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di SanjiReachan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Cloe ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Polvere alla polvere ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Cloe ***


Salve lettori! Volevo dirvi due parole prima di iniziare:
Chiariamo che questa è una fan fiction sulla coppia Timothy McGee/Anthony DiNozzo.  Saranno presenti tutti i personaggi principali ed è ambientata nell’ultima stagione (8°-9°), per farvi capire un po’ i personaggi, ecc…
Parla principalmente di McGee, che attraverso alcune serie di eventi si ritroverà ad approfondire certi sentimenti, come il sentirsi escluso, e comincia a dubitare della sua squadra, che ha sempre considerato come una famiglia. Ma qualcosa di molto potente riesce a fargli aprire gli occhi. Amicizia e amore sono sentimenti molto importanti.
Cercherò di essere più IC possibile e spero proprio di non andare a finire nell’OOC. Anche se dovete capire che non è una cosa semplice considerando questa trama.
So che non si trovano molte fiction su questa coppia, perciò ho deciso di scriverne una io. Chissà, magari vi spronerà a scriverne di vostre.
Vi avverto che i miei tempi di pubblicazione sono lunghi, ma cercherò di postare uno o due capitoli alla settimana.  Detto questo, spero che vi piaccia la storia e che vi divertiate a leggerla quanto io mi diverto a scriverla.
Buona lettura ^^ E mi raccomando, lasciate una recensione! V.v  Baci
 By Rea-chan x3

 

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Capitolo 1: Cloe 

Il telefono squillò varie volte quella domenica mattina. McGee sembrò non sentirlo. Non sentì nemmeno gli svariati messaggi nella segreteria telefonica. Dormiva davvero profondamente, era stata un’orrenda settimana di lavoro e nemmeno una bella dormita gli sarebbe bastata per dimenticarla. McGee si rese conto di essere sveglio quando sentì i tenui raggi di sole che penetravano dalla finestra semi aperta sfiorandogli il volto. Aveva ancora gli occhi chiusi, come per tenerli al riparo dalla fioca luce che c’era nella stanza, cercando di riaddormentarsi nuovamente, ma quando Jethro entrò dalla porta abbaiando capì che non c’era modo di prolungare il suo riposo. Dapprima si mise seduto, era ancora indeciso se ignorare il suo cane e tornare a dormire oppure iniziare una giornata che sarebbe andata persa davanti al computer. Con una mano si stropicciò gli occhi e gettò una rapida occhiata alla sveglia che aveva sul comodino alla sua sinistra. Segnava le otto e mezza.
-Oh, andiamo!- borbottò ricadendo pesantemente sui cuscini, convinto di potersi riaddormentare.
La sua convinzione, però, si dimostrò sbagliata quando di nuovo Jethro si mise a due zampe sul letto leccandogli le caviglie.
-D’accordo, ho capito, mi alzo!- disse Timothy con una voce a metà tra l’arrabbiata e tra la divertita.
Chissà perché Jethro lo aveva svegliato così presto. Di solito la domenica lo portava a spasso sempre un po’ tardi. Non che si svegliasse esageratamente tardi (non si chiamava mica DiNozzo!) ma un po’ più tardi di tutte le altre mattine. Magari il suo cane soffriva di incontinenza quella  mattina. Perché proprio quella domenica?!
Comunque sia, decise di alzarsi cosciente del fatto che non era ancora del tutto sveglio. Si avviò verso il corridoio quando notò qualcosa di veramente strano.
Il suo cane, il suo pastore tedesco, stava a due zampe sul tavolino dove c’era il telefono. Anzi, sbaglio o stava indicando proprio il telefono? No… forse era solo assonnato, per vedere cose che in realtà non esistevano. Probabilmente lo stava solo odorando. Che ci trovava di così interessante?
-Jethro! Togli il muso dal telefono!- disse stancamente Tim, cercando con le dita il grosso muso del suo cane e spingendolo via con poca forza.
