazzerò, bastardo.” Pensò mentre tentava di divincolarsi dalla stretta delle piante.
-         Non farlo, si stringeranno ancora di più.
Lo avvisò Joi, tornando dentro l’osteria sotto lo sguardo adirato di Adrien.



  Aaron sfogliava pile e pile di libri, censimenti e documenti di due secoli prima, aveva mandato gli altri a cercare altrove, rimanendo solo. Non trovava alcuna informazione di particolari eventi, doveva cercare meglio, doveva pur essere accaduto qualcosa!
Si mise le mani tra i capelli e, stanco, decise di fare una pausa. Era troppo nervoso per continuare. Si alzò e andò verso la finestra: la luce della luna piena era debole, mentre le stelle riempivano il cielo buio.
Il suo pensiero volò ad Ame e si sentì uno schifo. Lui l’amava davvero, quella ragazza era stata capace di fargli provare sentimenti a lui sconosciuti. Perché l’aveva tradita così? Per la vita di Rose, solo per quello. Wareck lo aveva costretto a fare un ulteriore patto dopo averlo adottato: lui non doveva tradire il Tiranno, altrimenti sarebbe andata di mezzo la vita Rose.
Purtroppo, Wareck aveva ottimi informatori, per questo non aveva potuto coprire Ame. Anche se la Discendente fosse stata catturata nessuno l’avrebbe uccisa, era troppo importante, al contrario di Rose, che Wareck avrebbe fatto fuori senza problemi.
“Perdonami Ame, ti scongiuro” pregò, sperando che quella richiesta raggiungesse il cuore dell’amata; ma lei lo avrebbe fatto? Era colpa sua se Ame stava male, solo sua. Con rabbia tirò un pugno alla libreria da cui cadde un libro antico, che aprendosi liberò una lettera ingiallita dal tempo. Col cuore in gola, Aaron l’aprì.



  Ame aprì gli occhi a fatica, sentiva un dolore atroce al braccio destro, le ci volle poco tempo prima di ricordarsi cosa fosse successo. Guardò il braccio destro che era stato fasciato e legato al corpo, il braccio sinistro, invece, era incatenato al muro, così come le gambe. Si guardò in giro: la cella era illuminata da due candele mezze consumate. Aveva ancora il ciondolo: provò a pensare al fuoco per rompere le catene, ma una fitta lancinante le impedì di farlo, non aveva abbastanza forze. Era da sola e aveva davvero paura.
Da lontano sentì dei passi avvicinarsi alla cella, trattene il fiato col batticuore. Sentì un rumore metallico e la porta della cella si aprì, due guardie la liberarono dalle catene e la trascinarono fuori di lì.
-         Vi prego, lasciatemi.
Sussurrò spaventata, ma nessuna delle due guardie disse nulla.

  Arrivarono di fronte ad un portone di legno e lo aprirono, di fronte ad Ame c’era Wareck, sorridente e minaccioso.
Ame strinse i denti e tentò di mantenere un’espressione il più possibile sicura: era in ballo la sua vita.
-         Oh, la Discendente! Ma che piacere averti qui, spero che lo sia anche per te.
Commentò sarcastico, gli occhi di ghiaccio fissi in quelli di Ame.
Lei non rispose, sostenendo il peso opprimente di quello sguardo crudele.
-         Allora, dimmi un po’, vuoi collaborare senza farti troppo male?
Non rispose e continuò a sostenere lo sguardo del despota. Un soldato le tirò un calcio facendola cadere in avanti, il dolore la costrinse a chinare il capo.
-         Ti ha fatto una domanda, rispondi!
Le ordinò sprezzante l’uomo.
Ame si guardò intorno, accanto a Wareck c’erano Luke ed Erin, alcuni soldati e una ragazza col pancione che la guardava preoccupata: doveva essere Rose. Osservò meglio i volti delle persone ma quella che lei cercava non c’era, Aaron non era lì e il suo cuore perse un battito.
-         Io non ho intenzione di collaborare con voi.
Riuscì infine a dire Ame, scandendo ogni parola verso Wareck.
-         Allora saremo costretti ad usare altri metodi. Hai ancora il ciondolo, perché non lo togliamo?
Ame impallidì. Lou le aveva spiegato che il ciondolo la aiutava a controllare i poteri, misurandoli e dosandoli, se lo avesse tolto non sarebbe più stata in grado di controllarli e le si sarebbero rivoltati contro. Il che significava farsi davvero male, ora che li aveva sviluppati ad un buon livello
-         Sì, signore.
Un soldato le si avvicinò, lei provò ad opporre resistenza, ma un altro la prese per i capelli tenendola ferma. Senza indugi il primo soldato le strappò il ciondolo. Il corpo di Ame fu scosso da terribili fremiti, un dolore profondo salì dalle viscere, come se migliaia di spade la trafiggessero. Urlò, il dolore aumentava, si sentiva bruciare, poi trafiggere, la testa le girava. Faceva troppo male, non riusciva a sopportarlo, si accasciò a terra indifesa. Strinse i denti per non urlare, più stava male più Wareck era felice, non gli avrebbe dato soddisfazione.
-         Se rivuoi il ciondolo basta che collabori.
Le ricordò con un ghigno crudele il Tiranno.
-         Nemmeno morta.
Ame lo sfidò con lo sguardo, non avrebbe mai tradito quelli che ormai riteneva suoi amici. Lo doveva a Lou, ad Enea, ad Adrien e agli altri.
-         Capisco. Erin, fai tu?
Chiese Wareck, fingendosi sconsolato.
La ragazza con i capelli rossi e lisci le si avvicinò sorridendo.
-         Hai conosciuto la mia sorellina?
Chiese con un finto tono innocente ad Ame.
-         Sì, e posso dirti che lei è cento volte meglio di te.
Sibilò Ame con disprezzo.
Il sorriso di Erin mutò in un’espressione orrenda, il viso d’angelo si deformò in quello di un mostro. Adirata, prese Ame per il collo, nessuno poteva dire che quella frignona fosse meglio di lei. Sollevò la Discendente senza sforzo e con l’altra mano creò una palla di fuoco.
Le agghiaccianti urla di Ame risuonarono nel castello, illuminato dalla luna piena.

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Capitolo 30
*** Idiota ***


Capitolo XXX:
“Idiota”

  Ame stringeva i denti mentre Rose le medicava le ferite. Poche ore prima aveva sperimentato su se stessa gli orrori della crudeltà. Più volte aveva creduto di morire, ma non aveva mai oltrepassato la linea tra vita e morte, vi era rimasta sopra, in bilico. Quando l’avevano finalmente lasciata in pace, Rose le si era avvicinata, l’aveva portata nella cella e aveva iniziato a medicarla. Che senso aveva tutto questo? Nessuno, era pura follia.
C’era una domanda che Ame voleva fare alla ragazza, ma non ne aveva il coraggio. La domanda rimaneva ferma sulle labbra, non riusciva ad essere espressa, poiché Ame aveva paura della risposta.
Il pancione di Rose era davvero prominente, probabilmente mancava poco al parto. Ame ripensò a quando Aaron le aveva raccontato del suo passato, se lui non avesse accettato, ora non ci sarebbe stato nemmeno il bambino, né Rose a guarirla.
-         Mangia queste.
Rose le porse delle foglie di piante medicinali.
-         Non ti faranno sentire dolore per la notte.
Le spiegò la ragazza alzandosi.
Ame le mangiò, sentiva sempre meno il dolore e ne fu lieta. Rose fece per andarsene, ma Ame non poteva restare immobile senza chiederle ciò che non capiva.
-         Rose, perché Aaron…
-         Ti ha consegnata?
-         Non c’è?
Chiese invece Ame, liberandosi dal peso che le opprimeva il petto.
Rose la guardò alcuni istanti negli occhi, non sapeva cosa dirle, non era la domanda che si aspettava.
-         Io… io credo che non volesse vederti in queste condizioni.
Rispose infine, abbassando lo sguardo.
-         Capisco, credo.
-         Lo odi per averti tradita?
Domandò Rose, aspettandosi una risposta affermativa. Lei non sarebbe mai riuscita a perdonare Emerald se le avesse fatto una cosa del genere.
-         Odiare? Non odio nessuno… penso sia un ipocrita, questo sì. Ma avrà avuto le sue ragioni. Almeno lo spero.
-         Perché?
-         Perché se no dovrei ammettere a me stessa di essere un’idiota.
-         Idiota?
-         Già, perché i miei sentimenti per lui non sono cambiati minimamente.
Ame si sforzò di sorridere, Rose la fissava sbalordita. Quella ragazza era davvero strana.
-         Non pensi sia una follia?
Non riuscì a non chiedere Rose.
-         Sì, lo penso, ma non ci posso far niente.
Sussurrò Ame addormentandosi. I sonniferi che Rose le aveva dato avevano fatto effetto. La ragazza uscì dalla cella provando una forte ammirazione per Ame, mentre la stima per il fratello calò un poco.
 


  Aaron era rimasto scioccato da ciò che aveva letto nella lettera, una verità tenuta nascosta a lungo, una verità che nemmeno le Discendenti potevano sapere. Scosse la testa: aveva trovato ciò che cercava, ma era una cosa completamente fuori dal comune. Certo, ora tutto aveva più senso, ma se era davvero così, erano stati ingannati per anni e anni, anzi per secoli.
Copiò la lettera e poi la inviò a Wareck, tramite il suo falco.
 
  “A Dimitri,
amore mio, sono riuscita con l’aiuto della mia Protettrice a partorire sia la piccola Femke che Yago. Ho tenuto nascosto a tutti la nascita del piccolo, l’avrebbero ucciso per permettere alla Belva Sacra dell’acqua di reincarnarsi nella nostra dimensione. Non lo potevo permettere. Hanno imposto il sigillo a Femke, credono che questo basti per diseredarla. Ora sono tutti e due sani e salvi, li ho affidati ad una famiglia amorevole. Sono felice che siano nati dal nostro amore eterno, qualcosa di noi rimarrà. Sono costretta a sposare Sirio, ma il mio cuore sarà tuo per sempre.
Addio amore mio.
Per sempre tua,
Sapphire.”
 
  Ora bisognava recuperare la Belva Sacra, ma come? Non era certo semplice. Per aprire un varco ci voleva un enorme dispendio di energia, poi bisognava individuarlo in un luogo sconosciuto, solo i ribelli erano riusciti ad aprire il varco. Forse c’era ancora dell’energia in quel punto, per aprirne un altro.
Ora bisognava capire qualcosa sulla Belva Sacra della terra, ma era ovvio che oltre ad essere imprevedibile, la Belva era anche loro avversaria, altrimenti avrebbero saputo dove fosse.
 


-         Ehi vecchio, cosa vuoi fare?
Elettra inchinò il capo, fissando il monaco con gli occhi chiusi.
-         Vuoi stare zitta, razza di idiota? Non vedi che è impegnato?
Ringhiò Gray alla ragazza dalla pelle color ebano.
-         Taci, cane da guardia.
Lo fulminò la ragazza.
-         Siamo in questo casino perché la tua cara maestra è stata incapace di tenere lontano dai guai la Discendente Crystal.
Sibilò il ragazzo dai capelli argentei.
-         E’ meglio se stai zitto, non puoi nemmeno capire quanto sia faticoso essere una Protettrice!
Esclamò Elettra appoggiando la mano destra all’elsa della spada.
-         Nemmeno tu visto che, di questo passo, la tua Discendente non sopravvivrà più di una settimana.
Commentò tagliente il ragazzo, mentre Elettra estraeva la spada.
-         Per favore ragazzi, calmatevi.
Sussurrò pacifico il monaco, aprendo gli occhi.
-         Allora vecchio, qualche idea?
-         Se ti rivolgi un’altra volta in questo modo al Guardiano, ti uccido.
Gray mostrò i denti affilati e splendenti alla giovane.
-         Calma, calma. Comunque sì, ho un’idea.
Sorrise Bashir ai due giovani.
 


-         Se vuoi posso dirti dov’è la Belva Sacra dell’acqua.
Aveva buttato lì Ivan, fissando Enea.
-         Non mi interessa.
Aveva tagliato corto Enea, alzandosi.
-         Dovrebbe.
-         Perché?
-         E’ molto vicino alla Discendente.
Aveva commentato enigmatico.
-         A proposito, perché vuoi parlare con la Discendente?
Aveva chiesto poi Enea ad Ivan.
-         Vorrei sapere se può trovare una persona.
-         Perché, tu non la trovi?
-         No, è proprio per questo che faccio l’informatore, per trovarla.
Aveva sussurrato con un alone di tristezza Ivan, abbassando lo sguardo.
Enea si chiedeva chi poteva aver spinto il ragazzo a fare quel mestiere e anche perché Ivan cercasse quella persona. Vendetta? Amore? In ogni caso, la cosa più importante era tornare a Senar e decidere il da farsi.
Mancavano pochi chilometri, poi avrebbero constatato se ciò che Ivan aveva detto fosse vero, ma vista l’espressione di Emy doveva essere così.
Ora la cosa sarebbe stata davvero complicata: dovevano infiltrarsi nel castello per salvare Ame, ma senza di lei Ivan non li faceva accedere.
-         Voglio essere pagato in anticipo, non rischio tanto senza essere pagato prima.
Era stata la sua irremovibile richiesta.
Enea sbuffò, dovevano arrangiarsi.

  Avevano quasi raggiunto l’osteria, quando videro all’esterno Adrien legato e adirato.
-         Adrien?!
Lou strabuzzò gli occhi e corse in contro al biondo, che stava urlando una filippica contro Joi.
-         Quel deficiente mi ha bloccato qui, devo andare al bagno, cavolo!
Si dimenò mentre Lou bruciava le piante. Emy scoppiò a ridere e Adrien la fulminò.
-         Come mai ti ha lasciato qui?
Chiese Enea trattenendo a stento un sorriso.
-         Volevo andare da Ame, ma il signorino mi ha detto di aspettarvi e mi ha bloccato qui. Vado in bagno, poi andiamo da Ame.
Affermò stiracchiando le braccia.
-         No, prima dobbiamo pensare ad un piano sensato.
Lo ammonì Lou.
-         Voi e i vostri “piani sensati”. Anche lasciare qui Ame era un “piano sensato” e ora invece?  Bah, lasciamo perdere. Cosa vi ha detto Ivan, piuttosto?
Chiese Adrien, mentre entravano nell’osteria.
-         Ciò che ci ha detto ora come ora è inutile.
Sbuffò Enea.
-         Dov’è tuo fratello, Adrien?
Domandò poi, gli era venuta in mente un’idea.
-         Xavier? Lo sai anche tu che è morto mentre combattevamo a Senar. C’eri.
Gli ricordò Adrien, lievemente stupito.
-         Non Xavier, l’altro.
Specificò Enea.
-         Parli di Cloud? Credo faccia parte di una compagnia teatrale itinerante.
-         Perfetto, non ricordavo male. Riesci a rintracciarlo?
-         Non lo so, ma non ho intenzione di farlo. Lo sai che non lo sopporto, per me lui è morto. Anzi, non ha mai fatto parte della mia vita.
Lo sguardo di Adrien si incupì.
-         Nemmeno se servisse a salvare Ame?
-         Allora credo di poterlo sopportare.
Sospirò Adrien rassegnato.
Lo stomaco di Emy si riempì di farfalle al solo ricordo di Cloud.
 


  Leo si alzò, la pioggia era diventata insopportabile, non sapeva come dire ai suoi genitori che Ame era sparita e forse… Non ci voleva pensare.
Stava per andar via, quando scivolò nella fanghiglia, chiuse gli occhi spaventato, e cadde sull’erba morbida, mentre un venticello serale gli scompigliava i capelli.
 
-         Bene, bene, la Belva Sacra dell’acqua ha deciso di farsi viva.
Ghignò Wareck, fissando il cielo nero fuori dalla finestra.

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Capitolo 31
*** Lacrima e Dovere ***


Capitolo XXXI:
“Lacrima e Dovere”

-         Il piano è questo.
Incominciò Bashir, alzandosi in piedi. Era un uomo alto, dalla carnagione olivastra, la testa era rasata ed indossava un lungo abito giallo.
-         Gray, tu sei veloce, forte e silenzioso, perciò andrai a liberare entrambe le Discendenti.
-         Entrambe?
-         Sì, mi servono tutte due. Conducile qui, devono essere tutte e due qui, al confine delle dimensioni, entro un mese.
-         Ci metterò meno di una settimana.
Commentò sicuro il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
-         Non sarà così, capirai al momento.
Sorrise benevolo il monaco.
-         Elettra, tu rimarrai qui ad aiutarmi con i preparativi.
-         Perfetto.
Annuì la ragazza decisa.
-         Gray, parti subito.
-         Va bene.
Il ragazzo si accucciò, prendendo le sembianze di un enorme e possente lupo.
-         Esibizionista. Un’aquila non andava bene?
Sbuffò Elettra, scuotendo il capo.
Il lupo ringhiò verso la ragazza e partì.
-         Come mai hai deciso di intervenire? Non devi pensare solo a mantenere l’equilibrio tra le dimensioni, senza mai intervenire?
Domandò Elettra meno tesa, Gray le dava davvero sui nervi.
-         Sono intervenuto perché quest’equilibrio è stato distrutto in mille pezzi, già da  molto tempo, ma solo ora ne paghiamo le conseguenze. Adesso bisogna crearne uno nuovo, più solido e sicuro.
L’uomo sorrise e uscì dalla casetta in legno, avvicinandosi alla spiaggia bianca e morbida, mentre le onde color cobalto lambivano calme la riva.



  Ame si svegliò in una cella che non era la sua, alzò la testa, il braccio fasciato riprese a pulsare, dolorante.
Accanto a lei c’era un altro corpo disteso, ma a causa del buio non riusciva a capire chi fosse.
-         Ehi!
Provò a chiamare.
-         EHI!
Chiamò più forte.
-         Sì…?
Rispose la voce, mezza addormentata.
-         Crystal?
Chiese Ame col cuore in gola.
-         Sì! Ame? Ti hanno catturata?!
Crystal si alzò di colpo, facendo tintinnare le catene, mentre l’angoscia si faceva spazio nella mente ancora assopita.
-         Sì, mi spiace… mi sono fatta catturare per salvare Adrien, pensavo che mi sarei riuscita a liberare dopo, ma non è stato così.
Ame si sentì una stupida, era solo colpa sua se si trovava lì. Si era sopravvalutata.
Crystal si avvicinò ad Ame e, con la poca luce che trapelava da una finestrella, Ame era riuscita a vederla, finalmente.
Doveva essere più alta di lei, era terribilmente magra, il viso e la pelle erano segnati da profonde rughe e tagli. Aveva ventisette anni, ma ne dimostrava sessanta. I capelli erano lunghi, biondi e sporchi, gli occhi cerulei, come quelli di Ame, erano spenti e privati di ogni frammento di vita.
-         Da quanto sei qui?
Chiese Ame senza voce.
-         Non so… Lou aveva quattordici anni.
-         Da sei anni?! Così tanto? Come fai a sopportare queste torture da sei anni?
Ame era sconcertata, ora capiva perché Crystal sembrava un fantasma più che un essere umano.
-         Non lo so… credo che ormai il mio cervello rinunci a farmi sentire il dolore. O abbia sviluppato la capacità di farmelo dimenticare subito dopo.
Cercò di sorridere, ma le era davvero complicato.

  Ame si sentì mancare. Crystal aveva dovuto subire quelle atrocità per così tanto tempo… “Si ricorderà ancora com’è essere felici?” si domandò Ame dispiaciuta.
Nessuno era venuto in suo soccorso perché la credevano morta, sarebbe stato così anche per lei? Anche lei avrebbe dovuto soffrire tanto? Un brivido di orrore le percorse la schiena. Era solo un incubo, doveva essere così! Per forza…
Ame sentì gli occhi bruciarle per le lacrime, aveva davvero paura. Crystal notò le lacrime che si stavano formando negli occhi di Ame e senza perdere tempo le tirò uno schiaffò. Le lacrime sparirono, mentre sul volto di Ame comparì un’espressione sorpresa.
-         Perché l’hai fatto?
Si stupì, massaggiandosi la guancia.
-         Tu non devi piangere. Mai. Nemmeno sotto le peggiori torture. Nemmeno se vedi morire qualcuno a cui tieni. MAI!
Si inalberò Crystal.
-         Perché?
-         Le lacrime di una Discendente sono preziosissime. In una sola lacrima c’è gran parte del potere di una Discendente, per questo noi versiamo una sola lacrima nella nostra vita: quando partoriamo la primogenita. Lei acquisisce così già molti poteri, che poi migliorerà crescendo. Quando versiamo la lacrima, in tutte le dimensioni, non importa come, piove. Come Yanin fece con sua figlia, nello stesso modo noi doniamo ciò che siamo alla nostra primogenita. Noi abbiamo i poteri di domare le Belve Sacre senza sforzo, di donare o togliere i poteri alle persone, noi possiamo aprire varchi tra le dimensioni senza alcuna fatica, possiamo plasmare la materia a nostro piacimento. Questo è essere una Discendente.
Spiegò Crystal con orgoglio e, per un attimo, Ame vide una scintilla di vita negli occhi spenti di Crystal. Era stato un attimo tanto fugace, che Ame si chiese se non l’avesse solo immaginato.
-         Se tu ora piangessi, Wareck ti prenderebbe la lacrima per acquisire i tuoi poteri e sarebbe davvero la fine. Lui ci mantiene in vita solo per questo motivo.
Concluse, fissando Ame negli occhi.
-         Ma, allora, perché tu non sei riuscita a battere Wareck, se davvero noi Discendenti possiamo fare tutto questo?
Chiese Ame.
-         Perché, come dire?, io non sono la “vera” Discendente. Quando venni per combattere Wareck non lo sapevo, ma lo sospettavo: i miei poteri erano troppo deboli rispetto a come sarebbero dovuti essere e c’era un segreto infamante che mi era giunto alle orecchie, quasi un pettegolezzo. La vera Discendente sei tu, Ame. Tu discendi da Femke, la primogenita di Sapphire, io discendo da Gea, la secondogenita.
Le spiegò.
-         L’unico problema con te è che non riesci ancora a sfruttare al massimo i tuoi poteri, sono assopiti da troppo tempo.
-         Capisco. Anzi no. Perché mia madre non ha i poteri allora?
Domandò corrucciata.
-         Perché nella tua dimensione i poteri non possono svilupparsi, rimangono assopiti. Credo sia per questo che Sapphire abbia scelto il vostro mondo e non un altro, così sareste stati al sicuro. Una volta cresciute, sia Femke che Gea, le controllarono. Femke non mostrò alcun potere, mentre Gea, anche se con fatica, sapeva usare tutti e quattro gli elementi. Si pensò che il potere delle Discendenti avesse assecondato il volere dei Custodi, nulla di più sbagliato.
Sorrise ironica Crystal.
-         Il potere delle Discendenti non asseconda alcuno, solo noi. O meglio, asseconda solo te. Enea e gli altri dopo averti cercata a lungo ti hanno portata qui per risvegliare i tuoi poteri, ma non si sarebbero mai rafforzati abbastanza. Ad Enea bastava che tu riuscissi a battere Wareck, anche se molto probabilmente, direi il novantanove virgola nove per cento delle probabilità, saresti morta dopo un tale sforzo. Lui lo sapeva, gli altri lo sospettavano, non te l’ha detto perché altrimenti non avresti accettato.
-         Cioè, lui mi stava usando?
Si stupì Ame.
-         Dipende da come la vedi. Per lui tu stai compiendo un dovere: quello della Discendente.
Ame appoggiò la testa alla parete, lei era una semplice pedina, decisiva, ma pur sempre una pedina.
Chiuse gli occhi, quindi per lei quello era un viaggio di sola andata? Ame si sentì svuotata.
-         Posso sapere come mai me l’hai detto?
-         E’ mio compito dirti la verità, a questo punto è in gioco tutto: non solo questa dimensione, ma anche la tua e le altre. Tutte. Wareck non risparmierà nulla, è un folle, Ame. Ci aiuterai lo stesso?
Ame sospirò e annuì, nulla ormai aveva senso. Sapeva solo che rischiava sul serio di non rivedere più la sua famiglia, né i suoi amici. Strinse i denti, non si sarebbe lasciata uccidere, doveva ancora diplomarsi, cavolo!



  Leo camminava sul sentiero sterrato, il cielo era più azzurro del solito e l’aria più pulita. Qualcosa non andava, era tutto così diverso, anomalo. Da lontano vide delle casette in legno, dall’aspetto antico. Si avvicinò incuriosito. Le persone che vide indossavano abiti strani, decisamente diversi da quelli che vedeva sempre: il tessuto era grezzo, i colori erano spenti. “Ma dove sono finito?” si chiese guardandosi intorno.
I passanti lo fissavano straniti, per loro quello strano era Leo.
Il ragazzo si sentì afferrare le spalle, si voltò e si ritrovò faccia a faccia con  un soldato.
-         Vieni con me, ragazzo.
Ordinò l’uomo.
Leo lo osservò, aveva una spada alla cinta, era meglio se faceva come diceva.
“Dove cavolo sono finito? Che Ame sia qui?” pensò mentre seguiva l’uomo.



  Aaron stava cavalcando per raggiungere gli altri soldati, una volta riuniti sarebbero tornati alla capitale, era inutile perdere altro tempo. In più, Aaron voleva accertarsi della salute di Ame, doveva affrontare le sue paure. Doveva affrontare la ragazza.
-         Forza, forza!
Incitò il cavallo ad alta voce, doveva fare in fretta.

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Capitolo 32
*** Rabbia ***


Capitolo XXXII:
“Rabbia”

  Leo era seduto su una sedia di legno, che scricchiolava ad ogni suo movimento. Il soldato lo aveva portato in una piccola e angusta costruzione in pietra, dove li aspettavano altri soldati, tutti armati.
Preso dal nervoso, Leo iniziò a mordersi il labbro inferiore e, con quello, il piercing. Per poter farsi quel piercing aveva lottato per mesi e mesi con i genitori, ora era il suo antistress.
-         Come sei arrivato qui?
-         Non lo so.
Ad ogni domanda quella era l’unica risposta che sapeva dare e i soldati si stavano innervosendo.
-         Dovremmo mandare un messaggio a Wareck, per sapere cosa fare.
Propose un soldato, stufo di sentire sempre la solita risposta.
-         Ora avrà da fare con l’altra Discendente, sai che è stata catturata da poco.
Replicò un altro, stiracchiandosi.
-         Già, è vero. Ha un nome stranissimo vero? Ame… nessuno ha un nome del genere qui, deve essere stato facile trovarla.
Quando Leo sentì il nome della sorella gli prese un colpo. Mantenendo il sangue freddo deglutì, doveva saperne di più.
-         Ame?
Chiese controllando la voce.
-         La conosci? Non sarai uno sporco ribelle, spero.
Ringhiò un altro.
Leo capì che Ame era nei guai e che i soldati non erano dalla sua parte, un bel problema, vista la situazione. Respirò a fondo, mantenendo la mente focalizzata su un solo punto: Ame. Doveva far attenzione a ciò che diceva.
-         Certo che no! Non insultatemi! Non farei mai una cosa del genere, però son curioso di vedere questa… Discendente, potreste portarmi lì?
Bleffò, incrociando le dita.
-         Va bene, credo. Tanto dobbiamo già andare lì per il Festival e poi sapremo casa farcene di te.
Mantenne un’espressione rilassata, mascherando la paura per la sorella.



  Enea stava discutendo con Joi, Ian dormiva tranquillo, Lou andava avanti e indietro per la stanza, pensierosa. Adrien li fissava come fossero stati al di là di un vetro, non sentiva le loro voci, i loro passi, nulla.
Avrebbe preferito morire, piuttosto che sapere Ame catturata. Perché l’aveva salvato? Era una scema! Lo sapeva di essere importante per loro, lo sapeva, cazzo! Adrien strinse i denti, non ne poteva più di vedere gli altri discutere, parlare… mentre Ame non era lì e rischiava la vita.
-         … forse è meglio se l’hanno catturata, così Ame lo farà fuori, senza troppi casini, anche per noi…
La frase di Enea giunse alle orecchie di Adrien, che arrossì di rabbia, si alzò e tirò un pugno in pieno viso al ragazzo.
-         Come puoi dire certe cose? COME?!
La voce di Adrien tremava di rabbia, Enea si asciugo il sangue uscito dal labbro rotto.
-         Sei stato TU a portarla qui, tu a coinvolgerla nella guerra, senza dirle quanto realmente rischiava! Magari l’hai lasciata catturare apposta! Era un altro piano “sensato”?! EH?! Sarebbe da te, sei solo un…
Joi appoggiò la mano sulla spalla di Adrien.
-         Calmati ora.  Enea non lo farebbe mai, Ame è troppo importante, lo sai.
Tentò di calmarlo, ma con una spallata il biondo si liberò dalla presa.
Adrien fulminò con lo sguardo Enea, prima di andare nella sua stanza, borbottando sulla meschinità dell’amico.

-         Potresti evitare di dire certe cose, Enea.
Lo ammonì Joi.
-         L’ho fatto apposta. Così chiamerà Cloud il prima possibile.
Con un fazzoletto si tamponò il sangue e osservò Joi.
-         Dimmi la verità, sapevi che avrebbero catturato Ame?
Sospirò Joi, rimettendosi a sedere sulla panca.
-         Lo sospettavo.
Ammise Enea, abbassando lo sguardo e tirandosi indietro i capelli rossi.
-         Hai fatto apposta a lasciarla senza difese?
Domandò incuriosito il riccio.
-         Prima di tutto lei stessa sa combattere, anche bene, e c’era Adrien! Quindi non era senza difese, è lui che è superficiale. Secondo: non pensavo che sarebbero arrivati tanto presto. Pensavo che Aaron avrebbe pensato più a lungo se consegnare Ame o no. A quanto pare è vuoto, privo di ogni sentimento. Che schifo.
Commentò Enea con disprezzo.



  Questa volta era il turno di Luke. Senza sosta, il ragazzo tormentò Ame, ma lei non aprì bocca, non pianse, nulla. Più il tempo passava, più si sentiva vuota. Erano passati tre giorni, giorni pieni di dolore, di cattiveria. Il corpo di Ame era pieno di lividi e tagli, mangiava poco, beveva poco.
Un getto d’acqua violento la scaraventò contro il muro, sentì del sangue caldo bagnargli la pelle. Si portò una mano alla testa: era da lì che il liquido caldo usciva. La stanza prese a girare sotto i suoi piedi, tentò di alzarsi, ma le gambe non rispondevano. Provò a parlare, ma la bocca non si muoveva. All’improvviso una bolla d’acqua le circondò il volto, Ame trattenne il fiato per non affogare, ma si sentiva debole. Provò a uscire da quell’incubo, con le mani tentò di dissolvere quella bolla infernale, ma nulla. Si lasciò andare, senza forze, accasciandosi a terra.
-         Ora basta, non la devi uccidere, Luke!
La voce perentoria del tiranno ammonì l’aguzzino, che imbronciato lasciò che l’acqua si disperdesse e terra. Luke voleva ancora divertirsi.
Ame tossì, Rose corse da lei e la soccorse, iniziò a sistemare le ferite più gravi. Ame non ne poteva più, ogni giorno era privo di senso ed era sempre peggio.
Rose la riportò in cella, finì di medicarla e le fasciò la testa.
-         Il braccio è guarito.
Constatò allegra, tastando il braccio destro.
-         La nuova medicina è un portento.
Commentò allegra, si alzò e fece per andarsene.
-         Non togli la fasciatura?
Chiese Ame, biascicando.
Rose le si avvicinò.
-         E’ meglio se lo tieni fasciato, così non sarà legato alle catene. Per ogni evenienza, non si sa mai.
Sussurrò Rose all’orecchio della Discendente, poi le fece l’occhiolino e si allontanò.
-         Grazie.
Sussurrò Ame, addormentandosi.



  Rose era uscita dalla cella, stava tornando nella sua stanza quando le si ruppero le acque e una fitta fortissima le strinse il ventre.
-         Oddio, oddio. Emerald! EMERALD!
Urlò a squarciagola Rose, vedendo il marito in fondo al corridoio.
Emerald la raggiunse di corsa.
-         Cosa c’è?
Domandò senza fiato.
-         Sta per nascere, aiutami, per favore!
Emerald la prese in braccio e la portò in una stanza pulita dove farla partorire, il cuore di entrambi batteva all’impazzata per l’emozione.



  Gray correva senza sosta, mancava poco, poi avrebbe raggiunto la Capitale. Mancava un giorno alla salvezza delle Discendenti, ma prima doveva avvisare i ribelli di non muovere un muscolo, per non intralciare la sua missione. Aveva anche tanta voglia di vedere la Belva Sacra della terra, che in quegli stessi istanti, viveva con i ribelli, senza farsi scoprire.



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Ciao! E' un capitolo un po' corto e d'intermezzo, quindi perdonatemi se è un po'... noioso...
Spero di non avervi deluso! >_<
Filakes

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Capitolo 33
*** Paura ***


Capitolo XXXIII:
“Paura”

  Adrien ed Emy si stavano preparando: sarebbero partiti per trovare Cloud. Il ragazzo continuava a borbottare sull’inutilità di quella spedizione, era nervoso, non aveva voglia di rivedere il fratello. Cloud aveva un carattere strano, Cloud era strano. Adrien non aveva mai capito cosa passasse per la testa del fratello, cosa volesse davvero. Si mostrava sempre allegro e cordiale, ma in realtà aveva un pessimo carattere. Quando se n’era andato con una compagnia teatrale, Xavier e Adrien avevano fatto i salti di gioia. Cloud era il fratello maggiore, mentre Adrien era il più piccolo, anche se erano molto vicini di età: Cloud aveva venticinque anni, mentre Adrien ne aveva ventidue. Il vero motivo per cui Adrien lo odiava, era perché era stata solo colpa sua se… Adrien strinse i denti, non ci doveva pensare.
 Finì di sistemare il necessario nello zaino e raggiunse con Emy l’osteria. Enea e gli altri li attendevano, Adrien distolse lo sguardo dal rosso, stringendo i denti.
-         Fate attenzione.
Lou abbracciò Emy e diede una pacca ad Adrien.
-         Va bene.
Sorrise Adrien, scompigliandole i capelli.
-         Buon viaggio.
Augurò Enea, sorridendo sotto i baffi.
-         Grazie.
Commentò a denti stretti il ragazzo. Afferrò il polso di Emy e uscirono, mentre gli altri li salutavano ancora.
Pochi metri più avanti, Emy si divincolò e lo guardò imbronciata.
-         Scusa, è che proprio non ho voglia di vederlo. A te sta bene venire?
Adrien la guardò negli occhi, preoccupato.
Lei sorrise e annuì.
-         Se penso che è per colpa sua che non parli più…
Sospirò Adrien, dispiaciuto.
Emy alzò le spalle e accelerò il passo, sempre sorridendo: il passato, ormai, non esisteva più.



  Ame cadde a terra ansimando e fulminò Wareck. Era ricoperta di sangue, ma almeno riusciva ancora a rimettersi in piedi.
-         Non vuoi proprio collaborare, eh?
Si finse dispiaciuto il Traditore.
-         Nemmeno se fosse in pericolo la vita di una persona a te cara?
Ame lo fissò senza capire, con il dorso della mano sinistra, si pulì il sangue dalla palpebra destra e riuscì ad aprire l’occhio.
-         Un ribelle?
Domandò confusa. Chi potevano aver catturato?
-         Se fosse il tuo gemello?
Il cuore di Ame si fermò.
-         Mio… fratello?
-         Sì, è finito per sbaglio in questa dimensione, non mancherà molto prima che venga portato da me.
Ame strinse i denti, sperava fosse una bugia, ma come poteva sapere che aveva un gemello? Doveva essere vero, per forza. Rimase immobile, tentando di capire cosa avesse in mente il nemico. A un gesto di Wareck, Luke le tirò un calcio in pieno ventre, ma Ame lo bloccò col braccio sinistro, non ne poteva più. Rigirò la gamba del ragazzo e gli tirò una ginocchiata. Luke cadde sul sangue di Ame, a terra. Lei si avvicinò a Wareck, ma una guardia le infilzò una gamba, bloccandola.
-         Fai del male a Leo e morirai.
Sibilò Ame verso il tiranno.
Wareck sorrise.
-         Vedremo. Riportatela in cella, per oggi basta così. Portate l’altra.
Ordinò a due soldati con un gesto noncurante della mano, i due si inchinarono e trascinarono via Ame.
Luke si alzò, furioso: quella stupida l’aveva messo in imbarazzo di fronte a Wareck, come aveva osato?! Doveva fargliela pagare. Scuro in volto, seguì i due soldati.



  Rose era sdraiata tra le lenzuola bianche e perfette. Il viso era stanco, i capelli in disordine, gli occhi segnati, ma quando Emerald la guardò in viso, la vide più bella che mai. Rose stava allattando il piccolo Jonathan, Emerald era seduto accanto a loro.
-         Ha i tuoi capelli e il tuo naso.
Sorrise Rose, alzando lo sguardo verso l’amato.
-         E ha le tue labbra e i tuoi occhi.
Commentò Emerald, dando un bacio sulla guancia alla moglie.
Il travaglio era durato tutta la notte, poi all’alba il piccolo si era deciso a nascere, la gioia che provavano entrambi era inimmaginabile.
-         Ora è meglio se ti riposi.
Consigliò Emerald vedendola esausta.
-         Mi riposerò solo dopo aver visitato Ame.
Dichiarò invece Rose, dando il piccolo a Emerald.
-         Sei una testona. Non affaticarti troppo, mi raccomando!
Sbuffò il neopapà abbracciando Jonathan.



  Le guardie incatenarono Ame e uscirono dalla cella, chiudendola a chiave. La ragazza sospirò, aveva sentito che Rose aveva partorito, perciò quel giorno non sarebbe andata da lei, né quello successivo, probabilmente.
Appoggiò la testa contro il muro freddo, chiuse gli occhi, doveva andarsene di lì. Poi, perché Aaron non era ancora tornato? Ame pregò che stesse bene, non poteva pensare che gli fosse accaduto qualcosa di brutto. No, non doveva.
Chissà come stavano gli altri… l’avrebbero tirata fuori di lì? Lo sperava tanto. Ame sentì le chiavi che giravano di nuovo nella serratura, aprì gli occhi ma era troppo buio per vedere chi fosse. Che Rose fosse venuta lo stesso? Sorrise, era davvero una brava ragazza. Richiuse gli occhi e inspirò a fondo, aspettando che Rose le parlasse, ma nulla. Non succedeva nulla, rimaneva tutto in silenzio, non sentiva la ragazza armeggiare con boccettine e bende come al solito, niente. Forse pensava che Ame stesse dormendo, la ragazza allora aprì gli occhi e si trovò davanti il viso furioso di Luke.
Urlò per lo spavento, il ragazzo aveva il viso sporco del sangue della ragazza e la guardava con disprezzo.
-         Co… cosa ci fai qui?
Il cuore di Ame martellava contro il torace, la paura aumenta ogni istante di più.
-         Pensavo di ucciderti, cosa ne dici?
Chiese inclinando la testa, lo sguardo di Luke era freddo come quello di un assassino.
-         Ma… non puoi…
La voce di Ame era strozzata, la paura la stava pietrificando.
-         Le Discendenti sono due, ma ce ne serve una sola… perciò non dispiacerà a nessuno se tu… beh… vieni ammazzata.
Detto questo, Luke la prese per il collo e iniziò a stringere.
Ame non riusciva a respirare, gemette, doveva fare qualcosa. Con uno strattone ruppe la fasciatura del braccio destro e colpì il ventre di Luke. Il ragazzo la lasciò andare, Ame riprese fiato, le girava la testa. Con la mano destra tremante cercò di togliersi le catene, ma senza riuscirci. Luke le prese il poso destro e lo spezzò.
Ame urlò per il dolore, ora era nei guai.
-         Vuoi giocare? Ti accontento.
Luke le sputò in un occhio e la spinse contro il muro.
-         Cosa credi di fare, eh? Scappare? Te l’ho detto, oggi morirai.
Sghignazzò con lo sguardo da pazzo, mentre Ame cercava di divincolarsi.
Con la mano sinistra le prese il collo e la tenne ferma contro il muro, con la destra le accarezzò il fianco.
-         Uhm… in effetti ucciderti subito è troppo semplice… e se mi divertissi un po’, prima?
Il sangue di Ame si congelò, era davvero nei guai.
Luke premette il suo bacino contro quello di Ame, la mano destra passò alle cosce. Ame tentò di divincolarsi, senza riuscirci.
Luke obbligò Ame a guardarlo, le veniva da piangere, lui sorrise con cattiveria e premette le sue labbra contro quelle di Ame, lei strinse i denti e gli tirò una testata. Era davvero arrabbiata, una fiammata divampò tra lei e l’aggressore, poi tentò di sciogliere le catene, riuscendo a liberare il braccio sinistro. Un getto d’acqua spense il fuoco e Luke tirò fuori un pugnale.
-         Oh, sì. Ora sei morta, stronza.



 Rose era fuori dalla cella e aveva sentito le voci concitate dei due, Ame era in pericolo! Lei non poteva fare nulla, era troppo debole. Iniziò a correre, doveva tornare indietro e avvisare Emerald, doveva sbrigarsi.
Senza fiato salì gli ultimi scalini e spalancò la porta.
-         Ame è in pericolo! Luke la sta ammazzando! Ti prego aiutal…
Rose si bloccò. Accanto al marito c’era Aaron, le braccia incrociate, appoggiato al muro, lo sguardo stanco e felice per il nipotino. Il viso del fratello sbiancò quando la sentì parlare, senza dire una parola Aaron si precipitò fuori dalla porta, Emerald lo seguì, lasciando Jonathan a Rose. Dovevano fare in fretta.



  Ame evitò la pugnalata e cadde a terra.
-         Dannazione!
Urlò, col cuore in gola, per lei era finita. Luke le tirò un calcio nello stomaco.
-         Speravo di mostrare ad Aaron il tuo corpo privo di vita intatto, in modo che ti riconoscesse, invece lo troverà pieno di tagli e lividi… fa nulla, è andata così.
Luke afferrò i lunghi capelli di Ame e appoggiò il coltello alla gola della ragazza.
-         Addio.
Sorrise Luke.
-         NO!
La voce di Aaron rimbombò nella cella. Un coltello tagliò i capelli di Ame, mentre Aaron sbatteva Luke contro il muro e gli tirava un pugno in viso.
-         Aaron, me ne occupo io, porta via di qui Ame, subito!
Lo incitò Emerald.
-         Ok.
Tirò un ultimo pugno a Luke e poi si avvicinò ad Ame.
-         Ame! Come stai? Mi senti?
Ame tremava, annuì appena.
Aaron le tolse le catene e la prese in braccio, insieme uscirono dalla cella.
Ame appoggiò la testa contro il petto di Aaron, il suo cuore si stava stabilizzando, tra le sue braccia si sentiva al sicuro.
-         Oh Ame, mi dispiace così tanto! Io non credevo…
Cominciò Aaron, ma Ame appoggiò le dita tremanti sulle sue labbra, sorridendo.
-         Ti prego, perdonami se puoi, ti prego non odiarmi…
Singhiozzò il ragazzo stringendola a sé.
-         Non ti ho mai… odiato…
Si sforzò Ame, la voce era fioca.
Aaron la guardò stupito.
-         Io… io ti amo, Ame!
Disse infine Aaron. Il cuore di Ame perse un colpo, era la prima volta che le diceva chiaramente ciò che provava.
-         Anch’io…
Sussurrò mentre i sensi l’abbandonavano.

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Capitolo 34
*** Libertà ***


Capitolo XXXIV:
“Libertà”

  Gray tornò alla sua forma umana, stiracchiò le braccia e le gambe e si avvicinò verso la locanda. Annusò l’aria: riconobbe gli odori di alcuni ribelli e anche quello della Belva Sacra della terra.
Controllandosi il più possibile per non fare danni, bussò alla porta e aspettò. Non ricevendo risposta ribussò più forte e, da dentro la locanda, sentì finalmente dei passi avvicinarsi e la porta si aprì.
-         E’ un’osteria, non una casa, non devi bussar… oh, Gray?
Joi fissò Gray sorpreso, mentre l’altro lo guardava dall’alto al basso.
-         Che accoglienza, Joi.
Commentò con disprezzo il ragazzo.
-         Mi fai entrare o no?
Domandò, vedendo che Joi non si muoveva dalla soglia.
-         Sì, fai pure.
Joi lo lasciò passare, non capiva il motivo per cui era lì.
-         Cosa vuoi?
-         Mi chiami gli altri ribelli?
-         Abbassa la voce, ho clienti! Va bene, seguimi.
Ordinò mentre lo precedeva. Cosa voleva da loro la guardia del corpo del Guardiano? I clienti fissavano stupiti il ragazzo dai capelli argentei e, in imbarazzo, Gray seguì Joi.

