Era tante cose.

di AliArdemonio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** GaaraxLee ***
Capitolo 2: *** KankuroxKiba ***



Capitolo 1
*** GaaraxLee ***


Ciao! E' da poco che pubblico su EFP, quindi spero di non fare casini con l'HTML (maledetta tecnologia).
Passo subito a presentare la ff: tutto è nato dalla coppia successiva (di cui pubblicherò tra qualche giorno). Volevo scrivere una cosina veloce e invece mi è uscita una fanfic lunghissima rispetto ai limiti che mi ero data. L'ispirazione poi, è arrivata improvvisamente e non ho saputo far altro che accontentarla :)
Questa è una GaaLee introspettiva, e, anche se c'è una scena di sesso, non ci sono descrizioni; ecco perché ho tenuto il rating a giallo. Spero di aver fatto un buon lavoro con questa coppia che inizia a piacermi sempre di più. Ai posteri l'ardua sentenza.


Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-

questa morte che ci accompagna

dal mattino alla sera, insonne,

sorda, come un vecchio rimorso

o un vizio assurdo. I tuoi occhi

saranno una vana parola,

un grido taciuto, un silenzio.

[...]

O cara speranza,

quel giorno sapremo anche noi

che sei la vita e sei il nulla

 

Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

Sarà come smettere un vizio,

come vedere nello specchio

riemergere un viso morto,

come ascoltare un labbro chiuso.

Scenderemo nel gorgo muti.

 

Sabaku no Gaara era tante cose, ma certamente non era uno che amava il chiasso. Ecco perchè se ne stava seduto sulla collina più alta nei pressi di Konoha a guardare il tramonto, da solo, godendosi la brezza d'inizio primavera. C'era ancora abbastanza freddo, però, abituato com'era alle rigide notti del deserto, quei tre o quattro gradi gli sembravano almeno dodici. Per un attimo si concesse di sdraiarsi e chiudere gli occhi: solo la sensazione che, se si fosse abbandonato, si sarebbe addormentato, era per lui fonte di sentimenti contrastanti. Da un lato gli piaceva la possibilità di abbandonarsi all'oblio del sonno per ricaricarsi e godere finalmente la possibilità di vivere senza essere perennemente sotto pressione; dall'altro però il dormire era sinonimo di vulnerabilità e a lui proprio non piaceva sentirsi senza difese. Era quasi come avere l' opportunità di tornare bambino, quando ancora si fidava del prossimo, pur sapendo come sarebbe finita; era la possibilità di commettere un errore sapendo di farlo. E se possibile voleva evitarlo, con tutto il cuore e tutta l'anima. Voleva dormire come tutte le persone normali, senza la persistente paura di venire assassinato. Lui voleva vivere, ma vivere davvero. Solo che non sapeva come fare. Sentì un rumore e aprì immediatamente gli occhi, solo per vedere davanti a sè il volto sorridente di Lee.

"Sei stato veloce" gli disse guardandolo con la sua solita faccia imperscrutabile.

"Io sono sempre veloce, è la forza della giovinezza!" gli rispose Lee, sedendosi accanto a lui.

Rimasero in silenzio per un po', godendo della pace che trasmetteva quel posto.

"Perché lo fai?" chiese improvvisamente Gaara.

"Che cosa?"

"Perché stai qui accanto a me quando per causa mia stavi per perdere il tuo sogno?" Gaara proprio non lo capiva. Se lui fosse stato nei panni di Lee, sarebbe certamente andato alla ricerca di quello che l'aveva ferito e l'avrebbe ammazzato. Se fosse stato Lee però, non avrebbe avuto un mostro dentro per quasi tutta la vita, e quindi sarebbe stato un ragazzo normalissimo. I pensieri vorticavano nella testa del ninja di Suna, confondendolo. Mentre si perdeva in simili riflessioni, giunse alle sue orecchie una risata bassa e divertita.

Come si permetteva di prenderlo in giro, quello sciocco?

"Scusa se rido, ma avevi un'aria serissima per una domanda tanto sciocca. Io adesso sono guarito"

"Sì, ma avresti potuto rimanere invalido"

"Ma non è successo"

"Sì, ma-"

"Non ci sono "ma". Le cose stanno così"

Gaara non l'uccise per l'interruzione solo perché era interessato alla risposta.

"Tu l'hai fatto, è vero. Mi hai attaccato con l'intento di uccidere. Poi però mi hai salvato contro quel Kimimaro. In un certo senso, ti sei sdebitato. E poi Naruto ti considera suo amico, è venuto a salvarti. Lui cambia le persone, sai? Anche se dal di fuori non si direbbe, sono sicuro che qualcosa dentro di te è cambiata. E non potrai farci niente, lui è fatto così: ti aiuta a trovare la parte migliore di te. Ha salvato Neji, ha salvato Sasuke e ha salvato te. E se si fida lui, mi fido anche io." Dopo aver parlato, sorrise.

Gaara ci pensò su: era cambiato? Beh sì, adesso voleva aiutare il suo villaggio e lottare per farsi accettare. Era il Kazekage, dopotutto. Anche coi suoi fratelli andava meglio: Kankuro si concedeva qualche battuta idiota e Temari gli urlava dietro senza il timore di essere assassinata. Non erano certo una famiglia esemplare, ma a modo loro si amavano. Non aveva scordato che se non fosse stato per Sakura, ora Kankuro sarebbe morto. E sarebbe morto per salvare lui, lui che fino a poco tempo prima l'avrebbe ucciso senza batter ciglio. Si sentì sommergere dal senso di colpa, vivo e pungente. Ecco, quella era la prova del suo cambiamento: era più consapevole degli altri attorno a sè, non era più un demone che amava solo sé stesso, ora aveva anche amore da dare. Solo che non capiva come comportarsi.

"Grazie"

"E di cosa?" chiese Lee un po' confuso.

"Di darmi una seconda possibilità"

A quelle parole Lee sorrise e si avvicinò a Gaara fino a mettergli la testa su una spalla.

"Ti do fastidio?"

Gli dava fastidio? Lo trovava un po' invadente, però era piacevole quel tepore. Era la cosa più simile ad un contatto fisico che avesse ricevuto da anni, se si escludevano i baci appiccicosi che Temari gli dava per dispetto quando si metteva il lucidalabbra (che metteva appositamente per disturbare i fratelli, tra l'altro).

Vedendo che Gaara non rispondeva, Lee si alzò per allontanarsi quando fu fermato da quest'ultimo.

"Non andare, resta." Parole semplici, che però scaldarono il cuore di Lee, il quale si accoccolò addosso a Gaara.

Rimasero così per qualche minuto, godendo della compagnia reciproca. Dopo poco si alzarono e tornarono al villaggio separatamente.

 

Il giorno dopo, Gaara sarebbe dovuto tornare a Suna. Si stava dirigendo verso l'ufficio dell'Hokage per salutare Tsunade e poter finalmente partire quando sentì un bambino pronunciare il nome di Lee.

Curioso, si fermò ad ascoltare i discorsi dei giovani ninja. Era riuscito a trovare una posizione perfetta, nascosto proprio dietro al muretto davanti al quale stavano ridendo quei ragazzini. Stava per concedersi un moto d'affetto per le nuove generazioni, quando capì il contesto in cui quel nome era stato pronunciato.

"sì, è vero, è proprio un perdente.. poi quella tutina ridicola.."

"hahaha, hai ragione! E' proprio brutta, da sfigato.."

"Beh, la porta anche il maestro Gai.."

"Sì, ma lui è forte, e può andare in giro con quella cosetta ridicola.. distrae l'avversario dalle sue grandi capacità"

"Mentre Rock Lee è solo un fallito. Se non fosse stato per il Quinto Hokage, adesso lui sarebbe meno che niente.."

"E' vero! Aveva combattuto contro quel mostro di Suna.. Papà mi ha detto che l'hanno fatto Kazekage!"

"Sì, proprio lui! Gaara del Deserto! E' fortissimo"

"Ma a me fa paura.."

Gaara si sentiva ardere di rabbia. Che offendessero lui era anche accettabile - aveva congiurato ai danni del loro villaggio e il Demone Tasso lo aveva reso un mostro di cui aver paura - ma non poteva neanche vagamente concepire il trattamento che riservavano a Lee. Innanzitutto era un ninja della Foglia, e sebbene lui fosse poco abile nelle relazioni interpersonali, sapeva che questo creava un legame tra quegli stupidi marmocchi e Lee. Inoltre lui non era affatto debole, anzi, con ogni probabilità se avesse sfidato chiunque altro all'esame per la selezione dei chunin, avrebbe vinto. E poi Lee era un ragazzo gentile, che aiutava il prossimo ogniqualvolta ne avesse l'occasione. Perchè quei bambini lo offendevano così? Non era giusto.

Prima che potesse fare qualcosa per fermarlo, la poca sabbia presente sulle strade iniziò a vorticare velocemente, spaventando i bambini. Più provava a calmarsi, più sentiva rimbombare parole come "sfigato" e "fallito" nella sua testa.

"Cosa sta succedendo?" chiese improvvisamente qualcuno. Gaara non aveva dubbi: era Lee.

Titubante, uscì allo scoperto. Appena i bambini videro il Kazekage venir fuori da dietro il muretto, seppero che aveva sentito tutto e per farsi perdonare lo salutarono con più gentilezza del dovuto. Gaara però sapeva che le loro parole erano false e sentì la rabbia soffocarlo. La sabbia vorticava sempre più velocemente e lui non riusciva a fermarla.

"Gaara, calmati"

Il ninja di Suna cercò di pensare a qualcosa che lo tranquillizzasse e nella sua mente comparve la sensazione della testa di Lee appoggiata sul petto. Dopo qualche respiro, la sabbia cadde a terra, inerte.

"Fareste meglio a tornare a casa e ad imparare cos'è il rispetto. Ora come ora siete la vergogna del vostro villaggio" Gaara disse parole dure che s'impressero nella mente dei ragazzini, soprattutto perché pronunciate da una persona così importante. Quando questi se ne furono andati, inventando patetiche scuse per congedarsi, Lee si avvicinò a Gaara e gli chiese spiegazioni sul trattamento maleducato che aveva riservato a dei giovani della Foglia.

"Stavano parlando male di un loro concittadino" fu la risposta sbrigativa di Gaara.

Non se la sentiva di dire a quello che iniziava a considerare come un amico che dei marmocchi del suo paese lo consideravano un perdente.

"Ah, davvero? E di chi?"

Gaara avrebbe preferito non rispondere, tuttavia sapeva che una caratteristica importante degli amici era l'onestà, e quindi fu con visibile disagio che disse:

"Di te"

Rock Lee rimase immobile per alcuni secondi. Non se l'aspettava minimamente. Certo, sapeva che molte persone lo trovavano strambo e ridicolo, con quella tuta che portava costantemente e con quel taglio a scodella; per non parlare delle sopracciglia, delle punizioni che si autoinfliggeva e del fatto che non possedeva nè le arti magiche, nè quelle illusorie. Sapeva di essere apprezzato dagli amici e dai compagni di squadra e sapeva anche che il maestro Gai lo considerava "il suo pupillo"; però sapeva anche che nessuno l'aveva mai difeso. Non che lui ne avesse bisogno, era da una vita che lottava da solo per proteggere i suoi ideali, però la consapevolezza che c'era stato qualcuno - Gaara - che aveva puntato i piedi per far smettere gli attacchi nei suoi confronti era una cosa che lo lasciava senza parole.

"Grazie" mormorò, prima di baciare Gaara sulla guancia sinistra. Resosi conto di ciò che aveva fatto, Lee arrossì. Quando però alzò lo sguardo per incontrare gli occhi di Gaara, non vi lesse nè schifo nè ribrezzo, anzi, il ragazzo pareva semplicemente stupito e quasi in stato di trance portò la mano sinistra a toccare la guancia.

"Devo andare.. Gli allenamenti.. Devo preservare la forza prorompente della giovinezza, ciao Gaara!"

