A Lima Side Story di yu_gin (/viewuser.php?uid=131123)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I come from the other side, please look at me! ***
Capitolo 2: *** I'm not like the boy you met last night ***
Capitolo 3: *** sorry, I may be in love with you ***
Capitolo 4: *** nice to meet you, again ***
Capitolo 5: *** can I have a second chance? - maybe a third? ***
Capitolo 6: *** why do you make me act up? ***
Capitolo 7: *** Courage: you are not alone ***
Capitolo 8: *** a new direction ***
Capitolo 9: *** this is my past ***
Capitolo 10: *** guess who's coming to dinner? ***
Capitolo 11: *** ops, there you are ***
Capitolo 12: *** shake it out ***
Capitolo 13: *** calling you ***
Capitolo 14: *** so proud of you ***
Capitolo 15: *** i've been changed for good ***
Capitolo 16: *** be my valentine ***
Capitolo 17: *** talk to me ***
Capitolo 18: *** regionals ***
Capitolo 19: *** a house is not a home ***
Capitolo 20: *** looking for forgiveness ***
Capitolo 21: *** unforgettable night ***
Capitolo 22: *** the way of love ***
Capitolo 23: *** this is our night, this is our life ***
Capitolo 24: *** always ***
Capitolo 1 *** I come from the other side, please look at me! ***
A
Lima Side Story
Capitolo
1: I come from the other side, please look at me
Kurt
uscì dalla doccia e afferrò un asciugamano. Poi, dopo
essersi coperto lo stretto indispensabile, corse fuori in corridoio,
lasciando le proprie impronte bagnate sul pavimento.
«Finn!
Maledizione, Finn, dove sei?»
Arrivato
in salotto vide suo fratello seduto in divano con una birra in mano
intento a guardare la partita.
Il
ragazzo si voltò verso di lui:
«Sei
nudo. E bagnato» constatò.
«Ma
bravo.»
«E
dovresti essere pronto.»
«Dovresti
esserlo anche tu. Sono in supermegaiperultra ritardo e tu non sei
d'aiuto» sbraitò.
«Non
esagerare, sono solo le-» guardò l'orologio e sbiancò.
«Oh porca-»
«Appunto!»
Finn
sbuffò: «Infilati un paio di mutande, prendi i vestiti e
salta in macchina. Ti vestirai strada facendo.»
Kurt
lo guardò, strabuzzando gli occhi: «Stai scherzando?»
«Per
nulla. Almeno arriveremo in orario» disse. Era perfettamente
serio, cosa che già di per sé era strana da parte di
Finn.
Kurt
si voltò e se ne andò con una vera camminata da drama
queen. Si fiondò nella propria camera e aprì l'armadio.
Afferrò dei vestiti a caso e li ficcò nella borsa della
palestra di Finn insieme a pettine, lacca per capelli, profumo,
qualche trucco e spray al peperoncino.
Si
infilò il giubbotto e le scarpe, poi prese la borsa e corse
fuori. Scese le scale a tre a tre. Fuori suo fratello lo aspettava in
macchina.
Si
sedette accanto al guidatore e, prima ancora che avesse il tempo per
allacciarsi le cinture, Finn partì. Solo allora si tolse il
giubbotto e aprì la borsa, cominciando a vestirsi.
«Oggi
le mie gambe sembrano particolarmente fantastiche» disse Kurt,
infilandosi i pantaloni.
«Non
distrarmi mentre guido con le tue uscite da fotomodello!»
protestò Finn.
«E
perché non dirlo? In fondo è solo grazie a queste
gambe, per questo visetto da angelo e per questo fantastico culetto
che mi ritrovo che riusciamo a mangiare.»
«Già,
se solo non fossi così stupido da non riuscire a trovarsi un
lavoro decente.»
«Ne
abbiamo già parlato, Finn. Il lavoro non abbonda e senza un
diploma...beh, c'è ben poco che tu possa fare.»
«Già.
Il posto da barista sono riuscito ad ottenerlo solo perché
riuscivo ad arrivare allo scaffale più alto senza bisogno
della scala.»
«E
perché ti ho raccomandato io.»
«Anche.»
Kurt
aveva finito di vestirsi. Ora indossava un paio di jeans attillati ed
una maglietta che lasciava scoperte una spalla e cadeva larga sul suo
corpo asciutto e perfetto, così da lasciare alle fantasie
perverse degli spettatori immaginare cosa potesse esserci sotto.
Pettinò i capelli ancora umidi e li fissò con la lacca.
Finn
tossì ripetutamente: «Vacci piano con quella roba! Un
giorno ci troveranno morti asfissiati in macchina.»
«Il
prezzo da pagare per avere un fratello così meravigliosamente
bello» rispose, rimettendo tutto in borsa.
Dopo
qualche minuto Finn parcheggiò l'auto nel retro del locale. La
scritta Scandals troneggiava
alta e luminosa così che anche dalla strada principale fosse
possibile vederla.
«Eccoci»
disse Finn, uscendo dall'auto. Kurt lo seguì.
Non
appena varcarono la porta sul retro, una donna li assalì:
«Kurt!
Dove cavolo eri finito? Temevo di doverti sostituire all'ultimo con
il ragazzino che consegna le coca-cole e non sarebbe stata una buona
cosa. Va' a cambiarti e fiondati in pista. Santana è già
lì.»
«Sono
già pronto» disse, lasciando il borsone a Finn.
«Ci
vediamo dopo» disse il maggiore, salutandolo.
Kurt
si voltò verso di lui e accennò ad un saluto. Il suo
volto era già stanco. Ed erano solo le nove di sera.
«Dove
diavolo eri finito?» sbraitò Santana.
«Mi
stavo lavando e Finn non alzava le chiappe dal divano» rispose
Kurt, dandosi un'ultima pettinata ai capelli.
«April
era così incazzata che sembrava sul punto di licenziarti.»
«Non
l'avrebbe mai fatto. Non finché mi ritrovo questo culetto»
disse.
Santana
sorrise: «Già. Se non fossi lesbica-»
«E
se io non fossi gay»
«-penso
ci avrei fatto un pensierino.»
«Magari
in una vita futura» disse Kurt.
«Una
vita in cui io sarò una ricca produttrice discografica e tu
una star pronta per essere lanciata. Vivremmo in una villa così
grande da dover essere attraversata con la macchina e ci alzeremmo
dal letto solo una volta a settimana.»
«Mangeremmo
caviale a colazione, pranzo e cena, tanto che ci verrebbe a nausea.»
«E
utilizzeremmo la faccia di Finn come poggiapiedi» concluse.
«Non
essere cattiva. È pur sempre mio fratello.»
«I
misteri della natura» disse. «Ed ora, in pista.»
Blaine
aprì la porta della propria camera. Corridoio libero. Uscì,
richiudendosela alle spalle, facendo meno rumore possibile. Scese le
scale lentamente, facendo attenzione a non farsi sentire.
Arrivò
in salotto: completamente deserto. Bene. Ormai era fatta.
Arrivò
davanti alla porta di casa e si infilò le scarpe. La aprì
e stava già per uscire quando una voce lo fermò.
«Dove
stai andando?»
Blaine
si bloccò e si voltò.
«Non
sono affari tuoi» sibilò.
«Lo
sono. Sei mio fratello» protestò la ragazza.
«Non
rompere, Rachel» sbottò.
La
ragazza sbuffò: «Si può sapere dove vai quando
esci la sera?»
«Segreto.»
«A
me puoi dirlo.»
«Lo
andresti di sicuro a dire a mamma e papà. Tu non sai tenere i
segreti.»
Rachel
ghignò: «Va bene, allora dirò a mamma che stai
uscendo.»
Blaine
si catapultò verso di lei, chiudendole la bocca con la mano.
«Ti
prego, no!»
«Dimmelo.»
Blaine
sbuffò: «E va bene. Sto andando allo Scandals.»
«Allo
Scand-»
«Shhh!
Vuoi farti sentire?»
«Allo
Scandals? Ma è
un locale promiscuo! E poi, dicono che sia un ritrovo gay.»
Blaine
si chiese come avrebbe mai potuto fare coming out con la sua
famiglia, o anche solo con sua sorella, ancora tremendamente ingenua.
Così disse solo: «Ah sì? Starò attento.
Ci vediamo domani mattina!»
«Blaine!»
lo chiamò, quando il ragazzo era ormai già prossimo
alla macchina.
«Che
c'è ancora?»
«Mi
porti con te?»
«Non
se ne parla!»
«Tipregotipregotiprego!»
«Un'altra
volta. Ora va' a dormire. E non dire niente ai vecchi» disse,
chiudendo la portella e accendendo il motore. Non appena fu uscito
dal vialetto di casa sorrise come un perfetto idiota. Era la prima
volta che faceva una cosa del genere. Aveva sentito così tante
volte il suo amico Sebastian vantarsi di aver passato serate
eccezionali allo Scandals o in altri locali e lo aveva invidiato.
Aveva
deciso che doveva farlo anche lui. Insomma, ormai aveva diciotto
anni, aveva bisogno di avventure. Aveva preferito aspettare un giorno
in cui non avrebbe rischiato di incontrare Seb. Aveva il terrore di
fare una figuraccia davanti a lui, che l'avrebbe certamente deriso
per il resto della loro amicizia.
E
ora era in macchina e guidava verso il locale ascoltando musiche di
Kate Perry.
Quella
sera poteva essere se stesso.
Nessuno
sapeva che era gay. Tranne Sebastian, ma solo perché l'aveva
capito nel momento stesso in cui l'aveva beccato a guardargli il
culo. La loro amicizia era stata preziosa per lui perché era
l'unico gay dichiarato di sua conoscenza ed elargiva spesso e
volentieri consigli, che poi si rivelavano scuse per vantarsi delle
proprie avventure.
Ad
esclusione di qualche bacio di prova col suo amico, lui non aveva mai
avuto avventure, se
non qualche capatina nei siti porno e un conseguente approccio con la
propria mano destra. Voleva recuperare. Avrebbe sicuramente
incontrato qualche ragazzo carino e disponibile.
Guidava
senza pensare ad altro che non fosse la fantastica serata che lo
aspettava.
Si
sentiva libero e giovane e sicuro di sé per la prima volta in
vita sua.
Parcheggiò
l'auto ed entrò nel locale. Mostrò i documenti falsi e,
non appena lo lasciarono passare si fiondò al bancone degli
alcolici. Non c'erano molte persone. In fondo era solo martedì,
era strano che fosse addirittura aperto!
Si
rivolse al barista, un ragazzo incredibilmente alto che lo costrinse
ad alzare non poco la testa.
«Mi
dai una birra?»
«Subito»
rispose sorridendo.
Carino,
pensò Blaine. Peccato sia tremendamente etero, o
almeno così credo.
«Non
ti ho mai visto qui» disse il ragazzo, passandogli una birra.
«E'
la prima volta.»
«Capisco,
sei riuscito solo ora a procurarti i documenti falsi.»
Blaine
esitò a rispondere.
«Tranquillo»
rise il ragazzo «anch'io non ero esattamente in regola la prima
volta che sono venuto qui. Ero venuto per accompagnare mio fratello
che all'epoca non aveva neppure diciotto anni. Se ci avessero
scoperti sarebbero stati davvero casini.»
Blaine
si rilassò: «Dev'essere andato tutto bene se alla fine
ti hanno assunto.»