Nel farlo evidentemente schiacciò per sbaglio il tasto delle chiamate, perché la sua segreteria telefonica iniziò a dire con voce elettronica:
-Ci sono nuove chiamate. Hai cinque chiamate perse. Ci sono nuovi messaggi. Hai tre nuovi messaggi.-
Tim si cominciò giusto a chiedere di chi fossero quando un lungo “bip” risuonò nuovamente dal telefono.
-Tim, sono Cloe. Disturbo?-
L’agente speciale ridacchiò sentendo la voce della sua cara amica.
-Cloe, tu non disturbi mai.- disse sapendo che non poteva sentirlo.
Andò in cucina e aprì il frigo per preparare la colazione.
-Senti, quando hai un po’ di tempo… potresti venire qui, all’ospedale Ryan C. Hauber? Lo so che sono un po’ di ore di guida ma ho pensato che ti avrebbe fatto piacere vedermi. A me farebbe piacere…- continuò la voce di Cloe attraverso il telefono.
McGee, che stava prendendo il cartone del latte dal frigorifero, si bloccò all’istante. Si stava davvero iniziando a preoccupare dal tono di voce che aveva l’amica. Così… teso, impaurito, così diverso dal solito.
La voce registrata fece una breve pausa, prima di continuare.
-So che non è bello dirtelo così, per telefono. Ma non rispondevi alle mie chiamate. Questa potrebbe essere l’ultima volta che potrai vedermi. Non mi resta più molto tempo. Ti spiegherò tutto appena arrivi. A presto.-
Tim, lasciò cadere il cartone per terra. Dentro di lui si stava svolgendo una feroce lotta. Rimase per una manciata di muniti con occhi sbarrati a fissare lo sportello bianco del suo frigorifero. Cominciava a sentirsi male. Nel petto il cuore si strinse in una morsa, tanto che McGee pensò davvero che avesse smesso di battere. No… Cloe! Non era possibile! Non ora!
In un baleno mollò tutto quello che stava facendo e fece il percorso inverso dalla cucina alla sua camera correndo. Si fermò a metà strada quando sentì un altro “bip” del telefono.
-Timmy, sono Sarah… Dove sei finito? Perché non rispondi alle chiamate? In più hai il cellulare spento. Non importa, senti, solo… corri in ospedale. Io ci sto andando in questo momento. Ti aspetto lì fratellino.-
Un altro “bip” e poi un altro messaggio.
-Tim, sono Casey. Ti chiamo dall’ospedale. Cloe ti sta aspettando. Vieni appena puoi amico.-
Quando la voce registrata informò un’ultima volta, prima di spegnersi, che i messaggi erano terminati, McGee si era già vestito e lavato ed era passato davanti all’apparecchio per spegnerlo.
Era alla guida già da tre estenuanti ore, quando arrivò all’idea di doverne fare ancora due per arrivare all’ospedale. Chissà se avrebbe fatto in tempo. Aveva lasciato Jethro da un vicino ed era corso in auto. Stava facendo più in fretta che poteva. Cioè, se di solito guidava rispettando i limiti, cosa ovviamente giusta da fare (non a parere di Tony, che lo considerava una lumaca), quella volta stava guidando molto di fretta e non si sarebbe meravigliato se gli avessero fatto una multa per eccesso di velocità. Tuttavia Tim non si sarebbe fermato nemmeno se un auto della polizia avesse cercato di fermarlo. Non oggi, non adesso che era importante. La sua Cloe… la sua migliore amica, da quando aveva cinque anni o poco più. Si trasferì a casa sua, con la sua famiglia ai tempi delle elementari. Tim e Cloe avevano subito fatto amicizia, c’era una specie di… feeling tra loro. Facevano di tutto insieme, la ragazza gli aveva perfino insegnato a schiacciare a canestro. Loro erano sempre stati molto legati. Ma la loro relazione non era mai andata oltre l’amicizia. Non che non volesse, ma col passare degli anni Cloe era diventata come una specie di seconda sorella… chi si metterebbe mai con la propria sorella? Anche Sarah ci era parecchio affezionata, anche se era piuttosto piccola.