"Oggi torno a Suna." Gaara non sapeva perché l'aveva detto, o meglio, sapeva di voler fermare il ragazzo, ma non sapeva perché, fra tutte le frasi che poteva dire, avesse scelto proprio quella. Si sentì come una ragazzina timida, e questo l'infastidì. La stizza però fu sommersa dallo stupore quando lesse sul viso di Lee uno strano sentimento, vagamente malinconico.

Non voleva che Lee soffrisse, si sentiva in colpa. Così, con la naturalezza di chi non è avvezzo a gestire emozioni violente, lo baciò in mezzo alle vie di Konoha. Fu un bacio dolce, un tenero cercarsi di lingue privo dell'irruenza che caratterizzava i baci dei loro coetanei. Sembrava che stessero cercando di lenire ferite dell'anima tramite il contatto con l'altro, in un lento scoprirsi che li portava alla felicità.

Quando si staccarono, entrambi erano accaldati. Si guardarono negli occhi finchè Gaara non ricordò ad entrambi che era atteso dall'Hokage per il congedo.

Dopo un minuto circa si avviò all'uffico di Tsunade, stringendo al cuore la promessa di Lee: "Verrò a Suna, lo giuro."

 

Le giornate si susseguivano le une uguali alle altre, sia a Konoha che a Suna. Lee spendeva ogni ora del giorno ad allenarsi, cercando con tutte le sue forze di diventare più forte. Il maestro aveva preso l'abitudine di far combattere i membri del Team Gai l'uno contro l'altro, così Lee si trovava a dover combattere per ore contro le armi di Tenten e il byakugan di Neji, ottenendo come risultato solo una stanchezza opprimente. Alla fine dell'ultimo combattimento della giornata, si congedò per andare a riposarsi. Salì su una collinetta che sembrava quella dove aveva appoggiato la testa sulla spalla di Gaara e, giunto in cima, si coricò. Ormai era passata l'ora di cena, e comunque lui non aveva fame. Appena il suo corpo smetteva di funzionare come una macchina, ecco che la sua mente lo soffocava con la sensazione delle labbra di Gaara sulle sue. Quel contatto lo aveva sorpreso, però non poteva nascondere a sé stesso la profonda gioia che provava nel ripensarci. Era già da un po' di tempo che aveva iniziato a provare qualcosa per Gaara, però era conscio del fatto che il sentimento che lo animava fosse del tutto particolare: i suoi compagni parlottavano di sesso sfrenato e baci da togliere il fiato. Lui quando pensava al ragazzo di Suna, vedeva ore e ore da passare stesi da qualche parte a baciarsi, accarezzarsi, approfondire il contatto e fare sesso. Ma non bestiale, per lui era una sorta di momento quasi mistico dove sentirsi completo. Solo a pensarci gli veniva da sorridere: quello che era stato disprezzato perchè aveva un mostro dentro e quello disprezzato perché era un mostro esteriormente, si frequentavano. La vita a volte era proprio strana. E poi, non era vero che si frequentavano.. Si erano baciati una volta. Però Lee desiderava che ciò accadesse ancora, e ancora, e ancora. Se il maestro Gai l'avesse sentito fare quei ragionamenti da vecchio, gli avrebbe fatto un'iniezione di spirito giovanile. E doveva scantarsi, accidenti! Se non si fosse sbrigato ad aumentare la sua forza, sarebbe stato il ragazzo più debole della sua generazione! E con che faccia sarebbe andato da Gaara se anche dei marmocchi si concedevano il lusso di sfotterlo? Si alzò rapidamente e si girò per tornare ad allenarsi, quando s'imbattè in Tenten che era venuta a cercarlo.

"Tutto bene, Lee?"

"Certo, Ten! Vedi forse crepe nella mia atletica giovinezza?"

"Lee, non fare il coglione" lo zittì lei, mentre si sedeva accanto a lui, tirandolo giù per farlo sedere.

"Mi spieghi cosa c'è?"

"Niente! Credi che lo spirito della gio-"

"LEE!" urlò lei, dandogli un pugno in testa. "Lo so che hai qualcosa, non insultare la mia intelligenza. Spiega"

Lee farfugliò qualcosa mentre si massaggiava la testa. Vedendo però lo sguardo da falco che gli rivolse la compagna, si rassegnò a dire la verità.

"Mi manca Gaara"

"Chi, scusa? Il Kazekage?"

"Già.."

"Ma scusa, non è quello che ha cercato di ucciderti?"

"E con questo?"

"No, niente, è perfettamente normale sentire la mancanza di qualcuno che ha cercato di mandarci all'altro mondo"

"Tu non capisci niente di lui, quindi piantala!" sbottò Lee incazzato. Era stata una giornata di merda, anzi, una settimana di merda e non aveva voglia di sentire qualcuno insultare gratuitamente Gaara. D'altronde, Tenten era sua amica da una vita e non sapeva nulla delle sensazioni che provava per lui.

"Senti, Ten, io-"

"Ti piace" fu la risposta sbrigativa di lei.

"Così pare.." mormorò lui.

"Perfetto. Vai a Suna"

"Cosa? No, non posso. Intanto Tsunade-sama deve inviarmici per una missione, non è che si prendono ferie quando si è ninja. E comunque sono troppo debole per presentarmi da lui.."

"Ma tra voi è successo qualcosa?"

"Beh, sì.. Mi ha baciato. Una volta"

“E allora vai” gli disse Tenten sbuffando e con un tono che diceva “ti sto compatendo”

“La fai facile tu. A che punto sei con Neji?” le chiese lui in un moto di stizza.

“Fatti gli affari tuoi, Lee” gli rispose secca la ragazza. “Io lo dico per te; se vuoi stare qui a piangerti addosso, fai pure”

Lee sapeva che la sua amica aveva ragione, così non rispose. Sapeva che però la voglia di vedere Gaara lo stava distraendo dagli allenamenti, e questo non andava bene. Tutto quel lavoro cervellotico non era da lui: Neji era quello intellettuale del gruppo.

“Andrò a Suna!”

“Bravo! Adesso andiamo a casa, Lee..”

“Non posso!”

“E perché mai? Sei scemo?”

“No, te l'ho detto! Sto andando a Suna!”

“Ma sei scemo? Aspetta domani a partire che ormai è sera! E comunque è un viaggio che va organizzato, mica puoi partire così a caso..”

“Sciocchezze. La forza della giovinezza mi sosterrà.” Tenten era felice di vedere il solito Lee, così lasciò che s'infervorasse per quel viaggio da folli.

“Eh, ma i tuoi? E il maestro Gai?”

“Ai miei pensaci tu, Ten. Il maestro capirà: sento la forza della giovinezza che mi spinge verso il mio novello amore!” così dicendo si alzò in piedi e cominciò a correre verso la sua meta, mentre la ragazza alle sue spalle scuoteva la testa con aria rassegnata.

 

*

Lee corse quasi ininterrottamente fino all'arrivo a Suna, che avvenne un paio di giorni dopo. Bussò nell'ufficio antecedente a quello del Kazekage, che fungeva da postazione di controllo per eventuali intrusi e pazzi che tentavano di attentare alla vita del capo del villaggio della Sabbia, e si annunciò a gran voce chiedendo di parlare con Gaara, giusto prima di svenire per l'immane sforzo fisico.

Seduto nel suo ufficio, il Kazekage controllava per l'ennesima volta una pratica di cui non capiva l'utilità. Negli ultimi tempi si era un po' abbattuto: il lavoro come capo del villaggio era talmente impegnativo che non riusciva più a trovare un attimo per allenarsi, e la mancanza di allenamento lo rendeva nervoso. Stava per distruggere la pratica, quando una voce a lui famigliare si fece sentire attraverso i muri che dividevano il suo ufficio da quello antistante. Con la sua solita aria impenetrabile, aprì la porta di collegamento e si ritrovò davanti alcuni ninja che guardavano con sospetto il corpo svenuto di Rock Lee e la sua stravagante tuta piena di terra e fango e per un attimo sentì la sua maschera di impassibilità cedere. Non sapeva se preoccuparsi per il ragazzo o ridere della sua totale imprevedibilità.

“State attento, nobile Kazekage: potrebbe essere una trappola”

“E' un mio amico, non c'è da preoccuparsi” e così dicendo lo sollevo da terra e lo portò in braccio fino all'infermeria del palazzo, non senza sentire un forte calore al petto per aver potuto pronunciare la parola “amico”. Stava facendo una fatica tremendo a trasportarlo a braccia dato che, avendo la sabbia a difenderlo, non aveva bisogno di muscoli, a differenza del ragazzo che stava trasportando. Certo, poteva usare la sua sabbia per spostarlo, però gli sembrava un contatto troppo impersonale e lui voleva sentire il calore del corpo di Lee. I letti erano desolantemente vuoti e bianchi; certo, non che Gaara volesse che qualcuno dei suoi uomini fosse tanto ferito da necessitare le cure dei migliori ninja del villaggio della sabbia, però sapeva che Lee non era un tipo solitario e silenzioso come lui e magari tutto quel vuoto l'avrebbe infastidito. Dopo averlo disteso sul letto, gli tolse i vestiti sudici e, sollevatili con la sabbia, li fece arrivare nella sua lavanderia privata, inoltre fece arrivare un messaggio ai suoi dipendenti: coloro i quali lavoravano nell'ufficio avrebbero avuto il resto della giornata libero. Si allontanò da Lee solo per prendere una bacinella piena di acqua tiepida e una spugna; si sedette accanto al letto e iniziò a detergere delicatamente la cute. Conosceva bene la sabbia che lo aveva sporcato, e sapeva che se avesse usato troppa acqua, quest'ultima si sarebbe trasformata in fango e l'avrebbe sporcato di più, anziché pulirlo. Quando ebbe finito, usò la sabbia per sollevare il corpo di Lee, mentre con entrambe le mani spostava le lenzuola candide. Quando Lee fu completamente pulito e avvolto dalle coperte, Gaara si fece portare del cibo per due e dell'acqua. Piluccò il proprio pasto e attese il risveglio di Lee, che avvenne un paio di ore dopo. Era ormai notte inoltrata quando il ninja della Foglia riuscì ad aprire gli occhi. Inizialmente si sentì spaesato, tanto che era già pronto ad aprire le prime porte del chakra per attaccare un eventuale nemico. Avvertendo dei movimenti nelle vicinanze, si alzò pronto ad attaccare, ma si trovò davanti lo sguardo impassibile di Gaara.

“Ciao Gaara” disse confuso, “dove mi trovo?”

“Sei nell'infermeria del mio palazzo. Sei svenuto nell'ufficio di controllo”

Il gorgoglio prepotente che proruppe dalla pancia di Lee, troncò la loro conversazione.

“Hai fame? Qui c'è del cibo”

“Grazie!” quasi squittì Lee, che si sentiva svenire nuovamente. Andò a sedersi accanto a Gaara ad un tavolino vicino alla finestra, dal quale riusciva a vedere il cielo stellato e la Luna. Tuttavia, l'atmosfera non era delle più romantiche a causa dei rumori che faceva Lee mentre ingurgitava formaggio e pane, insieme a frutta, noci e yogurt. Mangiò senza ritegno e senza il minimo imbarazzo, nonostante fosse in mutande alla presenza della più alta carica del villaggio della Sabbia. E a Gaara piaceva proprio questo di Lee: la sua totale innocenza e incuria delle formalità. Lui si era più volte sporcato del sangue dei suoi amici e nemici, e la cosa non lo aveva minimamente toccato; o almeno, così era stato finché non aveva incontrato Naruto. Lee invece conservava in sé un po' di quella fanciullezza che Gaara non aveva mai vissuto e che sapeva di dolce ed esotico al tempo stesso. Il pasto si consumò in silenzio, ma non era uno di quei silenzi carichi d'imbarazzo che portavano i presenti a parlare a caso pur di esorcizzarlo, al contrario, era un silenzio carico di cose non dette e di aspettative che sbocciavano teneramente senza che i due ragazzi potessero evitarlo. Finito di mangiare, Lee si appoggiò esausto alla sedia e chiuse gli occhi, godendo della brezza calda di Suna. Quando li riaprì, si ritrovò a fissare Gaara che lo fissava a sua volta. Facendo più attenzione, notò che aveva addosso gli abiti da Kazekage, segno che aveva abbandonato il lavoro a metà per fargli da balia. Lee se ne vergognò: non sia mai che qualcuno debba occuparsi di lui! A sorreggerlo c'era l'implacabile energia della giovinezza!

