Hanna e la Serpe di Rubino

di neniva
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Glossario ***
Capitolo 2: *** Il primo sogno ***
Capitolo 3: *** L'inizio della storia ***
Capitolo 4: *** La faccenda si inizia a districare ***
Capitolo 5: *** Dei nuovi io ***
Capitolo 6: *** Per cambiare bisogna essere qualcuno ***
Capitolo 7: *** Piccoli segreti (parte 1) ***
Capitolo 8: *** Piccoli segreti (parte 2) ***



Capitolo 1
*** Glossario ***


Glossario nomi

Amberloso del sud = drago dal collo lungo. Può essere di tutti i colori.

Ameliatee = capitale di Atlònas.

Armeus = vecchio Domatore.

Atavar = drago del Re. Kiorre del nord. Rosso e oro.

Atlònas = isola di Jeaka.

Baren = isola di Jeaka.

Buat = capitale di Verneud.

Calada = serva del castello. Serve i consiglieri e il re.

Cavaliere = grado di promozione nell’esercito. Si può cavalcare Gurut.

Consiglieri di Atlònas = sono due. Assistono il Re di Atlònas consigliandolo. Possiedono dei poteri.

Defitros = animali simili a cavalli.

Desanes = cognome sulla Terra di Hanna e William.

Dexina = innamorata di Filmuser.

Demetra= istitutrice di Hanna.

Domatore = incarico. Ne nasce uno ogni 50 anni. Possiede particolari poteri.

Durite = isola di Jeaka.

Enoiz = capitale di Megicre.

Erina = potere del Domatore.

Erot = capitale di Goennie.

Filmuser = antico Domatore. Votato al male. Innamorato di Dexina.

Gatish = l’abito dei domatori. Consiste in un mantello nero con spirali Viola. Ipnotizza i draghi e le serpi.

Gemern = soldato. Amico di Hanna.

Giulia = migliore amica di Hanna. Maga e attuale consigliera di Atlònas.

Goennie =  isola di Jeaka.

Gurut = animale simile a un cavallo. Ha due corna.

Guida= cavaliere di drago.

Hanna = protagonista. Gemella di William. Attuale Domatrice.

Iaro = vecchio re di Atlònas. Il suo drago Urlash è morto per difenderlo.

Jaera = drago di Meric. Amberloso del sud giallo.

Jeaka = mondo parallelo.

Jolina = nonna di Hanna e William. Vive sulla terra.

Kerot = anziano consigliere di Atlònas. Sacerdote serve ancora il vecchio re. 

Kiorre del nord = drago tozzo e rosso. Può essere viola azzurro o rosso. Se rosso è di nobile stirpe.

Kotama = mago servitore di Filmuser.

Lungo tatto =  potere del domatore.

Lier = monte dove si trova Ameliatee.

Mary = migliore amica di Hanna. Sacerdotessa e consigliera di Atlònas.

Megicre = isola di Jeaka.

Meric = anziano consigliere di Atlònas. Mago serve ancora il vecchio Re.

Milep = drago di Kerot. Amberloso del sud verde.

Moganum = mago che permise la vita.

Nait = allenatore di Hanna.

Otimup = piccole creature. Spiritelli farfalla che curano le piante e i fiori.

Pipite = cucciolo di cane. Vive sulla Terra.

Plaeta = capitale di Durite.

Poctir = drago di Armeus. Amberloso del sud blu.

Re di Atlònas = Re. Possiede un drago ed è responsabile del regno.

Sarettu = rito che permette il passaggio da un modo a un altro.

Serpe di Durite = piccola serpe gialla che vola sul regno di Durite. Il suo veleno addormenta la preda per sempre.

Serpe di Rubino = leggendaria creatura. Cavalcatura di Filmuser.

Soffio = potere del domatore.

Stregoni di Verneud = potenti stregoni che studiano la Magia della Distruzione.

Talento = potere sovrannaturale che procura al Domatore poteri inimmaginabili ancora sconosciuti.

Touki = capitale di Baren.

Urash = drago di Iaro. Kiorre del nord.

Verneud = isola di Jeaka.

Vista = qualità del domatore.

William = gemello di Hanna. Attuale Re di Atlònas.

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Capitolo 2
*** Il primo sogno ***


Ciao a tutti, io mi chiamo Irene ed è la prima volta che posto una storia, l'ho scritta diversi anni fa e adesso l'ho ripresa in mano e ho deciso di vedere quanto successo avrebbe avuto! :) Spero proprio che vi piaccia e accetto qualsiasi tipo di critica! Spero anche che possiate perdonare l'inizio un po' lento e noioso, ma se avete pazienza si fa un po' più interessante..............Buona lettura...


Il primo sogno

 
Stranamente era tutto tranquillo. La sera era appena calata e l’aria era debolmente ventilata da un dolce venticello fresco, il quale si accoglie volentieri in estate. Hanna era una ragazzina di quattordici anni sveglia e perspicace, ma un po’ timida. Aveva capelli castani e abbastanza buffi: la chioma le ricadeva lucente sulle spalle, morbida come fosse seta arrivandole fino ai fianchi dove le punte cambiavano colore prendendo una sfumatura violacea, e c’era quel ciuffo riccioluto che, come un boccolo, le ricadeva sul viso e per questo portava spesso una spilla per tenerlo a bada. I suoi occhi erano di un nero profondo, come carbone, ma essi veloci e fugaci sbirciavano ovunque senza essere notati, invadendo ed esplorando nelle persone.Nonna Jolina telefonò quella sera:
- Pronto? Ciao nonna, come stai?
- Bene grazie! Quand’è il grande evento?
- Fra quattro giorni! Tu vieni, vero? Disse con voce speranzosa.
- Non mancherei mai…
- Menomale…
- e poi devo darti una cosa speciale: ma non posso anticiparti niente. Ciao tesoro ora vado a preparare la cena.
In quel momento William irruppe nella camera della sorella.
William era il gemello di Hanna. Aveva i capelli biondi che portava a caschetto corti corti. Lui aveva la carnagione abbronzata i suoi occhi verdi avevano uno sguardo furbetto, era magrolino e indossava sempre per comodità tute da ginnastica.
- Mancano quattro giorni al nostro compleanno! Iniziamo la lista?
Hanna farfugliò alla veloce un “Ciao” (se così si può dire) alla nonna e mise giù la cornetta.
- Sai che non voglio che entri così nella mia camera!
Disse con aria molto irritata e il ciuffo le ricadde sul viso.
- Uff! Come sei noiosa !
- Scusa, ma questa è la mia camera!
Lo trascinò fuori e chiuse la porta.
Quella notte Hanna sognò il gemello insieme a lei in una foresta:
“ per mano in quel bosco scuro e pieno di alberi che si aggrovigliavano fino a formare un tunnel in mezzo alla natura camminavano per mano. C’era un odore acre e di chiuso e i tronchi freddi sembravano di pietra. Hanna guardò il fratello e quasi non lo riconobbe: il suo viso da bambino era quello di un uomo e il suo sguardo maturo. Improvvisamente la nebbiolina che li aveva circondati fin dall’inizio si dissipò e un filo di luce…
“Driiiiiin”
- Oh no!!!
La mamma urlò dalla cucina:”Sveglia!!!”.
Per colazione venne dato a i due gemelli il  proprio toast, poi, il sacchetto con il pranzo.
- Chi porta fuori Pipite?
- Lo porta fuori Hanna, mamma!
- E va beh, Pipite! Qua cucciolo! Pipite!
Il cuccioletto arrivò di gran fretta scivolando a causa del parquet con la cera.
Il piccolo di Labrador nero scese goffamente le scale della villa avviandosi vicino a un albero per fare i suoi bisogni, poi Hanna lo rincorse su e giù per il prato per rimetterlo in casa.
La villa dei signori Desanes era circondata da un decoroso giardino colmo di fiori e piante. La scalinata che permetteva di arrivare alla porta era di marmo bianco con la ringhiera di ferro che si aggrovigliava intorno a un bastone. L’interno della villa era ampio con nove stanze e tre camere.
 
Quella mattina il preside della scuola arrivò in ritardo e Hanna e la sua amica Giulia ebbero il tempo di parlare prima che cominciasse la lezione. Giulia era la migliore amica di Hanna: aveva i capelli rossi, ricci e occhi così chiari che a volte sembravano quasi bianchi. Portava spesso orecchini vistosi come fosse un indovina e le piaceva indossare gonna e t-shirt.
- Ciao! Allora che mi racconti? 
- Ciao, non ho novità.
- Ancora tre giorni al mio compleanno!
- È vero!
- Ho saputo da due pettegole che ti piace William! È vero? Verità o penitenza?
Giulia arrossì fino alla punta delle orecchie.
- Verità…è vero.
- Ma…come mai non me l’hai detto?
-Pensavo che avresti riso di me… - Disse con sguardo pentito.
- Ma perché? Non avrei riso! Te lo giuro!
- Lo dici adesso! Sai benissimo che lo avresti fatto!
- Pensa quello che vuoi.
Assunsero due espressioni, anzi smorfie, arrabbiate e sbuffarono. Poi, dopo essersi data un’occhiata a vicenda, risero.
- Passi da me stasera? Ti va di mangiare da me?
-Volentieri, grazie dell’invito!
- Non c’è di che!
- Oh, cosa desideri per il tuo compleanno?
- Vorrei, vorrei… vorrei un paio di orecchini come i tuoi!
- Aggiudicato!
Suonò la campanella e Giulia e Hanna dovettero rientrare in classe.
-Ragazzi, oggi parleremo del segmento circolare, del settore circolare e della corona circolare…
 
Al cambio dell’ora Mary si aggiunse a loro. Mary era alta e mora, occhi marroni e di un carattere irritabile, ma era simpatica e chiacchierona.
- Ciao! Come va?
- Bene grazie.
- Tutte da me stasera?
- Si! - risposero in coro Hanna e Mary
- Okay.
- E dite “Okay” anche alla pizza?
- Si!
 
