StoryTeller

di Leyton_Nenny
(/viewuser.php?uid=176461)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gin e Ginseng ***
Capitolo 2: *** Amicizia, cioccolato e cupcakes ***
Capitolo 3: *** Sogni al sapore di zucchero filato ***
Capitolo 4: *** Principio di congelamento. ***



Capitolo 1
*** Gin e Ginseng ***


Mi chiamo Ginevra.

Ginevra come la moglie di re Artù. Ginevra come l' amante di Lancillotto.

Mi chiamano Gin. Gin come il liquore, Gin come se abbreviassero la spezia del caffè. Ginseng.

E' caffè. Però è dolciastro, aromatico. Ti tiene piacevolmente sveglio. Ti aiuta a pensare.

L' alcool invece è completamente diverso.

E' stopposo, sa di bruciato. Ti entra in gola come mille spilli e te la brucia. Però poi ti scalda, ti scalda piacevolmente. E mentre sei caldo, ti aiuta a non pensare, ti aiuta a trovare pace. Ti aiuta a dormire.

Mai provato a prendere un superalcolico e buttarlo giù tutto insieme?

La lingua inizia a bruciare, e mano a mano che il liquido scende anche il bruciore scivola verso il basso. Fino ad arrivare allo stomaco.

Ed è allora che inizia a scaldarti.

Il caffè invece non brucia, scivola piacevolmente giù e ti scalda lentamente, proprio mentre scende. Però se è troppo caldo ti bruci la lingua.

Gin- Ginseng.

E' questa la mia vita.

Alcool e caffè.

Un po' come me.

E' questo che mi accompagna nelle ore prima... della mia vera vita.

“Gin! Ci sei?”

Guido. Sta a noi.

“Il tempo di un caffè.”

Non è una domanda, nemmeno guardo per sentire una risposta. Non è una domanda.

Il ginseng. E accanto il bicchierino col Gin.

Prendo la tazzina.

Un gesto delicato, come se fosse un rito di una qualche religione dimenticata. E resto nel mio religioso silenzio mentre il liquido ocra attraversa le mie labbra. E dalla mia bocca posso chiaramente sentirlo attraversare l' esofago. E scivola, scivola lentamente. Affianca le corde vocali, scaldandole. E poi scivola ancora, fino a depositarsi nello stomaco.

Poggio la tazzina: il silenzio si rompe solo con il fondo della tazza che tocca il piattino.

E ora il Gin.

Non c'è rito, non c'è magia.

Buttalo giù, tutto insieme.”

Ricordi. Ricordi di una bambina di 16 anni a cui offrivano un bicchiere di un liquore e lei, affascinata dal colore del liquido e dall' odore fruttato, lo beveva.

Se lo bevi piano fa più male”

Ma non faceva già abbastanza male? E in quel posto tutto odorava di birra e alcool. Tutto odorava di Gin, ma non c' era il Ginseng.

Tutto insieme, senza esitazione, senza sentimento.

“E' ora!”

Guido. Ancora lui.

Mi avvicino allo specchio: c' era un mazzo di rose rosso cupo, le mie preferite.

Il mio migliore amico non era potuto venire.

Ne presi una e la appuntai al corpetto.

“L' immagine è tutto.”

Quante volte lo avevo sentito?

E mi ritrovavo sempre a indossare corpetti neri con gonne svolazzanti e ampie. E le calze. O stappate o lavorate.

Provai a respirare: il mio seno sembrava esplodere e il mio respiro risultava stroncato.

“Guido, fammi un favore: allenta un po'.”

“Ma...”

“Non riesco a respirare, okay?”

Mani fredde a contatto con la mia pelle bollente di Gin e Ginseng.

E poi aria. Finalmente riesco a respirare.

“Adesso andiamo, tocca a noi.”

Corridoi bui sinuosi. E poi le scale.

“In bocca al lupo”

Crepi. Non lo dico, lo penso.

Crepi. Crepi come tutto.

Silenzio.