  Dopo pochi minuti erano tutti seduti intorno ad un tavolo rotondo, nel rifugio.
-         Dicci.
Lo incitò Enea, era davvero sorpreso di vedere Gray.
-         Sto andando a liberare le Discendenti e non dovete assolutamente interferire. Ho già perso tempo per venire ad avvisarvi, non voglio palle al piede.
 Commentò freddo.
-         Perché il Guardiano ha deciso di intervenire? E’ così grave?
Chiese Enea. In quel momento, davanti a lui, c’era una specie di divinità e non capiva il motivo per cui si erano scomodati: in fondo non era la prima, e di certo non l’ultima, guerra sanguinosa che veniva combattuta.
-         Questa guerra sta deformando e indebolendo i confini delle dimensioni, se le Discendenti perdono il potere, tutto verrà perduto. Non esisterà più nulla.
Spiegò senza emozioni.
-         Noi cosa dovremmo fare?
-         Nulla, assolutamente nulla. Non immischiatevi più, pensate ad allenarvi per la battaglia finale e basta. Da ora in poi saremo noi ad occuparci delle Discendenti. Se interferirete vi ucciderò, capito?
-         Va bene.
Annuì Enea.
-         Non è giusto! Noi non vedremo più Ame e Crystal? E’ questo che mi stai dicendo?
Si inalberò Lou.
-         Voi non siete stati minimamente capaci di occuparvi delle Discendenti, come possiamo affidarvele ancora? Enea le avrebbe sacrificate senza battere ciglio e voi non lo avreste fermato. Siete degli stupidi, come le Protettrici.
Commentò acido, nessuno ribatté alcun che. Gray si guardò in giro, poi vide ciò che cercava, si avvicinò a Tora e l’accarezzò.
-         Più avanti verrò a prenderti con Lou, tieniti pronta. Ci servirete.
Sussurrò alla tigre, che fece segno di aver capito.
-         Ora me ne vado. Non interferite, sarà meglio per voi.
Detto questo uscì dal rifugio e dall’osteria, per poi andarsene, sotto forma di lupo.


 
  Era rimasta immobile, non aveva più mosso un muscolo, gli occhi chiusi, la carnagione pallida: l’avrebbe creduta morta, se non fosse stato per il lento respiro che alzava di poco il petto. Aaron stava osservando Ame: il suo corpo era pieno di tagli, lividi e cicatrici. Con delicatezza le accarezzò il viso, era così fragile... Si odiò per averla consegnata, ma nel momento in cui l’aveva fatto gli era sembrata la cosa più giusta: salvare la sorella che amava tanto, che aveva rischiato morire davvero, e consegnare una ragazza che conosceva da poco, benché l’amasse. Adesso, invece, si odiò per averle fatto passare quegli orrori.
-         Ame, ti prego, svegliati…
Sussurrò alla ragazza, ma nulla cambiò sul suo viso.
-         Devi avere pazienza: alle ferite gravi si è aggiunto un forte shock, ci vorrà un po’ di tempo.
Gli spiegò Rose entrando nella stanza con delle medicine.
-         Tu invece dovresti riposarti.
Consigliò Aaron alla sorella.
-         Lo farò tra un attimo, Jonathan è con Emerald.
-         Non è poi così male tuo marito, in fondo… l’ho giudicato male.
Sorrise Aaron.
-         Direi che Emerald volesse solo metterti alla prova come generale… forse un po’ voleva il tuo posto, ma da quando ho iniziato ad aspettare Jonathan è cambiato molto.
Rose sorrise, mentre controllava i valori di Ame.
-         Il battito è ancora un po’ debole, ma va meglio.
Rassicurò il fratello e poi se ne andò senza dire altro, anche se aveva molte cose da chiedergli. “Ogni cosa ha il suo tempo, ora non è certo il momento, devo solo aspettare” pensò allontanandosi dalla stanza.
  Aaron sospirò, gli avevano detto che Luke era stato messo in reclusione a tempo indeterminato: se avesse ucciso Ame, il piano di Wareck sarebbe andato in fumo.
Ame mosse lievemente il capo verso Aaron, ma non si svegliò. Il ragazzo le baciò la fronte e le rimase accanto.
 


  Ame stava camminando sulla sabbia bianchissima, sentiva il mare ma non riusciva a vederlo. Era davvero tutto molto strano, non c’era nessuno lì intorno, eppure si sentiva osservata. Continuò a camminare e constatò che nonostante il sole fosse accecante e caldo, la sabbia rimaneva fresca. Quel posto le donava un senso di pace eterna: o stava sognando o era morta.
In lontananza vide una piccola costruzione in legno, vi si avvicinò facendo attenzione. Sbirciò dentro ma non vide nessuno, solo oggetti dai colori chiari e in ordine. Si guardò intorno e in lontananza vide finalmente il mare.
Affrettò il passo verso l’enorme distesa azzurra e si fermò di colpo: un uomo era fermo sul bagnasciuga.
-         Ti stavo aspettando Ame. Su, vieni a sederti qui.
La invitò con dolcezza l’uomo. Ame si avvicinò e gli si sedette accanto: l’acqua le lambiva i piedi senza bagnarla.
-         Come stai Ame?
Chiese l’uomo con un sorriso.
-         Bene.
Rispose lei.
-         Il polso ti fa male?
Ame si concentrò sul polso, in effetti poco prima Luke l’aveva rotto, ma riuscì a muoverlo senza sentire alcun dolore.
-         A dir la verità non sento niente, nemmeno il polso.
-         Questo è perché sei nel confine con l’Aldilà.
Spiegò l’uomo con un leggero sorriso.
-         Sono morta?!
-         Non ho detto questo, piccola Discendente.
L’uomo smorzò l’angoscia di Ame in un attimo.
-         Quindi cos’è successo?
Chiese Ame confusa.
-         Ti ho chiamata io. Io sono il Guardiano: proteggo il confine tra le dimensioni, anche quello dell’Aldilà. La cosa buffa è che ci sono miriadi di dimensioni in cui vivere, ma solo una per andare quando si muore.
Rise l’uomo.
Ame lo fissava sconcertata, non capiva dove volesse arrivare.
-         Comunque, volevo solo dirti che, tra pochissimo, un mio caro amico verrà a salvarti. Fidati di lui e seguilo, si chiama Gray. Ti porterà da noi e ti insegneremo come mettere fine a tutto. Le cose si stanno complicando più del previsto. Tu devi essere pronta a batterti contro Wareck, dovrai radunare un esercito. Da ora si apre la vera sfida.
Il viso dell’uomo si era fatto serio e Ame capì la gravità della situazione.
-         Va bene, darò il massimo.
Giurò Ame.
-         Ottimo. Ora è meglio se ti svegli, c’è un caro ragazzo che ti sta aspettando.
Il Guardiano rise, mentre i contorni del paesaggio vacillavano e Ame si sentì risucchiare dalla gravità, cadendo nel vuoto.


 
-         Ame, mi puoi sentire? AME!
La voce di Aaron era incrinata dal terrore, accanto a lui Rose armeggiava senza sosta intorno ad Ame. Per alcuni istanti il battito di Ame era cessato e Aaron aveva temuto il peggio, così aveva richiamato Rose.
Ame aprì piano gli occhi, l’assenza di dolore di poco prima era solo un ricordo lontano; ora, invece, il dolore al polso si faceva sentire.
-         Aaron.
Si sentì sussurrare Ame, il ragazzo sollevò lo sguardo verso quello di lei, sorpreso.
-         Allora sei viva!
Aaron sospirò di sollievo e Rose si lasciò cadere sulle ginocchia: finalmente la tensione si era allentata.
-         Come ti senti?
Chiese subito Rose.
-         Il polso…
-         Te l’ho fasciato, abbi un po’ di pazienza e bevi questo.
Rose le porse un bicchiere colmo di un liquido rosa e sciropposo.
Ame lo deglutì a fatica. Era come se tutte le ferite si fossero riaperte, anche quelle ormai guarite da tempo. Rose prese il bicchiere vuoto e uscì dalla stanza.

-         Oh Ame, credevo di averti perso… io sono stato uno stupido… l’ho fatto solo per Rose, non pensavo che saresti quasi morta, perdonami…
-         Smettila di scusarti.
Lo rimproverò affaticata Ame.
-         Avrei fatto lo stesso per Leo, credo.
-         Leo?
Domandò preoccupato Aaron.
-         Mio fratello, non fraintendere.
Si affrettò Ame, ma poi sbiancò, una fitta di dolore la bloccò.
-         Ora ti prometto che non ti lascerò più. Scappiamo e portiamoci dietro Rose con suo marito e Jonathan. Cosa ne dici?
-         Aaron… io non posso, vorrei, ma ora noi siamo nemici. Devo sconfiggere il tuo patrigno… non credo che tu voglia rivoltarti contro chi ti ha salvato.
-         No, però se lasciassimo perdere tutto, se scappassimo nella tua dimensione, per esempio, potremmo stare insieme.
Tentò di convincerla.
-         Non posso: Wareck ha mio fratello ora e il Guardiano mi ha detto di raggiungerlo.
-         Il Guardiano? Credevo fosse una leggenda metropolitana.
Si stupì Aaron.
-         Quindi non possiamo stare insieme?
Sospirò infine, guardando gli occhi chiari di Ame.
-         Non finché la guerra continuerà, non finché Wareck rimarrà al governo.
Affermò Ame convinta.
Aaron la fissò un secondo, poi chinò il viso su quello di Ame e con dolcezza la baciò. Ame rispose a quel bacio dolce e amaro al tempo stesso, per un istante sembravano esistere solo loro due, ma dovettero staccarsi di colpo: dal corridoio sentirono urla agghiaccianti e la sirena dell’allarme risuonò tra le mura del castello.
-         Cosa succede?
Chiese Ame, presa dal panico.
-         Non lo so. Tranquilla, ci sono qua io.
Aaron prese la mano di Ame e si mise tra lei e la porta, coprendola.
Di fronte all’uscio un soldato cadde rantolando, pieno di sangue. Un lieve rumore di passi e di fronte alla porta si materializzò Gray: sulla spalla sinistra teneva Crystal, svenuta; la mano destra del ragazzo era piena di sangue, le unghie sembravano artigli affilati.
Senza parlare entrò nella stanza e guardò i due ragazzi.
-         Mi serve la Discendente.
Disse solo, inclinando la testa per guardare Ame negli occhi.
-         No. Chi sei?
Domandò, mentre pensava ad un modo per uscire da quella situazione.
-         Sono Gray, proteggo il Guardiano. Ho l’ordine di portargli le Discendenti.
-         Non ti credo.
Gray fissò Aaron negli occhi, in meno di un secondo avrebbe potuto ucciderlo, ma non gli era sfuggito come la Discendente guardasse il ragazzo, né il fatto che si tenessero per mano.
-         Non ti voglio uccidere, spostati e basta.
Gli consigliò.
-         Aaron, io gli credo. Ha lo stesso nome che mi ha detto il Guardiano…
-         Ame come fai a fidarti? Tutti conoscono il suo nome.
Spiegò senza muoversi.
-         L’hai voluto tu.
Sospirò Gray e con un calcio colpì Aaron che volò dall’altra parte della stanza.
-         Aaron!
Ame guardò terrorizzata il giovane accasciarsi contro la parete. Gray prese sull’altra spalla Ame, che iniziò a dimenarsi. Ruppe la finestra e con un salto uscì da lì.

  Aaron si alzò, la testa gli girava. No, non l’avrebbe lasciata di nuovo. Senza indugiare oltre si lanciò all’inseguimento di Gray.

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Capitolo 35
*** Tutto per una ninfa ***


Capitolo XXXV:

“Tutto per una ninfa”

  Adrien e Emy camminavano ormai da molto tempo, il bosco si faceva sempre più fitto e cupo. Adrien sapeva che in quel periodo Cloud amava andare vicino al lago ai piedi delle Montagne Rocciose. Per arrivare lì dovevano passare per il Bosco delle Ninfe, stando attenti a non commettere errori: le ninfe erano creature pure, ma se qualcuno rovinava la loro quiete veniva ucciso. Emy lo precedeva, grazie al suo potere di poter comunicare con le anime degli esseri viventi, sapeva dove potevano o non potevano andare. Adrien era pochi passi dietro di lei, la mano appoggiata all’elsa della spada per ogni evenienza. Pochi anni prima proprio il Bosco delle ninfe e le Montagne Rocciose avevano fatto da scenario di una guerra tra le ninfe e i draghi, portando alla quasi estinzione di quest’ultimi. I draghi volevano discendere nel Bosco, occupando così il territorio delle ninfe, fu questo il motivo della guerra tra due delle creature più sacre di quel Mondo, o così gli era stato detto. Raissa, moglie di Wareck, era morta in quella guerra, mentre tentava di fermare l’inutile strage: Raissa aveva scoperto che erano stati gli stessi Custodi a incitare i draghi a scendere nel Bosco, convincendoli che le ninfe si sarebbero presto rivoltate contro di loro. In questo modo i Custodi avrebbero diminuito la presenza di creature ben più potenti di loro, assicurandosi di poterli tenere sotto controllo.

  La guerra si era conclusa con la vittoria delle ninfe e l’obbligo che i draghi non si potessero più muovere dalle Montagne Rocciose, pena la morte. Wareck, che ai tempi studiava per entrare nel Secondo Consiglio, ovvero l’organo governativo costituito dai quattro portatori delle Belve Sacre, scoprì la verità sulla guerra, ma ormai la sua amata Raissa era morta, lasciando lui e la figlia di soli sei anni. Fu così che Wareck decise di distruggere ciò che era stato creato nella menzogna, per riplasmare un mondo migliore. La Belva Sacra dell’aria si manifestò presto in tutta la sua potenza e, radunato un esercito in due anni, Wareck prese con la forza il potere. In quella follia, Wareck trascinò migliaia di persone nella morte e, con il tempo, dimenticò il motivo che l’aveva spinto a compiere il colpo di stato, mentre la bramosia di potere lo logorava.

  Era stato così che Lou aveva perso la famiglia, che Adrien, già povero, aveva perso il fratello e la speranza, che Enea aveva tradito i suoi genitori, che Emy aveva perso la capacità di parlare e la memoria, che Joi aveva dovuto abbandonare la sua gente, che Noah aveva perso la moglie, che Tamara, gravemente ferita, aveva fatto un patto con la Belva Sacra della terra, donandole la possibilità di vivere all’esterno al posto suo, in cambio della sopravvivenza, divenendo Tora.
Emy si fermò di colpo, facendo un cenno ad Adrien di star fermo. Il ragazzo si guardò intorno, preoccupato. Sentì dei passi leggeri avvicinarsi, strinse la mano sull’elsa, pronto a sguainare la spada, ma si bloccò: di fronte a loro comparì una ninfa dai lunghi capelli bianchi, il viso dolce e latteo.
-         Benvenuti, stranieri.
La voce cristallina della donna li avvolse e di colpo caddero a terra, addormentati.



  Aaron stava alle costole di Gray, non lo perdeva di vista. Ame continuava a dimenarsi, complicando a Gray il compito di tenerla e il ragazzo non ne poteva più.
Si fermò di colpo e si voltò verso l’inseguitore.
-         Perché ci segui?
Domandò scocciato verso il ragazzo.
-         Io non voglio più lasciarla.
Ansimò per la stanchezza Aaron.
Erano ore che lo inseguiva, ormai erano molto lontani dal castello, non ne poteva più.
Gray lo fissò scocciato, poi si ricordò di ciò che Bashir gli aveva detto: non avrebbe portato tutte e due le discendenti da lui subito. Ora capiva il perché.
-         Cosa farai se ti lascio la Discendente? La riporterai in quel luogo maledetto?
Domandò ad Aaron.
-         No. La porterò in un posto lontano dal castello: sui Monti Silenziosi, c’è una piccola casa lì. L’ho costruita pochi anni fa per ogni evenienza.
Rispose Aaron convinto.
-         La Discendente ha una missione importante da compiere. Tra due settimane dovrà essere al rifugio di Senar, viva e vegeta, se così non fosse ti ammazzerò. Anche se foste in ritardo, ma in viaggio per il villaggio non importa: tra due settimane lei deve essere lì. Ci siamo capiti?
Chiese perentorio Gray.
-         Sì, sarà così.
Giurò in tono solenne Aaron.
-         Bene, prenditi cura della Discendente.
Gray fece scendere Ame e dopo averla guardata un attimo, ripartì con Crystal verso il confine delle dimensioni.

  Ame cercò di camminare verso Aaron, ma le gambe le cedettero, non stava ancora bene. Aaron le si avvicinò, stanco per la corsa, la prese in braccio e continuò a camminare.
-         Se vuoi riposarti fai pure, eh.
Commentò Ame vedendo Aaron distrutto.
-         Non posso: se camminiamo di questo passo, forse riusciamo a raggiungere i Monti Silenziosi domani all’alba.
Spiegò lui sorridendo.
-         Fa’ come vuoi, lo dicevo per te.
Sussurrò Ame.
Il cuore le batteva all’impazzata, ogni volta che osservava Aaron si sentiva strana, in senso positivo. Appoggiò il viso sulla spalla del ragazzo e chiuse gli occhi.
-         Aaron…
-         Dimmi.
-         Tu credi che tutto questo finirà?
Per un attimo Aaron rimase in silenzio, la camminata dolce e ondeggiante del ragazzo rilassava Ame.
-         Sì, credo di sì. Tutte le guerre prima o poi finiscono.
-         Pensi che riuscirò a portare a termine il compito?
-         Ne sono sicuro. La cosa che mi chiedo è: saremo tutti e due vivi alla fine di tutto questo?
La voce del ragazzo era cupa e a quella frase il cuore di Ame perse un colpo.
-         In che senso?
-         Se io… morissi?
-         Non ci pensare nemmeno! Anche se sul campo di battaglia saremo nemici, farò di tutto perché tu sia salvo.
Esclamò decisa Ame.
-         Va bene, ora però non pensiamoci.
Rise Aaron.

  Continuarono a camminare in silenzio per almeno un’ora, o così sembrò ad Ame. Il cielo era terso e le cicale cantavano senza sosta, le braccia di Aaron la tenevano stretta e Ame si sentiva al sicuro. Sentiva il cuore del ragazzo battere a ritmo regolare e il su respiro leggero le scompigliava i capelli, ormai corti.
-         Aaron.
Sussurrò Ame guardandolo in viso.
-         Sì?.
-         Quando sarà tutto finito…
Incominciò esitante, poi respirò a fondo e continuò.
-         Verrai con me, nel mio Mondo?
Chiese infine Ame, non sapeva come avrebbe fatto senza di lui.
-         Se sarò vivo sì.
-         Tu sarai vivo. Credimi.
Sorrise lei fissandolo negli occhi scuri. Aaron chinò il capo e la baciò.
-         Ti credo, Ame.



  Lou era seduta nel giardino nascosto, sospirò e guardò l’albero di mele di fronte a lei. Tutto era strano da quando Wareck era al potere, era come una se vivesse in un incubo infinito. Sentì dietro di lei i passi di Enea sull’erba. Il ragazzo le appoggiò una mano sulla spalla e le si sedette accanto.
-         Tutto bene?
Domandò incerto.
-         Non lo so. Ci siamo illusi di avere la battaglia in pugno e invece…
Sospirò Lou, alzando le spalle.
-         Stai tranquilla. Ora dobbiamo radunare qui tutti i ribelli e prepararci alla battaglia, dobbiamo preoccuparci solo di questo.
-         Hai ragione.
Annuì Lou.
-         Ho appena mandato un messaggio via falco a Jenna, Noah dovrebbe arrivare domani.
Le comunicò Enea.
-         Con Jenna arriveranno una quindicina di ribelli, lei avviserà gli altri, presto dovremo combattere. Sono sicuro che, una volta arrivata, Jenna ti aiuterà con la Belva Sacra.
-         Lo spero.
Sorrise Lou.
Enea l’abbracciò e la baciò con passione. Dovevano vincere e vivere.

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Capitolo 36
*** La decisione di Febe ***


Capitolo XXXVI:
“La decisione di Febe”

  Leo camminava assieme ai soldati verso la capitale. L’ansia lo logorava, non sapeva minimamente dove fosse Ame, né come stesse e la cosa lo innervosiva. Si guardò intorno: il sole era appena sorto e il loro cammino aveva abbandonato i sentieri verdi del bosco. Ricominciò a mordersi il labbro, era decisamente teso. I soldati non parlavano più, assonnati dal viaggio, camminavano in file ordinate, solo lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli spezzava il silenzio. Inutilmente, Leo si era chiesto se avesse fatto bene o male a chiedere di essere portato alla capitale, ma ormai era fatta.
  Con un’andatura lenta e ondeggiante raggiunsero una strada spianata, Leo notò che tutta la vegetazione, che si era abituato a vedere una volta arrivato in quel Mondo, ora non c’era. Era stata distrutta, le rocce e la ghiaia prendevano il posto dell’erba e dei fiori, gli alberi erano stati tagliati, mutilati. Di fronte a loro, alla fine di quel tetro paesaggio, si ergeva su un’altura il castello di Wareck: grigio e minaccioso, circondato da alte e spesse mura, che a loro volta erano protette da un profondo fossato. Leo deglutì nervoso, se Ame era lì non era al sicuro.
 


  Adrien sbatté le palpebre più volte prima di abituarsi alla calda luce che illuminava la stanza. Si sedette sul letto, le lenzuola bianche e pulite aumentavano fastidiosamente la luminosità della camera. Una volta che gli occhi si furono abituati, si guardò intorno e vide un letto vuoto accanto al suo, le lenzuola tirate indietro, il cuscino sfatto. Non capiva come fosse arrivato lì, non si ricordava nulla. Si godette quell’attimo di beata inconsapevolezza, poi si alzò e ciò che era accaduto il giorno prima gli tornò in mente. Notò che i suoi abiti erano diversi, bianchi e puliti, e terrorizzato cercò la sua spada, ma non la trovò da alcuna parte. Ribaltò i mobili, le lenzuola, sposto gli oggetti, ansioso, ma non la trovava. Imprecò ad alta voce e, un attimo dopo, la porta della stanza si aprì: la ninfa vista il giorno prima aveva la sua spada in mano.
-         Buon giorno Adrien del clan dell’acqua.
Sorrise pacifica al ragazzo, porgendogli l’arma.
-         Come sa il mio nome? Dove sono?
Domandò guardingo, riappropriandosi velocemente della spada che Xavier gli aveva donato, prima di morire.
-         Io sono Febe e tu sei nel mio palazzo, o mio fortunato amico. Seguimi, Emy ci sta aspettando.
Lo invitò la ninfa e lo precedette.

  Adrien la seguì in silenzio, i nervi tesi, i sensi in ascolto. Tutte le pareti, i pavimenti, i mobili erano di un bianco sgargiante. Le finestre erano in vetro finissimo e chiaro: cosa molto insolita. Arrivarono davanti ad una porta in legno dipinto e vi entrarono dentro. Seduta ad un tavolino c’era Emy, il suo sguardo sereno tranquillizzò Adrien.
-         Prego, accomodati.
La ninfa indicò il posto accanto a Emy, mentre lei si sedette di fronte ai due ragazzi.
-         Dove vi stavate dirigendo ieri?
Domandò con calma Febe, mentre versava in due calici una bevanda chiara e profumata.
-         Ci stiamo dirigendo ai piedi delle Montagne Rocciose, al Lago Ramir. Mio fratello dovrebbe essere lì, dobbiamo raggiungerlo.
Spiegò Adrien, notando un lieve cambio di espressione nella ninfa quando aveva pronunciato il nome delle Montagne Rocciose.
-         Capisco. Come mai?
Chiese pensierosa.
- Si tratta di faccende personali, mia signora.
Rispose Adrien a denti stretti.
-         Cari ragazzi ci sono cose di cui è bene parlare apertamente. So che siete due ribelli e so che tra poco scoppierà l’ennesima guerra. Quello che vi chiedo è solo cosa dovete andare a fare vicino al nido dei draghi.
Commentò più seria.
-         Non ci interessano i draghi e, permettetemi, non ho intenzione di dirvi nulla sui ribelli. So bene che la moglie di Wareck era una ninfa, come posso fidarmi di voi?
Ringhiò Adrien.
-         Calmati umano. Noi non abbiamo intenzione di consegnarvi, né farvi alcun male, altrimenti sareste già nell’Aldilà.
Sibilò la ninfa, fulminando il ragazzo.
-         Quello che noi ninfe vogliamo è solo un po’ di pace. Non ci siamo ancora riprese dall’ultima guerra e non vogliamo prendere parte a quella che si scatenerà. Vogliamo solo sapere perché vagate per il nostro Bosco, è una questione di sicurezza, nulla più.
Spiegò con più calma.
-         Abbiamo bisogno della compagnia teatrale di mio fratello per introdurci nel castello di Wareck e recuperare degli ostaggi.
Disse infine Adrien.
-         Capisco, allora sarete scortati dalle mie guardie, non vogliamo problemi nel nostro territorio.
Dichiarò Febe.
-         Merian, Elemir venite qui, per favore.
Chiamò la ninfa con calma.
Due ninfe armate entrarono nella stanza bianca e splendente.
-         Accompagnate i due umani al loro obbiettivo e poi fuori dal Bosco. Assicuratevi che ne escano incolumi e non creino disagi.
Comandò la ninfa.
-         Ai Vostri ordini, Vostra Altezza Febe.
Dissero all’unisono le due, inchinandosi.
-         Seguitele, spero di esservi stata d’aiuto.
Sorrise ai due giovani.
-         Aspettate, davvero voi non vi schiererete in questa guerra? Se Wareck avesse la meglio tutto verrebbe cancellato, anche il vostro amato Bosco.
Esclamò Adrien, prima di alzarsi.
-         Non è il caso di adirarsi tanto, umano. Non è la nostra guerra e per questo non ci schiereremo da nessuna delle due parti, se la Discendente non sa usare i suoi poteri divini forse è meglio che venga uccisa e che gli uomini si mettano da parte. Solo per colpa loro abbiamo subito gravi perdite e periodi oscuri, una razza tanto corruttibile non dovrebbe avere tanto potere. Questa guerra riguarda solo voi, non manderò a morire altre mie compagne inutilmente.
Si adirò Febe e i suoi occhi color lavanda bruciarono di rancore.
-         Ora andate!
Ordinò Febe, il viso trasfigurato da un odio profondo.
-         Addio. Grazie per l’ospitalità.
Si congedò Adrien, seguito da Emy e dalle due ninfe.

  Una volta lasciata sola, Febe scoppiò in lacrime e si accasciò sulla sedia.
-         Raissa, amica mia, proteggerò ciò per cui ti sei sacrificata.
Sussurrò, rivolta al cielo azzurro.
 


  Ame sbadigliò e si rigirò nel letto morbido, scontrandosi contro qualcosa. Aprì gli occhi, accanto a lei Aaron russava piano, Ame arrossì di colpo, ma poi si calmò: erano entrambi ancora vestiti. Abbracciò il giovane e lo osservò mentre dormiva. Sembrava un dolce angioletto. Si avvicinò al suo viso e gli baciò la fronte, lui aprì piano gli occhi.
-         Ben svegliato.
Augurò lei, abbracciandolo più stretto.
-         Buon giorno a te.
Rise lui.
Il respiro caldo di Aaron le scompigliò i capelli, Ame appoggiò la testa sul suo petto, sperando che quel momento non finisse mai. Alzò lo sguardo e incrociò quello di Aaron, le emozioni che provava erano terribilmente forti, mai provate prima.
-         Hai dormito bene?
-         Sì, tu?
-         Bene, grazie. Vado a preparare qualcosa da mangiare, ti va?
Propose lui, sentendo lo stomaco di Ame brontolare.
-         Sì, grazie. Ti do una mano.
Arrossì lei.
-         Figurati, sta’ qui e riposati. Arrivo subito.
-         Grazie mille.
Sorrise, mentre Aaron si alzava e scendeva dal letto. Quando si fu allontanato, Ame si guardò intorno, la stanza era piccola ma accogliente: c’era un armadio, un comodino e il letto dove lei era sdraiata.
Le pareti e il soffitto erano in legno, accanto al letto c’era una piccola finestra, il sole era già alto nel cielo. Sospirò, non avrebbe mai creduto di avere tanta fortuna, di poter rivedere Aaron, di essere viva. Se ripensava all’episodio con Luke, il cuore accelerava i battiti per la paura, lo stomaco si contorceva e le veniva il vomito. Alzò lo sguardo verso il soffitto, se Aaron non fosse arrivato, ora lei sarebbe morta… Strinse i denti. Doveva diventare più forte. Osservò il polso destro: la fasciatura stretta non le lasciava muovere la mano, ma almeno le alleviava il dolore. Scostò le lenzuola e si sedette sul letto, i vestiti logori lasciavano scoperti ampi tagli  sulla sua pelle. Con la mano sinistra sfiorò la voglia a forma di goccia, il simbolo delle Discendenti, aveva notato che Crystal ne aveva una identica sulla caviglia, anche se più irregolare della sua.
-         Dove cade la lacrima della madre, lì si forma la voglia.
Così le aveva detto Crystal, quando Ame le aveva chiesto qualcosa di più sulla voglia.
Ame si ricordò che ora non aveva più il ciondolo e la cosa la innervosì, come poteva migliorare adesso? Avrebbe dovuto fare molta più fatica.

  Aaron entrò nella stanza con un vassoio di cibo: pane, della zuppa calda e un bicchiere d’acqua.
-         Mi dispiace ma non c’è molto qui.
Si scusò lui.
-         Figurati, va più che bene.
Sorrise lei, aveva troppa fame per fare storie sul cibo.
Aaron si sedette accanto a lei e mangiarono assieme, la zuppa era un po’ insipida, ma ad Ame non importava, quando era prigioniera le avevano dato solo due volte da mangiare del pane raffermo e due volte al giorno dell’acqua non troppo pulita, ora era come essere in paradiso.
-         E’ buonissimo!
Sorrise lei mentre mangiava affamata.
-         Se lo dici tu mi fido.
Rise lui, ben conscio delle sue scarse capacità culinarie.
Ame ripulì in quattro e quattr’otto la scodella della zuppa, inghiottì il pane in un sol boccone e trangugiò l’acqua.
-         Era da un po’ che non mangiavo.
Arrossì lei vedendo l’espressione stupita di Aaron.
-         Figurati, non devi mica darmi spiegazioni.
Si affrettò a dire lui, sentendosi colpevole.
Lo stomaco di Ame brontolò ancora e lei arrossì ancora di più.
Aaron guardò la sua scodella mezza piena di zuppa e quella vuota di Ame.
-         Tieni. Io non ho più fame.
Mentì, porgendole il suo piatto.
-         Ma devi mangiare, hai camminato moltissimo ieri, devi recuperare le forze.
Protestò Ame.
-         Non fare complimenti e mangia, su.
La esortò lui, Ame allora prese la scodella e ringraziò.
-         Oggi pomeriggio ti va di andare al fiume qui vicino? Peschiamo un po’ di pesci per la cena.
Propose lui.
-         Ci sto, bella idea.
Sorrise Ame e riprese a mangiare.
Aaron osservò i capelli di Ame: erano corti e irregolari, aveva dovuto per forza tagliarli per evitare che Luke la uccidesse. Ora, però, gli ricordavano in continuazione il suo errore.
Istintivamente le accarezzò il capo, lei si girò verso di lui e sorrise. Un sorriso sincero e caldo che gli trafisse il cuore.



  Joi stava nel cucinino a preparare del cibo per il pranzo, quando la porta dell’osteria si aprì. Un uomo alto e nerboruto con una cicatrice profonda sul viso entrò nella locanda. Ian, che stava giocando con Lou al solito tavolo si alzò e corse in contro all’uomo.
-         Noah! Noah!
Urlò allegro mentre gli saltava in braccio.
Noah sorrise.
-         ‘Giorno gente.
Salutò allegro.
-         Porto ottime notizie.

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Capitolo 37
*** Intimità ***


Capitolo XXXVII:
“Intimità”

  Adrien camminava a capo della piccola combriccola, ogni tanto lanciava sguardi ansiosi alle due ninfe che li accompagnavano, per quel che sapeva potevano anche attaccarlo alle spalle.
Il suo sguardo si posò su Emy e, vedendola tranquilla, si rasserenò: le due non dovevano avere cattive intenzioni. La mano sinistra di Adrien, però, rimaneva ben salda al fodero della spada, quel contatto lo rassicurava.
Sentì degli strani rumori, chinò il capo di lato e si concentrò sui rami dei cespugli che si muovevano poco lontano da dov’era. Avanzò con decisione, pronto a sguainare la spada, ma si fermò: era solo uno scoiattolo.
-         Umano, rimani in fila!
Sibilò Merian, fulminandolo con lo sguardo.
-         Chiedo scusa, avevo sentito degli strani rumori.
Spiegò Adrien, mantenendo più calma possibile la voce.
La ninfa sbuffò e lo incitò a proseguire.
-         Sappiamo accorgerci benissimo dei pericoli!
Ringhiò l’altra
-         Meno male che le ninfe dovrebbero essere pacifiche e dolci.
Borbottò a mezza voce il ragazzo, Emy sorrise.
Senza far rumore continuarono a camminare, Adrien era stufo di quella situazione snervante.
Sentì altri rumori tra i cespugli, ma evitò di controllare per non sentire le lamentele delle due ninfe. Non aveva voglia di litigare con creature pericolose come loro.
I rumori si facevano sempre più intensi, istintivamente Adrien appoggiò la mano destra sull’elsa e continuò a camminare, guardingo.
Dietro di loro due uomini li seguivano.
 


  Noah si era seduto al bancone e stava chiacchierando con Joi mentre aspettavano che Lou ed Enea li raggiungessero.
Ian continuava a gironzolare intorno a Noah, che con dolcezza lo faceva giocare.
-         Allora, le buone notizie?
Domandò Joi, appoggiandosi al bancone.
-         Aspetto gli altri. Ho sentito che hanno catturato la Discendente.
-         Sì, ma ora sarà già libera.
Commentò Joi voltandosi per appoggiare lo straccio logoro.
-         Cioè?
-         Gray in persona è andato a salvare Ame e Crystal.
-         Gray?! Quel Gray? E poi aspetta, Crystal è viva?! Sono poco aggiornato…
Sbuffò Noah.
-         Direi di sì, Noah. Sei davvero poco informato.
Sorrise Joi amichevole.
Enea e Lou sbucarono da un’uscita secondaria del rifugio e li raggiunsero al bancone.
-         Dicci tutto.
Lo incitò Enea sedendogli accanto.
-         Prima di venire qui ho incontrato Jenna: sta radunando un centinaio di ribelli del nord, certo sono ancora pochissimi, ma è qualcosa. Credevo che da quelle parti fossero morti tutti.
-         E sarebbe un’ottima notizia? Speravo di più.
Enea alzò un sopracciglio, fissando l’amico.
-         Ho detto che ho ottime notizie, lasciami finire.
Noah alzò gli occhi al cielo.
-         Ho contattato Goran, si era trasferito a sud dove l’influenza di Wareck è debole: abbiamo sei città, dico sei città, non villaggi, pronti ad appoggiarci!
Continuò lui allegro.
-         In più, possiamo chiedere aiuto ad altre creature. Gli elfi del confine a est si sono già detti pronti a combattere al nostro fianco, temono molto l’influenza e il potere di Wareck. Certo, sono solo poche centinaia, ma sono ottimi guerrieri.
-         Anche Wareck avrà altre creature al suo fianco, non possiamo sottovalutare la cosa.
Sospirò Enea.
-         Ma siamo messi meglio di quel che credevamo!
Il tono di Enea aveva innervosito Noah.
-         Lo so che preferivi che le cose si risolvessero senza sollevare un altro polverone: solo Ame contro Wareck. Con la morte di entrambi ci sarebbero stati solo vantaggi per noi: niente oppressori, né Discendenti di divinità che possono prendere il comando a loro piacere. Ma non è andata così e, sinceramente, ne sono solo felice.
Le parole di Noah sembravano lame affilate che trafiggevano Enea. Sapevano tutti che Noah aveva ragione e questo dava fastidio alle loro coscienze.

-         Non sei poi così diverso dal generale che l’ha consegnata.
L’aveva accusato Adrien tempo prima, ed era vero: non era poi così diverso da quell’assassino.

-         Ora non è il momento di pensare a queste cose, dobbiamo preparare una guerra. O vivremo o ci scaveremo la fossa e, sinceramente, preferirei evitare la seconda.
Tagliò corto Enea e nella stanza calò il silenzio.


 
  Ame era seduta sulla riva del fiumiciattolo, Aaron cercava di pescare qualche pesce. Il vento scompigliava i ciuffi d’erba intorno a loro e gli alberi oscillavano silenziosi. Tutto taceva. Non c’erano urla di dolore, né agghiaccianti e sadiche risate, non c’erano catene, niente sangue. Ame inspirò a fondo l’aria fresca e pulita, godendosi la pace di quel luogo. I suoi occhi percorsero la superficie limpida dell’acqua e incrociarono il filo spesso che era attaccato al bastone di legno, usato come una canna da pesca. Lo sguardo di Ame risalì il filo oscillante, per poi posarsi sulle mani di Aaron che stringevano il legno scuro. Sorrise incontrando lo sguardo di lui, persa nei suoi occhi scuri.
Aaron stava per dirle qualcosa ma si fermò: il filo si era teso e un pesce strattonava l’amo per liberarsi. Con un colpo secco, Aaron sollevò il pesce e, una volta morto, lo appoggiò nella bacinella accanto a quelli già catturati.
-         Direi che per la cena bastano.
Commentò il ragazzo prendendo in mano la bacinella.
-         Direi di sì. Come li cuciniamo?
Domandò Ame, il cui stomaco aveva ripreso a lamentarsi.
-         Per prima cosa: li cucino io, tu hai il polso mezzo andato. Poi pensavo di farli sul fuoco, molto semplicemente. Ti va bene?
-         Certo che sì!
Annuì Ame alzandosi e affiancando Aaron.
-         Però è meglio se prima ci facciamo un bagno, non siamo conciati molto bene.
Rise poi lei, notando che entrambi indossavano vestiti logori e sporchi.
-         Hai ragione. Dovrei avere dei cambi nella casetta. I vestiti di Rose ti vanno bene?
-         Me li farò andar bene.
Sorrise Ame. Ancora non credeva di essere lì con lui, senza dover pensare al fatto che fossero nemici, senza dover pensare che prima o poi avrebbero dovuto combattere l’uno contro l’altra. In quell’istante erano solo loro due, e anche se per poco, erano immersi nella pace più completa.

  Dopo alcuni minuti erano di nuovo sulle sponde del fiume.
-         Facciamo così, io mi lavo qui, tu va’ oltre quella siepe là.
Indicò Ame.
-         Ti vergogni?
-         Certo che sì!
Arrossì lei dandogli una spinta amichevole.
-         Ma hai un polso rotto! Non vuoi che ti aiuti a lavarti?
Rise lui.
-         Me la caverò benissimo.  Forza, sciò!
Le guance di Ame erano sempre più rosse.
-         Ho capito, vado.
-         E non sbirciare.
-         Non te lo prometto.
Ridacchiò Aaron mentre si allontanava.
Ame aspettò di sentirlo entrare in acqua prima di spogliarsi. Effettivamente con il polso dolorante faticava anche a togliersi la maglietta, ma non si dava per vinta, doveva lavarsi.
Faticosamente si sfilò i pantaloncini logori e poi si concentrò di nuovo sulla maglietta, ma non riusciva a sfilarla. Rinunciando a rispettare ciò che aveva detto, si avvicinò ad Aaron.
-         Mi aiuti a togliere la maglia? Solo quello, poi faccio da sola.
Borbottò rossa come un peperone, cercando di non guardarlo.
-         Va bene, ma voltati, sono nudo.
Ame chiuse gli occhi e si voltò, il cuore a mille.
Lo sentì uscire dall’acqua e avvicinarsi, mentre il suo cuore palpitava senza sosta. Avvertì le mani di Aaron posarsi sulla maglia logora.
-         Tira su le braccia, per favore.
La voce di Aaron era calda e terribilmente vicina.
Ame ubbidì e sentì la maglia scivolarle sulla pelle e una volta tolta si coprì il seno, rendendosi poi conto di essere rimasta in mutande.
-         O…ora torna pure a lavarti.
Sussurrò imbarazzata, la voce usciva incerta dalle sue labbra.
-         Ok, vado.
Ame avvertì una nota d’imbarazzo anche nella voce di Aaron.
Dopo aver sentito il ragazzo immergersi nuovamente in acqua, aprì gli occhi e tornò velocemente alla sua “postazione”. Il cuore galoppava senza sosta.
Entrambi si lavarono in silenzio, non sapendo cosa dire, impreparati a quella strana situazione. Ame uscì dall’acqua e si vestì in fretta con gli abiti puliti che Aaron le aveva dato, leggermente più grandi di quelli che indossava di solito e aspettò che anche il ragazzo finisse.
-         Sono pronto.
Sentì dire pochi minuti dopo e si voltò verso Aaron: era a torso nudo e Ame notò la cicatrice della ferita che tempo prima gli aveva guarito. Aaron infilò la maglia e Ame si avvicinò al ragazzo. Insieme tornarono nella piccola casa, senza parlare, ancora scombussolati.

  La cena fu rapida e silenziosa, un breve apprezzamento di Ame al cibo e nulla più. Erano seduti fuori dalla casa e le stelle tappezzavano il cielo scuro, il vento era fresco.
Un brivido di freddo percorse Ame e Aaron l’abbracciò.
-         Hai freddo?
-         Solo un pochino.
Ammise lei, inspirando il profumo della pelle di Aaron.
Aaron le accarezzò il volto e lei gli sorrise, lui chiuse gli occhi e appoggiò le sue labbra a quelle di Ame, che chiuse gli occhi e ricambiò il bacio.  Aaron le accarezzò i capelli, poi di nuovo il viso, scese sulle spalle, poi passò alle braccia e i fianchi. Ame fu percorsa da un brivido lungo la schiena, diverso da quello di prima. In preda all’emozione mise le mani tra i capelli di Aaron, sentendo una fitta al polso malandato, ma non le importava. Aveva bisogno di sentirlo vicino, di sentire che lui era lì, che l’amava. La mano di Aaron accarezzò la schiena e si infilò sotto la maglia di Ame.
-         Aspetta, Aaron.
Sussurrò Ame con il respiro accelerato.
-         Cosa?
Le sussurrò all’orecchio e le baciò il collo.
-         Io ti amo e voglio farlo… ma non ora.
Riuscì a dire, concentrandosi.
-         Perché?
Domandò lui, guardandola negli occhi.
-         Vedi… è complicato… Da dove vengo io si parla di proteggersi dalle malattie veneree… poi non è il momento, rimarrei incinta… e visto che non è il caso, fermiamoci qui, ti prego.
Cercò di spiegare. Un silenzio imbarazzato cadde su di loro.
-         Aspetterai?
Chiese poi Ame.
-         Cosa?
-         Di venire nel mio mondo?
Domandò esitante lei, preoccupata dalla sua risposta.
-         Certo che sì. Per chi mi hai preso?
Rise lui alla fine, sciogliendo la tensione.
-         Grazie.
-         E’ il minimo, sono in debito con te. Ti amo.
Sussurrò lui.
-         Anch’io.
Sorrise lei e lo baciò di nuovo.

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Capitolo 38
*** Bugia ***


Capitolo XXXVIII:
“Bugia”

   Leo si trovava in un’anticamera spoglia e lugubre, in attesa del ritorno dei soldati. Lo avevano fatto fermare lì, ad aspettare, mentre loro riferivano a Wareck del suo arrivo. Si sforzava di mantenere la calma, senza riuscirci. Quel luogo non solo era tetro, ma trasudava da ogni muro, ogni arredo terrore e sofferenza. Vedeva schizzi di sangue sulle pareti, sentiva urla di dolore dai sotterranei, e poi, attorno a lui solo un silenzio assordante: era insopportabile.
Deglutì a fatica, senza sapere cosa aspettarsi, pregando che le urla che provenivano da quelle stanze lontane, non fossero di Ame. Ricominciò a mordersi il labbro e sentì in bocca il sapore ferroso e caldo del sangue.
Di colpo la porta si aprì e due soldati si fecero avanti.
-         Wareck ti vuole vedere.
Esordì uno dei due, con un’innaturale voce grossa, decisamente inappropriata per la sua corporatura minuta.
Con le gambe tremanti, Leo li seguì. Si doveva concentrare per mettere un piede davanti all’altro, sperando di non cadere.

