Looking for happiness;

di EffyPierce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - What's a smile? ***
Capitolo 2: *** - Where have you been all my life? ***
Capitolo 3: *** - Victim. ***
Capitolo 4: *** - Let me save you. ***



Capitolo 1
*** - What's a smile? ***


Questo è tutto ciò di cui sono certa.

Mi chiamo Vickie. Ho 17 anni.
Io cado dentro le cose e spesso mi capita di sbucciarmi le ginocchia.
Vorrei dire la cosa giusta al momento giusta e sentirmi accettata per una volta.
Vorrei che non me ne fregasse niente del mio aspetto e invece non mangio per essere migliore, più bella.
Mi piace il latte, ne bevo una grande tazza la mattina e la sera, prima di dormire con la vana speranza che scacci via quell’incubo.
Amo le sorprese ,odio la monotonia.
Gli occhi di mia madre sono saturi di infelicità e io non riesco a cambiare le cose.
Vorrei non essere mai stata bambina, vorrei  non avere mai visto mio padre uccidere mia sorella.                                                                                                                                              

Ho mentito e ho deluso un sacco di persone. Quelle che amavo le ho perse quasi  tutte. 
Non mi piace avere paura ma la cosa che odio di più è soffrire. Perché ho già sofferto troppo, non dovrebbe esserci una specie di giustizia divina in questo mondo? Darei tutto per rinascere un’altra volta. Per non conoscere la violenza, l’anoressia e la droga.

“Quando ti droghi, quando vendi il tuo corpo significa che non ti vuoi nemmeno un po’ bene” . Ed è proprio così. Non me ne frega un cazzo se questo mi porterà dritta verso l’inferno, quello vero.

Ho un tatuaggio nel fondoschiena, con scritto “Die trying”. Mia madre quando l’ha visto ha pianto. Che ipocrita: entrambe sappiamo che lei se avesse avuto qualche capello bianco in meno l’avrebbe fatto.  Noi siamo molto simili, eccetto per una cosa.
Io non avrei MAI lasciato che l’uomo che amo mi trattasse come una schiava e che uccidesse di botte mia figlia e rovinasse l’altra. Tutto qui.

Amo il nero.
Nero come lo smalto che non tolgo mai.
Nero come i corvi che si appoggiano alla mia finestra.
Nero il pennarello indelebile con cui ho cancellato dal mio certificato di nascita il nome di mio padre.
Nero come il vestito che indossavo al funerale di mia sorella.                                                                                            
E’ il colore della mia vita insieme al rosso.                                                                                                                               
Rosso come il sugo di pomodoro che preparava la nonna,
Rosso come il rossetto che indossavo quando mi prostituivo.
Rosso come il sangue che usciva dalla bocca di mia sorella pochi secondi prima di morire.


Credo che l’amore sia la fine di tutti. In una coppia c’è sempre quello che ama incondizionatamente in modo disperato e malato e quello che ne approfitta per qualche motivo perverso, usando il partner come oggetto da utilizzare per soddisfare qualche bisogno sessuale o peggio.

Io non voglio innamorarmi perché questo potrebbe complicare ancora di più le cose.

A volte, non so nemmeno il perché sono non mi sono ancora uccisa. Non ho niente che mi tenga legata a questa vita, se non la musica. Si può forse vivere di musica?                                                                                                                          

A volte, vorrei capire cosa si prova a sorridere. Io non ho mai sorriso nella mia vita. Dicono che sia bello, che allunghi la vita e che faccia stare bene. Bah, io non ho mai trovato il motivo per farlo.

Mi basterebbe un attimo di felicità, così solo per vedere come ci si sente. Me lo merito vero? Mi piace pensare che la risposta sia sì.
Riuscirò mai a trovare una persona che mi voglia bene e  che non scappi davanti alla mia vita?
Ho paura che questo sia un no.


E a me non piace avere paura.