E poi, finalmente, la musica.

E le luci si accendono.

Il palco, la mia vita.

E la mia voce, la mia voce che odora di Gin e Ginseng.

Nell' ordine inverso però.

Tastiera. Poi basso. E infine chitarra.

E ora batteria.

E voce, finalmente. Il mio strumento.

Voce.

“Sei la front, tu ci metti la faccia. Quindi fai del tuo meglio per te stessa.”

La front, la ragazza che mette la faccia nella musica.

E che deve indossare abiti in cui non respira.

E indossa rossetto rosso cupo come le sue rose, con gli occhi cerchiati di nero.

Come dopo una notte insonne, come dopo una notte in cui si è bevuto solo Ginseng.

E le guance tinte con un debole rosso che stronca il bianco del volto.

Come dopo aver bevuto qualche bicchiere di Gin.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Amicizia, cioccolato e cupcakes ***


“Ehi Gin, usciamo?”

La mia migliore amica.

Spesso mi sono chiesta come sarebbe stata la mia vita se non l' avessi mai conosciuta.

E la risposta che ho trovato è stata anche la più banale: non ci sarebbe stata.

Sarei morta già da un pezzo.

Sì, perché è lei che nei miei momenti più neri mi da una mano per sollevarmi da quel grigiore, che mi da la forza necessaria ad uscire da quel buio. E mi da la forza di affrontare il mondo.

La mia migliore amica, la mia energia.

E' un po' come il cioccolato: all' inizio lo mangi per gola.

O almeno credi sia così.

Ma in realtà il tuo cervello lo elabora in modo diverso.

Dopo aver mangiato il cioccolato è innegabile che tu ti senta più felice. Ed è proprio questo che riceve il tuo cervello.

Cioccolato= felicità in barretta.

Quindi, ogni volta che mangi del cioccolato in realtà è perché non sei propriamente felice, anche se non te ne accorgi.

Chi dice che la felicità non si possa comprare, non ha mai mangiato del cioccolato.

O almeno non l' ha mai fatto con la mia migliore amica.

Lo stesso vale per chi dice “non mi piace il cioccolato”.

Bugia.

Se non ti piacesse il cioccolato, non ti sentiresti mai triste forse? Oppure non saresti mai felice?

Impossibile.

Tutti amano il cioccolato, è un dato di fatto.

Sia che sia fondente che sia al latte o che sia semplicemente bianco, o con nocciole o altro, ci deve essere un tipo di cioccolato che possa piacere a chiunque. Altrimenti non tutti avrebbero la felicità in barretta.

La mia migliore amica è un po' come il cioccolato solo che me la posso portare sempre appresso.

E' la mia felicità sotto forma di persona.

Una volta ho ripensato a tutti i momenti in cui mi sono sentita felice. E l' unica parola chiave che ho trovato era lei, la mia migliore amica.

Credo sia per questo che il mio cervello rifiuta di elaborare il fatto che anche lei possa avere i suoi problemi e le sue delusioni. E che anche lei possa non sentirsi felice.

Insomma, ogni volta che la chiamo c'è, ogni volta che ho un problema c'è.

Credo che tutti mi vedano come l' eterna felice e non riescano a capire che anche io possa avere i miei problemi.

E forse io faccio lo stesso con la mia migliore amica.

Ma è così sbagliato?

La conosco da quando sono nata, ogni volta che ho bisogno appare come un piccolo miracolo, il mio miracolo personale.

Invece il cioccolato devi comprarlo, o devi sperare di averlo in casa.

“Okay, dove ci vediamo?”

“Passo da te alle 19:30, va bene?”

“Perfetto. Andiamo al cinema?”

“Mmm, okay. Vediamoci quello nuovo di Clooney, che ne dici?”

“Va bene. Paradiso amaro, giusto?”

“Sì, quello.”

“Perfetto.”

“Allora alle 19:30, 19:40?