«Merito
di mio fratello. A proposito, io sono Finn.»
«Blaine»
rispose, tendendogli la mano.
All'improvviso
le loro voci furono sovrastate dalla musica.
«Che
succede?» gridò Blaine.
«Comincia
lo show» rispose.
«Lo
show?»
«Va'
sotto il palco a godertelo.»
Blaine
seguì il suo consiglio un po' a malincuore. Etero o meno quel
ragazzo era davvero un bel modo per rifarsi gli occhi.
Questo
pensava mentre andava a sedersi sotto il palco improvvisato del
locale, sul quale troneggiavano due pali da lap dance.
Sarà
uno spettacolino squallido con ragazze seminude che si strusciano sui
pali e si fanno infilare banconote nelle mutande. Quasi quasi torno
dal barista, che-
Ogni
suo pensiero venne interrotto dall'entrata in scena dei protagonisti
della scena.
Ogni
pensiero su Finn o su qualsiasi altro ragazzo, ogni pensiero in
generale venne semplicemente spazzato via dalla sua testa nel momento
stesso in cui vide calcare la pista quello che poteva tranquillamente
definire:
Il
più bel culo che abbia mai visto.
Non
poteva credere a quello che aveva davanti ai suoi occhi. Sul palco
c'erano due ballerini. Una era una ragazza vestita completamente di
rosso, del tutto simile ad una diavolessa e dal colorito
latinoamericano. Trasudava sensualità e, se non fosse stato
gay fino al midollo, i suoi pantaloni si sarebbero di sicuro fatti
troppo stretti.
La
sua attenzione però era tutta per il ragazzo che si esibiva
assieme a lei. Indossava pantaloni attillati e una maglietta bianca
che lasciava scoperta una spalla candida come il latte. I capelli
erano perfettamente pettinati ma un ciuffo ribelle gli ricadeva sulla
fronte, lasciando una lieve ombra che lo rendeva ancora più
bello. Per concludere possedeva il più bel culo che Blaine
avesse mai visto.
Non
che ne avesse visti tanti – anzi, quasi nessuno dal vero, se
non in palestra e mai con molta attenzione. Ma diamine, quei
pantaloni sembravano gridare: “guardami!” e lui obbediva.
E'
un angelo, pensò. Non
può esistere in terra un ragazzo così bello. Dev'essere
addirittura illegale.
Eppure,
dai movimenti che faceva, dagli sguardi penetranti che lanciava, dal
modo in cui si strusciava contro il palo, non sembrava proprio un
angelo.
Quando
poi si tolse la maglietta, rivelando degli addominali davvero niente
male, Blaine cominciò a chiedersi chi avesse improvvisamente
alzato il riscaldamento del locale.
Si
girò e vide uomini ben più vecchi di lui –
avrebbero potuto essere suoi padri – allungare banconote e
infilarle nei pantaloni del ragazzo che ballava e che, chinandosi in
modo estremamente sensuale, offriva il suo fantastico posteriore alla
visione del pubblico. Lo stesso facevano altri con la ragazza.
Ad
un certo punto il ballerino gli si avvicinò e lui sentì
il suo cuore cominciare a battere a mille. Frugò nelle tasche
alla disperata ricerca di una banconota. 10 dollari. Poco male, ne
valeva la pena. Non appena il ragazzo fu abbastanza vicino allungò
la mano per toccarlo e in quel momento si sentì estremamente
ridicolo.
Che
diavolo stava facendo? Dava delle banconote ad uno spogliarellista
che non aveva mia visto in vita sua e che era appena stato toccato da
vecchi pervertiti? Si sentì uno schifo e stava per ritirare la
mano quando sentì qualcuno afferrargliela.
Era
lui, il ballerino, che in quel momento lo fissava con degli stupendi
occhi verdi.
La
sua mano era morbida come sembrava fosse e la cosa non sorprese
Blaine.
Quel
contatto fisico cancellò tutti i pensieri che lo avevano
assillato ed improvvisamente non gli sembrò di star toccando
uno spogliarellista, ma un ragazzo bellissimo che gli porgeva la
mano.
Quando
il loro contatto cessò si rese conto di avergli dato in mano i
10 dollari che prima voleva infilargli nei pantaloni.
La
musica stava giungendo al termine e il ragazzo stava rientrando
dietro le quinte. Prima di oltrepassare la tenda si voltò
un'ultima volta versi di lui e gli sorrise.
Non
solo gli sorrise.
Con
le labbra gli mandò un bacio.
«Ehi,
Kurt, vieni un po' qua» disse Santana.
«Che
c'è?»
«La
zietta deve farti qualche domanda» disse, accarezzandogli le
spalle e avvicinando i loro visi. Kurt si stava fissando allo
specchio e fingeva di ignorare Santana.
«Sbaglio
o l'ha fuori c'era qualcuno che ti mangiava con gli occhi.»
«Dici?
Tipo, metà sala.»
«Qualcuno
in particolare. Qualcuno sotto i sessant'anni, per intenderci. Anzi,
se tutto va bene sotto i ventuno.»
Kurt
si voltò stizzito: «Sì, l'ho notato anch'io. E
allora?»
«E
allora? Era carino, o sbaglio?»
Carino?
Mio Dio, toglieva il fiato! Quei riccioli neri, quegli occhioni che
trasudavano desiderio e imbarazzo insieme, quelle labbra...
«Che
ne vuoi sapere tu? Pensavo avessi altri interessi.»
«Infatti.
Ma so riconoscere un bel ragazzo. Per esempio, tuo fratello sembra un
ameba con le rughe, come la metà degli uomini nel locale. Quel
ragazzo no.»
«E'
solo un cliente. Sarà venuto una volta sola e non lo rivedremo
mai più.»
«A
giudicare da come ti guardava, credo tornerà.»
«Non
lo farà. Nessuno lo fa mai» disse, abbassando lo
sguardo.
Santana
guardò il suo viso riflesso nello specchio, improvvisamente
triste.
«Non
fare così. Se qualcuno oserà fare del male al mio
angioletto, giuro che gli spacco la faccia. Quant'è vero che
vengo da Lima Heights.»
Kurt
si voltò e le sorrise, sentendosi un po' meglio.
Blaine
si lasciò cadere sullo sgabello davanti al bancone.
Finn
sorrise nel vedere la sua faccia stravolta.
«Piaciuto
lo show?»
«Si
nota molto?»
«Solo
un po'. Santana fa sempre quest'effetto.»
«Santana?»
«La
ragazza mora vestita da diavolessa.»
«Ah.
Eh già» commentò. Non l'ho osservata
con attenzione. Ero un tantino concentrato sull'altro.
«Era davvero carina. Sì, insomma, aveva tutte le curve
al loro posto.» Tutte le curve al loro posto? Ma che
diavolo sto dicendo? Non potrei sembrare più finto di così.
A
lui non interessava la ragazza. A lui interessava l'altro.
Ma
come faccio a chiedere senza destare sospetti?
«Aveva
molto seguito. Non saprei dire se attirasse più clienti lei o
il ragazzo con cui ballava.»
Finn
rise: «E' una dura lotta. Anche Kurt ha parecchi ammiratori.
D'altronde col culo che si ritrova. E credimi se ti assicuro che non
sono solo i pantaloni attillati a fare quell'effetto. Te lo dice uno
che l'ha visto in mutande.»
Blaine
lo guardò stupito. «Non sarà mica il tuo-?»
«Oh,
no. Nononono. Mio Dio, no» precisò. «E' mio
fratello.»
A
quel punto Blaine strabuzzò gli occhi: «Stai
scherzando?»
«No,
anche se non sei il primo a fare quella faccia.»
«Voi
due non-»
«Non
ci assomigliamo molto, lo so. Né di aspetto né di
carattere. L'unica cosa che abbiamo in comune è che sappiamo
cantare.»
«Ah
sì?»
«Io
non me la cavo male. Ma lui...quando apre bocca sembra di sentire i
cori celesti» disse ridendo, mentre asciugava un bicchiere e lo
rimetteva fra gli altri.
Nella
testa di Blaine si crearono non poche fantasie. Che pensò bene
di mandare giù con un'altra birra.
Pessima
idea.
Lui
l'alcol proprio non lo reggeva.
Uscì
dal locale che a stento si reggeva in piedi. Il barista aveva provato
a fermarlo, ma lui aveva assicurato che avrebbe preso un taxi invece
che guidare fino a casa e, poiché Finn non poteva lasciare il
proprio posto neppure per un secondo, lo lasciò andare.
Blaine
sentì l'aria gelida della notte arrivargli in faccia come uno
schiaffo che lo risvegliò dal torpore. Raddrizzò lo
schiena e cercò di raggiungere la macchina. La mente era
ancora annebbiata dall'alcol.
Fu
allora che lo vide. Appoggiato al cofano di un'auto fissava il cielo
con sguardo vacuo e respirava lentamente.
Se
fosse stato in sé si sarebbe limitato a guardarlo incantato,
poi avrebbe chiamato un taxi e sarebbe tornato a casa. Ma non era per
nulla in sé. C'era ben poco di Blaine Anderson in lui. O forse
ce n'era troppo.
Gli
si avvicinò e lui si voltò a guardarlo.
«Ciao»
lo salutò.
Kurt
si rese subito conto che l'altro era ubriaco. «Ciao.»
«Ti
ho visto sul palco. Eri bellissimo.»
Fortunatamente
il buio nascose il rossore che comparì all'improvviso sulle
sue guance. «Grazie.»
«Dico
sul serio. Non riuscivo a staccare gli occhi da te.»
«L'ho
notato.»
«Fai
sempre quest'effetto?»
Kurt
sorrise: «Talvolta.»
«Non
mi sorprende» disse, avvicinando il proprio viso al suo.
Kurt
non poté fare a meno di sentire la puzza di birra che
proveniva dal suo alito. Lo disgustava. «Puzzi d'alcol»
gli disse.
«Pensavo
ci fossi abituato.»
«All'alcol.»
«No,
a baciare gente che puzza d'alcol» disse, avvicinando le loro
labbra fino a farle sfiorare.
Kurt
lo spinse via. «E con questo che vorresti dire?»
«Vuoi
dirmi che di solito i clienti ti arrivano tutti sobri?»
«Clienti
un cazzo! Ma per chi mi hai preso?» sbottò, furioso.
«Oh
scusa. Pensavo che i movimenti che facevi sul palco venissero da una
lunga esperienza pratica.»
Kurt
non poteva credere a quello che sentivano le sue orecchie. Non sapeva
se sentirsi più triste o più incazzato. In quel momento
la rabbia ebbe la meglio.
«Ascoltami
bene, patetico ragazzino figlio di papà. Tu non sai un bel
niente di me e della mia vita e non hai nessun diritto di giudicarmi.
Quindi, se non ti vuoi ritrovare con un occhio nero o una palla in
meno fra le gambe ti conviene andartene.»
«Quelle
mani da angioletto sarebbero in gradi di-»
Non
fece in tempo a finire la frase che gli arrivò un pugno
talmente forte in faccia da farlo cadere a terra.
«Vaffanculo, stronzo» disse Kurt, andandosene.
Blaine
rimase a terra con la testa dolorante, senza capire cosa fosse
successo. Era ancora in stato catatonico quando gli sembrò di
distinguere una figura familiare davanti a lui.
«Rachel?!»
«Blaine,
stai bene? Ho visto tutto, quel tizio ti ha tirato un cazzotto!