Quella sera Hanna e le sue amiche mangiarono un sacco di pizza e si raccontarono tanti di quei segreti che facevano fatica a ricordarseli tutti.
- Sapete una cosa?
- Cosa?
-Ho fatto uno strano sogno ieri notte! C’eravamo io e William che camminavamo in un bosco!
-Strano! Ma tu che vai pensando di notte!
Quando si addormentò il sogno continuò all’istante… “e un filo di luce illuminò i visi di due ragazze sedute al bordo del “tunnel”. Erano Giulia e Mary. Si alzarono in piedi e li seguirono. Hanna si accorse solo ora che in quel sogno poteva utilizzare tutti i cinque sensi tranne uno: l’udito. Non udiva nulla, ma gli odori, gli oggetti che toccava, ciò che vedeva… sembravano davvero reali. Lo notò perché tutto a un tratto una folata di vento la raggiunse muovendole i capelli. Camminando, arrivarono in una grotta dove all’interno si trovavano…”
 
- Hanna! Hanna sveglia! Dobbiamo andare a scuola!
Era Giulia che la chiamava, e quel giorno lei era così euforica poiché avrebbero avuto arte: la sua materia preferita.
-Si, si, ancora cinque minuti…
- Okay, ma sbrigati perché non possiamo fare tardi: il pullman oggi passa in anticipo!
Hanna saltò subito in piedi.
- Quanto in anticipo?
- Un quarto d’ora, perché?
-Devo fare un salto a casa a prendere i libri!
Giulia uscì dalla camera per lavarsi i denti.
- Se vuoi ti posso prestare il mio cellulare!- disse Mary - potresti chiedere a William di portarti a scuola i libri!
- No, non lo farebbe mai!
- Se vuoi glielo chiedo io – irruppe nella stanza Giulia esultante- saprò essere convincente!
- Se lo dici tu! 
Mary diede il suo cellulare a Giulia che digitò il numero a memoria: - Pronto? Ciao William! Non è che potresti portare a scuola i libri anche per Hanna? Ti prego, ti prego, ti pregoooo! Grazie! Ciao
Hanna, per prendere un po’ in giro Giulia, disse: - Certo che sei proprio convincente!
- Certo! Credo proprio che piaccia anche a lui- disse Mary tenendosi la pancia dal ridere - la coppia perfetta!
- Piantatela!- disse ridacchiando Giulia - ora vi prendo a cuscinate, vediamo se avete ancora voglia di scherzare!!!
- Che paura – dissero in coro Hanna e Mary.
 
Era una splendida giornata e Hanna era di ottimo umore. Si fermarono in un bar a fare colazione e lì le raggiunse William. Dopo aver finito di mangiare si avviarono verso la scuola:
- Ora raggiungo i miei amici, a più tardi ragazze!
- Ciao!
 




Ed Eccoci alla fine del primo capitolo... Mi dispice se lo abbiate trovato noioso e pesante ma andando avanti la storia diventerà più interessante (la rima è venuta per caso xD) o almeno spero che la troviate così! :) 

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Capitolo 3
*** L'inizio della storia ***


Ecco qui il nuovo capitolo spero vi piacerà anche se so che lo troverete abbastanza noioso... Vi ricordo che quasti primi capitoli li ho scritti anni fa e Ringrazio molto le persone che seguono la storia!! :)


L’inizio della storia

 

La giornata trascorse in modo abituale. Passò un giorno e la notte il sogno proseguì.

“…tre troni argentati con venature orate che fondendosi sugli scranni si modellavano. Gli schienali erano fiamme che cercavano di raggiungere il cielo mentre le gambe erano impiantate con artigli al pavimento come trattenendolo. Su di essi sedettero William, Giulia e Mary. Lei invece rimase in piedi. La sua volontà era bensì una forza che sentiva dentro. Le venne assegnata una pietra da un signore anziano con una barba lunga e candida dall’espressione saggia, vestito con eleganti abiti antichi. Lui la fissava con i suoi occhi scuri e bui come la notte. Le fece segno di seguirlo e con portamento elegante la condusse verso una piccola porta. Anche se modesta era rivestita d’oro e con disegni che sembravano risucchiare chi li guardava troppo a lungo. Con un cenno il vecchio aprì la porta e si trovò di fronte una possente creatura con un foro in fronte: in un primo momento le sembrò un drago e osservando meglio vide che aveva scaglie blu e occhi argentei che la scrutavano. Era grande e bellissimo con sfumature di ogni colore, le zampe erano sottili e la coda lunga e avvolta attorno all’animale. In un batter d’occhio il drago fu risucchiato dalla pietra che teneva in mano.”

Il sogno finì. Hanna era molto sudata e aveva tutti i sensi all’erta come se dovesse accadere qualcosa da un momento all’altro. Dopo qualche istante un raggio di luce attraversò la stanza e con un luccichio scese a terra la pietra del sogno e Hanna perse i sensi.

 

Le ci volle un po’ di tempo per riprendersi e capire ciò che fosse successo realmente. Si alzò. Le gambe le tremavano e quasi non stava in piedi, ma riuscì a raccogliere la pietra. All’interno un occhio la osservava incuriosito. Girò e rigirò la pietra tra le mani. Era ancora notte ma non aveva più voglia di dormire. La stanza s’illuminò di nuovo e questa volta scese una vecchia pergamena. Era arrotolata e quando la srotolò era piegata in due. Su un lato c’era una premessa:

“ Per Hanna Desanes, domatrice di draghi.

Prima di aprire la pergamena, leggete attentamente: per aprirla dovete chiudere gli occhi e pensare al drago che vi abbiamo mostrato in sogno. Apparirà all’istante. Dopodiché montate su di esso e aprite la pergamena. Attenzione! Durante il viaggio dovrete tenervi stretta al drago e perciò non dovrete addormentarvi. Riposerete qui finito il viaggio. Se non vi sentite pronta, prendetevi cura della pietra e custoditela con tutta l’anima. Vi aspetteremo per domani notte.

Consiglieri di Atlònas”

Hanna non capiva più niente. Decise dopo un’ora di riflessione di seguire le indicazioni. Quando le comparì a lato il Drago le sembrò di essere tornata nel sogno, anche se ora era reale. Montò sul suo dorso con timidezza mentre il drago la osservava dolcemente. Aprì la pergamena e uno scrollo la costrinse ad aggrapparsi salda al manto blu di quell’animale, infine vennero risucchiati dalla pergamena.

Durante il viaggio verso non si sa dove, Hanna teneva gli occhi serrati. Sentiva l’aria fresca graffiarle il viso. Il sonno l’assalì e mollò la presa. Sentì mancare sotto di lei un qualunque appoggio e le sembrò di cadere in un oblio. Finalmente aprì gli occhi e le si stagliò davanti il paesaggio mentre precipitava. Fu sorpresa dal panico mentre scalciando e urlando si avvicinava sempre più alla terra. Un brutto colpo le fece girare la testa. Il drago l’aveva afferrata con le zampe anteriori. Dopo essersi calmata, si mise ad osservare il paesaggio incantevole: una immensa pianura era rigata da tanti piccoli fiumiciattoli che più scorrevano più si univano e perciò, alla fine, formarono un unico fiume. Poco dopo c’era un precipizio e il fiume si trasformava in cascata, così possente da far venire i brividi. Un senso di vertigine attraversò Hanna quando il drago inchiodò e andò in picchiata. Non si scorse il fondo fino quando non intravide una fitta spuma arrivarle contro. L’animale scartò ed entrarono in un tunnel roccioso, dove alla fine si usciva dalla montagna e da sopra le nuvole, si iniziarono a intravedere vari paesi nei quali le case somigliavano a cioccolatini incartati. Viaggiarono tutta la notte finché all’alba si fermarono in una reggia. Tutto era confuso e a poco a poco le immagini si affievolivano alla sua vista. Una giovane che aveva i capelli castani raccolti in una lunga treccia arrotolata sulla nuca e vestita con una gonna vermiglia e un nastro che le cingeva i fianchi, la attendeva davanti al portone e la aiutò a scendere dall’animale. Hanna era stravolta, non si reggeva in piedi. La donna la accompagnò in una camera e la guardò di sbieco dicendo:

-domani ti procurerò degli abiti nuovi, non ti aspettavamo così presto- accennò un inchino e poi uscì dalla camera.

Hanna si guardò: era in pigiama. Arrossì dopodiché s’infilò sotto le coperte. Aveva un sonno inimmaginabile, ma era stranamente serena e a suo agio in quella camera e non spaventata, eccitata o curiosa di ciò che le era accaduto. In poche ore la sua vita era cambiata. Il letto era comodo e le lenzuola morbide. La luce della luna le arrivava sul viso. Si addormentò non appena una nuvola ebbe coperto quella magnifica luce cristallina.

 

La mattina seguente la donna della sera prima entrò nella stanza e fermandosi d’innanzi al letto disse timidamente:

- Buongiorno, ieri non mi sono presentata, sono Calada, mi occuperò di te durante la tua permanenza qui.

Le porse un vestito ma Hanna lo guardò inorridita: - non indosserò certo questo!- ribatté.

Calada la osservò e le porse un paio di pantaloni di pelle nera, un corpetto, un paio di stivali e un mantello anch’esso scuro.

-Immaginavo che avresti rifiutato il vestito-.

Hanna si prese tutto il tempo necessario a vestirsi poiché non capiva più niente tra tutti quei lacci, e per di più quando uscì dalla camera non seppe nemmeno dove andare in quel dedalo di corridoi. Il castello era maestoso, colmo di pitture e stendardi.

Finalmente vide Calada in una stanza intenta ad apparecchiare una tavola abbondante. La invitò a sedersi. C’era ogni ben di dio, anche se lei mangiò solo un pezzo di pane e strani biscotti immersi nel latte. Appena finito Hanna le rivolse uno sguardo interrogativo: - Perché sono qui?

- Come, non lo sai?

- No, ieri sera sono stata presa alla sprovvista: era un drago quel animale?

- Si, tu meglio di me dovresti saperlo: sei tu l’esperta qui, io sono solo una “cameriera” del mio signore. Comunque ne so qualcosa: è un Amberloso del sud, molto rari, quasi estinti. È la cavalcatura di uno dei più saggi del consiglio. È stato lui a chiamarti qui.

- E per quale motivo?

- Questo non lo so. Ma lo saprai tu questa sera all’incontro con i consiglieri di Atlònas.

- A si, era firmata da loro la pergamena.

Passò la mattinata al fianco di Calada seguendola su e giù, per camere e ripostigli continuando l’inseguimento persino in cucina dove però era stata pregata di non entrare. Giunse il pomeriggio e le venne presentato un soldato, Gemern, che le fece visitare il paese. Lui era un po’ più alto di lei e aveva circa tre anni in più. I suoi capelli castani gli ricadevano sul viso a corti boccoli e i suoi occhi erano morbidi. Il suo carattere era socievole e solare solo un po’ riservato. La portò a vedere il mercato estremamente affollato e pieno di vita. Respirava allegria come l’odore del pane dal fornaio. Il suo sguardo venne attirato da un banco che vendeva ciondoli e pietre colorate. Smise di camminare e Gemern accortosi del suo interesse si accostò al mercante dopodiché le fece cenno di avvicinarsi. Il padrone del banco le mostrò varie pietre e i loro significati. Ne scelse una in particolare che le ricordava l’Amberloso del sud. Le sue proprietà erano di rendere forte sia nell’animo che fisicamente una persona. Hanna non aveva soldi così Gemern, dopo essersene accorto, la acquistò e gliela porse in segno d’amicizia.

- Dovremo rientrare, vero?- disse a un certo punto guardandola negli occhi.

Lei gli rivolse un timido sorriso.

- Dobbiamo rientrare?- ripeté.

- Credo di si… - rispose rigirando la pietra tra le dita affusolate -Ho capito che devo incontrarmi con i consiglieri di Atlonàs.

- Atlònas, si pronuncia, allora dobbiamo sbrigarci, non devono attenderti. Suppongo che dovrai cambiarti… - disse osservandola critico.