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Capitolo 2
*** - Where have you been all my life? ***


“No ti prego, non farlo” Lo imploravo, piangevo, tremavo. “ Sssh, non mi piace sentirti piangere…”Diceva lui mentre mi scrutava con occhi vuoti e privi di emozione. Con una mano teneva il mio collo, con l’altra accarezzava i miei capelli. “E allora non darmi le botte, per favore..” Questa volta a stento usciva la voce, tanto stretta era la sua presa intorno al mio collo. “Ma tesoro ho detto che non mi piace sentirti piangere, non che non mi piaccia il suono delle tue urla” E così inizio la tortura. Quella mano che prima mi accarezzava iniziò a schiaffeggiarmi violentemente, l ’altra mi teneva ferma. Mi alzò, toccando piano il mio sedere e mi tolse la camicia da notte. Mi distese sulla tavola, togliendo anche l’intimo e salendo a cavalcioni sopra di me. Sentivo le sue mani ovunque e faceva male. Molto male. Urlavo ,la gola bruciava. La sua lingua leccava le mie parti intime, le sue unghie graffiavano la mia pelle delicata. Si fermò per qualche attimo, il tempo di spogliarsi e poi ricominciò. Il suo corpo nudo spingeva sul mio corpo da appena adolescente. Finito lo stupro, veniva la violenza. Mi diede qualche pugno e qualche calcio, sentivo il sapore del sangue sulle mie labbra. Poi svenni.
 