Poteva ammazzarti! Dovresti denunciarlo e-»
«Rachel,
che diavolo ci fai qui?»
«Non
tornavi ed ero preoccupata. Ho preso un taxi e poi ho visto la tua
macchina e sono salita e ho aspettato lì fino ad ora.
Ma...Blaine! Sei ubriaco?»
«No»
disse, un secondo prima di vomitare l'anima sul marciapiede.
Kurt
rientrò nel locale e attraversò la sala a passi lunghi
e veloci. Ignorò i fischi e le parole provocatorie.
Normalmente si sarebbe fermato a farsi offrire da bere, ma non ora.
Passò
davanti al bancone e sentì la voce di Finn chiamarlo:
«Ehi,
Kurt! Dove vai?»
«Cerco
Santana.»
«E'
nei camerini. Va tutto bene?»
Kurt
lo guardò negli occhi: «A meraviglia» disse,
sull'orlo delle lacrime.
Poi
corse nei camerini, dove Santana si stava rimettendo il rossetto. Non
appena lo vide entrare capì subito cosa doveva essere
successo.
Lo
abbracciò forte e, non appena Kurt sentì quel contatto,
lasciò andare le lacrime, piangendo sulla spalla dell'amica.
«Perché?
Perché noi non possiamo essere felici?»
Santana
lo strinse forte e gli accarezzò la testa.
«La
vita è ingiusta, Kurt, per chi è nato dalla parte
sbagliata di Lima.»
N/A
E
questo era il primo capitolo!
Ho
già qualche capitolo pronto che va solo corretto, ma mi
piacerebbe sapere le vostre opinioni perché sono abbastanza
preoccupata di andare OOC. Cioè, un po' lo andrò di
sicuro (ma d'altro canto è una AU, un po' OOC è
permesso), solo non vorrei che i personaggi risultassero stravolti.
E'
la mia prima long e pertanto mi piacerebbe sentire cosa ne pensate,
per cercare di migliorarmi!
Ah,
dimenticavo, avrete di sicuro notato che molte cose sono diverse
dall'originale. Ecco alcune sostanziali differenze (perdonatemele, in
fondo è un AU)
Finn
e Kurt sono fratelli di sangue e, dopo una dura lotta con me stessa,
ho deciso di dare loro il cognome Hummel, anche se ogni volta che
scrivo Finn Hummel (e infatti lo scriverò il meno possibile)
mi si rivolta lo stomaco
Anche
Blaine e Rachel sono fratelli (ho preso il cognome di lui perché
ai fini della storia era impossibile inserire i Berry come genitori,
anche se mi sarebbe piaciuto farli apparire!)
Le
età sono un po' sfasate. Finn ha ventun anni, Kurt
diciannove, Blaine diciotto (è al suo ultimo anno alla
Dalton) e Rachel è al terzo anno. Santana ha un'età
imprecisata (non si chiede alle signore!) ma di sicuro ha più
di ventun anni.
Altre
eventuali precisazioni verranno fuori nel corso della storia.
Spero
di non aver osato troppo.
A
presto!
yu_gin
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** I'm not like the boy you met last night ***
A
Lima Side Story
Capitolo
2: I'm not like the boy you met last night
Rachel
si rese subito conto che qualcosa non andava in suo fratello. Era
dannatamente silenzioso. E poiché era suo fratello – e
ciò implicava che avessero gli stessi geni – non poteva
essere silenzioso senza un motivo.
«Ehi,
Blaine, tutto bene?»
«Sì,
certo» disse, lasciando andare la testa sullo schienale del
sedile.
«Senti,
non posso togliere gli occhi dalla strada, ma sono certa che, se ti
guardassi in faccia, non ti vedrei felice.»
«Sono
ubriaco. E quando mi ubriaco passo dall'euforia alla depressione più
velocemente di una girandola in un uragano.»
«Tu
non sei solo triste. Sei arrabbiato.»
Blaine
si girò: «Ora mi spaventi.»
«Non
dovresti. Sei mio fratello e ti conosco.»
Sospirò:
«Va bene, lo ammetto. Sono arrabbiato.»
«Col
ragazzo che ti ha tirato quel pugno? Lo sapevo che dovevamo fermarci
e denunciarlo. Se lo sarebbe meritato. Così, dal nulla, si è
girato e ti ha tirato un pugno.»
«Me
lo meritavo.»
«Che
hai fatto? Hai flirtato con la sua ragazza?»
Blaine
avrebbe voluto ridere. «Sì, diciamo così. Anzi,
diciamo che non l'ho trattata con rispetto.»
«Blaine
Anderson! Tu che tratti male una ragazza?»
«Ero
ubriaco. E lei era una ballerina. Diciamo, non esattamente una
ballerina classica.»
«Danza
moderna?»
Blaine
la fulminò con lo sguardo.
«Oooh.
Capito. Non esattamente una ballerina.»
«Ecco,
e diciamo che mi sono comportato da idiota e che ho ceduto ai luoghi
comuni e ai pregiudizi.»
«Hai
insinuato che la ragazza fosse una prostituta?»
Blaine
guardò sua sorella inorridito: «Ma chi sei? Esci da
questo corpo!»
«Tento
solo di immaginare cosa può essere successo. Diciamo pure che
in tal caso il pugno un po' te lo sei meritato.»
«Un
po'? Se mi avesse investito con l'automobile forse non l'avrei
neppure denunciato.»
«In
fondo, se l'è andata a cercare.»
«Chi?»
«Beh,
la ragazza. Insomma, se fai la ballerina in un locale chiamato
Scandals, e se fai quel tipo di ballerina...poi non lamentarti
se la gente ti scambia per una prostituta. Mettendo in mostra il tuo
corpo per soldi ti stai già vendendo.»
«Non
posso credere che tu lo pensi veramente.»
«E
invece è così. Io non venderei mai il mio corpo. Per
nessuna cifra.»
«Lo
dici ora che vivi in una splendida casa in cui non ti manca niente.
Ma pensa se non avessi altro modo per guadagnare.»
«C'è
sempre un altro modo» concluse, tornando a concentrarsi sulla
strada.
Blaine
chiuse gli occhi e cercò di richiamare alla mente i tratti di
quel viso stupendo che aveva stupidamente fatto arrabbiare.
Non
potrò mai più rivolgergli la parola in vita mia. Sono
proprio un idiota. Ma forse è meglio così: cosa mi ero
messo in testa? Io e uno spogliarellista? Siamo gli esatti opposti e
fra noi non funzionerebbe mai. Cosa dovrebbe funzionare poi? Una
relazione?
Un
fiume di pensieri lo travolse.
Lo
dimenticherò.
Finn
guidava cantando le canzoni della radio a squarciagola. Kurt invece
riposava silenziosamente sul sedile del passeggero. Neppure quando
passarono una canzone di Pink si degnò di aprire bocca.
«Ehi,
sei silenzioso. Qualcosa non va?»
«Sono
solo stanco.»
«Sicuro?
Perché quando tu e Santana siete usciti dai camerini, lei mi
ha lanciato un occhiataccia e poi, quando ho provato a parlarti, ti
ha portato via in malo modo. Non avrete mica litigato?»
«Ma
figurati. Al massimo la zietta mi tiene il broncio per un quarto
d'ora, poi basta che l'abbracci e non riesce a resistere.»
«Problemi
con qualche cliente? Te l'ho detto, se qualcuno si azzarda ad
allungare le mani più del dovuto gli spezzo le gambe.»
«Tu
non spezzi le gambe proprio a nessuno, hai capito? Se no, oltre a
perdere il lavoro, finisci pure in galera. E allora sarò
davvero costretto a
battere il marciapiede per vivere.»
Finn
quasi inchiodò nel sentire quelle parole. Si voltò
verso di lui, improvvisamente serio: «Non dirlo. Non dirlo
neppure per scherzo. Qualsiasi cosa succeda non finirà mai
così. Mi hai capito? Ce
l'eravamo promesso. L'avevamo promesso ai nostri genitori.»
«Mai
fare qualcosa che neghi la nostra dignità. Me lo ricordo bene.
Scusa, stavo solo...stavo solo scherzando.»
Finn
tornò tranquillo e riprese a fissare la strada: «Mi
dispiace che le cose vadano così. È solo colpa mia:
sono così idiota da non riuscire a trovare un lavoro decente.»
«Non
è vero.»
«Sì
che è vero. Me lo dici sempre anche te.»
«Te
lo dico perché sono uno stronzetto in costante sindrome
premestruale. Vedrai che riusciremo a cavarcela. Riusciremo a
cambiare vita. Tu diventerai un campione di football, io un cantante
professionista e dimenticheremo questi anni.»
Finn
sapeva che quelle erano solo fantasie irrealizzabili e lo sapeva
anche Kurt.
«Vuoi
sapere perché sono triste? La verità?»
Finn
annuì.
«Perché
sono stanco di essere deluso dalla gente. Ogni giorno mi aggrappo a
qualcosa, ad uno sguardo, ad una parola, a qualsiasi cosa che possa
farmi star meglio. Ma alla fine va sempre a finire che cado e sono
davvero stanco di rialzarmi ogni volta. E ho paura di non riuscirci
più, un giorno o l'altro.»
Finn
ascoltò le sue parole, ma non trovava risposta adatta, così
tacque.
Percorsero
il resto della strada in silenzio.
Una
volta a casa si alternarono in bagno e andarono a letto.
Kurt
non aveva neppure la forza per infilarsi un pigiama. Si spogliò
e si gettò sotto le coperte. Nella sua mente finse di essere
nello stesso letto di uno splendido uomo e che quell'uomo il suo
fidanzato e che di lì a pochi istanti l'avrebbe abbracciato e
avrebbero passato così tutta la notte.
Dopo
pochi minuti crollò per il sonno e dormì fino al
mattino successivo.
Il
giorno dopo Blaine si svegliò con un tremendo mal di testa.
Era nel suo letto e aveva ancora addosso i vestiti del giorno prima.
Cercò di ricordare cosa fosse successo, ma nella sua testa
c'era un buco nero.
Poi,
quando provò a stropicciarsi gli occhi, sentì un dolore
intenso all'occhio sinistro, e allora si ricordò del pugno nel
parcheggio, degli insulti, della sbronza, di quel fantastico corpo
sulla pista, della chiacchierata col barista
come-diavolo-si-chiamava.
Kurt.
Un
solo nome gli era rimasto impresso.
E
il suo viso, e i suoi occhi e la sua pelle diafana.
E
il suo culo, dovette ammettere a
se stesso.
Si
stava giusta alzando dal letto quando Rachel fece irruzione in camera
sua.
«Forza,
è il momento del tuo rituale post-sbronza.»
«Che
rottura! Devo proprio?»
«Sì,
se non vuoi che mamma lo scopra subito e sai che lo farà. E
poi devi andare a scuola, l'hai dimenticato?»
«No.»
«Allora
su, in piedi!» esclamò, già pimpante e rumorosa.
Gli
preparò una colazione disgustosa che però ebbe il
pregio di rimettergli in sesto lo stomaco. Gli fece lavare i denti
due volte (una con lo spazzolino, una col collutorio) per mandare via
la puzza di alcol. Poi lo gettò sotto la doccia e controllò
che non si addormentasse in piedi. Quindi gli preparò sul
letto i vestiti per quel giorno. Solo allora si rese conto di un
piccolo particolare.