Purtroppo però, alle medie i due si erano dovuti separare. Cloe si trasferì ancora una volta, e rimasero divisi finché non terminò il liceo. Anche se, tecnicamente, non avevano mai smesso di sentirsi. Chattavano, si telefonavano, a volte Tim la andava a trovare. Si confidavano sempre tutto. La distanza non bastava a separarli.
Una volta, mentre era particolarmente giù di corda, la ragazza gli chiese cos’era successo. Timothy non voleva dirle nulla. Non poteva. Neanche lui riusciva a capire come mai si sentisse così male dentro. O meglio, forse non voleva accettarlo. Non voleva accettare il fatto che la causa dei suoi dubbi e problemi fosse la persona più imprevedibile dell’universo: Anthony DiNozzo.
Non capiva a fondo il perché, ma ogni volta che lo vedeva preoccupato o interessato a Ziva, gli si contorceva lo stomaco. Perché poi? Erano anni che sapeva che a Tony piaceva Ziva. E forse era anche ricambiato, anzi, quasi sicuramente. E li vedeva, ogni mattina battibeccare davanti alla sua scrivania, nascondendo in quegli atteggiamenti gelosia e malizia. Sapeva che stravedevano l’uno per l’altra. Ed era proprio in questi momenti che McGee faceva finta di lavorare al computer, di completare un lavoro o di guardare altrove. Cercava di non guardarli, di farsi gli affari suoi, di essere naturale come al solito, ignorando il fatto che il suo cuore aumentava di velocità, lo faceva sudare freddo e mandava chiari messaggi che prontamente venivano ignorati dal cervello: uccidere Ziva David.
Per carità, a lui piaceva Ziva. Era simpatica e la considerava una specie di alleata in campo contro il Tony-bambino. Quello degli scherzi irritanti, delle battutacce fuori luogo e delle imitazioni dei film.
In fondo, non poteva farci niente. Qualunque cosa avesse fatto, non sarebbe servito a niente. Non a sentirsi parte di qualcosa che non avrebbe mai potuto avere con Tony. Non a essere considerato qualcosa di più di un pivello qualsiasi. McGee non ci pensava quasi più ormai. Buttava nel cestino questi pensieri quando emergevano a galla, e anche le emozioni che riuscivano a sovrastare la sua incontrastata ragione. Anche se quelle erano un po’ più difficili da cestinare.
Ovviamente con Cloe tutto questo non era servito a niente. E come faceva? In una serata gli rivelò tutto quello che aveva dentro da secoli. Del fatto che era perdutamente innamorato della sua migliore amica Abby, ma che aveva capito non avrebbe funzionato, anche per via del suo completo disinteresse. Del fatto che non poteva confidarsi con lei delle strane sensazioni che aveva in presenza di Tony, poiché avrebbe rovinato il loro rapporto. Anche se, e questo lo sapeva, Abby non aveva mai avuto pregiudizi. Né nei suoi confronti, né in quelli di nessun altro.
Ma in quella sera, un altro grande segreto venne a galla: Cloe aveva il cancro.
E lo sapeva già da parecchio tempo. Non glielo aveva mai detto e Tim poteva immaginare perché.
Ricordava ancora come si era sentito. Un orribile sensazione di vuoto lo aveva pervaso, come se tutto quello su cui si era sempre poggiato fosse sparito all’improvviso e lui stesse quasi per precipitare giù da un dirupo. Sapeva che prima o poi sarebbe finito tutto.
McGee lasciò stare quei pensieri quando si accorse che gli occhi gli iniziavano a bruciare. Voleva evitare di pensare al peggio. O almeno finchè non se lo sarebbe ritrovato di fronte.
Tenne lo sguardo fisso sul parabrezza, che a poco a poco si stava riempiendo di piccole gocce d’acqua che schizzavano prepotenti su di esso. Il cielo si rannuvolò di nubi tetre e scure, ed il rumore di tuoni e fulmini attirò la sua attenzione. Tutto intorno a lui sembrava gridare tristezza, come il suo mondo sarebbe stato senza Cloe.