“Sì, tanto iniziano tutti alle 20:30”

“Okay, a dopo”

“A dopo. Ciao... TU, TU, TU, TU...”

Abitudine. Aspetto sempre che siano gli altri a riattaccare per prima.

Avevo proprio bisogno di vedere la mia migliore amica. Sarà che ultimamente non mi sono affatto sentita felice. Già, dovrei vedere il mio migliore amico...

BRR... BRR... BRR... BRR.

Un nuovo messaggio.

Il mio migliore amico.

Anche lui è il mio cioccolato. Lo conosco da un anno, però c'è sempre.

“Hai ancora tu i miei libri?”

“Oh sì. Te li riporto appena ci vediamo”

L' università. E' così che ho conosciuto il mio migliore amico. E spero sia il mio migliore amico per sempre.

Nella mia vita non ho mai avuto molta fortuna con i ragazzi, nel senso di amicizia. Nel senso di questioni di cuore credo di averne avuti abbastanza per tutta la mia vita e anche per il resto.

Amicizia e cioccolato.

Quest' associazione ha funzionato solo una volta, in senso pratico. Ed è stata col mio attuale migliore amico.

Forse perché dopo un esame mi ha dato una merendina al sapore di cioccolato. E tutto lo stress dell' esame è finito. Sarà perché solo con lui e la mia migliore amica riesco davvero a ridere.

O forse perché ogni volta che lo vedo penso ai cupcakes.

Ogni volta mi promette questi cupcakes ma alla fine non li fa mai.

Forse entrambi abbiamo paura che una volta sparita la magia dei cupcakes, finisca anche la nostra amicizia.

Però entro la fine dell' anno glieli farò io, i cupcakes.

Ma alla fine i cupcakes sono solo un simbolo. Un simbolo di noi due.

E' il mio migliore amico, anche se non credo di averglielo mai detto. Ma è davvero una cosa inevitabile.

Tutto in lui sa di cupcakes e cioccolato, a cominciare dalla sua risata e a finire del suo odore. Ogni volta che lo abbraccio mi sento mi protetta e tranquilla.

E' il mio migliore amico e sa di cupcakes e cioccolato. E' un cupcake al cioccolato.

E si chiama Luca.

Cosa divertente vero?

Io ci penso spesso.

Si chiama Luca e sta a Firenze.

Ed è strano. Ho sempre pensato: chi mai chiamerebbe un figlio Luca a Firenze? Insomma, verrebbe certamente storpiato. E invece è il mio migliore amico.

Io, l' unica persona in Firenze che riesce a dire normalmente la “c”.

Quindi anche solo per questo doveva essere il mio migliore amico.

Anche con la mia migliore amica è stato destino.

Ginevra-Margherita. Questo è il mio nome, solo che i due nomi son separati dalla virgola.

Margherita- Ginevra. Questo è il suo nome. E anche qui i nomi son separati da una virgola.

Il destino.

Non funziona nell' amore, ma funziona certamente nell' amicizia.

Cupcakes e cioccolato.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sogni al sapore di zucchero filato ***





 

“Sono sotto casa tua, scendi.”

“Prendo la borsa e arrivo.”

“Okay”

“Cosa ne pensi del film? Ti è piaciuto?”

“A me sì, a te?”

“Insomma. Bella la storia, bello tutto. Però...”

“Ti ha dato noia la cosa dell' ospedale?”

“Sì, insomma. Più che altro era lei. Non ho mai visto un morto così realistico.”

Sospiro. L' aria è fresca. Si sta bene. Okay, è febbraio. Ma non fa troppo freddo.

Kebab e Falaffel.

Cibo da strada. Odora di estate e di vacanza. Odora di cinema in effetti.

Però non è in piadina, è in panino.

“Sai, non ho dato fisica.”

Smetto di mangiare. Cosa devo dirti? Perché non hai dato quell' esame? Cosa stai facendo? Tu, sempre così sicura, tu così piena di idee e di prospettive. Da quando sono diventata io quella con più idee, quella più decisa? Ma non posso dirtelo, giusto? Tua madre avrà già detto abbastanza.