- Io quell’abito non lo metto neanche morta!

- Hai ragione dobbiamo prenderne uno adeguato al tuo compito… proviamo in quel negozio…

- Ma insomma qual è il mio compito? Me lo volete dire? Comunque no, aspetta, non posso permettermi di recarti disturbo… hai già fatto abbastanza.

Sorrise ilare e con un risolino malizioso le porse la mano.

- Non ti preoccupare tu non hai soldi con te ma io si:consideralo un prestito.

Non riuscì a fermarlo e afferrandole la mano la trascinò nel negozio. Scelse un paio di stivali color del mare, leggermente più scuri, un paio di pantaloni in pelle, un corpetto con meno lacci del precedente e un lungo mantello nero che le avvolgeva il corpo. Uscì continuando a ripetere “grazie, grazie, non dovevi. Grazie…”. Tornati alla reggia, andarono verso la sua camera ed entrarono. Lei fece cenno a Gemern di fermarsi indicando gli abiti nuovi e lui arrossì girandosi. Sentiva i suoi vestiti afflosciarsi a terra e lei che infilava le nuove vesti. A quel punto si rigirò e la vide mentre si sedeva davanti a uno specchio per legarsi i capelli. Una lunga cascata castana le scendeva fino ai fianchi, dove lei cercava di legare un nastro azzurro. Poi lo fece scorrere fino al capo e ora, una lunga coda di cavallo le partiva dalla testa. Il suo ciuffo era ancora lì, fermato da una forcina di acciaio. Lei se la tolse ed esso le esplose indomabile sul viso. Iniziò a trafficare con la forcina dandole una forma particolarmente affusolata e poi ne fece una spirale e vi ci poggiò dentro la pietra blu scura. Successivamente prese il cordino di una collana in argento che aveva

indosso e vi ci attaccò il ciondolo. Gemern pensò che fosse bellissima, ma anche se non era una ragazza molto al femminile le leggeva negli occhi una forza ineguagliabile… potere forse della pietra?

Lei lo guardò come se le fosse tanto vicino da farle paura e allora lui distolse lo sguardo per evitarle disagio.

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Capitolo 4
*** La faccenda si inizia a districare ***


Rieccoci, ciao a tutti! Questo capitolo penso che sia più bello di quelli precedenti, c'è un pò più di azione!! Spero gradirete! :)


La faccenda si inizia a districare

Un grande portone color mogano si aprì lasciando che lo sguardo di Hanna vagasse per un’immensa sala dorata. Ogni cosa risplendeva di luce propria. Tre troni ne componevano lo sfondo, ma non erano come quelli del sogno poiché molto meno elaborati. In primo piano si potevano trovare tante panche argentate. Non aveva mai visto un posto più ricco.

Le persone che si trovavano lì parevano usciti da libri di fantascienza vestiti con abiti di preziosi tessuti e gioielli di valore inestimabile. Un passo incerto, un sospiro… altri due passi e uno indietro: così avanzava al fianco di Gemern che le stringeva la mano. Nessuno l’aveva notata, ma non appena l’uomo del sogno che stava sul fondo si girò verso di lei tutti si volsero in un silenzio infranto solamente dai suoi passi goffi che, a malincuore, divenivano sempre più ampi accorciando la distanza fra i due ai troni.

- Benvenuta! - le si diresse incontro l’anziano allargando le braccia.

- Mille grazie - gli rispose con un piccolo inchino.

- Piaciuto il volo si Poctir?

Hanna accennò un si col capo. Armeus si girò verso destra in un angolino buio, dove una piccola figura stonava in quella ricchezza. Calada ne emerse rispettosa.

- Ebbene, gli altri non sono ancora giunti?

- No mio signore. Ma credo arriveranno presto…

- E da cosa lo deduci?

- Poiché Jaera, Atavar e Milep non sono ancora di ritorno e si sono trasformati sta’notte stessa.

- Bene, bene…- disse lui carezzando la barba.

- Perdonate? Potrei sapere perché sono qui?- si intromise timida Hanna.

- Oh! Cielo! Mi ero quasi dimenticato di voi… perdonatemi, ma ormai sono vecchio e non tutto mi rimane presente, ma più in un passato confuso. Dunque, ricordate il nominativo della lettera? Domatrice… è quello per cui siete nata e ora vi trovate qui… durante il vostro soggiorno in Ameliatee, questa città, potete considerarmi come vostro padre poiché in modo indiretto lo sono… vedete, anche io ho ricevuto la carica che in un futuro prossimo deterrete voi. Avevo appena due anni in più. Noi, siamo nati per proteggere Ameliatee dalle serpi selvatiche e dai draghi indomiti. Avrete molto da imparare! Credetemi e non sarà affatto facile, ma questo mondo vi scorre nel sangue… e non sarete sola a quanto pare… arriveranno alcune vostre conoscenze, ma, suvvia, non roviniamo la sorpresa!-

Così dicendo fece un segno a Gemern che la trascinò via mentre continuava a balbettare domande confuse.

- Calma, calma! Ora devi riposare sarà una giornata lunga domani! Credimi! Lunga davvero! Sarà Naquire qui! O, come dite voi, capodanno… si ha ogni 365 lune, come voi ma senza anni più lunghi e altri più corti! Al proposito, mi sono preso la libertà di propormi come tua guida e insegnante del posto…-.

Hanna assunse un‘espressione dispiaciuta.

- Ti dispiace?- chiese preoccupato e preso alla sprovvista.

- Mi dispiace per te! Sono una pessima alunna e non so come riuscirai ad addestrarmi a questa vita!

- Di addestramenti ne farai fin troppi all’arena! Io sarò semplicemente al tuo fianco in tutto il resto della giornata.

- Ah… beh allora ne sono molto contenta!

Ogni ombra era sparita dal visetto roseo e ora una gran serenità aleggiava attorno ai due. Solo allora si accorsero di essersi fermati e avvicinati tenendosi le mani a vicenda. Si staccarono bruscamente l’una più rossa dell’altro e si misero a ridere.

- E poi – aggiunse lui – domani ti aspetta una sorpresa…

- Dai dimmi cos’è… Non puoi lasciarmi così sulle spine, non è giusto!

- E invece si!

E riprendendosi per mano cominciarono la discesa delle scale verso il salone centrale, dove si sarebbero salutati.

Il primo giorno era volato e oramai non stava più nella pelle per conoscere i nuovi arrivati. Tutto era allestito a festa e, quando lei uscì dalla sua stanza, incontrò Gemern che con un inchino e una giravolta mostrò a Hanna il suo completo da cerimonia che consisteva in una armatura e un mantello celeste.

- Quando si diviene Cavaliere, si possiede un mantello rosso, ma per ora mi accontento di questo.

Le impose di indossare un indumento particolare che da quelle parti veniva chiamato Gatish, ovvero l’abito dei Domatori. Era un mantello nero, più cupo che mai con una fantasia a spirali viola. Non avrebbe potuto più indossarlo finché non sarebbe stata pronta. Pronta per cosa? La domanda la tormentava.

 

- Eccoli, eccoli! - si sentiva gridare. - Ecco Atavar! E Jaera al fianco di Milep-. Urlavano i cortigiani indicando al cielo.

Erano su una grande terrazza sul tetto e due enormi alberi stavano ai bordi assieme a due bandiere. Erano un noce e un ciliegio; Gemern le aveva raccontato che li fece piantare un re dedicandoli a due suoi figli: alla dolce bambina il ciliegio e al forte bambino il noce. Erano davvero magnifici. Il vento soffiava pesante e alzava alcune foglie secche ormai sul suolo. Lì non vi erano le stagioni. Il cielo era limpido e il sole batteva caldo.

Ora si che non stava nella pelle. All’orizzonte serpeggiava maestoso un drago enorme. Rosso ben più degli stendardi con corna denti e coda d’oro. “Come faccio a vedere tutti questi particolari? Ho visto, prima degli altri, le tre bestie in arrivo! Quella rossa, quella verde smorta e quella gialla limone.”

- Come mai così inquieta? – era Armeus che parlava, il consigliere del giorno prima.

- Ma… come faccio?

- Intendi a vedere così bene i draghi? – disse con un sorrisetto complice.

- Si, li vedo perfettamente! Ogni goccia di sudore sul loro corpo, il respiro leggermente affannato dei due dietro. Persino il legame che scorre fra quello rosso e il cavaliere…del quale però non distinguo i lineamenti… c’è un’energia tale che riesco quasi a sentire nelle mie vene!

- Impressionante! – si intromise Armeus profondamente sorpreso – hai detto che senti il legame? Che riesci a sentirlo?

- Si… ma non è semplice… se solo riuscissi a vedere Lui… - e così dicendo strizzava gli occhi.

- Fra i due c’è davvero l’unione che senti e con un po’ di allenamento non ti servirà più vedere il cavaliere, ma lo sentirai e saprai quasi tutto solo ascoltando il suo drago. Mi impressiona assai che tu riesca già a sentire il drago. La Vista è qualcosa che si ha per nascita, ma il “lungo tatto”!

- Non capisco – disse confusa lei. Lui sospirò e la guardò dritta negli occhi:

- tu hai il Talento - Ancora una parola senza significato per lei.

Comprendendo il suo sconcerto Armeus si spiegò: - il Talento è un potere che solo uno di noi ha posseduto. Il suo nome era Filmuser. Anche lui era un Domatore, ma era votato al male. I consiglieri di quel tempo non riuscivano a spiegarsi perché una forza così grande fosse stata creata per distruggere. Divenne il sovrano di Megicre un’isola poco lontana da Atlònas, quella su cui ti trovi. Il nostro mondo era un unico blocco pochi decenni fa, ma i consiglieri di Durite, un regno, quando nacque Filmuser ebbero paura e staccarono le terre per allontanarlo da loro. Non servì a molto.