  Entrarono nella sala regia: un’ampia stanza circolare dalle pareti in mattoni grigio scuro, un tappeto rosso e largo che si estendeva dal trono al centro della stanza, ampie e spesse finestre dominavano le pareti. Intorno al tappeto rosso, c’era una folla gremita, vestita con abiti preziosi: erano i nobili, seguaci di Wareck. Accanto al Traditore c’era un trono più piccolo su cui vi era seduta una ragazza dai lunghi capelli neri e lisci, gli occhi violacei erano annoiati e apatici. Doveva essere poco più piccola di Leo.
Il ragazzo si guardò intorno, terrorizzato.
-         Ben arrivato.
Sorrise affabile Wareck. Leo Si voltò verso di lui senza sapere cosa dire.
-         Sei terrorizzato… vuoi sederti, magari?
Leo non sapeva cosa dire, impacciato ed impaurito.
-         Poco loquace come la sorella, vedo.
Commentò sospirando il Traditore.
-         Mia sorella? Ame è stata qui?
Balbettò Leo.
-         Oh, sì, eccome. Lei è ancora qui, sai?
Bleffò Wareck sorridendo.
-         Co…cosa?
La bocca di Leo si era seccata per la tensione.
-         Già. Forse tu non sai che la tua gemella ha infranto molte leggi in questo luogo: si è alleata con un gruppo di ribelli, i quali vogliono sovvertire il mio pacifico governo. Ho cercato di farla ragionare, ma poverina, le hanno lavato il cervello.
Si finse dispiaciuto il despota.
Leo lo fissò preoccupato, terrorizzato dall’idea che avessero fatto del male ad Ame.
-         Vedi, tu e lei siete molto speciali, per questo siete riusciti a giungere qui. Il destino vuole che mi aiutate a riportare la pace tra il popolo, ma per sfortuna Ame è stata trovata prima da quei pazzi… chissà cosa le avranno fatto, povera ragazza.
Sospirò.
-         Noi abbiamo fatto di tutto per aiutarla con le buone e le cattive… ma nulla. Dovremo ucciderla.
Proseguì, lanciando ai piedi di Leo i capelli tagliati di Ame, come prova che lei fosse stata lì.
-         A meno che tu non ti sdebiti anche per lei alleandoti con noi. Ti daremo vitto, alloggio e ti insegneremo come si combatte qui. Se ci aiuterai, non solo rivedrai Ame, ma la lasceremo vivere! Cosa ne dici?
Leo era profondamente confuso, come aveva potuto Ame affidarsi a persone poco raccomandabili? Cosa potevano averle fatto per costringerla ad aiutarli? Qualcosa non quadrava, ma non aveva scelta, non voleva lasciar morire Ame.
-         Accetto.
Sussurrò infine, mentre il sorriso di Wareck si allargava, compiaciuto.



   Ame si svegliò da un sonno piacevole, aveva persino sognato, anche se il ricordo del sogno era confuso. Sentì il piacevole calore delle lenzuola attorno al corpo e due braccia che l’avvolgevano attorno alla vita. Scostò il viso dal cuscino e si girò verso Aaron, che ancora dormiva tranquillo. Rimase immobile a fissarlo, mentre il suo respiro prendeva lo stesso ritmo di quello del ragazzo.
Il sole si era già alzato nel cielo da un pezzo, cos’ decise di svegliarlo. Lo baciò dolcemente sulle labbra morbide e carnose, aspettando che si svegliasse. Non notando alcun cenno di vita, lo baciò di nuovo, un bacio più lungo del precedente e lui aprì gli occhi sorpreso.
-         Buon giorno.
Sorrise lei.
-         ‘Giorno.
Sbadigliò lui.
-         Dormito bene?
-         Sì, ma il pezzo forte è stato il risveglio.
Rise lui stringendola a sé.
-         Tu invece?
-         Mi sono riposata decentemente per una volta. Ho anche sognato.
-         Ah sì? Cosa?
-         Non ricordo… ma sono quasi sicura che ci fossi anche tu.
Sorrise Ame abbracciandolo.
Rimasero immobili per alcuni minuti, un caldo silenzio li cullava. Ame si strinse ad Aaron, allegra, lui le baciò la fronte.

-         Posso farti alcune domande?
Chiese poi Aaron in tono serio.
-         Certo.
Acconsentì, sorpresa da quell’improvviso cambiamento d’espressione.
-         Com’è il tuo mondo?
-         Oh, è molto diverso da questo. Non c’è tutta questa vegetazione, il cielo non è così limpido, le stelle non sempre si vedono. L’acqua arriva fino in casa, sia calda che fredda. Cuciniamo senza usare le legna, le nostre armi, sfortunatamente, sono più avanzate e micidiali delle vostre. Tutti, o meglio, le persone nei Paesi sviluppati e in via di sviluppo hanno diritto allo studio e in molti Paesi non c’è la pena di morte. Possiamo parlare tra noi in tempo reale anche se siamo in luoghi lontanissimi tra loro, possiamo scriverci messaggi che arrivano a destinazione pochi secondi dopo l’invio. Abbiamo la televisione: una specie di contenitore dove ci sono immagini in movimento, non saprei come spiegarti. Non usiamo i cavalli per spostarci: ma automobili, treni, aerei, elicotteri e navi. Le automobili e i treni viaggiano per terra, su percorsi diversi, gli aerei e gli elicotteri volano. Le navi le avete anche voi.
Spiegò Ame, pensierosa.
-         Non ho capito molto, ma… voi volate?!
-         Più o meno… voliamo su un mezzo di trasporto.
-         Senza draghi?
-         Esatto. Ah, e per quel che so, non abbiamo la magia. Le città sono più pulite e i bisogni li facciamo in casa, con sistemi igienici fatti apposta.
-         Assurdo. E’ pura fantasia.
Commentò Aaron sbalordito.
-         Questomondo è strano, al massimo. In ogni caso quando verrai vedrai le cose con i tuoi occhi. Non comportarti da pazzo, eh!
Rise Ame.
-         Va bene, farò il possibile.
Promise Aaron sorridendo.
-         Ora veniamo al resto: hai già avuto altri ragazzi?
-         No, nessuno. Sono molto timida e impacciata, non sono capace di essere desiderabile agli occhi dell’altro sesso.
Arrossì Ame.
-         Allora sono ciechi.
-         Dici così solo perché mi ami. Comunque a me basta essere stata notata da te, non ho bisogno di altre attenzioni. Poi non sai che fino ad un anno fa ero in sovrappeso, il che mi rendeva ancora più impacciata e goffa.
Si rammaricò Ame.
-         Mah, per quanto possa incidere una cosa così, fermarsi solo all’aspetto esteriore è infantile. Oppure eri tu, che con la scusa della timidezza e del peso, evitavi di esporti, preferendo rimanere al margine senza metterti in gioco.
Lo sguardo serio di Aaron era puntato negli occhi chiari di Ame.
-         Non so… può essere che lo facessi a livello inconscio. Quella situazione mi dava davvero fastidio, avrei fatto di tutto per uscirne. E’ vero però, che quando mi piaceva qualcuno evitavo di parlarci per non fare brutte figure e apparire sciocca o infantile. Così facendo, però, la situazione non migliorava, anzi… mi allontanavo sempre di più da quella persona.
Sospirò Ame.
-         In effetti, una cosa che mi sono chiesta è: come mai ti sei innamorato di me?
Domandò poi curiosa.
-         La sera che ci siamo conosciuti ti sei messa in mezzo ad una potenziale rissa, senza timore. Ho pensato che eri stata coraggiosa: minuta come sei con una manata di quell’omone saresti volata via.
Ricordò lui ridendo.
-         Poi eri davvero bella. Ma non è solo questo, ho sentito come se le nostre anime fossero legate, mi hai attratto. E’ complicato, diciamo che ho sentito il cuore stringersi e lo stomaco in subbuglio… insomma è strano da spiegare. So solo che volevo stare con te, seguirti.
Cercò di spiegarsi Aaron.
-         Ho capito, lo stesso è successo a me. Ho sentito una forte attrazione per te, come se fossimo fatti l’uno per l’altra. Posso allora chiederti come mai non hai avuto esitazioni a consegnarmi? A parte per Rose, intendo.
Domandò esitante Ame.
-         In realtà ci ho pensato a lungo. Avevo paura che ciò che provavo fosse troppo strano, troppo forte, e credevo che sarebbe passato. Ho anche pensato che ti fossi avvicinata a me apposta, per arrivare da Wareck e ucciderlo, fingendo con me, ma in cuor mio sapevo che eri sincera. Quindi direi che l’ho fatto solo per salvare Rose e Jonathan.  Nulla più.
Ammise Aaron.
-         Capisco… Scusa la domada, ma volevo sapere se per caso ci fossero stati altri motivi importanti.
Rimasero abbracciati in silenzio.
-         Come spiegherai la tua assenza?
Chiese poi Ame.
-         Dirò che ti ho inseguita per riportarti indietro, ma che Gray era troppo veloce e non ce l’ho fatta. In parte è vero.
-         Già. Così salverai la tua faccia e anche Rose.
Annuì Ame.

-         Per caso hai anche tu dei fratelli?
Domandò dopo un po’ Aaron.
-         Sì, un gemello, un fratellino e una sorellina.
-         Un gemello?!
Si stupì Aaron. Che lui fosse…
-         Sì, perché?
-         Perché potrebbe essere la Belva Sacra dell’acqua!
-         Cosa?! Cacchio, forse è vero che Wareck l’ha catturato…
-         Oh, cavolo… ne sei sicura?
-         Così mi ha detto.
Si ricordò lei col cuore in gola.
-         Allora siete nei guai.
Sussurrò Aaron, preoccupato.

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Capitolo 39
*** Il mio valore ***


Capitolo XXXIX:
“Il mio valore”

  Il vento soffiava violento contro Adrien e le altre tre ragazze, coprendo i rumori intorno a loro. Adrien faceva fatica a tenere gli occhi aperti: il vento sollevava detriti di terra che lo colpivano al volto.
Si voltò per vedere come stessero le altre, ma come lui tenevano gli occhi socchiusi e la testa bassa. Erano piegati al volere del vento.
A fatica, proseguiva a capo del gruppo, quando di colpo qualcosa gli afferrò le caviglie e lo appese a testa in giù.
L’urlo fu coperto dal vento assordante, accanto a lui anche Emy e le due ninfe penzolavano inermi.
-         Cosa sta succedendo?
Cercò di chiedere alle altre, ma qualcosa lo colpì alla testa e perse i sensi.


  Emy aprì gli occhi, le girava la testa, non sapeva quanto tempo fosse passato; un attimo prima erano a testa in giù e un attimo dopo si era ritrovata in una stanza scura. L’aria piena di polvere, la luce trapelava appena dalle fessure nel muro. Si guardò intorno e notò che tutti erano legati e imbavagliati, anche lei, la cosa le faceva venir da ridere.
In un angolo erano sovrapposte casse di legno marce, la loro puzza impregnava l’aria. Adrien e le due ninfe non si erano ancora ripresi, Emy sospirò: quelle due avevano un istinto di sopravvivenza pari a zero, era ovvio che non si fossero accorte del pericolo. Adrien, invece, lo aveva capito ed Emy lo aveva percepito, ma per colpa di quelle due avevano dovuto far finta di nulla, sperando di cavarsela. Emy cercò di divincolarsi dalle corde strette, senza successo. Appoggiò la schiena contro il muro, alla ricerca di qualcosa con qui tagliare le corde, ma non vide nulla. Le armi delle ninfe e la spada di Adrien erano state portate via, il coltello che lei teneva sotto la gonna era stato tolto.
Sentì dei passi e delle voci concitate avvicinarsi alla stanza, chiuse gli occhi, fingendo di dormire.
-         Ormai dovrebbero essersi ripresi. Con chi cominciamo?
Sentì dire ad uomo dalla voce esaltata.
-         Dalla piccoletta, mi sembra quella meno forte.
Rispose un altro, la voce stridula.
Il cuore di Emy cominciò a palpitare per la paura. La porta si aprì, qualcuno la sollevò di peso e la porto fuori dalla stanza. Si obbligò a tenere gli occhi chiusi, magari l’avrebbero lasciata stare.
Dopo pochi minuti l’uomo che la teneva la lasciò cadere su una sedia, lei aprì gli occhi, spaventata.
-         Allora sei sveglia! Meglio così.
L’uomo che aveva di fronte era calvo, profonde rughe gli segnavano il viso. L’altro era minuto, aveva gli occhi grandi, troppo per il suo viso, e il naso adunco. Il calvo le sfilò il pezzo di stoffa che la imbavagliava e la fissò negli occhi.
-         Dimmi, chi siete?
Emy lo fissò, incapace di rispondergli.
-         Come mai vi aggiravate per il nostro territorio?
Le domande dell’uomo si infrangevano su Emy come le onde su una scogliera.
-         Non parli? Ti hanno rubato la lingua?
Domandò scocciato l’uomo ed Emy sorrise.
-         Ci stai prendendo in giro, bimbetta?!
Si inalberò quello con la voce stridula. Lei lo osservò, inclinando la testa: il suo animo non era cattivo ma era confuso, offuscato da un velo scuro di cui lei non capiva l’origine.
-         Non parla. E’ inutile. Aspetteremo l’arrivo del capo.
Decise il primo.
-         Allora per te saranno guai, se non parlerai.
Commentò l’ometto con la voce stridula.
Emy li guardò entrambi, nel momento in cui il calvo aveva detto “capo” l’altro era stato preso dalla paura, non per la propria incolumità, ma per quella di Emy.
“Che tipi strani” pensò lei.
Passarono alcuni minuti in silenzio, lei si limitava ad osservarli, curiosa. All’improvviso la porta dietro di lei si aprì.
-         Mi ha detto Mark che avete trovato degli intrusi. Oh, lei è una di loro?
-         Sì, capo.
Annuì il calvo, Emy sentì l’uomo avvicinarsi.
-         Te l’ho detto mille volte, non chiamarmi capo. Solo Cloud.
Cloud appoggiò un pacco sul tavolo e si voltò verso di lei.
-         Emy?!
La ragazza vide il sorriso di Cloud spegnersi dopo aver incrociato il suo sguardo, mentre il cuore della ragazza cominciò a battere all’impazzata dalla gioia.
 


  Leo ero seduto su quello che sarebbe diventato il suo letto. Aveva chiesto di vedere la sorella, ma Wareck glielo aveva vietato: l’avrebbe vista solo dopo aver dimostrato la sua fedeltà.
Una serva gli aveva portato dei vestiti tipici del luogo, vestiti davvero bizzarri, ma comodi.
Lo avevano avvisato che nel pomeriggio avrebbe iniziato ad allenarsi con Erin, una ragazza del clan del fuoco. Leo aveva visto la giovane e gli metteva davvero paura: occhi scarlatti dallo sguardo assassino, capelli rossi come il sangue, labbra carnose del colore delle foglie in autunno e la pelle chiara come la neve. Era bella e inquietante: se avesse potuto, avrebbe evitato di conoscerla, figuriamoci combatterci contro! Leo deglutì a fatica, la bocca secca per la paura. Tra lui ed Ame, era sempre stata la sorella la più coraggiosa, era lei che, quando erano piccoli, prendeva le difese di Leo, con la scusa di essere la maggiore. Ame era stata sempre molto estroversa e pronta a far valere le sue ragioni, mentre lui era più timido e schivo. Almeno fino al giorno in cui dei bulletti l’avevano messo con le spalle al muro e Ame, che aveva assistito alla scena, si era infuriata e lo aveva difeso, finendo quasi all’ospedale. Fu allora che Leo giurò a sé stesso di diventare più forte. Sarebbe stato lui a proteggere Ame, non il contrario, non più.
Si alzò e uscì dalla camera, deciso a fare del proprio meglio per aiutare Ame. “Ti salverò” pensò dirigendosi verso la stanza regia.



-         Non va bene.
Sospirò Wareck.
-         Cosa la turba mio signore?
La voce di Erin sembrava miele.
-         Luke è in prigione, giustamente, e lì rimarrà ancora un po’; tu devi allenare la Belva Sacra dell’acqua; ci hanno portato via le Discendenti e Aaron… ho bisogno di qualcuno di fidato per sapere cos’hanno in mente i ribelli e magari per riportare qui Aaron. Quel ragazzo mi serve, è in assoluto il miglior combattente che possiedo. Senza offesa, Erin.
-         Non si preoccupi, ne sono cosciente.
Il sorriso fasullo di Erin mascherò un moto di rabbia verso il fratellastro.
-         Cosa pensa di fare?
-         Non lo so…
Wareck era pensieroso, aveva bisogno di qualcuno pronto ad eseguire i suoi ordini senza fare domande, senza esitazioni. Qualcuno di forte e agile… ma chi? Chi tra i suoi soldati ne aveva le capacità? Doveva forse liberare Luke? No, quel ragazzo doveva imparare a rispettare gli ordini. E allora chi? Inutile, nessun nome affiorava nella sua mente.
-         Posso andare io, padre.
La voce delicata di Morrigan interruppe i suoi pensieri.
-         Non se ne parla.
Sbottò lui, senza guardare la figlia.
-         Ma padre, mi avete addestrata a combattere… e sapete che possiedo metà dei poteri delle ninfe. Non vi fidate di me?
-         Certo che mi fido di te Morrigan, ma non se ne parla. Ti ho insegnato a combattere solo per i casi più critici. Rimarrai qui. Sei troppo debole.
-         Ma…
-         Il discorso è chiuso.
Wareck sbatté la mano sul bracciolo del trono per farla tacere. Non c’era altro da dire.
Gli occhi di Morrigan si velarono di lacrime di rabbia. La ragazza si alzò e se ne andò furibonda, seguita dalle ancelle.

  Una volta raggiunta la stanza, Morrigan ordinò alle serve di lasciarla da sola e di non disturbarla.
Perché? Perché il padre non la lasciava misurare col mondo? Da quando la madre era morta, l’aveva confinata in un mondo a parte, nascondendola come un tesoro prezioso o un segreto inviolabile, senza lasciarle vivere la sua infanzia. Strinse i denti con le lacrime agli occhi: ora doveva prendere in mano la sua vita. Si sedette davanti allo specchio che rifletteva il suo viso furibondo, afferrò un coltello e si tagliò i capelli corti fino al mento. Una cascata di lunghi capelli neri si riversò a terra, mentre Morrigan stracciava le maniche strette e accorciava la gonna del vestito. Osservò il suo nuovo volto, compiaciuta: avrebbe dimostrato il suo valore al padre. Legò le lenzuola tra loro e aprì la finestra. Una folata d’aria gelida le congelò il sangue, Si tolse le scarpe che le stritolavano i piedi e appoggiò un piede sul davanzale. Respirò a fondo, non sarebbe tornata indietro. Scavalcò la protezione in ferro e cominciò a calarsi con le lenzuola. Facendo attenzione, mise un piede su una mattonella che sporgeva, fece per appoggiare l’altro, ma scivolò. Per un attimo sentì il vuoto sotto di sé, ma riuscì ad afferrare ad un appiglio in ferro, prima di schiantarsi. Il cuore cavalcava a mille, sentì l’adrenalina scorrerle nelle vene. 
Con cautela raggiunse il suolo. Si guardò intorno e non vedendo guardie, cominciò ad allontanarsi dal castello.
“Vedrai di che pasta è fatta tua figlia, ti mostrerò quanto valgo papà.” pensò, mentre la ghiaia le feriva i piedi nudi.

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Capitolo 40
*** Emy e Cloud ***


Capitoli XL:
“Emy e Cloud”

-         Cosa pensi di fare ora?
Domandò Aaron.
Erano seduti in salotto, se così si poteva chiamare. Erano uno di fronte al’altra, il pranzo in tavola. Le pareti in legno scuro delle pareti che li circondavano donavano un senso di calore famigliare che da tempo Ame non provava più. Il pavimento era in legno, a dire il vero, tutto era in legno in quella casa, tranne il letto.
-         Ora l’unica cosa che posso fare è andare dal Guardiano, anche se vorrei andare da Leo e portarlo via di lì.
Si rammaricò Ame.
-         Sinceramente non credo che lo maltratterà come ha fatto con te e Crystal. Non ha bisogno delle sue lacrime, ha bisogno che combatta al suo fianco. Probabilmente lo ingannerà e lo inserirà tra le sue schiere.
Ragionò Aaron.
-         Mi raccomando, proteggilo.
Gli raccomandò Ame.
-         Farò del mio meglio.
Il sorriso di Aaron calmò Ame, che ricambiò il sorriso.
-         Verrò a riprenderlo dopo che avrò finito con il Guardiano. Dopodiché daremo il via alla guerra.
Affermò decisa Ame.
-         Ame, devi sapere una cosa, però. Tu non sei di questo Mondo, perciò non puoi saperlo… L’anno qui è diviso in quattro periodi: quello dell’acqua, quello della terra, del fuoco e quello dell’aria. In ognuno di questi periodi i quattro clan, a turno, aumentano la loro forza, specialmente i portatori delle Belve Sacre. Ora siamo nel periodo del fuoco, infatti mi hai raccontato che la portatrice della Belva Sacra del fuoco ha perso il controllo, ma ormai sta per finire e dopo… c’è quello dell’aria.
-         Vuoi dire che Wareck aumenterà il suo potere?
-         Esattamente. In più è lui il portatore della Belva Sacra, che sa controllare alla perfezione, e l’aria è in assoluto l’elemento più forte. Lui farà di tutto perché la guerra inizi nel periodo dell’aria.
Continuò Aaron, l’espressione seria.
-         In più non ci sono molti altri dominatori dell’aria, anzi, credo ce ne siano davvero pochissimi, perciò lui sarà in assoluto il più forte, visto che tu non sei ancora pronta. Avrete bisogno di tantissimi alleati, i ribelli non vi basteranno.
-         Capisco. La cosa sarà davvero complicata… quanto manca alla fine del periodo del fuoco?
-         Poco meno di un mese.
-         Cosa? Ma è assurdo! Non potrò mai riuscirci!
Ame era allibita. Mancava troppo poco.
-         Mi dispiace Ame, spero solo che riuscirai nel tuo intento.
-         Io… non credevo sarebbe stato tanto difficile…
Sussurrò Ame, la mente affollata di pensieri caotici.
-         Io non posso unirmi a voi, ma posso darti un consiglio: chiedi ai draghi. Loro odiano Wareck perché ha sempre favorito le ninfe, loro eterne nemiche, e perché ha legalizzato la caccia ai draghi. Per colpa sua hanno rischiato l’estinzione, devi provare a convincerli, anche se non sarà facile.
Sospirò Aaron.
-         Perché?
-         Perché le Discendenti non li hanno mai aiutati. Certo, non li hanno quasi sterminati, ma non li hanno nemmeno difesi, quando il vostro compito è quello di mantenere l’equilibrio tra i popoli.
Spiegò Aaron.
-         Capisco. Be’ io ho scoperto da poco di essere una Discendente… non ho nulla a che fare con le decisioni di coloro che mi hanno preceduto.
Cercò di convincersi Ame.
-         Spero per te che funzioni. Ora però mangia che si raffredda.
Sorrise Aaron.



  Cloud guardava Emy ancora esterrefatto. Aveva sempre creduto che non l’avrebbe più rivista, invece era seduta lì, di fronte a lui.
-         Capo, la conosci?
-         Sì… la conosco.
Il suo sguardo era preoccupato e dispiaciuto al tempo stesso.
-         Allora la faccia parlare, con noi non ha spiccicato parola!
Brontolò il calvo.
-         E’ abbastanza ovvio, visto che non può più parlare…
Sussurrò con la faccia di un cane bastonato e i due si ammutolirono.
Emy lo guardò stupita. Come faceva a saperlo? L’ultima volta che si erano visti lei riusciva ancora a parlare.
Cloud capì a cosa stesse pensando Emy e subito si spiegò.
-         Adrien me l’ha detto tempo fa. Era venuto con Xavier, era ancora vivo… Mi ha rinfacciato di averti fatto perdere la parola, di averti abbandonata quella notte, mentre la città bruciava. Io… ho avuto paura Emy, ti chiedo scusa.
Cloud era affranto per davvero, Emy lo sentiva e gli sorrise. A lei non importava del passato, la cosa importante era averlo ritrovato.
Cloud la guardò negli occhi e si stupì.
-         Cos’è successo ai tuoi occhi? Tu non fai parte del clan dell’aria?
Domandò, incuriosito dai suoi occhi ambrati, molto diversi da quelli grigi che ricordava lui.
Emy alzò le spalle: in passato, lei faceva parte del clan dell’aria, ma non era mai stata forte, non poteva aspirare a cariche importanti come invece avevano fatto, o avevano cercato di fare, Lou, Enea e Adrien.

  Il suo destino era quello di sposarsi con un uomo scelto dalla famiglia e passare la vita relegata in casa.
Poi c’era stata quella notte, quell’atroce notte. Era in casa con Cloud, lei aveva sedici anni, lui diciotto, erano insieme da poco meno di un anno. Emy aveva fatto molta fatica a conquistarlo, erano in molte a morirgli dietro: alto, i capelli corvini spettinati, gli occhi azzurro cielo, il sorriso scanzonato. Era un amante della poesia e del teatro e ripudiava la violenza. L’unica sua pecca era la sua incapacità a mantenere un rapporto di coppia per più di tre settimane.
Emy era una compagna di classe di Adrien, frequentavano la stessa scuola, e spesso studiavano insieme. Adrien era simpatico e alla mano, il suo sorriso era contagioso ed era impossibile non star bene con lui. Fu in quel periodo che Emy conobbe Cloud: era andata a studiare da Adrien e mentre erano intenti a leggere un testo antico, lui era entrato in casa. Non appena aveva visto Emy si era seduto al tavolo con loro.
-         Allora ditemi, cosa studiate di bello?
Aveva chiesto con un bellissimo sorriso, rubando il cuore ad Emy.
-         La guerra civile elfica.
Rispose Adrien controvoglia.
-         Oh, è molto interessante. Pensa che sabato a teatro rappresenteremo proprio un’opera ambientata nel periodo di quella guerra.
-         Sai quanto mi importa? Non hai qualcuna delle tue ragazze da infastidire?
Aveva sbuffato Adrien, innervosito dal fatto che non era riuscito a capire nulla del testo.
-         No. Sheila mi ha appena scaricato, ma non mi dispiace.
Rise lui.
- Contento tu.
- Era opprimente. Tu come ti chiami?
Aveva poi chiesto ad Emy, con il suo solito sorriso scanzonato.
-         Mi chiamo Emy.
Aveva risposto lei, sorridendo timida.
-         Io sono Cloud, piacere. Hai una bellissima voce, molto dolce. Hai mai pensato di cantare o recitare?
-         Oh, io no… I miei non me lo permetterebbero.
-         E’ un vero peccato. Vi lascio studiare ora.
Commentò poi alzandosi.
-         Ah, Adrien, porta Emy a vedermi sabato sera, cercherò di convincerla a cantare nella compagnia.
Fece l’occhiolino ad Emy e lasciò la stanza.
Emy era rimasta immobile a fissare la porta da cui era uscito Cloud.
-         Non rimanere lì imbambolata, Emy! E’ meglio se lasci stare, per lui le ragazze sono un gioco. Non ha mai preso una storia seriamente. Piuttosto, tu hai capito la terza frase?
L’aveva distolta Adrien.
-         Sì, il soggetto è sottointeso e il verbo è in fondo al periodo. Dev fare la costruzione parentetica.
Spiegò Emy.
-         Capito. Grazie.
Sorrise Adrien.
-         Però… vorrei venire lo stesso sabato.
Aveva poi commentato Emy.
-         Va bene, ma stai attenta. Mio fratello non è l’angelo che sembra.

  Sabato Emy andò a teatro con Adrien, indossando l’abito più bello che aveva. Il cuore le batteva a mille, prese posto con Adrien e Xavier in prima fila, dove Cloud aveva prenotato loro dei posti.
Quando le luci si spensero e lo spettacolo iniziò, Emy rimase affascinata dalla bravura di Cloud. A fine spettacolo, l’intera compagnia si era inchinata al pubblico tra mille applausi e Emy era rimasta incantata a guardare Cloud, che la vide, le sorrise e le fece l’occhiolino. Emy rimase di sasso, sorpresa. Adrien, che aveva visto la scena, aveva aspettato Cloud dietro le quinte.
-         Cosa stai facendo?
Aveva domandato al fratello.
-         Mi cambio. Perché?
-         Idiota. Intendo: cosa stai facendo con Emy.
-         Nulla, perché lo chiedi?
-         Perché è una mia amica e non intendo perderla perché un cretino come te le spezza il cuore. Lei non è come le altre, non è superficiale, è una ragazza d’oro e non ti permetterò di prenderla in giro, ok?
-         Va bene, ve bene, stai tranquillo. Non farò il cretino. Poi l’ho solo invitata ad uno spettacolo, nulla più.
-         L’unica cosa che ti chiedo è di non prenderla in giro, non se lo merita.
-         Va bene. Non è che ti piace?
Aveva poi chiesto Cloud.
-         No, è solo un’amica. Non è il mio genere. Preferisco le ragazze più forti, non so come dire… in ogni caso non è importante. Emy è mia amica e non ti permetterò di giocarci.
Aveva concluso Adrien.

  Per molti giorni Emy e Cloud continuarono ad incontrarsi per caso, e più parlavano, più entrambi si sentivano attratti l’uno dall’altra.
Al suo compleanno, Emy aveva invitato anche Adrien, Xavier e Cloud. Cloud l’aveva poi invitata a fare una passeggiata nel parco e sotto una quercia si erano baciati.
Per quasi un anno erano stati insieme, poi arrivò quella notte.
Erano insieme e avevano fatto l’amore, si erano messi a parlare e stanchi, si erano addormentati. Quando si erano svegliati la casa era in fiamme e il legno del soffitto cadeva su di loro. Avevano cercato di fuggire, ma Emy era stata intrappolata dalle fiamme, mentre Cloud era fuggito.
Emy non sapeva come fare, poi si ricordò di una via di fuga nella stanza accanto e a fatica la raggiunse. La città risuonava delle grida dei cittadini. Impaurita aveva cercato di scappare, poi aveva visto degli uomini incappucciati di nero armati e si era nascosta in un vicolo cieco, dietro delle casse.
-         Il prossimo lo faccio pezzettini, cosa ne dite?
Aveva sentito dire a uno di quegli uomini.
-         Dico che ci sto anch’io.
Aveva ridacchiato un altro.
Emy trattene il fiato e si obbligò a stare zitta, voleva vivere. Stava indietreggiando, quando per sbaglio calpestò pezzo di legno e i due uomini lo sentirono. Con cautela cercò di allontanarsi senza farsi sentire, inutilmente. Gli uomini le si stavano avvicinando sempre di più. Terrorizzata pregò di poter rimanere in vita per rivedere Cloud, a qualunque costo.
-         Cosa sei disposta a cedermi per la tua salvezza?
Aveva sentito dire ad una voce suadente dietro di lei.
-         Qualsiasi cosa.
-         Allora voglio i tuoi poteri.
-         Va bene.
Aveva acconsentito Emy disperata.
Poco prima di essere afferrata da quegli uomini, Emy fu teletrasportata al limitare del bosco. Era salva, il cuore sembrava impazzito, aveva le lacrime agli occhi. Anche se ormai era ancora più debole, senza più i suoi poteri e senza qualcuno che l’aiutasse. Fu così che Emy smise di parlare: solo stando in silenzio, ascoltando i rumori all’esterno, lei poteva sopravvivere.
Imparò ad usare nuovi poteri, iniziò a sentire l’anima di ogni essere vivente, vivendo isolata, nel silenzio più totale, sapendo che solo quello l’avrebbe salvata.
Quando Adrien la ritrovò, anni dopo, fu un momento di gioia immensa per entrambi, la portò nella base dei ribelli dell’est, ma ormai Emy aveva perso la capacità di parlare. Adrien aveva subito dato la colpa a Cloud che l’aveva abbandonata, ma Emy non la vedeva così.



  Emy tornò al presente e sfiorò la mano di Cloud, collegandosi alla sua anima, trasmettendogli i suoi ricordi e le sue sensazioni.
-         Ho… ho capito. Mi dispiace da morire Emy. Avrei dovuto proteggerti. Sono stato un verme, Adrien aveva ragione: non ti merito.
Sussurrò Cloud con le lacrime agli occhi.
Emy scosse la testa con foga. Ora che lo aveva ritrovato non aveva intenzione di perderlo.
-         Pensi che potrai tornare a parlare?
Chiese esitante Cloud.
Emy alzò le spalle e accennò un sorriso: non ne aveva la minima idea.
-         Adrien è qui con te?
Emy annuì.
-         Portatemi gli altri prigionieri.
Ordinò ai due uomini che annuirono ancora stupiti e uscirono.
Cloud tornò a guardare Emy, a disagio. Lei si innervosì, non era mica morta! Prese coraggio e baciò Cloud.
-         Emy tu… mi ami ancora?
Domandò lui, commosso.
Lei sorrise e annuì, le lacrime agli occhi.
-         Per sette anni… non mi hai mai dimenticato?
“Mai” pensò lei, sorridendo.
-         Nemmeno io…
Sorrise lui.
Emy lo abbracciò. In quel momento era davvero felice.

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Spazio autrice:
Questo capitolo è uscito più lungo di quanto mi immaginassi, spero di non avervi annoiato!
Ditemi come vi sembra. Manca ancora un bel po' alla fine... spero davvero di non annoiarvi! >_<
Filakes

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Capitolo 41
*** Aiuto ***


Capitolo XLI:

“Aiuto”

  Leo era di nuovo a terra, il corpo indolenzito dai lividi e dalle ferite. Era armato solo di una spada, mentre la sua avversaria sapeva usare armi diverse: creava piogge di fuoco, corde di fiamme, muovendole a suo piacimento. Leo era completamente indifeso ai colpi di Erin, che si divertiva a vederlo cadere, a sentirlo urlare.
Leo strinse i denti, com’era possibile una cosa del genere? Come riusciva a controllare il fuoco? Era una cosa assurda, ma cosa non lo era? A fatica si rialzò in piedi, pulendosi il sangue dal viso.
-         Ancora in piedi?
Si stupì Erin, sorridendo malignamente.
Leo la fissò in silenzio, non aveva la forza di parlare. Erin mosse di scatto il braccio destro e una lingua di fuoco si allungò verso Leo, ma il ragazzo la schivò e corse verso Erin, che rimase immobile a fissarlo con un ghigno a malapena trattenuto. Leo alzò l’arma mirando al ventre, ma un attimo prima di colpire il bersaglio, Erin afferrò la sua spada e la spezzò.
-         Non ti illudere novellino, non riuscirai nemmeno a graffiarmi.
Sussurrò Erin suadente all’orecchio di Leo, un attimo prima di tirargli una ginocchiata nello stomaco.
Leo si accasciò a terra, tossendo e contorcendosi.
-         Rialzati, non abbiamo finito.
Gli ordinò Erin, prendendolo per il colletto.
Leo si sentiva umiliato, ma non aveva la forza per riscattarsi. Sentiva le forze abbandonarlo, la testa gli girava e perse conoscenza.

-         Erin, fermati ora, lo ammazzi se continui così.
La voce profonda di Wareck rimbombò nella stanza.
Il Traditore avanzava verso di loro, il lungo mantello da viaggio librava a mezz’aria.
Erin lasciò  cadere il corpo inerme di Leo e si inchinò di fronte a Wareck.
-         Ai vostri ordini, mio signore. Permettetemi, come mai vi siete scomodato per venire qui?
Domandò Erin, la testa china.
-         Morrigan è fuggita, andrò a cercarla. In mia assenza voglio che tu porti Leo da Luke, una volta ripreso. Fagli raccontare quello che ha fatto ad Ame, in modo che la Belva si risvegli, non mi importa se poi Luke viene ammazzato, ma cerca di evitarlo se puoi. Mi serve.
Raccomandò Wareck.
-         Mentre sarò via continua ad allenarlo e imponigli il sigillo non appena la Belva si sveglia. Per ogni cosa chiedi a Rose, sarà lei a decidere mentre non ci sono.
-         Perché Rose, signore?
-         Perché mi fido solo di te per allenare la Belva dell’acqua e sei l’unica che gli può imporre il sigillo. Mentre lei è l’unica a non volere la guerra, perciò farà di tutto per mantenere tutto in equilibrio, fino al mio ritorno.
Spiegò Wareck, lo sguardo freddo puntato sulla chioma rossa di Erin.
-         Ora vado. Esegui gli ordini.
-         Sì, signore.
Wareck si girò e abbandonò la stanza. Erin alzò il capo, furiosa. Ancora una volta il suo compito era solo quello di sporcarsi le mani. Strinse i denti e sollevò il corpo privo di sensi di Leo.
-         Meglio se ti riposi novellino. Quello che ti aspetta non è affatto piacevole.
Commentò Erin, uscendo dalla stanza.



  I due uomini avevano appena liberato Adrien. Il ragazzo si massaggiò i polsi, cercando di riacquistare sensibilità alle mani, riattivando la circolazione. Alzò lo sguardo verso il fratello, adirato.
- Bel modo di rincontrarci.
Sbuffò Adrien.
-         Siete entrati nel nostro territorio, dobbiamo pur difenderci.
Ribatté Cloud.
-         Non credevo fossi un brigante ora. Non avevi una compagnia teatrale o roba simile?
-         Sì, ma sono morti quasi tutti. Rimaniamo solo noi tre.
Raccontò Cloud al fratello minore.
-         Perché non siete venuti in città, allora?
-         Vogliamo rimanere lontani dalla guerra, solo questo. Quando tutto sarà finito, torneremo.
-         Oh, quindi non appena anche l’ultimo della tua famiglia si sarà fatto ammazzare per la libertà, tornerai? Appropriandoti di un qualcosa per cui non hai combattuto?
Ringhiò Adrien.
-         DEVI SMETTERLA DI SPUTARE SENTENZE SUGLI ALTRI, ADRIEN!
Si inalberò Cloud, tirandogli un pugno.
-         Tu non sei un santo, smettila di criticare sempre tutti! SMETTILA! Non sai minimamente cosa ho passato, cosa mi è successo dall’ultima volta che ti ho visto!
La voce di Cloud tremava per la rabbia, era fuori di sé. Adrien l’aveva sempre criticato e disprezzato, credendo di essere meglio di lui. Sempre.
-         Non sai che le ninfe hanno usato dei miei compagni come esche per catturare dei draghi, conducendoli ad una morte atroce! Non sai che siamo stati catturati e torturati dai soldati, che solo noi tre siamo scappati! TU NON SAI NULLA!
Gli occhi di Cloud ardevano di rabbia.
-         Se voglio tenermi lontano dalle atrocità che ci circondano, lo faccio. Io non ti devo spiegazioni.
Adrien rimase immobile a fissare il fratello, il viso che pulsava dal dolore nel punto in cui era stato colpito. Era forse la prima volta che Cloud gli diceva quello che pensava, la prima volta che lo vedeva arrabbiarsi sul serio. Emy appoggiò una mano sul braccio di Cloud per farlo calmare.

-         Perché siete venuti?
Domandò Cloud, dopo essere tornato in sé.
-         Volevamo chiederti di aiutarci. Dobbiamo intrufolarci nel castello del Traditore e liberare alcune persone. Niente spargimenti di sangue, solo una missione di recupero.
-         Come credete di farlo?
-         Tra poco ci sarà il festival teatrale ospitato da Wareck, durante lo spettacolo recupereremo alcune persone.
Spiegò Adrien a Cloud, mentre gli altri ascoltavano in silenzio.
-         Sono così importanti quelle persone?
-         Assolutamente.
-         Mi assicuri che non ci sarà spargimento di sangue?
-         Non lo so, ma non rientra nei piani.
Cloud si voltò a guardare gli altri due.
-         Cosa ne pensate?
-         Penso che sia l’ora di vendicarci e riprendere ciò che è nostro.
Rispose il calvo.
-         Jack?
-         Dico che ormai non abbiamo più nulla da perdere, se non la vita. Lo farò.
Rispose quello con la voce stridula.
-         Partiremo all’alba di domani. Sappi solo che se dovessimo vedere che le cose non vanno per il verso giusto, non combatteremo, ce ne andremo.
-         Affare fatto.
Sorrise Adrien, stringendo la mano al fratello.
 


  Ame era seduta in mezzo al prato, gli occhi chiusi. Come avrebbe voluto che il polso le guarisse in fretta, il dolore era insopportabile.
-         Tutto bene?
La voce calda di Aaron la ridestò dai suoi pensieri.
-         Mi fa solo un po’ male il polso.
Sorrise Ame, voltandosi verso di lui.
-         Mi dispiace. Però ho una soluzione. Mia sorella mi ha insegnato alcune pratiche mediche, si ti fidi posso provarci.
-         Va bene. Tanto peggio di così…
Sospirò Ame.
-         Allunga il braccio.
Ame distese il braccio destro verso di lui. Con cautela, Aaron tolse le bende intorno al polso di Ame, finché non intravide la pelle. Il polso era gonfio e caldo, non era messo affatto bene.
Aaron prese una piccola pietra rossa e luminosa da una tasca dell’abito e l’appoggiò sul polso di Ame.
Respirò a fondo, concentrandosi e iniziò a sussurrare le parole che Rose gli aveva insegnato.
Ame vide una calda luce circondarle il polso e il dolore, poco a poco, svanì.
-         Io… Grazie! Come hai fatto?
-         Te l’ho detto, me l’ha insegnato Rose.
-         Ma non mi avevi detto che non puoi usare poteri?
-         Vedi, io e Rose siamo orfani, non abbiamo la minima idea di chi siano i nostri genitori, sappiamo solo che non sappiamo controllare gli elementi, ma grazie a queste pietre riusciamo a fare qualcosa.
-         E’ diversa da quella che avevo io, però.
-         Già… non so bene come mai, ma con me e Rose le altre pietre non funzionano. Solo queste fanno qualcosa.
Alzò le spalle Aaron, rimettendo via la pietra.
-         Ora cosa vuoi fare?
-         Allenarmi. Ti va di sfidarmi a duello?
Lo sfidò Ame.
Aaron sorrise.
- Accetto.

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Capitolo 42
*** Notte di Sangue ***


Capitolo XLII:
“Notte di Sangue”

  Erin aveva portato Leo da Rose per farlo curare alla svelta. Con la massima efficacia, Rose l’aveva guarito velocemente, grazie alle pietre scarlatte. Quando Leo aveva ripreso i sensi, verso mezzanotte, Erin l’aveva raggiunto nella sua stanza.
-         Ora ti porterò da una persona, è molto importante che tu la conosca.
Commentò Erin, facendogli da guida verso le prigioni.
-         Non parli di Ame, vero?
-         No. Te l’abbiamo già detto che per ora non la puoi rivedere.
Rispose scocciata la ragazza.
-         E’ un ribelle, comunque. L’abbiamo catturato tempo fa. Lui ha maltrattato e torturato tua sorella per farla aderire alla loro causa.
Mentì Erin, nascondendo a fatica un ghigno.
-         Perché mi porti da lui?
Domandò Leo preoccupato.
-         Lo scoprirai presto.
Commentò sibillina.
  Erin era davanti a Leo, la sua folta chioma rossa ondeggiava ad ogni suo movimento, ipnotica. Percorsero un lungo corridoio pieno di drappeggi rossi e oro, fino ad arrivare di fronte ad un portone blindato, con al centro un sigillo magico impresso nel legno. Erin appoggiò la mano sullo strano disegno e bisbigliò parole sconosciute a Leo. Il sigillo sulla porta prese fuoco, lasciando libero il passaggio ai due ragazzi.
Scesero lungo una scala a chiocciola in pietra, solo le candele illuminavano il loro cammino.
Proseguirono per un corridoio pieno di celle, i lamenti dei prigionieri risuonavano tetri in quell’angusto e fetido luogo.
-         Ci siamo. Sappi che è mezzo pazzo, è probabile che dica cose assurde.
Lo avvisò Erin prima di entrare.
-         Ho capito.
Annuì Leo.
Erin girò le chiavi, prese dalla cinta, nella serratura ed entrarono nella cella di Luke. La ragazza illuminò la cella con una torcia, il fuoco al suo interno danzava tetro.
-         Erin! Sei tu! Sono libero?
-         Non dire sciocchezze, stupido! Meriti la reclusione!
Ringhiò Erin a Luke, che la fissò confuso: erano sempre stati alleati loro due e Luke non capiva il voltafaccia di Erin.
-         Racconta al nuovo cos’hai fatto alla Discendente.
Lo esortò Erin, soffocando un sorriso.
-         Oh… E’ meglio se lo vede.
Sorrise Luke, senza capire che la Morte era accanto a lui, attendendo il suo passo falso.
Erin tolse i sigilli dalle manette di Luke e il ragazzo fece comparire una lastra di ghiaccio tra lui e Leo.
-         Guarda con i tuoi occhi.
Sorrise, scavandosi la fossa.
Nella lastra di ghiaccio iniziarono a prendere forma i ricordi di Luke, filtrati con attenzione, a insaputa del ragazzo, da Erin.
Leo vide Ame catturata e maltrattata da Luke. La vide cercare di scappare, ma una freccia la colpì, poi una colluttazione e osservò incredulo e disgustato Luke romperle il braccio. Vide Ame trascinata in un luogo poco definito, la vide torturata, ferita, umiliata.
Leo sentì il cuore stringersi, il fiato venire meno, le lacrime bruciargli gli occhi. Cos’aveva fatto alla sua povera sorella! Perché farle passare dei simili orrori?! Era disgustato da quel ragazzo, gli veniva da vomitare, mentre la rabbia s’impossessava a poco a poco del suo corpo.
Ma i ricordi non erano ancora finiti. Vide Ame in catene, ferita, stanca, lo sguardo spento. Vide Luke cercare di strangolarla, cercare di farle del male, di umiliarla. Vide Ame terrorizzata, la udì urlare di paura per la prima volta, sentì il suo grido disperato lacerargli l’anima e vide Luke cercare di ucciderla a pugnalate.