“Cosa dice tua mamma?”

“Dice che devo finire questo anno al meglio e poi boh.”

“Capisco.”

Vorrei dirti che non capisco.

“Farai grandi cose, è il tuo stile Marghe. Lo so da sempre. Tu cambierai il mondo.”

“Ho bisogno di qualcosa di pratico.”

“Capisco.”

Qualcosa di pratico? Ok, io ho la band, quello è il mio pratico.

E anche se ti conosco da una vita ora non so cosa dirti. Forse è più facile fingere di non aver sentito.

“Dai matematica, fisica e chimica. Sono questi quelli che ti servono per quasi tutte le università.”

Silenzio. Ho paura, ho paura di non conoscerti più. Ho paura di perdere la mia migliore amica.

“Ho cercato il corso di piccoli aerei ed elicotteri però è impossibile.”

Mi parli dei corsi e io non ti capisco. Sì, capisco perché avevi bisogno di farli. Ma non capisco perché non sai cosa fare.

“L' essere così vicina alla morte mi ha fatto riflettere.”

L' operazione. Dovevo pensarci. Marghe, tu non morirai, okay? Cazzo io ho bisogno di te.

Zucchero filato.

Tutto è diventato così evanescente. Quando è successo? Perché non me ne sono accorta?

Zucchero filato. Siamo un po' così.

Solo che tu ti stai sciogliendo, io mi sto caramellando.

E dovrebbe essere il contrario.

Perché ne parli con me? Sono la tua migliore amica, okay. Ma sono io quella debole, quella che ha bisogno di te. Quando è stato che i ruoli si sono invertiti? Ho paura, ho paura di non essere capace di sostenerti.

“Non so più cosa fare. Non so cosa vorrei fare. E i miei sogni mi sembrano così... evanescenti. Sbiadiscono così facilmente. Mi vedi come guardia costiera?”

“No. Ti annoieresti, vorresti che le persone avessero problemi per non stare ferma.”

Ho solo capito che stai scappando. Ma da cosa scappi Marghe? Da cosa stai scappando?

“Su questo hai ragione.”

Siamo sedute davanti a un commissariato. Anzi, una caserma, perché ci sono i carabinieri.

“Fai il carabiniere.”

“Lo sai che sono un corpo dell' esercito e che, se chiamati, devono andare in guerra?”

“Lo so. Allora entra nella polizia.”

“Mi ci vedi a cercare indizi?”

“No.”

“Davvero non mi vedi nella guardia costiera.”

“No.”

Non voglio che te ne vai. Le persone se ne vanno sempre. E sono egoista forse, dovrei sostenerti. Ma ho paura. Mi hai parlato dell' esercito, per la guardia costiera. No. No, cazzo. NO!

E sono egoista, ma no.

“Perché?”

Sospiro. Non posso usare altro. Devo usare la tua debolezza. La debolezza per la quale sei quasi morta.

“L' asma, Marghe.”

Risposta ovvia, scontata.

“Non ti prenderanno appena sanno che ne soffri.”

Mi guardi. Perché non urli? Perché non dici che mi odi?

“Sono migliorata sai? Prendo la medicina solo quando ne sento il bisogno.”

Okay, menomale. Ma ciò non cambia. Non voglio che te ne vada, non te ne devi andare. Io ho bisogno di te.

E mi sono sentita morire non appena mi ha chiamato tuo padre per dirmi di non venire quella sera perché eri stanca. E al telefono mi facevi paura, quella sera. Eri viva, ma forse eri anche un po' morta. E il giorno dopo sono venuta da te. E eri così fragile con quella camicia da notte che ti scivolava addosso. E in quel letto. Avrei voluto piangere sai?

Non riesco a vederti fragile. Eppure sono venuta due volte al giorno, sono rimasta per ore con te, stanca morta a fare niente in realtà. Parole crociate, parlare mentre la morfina ti entrava nel braccio. E vedevo le tue vene, il tuo braccio coperto da una pelle così diafana.

