The Academy

di Dreda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Track 1: Emma Marrone - Cullami ***
Capitolo 2: *** Track 2: Band of Skulls - Friends ***
Capitolo 3: *** Track 3: Gym class Heroes - Stereo Hearts ***



Capitolo 1
*** Track 1: Emma Marrone - Cullami ***


Track 1: Emma Marrone - Cullami
 
Quando sei apparso in tv una volta, anche una sola, è come se ti avessero marchiato a vita.
O almeno, è così nella vita di tutti i giorni.
Probabilmente sul braccio mi ritroverò a breve il tatuaggio di questa prima uscita sul palco su cui mi sono mostrata per la prima volta davanti ad un pubblico, tutti di paesi diversi, anziché della stessa cittadina o paesello di campagna.
Fino a ieri ero totalmente ignorata ma, per colpa della sera appena trascorsa, tutti ora hanno iniziato a trattarmi come se si trovassero di fronte una celebrità internazionale.
Contrariamente a quanto si possa pensare, a me non piace.
 
Passando per il corridoio principale che sfocia sulla mia classe, l'ultima a destra, incontro molte facce di terza che mi fissano come fossi un ufo. Appena incrociano il mio sguardo, ragazze e ragazzi, prendono a borbottare e spettegolare tra di loro quasi quanto solitamente fanno durante le verifiche di storia.
Oggi è il primo giorno di ritorno a scuola dopo le vacanze estive. Per me sono state vacanze davvero impegnative e per nulla rilassanti. E' vero che sono andata in California da mio zio, e che assieme a lui ho affinato la mia abilità nel canto, ma non sono per nulla soddisfatta della piega che ha preso questa svolta nella mia famiglia.
Mio padre mi vorrebbe a Sanremo, mia madre nei cori domenicali della chiesa e mio fratello minore aspira ad avere una sorella al pari di Laura Pausini o di Elisa.
Purtroppo, non me la sento di accontentare nessuna di queste richieste. No, neppure cantare nei cori domenicali, mi spiace (ed è la richiesta che meno mi ha lasciato sconcertata se devo dirla tutta).
La mia vera vocazione è il rock in tutte le sue sfaccettature.
Fremo nell'ascoltare i 30seconds, piango al canto di Freddy e non riesco a non cantare le canzoni degli Europe così come anche quelle dei Nickelback, Avenged e dei 3doors down. La mia camera è letteralmente tappezzata di cd rock di ogni tempo e di poster.
Amo tutto ciò che è il rock e vorrei con tutto il mio essere poter esprimere agli altri questo mio innamoramento ma se i miei lo sapessero, più mia madre che mio padre, bhè ... rimarrebbero traumatizzati e non ne ricaverei nulla.
L'unico che ne è al corrente è mio fratello, anche perché mi aiuta a non far mai entrare i miei in camera mia. E' il mio santuario. Un posto off-limits.
Continuo a camminare imperterrita per il corridoio principale e persino la prof di italiano mi guarda con due occhi a palla. Probabilmente solo ora ha capito che ieri sera ero realmente io in tv, sul canale principale, a cantare davanti a tutte quelle persone.
Ero convinta che nessuno guardasse un programma simile ma... a quanto pare, ce n'è di gente che non sa che fare il mercoledì sera.
In realtà quel programma era registrato. L'avevamo girato il pomeriggio e per raggiungere gli studi ho dovuto saltare metà incontro tra professori/alunni/genitori. Da parte mia non è poi così insolito saltare le lezioni, le riunioni o gli incontri tra famigliari e insegnanti ma, se proprio devo e voglio, io salto l'intera giornata e non solamente un'ora. Non avrebbe senso.
 
Mi accingo ad entrare nella mia classe oltrepassando un gruppo di quattro ragazze delle seconde che sono intente ad ascoltare qualcosa nei loro i-pod farfugliando chissà che. Entro e punto il banco più in fondo, accanto alla finestra. Non guardo in faccia nessuno. Senza rendermene propriamente conto inizio ad accelerare il passo e piazzo la mia tracolla sul banco. Come avessi raggiunto la meta con in mano la palla da football americano.
Con la coda dell'occhio noto che, in effetti, il banco è già preso. Qualcuno ha lasciato il suo zaino contro la gamba del tavolino e se ne è andato.
Non dicendo nulla e con tranquillità prendo lo zaino dello sconosciuto e lo appoggio sul banco affianco, sedendomi al mio solito e amato posto affianco alla finestra.
Per stare in pace con me stessa e per la tranquillità degli altri è il massimo come posizione, specialmente per copiare quando ne ho bisogno.
Sbadiglio e incrocio le braccia sulla tracolla poggiandoci sopra la testa. Qualche minuto buono per dormire dovrei ancora averlo...
 
Non so con precisione quanto tempo sia passato, forse due o cinque minuti, ma quando sento un forte fischio nell'orecchio destro sobbalzo fin quasi a cadere dalla sedia sbattendo le ginocchia contro il sottobanco.
-Cosa cazzo credi di fare, eh?- mi domanda con fare incavolato un tizio.
Ho la visuale sfocata. Mi porto la mano alla fronte, già irritata per la brusca sveglia, dovendo poi in più fronteggiare un rompiscatole alle otto e mezza di mattina … non va bene per niente.
-Spaccarti il deretano a pedate se lo rifai un’altra volta- gli sbotto contro lanciandogli un’occhiata fulminante.
L’ho già visto. Non so come si chiami ma non mi è nuovo. Alcune mie compagne di classe ne parlavano additandolo dalla finestra.
Come fanno a dire che un soggetto simile sia sexy e affascinante? Donne che sbavano solo quando vedono un bel faccino con i capelli scuri e gli occhi chiari … nient’altro.
-Vorrei proprio vedere come fai- aggiunge lui fissandomi con rabbia e con due occhiaie che quasi finiscono a terra.
Non serve guardarsi attorno per capire che tutti ci stanno fissando. C’è chi spera che succeda qualcosa di abbastanza grave da far saltare la prima ora (ben sapendo che nel primo giorno di scuola non si fa una cippa lo stesso), chi ancora mi fissa come avessi la proboscide e le antenne, e chi è convinta che in aula ci sia solamente il ragazzo-sexy-rompipalle di fronte a me.
-Ad essere curiosi ci si mozza prima le gambe, non lo sai?- replico non muovendomi di un centimetro e restando seduta al mio posto.
E’ il MIO posto. Da anni. Non quel banco in quella classe ma l’ultimo tutto a destra. E’ mio. Potrei giurare che se chiedessi ad un medium vedrebbe un pezzetto della mia aura in ogni classe posta esattamente sulla sedia del banco più in fondo e più a destra possibile. Morirei se non stessi lì e … probabilmente il bell’imbusto non l’ha ancora capito... che poi tanto bello non mi pare con il naso storto, i crateri di alcuni brufoli sulla fronte e i capelli ben pettinati e ingellati, oltre che impiastrati, alla emo. Mi fa senso solamente a guardarlo.
Veniamo interrotti dall’entrata goffa della prof di italiano che ancora mi guarda con timida ammirazione.
-Che sta succedendo? La lezione sta per iniziare. Sedetevi- dice fissando il rompiscatole ancora in piedi affianco al MIO banco.
-Non posso, prof. Questa qui mi ha fregato il posto-
-Chi va a Roma … - borbotto puntando gli occhi oltre la finestra, sogghignando, sentendo il suo sguardo tagliente sulla mia nuca.
Chissà, magari, a dispetto degli altri emo, lui si tagliuzza direttamente  con lo “sguardo assassino” Haha ha … lo ammetto, è stupida e brutta, ma in quel momento mi ha fatto scappare una risatina.
Risata che non deve essere sfuggita al ragazzo perché questo, puntando verso la prof, piazza i palmi sulla cattedra e, con perfetto tono da secchione-leccapiedi, dice così: -Prof, quest’anno delle nostre classi iniziali non abbiamo che pochi amici e non ci conosciamo per niente tra di noi … -
Io, come gli altri, allarmati, alzo le antenne e allungo le orecchie per capire che diavolo sta dicendo quello sgorbio.
-Che ne dice se, per conoscerci meglio e affiatare di più la classe, non uniamo i banchi a due a due e peschiamo a sorte per scegliere dove stare?-
-Mi oppongo!- sbotto alzandomi in piedi.
La mia autorità in classe, grazie allo show di ieri sera, è aumentata e quindi posso benissimo dire la mia e avere più gente dalla mia parte. Una grandiosa carta a mio vantaggio.
-L’inizio della scuola è già abbastanza carico di ansie e problematiche, se poi ci ritroviamo accanto a dei ragazzi o delle ragazze con cui non andiamo d’accordo … - dico fulminando il ragazzo dalle uscite poco intelligenti - … non crede che ne andrebbe della nostra salute mentale? Cioè … la nostra concentrazione ne risentirebbe. Persino lo studio sarebbe più difficile. Funzioniamo benissimo come siamo ora, non crede anche lei, prof?- e qui avrei forse dovuto giocarmi il tutto guardandola con gli occhi bagnati di lacrime ma è bastata l’esaltazione degli altri per darmi man forte e far tentennare la donna.
-Ecco … avete ragione entrambi, ma … - e quel “ma” ci strappa a tutti l’anima dallo stomaco paralizzandoci.
-Vedete, ne abbiamo discusso ieri pomeriggio, riguardo alla questione dei posti a sedere, e assieme agli altri professori si è deciso che per tutte le classi ora si farà la pesca per scegliere il proprio posto a sedere.-
Poteva bastare quella sentenza a farmi sprofondare all’inferno ma no, la prof pensò bene di metterci dell’altro e aggiunse che l’idea di Alessio (questo il nome del rompipalle), era più che buona e la mise in pratica.
 
Non ci stetti neppure a pregare o a sperare.
Non ho mai avuto fortuna e, anzi, sono abbastanza sfigata da pensare al peggio e poi rasserenarmi un po’ notando che poi, in fin dei conti, non è andata poi così male.
Questa volta però il peggio del peggio è successo e mi ritrovo esattamente in centro alla classe con alla mia destra Alessio mentre a sinistra c’è Francesco Ghirini … un altro rompiscatole che mi porto sul groppone dalle medie. Non l’ho avuto in classe con me da due anni ma a quanto pare chi non muore si rivede.
Sto ancora maledicendo l’architetto che ha costruito questa classe, il muratore che l’ha messa su, il direttore per non aver inserito meno alunni in aula e mia madre per avermi partorito con un anno di ritardo quando l’idiota alla mia sinistra inizia a parlare.
-Ehilà, da quanto, eh?-
-Mai abbastanza- farfuglio afferrando la tracolla per estrarre il mio blocco e l’astuccio.
A scuola tendo sempre ad essere neutrale con il mio comportamento verso il prossimo ma il primo giorno di scuola non riesco mai a restare calma. Se poi mi capitano tragedie simili non posso certo riuscire a sprizzare gioia da tutti i pori.
Tra una cosa e l’altra passano le prime tre ore di simil-lezione in cui conosciamo i professori nuovi mentre il prof di matematica è rimasto sempre uguale.
Come arriva la pausa merenda (sempre troppo corta a mio avviso), subito vengo raggiunta dalle mie nuove compagne di classe.
-Tu sei Dreda, vero? Dreda C.?- domanda una bruna dai capelli corti un po’ nervosa.
Io alzo lo sguardo verso di lei con un’espressione stranita.
- D.C., esatto. Perché?- così mi sono fatta chiamare in tv sperando di non essere riconosciuta con tutto quel trucco, i capelli acconciati come pare agli acconciatori e quell’assurdo vestito insopportabile … proprio vero che bisogna soffrire per stare in tv a volte.
Una delle tre arrossisce sulle guance mentre lancia qualche occhiata ai due di fianco a me. Ad Alessio pare non fregargliene niente e continua a mangiarsi il suo panino con un succo alla pera (come faccia a mangiare mortadella con maionese e bere un succo di frutta ficcandoli tutti in bocca assieme, non ne ho idea …), a Francesco invece sembra interessare parecchio la questione e si volta verso di me con sguardo vispo poggiando il gomito sul banco.
-DC? Il tuo nome è già tutto strano, non basta chiamarti Dreda?- mi domanda. Chissà perché non gli è mai andato giù il mio nome. E’ una delle poche cose per cui venero mio padre, altrimenti mia madre voleva chiamarmi Maria oppure Sara …
-No- rispondo blandamente venendo poi interrotta da un’altra delle tre ragazze.
-Quindi eri tu ieri in tv a cantare? Al programma nuovo … - domanda la bionda sistemandosi le maniche della maglia in cotone senza smettere di fissarmi.
Non rispondo se non con un assenso e subito mi ritrovo di fronte tre diari e tre penne diverse, di colore anche diverso tra loro.
-Possiamo avere il tuo autografo?-
 
-Robe da pazzi … appari una sola volta in tv e guarda te cosa succede- fa Francesco che, chissà perché, si è messo in testa di voler diventare mio amico.
-Guarda che la settimana prossima ci ritorno … sono ancora in gara dopotutto- gli faccio distrattamente mentre scarabocchio qualcosa sul quadernino dove in realtà dovrei prendere appunti di quello che sta dicendo il prof.
-E che hai cantato?-
Preferisco non rispondere … ingoio a vuoto.
-Qualcosa di Britney Spears? Madonna? O Lady Gaga?- domanda trattenendo il respiro dicendo l’ultimo nome.
Dal nervoso quasi spezzo a metà la punta della portamine sul foglio. Perché diavolo fanno certi esempi? Sembro così commerciale da non poter cantare qualcosa di più duro?
-No … “Benvenuto”. Di Laura Pausini - dico senza troppa energia e mi sento fissare da qualcuno.
Alzo lo sguardo e ho gli occhi delle tre davanti, come di Francesco, colmi di ammirazione, fossilizzati su di me, tanto che il prof deve richiamarli bruscamente all’attenzione prima di continuare a spiegare chissà cosa. Sembra che ci aspetti un anno molto difficile e blablabla …
-Ti piacciono le canzoni di Laura Pausini?- chiede Francesco.
-No- rispondo immediatamente.
E’ vero. Sono una delle poche in Italia ma continuo a non demordere. Nulla di personale, sono gusti.
-E che cantanti ti piacciono?-
Domanda pericolosa.
Se rispondessi con sincerità verrei etichettata sia a scuola che fuori. Le voci circolano molto da noi e inizierei a rovinare la mia carriera che deve ancora iniziare per bene. Sì, sono apparsa in tv, ma non vuol dire nulla in realtà. Nessuno si ricorda veramente di una singola persona in un programma con una ventina di emergenti, tranne tutti quelli del suo paese e della città natale.
L’importante è diventare qualcuno, non importa con quali canzoni … purtroppo.
Non sapendo che pesci prendere alla fine rispondo come rispondo a tutti quanti, anche in tv.
-Non ho dei cantanti preferiti … solo canzoni-
-E quali canzoni?-
Inizio a spazientirmi e lo fisso con sguardo truce. Per fortuna è giunto poi il prof a levarmi da quell’impiccio lanciando la gomma in faccia a Francesco e sbraitandogli contro.
 