Dovevo smetterla. Ricordare l’inferno che avevo passato non mi avrebbe di certo aiutata a dormire. Dovevo stare tranquilla. Mio padre era in carcere adesso e là sarebbe stato fino alla sua morte. Ero sollevata del fatto che non l’avrei più rivisto. Guardai la sveglia, mancava poco per la scuola. Andai in bagno, misi un po’di matita e fondotinta, pettinai i miei capelli rossi e li piastrai un pochino. Mi misi un paio di jeans e una t-shirt bianca con qualche scritta stupida. Scesi e mi scaldai la mia solita tazza di latte. Poco dopo arrivò mia madre, con la solita vestaglia ocra e sue occhiaie profonde.  
“Ciao Vickie ”
La fulminai con lo sguardo “Buongiorno Lizzie ”
Non la chiamavo mamma da cinque anni. Lei si diceva delusa e indignata. Ipocrita del cazzo. Quando mio padre ci violentava lei non muoveva un dito. Chissà magari godeva pure a essere stuprata la stronza.  Non l’avrei mai perdonata per questo.
Presi lo zaino e me ne andai senza salutare. Presi l’Ipod e misi “ Alibi ” dei 30 Second To Mars. Amavo quella canzone. O meglio adoravo tutte le loro canzoni. Erano una forza della natura. Dopo una decina di minuti arrivai a scuola. Odiavo abitare vicino scuola. Certo aveva i suoi pro, ad esempio non dover fare km a piedi per prendere la corriera, rischiando poi di rimanere pure in piedi. Ma il copiare i compiti? E la scusa del “ ho perso la corriera ” quando si era in ritardo?
Ero ferma davanti al mio armadietto, con le spalle rivolte verso al corridoio quando qualcuno mi toccò la spalla. Sussultai ,il mio respiro divenne subito affannoso, le mani cominciarono a tremare e il mio cuore perse un battito. Cazzo ,non riuscivo proprio a comportarmi come una persona normale.                                                             
“Sc..scusa non volevo spaventarti ” Fece una voce profonda e preoccupata. Mi voltai e vidi due occhi color del cielo anzi no, del mare. Ma erano molto più belli di entrambi.                                                                        
“Bè l’hai fatto. Cosa vuoi? ” Non volevo essere maleducata ma non mi andava di fare amicizia. Non mi andava di tenere alle persone.                                                                                                                                                                                    “Scusa sono nuovo qui. E’ il mio primo giorno e ho pensato che, visto che saremo nella stessa classe, mi avresti potuto dare una mano ” Disse lui, sorridendo. Ma che cazzo?!                                                                                   
Punto numero uno : mi aveva forse presa per una guida turistica?Punto numero due : stessa classe? E’ un veggente, legge i tarocchi? Come cazzo fa a dire che siamo nella stessa classe?Punto numero tre : era decisamente troppo intraprendente per i miei gusti.                                                                                                 
“E  tu come cazzo fai a dire che siamo nella stessa classe? O meglio, come fai a sapere in che classe sono? Se sei uno stalker ti conviene starmi lontano non ci metto niente a darti un calcio nei coglioni, stronzo ”. Mi aspettavo che se ne andasse o che cominciasse ad urlare o che, se era uno di quei nerd scassapalle, andasse a piangere dal preside. E invece scoppiò a ridere. Si stava divertendo. E io avevo una voglia pazzesca di prenderlo a schiaffi.                                                                                                                                                                                                                           “ Complimenti, hai carattere. E mi dispiace deluderti ma non sono uno stalker, anche se per te lo potrei diventare. Ehi, non  guardarmi così, sto scherzando. Comunque tu sei in 4B e lo so perché vedi, in segreteria mi hanno detto che tu sei la  rappresentante di classe e che spetta a te occuparti dei nuovi alunni .  Ok, questa non me l’aspettavo. Mi ero completamente dimenticata che toccava a me accogliere i nuovi alunni. Merda, merda, merda. Rimasi per qualche secondo a bocca aperta, poi il mio cervello riprese a funzionare.                                                                                                                                                                                                                              
 “ Oh, già..Non volevo essere scortese ” Oh wow. Molto originale, davvero. E convincente soprattutto. Ma che cazzo mi stava succedendo?                                                                                                                                                                                        “ Ah non ti preoccupare. Io sono Freddie ” Mi porse la sua mano. Aveva delle mani grandi e affusolate. Erano bellissime. Feci uno sforzo enorme per porgergli la mia mano. Facevo molta fatica ad avere del contatto fisico con persone dell’altro sesso.                                                                                                                
“ Ehm..Io sono.. ” Come cazzo mi chiamavo? Ah già, Vickie. “ Vickie ”. Mi guardò incredulo, deve avermi preso per una pazza scatenata.                                                                                                                                        
“Piacere ” Dissi con un filo di voce.                                                                                                                                      
“Nah ,il piacere è tutto mio ”. Era la prima persona felice di avermi conosciuto.                                                                                      
“Bè che dici, mi accompagni in classe? ”                                                                                                                                                                     
“Ce..Certo. Sì subito.” Ok la dovevo smettere. E in fretta. “ Seguimi ”.                                                                                                
 Sentivo che camminava in fianco a me, attento a non sfiorarmi. Le mie reazioni dovevano averlo colpito parecchio. Chissà che pensava. Giungemmo in classe e io mi sedetti al mio posto, vicino a Alice.                                                        
Alice era…quello che si avvicinava di più ad un’amica. Lei sapeva tutta la mia storia e, a differenza degli altri, questo non l’aveva fatta scappare e mi era rimasta “vicino”. Aveva fegato la ragazza. Era minuta, normopeso e bionda. Purtroppo però non potevamo essere giudicate amiche. Lei era semplicemente educata con me, niente di più. A volte penso che mi voglia bene. Altre che io le sia completamente indifferente. Qualche volta penso che mi odi.                                                                                                                                                                    