E avevo paura. Avrei voluto piangere, dirti che c' ero anche io con te.

Ore e ore in quell' ospedale, ad aiutarti a camminare in quel corridoio dove i bambini piangevano.

E tutti che ci guardavano, come se tu fossi incinta.

Ma non capivano.

E io avevo ed ho bisogno di te.

La cioccolata. C' era anche lì. La tenevi nel cassetto.

Fondente, come piace a te.

E, misto all' odore del disinfettante c' era anche quello dello zucchero filato.

Dovevo sentirlo.

E ora è molto più forte.

“L' ha detto il medico?”

“Il medico è troppo apprensivo. Per lui dovrei prenderlo tutti i giorni, lo sai. Però sto bene anche se lo prendo solo quando ho bisogno.”

Zucchero filato.

Non ti sciogliere, ti prego.

Non posso perderti.

Perché se tu te ne vai, vado anche io. Io non ci sto senza di te. Okay? Quindi darò il possibile per farti restare.

Sei così fragile ora. Perché sei così fragile?

Perché i tuoi sogni sono così fragili?

Come zucchero filato.

“Cosa ti piace fare?”

“Non lo so. Ci ho pensato per un mese. E non lo so.”

Perché? Perché il mio sogno sembra così sicuro invece? Voglio aiutarti, ma non ci riesco.

E' per questo che i medici non operano chi conoscono?

Io non ti opererò mai. Non posso vederti fragile, non posso vederti così. Perché ricordi tanto la ragazza che in ospedale rifiutavo di accettare.

Tu sei forte, perché non lo capisci?

Perché nella tua forza ti hanno messo questa debolezza, questa misera asma? Perché hai l' asma?

Non l' avevo mai vista come un problema. Era più: okay, ha l' asma e allora?

Credevo che fosse questa debolezza a renderti forte. E ora invece è proprio questa debolezza a distruggerti?

No. Non posso accettarlo.

“All' esercito fa fede quello che dice il medico.”

Ho bisogno di una scusa concreta. Non basta che tu mi dica che non ti prenderanno perché sei gracile. No, ho bisogno di qualcosa di più.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Principio di congelamento. ***


“Okay, vediamo... Cosa ti piacerebbe fare?”

“Sono giorni che ci penso chiusa in camera. E la risposta è: non lo so. Ho bisogno di agire, di sentirmi viva.”

“Okay, allora dimmi. Cosa ti piace?”

“I cani, lo sai. Potrei aprire un allevamento di animali.”

“Non credo funzioni. Insomma, è impegnativo. Non so.”

Perché devo essere io, l' eterna sognatrice, a spezzare le ali dei tuoi sogni? Non è giusto. Stai provando a volare, Marghe. E io dovrei incoraggiarti, dirti che ce la farai, perché so che qualsiasi cosa tu decida di fare, ci riuscirai. Sei determinata, Marghe. Lo sai anche tu. Sei così piena di vita che a volte mi spaventi. O forse t' invidio solo un po'. Sarà che a volte mi sento così morta, così sola. Forse t' invidio, forse vorrei essere perfetta come te. Perché anche se non lo sai, tu sei perfetta.

E farai grandi cose, questo te lo ripeto sempre. Farai grandi cose, ne sono certa.

Però alle volte penso che la tua scarsa pazienza sia quasi una sfida, una sfida per mostrare quanto sei determinata, quanto sei forte. Quanto davvero vuoi riuscire.

Mai provato a pensare alle farfalle?

Hanno una vita breve ma intensa.

Ovviamente, la durata vitale dipende dalla specie.

Però prendiamo il caso più comune, quello delle farfalle a vita breve.

Passano una vita come larve, o bruchi che dir si voglia, per poi trasformarsi in crisalide.

Ecco, questa è la loro vita.

Una vita da bruco, per pochi istanti di splendore.