«Quell'occhio
è un bel po' appariscente.»
«Si
nota tanto?»
«Un
panda passerebbe più inosservato.»
«Oh,
fantastico!»
«Non
vedo soluzione. A scuola di' che te lo sei procurato durante gli
allenamenti di box. Dirai lo stesso anche a mamma e papà, ma a
loro dirai che è successo oggi, visto che ieri sera a cena ti
hanno visto sano e intero.»
Sebastian
non se la berrà mai,
pensò.
«E
in qualche modo convincerai anche il tuo caro amico Sebastian.»
Blaine
la fissò sconvolto: «Rachel, uno di questi giorni ti
porto da un esorcista!»
Kurt
si svegliò tardi. Guardò l'orologio. Le otto e mezza.
Balzò
giù dal letto e corse in salotto.
Finn
era seduto sul divano e stava bevendo una birra.
«Finn,
dannazione! Hai idea di che ore siano?»
«Le
sette e-» guardò l'orologio. «Oh merda!»
«Appunto!»
«Quanto
tempo hai?»
«Dieci
minuti.»
«Okay.
Vai in bagno e lavati poi prendi i vestiti e scendi giù. Io
intanto ti preparo la colazione. Ti vestirai in macchina.»
«Mi
spieghi perché finisce sempre così.»
«Una
sveglia. Ci serve una dannatissima sveglia» sbottò Finn,
correndo in cucina a scaldare il caffè.
Kurt
intanto si chiuse in bagno e cercò di sistemarsi. Aveva un
aspetto terribile, dopo l'orrenda serata che sperava di dimenticare
al più presto. Fu un'impresa trovare il fantastico ragazzo che
era sotto quell'ameba con il volto ancora sporco di trucco.
In
camera si bloccò davanti all'armadio, cercando il migliore
abbinamento possibile. Una cosa era il suo lavoro notturno, dove
bastava mettere qualcosa che facesse risaltare il suo sedere. Una
cosa era il suo lavoro mattutino.
Alla
fine si decise per un paio di jeans chiari, una camicia e un
maglioncino. Prese un paio di scarpe e corse fuori. Con addosso solo
il giubbotto e le scarpe saltò nella macchina di Finn, che lo
aspettava pronto a partire.
«Questa
storia del ritardo comincia a stancarmi» disse Kurt,
infilandosi i jeans.
Ma
in realtà avrebbe voluto dire: questa vita comincia davvero a
stancarmi.
Quando
arrivò a scuola fu accolto da un coro di “oh”
sorpresi.
«Signor
Anderson. Hai esagerato con l'ombretto?» chiese il professore
di Storia, quando Blaine entrò in classe. In ritardo. Con un
vistoso occhio nero.
«Allenamento»
disse solo, raggiungendo il suo banco e cercando di scomparire.
«Allenamento.
Come no» disse una voce dietro di lui.
Blaine
non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi aveva parlato: «Non
mi credi, Sebastian?»
«Per
niente, signor Anderson. Lei le bugie non le sa proprio raccontare.»
«Da
me non saprai niente di più.»
«Mh...sbaglio
o sento odore di alcol uscire da quelle virginee labbra.»
«Sbagli.»
«Chissà
se la signora Anderson la penserebbe allo stesso modo.»
Blaine
capitolò: «E va bene. Finita la lezione ti racconto.»
«Perché
non subito? Tanto non sono interessato al ruolo della Russia nella
prima guerra mondiale.»
«Okay.
Diciamo che ho bevuto. E non a casa da solo, guardando per l'ennesima
volta Grease.
Diciamo che sono uscito.»
«Uscito
dove.»
«Allo
Scandals.»
Sebastian
sorrise: «Comincia a farsi interessante.»
«E
diciamo che allo Scandals ho incontrato un ragazzo. Maledettamente
carino. E maledettamente etero, ma che questo ragazzo mi abbia
letteralmente spinto fra le braccia di un altro ragazzo. Ancora più
maledettamente carino e soprattutto – se il mio gaydar non
sbaglia – meravigliosamente gay, o come minimo bi.»
«Mi
piace la piega che sta prendendo. Fammi indovinare. Mentre stavi per
arrivare a conclusione col pezzo di manzo, arriva il suo ragazzo,
anzi, il suo uomo che è un bruto camionista che ti ha tirato
un pugno sull'occhio. Poi, grazie al tuo amante che si è
frapposto fra voi, sei riuscito a scappare in mutande fino alla
macchina e a tornare a casa vivo e integro per raccontare a me questa
fantastica avventura.»
«No.
Mi sono ubriacato e gli ho detto cose molto sconvenienti. E poi ho
scommesso che non mi avrebbe mai tirato un pugno.»
«E
hai perso la scommessa. Oltre che l'uso dell'occhio.»
«Più
o meno.»
«E
i tuoi non ti hanno scoperto?»
«I
miei no. Ma Rachel...beh, quella piccola scimmia deve avere una
specie di radar per individuarmi. Oltre che alla facoltà di
lettura mentale. Devo impedirle di guardare Twilight.»
«E
così la piccola Rachel ti ha aiutato nel rituale post-sbronza.
E ha assistito anche al suo fratellone che ci provava con un
ragazzo?»
«Grazie
a Dio no. Ha assistito al pugno, ma pensava che avessimo litigato per
una ragazza. Anche se mi sorprende che abbia potuto pensare che
quello lì avesse una ragazza.»
«Perché?»
«Beh,
vestito com'era...avrebbe attirato uomini come api sul miele, ma di
certo non ragazze, se non fidanzate inferocite che rivolevano i loro
uomini.»
«Ma
perché non incontro mai ragazzi così carini quando ci
vado io, allo Scandals.»
«Perché
quando ti vedono ti evitano. Hai già una cattiva fama, lì
dentro. E comunque non era un ragazzo qualunque.»
«Ah
no?»
Si
pentì di aver detto quelle parole. Non voleva ancora ammettere
con Sebastian che quello con cui aveva litigato era un ballerino del
locale. Magari lo conosceva pure. Ma no, non voleva assolutamente che
lo venisse a sapere.
«No.
Era troppo bello» disse.
Sebastian
ridacchiò fra sé e riprese ad ascoltare la lezione.
Finite
le lezioni, Blaine e Sebastian si diressero alle prove dei Warblers.
L'argomento del giorno era davvero scottante. Si trattava di
discutere un'eventuale modifica delle divise per un numero molto
speciale.
«Stiamo
parlando di un numero che richiederà alcune mosse
particolarmente atletiche. Non possiamo farlo in giacca e cravatta»
disse David.
«E
allora non lo faremo!» protestò Wes.
«Non
se ne parla. Ci abbiamo lavorato troppo per lasciar perdere ora. E
con questo numero potremmo vincere le regionali contro le New
Direction. Che da quando hanno quella Rachel rischiano seriamente di
batterci!»
Qualcuno
si schiarì la voce, facendo un chiaro segno con la testa in
direzione di Blaine.
«Oh,
senza offesa, Blaine. Lo sappiamo che è tua sorella ma-»
«La
squadra è la squadra. Sono d'accordo. Dobbiamo vincere.»
«E
se vogliamo vincere abbiamo bisogno di quel numero. Ergo, abbiamo
bisogno di nuove divise» disse Sebastian. «Il che mi
porta ad un'unica soluzione possibile: GAP.»
Ci
fu un mormorio soffuso fra le fila dei Warblers.
«Potremmo
andare questo pomeriggio stesso a cercare dei capi che siano in tono
coi colori della Dalton e che piacciano a tutti. Così, nel
caso non ne abbiano abbastanza per tutti, faremo in tempo a farcele
mandare.»
Wes
continuava ad essere contrario, ma poiché la maggioranza si
era espressa, dovette tacere e accettare la novità.
«Rimane
un problema. Molti di noi questo pomeriggio devono studiare: gli
esami si avvicinano e siamo oberati di compiti.»
«Nessun
problema. Se vi fidate del mio gusto – e dovreste davvero farlo
– lasciate fare a me. Non ve ne pentirete.»
«Farai
tutto da solo? Potresti avere un bel po' di pacchi da caricare in
macchina.»
«Per
questo mi farò aiutare dal mio hobbit preferito, che sono
certo sacrificherà un pomeriggio di studi per il suo migliore
amico.»
Blaine
lo fissò, non sapeva se più arrabbiato per essere stato
chiamato hobbit o per la leggerezza con cui Sebastian si era
appropriato del suo tempo libero. Come al solito, d'altronde.
«Non
provare a protestare» gli sussurrò Sebastian
all'orecchio. «Devi raccontarmi un po' di cosucce, e in
macchina non avrai nessuna scusa per tacere.»
Kurt
arrivò appena in tempo. Corse dentro il negozio, dove trovò
il suo datore di lavoro ad attenderlo all'ingresso.
«Hummel.
Sei in ritardo o sbaglio?»
«Veramente
sono le-» guardò l'orologio. Era in anticipo di due
minuti, ma a giudicare dallo sguardo dell'uomo non era il caso di
farglielo notare. «Mi scusi.»
«Poche
scuse e vai a lavorare. Oggi Jeremia non c'è, quindi invece
che stare in magazzino dovrai piegare i capi ed essere gentile con la
clientela. E togliti quello sguardo da deportato! Voglio un sorriso
trentadue denti e un saluto radioso come “Buongiorno signore,
in cosa posso esserle utile?”»
Kurt
annuì.
«E,
ti prego, vatti a cambiare! Vestito così sembri la versione
maschile di Pretty Woman! In magazzino abbiamo un cambio per
emergenze simili.»
Kurt
raggiunse il magazzino con lo sguardo basso. Lavorare fra la
clientela: l'ultima cosa che avrebbe voluto! Lui preferiva
nascondersi e passare inosservato, come sembrava ribadire il suo
abbigliamento sobrio, quasi anonimo.
Quello
che faceva di notte era tutta un'altra cosa. Lì perdeva ogni
inibizione e lasciava uscire il suo vero essere: esuberante, sicuro –
perché no, sensuale! Ma alla luce del giorno tutto ciò
gli risultava impossibile.
Aveva
quasi paura a girare per strada. Temeva che qualcuno del locale lo
riconoscesse e lo indicasse. Questo terrore si raddoppiava sul
lavoro: se l'avessero scoperto, l'avrebbero licenziato all'istante.
Per
questo motivo tenne la testa bassa quasi tutto il tempo e cercò
di servire quasi esclusivamente donne – che era meno probabile
fossero frequentatrici della Scandals.
Ad
un certo punto però gli si avvicinò un ragazzo. Si
stava rivolgendo proprio a lui e non poteva certo ignorarlo. Alzò
lo sguardo verso di lui e:
Wow.
Non male, pensò,
sentendosi un po' maniaco per averlo pensato. Ha la divisa
scolastica addosso. Farà ancora le superiori.
«Buongiorno
signore, in cosa posso esserle utile?» disse, sfoggiando il
sorriso migliore che gli riuscisse.
«Quanta
formalità! Stavo solo cercando Jeremia, sai, il commesso
biondo con i colpi di sole.»
«Mi
dispiace, oggi Jeremia non c'è.»
«Beh,
vorrà dire che mi accontenterò di te, commesso senza
cartellino» disse, sorridendogli. «Che è un modo
originale per chiederti “come ti chiami?”»
«Kurt»
rispose, sentendosi lui uno studente delle superiori.