 Mi sedetti ma lei si stava mangiando con gli occhi Freddie. Provai un po’ di pena per lui. Quando Alice puntava qualcuno, sarebbe stato suo a tutti i costi.                                                                                                                                
“Quanto figo è? Solo Dio sa cosa gli farei. . ” Disse, leccandosi il labbro. Bè, Freddie era oggettivamente bello, ma io non ero il tipo di ragazza che sbavava dietro ad un bel faccino.                                                                                
“Non è male.. ” Dissi io, minimizzando.  Alice mi guardò come se avessi appena detto una bestemmia o peggio.                                                                                                                                                                                                                          “Non è male?! Tu sei scema forte è! ” Disse parecchio infastidita.                                                                                                              
Non feci in tempo a ribattere perché entrò la prof. Steck, quella di biologia. Con aria annoiata presentò a tutti Freddie. Faceva Mist di cognome. Cognome un po’ stupido direi.                                                                                                  
“Come si è trovato signor Mist? ”                                                                                                                                                                                  
“ Bene, grazie signora Steck. La nostra rappresentante di classe, Vickie, mi ha accolto in modo lodevole. E’ stata molto gentile e disponibile. E approfitto di questo momento, per ringraziarla davanti a tutta la classe. ”                                                                                                                                                                                                  
Era impazzito. Era l’unica risposta plausibile. Cosa cazzo stava dicendo? Si era bevuto il cervello? Non mi voltai nemmeno verso Alice, già sapevo che mi stava incenerendo.  Dopo io e Freddie avremmo fatto i conti, su quello non c’era dubbio. La lezione continuò, noiosa. Io non ascoltai una parola.  Suonò la campana e Alice mi bombardò di domande: “ Ci hai parlato? Perché non me l’hai detto? Ti piace? Avete un appuntamento? Hai il suo numero? ”                                                                                                                                                               “Alice,respira. L’ho semplicemente accompagnato qui,niente di più. Sinceramente non ho idea del perché di quella sviolinata ”.                                                                                                                                                                                                    
 Stranamente, mi credette.                                                                                                                                                                                    
 

Nell’ora successiva, mi arrivò un bigliettino. Era di Freddie. C’era scritto :                                                                                                                                
“Spero che non te la sia presa per prima, non volevo metterti in imbarazzo. La tua compagna di banco mi fissa in modo inquietante, non so di come tu faccia a sopportarla. Bè questo il mio numero: **********. Che ne diresti se ci sentissimo, ogni tanto?”                                                                                                                                                             
Mi voltai verso di lui e mi sorrise.                                                                                                                                                                        
E stranamente, per la prima volta nella mia vita, mi venne voglia di sorridere

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Capitolo 3
*** - Victim. ***


Quel ragazzo doveva essere pazzo. O dannatamente ingenuo. O entrambe.  
Mi conosceva appena e mi aveva dato il suo numero.  Nessuno si era mai azzardato a fare una cosa simile. Se stava cercando di avvicinarsi a me lo stava facendo nel modo sbagliato: ok, il suo gesto mi ha fatto sorridere, ma io non avevo bisogno di nessuno. Presi il bigliettino e lo strappai. Forse stavo sbagliando ma era l’unica cosa da fare. Era solo questione di giorni e qualche bulletto l’avrebbe informato del mio passato e si sarebbe allontanato, proprio come tutti gli altri. Era meglio ferire per primi se questo ti poteva risparmiare di soffrire. La gente mi avrebbe giudicato egoista o meschina, ma non mi importava. Decisi di evitarlo per il resto della giornata e ci riuscii. Nessuno era bravo come me ad evitare le persone.

Quando tornai a casa Lizzie non c’era. Andai in bagno a rinfrescarmi: aprii il lavandino e mi sciacquai il viso frettolosamente  e poi mi asciugai le mani in un asciugamano che mi cadde distrattamente nel cestino. Mentre lo raccoglievo uno strano oggettino attirò la mia attenzione. Guardai meglio: era un test di gravidanza. Deglutii: in quella casa vivevamo solo in due. Io e Lizzie, mia madre. Non era mio: era da mesi  che non mi prostituivo ed ero comunque sempre stata attenta. Doveva essere suo. Feci un sospiro profondo e controllai: era positivo. Lizzie era incinta. Scoppiai a piangere. Non dalla tristezza, ma dalla rabbia.
Cosa cazzo stava facendo mh? Chi l’avrebbe mantenuto un figlio?! Con che soldi? E con chi aveva scopato per rimanere incinta? Corsi in camera e accesi una sigaretta e poi un’altra e un’altra ancora, finchè finii tutto il pacchetto. Quando sentii che mia madre stava rientrando in casa la aspettai seduta sul tavolo della cucina, con il test in mano.