“Scusa se ti ho recato disturbo. Non accadrà più!” disse Lee, battendosi il petto con la mano destra.

“Nessun problema” fu la risposta asciutta di Gaara. Dopo pochi attimi di silenzio, il ragazzo di Suna parlò di nuovo, stavolta come se soppesasse le parole:

“Come mai sei venuto a Suna?”

“Perché ti avevo promesso che sarei venuto!”

Gaara si sentì avvolgere dal calore ancora una volta. Non era abituato alle promesse mantenute; l'unico che gli faceva promesse era suo padre quando lui gli chiedeva di giocare; ad ogni domanda rispondeva con “la prossima volta, Gaara” oppure “non vedi che sono occupato, moccioso?”. Sempre la prossima volta, sempre un rifiuto. Ecco che per lui le promesse avevano perso valore, così come ogni cosa aveva perso colore, divorata dalla sabbia. Con Lee poteva concedersi il lusso di scoprirsi senza essere ferito, o almeno, questo era quello che la sua parte irrazionale gli diceva. L'altra gli ricordava incessantemente la sua vita e il suo dolore e gli garantiva che avrebbe sofferto. Gaara non sapeva cosa fare. Una risatina sommessa lo fece riprendere dal suo discorso con sé stesso.

“Cosa c'è di divertente?”

“Hai la stessa faccia che fa il mio amico Neji quando deve elaborare una strategia”

Neji. Amico. Neji. Lo Hyuga. E' un suo amico. Amico. Le parole vorticavano nella mente di Gaara mentre questi cadeva vittima della gelosia. Si sentiva soffocare dalla rabbia. Gli doleva il petto e voleva andarsene perché sentiva un preludio di bruciore dietro gli occhi e mai avrebbe permesso ad un essere umano di vederlo così.

Lee non capiva cosa stesse succedendo. Prima Gaara era rilassato, certo, sempre silenzioso e imperscrutabile, ma rilassato. Da quando aveva nominato Neji la sua postura si era irrigidita e il suo sguardo conteneva furia malcelata. Cosa c'era tra quei due? Un litigio? Un duello? Lee non ebbe tempo di pensarci a sufficienza, dato che Gaara si era già alzato.

“Se vuoi scusarmi, ho delle cose da fare.” A quelle parole Lee reagì istintivamente.

“No, ti prego,” disse guardandolo negli occhi e prendendogli la mano, “non andare. Non ancora. Non se sei arrabbiato con me”

Gaara lo guardò sbigottito: mai nessuno aveva osato contraddirlo o ostacolarlo. Beh, a parte Temari, ovvio. Da quando Shukaku gli era stato estratto, il rapporto coi suoi fratelli era migliorato e sua sorella a volte lo sgridava o, più frequentemente, gli lanciava contro raffiche di vento. Ma lei era sua sorella, Lee invece no. E aveva compiuto quell'impudenza con animo sereno, glielo si leggeva in faccia. Gaara era curioso, così lo assecondò risedendosi, ma non tolse la mano da quella del ragazzo. Anzi, studiò con interesse quella combinazione bislacca che era la stretta delle loro mani: quella di Lee era più grande e callosa per gli instancabili allenamenti, mentre la sua era piccola e liscia, bianca come porcellana a contatto con quella di Lee. Le sue unghie erano normali, perfette e curate. Non che fosse uno da manicure, però siccome non le usava mai in combattimento, queste non si rovinavano e assumevano un aspetto curato. Quelle di Lee invece avevano le unghie un po' mangiucchiate, però non in modo indecente. A modo loro erano belle, di una bellezza rara e nascosta di cui Gaara si beava. Sapevano di vissuto, a differenza di quelle di Gaara che, esattamente come il loro possessore, sembravano quelle di una bambola con cui nessuno gioca mai.

“Come mai devo restare?”

“Perché sei arrabbiato con me, e io non voglio che tu lo sia”

Gaara non rispose.

Vedendo che il suo compagno non si rilassava, Lee cominciò a muovere le dita all'interno della stretta di Gaara e riuscì a liberarsi tanto da potergli accarezzare la mano. Al rosso piaceva quel contatto, tanto che se non fosse stato un tipo schivo e orgoglioso si sarebbe concesso delle fusa di apprezzamento. Vedendo che il Kazekage si stava rilassando, Lee continuò a massaggiargli le dita con movimenti lenti e delicati. Incapace di contenersi oltre, Gaara si appoggiò del tutto alla seggiola e chiuse gli occhi, cercando di imprimere nel cervello quella sensazione che – ne era certo – gli sarebbe mancata una volta che Lee fosse tornato alla Foglia. Continuarono così per un tempo indefinito, dopodiché Lee si alzò, sciogliendo il contatto e sorrise a Gaara.

“Ormai è tardi e tu sei il Kazekage. Nonostante la giovinezza sia ancora splendente in te, anche tu avrai bisogno di riposare..”

Non era vero. Gaara non avrebbe dormito comunque, sonno o non sonno. Solo l'idea di chiudere gli occhi e affidare la sua protezione al caso era per lui inconcepibile, così come inconcepibile era l'idea che qualcuno gli facesse da balia mentre dormiva.

“Hai ragione” mormorò mestamente. Non voleva andarsene, ma non poteva dire a Lee che aveva paura di dormire. E poi magari era lui a voler dormire e Gaara in quel momento era solo un ostacolo tra lui e il letto. L'idea che potesse essere davvero così, lo ferì un po'. Tuttavia non ebbe tempo di perdersi nella tristezza perché senza accorgersene era arrivato alla porta e Lee era accanto a lui.

“Buonanotte, Rock Lee. Per qualsiasi evenienza, non esitare a contattarmi”

“Grazie, Gaara. Buonanotte”

Il Kazekage stava per uscire dalla stanza, quando si sentì tirare per un braccio. Dovette compiere una piroetta per non cadere, e alla fine di quella strana giravolta, si ritrovò le labbra premute contro quelle di Lee, che si agitava in preda ad istinti giovanili. Gaara si accorse con un certo stupore che anche lui desiderava quel bacio, dannazione, lo desiderava ardentemente! Si gettò a sua volta sulla bocca dell'amante, e si baciarono con foga per diversi minuti. Sentendo un forte calore accumularsi in zone dove in quel momento non era gradito, Lee si scostò da Gaara a malincuore, borbottando:

“Se non ci stacchiamo adesso, nemmeno la potenza devastatrice della giovinezza riuscirà a fermarmi”

Gaara non capiva di cosa stesse parlando Lee, però si sentiva intorpidito ed accaldato, e queste sensazioni non gli piacevano troppo perché non sapeva gestirle. Si salutarono con Lee che gli diede un molto cavalleresco bacio sulla mano e con un “buonanotte” appena sussurrato.

*

 

Il giorno dopo, Gaara si alzò presto dal letto e andò a farsi una doccia veloce, stando bene attento a non sprecare acqua. Quando fu pronto, prese con sé la giara e si recò nel suo ufficio, dove si rinchiuse senza pause fino all'ora di pranzo; d'altronde aveva del lavoro arretrato dato che il giorno precedente l'aveva trascurato per stare con Rock Lee. Chissà cosa stava facendo Lee in quel momento? Magari dormiva ancora.. O magari era già sulla strada per il ritorno. Quando finalmente Gaara si fu messo in pari col lavoro, andò nell'ufficio adiacente per ricevere nuovi documenti da esaminare, ma vi trovò solo impiegati indaffarati e servili al limite dello stucchevole.

“Signor Kazekage, ci dispiace, ma non ci sono documenti per lei. Li ha presi tutti suo fratello Kankuro.. comunque le ha lasciato questo biglietto.”

Gaara lo aprì e lo lesse sbigottito:

Fratellino, tua sorella ed io siamo stanchi di vedere che ti ammazzi di lavoro. Prenditi la giornata libera; inoltre c'è in giro quello scalmanato di Rock Lee, magari puoi divertirti con lui. Al lavoro pensiamo noi,

K & T”

Immaginandosi il tono con cui suo fratello avrebbe pronunciato “divertiti con lui”, si sentì ardere le gote. Fortunatamente lui non arrossiva, mai, neanche se sottoposto all'imbarazzo più atroce. Consapevole di avere un'altra giornata libera, tornò nel suo ufficio a prendere la giara, pronto ad andare alla ricerca di Lee. Gli rimaneva solo un compito: avvisare i suoi sottoposti che per quel giorno avrebbero dovuto parlare e chiedere informazioni ai suoi fratelli e non a lui; però, l'idea di tornare in quella stanza piena di ipocriti lo nauseava: tre quarti di quelle persone l'avevano trattato come un mostro fino a poco tempo prima, ed era certo che al minimo segnale da parte di una forza politica a lui opposta, gli avrebbero voltato le spalle. Si sentì invadere dalla rabbia e da una profonda, incolmabile tristezza. Alla fine, Kazekage o no, lui rimaneva un mostro. Decise di lasciare loro un messaggio, così scrisse rapidamente due righe su un foglio e lo lasciò sulla scrivania, prima di creare una nuvola di sabbia che gli permettesse di raggiungere il suolo passando per la finestra. Una volta arrivato a terra si sentì un po' stupido: non sapeva dove cercare Lee. Iniziò a camminare per la via con aria assorta, finché non gli venne un'idea: conoscendolo, il posto più ovvio dove cercarlo erano i campi d'allenamento. Gaara ricreò la nuvola e si fece portare fino ai campi, dove trovò Lee che si allenava come un matto attirando l'attenzione della gente di Suna. Non che fosse un mistero che la gente di Konoha era più espansiva e giocosa, ma Lee era un caso a parte. Si dimenava, urlava, faceva espressioni da invasato, invocava il maestro Gai e la forza della giovinezza.. tutte cose che a Suna non passavano inosservate. Nei volti dei suoi sudditi, Gaara rivedeva il suo stesso stupore e scetticismo alla vista di quello strano tipo. Quasi sorrise al pensiero. Arrivato al bordo del campo, si avvicinò cautamente a Lee, mentre i cittadini lo salutavano in modo educato.

“Rock Lee” lo chiamò compostamente. Non gli piaceva parlare o relazionarsi quando c'era tutto un pubblico pronto ad origliare e commentare. Fortunatamente, i cittadini di Suna rifuggivano il pettegolezzo e la vita mondana, così, appena visto che quel tipo era un conoscente del capo villaggio, si erano allontanati lasciando loro la dovuta privacy. Dopo un calcio particolarmente potente, Lee si voltò per salutare chiunque l'avesse chiamato.

“Oh, ciao Gaara!” Notando che Lee sembrava contento di vederlo, il Kazekage sentì nuovamente un forte calore nel petto.

“Ti alleni sempre?”

“Naturalmente! Devo preservare la giovinezza che alberga sempre nel mio corpo! Ti va di allenarti con me?”

“Sì, grazie.” Il corpo di Gaara scalpitava dalla gioia di potersi allenare nuovamente. Sentire la fatica, il sudore che cola lungo le tempie, avere il fiato corto, sentirsi vivo. A Gaara era mancata la sensazione di selvaggia euforia che pervade il corpo dopo un buon allenamento. Si mise in posizione d'attacco, e iniziò a combattere con tutte le sue forze, notando con piacere che Lee era migliorato tantissimo. Si allenarono per ore senza sentire né fame, né stanchezza. L'unica cosa strana che aveva provato Gaara, era stata una fitta sospetta al basso ventre quando si era trovato davanti un Lee sudato e accaldato; il Kazekage però aveva liquidato quella sensazione per concentrarsi sull'attacco del suo avversario. Alla fine dell'allenamento si complimentarono l'uno con l'altro e si diressero ad una piccola porzione di erba giallina che giaceva come abbandonata al bordo del campo.

“Uff, ci credo che voi di Suna vi muovete a velocità mostruose.. Vi allenate nella sabbia!”