«Sebastian
Smythe. Molto piacere.»
E'
davvero carino. E
sembra quasi che ci stia provando.
«Dimmi
pure cosa cercavi.»
«Bene,
sto cercando un completo sportivo che abbia gli stessi colori della
mia divisa. E me ne servono almeno venti.»
«Venti!?»
«Non
sono un maniaco del jogging» lo rassicurò ridendo.
«Faccio parte di un coro e dobbiamo fare un numero per le
regionali. Quindi ci serve qualcosa di assolutamente strepitoso.»
«Vedrò
cosa riesco a fare. Vieni con me» lo invitò.
«Aspetta
solo un secondo. Quello sfigato del mio amico hobbit si dev'essere
perso al reparto papillon e credo ci vorrà un po' prima che
riemerga dalla folla con la sua piccola, piccola statura»
disse, strappandogli un sorriso. «Ah no, eccolo!»
esclamò. «Blaine, ti vuoi muovere?»
Il
ragazzo in questione si avvicinò a loro. Ma fu solo quando
sollevò la testa che Kurt lo riconobbe. E per l'altro fu lo
stesso.
Si
fissarono negli occhi spalancati, non potendo credere che la sorte si
fosse divertita a tal punto con loro.
Sebastian
non poté fare a meno di notare quello sguardo. Ma non disse
niente e preferì registrare e indagare più tardi.
«Allora,
vogliamo andare?» disse.
«Forse
è meglio se io intanto vado a vedere le scarpe.»
«Assolutamente
no, mio piccolo amico del bosco. Tu devi aiutarmi.»
«Non
vedo come.»
«Beh,
ad esempio andando a cercare le tute che ci servono insieme a questo
brillante e carinissimo commesso mentre io cerco di rubare il numero
a quel ragazzo che mi sta fissando il sedere da almeno dieci minuti»
disse, allontanandosi senza dare il tempo a nessuno dei due di
ribattere.
Questa
me la paghi, pensò
Blaine. Ma d'altronde, per avere vendetta avrebbe prima dovuto
spiegare a Sebastian perché era
poco opportuno per lui rimanere solo con quel ragazzo all'apparenza
anonimo e ingenuo ma che nascondeva un evidente pugno di ferro.
«Sì,
emh...per il completi?»
«Seguimi»
disse Kurt, piuttosto freddamente.
«Ah,
a proposito, io sono Blaine» disse.
«Kurt.»
«Lo
so» rispose. «Voglio dire, ho parlato con tuo fratello
ieri sera, prima di-»
«Prima
di fare illazioni molto poco carine su di me e tentare di baciarmi
senza neppure conoscermi?»
«Volevo
dire prima di ubriacarmi. Ma le due cose corrispondono.»
«Ma
tu guarda» commentò sarcastico.
«Io
non sono così. Non da sobrio.»
«Invece
sai cosa penso io? Penso che l'alcol ti abbia solo tolto le
inibizioni che prima ti impedivano di dire quello che pensi davvero.
Ossia, penso che tu sia esattamente come eri ieri, solo che lo
nascondi a te stesso e a quelli che ti stanno attorno.»
«Non
puoi saperlo. Neppure tu mi conosci.»
Kurt
lo guardò stupito. «No, hai ragione.»
«Senti,
potremmo dimenticare quello che è successo la notte scorsa?
Penso sarebbe meglio per tutti e due.»
«Forse
è così» disse, fermandosi davanti ad uno
scaffale. «Qui troverai tutto quello che ti serve. Penso che
queste possano andare bene, visto che le strisce della Adidas
richiamano le strisce sulle vostre cravatte. Se non hai più
bisogno di me, io andrei da altri clienti. Clienti paganti,
sai com'è» disse, allontanandosi.
Blaine
avrebbe voluto fermarlo, ma rimase zitto.
Poco
dopo Sebastian, che aveva osservato la scena con vivo interesse, gli
si avvicinò.
«Allora,
hai trovato?»
«Direi
che queste possono andare bene» disse, indicando quelle che gli
aveva suggerito Kurt.
«Mh,
sono perfette. Molto bravo in nostro commesso. Sai, dovrei parlare
col padrone del negozio e convincerlo a promuoverlo. È un
peccato nasconderlo nel magazzino, non credi?»
«Beh,
immagino di sì.»
Sebastian
fece esattamente quello che aveva detto: aspettò che il
padrone del negozio gli passasse vicino per dirgli quanto gentile e
affidabile era stato quel nuovo commesso e chiedendogli perché
l'avesse tirato fuori solo ora dal cappello magico.
Blaine
continuava a seguire Kurt con lo sguardo fra gli scaffali e ogni
volta che quello si girava, faceva finta di niente.
Come
al solito.
Kurt
vide Sebastian e Blaine parlare col capo.
Ecco,
gli avrà detto tutto. Ora il capo verrà da me e mi
caccerà via. Mi bandirà dal negozio a vita. Non potrò
neppure entrarci per farmi cambiare dieci dollari.
In
effetti il capo gli si avvicinò. Gli posò una mano
sulla spalla e disse:
«Complimenti,
Hummel. Sei stato promosso.»
NdA
ed
eccomi col secondo capitolo in cui finalmente arriva Sebastian che in
questa AU è un po' diverso (non mira a rubare Blaine a Kurt
per ovvi motivi, tipo che non sono ancora insieme!) ma spero di aver
riprodotto al meglio la sua bastardaggine (voi che dite?)
Rachel
invece penso mi sia venuta sufficientemente petulante e responsabile
XD
Lo
so che ci ho messo un secolo ad aggiornare, colpa di una certa odiosa
cosetta chiamata “simulazione di terza prova” che
risucchia la mia voglia di fare qualsiasi cosa.
Detto
ciò, volevo ringraziare tutte coloro che hanno recensito,
inserito la storia fra i preferiti o fra le seguite o le ricordate.
Grazie a tutte!
Non
potete immaginare il sorriso trentadue denti che avevo nel leggere le
vostre recensioni!
yu_gin
coming
next:
«Zietta,
che succede?» chiese.
«Stai
calmo, Kurt, va bene? Siediti e prometti di non agitarti.»
«San,
mi sto agitando.»
«Non
farlo. Non sei da solo, ci siamo io e Finn e, per quanto tuo fratello
non sia realmente pericoloso, ha la stazza per sembrarlo, mentre io
ho delle lamette nascoste fra i capelli.»
«Che
diavolo sta succedendo?»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** sorry, I may be in love with you ***
A
Lima Side Story
Capitolo
3: sorry, I may be in love with you
«Sei stato promosso? Ma è fantastico!» esclamò
Finn.
«Già. Ora dovrei prendere cinque dollari in più
al giorno» disse. Finn sembrava entusiasta, ma per lui era solo
una rogna. Significava dover essere gentile con i clienti, sorridere,
rimanere sempre vigile per il terrore di incrociare qualche
frequentatore dello Scandals.
«Non ho ancora capito: perché ti hanno promosso?»
«A quanto pare un cliente ha parlato bene di me al capo.»
«Un vero colpo di fortuna.»
«Già» disse, anche se quel giorno “fortunato”
era l'ultima cosa che pensava di essere.
Kurt finì di cuocere gli hamburger e li mise sui piatti
insieme all'insalata e a del formaggio. Finn era già seduto a
tavola e cominciò a mangiare come se non toccasse cibo da un
mese.
«Mangia più piano. Se continui così ti
strozzerai» disse, puntandogli contro la forchetta.
«Non fare la mamma!» esclamò. Subito dopo
abbassò lo sguardo: «Scusa.»
«Non fa niente» assicurò.
«Lo dici spesso, ultimamente. “Non fa niente” o
“non è niente” o “tutto okay”. Lo dici
così spesso che non riesco più a crederci. Soprattutto
se dopo fai quelle facce.»
«Ma dai, Finn! Davvero, non è-»
«Niente? Senti, forse non sarò perspicace come
Santana, né un mago dei sentimenti. Non sono neppure bravo a
tirare fuori le frasi giuste al momento giusto e lo sai, perché
mi conosci. Però sai anche che io per te ci sono sempre. Siamo
fratelli, no? Qualsiasi cosa ti succeda riguarda un po’ anche
me. Quindi ti prego, se c'è qualcosa che non va, parlamene.
Anche se dovesse essere imbarazzante.»
«Anche se si trattasse di un ragazzo?» chiese.
Finn ebbe un sussulto. Aveva ancora qualche problema a parlare con
naturalezza di ragazzi con suo fratello. «Anche se si trattasse
di un ragazzo.»
Kurt sorrise perché sapeva quanto costasse a Finn. «Grazie.
Mi fa piacere sentirtelo dire, anche se penso che Santana sarebbe più
utile in materia. Senza offesa, ovviamente.»
«Ma c'è effettivamente qualcosa sotto?»
«C'è un ragazzo, sì. Ma dire già dire
che c'è è dire troppo. Diciamo che è passato, mi
ha sconvolto la vita e se n'è andato. Per poi riapparire dal
nulla e sparire di nuovo, pensando con due parole di risolvere
tutto.»
«Scusami, non riesco proprio a seguire quello che stai
dicendo. Di chi diavolo stiamo parlando?»
«Di nessuno» disse, alzandosi da tavola. Il suo
hamburger era ancora a metà. «Finiscilo tu, se vuoi.»
Finn non se lo fece ripetere due volte e si appropriò della
cena del fratello.
Kurt raggiunse la propria camera e si gettò a letto. Ora
voleva solo dormire.
Blaine si gettò nel suo letto e, nemmeno due secondi dopo,
Sebastian gli era praticamente sopra.
«Seb, mi spieghi che stai facendo?»
«Ti convinco a confessare. Anche se, effettivamente, se ti
dico “parla o ti stupro” potresti preferire la seconda
opzione ed io non otterrei il mio scopo. Quindi direi: “parla,
o ti ammazzo di solletico finché non vomiti”.»
Blaine si alzò, spingendo via Sebastian. «E se non mi
andasse?»
«Avanti! Sono o non sono il tuo migliore amico? Ho più
esperienza sessuale di tutti i Warblers messi insieme e
fortunatamente per te giochiamo nella stessa squadra. Di certo mi
sono già ritrovato in una situazione simile alla tua.»
Blaine sbuffò: «Voglio risolvermela da solo.»
«Non ce la farai, te lo dico io. Sei un completo inetto in
fatto di storie d'amore. Non hai mai avuto neppure un ragazzo, al
massimo hai sbaciucchiato qualche ragazzina alla medie. Quindi:
parla.»
«Ti ho detto di no.»
«C'entra il commesso di questo pomeriggio?»
Blaine si voltò a guardarlo sconvolto: «Ma sono
circondato da dei maledetti vampiri leggi-mente?»
«No, ma è così semplice capire cosa passa per
la tua testolina mononeuronica che è come se ti leggessi nella
mente» disse. «Comunque, tornando al commesso...»
«Ma perché
insisti! Non ne voglio parlare e... non ne posso parlare.»
«Non puoi? Avete fatto qualcosa di illegale? Guarda che la
fornicazione omosessuale non è più reato da un bel po',
se consenziente e fra maggiorenni.»
«Ma perché devi ricondurre sempre tutto al sesso? Non
è successo niente del genere. Non ci siamo neppure baciati, né
siamo usciti insieme. Niente.»
«Ma lo conosci.»
Blaine abbassò lo sguardo: «Era così
evidente?»