Si interruppe fece un lungo respiro, poi continuò:

- Il suo potere era immenso dopo tutti quegli anni di addestramento. Iniziò a capire che non era capace di fare del bene e con la Serpe di Rubino, la sua cavalcatura, iniziò a terrorizzare i popoli ed estendere le sue conquiste. Aveva un esercito di draghi indomiti e molti uomini lo seguivano intimoriti dalla sua figura. Molto donne e uomini erano stati stregati e impazzivano sotto il controllo di Kotama, la guida di Filmuser. Questo era un potente mago che li costringeva a lavorare per il suo padrone sotto schiavitù. Devi sapere che ogni volta che nasce un nuovo domatore, quello in carica perde un po’ dei suoi poteri, non tutti, ma abbastanza per impedirgli di mantenere un buon controllo sul proprio regno. Nacque così il suo successore e a Filmuser sembrò di perdere tutto. Entrò in depressione e Kotama decise che non poteva continuare così e lo mandò nel tuo mondo a uccidere il neonato. Tornò trionfante e riprese il controllo sulle sue truppe. Mancavano solo Atlònas e Goennie da conquistare e sarebbe stato tutto sotto il suo potere. Fu lì che accadde. Mentre cavalcava su Goennie la vide. Una dolce creatura impaurita che se ne stava accoccolata in un angolo attendendo che un soldato calasse la spada su di lei. Con i suoi occhi verdi piangeva lacrime di dolore e i capelli castano erano sporchi di sangue. Non indossava abiti e quando tese una mano verso di lui lo catturò nel suo cuore. Filmuser la prese con sé portandola al suo castello. Non aveva mai amato nessuno prima di allora ma Dexina si era votata a lui come la sua Serpe era stata domata. Ormai Goennie era sotto il suo controllo e fu a quel punto che tutti i consiglieri fuggiti dalle varie terre agirono. Avevano finalmente trovato il punto debole di Filmuser. Mandarono una Serpe di Durite. Esse sono scaltre e veloci. Faceva proprio al caso loro. Oscura si confuse nella notte fino a giungere al castello nemico a Megicre. Scivolò nella stanza di Dexina e grazie alle sue piccole dimensioni riuscì ad infilarso nel letto e a morderle un braccio. Il suo veleno entrò in circolazione e la fanciulla si addormentò profondamente per giorni e giorni, mentre la serpe la conduceva ad Ameliatee. Venne condotta dagli Stregoni di Verneud che con un sortilegio legarono la sua anima a quella di lui e poi la uccisero mentre dormiva il suo sonno agitato. Filmuser tornava quel giorno al castello per stare al suo fianco, ma non trovò nessuno e mentre la cercava sentì prima un enorme calore nel petto, poi, silenzio dentro di sé e i suoi battiti si fecero lenti… era nato un nuovo Domatore? No, non poteva essere. Nascevano ogni 50 anni e ne mancavano ancora 47 prima che arrivasse. Era successo qualcosa di grave a Dexina. Solo allora se ne accorse, mentre correva verso la Serpe di Rubino chiamandola con quell’energia che non sentiva più. Aveva perso il Talento. Era divenuto un semplice Domatore. Uno stupido cavaliere che non sarebbe più riuscito a terrorizzare il popolo di Atlònas, l’ultimo. Invertì la rotta e volò a Baren, dove si trovava la reggia di Kotama. Quando arrivò Kotama lo accolse con un fulmine al cuore minacciandolo di essersi innamorato di una stupida ragazza che lo aveva portato alla morte e avrebbe pagato per questo, perché nessun distruttore poteva innamorarsi. Per punirlo lo intrappolò sotto terra nel suo inferno. Kotama liberò il suo spirito e seppellì il proprio corpo. Nessuno sa quale fu il suo destino.

- Okay… credo di aver capito, chiederò a Gemern di procurarmi una mappa… tutte queste isole non le ricorderò mai! Ma continuo a non capire… è così potente il Talento?

- Si. Ti permette di fare molte cose ma non so dirti quali o come… posso solo informarti che i soldati che si scontravano con Filmuser cadevano ai suoi piedi senza forza… hai detto di percepire un’energia? Di chi? Del drago?

- Non riesco a capire… è diversa… quella del drago la sento benissimo posso praticamente toccarla! Ma ce n’è una, ancora più potente ma stavolta è lontana dalla mia portata. È verde. Sembra una scarica di energia che intercorre fra i due… sono… legati! Non credo riuscirei mai a dividerli…

- Questo perché sono davvero uniti. Atavar è divenuto suo dal momento in cui l’ha visto. Sono ora inseparabili. Ma dimmi: c’è anche fra gli altri quattro? Drago verde e drago giallo con i cavalieri?

- No. È differente. Sembra… rosa. Si, ma quella potrei facilmente prenderla

- In che senso – chiese Armeus che ora fissava i draghi quasi arrivati.

- Nel senso che… non riesco a spiegartelo, però voglio provare a rompere quello del drago verde.

- Perché mai? – ora sembrava spaventato.

- È particolare… sento quel legame un po’ più… rosso! Non mi piace.

- Va bene, prova. Ma non esagerare. – la avvertì corrugando le grandi sopraciglia bianche.

Hanna chiuse gli occhi per pochi secondi, poi tese una mano in direzione di quel meraviglioso smeraldo luccicante e strinse il pugno. Subito non successe niente e quando stava per perdere la speranza di poter controllare qualcosa il cavaliere cadde dalla bestia. Vide il fulmine svanire e riapparire nelle sue mani unite a coppa. Sorrise come se fosse qualcosa di suo, ma non si mosse. Sentiva solo in lontananza le preghiere di Armeus, ma una parola la fece tornare in se. “Morirà!”. Si riscosse e lo guardò.

- Rendile ciò che le hai tolto presto! Fai la stessa cosa all’inverso o morirà!

Guardò la piccola figura la cui caduta era stata interrotta dagli artigli del drago e prendendo fra due dita l’energia che premeva per essere assorbita e lasciò che si staccasse da lei. La condusse col pugno chiuso verso il cavaliere e aprì il palmo. Il fulmine ricomparve dove l’aveva sottratto prima e la figura si riprese più viva che mai. Le orecchie si stapparono e tornò la “Hanna” di prima.

- Cosa ho fatto? Non capisco…

- Io si - disse Armeus – le hai sottratto la vita. Come hai fatto a prenderla gliela hai ridata. Non farlo mai più siamo intesi? È qualcosa di molto delicato e pericoloso. Tu non potevi sapere perciò ti perdono.

- Mi dispiace molto! – si scusò lei – non potevo pensare che… oh! – ora piangeva, perché nello sguardo del suo interlocutore c’era una punta di ammirazione per qualcosa di terribile.

- Dimentica tutto questo – e dicendo così le carezzò il volto – hai molte cose da imparare…

E così fece. Dimenticò che fosse successo, ma non scordò come fare. I tre draghi erano appena atterrati e finalmente dopo tanto attendere Hanna li riconobbe.


Vi ho lasciati o no un po sulle spine??? Il prossimo capitolo arriverà presto!! Grazie a tutti quelli che leggono! :) a presto..

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Capitolo 5
*** Dei nuovi io ***