“Si può sapere cosa cazzo combini? Come ti è saltato in mente di farti mettere incinta? Non pensavi a me quando ti facevi scopare? Ma certo che no, tu non hai mai pensato a me o a mia sorella! Hai sempre e solo pensato a te stessa, stronza! “                                                                                                                                                                                              “ Vickie ti prego di calmarti. Non mi posso agitare in questo stato.”
“ Non ti puoi agitare? Lo sai quanto me ne frega?”
“ Se non vuoi farlo per me, fallo per lui” Disse lei, indicando il pancione.
“ No non ci devi proprio provare ad intenerirmi con il discorso del bambino. Perché quel bambino non avrà futuro. Chi lo mantiene se nasce? Tu, prostituendoti forse? Io so cosa vuol dire avere una madre come te e non lo auguro nessuno.”
“Stai zitta.”
“Dammi un buon motivo per farlo. E cosa mi dici del padre? Chi è lo stronzo? Qui non c’è posto per uomini. Se lui si trasferisce qui me ne vado io.” Detto questo uscii dalla stanza sbattendo la porta.
Quella donna continuava a deludermi. Diceva di volere il mio bene, che gli dispiaceva per tutto quella che era successo. Eppure continuava ad andare a trovare in carcere l’uomo che mi aveva rovinato la vita e aveva ucciso sua figlia. Le sue erano solo parole. Delle stupide e insignificanti parole.

Corsi in camera mia, trattenendo a stento le lacrime. Aprii l’armadio: era pieno di vestitini trasparenti, jeans stretti e felpe troppo grandi. Ma c’erano anche dei brandelli di un vestitino rosso e nero e delle grandi orecchie da topo. Era la maschera di Minnie che Rebekah, la mia defunta sorella maggiore aveva indossato per l’ultimo Carnevale della sua vita, 10 anni prima.

“ Rebekah dove sei? E ora di prepararci per la festa! “ Era da un po’ che la chiamavo e stavo cominciando ad agitarmi. Mi succedeva sempre quando lei non c’era. Finchè non la vidi : era vestita da Minnie. Indossava un grazioso vestito rosso a righe nere ,con delle ballerine di vernice. Tra i capelli biondi spuntavano due grandi orecchie da topo. I suoi occhi erano circondati da tanti brillantini oro e nel suo viso un sorriso puro e ingenuo splendeva.
“Ma io sono già pronta” Disse lei, divertita. Lei riusciva sempre a stupirmi. Mi aiutò a mettere la maschera da Paperina e mi truccò gli occhi. Eravamo una negli occhi dell’altra, così vicine da sentirci una cosa sola. Ma nell’altra stanza c’erano delle urla. Urla di piacere. 
“Becky..ho paura di papà.” Dissi io, tremando.
“Vickie non ti devi preoccupare..Finchè ci sarò io con te andrà tutto bene” Me lo ripeteva spesso e io ci credevo. O almeno volevo crederci. 
Improvvisamente nostro padre entrò nella nostra cameretta, urlando: “Perché siete vestite così? Pensavate forse di uscire per Carnevale?! Stupide bambine…” Si avvicinò a me e mi accarezzò la guancia con disprezzo… “Vickie che ne dici di venire di là con me? Sai Paperina è sempre stata il mio personaggio preferito della Disney..”
“ Non toccarla, prendi me, ma lascia stare lei, per favore “ Era la voce di Becky, fiera e sicura come lo era stata qualche minuto prima. Lui sorrise e si avanzò verso di lei, divertito.
“ Oh ma sentila, così protettiva verso la sorellina.. E va bene, oggi voglio essere buono e mi accontenterò di Minnie. Rebekah, seguimi.” 
Cominciai a piangere e a tremare. La testa mi girava vorticosamente e un conato di vomito mi colpì.
“ Tesoro non fare così.. Chiudi la porta e cerca di dormire, io tornerò tra poco “ Disse lei, cercando di sorridermi. Ma anche se avevo solo otto anni, non ero così stupida da non capire quello che stava per accadere.
Quando se ne andò con mio padre, le urla ricominciarono mentre inzuppavo un cuscino di lacrime. Potevo sentire il suo vestitino strapparsi e le unghie di mio padre affondarsi nella sua pelle. 
Era come vivere in un incubo.
 