Tim buttò uno sguardo all’orologio sul cruscotto. Mostrava le due meno un quarto. A tentoni, cercò il cellulare nella tasca dei jeans, e quando lo trovò notò che era spento. Tenne premuto il tasto con la cornetta rossa e ogni tanto ci gettava un occhio per controllare se si fosse acceso completamente. Quando la schermata ben nota dello sfondo si fece avanti, vide che aveva sei chiamate perse. Si chiese se era meglio chiamare per avvertire che era quasi arrivato. Ma decise che era inutile quando si accorse che la strada che stava percorrendo lo stava portando al grosso edificio bianco che era l’ospedale.
Trovò parcheggio lì vicino, poi corse verso l’entrata. Appena dentro trovò il classico odore sterile degli ospedali, più un paio di infermiere e persone che camminavano tra i corridoi. Si diresse verso il grosso bancone in fondo alla sala, dove un’infermiera con i capelli ricci e neri lo accolse sorridendo.
-Salve. Come posso esserle utile?- domandò dirigendo la sua attenzione verso un computer lì accanto.
-Ah… salve.- rispose un po’ impacciato Timothy. – Sto cercando una certa Cloe Livingstone. Mi può dire dove posso trovarla?- continuò con più sicurezza.
-Lei è un suo parente?-
-Un amico… molto stretto.- ci tenne a puntualizzare.
-Capisco… attenda un attimo.-
Tim annuì impercettibilmente, mentre la ragazza si allontanò. La vide alzare la cornetta del telefono e parlare. Poi l’infermiera si allontanò il ricevitore dal viso e gli chiese:
-Nome, prego?-
-Emh… Timothy McGee.-
Non sapeva perché ma quando pronunciava questa frase gli veniva sempre spontaneo aggiungere: “Agente speciale, NCIS”.
Sorrise a quel pensiero e quando alzò lo sguardo vide che la ragazza era tornata di fronte a lui.
-Si, Cloe Livingstone, sesto piano, stanza 124. Da quella parte c’è un ascensore.- disse in fine sorridendo cordialmente.
-Grazie.-
McGee seguì l’indicazione andando nel corridoio alla sua destra. Lungo il muro, trovò in effetti le porte di un ascensore che si stavano per chiudere. Guizzò dentro, tenendole aperte giusto il tempo per passare. Vide, per la sua felicità, che all’interno non c’era nessuno, quindi premette il pulsante col numero “6” e aspettò che arrivasse a destinazione.
Quando le porte si aprirono Tim sbucò in un corridoio bianco, lungo le pareti c’erano varie stanze, tutte numerate da un cartellino posto alla destra di ogni porta. C’erano anche alcune sedie e panchine, dove un paio di persone erano sedute o in piedi. Notò che nell’aria c’era una pesante atmosfera di agitazione, ma decise che era solo una sua impressione e si avviò a piccoli passi nel corridoio contando le stanze che stava sorpassando.
 Arrivò in fondo al corridoio, in un tratto particolarmente vuoto. C’erano solo alcune piante e sedie sparse qua e là. Trovò anche una macchinetta per il caffè, e una dell’acqua poco lontane.
Continuò ancora per qualche passo, quando vide una ragazza che camminava nervosamente avanti e in dietro. I capelli castani-rossastri, mossi, si muovevano su e giù sulla schiena ad ogni passo. Portava le dita alle labbra, e se le mordicchiava ogni tanto per via della tensione.
-Sarah.- la chiamò McGee.
-Tim? Per fortuna sei qui!- disse la ragazza bloccandosi un momento prima di camminare velocemente incontro al fratello.
-Va tutto bene?- chiese quest’ultimo abbracciandola.
-Io sto bene… ma Cloe…-
Tim la tenne stretta un altro po’, prima di lasciarla andare e guardarla intensamente nei suoi occhi castano scuro.
-Dov’è Cloe?- chiese lui preoccupatissimo.
-Dentro, con Casey.- rispose lei indicando la porta alle sue spalle.
Tim posò lo sguardo sul cartellino blu accanto alla porta, e sopra era scritto “124” in numeri bianchi.