“Abbiamo dovuto fare di necessità virtù: non possiamo sprecare acqua per avere campi rigogliosi come i vostri, rischieremmo di arrivare impreparati alle siccità”

“Mi piace Suna” disse Lee d'un tratto, stendendosi sull'erba per guardare il cielo. “E' particolare, schiva e difficile da comprendere. Ma una volta che le dai fiducia, sono certo che sa aprirsi e donare perle preziosissime”

“Ti sbagli,” mormorò grave Gaara sedendosi al suo fianco,”Suna è inospitale. Si protegge dietro barriere di sabbia, ma lo fa per abitudine. Se scavi sotto la superficie non c'è nulla da proteggere, solo vuoto e desolazione.” Gaara amava il suo paese perché era come lui: senza speranza e arido. Però sapeva che una persona estranea alla vita che facevano lì, se avesse provato a stabilire un contatto, sarebbe morta o avrebbe sofferto. E lui non voleva che Lee soffrisse, voleva tenerlo lontano dall'orrore che si nascondeva dietro kilometri e kilometri di sabbia.

“E tu? Anche tu ti senti vuoto dentro, Gaara?”

Improvvisamente la bocca di Rock Lee era sulla sua e le loro lingue si stavano rincorrendo. Era un bacio lenitivo, che voleva cancellare il dolore di Gaara e colmare quel vuoto che si portava dentro da troppo. Così come era iniziato, il baciò finì.

“Tu non sei arido, Gaara. Sei un po' contorto, questo sì, d'altronde per crescere in mezzo alla sabbia, un germoglio deve per forza fare percorsi strani. Ma sei unico, un fiore sbocciato dal deserto. Un fiore bello e dannato, abituato alla solitudine perché al mondo non ce nessuno come lui. Hai le spine, come è giusto che sia. Ma hai anche foglie grandi, che attendono speranzose l'arrivo dell'acqua perché porti loro sollievo. Concedimi di essere la tua acqua, almeno per un po'”

Quello di Rock Lee era un discorso strano, ma Gaara non poteva evitare di sentire ancora quello strano calore. Non sapendo cosa rispondere, lo guardò intensamente e poi si avvicinò per strofinare il naso contro quello di Lee. Rimasero a guardarsi da quella distanza per qualche tempo, poi Lee si alzò di colpo vaneggiando di docce e odore di giovinezza. Camminarono in silenzio fino al palazzo del Kazekage, dove Gaara aveva fatto preparare una camera per l'ospite. Visto che ormai era pomeriggio inoltrato, si diedero appuntamento per cenare insieme negli appartamenti privati di Gaara. Finalmente nella sua stanza, Lee si spogliò e si gettò sotto la doccia, restandoci meno tempo possibile: il discorso sulla siccità ricorrente di Suna l'aveva impressionato e voleva fare il possibile se non per aiutare, almeno per non arrecare danno. Finita la doccia si coricò a letto e iniziò a pensare alla situazione in cui si trovava: di lì a poco si sarebbe trovato solo con Gaara. Dopo averlo visto concentrato, talmente coinvolto nell'allenamento da sembrare assorto, con l'affanno e le gote arrossate, non riusciva a pensare ad altro che non fosse il riuscire ad ottenere nuovamente quelle reazioni. Sapeva come fare e, ad essere onesto con sé stesso, non vedeva l'ora di farlo, ma non sapeva se Gaara avrebbe accettato o l'avrebbe respinto. Dannazione, non sapeva nemmeno se Gaara era omosessuale! Certo, si erano baciati; ma un paio di strofinamenti di labbra non erano abbastanza per decretare l'orientamento sessuale di una persona. Sentendo la testa che minacciava di iniziare a dolere, Lee si alzò dal letto, si vestì e decise di passeggiare fino all'ora di cena.

Quando arrivò da Gaara, era in leggero ritardo e non era nemmeno riuscito a decidere qualcosa di definitivo riguardo alla sua situazione. Bussò alla porta ed entrò solo quando gli fu risposto di entrare. Una volta chiusa la porta alle spalle, si trovò ad osservare una stanza circolare con al centro un tavolo già apparecchiato. Oltre a quella d'ingresso, c'erano tre porte, che Lee suppose fossero del bagno, della camera di Gaara e della cucina. Sentendo dei rumori provenire dalla porta di destra, vi si diresse a passo spedito. Una volta aperta la porta, si aspettava di dover salutare una miriade di cuochi e invece si trovò di fronte solo Gaara.

“Non c'è nessuno in cucina? Sono così in ritardo?” chiese preoccupato Lee.

“No, non ci sono i cuochi e no, non sei in ritardo.” se Lee avesse conosciuto bene le espressioni di Gaara, l'avrebbe visto vagamente divertito. Tuttavia era troppo confuso per notare questa stranezza nel compagno.

“E quindi non ceniamo?”

“Certo che ceniamo; ho cucinato io”

Sentire Gaara pronunciare una frase tanto strana, gli tolse la parola. Gaara? Sabaku No Gaara cucinava? Lee era incredulo. Vedendo la confusione e lo shock sul volto del suo ospite, Gaara spiegò meglio la situazione:

“Normalmente sono i cuochi a cucinare, visto che io sono chiuso in ufficio. Tuttavia ci sono rare occasioni dove posso usare i fornelli, per esempio con cene con la famiglia o quando non ho tanto lavoro e posso tornare prima.. questa cena è un modo per dirti che sono felice che tu sia qui” concluso in discorso, Gaara arrossì vistosamente. Lee non seppe dire se il rossore era davvero così evidente o se la sua capacità di capire quel ragazzo stava migliorando, però riuscì a notare quella sfumatura inconsueta e si sentì compiaciuto e riconoscente.

“Grazie, Gaara” disse con sentimento, prima di baciarlo. Se non fosse stato per la morsa della fame che li stava tormentando, entrambi avrebbero volentieri speso la serata baciandosi. Nessuno dei due l'aveva mai detto all'altro, ma amavano i baci che si scambiavano. Erano al contempo da amico, amante, fratello. Erano passionali, dolci, eccitanti. Servivano per curare le ferite dell'anima, ed entrambi ne avevano una grande collezione. Se Gaara era sempre stato isolato per quello che aveva dentro, Lee lo era stato per quello che aveva fuori. L'infanzia e l'adolescenza le aveva passate in mezzo a persone che lo prendevano in giro brutalmente per il suo aspetto fisico. Quando lui aveva trovato la forza di reagire e urlare al mondo i suoi ideali, ecco che il mondo lo aveva denigrato anche per quelli. Se non fosse stato per il Maestro Gai, Tenten e a modo suo anche per Neji, nemmeno Rock Lee riusciva ad immaginare il baratro di dolore e autodistruzione in cui sarebbe caduto. Mentre il bacio diventava sempre più profondo, Rock Lee sentiva di essere sul punto di perdere il controllo. Se avesse oltrepassato la linea, non sarebbe riuscito a fermarsi e non voleva spaventare Gaara, perciò si staccò bruscamente. Quando riuscì a regolarizzare il respiro e a guardare il suo compagno, scoprì che questi lo guardava con la consueta maschera impenetrabile.

“Perché ti sei allontanato all'improvviso?” gli chiese brusco.

“Perché non riesco a resisterti, Gaara” mormorò spostandogli una ciocca dal tatuaggio che aveva sopra l'occhio sinistro, “se non mi fermo quando sono lucido, poi so che non riuscirei a farlo”

“Fermarti dal fare cosa?”

“L'amore con te”

Per la seconda volta quella sera, Gaara arrossì. Diamine, stava diventando una pessima abitudine!

Mentre Gaara rifletteva, Rock Lee iniziò a baciargli con dolcezza il tatuaggio, cercando di trasmettere tutto il desiderio che provava nei suoi confronti. Per rendere Gaara completamente consapevole della situazione, avvicinò il bacino al suo per fargli sentire la reazione che aveva avuto il suo corpo. Quando gli inguini si toccarono, entrambi i ragazzi sentirono una scossa attraversare loro le membra. L'erezione di Lee si era scontrata con quella di Gaara, e questo aveva incrementato il loro desiderio. Lee stava per dire qualcosa, quando la sua pancia parlò per lui: un brontolio particolarmente rumoroso si diffuse per la stanza.

“Mangiamo” propose Gaara, che era d'accordo con la pancia di Lee: era dal mattino che non toccava cibo e la fame era veramente fastidiosa. Mangiarono in silenzio, ognuno concentrato sul dopocena: mentre Gaara era curioso di scoprire com'era fare l'amore con Lee, questi era in ansia: non voleva forzare Gaara, ma sentiva il bisogno di unirsi a lui. Mangiò senza assaporare il cibo, finché lo sguardo incuriosito di Gaara non lo obbligò a tornare con la mente al presente. Mentre masticava si rese conto che il cibo che stava mangiando era veramente buono.

“Gaara, sei bravissimo in cucina” gli disse con un tono palesemente sorpreso.

“Come mai questo tono incredulo?” gli chiese quasi offeso Gaara.

“E' che.. Insomma, non ti ci vedo in cucina. E invece sei bravissimo!”

“E come mai non mi ci vedi?”

Lee sapeva che la conversazione stava degenerando. Lui non voleva offendere Gaara, però non poteva negare che il fatto che fosse bravo a cucinare fosse come minimo sconvolgente.

“Quando penso a te, t'immagino seduto su una collina, intento a guardare l'orizzonte mentre la sabbia ti vortica attorno. Oppure ti vedo mentre arrossisci, o quando combatti. Fino ad ora non avevo mai pensato a te con addosso un grembiule da cucina, ma se indossi solo quello, sono sicuro di poter fare un'eccezione!” concluse ridacchiando. In cuor suo sperava che la battuta sciogliesse la tensione, e per sua fortuna fu proprio così. Gaara si rilassò, mentre un'espressione divertita si dipingeva sul suo volto. Chiacchierarono del più e del meno fino alla fine della cena; l'argomento principale fu Naruto, ma parlarono anche dei fratelli di Gaara e del maestro Gai. Quando doveva parlare con qualcuno di famiglia o fratelli, Lee s'intristiva sempre. Lui non aveva qualcuno di cui parlare, a parte il suo maestro. Non era orfano come Naruto, solo che coi suoi genitori c'era un rapporto vuoto, inconsistente. Da quando avevano scoperto che Lee non era capace di utilizzare le arti magiche e quelle illusorie, si erano allontanati da lui, lasciandolo solo contro le offese dei coetanei e lo scherno degli altri genitori. Siccome non voleva rovinarsi la serata, si costrinse a pensare ad altro. Una volta concluso il discorso, si alzarono e sparecchiarono in silenzio, studiandosi senza mai toccarsi. Quando anche l'ultima posata fu riposta nel lavello, si guardarono intensamente. Ognuno voleva toccare l'altro, ma il timore di fare qualcosa di sbagliato era soverchiante. Alla fine, sorprendentemente, a rompere il ghiaccio fu proprio Gaara. Si avvicinò a Lee con passi lenti e calcolati e, una volta arrivatogli davanti, gli appoggiò la testa sul petto cingendogli la vita con le braccia. Rimasero abbracciati per alcuni secondi, prima che Lee premesse con due dita sotto il mento di Gaara per sollevargli la testa e poterlo baciare. Fu un bacio lungo e affamato, uno di quelli che si scambiavano i suoi coetanei. Normalmente l'intimità con Gaara non era così; però, in quel momento sentì il peso del desiderio schiacciarlo contro quel ragazzo dallo sguardo di ghiaccio. Continuando a baciarsi con foga, camminarono alla cieca fino alla camera di Gaara. Una volta arrivati nella stanza, si chiusero la porta alle spalle e si amarono come sapevano fare solo loro due, con timidezza e allo stesso tempo desiderio di scoprirsi.

 

*

 

Lee si girò nel letto, inquieto. Si sentiva osservato, e questo lo metteva a disagio. Di colpo aprì gli occhi, solo per specchiarsi in quelli verde acqua del suo compagno.

"Gaara, non dormi?" gli chiese con voce impastata dal sonno.

"Non riesco" rispose sbrigativo lui.

"Credevo che avendoti tolto il demone, ora tu riuscissi a dormire.."

"Infatti"

"Non capisco"

Vedendo l'incertezza sul volto del compagno, Gaara provò a spiegarsi meglio.