Quel ricordo faceva ancora male. Lacerava il mio cuore ogni volta di più. Rebekah era stata la mia unica ragione di vita. L’unica che mi proteggeva. L’unica che mi faceva sentire amata. Un raggio di sole in un’infanzia buia.
Da quando la morte l’aveva presa con sé la mia vita era come un deserto. Vuota e miserabile continuavo a vivere all’ inutile ricerca dell’acqua. A volte mi sembrava di averla trovata ma subito mi accorgevo di essere soltanto vittima di un miraggio. Vittima della cattiveria dell’uomo, vittima di un destino crudele che sembrava non averne mai abbastanza di vedermi soffrire. Pareva quasi che il mondo godesse del mio dolore, che si nutrisse delle mie lacrime e delle mie paure.
Era calata la sera. Il cielo non aveva stelle ed io non avevo amore.
Avevo bisogno di distrarmi. Avevo bisogno di oltrepassare i limiti.
Mi misi un paio di pantaloncini corti e una canottiera scollata, presi dalla cassaforte qualche banconota e uscii di casa sbattendo la porta. Entrai in un pub e ordinai da bere. Bevvi un bicchiere di vodka. Poi un boccale di birra. Poi un po’ di bourbon. E poi qualche superalcolico. Andai in centro alla pista e mi scatenai , ballando in modo sensuale e spregiudicato. Sentivo mani nelle mie cosce e lingue insinuarsi nella mia bocca.
Ma non mi importava.
L’unica cosa che contava era non soffrire più.

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Capitolo 4
*** - Let me save you. ***


- Let me save you

Non pensavo a niente. Non mi accorgevo di niente. Non me ne importava niente. Ero in balia dell'alcool, non ero più responsabile delle mie azioni.

Per questo quando vidi un ragazzo picchiare tutti quelli che "ballavano" con me non me ne curai. Sentivo qualcuno urlare il mio nome, e io cominciai a scappare, non volevo che qualcuno che mi conosceva mi vedesse in quello stato. Non volevo essere vista, volevo essere invisibile. Insomma, per me sarebbe stato solo un vantaggio. Se fossi stata invisibile nessuno avrebbe potuto più giudicarmi, perchè nessuno si sarebbe accorto di me. In questo modo sarei rimasta sola, ma non potevo sopportare altre critiche. Non importava il mio bisogno d'affetto, meglio sola che mal accompagnata.

 Il ragazzo cominciò a rincorrermi, con il fiato corto ed io mi fermai, esausta. La testa mi girava ed ero sul punto di svenire. Le gambe non mi reggevano più. Prima di crollare feci solo in tempo a riconoscere il ragazzo. Fui subito pervasa da un ondata di fastidio e feci in tempo a sussurare "Freddie".


Quando mi risvegliai avevo un mal di testa pazzesco e non ricordavo pressochè nulla. Ricordavo solo di aver scoperto che mia madre era incinta, di essermi arrabbiata molto e di essere scappata. Il resto era intuibile. Sicuramente mi ero ubriacata. Però non riuscivo a spiegarmi il fatto di essere distesa in un letto, in una casa a me sconosciuta. Ubriaca, mi ero forse prostituita? Oppure, mi ero semplicemente concessa a qualche verme che, credendosi furbo, aveva approfittato di me? Notai però di essere ancora completamente vestita  e mi sentii sollevata. Almeno non avevo fatto sesso con chissà chi. Ma dov'ero? E soprattutto come ci ero arrivata lì?