  Il sangue ribolliva dentro Leo, furioso. Sentì una furia omicida pervaderlo, uno sfrenato desiderio di uccidere si impossessò della sua mente.
Erin ruppe la lastra di ghiaccio con uno schiocco delle dita e indietreggiò, permettendo a Luke di vedere Leo. E Luke capì che era arrivata la sua ora.
Il corpo di Leo era pervaso da fremiti che lo facevano sussultare, la bocca lasciava scoperti i denti, stretti per la rabbia. Le pupille si rimpicciolirono in modo innaturale, una luce bluastra circondò Leo, mentre il ragazzo sentiva la pelle strapparsi, le unghie diventarono artigli affilati. L’urlò del ragazzo diventò presto un ruggito che risuonò nella notte e il suo corpo mutò aspetto: un serpente marino lungo venti metri sostituì Leo. Le squame azzurre sostituirono la pelle, fauci affilate sostituirono i denti.
Erin sorrise: dopo duecento anni, il Serpente Marino, la Belva Sacra dell’acqua, faceva di nuovo la sua comparsa in quel Mondo.
La Belva si ingrossò a dismisura, distruggendo le pareti e il soffitto della cella, spalancò le fauci e ringhiò verso Luke.
-         NO! TI PREGO! NON UCCIDERMI!
Con un movimento della coda il Serpente colpì Luke, lanciandolo contro le macerie. Luke era disperato e tra le fauci spalancate del Serpente Marino cominciava a prendere forma una sfera d’acqua enorme.
-         NO! NOOO!
Urlò Luke prima dell’impatto, che però non arrivò mai.
Erin aveva fatto uno scudo intorno al ragazzo e velocemente aveva impresso un sigillo di fuoco sul ventre della Belva, che si dimenò con violenza e si contorse facendo tremare la terra.
Erin avvolse veloce e decisa il Serpente in una spirale di fuoco, obbligandolo a tornare umano.
Leo si ritrovò tra le macerie, confuso e dolorante.
-         Cos’è successo?
-         Te lo spiegherò dopo. Guardie! Accompagnatelo nelle sue stanze e dite a Rose di aiutarlo!
Ordinò Erin al gruppo di guardie che si erano avvicinate.
-         Subito!
Le guardie presero Leo e lo portarono fuori.
Erin si girò verso Luke, sorridendo.
-         Ma sei impazzita?! Per poco non mi ammazzava!
Esclamò Luke terrorizzato.
-         E’ quello che speravo e desideravo. Sfortunatamente Wareck non è della stessa idea e a tua differenza, io rispetto i suoi ordini.
Si rammaricò Erin.
-         Avrei tanto voluto vederti dilaniato dal Serpente Marino. Sarà per un'altra volta.
Erin alzò le spalle e uscì dalla cella quasi danzando.
Il cuore di Luke martellava impazzito contro la cassa toracica. Sentiva lo sguardo dispiaciuto della Morte vicino a lui.
Non sarebbe stato il suo il sangue ad essere versato quella notte.



  Emy era sdraiata sotto le coperte, stanca ma felice. Poco prima aveva mostrato a Cloud i suoi poteri, compreso il teletrasporto ed ora era esausta. Nella stanza con lei c’erano le due ninfe, mentre nella stanza vicino alla sua c’era Adrien, in fondo al corridoio c’era invece Cloud, con il calvo e Jack.
Emy ringraziò il Cielo di averle fatto rincontrare Cloud e si addormentò col sorriso sulle labbra.

  Era in una stanza vuota ed enorme, in un angolo c’era Cloud, lo sguardo rivolto al pavimento. Emy gli corse incontro e lo abbracciò, ma Cloud rimase immobile. Emy lo scosse, ma lui non si mosse. Gli accarezzò il viso: era freddo come se fosse morto.
-         Cloud! CLOUD!
Dopo anni risentì la sua voce, ma giungeva lontana, strana.
Il ragazzo si accasciò a terra all’improvviso e una pozza di sangue si allargò sul pavimento di legno.
-         NO! Cloud!

  Emy si svegliò di soprassalto. Perché aveva fatto quell’incubo? Non aveva motivo per essere preoccupata per Cloud, stava bene, lo aveva visto la sera prima! Emy si rigirò nel letto, cercando di stare più comoda, forse era solo troppo spossata. Si stiracchiò e si guardò intorno: i letti delle due ninfe erano vuoti.
Emy si alzò di scatto, un brutto presentimento le ronzava nella testa. A piedi nudi percorse il lungo corridoio che la portava alle stanze di Cloud e dei suoi compagni, con il cuore in gola. Si fermò di fronte alla porta e sentì dei gemiti all’interno. Preoccupata aprì la porta e rimase scioccata: il calvo aveva la testa che penzolava in una posizione strana, innaturale, gli occhi erano vitrei e spalancati. Jack era accasciato su una pozza di sangue, la maglia lacerata da colpi di spada, il viso pallido, lo sguardo vuoto. Cloud era svenuto.
Emy era immobile e terrorizzata mentre le due ninfe la osservavano.
-         Addio umana!
Una ninfa rovesciò l’armadio contro Cloud, che a malapena respirava. Emy si buttò verso di lui e per un pelo riuscì a fermare la caduta del mobile sull’amato, evitandogli la morte. Le ninfe scapparono dalla finestra dopo aver appiccato il fuoco alla stanza. Perché? Perché l’avevano fatto?
Emy era troppo debole per riuscire a sostenere ancora a lungo il peso dell’armadio, ma se l’avesse lasciato, Cloud sarebbe morto. Emy non poteva usare il teletrasporto, avendolo già usato nel pomeriggio, e non poteva nemmeno chiamare aiuto, incapace di parlare. Le braccia si facevano sempre più deboli, mentre lei cominciava a piangere disperata.
Per molto tempo aveva smesso di parlare, perché solo così si sarebbe salvata, fino a dimenticarsi come si faceva. Ma ora era diverso. Se voleva salvarsi e salvare Cloud doveva parlare, doveva chiedere aiuto!
Respirò a fondo cercando di concentrarsi, cercò di urlare, ma la voce non le uscì dalla bocca. “Dannazione!” pensò disperata, “Cloud morirà se non riesco a chiedere aiuto! Concentrati”.
Respirò a fondo e ci riprovo, sentì un gemito uscirle dalle labbra e si rallegrò, poteva farcela.
-         A… a… ai…
Tentò, mentre le fiamme si allargavano per la stanza.
-         Aiu… aiut… Aiuto. Aiuto! AIUTO!
Urlò finalmente, sentendo la gola dolerle per lo sforzo, ma non si fermò.
-         AIUTO! ADRIEN, AIUTO!
Dopo pochi attimi la porta si spalancò e Adrien entrò nella stanza stupito. Con rapide mosse spense il fuoco e aiutò Emy.
-         Stai bene?
-         Credo di sì, a parte la gola.
Rispose lei. Finalmente tornava a parlare.
-         Oh Emy, tu… tu… parli!
Adrien era stupito e commosso, era da sette anni che non sentiva più la dolce voce di Emy.
-         Possiamo fare qualcosa per loro?
Domandò lei indicando i due a terra.
-         No, ormai sono morti, ma almeno Cloud è salvo. Grazie a te.
Adrien sorrise e abbracciò l’amica ed entrambi scoppiarono in lacrime.



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Spazio autrice:
Bene bene, credevo di mettere questo capitolo più avanti, avendo altre storie da aggiornare, ma non ho resistito a scriverlo subito!
Spero di cuore che vi sia piaciuto e di non avervi deluso!
Al prossimo aggiornamento,
Filakes

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Capitolo 43
*** Duello ***


Capitolo XLIII:
“Duello”

  Ame afferrò la spada di legno e ne accarezzò il profilo, amava la sensazione che le donava il contatto con la spada. Era un misto di sicurezza, grinta, forza e, in un certo senso, maturità: non era la violenza a far vincere un combattimento, ma la tecnica, la velocità.
Quando tre anni prima aveva iniziato kendo non sapeva cosa aspettarsi, soprattutto da se stessa. Poi poco a poco aveva cominciato ad amare quella disciplina, sentendosi bene con se stessa, sentendosi parte di una grande famiglia, dove tutti condividevano passioni simili.
Impugnò l’arma come avrebbe fatto durante un allenamento e guardò Aaron, sorridendogli.
Il ragazzo si mise a sua volta in guardia e rimase a fissare Ame, attendendo un suo movimento. Per alcuni istanti Ame rimase ferma, osservando eventuali punti scoperti nella guardia di Aaron, ma nulla, sembrava impenetrabile. Tenne lo sguardo fisso in quello di lui e fece un piccolo passo verso destra, ma Aaron ne fece uno a sua volta, mantenendo la situazione. Ame continuò a tenere la punta dell’arma indirizzata verso il collo di Aaron, tenendo ogni senso teso. Aaron fece un passo in avanti, minacciando la guardia di Ame, ma lei non indietreggiò, anzi, alzò l’arma mirando al capo di Aaron, che parò il colpo e lo fece calare sul busto di Ame, che riuscì a schivare il colpo per un pelo.
-         Ci stai andando piano.
Si imbronciò Ame.
-         Devi fare sul serio, altrimenti non posso migliorami! E non aver paura di farmi male.
-         Va bene, darò il meglio di me.
Acconsentì Aaron.
Fece un passo veloce in avanti e la guardia di Ame era stata infranta come se fosse stata una novellina. Presa alla sprovvista Ame parò il colpo, confusa. Tornò in sé e colpì con il lato sinistro dell’arma di Aaron che però rimase immobile; Ame fece per indietreggiare per riprendere le distanze, ma Aaron la disarmò e le colpì il braccio.
Ame raccolse l’arma e strinse i denti, non poteva darsi per vinta. Con impeto, riuscì ad infrangere la guardia di Aaron, sfiorandogli il capo con la punta della spada di legno, ma il ragazzo reagì mirando alla testa di Ame.
La ragazza si preparò all’impatto e parò il colpo, le due spade si incontrarono a mezz’aria con un tonfo, Ame si avvicinò al suo nemico. Erano terribilmente vicini, si fronteggiavano silenziosi, mentre entrambi cercavano di aprire uno spiraglio per colpire l’altro.  Ame spinse le braccia di Aaron verso il basso, in modo che Aaron, istintivamente, portasse la spada a difesa della testa, ma Ame sorrise e fece scendere la spada sul ventre di Aaron, colpendolo. Approfittò dell’attimo di smarrimento per tentare di colpirgli il polso, ma Aaron si riprese subito e contrattaccò, colpendole il capo.
Continuarono a combattere per mezzora, ma l’abilità di Aaron era impareggiabile e Ame non riuscì più a colpirlo.

-         Sei davvero bravo!
Si complimentò Ame, esausta ed ansimante.
-         Motivi di sopravvivenza, nulla più.
Sorrise lui, sdraiandosi accanto a lei nel prato.
-         Tu invece dove hai imparato a combattere?
-         Io pratico kendo, è un’arte marziale giapponese molto istruttiva.
-         Cosa vuol dire “giapponese”?
-         Ah, già, mi ero dimenticata che qui non esistono le nazioni come le conosciamo nel mio Mondo…
Commentò pensosa Ame.
-         Tranquilla, non importa. Sono contento che tu conosca almeno le basi del combattimento.
-         Già, anche se con te non sono stata un granché…
-         Lo so, ma per la media tu sei comunque molto brava. Io sono un caso a parte.
Commentò Aaron con un sorrisetto accattivante.
Ame sorrise e lo baciò con trasporto, assaporando le sue labbra, calde e morbide.
-         Migliorerò ancora e ti batterò.
Sorrise Ame ad Aaron.
-         Non vedo l’ora.
La sfidò lui e l’abbracciò.
-         Io sto davvero bene con te, Ame. Sono… me stesso.
Sussurrò lui con gli occhi che luccicavano per la felicità.
-         Anch’io sto bene con te. Ti amo.
-         Ti amo anch’io.
Le labbra di Aaron si posarono leggere su quelle di Ame, con una dolcezza infinita, che sembrava stonare con Aaron, ma non era così: perché era quello il vero Aaron.
Ame lo strinse a sé e rimase immobile, sperando che quel momento non finisse mai.

-         Ame, domani partiamo per Senar.
L’avvisò Aaron, spezzando il silenzio.
-         Di già?
La voce di Ame era preoccupata e allarmata. Non voleva separarsi da lui.
-         Sì, non possiamo rischiare di arrivare tardi all’appuntamento con Gray, dobbiamo essere lì il prima possibile. Ora tu stai bene, quindi possiamo viaggiare.
Spiegò lui, accarezzandole i capelli castani.
-         Va bene. Ma promettimi che entrambi vivremo e che quando tutto sarà finito potremo stare insieme.
Chiese Ame con il magone.
-         Te lo prometto.
Aaron la strinse ancora di più.
-         Ame, promettimi tu una cosa, ora.
-         Sì?
-         Promettimi di non piangere e di fidarti di me, anche se sarò tuo avversario.
-         Ma io non voglio combatterti.
-         Nemmeno io e non voglio che tu soffra ancora, soprattutto per causa mia.
-         Va bene, te lo prometto.
Ame mandò giù il groppone che sentiva in gola e sorrise ad Aaron.
 


  Adrien aveva seppellito i corpi dei due amici di Cloud e aveva sistemato delle lapidi, incise da lui, vicino a dove li aveva seppelliti.
Emy aveva passato la mattinata a curare Cloud, che ancora non si era svegliato.
-         Come sta?
-         Si sta riprendendo, credo che prima di questa sera si sarà svegliato.
Rispose Emy a Cloud.
-         E la tua gola?
-         Migliora, anche se mi fa ancora male, ma molto meno di ieri notte.
-         Piano piano ti riabituerai.
Commentò Adrien abbracciandola.
-         Hai ragione.
Annuì lei, ricambiando l’abbraccio.
-         Ehi fratellino, Emy è la mia ragazza!
La voce roca e affaticata di Cloud li fece sussultare.
-         Tranquillo, non mi piace Emy.
Sorrise Cloud.
-         Come ti senti?
Domandò Emy al suo ragazzo
-         Affaticato e indolenzito.
Sorrise Cloud.
-         Dove sono Jack e Peter?
Il silenzio calò nella stanza.
-         Sono morti.
Sussurrò Adrien.
-         Ci dispiace molto.
-         Anche a me.
Sussurrò Cloud. Erano stati i suoi compagni, i suoi più fedeli amici ed ora erano morti, perduti per sempre.
Cloud scoppiò in lacrime ed Emy lo abbracciò.
-         Mi dispiace davvero, Cloud.
Sussurrò Emy.
Cloud si staccò da lei e tra le lacrime la osservò sorpreso.
-         Emy, tu parli?
-         Sì.
Sorrise lei e gli raccontò quello che era successo la notte prima.
-         Sono state le due ninfe? Jack l’aveva detto di farle fuori subito! Perché non l’ho ascoltato?
Cloud si mise le mani tra i capelli.
-         Non è colpa tua, non sapevamo che erano nostre nemiche.
Cercò di consolarlo Emy.
-         Quella Febe, l’ha fatto apposta! Ce le ha affibbiate in modo che le portassimo dagli unici umani che vivono qui per eliminarli! Se non fosse stato per Emy ci avrebbero già ucciso tutti.
Si infuriò Adrien.
-         Come mai non mi hanno uccisa, perché sono scappate? Ero disarmata e debole, perché non mi hanno attaccata?
-         Non lo so, ma un motivo c’è per forza. Forse sperano che li portiamo dalla Discendente, o roba simile.
Ragionò Adrien.
-         La Discendente? Ma Crystal non è morta?
-         Ma cosa dici?! E’ viva, malmessa ma viva. Comunque parlavo dell’altra Discendente.
Cloud lo guardò stranito, così Emy ed Adrien gli spiegarono tutto.
-         Ora capisco. Ed è stato tutto nascosto per così tanto tempo?
-         Assurdo, eh?
-         Davvero. Però ora sono ancora più contento di aiutarvi. Sarò io stesso a vendicare Jack e Peter.
-         Bravo, fratello.
Sorrise Adrien.



  Leo era legato al letto, mentre Erin faceva riti magici per imprigionare il Serpente Marino nel ragazzo e per tenerlo sotto controllo.
Accanto a lei Rose verificava le condizioni di salute di Leo.
-         Si assomigliano molto, vero?
Sorrise Rose, asciugando il sudore dalla fronte di Leo.
-         Vero, in fondo sono gemelli.
Annuì Erin.
-         Ho finito. Domani lo allenerò e vediamo come il suo corpo risponde alla Belva.
-         Va bene, verrò a controllare la sua salute, ogni tanto.
Rose si avviò verso la porta.
-         Non sei preoccupata per Aaron?
Domandò Erin alla sprovvista.
-         No, sono sicura che sta bene.
Sorrise Rose e se ne andò.
Erin sospirò.
-         A volte mi pento dei miei gesti.
Sospirò Erin, parlando con Leo, che dormiva.
-         Avrei dovuto uccidere Luke e… avrei dovuto redimere la mia anima tempo fa.
Sussurrò, lo sguardo perso in vecchi e dolorosi ricordi, mentre con la mano destra accarezzava una vecchia cicatrice.


---
Spazio autrice:
L'ho scritto molto tardi, ormai non potrò che fare così, spero di non aver fatto errori di battitura, l'ho ricontrollato, ma qualcosa può sfuggire, anche se non dovrebbe.
Mi scuso per le eventuali sviste.
A presto!
Filakes
 

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Capitolo 44
*** Erin: tra follia e libertà ***


Capitolo XLIV:
“Erin: tra follia e libertà”

  I ricordi di Erin vorticavano confusi nella sua mente, facendosi spazio con violenza, e lei si sentì d’un tratto debole. Si sedette su una sedia in legno vicino al letto di Leo, tenendo la mano sulla cicatrice che le deturpava il braccio sinistro. Era una cicatrice profonda, lungo l’avambraccio sinistro, ed Erin la odiava e amava al tempo stesso: era il simbolo indelebile della sua libertà e del suo tradimento. Aveva quasi diciassette anni quando se l’era procurata, poco più piccola di Leo e della Discendente.
Chiuse gli occhi e lasciò che la mente vagasse tra i ricordi del suo passato, un passato in cui per ottenere la propria libertà, aveva perso tutto.



  Quello doveva essere il più bel periodo della sua vita: Denny stava organizzando le nozze con la sua amata Crystal. Aveva vinto la sua mano in un torneo tra primogeniti del clan del fuoco. Sia lui che Crystal ne erano entusiasti: si erano conosciuti due anni prima e si erano subito innamorati e per coronare il loro sogno d’amore, Denny si era impegnato al massimo negli allenamenti e, nonostante non sapesse controllare bene il fuoco, grazie alla sua determinazione era riuscito a conquistare il diritto a sposarla. Ed Erin era felicissima per lui.
In più, i Saggi del fuoco si sarebbero incontrati di lì a poco tempo per raccogliere il sangue dei giovani del clan, per farlo reagire con una pietra speciale, grazie alla quale avrebbero capito chi era il portatore della Chimera, ovvero la Belva Sacra del fuoco, ed Erin non ne vedeva l’ora.
Infatti, Erin era convinta di essere lei ad avere quell’onore: era la migliore dominatrice del fuoco tra tutti i giovani del clan, aveva sempre battuto tutti nei tornei, anche suo cugino, che era il figlio del Custode del fuoco.
Sperava davvero di poter essere lei la portatrice della Belva del Fuoco, a causa di un diritto che solo i portatori avevano: la possibilità di sposare chi volevano, poiché era la Belva stessa a guidarli. Erin viveva in una famiglia ricca e prestigiosa, e se da una parte poteva essere un vantaggio, dall’altra era obbligata a sposare chi sceglieva il più forte della famiglia, nel suo sfortunato caso era lo zio, il fratello di suo padre. Erin, però, non voleva sposare nessuno che non fosse Zack, il suo ragazzo, un membro del suo clan. Si amavano alla follia e tutto sembrava andare alla grande con lui, era tutto perfetto tra loro.
Un altro motivo per cui Erin era felice era la guarigione di Lou. Infatti, da quando Lou era nata, era sempre stata stanca e debole, non riusciva nemmeno a piangere, e i medici non capivano cos’avesse. Avevano detto subito ai genitori che era troppo debole per sopravvivere e avevano tutti temuto che sarebbe morta. Erin non si era mai data per vinta con Lou: con pazienza e costanza si era presa cura della sua sorellina insieme alla madre e dopo quasi tredici anni, Lou era guarita completamente. Erin le aveva sempre voluto molto bene e sapere che finalmente sua sorella fosse fuori pericolo, la rasserenava.
La sua vita in quel momento era perfetta, aveva tutto quello che desiderava da tempo; mancava solo la conferma di essere la portatrice della Chimera.

  Era una mattina calda e assolata nel periodo del fuoco, quando i Saggi bussarono alla loro porta.
I tre ragazzi si misero in fila e Denny porse per primo la mano agli uomini anziani. Uno di loro gli afferrò un dito e gli fece un piccolo taglio con un coltello lucido pulito. Gli premette la carne intorno al taglio per fargli uscire una goccia di sangue, che lasciò cadere sopra una pietra nera che teneva in mano. “Deve essere la pietra che contiene il sangue della Chimera” pensò Erin. Tra il silenzio generale la pietra non mutò colore, e Denny, che se lo aspettava, si fece da parte lasciando il posto ad Erin. Tremante, porse la mano all’uomo con il coltello, che le afferrò la mano e premette la lama sull’indice destro, mentre il cuore di Erin accelerava i battiti e tutti la guardavano in silenzio, già pronti ad esultare.
La goccia sembrò cadere a rallentatore sulla superficie nera e liscia della pietra, mentre Erin e gli altri trattenevano il respiro. La goccia si frantumò sulla pietra nera, macchiandola con il rosso del suo sangue, rimanendo però nera e oscura. In quell’istante, la vita di Erin sembrò crollare in pezzi, mentre gli occhi cominciarono a bruciarle e le lacrime si affollavano nei suoi occhi, offuscandole la vista.
Denny l’abbracciò, cercò di consolarla, ma lei non lo sentiva, era come estraniata dal mondo. I genitori erano rimasti a bocca aperta: tutti si aspettavano che fosse lei la portatrice, persino i Saggi sembravano confusi.
Lou si fece avanti, impaziente di finire velocemente la cosa per poi andare a consolare Erin, lo sapeva che per sua sorella era stata una batosta.
Nessuno confidava che in Lou ci fosse la Chimera, era troppo debole, ma per legge i Saggi dovevano fare l’esame anche a lei.
Lou, esitante e impaurita dalla lama affilata, tese la mano al Saggio, mentre con la coda dell’occhio guardava dispiaciuta Erin che piangeva disperata.
Sentì un brivido mentre il coltello le premeva sulla pelle liscia e calda e osservò la goccia del suo sangue cadere dalla piccola ferita, impaziente di finire alla svelta.
La goccia di sangue toccò la superficie della pietra e fu inglobata, mentre tutto sembrava fermarsi. La pietra si scaldò e una miriade di colori vorticarono al suo interno, spazzando via le tenebre che la oscuravano fino a poco prima. Erin osservò pietrificata la scena, mentre Lou spalancava gli occhi, incredula. Sulla superficie dove la goccia di sangue aveva toccato la pietra, comparve per un istante una fiammella dai mille colori, che subito scomparve e la pietra tornò ad oscurarsi.
-         Lou è…
Cominciò Denny stupito.
-         Non può essere una reazione ritardata al sangue di Erin?
Lo interruppe il padre, incredulo e scioccato.
-         Sono spiacente ma è impossibile. E’ Lou la portatrice della Chimera, non ci sono dubbi.
Commentò secco uno dei Saggi.
-         Ma Lou è stata malata fino a poco tempo fa! Non sappiamo nemmeno se sa controllare il fuoco!
Continuò imperterrita la madre.
-         Forse era debole proprio perché la Belva si nutriva della sua energia.
Commentò un altro Saggio.
-         Erin… mi dispiace… ci tenevi tanto…
Balbettò Lou dispiaciuta alla sorella.
Erin la fissò con rabbia, ma poi vide il viso di Lou mortificato e si calmò.
-         Non importa, sono… sono contenta che tu sia… la portatrice.
Si sforzò di dire, mentre la sua voce le suonava lontana.
-         Bene, direi che abbiamo una risposta. Manterremo tutti il segreto, nessuno lo deve sapere: nel Consiglio dei Custodi ci sono numerose tensioni tra il Primo Consiglio e alcuni importanti esponenti dei clan, non vorrei che venisse uccisa.
Commentò poi il Saggio.

  Passò una settimana prima che Erin potesse riprendersi, senza però accettare la notizia. Fu una settimana in cui Lou e Denny furono circondati da amici e famigliari, mentre tutti ignoravano Erin, tranne Zack.
-         Cosa ne pensi?
Le chiese abbracciandola.
Erano nel bosco ed Erin aveva bruciato il ramo di un albero.
-         Penso che non sia giusto, ma è andata così. Posso sopportarlo, credo.
-         Cosa ti preoccupa allora?
-         Ho paura che per noi non ci sia futuro.
Erin lo raggiunse e gli scompigliò i capelli biondi, lui l’avvicinò e la baciò.
-         Combatterò per te, se necessario.
Giurò lui, imitando un cavaliere.
-         Smettila dai. Sono davvero preoccupata.
Sospirò lei.
Zack fece un sorriso furbetto e le fece il solletico, rubando un sorriso ad Erin.
-         Dai smettila, bambinone!
Rise infine, arrendendosi.
-         Quando verrà tuo zio?
-         Questa sera.
-         Buona fortuna. Ricordati che ti amerò sempre e se non fossi io la scelta di tuo zio, sappi che sono un ottimo amante.
Le fece l’occhiolino.

  Quella sera lo zio di Erin, Sirio, si presentò a casa loro dopo cena.
Denny e Crystal stavano organizzando le nozze seduti al tavolo della cucina, mentre Lou era in giardino con Enea.
Erin, Sirio e i genitori si sedettero attorno al tavolo in legno nel centro del salotto.
-         Ho saputo che Erin non è la portatrice, così ho cercato e trovato un ottimo partito per lei.
Comincio lo zio, agghindato nei suoi abiti lussuosi.
Aveva la faccia tonda e nemmeno più un capello. Il doppio mento sporgeva dalla gorgiera soffocante, mentre i bottoni della giacca erano in tensione a causa dell’esagerato volume della sua pancia.
-         Si tratta di Frederick Thun.
-         Ma avrà almeno trent’anni!
Protestò Erin.
-         Trentadue.
La corresse Sirio.
-         Ascolta Sirio, Erin ha già un ragazzo, Zack, di ottima famiglia per di più. Perché non le concedi di vivere il suo amore?
Provò il padre di Erin.
-         Non se ne parla. La famiglia di Zack, o come si chiama, non è prestigiosa come quella di Frederick. In più il nostro casato accrescerà ancora di più la sua ricchezza.
-         Ma zio…
-         Nessun ma. Ho deciso così. Le nozze saranno tra un anno, saremo io e il padre di Frederick ad occuparcene.
-         Ma ha il doppio della mia età!
Si infuriò Erin.
-         Ho detto che si farà così. Legandoci a lui tramite te, alla Discendente tramite Denny e ad un valoroso uomo scelto dalla Belva per Lou, diventeremo una delle famiglie più potenti dell’intero Mondo. Saremo ricchi per l’eternità.
Commentò con lo sguardo avido.
Rimasero tutti in silenzio, mentre Erin ribolliva di rabbia.
-         Ora se mi permettete ho altri impegni, più importanti che stare qui.
Disse poi Sirio, alzandosi.
Erin diventò paonazza. Cosa poteva essere più importante del suo futuro?
-         Quali? Tradire la zia con la prima meretrice che incontri?!
Sibilò Erin, furiosa.
-         Come ti permetti, ragazzina?!
La pesante mano di Sirio, agghindata con duri anelli, colpì la guancia di Erin. La ragazza si portò la mano tremante al viso dolorante, sentendo qualcosa di caldo e umido bagnarle la guancia.
Si guardò la mano e la vide sporca di sangue.
-         Vattene da questa casa Sirio. Vattene! ORA!
Urlò la madre di Erin al cognato, che non si era reso conto del suo gesto. Senza aggiungere altro, se ne andò in tutta fretta.
-         Mi dispiace tanto Erin…
L’abbracciò il padre, mentre la vita di Erin era stata segnata per sempre.
-         Tutto bene? Abbiamo sentito urlare.
Denny e Crystal erano entrati nella stanza e Lou ed Enea li avevano raggiunti.
Erin li guardò fuori di sé. Tremante si allontanò dal padre e scappò di casa.
Perché loro potevano vivere felici? Perché la loro vita era così perfetta e la sua invece no? Li odiava. Li odiava tutti. Odiava suo padre per essere troppo debole, per non essere stato lui il Custode del fuoco. Odiava sua madre per non aver sposato un uomo meno importante. Odiava Denny perché nonostante fosse più debole di lei, avesse tutto ciò che voleva. Odiava Lou per averle portato via la sua ultima speranza di felicità.
Dovevano pagarla molto cara.

  Vagò per giorni, macerando il suo animo nella follia e nell’odio, disperdendo le proprie tracce, senza mangiare e abbeverandosi con l’acqua dei fiumi. Finché debole e stanca, perse i sensi nel bosco.
Si risvegliò tempo dopo in una casetta abbandonata. A fatica aprì gli occhi, era debole e ricordava a stento cosa fosse successo.
Sentì due uomini parlare nella stanza accanto e tese le orecchie ad ascoltare.
-         Wareck sta organizzando l’esercito per il colpo di stato. Vuole farla pagare ai custodi che gli hanno portato via il suo grande amore.
-         Ho sentito che è colpa loro se Raissa è morta. Ha il mio appoggio.
Disse un altro.
- Anche il mio. Tra poco raderemo al suolo il villaggio dove vive il Custode del fuoco. Ci serve solo qualcuno che lo ammazzi prima, è l’unico che può fermarci.
-         Posso farlo io.
Si offrì Erin, dopo averli raggiunti a fatica.
-         Tu?
Domando uno dei due incredulo.
-         Sono sua nipote, ho un conto in sospeso con lui. In cambio ammazzerete tutti quelli che vi dico e mi lascerete entrare nel vostro gruppo.
Propose Erin, aggrappandosi ad un mobile per restare in piedi.
-         Se credi di riuscirci, fallo. Se porti a termine l’accordo l’affare è fatto, ragazzina.
Sorrise maligno l’altro.
 
  La sera stessa Erin tornò a casa tra la gioia di tutta la famiglia, ma ormai non era più lei.
-         Allora stai bene! Sia ringraziato il Cielo!
Esclamò tra le lacrime la madre, abbracciandola.
-         Mi spiace avervi fatto preoccupare. Devo chiedere scusa allo zio.
Commentò lei, con uno strano bagliore negli occhi.
-         Ti accompagno.
Si offrì Denny, felice che fosse tornata a casa, anche se qualcosa in Erin non lo convinceva.
-         No Denny, tranquillo, faccio da sola. E’ solo colpa mia.
Sussurrò, fingendosi dispiaciuta.
 
-         Erin, benvenuta.
L’accolse Sirio.
-         Grazie zio.
Sorrise appena Erin.
-         Avvicinati pure.
La invitò Sirio, indicandole una poltrona sontuosa accanto a lui.
-         Grazie. Volevo chiederti scusa dal più profondo del cuore per quel che ho detto. Non volevo mancarti di rispetto. Mi dispiace davvero.
-         Ti perdono, tranquilla.
Sirio allargò le braccia in segno di pace.
Erin gli si avvicinò, allargando a sua volta le braccia, sorridendo, mentre dalla manica destra faceva scivolare fuori un pugnale. Abbracciò lo zio e un attimo dopo, mentre lui aveva abbassato la guardia, Erin lo pugnalò in mezzo alla schiena. Lo zio urlò e lei lo colpì di nuovo.
-         E… Erin?
Bisbigliò Sirio.
-         Va’ all’inferno, bastardo.
Gli augurò Erin con uno sguardo freddo e assassino, distaccandosi da lui, un attimo prima di dargli il colpo di grazia.
Erin sentì le guardie avvicinarsi alla porta della stanza di Sirio, spalancò una finestra con un calcio, estrasse il coltello dal corpo dello zio, bruciò il manico e pulì la lama nella giacca di Sirio e respirò a fondo facendosi coraggio. Appoggiò la lama al braccio sinistro e stringendo i denti si ferì con un taglio profondo l’avambraccio sinistro.
Urlò per il dolore mentre il pugnale cadeva a terra.
-         Erin! Nobile Sirio! Cos’è successo?
Domandò una guardia entrando.
-         Un uomo, c’era un… uomo nascosto là dietro, ci ha… ci ha aggrediti. E’… fuggito… Aiuto, aiutami.
Lo pregò tra le lacrime mentre il sangue scorreva dal braccio.
 
  Quella notte la salvarono dalla morte per un pelo. Erin entrò poi segretamente nelle schiere di Wareck, guadagnandosi rispetto e fiducia dal tiranno stesso. La Notte di Sangue la sua famiglia fu uccisa come lei aveva chiesto, tutti tranne Lou, che era sopravvissuta per colpa di Enea.
In seguito fu adottata da Wareck e si schierò sempre in prima linea nelle battaglie. Ormai la sua anima era oscura e la follia la dominava.
Un anno dopo aveva rincontrato Zack, su fronti opposti. Erin lo aveva avvicinato e gli aveva raccontato ciò che aveva fatto per poter essere libera di amarlo, aspettandosi di tornare insieme a lui, ma Zack era rimasto disgustato da Erin, dalla sua follia e lei l’aveva ammazzato in preda alla rabbia. Era stato un ingrato, lei aveva ucciso tutti solo per poter stare con lui e Zack non l’aveva capita e l’aveva rifiutata. Dopo tutto quello che aveva passato, Erin non ci aveva pensato due volte a vendicarsi, si era meritato di morire come tutti gli altri.
 


  Erin riaprì gli occhi, sentendo una lacrima scendere sulle guance, riprendendo lucidità.
Ne era davvero valsa la pena? Le domandava di tanto in tanto la sua coscienza, non del tutto eliminata. Sì, le rispondeva sempre lei, e anche se si fosse pentita, ormai era tardi. Aveva deciso di votare la sua vita a servire Wareck, sentendosi in sintonia con lui: entrambi avevano lottato per un amore da tempo perduto ed entrambi erano stati resi folli dall’odio. Non l’avrebbe mai tradito, anche se i fantasmi della sua famiglia l’avrebbero tormentata per sempre.



---
Spazio autrice:
Questo capitolo sì che è uscito lungo! Spero davvero che non sia stato pesante, ha anche pochi dialoghi...
E' uscito molto più lungo di come l'avevo immaginato, ma volevo spiegare bene il perchè Erin è diventata così, perchè lei è tanto folle e perchè è la più fredda e assassina. Direi che è crudele almeno quanto Wareck, se non di più.
Spero vi sia piaciuto lo stesso, mi auguro davvero di non avervi annoiato! >_<
A presto!
Filekes

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Capitolo 45
*** Di nuovo insieme a Senar ***


Capitolo XLV:
“Di nuovo insieme a Senar”

  Ame e Aaron avevano camminato fianco a fianco per quattro giorni, fermandosi a dormire solo per poche ore e poi ripartire.
Ogni volta, Aaron la cullava dolcemente per farla addormentare, rimanendole accanto e cercando di stare attento a ciò che succedeva intorno a loro, finché Orfeo non lo conduceva nel mondo dei sogni.
Ame non voleva distaccarsi da Aaron: una volta tornati a Senar si sarebbero lasciati e si sarebbero rivisti solo il giorno della guerra, l’uno contro l’altra. Ame temeva quel giorno più di ogni altra cosa e non perché aveva paura di morire, visto che aveva passato cose peggiori quando era stata prigioniera di Wareck, ma perché temeva di dover affrontare Aaron. Tempo prima si erano ripromessi di non farlo, ma se avessero dovuto farlo? Se Wareck lo ordinava ad Aaron? Se Ame non avesse avuto altra scelta? Allora avrebbero dovuto affrontarsi, poiché lei aveva una missione da portare a termine e lui la vita della sorella da proteggere. Ogni volta che ci pensava, Ame si sentiva lo stomaco stringersi in una stretta dolorosa e le gambe divenire deboli.
Il sole stava calando davanti ai loro occhi, mentre lasciavano la boscaglia per un sentiero sterrato, mancava poco a Senar.
Quel pensiero fece rabbrividire Ame e la sua mano corse veloce a rifugiarsi in quella di Aaron, come per accertarsi che lui fosse davvero accanto a lei.
Aaron le strinse la mano piccola e affusolata, mentre le sorrideva. Dovevano lasciarsi prima della locanda, non voleva che gli altri ribelli lo vedessero. Se ne sarebbe stato in disparte, però, nascosto tra gli alberi per accertarsi che Ame ritrovasse i suoi compagni.
-         Prenditi cura di te.
Sussurrò Aaron fermandosi ed abbracciandola.
-         Ci salutiamo di già?
La voce di Ame era a stento controllata.
-         Sì, è un passo obbligato per poter proseguire. Alla fine ci ritroveremo, lo sai.
Le sorrise Aaron accarezzandole i capelli.
-         Ci ritroveremo, sia da vivi che da morti.
-         Sei ottimista, eh? Ora vai, ci siamo.
Aaron le diede un bacio a fior di labbra e la salutò.
Ame si voltò e proseguì per la sua strada poco alla volta, con il cuore a pezzi.
“Voltati, ti prego… ti prego…” pensò Aaron, vedendo che la distanza tra loro aumentava, ma  Ame continuava a camminare come un automa.
Gli occhi di Aaron iniziarono a bruciare per le lacrime e si voltò. Respirò a fondo e fece per prendere una strada alternativa. Avrebbe dovuto darle un bacio più appassionato, ma era troppo teso.
Sentì un rumore di passi veloci dietro di lui e una mano lo fermò.
-         Stupido. Mi vuoi davvero lasciare così?
La voce di Ame era scontrosa.
Aaron si voltò sorpreso e Ame lo baciò. Un bacio appassionato e dolce, come se dovesse essere l’ultimo. Come se il mondo dovesse finire. Aaron la strinse a sé, ricambiando quel bacio dolce e amaro al tempo stesso. Era davvero difficile separarsi ora, dopo giorni convivenza, dopo essere stati così vicini.
Ame si staccò.
-         Questoè un bacio.
Affermò Ame ed Aaron rise, abbracciandola ancora.
-         Vivi.
-         Anche tu, Ame. Adesso vai.
Sussurrò Aaron cercando di sorridere.
-         Ringrazia Rose da parte mia per avermi aiutata.
-         Lo farò.
Ame sorrise e se ne andò.
Aaron la guardò allontanarsi e raggiunse la locanda per un'altra strada.



  Ame raggiunse l’osteria di Joi e respirò a fondo. Si girò verso gli alberi e sorrise, sperando che Aaron l’avesse vista.
Diede un lieve colpo alla porta e l’aprì.
Nella locanda c’erano alcuni clienti che stavano cenando nella stanza accanto, Joi era di spalle al bancone. Ame si avvicinò e si sedette su uno sgabello.
-         Ha dell’acqua, dottore?
Chiese Ame con naturalezza.
Joi appoggiò lo straccio lentamente. Aveva sentito bene? Si voltò incredulo e si trovò davanti Ame.
-         Ame?! Sei viva!
Esclamò incredulo. Fece il giro del bancone e l’abbracciò.
-         Sei viva! Oh, io… sono davvero felice!
-         Anch’io sono felice di essere viva… e di rivederti.
Sorrise lei.
-         Vedo che sei un po’ stanca, e anche piena di cicatrici… rimedieremo. Comunque tieni.
Joi le diede un bicchiere d’acqua.
-         Aspettami qui, chiamo gli altri.
-         Va bene.
Sorrise Ame e bevve l’acqua, assetata.
Dopo pochi attimi Ame vide apparire Lou dalla porta, con le lacrime agli occhi.
-         Ame! Sei viva!
Lou corse ad abbracciarla, mentre le lacrime le scorrevano sul viso.
-         Sei viva!
Ripeté singhiozzando.
-         Già. Voi siete un po’ ripetitivi, invece.
Rise Ame, felice di rivederla.
Lou si staccò e Ame vide Enea.
-         Stai bene ved…
Ame non lo lasciò finire, si alzò e gli tirò un pugno in pieno viso. Enea, che non se l’aspettava, cadde all’indietro.
-         Ame! Ma cosa fai?
Esclamò lui terrorizzato.
-         Crystal me l’ha detto. Ero solo una pedina per i tuoi scopi, eh?
Lo sguardo di Ame era freddo.
-         “Meglio se muore insieme al Traditore.” È questo che hai pensato? Beh, ora sono viva e vegeta e non grazie a te.
Commentò mentre lui si alzava.
-         Mi dispiace Ame. Quando avevo elaborato quel piano non ti conoscevo ancora, mi dispiace davvero. Ora però ho in mente un altro piano, ma devi comunque aiutarci, se te la senti. Perdonami.
-         Ti perdono. Tirarti un pugno mi ha fatto star meglio.
Annuì lei.
-         Ame, i tuoi capelli che fine hanno fatto?
Chiese Lou.
-         È una lunga storia… ve la racconterò dopo essermi lavata.
-         Vengo con te. Così ti sistemo quei cosi, sono terribili.
Affermò Lou.
Ame sorrise e si alzò per raggiungere la porta con l’amica, ma si fermò di colpo.
-         Dove sono Adrien ed Emy?
-         Sono andati a cercare Cloud, il fratello di Adrien, ma non sono ancora tornati. Ci stanno mettendo più tempo del previsto…
Spiegò Enea.
 


  Adrien, Emy e Cloud camminavano da tre giorni, avrebbero raggiunto Senar prima che la notte calasse. Nel fitto della foresta si sentiva il cupo verso dei gufi, nascosti tra le fronde, risuonare nell’aria fredda.
Erano stanchi e spossati, ma ormai mancava poco. Cloud aveva voluto sapere tutto ciò che era successo e le cose più importanti: voleva sapere del loro gruppo, degli alleati e anche di come era morto Xavier.
-         Stavamo lottando contro due soldati di Wareck, qui a Senar, uno del clan della terra e l’altro del fuoco. Io avevo messo fuori gioco quello del fuoco, ma quello della terra mi intrappolò tra due rocce. Xavier lo uccise e stava cercando di liberarmi dalle pietre, quando quello del clan del fuoco prese un pugnale, che aveva appeso alla cinta, e lo colpì. E’ morto davanti ai miei occhi. E’ caduto a terra senza nemmeno cambiare espressione. Stavo per morire stritolato tra i due massi che continuavano a stringere la presa, quando Enea mi salvò. È lì che l’ho conosciuto. Aveva con se la Chimera, Lou. L’ho vista sbranare e straziare il mio aggressore nei panni della Belva Sacra. Pensavamo di vincere con lei, finché Wareck in persona non ha raso al suolo la città, Lou non ha potuto fare nulla. Xavier è morto per salvarmi. Da allora mi sono unito ad Enea.
Raccontò malinconico Adrien.
-         La sua tomba è qui?
Domandò Cloud.
-         Sì, domani ti porterò lì.
Sospirò Adrien.

    Camminarono per un po’ in silenzio, quando sentirono dei movimenti tra le siepi vicino al torrente.
Adrien portò una mano alla spada, fece segno di stare in silenzio agli altri e si incamminò in quella direzione. Cloud era rimasto immobile, mentre Emy tratteneva a stento un sorriso. Lei sapeva già cos’era, o meglio chi era, ma non voleva rovinare la sorpresa ad Adrien.
-         Così vanno molto meglio: tutti della stessa lunghezza, corti abbastanza per non essere facilmente afferrati, ma comunque non troppo da uomo.
-         Hai ragione, grazie mille Lou. Ero stufa di essere strattonata per i capelli.
Rise Ame.
Era davvero la voce di Ame? No, non poteva essere, era solo un’allucinazione. Lei era al castello di Wareck, lei era… era davanti a lui, di spalle. Con le gambe tremanti Adrien la raggiunse di corsa e l’abbracciò.
-         Ame? Ame! Sei viva!
La voce di Adrien era spezzata da fastidiosi singhiozzi.
-         Adrien? Adrien, stai bene!
Ame si girò e lo abbracciò a sua volta. L’ultima volta che lo aveva visto aveva rischiato di morire, ma ora era lì.
Adrien la tenne stretta a sé, temendo che se l’avesse lasciata, lei sarebbe scomparsa.
-         Adrien… soffoco…
Tossì lei e lui allentò la presa.
-         Mi sono sentito così in colpa quel giorno. Non ti ho protetta, ho fallito.
-         Non dire idiozie, sono io che mi sono arresa subito. Ma ora sono qui.
Sorrise Ame. Era così felice di averlo rivisto sano e salvo.
-         Cosa succede?
Chiese Cloud, raggiungendo il fratello con Emy.
-         Lei è la Discendente, Ame. Ame lui è mio fratello Cloud.
Li presentò Adrien.
-         Nonché mio ragazzo.
Aggiunse Emy.
-         Parli?!
Esclamarono Lou e Ame in coro.
-         Sì, vi racconterò dopo, è una storia lunga. Tu come ti sei salvata?
-         Anche la mia è una lunga storia…
Rise Ame.
-         Questa sera non si parla, si festeggia!
Esclamò poi Lou, abbracciando gli altri.
-         Tutti da Joi, si festeggia!
Si incamminarono verso la locanda tra le risate generali, mentre il cuore di Adrien batteva all’impazzata ogni volta che incrociava lo sguardo di Ame.
 

 
  Aaron, tra gli alberi, sentì una fitta di rabbia stringergli il petto mentre osservava Adrien e Ame. “E’ questa la gelosia?” si domandò, allontanandosi per tornare alla capitale.