Dei nuovi io

Erano molto cambiati e sembravano più intimiditi di Hanna. - Viva il nuovo re! Viva i consiglieri! – ecco come venivano acclamati e accolti.
Hanna non poteva credere ai propri occhi. Loro nel sogno non avevano ricevuto solo una pietra e la pergamena, ma anche abiti. William nel centro carezzava impettito ma imbarazzato il drago e si guardava attorno spaesato. Non portava una corona, ma un medaglione fissato ai capelli: il Diadema dei Re. Gemern le aveva spiegato come si sarebbero presentati le tre figure, ma vederle faceva tutt’altro effetto. Il gemello le corse incontro non appena la vide. Era diventato più alto e la chioma gli scendeva bionda fino alle spalle; dimostrava come minimo sedici anni. Indossava pantaloni chiari e un giubbino in pelle. L’armatura conteneva bene il suo fisico muscoloso e il mantello rosso con l’effige gli cingeva le spalle. Teneva l’elmo sotto braccio e con l’altro la strinse affettuosamente. Alle sue spalle c’erano Giulia e Mary che si guardavano attorno. Anche i loro capelli erano più lunghi, ma non erano più alte di quando le aveva lasciate. Le chiome erano intrecciate e le loro tuniche cadevano eleganti sui corpi, due cinture in oro si avviluppavano sotto i seni e i cappucci erano ampi e decorati.
- Sei qui! – la baciò William – mamma e papà erano preoccupati ma… iniziavano a dimenticarti… strano… ma tu stai bene vero? Dove ci troviamo? Perché siamo qua? Sul drago ho sentito una cosa davvero strana. Ora lui è mio. Mi capisce! E io capisco lui! Fantastico! Mentre stavo venendo ho incontrato loro due! Incredibile! Non posso crederci… ma mamma e papà ci dimenticheranno? Torneremo mai a casa? – anche la voce era diversa.
- Piano, piano! Una cosa alla volta! – disse restituendo un bacio sulla fronte mettendosi in punta di piedi.
- Noi non siamo figli loro… perciò si, ci dimenticheranno per quel che ne so. Noi siamo nati per venire qua e no, non torneremo mai più a casa… almeno voi non vi siete addormentati sui draghi! Avreste provato l’ebbrezza di una caduta con i fiocchi! Come la mia! – rise rincuorata lei: almeno era sempre il chiassoso William di prima!
La ragazza dai capelli scuri scese dal drago smeraldo.
- Beh in realtà non ci scommetterei… non mi hai vista? –le si avvicinò Mary ridendo e tendendole le braccia – e concordo: non è piacevole!
I battiti del cuore aumentarono, ma solo per un istante. Abbracciandola rise con lei.
- Incredibile davvero! – era Giulia che parlava. Stava carezzando una foglia: l’aveva sentita morire mentre cadeva. Una lacrima solcò la sua guancia, ma nell’attimo in cui sfiorò il tronco dell’albero sembrò rassicurata.
- Non ha sofferto… sta dormendo!
Due uomini anziani dalle tuniche spoglie giunsero e assieme a loro una figura possente, sulla cinquantina. I suoi capelli erano brizzolati, ma anni addietro dovevano essere di un rosso abbagliante.
- Siamo Meric e Kerot i vecchi consiglieri – disse quello più vicino – venite – disse facendo cenno Mary e Giulia – vi spiegheremo tutto.
Hanna annuì per incoraggiarle e dopo aver abbracciato anche l’altra amica le lasciò andare. L’uomo dai capelli grigi si avvicinò: aveva gli stessi abiti di William.
- Che strana coincidenza – disse mettendo le mani sulle loro spalle – chi l’avrebbe mai detto?! E così vi conoscete tutti!
- Conoscerci? Io e lui siamo gemelli… beh non più – gli rispose lei cortesemente.
- Wow… bene ragazzo vieni con me, io sono Iaro… - e iniziò il discorso che avrebbe sconvolto la vita del fratello.
Gemern le si avvicinò:- tutto okay? Ti va di iniziare le nostre “lezioni”?
- Si - disse, ma non era molto convinta – Gemern, secondo te davvero ci dimenticheranno? E se volessi tornare là? Se non mi piacesse questa vita?
Lui scoppiò a ridere e, dopo aver notato la serietà della domanda, rispose: – Non credo vorrai tornare… questo è il tuo mondo, eh tuo davvero! Vedrai che ti piacerà molto
Erano in biblioteca già accomodati ai tavoli quando Gemern iniziò:
- partiamo con geografia, sei d’accordo? Allora: il nostro pianeta non ha età, per quel che ne sappiamo è sempre esistito, ma non ha subìto grandi trasformazioni a parte quando furono create le isole. Anche le scoperte e le invenzioni sono limitate. Qui con la magia non abbiamo bisogno della scienza. Sai perché si sono divise le terre?
-Si, me ne ha parlato Armeus.
- Bene, bene, ma di questo parleremo in storia. Ora hai tanti nomi da imparare: Jeaka è questo mondo, le isole sono: Goennie a nord, Atlònas al centro, Verneud a ovest, Megicre a estremo sud-est, Durite a est, Baren a nord-est. Le rispettive capitali sono: Erot, Ameliatee, Buat, Enoiz, Plaeta e Touki. Mi segui?
- Credo di si… noi siamo ad Ameliatee? – chiese prendendo appunti.
- Proprio così! Bene! Poi ti darò una cartina. Non faremo verifiche, ma la prossima settimana ti farò ripetere tutto davanti ai tuoi amici… verranno a imparare anche loro, solo che poi non verranno all’arena.
- Si fa ginnastica? – domandò preoccupata.
- No – rispose con un gran sorriso – meglio! Comunque domani ti spiegherò dell’altro, ma in storia faremo solo due re e quattro Domatori.
- Tornando a noi… il nucleo di Jeaka è una stella fatta di energia che controlla tutte le creature e si trova al centro di una grande barriera magica. Le isole sono collegate al nucleo attraverso alcune scariche elettriche e il mare e le persone rimangono a terra grazie a una magia che creò la gravità e tutti gli altri elementi che permettono la vita, il nome del suo artefice è Moganum. Oh, basta ci rinuncio… storia la faremo unita a geografia! Moganum visse nell’epoca pre-terrena: prima di questa magia le persone vivevano in aree ristrette “attaccate” al terreno con corde. Assurdo, vero?! Il nostro universo è formato da circa cinquanta stelle e sembra un cerchio. È come se fossimo circondati da uno specchio: se si viaggiasse in una qualsiasi direzione si vedrebbe Jeaka e se andassi verso di Lei torneresti indietro… è complicato da spiegare. Ma non studieremo astronomia, tranquilla, queste sono solo le basi.
La lezione proseguì per poco dato l’aggravarsi della sonnolenza dell’alunna:
- Basta per oggi , ora vieni; ti presento Nait.
Hanna si riscosse e si alzò assieme a lui. Notò una cosa strana: non era più maldestra, anzi! Si muoveva con una grazia indicibile e controllava ogni suo movimento alla perfezione.
Uscirono dal castello e andarono verso la scuderia.
- Stai scherzando?! Io non so montare! E dove stiamo andando? È questo l’allenamento di cui parlavi? Cavalcare?
Gemern rise di gusto; lo faceva spesso quando lei ipotizzava cose assurde.
- Certo che no! Cosa dici! E comunque sai già montare!
- No invece! Mi sarebbe piaciuto molto, ma no. Cadrò subito!
- Vedremo…
Era una costruzione in legno molto grande, gigantesca! Si trovava dietro alla cascata e la nebbiolina arrivava sin lì, molto umida e pesante. La portò verso l’entrata: un arco di pietra ove l’acqua cadeva come i manti di una tenda di seta il cui gonfiarsi era accompagnato da un gran scrosciare. Dalla stalla venivano nitriti e il rumore degli zoccoli sulla roccia umida. Un sentiero di soffice erba portava sino alle scuderie. La luce rifletteva in ogni angolo e illuminava a giorno la grotta. Lui fece un fischio: arrivarono due animali simili a cavalli, ma con colli più sottili: erano Defitros, già bardati e pronti per la cavalcata. Le bestie nere dagli occhi azzurri si avvicinarono. Quella più piccola si accostò a Hanna e le poggiò il muso sulla fronte. Lei ne carezzò il manto dal pelo lungo e ondulato sino a passare al muso rasato e al crine intrecciato. Gemern, che la stava guardando, la incitò a saltare in sella e con le forti braccia le cinse i fianchi e l’aiutò a salire.
- Vedrai, non è difficile – la rincuorò – ci vuole solo un po’ di pratica!
- Se lo dici tu…
Prese le redini e aspettò che l’amico fosse pronto. A quel punto partirono. Lui in testa guidava la spedizione per un sentiero che si arrampicava sul monte Lier.
Gli alberi profumavano di fresco e la cascata precipitava al loro fianco. I fiori erano carezzati da un freddo vento e le fronde ondeggiavano facendo ombra al grano dorato e prezioso che cantava al cielo. Il sentiero proseguiva imperterrito, ma i Defitros sembravano non stancarsi mai. La parete di roccia serpeggiava sulla sinistra, precipitando. Solo dopo una buona mezz’ora di cammino Hanna scorse l’arena. In quel punto la cascata era ancora fiume che scorreva impetuoso in attesa del precipizio.
- Ci siamo quasi – le disse Gemern – mancano circa dieci minuti.
Hanna, che ci aveva preso la mano, diede un colpetto sui fianchi del Defitros che iniziò a galoppare.
- Piano! – la implorò Gemern che non aveva troppa confidenza con gli animali – piano o mi seminerai alla velocità della luce!
Risero e iniziarono a trottare. Era proprio una bella giornata. L’arena si avvicinava. Hanna non indossava più il Gatish, ma abiti leggeri. I capelli, stranamente più lunghi, le arrivavano ormai alle ginocchia e aveva dovuto raccoglierli in uno chignon. Anche Gemern si era cambiato e indossava panni semplici.
- Eccovi ! Ormai è ora di pranzo! – era un uomo alto e barbuto che aveva parlato – menomale che ho qualcosina in dispensa! Nulla di lussuoso, ma sempre meglio di niente!
- Salve Nait! Ti ho portato la tua nuova allieva!- rispose Gemern garbatamente e con il sorriso dipinto sulle labbra.
- Finalmente! Sareste dovuti arrivare ieri! Vi stavo aspettando – disse Nait mentre stringeva la mano a Hanna. Il suo tono era burbero e ruvido, ma gli occhi marroni gentili .
L’arena sembrava il Colosseo, ma era ancora più grande. “Chissà cosa faremo là dentro” si chiedeva Hanna, nel frattempo legava il destriero a un palo e seguiva Nait in una piccola casetta. Traballante la capanna si ergeva circondata da iris, peonie ed edere rampicanti. Al di fuori della staccionata che circondava il bel giardinetto, le erbacce crescevano fitte. Entrarono percorrendo un sentiero di ghiaia e Nait li condusse sino all’ingresso.
- Guarda – le disse in un orecchio Gemern – sono Otimup. Sono loro che curano il giardino.
Sui fiori e i fili d’erba c’erano moltissime farfalle luccicanti, di ogni colore, che disperdendo una polverina orata si posavano carezzavano e baciavano le foglie. Erano bellissime. Sembravano le fatine delle favole che fanno giungere la primavera. Non avevano visi, eppure emanavano bellezza dalle ali alla punta delle antenne argentee. Grandi quanto un pollice, con chiome orate che giungevano fino ai piedini intrecciate con radici, vestite di rampicanti in miniatura, con i loro gesti angelici instillavano la vita a tutte le creature. Entrarono dalla porticina e si trovarono in una stanzetta scura illuminata solo da una finestrina. Un tavolo, uno scaffale e una branda… tutto qui. Nait li condusse a destra, verso il tavolo mentre lui andava in fondo, alla dispensa. Aprendo gli sportelli cigolanti ne trasse due pezzi di pane e un barattolo. Poi tornò da loro e glieli porse.
- Che cos’è? Sembra miele – disse Hanna succhiando il cucchiaino che poco prima aveva immerso nel barattolo.
- È sciroppo di rosa… lo producono gli Otimup.
Mentre Nait le rispondeva lei aveva ormai ingurgitato l’intero panino. Stravolti bevvero e Hanna non fece più domande
- Beh, avete già finito? Quanto lavoro c’è da fare se una breve passeggiata vi abbatte…
- VI??- disse Gemern stupito.
Appoggiando un gomito sul tavolo, stravaccandosi sulla sedia e inclinandola Nait sorrise: -Pensavi davvero che il tuo compito fosse solo di accompagnarla?
Gemern era rimasto a bocca aperta, il bicchiere ancora a mezz’aria, lo sguardo fisso sul maestro.
 
 
Era ormai il tramonto. I due ragazzi erano sudati, sudici, stravolti. La polvere dell’arena, sporca di centenni di combattimenti, aveva lordato i vestiti di entrambi. Hanna non ricordava di essersi mai impegnata tanto, di aver mai faticato tanto per qualcosa. Ma ogni volta che Nait le diceva “forza!” lei sapeva di potercela fare: c’era qualcosa più grande di lei che la guidava, che le permetteva di assimilare ogni piccolo insegnamento. Quando il maestro le porse una spada, stringerne l’impugnatura fu come ritrovare un’amica, fedele, servizievole, letale. Saltellava da una parte all’altra compiendo movimenti ben precisi, imitando Gemern che conosceva già le basi per combattere.
L’allenamento non comprese solo la lotta corpo a corpo però.
Quando Naif fece il suo ingresso cavalcando un draghetto il cuore della Domatrice mancò un colpo.
Che creature affascinanti. Parlavano di antico, di forza, di orgoglio. Hanna non si capacitava di come essi potessero essere sotto il controllo degli uomini. Magia? I suoi occhi parlavano a Hanna, le infondevano sicurezza. Quegl’occhi non l’avrebbero mai ferita.
Naif smontando, le aveva detto: - vediamo che sai fare – e ammiccando aveva emesso un fischio quasi assordante. Udito il segnale il drago ruggì. La cresta spinosa si era improvvisamente aperta a ventaglio e la percezione di Hanna del drago era cambiata improvvisamente. Pericolo. L’avrebbe attaccata. Lei rimase immobile, pietrificata dalla paura, incapace di reagire davanti a quell’incubo così reale; persino il suo respiro era divenuto un flebile soffio. Il drago le si era fatto sempre più vicino, era sempre più veloce, l’afferrò con la zampa anteriore. Le sue squame argentee brillavano sotto il sole pomeridiano di una primavera estranea alla mente della ragazza e i suoi denti calarono così veloci che ebbe appena il tempo di intravedere un abbagliante sfolgorio. Proprio mentre pensava che la sua, ironicamente definita,  “carriera” sarebbe terminata in quel momento, udì un ordine lontano. Proveniva dalla bocca di Naif, ma era lo stesso che sentiva imporle il cuore: “Reagisci! Usa l’istinto! Ce l’hai nel sangue!”. Senza neppure il tempo per riprendere fiato Hanna si abbandonò a ciò che i muscoli erano già pronti a fare: appoggiò i palmi sulla zampa fredda e nodosa che la stringeva e pensò “basta”. Tutto si fermò. Il ruggito del drago si spense e ogni cosa fu gelata dal soffio del silenzio. Come un’esplosione muta la calma di Hanna si dilagò dalla sua mente a tutto ciò che la circondava. Il drago la sciolse dalla presa e rimase a guardarla in attesa del prossimo comando. Ce l’aveva fatta.
Applausi entusiasti le giunsero dai due presenti:
-                   Ora che sai di essere una vera Domatrice passiamo alla lotta.
Sì, era stata una giornata impegnativa. Hanna e Gemern guardavano il sole rosso fra le dita mentre si riparavano dagli ultimi raggi. Camminarono sfiniti fino a dove i Defitros brucavano e dopo aver salutato con un cenno il maestro tornarono alla reggia. Arrivarono con la luce flebile delle stelle che avevano illuminato loro la strada per l’ultimo tratto. Improvvisamente Gemern le fece segno di fermarsi e attendere. Sostando sul quel sentierino che fiancheggiava il precipizio, Hanna aveva paura. Non capiva perché dovessero aspettare. Dopo alcuni istanti, Gemern la guardò, sorrise, e baciandole la guancia le sussurrò: “Felice Naquire…”. Poi indicò la pianura, sovrastata dal castello affiancato dalla cascata. Subito schegge fiammeggianti partirono da essa ed esplosero in migliaia di scintille. Erano bellissimi fuochi d’artificio. Rimasero lì, ascoltando l’eco della folla, guardando il paese illuminato a festa. Mentre si avvicinavano, la confusione iniziava a quietarsi fino a quando, ormai giunti, tutto e tutti erano assopiti. Senza luci, era calato il buio come nella mente di Hanna sul suo passato…
 
Ehi! Spero vi sia piaciuto questo capitolo! Il prossimo è già in elaborazione, ma mi prenderò una settimana per completarlo e rifinirlo. Sono felice seguiate questo mio piccolo passatempo, amo scrivere ma non mi ci posso dedicare più di un tanto dato che sono una persona alquanto impegnata… Apprezzerò ogni genere di commento o critica, vi aspetto al prossimo capitolo!