Mi guardai attorno. Ero sicuramente in una camera di un ragazzo. Era una stanza completamente nera, sul muro erano appesi alcuni poster di qualche donna mezza nuda e di calciatori. Sul comodiono c'era un Ipod e nella sedia accanto alla scrivania delle t-shirt azzurre e verde militare. L'armadio era piccolo e apparentemente ordinato e nel pavimento c'era un sacchetto di patatine, dei calzini sporchi e tre paia di scarpe.

"Oh, grazie al cielo ti sei svegliata!" Una voce disgraziatemente familiare interuppe la mia analisi. Quello era Freddie. Non potevo crederci. A casa di chiunque, anche di una maniaco ma non nella sua. Sembrava così' preoccupato e buono. Non mi andava di incasinargli la vita. Non mi andava di averlo sempre appicicato.

"Ti do cinque secondi per spiegarmi come ci sono arrivata qui. E non ti conviene mentire." La mia voce era seria e stanca.

" Eri in discoteca. Stavi facendo una specie di ballo-scopatorio con dei tipi. Io ho attaccato rissa con alcuni di loro e tu hai cominciato a correre. Ti ho rincorso e tu mi sei praticamente svenuta davanti. E io ho sempre avuto un debole per le damigelle in pericolo" Aggiunse, con un sorriso malizioso.

" Giuro che se mi hai anche solo toccata con un dito io ti uccido." Lui sbarrò gli occhi, sorpreso e disgustato.

" Ti sembro una specie di maniaco? Io non approfitterei mai di una ragazza. Tantomeno se ubriaca e piena di problemi come te".

Le sue parole in un certo senso mi colpirono, ma non lo diedi a vedere. " Bene ora vado. E non azzardarti a dire a qualcuno quello che è successo. Intesi?"

"No. Tu non te ne vai in queste condizioni. Avrai un mal di testa terribile e hai dormito per dodici ore. Dovresti mangiare o pisciare e.."

"Oddio, Torna un attimo indietro. Dodici ore? Tu mi stai dicendo che ora è pomeriggio? Cazzo, devo andarmente immediatamente. Dov'è la mia borsa? Dammi la borsa."

"Non così in fretta tu mi devi anche delle spiegazioni".

"Sinceramente io non ti devo un cazzo. Nessuno ti ha chiesto di portarmi qui. Nessuno ti obbliga a fare l'eroe."

Lui sorrise e uscì dalla camera chiudendola a chiave.

Fantastico. "Freddie. apri subito questa cazzo di porta o giuro che mi butto dalla finestra. O ti denucio. Sì ti denuncio per sequestro di persona. Freddie!" Lo sentivo ridere dal piano di sotto. Quanto avrei voluto prenderlo a pugni. Mi risedetti sul letto, in attesa che tornasse. Appena avrebbe aperto la porta mi sarei buttata verso questa a mo' di fionda. Dovevo recuperare la mia borsa e uscire da quella casa.

Ma lui mi spiazzò. Entrò con un vassoio pieno di cibo. Un cappuccino, delle fette biscottate con la nutella, degli yogurt, un bicchiere d'acqua con una pastiglia accanto, delle fette di torta e persino del pane con qualche fetta di prosciutto e formaggio accanto.

"Mi stai prendendo in giro? Sei stato in pasticceria per caso? Io non mangio."

"Oh no. Tu mangi. Tranquilla non ho avvelenato nulla." Mi sorrise. Lui sorrideva spesso.

"No davvero io non mangio. Non mangio mai." Sussurai.

"Eh? Oh, ma sei matta davvero allora? Tu devi mangiare è da un giorno che non mangi!"

"Sono affari miei ok? Dammi la borsa che me ne vado?" Mi alzai, e lui mi si parò davanti. Era più alto di quanto ricordavo e in un certo senso mi intimoriva.

"Dimmi che non sei quello che sto pensando".