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Capitolo 46
*** Il Bacio Rubato ***


Capitolo XLVI:
“Il Bacio Rubato”

  Ame e gli altri festeggiarono per tutta la sera, ridendo e scherzando. Era così rassicurante vederli tutti vivi. Aveva poi conosciuto Noah, il forgiatore della sua spada. Era un uomo allegro e alla mano, molto saggio. Le aveva raccontato che sua moglie apparteneva al clan dell’aria ed era stata uccisa da Wareck, che volendo rimanere l’unico e imbattibile, aveva distrutto il suo stesso clan. Quel racconto aveva incrinato l’allegria della festa e così passarono alle cose più serie.
-         Io e Adrien ci eravamo incamminati nel Bosco delle Ninfe, quando Febe in persona ci ha fatto perdere i sensi e ci ha portato nel suo palazzo.
Incominciò a raccontare Emy.
-         Ci siamo svegliati il mattino dopo e ha preteso che le raccontassimo come mai andavamo alle Montagne Rocciose. Si tratteneva molto quando parlava, non riuscivo a capire fino in fondo cosa provasse, stava molto attenta a non far trapelare alcunché, come se conoscesse già le mie abilità.
Spiegò Emy, la fronte lievemente aggrottata.
-         Dopo una breve discussione ci ha lasciato proseguire il viaggio a patto che due ninfe ci seguissero. Abbiamo accettato, non sapevamo qual’era la loro vera intenzione e, a dirla tutta, non l’abbiamo capita nemmeno adesso. Prima di arrivare alle Montagne Rocciose i due amici di Cloud ci hanno catturato e portato da lui. Dopo un litigio tra lui e Adrien hanno accettato di aiutarci.
Emy sorrise all’amico, che si sentì in imbarazzo per come aveva trattato Cloud.
-         Durante la notte ho avuto un incubo e mi sono svegliata di soprassalto, sono andata nella stanza di Cloud e lì ho scoperto che le ninfe volevano ucciderci. Quando le ho colte sul fatto sono scappate, solo Cloud era ancora vivo, ma era svenuto. Ero disperata: non avevo più la possibilità di usare il teletrasporto e lui stava per essere schiacciato dall’armadio, dovevo per forza parlare se volevo salvarlo, dovevo chiamare Adrien, e alla fine ci sono riuscita.
-         Come mai sono scappate e non ti hanno attaccata? Insomma, potevano farlo.
Chiese Enea dubbioso.
-         Non lo so. Non ne ho la minima idea.
Emy alzò le spalle.
-         Perché poi vi hanno attaccato? Non capisco.
Ame era confusa.
-         Nonostante quello che ci hanno detto, appoggiano Wareck, lui le ha sempre difese. Credo che se lui chiedesse loro di aiutarle lo farebbero senza esitazioni. Semplicemente non vogliono schierarsi apertamente, vogliono mantenere un filo di finta bontà, in quanto ninfe. Scommetto che quando andremo dai draghi e chiederemo che si alleino con noi, Wareck le chiamerà ad unirsi a lui. Aspettano solo di avere una scusa valida. Volevano farcelo capire e quindi hanno tentato di toglierci di mezzo.
Spiegò Adrien.

-         E tu Ame invece? Cosa ti è successo? Come ti sei salvata?
Chiese poi il ragazzo.
-         Dopo che mi sono lasciata catturare mi hanno portata al castello di Wareck, a metà strada ho cercato di liberarmi, ma ero senza energie e mi hanno fermata subito. Non so come sono arrivata al castello, avevo perso i sensi. Una volta arrivata mi hanno tolto il ciondolo e ho capito come mai mi avevate detto di non toglierlo.
La mano di Ame si appoggiò dove, tempo prima, c’era il ciondolo.
-         Dopodiché per giorni e giorni sono andati avanti a… a torturarmi.
Disse esitante, mentre i ricordi dolorosi di quei giorni affioravano nella sua mente.
-         Ho conosciuto Crystal, che mi ha raccontato tutto sulle Discendenti, su come si trasmette il potere e sulle intenzioni di Enea.
Enea incrociò le braccia in segno di difesa, mentre tutti puntavano lo sguardo su di lui.
-         Ho già detto che era il piano fatto prima di conoscerla, non lo farei più.
Borbottò in imbarazzo.
-         Poi un giorno ho deciso di reagire, non ce la facevo più. Wareck allora mi ha detto che aveva catturato Leo, mio fratello, che era arrivato in questa dimensione per sbaglio.
-         Tuo fratello?
Chiese Lou.
-         Sì, è mio fratello gemello. Aaron dice che lui potrebbe essere la Belva Sacra dell’acqua.
-         Cosa? Un fratello gemello?
Enea strabuzzò gli occhi.
-         Belva Sacra?
Chiese Lou.
-         Hai rivisto Aaron?!
La voce arrabbiata di Adrien sovrastò quella di Enea e Lou.
-         Sì, è mio fratello gemello e dobbiamo salvarlo. Non so se è davvero la Belva Sacra ma Aaron ne era piuttosto sicuro.
Rispose Ame ad Enea e Lou, poi si rivolse ad Adrien.
-         Sì, ho rivisto Aaron, e allora?
-         Ti ha tradita, ti ha consegnata a Wareck! Non ti puoi fidare di lui!
Si inalberò Adrien, picchiando la mano sul tavolo, gli altri ammutolirono, osservando la scena.
-         Aaron non è una cattiva persona, per aiutare la sorella è stato obbligato a farlo! Se ora sono qui, viva e vegeta, è solo grazie a lui!
Ringhiò Ame alzandosi dalla sedia e sbattendo a sua volta le mani su tavolo.
-         Ma se è lui che ti ha consegnata!
Adrien si alzò e la guardò negli occhi, come poteva fidarsi ancora di lui?
-         Aaron mi ha salvato la vita! Luke, un sottoposto di Wareck, stava per uccidermi dopo aver cercato di… di violentarmi, ma Aaron mi ha salvata, gli devo la vita!
La voce di Ame era incrinata, se avesse potuto avrebbe pianto, ma non le era concesso un simile privilegio. Adrien si ammutolì e la guardò dispiaciuto. Ame doveva davvero aver passato un inferno in quella prigione e lui non aveva fatto nulla per aiutarla, non era stato capace di salvarla, ma Aaron sì. Adrien gli era grato di averla salvata, ma non poteva comunque accettare che Ame lo amasse, era più forte di lui.
Ame strinse i denti e si sedette sulla sedia, tremante.
Lou l’abbracciò per consolarla, Adrien bisbigliò delle scuse e si sedette a sua volta.

-         Hai per caso visto mia sorella Erin? Ha i capelli rossi.
Domandò poi Lou.
Ame la guardò spiazzata, doveva dire la verità, per quanto terribile.
-         Lou, ma cosa dici! Erin è morta!
Commentò Enea.
-         No Enea, Lou ha ragione. Erin è viva.
Sospirò Ame.
-         Davvero?!
La sorpresa si diffuse nella stanza.
-         E come sta?
-         Molto bene. Però ho una brutta notizia da darti, Lou.
Ame guardò l’amica negli occhi.
-         Erin non è buona, non lo è mai stata. E’ dalla parte di Wareck, mi ha più volte torturato, ha detto di essere sempre stata dalla parte del Tiranno, fin dall’inizio, e Crystal mi ha detto che Erin in persona ha ordinato l’assassinio della vostra famiglia.
-         È impossibile! Non l’avrebbe mai fatto!
Gli occhi di Lou si velarono di lacrime. Non voleva crederci, ma sfortunatamente, Ame non aveva ragione di mentirle e il tono della sua voce era sincero.
-         Crystal dov’è?
Chiese Joi per cambiare discorso, il silenzio nella stanza era diventato pesante.
-         E’ già andata da Bashir con Gray, che mi verrà a prendere tra pochi giorni.
-         E come mai non sei andata subito?
Ame arrossì.
-         Io e Aaron volevamo stare da soli, lontano dai conflitti per alcuni giorni, prima di tornare nemici.
-         Sei una stupida a fidarti di lui.
Sbuffò Adrien.
Ame lo fulminò ma non rispose.
-         Vado a dormire, sono molto stanca. Buona notte.
Si congedò poi, leggermente scocciata.
-         Ancora una cosa Ame. Ho inviato una lettera ad Ivan, l’informatore, verrà domani, deve parlarti.
-         Va bene. Buona notte.
Ame scese al rifugio.

-         Devi essere sempre così scontroso?
Emy ammonì Adrien, alzandosi a sua volta.
-         Vado anch’io a dormire, sogni d’oro.
Poco alla volta tutti si congedarono.
Joi e Adrien rimasero soli e l’oste cominciò a pulire.
-         Non vai a dormire?
-         Non ho sonno.
Rispose Adrien.
-         Mi sento uno scemo. Ero così felice che Ame fosse salva e ho rovinato tutto, era meglio se tacevo.
-         Non la penso così. Fai bene a dire la tua, stiamo lottando per questo no?
Sorrise Joi.
-         Devi anche considerare il fatto che per te Ame è importante e la vuoi proteggere, lo fai per il suo bene.
-         Lo so, ma lei non lo sa.
-         Allora diglielo.
-         Assolutamente no. Perché dovrei dirle che la amo per poi essere rifiutato? Per lei c’è solo Aaron. La proteggerò in silenzio, non c’è bisogno che lei sappia cosa provo.
Adrien si alzò.
-         Buona notte Joi.
-         Buona notte, e pensa seriamente a ciò che ti ho detto.


  Adrien scese al rifugio e passò di fronte alla stanza di Ame, una candela illuminava poco la stanza. Ame si era già addormentata, esausta.
Il ragazzo entrò per spegnere la candela, ma si fermò a osservare il viso addormentato di Ame.
I capelli erano molto corti, più dei suoi e di quelli di Enea, e nonostante sembrasse un angelo, Adrien notò che qualcosa in lei era cambiato.
Le sofferenze che aveva provato l’avevano segnata sia nell’animo che nell’aspetto. Le braccia e le gambe erano piene di cicatrici, l’espressione del viso era più adulta, ma sempre fragile.
Adrien le accarezzò il viso, morbido e pallido alla luce della candela.
L’espressione di Ame sembrò rilassarsi a quel contatto e un lieve sorriso comparve sulle sue labbra per poi scomparire all’istante.
-         Scusa… Adrien…
Borbottò nel sonno Ame e il cuore di Adrien accelerò i battiti.
L’amava e questo gli sarebbe bastato, l’avrebbe protetta a qualunque costo, anche a costo della sua vita. Non gli importava se lei non lo amava, avrebbe resistito.
Ame nel sonno dischiuse le labbra e Adrien arrossì. Un pensiero gli attraversò la mente: quella era probabilmente l’unica e ultima occasione per baciarla, non ne avrebbe avute altre. Se lo faceva, però, sapeva che se ne sarebbe pentito, perché lei non lo amava, se non come un amico, e non avrebbe più potuto baciarla, si sarebbe dovuto aggrappare al ricordo di quel bacio e basta.
Se invece non la baciava avrebbe avuto un rimorso per tutta la vita. Cos’era meglio? La sofferenza o un rimorso? Adrien lo sapeva.
Col cuore che batteva all’impazzata si chinò su Ame e appoggiò le sue labbra su quelle della ragazza, morbide e calde, le assaporò con dolcezza, mentre il cuore sembrava voler spaccare la cassa toracica.
Era un bacio dolce e pieno d’amore, come se in quel bacio volesse racchiudere tutto ciò che provava per Ame, tutto il suo amore.
Si staccò dalle labbra di Ame per evitare di svegliarla, mentre una lacrima gli scivolò dalla guancia destra e si posò sulle labbra di Ame che sussultò appena.
Adrien sospirò e spense la candela.
-         Buona notte Ame.
Sussurrò prima di uscire.
-         Buona notte.
Rispose Ame a bassa voce, nel sonno, girandosi nel letto.

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Capitolo 47
*** Tra ninfe e draghi ***


Capitolo XLVII:

“Tra ninfe e draghi”

  Ame era al tavolo centrale dell’osteria, accanto a lei c’erano Lou ed Enea che stavano organizzando come raggiungere gli altri ribelli, mentre Joi cucinava. Emy e Cloud erano di fronte a lei e parlavano a bassa voce, guardandosi negli occhi e sorridendosi a vicenda.
Ian stava giocando con Noah e Tora, sotto forma di gattino, fuori dall’osteria, sotto lo sguardo amorevole di Dalila.
Ame si guardò attorno con attenzione, ma non vedeva Adrien da nessuna parte. Voleva scusarsi con lui per avere perso le staffe la sera prima, ma non lo vedeva, così si alzò e raggiunse Joi.
-         Hai visto Adrien?
-         Sì, è andato a prendermi dell’acqua poco fa, tornerà presto.
Rispose Joi, indaffarato.
Ame lo ringraziò, sorrise e tornò a sedersi al tavolo.
-         Quindi, mentre Ame sarà via per allenarsi con Bashir, noi raggiungeremo Jenna e andremo a liberare Leo durante il festival. Ivan ci darà il permesso per partecipare e poi ci organizzeremo con l’esercito, se saremo ancora vivi.
Stava spiegando Enea a Lou.
-         Ma dove raduniamo l’esercito? Qui a Senar, città della resistenza, o dal bosco dove si nasconde Jenna?
Domandò Lou.
-         Qui ci sono troppi civili, non vorrei che i soldati coinvolgessero anche loro. Penso che nel bosco dov’è Jenna sia perfetto: è a metà strada tra Senar e la capitale ed è vicino alle terre degli elfi.
Considerò Enea, tracciando delle linee immaginarie sul tavolo di legno.
La porta dell’osteria si aprì e Adrien entrò con dei secchi pieni d’acqua.
-         Sono tornato Joi.
Adrien appoggiò i secchi dietro al bancone e incrociò lo sguardo di Ame, lei sorrise, il cuore di lui accelerò i battiti e distolse lo sguardo.
Ame ci rimase male, pensando che lui fosse ancora arrabbiato con lei. Si alzò per raggiungerlo ma lui uscì di nuovo, prima che lei lo raggiungesse, facendo finta di niente.
-         Ma cosa gli è preso?
Domandò Ame corrucciata.
-         Ieri avete litigato, magari è ancora un po’ arrabbiato.
Considerò Lou.
-         Dovrei essere io quella arrabbiata, non certo lui. Comunque, io volevo scusarmi con lui, ma non posso farlo se mi evita.
Sbuffò Ame, incrociando le braccia.
-         Allora va’ da lui e diglielo.
La invitò Joicon un sorriso sulle labbra.
Ame non se lo fece ripetere ed uscì a sua volta. Vide Adrien poco più avanti, che calciava alcuni sassi inermi, lo sguardo basso.
-         Come mai così di pessimo umore? E’ colpa mia?
Chiese Ame dopo averlo raggiunto.
-         No, figurati. Anzi ti chiedo scusa per ieri sera, non volevo essere così scontroso.
Sussurrò a testa bassa, incapace di guardarla negli occhi.
-         Scuse accettate. Spero che tu possa perdonare anche me.
-         Non hai nulla da farti perdonare.
Sorrise Adrien, riuscendo finalmente a guardarla negli occhi chiari e magnetici.
-         Torniamo dentro? Non è sicuro qua.
Propose Ame.
-         Hai ragione.
Annuì Adrien.
Stavano per entrare nell’osteria quando qualcuno li raggiunse.
-         Finalmente conosco la Discendente!
Sorrise un ragazzo dai capelli scuri e spettinati.
-         Chi sei?
Domandò Ame, sorpresa e preoccupata.
-         Il mio nome è Ivan, sono un informatore. In cambio di una chiacchierata con te, ti darò l’unica possibilità che hai per salvare tuo fratello.
Si presentò, squadrandola dall’alto al basso.
Enea li raggiunse, aveva sentito la voce di Ivan.
-         Andiamo al rifugio a parlarne è più sicuro. Ora c’è un po’ di gente nell’osteria, è meglio se passiamo dalla parte secondaria.
Affermò, guardandosi intorno, attento che nessuno li avesse sentiti.

  Poco dopo erano tutti nel rifugio.
-         Vorrei parlare da solo con lei, se volete potete stare qua vino, ma non vi voglio tra i piedi.
Commentò serio Ivan.
-         Va bene, saremo nella camera accanto.
Acconsentì Enea, guardandolo con attenzione.
Ame e Ivan si sedettero uno di fronte all’altra e l’informatore incominciò.
-         Sono molto felice di poter conoscere la Discendente, credevo che non saresti sopravvissuta alla prigionia di Wareck.
-         Invece sono viva.
Ame era rimasta lievemente scocciata dal commento di Ivan.
Gli osservò il volto con attenzione, il viso pallido e spettrale, gli occhi cerchiati da profonde occhiaie, era inquietante. Ame non riusciva a distogliere lo sguardo dal tatuaggio che dalla schiena percorreva il collo e terminava sulla guancia. Era un drago con la bocca spalancata, aggressivo e immobile. Ivan si accorse che lo sguardo di Ame era fisso sul drago.
-         E’ di questo che voglio parlarti, Discendente.
-         Chiamami pure Ame.
-         Va bene. Durante il tuo viaggio incontrerai molto probabilmente un’altra persona con un tatuaggio simile al mio, se non ricordo male lo ha sul braccio sinistro.
Affermò pensieroso.
-         Comunque, è una ragazza, quando la incontrerai dovrai dirmelo subito.
Riprese serio.
-         Perché?
-         Perché sono anni che la cerco, ma mi è vietato andare nell’unico luogo in cui credo sia: sulle Montagne Rocciose, nel regno dei draghi.
-         Cosa farai una volta che l’avrai trovata?
-         Le chiederò scusa.
Ivan non sembrava voler dir altro.
-         Come faccio a sapere che è lei?
-         Non esistono molte persone con questo tatuaggio, ormai. Si chiama Kenan. Quando la vedrai capirai che è lei che cerco.
-         Come mai non puoi recarti sulle Montagne Rocciose?
-         E’ un luogo molto pericoloso, da cui sono stato esiliato.
-         Va bene, lo farò.
Sorrise Ame.
-         Molto bene. Questo è il permesso per partecipare al festival, si terrà tra una settimana circa, spero che riusciate a farcela in tempo.
Ivan prese un foglio e lo porse ad Ame.
-         A presto, Discendente.
-         A presto, informatore.
Sorrise Ame, stringendogli la mano.
 


  Leo si alzò in piedi, stanco per gli allenamenti. Erin gli aveva spiegato tutto quel che doveva sapere quel pomeriggio: la leggenda delle tre divinità, la figura della Discendente, le Belve sacre, di Ame e di lui. Gli aveva spiegato la storia di quel mondo magico, di Wareck e dei ribelli. Erano storie filtrate da ciò che lei e Wareck volevano fargli credere.
Leo era rimasto sconvolto da quelle rivelazioni: Ame e lui erano davvero così forti senza averlo mai saputo? La sua testarda e amata sorella era davvero l’unica capace di portare la pace? Non lo avrebbe mai detto.
Erin lo stava allenando a controllare il Serpente Marino, bloccandolo sempre un attimo prima che lui perdesse il controllo.
-         Sei pronto per ricominciare?
-         Sì.
Ansimò asciugandosi il sudore.
-         Molto bene. Aperiens.
Ordinò Erin.
Una fiamma circondò Leo e il sigillo magico posto sul petto si sbloccò, liberando la Belva.
Il Serpente Marino e si diresse prepotentemente contro Erin.
-         Controllati Leo!
Urlò la ragazza evitando il morso e lo colpì al muso con una fiammata. Il Serpente spalancò le fauci, mentre una sfera d’acqua prendeva forma tra i denti affilati.
Erin imprecò, Leo era un incapace. Si preparò a bloccarlo di nuovo, ma si fermò. Il Serpente cominciò a contorcersi e la sfera si dissolse. Si agitò, sbattendo la coda ed emettendo versi agghiaccianti. Poi abbassò la testa e guardò Erin.
-         Bravo, ce l’hai fatta! Ora iniziamo con le cose serie.
Sorrise Erin soddisfatta, tirandosi indietro i capelli rossi.
 


-         Febe, mia signora, abbiamo fatto ciò che ci ha detto.
Le due ninfe erano inchinate di fronte a Febe, in una piccola e bianca sala del trono. Febe sedeva composta e immobile sul trono di cristallo, la corona di diamanti sul capo.
-         Molto bene.
Affermò impassibile.
-         Solo Cloud si è salvato, perché Emy è entrata nella stanza prima che lo ammazzassimo.
Commentò l’altra ninfa.
-         Va bene lo stesso, l’importante è che loro capiscano che non li aiuteremo e che non devono più mettere piede nel nostro territorio. In questo modo non possono raggiungere i draghi, se non passando per la Pianura della Morte.
Sorrise Febe compiaciuta.
-         Posso chiedervi perché Emy deve rimanere in vita?
-         Perché lei ci condurrà da colei che anni fa ci tradì, unendosi agli umani e ai draghi. Colei che una volta era una valorosa guerriera, colei che ha diviso i suoi poteri con Emy, salvandola da morte certa, creando un forte legame con lei e che solo tramite Emy potremo ritrovarla. La sorella di Raissa, Jenna.
Affermò Febe con rabbia, pregustando la vendetta.

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Capitolo 48
*** Sospetto ***


Capitolo XLVIII:

“Sospetto”

  Aaron procedeva senza indugi nel suo cammino, diretto alla capitale. Aveva lasciato Ame solo pochi giorni prima e ne sentiva già la mancanza, anche se cercava di evitare il più possibile di pensarci.
Il sole stava tramontando e Aaron sentiva il bisogno di riposarsi. Si ricordò che un centinaio di metri più avanti c’era una locanda, piccola e logora, ma poteva andar bene per riposarsi un attimo e per mangiare, lo stomaco iniziava a far male da tanta fame aveva.
La raggiunse in fretta, spinto dal desiderio di distendersi su un letto e di mangiare della zuppa calda.
Entrò nella locanda e si sedette in un tavolo isolato in fondo alla stanza, in modo da poter controllare tutto ciò che avveniva nella locanda, e chiese una scodella di zuppa.
Aaron sentì le risate di alcuni uomini ubriachi, sbuffò infastidito e cercò di concentrarsi solo sul cibo.
-         Ehi ragazzina, come mai tutta sola?
La voce dell’uomo era alta e fastidiosa, incapace di mantenere lo stesso tono.
-         Non rispondi ragazzina?
Domandò un altro tra i singhiozzi dovuti al vino.
-         Vuoi che ti aiutiamo noi a parlare?
La mano dell’uomo si avvicinò alla ragazza, Aaron si alzò per fermare l’uomo, ma non ce ne fu bisogno.
La ragazza gli afferrò il braccio e glielo girò dietro la schiena, obbligandolo ad accasciarsi a terra.
-         Cosa fai ragazzina?!
Rantolò l’uomo.
-         Non chiamarmi ragazzina, vecchio ubriacone.
La voce della ragazza era molto familiare ed Aaron la guardò meglio: Morrigan stava per alzarsi dal tavolo, dopo aver tirato un calcio all’uomo, mentre gli altri la lasciavano passare, sbalorditi.
-         Morrigan?
-         Aaron?
I due si guardarono stupefatti, increduli di essersi incontrati in quel luogo.
- Cosa ci fai qui?
- Dov’eri finito?
Chiesero insieme.
-         Sono venuta a cercarti, a mio padre serve il tuo aiuto. Tu?
Cominciò la mezza ninfa.
-         Ho cercato di recuperare le due prigioniere, ma non ci sono riuscito.
Spiegò Aaron.
-         Allora è meglio se torniamo al castello. Non c’è motivo per aspettare oltre.
Morrigan lanciò uno sguardo infastidito al gruppo di ubriachi.
-         Lo penso anch’io.
Concordò Aaron, dicendo addio al tanto anelato riposo: doveva riportare Morrigan dal padre.
 


  Rose finì di allattare Jonathan e lo porse a Emerald, che lo prese in braccio con sguardo adorante. Da quando il piccolo era nato, Emerald si era dedicato a lui moltissimo. Era così piccolo e fragile, eppure dolce e già pieno di vita. Anche se non sapeva parlare continuava a emettere dolci versi, con cui ‘conversava’ con il padre. Rose si alzò dalla sedia e si sgranchì le braccia.
-         Vai ancora da Erin?
Chiese Emerald, cullando il figlio.
-         Sì, devo tenere sotto controllo la stabilità del Serpente Marino. Ci ha messo davvero poco tempo a controllarlo.
La voce di rose rasentava l’incredulità.
-         E ti sembra strano?
Domandò allora Emerald, guardando la moglie.
-         Decisamente. C’è qualcosa che non mi convince. E’ strano che ci sia riuscito in così poco tempo, di solito ci vogliono anni interi. A volte non si riesce mai.
Considerò Rose, sistemandosi i capelli ramati e morbidi.
-         Perciò cosa pensi?
Chiese, prima che la sua attenzione fosse catturata di nuovo da Jonathan, che aveva iniziato a tirargli i capelli.
-         Credo che il Serpente voglia far credere di essere controllabile, per non esserlo mai davvero. Ora credono di averlo in pugno e lui starà al gioco, per poi fare ciò che vorrà quando lo riterrà opportuno.
Era la spiegazione più ovvia per Rose.
-         Ne sei sicura?
-         Assolutamente. E’ una creatura molto intelligente e furba, a differenza delle altre tre: la Chimera, per quanto forte è incontrollabile, cocciuta e orgogliosa, il che la rende facilmente manipolabile dal nemico. L’Arpia è la più potente, fredda e calcolatrice, ma è molto più facile controllarla, dipende tutto da chi ne è il portatore. La Tigre, invece, è possente e assolutamente libera, ma non è capace di far del male agli altri essere viventi: attacca solo le altre Belve Sacre, perciò il suo potere è limitato. Per questo il Serpente Marino è una Belva terribile, forse la peggiore. Bisogna tenerlo sotto controllo.
Concluse Rose uscendo dalla stanza, dopo aver dato un bacio al marito e uno al figlio.



  Ame ricordava ancora le parole che Ivan aveva detto prima di andarsene.
-         Wareck ha ingannato tuo fratello, facendogli credere che i nemici siete voi.
Aveva raccontato ad Ame.
-         Crede anche che tu sia al castello di Wareck e che i ribelli ti abbiano fatto il lavaggio del cervello. Dovrete stare molto attenti: la Belva in lui si è già svegliata.
Raccomandò infine prima di andarsene.
Ame aveva raccontato tutto agli altri una volta nel rifugio, preoccupata. La missione di salvataggio di Leo sarebbe stata ancora più complicata, a causa dello stesso Leo.
-         Se Leo ci attacca avremo ben poche speranze.
Sussurrò Enea.
-         Non preoccupatevi, ho un’idea.
Intervenne Emy.
-         Durante lo spettacolo che reciteremo io e Cloud, voi entrerete nel castello come da piano e vi porterete dietro anche Joi che lo stordirà con una di quelle sue tecniche mediche.
-         Ma se risvegliasse il Serpente Marino?
Chiese Ame, non molto sicura.
-         Ci sarà Lou, lei è la portatrice della Belva del clan del fuoco, giusto? Potrà bloccarlo.
Rispose Emy.
-         Non so se ne sarò capace, si tratterebbe di controllare il potere della Chimera…
Lou era esitante, lei stessa aveva paura della Chimera, della sua furia, che non era in grado di controllare. Le poche volte che l’aveva lasciata libera, la Chimera si era abbattuta ferocemente su chiunque le capitasse vicino, bramosa di sangue. Era una creatura violenta e orgogliosa, indomabile. Più volte aveva cercato di obbligarla a seguire ciò che Lou voleva, invano. Una volta aveva quasi ucciso Enea e da allora non aveva più voluto lasciarla libera, così, ogni tanto, la Chimera si ribellava.

 L’ultima volta che l’aveva lasciata libera, i ribelli stavano combattendo contro i soldati di Wareck, mentre si allontanavano da Senar, ormai perduta. Enea aveva appena messo Adrien su un cavallo e l’aveva indirizzato verso Joi, in modo che lo curasse, mentre lei copriva la fuga. La Chimera era eccitata dalla battaglia e in pochi attimi aveva sbranato e fatto a pezzi i soldati, come se fossero stati di carta. Il muso era sporco di sangue umano e ciò disgustava Lou, ma in quel momento era la Chimera a comandare. Gli occhi rossi e assassini si guardavano ancora intorno, alla ricerca di un’altra preda, qualcuno da distruggere. Enea era tornato indietro per avvisarla che potevano andarsene, prima che l’Arpia, la Belva Sacra di Wareck, li raggiungesse. Ma la Chimera non era Lou e aveva ancora fame. Si voltò verso il ragazzo e gli ruggì contro, un attimo prima di correre verso di lui, assetata di sangue. Gli aveva tirato una zampata ma Enea l’aveva quasi schivata, era stato graffiato appena. La Chimera, furiosa, lo stava per riattaccare, con l’unico obbiettivo di ucciderlo, quando Lou, disperata, aveva obbligato la Chimera a fermarsi e si era auto colpita, ferendosi gravemente. Enea, allora aveva subito risigillato la Belva dentro Lou.

-         Ci sarò io, tranquilla.
Sorrise Enea per tranquillizzarla, ridestandola dai suoi ricordi.
Lou sorrise a sua volta, lievemente rincuorata, ma non del tutto sicura.
La porta del rifugio si aprì e tutti scattarono in piedi, preoccupati.
-         C’è qualcuno per te Ame.
Annunciò Joi, lasciando passare un ragazzo dai capelli argentei.
-         E’ ora di andare, Discendente.
La voce di Gray era fredda e decisa.
-         Sono pronta.
Ame respirò a fondo e si legò la spada al fianco sinistro.
Adrien la guardò, conscio che non l’avrebbe rivista per molto tempo.
-         Ci si rivede ragazzi.
Salutò Ame, sentendo un moto di tristezza.
-         Salveremo tuo fratello e ci rivedremo, te lo prometto.
Sorrise Lou, abbracciandola.
-         Ci conto.
Adrien le si avvicinò e la strinse forte a sé.
-         Fa’ attenzione.
-         Anche tu.
Ame sorrise e salutò tutti, poi si incamminò con Gray fuori dal rifugio.
-         Il Guardiano risveglierà il tuo potere fino in fondo. Sei pronta?
-         Sì, lo sono.
La voce decisa di Ame fece quasi sorridere Gray. Quasi. Lui non sorrideva praticamente mai.
Ame lo seguì, conscia dei pericoli che l’attendevano.

---
Spazio autrice:
Salve a tutti! Ringrazio di cuore tutti quelli che continuano a leggere la mia storia, quelli che la sostengono e quelli che la recensiscono, aiutandomi moltissimo. ^_^
Sono davvero felice di sapere che la storia è seguita e spero di non avervi deluso con questo e gli ultimi capitoli, che sono un po' lenti e di "preparazione", per così dire. >_<
Grazie ancora e spero che il capitolo vi sia piaciuto, ora la storia tornerà a movimentarsi.
Un bacione,
Filakes

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Capitolo 49
*** Il potere di Ame, l'unica Discendente ***


Capitolo XLIX:
Il potere di Ame, l'unica Discendente

  Aaron e Morrigan camminavano l'uno di fianco all'altra, mancava poco alla capitale. Aaron era esausto, ogni passo che faceva, era un passo lontano da Ame e uno più vicino alla guerra. Non parlava molto con Morrigan, la sua mente vagava tra mille pensieri, senza sosta.
-         Meno male che ci siamo incontrati, così almeno possiamo tornare in tempo per il festival teatrale. Tu cosa ne pensi?
Domandò sorridente Morrigan.
-         Credo che sarà un gran spettacolo, come sempre.
Aaron deglutì in imbarazzo, colto alla sprovvista. Sapeva benissimo che sarebbe stata l'occasione migliore per Ame di salvare il fratello, anche se tra i membri del salvataggio lei non ci sarebbe stata: ora il suo compito era quello di allenarsi con il Guardiano.
-         Ti ho visto, sai?
Disse all'improvviso Morrigan.
Aaron si voltò verso di lei, senza capire cosa intendesse.
-         Ti ho visto con la Discendente. Erano giorni che vi seguivo, solo perché mio padre mi tratta come una sprovveduta, non vuol dire che io sia davvero così.
Lo sguardo di Morrigan era serio e Aaron si sentiva in trappola. Come aveva potuto non accorgersi di essere seguito? Era stato un vero idiota.
-         Morrigan, io
-         Non mi devi spiegare nulla Aaron. Vi ho visti ed ho visto quanto vi amate. Io ti giuro che coprirò la tua momentanea fuga d'amore e il tuo segreto, se convincerai mio padre che sono degna di impugnare una spada.
Propose Morrigan, decisa.
Aaron fissò i suoi occhi viola, che ardevano di sincerità.
-         Va bene, ma ti prego, non considerarmi un traditore.
-         Non lo farò, tranquillo. Finché combatterai al fianco di mio padre, noi due saremo fratelli.
Il sorriso complice di Morrigan dissipò ogni preoccupazione di Aaron.
-         Grazie.
Disse solo, sorridendo a sua volta.



  Gray si era trasformato in un lupo gigante e Ame vi era salita in groppa, per arrivare prima a destinazione. Il vento le sferzava con violenza il viso e la pelle lasciata scoperta dai vestiti. In quel momento Ame sentiva freddo: era la prima volta da quando si trovava lì. Tutti i giorni erano caldi e assolati, spesso afosi, persino le notti erano insopportabili.
Ame si aggrappò ancora più stretta a Gray, chinando il volto, cercando di respirare. Gray si era accorto della sua difficoltà, ma doveva resistere: il tempo stringeva e il periodo dell'aria incombeva minaccioso su di loro. Se la battaglia fosse avvenuta in quel periodo, nemmeno Gray sarebbe stato in grado di battere Wareck e per loro sarebbe stata la fine.
A quel pensiero, Gray aumentò ancora la velocità, spingendosi quasi al limite.
- Hey! Rallenta!
Protestò Ame, chinando completamente il busto sulla schiena di Gray.
Il lupo per tutta risposta grugnì e continuò a correre, Ame strinse i denti e si concentrò completamente sul respirare.
Passarono attimi che furono interminabili per lei, poi Gray cominciò a rallentare e Ame riuscì a risollevare il capo.
-         Siamo arrivati?
Chiese Ame speranzosa, Gray annuì.
Quando si fermò del tutto fece cenno ad Ame di scendere, ma non appena lei mise un piede sul terriccio, l'improvvisa stabilità le fece perdere l'equilibrio e cadde a terra. Gray tornò umano.
-         Tutto bene, Discendente?
Le domandò porgendole la mano.
-         Sì, grazie mille.
Ame si rimise in piedi con l'aiuto di Gray e lo affiancò.
-         E ora?
-         Ora si va nel Confine.
Con un colpo deciso della mano, Gray squarciò l'aria ed Ame vide qualcosa di incredibile: il paesaggio si frantumò e una luce improvvisa apparve. Gray l'afferrò per una mano e Ame non vide più nulla per alcuni istanti, le sembrò di vivere un deja vu.

  Atterrò poco dopo sulla sabbia bianca e asciutta che aveva già visto tempo prima. Dopo alcuni secondi gli occhi si abituarono completamente alla luce di quel luogo e si alzò, pulendosi le gambe dalla sabbia.
Un uomo alto, calvo e sorridente si avvicinò.
-         Benvenuta Ame, io sono Bashir, il Guardiano.
Esordì luomo, senza mai smettere di sorridere.
-         Sì, lo so.
Sorrise Ame a sua volta.
-         Questo luogo è il Confine tra le dimensioni, da qui io controllo ciò che avviene. Il mio compito è quello di proteggere l'equilibrio tra tutte le dimensioni, per questo sei qui. L'equilibrio è stato spezzato da Sapphire, involontariamente, e Wareck ne ha approfittato. Ora tocca a te riportare l'ordine, Discendente.
Spiegò Bashir cominciando ad incamminarsi e Ame lo seguì, assieme a Gray.
-         Ma prima di cominciare, dobbiamo essere sicuri che sia tu a dover riportare la pace, e non Crystal.
Bashir si avvicinò ad una casetta in legno, bussò alla porta e attese che Crystal uscisse. Ame rimase sbalordita, era completamente diversa da come la ricordava. La pelle aveva preso un colorito roseo e sano, i capelli erano stati puliti e tagliati fino alle scapole. Il corpo non era più smagrito e fragile, bensì atletico.
-         Ti trovo bene!
Esclamò Ame e Crystal sorrise.
-         Bashir mi ha aiutato. Anche tu stai meglio.
-         La libertà aiuta moltissimo.
Sorrise Ame.
Elettra uscì dalla casa, dietro a Crystal, e corse ad abbracciare Ame.
-         La Discendente Ame! Che bello conoscerti!
-         Elettra, così la spaventi.
L'ammonì Gray, separandole.
-         Taci, cagnaccio.
S'imbronciò lei.
-         Ame, Elettra è la tua Protettrice. Le Protettrici sono addestrate a proteggere voi Discendenti a qualsiasi costo.
Spiegò Bashir.
-         E' vero. René, la mia Protettrice, è morta quando io sono stata catturata, aveva cercato di salvarmi.
Aggiunse Crystal, rattristandosi.
-         Tranquilla, Discendente Ame, d'ora in poi nessuno ti torcerà più un capello.
Giurò Elettra. Il sorriso bianco e splendente le illuminava il volto.
-         Parleremo dopo di questo, ora non c'è tempo. Crystal e Ame devono sottoporsi ad un esame.
Annunciò Bashir serio.
-         Venite con me.
Le due ragazze lo seguirono ed Elettra fece altrettanto, ma Gray la fermò.
-         No, solo loro due, lo sai.
La voce ferma di Gray non lasciava spazio ad alcuna replica.
-         Lo so. Per loro sarà davvero difficile.
Sospirò Elettra preoccupata, scostandosi dal volto color ebano i capelli scuri.

  Crystal e Ame entrarono in una struttura sferica e trasparente, nei sotterranei del tempio di Bashir.
Il Guardiano rimase sulla soglia.
-         Ora io toglierò da voi ogni traccia del potere delle Discendenti e sarà esso stesso a scegliere chi di voi due sia l'unica ad avere il diritto di portare avanti il clan.
Cominciò Bashir.
Crystal e Ame si guardarono spiazzate. Una di loro avrebbe dovuto rinunciare ai poteri.
-         Tranquille, chi non sarà scelta manterrà comunque i poteri che ha sviluppato nel tempo.
Cercò di tranquillizzarle prima di chiudere la porta.
La struttura sferica era completamente vuota. Le pareti cominciarono ad oscurarsi e Ame si guardò intorno, spaesata. Il cuore batteva all'impazzata, non voleva rinunciare ai suoi poteri: erano l'unica cosa che lavrebbero riportata da Aaron. Il buio la circondò e sentì l'agitazione pervaderla inesorabilmente.
-         Crystal? Tutto bene?
Domandò in ansia pochi istanti dopo.
Nessuna risposta. Ame la sentì gemere e vide una piccola luce innalzarsi da dove prima si trovava l'amica. Poi un dolore lancinante la pervase, le gambe le tremavano terribilmente, Ame gemette e si accasciò a terra. Strinse i denti e cercò di muoversi, ma non ci riuscì, i muscoli non le rispondevano. Sentì una fitta al petto, come una coltellata, e una lacrima sfuggì dalle palpebre. La lacrima irradiava una luce fortissima, si alzò e vorticò in aria, inglobando la luce emessa da Crystal. Un'esplosione di colori irradiò Ame e Crystal. La sfera luminosa rimase alcuni istanti in aria, oscillando tra le due. Ame la fissava esausta, si sentiva debole, non riusciva a muovere nemmeno le labbra. "Ti prego" pensò debolmente.
La sfera iniziò a precipitare e colpì Ame, che sobbalzò per il colpo. La ragazza urlò per il dolore, tutto quel potere, quella forza che aveva sempre avuto senza mai saperlo, si era ora manifestata, era sua. Il dolore cessò e sentì un piacevole calore diffondersi in tutto il corpo e la forza scorrerle nelle vene. Ogni cosa sembrava possibile, persino battere Wareck. Le pareti della stanza tornarono trasparenti e Ame ansimò per la difficoltà a tenere tutto quel potere, ma era felice come non mai.
La porta si aprì e Bashir aiutò le due ragazze ad alzarsi. In silenzio, le condusse fuori. Ame rimase spaesata: stava piovendo.
-         Ora sei tu l'unica Discendente della Pioggia, Ame.
S'inchinò Bashir, seguito da tutti gli altri.
 


  Enea, Lou, Emy e tutti gli altri erano in viaggio verso il bosco di Jenna, quando la pioggia cominciò a cadere sulle loro teste. Si guardarono tra loro, sbalorditi e increduli.
-         Allora Ame ora...
Cominciò Lou.
-         Ora è la Discendente, l'unica.
Concluse Enea.
-         Possiamo farcela!
Esclamò felice Emy. Un grido di gioia si diffuse tra il gruppo, che danzò allegro sotto la pioggia.
"Buona fortuna, Ame" pensò Adrien, sorridendo.
 


  Aaron sentì la pioggia bagnargli il viso e guardò il cielo rannuvolato e sorrise: il potere della Discendente, il potere di Ame, si era risvegliato.

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Capitolo 50
*** Destino ***


Capitolo L:
“Destino”

  Aaron e Morrigan raggiunsero di corsa il palazzo, fradici. La pioggia continuava a scendere, impetuosa, e il cielo si oscurava sempre di più. Aaron aveva evitato di mostrare la sua felicità per quell’evento, ma sapeva benissimo che Morrigan l’aveva percepita lo stesso.
Appena arrivati, alcuni servi erano corsi loro incontro, sollevati dal loro ritorno. Un soldato inviò immediatamente un falco per avvisare Wareck, anche se probabilmente era già di ritorno: la pioggia era per lui motivo di preoccupazione.
-         Aaron!
Rose corse incontro al fratello mentre stava salendo le scale.
-         Mi hai fatto preoccupare, brutto stupido! Non potevi inviarmi un messaggio?! Sono stata in ansia!
Lo rimproverò tutto d’un fiato, senza lasciargli il tempo di rispondere.
-         Ora devi fare un bagno caldo, altrimenti ti prenderai un raffreddore.
Affermò lei, dopo averlo abbracciato.
-         E lo stesso vale per te, Morrigan.
Aggiunse, fermando la ragazza minuta.
-         Come se io mi ammalassi.
Borbottò Morrigan, già circondata di serve che l’accudivano. Odiava essere sempre trattata come una bambina di due anni, la innervosiva.
Poco prima che Aaron raggiungesse la sua stanza, Rose lo prese da parte.
-         Piove.
-         Ho visto.
Sorrise Aaron.
-         Sono molto felice che tu ne sia contento, ma evita di darlo toppo a vedere, ok?
Domandò Rose, fissandolo attentamente.
-         Tranquilla, sarò imperturbabile.
Sorrise lui di nuovo.
-         Come no.
Rose alzò gli occhi al cielo.
-         Dimmi solo una cosa, Aaron. Sei stato tutto il tempo con lei?
-         Sì, sempre. Mi dispiace non averti avvisato, ma volevo evitare ogni possibile complicazione.
Rispose lui.
-         Va bene, ho capito. La cosa importante è che ora sei qui.
Affermò Rose, accarezzando la testa del fratello.
- Ora però prenditi cura di te.
Rose sorrise e fece per allontanarsi, quando Aaron la bloccò.
-         E’ qui il fratello di Ame?
Domandò immediatamente.
-         Sì, tranquillo, lo stanno trattando bene.
-         Ed è il Serpente Marino?
-         Sfortunatamente, sì.
Sospirò Rose, lasciando intendere al fratello le sue preoccupazioni.



  Adrien e gli altri raggiunsero il bosco dove abitava Jenna. Enea faceva loro strada tra la boscaglia, velocizzando il passo: durante il temporale nessun posto era pericoloso quanto un bosco. Enea si fermò davanti una quercia e sussurrò un incantesimo. Le radici dell’albero si alzarono lasciarono intravedere una scalinata.
-         Dobbiamo scendere.
Avvisò Enea
-         Va bene.
-         Adrien, prendi Ian in spalla, faremo prima.
Raccomandò Enea all’amico, che ancora fissava la pioggia estasiato.
Adrien annuì e si abbassò.
-         Salta in groppa, piccolo.
Sorrise il ragazzo al bambino, che obbedì immediatamente.
Uno alla volta percorsero i ripidi scalini, Tora chiudeva la fila. Le radici dell’albero richiusero il passaggio e furono avvolti dall’oscurità, Lou fece allora luce con una fiammella.
-         State attenti, gli scalini sono sempre più stretti.
Raccomandò Enea.
Dopo pochi minuti raggiunsero una stanza circolare e le lampade attaccate alle pareti si accesero.
-         Benvenuti, amici miei.
Salutò Jenna, uscendo dall’oscurità.
-         Vi aspettavano tutti.
Gli occhi viola di Jenna scintillavano alla luce delle fiammelle, i lunghi capelli neri ricadevano delicati sui fianchi. La sua figura eterea faceva subito capire che lei era una ninfa. Jenna li accompagnò di fronte ad una porta.
-         Sono arrivati quasi tutti.
Avvisò Enea, spalancando la porta.
Di fronte a loro, centinaia di ribelli festeggiavano l’arrivo della pioggia.