-Ci vediamo- faccio io mettendomi la tracolla in spalla. Tempo di arrivare alla porta dell’aula che vengo fermata dalle tre di prima a cui ho fatto l’autografo.
-Volevamo solo farti sapere che tifiamo per te al programma- fa la brunetta dai capelli corti.
-Sì, bhè, sarà ardua con Leonardo, Loris e Matteo ma … ti sosterremo sempre- dice la bionda.
-Ah … grazie- non avendo del tutto chiaro se si tratti di un incitamento o cosa.
Vabbhè, lo so pure io che quei tre sono ossi duri, soprattutto perché certe canzoni sono giuste per loro, a differenza mia.
La terza, quella più nervosa, mi domanda cosa canterò la prossima sera del programma e ci penso bene prima di rivelarglielo.
-Ahm … non so al cento per cento se posso dirlo ma … bhè, è “Cullami” di Emma Marrone-
E come dico quel titolo le tre hanno già capito di che si tratta.
Devo ammettere che con le corde vocali assomiglio di più a Emma che a Laura ma … non sto comunque nel mio ambiente. Preferirei piuttosto un brano di Amy Lee degli Evanescence.
-Faremo il tifo per te!-
Lo spero … ma credo piuttosto che alle votazioni andranno in vetta Leonardo o Matteo. Loris è troppo scontato.
Come esco da scuola per dirigermi verso il centro vengo seguita da Francesco. Alessio è uscito senza dire nulla, buon per lui o gli avrei risposto male di nuovo. Tempo una settimana e mi sarà passata la nevrosi … forse.
-Dove vai?- chiede il ragazzo.
Stanca, gli lancio un’occhiata lunga.
Perché non va a rompere e a tampinare qualcun’altra? Ha un bel faccino nonostante la bocca storta, i capelli corti e castani con il taglio alla Cullen (oramai diventato un must), l’altezza spropositata di un metro e novanta circa e lo stile casual che gli sta discretamente … no, in verità al pensiero di vederlo con jeans sbrindellati, cintura borchiata, anfibi con cinghie di metallo, una maglietta nera e il collare al collo me lo fa apparire molto più attraente. Ma, quando quella figura immaginaria, si piazza una cinquina in fronte dicendo: -Azzo … ho dimenticato di chiedere a Michele a che ora alla discoteca stasera … ci vediamo!- e se ne va con non-chalance dal luogo, mi cade un possibile mito.
Fine delle mie fantasie su Francesco.
Ecco perché non mi è mai piaciuto. Ha un modo di parlare insopportabile con quel suono nasale che non pronuncia neppure bene le parole. Ora la mia classe sembra un covo di luoghi comuni e di stereotipati e io non sono da meno.
Probabilmente sarei inserita come una specie di Daria, ma sicuramente meno intelligente.
 
Appena entro nel negozio di Simon, questo mi lancia un’occhiata di sfuggita ma, quando riconosce la mia chioma rossa, subito alza la sinistra tenendo con la destra una chitarra bianca. Doveva essere intento ad aggiustare l’uscita jack per l’amplificatore perché ce n’era uno nuovo sul bancone.
-Che è successo a questa poveretta?- domando lasciando a terra la mia tracolla e poggiando i gomiti sul bancone dove Simon sta lavorando.
-Una barbarie- commenta in primo luogo l’uomo incavolato. -Questo gioiellino è stato il regalo per un moccioso di dodici anni solo per “provare” a suonarla perché si è messo in fissa sui Sonohra … - e qui facciamo una smorfia entrambi – Già … Una Fender. Nuova di zecca. Da più di mille euro ... io gliel’ho detto: “Stai attento. Fai passare il cavo dell’amplificatore sopra la tracolla così non inciampi”, e lui “siiii, oooook” ma non mi ha ascoltato e ora guardala qui … -
-Ma è pazzesco- commento fissandola e passando due dita sopra la “ferita”.
Simon annuisce risucchiando le labbra tra i denti con un’espressione dolorante e mi porge la scatola dei fazzoletti di carta lasciandomene prendere due. L’agita un po’ in aria e ne prendo altri due soffiandomi poi il naso.
Simon mi piace per questo.
Capelli corti d’un biondo cenere, occhiali da vista sul naso quasi a renderlo nerd, indossa sempre un pullover dei tanti di colori pastello che esistono ed un paio di jeans con ai piedi le sue scarpe dell’Adidas delle superiori che continua a preferire ai modelli nuovi. E’ ancora un ragazzo in fin dei conti e so che ha un gran seguito di ragazze della mia età. Ha solamente 25 anni dopotutto ma io lo vedo come un fratello maggiore. Mi ha aiutata in un momento di crisi esistenziale semplicemente dandomi lezioni di chitarra elettrica in cambio della buona pubblicità che gli ho reso in seguito. Ora che appaio in tv non ci penserei due volte ad usare una sua chitarra piuttosto di quelle in dotazione dal programma.
-Dreda!- dice una voce alle mie spalle. Mi volto e mi ritrovo di fronte Chiara con un sorriso sul volto che passa da un orecchio all’altro e già ho i brividi.
Non capisco mai perché si sforzi di sorridere quando si vede chiaramente che né il suo viso e neppure il suo intero essere ha voglia di sorridere. L’espressione dice una cosa ma la sua bocca un’altra ed è come un pugno in un occhio guardare quell’insieme.
- Chiara … -
- Com’è andato il primo giorno di scuola?- mi domanda gongolante nel vedermi precipitare in un oblio di tristezza infinita.
-Ahm … sapete una cosa? Io ora devo andare alle prove del programma prima che faccia tardi-
-Oh sì … l’ho saputo. Mi dispiace Dreda - dice Simon con una faccia funeraria quasi fosse morto un mio parente. Lui sa bene quanto ami il rock e quanto detesti altri generi musicali. Sotto questo punto di vista condividiamo molte cose ed è solo grazie a lui se sono potuta andare a dei concerti dei 30seconds, Avenged e uno degli Slipknot.
Chiara invece è più devota alla musica gotica e qualche band piace ad entrambe. E’ solo una ragazza un po’ complicata ma è pur sempre la sorella di Simon.
Saluto frettolosamente e mi precipito poi verso la fermata del pullman.
 
-Leggi il testo prima di cantarlo, così riuscirai ad assimilarlo meglio. Sembra che tu non capisca di cosa si parli … sei indubbiamente molto brava ma ti manca quel qualcosa che … -
-Insomma … “si vede che hai studiato ma potevi far di meglio”- dico con in mano il foglio alzando lo sguardo verso l’istruttore che si occupa della fascia under 18 del programma.
Non è un tipo famoso, come del resto, a parte il presentatore, non lo è nessuno in questo programma. Meglio così. Ci sentiamo tutti più al nostro agio, non come programmi tipo XFactor o Amici.
Occasionalmente c’è qualche telecamera che si imbuca durante le prove ma più che notare la mia tracolla di fianco alla porta, i libri di scuola posati vicino a me sulla scrivania ed io, seduta di fronte a Paolo Mosto (la grande rivelazione del programma per le sue doti di compositore in erba), intenta a comprendere il punto di vista della canzone … altro non c’è da riprendere. Devo ammetterlo, con me gli spettatori credo si annoino tantissimo e questo è un punto in meno a mio favore, anzi, forse due o tre …
Paolo, ripresosi dalla breve risata a seguito della mia battuta, poggia il mento sulla mano sinistra e con la destra agita distrattamente una penna delle sue. Lo chiamiamo “l’uomo delle penne” perché ne ha sempre tre nel taschino della camicia e le usa più come antistress che per scrivere realmente qualcosa, anche se, dice lui, che le ha lì perché in tanti gliele chiedono e, in caso gli venisse qualche idea lampo su una melodia o una canzone, ha il taccuino pronto in tasca per segnarsi gli appunti.
-Non lo so … forse, se fosse in inglese … - commento con poco entusiasmo non nascondendo almeno a lui che la canzone non mi piaccia. Tanto le telecamere al momento non ci sono.
Lui prende ad agitare la penna ora di fronte al mio naso e a guardarmi con un’espressione che la sa lunga.
-Ecco, il solito errore che fate voi giovani … devo ammettere che tu ascolti, anche bene, ma non capisci effettivamente ciò che dicono le parole. Può starci per una persona normale questo tuo punto di vista ma … per una cantante e una chitarrista no-
Come dice quelle ultime parole lo guardo un poco stupita.
-Bhè? Ho visto il plettro che hai al collo e quel marchio lo conosco. Simon è un mio … amico- dice lui allungando lo sguardo oltre la mia spalla sorridendo in maniera opaca a chissà quale ricordo.
Simon? Suo “amico”? Che intende dire? Così mi preoccupa … nulla contro gli “amici”, certo, ma … Simon? Lui? E Paolo?
Quest’ultimo deve capirlo dal mio sguardo ciò che sto pensando perché subito arrossisce ridendo e agitando la destra, con la penna incastrata sopra il pollice, sotto all’indice e sopra al medio, si mette a ridacchiare nervosamente.
-Tranquilla, non è come credi. Mi spiace, devo essere risultato un po’ ambiguo, eh? Bhè, in realtà eravamo compagni di classe alle superiori. Ci siamo dati una mano a vicenda … -
“Una mano a vicenda”? Adesso è così che si dice? Spalanco lo sguardo e ancora una volta lui si agita ripetendo che ho frainteso tutto e aggiungendo che la mente delle liceali è diventata piena di doppi sensi.
Fatto sta che il punto non cambia. Rileggo il testo e appoggio ancora il foglio sulla scrivania tenendo la mano sopra questo.
Paolo rimane in attesa di sapere qualcosa ma al mio cenno negativo ha un sospiro.
-Rileggilo. Devi imparare a capire il testo, ok? Io ora vado da Leonardo a fargli entrare in testa i ritmi e le pause di “Sono già solo” dei Modà-
Detto questo, e gesticolando non poco, Paolo rinfodera le sue penne nel taschino, prende la giacca e se ne va lasciandomi indietro con il testo in mano. Lo lancio sulla scrivania facendolo cadere per terra e sbuffo dovendomi chinare a raccoglierlo.
Non ho voglia di cantare quella canzone.
Non mi piace.
Vorrei cantare “Amaranth” dei Nightwish, “Whispers in the dark” dei Skillet oppure “Stand my ground” dei Within Temptation.
Stringo i pugni così forte da farmi sbiancare le nocche ma dopo qualche minuto respiro ed espiro piano. Mi sto comportando da bambina viziata.
Respiro a fondo ed espiro prima di svuotarmi il cervello e riprendere a leggere il testo della canzone.
Ancora una volta non mi dice niente ma per aiutarmi accendo l’ipod sul quale Paolo mi ha messo la base e la canzone completa. Infilo le cuffie e ritorno a leggere.
Non è facile capire ciò che si legge se questo a te non piace e non interessa ma … è un po’ un controsenso a pensarci bene. Faccio una smorfia mentre penso che, non avendolo mai letto e compreso, in verità, non posso dire se mi piaccia o meno. Giusto?
Come dice sempre mia madre: “Prima di dire che non ti piace, assaggialo”.
La mia smorfia dalla faccia non va via e, comunque vadano le cose e in qualsiasi modo la metta giù non riesco a farmene una ragione: non ci trovo niente di che. Non mi piace.
Torna Paolo, gli do la brutta notizia e lui, invece di accettare il mio consiglio di cambiare canzone, si impunta maggiormente facendomi portare a casa l’ipod con tutto lo spartito e il testo.
Bene … molto bene. Se non è la scuola a darti i compiti a casa ci pensa la trasmissione televisiva The Academy.
 