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Capitolo 6
*** Per cambiare bisogna essere qualcuno ***


Per cambiare bisogna essere qualcuno

 
Tanto più Hanna si abituava alla nuova vita tanto più dimenticava chi fosse. Spesso l’istinto ci dice: “Devi adattarti, cambiare a seconda delle necessità”. Lei non faceva altro. Il cuore però ci consiglia: “Resta fedele a te stesso” e per farti capire che deve essere ascoltato ordina anche allo stomaco, alla testa, alle mani e alle gambe di fare male, perché il dolore suo nell’essere insoddisfatto, o deluso, o diverso, si trasformi in quello fisico di tutto il corpo. Hanna, però, aveva il cuore occupato in altro evidentemente mentre diventava la fredda persona che le era richiesto di essere dato il suo “ruolo” di Domatrice. Come in una partita a scacchi il pedone può muoversi solo in avanti a meno che non possa mangiare un nemico, in quel caso il pedone è tenuto a comportarsi in un altro determinato modo, così Hanna aveva un percorso tracciato. Ma al contrario che negli scacchi, dove le regole sono su carta, in una società esse non vengono scritte, ma dettate attraverso giudizi. Il mondo è crudele. Ti mette in riga. Ti fa i dispetti. Ti deride. Hanna però era diventata esattamente quello che il popolo cercava in lei: un’immagine irraggiungibile di antichi valori mai dimostrati. Quindi, era al sicuro da tutto ciò che non era emozione: infatti dentro di lei, il suo cuore sì, era un po’ distratto, ma iniziava ad accennare sofferenza, non ancora gelato dal comportamento rigoroso che gli veniva imposto. La routine di Hanna era calcolatissima. Non aveva un minuto per se stessa se non durante gli allenamenti: mentre cavalcava fino alla casetta di Naif però, si sentiva rincorsa da quella lei che a palazzo l’aspettava, vestita con il Gatish, impassibile dinnanzi agli affari di stato che si discutevano a corte, con suo fratello che lei non riconosceva più, le sue amiche ormai solo sagome dietro di lui. Perché tutta la luce che aveva trovato appena arrivata si stava affievolendo? Perché la ritrovava solo nel combattere, carezzare un drago o comandarlo? Nell’arena dava il meglio di sé, sapeva sempre esattamente cosa fare. Fuori, durante quegli interminabili incontri, era solo un ombra sul retroscena. Gemern questo non gliel’aveva detto prima di partire. Non le aveva detto che sarebbe stata così insignificante la sua esistenza. Da quando se n’era andato, l’anno prima, per combattere sul confine contro non si sa bene quale nuova popolazione che aveva deciso di dichiararsi indipendente, dalla morte di Iaro, lei era totalmente infelice. I maestri erano duri con lei, doveva attenersi a determinati costumi dei quali non conosceva l’esistenza e se non lo faceva veniva punita. Punita. Lei, la Domatrice, veniva messa a pulire i pavimenti assieme ai servi. Ma Demetra non transigeva alcuna mancanza: un ritardo, una postura sbagliata, ed ecco che tac! Si ritrovava a impugnare lo spazzolone invece della spada. Si rifugiava nella poca compagnia che le teneva Calada, negli sguardi affettuosi che le riservava Armeus, mentre le narrava le avventure degli antichi Domatori. Lui non lo era mai stato davvero, diceva. Non ricordava come fosse arrivato, ma era negato in ogni tipo di affare fisico: sì, anche lui, diceva, era discreto con la spada, nel comandare draghi, ma non lo aveva mai appassionato. Era invece appassionato di letteratura, di grandi miti e di magia. Lei non l’aveva mai visto farne uso, ma avrebbe potuto scommettere che lui, ogni tanto, qualche incantesimo se lo lasciava scappare. La magia dei Domatori affascinava molto anche lei: il poter controllare lo stato d’animo di quelle creature favolose, i draghi, il dargli ordini … in casi eccezionali persino di comunicare, ma poteva succedere anche fra Guida, ossia colui che cavalca il drago, e lo stesso drago. Lei invidiava William e Atavar: loro parlavano con gli occhi, si aiutavano l’un l’altro, non erano mai soli e capivano. Capivano quando qualcosa non andava. Se William era triste Atavar lo sapeva, e viceversa Lei non aveva nessuno che la capisse. Che capisse che non voleva essere solo un fantasma in un mondo troppo grande e sconosciuto. Ma voleva sperimentarle, lei, le cose. Mica trovarle scritte su pergamene che doveva poi recitare a memoria davanti a Demetra con la paura di ritrovarsi nelle stalle a spalare letame. Quella donna così asciutta le ricordava vagamente la signorina Rottenmeier… La ricordava in Heidi… La sua vecchia vita… quanto era lontana! Hanna si sentiva in colpa: non era in grado di combattere contro quel cambiamento. Non era più la ragazzina vivace e solare che aveva amici, che correva… ora non poteva più correre: non era regale. Doveva stare tutta impettita come quella donnicciola presuntuosa dai vestiti scuri e lunghi che le insegnava portamento, storia, geografie e affari pubblici. Le mancava Gemern. Terribilmente. Lui la faceva sentire a casa, non le bastavano Calada e Armeus. A lei mancava un fratello. Gemern si era sostituito a William nei sei mesi in cui le era stato accanto. Il Re, lei, non lo vedeva mai. Da quando c’era quella stupida guerra, tutti erano così dannatamente occupati. Lei, inutile.
Gli abitanti di Goennie insorti non si sa per quali motivi, o per lo meno Hanna ne era all’oscuro data la sua inettitudine nel seguire i discorsi durante le riunioni, continuavano a creare scompiglio sui confini: erano stati obbligati a mandare truppe per tenere a bada le insurrezioni. Ma che volevano? Non rubavano provviste, gli approvvigionamenti arrivavano regolari e non se n’erano mai lamentati durante i periodi di carestia. Qualcosa non quadrava. Nonostante tutto Hanna se lo sentiva.
 