  Ame era incantata dalla pioggia, dalla sua forza e delicatezza. Il mare era in tempesta, non era più la calma e pacifica distesa che aveva visto quando era arrivata. Il cielo grigio e vorticoso le donava un senso di pace, Ame respirava a fondo, riempiendosi i polmoni di aria fresca. Da quando la pioggia era cominciata, erano andati tutti nel tempio. Crystal era a terra, aveva sempre saputo che la vera Discendente era Ame, ma in cuor suo aveva sperato che non fosse così. Tutto il dolore che aveva provato per sei anni, imprigionata da Wareck, tra vita e morte, era stato inutile. O forse no, in quel modo aveva lasciato che Ame crescesse, per poter poi affrontare il suo compito. Ma ora a lei cosa rimaneva? Nulla. Gli studi severi e gli allenamenti massacranti che aveva fatto da bambina erano stati quasi inutili. Sospirò, cercando di calmarsi, in fondo da quando sua madre le aveva svelato il segreto di Sapphire lei aveva sempre dubitato del suo ruolo. Quel giorno ne aveva solo avuta la conferma. Alcune lacrime scivolarono lungo le sue guance, le asciugò velocemente e sorrise appena, almeno ora poteva piangere in pace, senza temere di perdere i suoi poteri.
Ame, al contrario, era elettrizzata da quella scoperta: lei era la Discendente, quella vera. Avrebbe potuto difendere le persone che amava e distruggere Wareck.
-         Ame, potresti raggiungerci?
La invitò Bashir.
Erano tutti in una saletta del tempio, mentre Ame era rimasta a fissare la pioggia. Ame li raggiunse velocemente e aspettò che parlassero.
-         C’è una cosa importante che ti riguarda, Ame.
Cominciò Bashir, indicandole una panca su cui sedersi.
-         Ora abbiamo la conferma che tu sei la vera Discendente, anche se già lo sospettavamo, ma c’è qualcosa di più.
Ame fissò Bashir sorpresa, c’era ancora qualcosa che non sapeva?
-         Questo è un segreto che solo il Guardiano e le Discendenti conoscono.
Spigò Crystal, vedendo l’espressione di Ame.
-         Sai come la figlia di Lenn e Yanin, Swami, ha donato il potere dei quattro elementi agli umani?
-         Sì, Enea mi ha detto che ha spezzettato il suo potere.
-         E’ vero, ma solo una parte del suo potere non tutto, in modo da mantenerne una parte per ogni evenienza, anche per questo è riuscito a sopravvivere in te e nelle tue antenate terrestri. Cosa pensi che fossero i frammenti del suo potere?
-         Non lo so.
Ammise Ame.
-         Erano, e sono, le quattro Belve Sacre.
Concluse Crystal.
-         Gli dei, o immortali, che è il termine più giusto, possono morire solo per mano di altri immortali. La saggia Ida, aveva perduto l’immortalità spezzettando il potere, così fece in modo che se Saurus l’avesse uccisa, non solo la sua discendenza, ma anche gli umani portatori delle Belve Sacre avrebbero potuto andargli contro e se lui li uccideva, loro si sarebbero reincarnati ogni cento anni, mantenendo l’equilibrio del Mondo e delle dimensioni.
Spiegò Bashir.
-         L’eterna lotta tra bene e male, insomma.
-         Sì, ma non successe solo questo. Saurus era furibondo, voleva fare in modo che qualcuno uccidesse per lui le Belve Sacre ogni cento anni e tutte le Discendenti, ma non poteva attraversare le dimensioni. Infatti, il suo potere era troppo grande per poterlo fare e avrebbe distrutto l’equilibrio, distruggendo così se stesso. Decise allora di trasformarsi in umano per una notte e si accoppiò con un’umana. La sua progenie fu quella dei draghi e dei loro domatori, uniti nel destino e nel sangue, ma qualcosa andò storto: anche se all’inizio lui riuscì a comandarli a suo piacimento, dopo alcuni anni di oppressioni, si ribellarono. Swami aveva fatto aprire loro gli occhi sulla verità. Lei era ben conscia che di lì a poco Saurus l’avrebbe fatta uccidere, così, dopo aver avuto una bambina pose un incantesimo su se stessa: “Colei che immortale fu, immortale sarà”. Dopodiché lasciò i suoi poteri alla figlia, con una lacrima. Obbligò così la sua anima a non andare nell’aldilà, fino al giorno in cui si sarebbe reincarnata per distruggere definitivamente Saurus. La sua reincarnazione è una Discendente che dovrà riprendersi il potere divino delle quattro Belve e affrontare Saurus, e quella Discendente sei tu, Ame. Non solo dovrai andare contro a Wareck, ma sei destinata a distruggere Saurus.
Concluse Bashir.
-         Dici sul serio? Posso capire tutto, ma questo no. Che senso ha? Nessuno. Per me è già stato difficile metabolizzare ciò che sta accadendo ora, e mi dite che il mio compito è un altro?
Ame era incredula.
-         Non abbiamo detto questo. Il tuo dovere in quanto Discendente è quello di deporre Wareck e riportare la pace, ma il tuo destino è quello di abbattere Saurus.
Cercò di farle capire Crystal.
-         Perciò io sconfiggerò Wareck per forza, visto che devo vivere per battere Saurus.
-         Non è così semplice Ame. Il destino è solo abbozzato, mutevole, dipende dalle tue decisioni. Il destino può cambiare, per questo dovrai dare il cento per cento contro Wareck, ma non potrai ucciderlo.
Aggiunse Bashir.
-         Come no?
Lo stupore di Ame era sempre maggiore.
-         Wareck è il portatore della Belva Sacra dell’aria, se tu lo ucciderai la Belva si reincarnerà tra cento anni, ma tu ne hai bisogno ora per adempire il tuo compito.
Spiegò Bashir.
-         Allora come farò?
-         Dovrai assorbire la Belva Sacra dell’aria, farla tua.
Ame li guardò smarrita. Ora si ribaltava tutto, di nuovo. Non ne poteva più di tutti quei cambiamenti, di tutte quelle novità.
-         Tranquilla, ti alleneremo per questo.
Sorrise Elettra ma Ame era a pezzi. La confusione che provava era immensa. Non aveva mai pensato alla sua vita in quel modo, non ne aveva mai avuto il motivo.
-         Perché io?
Chiese lei sottovoce, non che volesse risposta, ma era una domanda che la ossessionava spesso.
-         Perché non tu?
Domandò di rimando Gray.
Ame alzò lo sguardo verso di lui, lievemente scocciata.
-         Forse è meglio se per oggi ti riposi, Ame. Domani inizieremo gli allenamenti.
Le consigliò Bashir e lei obbedì.



---

Spazio autrice:
Buona sera a tutti!
Spero che il capitolo non sia risultato astruso e sconnesso dal resto, perchè non è così. E' da moltissimo tempo che ho in mente questo pezzo e spero davvero di avergli reso onore. Perciò spero di cuore di non avervi deluso e vi ringrazio davvero per la vostra pazienza, è enorme!
Grazie di cuore, davvero. :)
Un abbraccio,
Filakes

 

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Capitolo 51
*** Preparazione ***


Capitolo LI:
“Preparazione”

  Enea e gli altri si sedettero ad un tavolo, insieme. Jenna si allontanò per tornare da loro con alcuni boccali di birra.
-         Allora, cosa pensate di fare?
Domandò, avvicinando poi un bicchiere di latte ad Ian, che ringraziò e nel berlo rovesciò metà del contenuto sul tavolo. Con un gesto della mano lo raccolse e lo fece fluttuare in aria, poi lo mandò contro Noah e Tora.
-         Come ti ho scritto, pensiamo di andare al festival organizzato da Wareck. Purtroppo, pochi di noi non sono conosciuti come ribelli o criminali. Abbiamo bisogno di aiuto.
Spiegò Enea sorseggiando la birra fresca e dissetante.
-         C’è molta gente che ancora non si è fatta beccare, è meglio se ti fai avanti e chiedi. Sono sicura che ti daranno una mano.
Lo incitò Jenna, sorridendo.
Nel salone risuonavano risate di ogni genere e tipo ed Enea si guardò intorno: uomini nerboruti o esili, donne muscolose o aggraziate, umani, elfi, nani. C’era di tutto e di più, e potevano aiutarli. Enea guardò Lou, che gli sorrise complice, facendogli l’occhiolino.
-         Ragazzi, è meglio che spostiate i vostri boccali dal tavolo.
Sorrise Enea, per poi salire sulla sedia e poi sul tavolo.
-         Esibizionista.
Mormorò Adrien a Noah, che alzò le spalle e fissò l’amico che aveva quasi dato un calcio al suo boccale.
-         Scusa.
Sussurrò Enea, poi si concentrò sui volti delle persone che affollavano il salone.
-         Signore e signori, un po’ di attenzione per favore!
Urlò, richiamando a sé gli sguardi di tutti.
Il silenzio calò scemando e centinaia di occhi fissarono Enea, ancora bagnato fradicio a causa della pioggia.
-         Ognuno di noi è qui perché vuole riportare la pace in questo mondo dilaniato dalla guerra.
Cominciò serio, fissando i volti degli altri ribelli.
-         Riconosco molti di voi, con cui ho combattuto contro i soldati di Wareck. Con voi ho visto morire amici, fratelli e sorelle, ho affrontato la morte, la distruzione. Con voi ho avuto il coraggio di reagire e ora che la pioggia lava la nostra terra, noi laveremo via Wareck dal governo!
Proseguì, accentrando l’attenzione sul discorso.
-         Ricordo ancora il coraggio di Kendra, sorella di Kraen, quando per lasciarci una via di fuga si è buttata contro i soldati, ammazzandone a decine, lasciandoci il tempo di riorganizzarci.
Affermò, incrociando il volto di Kraen pochi tavoli più lontano, che fu commosso dal ricordo della sua coraggiosa sorella.
-         E Sophia e Marcus, morti per fermare l’attacco a ovest delle truppe di Wareck contro Senar, e tutti voi che avete resistito fin ora, combattendo contro un governo perverso e sbagliato. A voi, miei amici, miei fratelli, e a coloro che sono qui per aiutarci, chiedo ancora aiuto in una missione complicata e, forse, suicida. Il gemello della Discendente è stato catturato e soggiogato da Wareck. Leo, così si chiama, è la Belva Sacra dell’acqua, che da due secoli aveva abbandonato il nostro Mondo. Abbiamo bisogno di lui per combattere contro il Traditore. Senza di lui, Wareck perderà un’importante arma e lo porteremo dalla nostra parte. La Discendente stessa vuole che lui torni sano e salvo da lei, la stessa Discendente che per difendere un ribelle si è fatta catturare per proteggerlo. La stessa Discendente che ha messo in gioco la sua vita per aiutarci!
Spiegò, con crescente fervore.
-         Ora la Discendente si trova al Confine, dove il Guardiano la sta addestrando ad usare tutti i suoi poteri per distruggere definitivamente il tiranno. Noi dobbiamo preparare un esercito forte e compatto, indebolendo la schiera nemica prima della battaglia finale. Ebbene miei cari amici, noi ci riprenderemo il Serpente Marino durante il festival teatrale indetto da Wareck che si terrà questo fine settimana. Alcuni di noi, che ancora non sono noti come ribelli, si presenteranno come attori e gli altri recupereranno Leo. Chi è con me?
Domandò Enea a gran voce e un urlo di consenso si sollevò nel salone.
-         Alzate i vostri boccali e gioite: Wareck cadrà!
Enea alzò il suo boccale e così fecero tutti gli altri.
-         Alla fine di Wareck!
Urlarono umani, elfi e nani.



  Wareck entrò a cavallo nel castello, un mantello spesso e scuro lo proteggeva dalla pioggia. Dannazione, stava piovendo! Wareck strinse i denti furioso, la Discendente aveva recuperato i poteri e lui non poteva più appropriarsene. L’unica possibilità era temporeggiare fino al periodo dell’aria, ormai vicinissimo.
Ad accoglierlo nel cortile trovò numerosi servi.
-         Morrigan è tornata con Aaron, signore!
Sentì dire ad una donna dai fianchi abbondanti.
-         Molto bene, ora mi sentirà.
La sua voce fredda bloccò l’entusiasmo di tutti. Wareck lanciò il mantello ad un servo e si accinse a salire le scale in marmo.
Con passi veloci e decisi raggiunse la stanza di Morrigan, senza bussare, spalancò la porta. Una ragazza stava aiutando la figlia ad allacciarsi il vestito, dopo essersi lavata.
-         Padre?!
Wareck avanzò e tirò uno schiaffo alla figlia.
-         Come hai osato andartene via in questo modo?!
La voce di Wareck era a stento controllata, si era davvero preoccupato per lei, le voleva bene.
-         Non mi lasci vivere, padre, volevo dimostrarti che sono assolutamente capace di cavarmela anche senza la tua protezione.
Morrigan aveva le lacrime agli occhi e teneva una mano sulla guancia arrossata e calda.
-         Sei solo una bambina viziata, incapace di capire qual è il suo posto. Questa notte dormirai sotto la guardia delle tue ancelle, se scapperai le giustizierò. Domani metteremo delle sbarre alle finestre della tua stanza, rimarrai qui finché non avrai chiaro il modo in cui ti devi comportare.
Lo sguardo di ghiaccio di Wareck placò ogni resistenza di Morrigan, lasciandole la sensazione di essere completamente indifesa contro di lui. Wareck fissò un’ultima volta il viso sconfortato e angosciato della figlia e uscì dalla sua stanza, conscio che lei non avrebbe più riprovato a fare una scemenza simile.
Ora era più tranquillo, ma si era davvero preoccupato per lei, se i ribelli l’avessero riconosciuta o incontrata l’avrebbero certamente catturata e forse uccisa, una cosa per lui insopportabile: aveva già perso l’amata Raissa, non voleva perdere anche Morrigan.

  Wareck continuò a camminare per il corridoio, poi scese le scale e andò nella stanza piccola e austera di Aaron.
Prima di entrare bussò due colpi decisi e pochi attimi dopo la porta si aprì.
-         Come posso esservi utile, mio signore?
Domandò Aaron, a petto nudo, uno straccio appoggiato al collo.
-         Come stai, Aaron?
-         Ora bene, signore. Grazie per l’interessamento.
Aaron chinò lievemente il capo, in segno di ringraziamento, facendo attenzione a ogni gesto del suo interlocutore.
-         Dov’eri finito?
-         Ero alla ricerca delle Discendenti prese da Gray, ma non sono riuscito a raggiungerle. Mi dispiace.
La voce di Aaron era priva di esitazioni e ciò confortò Wareck.
-         Non importa. Saremo comunque in grado di affrontare i ribelli. Ti ringrazio per aver riportato Morrigan da me.
-         Vi sbagliate, è lei che ha trovato me.
Ammise Aaron.
-         Come dici?
La voce di Wareck tradiva una nota di sorpresa.
-         E’ un’ottima combattente, degna di voi.
Continuò Aaron.
-         E’ solo una ragazzina e come tale verrà trattata. Non c’è bisogno che tu la difenda.
Sentenziò Wareck, ricomponendosi.
-         Vi assicuro, non l’ho detto per difenderla. Vi chiedo di lasciarle l’occasione per dimostrarvi la sua forza.
Proseguì Aaron con cautela.
-         Va bene, ma sceglierò io quando e con chi farla misurare.
Concesse Wareck, ormai vinto dalla curiosità.
-         Vi ringrazio.
Aaron fece un ultimo inchino e quando Wareck si fu allontanato tornò nella sua stanza, il cuore a mille per la tensione.
Wareck raggiunse la sala del trono e chiamò un servitore.
-         Sì, mio signore?
La voce squillante risuonò tra le pareti spesse.
-         Manda un falco a Febe, che cominci a preparare il suo esercito, si tenga pronta. Mandane uno anche agli orchi della Valle Oscura, in cambio del loro aiuto, metà dei prigionieri di guerra saranno dati loro in pasto.
Ordinò Wareck, abbandonandosi sul trono.
-         Sarà fatto, mio signore. Altro?
Chiese l’uomo.
-         Sì. Voglio che Luke sia nutrito in modo corretto e trattato bene, portatelo via dalle segrete e mettetelo a suo agio. Dovrà affrontare mia figlia, molto presto.
Sorrise lievemente Wareck.
-         Non temete per lei?
Si lasciò sfuggire l’uomo.
-         No, temo per lui. Ora va’ e ordina che sta sera sia cucinata la carne cacciata oggi.
Lo esortò Wareck, massaggiandosi le tempie.
-         Sì signore.
L’uomo s’inchinò e se ne andò dalla sala del trono.
Wareck chiuse gli occhi e si perse nel ricordo della sua amata Raissa. “Tutto finirà presto, te lo prometto” pensò il tiranno.

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Capitolo 52
*** Allenamento ***


Capitolo LII:
“Allenamento”

  Ame indossò gli abiti che Elettra le aveva portato: una maglia morbida a maniche corte, bianca, e un paio di pantaloni larghi e comodi, anch’essi bianchi. Il tessuto era soffice e morbido sulla pelle, piacevole. Si era lavata con cura, con l'acqua corrente, e quella sensazione di pulito era confortante: da molto tempo non la provava.
Prese la spada e legò il fodero ai fianchi, respirò a fondo e uscì dalla stanza per raggiungere Bashir.
Il Guardiano la stava aspettando sulla spiaggia, sorridente.
-         Oggi incominciamo il tuo allenamento speciale, Discendente.
Comunicò non appena Ame gli fu di fronte.
Gray ed Elettra li osservavano dalla veranda, al riparo dalla pioggia.
-         Per incominciare dovrai riuscire a colpirmi.
Spiegò Bashir.
-         Colpirti?
-         Esatto, con le mani o con i piedi. Quando ci riuscirai potrai passare al combattimento corpo a corpo.
-         Va bene.
Annuì Ame, sistemandosi.
-         Cinque monete di bronzo che perde l’equilibrio in tre mosse.
Sussurrò Gray ad Elettra.
-         Ci sto.
Sorrise Lei.
-         Iniziamo.
Diede il via Bashir.
Ame lo guardò un momento, la sua figura era composta, l’espressione seria e pacifica. Ame provò a tirargli un pugno con la mano destra, ma con un passo veloce, Bashir si spostò quel tanto per non essere colpito.
Ame provò con un sinistro, ma la scena si ripeté e poi provò con un calcio, ma Bashir evitò ancora il colpo, Ame perse l’equilibrio e cadde. La sabbia le limitava i movimenti.
-         Ho vinto.
Canticchiò Gray, porgendo la mano a Elettra, che sbuffando gli diede le monete.
Ame si rialzò in piedi, pulendosi gli abiti e le braccia dalla sabbia bagnata. Riprovò a colpirlo più e più volte, ma non riuscì nemmeno a sfiorarlo. Dopo mezz’ora cominciò a scoraggiarsi.
-         Forza Discendente!
La incitò Elettra, scorgendo l’espressione abbattuta di Ame.
Tutte le volte che aveva affrontato qualcuno, c’era sempre stato uno scontro, una volontà di entrambi di colpire l’avversario, ma non con Bashir, lui evitava ogni suo colpo, con il minimo sforzo, sembrava quasi danzare. “Danzare! Ecco la risposta!” esultò tra sé e sé Ame. Quello che Bashir stava facendo era danzare, in modo da evitare i suoi colpi.
Ame respirò a fondo e riprese a colpire Bashir, osservando il movimento dei suoi piedi e del suo corpo: un passo leggermente indietro a destra, indietro di nuovo, sinistra, indietro, destra, sinistra. A ogni colpo corrispondeva sempre lo stesso movimento. Ame finse un destro e Bashir si spostò lievemente a sinistra. Ame tirò velocemente un calcio sinistro e sfiorò la tunica arancione del Guardiano.
Ame sorrise e sentì Elettra esultare dietro di lei.
-         Non l’ha ancora colpito, testolina.
Sbuffò Gray, colpito dal fatto che Ame non solo avesse capito la danza, ma anche dal fatto che la prontezza di riflessi della Discendente era migliorata sensibilmente dopo che aveva acquisito il potere appieno.
Ame ricominciò l’allenamento, elettrizzata, e come se il suo umore condizionasse il tempo, la pioggia si infittì e alcuni lampi rischiararono il cielo.
-         Ame, controllati. Ora che hai il potere devi saperlo tenere a bada.
L’ammonì Bashir, schivando ogni colpo della ragazza.
-         Una moneta d’argento che poi lo colpisce.
Propose Elettra.
-         Va bene, preparati a sborsare.
Affermò Gray convinto, sorridendo.
Ame si fermò un attimo e si concentrò per calmarsi, doveva stabilizzare il suo umore. Si sentì sempre più rilassata e poi le venne un’idea. Con tutto il corpo si buttò in avanti e riuscì a colpire con la mano il braccio di Bashir.
-         Ho vinto!
Saltellò allegra Elettra.
-         Molla i soldi, bello!
Incitò Gray, che sbuffando le diede la moneta d’argento.
-         Esulta pure nanerottola, non succederà una seconda volta.
Affermò Gray, incrociando le braccia.
-         Sei proprio infantile, non sai perdere.
Ridacchiò Elettra.

-         Molto bene Ame, ora dovrai affrontare Elettra.
Sorrise il Guardiano.
-         Con o senz’armi?
Domandò la protettrice avvicinandosi ai due, sotto la pioggia.
-         Direi senza, almeno per ora.
-         Va bene.
Sorrise Elettra.
-         Fatti sotto, Discendente.
La sfidò. Ame si lanciò contro di lei, ma Elettra si scansò un po’ e le fece uno sgambetto e la colpì a mezz’aria alla schiena.
Ame tossì e si accasciò sulla sabbia.
-         Tutto bene?
-         Credo di sì.
Rispose Ame alzandosi e massaggiandosi il punto colpito.
-         Bene.
Il sorriso di Elettra fu accompagnato da un calcio che fece cadere di nuovo Ame.
-         Ehi! Aspetta un secondo!
Protestò la ragazza rialzandosi.
-         Nessun avversario aspetta che ti rimetti in sesto in guerra, anzi, saresti già morta. Ti stiamo allenando per affrontare Wareck, non un cuscino appeso al soffitto.
Replicò Elettra porgendole la mano per farla alzare.
Ame la prese, sperando in un gesto amichevole della ragazza, ma così non fu. La strattonò per il braccio e voltandosi l’afferrò e ribaltò, facendola cadere con la schiena sulla sabbia.
-         Regola numero uno: non fidarti dell’avversario, in alcuna circostanza.
Le ricordò Elettra.
-         Lasciala riposare un attimo, altrimenti non ce la farà mai.
Urlò Gray ad Elettra. La ragazza guardò Ame e acconsentì.
-         Va bene, giusto per darti una ripulita.
Concesse Elettra, legandosi i lunghi capelli scuri.
-         Fatemi un favore, andate a prendere del pesce e delle verdure per la cena. Crystal la preparerà.
Chiese Bashir a Gray e alla protettrice.
-         Va bene.
Annuì il ragazzo e insieme si allontanarono.
-         Tutto bene Ame?
Domandò Bashir, aiutandola.
-         No, per nulla. Credevo di essere diventata fortissima con il potere delle Discendenti, l’ho sentito scorrere in me, potente e vigoroso… ma contro Elettra sono messa peggio persino rispetto a com’ero messa contro Enea.
Sospirò Ame.
-         E’ una cosa normalissima Ame.
Rise il Guardiano.
-         Perché?
-         Perché Elettra ha la tua stessa età e da sette anni è allenata da Gray, non da uno qualunque. Prima che tu riacquisissi i poteri da Discendente gli esseri umani più forti erano tre: Wareck, Gray ed Elettra. Non appena avrai imparato a sfruttare e controllare i tuoi poteri li supererai di gran lunga, ma per ora è normale che lei sia così brava, mi sarei stupito davvero molto se tu fossi riuscita a mandare a segno un attacco, anche solo a sfiorarla. Con il tuo potere attuale puoi battere Enea, Adrien, Noah, i soldati semplici e probabilmente Lou senza troppa fatica, ma non Wareck, né Gray, né Elettra. Loro sono su un altro livello, che tu sarai capace di raggiungere in poco tempo grazie ai tuoi poteri, ma non puoi farlo subito. Bisogna lasciare che le cose facciano il loro tempo.
Le spiegò Bashir.
-         Ma così non potrò mai affrontare Wareck prima del periodo dell’aria!
Protestò Ame.
-         Nessuno te lo chiede. Con l’allenamento che farai la questione del periodo potrà essere lasciata a margine, saprai tenere testa al Traditore.
Bashir diede una pacca sulla testa di Ame, che sorrise lievemente, preoccupata.



  Dopo il discorso, numerosi ribelli si erano offerti per la missione di recupero, sia di quelli che Enea già conosceva che di quelli che non aveva mai visto.
-         Visto? Cosa ti avevo detto?
-         Hai ragione, grazie Jenna.
Ringraziò Enea.
Dalila ed Ian si erano allontanati, poiché il piccolo si era addormentato, esausto, e Jenna li aveva portati nella loro stanza.
-         Dovremo organizzare un buon piano. Potremmo…
Cominciò a pensare Enea.
-         Oh! Ecco il tipo del discorso!
Lo interruppe una giovane e allegra voce.
-         Datti una calmata Daniel.
Lo rimproverò una voce profonda e musicale, decisamente meno allegra.
-         Sei un guastafeste Liam!
Protestò l’altro.
Due elfi li avevano raggiunti: quello che si doveva chiamare Daniel aveva i capelli castani e gli occhi color smeraldo, mentre l’altro aveva un occhio color carbone e l’altro marrone - rossiccio.
-         Come mai qui, elfi?
Domandò Adrien, fissandoli con attenzione.
-         Vogliamo aiutarvi. In fondo siamo più forti di voi.
Rispose Daniel allegro, senza malizia.
Anche se quella frase aveva notevolmente irritato tutto il gruppo, Enea si trattene dal tirargli un pugno.
-         Va bene, siete i benvenuti.
Si obbligò infine a dire.


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Spazio autrice:
Buona sera a tutti! Come va? Spero che il capitolo vi sia piaciuto. :)
Daniel e Liam sarebbero, inizialmente, dovuti arrivare dopo Kenan, proprio alla fine, ma loro hanno preferito sbucare fuori ora, così li ho accontentati. ;)
Spero davvero di non avervi deluso!
A presto!
Filakes

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Capitolo 53
*** Morrigan e Luke: duello e amarezza ***


Capitolo LIII:
“Morrigan e Luke: duello e amarezza”

  Dopo due giorni di duro lavoro, Ame era riuscita a parare alcuni colpi e a rispondere ad Elettra, con enorme fatica.
In quel momento si trovavano sulla spiaggia, una di fronte all’altra, ansimanti per la fatica. Una fitta costante penetrava il fianco sinistro di Ame, senza lasciarle tregua, ma lei si obbligava a continuare: ogni secondo era prezioso. Elettra le tirò un calcio, Ame lo parò col braccio sinistro e afferrandole la gamba la fece cadere a terra. Elettra allora le colpì lo stinco da terra e con uno slancio si tirò su per poi tirarle un pugno, colpendo Ame in volto. Ame si ricompose immediatamente e si preparò a rispondere al colpo, ma, mentre le tirava una ginocchiata, la fitta al fianco si intensificò e Ame cadde a terra, contorcendosi dal dolore, notevolmente aumentato.
-         Tutto bene?
Domandò preoccupata Elettra, la voce alterata dal fiatone.
-         Mi fa malissimo.
Rispose Ame, la voce affaticata e trattenuta.
-         Guardiano!
Gridò Elettra, un attimo prima di sedersi accanto ad Ame, esausta.
Bashir arrivò in un attimo, accompagnato da Crystal e Gray.
-         Non sta bene.
Spiegò Elettra.
-         Si è stancata troppo, ha bisogno di tempo per riposarsi. Il suo corpo è allo stremo.
Constatò Bashir, passando una pezza sulla fronte sudata di Ame.
-         Per oggi basta così, nel corpo a corpo è alla tua altezza, visti i lividi che avete entrambe.
-         Sì, è migliorata moltissimo. Se penso che a lei sono bastati due giorni per raggiungere questo livello, mentre io ho impiegato sette anni...
Sorrise Elettra, con un pizzico di sorpresa e amarezza nella voce.
-         Non è una cosa complicata per lei. È pur sempre una Discendente.
Le ricordò Bashir.
Gray prese in braccio Ame per portarla nella capanna al riparo dalla pioggia, seguito da Crystal che le applicava delle medicazioni sul corpo.
-         Riposati anche tu ora. Domani ci occuperemo delle armi e degli elementi, poi sarà il turno di Gray.
Bashir aiutò Elettra ad alzarsi e la sorresse fino alla capanna.

  Una volta arrivati, Gray appoggiò Ame con cautela sul suo letto e Crystal le diede da bere un infuso caldo.
-         Vedrai che dopo starai meglio.
Sorrise Crystal.
-         Grazie.
Sussurrò Ame.
Sorseggiò poco alla volta la bevanda calda, mentre il dolore continuava penetrante e le gambe erano appesantite dalla stanchezza e indolenzite dai colpi ricevuti e dati. Elettra le si sedette vicino e Crystal portò anche a lei una tazza di infuso.
-         Quanto manca al festival teatrale?
Domandò Ame poco dopo, tirandosi su a sedere senza fatica, quella tisana miracolosa le stava facendo passare il dolore.
-         Pochissimo tempo. Mancano due giorni.
Rispose Gray, dopo averla obbligata a distendersi nuovamente per evitare che si aggravasse.
-         Come faccio a sapere che salveranno Leo, se rimango qui?
La voce di Ame tradì una nota d’ansia. Ormai erano mesi che non vedeva il fratello e sapere che era nelle mani del nemico l’agitava ancora di più.
-         Se ti allenerai con passione come hai fatto finora, lascerò che tu assista al suo salvataggio.
Affermò Bashir.
-         E come?
-         Hai visto il mare qui fuori?
-         Sì.
Annuì Ame senza capire il nesso.
-         Bene, grazie all’acqua di quel mare, messa in un recipiente sacro, posso vedere cosa accede nelle altre dimensioni e così vedremo come se la caverà Leo.
Spiegò Bashir.
-         Grazie mille. Davvero.
Sorrise Ame, un attimo prima di addormentarsi.
-         Quando pensi che sarà pronta?
Chiese poi Gray al Guardiano.
-         In quattro, cinque giorni.
Rispose Bashir, lo sguardo puntato sul volto di Ame.
-         Saremo già nel periodo dell’aria, quindi.
-         Sì, ma non preoccuparti, riusciremo lo stesso nell’intento.
-         Se ne sei convinto tu...
Sospirò il ragazzo.
-         Stai tranquillo Gray, Bashir non rischierebbe mai così tanto se non fosse sicuro di farcela.
Intervenne Elettra, dando una pacca all’amico.
-         Quello che non capisco è perché non hai lasciato che io ed Elettra uccidessimo Wareck quando hai capito che era una minaccia.
Confessò poi il ragazzo, fissando Bashir.
-         Perché? Ti direi che non è mio compito occuparmi di cose, che non riguardano l’equilibrio delle dimensioni, ma non è così. Il vero motivo per cui non posso intervenire, e così nemmeno voi, è che l’unica che può farlo è Ame. Solo lei può stabilizzare l’equilibrio rotto da Sapphire, in quanto lei è la Discendente più potente mai venuta al Mondo, ma non solo per questo. Infatti, la follia di Wareck e il marciume che ha contaminato il suo animo vengono da Saurus. Il potere di Wareck è alimentato da quel mostro e solo lei è capace di porre fine a tutto questo. È il suo destino.
Rivelò Bashir.
-         Allora siamo sicuri che lei non morirà, che tutto andrà bene? In fondo è il suo destino, giusto?
-         No. Non lo siamo. Il destino è variabile, abbozzato. Ogni scelta, anche la più insignificante può variarlo. Per ora Ame è rimasta fedele al suo, ma il pericolo è sempre in agguato.
Il silenzio calò nella stanza, solo il lieve respiro di Ame era appena udibile.
 


  Tutta la corte era riunita nell’arena del castello. Wareck sedeva su un comodo trono al riparo della pioggia, come un imperatore romano. Il suo sguardo scrutava la folla che aveva affollato gli spalti e non smetteva di parlare, esaltata dalla novità. In una settimana due eventi: il combattimento tra la dolce Morrigan e l’impulsivo Luke e, a fine settimana, il festival teatrale. I nobili si riparavano dalla pioggia con teli sorretti stancamente dalla servitù, mentre gli altri rimanevano scoperti sotto la pioggia battente.
Un uomo avanzò nel centro dell’arena e richiamò l’attenzione di tutti i presenti.
-         Signore e signori, benvenuti. Stiamo ora per assistere al combattimento tra la figlia del grandioso Wareck, e colui che ha disobbedito ai suoi ordini.
I fischi e le urla del pubblico si innalzarono contro Luke, mentre qualcuno tifava per Morrigan.
- Il combattimento terminerà a discrezione del nostro magnifico sovrano. Non ci sono regole. Buon divertimento.
L’uomo si chinò e uscì dall’arena.
Il rumore dei portoni che si aprivano riecheggiarono nell’arena e si alzarono le grida di gioia dal pubblico. I due sfidanti entrarono nell’arena dai due lati opposti: Morrigan aveva i capelli raccolti indossava abiti comodi e maschili, mentre Luke portava la divisa militare.
Aaron si sedette alla destra di Wareck, accanto a lui sedevano la sorella e Emerald con il figlio in braccio. Alla sinistra di Wareck sedevano Erin e Leo, in un momento di pausa dei loro allenamenti.
I due sfidanti si misero uno di fronte all’altra. Luke era teso e adirato: come poteva essere usato per l’intrattenimento di qualche poveraccio? L’avevano liberato solo per farlo morire davanti a tutta quella gente? Un moto di rabbia lo pervase e strinse i pugni tanto che le nocche divennero bianche. Wareck l’avrebbe pagata per questo. Morrigan, invece, era elettrizzata: aveva la possibilità di mostrare il suo valore al padre, di dimostrare quanto valeva.
Il suono di un corno risuonò e i due si misero in posizione, il combattimento stava per iniziare. Il corno suonò di nuovo e i due si avventarono uno contro l’altra. Morrigan, più agile, tirò un calcio a Luke, sfiorandogli la guancia e un applauso si levò dagli spalti. Luke contrattaccò, afferrandole la gamba e rigirandola, cercando di spezzargliela, ma Morrigan si liberò e lo colpì con una gomitata sullo sterno. Wareck sorrise compiaciuto: sua figlia se la sapeva cavare davvero bene. Luke si rialzò e colpì con un pugno la spalla destra di Morrigan. La ragazza digrignò i denti per il dolore e afferrò Luke per il collo della divisa e gli diede una testata. Un rivolo di sangue uscì dalla fronte di entrambi, Morrigan avanzò imperterrita e mirò al busto, Luke schivò il colpo e la spinse via, mentre la testa gli girava vorticosamente.
Andarono avanti a combattere alla pari per quasi un’ora, entrambi stanchi e feriti. Il pubblico urlava eccitato: voleva di più.

  Wareck si alzò e richiamò l’attenzione.
-         Portate dentro le armi.
Ordinò a un servo.
-         Ne siete sicuro?
Domandò il servo, esitante.
-         Sì, fai ciò che ho detto!
Lo sguardo freddo di Wareck sembrò trapassare l’uomo che si affrettò ad accontentarlo. Morrigan e Luke si guardarono terrorizzati: un conto era combattere al meglio, evitando danni gravi all’avversario, un altro era cercare di ucciderlo con delle armi.
Morrigan guardò il padre, spaesata. Come poteva farlo? Erano tutti alleati.
Un servo portò due spade ai ragazzi, che le afferrarono esitanti, mentre il pubblico si esaltava e li incitava a combattere.
-         Non voglio ucciderti.
Affermò Morrigan, mentre la pioggia le lavava via il sangue dalle ferite.
-         Nemmeno io.
Ammise Luke a bassa voce, aveva sempre provato dell'affetto per lei.
Rimasero immobili alcuni istanti, non sapendo cosa fare. Wareck l’aveva ordinato per vedere fin dove sua figlia osava spingersi. Il pubblico cominciò ad urlare: quello che volevano era uno spettacolo violento. Morrigan si morse il labbro, arrabbiata con se stessa, lei aveva voluto combattere per dimostrare ciò che valeva, ma non per uccidere e non l’avrebbe fatto. Si mise in posizione e aspettò che lui si ricomponesse, poi lo attaccò. La spada vibrò nell’aria e con un tonfo metallico si scontrò con quella di Luke. Il ragazzo si liberò e cercò di fare un affondo ma Morrigan lo schivò all’ultimo.
-         Sei matto?!
Esclamò spalancando gli occhi.
-         Se è questo che Wareck vuole, lo avrà.
Replicò semplicemente Luke, istigandola a combattere seriamente.
Morrigan s’inalberò, come poteva dire una cosa del genere? Accettava di essere trattato così? Con forza gli andò contro, cercando di colpirlo al braccio, Luke lo schivò e lei lo ferì solo in superficie. Luke rispose velocemente e le trafisse la maglia, procurandole un taglio al fianco.
-         Dovete fermarli, mio signore!
Esclamò Aaron preoccupato, Wareck non rispose.
Morrigan si buttò nuovamente contro Luke e con abilità lo disarmò, la spada della mezza ninfa puntava al collo di Luke.
-         Basta così!
Ordinò Wareck.
-         Morrigan ha dimostrato la sua bravura e disarmato l’avversario, per questo vince l’incontro.
Dichiarò, orgoglioso del coraggio della figlia.
Il pubblico applaudì la giovane, mentre alcuni medici correvano ad aiutarli. Morrigan guardò il volto sorridente e beffardo del padre e per la prima volta provò una punta di disprezzo per lui. Per la prima volta lo vide per ciò che era diventato: un mostro, privo di sentimenti.
Il tiranno sorrise compiaciuto, ora sapeva di avere un’arma in più nel suo esercito: Morrigan.


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Spazio autrice:
Salve a tutti! Come va? Vi è piaciuto il capitolo? Spero di sì! :D
Chiedo scusa per il ritardo ad aggiornare, mi auguro che il capitolo non vi abbia deluso! >_<
Ditemi cosa ne pensate, se vi va, e vi ringrazio ancora di cuore per continuare a leggere la storia!
Un bacione e a presto!
Filakes

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Capitolo 54
*** Piano ***


Capitolo LIV:
“Piano”

  Le spade di legno cozzavano tra loro da molto tempo: la situazione era completamente paritaria. Ame con un movimento circolare tentò di spostare la guardia di Elettra, ma con un colpo sulla lama della spada di Ame, Elettra bloccò il suo movimento.
Ame mosse in avanti un piede e affondò la spada nel ginocchio di Elettra, che trattenne un gemito di dolore. Con un colpo deciso alzò la spada di Ame, ma prima di riuscire a colpirle il busto, Ame si spostò di lato e le colpì la spalla. Nell’attimo di confusione di Elettra, Ame colpì con forza il polso destro della sua protettrice e lei allentò la presa un istante. Ame approfittò di quel momento di debolezza per disarmarla. Gray applaudì con entusiasmo la sua prestazione.
Ma come Ame aveva imparato a sue spese, un combattimento non finisce finché l’altro non muore o è talmente ferito da non poter contrattaccare. Fece calare la spada sul capo di Elettra, ma la lama di legno si bloccò tra le sue mani. Elettra la torse e Ame cercò di affondare la punta nell’addome dell’avversaria, fino a riuscirci.
-         Molto bene!
Si complimentò allegro Bashir.
Elettra si massaggiò i punti colpiti dalla spada in legno, facendo attenzione ai lividi.
-         Ora mi ci vorrebbe un po’ di quella tisana miracolosa.
Commentò con un sorriso, dolorante.
-         Vai pure dentro, Crystal l’ha già preparata.
L’avvisò Bashir e lei se ne andò velocemente.
-         E ora?
Domandò Ame.
-         Ora tocca a me.
Sorrise Gray avvicinandosi.
-         Niente pausa?
-         No.
Il sorriso di Gray mutò in un ghigno compiaciuto.
Ame si mise in posizione, e lo attaccò, ma Gray afferrò la spada di legno con la mano destra e la scagliò lontano, verso il bagnasciuga.
-         Ma cosa?
Ame impallidì nel vedere i lunghi artigli di Gray avvicinarsi al suo viso, li scansò un attimo prima che le si conficcassero nella carne, graffiandola e portandole via alcuni brandelli di pelle. Un rivolo di sangue scese lungo la guancia destra.
-         Con me è un vero combattimento. Usa pure gli elementi e se rimani viva entro la fine della giornata o mi metterai al tappeto, cosa che dubito, allora sarai pronta.
Spiegò Gray, con il ghigno che si estendeva fino alle orecchie.
Ame deglutì a fatica, il dolore alla guancia era pulsante. Si ricompose, il cuore a mille.
Un altro tentativo di Gray di colpirla la fece indietreggiare, Ame si sbilanciò e si ritrovò distesa sulla sabbia. Gray cercò di calpestarle il volto, Ame rotolò su un fianco e lo schivò. Si allontanò da Gray, senza sapere come contrattaccare: priva di armi, indolenzita e ferita. Non aveva più il ciondolo da moltissimo tempo, da quando Erin gliel’aveva strappato via, gettandola in un’agonia senza fine. Da allora non aveva mai più provato a controllare gli elementi, non sapeva come muoversi. Il pugno di Gray la colpì in pieno volto con violenza. Uno strano rumore la fece rabbrividire e un fiotto di sangue le uscì da naso, probabilmente ora era rotto. Ame boccheggiò prima di rendersi conto che Gray l’aveva afferrata per il collo. La presa si faceva sempre più stretta. Le mani di Ame corsero a quelle di Gray e cercarono goffamente di slegarle dalla morsa assassina sul suo collo. Sentì le forze abbandonarla, poi l’immagine di Aaron balenò nella sua mente. No. Non sarebbe morta così.
Stringendo i denti, fece spuntare una pianta di giunco dalla sabbia, che si avviluppò alla gamba di Gray e la piegò in avanti. Gray perse l’equilibrio e la lasciò andare. Ame cadde a terra, ansimando, il volto pallido tornò a prendere colore. Con un gesto della mano di Ame, altre piante di giunco afferrarono gli arti di Gray e Ame lo lanciò dall’altra parte della spiaggia. Poi si concentrò per rimettersi in piedi e con un movimento fluido del braccio, indirizzò l’acqua del mare addosso a Gray, formando una gabbia d’acqua. Gray mutò forma in un uomo-pesce e grazie alle branchie non soffrì dell’attacco di Ame. Lei lo lasciò andare e quando lui si fu avvicinato, Ame creò una barriera di fuoco tra loro, impedendogli di avanzare. Aveva bisogno di tempo per riprendersi, di fermare il sangue che continuava a scenderle dal naso. Gray, però, non sembrava della stesa idea. Con un colpo delle braccia si trasformò in un’aquila e si gettò contro di lei. Ame cercò di colpirlo con alcuni fulmini, ma lui li evitò. Ame si concentrò ed evocò una tromba d’aria che colpì Gray e lo fece sbattere contro la parete della capanna, sfondandola.
Ame non poteva crederci: aveva controllato l’aria per la prima volta.
Gray tornò in sé e si tolse i legnetti dai capelli e dalla carne ferita.
-         Direi che ci siamo.
Annunciò con gioia Bashir.
-         Ora bisogna solo sistemare alcuni piccoli dettagli.
Ame sorrise a Bashir, un attimo prima di perdere i sensi per la fatica, la paura e il sangue che sgorgava dalle narici.