Arrivata a casa ovviamente si cena in famiglia.
Vengo imbottita di domande e, allo stesso tempo, di purè di patate della mamma e dello spezzatino di papà.
Mio fratello lancia continue occhiate verso di me perché ho promesso che avrei cantato un pezzo per lui da postare su youtube dopo cena e vuole accertarsi che non mi tiri indietro proprio all’ultimo. Oltretutto si è messo in testa di scrivermi a tutti i costi una canzone … ma perché non ho semplicemente un fratello asociale che vuole starsene per i fatti suoi e fine della storia?
Bhè, se siamo una famiglia non c’è da lamentarsi. La nostra unione è molto forte e non ci pestiamo i piedi a vicenda ma anzi ci aiutiamo. Una mano lava l’altra, no?
Quando ho finito di mangiare e messo il mio piatto in lavandino, non ho neppure il tempo di dire che ho finito e che me ne vado in camera mia che mio fratello si alza di scatto con lo sguardo implorante.
-Ok, ok. Finito con te devo studiare per l’Academy e quindi ti concedo solo quarantacinque minuti. Chiaro?-
Mio padre Aldo subito alza le antenne all’argomento e mia madre Sandra si mette a sbucciarsi una mela dando segni di vivo interesse per la questione.
-A proposito dell’Academy … come sta andando?- domanda mio padre. Mio fratello Chad intanto si è fiondato in camera sua a sistemare il suo impianto stereo, audio e quel che è.
-Bene ma … - come dico queste parole mia madre si preoccupa.
-E’ successo qualcosa? Un litigio? Qualcuno ti ha proposto un contratto o ti hanno fatto un ricatto? Ah!- si tappa l’urlo piazzandosi la mano davanti alla bocca lasciando cadere il coltello sul tavolo affianco alla mela. Si alza e mi afferra per le spalle con lo sguardo addolorato. -Gli altri ragazzi ti stanno tagliando fuori e ti prendono in giro? Oh, tesoro!-
-Mamma, mamma calmati!- replico cercando di calmarla ma quando inizia a crearsi le scene in testa di ciò che potrebbe essere accaduto, è difficile fermarla. L’abbraccio e tento di ripetere che va tutto bene e che non è successo nulla di simile, anche se è vero che gli altri concorrenti dell’Accademy non mi parlano. Neppure io cerco di attaccare bottone però. Cerco comunque di tralasciare questo particolare e di riprendere a parlare per spiegarle il perché del mio tentennamento di prima e fortunatamente mi ascolta.
-Ecco … ho un problema con una canzone. La canto bene ma Paolo dice che mi manca qualcosa ancora da renderla perfetta. Devo leggerla e capirla ma non mi riesce-
-Ah, devi interpretarla, eh? Lo so, è difficile- commenta mio padre dal tavolo, ridacchiando, prendendo la mela sbucciata da mia madre e tagliandosene un pezzetto.
-Quando avevo la tua età ricordo che andavo pazzo per il Jazz, l’R&B e il country … devo ammettere che a quel tempo ero davvero esagerato- continua ridendo e portandosi un secondo pezzetto di mela in bocca.
Mia madre parte a ridere tornando a sedersi. E’ incredibile come si calmi due secondi dopo esser stata sull’orlo di una crisi.
-Già, ricordo come andavi in giro con gli stivali da cowboy, gli occhiali alla Ray Charles e le giacche nere con le spalline imbottite sopra le camicie. Presi singolarmente non avevano nulla di strano ma mischiati assieme erano davvero orribili- dice ridendo Sandra.
Io tentenno incrociando le braccia davanti a me. E’ una storia strasentita, nulla di nuovo, già, ma dove vogliono andare a parare tutti e due?
-Ma cosa c’entra con il mio problema?- chiedo lanciando qualche occhiata verso la stanza di mio fratello. Fare un po’ tardi alla mia performance-non-voluta mi sta più che bene dopotutto.
-Se mi è concesso, scelgo la spiegazione più approfondita- aggiungo con un sorriso ampio.
-Tesoro, quando avevo la tua età lo sai che giravo per le piazze e suonavo con la chitarra le canzoni che piacevano a me … -
-Country, R&B e Jazz… con l’aiuto di una fisarmonica di tanto in tanto- aggiunge mia madre fregandogli un pezzetto di mela da sotto il naso.
-Bhè, sì è così, però alle persone che si fermavano non piacevano e mi chiedevano altri titoli … -
-Phill Collins, Duran Duran … canzoni straniere insomma … - sbuffa mio padre facendo un’alzata di spalle.
- Europe… Queen … David Bowie … - aggiungo io con aria trasognata. Avrei tanta voglia di ascoltarmi “Innuendo”. Chissà i Queen e gli Europe come cambiano suonati con una chitarra, una fisarmonica e cantati da mio padre? Ingoio a vuoto e decido di tornare a concentrarmi sui presenti.
-Anche tu suonavi canzoni straniere- gli ricorda mia madre alzandosi e mettendosi a fare il caffè indicandogli i piatti in tavola e poi mio padre per fargli intendere che a caricare la lavastoviglie ci avrebbe dovuto pensare lui.
Aldo, alzandosi in piedi, prende le bucce con le mani mentre io ancora mi chiedo dove voglia andare a parare con questo discorso quando, buttati i resti della mela, si volta verso di me tendendomi un pezzetto di mela rimasta e riprende a parlare.
-Fatto sta che, quando mi chiedevano di cantare e suonare canzoni che non mi piacevano, mi arrabbiavo e sbraitavo. E’ andata avanti fino a quando i miei due coinquilini non hanno minacciato di levarmi la chitarra se avessi continuato a farlo- dice, ridendo di se stesso a quel tempo. -Ero solamente un ragazzo con il cervello incasinato. Ce ne sono moltissimi in giro ma mai e poi mai avrei immaginato che mia figlia potesse fare il mio stesso sbaglio- a questo punto però inizio ad irritarmi.
-Come sarebbe a dire? Se a me non piace uno stile non posso semplicemente evitare di cantarlo? E’ un mio diritto o no?- sbuffo iniziando a gesticolare con irritazione tenendo ancora in mano il pezzo di mela. Passi tutto ma che mi tolgano la libertà di cantare ciò che mi piace proprio no.
-Nessuno ti impone di cantarlo come nessuno ti impone di non cantare ciò che piace a te, solo … dedicagli del tempo. Potrai scoprire qualcosa di nuovo. Io ho incontrato tua madre così- aggiunge ridendo mentre Sandra, sogghignando a qualche ricordo, è intenta a versare il caffè in due tazzine per entrambi.
-Però … non lo trovo giusto- replico lasciando vagare lo sguardo attorno a me. Perché non riesco a spiegarmi con mio padre? Proprio con lui che mi ha trasmesso la voglia di suonare e cantare?
-Non è giusto infatti, ma è utile. Fino all’età di cinque anni non volevi mai ascoltare altro che Cristina D’Avena. Fin lì tutto bene, eri una bambina … quando poi hai iniziato a smaniare per Domenico Modugno ho iniziato a preoccuparmi- racconta ridendo mentre io arrossisco per l’imbarazzo al ricordo dei filmini che mia madre aveva fatto di me mentre tentavo di cantare “Meraviglioso” o “Piange il telefono” assieme a mio padre. A pensarci bene, se al tempo fosse già esistito Youtube, i miei ne avrebbero avuta tanta di roba da pubblicarci sopra.
-E’ diverso … Domenico Modugno fa parte della storia della musica. E’ un mattone importante per ogni cantante e … -
-E’ vero, anche io ho sempre provato ammirazione per Modugno come artista, nonostante il fatto che come genere musicale non fosse dei miei preferiti, e neanche dei tuoi- dice, interrompendomi, lanciandomi una lunga occhiata sorridente.
Lo fisso in volto per qualche secondo e poi abbasso lo sguardo sul mio pezzetto di mela. Una mezza luna chiara che sta iniziando a ingiallirsi per il troppo tempo passato senza la sua buccia protettiva.
Sì, devo ammettere che ho capito cosa vuole dire mio padre. Può esserci un Domenico Modugno (un grande artista) anche nel rap, nella classica e nel jazz che mi può ispirare e che mi può piacere, nonostante il genere non sia il mio forte.
E’ difficile però mandarla giù come cosa. E’ molto più semplice chiudersi a riccio sulla propria musica preferita e fine della storia.
Sbuffo esasperata.
-Ho capito- mormoro mangiandomi la fetta di mela mentre mio padre, tornato a sedere, annuisce prima di prendere a girare due cucchiaini di zucchero nel caffè dicendo a mia madre, come al solito, che avrebbe sparecchiato una volta finito di berlo.
Io intanto finisco di mangiare la mela e entro nella stanza di mio fratello con tutta l’attrezzatura già pronta per registrare. Neanche fosse lui a cantare. Neppure io ho tutta quella ferraglia in camera.
-Chad- lo chiamo mentre lo vedo intento a cercare qualche spartito nella cesta che tiene sotto alla scrivania. Si volta verso di me aspettando che parli. - A te piacciono i Negroamaro, vero?- gli domando lasciandolo interdetto.
-Ahm … sì, perché?-
-Fammi cantare una loro canzone, se ti va- neanche a dirlo, gli si è illuminato il viso e subito ha piazzato quattro spartiti da scegliere di fronte a me.
 
Sono passati quattro giorni e oggi è lunedì.
Il venerdì a scuola il tempo era trascorso in maniera placida e tiepidamente. Non ho parlato con nessuno. Né con Francesco e men che meno con Alessio, ma le tre fan accanite non sono riuscita a fermarle. Ho scoperto che si chiamano Martina, Flavia e Michela ma non so distinguere chi sia l’una e chi l’altra. Purtroppo non sono molto fisionomista e, se devo essere sincera, si assomigliano davvero tanto.
Fatto sta che oggi è lunedì e, dopo la pausa del sabato e della domenica in cui ho passato la maggior parte del tempo a fare ricerche su internet, ora credo di aver cambiato un pezzetto della me stessa che ero quattro giorni fa.
Certo, forse uno spicchietto su una torta gigante, ma è qualcosa, no? Devo ammettere che cambiare non è facile, specialmente su qualcosa di questo genere.
Provare non costa nulla e poi, bhè, essere un po’ arroganti ci vuole nella musica.
Siamo oramai alla terza ora quando Alessio, miracolosamente, sembra riprendere vita. Sta sempre con il capo appoggiato sulla mano sinistra, mezzo stravaccato sul banco quasi a darmi le spalle. So che fa qualcosa ma non riesco a vedere cosa visto la muraglia che crea tra me e il suo banco.
Si sta soffiando il naso. Ho sentito la carta sgusciare fuori dal pacchetto di fazzoletti che tiene sempre sul diario in alto a destra sul banco.
Sbuffo e, indispettita dal suo modo di fare, allungo la destra e gli tocco il collo scoperto con un dito, poco sotto i capelli neri.
Di certo mi aspettavo una reazione infastidita, del disappunto e forse anche un po’ di sorpresa. Un sobbalzo per il gesto inaspettato, ma di certo non il vederlo balzare in piedi tenendosi con la sinistra il collo e fissandomi con rabbia dall’alto del suo metro e ottanta (circa).
La prof di inglese rimane attonita come il resto della classe.
-Che succede?- domanda la signora Feltri poggiandosi con la destra sulla cattedra, spazientita. Conoscendo il soggetto crede forse che il ragazzo abbia combinato chissà cosa.
-Niente … mi ha punto un insetto- sbotta Alessio massaggiandosi con la mano il collo risiedendosi al suo posto con il banco sempre un po’ distaccato dal mio, al contrario di quello di Francesco che, dal canto suo, era intento a giocare con l’iPhone ascoltando la musica con l’iPod.
La prof fa spallucce e ritorna a spiegare l’utilizzo corretto del tempo verbale futuro con Will e Shall.
Io rimango ancora stupita di una reazione simile e lui, continuando ad evitare di guardarmi, rimane con la mano sul collo farfugliando poche parole.
-Hai le mani gelide-.
Dopodiché si volta e torna a fare ciò che stava facendo prima.
Di una cosa sono sicura: non sta prendendo appunti. Sta usando una matita, non un portamine.
Intanto io mi fisso stranita la mano destra mettendomela poi sulla guancia. Non sento freddo.
Decido così di fare un esperimento e scopro che Francesco, quando urla, ha una voce molto più normale di quando parla.
 
-Allora? Hai imparato qualcosa?- mi domanda Paolo entrando nella mia saletta delle prove quel pomeriggio.
Annuisco con lo sguardo socchiuso e sbuffo.
-Ho capito cosa vuol dire la canzone. Cosa vuole dire la cantante … Emma … però non riesco a sentirlo mio. Non è un’esperienza che ho passato io … lo capisci?- spiego poggiando la lyrics sulla scrivania mentre Paolo si siede di fronte a me.
-Bhè, per questo dovrai usare un po’ di empatia … sai cos’è?-
Lo fisso fulminandolo con lo sguardo.
-Certo che so cos’è-
-Allora prova a usarla- dice ridacchiando e facendomi l’occhiolino.
-Non è semplice-
-Non ho detto questo, però … inizia con il dirmi cosa hai capito di ciò che ha scritto Emma- mi domanda come mettendomi già alla prova.
-Non l’ha scritto lei. L’ha scritto Roberto Casalino … ho studiato- aggiungo facendo segno affermativo vedendolo colpito da quest’affermazione.
-Bene … sai dirmi altro?- chiede e lì, schiarendomi la voce, inizio a spiegare.
- “Si tratta di un’intensa ballata sulle note di un pianoforte che attraversa gli stati d’animo di chi sogna l’eternità dell’amore, ma al tempo stesso la teme anche. Al sent …” -
-Non ti ho chiesto di recitarmi per filo e per segno quello che dice Wikipedia ma quello che hai capito tu su questa canzone. Se vuoi parlarmi delle informazioni tecniche, mi sta bene sentire cosa hai imparato a memoria, ma se vuoi dirmi secondo te cosa trasmette e cosa volesse dire l’autore tramite queste parole, allora fallo a parole tue e usando i tuoi pensieri- replica lui interrompendomi. Non ho mai visto Paolo così prima d’ora. Così preso dalla discussione è persino uscito fuori dall’essere il bonaccione di sempre.
Arrossisco vergognandomi un po’ di ciò che ho detto.
-D’accordo- dico abbassando lo sguardo.
-Ehi, non sono un professore e non voglio esserlo. Se lo fossi ti chiederei di rifletterci sopra, di scrivere un tema a riguardo per domani pomeriggio e di portarmi dei muffin al cioccolato con uvetta per farti perdonare- aggiunge ridacchiando in fine incrociando le braccia sulla scrivania davanti a me.
Faccio una smorfia alzando un sopracciglio.
-Non ti conviene. La mia cucina non è poi così buona-
In seguito cala il silenzio e intuisco che ciò che sta aspettando è qualche mio pensiero. MIO e non di qualcun altro.
Poggio le mani sulle ginocchia e parlo.
-La prima strofa- inizio rialzando la destra avvicinando il foglio a me per rileggerlo. –Mi fa pensare ad una persona che si accorge di non essere … il centro del mondo. Scopre di essere qualcuno tra i tanti. E’ un testo nostalgico. Come quando si ripensa a qualche episodio di quando si era bambini e si vuole tornare a quel momento per assaporarlo ancora una volta.- sto per dire altro quando, rileggendo, comprendo qualcosa di più. -Forse, bhè, vuole dire che quando si sbaglia o quando ci si rende conto di non essere ciò che si credeva di essere … insomma, quando ci si prende un pugno o uno schiaffo dalla vita, si ripensa ai tempi in cui si era ancora piccoli. Quando, se si sbagliava, la famiglia ti tirava su il morale e ti consolava … è giusto?- domando incerta alzando lo sguardo a lui.
Paolo, sorridente con il mento sulla destra ed i gomiti sul tavolo, mi guarda con lo sguardo scuro e brillante dicendomi già tutto.
-Bene. Però voglio assaggiare almeno qualche biscotto fatto da te- dice infine alzandosi in piedi.




NdA:
Ringrazio preventivamente chi mi darà critiche costruttive o chi mi farà notare eventuali errori presenti in questo capitolo (anche chi mi scriverà qualche bel commento, certamente non disdegno nulla xD).
So che sono una frana con la grammatica e con i tempi verbali... Mi scuso anche per eventuali insulti a generi e personaggi musicali amati da tanti. Non è nulla di personale, solo l'opinione dei personaggi.
In questa storia non voglio mettere in cattiva luce gli emo, i fanatici della moda e delle discoteche o i fan di Laura Pausini e di Emma. La storia è raccontata dal punto di vista di Dreda la protagonista, non il mio come autrice.
Vi ringrazio oltretutto per aver letto questo capitolo. Spero di non metterci un'eternità per scrivere gli altri xD

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Capitolo 2
*** Track 2: Band of Skulls - Friends ***