"Se dormo, non ho difese"

"Sì, ma qui sei al sicuro! L'Akatsuki ormai ha quello che voleva, e non c'è ragione di venire ad ucciderti. Senza contare che sei in un villaggio di ninja! Nel tuo villaggio! Cosa potrebbe succederti?"

Gaara sapeva che quelle di Lee erano buone ragioni per cedere al sonno, ma nonostante ciò, la paura era comunque troppa. Quando Lee vide l'espressione sul volto di Gaara, prese la sua decisione. Corse in cucina e trafficò con moka e fornelli finché non riuscì a produrre un paio di litri di caffè. Tutto raggiante tornò in camera con una brocca piena di liquido scuro avente un alto tasso di caffeina e un bicchiere.

Appoggiò brocca e bicchiere sul comodino accanto al letto, sorrise a Gaara e gli disse, con tono solenne:

"Adesso puoi dormire, la bestia verde di Konoha veglierà su di te!"

"Si vede che sei stanco. Non disturbarti"

"Stanco, io? Caro mio, tu sottovaluti l'implacabile forza della giovinezza!" concluso il suo discorso, si esibì in una raccapricciante nice-guy pose. Quando era vestito, era abbastanza imbarazzante, ma in mutande era veramente inguardabile. Per tutti, tranne che per Gaara, che sentiva nel petto salirgli uno strano calore vedendo il suo ragazzo così premuroso nei suoi confronti. Mentre lo guardava bere un bicchiere di caffè e storcere il naso - a Lee il caffè faceva schifo - non riuscì a resistere e gli fece cenno di avvicinarsi. Quando fu a portata di mano, Gaara lo tirò facendoselo cadere addosso e lo baciò. Fu un bacio lungo che sapeva di ringraziamenti e caffeina. Quando si staccarono, Lee si sistemò meglio sul letto, abbracciò Gaara e gli fece mettere la testa sul suo petto.

"Dormi adesso, Kazekage"

Ora che Lee non poteva vederlo, Gaara sorrise.

Dopo una decina di minuti, il respiro di Gaara si regolarizzò. Finalmente era riuscito a dormire.

Quella notte Lee non gli aveva semplicemente dato il sonno: gli aveva dato la pace.  











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Capitolo 2
*** KankuroxKiba ***


Scrivo giusto due righe per dirvi che le altre coppie sono già in cantiere, ma non penso di riuscire a scrivere più nulla: l'ispirazione è morta quando ho scritto l'ultima riga della GaaLee (che ho scritto per seconda) e il tempo quando è iniziato il secondo semestre all'Università. Potrei comunque pubblicare qualcosina, anche se sarà certamente più corta dei primi due capitoli di "Era tante cose". La ff.. Beh, innanzitutto c'è Kankuro, un personaggio poco trattato che però io amo alla follia. Poi c'è Kiba, che mi sta simpatico, ma non lo conosco abbastanza da scriverne.. Diciamo che ho voluto provare. E' introspettiva, ma c'è anche sesso descrittivo, quindi il RATING è ROSSO!
Comunque sia, buona lettura!


Good times for a change

See, the luck I've had

Can make a good man

Turn bad

 

So please please please

Let me, let me, let me

Let me get what I want

This time

 

Haven't had a dream in a long time

See, the life I've had

Can make a good man bad

 

Di Kankuro si potevano dire tante cose, tranne che fosse espressivo. Certo, provava emozioni, e questo lo differenziava dalle marionette che amava dominare. Anzi, non erano semplici emozioni quelle che provava, erano sconvolgimenti emotivi, trasformazioni indecenti del modo di vedere, di vedersi. Dall'esterno nessuno notava nulla, soprattutto se andava in giro coi suoi fratelli. Temari era una forza della natura, divina e primordiale, una che non potevi ignorare perché lei non te lo permetteva. Dopo anni ed anni di totale invisibilità agli occhi dell'unico genitore rimastole, aveva imparato che se non schiacci, sei schiacciato. Così aveva imparato a farsi vedere, sprecando energie a vuoto solo per sentirsi viva. Poi però era arrivato Shikamaru Nara, e le cose erano cambiate. E così poco alla volta, la Temari che conoscevano era sparita. Sempre irruenta, sempre trainante, però senza quell'enorme senso di vuoto che le si leggeva negli occhi anche quando scoppiava in una fragorosa risata. Anche Gaara era irruento,anche se agli occhi di uno sconosciuto sembrava imperscrutabile. Se si arrabbiava, la pelle tra gli occhi si raggrinziva un po', incupendo la sua espressione e dandogli qualcosa di malvagio. Se era triste, lo sguardo si svuotava fino a farlo assomigliare terribilmente alle marionette che suo fratello adoperava in battaglia. Se era felice.. No, Gaara non era mai felice. O almeno, non lo era mai stato fino a quando non aveva conosciuto Rock Lee. Certo, la prima volta che avevano combattuto per poco non aveva ucciso quello strano ragazzo che si vestiva con improponibili tutine verdi, però poi aveva imparato a rispettarlo. Dal rispetto all'amore c'è un abisso, pensava Kankuro, soprattutto se ti chiami Sabaku No Gaara. Evidentemente non era così. L'espressione di porcellana del fratello si era poco alla volta crepata, fino a permettere la nascita di un nuovo individuo, sempre cupo e tetro, però con gli occhi pieni di emozioni indescrivibili. Lui invece, il miglior marionettista di Suna, si era ritrovato a convivere con il senso di vuoto, con il dolore per non essere mai stato amato. Solo le sue marionette lo capivano, e questo perché a muoverle era lui. Col tempo si era fatto schivo come un gatto, che, certo, se lo coccoli e lo sfami ti mostra gratitudine, ma che vive la sua vita in totale solitudine e che aveva imparato a bastare a se stesso. Forse era questo ad aver cambiato i suoi fratelli, l'aver qualcuno da cui tornare la sera. Il ventaglio di Temari ora non attaccava più, proteggeva. La sabbia di Gaara non lo isolava più, gli permetteva di comunicare. Le sue marionette invece erano rimaste fredde e vuote, e senza nessuno a riempirle di vita se ne stavano lì, ferme, a fissarlo mentre cercava di bere l'ultimo sorso di caffè senza che il dolore lo schiacciasse. A ben pensarci lui non era così imperscrutabile, anzi, spesso era la cosiddetta "anima della festa", sempre pronto a ridere e a fare battute, senza che però i sorrisi che regalava gli scaldassero il cuore. Sembrava un casinista, un irruento ragazzo che colpiva la vita con grinta, e invece si sentiva più decrepito di un vecchio, capace solo di provare emozioni liofilizzate. Finito di bere lavò la tazza, la ripose nell'armadietto e si diresse in camera. Dopo aver indossato la solita tuta nera e il copricapo, impugnò l'astuccio che conteneva i colori per fare della sua faccia una maschera da guerra e si diresse in bagno. Appena riposto il tutto, sentì suonare alla porta.

"Kankuro, muovi il culo! Lo sai che al Kazekage non piace aspettare!"

Sua sorella era sempre stata sboccata.

Avvolse le marionette nelle bende, se le caricò sulle spalle e aprì la porta.

"Sei spaventoso con quella roba ad impiastricciarti la faccia" sentenziò la sorella prima di abbracciarlo.

"Mi sei mancato, idiota. Non ti fai mai sentire" concluse, baciandogli una guancia e allontanandosi per permettere al fratello minore di salutare Kankuro. I due ragazzi si abbracciarono brevemente e si staccarono quasi subito, mentre Temari scuoteva la testa con aria rassegnata.

"Non siate troppo espansivi, mi raccomando" li schernì.

Kankuro grugnì mentre chiudeva la porta. Per evitare che la sorella ricominciasse a parlare, chiese a Gaara:

"Allora, la missione di oggi?"

"Dobbiamo andare al Villaggio della Foglia per unirci al gruppo che ci farà da spalla. Una volta stabilita la tempistica, io e l'Hokage decideremo il percorso migliore per andare a prendere alcuni rotoli in un villaggio vicino a Konoha. Al ritorno dalla missione, ci fermeremo dall'Hokage, consegneremo i rotoli, ci risposeremo a Konoha, dopodiché torneremo a casa. Tutto chiaro?"

Temari annuì con aria assente, già concentrata sulla missione.

Kankuro invece chiese:

"Come mai dobbiamo aiutare Konoha? Non sono capaci di risolversi i loro problemi senza di noi?"

"Naturalmente. Il villaggio di cui vi parlavo però sembra voglia ribellarsi all'autorità di Tsunade-sama. Non ti pare strano che io venga in missione? Un gruppo di chunin della Foglia era più che sufficiente, però l'Hokage e io preferiamo far capire subito che Suna appoggia Konoha e che ogni attacco alla Foglia, scatenerà la reazione della Sabbia."

Kankuro annuì per segnalare che aveva capito le intenzioni del fratello e il viaggio proseguì in silenzio.

 

Una volta arrivati a Konoha, i tre fratelli si divisero.

"Non c'é ragione di andare tutti dall'Hokage" aveva detto Gaara, "andrò solo io. Voi fare ciò che volete, avete mezza giornata libera. Ci incontreremo dalla porta ad Est verso le 14"

A Kankuro non era sfuggito il luccichio negli occhi dei fratelli, ognuno pensava alla possibilità di rivedere, sebbene per poco, la persona amata. Non avendo niente da fare, si recò al bar per bere un bicchiere di qualcosa di forte.

 

Siccome ormai erano le 13.45, decise d'incamminarsi verso il luogo dell'incontro. Appena arrivato, vide tre ninja della Foglia intenti a discutere di qualcosa. Erano i membri del team 8: Shino Aburame, Hinata Hyuga e Kiba Inuzuka. In realtà, constatò avvicinandosi al terzetto, la piccola Hyuga si guardava i piedi come se la punta delle sue dita contenesse la risposta ai più arcani interrogativi del mondo, il ragazzo-insetto osservava una farfalla e il ragazzo che puzzava di cane stava sbraitando aneddoti che Kankuro trovava quasi imbarazzanti.

"E beh, sapete che adesso vivo da solo, no? A proposito, potete venire da me quando volete, certo, però.. Mh, che stavo dicendo? Ah, sì, stamattina stavo facendo il caffè quando Akamaru.." Sentendosi chiamato in ballo, il cane osservò il padrone come a sfidarlo a proseguire.

"Buon pomeriggio" l'interruppe Shino, rivoltosi a Kankuro.

Questi rispose con un accenno del capo. La Hyuga lo guardò timidamente, e non riuscì a profferir parola. L'Inuzuka invece lo ignorò completamente, proseguendo il suo patetico aneddoto.

Dopo pochi minuti arrivarono anche gli altri ninja della Sabbia: Gaara camminava con Lee accanto, il volto sempre impenetrabile mentre il suo ragazzo di dimenava raccontando di chissà quali imprese. Temari invece camminava affiancata dal ragazzo-ananas, con un espressione da valchiria incazzata mentre il suo uomo se la ghignava sotto i baffi.

 

Prima di partire le coppiette si baciarono sbrigativamente - i fratelli di Suna non amavano le smancerie, e ancora meno l'idea di farle in pubblico.

"Tornate tutti interi! Stasera festeggeremo!" sbraitò Lee enfatizzando la frase con una piroetta. Shikamaru lo guardava bonariamente con uno sguardo che sembrava chiedere "ma dove si spegne questo tipo?"

Dopo l'ultimo saluto, i sei ninja partirono.

 

*

 

La missione si concluse perfettamente: i ninja del villaggio vicino a Konoha capirono che era meglio evitare di far incazzare sia l'Hokage che il Kazekage; soprattutto quest'ultimo, dato lo sguardo spaventoso che aveva. Non c'era storia, pensò Kankuro, nonostante ora avesse qualcuno che lo apprezzava così com'era, Gaara riusciva sempre ad incutere timore. Intimamente ne gongolò: grazie a lui la missione si era conclusa prima del previsto. Arrivati a Konoha trovarono un biglietto appeso con un kunai, che recitava:

"Questa sera ci si trova alle 9 meno 5 dal pub "Il ninja sbronzo". Gaara, ti aspetto da me per una lunga ed estenuante sessione di .." qui le parole erano state cancellate più volte, come se chi aveva scritto il biglietto non sapesse cosa scrivere "..allenamenti. Che in voi continui a splendere lo sfavillante luccichio della giovinezza. Rock Lee" Mentre Kiba sghignazzava, il diretto interessato del biglietto si intascò il pezzo di carta e il kunai e si diresse a passo di marcia verso l'abitazione di Lee.