  Seduti attorno al tavolo, Jenna, Enea, Lou, Emy, Cloud, Adrien, Noah, Liam e Daniel progettavano il piano per entrare nel castello del Traditore.
-         Entriamo tutti con la compagnia per evitare le guardie. Emy, tu reciterai come protagonista femminile con Cloud, per gli altri personaggi si sono offerti in molti. Poi quando saremo qui.
Enea indicò un punto sulla mappa.
-         C’è una botola che porta alle segrete. Da lì io, Lou e Adrien, Liam e Daniel proseguiremo verso il castello. Poi qui ci divideremo. Liam e Daniel sbucheranno vicino alla stanza dove Ivan ha detto che lo tengono, noi invece perlustreremo l’ala dove si allena.
-         E se stesse semplicemente osservando anche lui il festival?
Domandò Emy.
-         Lo dubito. Sarebbe troppo pericoloso esporlo così… per non parlare della Belva che potrebbe risvegliarsi e fare danni.
Replicò Enea scuotendo la testa.
-         Ma se lo facessero proprio perché non ce l’aspettiamo?
Ipotizzò Lou.
-         Allora rimarremo tutti lì e Adrien alzerà una nebbia fitta per la scena in cui i due innamorati si perdono di vista. Lì lo prenderemo.
Enea scarabocchiò alcune linee sulla mappa, segnando i vari percorsi e gli imprevisti che avrebbero potuto incontrare.
-         Qui ci saranno di sicuro dei soldati, perciò Jenna ci preparerà delle fiale con un miscuglio narcotizzante.
Continuò Enea. Poi sollevò dei fiori.
-         Indossando questi non ci succederà nulla, assorbiranno per noi la sostanza.
Spiegò distribuendo delle collane con i fiori.
-         Partiremo questa notte, perciò è meglio se adesso ci riposiamo. Domani sarà una giornata cruciale per l’intera rivolta.
-         Speriamo che tutto andrà bene.
Sussurrò Emy.
-         Andràtutto bene.
La corresse Adrien, bevendo un sorso di birra dal boccale.
Adrien era teso e stanco. Voleva solo chiudere tutto il prima possibile e rivedere Ame prima della guerra.
-         Cosa faremo poi?
Chiese ad Enea, senza lasciare il boccale.
-         Torneremo qui il prima possibile e aspetteremo che Ame torni. Dopodiché andremo dai draghi.
Rispose Enea.
A Jenna salì un brivido lungo tutta la schiena.
-         Tutto bene?
Si preoccupò Noah.
-         Sì, sì. Sono i draghi ad agitarmi un po’. Mi spiace di non potervi accompagnare per tutta la missione.
-         Non preoccuparti.
Cercò di tranquillizzarla Cloud.
-         Il problema sarà dove radunare l’esercito al completo: ribelli, draghi, elfi.
Fece notare Liam.
-         Qui è improponibile, è troppo piccolo.
Intervenne Jenna.
-         Nel regno dei draghi ci si può radunare solo in piccoli gruppi: tra gli orchi e le ninfe, un esercito numeroso che passa per i loro territori è una chiara dichiarazione di guerra.
Ricordò Adrien.
-         I confini elfici sono troppo lontani dalla capitale. In più il viaggio è lungo e faticoso, sia per raggiungerlo che per ripartire verso la capitale.
Commentò Daniel senza smettere di sorridere. Enea lo fissò e si chiese se l’elfo avesse una paralisi facciale. Emy, che aveva avvertito il pensiero di Enea, trattene a stento una risata e alzò le spalle.
-         Si potrebbe ripartire da Senar. Anche se è abbastanza lontana dalla capitale, è quella dove il potere di Wareck è più debole ed è abbastanza grande da ospitare l’esercito intero. In più i ribelli del sud devono farci comunque sosta per riposarsi.
Propose Noah.
-         Direi che ha senso.
Annuì Enea.
-         Non pensate però che Wareck se l’aspetti? Parliamo della città dei ribelli dalla prima guerra in cui lui prese il potere. Lo sa benissimo che per noi è il miglior punto d’appoggio.
Fece notare Lou.
-         Proprio per questo è il posto perfetto: lo batteremo a carte scoperte.
Esclamò allegro Noah.
-         Oppure proprio per questo ci farà fuori tutti.
Replicò Lou seria.
-         Ora non è il momento per discutere di questo. Abbiamo un compito importante per domani. Vediamo di iniziare a portare a termine quello.
Li interruppe Adrien, vuotando il boccale e andandosene a dormire.
-         Buonanotte.
Augurò un attimo prima di scomparire in corridoio.
-         Cos’ha?
Chiese Daniel.
-         Problemi d’amore. Gli passerà.
Rispose Emy, accennando un sorriso.
-         Credevo si fosse messo il cuore in pace.
Commentò Enea a bassa voce.
-         Quando ami davvero una persona non puoi cancellarla dalla tua vita con un colpo di spugna.
Sussurrò Lou.
-         Lo so, ma ormai lei ha fatto una scelta.
-         La verità è che Ame non ne ha avuto bisogno: per lei c’è sempre e solo stato Aaron.
Puntualizzò Lou, ricordando il giorno in cui si erano incontrati.
-         Aaron?! Il generale Aaron?
Liam sbatté le mani sul tavolo e si alzò. Era diventato paonazzo.
-         Sì, perché?
Balbettò Lou, spaventata.
-         Ha ucciso la mia gente con i suoi soldati!
Urlò l’elfo.
-         Non mi importa se è il fidanzato della Discendente. Lo ammazzerò!
Sbraitò Liam con gli occhi iniettati di sangue.

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Capitolo 55
*** Salvataggio ***


Capitolo LV:
“Salvataggio”

  Bashir aveva impiegato tutta la sera per guarire la guancia e rimettere a posto il naso di Ame. Gray era sorpreso e risentito per la sconfitta della sera prima. Era convinto di batterla con facilità, ti metterla KO in un attimo e all’inizio era stato così. Poi lei aveva reagito e con facilità aveva concluso il combattimento, vincendo. Era ovvio che non l’avrebbe uccisa davvero, con tutta la fatica che avevano fatto a portarla viva fin lì, ma lei l’aveva presa sul serio e così aveva tirato fuori il suo potenziale, come loro volevano. Bashir era entusiasta per il risultato, ma a Gray non andava giù. Lui, l’ultimo del suo clan, il potente Gray, gettato a terra senza sforzo. Sospirò, almeno ora era quasi certo che Ame avrebbe battuto Wareck.
Si misero in cerchio attorno al tavolo, a sorseggiare il brodo caldo. Dalla cucina il profumo della carne che cuoceva inebriava l’aria. Ame inspirò a fondo: amava la carne e da quando era lì l’aveva mangiata pochissime volte. La sua dieta era ormai composta dai più svariati tipi di zuppa, frutta e pesce. L’unica volta che aveva mangiato della carne, per quanto assurdo, era stato quando era prigioniera da Wareck. Aveva perso moltissimo sangue e Rose aveva preteso che le venisse data della carne al sangue, per due pasti consecutivi. Ame non sapeva se Rose l’avesse fatto davvero per la sua salute, se l’aveva fatto per salvarla dalla denutrizione, ma l’aveva aiutata. Sorrise tra sé, doveva molto a quella ragazza.
-         Domani è il grande giorno?
Domandò Ame, tenendo le mani intorno alla scodella calda.
-         Già, potrai assistere al salvataggio di tuo fratello.
Annuì Bashir, con un sorriso.
-         E poi tornerò dai ribelli?
-         No, non ancora. Prima dobbiamo aggiustare alcune cose semplici ma importantissime. Potranno fare la differenza tra la vita e la morte.
Rispose Bashir, dopo aver rifiutato la carne che Crystal gli aveva offerto.
-         Va bene, grazie mille.
Ame sorrise. Gli insegnamenti di Bashir erano stati fino a quel momento i più utili.
  Finita la cena, Ame aiutò Crystal a sistemare la cucina. Da quando avevano scoperto che solo Ame era la Discendente, i rapporti tra loro si erano leggermente raffreddati. Ame non sapeva cosa dire, sentendosi a volte in colpa, Crystal, invece, non capendo il silenzio di Ame e non sapendo cosa dire, evitava di parlare.
-         Mi dispiace.
Disse poi Ame, mentre asciugava le stoviglie con un panno pulito.
-         Di cosa?
Domandò Crystal stupita.
-         Mi dispiace di averti privato della possibilità di essere la Discendente.
Spiegò Ame, lo sguardo basso.
-         Ehi, Ame, non azzardarti a dire una cosa del genere. Per prima cosa io non sono mai stata la “vera” Discendente, quella che avrebbe rivoluzionato il mondo. Non sono certo io quella con poteri grandiosi, non discendo dalla primogenita di Sapphire, ma a me va bene. Secondo: l’ho sempre sospettato. Da parecchie generazioni le Discendenti sono un po’… fiacche, perciò quando ho saputo di Sapphire ho capito la verità. Terzo: sono stata io a dire ad Enea e a Lou di cercarti. Sapevo che l’unica capace di salvarci saresti stata tu, Ame. Non sentirti in colpa, hai una grande responsabilità per questo mondo, anzi per tutti i mondi. Quindi non chiedermi scusa.
La voce di Crystal era soave e sincera come il suo sorriso.
-         Grazie.
Ame l’abbracciò.
-         Ora vai pure a dormire, domani sarà una giornata importante per te.

  Ma Ame quella notte non riuscì a chiudere occhio. Continuava a rigirarsi nel letto, cercando di addormentarsi, ma i pensieri che le affollavano la mente la tenevano sveglia. Temeva che il giorno dopo qualcosa sarebbe andato storto: che Leo venisse ucciso, che i suoi amici venissero uccisi. Immaginò Aaron costretto a combattere con Enea o Adrien, a doverli uccidere. L’esile Emy catturata. La forte e fragile Lou ammazzata da Erin. Non poteva sopportarlo. Dopo alcune ore capì che non avrebbe dormito nemmeno un secondo e si decise ad alzarsi. Camminando piano, per evitare di svegliare gli altri, raggiunse la veranda. Il cielo tuonava, rispecchiando il suo umore, la sua tensione. Si sedette sul gradino di legno e appoggiò i piedi sulla fredda sabbia bagnata. Pensierosa iniziò a disegnare ghirigori con la punta del piede, assorta nei suoi pensieri.
-         Non riesci a dormire?
Ame sobbalzò, non si era accorta che Gray si era avvicinato.
-         No, sono troppo tesa.
Sussurrò Ame, tornando a concentrarsi sui disegni che aveva creato sulla sabbia.
-         Guarda che non devi combattere tu domani.
Le ricordò Gray, sedendole accanto.
-         Lo so, ma ho paura.
-         Di cosa?
-         Ho paura di perdere qualcuno a cui voglio bene, domani. Che sia mio fratello, o Adrien, o Enea, o Lou, o… Aaron. Non lo sopporterei, starei troppo male.
Confessò Ame, avvicinando le ginocchia al petto e circondandole con le braccia.
-         Sai Ame, molti negli ultimi anni hanno perso qualcuno che amavano. Tutti quelli che cominciano una guerra sono disposti a perdere la vita, ma non si rendono conto che con loro trascinano le persone a cui vogliono bene: fratelli, sorelle, genitori, amici, vicini, fidanzati. Nessuno esce senza ferite da una guerra. Lou ha perso quasi tutta la sua famiglia, Noah il figlio e la moglie, Adrien genitori e un fratello. Persino Wareck ha perso la moglie, in una guerra passata, nemmeno lui è rimasto illeso.
Spiegò Gray e dopo un sospiro ricominciò.
-         Tempo fa conoscevo una bellissima ragazza, era molto forte, ma a causa di una brutta malattia il suo corpo si indebolì in fretta. Quando Wareck sfidò il governo e la democrazia, però, lei fu la prima a mettersi in gioco. Perse un braccio, per difendere il suo villaggio, ma a lei non importava: per la libertà era disposta a perdere la vita. Quello a cui non era preparata era vedere morire suo fratello. Era solo un bambino. Tamara, così si chiamava, entrò in depressione, tentò persino di suicidarsi, odiandosi per aver messo in pericolo il fratello entrando nella Resistenza. Era quello il nome della forza armata di volontari che arruolava l’esercito per difendersi Pensa che a quel tempo il ribelle era Wareck.
Ridacchiò, ma il suo sguardo era velato dalla tristezza. Riprese a parlare.
-         Ma Tamara non poteva uccidersi. Era gravemente malata, monca di un braccio, depressa, nessuno si aspettava che lei fosse la portatrice della Belva Sacra della terra. Sarebbe morta se la Tigre non le avesse proposto un patto: unire i loro corpi e le loro anime per sopravvivere.
-         Ma com’è possibile?
Si stupì Ame.
-          Il potere delle Belve Sacre non ha limiti, credimi. In ogni caso Tigre può decidere di sciogliere il patto quando vuole, intanto Tamara può riposarsi. La loro unione ha creato Tora.
-         Tora?! Perché nessuno me l’ha detto?
Ame era sbalordita.
-          Perché non l’hai chiesto.
Ame lo fulminò con lo sguardo, un’informazione del genere avrebbero dovuta dargliela subito.
-         Sai, l’unico che ha perso poco, in fatto di famigliari, è stato Enea.
-         Perché dici così?
-         I suoi genitori sono morti per il nemico, per la causa di Wareck, in un certo senso. Erano due scienziati che non si mettevano mai un limite e sono finiti a costruire armi per Wareck e durante un esperimento sono rimasti gravemente feriti, non c’è stato più nulla da fare per loro.
-         Non mi sembra “poco” questo.
Fece notare Ame.
-         Lo so, ma per Enea è come se fossero morti da molto prima che la guerra iniziasse. Lui non ha mai temuto di perderli, anzi, forse lo sperava. Per questo in passato stava spesso a casa di Lou.
Ora Ame poteva capire meglio Enea, il suo carattere complesso. Si batteva per il bene come un ossesso, fermo nella sua idea, ma era anche l’unico pronto a prendere decisioni poco ortodosse. Era lui che pur di salvare ciò che era rimasto era pronto a sacrificare la Discendente, a sacrificare Ame.
-         Comunque preferirei che rimanessero in vita.
Concluse Ame.
-         Ti capisco, ma ricordati che c’è anche la guerra.
Gray non aveva intenzione di rassicurarla, quella notte.
-         Sai Gray, dopo questo discorso sono sicura che riuscirò a dormire.
Il sarcasmo nella voce di Ame era evidente e Gray sorrise.
-         Scusa.
-         No, lascia stare, non importa. Come hai detto tu io non dovrò combattere domani.
Ame sospirò e si stiracchiò.
-         Come va il naso?
-         Bene, Bashir mi ha sistemato alla perfezione. È un mago.
Rise Ame e Gray accennò ad un sorriso.
-         Lo sai, vero, che non ti avrei uccisa sul serio?
-         Non lo so, ne eri molto convinto mentre lo dicevi e i tuoi attacchi confermavano ciò che avevi detto.
Ricordò Ame.
-         Doveva sembrare vero, altrimenti non avresti reagito.
Ridacchiò Gray.
-         La cosa più importante è averti battuto.
Lo stuzzicò Ame, vendicativa.
-         Sai Ame, ho notato una cosa, quando combattevi con le spade di legno contro Elettra non ti facevi problemi a colpire punti vitali, perché con me non l’hai fatto? Volevi solo mettermi al tappeto.
Ame non rispose, ma lo fissò e basta.
-         Hai forse paura di uccidere?
La domanda lasciò Ame interdetta, ma lei sapeva la risposta.
-         Non ho paura di uccidere. Io non voglio uccidere.
Ame scandì le parole, una per una.
-         Sei incredibile. Devi andare in guerra! Non puoi sperare che i soldati ti aprano il passaggio fino a Wareck senza che tu li uccida!
-         Combattere e sopraffare l’avversario non vuol dire ucciderlo.
-         Così impiegherai molto più tempo e molta più energia. Ame, ascoltami, non si parla del destino di una nazione, di un mondo, si parla di tutto ciò che esiste! Fallo per le persone che ami qui e per quelle del tuo mondo. Fallo per tutto ciò che esiste!
-         Io farò il possibile per non uccidere.
Gray la guardò esasperato.
-         Con tutta la fatica con cui tutti ti abbiamo allenata, con le atrocità che ti hanno inflitto i tirapiedi di Wareck, tu sei disposta a gettare via la tua vita per salvare quella del tuo avversario? Gettando tutto nel caos? Perché è questo ciò che accadrà se non cambi atteggiamento.
La voce di Gray era alterata ma il rimprovero sfiorò a malapena Ame.
Il silenzio scese di nuovo tra i due, ma questa volta era carico di tensione.
-         Visto che ora nemmeno io riuscirò a dormire, cosa ne dici se ti insegno una cosa?
Propose poi Gray.
-         Va bene. Dimmi.
Lo incitò Ame.
-         Prova a creare una tua copia con la sabbia.
Ame gli sorrise, nulla di più semplice. Con pochi gesti realizzò una copia di se stessa con l’acqua e la sabbia.
-         Riusciresti a spostarla?
Con un gesto Ame avvolse la figura con una bolla d’aria e la spostò più lontano.
-         Sapresti farla parlare?
Ame lo fissò senza capire.
-         Parlare?
Ripeté, stupefatta.
-         Sì, ci riesci? Devi usare l’energia del fuoco.
-         Ci posso provare.
Ame provò a infondere energia nella copia di sé, ma questa prese fuoco.
-         Non ci siamo.
Gray scosse la testa e Ame sentì una nota di compiacimento nella sua voce per il suo fallimento.
-         Ma come sei simpatico.
Borbottò lei, riprovando, ma il risultato fu identico al primo.
Accanto a lei, Gray tratteneva le risate.
-         Riprova, sarai più fortunata.
La canzonò allegro.
Sfortunatamente per Ame, la situazione non accennava a cambiare e il sonno cominciò ad avere la meglio.
-         Per oggi ci rinuncio. Vado a dormire.
-         Buona notte piromane.
-         Buona notte simpaticone.
Entrambi cedettero ad un sorriso e ognuno andò a dormire nella propria stanza. Ame si infilò sotto le lenzuola leggere e non appena chiuse gli occhi, si addormentò, esausta.

  La mattina dopo, Ame si alzò di fretta e raggiunse Bashir, che nella stanza circolare del tempio, aveva preparato tutto l’occorrente per assistere al salvataggio.
-         Buon giorno.
Lo salutò Ame, ancora in pigiama.
-         Buon giorno Discendente. Non ti cambi?
-         Cosa?
Ame lo fissò senza capire e poi si guardò i vestiti e arrossì.
-         Ehm… non è poi tanto diverso dai vestiti che metto di solito, perciò se per te fa lo stesso, ora vorrei vedere come stanno gli altri.
Disse Ame, cercando di nascondere l’imbarazzo.
-         Va bene.
Sorrise Bashir.
Il Guardiano versò l’acqua del mare in un recipiente circolare del diametro di un metro. Ame rimase immobile, mentre lo osservava armeggiare con l’acqua. Di lì a poco avrebbe visto suo fratello. Bashir le fece segno di avvicinarsi e lei osservò l’acqua tremolare e il suo riflesso mutò nell’immagine che voleva vedere: Enea e gli altri a pochi chilometri dalla capitale, vestiti e truccati da attori itineranti. Notò molti visi a lei sconosciuti, altri ribelli.
-         Sei già qui?
La voce di Gray la colse di sorpresa e si spaventò.
-         Non ti vesti? Niente colazione?
Domandò lui.
-         Cosa ne dici di portarmi tu qualcosa? Loro sono quasi alle porte della capitale.
Propose Ame, indicando le immagini nel recipiente.
-         Arrangiati da sola! Hai gambe e braccia per muoverti in autonomia, Discendente.
L’ultima parola, Gray la pronunciò come un insulto.
Ame stava per rispondergli a tono, ma il suo sguardo fu catturato dalla scena che l’acqua mostrava. Si concentrò di nuovo su ciò che stava accadendo ai suoi amici.
La carovana si era fermata poco prima di salire il ponte levatoio, per far controllare ai soldati la documentazione.
Il soldato controllò i fogli con il timbro di Wareck, confrontò i dati con i loro documenti, li scrutò a lungo e poi con un cenno del capo li lasciò andare. Ame poteva sentire il sollievo del gruppo per non essere stati riconosciuti come ribelli.
-         Meno male che Adrien era entrato nella carovana, poco prima.
Commentò Gray accanto a lei. Anche Crystal ed Elettra li avevano raggiunti e avevano portato lì la colazione. Ame ringraziò Crystal, mentre afferrava la mela che l’amica le porgeva.
-         Perché?
Chiese Elettra, formulando ad alta voce la domanda che era passata anche per la mente di Ame.
-         Quel soldato che ha fatto il controllo lo avrebbe riconosciuto. Hanno combattuto contro a Senar, prima che Xavier morisse.
Ricordò Gray.
-         Come lo sai se non eri lì a combattere?
Chiese Ame, dopo aver ingoiato un altro spicchio di mela.
-         Anche allora stavamo osservando ciò che accadeva, come ora.
Gray abbassò lo sguardo e si riconcentrò sul gruppo di ribelli. Ame notò un barlume di vergogna e lo capì: si era sentito inutile, avrebbe potuto aiutare, fare la differenza. Forse Wareck non sarebbe salito al potere o forse sì, non l’avrebbero saputo mai.
La carovana entrò assieme ad altre dentro le mura e superarono il fossato attraversando un ponte levatoio scricchiolante. I loro sguardi erano ansiosi e guardinghi, ma potevano passare per timore reverenziale e curiosità.
Si radunarono nel centro della piazza del castello, con gli altri. Di fronte a loro, un ampio palco in legno occupava metà dello spazio libero e, poco distante, Wareck, Morrigan, Rose, Aaron, Erin e alcune guardie occupavano il palchetto sollevato ad alcuni metri da terra. Leo non era lì.
Wareck si alzò in piedi e cominciò a parlare alla folla.
-         Cari amici e care amiche, vi ringrazio per aver partecipato così numerosi all’evento. Tra poco, ognuna delle vostre compagnie presenterà su questo palco un pezzo del proprio spettacolo teatrale. La compagnia vincente intratterrà me e il popolo della capitale per un anno intero, guadagnando prestigio e fama. Che lo spettacolo abbia inizio!
Il pubblico, che aveva preso posto sui palchi costruiti ai lati della piazza, scoppiò in un fragoroso applauso. Ame tornò ad osservare i suoi amici e notò che alcuni non erano più lì.
 


  Adrien richiuse velocemente la botola sulla sua testa mentre l’applauso del pubblico risuonava nella piazza. Scese la viscida scala che portava alle fogne e raggiunse gli altri. Lou prese dal borsone che aveva a tracolla delle torce, le distribuì agli altri e con un gesto le accese tutte. Ombre grottesche si disegnarono sui loro volti, illuminati dalle fiamme delle torce.
-         Bene, queste sono le mappe con il tragitto segnato, fate tutti molta attenzione.
Raccomandò Enea.
-         Dobbiamo essere sulla carovana entro la fine dello spettacolo di Emy e Cloud, non possiamo aspettare. Se muoio, vi aspetterò nell’aldilà, senza fretta. Buona fortuna.
Sorrise Enea.
-         Buona fortuna.
Sorrise Liam per la prima volta e si allontanò con Daniel.
-         Sei sicuro che possiamo fidarci di loro?
Domandò Adrien.
-         Abbiamo forse alternative? Possiamo solo essere fiduciosi.
Replicò Lou.
-         Ora andiamo.
Esortò Enea.
Mentre camminavano in silenzio, Enea notò che Lou stava piangendo.
-         Cosa c’è? Non ti senti bene?
Chiese preoccupato.
-         No, è solo che… ho visto Erin, vicino a Wareck. Ame aveva ragione. Mia sorella ha distrutto la mia famiglia e la cosa assurda è… che non la odio.
Spiegò Lou tra i singhiozzi. Enea la fermò e le asciugò le lacrime con una carezza.
-         Ti capisco, le hai sempre voluto bene. Sei sollevata che sia viva.
Lou annuì senza dire altro ed Enea l’abbracciò.
Dopo pochi minuti sbucarono di nuovo in superficie, all’interno del castello.
-         Che odore! Devono usarla come scarico.
Commentò Adrien disgustato, pulendosi le mani sui pantaloni togliendo la poltiglia viscida e maleodorante.
-         Fai poco lo schizzinoso, dobbiamo sbrigarci.
-         Fate silenzio! Volete che ci scoprano?
Li ammonì Lou.
Con cautela percorsero il corridoio, attenti a non fare rumore, nascondendosi quando qualche servo passava. Arrivarono alla porta della stanza di Leo e aprirono la porta.
Un ragazzo, Leo, era sdraiato sul letto, annoiato. Quando entrarono, Leo scattò in piedi. Era alto e slanciato, la corporatura muscolosa e atletica, i capelli castani e disordinati, gli occhi azzurri e svegli.
-         Assomigli proprio ad Ame.
Si fece scappare Adrien.
-         Ame? Tu conosci mia sorella?
Leo gli si era avvicinato, era poco più basso di Adrien.
-         Dov’è Ame? Chi siete voi?
Cominciò a domandare, ma Lou appoggiò una mano sulla sua spalla.
-         Tranquillo noi ti vogliamo aiutare.
Provò a tranquillizzarlo, ma con uno strattone Leo si liberò.
-         Siete dei ribelli? Ditemi la verità!
Sbraitò lui. Lou notò che il suo corpo aveva iniziato a tremare, il Serpente Marino stava per manifestarsi.
-         Sì, siamo ribelli e vogliamo aiutarti.
Rispose Lou con voce calma, avvolgendo il ragazzo in fiamme benigne: non lo avrebbero scottato, le servivano solo a contenere la Belva.
-         Non vi credo! Voi avete ingannato Ame!
Le fiamme si dissiparono e Leo mutò forma. La pelle fu stracciata dalle squame azzurre, le pupille si contrassero in spasmi, fino a divenire poco più grandi della punta di uno spillo. Nell’ampia stanza, il Serpente Marino aveva preso vita.
-         L’hai voluto tu. Enea, rompi il sigillo, questo qui lo portiamo fuori con la forza.
Affermò Lou, mentre la Chimera fremeva dentro di lei per combattere.
-         Va bene, ma fa’ attenzione!
Gridò Enea. Appoggiò la mano sul ventre di Lou.
-         Aperiens.
Sussurrò e la pelle di Lou si ricoprì di folti peli dorati, la sua stazza aumentò raggiungendo quella del Serpente Marino. Gli occhi rossi assetati di sangue erano incastonati nel muso del leone. Sulla schiena aveva una testa di capra con le lunghe corna e un serpente velenoso come coda. La Chimera ruggì famelica, mentre Adrien ghiacciava e inspessiva le pareti, rendendole insonorizzate. Il Serpente sibilò minaccioso e con un colpo della coda ferì una zampa della Chimera. Velocemente la Chimera affondò le zanne nella carne del Serpente.
-         Cosa facciamo?
Domandò Adrien terrorizzato.
-         Va’ a cercare gli elfi, hanno loro i sedativi per le Belve.
-         Perché non te ne sei fatto dare uno?!
Urlò Adrien, esasperato.
-         Perché sono riuscito a prepararne solo due boccette e se Leo si trasformava, come ha fatto, e lo trovavano loro, non avevano altro con cui difendersi, noi abbiamo Lou.
Spiegò Enea, mentre controllava il flusso di potere che la Chimera aveva su Lou.
-         Ora sbrigati, va’!
Adrien si allontanò di corsa, fortunatamente l’ala in cui si trovava Leo era isolata dal resto del castello. Percorse in fretta i due piani di scale che lo separavano dai due elfi, ma si bloccò. Un soldato a riposo era appoggiato al muro. Prima che l’uomo potesse urlare, Adrien gli colpì con forza il capo, facendolo svenire. Raggiunse Liam e Daniel poco dopo, esausto.
-         L’abbiamo trovato, è nella sua stanza. Ci servono le boccette.
Ansimò.
-         Ok, andiamo!
Ripresero a correre verso la stanza di Leo, poi, all’improvviso, una fiammata bloccò loro il passaggio.
-         Dove volete andare?
La voce folle e seducente di Erin risuonò alle loro spalle.


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Sapzio autrice:
Sono conscia che il capitolo è lunghissimo, spero che non vi abbia annoiato e che vi sia piaciuto! :D
Grazie per averlo letto!
A presto!
Filakes

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Capitolo 56
*** A un passo dalla morte ***


Capitolo LVI:
“A un passo dalla morte”

Adrien si pietrificò, davanti a lui la sorella di Lou, l’aguzzina di Ame, sorrideva sadica. Con passo ondeggiante e aggraziato, si muoveva verso di loro, spietata, letale. I capelli di un rosso acceso le ricadevano sulla schiena come una cascata di sangue. I denti perfetti e bianchi rilucevano maligni.
-         Cosa pensavate? Che io non sapessi che avreste cercato di riprendervi Leo? Che io non sapessi che il sigillo si è infranto?
Domandò avanzando, inclinando lievemente il capo da un lato, lasciando che alcuni ciuffi le scivolassero dolcemente sulla spalla.
Adrien portò la mano alla spada, stringendo l’elsa. Ma con un rapido movimento, Erin lanciò un pugnale che teneva nella cinta di cuoio. L’arma si conficcò nella carne di Adrien. Un fiotto di sangue cominciò ad uscire dall’avambraccio del ragazzo, creando una piccola pozza scarlatta sul pavimento. Adrien imprecò: se toglieva il pugnale dal braccio sarebbe morto dissanguato, se non lo toglieva non poteva usare il braccio e così nemmeno la spada. Un largo sorriso compiaciuto si allargò sul volto di Erin, mentre avanzava verso di lui. Liam lanciò un incantesimo in elfico e per un istante Erin sembrò fermarsi. Una fiammata divampò, avvolgendole le gambe bloccate e, con uno scatto felino, si lanciò addosso a Liam. Lo immobilizzò a terra, gli occhi resi opachi dalla follia, mentre con un gesto della mano dava fuoco alla sua pelle. Liam lanciò un urlo, maledicendola. Daniel la colpì con un pugno in pieno viso, liberando l’amico dalla stretta. Adrien si ghiacciò la ferita, il pugnale ancora conficcato nell’avambraccio. Con l’acqua presente nell’aria, creò una lancia di ghiaccio e la lanciò contro Erin con tutta la forza che poteva, ma lei la bloccò e la frantumò in mille pezzi.  Con un gesto della mano, Adrien scagliò quei frammenti contro di lei, ferendola al volto e al bacino. Il sangue scarlatto della ragazza macchiò gli abiti. Erin portò una mano su una ferita e la osservò tingersi di rosso. Il suo volto si trasfigurò di rabbia e alzò lo sguardo su Adrien.
-         Bastardo!
Ringhiò mentre una palla di fuoco si abbatteva su Adrien, che riuscì ad evitare il peggio, bruciandosi solo parte della pelle del volto. Daniel cercò di colpire Erin alla gola, ma una freccia lo trafisse. Adrien si voltò e vide un gruppo di sodati avvicinarsi e il sangue gli si ghiacciò nelle vene. Erin lo assalì in quell’attimo di distrazione e lui cadde all’indietro, picchiando la testa. La vista gli si annebbiò, cercò di rimanere sveglio, bloccò con la mano sinistra il polso destro di lei, la lama del pugnale a pochi centimetri dal viso. Le sputò in un occhio, ma lei non si mosse, sorridendo sadicamente. Adrien ansimava per lo sforzo di tenerla a bada, mentre il ghiaccio sul braccio del ragazzo si scioglieva, riaprendo la ferita. Con la mano libera, Erin gli afferrò la gola, stringendo la presa. Adrien non riusciva a respirare, la sua stretta alla mano col pugnale di lei si allentò ed Erin affondò la lama nella sua spalla sinistra, schizzandosi il viso con il sangue del ragazzo. Adrien urlò per il dolore, mentre i soldati si scaraventavano contro i due elfi. Erin estrasse la lama dalla carne, muovendola dolorosamente, pronta a colpirlo di nuovo e ad ucciderlo. Adrien fece cadere una boccetta contenente il miscuglio tossico che aveva nella tasca dei pantaloni, che si ruppe e lascio fuoriuscire il fluido letale. Erin fu colta dai conati di vomito e da spasmi che la fecero contorcere a terra. Adrien si liberò da lei, mentre dalla camicia macchiata di sangue sbucava fuori il fiore purificatore, che assorbiva per lui la sostanza. I soldati di Wareck erano nella stessa situazione di Erin, Adrien aiutò i due elfi ad alzarsi e zoppicando raggiunsero Enea e Lou.
Quando Enea li vide, un lampo di terrore gli attraversò il viso. Fece spuntare delle piante mediche dalle crepe di ghiaccio che ricoprivano le pareti e fasciò velocemente le loro ferite. Prese una boccetta con il calmante per le Belve dalla tasca della giacca di Liam e la lanciò tra le fauci del Serpente Marino, che si contorse, fino a tornare al suo aspetto umano. Leo si accasciò a terra, ricoperto da tagli e sangue. La Chimera alzò una zampa in aria, pronta ad ucciderlo, ma con un enorme sforzo, Enea riattivò il sigillo. La Belva fu presa da spasmi incontrollati mentre ruggiva e urlava, tornando Lou. La ragazza cadde sulle ginocchia, il corpo nudo rivelava la terribile cicatrice che le percorreva tutta la schiena, la bruciatura della Notte di Sangue. Enea le corse incontro, coprendola con la sua giacca lunga, mentre brandelli degli abiti della ragazza giacevano a terra.
-         Dobbiamo andarcene subito.
Esclamò Enea, cingendo il fianco di Lou.
-         No, tranquillo, riesco a camminare.
Lou si scostò da lui, ma le gambe le tremarono paurosamente. Enea la prese per un braccio.
-         Non se ne parla nemmeno. Adrien, riesci a portare Leo?
Domandò Enea, osservando i flutti di sangue fermati alla meglio con fasciature e ghiaccio, il suo viso era terribilmente pallido.
-         Non credo di farcela, ma ci proverò. Liam deve portare Daniel, perciò non ho alternative.
Ansimò lui, inciampando nei sui piedi.
-         No, non puoi portarlo! Enea, posso camminare da sola, davvero.
La voce ferma di Lou e la situazione obbligarono Enea ad ascoltarla.
-         Va bene.
Sospirò lui esausto, mentre lasciava Lou e recuperava il corpo di Leo, privo di sensi.
-         Non restate indietro, mi raccomando. Non abbiamo tempo per recuperare nessuno.
Detto questo, si diressero verso il tombino che portava alle fognature e con enorme fatica scesero la scaletta viscida. Per poco Lou non scivolò, ma stringendo la presa riuscì a tenersi. Una volta arrivati a metà del loro percorso, sentirono urla lontane e stridule che fecero rabbrividire il gruppo.
-         Cos’era?
Domandò Lou spaventata, voltandosi nella direzione da cui provenivano quei suoni striduli. Passi pesanti e risate grottesche, accompagnate da versi gutturali si avvicinavano. Enea sbiancò.
-         Orchi! VIA DI QUI!
Urlò agli altri, mentre cominciavano a correre, l’adrenalina a mille in corpo. Corsero fino a raggiungere la botola da cui erano scesi nelle fognature e cercarono di risalire, ma una pioggia di frecce si abbatté su di loro. Una freccia con la punta d’osso colpì la mano di Enea. Il ragazzo urlò e fece salire velocemente gli altri, affidando Leo ad Adrien, ma quando cominciò ad arrampicarsi sulla scala, un orco l’aveva raggiunto. Nel buio del sotterraneo, la mano putrida lo afferrò per una gamba, strattonandolo giù. Enea si tenne al ferro viscido e arrugginito con tutte le sue forze. Lou colpì con una fiammata rossa il viso dell’orco, illuminando la galleria sotterranea per un istante. L’orco lasciò la presa, schiamazzando, ed Enea riuscì a fuggire. Aprirono la botola sopra la quale c’era il loro carro, e vi entrarono tramite il foro centrale largo un metro. Si fiondarono dentro, al sicuro, richiudendo la botola alle loro spalle, prima che un’altra freccia li colpisse. Noah era già pronto con le medicazioni, ma rimase comunque sconvolto dal loro aspetto. Fuori, intanto, Emy recitava l’ultima scena dell’opera.
-         Come avete fatto a conciarvi così?
Domandò Noah mentre disinfettava il braccio di Adrien.
-         Agguato di Erin e di alcuni orchi.
Borbottò il ragazzo, sedendosi su un rialzo in legno.
-         Erin? C’era mia sorella?!
Lou era sconvolta.
-         Sì, non è stato un incontro piacevole.
Sussurrò Liam mentre adagiava Daniel su un lato sgombro della carovana. L’elfo dai capelli castani respirava affannosamente, non sorrideva più: le sue labbra erano contratte in un’espressione di dolore.
-         Vi ha ridotto lei in questo modo?
Lou sembrò diventare ancora più pallida.
-         Lei e alcuni soldati.
Rispose Adrien, trattenendo una smorfia di dolore mentre Noah estraeva il pugnale.
-         Allora è vero. È una traditrice.
La voce di Lou era un sussurro flebile.
-         Ora non pensarci.
Enea le accarezzò il viso. Lei annuì, ma gli occhi le si velarono di lacrime.
La carovana sobbalzò quando Emy e Cloud si buttarono dentro, accompagnati da fragorosi applausi. Emy si voltò verso gli altri e spalancò gli occhi, scioccata.
-         Ma cosa diamine… ?
-         Lascia perdere. Cloud, portaci fuori da qui.
Comandò Noah, finendo di fasciare il busto di Daniel e le ferite di Leo.
Cloud annuì e si mise a comando della carovana. Come tutte le altre compagnie di attori che avevano già recitato dovevano tornarsene nella loro città e attendere un responso da parte di Wareck. Ovviamente a loro non interessava, la missione era compiuta e ora potevano tornare a casa. Senza dare nell’occhio uscirono dalle mura in tutta calma, ma quando si accorsero di essere seguiti da alcuni soldati, cominciarono a sfrecciare tra le strade ghiaiose.
 
Ame era scioccata da ciò che vedeva. La carovana era seguita da alcuni soldati a cavallo e li stavano per raggiungere.
-         Dobbiamo fare qualcosa!
La sua voce rasentava l’isteria.
-         Non possiamo fare niente da qua, Ame. Anche potendo non ci è concesso.
Gray sembrava quasi dispiaciuto per lei, ma non serviva a nulla la sua compassione in quel momento. Ame strinse i denti, mentre il cervello lavorava velocemente, cercando una soluzione. Il suo sguardo fu catturato dallo sciame di frecce che colpivano la carovana, ma Ame notò atterrita che al contatto col legno, le frecce prendevano fuoco. Sobbalzò, stringendo le mani al petto. Dal davanti della carovana, Ame vide sbucare Adrien, il corpo fasciato, che tenendosi ad una parete dalla carovana spegneva il fuoco con l’acqua presente nell’aria. Le fasciature intorno al braccio destro e alla spalla sinistra si macchiarono di sangue, le sue ferite si erano riaperte. Altre frecce si conficcarono nel veicolo, prendendo fuoco, ma Adrien non si scoraggiava. Poi, come se si fosse sforzato troppo, cadde e rotolò a grande velocità sulla ghiaia, privo di sensi. Ame urlò, mentre i soldati gli si avvicinavano.
Si voltò verso gli altri, lo sguardo colmo d’odio. Adrien sarebbe morto se non facevano qualcosa. Poi un’idea attraversò Ame. Respirò a fondo e appoggiò le mani sull’acqua che si increspò appena. Ame adocchiò degli alberi vicino ad Adrien e obbligò i rami a protrarsi fino a prendere il ragazzo e sollevarlo in aria. Con decisione, creò un ostacolo innalzando la terra, bloccando i soldati. Fece passare il corpo svenuto di Adrien da albero ad albero.  Di fronte alla carovana in corsa, fece apparire una sua copia di ghiaia e acqua. I cavalli frenarono la loro corsa, facendo traballare la carovana sui due lati. La carovana si fermò e i ribelli si sporsero fuori per capire cos’era successo e videro la figura di Ame.
-         Fermi.
Ame riuscì a far parlare la sua copia, mentre finalmente il corpo di Adrien li raggiungeva. Un ramo si estese fino a porgere il ragazzo ad Enea.
-         Non si abbandona nessuno.
La voce di Ame risuonò rabbiosa, poi la sua figura si dissolse, lasciando gli altri stupiti e increduli. Enea portò dentro Adrien, che quel giorno era stato ad un passo dalla morte, e la carovana ripartì. Ame sospirò di sollievo, le girava la testa e cadde all’indietro, ma Gray l’afferrò, tenendola saldamente.
-         Come hai fatto?! Cioè, da una dimensione all’altra è… impossibile! Nessuno ci è mai riuscito!
Si stupì lui, aiutandola a sedersi.
-         Ma io non sono nessuno.
Sorrise Ame, la voce affaticata.
Fare quel che aveva fatto le aveva richiesto più fatica del previsto, si sentiva prosciugata.
Bashir le sorrise.
-         Ame, è ora che tu abbia accesso ai Manufatti della prima Discendente.


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Psazio autrice:
Ciao a tutti! Mi dispiace davvero avervi fatto aspettare tanto per il capitolo, ma è stato un periodaccio e non riuscivo mai a scrivere!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e di non avervi deluso. :)
Scusatemi di nuovo!
Filakes

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Capitolo 57
*** Pianto e Manufatti ***


Capitolo LVII:
“Pianto e Manufatti”

Adrien sbatté le palpebre pesanti un paio di volte prima di aprire gli occhi. Era sdraiato in un letto, le lenzuola lo avvolgevano fino al mento. Richiuse gli occhi nel tentativo di ricordare perché fosse lì, cosa fosse accaduto. Era abbastanza stufo di ritrovarsi in quella situazione: era la seconda volta nell’arco di poco tempo. Sospirò riaprendo gli occhi, riconosceva la stanza, calda e accogliente che Jenna gli aveva lasciato. Almeno non era di nuovo nella corte di Febe. Provò a mettersi a sedere, ma il corpo era appesantito dalla stanchezza, anche se non sentiva alcun dolore. Respirò a fondo e notò che la stanza era vuota. Provò a ricordarsi cosa fosse accaduto durante il salvataggio di Leo, ma era tutto confuso. La lotta con Erin, la fuga dagli orchi, poi i soldati li avevano seguiti e attaccati, poi più nulla. Non si ricordava alcunché, c’era solo un enorme buco nero nei suoi ricordi, forse era stato colpito o aveva perso i sensi.
La porta si aprì in quel momento ed Enea entrò con un vassoio colmo di cibo. Gli si avvicinò e sorrise.
-         Finalmente ti sei svegliato! Iniziavamo a preoccuparci!
Enea aiutò Adrien ad alzarsi e gli porse il vassoio. Con uno sforzo immenso Adrien lo appoggiò sulle ginocchia e cominciò a mangiare piano, faticava persino a masticare, ma aveva fame, davvero molta fame.
-         Cos’è successo?
Domandò bevendo un sorso d’acqua, sentendola scendere fino allo stomaco, fresca. Scolò in pochi attimi l’intera caraffa.
-         Quando i soldati ci hanno attaccato sei uscito allo scoperto per spegnere il fuoco provocato dalle frecce esplosive e sei svenuto. Sei caduto fuori dalla carovana, ma sai come funziona: prima di tutto la missione.
Adrien annuì, non era la prima volta che accadeva.
-         Allora come mai sono qui? Siete tornati indietro per me?
Chiese stupito. Non avrebbe mai pensato che loro potessero rischiare di far fallire una missione tanto importante solo per lui.
-         No. Non l’abbiamo fatto. In quel momento la priorità era portare al salvo Leo. Mentre fuggivamo ci siamo accorti che i soldati non ci seguivano più. Abbiamo pensato che si fossero accontentati di catturare te per interrogarti e tutti noi abbiamo sperato che tu morissi prima che ti torturassero. Ma non è stato così, fortunatamente. Poco più avanti si sono fermati anche i nostri cavalli e spaventati, temendo un’imboscata o qualcosa del genere, abbiamo guardato fuori.
Enea si interruppe, sembrava che la cosa lo scioccasse ancora.
-         E poi? Cosa c’era?
Lo incoraggiò Adrien, preso da un’improvvisa curiosità.
-         Be’, c’era Ame.
Il cuore di Adrien perse un colpo. Non era possibile.
-         Ame? Ma è al Confine, con Bashir! Vuoi dirmi che è qui, ora…?
-         No, non mi fraintendere. C’era una copia di Ame. Una copia fatta di ghiaia e acqua. Ci ha fermato, ci ha rimproverato per averti lasciato indietro e poi il ramo di un albero si è allungato fino a raggiungermi e sopra c’eri tu. Dopodiché è svanita. Eravamo sconcertati, non capivamo come avesse fatto. Poi siamo ripartiti e siamo tonati qui. Jenna ti ha curato e ha risistemato tutti, anche l’elfo.
Concluse Enea, sospirando.
Per alcuni istanti nella stanza calò il silenzio più completo. Poi Adrien mise da parte il vassoio vuoto e guardò Enea negli occhi.
-         Vuoi dirmi che… ha usato i poteri da un’altra dimensione?
Non capì quanto fosse assurda la cosa finché non la espresse ad alta voce.
-         Io… Credo di sì.
Enea era ancora scioccato, mentre Adrien era letteralmente incredulo.
-         Ma come?
-         Non lo so. Forse lei ha poteri davvero immensi, più di quel che pensiamo, Adrien. Con lei battere Wareck sarà possibile.
-         Non so… è una cosa così difficile da credere…
-         Adrien, era lei, ne sono sicuro. Ti ha salvato la vita.
-         Di nuovo.
Aggiunse Adrien con un sospiro, mentre la tristezza gli stringeva il cuore. Da quando era la donzella a salvare il cavaliere? Sospirò e si appoggiò alla testiera del letto.
-         Quando la rivedremo?
-         Non lo so, ma visto quello che sa fare, non penso manchi tanto.
Sorrise Enea.
- Invece cosa mi dici del fratello, Leo?
Enea alzò gli occhi al cielo, esasperato.
-         È un pazzo furioso. Non so cosa gli abbia detto Wareck, ma ci accusa di aver fatto catturare Ame. Non ci crede quando gli diciamo che è al sicuro, pensa che siamo noi i nemici. Ha cercato di attaccarci più volte. Quando Lou ha rotto il sigillo di Erin per sostituirlo con uno suo si è trasformato. Ci sono voluti parecchi ribelli per evitare che facesse danni. Jenna l’ha sedato, ma ora si è svegliato e insulta tutti quelli che vede. È parecchio diverso da Ame. È testardo da morire. E stupido, anche.
Sospirò Enea.
Adrien sorrise un poco. Immaginava Ame in versione ragazzo urlare a destra e manca. Poi qualcosa bloccò la sua ilarità.
-         Come pensi che abbiano svegliato il Serpente Marino? Serve un trauma.
Enea fissò Adrien, prima di rispondere.
-         Leo ci ha detto, o meglio urlato, che gli hanno mostrato quello che hanno fatto ad Ame quando era prigioniera.
Il sangue di Adrien si congelò nelle vene. Nei suoi incubi peggiori aveva sognato quelle immagini, ma erano solo incubi, finzioni. Leo aveva visto quello che avevano fatto davvero alla sorella. Aveva visto le vere immagini di quello strazio. Le vere urla di Ame. Il sadismo dei suoi aguzzini. Desiderò poter avere Ame lì con sé, abbracciarla. Poi si diede dello stupido, ne aveva avuta la possibilità ma l’aveva sprecata. Sospirò.
-         E nemmeno così capisce chi è per davvero il nemico?
-         No, a quanto pare hanno rinchiuso l’aguzzino di Ame per motivi loro e Leo è convinto l’abbiano fatto per quello che le ha fatto. Pensa che sia ancora colpa nostra, anche se non capisco il suo ragionamento. Si calmerà quando vedrà Ame.
Considerò Enea, prendendo il vassoio vuoto e dirigendosi fuori dalla stanza.
-         Vorrei parlargli.
Esordì Adrien, Enea si bloccò sull’uscio.
-         Ne sei sicuro? Lo sai che effetto possono avere le Belve sui membri del proprio clan.
-         Sì, ne sono sicuro.
Enea sospirò e Adrien si alzò con grande fatica dal letto e lo seguì.
 