Track 2: Band of Skulls - Friends
 
E’ finita. Sospiro di sollievo.
E’ questo che ho pensato anche la prima volta che il programma è stato registrato la settimana scorsa. Avevo partecipato per la prima volta ad una puntata e prima c’erano state solamente le prove. Effettivamente non sono pratica di televisione ed è dura starci dietro.
Mi tampono la fronte con il dorso della mano.
Anche oggi mi hanno conciata in modo da non sembrare neppure più io.
Ho i capelli lunghi tirati tutti a destra con un’acconciatura simile a una di quelle di Emma, peccato i miei capelli arrivano fino a metà schiena e non sono corti come avrebbero sperato i parrucchieri dello studio. E’ stato difficile acconciarli come si deve con un sacco di diavolerie per tenerli fermi così.
Indosso un paio di converse, jeans, una maglietta bianca e un gilet nero. Qualche gingillo come degli orecchini strambi e un anello che pesa quasi più del microfono.
Fatto sta che sono riuscita a cantare la canzone di Emma Marrone “Cullami” e ad interpretarla a modo mio secondo quello che io ho capito del testo. Paolo non ha avuto da ridire risentendomi cantare ieri e oramai è fatta. Provo sollievo a non doverla cantare più ma al contempo non mi è totalmente dispiaciuto.
E’ un passo avanti quello che ho fatto.
Sono dietro le quinte ora e bevo da una bottiglietta dell’acqua naturale alzando gli occhi al monitor che riprende ciò che si vedrà poi nelle case degli italiani. Io ho finito di cantare ma lo spettacolo non è ancora concluso. Dura poco effettivamente perché metà show è tappezzato di ospiti televisivi, cantanti, scrittori e attori di ogni genere per far salire l’interesse nel programma.
Ascolto cosa hanno da dire le persone ospitate dal programma oggi: Fabrizio Moro, Dolcenera e Luca Dirisio.
Li conosco, come tutti. Anche se al loro posto su quelle poltroncine bianche avrei voluto vedere Matt Shadows, Brian May e Marco Hietala. Meglio di no. Davanti a loro non avrei voluto cantare di certo una canzone di Emma come biglietto da visita.
Ecco, ancora discriminazioni nei confronti di altri cantanti. Bhè, è vero però. La mia è un’abitudine dura a morire ma sto iniziando ad usare la mia testa.
I tre sono chiamati a dare una loro opinione sull’esibizione appena finita.
Su di me hanno detto poco e niente. A quanto pare non sono ne sale ne zucchero e no, questo non me li ha resi più antipatici. Semplicemente ho fatto finta di nulla. Come niente detto.
Ha appena finito di cantare Leonardo che ha avuto qualche problema con “Sono già solo” dei Modà.
Lo vedo dall’altra parte del palco, dietro le quinte. Subito si è fiondato a guardare il monitor in alto affiancato dal suo agente. Io non ce l’ho. Vado avanti soltanto con Paolo e, se per questo, io non faccio altro che lo show Academy. Leonardo so che è apparso in qualche pubblicità come comparsa e ha duettato con qualcuno ma non so chi.
Con nervosismo e agitazione allontana la mano del suo agente intento ad offrirgli una bottiglietta d’acqua e si blocca totalmente quando a parlare è Luca Dirisio a cui viene richiesto cosa ne pensa dell’esibizione di Leonardo.
-No, bhè, io non l’ho sentito molto … insomma, non è stato molto convinto. Sai, questo è un pezzo cantato da uno che si fa “grande”- dice ridendo e salutando Francesco Silvestre. Riprende in seguito a spiegarsi.
-Non l’ho visto … farsi grande. Atteggiarsi. In questa canzone Cesco è sia Uomo, con la u maiuscola, che Solo. Capito? Crede di poter fare quel che vuole con la sua donna, che non gliene importa nulla, ma quando è lei a tenerlo sulla corda allora abbassa la cresta … non si è capito niente, eh?- domanda ridendo mentre il conduttore fa qualche battuta ricordando la sua nota canzone “Ci vuole calma e sangue freddo”.
Che originalità.
Bhè, io quel che vuole dire Dirisio l’ho capito. In effetti è vero. Leonardo non ha avuto la grinta nella voce ma nei pezzi in cui lui è più disperato è riuscito più che bene.
Gli lancio un’occhiata e lo vedo di spalle allontanarsi nel buio. Probabilmente per raggiungere la saletta relax.
Sono così concentrata ad osservare dall’altra parte del palco che non mi accorgo del sopraggiungere di una persona alle mie spalle. Come questo mi mette le mani sulle spalle ho un battito in meno per lo spavento e mi volto ritrovandomi Paolo di fronte.
-Allora? Com’è andata?- mi domanda cercando di massaggiarmi le spalle.
-Sei tu che dovresti dirlo a me, non credi?- domando irrigidendomi piuttosto che rilassandomi a quel tentativo di sciogliermi i nervi irrimediabilmente tesi.
Anche Paolo ha un “vestito di scena”. Porta gli occhialini alla John Lennon, una camicia nera con un gilet bianco come i jeans e le scarpe di marca indefinita. Non le conosco ma sembrano di pelle.
-A mio avviso hai fatto il settanta per cento di quello che veramente potevi fare ma … sono contento così-
-Loro no però- dico indicando i tre ospiti.
-Non sono loro che ti voteranno da casa o che compreranno i tuoi cd-
Già, su questo ci troviamo d’accordo.
In più non mi stupisce sentire quella percentuale. Paolo di recente mi ha avvisata che vuole essere solamente lui a seguirmi per aiutarmi ad esprimermi per bene. Dice che sono come una moca con il filtro otturato da diversi tipi di caffè e che quindi l’acqua che vi passa attraverso è poca e il caffè che ne esce non è un granché. Devo migliorare il caffè e pulire il filtro …
-Ho voglia di un espresso- mormoro tra me e me.
-Dopo. Tra poco devi entrare per la votazione finale così ascolti anche qualche commento da parte della gente da casa. Ho sentito che hanno mandato molti messaggi su twitter e facebook in questi giorni-
Paolo non è incoraggiante per niente ma d’altronde neppure voglio essere incoraggiata. Finisce sempre che mi fossilizzo su come la penso io e ignoro quel che mi dicono gli altri. Neppure saprei ridire cosa ha detto su di me Dolcenera o gli altri due … non che non mi sia interessato ma finché non si tratta di critiche costruttive e di consigli non me ne faccio nulla delle loro opinioni.
-Pronta a entrare fra trenta secondi- dice un’addetta con un auricolare all’orecchio e la scaletta del programma in mano.
Annuisco e quando al mio fianco inizia a contare alla rovescia gli ultimi secondi restanti ascolto ciò che il presentatore sta dicendo ed entro al sentire il nomignolo DC.
 
Arrivo a casa che è oramai ora di cena e i miei, contrariamente a quello che voglio io, accendono la tv e mettono immediatamente sul canale principale dove verrà trasmessa la seconda puntata di The Academy. Manca ancora mezzora ma non vogliono lasciarsi sfuggire la sigla iniziale con un Music Video cantato da tutti i partecipanti, me compresa, montato su delle scene prese dai fuori onda delle prove.
Quel giorno in cui si è girato l’MV è stato l’unico giorno in cui ho visto tutti i partecipanti. Di solito non ci incontriamo, neppure ci incrociamo di traverso negli studi.
E’ difficile così avere un’idea di chi devi affrontare ogni giorno sul palco.
L’Academy però non è come gli altri talent show e qui nessuno verrà buttato fuori ma ci sono delle sfide in caso si arrivi ultimi nella classifica.
L’ultimo di questa settimana, il primo da quando è iniziato il programma, dovrà riuscire a cantare un pezzo rap molto complicato perché, oltretutto, è pure in inglese.
Mi spiace per Marco perché a prima vista non sembra un tipo antipatico. Timido forse. Ha l’aria di uno che sta sulle sue e che però non sembra neppure essersi reso conto di essere al mondo.
Al contrario, Loris è il più gettonato. Non c’è da stupirsi se è arrivato primo in classifica. E’ la copia esatta di Marco Carta lanciato qualche anno fa da Amici.
A dir la verità mi piacerebbe conoscere qualcosa di più del nome degli altri partecipanti.
Miriam è interessante. Forse sotto sotto anche a lei interessa il rock. Quello vero, certo. Ho provato a domandare a Matteo che tipo di musica gli piace e all’inizio, quando lui mi ha risposto: -Il rock- quasi ci stavo credendo di aver trovato qualcun altro con il mio stesso interesse, ma quando mi ha fatto qualche esempio e tra questi c’è stato Vasco Rossi, ho fatto due passi indietro e l’ho salutato. Sono andata nella sala relax, mi son messa un cuscino davanti alla faccia e ho urlato il mio sdegno arrossandomi la faccia, tanto che Paolo, quando poi mi ha trovata, ha pensato avessi la febbre, grazie anche alla mia faccia apatica.
Sto ancora riflettendo su Matteo e l’accaduto quando sento la sigla iniziale del programma e l’odore della pasta alla carbonara si spande per la casa. Che connubio strano.
-Ah, dopo faccio io il caffè. Faccio la moca grande- dico a mia madre Sandra. Già, mi sono dimenticata a fine registrazione di prendere l’espresso che volevo. Dannazione a Paolo e ai suoi aneddoti sul cibo.
Inizia la trasmissione e noi iniziamo a mangiare. Io mi dissocio dallo schermo ma i miei e mio fratello Chad sono letteralmente rapiti da quella scatoletta ultrapiatta.
Passa quasi un’ora e mentre sparecchio il resto della famiglia sta ad ascoltarmi cantare. Non voglio sentirmi e neppure risentire ancora una volta i commenti degli ospiti. Preferisco caricare la lavastoviglie e fare il caffè.
-Sei andata bene. Hai risolto il problema che ci dicevi, vero?- chiede mia madre quando le metto di fronte la tazza di caffè fumante.
Chad si riscuote e mi dice velocemente che il video della mia interpretazione di “Via le mani dagli occhi” dei Negramaro ha già diecimila visualizzazioni.
Annuisco e quando gli chiedo dei commenti lui fa uno sguardo sbilenco. Conosco quello sguardo. E’ come se mi dicesse: “Hm, lascia stare, è meglio”. E io lascio stare. Meglio così.
Bevo il mio caffè e quando ho bevuto l’ultimo sorso me ne vado in camera mia mentre Chad e i miei rimangono alla tv.
Chiudo la porta proprio quando sento di nuovo il commento di Dirisio sulla canzone cantata da Leonardo.
Sono le dieci oramai ma per fortuna metà dei compiti li ho già fatti ieri. Li avrei finiti se la prof di inglese oggi non avesse dato da tradurre metà pagina di testo per l’indomani mattina.
Sto crollando dal sonno ma non voglio giocarmi la carta della giustificazione firmata da mia madre. No, piuttosto … da quant’è che non salto la scuola? Ah, già. Minimo quattro mesi. Ovvio.
Potrei andare da Simon e dare un’occhiata a qualche basso. L’idea di iniziare a darmi da fare con qualche nuovo strumento non mi dispiace, anche se di tempo ultimamente ne ho davvero poco e, per fare prima, accendo il pc per aiutarmi a tradurre il testo con Google Traduttore.
Già che sono in internet mi viene voglia di andare a controllare la mia e-mail e il contatto facebook. Non l’ho voluto io ma me l’ha creato mio fratello. Secondo i dirigenti dell’Academy, è meglio avere contatti su facebook e twitter facili da trovare per i fan e cercare, almeno un pochino, di farsi vivi con loro.
Come entro su facebook trovo solo qualche messaggio di notifica di qualche videogioco con cui mi sono cimentata un pomeriggio, mentre su twitter, dei sei che mi seguivano prima ora ne è rimasto solo uno.
Pubbliche relazioni: la parte più noiosa del mestiere di cantante.
Io non lo sopporto dover andare alle uscite mondane, gestire la gente che mi riconosce e firmare autografi. Mentirei dicendo che non mi piace ma … ecco, non mi piace poi molto. Mi sta bene insomma, è una conseguenza che accetto del diventare una cantante.
Vado sulla mia e-mail alla fine dei vari giri e trovo, oltre alla pubblicità e alle notifiche di facebook e twitter, due e-mail diverse.
Una dice che mio fratello mi ha invitato a dare un’occhiata ad un video su youtube.
Probabilmente si tratta ancora dell’ultimo che ho fatto per lui. Quello sui Negroamaro. Spinta dalla curiosità, sbadigliando, apro il link e lascio caricare il video mentre do un’occhiata alla seconda e-mail.
E’ da parte di Chiara.
Dice solamente che Simon oggi guarderà lo show assieme a lei e che si vedranno la mia performance mangiando pop-corn caldi.
Faccio una smorfia e torno sul video che ha quasi finito di caricare. Alzo il volume e clicco con il mouse sul tasto play.
Come sfondo ha messo le onde musicali. Che strano vedere a video la mia voce. Fa uno strano effetto.
Incrocio le braccia e chiudo gli occhi concentrandomi nell’ascoltare la canzone. Hm, non è come quella cantata da Sangiorgi, il cantante del gruppo. Non ho fatto proprio lo stesso effetto con la voce. Neppure ci sono andata vicino.
Mentre la mia performance è già a metà, scrollo verso il basso con la rotellina del mouse per arrivare a leggere i vari commenti. Me ne voglio davvero tanto di male se vado a curiosare proprio dopo che mio fratello mi ha lasciato intendere di lasciar perdere …
C’è chi dice che ho una bella voce, altri che non è male. Qualcuno ha scritto che non ha nulla a che fare con quella cantata dai Negroamaro. Niente di più vero perché l’ho cantata come pare a me e riconosco che cantare una canzone a proprio gusto, quando è stata partorita appositamente per qualcun altro, è una cosa insopportabile.
Non sono una grande fan di cover, neppure di quelle cantate dai miei gruppi preferiti, ma in quei casi ci passo sopra e, facendo buon viso, faccio un semplice click passando alla canzone successiva.
Ecco perché mio fratello non mi ha detto quanti “mi piace” ci sono ma piuttosto mi ha detto il numero delle visualizzazioni. Con settantatre mi piace ci stanno anche trentacinque “non mi piace”.
Incrocio le braccia di fronte a me, fisso il numero trentacinque e quella stanghetta rossa orizzontale che riempie un terzo quasi della barretta soprastante. Metto “mi piace” a tutti i commenti di critica verso la cover, chiudo la pagina, rispondo grossolanamente alla e-mail di Chiara e prendo a trascrivere il testo da tradurre per l’indomani mattina.
Ad un tratto sento gli occhi rossi.
Probabilmente è il sonno. La caffeina non fa effetto.
 