"Beh, a stasera" si congedò sbrigativamente Temari, dirigendosi verso casa Nara.

Shino si allontanò senza fiatare così come la piccola Hyuga, che pensando di non essere notata ripercorreva i passi del ninja del clan Aburame. Rimasto solo con Kiba, Kankuro decise di allontanarsi da quel cane per andare a darsi una sistemata per la serata, dopotutto gli rimaneva solo un'ora e mezzo e voleva anche riuscire a dormire per un po'.

"A stasera, uomo-cane"

"A stasera, feticista delle bambole"

Mentre Kiba non poteva vederlo, Kankuro sogghignò; "feticista delle bambole", puah. Camminava da un paio di minuti, quando spazientito di girò a squadrare il ragazzo che lo seguiva.

"Che c'è, ti sei perso, cucciolo?" chiese sarcastico.

"No, simpaticone, io abito da queste parti" gli rispose Kiba con uno sguardo denigratorio.

Kankuro stava già per stramaledire il creato per la presenza del tizio della foglia alle sue spalle, quando questi con una corsetta lo raggiunse e gli chiese:

"Senti, visto che vivo vicino agli appartamenti che ti sono stati assegnati per la permanenza a Konoha, che ne dici di ridare le chiavi, farti restituire i soldi e venire da me? Tanto in casa siamo solo io e Akamaru.."

Kankuro, giratosi, stava per ridergli in faccia per il pessimo scherzo quando si accorse che negli occhi del giovane Inuzuka non c'era ironia: quel povero imbecille era serio.

 

Kiba era tante cose, ma di sicuro non era uno riflessivo. Finita la missione voleva solo andare a casa a lavarsi e cambiarsi per la serata, senza pensare al fatto che a casa non avrebbe trovato nessuno. Certo, era stata una sua scelta quella di andare a vivere da solo, aveva bisogno di un po' di sana indipendenza. Però non poteva negare che il silenzio insistente della sua nuova abitazione fosse molto meno accogliente della calma di casa Inuzuka. Sua madre detestava la confusione e quindi lui doveva sempre essere silenzioso; poi però, uscendo di casa, tornava ad essere il solito chiassoso Kiba. E questo solo per poi tornare a casa. Anche se non aveva ricevuto molte coccole e non era stato viziato, si era comunque sentito amato in quella famiglia che, a detta di alcuni individui, puzzava un po' di cane. La sua famiglia gli aveva insegnato tante cose, tra le quali prendersi cura di un cane, e per questo era molto grato sia alla madre che alla sorella. Altre cose però le aveva imparate da solo. E se tra queste c'era una cosa che Kiba sapeva fare bene, era seguire l'istinto. Ecco perché di punto in bianco aveva chiesto al ninja di Suna di tenergli compagnia. Certo, lui non era completamente solo: c'era Akamaru. Lui amava Akamaru come un fratello e la sua compagnia non lo stancava mai; però c'erano cose che non potevano fare insieme, e questo ostacolo gli pesava un po'. Sentendo un turbinio di emozioni soffocarlo, Kiba chiuse gli occhi alle richieste del suo orgoglio e del suo cervello e seguì l'istinto. E l'istinto diceva chiaramente di stabilire un contatto. Ecco cosa si ripeteva mentre il ragazzo di Suna lo guardava come se fosse un povero scemo. Stava già per ritirare l'invito quando l'espressione dell'altro mutò, fino a divenire una maschera imperscrutabile.

"Perché?" gli chiese semplicemente.

"Perché in casa ci siamo solo io e Akamaru e perché non è bene sprecare soldi, non te l'ha insegnato la mamma?"

Resosi conto della gaffe enorme - parlare a uno dei fratelli Sabaku di insegnamenti materni - provò a rimediare con un impacciato:

"Beh, sì.. C'è, ho spazio e se vuoi ho un divano comodo e.."

Si aspettava un pugno da quel tipo tutto nero e un po' inquietante, e invece questo si mise a ridere. Una forte e fragorosa risata che durò qualche secondo ma che fece quasi scodinzolare Kiba.

"Ma che cazz.." pensò il giovane Inuzuka accorgendosi dell'euforica e insensata felicità che lo pervadeva.

"Accetto, cane. Però la doccia la faccio prima io" gli disse Kankuro riprendendo a camminare.

"Ah, e a risparmiare i soldi me l'ha insegnato mia sorella"

Vedendo quello strambo ragazzo camminare davanti a lui, Kiba pensò che forse ne era valsa la pena di fare quella figuraccia.

 

Dopo la doccia, Kankuro si sentiva rinato. Si avvolse attorno alla vita l'asciugamano che gli aveva indicato l'Inuzuka e andò in salotto per comunicare che il bagno era libero. Appena entrato dovette scontrarsi con lo sguardo stralunato di Kiba, che lo guardava come se avesse visto il maestro Gai piroettare nell'aria avvolto da un tutù rosa.

"Che c'è?" chiese Kankuro, "ho ancora del trucco da guerra in faccia?"

"No.." gli rispose Kiba, "solo.. Non ti avevo mai visto senza trucco"

Kankuro lo guardò come se pensasse di aver di fronte il più grande imbecille di tutti i tempi, e probabilmente lo pensava davvero.

"Il bagno è libero, comunque" gli disse sedendosi sul divano.

Dopo averlo guardato per altri secondi, Kiba si diresse al bagno.

Rimasto solo con Akamaru, il marionettista guardò il cane con aria poco felice.

Non gli erano mai piaciuti particolarmente, i cani.

 

Mentre quel disgraziato Inuzuka si faceva la doccia, Kankuro aprì una delle marionette ed estrasse dei vestiti puliti. Uno dei vantaggi dell'avere un fratello praticamente imbattibile era quello di portare a spasso le marionette come fossero valigie. Povero Kuroari. Indossò una maglia nera, abbastanza aderente ma non ai livelli della tutina di Lee, un paio di jeans scuri e dei Dr. Martens sfasciati, proprio quelli che sua sorella detestava perché sporcavano ovunque, macchiati com'erano. Si frizionò i capelli ed era pronto. Si sedette sul divano per aspettare Kiba, mentre Akamaru lo guardava con un espressione indecifrabile; Kankuro decise di ignorarlo bellamente.

Quando mancavano solo 20 minuti all'appuntamento, il ninja di Suna decise di scoprire se quel cane di un Inuzuka si fosse suicidato sotto la doccia.

"Mancano 20 minuti e ne impiegheremo 10 per arrivare al pub. Sbrigati"

Diretto, preciso e puntuale.

Siccome era già da due minuti che lo aspettava fuori dalla porta, il marionettista perse la pazienza e aprì la porta del bagno con violenza per dirne quattro a quel ritardatario. Appena dentro, constatò che la doccia continuava ad erogare acqua senza che ci fosse qualcuno ad usufruirne: Kiba non era in bagno. Chiuse l'acqua borbottando di sprechi e inquinamento e si diresse verso la parte dell'appartamento che non aveva ancora visto: la camera di Kiba. Bussò piuttosto forte e aprì appena sentì l'Inuzuka dire: "Avanti"

Si trovò in una stanza piuttosto semplice: accanto all'enorme letto con coperte sui toni del marrone, vi era una cassapanca sulla quale vi era una foto del team 8 e una con quella che Kankuro suppose fosse la famiglia di Kiba. Dall'altro lato si trovava un armadio con accanto un'enorme cuccia per quel bestione del suo cane. "Sobria, per essere di questo pazzo" commentò tra sé e sé.

Una volta concluso il tour visivo della stanza, che comunque non durò più di un paio di secondi, Kankuro comunicò a Kiba che gli restavano 5 minuti per prepararsi e scoccò un'occhiata scettica al suo abbigliamento: indossava solo jeans chiari leggermente strappati e Vans marroni.

"Non vorrai uscire così, mi auguro"

"Non ci penso neanche! Sai quante persone inizierebbero a sbavare per questo splendido corpo?"

Kankuro lo osservò di sottecchi, mantenendo comunque un espressione impenetrabile.

Aveva spalle abbastanza larghe e un torace glabro, leggermente abbronzato, su cui facevano bella mostra di sé due capezzoli di qualche tonalità più scura. Non era magro, ma neanche grasso. Un fisico normalissimo, che però Kankuro si scoprì ad apprezzare.

Guardò Kiba con aria di superiorità, pur non nascondendo un certo divertimento e rispose:

"Sì, beh, io ti sto guardando e non sto sbavando.. o sbaglio?"

"E' perché tu sei frigido" scherzò l'Inuzuka.

Non riuscendo a resistere alla sfida di Kiba, Kankuro si avvicinò per piegarsi in avanti e sussurrare nell'orecchio ipersensibile dell'altro:

"Lo sai, se fossi il mio tipo a quest'ora non avresti più voce per gridare"

Godendosi lo sguardo scioccato dell'altro, si allontanò nuovamente per ricordargli che aveva meno di due minuti per essere pronto o l'avrebbe mollato lì. In trenta secondi Kiba fu pronto e dopo un minuto erano già in strada, diretti al pub scelto da Lee.

Camminavano in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Kiba si sentiva in colpa per aver lasciato a casa Akamaru, però d'altronde non poteva portarlo al pub perché non l'avrebbero fatto entrare e lasciarlo fuori al freddo era una cosa che non poteva proprio fare. Kankuro invece si chiedeva cosa avessero fatto quei due disgraziati dei suoi fratelli quel pomeriggio. Ripensando però al messaggio di Lee a proposito di "estenuanti allenamenti" decretò che l'ignoranza era una virtù da non sottovalutare, in certi casi. Suo fratello, Gaara del Deserto, era omosessuale e felicemente accoppiato con uno spostato che andava in giro indossando ridicole tutine verdi. Sua sorella, eterosessuale fino al midollo, si era sistemata con niente meno che uno sfaticato cronico, una specie di genio in perenne astinenza da cuscino. Lui? Beh, lui era totalmente disinteressato a ciò che una persona aveva nelle mutande. Se s'invaghiva, era della persona in sé e riusciva ad adattarsi senza problemi alle esigenze sessuali di quest'ultima. In passato era stato sia con donne che con uomini, ma le storie non duravano mai più di qualche mese, perché tendeva a perdere interesse nell'altro. Sembrava quasi che l'aridità del deserto avesse inaridito anche la sua anima, che cercava costante refrigerio nel contatto con quella altrui, fino al momento di averla consumata e assorbita. Dopo ogni incontro, Kankuro cambiava. Non nel senso che un giorno amava una cosa e il giorno dopo l'altra, era un tipo costante. Però a quell'ammasso caleidoscopico che era la sua personalità, ogni tanto si aggiungeva una sfumatura o un colore spariva per ricomparire poco più in là. E quando aveva assorbito tutti gli insegnamenti, i consigli, i dolori e la passione del rapporto, l'amore spariva, da un giorno all'altro. E le persone non erano altro che marionette vuote, per lui, alla fine. Per questo col tempo s'era fatto sempre più schivo. Ogni volta credeva che fosse quella buona, s'illudeva di aver trovato la persona giusta, solo per venire dilaniato dal dolore dell'abbandono qualche mese dopo. E anche se era sempre lui a lasciare il/la partner, si sentiva abbandonato. Da se stesso, dalla passione, dalla voglia di vivere.

Quando riuscì ad uscire dalla spirale di pensieri che lo stavano strangolando, scoprì di essere arrivato davanti al pub dell'appuntamento e che Kiba lo stava guardando con aria interessata.

"Che c'é?" chiese scorbutico.

"Niente, sei strano quando pensi.. Soprattutto perché fino ad ora nessuno ti aveva mai visto farlo" ghignò antipatico.