Percorse la breve distanza che lo separava dalla porta, tenendo sempre gli occhi fissi sul cartellino. Quasi non si accorse di essersi ritrovato davanti al legno marrone scuro dello stipite. Strinse la maniglia dorata con la mano, insicuro sul da farsi. Quando trovò il coraggio di entrare, bussò prima un paio di volte, poi l'aprì. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Polvere alla polvere ***


Salve a tutti, cari lettori! Ecco il vostro capitolo settimanale, come promesso.
Premetto che è stato abbastanza faticoso… soprattutto perché non so esattamente come si presenti la malattia del cancro, e ho dovuto basarmi su qualche notizia pescata qua e là, e la mia immaginazione.
Se avete dubbi o qualche cosa da farmi notare, non siate timidi. Come al solito, vi chiedo solo di RECENSIRE. Perché ci terrei tanto a sapere il vostro giudizio. Perciò vi chiedo, quando finite di leggere, scrivetemi ciò che ne pensate.
Grazie. Buona lettura. By Rea-chan x3

 
Capitolo 2:  Polvere alla polvere

La prima visione che ebbe Timothy quando aprì la porta, fu quella di una sagoma sotto le lenzuola bianche del lettino, coperto dalla schiena di un ragazzo alto dai capelli biondi.
-Casey… - mormorò Tim, quasi come se avesse avuto paura di pronunciare a voce alta il suo nome.
Quest’ultimo si girò mostrando la sua faccia. Casey era il fratello minore di Cloe. Non si conoscevano tanto bene, poiché era nato negli ultimi anni di permanenza di Cloe in città. Però, ci era molto legato, e sapeva che era un ragazzo di cui ci si poteva fidare.
I tratti del suo viso erano molto simili a quelli della sorella, forse un po’ più duri, e con una leggera barba nella zona del mento. I capelli biondi ciondolavano a ciocche contornandogli il volto, e due grandi occhi color nocciola facevano capolinea dietro qualche ciocca bionda. Era molto stanco e teso, si poteva notare da subito. Il suoi occhi mostravano dolore e tristezza, per non parlare dei segni della stanchezza che portavano. Quando vide Tim, cercò di sorridere con gentilezza, poi gli si avvicinò e lo abbracciò calorosamente.
L’agente speciale sentì un paio di braccia stringerlo forte, e subito ricambiò anche lui quell’abbraccio amichevole, dopo tutto, erano anni che non si vedevano. Appoggiò il mento sulla spalla di Casey, sentendo il suo respiro, e cercando di non guardare la ragazza nel letto. L’abbraccio durò poco, ma abbastanza da farlo sentire un po’ meglio. Chissà come sarebbe stato abbracciare così Tony…
Insomma, era capitato qualche volta, ma McGee pensava più ad un abbraccio come quello, dove entrambi si tenevano stretti, come per non permettere all’altro di andarsene via.
Si riprese un attimo da quello che stava pensando. Era una cosa stupida e insensata, inoltre non sembrava né il momento né il luogo.
Dopo l’abbraccio Casey diede una pacca sulla spalla a Tim, e poi uscì fuori dalla stanza mormorando:
-Meglio che vi lasci soli.-
 Tim guardò la porta chiudersi dietro alle sue spalle e poi finalmente rivolse lo sguardo verso Cloe.
Quello che vide non gli piacque per niente.
Cloe. La sua Cloe. La ragazza più bella che Tim avesse mai incontrato, era cambiata parecchio.
Normalmente lei era solare, gentile, divertente e intelligente. Era bellissima, i capelli biondi, lunghi le ricadevano sulle spalle, e sotto la frangetta metteva in mostra due grandi occhi nocciola, brillanti come pietre preziose. E non stava esagerando. Era sempre discreta, le piaceva passare inosservata e amava stare all’aria aperta.
Invece la ragazza che aveva di fronte era molto diversa. Aveva gli occhi scavati dalla stanchezza, probabilmente delle chemio,  il suo volto, sebbene preservasse ancora un po’ di quella lontana bellezza, era come affaticato e fiacco.