«Quando ti ha visto ho pensato si sarebbe messo a piangere.
Ti ha guardato come se fossi il suo ex marito tornato per rubargli la
custodia dei figli.» Era un po' eccessivo forse, ma rendeva
l'idea.
«Non sono affari tuoi.»
«Neanche questa volta?
Prima il ragazzo dello Scandals, poi il commesso di GAP e poi chi
altro, forse-» Sebastian si fermò, improvvisamente
illuminato da luce divina. «Fermi tutti. Il ragazzo dello
Scandals èil commesso di GAP»
esordì trionfante. «Ecco perché, tutto torna! E
si spiega anche perché ti abbia guardato come se fossi un
assassino di micetti: l'hai insultato senza neppure conoscerlo.»
«Non l'ho insultato! Gli ho fatto avances esplicite un po'
troppo invadenti, ma ero ubriaco.»
«Il fatto di essere ubriaco non è una scusante. Punto
primo perché se ti ubriachi con una o due birre, beh amico,
non dirlo in giro. Secondo, perché l'alcol fa uscire il nostro
vero essere. Era tua precisa intenzione fargli delle avances, solo
non ne avevi il coraggio.»
«E' esattamente quello che mi ha detto lui» ammise.
«Sei proprio un idiota, Blaine Anderson. Secondo me si
vedeva che gli piacevi. Se non ti fossi bruciato questa occasione
forse ora avresti un appuntamento per la tua prossima serata libera.»
«Non dirmelo.»
«Te lo dico, invece. Chissà, magari la prossima volta
ti sveglierai.»
Quel giorno Kurt era stranamente in orario. Lui e Finn uscirono di
casa con qualche minuto di anticipo. Finn guidava verso lo Scandals
cercando di intavolare una conversazione, ma suo fratello sembrava
meno reattivo di un opossum.
«Ehi, coso, hai visto che siamo in orario? Niente
spogliarello in macchina oggi» disse, cercando di tirargli su
il morale.
Kurt sollevò gli occhi dai propri stivali e fissò il
fratello accennando ad un sorriso: «Urrà.»
«So io cosa posso fare per tirarti su il morale»
disse, accendendo la radio.
Kurt riconobbe la canzone fin dalle prime note e sorrise,
rivolgendosi al fratello che, con aria particolarmente idiota, stava
intonando:
Hey Jude don’t make it bad,
Take a sad song and make it better,
Remember, to let her into your
heart,
Then you can start to make it
better.
Si schiarì la voce e cominciò a cantare con lui:
Hey Jude don’t be afraid,
You were made to go out and get her,
The minute you let her under your
skin,
Then you begin to make it better.
A quel punto Finn si mise a fare una cosa molto stupida. Iniziò
a dimenare il posteriore e scuotere la testa come un indemoniato,
facendo ridere Kurt e continuando a cantare:
And anytime you feel the pain,
Hey Jude refrain,
Don’t carry the world upon
your shoulders.
Lasciandosi dietro ogni dignità Kurt lo imitò:
For well you know that it’s a
fool,
Who plays it cool,
By making his world a little colder.
E concludendo insieme cantando a squarciagola:
Naaaaah-nah-nah-nanana-naaaah!
Nanana-naah!
Hey Jude!
Scoppiarono a ridere, ignorando i colpi di clacson della macchina
dietro di loro.
«Hai visto che alla fine ti ho fatto ridere?»
«La tua faccia quando canti in macchina farebbe ridere anche
Santana durante i giorni di ciclo intenso» disse, asciugandosi
le lacrime. «Grazie, Finn.»
«Di niente. Sono qui per questo, no? E poi i Beatles erano
la band preferita della mamma.»
Arrivati allo Scandals, Finn parcheggiò l'auto ed
entrarono. Si salutarono all'ingresso e, mentre Finn si dirigeva
verso il bancone, Kurt andò verso i camerini. Non appena entrò
fu assalito da Santana che, già pronta per il numero, lo
afferrò per le spalle.
L'espressione che aveva sul viso non gli piacque per niente.
«Zietta, che succede?» chiese.
«Stai calmo, Kurt, va bene? Siediti e prometti di non
agitarti.»
«San, mi stai facendo agitare.»
«Non farlo. Non sei da solo, ci siamo io e Finn e, per
quanto tuo fratello non sia realmente pericoloso, ha la stazza per
sembrarlo, mentre io ho delle lamette nascoste fra i capelli.»
«Che diavolo sta succedendo?»
«Non so bene come dirtelo ma... di là, seduto ai
tavoli... c'è Karofsky.»
Kurt sentì il mondo crollargli addosso.
Finito lo spettacolo avrebbe voluto defilarsi in maniera anonima
così da non dover parlare con Dave.
L'aveva visto, durante lo spettacolo. E lui aveva visto che
l'aveva visto. Tuttavia nessuno avrebbe potuto accusarlo di
maleducazione se non fosse andato a salutare un caro vecchio amico
che aveva la fortuna di non vedere da mesi, ormai.
E se Dave fosse stato un tantino più assennato, avrebbe
evitato di avvicinarlo in prossimità dell'uscita e di
rivolgergli la parola.
«Ehi, Kurt, è passato un bel po’. Col tempo sei
diventato ancora più carino.»
«Karofsky. Qual buon vento.»
«Ora mi chiami per cognome? Pensavo fossimo andati ben più
in là di queste stupide formalità.»
«Se non mi sbaglio è per questo dissidio di opinioni
che è finita.»
«E' successo molto tempo fa» gli ricordò.
«Un anno. Scusa, ma per me non è abbastanza»
disse, tentando di allontanarsi.
Dave lo afferrò per il polso: «Non te ne andrai così
in fretta.»
«Ah no?» si voltò verso di lui, questa volta
con fare aggressivo. «Intendi con la stessa velocità con
cui te ne sei andato tu? Intendi così in fretta da non
lasciarmi neppure il tempo di capire cosa fosse successo?»
«Ho sbagliato. Sono tornato per chiederti scusa, se me ne
darai modo.»
«Non voglio le tue scuse, Dave. Voglio che tu te ne vada
dalla mia vita, ora che sembra andare tutto bene.»
«E questo lo chiami bene? Lavori come spogliarellista in un
locale di periferia, poi di sicuro ti ammazzerai con un secondo
lavoro mattutino. Fammi indovinare: cameriere al Lima Bean?»
«Commesso GAP» ammise, a testa bassa.
«Mentre tuo fratello scommetto che a parte mischiare
coca-cola light e acqua tonica con un bel sorriso etero sul volto non
ha altre abilità utili per trovarsi un lavoro. Un lavoro
vero.»
«E' la mia vita, mia e di mio fratello. Non ti deve
riguardare.»
«Ma può. Mio padre ha un'azienda e potrebbe dare un
lavoro a tuo fratello. Potresti lasciare questo posto e cominciare
una vita vera. E magari un giorno fare anche l'università.»
«Non voglio la tua elemosina.»
«Non sarebbe elemosina.»
«Sarebbe un pagamento? Vuoi che venga a letto con te e in
cambio darai un lavoro a mio fratello? Mi spieghi che differenza c'è
fra quello che mi proponi e quello che faccio?»
«C'è la differenza che non è “vendersi”,
se lo fai con uno che ti piace.»
«E chi ti dice che mi piaci?»
«Mi sembrava fosse abbastanza chiaro, un tempo. Vuoi forse
dirmi che è tutto cambiato? Hai detto che un anno è
troppo poco: significa che ti piaccio ancora.»
«Non se ne parla, Karofsky.»
Dave lo afferrò per una spalla, evidentemente seccato dalla
sua cocciutaggine. Finn si alzò da dietro il bancone e gli
lanciò un'occhiata minacciosa. Il ragazzo lasciò andare
la spalla di Kurt e alzò le mani:
«E' chiaro che qui non si può parlare in pace, tuo
fratello è sul punto di volermi uccidere e la tua amica
lesbica sembra del tutto intenzionata a castrarmi. Perché non
andiamo fuori?»
Kurt annuì. Lanciò uno sguardo a Santana e seguì
Dave fuori.
Santana si rivolse a Finn:
«Beh, stai lì a guardare mentre quel bisonte della
prateria calpesta il cuore di tuo fratello e lo usa come berretto? Ma
sei un uomo o un bambolotto gonfiabile?»
«Non rompere, Santana! Non so neppure io cosa fare.»
«Te lo dico io: vai lì e gli spacchi il naso.»
«Non posso, e lo sai bene. E può essere che anche
Kurt voglia parlarci, o l'avrebbe già allontanato.»
«L'hai visto anche tu che l'ha afferrato per una spalla!»
«E l'ha anche lasciato. Sarà anche più piccolo
di noi, ma non è più un bambino. Ha diciotto anni,
ormai, quasi diciannove. Sa decidere per se stesso.»
«Dire che un cuore infranto è in grado di pensare
lucidamente è come affermare che un ubriaco può
guidare!»
Finn strinse con forza lo strofinaccio che aveva in mano, mentre
faceva lavorare le meningi. «Va bene, facciamo così. Gli
do qualche minuto. Se Kurt non torna dentro, vado io fuori a
parlargli.»
«Già meglio, non trovi.»
«Fa freddo» disse Kurt, stringendosi nella propria
maglietta troppo leggera.
«Vuoi che ti scaldi?» disse, allargando le braccia.
Kurt lo fissò combattuto. Ricordava bene quanto aveva amato
gettarsi fra le sue braccia, lasciarsi stringere forte e sentirsi
amato. Ricordava anche il suo goffo modo di fargli i complimenti, i
suoi pessimi baci che miglioravano col tempo, i suoi regali sempre
sbagliati...gli era piaciuto davvero. Ma il punto era: gli piaceva
ancora?
«Torno dentro.»
«Aspetta, Kurt!» esclamò l'altro. «Ti
prego, dammi un'altra possibilità! Ho sbagliato, lo so, sono
stato un completo idiota, ma ero ancora alle superiori! Si fanno
tante idiozie alle superiori. Ora invece sono un uomo migliore: sono
qui per chiederti scusa.»
Kurt lo fissò stupito. Dave non chiedeva mai scusa. Non
seriamente.
Certo, se gli pestava il piede mentre si baciavano o
se per sbaglio gli dava una gomitata mentre erano in autobus o se si
dimenticava di riportargli un libro che gli aveva prestato, gli
diceva uno scusa veloce, quasi sovrappensiero. Ma non chiedeva mai
scusa seriamente. Non
era il tipo.
L'aveva fatto solo un'altra volta, da quando si erano conosciuti.
E quella volta lui l'aveva perdonato.
«Mi dici che cosa vuoi da me?» chiese Kurt.
«Voglio che torni ad essere il mio ragazzo. Voglio
ricominciare da capo e rimediare a tutti gli errori che ho fatto in
passato.»
«Hai una minima idea di cosa ho passato l'anno scorso?»
gli gridò contro.
«Lo immagino.»
«No! Non lo puoi immaginare se non l'hai vissuto sulla tua
pelle. Non dirmi che lo puoi immaginare perché non sai neppure
di cosa sto parlando.»
Dave abbassò lo sguardo: «Siamo stati bene insieme,
finché è durato, questo non lo puoi negare. Eravamo
soli e ci siamo trovati. Può essere di nuovo così.