Belle, irraggiungibili. Eteree nei loro mille colori.

Prede e predatori, vinte e vincenti. Queste sono le farfalle.

In un giorno riescono a fare ciò che a volte noi non riusciamo a fare in una vita intera.

Mai provato a prenderne una?

Ti avvicini, ma all' ultimo istante vola via. Non si lascia prendere, non si lascia stroncare. Se la tocchi, è solo perché sai che in realtà quell' esserino incantevole sta morendo.

E lo senti, lo percepisci. E vuoi che torni a volare, provi a farlo volare.

Ma la farfalla è così stanca, così stanca di volare, così stanca di provare a toccare le nuvole. Ormai sa che non arriverà così in alto, perché le sue ali sono piccole e deboli. Ormai sa che non arriverà così in alto come possono sperare di fare gli altri animali dotati di ali.

Conquistatrice e conquistata.

Questo è tutto ciò che sa la farfalla nella sua agonia.

Ha conquistato il cielo, ma sta per essere conquistata da quello stesso cielo che la proteggeva quando era una crisalide. Conquistata da quello stesso buio da cui si era liberata trasformandosi in farfalla.

E ora quelle ali che le avevano dato la forza di alzarsi in volo sono così pesanti, così maledettamente pesanti. E il baratro diventa invitante. Maledettamente invitante.

Volare ancora una volta, volare anche se sai di cadere.

E' questo ciò che fa la farfalla in punto di morte se la sollevi, sbatte debolmente le ali.

Però ci prova, ci prova con tutta se stessa.

“Ok, allora prova a non pensare.”

“Cosa vuoi dire?”

“Vieni con me, ti mostro un principio di congelamento.”

“Principio di congelamento?”

“Sì. Sai, quando ero piccola ed ero triste, mia nonna mi faceva uscire di casa, e percorrevamo tutta la via fino ad arrivare al paesino. Beh, lì mi portava dal S**** e mi comprava un budino di riso. Ora, ogni volta che sono triste, rifaccio quella strada e torno là, solo per quel budino di riso. E se non posso andarci, lo prendo ovunque mi trovi. E' una gesto irrazionale, lo so. Però aiuta a pensare. Ricordi quando ti chiamai perché avevo scoperto che Gianni stava per mettersi con una? Tu mi hai fatto arrivare in paese e abbiamo passato un' ora al bar a mangiare del cioccolato. E alla fine non abbiamo più parlato di quello, ma di tante altre cose. Questo è il principio di congelamento.”

“E quindi? Vuoi portarmi a prendere il cioccolato? Non ho un problema di delusioni amorose.”

“Lo so. Per questo ti porto letteralmente a un principio di congelamento.”

“Mi porti a prendere il gelato?”

Finalmente aveva capito. Un gelato a Febbraio, un' idea così folle ma che poteva funzionare.

“Esatto.”

Silenzio. Non ti lamenti, non parli. Forse hai capito anche tu.

Hai capito che quando si pensa troppo alle volte basta spegnere il cervello. E il gelato è la cosa migliore.

Forse sono solo ricordi. Però, quando ero piccola, e prendevo il gelato sentivo il freddo entrami nelle ossa lentamente, lo sentivo paralizzare la lingua, così da rendermi difficile parlare. Ogni parola, risultava deturpata, le “r” risultavano inesistenti. E con loro anche le “s”.

E mentre la sensazione di freddo cresceva, anche il mio cervello iniziava a bloccarsi, congelando persino il caos dei miei pensieri.

Principio di congelamento.

Ecco cos'è.

Come quando d' inverno tocchi la neve con le mani senza i guanti: diventano rosse, poi viola. E sono congelate. Lo stesso avviene ai piedi, e più stai fuori più il freddo sale, più il corpo si congela. Perchè il cuore è stanco e impigrito, perché la neve affascina anche lui, infondo. Ed è egoista, batte solo quanto serve a lui per mantenersi al caldo.

“Che si fotta il resto!” ecco cosa pensa.