Era diventata molto più magra di quanto si ricordasse, sebbene erano mesi che non si vedevano, e le coperte del letto calcavano i contorni magri del suo corpo. Era attaccata alle macchine, una di queste gli registrava il battito regolare del cuore. I capelli che le erano rimasti avevano perso forma e lucentezza. Ma non ostante questi dettagli, Tim sapeva che quella era ancora la sua Cloe, e niente l’avrebbe fatta sembrare diversa ai suoi occhi.
Si avvicinò velocemente al letto, sedendosi sulla sedia che era lì vicino, e la guardò spaesato prendendole la mano.
-Timmy… che bello! Sei venuto.- disse lei mostrandogli il suo più caloroso sorriso.
Tim rimase a guardarla ricambiando con poca forza. Cercava ancora di capire cos’era successo, e pretendeva delle spiegazioni.
-Cloe… - sussurò piano, sentendo le lacrime arrivargli agli occhi.
Le respinse a forza ingoiando due o tre volte.
-Come stai? Novità? Ed Abby? Come sta lei?-
Quelle domande scivolarono velocemente nella testa dell’agente speciale, che scosse il capo, come per mandarle via. In un momento come quello, che senso aveva fare finta che andasse tutto bene? Di iniziare a fare salotto come se niente fosse?
-Che succede, Cloe?- domandò lui guardandola negli occhi.
I suoi grandi occhi verde oliva si scontrarono con quelli della ragazza. 
Quest’ultima sospirò con rassegnazione e si concesse alcuni minuti di silenzio prima di rispondere.
-I medici mi hanno data per malata terminale. Mi resta al massimo una settimana da vivere.-
McGee chiuse per un attimo gli occhi, e ben presto il buio offuscò ogni immagine. Se li strofinò una o due volte prima di riaprirli e tornare a fissare la ragazza.
-Come pensi che farò, adesso? Senza di te?-
Tim si alzò dalla sedia e si avvicinò alla ragazza dandole un bacio sulla fronte. Dopo di che tornò a sedersi.
Cloe gli mostrò un magnifico sorriso di riconoscimento, malgrado la sua posizione.
-Ho bisogno che tu faccia una cosa per me.- disse all’improvviso Cloe.
Allungò la mano destra e gli porse un foglietto quadrato, giallo.
-Tra poco non ci sarò più. La mia famiglia arriverà domani, e ho avvertito tutti i miei amici. C’è solo una cosa che mi resta adesso. Loro… loro sono un po’ come la mia seconda famiglia. Non ho il coraggio di dirglielo… non so che farebbero. Quindi, sta a te adesso contattarli. Vai a questo indirizzo, e spiegargli tutto, Tim. Ti aiuteranno a superarlo.-
Tim la stava ascoltando a malapena. Le prese il post-it dalle mane e gli buttò una rapida occhiata notando che si trattava di un indirizzo.
Lo strinse tra le mani con noncuranza e notando che erano bagnate di sudore se lo infilò in tasca con poco riguardo.
Insomma, che gli fregava in quel momento? Era lei a stare male. Era lei ad aver bisogno di cure e di attenzioni. Non sapeva chi diavolo fossero quegli individui e dovevano essere importanti per Cloe, ma in quel momento voleva solo pensare alla sua amica.
Si sentiva spaesato, solo, e soprattutto senza forze. Cloe gli stava dicendo qualcosa, quindi si sforzò a mandare via quei pensieri e a concentrare l’attenzione su di lei.
-Ti potranno sembrare dei poco di buono. Ma non lasciarti ingannare dalle apparenze, sono le persone più buone del mondo. So che sapranno cosa fare.-
Tim si dondolò sulla sedia portandosi avanti indietro, in balia dello sconforto.
-Cloe, rimarrò una settimana in ospedale con te, se è necessario.- sbottò all’improvviso.
-Tim, cosa dici? Che cambierebbe? E poi cosa direbbe il tuo capo? Mi hai sempre detto che è abbastanza severo…-
Timothy si fermò di scatto immaginandosi il viso fermo e carico di impazienza mista a rabbia di Gibbs se non si fosse presentato a lavoro per una settimana intera.
Cloe lo vide così concentrato a pensare che scoppiò in una risata.
La sua voce arrivò chiara e cristallina alle orecchie dell’agente speciale che la guardò con risolutezza.