Siamo arrivati al secondo giovedì passato in questa nuova classe.
E’ passata una settimana da quando sono vicina di banco di Francesco e Alessio. Devo dire che entrambi sono una compagnia abbastanza accettabile.
Francesco rompe ma di rado e Alessio è come se non esistesse. Si mantiene nei suoi spazi e ci lascia in disparte. La cosa mi da quasi ai nervi ma mi sta più che bene, lo ammetto.
Le tre ragazze sedute di fronte invece continuano a lanciare occhiatine verso noi tre. A volte noto ammirazione ma, più di tutto il resto, lanciano occhiatine a Francesco e Alessio che, intenti nei loro mondi, non se ne accorgono minimamente.
E’ arrivata finalmente la pausa merenda e inizio ad assaporarla stiracchiandomi, gettando le braccia in avanti e portando le mani oltre il bordo del banco. Sono tutta incriccata.
Subito penso a Paolo, alla sua barbetta e agli occhialini alla John Lennon, quando ieri aveva tentato di rilassarmi i nervi massaggiandomi le spalle. Mi viene voglia di un caffè.
Mi alzo e faccio per dirigermi al bar della scuola. Piccolo ma dove, sicuramente, troverò un espresso. Sto per voltarmi quando sento una mano piazzarsi sulla mia spalla per fermarmi.
E’ Francesco.
-Ehi, vai in giro?- domanda rimettendosi sul naso i Ray-Ban scuri, l’iPhone nella tasca dei jeans e l’iPod in quella della giacchetta in jeans.
-Mi bevo un caffè … - “forte”, aggiungo tra me e me socchiudendo lo sguardo puntando alla porta d’uscita.
-Ah, ok ... Ti spiacerebbe prendermi una ciambella al cioccolato?- domanda implorante unendo i palmi e abbassando un po’ il capo simulando una preghiera muta.
Sbatto qualche volta le ciglia e lo fisso con gli occhi socchiusi. Mi ha preso per la sua cameriera?
-Ah, e … puoi comprarmela tu? Ho dimenticato i soldi a casa-
Non gli rispondo nemmeno. Mi volto, arrivo fino alla porta e, prima di attraversarla gli indico Alessio con l’indice destro.
-Ritenta. Sarai più fortunato … chissà- aggiungo uscendo da lì dopo quelle parole.
Non è cattiveria ma mancanza di soldi. Con me ho solamente un euro in monete da dieci e da venti. Anche solo rinunciando al caffè non arriverei all’euro e venti per la ciambella.
Ok, niente caffè. So già che mi rimarrà a metà strada fino a bruciarmi lo stomaco. Faccio una faccia sofferente e torno in classe, al mio banco.
Alessio è piegato in avanti, mezzo steso sul banco, con le braccia incrociate e Francesco è intento a imitarlo messo nella stessa posizione. Li osservo entrambi dall’alto e, irritata nel sentir borbottare lo stomaco del ragazzo con le cuffie dell’iPod nelle orecchie, mi siedo e tiro fuori un pacchetto dalla mia tracolla.
Do un calcio alla gamba del banco di Francesco, o meglio, a quella del mio banco che di conseguenza colpisce quello del ragazzo. Preso alla sprovvista, sobbalza levandosi le cuffie dalle orecchie.
-Thò. Ho solo questi- faccio porgendogli una decina di biscotti grandi quanto il palmo della mia mano. Sono alla vaniglia con pezzi di cioccolato. Me li sono portata dietro per darli a Paolo ma a quanto pare gliene farò degli altri. Bhè, questi sono stati un esperimento, quindi hanno bisogno di cavie.
A Francesco gli si illuminano gli occhi.
Avevo già capito che gli piacciono i dolci, specialmente il cioccolato, quindi ero convinta di andare sul sicuro.
-Li hai fatti tu? Sono come quelli americani?- domanda e, senza aspettare risposte, ne prende uno dal sacchetto nel quale li ho incartati e con un morso già ne ha portato via mezzo.
-Sì e sì- annuisco prendendone uno anche io. -I dolci non sono il mio forte- mormoro mentre sento il ruminare del ragazzo alla mia sinistra.
Sto per dare un morso al biscotto quando vedo una mano entrare nel mio campo visivo, afferrare con tre dita il dolcetto e portarmelo via.
Alessio? E’ vivo?
Mi volto e lo vedo già con il boccone in bocca. Lo sguardo mezzo chiuso con le solite occhiaie scure sotto gli occhi. Ha una faccia cadaverica. Più di giovedì scorso.
-Falli al cioccolato la prossima volta- farfuglia tra un boccone e l’altro, levando le briciole dal banco e gettandole a terra.
Lo fisso con stizza e sto per replicare ma Francesco mi interrompe dando ragione ad Alessio.
-Ehi, non sono un bar, chiaro?- sbotto irritata afferrando un altro biscotto e ficcandomene un quarto in bocca.
Dopo pochi secondi ingoio e mi ritrovo a dover dar ragione agli altri due.
Sarebbero meglio al cioccolato …
 
Mi appunto mentalmente di chiedere qualche soldo ai miei mentre saluto la prof di inglese uscendo dal cancello della scuola. Domani è venerdì e probabilmente il cinquanta per cento degli alunni della cittadina sarà in giro piuttosto che a scuola. Il venerdì è quasi peggio che il lunedì perché è ad un passo dal weekend e il tempo non passa mai.
Tanto più che vorrei andare da Simon a chiedere delucidazioni su qualche buon basso che non costa certo una ventina di euro ... In realtà vorrei puntare alla batteria ma ho provato già a fare qualche esercizio con le bacchette seguendo i consigli di Luigi, uno degli amici di mio padre.
Niente da fare.
Mi si incastrano le dita e mi vengono i crampi alle mani facendomi cadere a terra persino le bacchette. Non riesco a rilassarmi e ad essere sciolta. Con la chitarra ho imparato e vado tranquilla ma con le bacchette, nonostante lo stretching alle mani, mi si bloccano per l’eccessivo sforzo dopo neppure un minuto.
Ci vuole parecchia forza oltretutto e dovrei prendere a fare qualche esercizio ma la voglia manca e quindi ho lasciato perdere. Rimango sulle chitarre.
Guardo l’ora sopra il mio Nokia e rifletto su dove andare prima di raggiungere gli studi dell’Academy.
Di solito lì c’è un buffet dove vado a mangiare assieme a Paolo e qualche cameraman ma oggi quasi quasi vado a mangiare fuori.
Ho il tempo e la voglia ma prima devo tirare fuori i soldi dal bancomat.
Sbuffo.
Faccio per chiamare mia madre per chiederle se posso prelevare venti euro (non me lo impongono loro di farlo ma per sicurezza mia, visto che non so mai effettivamente quanto ho sul conto, preferisco domandarle se è fattibile o se non ci troverò nulla). Come trovo il numero che sto cercando sotto la m, qualcuno dietro di me mi chiama per nome.
Mi volto e vedo Francesco assieme ad altri tre suoi amici. Questi aspettano un po’ in disparte e salutano due ragazze appena arrivate mentre Cesco inizia a parlarmi.
-Ehi, devi già andare via o ti va di fare un giro?- domanda indicando dietro di se la sua combriccola.
Inarco un sopracciglio osservandoli. Sembrano tante copie di Francesco. Tranne le ragazze, bhè, c’è anche la versione femminile immagino.
-Ah … - mormoro portando la sinistra dietro la testa, nella la chioma rossa, non sapendo che pesci prendere. Non ho mai mangiato fuori con qualche compagno di scuola ad essere sincera ma, a parte questo, dove si va di solito a pranzare in gruppo? - Devo prendere il pullman in stazione alle tre e mezza- gli faccio sapere. Sto effettivamente tentennando. Più per la fame che per altro. Non mi piace molto stare tra tanti sconosciuti.
-Allora andiamo al Mc lì vicino. Dai, così ti ripago dei biscotti-
-Mi offri il pranzo?- domando dubbiosa. - Ma se non avevi i soldi neppure per una ciambella … -
-Ho questa- dice mostrandomi il bancomat con un sogghigno. -Oggi offro a tutti-
 
Arrivati al McDonalds mi ritorna in mente il perché del fatto che sono passati anni dall’ultima volta che ci ho messo piede. Da sola o con i miei.
In famiglia odiamo dover fare la fila per mangiare. Meglio il ristorante dove almeno si è seduti e si sgranocchiano i grissini.
Lancio un’occhiata al tabellone in alto dove sono descritte le offerte, i menù e le novità ma un amico di Francesco mi distrae.
Si sono presentati tutti ma non mi ricordo il nome … come al solito.
-Sei Dreda, vero? Quella del programma?- chiede senza mezzi termini né misure.
Faccio una smorfia piegando il capo di lato.
-Già … - mormoro.
-Mi sono perso la prima puntata ma ti ho vista cantare ieri sera. Anche Miriam. E’ stata grande- commenta e già mi viene un principio di nervosismo.
Gentile a fare i complimenti ad un’altra concorrente di fronte a me. Vabbhè. Non me ne importa nulla dopotutto …
-Vero … - dico indirizzando lo sguardo attorno facendo un passo avanti quando la fila scorre.
-Tu sei amica di Miriam?- chiede con serenità portandosi le mani nelle tasche della felpa bianca sulla quale sono disegnate un paio di cuffie giganti che fanno il giro del collo.
-No- cerco di ultimare lì il discorso anche se so che non funziona.
-Ma … ci parli qualche volta?- torna alla carica il ragazzo, imperterrito.
-Non ci incontriamo quasi mai tra di noi- spiego sbuffando. Non ho voglia di parlarne e di sicuro non con lui.
Il ragazzo al mio continuo rifiuto si spazientisce e quando sente il tono che ha la mia ultima risposta sembra irritato.
-Vorrei solo chiederti se puoi procurarmi un autografo di Miriam, tutto qui. Magari anche un incontro, ok? Non c’è bisogno di tirarsela tanto- fa lui facendo spallucce.
Io lo guardo come fosse un ufo.
-Eh?-
-Non serve a niente fare tanto la preziosa solo perché non piaci agli spettatori del programma, sai? In giro ci si chiede addirittura come fai ad essere entrata a far parte del programma. Quando Francesco ci ha detto che tuo padre è un musicista allora abbiamo capito tutto. Non facevi prima a imbucarti ad XFactor allora?- sbotta irritato il ragazzo riversando su di me tutto ciò che pensa.
Fisso un punto imprecisato oltre la sua spalla inarcando le sopracciglia verso il basso.
Prima di accorgermene stringo forte la destra e gli mollo un pugno in pieno stomaco con tutta la forza che sento in quel momento.
Non sono un granché con i pugni. Sono più brava a parole che a fatti, ma dato che il tizio tiene le mani nelle tasche della felpa si è impedito da solo di difendersi e quindi è stato solo un caso se ho potuto colpirlo in pieno.
Sentendomi addosso gli occhi di tutti, compreso Francesco che sta solo a qualche passo di distanza a chiacchierare con gli altri, alzo lo sguardo. Tempo pochi secondi, nei quali il ragazzo che ho colpito inizia a tossire, e prendo a correre uscendo fuori dal Mc con la tracolla in spalla che sbatte contro il mio fianco ad ogni falcata.
Non mi fermo neppure quando raggiungo la stazione dei pullman.
Tiro dritto fino alla piazzola dove di solito prendo il mezzo e salgo su sedendomi il più in fondo possibile sulla destra, accanto ai finestrini.
Arriverò con un’ora e mezza d’anticipo ma almeno per un po’ starò nel posto in fondo e tutto a destra a guardare fuori dal vetro.
 
Non ho voglia di dare spiegazioni a Paolo. Non ho voglia di mangiare e non ho voglia neppure di uscire da lì e farmi un giro per i dintorni dello studio.
Ho voglia solamente di stare nella saletta relax dove c’è un divanetto e un distributore automatico.
Forse potrei bermi il caffè … no. Quello della macchinetta fa schifo. Quello che più preferisco è quello di casa, fatto con la moca.
Mi sdraio sul divanetto con le gambe che fuoriescono a penzoloni dal bracciolo, avvolte nei jeans blu inghiottiti da un paio vecchio di converse. Alzo il cappuccio della felpa scura e mi dissocio dal resto mettendo la sveglia sul cellulare per l’inizio delle lezioni con Paolo.
Mi premo un cuscino sulla faccia per fare il buio e tempo pochi minuti mi addormento.
Non ho dormito granché in effetti stanotte tra i compiti e l’insonnia che si è di nuovo fatta viva.
Quando dopo poco riapro gli occhi mi accorgo di essermi svegliata per il profumo di cioccolato caldo.
-Ciao- dice una voce femminile alla quale spalanco gli occhi e mi tiro subito su a sedere.
Grave errore.
Mi sfocia via il sangue dalla testa per il movimento brusco e ricado immediatamente all’indietro con la testa sul bracciolo.
Alla preoccupazione della ragazza che mi chiede se va tutto bene annuisco.
-Tutto ok. Pressione bassa … - le spiego rimanendo distesa sotto consiglio dell’altra.
Non posso crederci di essere così sfigata dal ritrovarmi di fronte proprio il soggetto della disputa di poco fa: Miriam.
La osservo attentamente.
E’ carina. Una di quelle facce ovali con gli occhi stretti, il naso fine e le labbra sottili che porta sempre un trucco leggero quasi a far intendere che non lo porta neppure.
I capelli corti e castani sono tagliati a caschetto ma dietro il collo si notano i lunghi capelli che le arrivano fino al sedere. Di solito li porta legati ma l’ho vista tenerli sciolti in tv e fa strano guardarla di profilo con quelle ciocche lunghe inaspettate.
Ha la carnagione un po’ scura. Suo padre è messicano, ha spiegato la prima puntata della trasmissione, e sua madre invece è argentina.
A differenza di me lei è sempre sorridente anche quando è soprapensiero.
Sono talmente presa dai miei pensieri che non mi accorgo di un fatto strano.
-Come mai sei già qua a quest’ora? Manca ancora un’ora alla lezione- le chiedo mentre la vedo sorseggiare il cioccolato caldo.
-Uscita da scuola ho fatto un salto qui vicino. Ho pranzato fuori con qualche amica e, visto che loro volevano vedere un film, io ho preferito non rischiare di fare tardi all’Academy e quindi eccomi qua- spiega facendo spallucce non mancando di sorridere.
Ha gli occhi un po’ gonfi, noto osservandola in viso mentre l’ascolto.
-E tu?- mi chiede.
Mi scappa un principio di risatina ma mi schiarisco la voce simulando un colpo di tosse e mi accingo a rispondere mettendomi a sedere mentre Miriam si sistema sulla poltroncina lì vicino.
-Ho dato un pugno ad un ragazzo- dico abbassando involontariamente lo sguardo sulla mia mano destra.
Mi facevano ancora un po’ male le nocche.
D’ora in poi, se ce ne fosse stato bisogno, avrei dovuto usare i calci piuttosto. Non vorrei rischiare di rompermi un dito e di non poter suonare la chitarra per colpa di qualcun meritevole di un pugno.
La ragazza spalanca lo sguardo.
-Davvero? Ti ha fatto qualcosa? Stai bene?- chiede e per qualche secondo mi sembra di avere di fronte mia madre vedendola sporgersi verso di me per riuscire a guardarmi in volto.
-Sto bene, sì. Non mi ha fatto niente. Non ha alzato le mani, questo no- rispondo ingobbendomi un po’ lì seduta allungando le gambe in avanti incrociandole a x incastrando il piede sinistro sul destro.
Dopo qualche momento di silenzio lei sembra agitarsi lì seduta sulla poltroncina. Come volesse chiedere qualcosa ma non osasse farlo.
-Che c’è?- domando.
-Bhè … sai, tra di noi … insomma: io, Loris, Matteo, Debora, Ezio e tutti i partecipanti ci siamo chiesti spesso che tipo fossi. Stai sempre sulle tue con l’espressione arrabbiata. Credevamo fossi una specie di Yankee. Abbiamo sentito che sei stata in California a fare concerti e quindi tutti abbiamo pensato che fossi un osso duro. Tuo padre è anche già nell’ambiente della musica, quindi … - sfuma con la voce notando la mia espressione interdetta.
-Ma … io in California non ho fatto concerti o altro ... Mio zio era lì per un tour, sì, ma io ero tra gli spettatori. Mi ha solo fatto da tutor con il canto … - mi fermo a metà della spiegazione affondando le dita tra i capelli e poggiando i gomiti sulle ginocchia scavallando le gambe lunghe e incurvando la schiena in avanti lasciandomi andare.
Inizio ad essere esasperata …
-Ho chiesto di poter avere un nomignolo apposta per non farmi riconoscere con il cognome di mio padre … - mormoro stancamente. A quanto pare me la sono cercata.
Non parlare è sia un modo per non rendere note certe cose ma anche un modo per creare un sacco di malintesi.
Miriam si schiarisce la voce e io rialzo il capo.
-Ahm … a quanto pare abbiamo cominciato con il piede sbagliato. Che ne dici di presentarci per bene? Io sono Miriam Ruiz. Tu?- domanda tenendo la cioccolata con la sinistra e porgendomi la destra.
Faccio un sorrisetto un po’ sbilenco apprezzando il suo tentativo di scusarsi con me per il malinteso e le allungo la mano stringendo la sua.
-Dreda Calmi Baker- dicendo così anche il cognome di mio padre oltre a quello di mia madre.
-Come mai tuo padre ha un nome italiano?- mi domanda.
-Bhè, è italoamericano. Mio nonno è del Kentucky e mia nonna di un paesello della toscana. In realtà il suo secondo nome è Magnus … già, è per questo che non lo dice molto in giro- aggiungo vedendola ridere a quel nome.
-Quindi è vero che ti chiami Dreda?- mi domanda, curiosa.
-Sì, e mio fratello si chiama Chad, ma entrambi abbiamo anche un nome italiano che non dirò mai- la informo preventivamente alzandomi ora in piedi.
-Stavo per chiedertelo- fa ridendo mentre si alza anche lei andando a buttare il bicchierino della cioccolata calda oramai finita.
-Io … ora credo che andrò al buffet a mangiare qualcosa-
-Tu di solito mangi al buffet? Ecco perché non ti vediamo mai!- dice lei battendo le mani. -Noi mangiamo allo Starbucks a pochi passi da qui-
Come sento quel nome nella mia testa si materializza l’immagine di una sirena verde dalla doppia coda che mi chiama facendo nomi di caffè, cappuccini con caramello, cioccolate con panna spruzzata di cocco e cacao assieme a ciambelle, muffin, brioche …
Adoravo andare allo Starbucks in California e ringrazierò in eterno mio zio per avermelo fatto conoscere.
Quasi gli occhi mi diventano lucidi al suono del suo invito a prendere con lei un caffè proprio lì per mostrarmi dove trovarlo.
-Te ne sarei davvero grata- le dico prendendo le sue mani nelle mie. Quasi come avesse dato un pasto caldo ad un vagabondo. Poi mi viene un dubbio. -Si può pagare con il bancomat lì?-
Forse le cose sono diverse tra lo Starbucks in America e quello italiano ...
Miriam si mette a ridere e mi afferra per un braccio.
-Vieni. Oggi offro io-.
 