Lui è al caldo, il resto può congelare e cadere, l' importante è che lui sia al caldo e protetto.

Principio di congelamento.

Forse è egoismo, forse è paura. Forse è solidarietà, forse è coraggio.

Entri nella gelateria, sembri così sicura. E sai esattamente che gusti vuoi.

Lo vedi? Allora non è vero che non lo sai. In realtà hai tutte le tue risposte, devi solo ascoltarle un po'.

Coppetta con limone, fragola e stracciatella.

Una scelta assurda, un po' come te.

Sono gusti che non si intrecciano tra loro ma che hanno come punto di collegamento solo la fragola. La fragola sta bene con il limone, la fragola sta bene con la stracciatella.

Ma la stracciatella e il limone non stanno bene insieme.

Fragola e Limone, i gusti che prendeva mio padre.

Fragola e stracciatella, i gusti che potrebbe prendere un bambino.

Tu li unisci, tu sei così forte e così debole insieme.

Tu sei il limone e la stracciatella, io sono la fragola.

Ora ho capito.

Hai bisogno di un mio appoggio, di un mio consiglio.

Servo io per unirti a te stessa.

Scusa se non l' ho capito prima.

Cono, con melone e mela verde.

Gusti colorati, vivaci. Gusti fruttati.

Mi chiedi perché il cono, perché preferisco il cono. Ti dico che non lo so. Anche se in realtà lo so perfettamente.

Quando ero piccola mio padre non mi permetteva di prendere il cono.

Mi chiedeva i gusti e aggiungeva lui “coppetta”.

E' quasi una ribellione, un dimostrare che sono grande, che so quello che voglio. Anche se in realtà non ne sono molto sicura. Lo vedi anche mentre scelgo i gusti del gelato: ho bisogno di tempo, devo scegliere cosa prendere. Ci sono sempre troppi gusti, troppe cose diverse.

Sono io l' indecisa, tu sei la decisa.

E forse il principio di congelamento serve a me, non a te.

E ho ragione, perché una volta uscite non ti arrendi.

“Cosa posso fare? Cosa mi vedi capace di fare?”

Sospiro. E vorrei dirti di non porre a me quella domanda, che mi stai solo facendo pressioni e io non ce la faccio, basta mia madre a mettermi sotto stress.

“Cosa ti piace fare? Intendo, quando esci cosa fai?”

“Non lo so. Voglio dire, esco con gli amici, bevo qualcosa. Cazzeggio insomma. Ma non posso non far niente nella mia vita.”

“Non ti ho detto questo.”

“E allora cosa volevi dire?”

“Crea un posto dove puoi permettere agli altri di cazzeggiare, apri un bar che la sera diventa pub. Ma ti prego, non mettere musica orribile.”

Sorridi.

“Cosa hai detto?”

“Come cosa ho detto? Ti ho detto di aprire un bar.”

Continuo a camminare non notando che ti sei fermata. Poi mi volto, non avendoti vista al mio fianco.

“No intendo, la frase del cazzeggio.”

“Ah, crea un posto dove puoi permettere agli altri di fare le cose che piacciono a te e dove anche tu possa farlo.”

“Mi piace.”

“E' deciso, visto? Non era così difficile.”

Sorridi. E inizi a parlare di come lo arrederesti.

Retrò, è così che vuoi chiamarlo. Mi piace.

Io ci andrei ogni sera. Musica Rock, musica anni sessanta. Un locale vintage. Mi piace.

Forse lo fai anche un po' per me.

“Beh, se creo il gruppo verrò a suonare una volta a settimana.”

“Musica Live? Mi piace.”

E io intanto penso ai Beatles.

Anche loro hanno iniziato così. Non che voglia che la mia band diventi una mera copia dei Beatles, per quanto io li stimi. Voglio dalla mia musica qualcosa di più, qualcosa di immortale come i Beatles, ma che non siano i Beatles.

Voglio un principio di congelamento come quello dei Beatles.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=975610