-Mi do per malato!- disse improvvisamente più tranquillo e calmo, quasi sorridendo addirittura.
Cloe aveva questo effetto su di lui. Era come un toccasana.
Quando la guardava bene la rivedeva lì, insieme a lui, nella campagna, avvolta da quella sua felpa grigia larga, con i capelli biondi legati in una coda di cavallo che portava alta dietro la testa.
La sua migliore amica, che gli insegnava a schiacciare a canestro, che lo costringeva a rincorrerla nel cortile di casa, con cui andava sull’altalena dietro casa in estate, quando si annoiavano di più.
Quella con cui si sfogava per telefono, quando non veniva a trovarlo da Chicago.
-Si, ti dai per malato! Gibbs costringerebbe Tony e Ziva a controllare di persona!- la voce della ragazza lo riportò alla realtà.
Timothy immaginò la scena con i suoi colleghi che venivano a bussare nel mezzo della notte con delle occhiaie enormi, e lo trovavano a riposare nel letto in pigiama, con pantaloncini e canottiera.
Fece una sonora risata e poi rispose:
-Si! Non è probabile che Gibbs ceda senza controllare!-
-A proposito della squadra, qualche novità amorosa?-
-Nah, Tony e Ziva fanno i soliti litigi da coppia sposata, come sempre.-
-Già… deve essere fastidioso…-
Tim fece un sorrisetto, ripensando a quante volte avrebbe voluto alzarsi di scatto, sbattere i pugni contro la scrivania e andarsene a passi pesanti  verso l’ascensore. Sicuramente avrebbe lasciato dietro di sé due suoi compagni che lo fissavano ad occhi sbarrati.
-Si, ma per fortuna ci pensa il capo a farli smettere.-
-Sono sicura che in quei momenti avresti tanto voglia di andare via…-
-Si, infatti. Io… ehi! Aspetta un momento, che intendi dire?-
McGee aveva alzato lo sguardo e la guardava con un’aria metà corrucciata e metà esasperata.
Sapeva perfettamente cosa voleva dire.
-Andiamo… me lo hai detto tu, ricordi? Che lui ti piace…-
Ecco, appunto.
Cloe scoppiò in una risatina divertita e anche un po’ maliziosa al dire il vero.
-Shhh! Fa silenzio! Non è vero! Non mi piace! Cloe? Smettila…!-
Faceva fatica ad ammetterlo ma la sua risata era contagiosa. Rimasero entrambi a ridere come due ragazzini fino a che Tim prese di nuovo la parola.
-Mi mancheranno questi momenti.-
-Mancheranno anche a me…-
McGee continuò a parlare con Cloe per un po’ di tempo, e senza che nessuno dei due se ne accorgesse, erano passate ore, e di lì a poco sarebbe stata sera.
Ad un certo punto si sentì bussare alla porta. Dopo poco Casey, seguito da Sarah, entrò nella stanza, richiudendola una volta entrato.
-Ehi-
Sarah fu la prima a parlare. Alzò la mano in segno di saluto verso Cloe, e poi sorrise sommessamente al fratello.
Si avvicinò al lettino e guardò con occhi lucidi la ragazza. Tim ci lesse rassegnazione, tristezza, e… anche un po’ di malinconia?
-Ehi.- rispose Cloe guardandola dal basso.
Sarah mise le mani nelle tasche posteriori dei suoi jeans con aria piuttosto imbarazzata. Cercò per un minuto le parole giuste da dire e poi parlò.
-Io dovrei andare. Domani mi devo svegliare presto e…- gli si spezzò la voce.
-Non preoccuparti.- le disse con aria molto comprensiva Cloe.
-Ma ritorno, eh. Torno in settimana. E ti voglio trovare ancora qui. Allora… io vado. Ci vediamo.-
Concluse la ragazza con tono sicuro. Magari più a per convincere sé stessa.
-Forse no, forse si.- le rispose con voce amara la bionda, ma sfoggiando un grande sorriso per rincuorarla.
Sarah sorrise a sua volta abbassando lo sguardo. Poi si avvicinò al lettino e baciò l’amica sulla fronte.