Grazie a Miriam ho capito che forse sono davvero un po’ troppo scorbutica.
Facendo così posso dare l’idea sbagliata alle persone e io odio quando la gente si fa idee sbagliate che non stanno né in cielo né in terra ma che riguardano altri.
E’ Venerdì mattina e oramai, con tutta la valanga di pensieri che ho avuto in testa non ho pianificato nulla e quindi non ho saltato scuola. Molta meno gente di quella che credevo se ne è andata e in tanti occupano ugualmente i banchi nonostante inizino a scarseggiare le giornate di sole caldo che agevola i vagabondaggi e lo shopping.
Arrivata in classe mi accorgo che né Alessio e neppure Francesco sono arrivati in classe ma sulle bocche di tutti c’è già fermento.
Sento qualche barlume di conversazione e capisco che in quel Mc dev’esserci stata più gente di quella che credevo, specialmente di scuola.
Poggio la tracolla sul banco centrale e mi accorgo di aver trattenuto il respiro sino a quel momento.
Mi siedo e faccio per prendere il blocchetto e l’astuccio quando arriva Francesco tutto trafelato all’interno dell’aula rimanendo all’entrata con il fiato corto.
“Che è successo?” mi domando.
Che si sia fatto male qualcuno? C’è un incendio? Un attacco terroristico? Alieni? Cosa fa preoccupare un tipo come Francesco tanto da farlo correre?
-Ehi … -sta per aggiungere altro ma piega in avanti la schiena poggiando le mani sulle ginocchia, sorreggendosi, facendo così cadere sul pavimento lo zaino che teneva su una spalla.
-Respira, scemo!- dice ridendo un tizio in classe nelle retrovie.
Cesco alza la destra come a chiedere tempo e torna ritto in piedi.
-Ascoltate … ho sentito che … ci sono voci in giro … su Dreda … - dice tra un respiro e l’altro. Lo fisso come fosse un ufo e mi chiedo da dove e per quanto ha corso quell’idiota. - Però non è andata come pensate. Un tizio … uno che conosco, le voleva chiedere un incontro con Miriam … quella del programma-
-Lo sappiamo chi è, lo sappiamo- fa un’altra voce alle mie spalle, un po’ lontana, seguita da qualche altra risatina.
Fino al giorno prima non mi avrebbe fatto effetto sentire quei commenti stupidi ma, dopo aver conosciuto il soggetto delle loro frasi ambigue, non voglio stare di certo zitta.
Sbatto i palmi sul banco e mi volto verso questi.
“Che abbiamo qui? Quattro imbecilli … Challenge accepted”.
-Cucitevi la bocca- sbotto.
Uno di loro, un tipo biondo con i capelli diretti in tutte le direzioni possibili tranne che quella giusta, mi fissa indispettito con le braccia incrociate. Rimango a fissarlo irritata per un po’ e quando lui abbassa lo sguardo ho la netta sensazione di aver vinto la battaglia, ma non la guerra.
Faccio per voltarmi di nuovo verso Cesco ma me lo ritrovo di fronte al banco come fosse uno zombie.
-Scusa- fa Francesco facendomi venire un colpo per lo spavento.
- … Di cosa?- domando.
-Bhè, avevo capito che Dario aveva un debole per Miriam ma non pensavo che potesse essere così fuori di testa-
-Ma … è stato così idiota da raccontarti quel che mi ha detto?- chiedo, non capendo come faceva Francesco a sapere com’era andata. Le voci che circolano parlano di un litigio ma so che nessuno ha sentito veramente quello che quell’idiota mi ha detto. Probabilmente neppure lui sa perché l’ho colpito.
-Quando gli abbiamo chiesto cosa era successo ha detto che eri una pazza furiosa e che ti eri arrabbiata per chissà quale motivo, poi a qualcuno ha raccontato che lo hai rifiutato perché non è nello spettacolo anche lui e poi se n’è inventata un’altra che non conosco … - spiega Francesco rimanendo di fronte al mio banco. Si è ripreso dalla corsa a quanto pare. Il respiro gli è tornato normale.
Suppongo di dovergli un “grazie” ora … difficile, non ne dico spesso e doverne dire uno a un ragazzo che fino a poco fa prendevo in giro tra me e me … è imbarazzante.
-Scusa- fa lui prendendomi in contropiede.
-Scusa? Di cosa?- chiedo mentre i pochi che mancano stanno entrando in classe. La situazione almeno si è calmata e ognuno pensa ai fatti propri.
-Di non essere intervenuto. Guardandovi a distanza non avevo capito subito che stavate litigando … e poi è colpa mia. Ho insistito che venissi a pranzo con noi … però sapevo che Dario diceva una carrellata di fesserie una dietro l’altra. Ormai ti conosco abbastanza da non credere che tu sia come la gente pensa.-
“Come la gente pensa?” mi chiedo tra me e me. Cavolo … mi disinteresso dell’opinione pubblica ed ecco il risultato. Chissà che diavolo di voci girano …
-Ah … - mormoro non sapendo che dire di preciso. Mi ronza in testa la parola “grazie” ma è come se lui non avesse ancora finito di parlare.
Fa un sorriso sbilenco con la bocca storta e riprende il discorso.
-Una ragazza che ti offre dei biscotti fatti da lei è normale che non possa essere così presuntuosa come dicono in giro, no?-
Sbianco.
Ma, di preciso, Francesco che ha capito con quel mio gesto di ieri?
A pensarci bene, gli ho dato dei biscotti fatti da me, poi lui guarda caso mi chiede di uscire a pranzare con la sua combriccola per sdebitarsi … io credevo fosse un baratto normale e invece lui ha creduto che ci fosse dell’altro?
Alzo le mani davanti a me in segno di difesa, o di resa, non so bene che fare.
Quel pensiero mi pare più assurdo che sensato.
-Ma … ecco … i biscotti ieri te li ho dati perché non avevi da mangiare … li avevo perché dovevo portarli a una persona che conosco negli studi e … ho pensato che … - non so spiegarmi più bene. Poso la destra sulla fronte e la sento calda.
Ok, forse non sono sbiancata allora, sono arrossita. Non avrei mai pensato di incappare in un malinteso simile. Neppure che sarebbe capitato con Francesco.
-E’ stato un bel gesto- insiste lui sorridente.
Non so bene che dire a dir la verità.
Più per l’inaspettato caos che per altro. Inizio a pensare di avere la febbre … mi siedo e mi riposo un attimo almeno.
-Grazie … -mormoro.
-A te- replica lui tutto tranquillo.
In questi giorni ho pensato troppo e il cervello ha ricevuti troppi input. Mi sono creata un malinteso io stessa, nella mia testa … qualcosa l’ho presa allora da mia madre: creare castelli campati in aria.
-Ehi- fa qualcuno lì vicino.
Alzo lo sguardo e vedo Alessio con in spalla il suo zaino e con in mano quello di Francesco.
-Se lasci la roba in terra diventa proprietà di chi la trova, non lo sai?- dice questo fissando di sottecchi Francesco.
Cesco sembra ammutolirsi tutto di colpo e fissa l’altro ragazzo. Sembra pensare a qualcosa.
Mi domando perché, visto che lui ha sempre la battuta pronta e una parlantina impressionante.
-Starò più attento allora- risponde l’interpellato riprendendo il proprio zaino per una spallina, mentre Alessio la tiene ancora saldamente dall’altra. -Bhè?-
-Non stavo scherzando … Hai un iPod qui dentro, vero?- fa Ale buttando un occhio nella cerniera mezza aperta.
Ho visto Francesco sbiancare completamente e poi dare il via ad una discussione con Alessio fin quando non è arrivato il prof. Dopo hanno continuato a borbottare persino durante la lezione e sono stata costretta a sopportarli trovandomi nel mezzo.
Quello arrabbiato e sdegnato era Cesco, mentre quello serafico e allo stesso tempo sfacciato era Ale.
In quel casino generale in cui il prof di matematica parlava di quello che ci sarebbe stato nella verifica fra due settimane, i due al mio fianco discutevano animatamente e sul mio cellulare arrivava un sms di Miriam che mi chiedeva come stavo, mi chiedevo da quando di preciso avevo iniziato a dare nomignoli a quei due.


NdA:

Ripeto:
"Ringrazio preventivamente chi mi darà critiche costruttive o chi mi farà notare eventuali errori presenti in questo capitolo (anche chi mi scriverà qualche bel commento, certamente non disdegno nulla xD).
So che sono una frana con la grammatica e con i tempi verbali... Mi scuso anche per eventuali insulti a generi e personaggi musicali amati da tanti. Non è nulla di personale, solo l'opinione dei personaggi.
In questa storia non voglio mettere in cattiva luce gli emo, i fanatici della moda e delle discoteche o i fan di Laura Pausini e di Emma, ecc ecc... La storia è raccontata dal punto di vista di Dreda la protagonista, non il mio come autrice."

Ancora vi ringrazio per aver letto questo capitolo. Mi metto subito al lavoro per scrivere il terzo.
Non so neppure io dove andrò a parare perchè questa è una delle poche volte che inizio a scrivere senza una scaletta o senza una costruzione completa dei personaggi. Sono curiosa anche io di sapere che succederà nel prossimo episodio xD

Con questo aggiungo: Buona domenica a tutti!

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Capitolo 3
*** Track 3: Gym class Heroes - Stereo Hearts ***


Track 3: Gym class Heroes - Stereo Hearts
 
Stropiccio un foglietto di carta e mi tormento il labbro inferiore con i denti.
Ho i palmi caldi. Segno che stanno quasi per sudare. Devo darmi una calmata.
Mi schiarisco la voce e, quando la prof d’italiano da la fine della lezione e l’inizio della pausa a seguito della campanella, mi alzo dalla sedia e allungo la destra picchiettando il dito indice sulla spalla della ragazza seduta di fronte, richiamando così anche le altre due che si voltano imitandola.
-“Il senso di ogni cosa” di Fabrizio Moro- dico.
Martina, Flavia e Michela rimangono qualche secondo a fissarmi e io pure mi fisserei se per questo. Con un’uscita simile è normale sembrare fuori di testa. Ricordo che la settimana scorsa erano interessate a quello che avrei cantato e pensavo di provare ad attaccare bottone con la stessa maniera, ma sembra più difficile del previsto per me.
La bruna dai capelli corti sulla sinistra fa un sorriso e lì iniziano anche le altre.
-Davvero? Quella è la canzone di Moro che più mi piace!- dice sempre lei, voltandosi con la sedia.
C’è un momento di silenzio, interrotto solo poi dalla bionda dai capelli lunghi che si sistema una ciocca dietro l’orecchio sinistro prima di parlare.
-Scusa, solo che è la prima volta che ci rivolgi la parola e … c’è venuto un colpo!-
-Già, credevamo di romperti le scatole … - fa invece la terza.
Ingoio a vuoto mentre abbasso lo sguardo.
Io credevo di essere sfigata, di non essere accettata dagli altri ma, a quanto pare, le altre persone pensano che io sia asociale per scelta.
A dirla tutta lo credevo anche io ma, quando ho sentito come passano le giornate gli altri del programma Academy, ho capito che anche io vorrei far parte di un gruppo. Possibilmente con gli stessi interessi, certo, ma la vedo davvero difficile …
Durante la pausa merenda abbiamo passato il tempo a parlare tra di noi.
Ho finalmente richiesto loro di presentarsi per distinguerle meglio confessando loro che non ho davvero buone capacità nell’abbinare volti e nomi di persone che si presentano nello stesso momento.
Forse ricordo i nomi, ma poi è come il gioco delle doppie carte. Trovare le coppie, il volto e il nome, è sempre un’impresa difficile.
Fortuna che non l’hanno presa molto a male …
Scopro che Martina è la ragazza dai capelli neri che lancia spesso occhiate a Francesco, Michela è la bionda dai capelli lunghi che ama il rosa e spia invece entrambi i ragazzi che mi stanno affianco al banco e la bruna dai capelli corti è Flavia. Non so perché ma con lei riesco a farmi capire meglio.
Flavia è una ragazza insolitamente bassa e piccola. La vedo spesso con il volto arrossato e come carattere sembra un po’ timida.
Ricordo che è stata proprio lei, tra le tre, a rivolgermi per prima la parola. Era un po’ impacciata e chissà quanto coraggio le sarà costato farmi quella domanda.
La pausa merenda sta per finire quando Francesco rientra in classe e saluta a gran voce.
-Ehi, ancora chiacchiere tra donne?- chiede sorridente alzando i Ray-Ban scuri sul capo, tra i capelli, levandosi anche le cuffie dell’Ipod lasciandolo lì sul banco.
Martina ha iniziato a sorridere più di prima e Michela con lei.
-Flavia, dai, scambiamoci di banco prima che arrivi la prof- dice la ragazza dai capelli neri che invece è seduta di fronte ad Alessio.
Flavia rimugina su qualcosa e sembra un po’ incerta ma dopo pochi secondi prende in mano la propria roba e fa per alzarsi, annuendo alla compagna.
-Aspetta- fa Cesco, allungando la destra a prenderle il braccio. -Rimani qui, non mi dai fastidio-
Io credo d’avere un’espressione quasi normale ma le altre due sono parecchio sconvolte.
Me ne accorgo piegando lo sguardo di lato, nella loro direzione, e mi schiarisco la voce.
-Sta per tornare la prof, meglio sbarazzarsi delle cartine della merenda … - di meglio non sono riuscita a inventarmi per deviare l’attenzione dall’accaduto.
Noto che Martina e Michela passano la roba da buttare a Flavia e questa, senza che neppure le venga chiesto qualcosa, prende tutto e si dirige verso il cestino dell’immondizia.
Io guardo di sottecchi Francesco e questo mi sorprende ricambiando l’occhiata complice facendomi segno di parlarne dopo.
Annuisco.
Entra la prof che saluta tutti. Sta per sedersi quando un botto improvviso fa fare un salto a tutta la classe: Alessio dormiva talmente profondamente che è caduto a terra dalla sedia.
 