Ame seguì Bashir in una stanza sotto il tempio. L’aria era fresca e asciutta e le accarezzava dolcemente la pelle. Gray ed Elettra le stavano accanto, in silenzio. Bashir le aveva raccomandato di portare la sua spada, che ora era infoderata e legata al fianco.
I tre ragazzi si fermarono all’entrata della stanza circolare e ampia, mentre Bashir avanzava, recitando una bassa cantilena, sembrava un canto sacro. Mentre camminava, Ame notava che dal pavimento si sprigionavano scintille azzurre, ma sembrava che la cantilena le bloccasse. Arrivò davanti ad una cassa di legno scuro, ricoperta di sigilli magici. Bashir cambiò la cantilena e con dei sonori “tac” i sigilli si ruppero poco alla volta. Bashir la aprì, si voltò e fece segno ai tre di avanzare. Ame guardava dove camminava, temendo che all’improvviso delle fiamme azzurre divampassero e la uccidessero, ma non successe.
Quando Ame lo raggiunse, Bashir indicò la spada e lei la sfilò dal fodero, facendo attenzione a non tagliarsi, gliela porse. Dalla cassa di legno, Bashir estrasse una pietra verde smeraldo e con un tocco la incastonò nell’elsa della spada, come se il materiale di cui era fatta si fosse sciolto, lasciando spazio alla pietra, che brillò una volta finita l’operazione.
-         Questo è un Manufatto fortissimo, forse il più potente. Quando è infoderata crea una barriera protettiva intorno a chi la tiene e se è ferito blocca i danni, permettendo di andare avanti. Quando invece è sfoderata potenzia e amplifica i tuoi poteri.
Spiegò, ridando la spada ad Ame che la soppesò prima di rinfoderala. Era come appesantita dal nuovo potere, come se si fosse rafforzata.
Il Guardiano estrasse poi un ciondolo con una pietra tendente al pervinca. La fece indossare ad Ame e la sensazione di dover indossare di nuovo un ciondolo la lasciò interdetta.
-         Potenzia i tuoi poteri di acqua ed aria e ti permette di piangere senza perdere i poteri. Credimi è utile.
-         Lo so.
Annuì Ame, stringendo tra le mani il ciondolo a forma di goccia. Lo lasciò andare e vide che si sovrapponeva perfettamente alla voglia a forma di lacrima, rimase a bocca aperta.
-         Esattamente come Swami.
Sorrise malinconico Bashir.
Il guardiano afferrò uno spesso e largo bracciale d’argento ricoperto di cuoio al cui centro c’era una pietra dello stesso rosa con cui si tingeva il cielo al tramonto.
-         Questo potenzia fuoco e terra e aumenta la tua velocità.
Ame si infilò il bracciale sul polso sinistro e le sembrò pesare diversi chili, era davvero potente.
-         E per ultima, questa.
Bashir le mostrò un’armatura azzurro chiaro, con tutte le componenti possibili e immaginabili.
-         Oltre a proteggerti, ti consente di diventare invisibile, ma a differenza degli altri Manufatti, questo consuma moltissima energia se attivi le sue funzioni extra. Davvero, sta’ attenta.
Ame prese l’armatura e constatò che pesava più di quella che indossava a kendo.
-         Ma è pesantissima!
-         Quando la indosserai si adatterà a te, tranquilla.
Concluse Bashir.
-         Perché me li dai ora?
-         Perché non c’è altro che posso insegnarti, ormai. Posso solo raccomandarti una cosa: non perdere la calma e segui la strada giusta. Ricordalo sempre.
Sorrise Bashir.
-         E ora?
-         Ora passerai qui la giornata, sistemerai le tue cose e domani ti rispediamo dai ribelli. Posso aprire un portale vicino a dove sono loro.
-         Finisce così?
La voce di Ame era dispiaciuta.
-         Oh, no, mia piccola Discendente. Ci vedremo spesso, credimi. Non è che l’inizio di un lungo e travagliato percorso.
Commentò Bashir, con un sorriso paterno.
-         Che mi porterà a Saurus?
Domandò Ame esitante.
-         Sì, ti porterà a lui, passando per prove dolorose e difficili. Ma Swami ha scelto te per reincarnarsi, avrà avuto un motivo per farlo, Ame.
Bashir sorrideva ancora, un sorriso rassicurante, come se davanti a un precipizio ci fosse un saldo ponte, pronto a sorreggerti.
-         Grazie, Bashir.
Sorrise Ame e lo abbracciò sentendo le lacrime pungerle gli occhi e, grazie al ciondolo, poteva lasciarle finalmente scorrere, era davvero utile.
Bashir era sorpreso per quel gesto d’affetto e, imbarazzato, ricambiò l’abbraccio, poi Elettra si tuffò tra loro, trascinando con lei un riluttante Gray. Dopo poco Ame si staccò e asciugò le lacrime da tempo trattenute, era una liberazione immensa. Poi, senza che lei volesse, ripresero a scorrerle sulle guance arrossate. Tutto quello che aveva provato, frustrazione, tristezza, disperazione, rabbia e speranza, ora era mutato in calde lacrime. Singhiozzò portandosi le mani al volto. Elettra l’abbracciò, mentre Gray la guardava scioccato, non si spettava una simile reazione. Bashir le offrì un fazzoletto di stoffa e lei si asciugò il volto. Sussurrò un “grazie” con un filo di voce e si calmò.
-         Ora si che sto meglio.
Ame si sforzò di sorridere, senza un gran successo, ma il volto era più sereno, si sentiva libera, benché fosse incatenata al suo dovere.

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Capitolo 58
*** Chiarimenti e saluti ***


Capitolo LVIII:
“Chiarimenti e saluti”

  Leo era legato ad una sedia. Una corda spessa lo teneva fermo, impedendogli di dimenarsi come avrebbe voluto. Il tipo con i capelli rossi, Enea, gli aveva ficcato in bocca uno straccio per non sentire più i suoi insulti. Ora lo mordeva e cercava di sputarlo fuori, ma per qualche ragione gli riusciva difficile. Cercò di liberarsi dalla corda stretta, ma si sfregò dolorosamente la pelle e ci rinunciò.
La porta della stanza si aprì piano e il tipo coi capelli rossi entrò seguito da un ragazzo poco più alto di lui, dai capelli biondi, scompigliati, come se si fosse appena svegliato. Leo notò che indossava un pigiama. Si era davvero appena svegliato, eppure era già pomeriggio. Quando il ragazzo incrociò il suo sguardo, spalancò gli occhi, sorpreso.
-         Ma come l’avete conciato?!
-         Te l’ho detto che non se ne stava buono.
Grugnì Enea, fulminando Leo con lo sguardo. Era evidente che non provava molta simpatia per lui.
Il biondo sbuffò, con la mano destra si spostò i capelli che ricadevano leggeri sul viso, aveva il braccio fasciato. Si avvicinò a Leo, gli tolse lo straccio dalla bocca e un fiotto di saliva si riversò a terra, era una cosa disgustosa, eppure i due ragazzi non cambiarono espressione, né sembrarono schifati.
-         Razza di idioti! Liberatemi!
Sbraitò Leo, divincolandosi sulla sedia.
-         Uhm… forse è meglio se non ti slego, sembri un po’ troppo arrabbiato.
Considerò il biondo, con un sospiro.
-         Mi avete rapito!
Li accusò Leo, fissandoli con ira. Il ragazzo in pigiama scosse impercettibilmente la testa, sospirando.
-         Assomigli molto a tua sorella, ma lei è un po’ più ragionevole di te.
Considerò Adrien soprapensiero, fissando attentamente Leo.
-         Non parlare di mia sorella! Non la conosci!
Leo digrignò i denti, strattonò ancora le braccia e questa volta le corde lo ferirono, facendo uscire del caldo sangue rosso dai graffi.
-         Perfetto, ora dobbiamo anche medicarti.
Borbottò Enea, uscendo a cercare delle bende pulite.
Quando la porta si richiuse alle sue spalle, Adrien prese una sedia e la portò di fronte a Leo. Vi si sedette con calma, guardandolo senza rabbia o irritazione. Sembrava quasi guardarlo con… compassione.
-         Conosco Ame. Credimi.
Negli occhi azzurri del giovane c’era del dolore. Leo si calmò, capiva che quel ragazzo non aveva cattive intenzioni.
-         Mi chiamo Adrien, faccio parte del clan dell’acqua. Sono un ribelle da quando avevo quindici anni. Ho visto parecchia gente morire, anche mio fratello, ho visto i corpi senza vita dei miei genitori. Ho conosciuto tua sorella qualche tempo fa. Lo sai che è la Discendente?
Domandò con lo stesso tono piatto e distaccato con cui aveva elencato le sue tragedie familiari. Leo annuì.
-         Mi hanno detto qualcosa, sì.
-         Non so se ti hanno detto tutto, in ogni caso devi sapere che abbiamo portato noi qui Ame, in modo che ci aiutasse contro Wareck.
-         Ma siete voi ad averle fatto il lavaggio del cervello! È per questo che ora Wareck la deve tenere incarcerata! Voi… voi siete…
Non riusciva a finire la frase. Adrien lo guardava con uno sguardo calmo e sincero, lo stesso sguardo di una persona buona. Lo sguardo che aveva visto in Morrigan,  lo stesso sguardo tormentato che aleggiava sul volto di Aaron ogni volta che lo incontrava. Così diverso da quello sadico di Wareck.
-         Noi le abbiamo chiesto di scegliere se aiutarci o tornare nella sua dimensione, è stata lei a scegliere di rimanere. Non l’abbiamo forzata.
-         Ma perché allora non l’aiutate? Perché non la liberate? Insomma, avete salvato me.
-         Ame è già al sicuro.
-         Cosa?!
Leo strabuzzò gli occhi.
-         Sì, da un bel po’, credimi. Alcune settimane, almeno.
-         Ma come…?
-         Si trova al Confine, te ne hanno parlato?
Leo annuì, ricordava qualcosa.
-         Il Confine è dove il Guardiano controlla e sorveglia le dimensioni.
-         Esatto.
Adrien piegò le labbra in un sorriso caldo e radioso.
-         Si sta allenando per distruggere Wareck, presto la rivedrai, tornerà tra poco tempo.
-         Davvero?
-         Sì, davvero.
Leo si sentì sollevato, era strano, ma si fidava di quel ragazzo in pigiama.
-         Sei amico di Ame?
Domandò poi.
-         Direi di sì. Mi ha salvato la vita due volte.
Lo sguardo di Adrien si incupì un poco. Ora avevo lo stesso identico sguardo di Aaron.
-         Sul serio?
-         Sì. La prima volta ci stavamo allenando insieme, dei soldati di Wareck ci attaccarono, mi colpirono alle spalle e lei patteggiò con loro: si sarebbe consegnata se le davano la possibilità di guarirmi, ed è stato così. Ero svenuto, altrimenti non l’avrei permesso.
-         Lei… si è lasciata catturare?
-         Sì. Quando l’ho rivista, un po’ di tempo fa, mi ha detto che a metà strada aveva cercato di scappare, ma non ci era riuscita.
-         Allora è stato quando…
Leo impallidì, Adrien gli leggeva negli occhi a cosa stesse pensando. Alle torture, ai dolori che aveva visto infliggere alla gemella.
-         Mi dispiace. È colpa mia.
Sussurrò Adrien.
-         No, non è colpa tua.
Leo sembrò di colpo stanco.
-         E la seconda volta?
-         Quando abbiamo salvato te.
-         Cosa?
Leo era confuso.
Prima che Adrien potesse spiegare la porta si aprì ed Enea entrò con delle bende e degli unguenti.
-         Niente urla?
Domandò sorpreso, avvicinandosi a Leo, che cambiò velocemente espressione, squadrando Enea.
-         Mi sa che non gli sei simpatico.
Considerò Adrien con un mezzo sorriso.
-         Non che mi interessi. Mi posso fidare a slegarlo o prima lo devo tramortire?
Chiese ad Adrien, indicando con il pollice Leo.
-         Provaci e ti sbrano.
Sibilò Leo. Adrien alzò gli occhi al cielo.
-         Slegalo pure, è un bravo ragazzo, gli ho spiegato la situazione e ha capito.
-         Se lo dici tu…
Enea liberò Leo, osservandolo come se fosse stato un cane pronto a mordere, ma rimase immobile.
-         Ammirevole, davvero.
Commentò Enea, spalmando l’unguento sui graffi sanguinanti, poi fasciò con delicatezza inaspettata le braccia del ragazzo.
-         Grazie.
Borbottò Leo, mantenendo uno sguardo freddo.
-         Figurati.
 


  Ame era seduta sulla spiaggia. Ora riusciva a controllarsi abbastanza da gestire la pioggia. Dopo giorni di temporali, splendeva un sole caldo e piacevole. Aveva le gambe immerse nell’acqua salata, fresca.
I capelli corti ondeggiavano al vento, era tutto così stranamente calmo. Sentì dei passi leggeri e dopo poco Crystal le si sedette accanto.
- Allora, come va?
Ame si girò verso di lei, sorridendo.
-         Direi bene. Tu cosa farai?
-         Rimarrò qui ad allenarmi con Gray ed Elettra, poi il giorno della guerra vi raggiungeremo.
I capelli biondi e sottili le incorniciavano il viso pallido, illuminato dal sole.
- Rivedrò un bel po’ di persone durante la guerra, mi sa.
Sospirò Ame, sdraiandosi sulla sabbia.
-         Parli di Aaron?
-         Sì.
Bisbigliò Ame, fissando il cielo azzurro. Una nuvola passava lenta in quel momento, oscurando il sole.
-         Lo affronterai? Se sarà necessario, dico.
-         Ho scelte?
Sospirò Ame, girandosi verso di lei.
-         Sì, puoi sempre scegliere. È per questo che combattiamo.
Ame tornò a fissare il cielo, il solo pensiero di dover affrontare Aaron le stringeva il cuore in una morsa dolorosa. L’immagine di loro due, uno contro l’altra, in guerra era insopportabile.
-         Se sarà necessario per arrivare a Wareck, sì. Non per questo ho intenzione di ucciderlo.
I capelli di Ame si erano riempiti di sabbia, ma non le importava molto.
- Elettra sta preparanando la cena per questa sera, l’ultima che passerai con noi, eh?
- Già. Non dovreste disturbarvi tanto.
- Dimmi un po’, non vedi l’ora di tornare dai ribelli?
- Sì, a dire il vero. Ormai sono come una famiglia per me. In più ora c’è Leo, sono mesi che non lo vedo. La mia vita di prima sembra così distante. Tutti i problemi che mi facevo per la scuola, per gli amori non corrisposti... sembrano così lontani.
- Lo capisco. Anche la mia vita prima di Wareck mi sembra davvero lontana. In un certo senso lo è, ma so che è irrecuperabile. A te basta sopravvivere e riavrai tutto ciò che avevi.
Considerò Crystal, gli occhi velati di lacrime.
-         Non ho mai visitato la tomba di Denny, ne quella della mia famiglia. Imprigionata per anni, ho sofferto così tanto che pregavo di morire, ogni singolo giorno. Ora invece sono qui, su una spiaggia, viva e vegeta, sola.
-         C’è Lou…
-         Lo so, ma per entrambe sarà difficile rivedersi. Assomiglia tanto a Denny, sai? Avevano preso dal padre, Erin invece è identica alla madre.
Lo sguardo di Crystal vagava indietro nel tempo, triste.
Ame si alzò a sedere e appoggiò una mano sulla spalla di lei. Da quando era arrivata lì aveva conosciuto solo persone che avevano sofferto, nessuno di loro era scampato alla guerra. La morte era una costante della loro vita.
-         Com’era prima? Prima che Wareck prendesse il governo?
-         Oh, era davvero bello. Non perfetto, ma eravamo tutti sereni e felici. Però il governo era irrimediabilmente corrotto, lo sapevamo tutti, ma io avevo da poco finito l’addestramento e potevo fare ben poco per sistemare le cose. In più non avevo davvero il potere di sistemare le cose, lo avevi tu, ma tu eri una bambina in un’altra dimensione. Così Wareck ha pensato che fosse compito suo.
La rabbia nella sua voce era evidente. Strinse i pugni e per un istante Ame intravide la guerriera che doveva essere stata un tempo, la giovane Discendente. Poi la malinconia tornò ad offuscarle lo sguardo, spegnendo ogni sua emozione.
-         Ma ormai a cosa serve?
Bisbigliò tra sé, alzandosi.
-         È pronta la cena!
Ame si voltò, Elettra aveva urlato dalla finestra della cucina, si alzò e si diresse con Crystal alla capanna.
Gray era seduto a tavola, le braccia incrociate al petto. Era intento ad osservare con interesse scientifico la cena. Ame seguì il suo sguardo e rabbrividì. Una poltiglia marrone era servita in ogni piatto, informe. Ame incrociò lo sguardo di Gray.
-         Ultima prova: se sopravvivi a questo, sei pronta alla guerra.
Commentò serio, indicando il piatto.
Elettra sbuffò e lanciò il mestolo di legno contro il ragazzo, che lo scansò all’ultimo. Colpì il muro di legno, imbrattandolo.
-         Idiota. Mangia e fai silenzio, o la prossima volta lancerò un coltello.
-         Non aspetto altro.
Sorrise Gray, mentre Ame si sedeva e osservava il piatto.
Non capiva cosa ci fosse dentro. Forse fagioli, carne trita, pomodori… non lo sapeva. Prese una cucchiaiata di poltiglia e l’assaggiò. Era deliziosa.
-         Ma… è buonissima!
Esclamò stupefatta.
-         Perché? Credevi forse il contrario?
Indagò Elettra con aria minacciosa.
-         No, davvero.
Si affrettò a dire Ame.
-         Codarda.
Tossicchiò Gray.
Ame lo fulminò con lo sguardo, ma Elettra non sembrò sentirlo. Prese il suo boccale di birra e lo alzò.
-         Alla nostra ultima serata tutti insieme! Ad Ame!
Gli altri la imitarono, brindarono e bevvero la bevanda fresca e dissetante. Ame si obbligò a sorridere, cominciava a non poterne più degli addii.

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Capitolo 59
*** Fratello e Sorella ***


Capitolo LIX:
“Fratello e Sorella”

  Erin aveva la testa bassa, era immobile, inginocchiata davanti a Wareck, che camminava irrequieto per la stanza. Aveva passato due giorni d’inferno in infermeria, mentre Rose la disintossicava dal veleno, ma tutto quel dolore era niente, in confronto alla profonda paura di quel momento. Non solo si era lasciata battere da un ribelle e due miseri elfi, ma aveva lasciato che portassero via Leo. Wareck aveva riposto molte delle sue speranze su di lui, nella guerra, ma ora era solo un temibile nemico in più per i ribelli.
- Come pensi che dovrei prenderla? – Domandò rabbioso ad Erin.
- Non lo so, signore. – Le tremava la voce, lei che non aveva mai avuto paura in vita sua, ora tremava.
A Wareck importava ben poco che lei fosse sua figlia adottiva, o che fosse la prima volta che avesse fallito, gli importava solo delle perdite subite e, molto probabilmente, se non fosse stato per la necessità che aveva di avere Erin tra le sue fila nella guerra, l’avrebbe uccisa al momento. Erin ne era conscia, ma quel pensiero non l’aiutava, probabilmente l’avrebbe mandata tra le prime file in combattimento, in modo che morisse più facilmente.
- Sciocca ragazza, con la tua stupidità rischi di complicare le cose più del necessario! I ribelli ora hanno ben tre Belve Sacre, la Discendente e presto chiederanno manforte ai draghi. Sono già alleati con gli elfi! Non possiamo permetterlo. Riferisci alle ninfe di bloccare tutti, e dico tutti, i passaggi che portano alle Montagne Rocciose, manda qualcuno che lo riferisca anche agli orchi, in modo da bloccare ogni possibile valico. Dopodichè esigo che Febe firmi un’alleanza con noi, altre creature potrebbero aiutarci, vedendo che le ninfe ci supportano. Ora va’ e portami presto delle risposte! - Sbraitò infine congedandola con un gesto secco della mano.
A occhi bassi Erin mormorò un assenso e tenendo lo sguardo fisso a terra per la vergogna se ne andò dalla stanza. Wareck si lasciò andare sul trono, stanco e provato. Con l’indice e il pollice della mano destra si massaggiò gli occhi, non ne poteva più. Non sapeva più a chi chiedere aiuto. Aveva sempre creduto che il suo regno non avrebbe avuto fine.
Un lieve bussare alla porta lo riscosse e si raddrizzò, cercando di darsi una certa compostezza. – Avanti. – Ordinò scocciato.
Aaron aprì la porta e una volta entrato la richiuse alle sue spalle. Indossava la divisa da generale per le grandi occasioni, era completamente sbarbato e ordinato.
- Come mai sei venuto? – Domandò il Traditore, infastidito.
- Volevo solo ricordarvi che oggi si tiene la festa in onore di vostra figlia, che vi attende nella sala da pranzo. – Spiegò Aaron. Sembrava sentirsi fuori posto.
- Va bene, avvisala che scenderò tra poco.
Aaron annuì e usci dalla stanza, sollevato.
Wareck fece per andare nelle sue stanze, quando un cupo bagliore in uno specchio lo attirò. Si avvicinò cauto, ma vide soltanto la sua immagine riflessa.
Si accorse per la prima volta dei segni che il tempo aveva lasciato sul suo viso: le rughe scavavano linee sottili sulla fronte, lo sguardo era indurito e scuro, così diverso da quello acceso che aveva da giovane. Le labbra erano congelate in una smorfia di rabbia e di disprezzo. L’ultima volta che aveva sorriso sul serio era stato quando Raissa era ancora in vita.
- Cosa posso fare? – Domandò a se stesso.
La sua immagine vacillò nello specchiò che si oscurò, divenne nero e confuso. In fondo a quelle tenebre vorticanti, intravide due occhi del colore dell’oro fuso, le pupille verticali e sottili come quelle di un rettile.
- Io posso aiutarti. – Si offrì una voce tremenda e cavernosa, profonda e pericolosa, che sembrava nascere dagli incubi più profondi dell'animo umano.
 


  Leo era seduto a tavola accanto ad Adrien, mentre tutti i ribelli lo fissavano. Molti lo guardavano con una certa curiosità, altri con una sorta di incredulità: era lui il Serpente Marino? Come poteva esserlo?
Leo sbuffò annoiato e cercò di evitare di guardare male tutti quelli che lo fissavano, tranne Enea. Leo l’avrebbe sempre guardato male.
Adrien gli passò una mela, mentre Emy raccontava euforica del successo che aveva avuto lo spettacolo.
- Emy, sul serio, sono felicissimo per te, ma ora non dovremmo organizzarci? – Sbottò alla fine Enea, stanco di sentirla parlare. Adrien trattenne un sorriso, era stato così facile abituarsi al fatto che Emy parlasse di nuovo, da dimenticarsi del fatto che fosse rimasta in silenzio per diversi anni.
Emy alzò gli occhi al cielo e rimase in silenzio. Lou appoggiò il torsolo della mela che aveva appena finito e guardò Enea.
- Di quale piano parli? Finché Ame non torna siamo in una situazione di stallo. – Gli fece notare.
- Lo so, ma dobbiamo pur fare qualcosa, no?
- Potremmo cercare quale strada prendere per arrivare alle Montagne Rocciose, ma la questione è difficile. – Intervenne Noah. – Dal Bosco delle Ninfe non si parla nemmeno di passare, tanto più per i territori degli orchi. Ci sarebbe il fiume Kahe che passa tra i due, ma sono abbastanza sicuro che le ondine siano dalla parte delle ninfe. La cosa migliore sarebbe arrivare dall’alto, ma ci sono due problemi: nessuno di noi, a parte Ian, ma è troppo piccolo, sa controllare l’aria, in più i draghi sarebbero autorizzati ad attaccarci. – Mentre parlava disegnava con le dita sul tavolo una mappa immaginaria e tutti lo seguivano in silenzio.
- Non per questo dobbiamo arrenderci. Ci sarà un modo ne sono sicuro. – Affermò Enea.
- La scelta meno rischiosa probabilmente è passare per il regno degli orchi. Certo, sono sanguinari e folli, ma sono stupidi, le ninfe sarebbero un ostacolo ben peggiore. – Considerò Adrien.
- Ma gli orchi sono tanti, troppi, probabilmente. Rischiamo di farci ammazzare da un branco di imbecilli armati fino ai denti. Non è una gran fine. – Considerò Lou.
- Per costruire un tunnel sotterraneo ci vorrebbe troppo tempo, anche con i membri del clan della terra, in più per evitare di destare sospetti bisognerebbe lavorare a profondità impressionanti, non so se ne vale la pena. – Si accigliò Enea.
Leo li ascoltava senza capire, non che la cosa gli interessasse più di tanto, ma sarebbe stato bello avere un’idea di quello che dicevano. Invece per lui quelle cose non avevano senso. Voleva solo rivedere Ame, le mancava davvero. Voleva accertarsi che quello che Adrien aveva detto era vero, voleva esserne sicuro.
- Ti dico che passare per il fiume è troppo pericoloso! – Stava protestando Noah.
- Cosa preferisci, una freccia d’osso nel cervello, forse?! - Ringhiò Enea.
- Sempre meglio che morire affogati!
Enea stava per ribattere, quando un tuono fragoroso squarciò l’aria. Per un attimo tutti rimasero nel più completo silenzio. Quasi spaventati da tanta forza. L’aria era carica di elettricità e tensione, Leo lesse sui volti di ogni ribelle un misto d’ansia e di aspettativa.
- Pensi…? – Adrien si girò verso Enea.
- Non lo so. – Riuscì solo a dire quello.
Jenna prese un coltello da cucina e lo infilò nella cintura di cuoio. – Vado a vedere. - Si avviò verso la porta e dopo poco scomparve. Lo sguardo di Lou corse al viso di Emy, alla ricerca di un indizio, ma la vide solo sorpresa non lasciava trapelare indizi soddisfacenti. Sembrava forse sconvolta, intimorita quasi, ma non preoccupata.
- È estremamente forte… - Sussurrò solo.
Passarono minuti interminabili, nessuno osava aprire la bocca o muoversi, ma tutti erano pronti a prendere le armi in caso di necessità. Leo sentiva la tensione crescere istante dopo istante, vedeva i muscoli tesi di Adrien, pronti a scattare.
La porta si aprì piano in un cigolio poco rassicurante, dallo spiraglio si vedeva solo la flebile luce delle candele attaccate alle pareti.
Mano a mano che la porta si apriva, la figura di Jenna si mostrava di nuovo.
- Tranquilli, va tutto bene. – Sorrise radiosa. Si girò per parlare a qualcuno dietro di lei. – Vieni avanti, non preoccuparti.
Jenna si scostò e sulla porta comparve Ame, indossava una lunga maglia bianca, dei pantaloni morbidi dello stesso colore. La spada era fissata al fianco sinistro con una cinta, al polso sinistro aveva un bracciale di cuoio, al collo un ciondolo iridescente. Il suo viso, la sua espressione, la postura, tutto era diverso, più imponente, più maestoso ed elegante e dalla sua figura si sentiva la forza di una guerriera. Lei era la Discendente.
- Ame! – urlò Leo alla sorella, mentre gli altri erano ancora sbalorditi. Ame girò lo sguardo nella sua direzione, l’espressione era un misto di gioia  e commozione. Leo si alzò in piedi e le corse incontro, l’abbracciò stringendola più forte che poteva.
- Leo, ti prego, mi stai soffocando. Sul serio, lasciami Leonardo! - Protestò Ame debolmente. Leo lasciò la presa, ma tenne le mani sulle spalle di lei.
- Stai bene, allora è vero. – Gli occhi di Leo si annebbiarono, riempiendosi di lacrime.
- Sì, sto bene. Tu invece? Come stai? – Chiese Ame sorridendogli commossa.
- Direi bene, anche se sono indietro con praticamente tutti i compiti delle vacanze. – Ridacchiò Leo.
- Idiota! – Ame gli tirò un pugno sul braccio con affetto fraterno.
Era strano rivederlo dopo così tanto tempo, in un mondo così diverso dal loro, e il fatto che entrambi stessero bene era un miracolo.
- Cavoli Ame, hai i capelli più corti dei miei. – Notò Leo sorpreso.
- Già, è una storia lunga… - Sospirò Ame.
- Credo di conoscerla. – Il volto di Leo s’incupì.
- Ehi, ora è il mio turno di salutare Ame, non credi? – Li interruppe Adrien, evitando ai due di ricordare momenti dolorosi.
Ame lo guardò e gli sorrise, tra tutti i ribelli, Adrien era di certo quello con cui si trovava meglio, era uno dei suoi più cari amici ormai.
Ame si accorse, però, che tutti la stavano guardando, così si schiarì la voce per fare un discorso ai ribelli.
- Volevo ringraziare ognuno di voi per il sostegno e la fiducia che riponete in me. Vi ringrazio per aver salvato mio fratello, vi devo la vita. Vi giuro che farò in modo che il governo di Wareck finisca, riporteremo questo mondo ad una condizione migliore, lo giuro. Vi ringrazio ancora di cuore per tutto quello che fate per me e per la causa. Grazie. – Ame chinò il capo verso i ribelli, gesto che fu accolto con sorpresa.
- Dai, ora vieni a mangiare qualcosa. – Adrien la guidò al tavolo dove erano seduti gli altri, Lou l’abbracciò con affetto, così fece Emy e persino Enea. Il piccolo Ian le saltò in braccio e tutto sembrò dolce e famigliare. Si sedette tra Leo ed Adrien,  raccontando dell’esperienza vissuta al Confine, di Swami e di Saurus.  Raccontò aneddoti divertenti e il senso di smarrimento che aveva avuto la notte prima che loro soccorressero Leo.
- Devo proprio chiedertelo Ame, come hai fatto a salvare Adrien? Eri in un’altra dimensione. – Chiese Enea.
- Io l’ho fatto perché volevo, non so spiegare come, sinceramente. Vi guardavo da un recipiente speciale che ha Bashir e ho pensato di aiutarvi, tutto qui.
- Capisco, o meglio, ci provo.
Mentre gli altri riprendevano discorsi diversi, Leo le strattonò un braccio.
- Cosa c’è?
- Volevo solo chiederti una cosa, tra te e il generale Aaron, c’è qualcosa?
Ame lo fissò alcuni istanti, come l’aveva capito?
- Sì, ci amiamo. Ma finché la guerra non finisce rimaniamo nemici, per così dire. – Spiegò Ame.
- Capisco. L’avevo capito. È un bravo ragazzo, sai? Credo che ti ami sul serio.
- Come lo sai?
- Mi chiedeva spesso di te, di raccontarmi qualcosa della nostra vita prima di venire qui. All’inizio credevo lo facesse per motivi militari o roba del genere, poi ho capito la verità. Mi ha sempre protetto, anche se Erin mi aveva in custodia, lui la sorvegliava sempre. Probabilmente voleva farmi tornare da te illeso. – Sorrise Leo.
- Ne sono davvero felice. Lo amo davvero tanto.
Adrien aveva sentito il discorso e rimase in silenzio, mentre una fitta di dolore gli trafiggeva il cuore.



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Spazio autrice:
Mi dispiace di essere stata assente per così tanto temppo, ma tra scuola e impegni vari ero sempre impegnata.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di non avervi deluso.
A presto,
Filakes

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Capitolo 60
*** Strategie ***


Capitolo LX:
“Strategie”
 
Febe era seduta su un sedia in cristallo, vicino alla finestra che dava sul Bosco. Guardava avanti a sé, persa in antichi pensieri. Ricordava lo splendido rapporto che aveva con Raissa. Avevano la stessa età, frequentavano le stesse persone. Ricordava ancora come Raissa aveva rifiutato il posto di sovrana per sposare un umano, Wareck e lo aveva lasciato a lei.
— So che lascio il Regno in ottime mani. — Aveva detto ai consiglieri.
Quando la piccola Morrigan era nata, era andata a trovarla. Il suo volto splendeva di una luce dolce e nuova, una luce che era convinta non si sarebbe mai spenta. Quella era stata l’ultima volta che l’aveva vista. A causa degli impegni esorbitanti che aveva da sovrana, dalle pressioni del consiglio e dalla guerra contro i draghi, non era più riuscita a vedere Raissa, e lei era morta. Era un corpo muto, cenere sparsa al vento, polvere nella terra. Sentì una lacrima ghiacciata solcarle la guancia, ma non l’asciugò, lasciò che le cadesse inerme sul suo grembo.
Un’ombra ancora più scura della notte apparve nel cielo. Febe si alzò e aprì l’enorme finestra, tese il braccio e lasciò che il falco vi si poggiasse. Gli artigli le penetrarono la carne e il sangue argenteo gocciolò sul davanzale. Senza fiatare, Febe prese la lettera che l’animale aveva legata ad una zampa.
Lesse le poche e concise righe, scritte in una grafia veloce e tagliente, la scrittura di Erin. Il giorno dopo sarebbero giunti due ambasciatori al suo palazzo per farle firmare un’alleanza con Wareck, in caso di guerra.
— A quanto pare siamo giunti alla fine… — Sospirò ripiegando la pergamena.
Un brivido di ansia e attesa la percorse. Sarebbe arrivato il suo momento di vendicarsi dei ribelli e di Jenna.
 
— Allora, cosa ne pensi?
— Penso che stiamo affrontato il problema dal punto di vista sbagliato. —Rispose Ame.
La ragazza girò la mappa dalla sua parte e la guardò con attenzione. Non si era mai resa conto di quanto fosse grande Pluvia. Era un Mondo pieno di regni e creature, un Mondo troppo grande per essere conosciuto.
— Come dovremmo affrontarlo allora? — Domandò Enea, appoggiato al muro dietro Ame.
— Noi stiamo ragionando su un piano per evitare ogni pericolo e di attirare l’attenzione di ninfe e dei draghi ed è questo il problema. Noi dobbiamo attirare l’attenzione dei draghi.
— Sì, ma solo una volta entrati nel loro regno, in modo pacifico. Non possiamo andare volando.
— Invece io dico che è proprio così che dobbiamo andare. Disorienteremo le ninfe, arrivando armati per via aerea. Eviteremo gli orchi e gli alleati di Wareck. Andremo in pochi, così eviteremo di dare troppo nell’occhio. Non ci attaccheranno finché non atterreremo, i draghi non possono uscire dai loro confini.
— E dopo? Quando atterreremo avremo contro tutti i draghi, affamati e incazzati. — Fece notare Adrien.
— No. Aspetteranno di sentire ciò che abbiamo da dire, non attaccherebbero mai né la Discendente né Leo. — Rispose Ame.
— Io? Cosa c’entro io?
— Bashir, il Guardiano, mi ha detto che l’unica Belva Sacra che si è sempre schierata con i draghi, finché era in questa dimensione, era il Serpente Marino. Se ci sei tu non ci attaccheranno per rispetto alla Belva. — Spiegò Ame.
 — Ne sei sicura?
Ame annuì.
 — Andremo io, Leo, Lou ed Emy. Partiremo all’alba. Sorvoleremo il fiume Kahe, ho bisogno che tu, Adrien, e tu, Enea, restiate qui e coordiniate i vari ribelli che arriveranno. Al nostro ritorno sarà un miracolo se la guerra non sia già scoppiata.
Adrien ed Enea la guardarono sbalorditi. Ame incrociò il loro sguardo furente e subito si spiegò.
— Ho bisogno di Emy perché è l’unica che può capire se sia meglio battere in ritirata o insistere ed ho bisogno di Lou poiché può controllare il fuoco dei draghi. Leo lo sapete già. Inoltre voi siete ottimi strateghi, è necessario che organizziate le truppe e abbozziate una strategia. Siamo alle porte di una guerra fratricida e se vogliamo evitarne altre dobbiamo vincere questa. Non posso rischiare che voi perdiate la vita solo perché vi voglio con me. In questa missione sareste superflui. — Disse schiettamente Ame.
— Hai ragione, ma sareste davvero in pochi. — Fece notare Enea.
— Non è il numero che conta, meno siamo, meno facilmente ci attaccheranno.
Concluse Ame.
Lou si avvicinò ad Enea e gli prese una mano tra le sue. Lo guardò negli occhi ed accennò un sorriso incoraggiante. Dovevano avere fiducia in Ame, dovevano ascoltarla. Era stata lei a portare nuova speranza ed entro poco tempo ogni loro desiderio si sarebbe avverato. La fine delle esecuzioni, la fine della violenza, della fame, della malattia, della povertà. Sarebbero tornati liberi di camminare per le strade senza temere di essere riconosciuti ogni volta che svoltavano in una nuova via.
 La loro vita non sarebbe mai tornata come in passato, ma poteva ancora essere migliore di quella.
Lei ed Enea si sarebbero sposati, avrebbero avuto dei figli, avrebbero cercato di capire e metabolizzare ogni loro ferita, ogni loro perdita. Dovevano, dovevano, vincere. Non poteva essere altrimenti.
Enea l’abbracciò e le baciò la fronte.
—Torna viva, me lo prometti?
— Te lo prometto.
Ame sentì una stretta al cuore. Enea e Lou erano vicini in quel momento e combattevano sullo stesso fronte. Potevano difendersi a vicenda. Anche se uno dei due fosse morto, sarebbero stati uniti dallo stesso ideale, dalla stessa forza. Lei invece sarebbe stata nel fronte opposto a quello di Aaron. Non sarebbe potuta correre in suo aiuto se qualcuno dei ribelli lo avesse attaccato, o peggio, ucciso. Non poteva. Sarebbero stati nemici e non c’era alternativa. Doveva solo sperare di vincere e di vederlo ancora vivo alla fine della guerra. Sarebbe stato possibile? Non ne era sicura, lo odiavano in molti. Troppi.
Leo le appoggiò una mano sulla spalla e le diede un bacio sulla guancia.
 — Tranquilla, non gli accadrà nulla. — Le sussurrò ad un orecchio.
Ame accennò un sorriso al fratello, come faceva a capirla sempre? Gli strinse una mano e si alzò.
— Bene, è ora di cominciare a prepararci.

La notte incombeva su Obsidian. La capitale splendeva di una strana e oscura luce. Wareck era di fronte allo specchio. Il vorticare delle tenebre, gli occhi scintillanti, la voce mostruosa. Non poteva che essere Saurus.
— E se accetto? Come posso fidarmi di te?
Dalle tenebre emerse una risata roca, forzata. Le pupille verticali rilucerono, per un attimo Wareck credette di vedere il viso, o meglio il muso mostruoso, di Saurus.
— Non ti chiedo di fidarti. Abbiamo entrambi lo stesso obbiettivo: uccidere la Discendente. Ti offro parte del mio potere, il mio esercito.
— Non ne ho bisogno. Il mio esercito basterà. — Affermò Wareck, il tono scocciato e piatto. Anche di fronte a Saurus non riusciva ad avere paura.
— E tu sei sicuro che il tuo esercito ti sia fedele? — Insinuò l’altro.
Wareck mantenne il volto impassibile, ma dentro si sentì percorrere da una scarica di rabbia. Saurus lo stava di certo ingannando. Voleva renderlo vulnerabile, voleva farlo dubitare.
— Ne sono certo.
Un’altra roca risata di scherno e l’immagine cambiò. L’oscurità fumosa lasciò il posto all’immagine di una collina.
Due ragazzi erano seduti l’uno di fianco all’altro, mano nella mano e ridevano.
La ragazza aveva i capelli scomposti, arruffati. Aveva il corpo esile coperto di fasciature e lividi. Era la Discendente. Quando Wareck spostò lo sguardo sul ragazzo, sentì spezzarsi qualcosa dentro di lui.
Era Aaron.
La teneva per mano, la baciava, rideva. Quell’immagine risaliva certamente a quando la Discendente era fuggita dal castello.
— Non ti credo. Mio figlio non lo farebbe mai. — Replicò piccato.
L’immagine si oscurò di nuovo.
— Se non credi a me puoi chiedere a tua figlia.
— Erin me lo avrebbe detto.
— Io parlavo di Morrigan.
Il gelo di quelle parole bloccò il Traditore. Lo specchio tornò a riflettere la stanza e l’immagine di Wareck. L’uomo aveva il volto sconvolto e stravolto dalla rabbia.
Chiamò a gran voce il nome di un servo, cercando di non rivelare la rabbia.
— Sì, mio signore?
— Convoca immediatamente i miei figli. Ho urgente bisogno di parlare con loro.
— Subito signore.
Wareck si portò una mano tremante al volto, era alle porte della guerra e non poteva nemmeno fidarsi dei suoi figli.
Gli girava la testa, iniziò ad ansimare. Si tolse la giacca e la gettò sul pavimento, spalancò la finestra e inspirò l’aria fredda e pungente.
Ora calmati.
Wareck riconobbe la voce dell’Arpia. Si guardò le mani da cui erano spuntate delle piume, stava perdendo il controllo. Strinse i denti e si obbligò a tornare normale.
Riprese la giacca da terra e la rinfilò, sistemandola sul petto. In quello stesso istante la porta si aprì e il servo entrò esitante.
— I vostri figli sono qui.
Wareck lo congedò con un gesto della mano e lasciò entrare i figli. Tutti e quattro, Erin, Rose, Aaron e Morrigan, s’inchinarono e mantennero alcuni metri di distanza dal Traditore.
— Vi ho convocati qui questa sera per parlarvi. Ho cresciuto e protetto ognuno di voi. Vi ho amato.
Cominciò, camminando avanti e indietro, osservandoli con attenzione.
— Erin. Ti ho dato la libertà, ti ho liberata dagli assurdi vincoli della tua vita precedente. Ti ho dato una nuova vita.
La ragazza sorrise e si portò la mano al cuore mentre guardava il padre negli occhi. Un gesto di rispetto e fedeltà che Wareck accolse con un sorriso. Sembrava quasi aver dimenticato il fallimento della ragazza con Leo.
— Rose, ti ho guarita, ti ho fatto studiare, ti ho protetta. — La ragazza annuì, sforzandosi di sorridere.
— Aaron. — Wareck si fermò di fronte al ragazzo. — Ti ho accudito, sono stato per te il padre che non hai mai avuto. So che tuo padre era un violento, che aveva ucciso tua madre. So ce tu hai ucciso lui. Così piccolo ti eri già sporcato le mani di sangue per proteggere Rose. Ti ho dato la possibilità di una nuova e dignitosa vita. La tua fedeltà mi colma di orgoglio.
Lo sguardo dell’uomo era glaciale, freddo, furioso.
Aaron annuì e portò la mano al petto, sforzandosi di guardare Wareck negli occhi.
Il ragazzo aveva capito che Wareck sapeva, era al corrente di Ame e di lui. Strinse i denti e abbassò lo sguardo.
— Morrigan, figlia mia. Dalla morte della mia amata Raissa ti ho protetta, ti ho cresciuta, ti ho evitato le atrocità della guerra.
Morrigan sostenne lo sguardo del padre. Non mosse un muscolo, non un gesto, né un sorriso.
— Ho bisogno di sapere del vostro aiuto. Rose, tu supervisionerai la squadra medica. Morrigan, tu coordinerai gli eserciti alleati. Erin, tu guiderai la cavalleria. Aaron, mio caro Aaron. Tu resterai con me nelle retrovie, ho bisogno di qualcuno che mi guardi le spalle.
Aaron annuì, fingendosi entusiasta, ma sapeva benissimo che era solo un modo per tenerlo d’occhio e non solo. Ame avrebbe mirato a subito a Wareck. Voleva che si scontrassero, voleva provare la sua fedeltà.
Aaron strinse i denti, mentre sentiva l’ansia assalirlo. Aveva un’unica scelta.
Doveva morire in battaglia prima che Ame arrivasse da lui.
Non c’erano alternative.
— In più, domani tu ed Erin vi recherete da Febe, le farete firmare un patto d’alleanza per la guerra. Dovrete prestare la massima attenzione, so che i ribelli si rivolgeranno ai draghi. È probabile che con loro ci sia la Discendente. — Concluse.
Annuirono e tutti e quattro uscirono a capo chino dalla stanza.
Aaron si era sbagliato. Wareck voleva provare la sua fedeltà molto prima della guerra.



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Spazio autrice:
Ciao a tutti! Scusate l'assenza prolungata, ma ho avuto parecchi impegni.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, so che dopo tutto questo tempo mettere un capitolo di passaggio non sia il massimo ma siate clementi, vi prego...
Comunque tranquilli, il prossima sarà diverso! :D
Buona serata!

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