-Tu che fai, Timmy?-
-Resto qui ancora per un po’… domani ho lavoro, lo so… e forse non avrò occasione di tornare, perciò… rimango quanto è possibile.
Tim vide sua sorella fare il giro del lettino e abbracciarlo velocemente prima di incamminarsi verso la porta. Lanciò un ultimo sorriso triste e poi comparì dietro di essa.
Casey, che non aveva detto una parola per tutto il tempo, guardò i due ragazzi e poi battè le mani in modo pratico.
-Allora…- disse facendo il punto. –Sto andando al caffè qui di fronte… volete qualcosa? Il mangiare qui è abbastanza… pessimo.-
-Aah… no, grazie.- rispose Tim.
Si sentiva lo stomaco chiuso, e non aveva voglia di mangiare, anche se non metteva qualcosa sotto i denti dalla mattina…
-Neanche per me, potrà anche non piacerti, ma io mi sto abituando al cibo di qui…- disse Cloe ridendo.
-Bene. Torno subito.-
E anche Casey uscì rimanendoli  di nuovo soli.
-Il tuo ragazzo… lo sa?- chiese Timothy spezzando il silenzio.
-Si… viene domani.- rispose la ragazza bionda incupendosi.
-Ma tu devi andare a lavoro domani… non voglio che guidi di notte… e non voglio che ti stanchi per me…- continuò alzando lo sguardo sull’amico e guardandolo preoccupata.
-Non preoccuparti, posso stare qui ancora un altro po’.-
Quando Casey tornò, trovò sua sorella e Timothy profondamente addormentati.
Decise di lasciarli dormire, non svegliandoli.

Tim era nel sonno più profondo quando sentì due mani scuotergli pesantemente le spalle.
-Mmm… capo… lasciami dormire altri cinque minuti…-
-Tim! Svegliati! Cloe, non sta bene!-
McGee  alzò di scatto la testa e sentì un sinistro scricchiolio provenire dal collo. Solo in quel momento si accorse quello che stava succedendo.
Casey era inginocchiato vicino al letto, il letto in cui sua sorella giaceva inerme. Cloe era tutta sudata, e non riusciva ad aprire completamente gli occhi, per non parlare dell’elettrocardiografo che sembrava impazzito.
Timothy schiacciò il pulsante per chiamare un’infermiera, posto accanto al letto, (era stata la prima cosa che gli era venuta in mente) dopo di che guardò inerme Casey mentre chiamava in vano sua sorella.
In pochi minuti alcune infermiere e un dottore, attirati dall’allarme, fecero capolinea nella stanza e li allontanarono dal letto.
McGee li sentì tirare fuori diagnosi e dare ordine di prendere alcune medicine, con termini troppo complicati da poter analizzare in quel momento.
Si portò le mani tra i capelli scuotendoli con forza e tirandoli man mano che il tono dei medici di faceva più teso e sbrigativo.
Accanto a lui, Casey, guardava inorridito la scena che stava avendo luogo davanti ai loro occhi. Lo sentì farfugliare alcune frasi, e ripetere le parole: “nonono”, con le mani davanti alla bocca.
Gli occhi verde smeraldo di Tim saettavano velocemente dal volto della ragazza imperlato di sudore alla macchina che ne registrava il battito cardiaco.
Andava sempre più veloce, e dopo poco… un lungo suono sembrò fermare ogni cosa.
Un lungo “biip”, che non avrebbe mai scordato. Uno simile a quello della sua segreteria telefonica, che quella mattina aveva dato inizio a tutto.
Ma questo era più prolungato, e non sembrava voler finire. Si incise nella sua mente, e McGee potè sentirlo ancora, anche dopo che i medici ebbero spento l’apparecchio.
Non si rese conto più di niente, del fatto che le infermiere si fossero fermate, o che Casey sembrava essersi completamente paralizzato.
Solo una frase riuscì a smuoverlo del tutto. Anche se avrebbe voluto non udirla mai.
La voce affannata e leggermente angosciata del dottore, che declamava:
-Ora del decesso…02:15.-

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