E’ la quarta ora della giornata e a metà lezione di inglese mi arriva un foglietto da Francesco.
Prima di aprirlo guardo quel pezzo di carta con sconcerto.
Mi sono appena resa conto che questa è la prima volta che mi arriva una “missiva” da un compagno di banco.
E’ sorprendente per una come me che gioca ad essere l’asociale della classe. Non mi dispiace come cosa, anzi, quasi mi gaso al pensiero di … Ok, no, torno con i piedi per terra e leggo questo maledetto bigliettino.
 
“Credo che Flavia sia presa di mira da Michela e Martina. Tu hai parlato con loro oggi, sai il perché?”
 
Lo fisso come fosse un’idiota perché penso davvero che lo sia.
Possibile che non l’abbia capito che è stato tutto per colpa sua?
Prendo la portamine e scrivo la risposta sotto la sua domanda.
 
“Svegliati: ricordi cosa hai detto a Flavia?”
 
Dopo aver letto le mie parole sembra pensarci. Davvero non se ne ricorda? Non se ne rende neppure conto?
 
“Che ho detto?”
 
Scrive. E’ così sprovveduto da farmi venir la voglia di mettermi le mani nei capelli dal nervoso e invece mi riprendo la portamine in mano e scrivo.
 
“Non hai voluto che Martina si sedesse al posto di Flavia”
“E quindi?”
 
E’ snervante dovergli spiegare tutto, ma è meglio per lui saperlo e quindi lo informo del fatto che piace a Martina. Persino Alessio secondo me se ne è reso conto. Già, Alessio. Proprio il tizio seduto alla mia destra che è di nuovo perso nel suo mondo strambo. Non quello dei sogni. No. Quell’altro in cui si rinchiude quando è sveglio e si nasconde persino dalla realtà.
Quando vedo Cesco leggere quel che ho appena scritto, questo ci rimane di sasso ed arrossisce.
Eh già, non se ne era proprio accorto … che idiota.
-Hai capito ora?- chiedo a bassa voce. Probabilmente almeno due più due ora saprà farlo sul resto dell’accaduto.
Scrive qualcosa su un nuovo foglietto e me lo rilancia.
 
“Martina è quella bionda, vero?”
 
Per un secondo ho un attacco di nervi ma dopo gli do ragione. Neppure io sapevo distinguerle fino a poco fa. Mi schiarisco la voce e scrivo la risposta strisciando verso di lui il fogliettino.
Nel caso, per evitare ulteriori equivoci, richiamo la sua attenzione e gli indico la ragazza seduta di fronte ad Alessio.
Lui sembra ponderare per un po’ le nuove informazioni e allontanarsi dal problema principale. Riprendo il fogliettino e aggiungo una frase.
 
“Rimane il fatto che ora pensa che tu sia interessato a Flavia, credo. Perciò è stata presa di mira da Martina”
 
Francesco annuisce e sussurra che farà qualcosa in merito per risolvere quel casino.
Annuisco tra me e me e metto giù la penna. E’ quasi come mettere giù la cornetta.
Fine della discussione via bigliettini.
Mi sto passando la destra sulla fronte, sotto la frangia rossa, quando punto lo sguardo verso Flavia a sinistra.
Sembra rannicchiata. Ha il viso rosso e il capo piegato verso il basso mentre si tiene con la sinistra il braccio destro.
“Oh-oh” faccio tra me e me. “Non mi dire che …”
Il mio pensiero viene interrotto da qualcosa che mi cade davanti agli occhi e quasi finisce sul banco di Francesco.
Una pallina di carta.
Cesco è talmente perso nel suo mondo dopo aver appreso che Martina ha una cotta per lui che neppure se ne accorge.
La prendo e la apro.
 
“Mamma e papà giocano sempre da soli e mi lasciano in disparte …”
 
Arrossisco solamente leggendo quelle prime parole e scatto senza rendermene neppure conto.
-Chi sarebbero mamma e papà!?- sbraito alzandomi in piedi, rivolta verso Alessio, fermando la lezione e facendo ridere i compagni di classe.
-Questa è la seconda volta che interrompete la lezione, voi due. Se succede qualcos’altro vi interrogo, è chiaro!?- sbraita la prof di inglese mentre mi risiedo al mio posto.
Tutta colpa di Alessio. Questo poi non si è scomposto neppure minimamente nonostante i rimproveri miei e della prof.
Francesco mi domanda che è successo ma gli faccio segno di lasciar perdere. Lo stesso fa Flavia e anche a lei rispondo uguale.
Riguardo il bigliettino e sto per buttarlo via quando, sotto quella frase, ci trovo il disegnino di un personaggio strano.
Inarco un sopracciglio sforzandomi di ricordarmi di che cartone faccia parte ma niente. Che disegno strambo …
Me lo infilo nella tasca dei jeans e, per la prima volta dall’inizio dell’ora, ascolto la voce burbera della prof intenta a spiegare di nuovo l’ennesima cosa dell’ultima lezione.
 
-Flavia?- la chiama Francesco a fine lezione mentre tutti attendono l’ultima ora della giornata e della settimana.
La ragazza si volta verso di lui un po’ titubante e si schiarisce la voce mentre è già oggetto di occhiatine di sbieco da parte di Martina.
-Sì?-
-Mi dai il tuo numero di telefono?-
Sbianco.
Cosa diavolo gli è saltato in mente di chiedergli?! Così aggrava la situazione, altro che migliorarla!
Sto per dirglielo quando lui, lasciando l’iPhone alla ragazza per farle scrivere il numero,  mi fa segno di lasciarlo fare.
Faccio segno affermativo e spero veramente che Cesco sappia ciò che fa. Michela si volta e, tranquilla e sorridente, mi chiede perché ho detto quella frase prima.
Ci metto qualche secondo per capire che sta parlando della mia reazione esplosiva a quel bigliettino stupido di Alessio.
-Lascia stare, è una cosa complicata … non l’ho capita neppure io- spiego guardando di sbieco il tizio seduto affianco a me, a destra.
 
E’ suonata anche l’ultima campanella e cerco di raggiungere Francesco ma viene accerchiato dai suoi amici che gli chiedono dei suoi piani per la serata e quindi si allontanano assieme a lui.
Sbuffo.
Vorrei sapere che ha in testa quel ragazzo per farmi un’idea delle conseguenze che ci potranno essere con Flavia.
Sto per uscire quando sento una voce dietro di me chiamarmi nel caos generale.
Mi volto e trovo i capelli bruni e corti di Flavia a poca distanza da me. E’ la prima volta che le parlo in piedi e mi accorgo solo ora che è davvero bassa. Mi viene quasi da ridere al pensiero di veder vicini lei e Francesco.
-Posso chiederti il numero di telefono?- mi domanda infilandosi le spalline dello zaino addosso e tenendole con entrambe le mani.
Per un attimo ricorda mio fratello quando faceva le elementari.
-Certo- rispondo prendendo in mano il mio cellulare mentre lei fa lo stesso.
Le sto per dettare il mio numero (che non ricordo a memoria ma che ho segnato sulla rubrica), quando mi ferma interrompendomi.
-Non è meglio che me lo segni sul cellulare direttamente? Sei piuttosto famosa … qualcuno potrebbe sentirti dire il tuo numero di telefono e … -
In effetti ha ragione. Devo ancora farci l’abitudine a tutte le cose che prima erano così naturali … Già. E quando mai ho detto il mio numero di telefono ad un’amica?
Eh …
-Già, hai ragione-
Le passo il mio cellulare e, come aveva fatto prima con Francesco, si aggobba un pochino e, tenendo un cellulare per mano, si destreggia a digitare i numeri sui cellulari.
-Fatto. L’ultimo numero delle chiamate effettuate è il mio- dice restituendomi il telefonino.
-D’accordo- dico e, a metà parola, sento una canzoncina strana partire dal cellulare di Flavia. Un midi? Credevo non li usasse più nessuno sui cellulari …
La vedo leggere l’sms e arrossire sulle guance.
-Ahm, scusami. Ora devo andare. A Lunedì e buone prove!- mi dice agitando il palmo destro in alto mentre corre via tra la folla del corridoio.
Di Michela e Martina invece non c’è neppure l’ombra. Se ne devono essere andate appena è suonata la campanella.
Mi fisso sulla spalla la tracolla in maniera più salda e sospiro.
Ho un brutto presentimento.
Esco senza neppure accorgermi che Alessio è rimasto in aula.
 
Scendo dal pullman tenendo in mano il mio Nokia digitando qualcosa sul monitor.
A quanto pare Miriam non ci sarà oggi a pranzo.
Tentenno un momento.
Senza di lei mi sta passando la voglia di entrare lì dentro e ritrovarmi circondata dagli altri concorrenti dell’Academy, che di fatto non conosco. Già. Non li conosco e loro sono convinti che io sia una che se la tira. Non ci farei una bella figura come prima presentazione.
In faccia ho sempre la stessa espressione da incavolata oppure da apatica … neppure a sforzarmi può sparirmi dal viso. Se mi avvicinassi così sarebbe davvero un brutto inizio.
Sono scesa una fermata prima apposta per evitarmi la strada dagli studi allo Starbucks e ora invece mi ritrovo a dovermela fare lo stesso.
Infilo le mani nelle tasche della felpa bianca e mi volto per dirigere il passo verso l’Academy ma facendolo mi scontro contro qualcuno.
-Mi spiace- dico, posandomi la destra sulla spalla sinistra, lì dove ho colpito il braccio del tizio. Può anche evitare di correre senza guardare dove mette i piedi.
-Sei DC?- domanda questo e quando alzo lo sguardo mi accorgo che ho di fronte Ezio, un ragazzo della trasmissione.
Un’altro concorrente che, se non ricordo male, è arrivato ad avere due posizioni sopra di me in classifica. Io sono arrivata penultima. Non se la passa benissimo ma neppure da tragedia dopotutto.
-Ezio?- domando, indicandolo.
E’ un ragazzo come tanti. Ha i capelli corti e neri, carnagione ambrata, molto abbronzato. Indossa pantaloni larghi di una tuta, scarpe giganti da ginnastica e la felpa sopra coordinata a i pantaloni blu con delle strisce bianche ai lati.
Lui non risponde ma fa un gesto con le mani che finisce con una V di vittoria tenendo le dita della destra di fianco alla sua faccia con un sorriso a 36 denti. -Yes I am!- gongola infine facendo l’occhiolino.
La mia espressione, fissa e seriosa, deve farlo ricapitolare perché porta quella stessa mano dietro la testa sulla quale indossa un berretto blu scuro.
-Tutto ok?- domanda incerto. Come fossi io quella un po’ strana. Oddio, tutti i torni non glieli do, ok, però …
-Sì … - dico, non sapendo che altro dire mentre riporto la destra nella tasca della felpa. Infine mi schiarisco la voce lasciando vagare lo sguardo attorno a me.
-Ahm … bhè, io vado a mangiare ora- dice facendo qualche passo fino a passarmi affianco sulla sinistra.
Rispondo annuendo e faccio un passo avanti ma mi volto a metà passo quando lo sento chiamarmi di nuovo.
-Hai già pranzato?- mi domanda con non-chalance tenendo anche lui le mani nelle tasche della felpa.
Siamo messi nella stessa posizione ma lui è più grosso di me. Arriva quasi all’altezza di Francesco ma Ezio è più grande come figura. Più imponente.
-No- rispondo.
-Ti va di venire allo Starbucks per un panino?- chiede indicando con la destra verso la via da intraprendere per raggiungere il luogo da lui citato.
-Eh … -mormoro tra me e me non sapendo che dire. Socchiudo la bocca e abbasso lo sguardo sul marciapiede fissandomi le punte delle converse consumate.
Che fare? Voglio davvero andare a mangiare agli studi e dover aspettare fino a lunedì prima di poter incontrare i ragazzi e le ragazze dell’Academy? Se ci fosse anche Miriam sarebbe meglio. Almeno qualcuno che conosco ci sarebbe a darmi sostegno.
Sono ancora indecisa quando è Ezio di nuovo a parlare e a rompere il “silenzio” pieno di rombi delle macchine, clacson e voci dei passanti.
-Bhè, se cambi idea sai dove si trova il posto?- domanda ancora mezzo voltato verso di me.
Annuisco e quando lui saluta io rispondo mostrandogli il palmo aperto in segno di saluto.
Osservo per un po’ Ezio camminare tra la gente con le mani nelle tasche e muovendo il capo al ritmo di una musica che forse conosce solo lui.
Lo fisso ancora, anche se altra gente si sovrappone alla sua figura. Riesco ugualmente a vedere il suo berretto sbucare da dietro le teste degli altri passanti. Questo continua a dondolare un po’ a destra e poi un po’ a sinistra, seguendo sempre lo stesso ritmo.
Trattengo il respiro, stringo i pugni, e faccio una corsa.
Lo avrei raggiunto in poco tempo se non ci fosse stata così tanta gente in giro per la città a quelle ore di venerdì pomeriggio.
Come lo raggiungo gli afferro il cappuccio dietro il collo per fermarlo.
Ho il fiato un po’ corto. Non ho molta resistenza, è vero, però inizio a parlare e a scusarmi.
In faccia ha un’espressione tranquillissima. Non sembra neppure spaventatosi per essere stato fermato in mezzo alla strada in quella maniera brusca.
E’ un tipo davvero quieto.
-Posso venire anche io?- domando fissandolo dal basso all’alto per colpa della sua altezza e della mia statura media. Lui subito annuisce facendo un sorriso veloce e puntando poi di nuovo verso lo Starbucks.
Io prendo a camminare al suo fianco sinistro mentre lui spinge in fuori le labbra e inizia a fischiettare un motivetto già sentito.
-Che canzone è?- domando.
Si interrompe e, senza voltarsi a guardarmi, risponde che si tratta di “Stereo Hearts” dei Gym class Heroes.
-Mi sembrava di averla già sentita da qualche parte … - borbotto prima di fare un profondo respiro per mascherare uno sbadiglio.
-Eminem, Jason Derulo o Linkin Park?- domanda lui così a bruciapelo.
-Linkin Park- rispondo, senza pensarci due volte.
Lui annuisce con ancora il sorriso largo sulla faccia. Ha una bocca davvero grande.
-Sei per il genere commerciale, eh?- domanda e io sbianco.
Commerciale? Ma chi, io?!
-Ehi, guarda che, se la vogliamo mettere su questo livello, tutti e tre i nomi che hai fatto sono commerciali ormai. Dipende dalle canzoni di cui si parla- sbotto infervorata voltandomi verso di lui ma continuando a camminare avanti a me.
Ezio rimane qualche secondo a pensare e fa l’occhiolino indicandomi imitando con la destra la forma di una pistola.
Ho capito che con lui bisogna far lavorare il cervello oramai e che è un tipo che gesticola parecchio. Comunica con i gesti … e questo di ora che significa?
-Hit?- mormoro fissando la sua mano e alzando poi lo sguardo verso di lui.
-Hit That- mi corregge lui e io alzo un sopracciglio dubbiosa. E’ un esame?
Capisco che si sta parlando di cantanti e canzoni e ovviamente so rispondere al suo “indovinello”.
-Offspring?- verbo e a lui si accendono gli occhi.
-Li conosci?-
-Conosco quasi tutto su ogni genere musicale oramai- dico mentre riprendiamo a camminare.
Sembra che lo Starbucks sia più lontano dell’ultima volta …
-Già, dimenticavo che sei figlia d’arte- commenta Ezio portandosi la destra di nuovi dietro la nuca, sopra il berretto.
-E’ la parte bella dell’essere “figli d’arte”- sibilo a denti serrati abbassando di nuovo lo sguardo.
Non so se il suo commento voleva essere una provocazione o una frase semplice ma, riflettendoci un po’ su, nel suo tono credo ci sia stata una punta d’invidia.
Di certo so che, grazie a mio padre, alla sua famiglia di musicisti e ai suoi amici, ho potuto entrare più facilmente nel mondo dello spettacolo e imparare ciò che c’è da sapere con più facilità mentre altri han dovuto sgobbare più duramente per delle lezioni di piano, chitarra e di canto.
Guardando in tralice Ezio mentre camminiamo e parliamo del più e del meno, ho il dubbio di aver di fronte qualcuno di quei famosi “altri”.
 