Forse non so cos'hai provato l'anno scorso, ma so cosa si prova ad
essere soli e so che è una sensazione orrenda. Questa volta
sarà diverso: non siamo più al McKinley, non siamo più
il giocatore di football e il ragazzino gay. Siamo due ragazzi
qualunque e a nessuno importa nulla di noi.»
Kurt avrebbe voluto gridargli di sparire perché le sue
frasi da quattro soldi poteva infilarsele in un ben determinato
luogo, ma non disse nulla perché riconosceva nelle parole di
Dave parte di ciò che pensava. Era sempre stato solo e sapeva
quanto orrenda fosse la sensazione di vuoto che questo comportava.
Dave gli si avvicinò fino a posargli una mano sulla spalla.
Kurt non si ritrasse a quel contatto. Rimase immobile e lasciò
che Dave lo abbracciasse.
«Mi sei mancato, lo sai?» gli sussurrò ad un
orecchio, prima di avvicinare le sue labbra a quelle di Kurt.
In quel momento la porta del locale si aprì e Finn vide la
scena, inorridendo:
«Ehi, tu! Che cazzo credi di fare.»
Dave si voltò seccato: «Cerco un po' di intimità,
problemi?»
«Sì, se la cerchi con mio fratello.»
«Credo che il tuo fratellino sia abbastanza grande per
decidere da solo. E a me sembra che abbia scelto.»
«Kurt, è così?» chiese Finn.
Kurt si voltò verso di lui: «Finn, io-»
«Non ci posso credere! Dopo quello che ti ha fatto? Avrei
fatto meglio ad ascoltare Santana.»
«Perché, cosa diceva quella sgualdrina?»
«Diceva di fare questo» disse, tirando un pugno in
faccia a Karofsky. Dave cadde a terra ma si rialzò subito,
scagliandosi contro Finn. Kurt si frappose fra loro, cercando di
separarli.
«Smettetela! Non c'è motivo di prendersi a pugni!»
gridò. «Dave, ti sarei grato se non pestassi mio
fratello. E tu Finn, non metterti in mezzo.»
«Non metterti in mezzo, mi dici? E cosa mi dirai quando ti
ritroverai a piangere sul divano o a bruciare gli hamburger perché
sei troppo impegnato a soffiarti il naso o quando passerai ore
appoggiato alla parete della doccia a singhiozzare? Mi dirai di farmi
gli affari miei?»
«Non succederà» disse, speranzoso.
«Succederà, invece. E io ci sarò,
ci sarò sempre e tu lo sai. Ecco qual'è la differenza
fra me e lui. Fra Santana e lui. Noi ti vogliamo davvero bene. Impara a riconoscere i veri amici, Kurt. Forse
prenderai meno cantonate» disse Finn, tornando nel locale.
Rimasti soli, Dave si pulì il sangue che gli colava dal
naso.
«Mi dispiace. Lui non-»
«Non gli piaccio e lo capisco. Se vogliamo trovarci,
dobbiamo farlo lontano da tuo fratello.»
Kurt annuì.
«Hai detto che lavori da GAP. Quand'è che stacchi?»
«Finisco alle cinque.»
«Passo a prenderti domani. Prendiamo qualcosa in un bar e
intanto parliamo. Abbiamo ancora molte cose da chiarire.»
Il viaggio di ritorno trascorse nel più completo silenzio.
Finn e Kurt non si guardarono negli occhi neppure per un istante. Una
volta a casa ognuno andò nella propria camera senza neppure
augurare la buona notte all'altro.
Nel letto freddo, Kurt si ritrovò a sospirare.
Mi domando quando arriverà il mio turno per
essere felice. Quando finalmente passerò dal lato giusto di Lima.
N/A
Per
prima cosa mi scuso per il ritardo. Ieri ero convintissima di aver
pubblicato il capitolo invece – dopo aver passato mezza serata
a litigare col codice html – ho scoperto questa mattina che non
l'avevo pubblicato...
Forse
il karma vuole punirmi per qualcosa (non voglio indagare)
Ed
eccoci al terzo capitolo, nel quale fa la sua entrata in scena Dave!
Che
ve ne pare di lui? Le cose vanno un po' diversamente che
nell'originale, ma bisogna tener conto che nella fiction Kurt non ha
mai conosciuto Blaine alle superiori.
Voglio
ringraziare tutte voi che commentate, seguite o che avete inserito
fra i preferiti. Ad ogni recensione saltello come una fangirl!
E
un grazie alle mie due beta: MeMedesima, con cui sfogo i miei deliri
da klainer da mesi, ormai, e Alessandra, una mia amica che non ha mai
visto neppure una puntata di Glee (e fino a qualche giorno fa neppure
sapeva che faccia avessero gli attori) ma il cui aiuto mi è
stato prezioso. Come occhio esterno.
Detto
ciò, il quarto capitolo è già pronto e aspetta
solo di essere corretto e dovrei riuscire ad aggiornare venerdì
(html e computer permettendo).
A
presto!
yu_gin!
coming
next
Kurt ebbe un tuffo al cuore.
Attraversò la strada correndo, facendo inchiodare una
macchina.
«Sei venuto, alla fine.»
«Pensavi non l'avrei fatto?»
«Avevi dei precedenti.»
«Te l'ho detto: sono cambiato. Anche grazie a te.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** nice to meet you, again ***
A
Lima Side Story
Capitolo
4: nice to meet you, again
Blaine si svegliò nel proprio
letto con una scomoda compagnia. Sbuffò stizzito, già
sapendo chi fosse l'intruso.
«Seb, quante volte ti ho detto di
non intrufolarti nel mio letto?»
«Non ti ho fatto niente,
verginello. È solo che le stanze della Dalton sono così
fredde!»
«E tu sei così
maledettamente appiccicoso.»
Sebastian si alzò dal letto,
sistemandosi i capelli con la mano. «Che ore sono?»
Un'occhiata all'orologio bastò
per far balzare entrambi giù dal letto.
«Si può sapere perché
non mi hai svegliato?» sbraitò Sebastian, togliendosi il
pigiama e correndo in bagno.
«Per
lo stesso motivo per cui non mi hai svegliato tu.
Maledizione!» Blaine gettò il pigiama sul letto e cercò
i vestiti che avrebbe indossato. Il vantaggio della divisa era che
almeno non doveva perdere tempo a scegliere gli abbinamenti. Sebastian uscì dal bagno con un
asciugamano attorno alla vita e nient'altro.
«Hai anche perso tempo a farti la
doccia?»
«Sebastian Smythe dev'essere
sempre perfetto. Sia mai che incontri un bel pezzo di manzo nella
strada da qui all'aula di scienze.»
Blaine stava prendendo possesso del
bagno e insieme abbottonandosi la camicia quando la porta della
stanza si aprì. Un ragazzo imbarazzantemente biondo fece
capolino nella stanza.
I due si voltarono a guardarlo: «Jeff?»
«Oh, scusate ragazzi, non volevo
interrompere le vostre coccole post-coito.»
«Non ci stiamo facendo coccole
post-coito. Non c'è stato nessun coito!» protestò
Blaine.
Jeff lanciò un'occhiata al letto
disastrato di Blaine, poi a quello perfettamente integro di
Sebastian. «Come preferisci. Non spettegolerò di questo
coi Warblers per i prossimi cinque minuti» disse, estraendo
dalla tasca il suo iPhon e facendo loro una foto. «Volevo solo
dirvi che siete in ritardo e che questo pomeriggio si prova. Ordini
dall'alto.»
«Wes e David?»
«Precisamente. Buone coccole
pre-coito, allora.»
«Non abbiamo nessuna intenzione
di-»
Jeff chiuse la porta prima di doversi
sorbire le scuse di Blaine e il suo grido “non ci sarà
nessun coito”.
«Non posso dargli torto. Se io
avessi un compagno di stanza come me penso che scoperei tutti i
giorni» disse Sebastian, togliendosi l'asciugamano dalla vita e
regalando a Blaine una panoramica delle sue natiche.
Blaine alzò gli occhi al cielo e
raggiunse il bagno.
I due ragazzi riuscirono ad arrivare in
tempo alla prima lezione solo perché il professore si era
attardato in caffetteria. Presero posto in penultimo banco.
Dietro di loro Jeff si sporse e chiese:
«Allora, avete recuperato momento di intimità che avevo
interrotto?»
«Brillantemente» rispose
Sebastian, nonostante le proteste di Blaine. «Se vuoi la
prossima volta puoi unirti a noi.»
«Scusa, ho altri gusti.»
«Ah, capisco, a te piace solo
Nick» rispose, mettendo a tacere il biondino, al quale il
compagno di banco stava giusto chiedendo: “perché Seb mi
ha nominato?”
Sebastian seguì i primi due
minuti di lezione in silenzio, poi si rivolse a Blaine.
«Ora parliamo di cose serie.»
«Come per esempio la lezione di
scienze?»
«Ho detto serie, non noiose.
L'argomento di oggi sarà: come recuperare il commesso GAP in
cinque facili mosse.»
«No.»
«Non hai neppure sentito la
prima. Ti assicuro che le prime quattro sono pure legali nello stato
dell'Ohio!»
«Non ne voglio parlare.»
«Tu non vuoi mai parlare di
niente. Quasi quasi cambio compagno di stanza.» Si voltò
verso Jeff: «Ehi, biondino, vuoi essere il mio nuovo compagno
di stanza.»
Nick si frappose fra loro: «Ehi,
giù le zampe dal mio coinquilino.»
Sebastian
contrasse le labbra in un ghigno: «Molto etero»
ridacchiò prima di voltarsi. «Tornando a noi, poiché
a quanto pare dovrò accontentarmi di te, non demorderò
finché non mi lascerai organizzarti un appuntamento.»
«Va bene. Ma NON durante l'ora di
scienze. Né durante quella di storia e di letteratura.»
«Ma durante le prove dei Warblers
non posso chiacchierare senza beccarmi una strigliata da David!»
protestò.
«Facciamo così: finite le
prove usciamo, andiamo in un bar e lì potrai torturarmi a tuo
piacere, va bene?»
«Niente negozio GAP?»
«Niente negozio GAP.»
Per
ora.
Quando l'orologio del negozio segnò
le cinque, Kurt finì di ripiegare il maglione che aveva in
mano e poi si diresse verso il retro del negozio. Lì lasciò
giù il cartellino e prese giacca e borsa.
Non appena uscì dal negozio, il
vento invernale gli fece tremare le gambe.
Si guardò intorno e, dopo poco,
lo vide: dall'altra parte della strada, appoggiato alla propria auto,
Dave lo stava aspettando.
Kurt ebbe un tuffo al cuore.
Attraversò la strada correndo,
facendo inchiodare una macchina.
«Sei venuto, alla fine.»
«Pensavi non l'avrei fatto?»
«Avevi dei precedenti.»
«Te l'ho detto: sono cambiato.
Anche grazie a te.»
Kurt gli diede una pacca sulla spalla
come per dire “smettila di fare il melenso”.
«Ti porto da qualche parte?»
«Andiamo al Lima Bean. Lì
potremo parlare in pace e bere qualcosa di caldo» propose Kurt.
«Salta in macchina» gli
rispose e il ragazzo prese posto sul sedile del passeggero.
Non appena salì l'odore di Dave
gli entrò nelle narici. Era cambiato, ma non di molto.
Deodorante per uomini, birra rovesciata, un arbre magique
probabilemente all'eucalipto e-
«Fumi?» chiese,
riconoscendo l'inconfondibile odore di tabacco.