Hanna, in camicia da notte e i capelli raccolti in una lunga treccia camminava per i corridoi come una macchia bianca fra tappeti porpora sui quali la luce soffusa della luna, che filtrava dalle tende opache, disegnava ombre cupe, sinistre, di un fantasma dagli occhi neri e il viso pallido. Esso sfiorava le pareti affrescate che di giorno rendevano gli stessi corridoi colorati a festa, ma che ora rappresentavano incubi e inquietanti creature del buio pronte a ghermirti con i loro arti spigolosi. Quando quegl’occhi incontravano i loro sguardi ne fuggivano svelti temendo essi potessero accorgersi di loro. E le dita correvano ai pomelli freddi delle porte gigantesche che immettevano in nuovi saloni con finestre che sembrava potessero contenere il cielo tanto erano grandi. Esse non avevano tende e le stelle ridevano delle povere creature spaventate ma regalavano loro la propria luce così che potessero sempre avere speranza. A quegl’occhi neri però non bastava: volevano tutto il cielo e nessuna barriera. Così Hanna, scalza correva alle torri dove i soldati, nonostante fosse notte inoltrata la lasciavano passare perché percorsi da brividi che solo i fantasmi possono provocare. Rimaneva lì, lei, con il dolce silenzio della cascata. La cullava e le capitava spesso di addormentarsi svegliandosi poi sulla pietra fredda, quando ormai la rugiada posandosi sulla pelle la faceva tremare e schiudere occhi e labbra. Saggiando così quelle perle umide si sentiva viva e più vicina a quel mondo.
Proprio una di quelle mattine in cui affacciandosi dalla torre, cielo roseo, prati verdi e lucidi, vedeva  la cascata spumeggiante che scrosciava e sembrava, pure lei, essersi appena svegliata, Hanna fu raggiunta da Demetra.
Subito la donna con il sorrisetto maligno e la sua voce stridula gracchiò: - Beh, e con questo cosa vuoi significarmi? I pavimenti non ti basta pulirli? Ora vuoi pure dormirci sopra? Bene, sarai accontentata! Disciplina ragazzina! Disciplina!
  • Ma come?! – Hanna era scandalizzata – Non puoi farmi dormire sui pavimenti! Non questo! Non credi di avermi umiliata abbastanza?!
  • Credi di passarla liscia trasgredendo alle nostre regole! Ti faccio vedere io! Doppio del lavoro oggi! Studio, studio, studio e preparazione. Non c’è altro che tu possa fare qui. Qui c’è equilibrio. Non devi interferire! – la fulminò con gli occhi.
Hanna così tacque e si morse la lingua, onde evitare ulteriori punizioni. Scese le scale a chiocciola, lanciò un occhiataccia al soldato che aveva spifferato tutto all’istitutrice, poi, a occhi bassi, raggiunse le sue stanze dove si sarebbe vestita e preparata per un altro giorno da statuina…
La raggiunse Calada mentre lei, seduta davanti allo specchio, lo stesso specchio di un anno e mezzo prima, arricciava le labbra per non esplodere in lacrime.
  • Bambina mia, mi spiace tu venga trattata così da quell’acida…
  • Oh Calada non ce la faccio più! Tutti questi giorni a corte sono una tortura! Quando potrò tornare da Naif? Quando torna? Se ne vanno tutti… mi abbandonano e io non so più che fare – esplose Hanna mentre ormai scoppiava a piangere e i singulti le impedivano di parlare fluentemente.
Calada le sciolse i capelli e scostandoglieli dal viso rispose: - Naif torna presto, e sarai felice di sapere che fra tre giorni potrai andare da lui. Ha una sorpresa per te. Vuole però che tu rimanga là per qualche tempo. – Le sorrise. Gli occhi arrossati della ragazza brillarono nonostante le copiose lacrime continuassero a fluire. Le sembrava un sogno. Doveva esserlo.
  • E io verrò con te – il sorriso si disegnò ancora più ampio sul viso della donna – credi ti lascerei sola così lontana da tutti i comodi della reggia?
Hanna non poteva crederci: un raggio di luce correva in suo soccorso mentre lei sprofondava. “Oh Gemern perché mi hai lasciata qui? Mi sono rimasti solo Calada e Naif..”.
Lo stomacò brontolò rumorosamente e Hanna balbettò un “grazie” pieno di gratitudine. Calada la fece vestire e l’accompagnò nelle cucine. Adorava quel labirinto di fuochi e banconi coperti di farina, frutta, spezie e secchi di latte fumanti. Alla mattina si faceva il pane e i forni emanavano un tiepido profumo di colazione. Hanna trovava sempre infatti una pagnotta, un bicchiere di latte e un frutto ogni mattina diverso, dai colori accesi e improbabili, e il sapore dolce che carezzava la lingua. Era proprio la colazione il momento più sereno della giornata: non aveva ancora Demetra tra i piedi, i cuochi erano gentili con lei ed erano sempre di buon umore, le donne di corte giungevano nelle cucine cariche di cesti pieni di verdura, frutta, uova e ogni tipo di cibarie, cantando canzoni popolari e chiacchierando chiassosamente con tutti. Durante i primi mesi non le era permesso di stare in cucina, i pasti li consumava assieme al re, e ai Consiglieri, sia attuali che futuri. Con il tempo però, i Consiglieri erano invecchiati e Iaro si era spento presto recando molto dolore fra i popolani e i cortigiani.
Era successo un pomeriggio cupo. Il cielo non sembrava presagire alcunché di buono; infatti esso ruggiva, piangeva quasi urlasse il suo dolore. Il mondo sembrava essersi spento di ogni colore: i prati erano grigi. Le persone erano avvolte nel nero lutto. Solo gli occhi verdi del re, aperti fino all’ultimo spasimo erano rimasti di quel verde cristallino che richiama la vita. Immerso fra cuscini e coperte bianche, il letto con il baldacchino dorato, guardava quella pioggia posarsi come mille lacrime sui vetri della finestra. Aveva guardato William, con le ultime forze aveva stretto a sé la sua mano sussurrandogli “sii forte …”, poi anche i suoi occhi si erano velati e Iaro era spirato.
Hanna ricordava di essere stata in un angolo a osservare la scena con il cuore che doleva. Aveva visto suo fratello piangere lacrime amare, impossibili da inghiottire, ed esplodere in singhiozzi candendo in ginocchio ai piedi del letto. Gli si era avvicinata e gli aveva sfiorato una spalla. Lui si era girato e senza smettere di piangere l’aveva stretta a sé aggrappandosi all’affetto più caro che avesse per non lasciarsi travolgere dalla disperazione. L’unico che lo capiva, in quel mondo, se n’era andato e non sarebbe più tornato. Era successo tutto troppo presto, convenivano i cortigiani, e  William era stato costretto a prendere le redini del regno nonostante la sua giovane età. Se prima trascorrevano del tempo assieme, ora era già tanto se riuscivano a incontrarsi per i corridoi. Allora si sorridevano tristemente, presi dalla malinconia. Il loro rapporto era molto maturato: prima era molto conflittuale, litigioso. Ora sentivano bisogno l’uno dell’altro, dell’affetto reciproco, del sostegno di una persona cara, più che mai.
L’incoronazione di William, passo formale verso la sovranità, aumentò ulteriormente il loro distacco. Era stato molto emozionante. Lei aveva assistito vicino a Giulia e Mary, tutte agghindate per l’occasione. Lei, eccezionalmente, indossava il Gatish. Al funerale di Iaro era subito seguita la cerimonia: dal tempio della città, la processione aveva seguito William, vestito di rosso, il quale cavalcava un bellissimo Defitros bianco, fino al castello dove il portone principale era spalancato e dal soffitto pendevano stendardi, anch’essi rossi, con il ciliegio e il noce. Quando la corona fu posata sul capo del gemello il popolo esplose in un’ovazione: applausi, risa, acclamazioni, persino pianti! Quel giovanotto biondo, con quel suo sguardo sveglio e i modi affabili si era già fatto amare da tutti. Solo non aveva tempo di amare un po’ anche Hanna. E loro erano sempre più lontani.

Ciao a tutti!!! Sono felice seguiate la storia... credo sia il capitolo più bello per il momento, spero vi sia piaciuto!! Alla prossima!!
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Piccoli segreti (parte 1) ***


Piccoli segreti (parte 1)

Primo giorno… “non passa, non passa, non passa, non passa, non passa”. Hanna era a letto a fissare il soffitto. La giornata prima era stata infinitamente noiosa. Lei doveva sempre aspettare. Qualcuno. Qualcosa. Lei dipendeva dalle decisioni altrui e doveva sottostarvi: ciò comprendeva lo stare seduta davanti a libri neppure vagamente interessanti per ore.
Domenica. Domenica. Una domenica bianca. Una domenica luminosa. Una domenica di quelle in cui ti puoi svegliare, relativamente, tardi e quando schiudi gli occhi l’ombra delle ciglia è l’unica cosa scura che vedi accecato dalla luce viva della mattina. Una domenica di quelle in cui gli uccellini cantano e il cielo è azzurro, l’erba è verde, i visi giocondi, le strade rosse e la tua mente bianca. Una bella domenica. Una domenica LIBERA.
Hanna sospirò… Nonostante tutto, quella vita le piaceva. La solitudine la faceva riflettere e concentrare sul suo unico obbiettivo: diventare Domatrice a tutti gli effetti. Gli allenamenti erano proceduti bene e in quei mesi aveva fatto molti progressi e imparato come usare i suoi poteri.
“Potrei entrare nella Storia. Potrei vivere una grande avventura: pericolosa ma gloriosa. I poteri psichici si stanno rafforzando e con il tempo potrei riuscire a controllare i draghi. Non tutti. Accidenti. Ho bisogno di allenarmi. Devo assolutamente esercitarmi nel controllo. Se lo perdessi durante un duello potrei rimetterci una gamba o peggio…”. Hanna adorava e temeva i duelli: faccia a faccia con il drago doveva combattere, a mani nude, quelle bestie con come unica arma la sua mente. Doveva riuscire a rimanere calma e in condizione di abbattere le resistenze del nemico. “Naif mi ha preparato qualcosa… lo so. Me lo sento. E sembra qualcosa di importante”. Le tende bianche del baldacchino ondeggiarono leggere mentre una manciata di petali svolazzò per la camera. Hanna, capelli scompigliati, scostò le lenzuola e si avvicinò corrucciata alla finestra. “Come ci sono arrivati fin quassù?”. I petali avevano portato con loro il profumo della primavera, della freschezza e Hanna aveva più voglia che mai di vivere ed essere libera.
Si affacciò sporgendosi cautamente tenendo le mani poggiate sul davanzale. Si sorprese vedendo un guazzabuglio di capelli rossi salutarla.
-                   Hanna! Raggiungimi in cortile appena puoi. È domenica!
Giulia si sbracciava ridendo, indossava… brache?! Una mantellina le avvolgeva le spalle.
Hanna rimase a bocca aperta. Allibita non chiamò neppure Calada, ma si vestì in fretta e furia e prese anche lei il mantello. Aprì la porta e se la trovò di fronte.
-                   Calada! C’è giù Giulia! Ma com’è possibile?!
-                   Bambina mia – rise lei – un poco di tempo libro dovrete pure averlo!
Neppure il tempo di sentire la risposta e Hanna era schizzata verso la sala principale, passando per la quale si giungeva a un corridoio che immetteva al cortile.
Corse. Corse come si corre da bambini quando c’è qualcosa di bello da fare. Corse. E rideva.
Un abbraccio. Le due si strinsero strette, come non si vedessero da troppo tempo ed, effettivamente, era così… Non ricordavano l’ultima volta in cui si erano parlate da sole, faccia a faccia di qualcosa che non fosse una cerimonia o questioni di stato. Il cielo era limpido e i colori vivi.
-                   Vieni, usciamo da questo incubo, almeno per un po’.
Le fece l’occhiolino, la prese a braccetto e si fece aprire la cancellata con un cenno. I fiori al suo passaggio sembrava cantassero e sbocciando le davano il “buongiorno”. Giulia era vita. Quella che a Hanna mancava. Le sembrava un sorso di acqua cristallina dopo un lungo arrancare nella siccità.
-                   Oh Hanna. Ho bisogno assolutamente di distrarmi. Ricordi la domenica quando andavamo per mercatini? – Andavamo per mercatini - Quando i tuoi –i miei –  ci accompagnavano in auto in centro ed era solo questione di divertirsi? – divertirsi – Ecco, oggi sarà così.
Hanna, improvvisamente commossa abbracciò ancora l’amica.
 