Kankuro alzò un sopracciglio in risposta. Dopo la scrollata di spalle di Kiba, entrarono nel locale. Individuarono subito qual era il loro tavolo: Rock Lee stava piroettando sul tavolo mentre Gaara lo fissava terrorizzato. O meglio, Gaara era imperscrutabile come al solito, per tutti, tranne che per il suo fratellone. Shino e Hinata erano seduti uno accanto all'altra, lei che guardava Lee imbarazzata che cercava di farlo scendere dal tavolo e lui che assisteva impassibile alla scena. Accanto a Shino vi era Sasuke, che si guardava attorno con aria di superiorità. Subito accanto a lui vi era un posto vuoto, probabilmente destinato a quel ritardatario cronico di Naruto. Subito dopo c'erano Shikamaru e Temari e infine gli ultimi due posti vuoti, dopo quello occupato da Lee, che finalmente era sceso dal tavolo.

"Ciao Kiba! Ciao Kankuro!" li salutò Lee.

Gli altri borbottarono qualcosa o fecero un breve cenno col capo.

Una volta seduti, Kankuro accanto a Temari e Kiba accanto a Rock Lee, si misero a chiacchierare col proprio vicino del più e del meno, giusto per passare un po' di tempo mentre aspettavano Naruto.

Quando questi arrivò, erano le 9 e un quarto passate.

Il primo ad accorgersi del suo arrivo fu Sasuke, il quale ghignò mentre lo chiamava con voce sicura:

"Dobe!"

Naruto fece un cenno verso i suoi compagni e li raggiunse sbuffando.

"Ciao, anf, teme! Ciao ragazzi"

"Sei in ritardo" gli risposero glaciali gli altri.

"Hehe, scusate. Non manca nessuno? Choji? Sakura?"

"Sakura deve lavorare con Tsunade, quindi non verrà. Ino e Choji sono usciti da soli, visto che giusto stasera fanno un mese insieme. Neji è in missione e Tenten ha preferito restare a casa" rispose Shikamaru col suo solito tono annoiato.

"Va bene.. Ordiniamo?"

Si passarono i menù e ordinarono tutti qualcosa di leggero, insieme a consistenti dosi di alcool. Uscivano da un periodo pieno di missioni e si godevano un po' di meritato riposo, ridendo e scherzando in compagnia. Quando ormai i bicchieri erano stati vuotati più volte, le chiacchiere si spostarono verso terre che sarebbe meglio evitare quando si è sbronzi: la vita di coppia. Lee ciarlava di notti passionali, mentre Gaara teneva gli occhi chiusi, probabilmente per non vomitare l'anima. Shikamaru e Temari avevano preferito un approccio pratico: si baciavano lasciando molto poco all'immaginazione.

Kankuro si era semi sdraiato sulla sedia, ridotto quasi al coma etilico, mentre guardava il soffitto del locale e ascoltando la conversazione tra i suoi coetanei.

“E comunque Lee e Gaara sono una coppia perfetta!” sbottò improvvisamente Naruto in direzione dei diretti interessati.

“E perché mai?” chiese curioso Kankuro.

“Si completano!”

“Certo che ci completiamo! Il fiore della gioventù che vive in noi ci porta l'uno verso l'altro” s'inserì Lee.

“No no, io parlavo delle sopracciglia!”

Se gli sguardi avessero potuto uccidere, Naruto sarebbe stato l'ennesima vittima di Gaara.

Dopo un attimo di silenzio glaciale in cui Sasuke guardò tutti con estrema indifferenza, il trambusto ricominciò. Tuttavia la confusione non impedì a Kankuro di sentire Lee chiedere preoccupato cosa avessero le sue sopracciglia e Gaara rispondergli che erano perfette. Il marionettista vide il fratello rincuorare il suo ragazzo con un bacio sulla guancia. Considerando la dolcezza della scena e il soggetto protagonista, Kankuro sorrise al nulla. Per lasciare al suo fratellino la dovuta privacy, rifocalizzò l'attenzione sulla discussione dell'altra parte del gruppo.

"Shino, hahaha.. Se tu non stessi sempre in disparte coi tuoi insetti a quest'ora avresti la ragazza!" sbottò Kiba in direzione del compagno.

"Non mi sembra che tu sia in dolce compagnia, mi sbaglio forse, Kiba?" rispose di rimando Shino.

"No, Shino, vedi.. A Kiba piace l'uccello!" dopo la brillante dichiarazione di Naruto, Kiba lo guardò come se stesse progettando la sua morte.

"Non mi sembra che tu sia in una situazione diversa da quella dell'Inuzuka, dobe" commentò Sasuke. Era la prima frase che pronunciava dall'inizio della serata.

"Grazie, Sasuke" borbottò Kiba.

"Figurati, cane"

"Comunque io non ho problemi con la mia sessualità, a differenza di qualcuno..." Naruto lanciò un'occhiata eloquente a Kiba, che rispose con una linguaccia. "A proposito di qualcuno, KANKUROO!" si mise ad urlare il biondo, "tu che ci dici?"

"Che dovresti farti i dannatissimi affari tuoi, Naruto" gli rispose il marionettista, rimanendo semi sdraiato a guardare il soffitto.

"Dai che magari troviamo il fidanzato ad Hinata!" sbottò quello tutto gioviale.

La ragazza tirata in ballo arrossì vistosamente.

"Spiacente Hinata," le disse alzando la testa in modo da poterla guardare in faccia, "ma sono dell'altra sponda anche io" ghignò. Era una piccola bugia a fin di bene, dopotutto. Non poteva certo mettersi a spiegare ad una bolgia di sbronzi la sua complicata teoria sull'amore. Senza escludere che Hinata lo attirava come un calcio nei maroni. Quindi sì, una piccola bugia era accettabile.

"Ma che tavolata di frocioni!" sbottò qualcuno alle loro spalle.

"Tenten! Ciao!" la salutò Hinata. Probabilmente era contenta che ci fosse almeno un'altra ragazza con cui parlare, visto che Temari era impegnata a fare altro.

"Sei simpatica come al solito, nanetta?" le chiese Kankuro, pizzicandole giocosamente una coscia.

"Haha, che carino, il travestito sbronzo"

"Io non sono sbronzo, nanetta. Sono diversamente sobrio. E per la cronaca, il mio è un trucco da guerra. Qui l'unico travestito sei tu" le disse, facendole l'occhiolino.

Lei si avvicinò e cominciò a stuzzicare Kankuro con degli schiaffetti e dei pizzicotti, mentre s'informava sull'andamento della serata.

"Spiacente ma adesso devo andare: sono stanca da morire.. E comunque sarebbe il caso che vi levaste dalle palle anche voi, è l'una e il proprietario del pub mi sembra abbastanza desideroso di andarsene a casa."

Quando ormai anche Tenten se n'era andata, i giovani ninja iniziarono a prepararsi per andare a casa.

Si salutarono davanti al locale; Shino accompagnava Hinata a casa, da bravo cavaliere impeccabile, Naruto ospitava Sasuke, visto che quest'ultimo aveva bevuto considerevolmente, Lee e Gaara andavano via insieme a "godersi i privilegi della giovinezza", Temari e Shikamaru volevano andare a casa di lui il più in fretta possibile, mentre Kankuro andava da Kiba visto che quest'ultimo gli faceva la cortesia di ospitarlo.

Il tragitto verso casa sembrò molto corto. "O forse," pensò Kankuro, "sono troppo sbronzo"

Arrivati nell'appartamento, scoprirono che Akamaru dormiva in camera di Kiba fingendo di non averli sentiti, anche se si vedeva benissimo che faceva l'offeso. Per farsi perdonare, Kiba andò da lui tutto traballante e iniziò a grattargli la testa e lo spazio appena dietro le orecchie. Mentre l'Inuzuka cercava di fare pace col cane, Kankuro si lanciò a peso morto sul divano, scalciando in malo modo le scarpe per godersi appieno la morbidezza e la freschezza del divano. Mentre stava per crollare, sentì un rumore sordo provenire da qualche parte nelle immediate vicinanze. Aprì un occhio in modo svogliato, solo per ritrovarsi davanti due bottiglie di birra appoggiate sul tavolino e Kiba spaparanzato sulla poltrona.

"Non hai già bevuto abbastanza, cucciolotto?" lo schernì Kankuro.

"Io non ho bevuto quanto te, spugna. E comunque una Hopf Weiss va sempre giù bene"

Kankuro si scoprì felicemente d'accordo, e, puntellandosi su un gomito, iniziò a bere la sua birra fresca.

Chiacchierarono di cose futili e ridacchiarono, finché Kiba non finì la sua birra. Dopo l'ultimo sorso aveva assunto un aria meditabonda e guardava fisso davanti a sé, segno che ormai la sbronza era arrivata.

"Davvero sei gay?" mormorò inaspettatamente l'Inuzuka.

Kankuro si prese del tempo per rispondere. Era troppo sbronzo per preoccuparsi di essere preso per scemo, quindi a grandi linee parlò a Kiba del suo rapporto con l'amore e di come fosse disinteressato alla sessualità del partner.

Kiba ascoltava con l'aria un po' persa, però si vedeva che faceva il possibile per restare concentrato.

Quando alla fine anche la bottiglia di Kankuro fu vuota, questi si accasciò mollemente sul divano. Sentiva Kiba borbottare frasi sconnesse e si scoprì a ridacchiare sommessamente. Dannazione, era veramente sbronzo. Già s'immaginava Temari che gli rompeva il cazzo con le solite storie: non bere troppo, ti rovini il fegato, adesso lo pulisci tu quel vomito. L'alcool lo rendeva pieno di amore nei confronti dei fratelli, peccato che da sobrio non riuscisse a farlo vedere così bene. Provò a sorridere ma si sentì la bocca come impastata. Mh, bell'affare. Improvvisamente gli venne in mente quell'improbabile coppia formata da suo fratello e da Rock Lee. Stava per iniziare a parlare a caso di Gaara quando sentì che la sua bocca era impegnata. Cercando di focalizzare meglio, si accorse di essere coricato sul divano mentre Kiba, inginocchiato di fronte a lui, lo baciava con veemenza.

Vista la reazione del suo corpo - ormai non c'era modo di nascondere l'erezione - si chiese confusamente da quanto tempo andasse avanti quel bacio e scoprì con disappunto di non riuscire a ricordarlo. In ogni caso, era piacevole, dannatamente piacevole; sentiva il corpo aumentare la temperatura, e quindi desiderò spogliarsi.

Cominciò a rispondere seriamente al bacio e lentamente si alzò a sedere, in modo da evitare di vomitare improvvisamente. Constatò orgogliosamente che tutto sommato non era messo così male come credeva; quando finalmente si fu seduto sui cuscini del divano, prese il volto di Kiba tra le mani e iniziò a baciarlo con forza, finché entrambi non si staccarono per riprendere fiato.

“Mh, cosa stiamo facendo?” chiese confuso Kankuro.

“Non lo so, ma mi piace” rispose Kiba, riprendendo a baciarlo e soffocandogli un “Concordo” sulle labbra.

Continuarono a baciarsi per un po', dopodiché Kankuro iniziò ad esplorare con le mani l'addome di Kiba. Gli accarezzò gli addominali accennati, i fianchi e gli sfiorò casualmente i capezzoli; sentendo che quel contatto aveva aumentato l'eccitazione invece di alleviarla, Kiba ringhiò nella bocca dell'altro. Vedendo che Kankuro non era intenzionato a proseguire nell'esplorazione del suo corpo, decise di vendicarsi accarezzandogli fuggevolmente il cavallo dei pantaloni. Kankuro soffiò in risposta.

“Allora, abbiamo finito coi giochetti, micino?” gli domandò sornione Kiba.

“Dimmelo tu, cagnaccio”

“Dillo che vuoi litigare!” sbottò Kiba prima di mordergli un capezzolo attraverso la maglietta.