Arrivati allo Starbucks lo troviamo totalmente pieno.
-Ah, ecco Loris. Ehi, raga!- fa Ezio rimanendo con me all’entrata con le porte aperte. Alza la destra e l’agita in aria per farsi vedere meglio.
Un gruppo di circa dieci o dodici ragazzi è seduto a due diversi tavoli lunghi a parete e qualcuno alza la sinistra per rispondere al saluto. Qualcuno alza la voce salutando il nuovo arrivato.
Ezio si avvia ma io rimango bloccata all’entrata.
C’è così tanta gente … anche in America era così? Lo Starbucks era così pieno anche lì? Di sconosciuti o di qualcun altro? Cos’è che di colpo mi sta facendo sudare freddo e mi impedisce di entrare in un locale come tanti altri?
Mi esibisco ogni settimana davanti a uno studio intero di persone, perché poi mi ritrovo ad aver paura di stare in mezzo ad un numero così moderato di gente?
E al Mc allora? Lì il posto era grande ma la situazione non era poi così diversa.
Cosa mi succede di preciso? Non riesco a capirlo.
Inizio a sentirmi il cuore martellarmi in petto. Respiro con affanno e sento i palmi sudare di freddo.
Soffro di pressione bassa da tutta la vita, quindi non mi ci vuole molto per capire ciò che devo fare. Entro e mi dirigo direttamente nel bagno delle donne dove però c’è la fila.
Mi sta bene.
Non devo vomitare ma devo solo appoggiarmi al muro e sorreggermi per evitare di cascare.
Dovrei stendermi e stare a gambe all’aria come un’idiota ma non mi passa neppure per l’anticamera del cervello di entrare in contatto con il pavimento di un bagno con qualcosa al di fuori delle suole delle mie scarpe.
Ci sono solamente quattro bagni ed una fila di circa sei ragazze che aspetta di poter entrare. Io mi sono spinta oltre e, aperta l’acqua, mi sono sciacquata il viso.
“Calmati, calmati, calmati, calmati …” ripeto dentro di me rimanendo un po’ ingobbita di fronte al lavandino con i palmi premuti ai lati del lavandino per sorreggermi.
Qualcuno mormora qualcosa e non distinguo molto bene cosa.
Chiudo gli occhi perché la vista si sta annebbiando.
“Forse”, penso, “Se chiudo gli occhi non sentirò più le vertigini, non vedrò così dannatamente sfocato e il mio corpo si calmerà”.
Ora sono arrivata al punto di raccontare balle anche a me stessa.
-Va tutto bene?- domanda una voce. Naturalmente è una ragazza ma non so distinguerla molto bene perché oramai è palese: sto per svenire.
Mi sembra stia succedendo tutto così lentamente, eppure in pochi secondi sono già a terra.
 
Non so di preciso cosa mi sia successo al cento per cento. So solo che, riaperte a fatica le palpebre, ero sommersa da un gruppo di gente attorno a me che mi guardava come se vedessero un alieno al suolo.
-Stai bene?- chiede qualcuno alla mia sinistra. La vista sta tornando ma ai contorni del mio campo visivo è ancora tutto vago, sfocato. La voce è la stessa sentita in bagno.
La guardo e non la conosco. O forse sì?
L’ho già vista da qualche parte ma non ho ben presente dove di preciso.
Chiudo gli occhi e porto la destra sulla fronte.
Mi schiarisco la voce e ingoio a fatica due volte.
-Mi spiace … - mormoro con un tono un po’ pesante. Tutto sembra tranne che io mi stia scusando per qualcosa.
Non capisco neppure dove sono di preciso se per questo. Sul pavimento? No, sono su qualcosa di solido, ok, ma anche un po’ morbido. Ok, sì, sono sulla cassapanca dei tavolini. Bingo.
Chissà-chi dice chissà-cosa ed io, con la voce impastata, confesso che non ho capito una cippa.
-Vuoi bere qualcosa?- mi domanda e, non so bene come mai ma, a quel punto scatta qualcosa ed è come se mi svegliassi sul serio ora.
Spalanco lo sguardo e finalmente mi rendo conto di ciò che sta succedendo.
Sono svenuta dentro uno Starbucks. Nel caos dell’orario di pranzo. Attorniata da sconosciuti tra i quali vedo i partecipanti all’Academy.
Che ore sono?
No. Non è esattamente questo che dovrei domandarmi ma, piuttosto, chi mi ha portata fin qui? Cosa è successo dopo che sono svenuta? Quanto tempo sono rimasta senza coscienza?
Ho toccato il pavimento con il resto del mio corpo?!
-No … -rispondo debolmente alzandomi con la parte superiore del corpo piantando i palmi sui cuscini sottili della cassapanca.
Ci sto a malapena e per poco non scivolo con il braccio.
Mi siedo meglio facendo scendere le gambe oltre il bordo mentre mi piazzo la destra sulla fronte.
Sento freddo, e tanto anche. La testa gira ma posso tentare di alzarmi in piedi. Dovrei aspettare solo qualche minuto ancora.
Torno a guardarmi attorno e solamente ora capisco che a parlarmi è stata Fiore, una dell’Academy. Una ragazza che ha sempre il sorriso sul volto.
Mi ricorda Miriam ma Fiore è molto più solare con i suoi capelli corti, biondi, e gli occhi d’un azzurro chiarissimo che fa quasi spavento. Sembrano quasi bianchi.
-Devo andare- dico in maniera frettolosa. Evito di vagare con lo sguardo anche sugli altri perché il mal di testa peggiorerebbe.
Una rapida occhiata poi l’ho data comunque e,a dirla tutta, si comportavano come se non mi avessero riconosciuto per nulla.
Bhè, non ci frequentiamo minimamente. E’ vero anche che, se non si guardano le puntate, è normale che non ci si riconosca neppure di faccia.
I dirigenti si aspettano che tutti i ragazzi facciano combriccola e vari gruppi, insomma, amicizia.
E’ difficile però quando non si ha poi molto in comune …
 
Arrivata all’Academy decido di dirigermi al buffet per fiondarmici sopra e mettere qualcosa nello stomaco ma lo trovo totalmente vuoto.
In più Paolo è occupato.
Uno dei cameraman mi informa che sta già insegnando agli altri ragazzi. A quanto pare non mi resta altro da fare che prendere qualcosa alla macchinetta.
Due tramezzini freddi, una fiesta e una cioccolata calda dovrebbero andare bene per rialzarmi la pressione e, con questo, anche il colesterolo.
Infagotto le cartine e i contenitori che ho accumulato e vado a buttarli via quando, avvicinandomi ai distributori automatici, mi imbatto di nuovo in Ezio intento a prendersi una Redbull.
Subito fa il suo sorriso ampio come lo è la sua bocca e socchiude  lo sguardo facendo un “Ehi” del tutto spontaneo con quella faccia.
-Ehi- rispondo facendo un cenno con il mento prima di lasciar cadere la spazzatura dalle mie mani fin dentro il cestino.
-Stai bene?- domanda premendo i tasti per la scelta della bibita.
Visto che ho notato che mi sta lanciando qualche occhiata un po’ dubbiosa, decido di non rispondere a voce ma di annuire piuttosto, ritornando sui miei passi.
- Cos’è successo?-. Mi ferma con questa domanda.
Fosse facile capirlo …
-Pressione bassa- rispondo portandomi la destra alla testa, tra i capelli rossi, socchiudendo gli occhi.
Ho ancora freddo. La punta delle dita è gelida e devo essere parecchio pallida se non cadaverica. Fossi pelle e ossa farei più impressione.
Ezio annuisce a ritmo di chissà quale musica mentre si china un po’ per prendere la lattina appena caduta dal ripiano sul quale era posata.
La testa gli rimbalza sul collo come quelle dei cagnetti che piacciono tanto a mia madre. In macchina, sul cruscotto, il muso di quei cani che ad ogni buca facevano su e giù, è uno dei tanti ricordi dei viaggi in cui ci avventuravamo per vedere i concerti di mio padre.
Mi sono distratta la lo sportello della macchinetta fa un rumore improvviso quando si richiude e quindi torno al presente osservando Ezio con in mano la lattina. La apre con uno schiocco e ne beve una buona sorsata infilando la mano libera nella tasca della felpa.
-D’accordo … Bhè, se stai bene … - dice prima di farmi un cenno di saluto e dirigersi verso le salette di studio.
Faccio un profondo respiro ed espiro dirigendomi verso la stanza delle prove dedicata a me.
Ce ne sono poche di porte in quel corridoio e trovo difficile pensare che veramente ognuno di noi abbia un proprio studio ma la faccenda al momento non mi interessa. Voglio raccontare a Paolo quello che è successo.
 
-E’ successo qualcosa oggi?-
-No, niente … -rispondo a Paolo poggiandomi allo schienale della sedia e fissando senza attenzione la lyrics della canzone di Fabrizio Moro.
-Domande?-
-Come sto andando all’interno del programma, secondo te?- chiedo, rispondendo quindi alla sua domanda e puntando lo sguardo verso di lui che risponde praticamente all’istante.
-Benone. Non ci sono problemi e neppure intoppi-.
Ero certa che avrebbe risposto così e la cosa mi fa innervosire ancora di più.
-Ma piantala … Sono arrivata penultima nella classifica settimanale. Te ne ricordi?- dico incrociando le braccia di fronte a me.
Forse è anche per questo che non voglio dire a Paolo quel che è successo a pranzo.
Sarebbe inutile ai fini del programma e lui continuerebbe a dire: “Va tutto bene, non ci sono problemi e neppure intoppi” con quell’aria serena che si porta sempre dietro. Il più delle volte è rilassante ma in momenti simili fa solo che venire i nervi.
A quel punto Paolo, levandosi gli occhiali dal naso e poggiandoli vicino al giornale che stava leggendo fino a pochi minuti fa, inizia a fissarmi posando il mento sulle dita delle mani intrecciate e poggiando i gomiti sul tavolo.
-Sei sicura che oggi non sia successo nulla?-
Tipico. Cambia discorso.
Lo conosco da poche settimane ma quasi ogni giorno ce l’ho di fronte, nella stessa stanza, per almeno una o due ore. E’ bastato per imparare almeno tre o quattro cose su di lui.
-Sicura- dico abbassando lo sguardo e riprendendo in mano il testo della canzone facendo finta di leggerla.
Lui non smette di fissarmi con l’espressione seria ed è difficile continuare a far finta di nulla.
Mi schiarisco la voce. Ci provo sul serio a rileggere le parole ma a metà della seconda frase mi fermo e lascio ricadere i fogli sulla scrivania andando indietro con la schiena poggiandola allo schienale della sedia.
Rassegnata, confesso.
-Sì. E’ successo qualcosa. Contento?- sbotto irritata facendo un gesto di stizza con la destra prima di incrociare le braccia ancora una volta davanti a me. Volto il capo per portare lo sguardo alla mia sinistra.
Da quando c’è una pianta nello studio?
-A scuola? Sul pullman? Quando è successo?- chiede con una voce diversa dal solito.
In un primo momento neppure ci ho fatto caso ma sembra quasi di stare di fronte ad un avvocato o ad un agente.
-Oggi volevo pranzare allo Starbucks con tutti gli altri. Dovevo andarci con Miriam ma non ha potuto e alla fine stavo tornando verso gli studi quando ho incrociato Ezio. Lui stava andando a pranzare, mi ha invitata a stare con il gruppo della trasmissione e ho pensato di andarci … -
-Hai pranzato con loro quindi?- mi interrompe assottigliando lo sguardo mentre abbassa le mani sulla scrivania.
Perché questa domanda?
-No-
-Quindi, che è successo allora?- domanda facendo un’alzata di spalle.
Non capisco.
Che si aspettava?
-C’era molta gente. Ho avuto uno sbalzo di pressione e sono svenuta. Poco dopo mi sono risvegliata su una delle cassapanche dello Starbucks con gli altri che mi fissavano come fossi stata un ufo e sono andata agli studi. Tutto qui-
Non è nulla d’importante. Di un episodio simile non ho di che preoccuparmi neppure se fossi più famosa di quello che in realtà sono.
Paolo rimane a pensarci un po’ su e fa cenno affermativo rimettendosi gli occhialini sul naso e sorridendo di nuovo come poco fa.
Tutto passato. E’ come se si fosse preparato al peggio e avesse scoperto che non era capitata la situazione brutta che si era prefissato.
Ma, che “peggio” si era aspettato Paolo?




NdA:

Ripeto:
"Ringrazio preventivamente chi mi darà critiche costruttive o chi mi farà notare eventuali errori presenti in questo capitolo (anche chi mi scriverà qualche bel commento, certamente non disdegno nulla xD).
So che sono una frana con la grammatica e con i tempi verbali... Mi scuso anche per eventuali insulti a generi e personaggi musicali amati da tanti. Non è nulla di personale, solo l'opinione dei personaggi.
In questa storia non voglio mettere in cattiva luce gli emo, i fanatici della moda e delle discoteche o i fan di Laura Pausini e di Emma, ecc ecc... La storia è raccontata dal punto di vista di Dreda la protagonista, non il mio come autrice."

Finalmente sono riuscita a postare il terzo capitolo ... è stato complicato e temo non sia venuto un granchè purtroppo. Ho in testa i successivi episodi ed ho passato il tempo ad appuntarmi vicende varie tralasciando un po' troppo questo.
Oggi finalmente l'ho rivisitato e rimesso in riga. Infine, soddisfatta, ho deciso di postarlo.
Mi spiace di averci messo tanto.

Spero vi piaccia ^^

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