La gente era in fermento. L’agitazione scivolava fra le persone insinuandosi in esse portando la caoticità alle stelle. Hanna e Giulia camminavano proteggendo i visi dalla vista dei curiosi con i due mantelli. Passando fra le viuzze rosse di terra, la polvere sollevata dallo scalpiccio insudiciava i loro abiti annebbiando la vista. Loro camminavano strette fra le bancarelle colorate: sembrava un sogno. Un quadro dove il pittore non risparmia colori. I banchi di frutta e verdura al passare di Giulia sembravano colorarsi ancor di più aumentando la popolarità fra gli acquirenti. Ella ne sorrideva lanciando occhiate complici a Hanna che guardava ammirata tutta quella prosperità. Arrivarono davanti al banco in cui, tempo prima, Gemern aveva comperato la pietra che lei portava ancora al collo. La strinse e la malinconia le strinse il cuore. La confusione, il vociare, divennero quasi ovattati e a Hanna sembrò di tornare indietro e rivederselo lì, a sorriderle porgendole un dono sincero. Si rese conto di quanto le mancasse. Strinse il braccio a Giulia e improvvisamente le chiese: - Ma… con William?
Giulia si oscurò improvvisamente in volto. La guardò con occhi quasi torbidi, cosa assolutamente sconvolgente per Hanna che li ricordava chiari come quelli degli spettri.
-                   Il Re ha tanto a cui pensare. E io e Mary con lui. Dobbiamo essere uniti, sì. Ma lo sai, tutto è cambiato. Di certo non c’è più tempo per sentimentucci da quattro soldi… Io sono uno dei Consiglieri, lui è ben più in alto e… beh è infattibile. E impensabile.
Un flash. Mary. La caduta.
Il lungo tatto
Il suo istinto le sussurrava parole strane, le faceva girare la testa, le ricordava il fastidio della presenza di Mary, quel giorno, e il desiderio di appropriarsi di quell’energia che aveva tenuto fra le mani.
Tutto questo le passò per la testa in un millesimo di secondo, appena prima di rispondere:- E come ti trovi qua?
Giulia sorrise ironicamente: - Come dovrei trovarmi? Tante responsabilità, preoccupazioni, tutto nuovo e da imparare. So di essere nel posto giusto, ma avrei preferito una vita sulla terra… Qui, qui sono sola.
Hanna capì che la solitudine si era impossessata del suo cuore, di quello di Giulia, di quello di William e di quello di Mary. O almeno così pensava.
-                   Sai, io su qualcuno posso contare. Io ho Calada, lei è buona. Le sarò sempre infinitamente grata per l’affetto che mi dimostra. Anche Armeus, nonostante siano pochi i momenti di lucidità… Naif è il mio allenatore. Non hai idea di cosa faccia io quando mi alleno – ammiccò Hanna – non ci crederesti mai…
-                   E invece io so – sorrise – tutti sanno ciò che fai. Io e Mary abbiamo Kerot e Meric su cui possiamo contare. Purtroppo nel nostro rapporto interferiscono i doveri di stato. Tu non puoi capire e fortunata te! Alterniamo studio a riunioni. È una noia assoluta! Fortunata tu che assisti e basta!
Giulia rise di gusto, ma con una punta di amarezza. La sua insoddisfazione era palese. Da quando l’aveva vista dalla finestra aveva capito che volesse come fuggire, come lei, da quella prigione e fingere di vivere ancora sulla terra, almeno per un po’.
-                   Voglio mostrarti cosa sto diventando.
Hanna corrugò la fronte, ma seguì, incerta, l’amica che già scivolava tra i banchi colmi di merce e affollati. Ripercorsero le varie vie e tagliarono per alcune strade secondarie, cotte dal sole primaverile che già ne mordeva il terreno. Doveva essere quasi mezzogiorno. “Calada si sarà preoccupata… l’avranno informata”. Nel frattempo erano giunte al castello e i cancelli si spalancarono, come se i rami ad essi appoggiati li avessero stretti e tirati per far passare una regina arrabbiata. Giulia aveva allungato il passo a metà strada ed aveva continuato ad aumentare velocità fino a quel momento. Ma era leggera. La terra sembrava colma di fantasmi, ombre di persone che erano state. E Hanna e Giulia ne erano esempi.
Con quello stesso passo deciso entrò dalla parte del cortile e si immise nella zona più elegante della reggia. I corridoi scorrevano, prendevano scale. Stavano scendendo. Ancora corridoi. Hanna si era ormai persa, ma continuava a seguire l’amica, curiosa ma spaventata da ciò al quale andava in contro. 



Ragazzi... scusate, davvero! due settimane e vi trovate questo capitoletto cortissimo! Vi prometto che la Parte 2 arriverà settimana prossima e vi soddisferà.. spero... Qualsiasi commento sarà gradito, specialmente le critiche... voglio migliorare!! Detto questo, un bacio a tutti!

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Capitolo 8
*** Piccoli segreti (parte 2) ***


Piccoli segreti (parte 2)

Ormai era tutto buio. Giulia afferrò una fiaccola fissata a una parete. La strattonò. La fievole luce della fiamma disegnò strane ombre sulle pareti e con uno schiocco scattò l’ingranaggio. Il pavimento tremò e quella sorta di pedana iniziò a scendere. Hanna quasi perse l’equilibrio quando sentì mancarle il pavimento sotto ai piedi. Giulia con la fiamma tremolante vicino al viso aveva un che di macabro che spaventava e incuriosiva Hanna. I suoi occhi di acqua vibravano di riflessi rossi come i suoi capelli che impedivano all’amica di vederne l’intero volto.
Un tonfo. La pedana si fermò e Giulia riprese a camminare per un corridoio più stretto ma altissimo con appesi in cima lampadari in ferro battuto. Non si poteva camminare affiancati e Hanna la seguiva a un passo di distanza. Dopo quello che sembrò un viaggio infinito il corridoio si immise in un’ampia sala scavata nella pietra, alta quanto il corridoio di prima e altrettanto larga. Era però tutta illuminata da strane venature verdi che ne percorrevano l’intere pareti. Al centro vi era una sorta di piccolo giardino con una fonte. La vegetazione sorgeva rigogliosa e sembrava che la luce misteriosa le permettesse di crescere come vi fosse il sole a illuminarla.
-                   La magia è vita – esordì Giulia. – Magia è aiutare. Questo lo rispetto e mi sento molto onorata a poter prendere parte a qualcosa di così importante. Ma non l’ho mai chiesto!
Improvvisamente iniziò a soffiare un vento moderatamente forte nella grotta che muoveva le foglie, l’erba, i capelli di Giulia e… la veste cerimoniale. Hanna si spaventò. Non era più la Giulia in jeans che rideva poco prima. Dal momento in cui aveva iniziato parlare i suoi vestiti si erano trasformati. Veli bianchi le cingevano il corpo lasciandole le braccia scoperte e i piedi scalzi una cintura d’oro completava il quadretto. Le sembrava una dea. La luce surreale vibrava e solo Giulia sembrava emanare una luce propria, viva. Sembrava che e bruciasse un fuoco rosso dentro in mezzo a quel verde flebile. Era terribile e bellissima.
-                   Ho mai chiesto di poter fare questo?! – e con un gesto fece esplodere la sorgente in mille zampilli che raggiunsero il soffitto.
-                   Ho mai chiesto di poter decidere di questo?- e con un movimento fluido della mano guidò quel vento che diveniva sempre più travolgente verso il piccolo giardinetto. Le piante seccarono improvvisamente e la vita fu strappata loro per la rabbia di una ragazzina. Ragazzina che in quel momento aveva controllo su tutto tranne che su se stessa. La luce verde venne travolta da quella sua di fuoco e rabbia.
-                   Effettivamente, perché dovrei voler però rinunciate a tutto questo? Con un gesto sono padrona della natura! Eppure – e qui tutta quella baraonda si quietò – non posso amare …
Il vento smise di vorticare, la luce si spense e le piante, lentamente rinvigorirono … Giulia, a capo chino, con i jeans e la mantellina piangeva. Dopo quel momento di pazzia si sentì crollare addosso il peso di ciò che aveva detto. Lei amava William e lo amava ancora di più da quando erano lì perché era l’unica cosa che le facesse sentire un senso di casa. Era tutto così surreale. Alzò gli occhi gonfi di lacrime. Rivolse i palmi al soffitto e la caverna si illuminò nuovamente grazie alle venature di linfa magica. Aveva goduto della sofferenza di quelle piante a causa della rabbia e desiderio di vendetta.
-                   Ecco come la magia può diventare morte. Se la persona che la esercita è debole diventa uno strumento per distruggere la speranza. Hanna … come è facile sbagliare. – rivolse lo sguardo verso l’amica – mi dispiace tu abbia assistito a tutto questo.
Sorrise triste … le si avvicinò e cadde in ginocchio. Si prese la testa fra le mani e ricominciò a piangere. “Sono debole. Sono un debole. Mi odio. Come posso davvero essere diventata tutto questo solo per un capriccio? Dopo tutto quello che mi hanno insegnato. Ho deluso tutti e per prima me stessa. Sono caduta davanti al primo ostacolo senza neppure provare a superarlo. Mi sono arresa presa da sconforto. Giuro che non succederà più. E lo giuro per prima a me stessa. Sarò forte, affronterò tutti gli ostacoli perché so di avere le armi per affrontarli. Posso farcela”.
 
Hanna le si inginocchiò accanto. Le strinse le spalle con le mani e le disse:
-                   Tutti sbagliamo.
Era rimasta agghiacciata dalla reazioni di Giulia, ma la capiva. Non voleva giustificarla ma sapeva quanto potesse essere difficile. Lei una valvola di sfogo ce l’aveva. Giulia no. Doveva sempre essere impeccabile e all’altezza della situazione.
-                   E tutti possiamo rimediare ai nostri sbagli. Rifletti: meglio che tu sia crollata ora, così da poter riprenderti subito e non avere ancora troppe responsabilità sulle spalle. Ora sarai più incentivata a fare meglio. Sono sicura potrai …
Meric irruppe nella grotta. Poggiandosi a un bastone per le sue condizioni in peggioramento gridò:
-                   Sciagurata!
Giulia, il cui respiro aveva solo iniziato a tornare regolare, alzò gli occhi fulmineamente e schizzò in piedi liberandosi dalla stretta di Hanna.
-                   Ho sbagliato maestro. Perdonami.
Meric la raggiunse e con un sonoro ceffone fece rivoltare la ragazza. Venne subito circondata da radici che le impedivano di alzarsi.
-                   Hai perso il controllo! Non devi chiedere perdono a me, ma a ciò che di permette di comandarla: la Magia. La mia Magia si scontrerà con la tua. La più pura rimarrà. Quella più debole verrà restituita al nucleo di Jeaka! È venuto il momento. È venuto troppo presto, ma non vi si può scappare. Vediamo se sarai all’altezza di divenire effettivo Consigliere!
Detto questo Meric strinse il pugno della mano che teneva protesa in un gesto minaccioso verso la ragazza e le radici iniziarono a stritolare Giulia. Quest’ultima iniziò a sussurrare ossessivamente la stessa frase. Improvvisamente il suo corpo si illuminò tornò vestita dell’abito cerimoniale e le radici sciolsero la loro presa. Rimessasi subito in piedi le aizzò contro il maestro. Dal pavimento uscì improvvisamente un raggio di luce verde che bruciò le radici. Meric, inginocchiato, teneva i palmi a terra e continuava a recitare un formula. L’energia magica schizzò verso l’allieva.
-                   Errore Giulia, l’energia vince i viventi.
Il fascio di luce investì Giulia e lei venne catapultata del lato opposto della grotta, al di là della fonte, rovinando sulla dura pietra. Le sbucciature sulle braccia e sulle gambe bruciavano e il sangue iniziava a scorrere. Meric preso da improvvisa follia si mise a ridere:
-                   Sì! Mi hai sfidato troppo presto! Tu ora morirai e io sarò il primo Consigliere a regnare per due cariche!
Mentre gli occhi di lui brillavano e nuova energia iniziava a scorrergli in corpo, caricando il prossimo colpo, Giulia si alzò in piedi e tendendo una mano verso il maestro sorrise ironica:
-                   Errore Maestro … chi uccide o ferisce la vita … paga.
La fonte esplose nuovamente e l’acqua gelida travolse Meric. L’energia che si era trasformata in carica elettrostatica fulminò il mago. La caverna venne percorso da un urlo.
In un ultimo spasmo Meric sorrise e da terra sussurrò rivolto a Giulia:
-                   Così è giusto che sia. Ho sbagliato anche io alla fine.
Meric spirò.

Eccoci alla fine di questo piccolo episodio all'interno del libro. spero vi sia piaciuto. l'ho diviso in due parti perchè non avevo avuto tempo di finirlo subito. Il prossimo capitolo sarà più sostanzioso promesso... la storia deve ancora cominciare. Ho tante idee e spero di riuscire a svilupparle nel migliore dei modi... al prossimo capitolo! Grazie a chi mi segue!!!
     

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