Kankuro mugugnò in risposta. Prima che potesse metabolizzare la notizia, Kiba gli aveva sfilato la maglietta e gli stava baciando il collo alternando ai baci umidi dei morsi delicati. Cercando di avere un ruolo più attivo durante i preliminari, Kankuro si obbligò a trovare un'occupazione e optò per sfilare i pantaloni al suo compagno. Notò con gioia che le scarpe erano già sparite, il compito sarebbe stato più facile. Una volta accompagnati i pantaloni fino alle caviglie ed aver aiutato il compagno a sfilarli, iniziò a risalire lentamente per godersi lo spettacolo fornito dalle gambe di Kiba. Arrivato all'altezza dell'inguine però dovette storcere il naso: l'erezione spingeva contro un paio di mutande rosse fiammanti che recavano l'immagine di un cucciolo e la scritta “Kiss my puppy”.

“Che pessimo senso dell'umorismo, Inuzuka”

“Frigido e privo di qualunque umorismo”

Kankuro borbottò qualcosa che pareva molto un “lo vedremo” prima di rialzarsi completamente e riprendere a baciare Kiba, che aveva iniziato ad armeggiare con la cerniera dei suoi jeans. Quando anche i pantaloni di Kankuro furono andati, Kiba si allontanò per osservare il corpo del ragazzo che aveva di fronte: gambe tornite, fianchi stretti, fisico normale, con appena un accenno di rodondità sulla pancia, segno di tutte le birre che il ragazzo di Suna beveva nei momenti di relax, spalle larghe, pelle bianchissima. La tuta nera che portava sempre lo copriva quasi ermeticamente e il sole non riusciva a filtrare per dare un po' di colore, ma a Kiba andava benissimo così: lo trovava splendido. Anche le mutande sui toni del bordeaux contribuivano ad accentuare il pallore naturale di Kankuro, rendendolo agli occhi dell'Inuzuka ancora più bello.

“Ti piace la merce? Vuoi comprare qualcosa?” lo schernì Kankuro.

Kiba decise di giocare. Si chinò, raccolse i propri pantaloni e disse:

“No, in effetti no. Buonanotte!” e si diresse a passo svelto verso la camera. Aveva appena superato il divano quando si sentì spingere a terra con un mezzo avvitamento: si ritrovò con la schiena a contatto col pavimento e la testa tenuta dalle mani di Kankuro, che nel frattempo si era posizionato tra se sue gambe.

“I giochi finiscono qui” gli disse, prima di morderlo forte su una spalla. Kiba urlò di piacere e dolore. Prima di potersi riprendere, Kankuro lo aveva fatto alzare tanto da potergli togliere la maglietta e lo fece stendere nuovamente a terra. Prima che potesse fare qualsiasi cosa, si sentì sfilare le mutande mentre la bocca di Kankuro iniziava a lavorare sulla sua erezione. Iniziò a gemere senza freni, muovendo inconsciamente il bacino. La mano destra del ninja di Suna era risalita lungo il suo ventre gli stava torturando un capezzolo, e Kiba si sentì morire. Kankuro era ovunque nello stesso momento e la forza delle emozioni che stava provando lo stava per sopraffare. Quando Kankuro sentì che il suo compagno era al limite, si staccò dalla sua erezione per tornare a torturare la bocca. La mano intanto si spostò alla sua apertura e iniziò a prepararlo introducendo un dito. Quando quell'intrusione fu accettata, ne inserì un secondo e poi un terzo. Iniziò a muovere le dita dentro e fuori finché Kiba non iniziò a spingersi contro di esse. Reputandolo pronto, Kankuro si sfilò l'intimo e lo penetrò con un unico affondo. Nonostante la preparazione fosse stata ottimale, Kiba provò un po' di dolore. Notando che il compagno era in difficoltà, Kankuro non si mosse, permettendogli di abituarsi all'intrusione, e iniziò a mordicchiargli il collo. Quando, con un mugugno, Kiba iniziò ad impalarsi, Kankuro capì che era pronto e iniziò a spingere con forza. Affondò in lui più volte, arrivando quasi ad uscire del tutto per poi seppellirsi nuovamente in quell'antro caldo. Dopo poco fu troppo per entrambi e vennero, Kiba sui loro stomaci e Kankuro dentro al compagno. Rimasero stremati per qualche minuto, prima che Kiba commentasse:

“Ricordami di farti bere più spesso”

Kankuro sbuffò divertito, prima di uscire dal corpo di Kiba.

“Ah e di provocarti!”

A questa affermazione, Kankuro sbuffò e basta.

Quando ebbero abbastanza fiducia nelle loro capacità fisiche, si alzarono e andarono a farsi una doccia veloce prima di andare a letto.

Vedendo che Kankuro si stava dirigendo verso il divano, Kiba gli propose impacciatamente di condividere il letto. Beh, maledizione, uno che lo aveva fatto godere così tanto meritava di dormire in uno stramaledetto letto!

Kankuro accettò ghignando.

Mentre cercavano una posizione comoda per dormire, Kankuro allungò una mano in direzione di Kiba e riuscì a strizzargli un capezzolo in malo modo, sghignazzando un “buonanotte”, mentre l'altro lo insultava.

 

*

 

Al mattino Kankuro si svegliò stranamente riposato, si stropicciò gli occhi e si grattò una coscia. Guardando fuori dalla finestra decretò che erano circa le otto e trenta e si recò in cucina. Prese una tazza, si versò del latte e del caffè freddo e si sedette sul tavolo.

“No ma fai pure come se fossi a casa tua” sbottò Kiba appena entrato in cucina, vestito per uscire e con Akamaru accanto.

“Come mai così mattiniero?” gli chiese curioso Kankuro.

Kiba indicò Akamaru in risposta e poi spiegò:

“Deve uscire a fare i suoi bisogni e io lo accompagno, così riesco a fare una passeggiata. E comunque sono sempre mattiniero, a differenza di qualcuno”

Kankuro non parlò e finì il contenuto della tazza, prima di alzarsi e passare accanto a Kiba, il quale non riuscì a trattenersi e gli sussurrò:

“Già te ne vai, Mister pentola di fagioli?”

“Prego?”

“Stanotte hai russato come un dannato”

“Non credo proprio” commentò Kankuro alzando un sopracciglio.

“Oh, sì. Hai russato talmente tanto che ho faticato a dormire”

“Non preoccuparti, stanotte dormirai benissimo. Sto tornando a Suna” concluse Kankuro prima di sparire dalla vista.

Kiba sapeva che la loro non era una relazione seria, anzi, non era neanche una relazione a dire la verità, però non negava di essere dispiaciuto. Sentiva dei rumori provenire dalla camera, qualche imprecazione e poi vedeva Kankuro tornare in salotto per recuperare i pantaloni, poi la maglia, poi le calze e infine le scarpe. Il tutto restando sempre in mutande. Kiba lo trovava bello e non sapeva dire il perché. Sapeva solo che voleva continuare a guardare quel ragazzo vagare un po' spaesato nella sua nuova casa, vederlo fare colazione in mutande seduto sul tavolo, osservare i suoi occhi sciolti dal piacere mentre lo prendeva. Non si sentiva romantico, non nel senso smielato e stucchevole del termine comunque, però sentiva un'attrazione particolare nei suoi confronti e non voleva che tutto si esaurisse in un'unica, seppur splendida, scopata. Sentì Akamaru uggiolare e si voltò per scoprire cosa avesse; questi spinse con la testa contro la sua gamba per indurlo a muoversi verso la sua camera: lo stava incoraggiando. Ancora una volta il suo cucciolo era con lui e lo sosteneva. Gli sorrise e avanzò a passo spedito verso la sua camera. Quando arrivò alla porta, trovò Kankuro voltato di spalle che cercava di impilare i vestiti in modo da poterli infilare nella sua marionetta. E il tutto sempre in mutande. Quella mattina ne indossava un paio nero, sobrio, che lo fasciava alla perfezione. Kiba non resistette e lo abbracciò da dietro sussurrandogli all'orecchio:

“Non così in fretta, cowboy”

“Cowboy?” chiese scettico Kankuro.

“Come sei puntiglioso” lo schernì Kiba prima di mordergli delicatamente un lobo e fare leva sulla punta dei piedi per far aderire il proprio inguine al sedere del compagno e renderlo partecipe del suo “problema”.

“Alzabandiera mattutino, Inuzuka?”

“Anche. Ma principalmente è colpa di un grosso imbecille che gira per casa mia in mutande. Magari te lo presento”

“Uh, sì, sarebbe carino. Magari ci possiamo prendere un thé”

“Quanto sei cretino?” gli chiese ridendo Kiba, prima di voltarlo e baciarlo.

 

*

 

Kankuro ormai era partito da un paio d'ore, e casa Inuzuka pareva vuota, tanto era silenziosa. Kiba era coricato sul suo divano, proprio quel divano che era impregnato dell'odore di quel disgraziato d'un marionettista che giusto quella mattina aveva avuto l'idea geniale di prenderlo sul suo letto con una forza quasi bestiale. Mentre Kiba era ancora disteso sul materasso, lui s'era alzato, vestito, aveva preso le sue cose e se n'era andato salutandolo con uno sbrigativo:

“Ci vediamo, baubau”

Kiba inspirò ancora l'odore, poi si alzò e uscì. Akamaru era in missione con Kakashi e i suoi cani, coinvolti in un' operazione di ricerca particolarmente spigolosa. Se n'era ricordato quando, alzatosi dal letto, l'aveva cercato inutilmente per casa, solo per ricordarsi improvvisamente di quando, un paio di giorni prima, Tsunade l'aveva convocato per chiedergli di prestare il suo cane a Kakashi. Si maledì per aver accettato, almeno in quel momento non sarebbe stato solo. Non era innamorato, dannazione! Non era una stramaledetta dodicenne in balia degli ormoni, era un ninja! E un ninja con le palle! O almeno, di questo cercava di convincersi mentre scendeva le scale del palazzo. Appena trovato in strada, guardò stupito davanti a sé: Kankuro era seduto sul poggia schiena di una panchina poco distante, lo sguardo che vagava. Si era tolto il copricapo con le orecchie da gatto, e lo teneva in mano con fare reverenziale, quasi che fosse preoccupato di rovinarlo. Le marionette erano accanto a lui, appoggiate alla panchina come bambole rotte con cui nessuno giocava più.

“Ancora qui, cowboy?”

“Così pare.. e piantala con quel “cowboy”.

Kiba gli si avvicinò sogghignando. Si sedette accanto a lui e contemplò il nulla per qualche secondo.

“Non dovevi andare a Suna?”

“Sì. Prima però dovevo pensare”

“Guarda che rischi che si faccia notte!” lo schernì Kiba per alleggerire la tensione. Aveva notato troppo bene lo sguardo cupo sul volto dell'altro.

“Non sei stato solo una scopata. Però non ti amo, non so neanche se sono ancora capace di farlo.” sbottò l'altro. D'altronde, pensò Kankuro, almeno uno dei due doveva essere uomo e prendere la questione per le corna, o non ne sarebbero mai usciti.

“Anche tu non sei stato solo una scopata. E io non so se sono abbastanza maturo per amare”

Si guardarono per qualche secondo, e si capirono. Per un attimo, fu come se fossero stati amici da sempre.

“D'accordo, ora che abbiamo chiarito, posso andare a casa”

“E i tuoi fratelli?”

“Mi aspettano alle porte di Konoha”

“D'accordo. A presto, cowboy”

“Piantala, baubau.”

“Hey, se io sono “baubau”, tu sei senz'altro “cowboy”!

“Piantala, se non vuoi che mi conceda al primo ninja che ci prova con me!”

“E chi mai ci proverebbe?”

“Tutti! Sono un uomo colto e pieno di fascino, io

“Davvero?” chiese ironico Kiba. “Mi sa che più che di fascino, sei pieno di boria!”

“Anche” commentò Kakuro con aria noncurante. Mentre parlava, il ninja di Suna s'era preparato a partire, questa volta per davvero.

“Ciao, baubau” mormorò sulle labbra si Kiba, prima di baciarlo.

“Ciao, CB” sghignazzò Kiba. Sentendo il suo nuovo nomignolo, Kankuro alzò gli occhi al cielo.

“La prossima volta tu quello sdraiato su un pavimento gelido” aggiunse.

“Lo vedremo, cucciolotto” lo schernì Kankuro, prima di sparire in una nuvola di fumo.

“Che coglione teatrale!” sbottò Kiba ridacchiando, prima di tornarsene a casa.  

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