"Un vampiro?" Dissi, mostrandomi disinvolta. "No, mi dispiace, questo non è Twilight".

"Vickie, smettila e fai la seria per una volta! E dimmi che tu non sei anoressica."

Mi erano venute in mente milioni di risposte cariche di sarcasmo, ma risposi nel peggiore dei modi. Dissi la verità.

"Esserlo è l'ultimo dei miei problemi."

Questa risposta lo sconvolse. Non si aspettava che gli dicessi la verità e sinceramente nemmeno io mi aspettavo di riuscire ad essere sincera. Forse sperava che i suoi sospetti fossero infondati.

"Freddie tu non sai niente di me. Sei appena arrivato qui e non sai cos'è stata la mia vita. Tu non sai quello che ho passato. E appena lo saprai reagirai proprio come tutti gli altri."

"Hai ragione sai?Io non so niente di te. Ma sono sicuro che tu hai bisogno di aiuto. Sei anoressica, fumi, ti ubriachi e chissà che altro fai. In questo modo ti rovinerai. Lascia che io ti aiuti. Non puoi continuare ad allontanare le persone, rimarrai sola. Lascia che io ti salvi."

"Basta, smettila!" Stavo urlando. "Tu non mi conosci non conosci la mia storia! E quando qualcuno te la dirà, scapperai proprio come tutti gli altri. Tu non sei diverso da loro. Non sei un eroe. Non sei niente." Iniziai a piangere, troppo ricordi stavano tornando. "Tu mi devi ascoltare, mi devi lasciare stare. Nessuno mi può aiutare, la mia vita è segnata per sempre. Io sono destinata a questo. Tu sei così ingenuo, non sai cosa significa soffrire, la vita non ti ha ancora insegnato nulla. Amare è distruggere. Fidarsi di qualcuno è inutile. Tenere a qualcuno ti farà solo soffrire. Perchè quel qualcuno ti deluderà. Quindi no, tu non mi puoi salvare. Nessuno lo può fare. E ora per favore, fammi uscire da qui!" Singhiozzavo, piangevo, avevo perso il controllo.

Freddie era visibilmente scosso e spaventato. Mi lasciò passare "Come vuoi. La tua borsa è al piano di sotto, all'ingresso. La porta è aperta. Ma sappi che non è finita qui. Io non mi arrenderò. E che tu lo voglia o no, ti tirerò fuori dal baratro in cui sei precipitata. Anche se tu non vuoi lasciaare che io ti salvi, lo farò comunque."

Stronzate, pensai e uscii da quella casa maledetta.

Tornai a casa, distrutta. Mia madre non c'era. Mi feci una doccia e mi ributtai a letto.

Continuavo a pensare alle parole di Freddie. Avrei tanto voluto credergli. Ma non ero ingenua, sapevo come sarebbe finita.

Ripensai alla sua espressione sconvolta, quando ammisi davanti a lui la mia anoressia. Lui mi giudicava per questo proprio come tutti gli altri.

Nessuno mi capiva. Io odiavo me stessa. E odiavo anche il mio corpo. Vedevo i corpi perfetti delle modelle e mi sentivo sempre più brutta. Indesiderabile. Tutti mi dicevano che ero magra ma io mi vedevo grassa. E mangiare non mi rendeva felice, non mi faceva stare bene. Mangiavo quel poco che bastava per sopravvivere. Ma bevevo molto.

Ogni volta che mangiavo mi sentivo in colpa, come se stessi infrangendo qualche regola. Sentivo di meritare una punizione. Io non dovevo mangiare perchè ero già brutta dentro, non lo potevo essere anche fuori.




Tatatatatatan (?)

Sono tornata, ora che la scuola è finita.

Che dire, questo capitolo non è granchè è un po' corto ma io non li faccio mai molto lunghi xD

Ci fa capire meglio la nostra complessa protagonista.

E il suo rapporto con Freddie. Sarà sincero?


Ditemi che ne pensate con qualche recensione e mi renderete una ragazza felice :)

A presto.

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