«Ho cominciato, ma sto cercando
di smettere.»
«Pensavo che col football non
potessi-»
«Ho smesso di giocare a football.
Ora faccio solo palestra. Niente football.»
Niente
spogliatoi maschili, niente docce in comune, niente allenamenti a
stretto contatto con altri ragazzi della tua età con degli
addominali da paura,
pensò Kurt. Neppure
lui deve aver avuto una grande annata,
sentenziò, arricciando il naso.
«Scusa per la puzza» disse
Dave, quando lo vide. «Questa mattina ho lasciato l'auto aperta
sperando che passasse, ma ormai anche i sedili hanno preso questo
pessimo odore.»
«Non fa niente. La nostra
macchina puzza di lacca per capelli, pizza stantia e cavoli. Tutta
colpa di Finn che una volta-» si interruppe. Forse non era una
mossa saggia tirare in ballo Finn. Non dopo il litigio che avevano
avuto la sera prima.
«E così lavori da GAP»
disse Dave, nella speranza di cambiare argomento. «Non mi
sorprende che ti abbiano preso: scommetto che con il tuo sorriso
attiri un sacco di ragazzine, pronte a comprare qualsiasi cosa
piegata da te.»
«In realtà, fino a ieri
lavoravo nel magazzino.»
«Inaspettata promozione?»
«Già, ho aiutato due
ragazzi a trovare delle tute per un numero di danza e a quanto pare
uno dei due è figlio di uno che conta e conosce il
proprietario. Così gli ha consigliato di promuovermi e
quello... l'ha fatto!» disse, alzando le mani e gesticolando.
«Lo fai ancora, vedo.»
«Uh?»
«Intendo, gesticolare con le
mani. Le tue mani potrebbero parlare per te. Se te le tagliassero
saresti muto.»
Kurt
rise: «Già, me lo dicono spesso. Che ci posso fare? Baby,
I was born this way!»
disse.
Dave parcheggiò davanti al Lima
Bean ed entrarono. Presero un caffè a testa, una fetta di
torta e un muffin, poi si sedettero l'uno di fronte all'altro ad un
tavolino.
Chissà cosa pensavano di loro
gli altri clienti del bar. Dave aveva un aspetto estremamente virile,
sia per il fisico, sia per il modo di vestire, di parlare, di
atteggiarsi. Nessuno avrebbe mai potuto sospettare che fosse gay. Lui
invece era consapevole di non essere la quint'essenza della virilità:
fisico magro e slanciato, tratti delicati, mani curate, un nasino
alla francese e la pelle più bianca di quella di un bambino.
Dovevano
sembrare una coppia davvero assurda. A pensarci bene però non
gliene importava: anche perché quello non era un vero appuntamento.
Erano solo due vecchi amici – beh, magari un po' più che
amici – che si ritrovavano per chiacchierare, per chiarirsi,
per raccontarsi.
«Allora, Dave, hai detto che sei
cambiato in quest'anno. Comincia a dimostrarmelo raccontandomi cosa
ti è successo che ti ha fatto cambiare.»
«Non pensi che prima sarebbe
opportuno parlare di quello che è successo tempo fa?»
No, Kurt non pensava che fosse
opportuno.
Faceva ancora troppo male.
...
Dave lo spinse contro l'armadietto,
facendolo cadere.
«Si può sapere che vuoi da
me?»
«Niente, mi dà solo
fastidio la tua vista» disse, continuando verso gli spogliatoi.
Kurt si rialzò da terra e lo
inseguì:
«Sai che ti dico? Purtroppo per
te frequentiamo la stessa scuola, quindi se ti dà fastidio la
mia vista hai due opzioni: o cambi scuola o ti foderi gli occhi di
prosciutto, così non mi vedrai più. In entrambi i casi
mi faresti solo un favore.»
«Osi anche rispondermi? Anche ora
che non c'è più il tuo fratellino a difenderti?»
«Oso! Perché sai una cosa?
Tu potrai anche picchiarmi. Potrai farmi un occhio nero, coprirmi di
lividi, mandarmi all'ospedale. Ma io mi rialzerò ogni volta e
ti giuro che non cambierò mai. Non il mio modo di vestire, non
il mio modo di parlare. Niente. Puoi colpirmi, ma non puoi
cambiarmi!»
«Sta' zitto!»
«Sei un bambino che ha paura di
ciò che è diverso da lui, diverso dalla norma. Io non
ho paura di te, ma tu?»
«Io-» Dave si voltò
verso di lui, alzando il pugno per colpirlo. Kurt fece per ripararsi
ma – il pugno non arrivò. Alzò lo sguardo e vide
Karofsky appoggiato all'armadietto dello spogliatoio. Si copriva il
volto con una mano. Stava piangendo.
«Karofsky? Ma stai-»
«Ecco, va' a dirlo a tutta la
scuola! Karofsky che piange come una femminuccia!»
«Non andrò a dirlo proprio
a nessuno. Anzi, non me ne vado da qui finché non mi dici che
ti prende.» Che diavolo stava succedendo?
Dave alzò lo sguardo. I loro
occhi si incrociarono.
«Prima mi hai chiesto perché
ce l'ho con te. Vuoi proprio saperlo? Una volta per tutte?»
«Voglio saperlo.»
«Ti invidio. Tu sai perfettamente
come sei... cosa sei.»
«Intendi gay?»
«Tutto. Intendo dire che tu hai
le idee chiare: vuoi diventare una star grazie alla tua voce, vuoi
guadagnare abbastanza da comprarti un appartamento lussuoso,
scommetto che vuoi sposare un uomo bello ed elegante, con buon gusto
in fatto di vestire e che ti faccia felice.»
Kurt strabuzzò gli occhi.
Effettivamente sì, quello era il suo sogno. Pensava al giorno
in cui avrebbe sposato l'uomo che amava e con cui avrebbe vissuto.
Pensava a quando il letto non gli sarebbe più sembrato freddo
e inospitale. Pensava a quando Lima sarebbe stata solo una realtà
lontana, un brutto ricordo e nulla di più.
«Già, questi sono i miei
sogni. Ma dubito riusciranno a diventare realtà. Viviamo a
Lima, in Ohio. E' tanto se riuscirò a trovare un lavoro che
non sia alla friggitrice del McDonald. Non so neppure se riuscirò
a finire la scuola, visto che io e mio fratello non sappiamo più
come tirare avanti con il suo solo stipendio e con i risparmi che
abbiamo.»
«E tutto questo non ti butta
giù?»
«Non ne hai idea. Ed è per
questo che ogni giorno mi presento qui brillante e sorridente, pronto
a dare il meglio di me. Perché se cedessi un giorno, un giorno
solo, non riuscirei più ad alzarmi. Se una sola volta dessi
retta ai tuoi insulti e compissi l'errore di rimanerci male, allora
tutto mi crollerebbe addosso.»
Dave deglutì prima di chiedere:
«Fa così tanto male?»
«Da morire. E non è il
dolore fisico o i lividi. È il pensiero che quello che fai è
ingiusto e stupido e inutile e si vede che non piace neppure a te.
Facendo male a me, stai ferendo anche te stesso. Tutti ci perdono ed
è solo colpa tua.»
«Scusa» disse.
Kurt lo guardò incredulo. Forse
aveva sentito male.
«Scusa, per gli spintoni, per gli
insulti, per le granite, per i vestiti che ti ho rovinato, per i
lividi. Scusa per tutto. Se l'ho fatto è stato solo per rabbia
contro me stesso. Perché non avevo mai trovato il coraggio di
fare ciò che più desideravo.»
«E cioè?»
«Questo» disse, prendendo
il suo viso fra le mani e baciandolo.
Kurt rimase immobile, attonito. Non
capiva neppure se stesse succedendo davvero. Sapeva solo che quello
era il suo primo bacio e – Karofsky era gay?
Certo, si sarebbe spiegata così
la sua esagerata omofobia e il suo odio particolare verso di lui.
Odio... forse quella non era la parola esatta.
Non appena si rese conto di quello che
stava accadendo, allontanò Dave, spingendolo con forza.
«Che diavolo stai facendo? Non
puoi passare dal picchiare le persone a... a baciarle!»
«Lo so e ti chiedo scusa. È
solo che volevo farlo da troppo, davvero troppo tempo.»
Kurt non poté fare a meno di
sentirsi lusingato. D'altra parte però non poteva accettare il
suo comportamento. No, avrebbe dovuto insultarlo e spingerlo via,
oppure uscire dallo spogliatoio e sbandierare a tutta la scuola ciò
che aveva scoperto, rovinando la reputazione del suo peggior nemico.
Invece rimase fermo immobile coprendosi
la mano con la bocca.
Il suo primo bacio. Quello era il suo
primo bacio ed era successo così in fretta che neppure se ne
era accorto. Ed era successo con la persona sbagliata.
«Che c'è, il gatto ti ha
mangiato la lingua?» chiese Karofsky.
«Dammi almeno il tempo di
recepire la cosa! Maledizione!» Nella sua testa si stavano
affollando una marea di pensieri, e nessuno di questi aveva
pienamente senso.
Si sedette su una delle panche e prese
un bel respiro. Doveva uscire da quella situazione. Poteva scappare e
tutto sarebbe ritornato come prima. Poteva rivelare il segreto di
Karofsky ma cosa sarebbe successo se nessuno gli avesse creduto? Di
sicuro sarebbero stati ancora più crudeli con lui.
Calma, Kurt, ragiona. Qual'è la
cosa migliore da fare? Qual'è quella più giusta?
«E' chiaro che hai le idee
confuse» disse infine.
Dave alzò gli occhi al cielo.
«Molto confuse, aggiungerei.
Immagino che tu non sia pronto per un coming out, e d'altra parte mi
sembrerebbe prematuro. Forse però è il caso che tu ne
parli con qualcuno. Ad esempio la signorina Pillsbury...»
azzardò.
«Non se ne parla! Non lo deve
sapere nessuno, mi hai capito?» disse con fare minaccioso. Poi,
resosi conto di avergli puntato contro il dito, si allontanò
stringendosi le spalle. «Intendo dire, non vorrei che la
strizzacervelli andasse a dirlo ai miei. Non so come la
prenderebbero.»
«Okay, niente consulente. In
questo modo però non saprei proprio come aiutarti.»
Una
soluzione ci sarebbe,
pensò Kurt, ma
non sono sicuro di farcela.
Poi però pensò che, se
riusciva a risolvere il problema di Karofsky, forse anche lui avrebbe
cominciato ad essere più gentile con lui e tutto sarebbe stato
più semplice.
Aiutando lui, aiuto anche me stesso.
«E' solo un'idea. Io te la dico e
tu prometti di rispondere senza che picchiarmi o minacciarmi?»
Dave annuì.
«Che ne dici se ci troviamo dopo
scuola, dove preferisci, e parliamo di questo tuo-» ruotò
più volte la mano in attesa che la parola giusta arrivasse.
«Scomodo segreto?» suggerì.
«Quello che è. Che ne
dici?»
Lo
sto facendo davvero? Sto aiutando il mio peggior nemico invece che
ridergli in faccia e rovinargli la vita come lui ha fatto con me?
Sono completamente idiota. Dov'ero quando la fata della malvagità
è passata a distribuire la sua dote? Ah già,
dimenticavo, non esiste la fata della
malvagità.
«Dico che si può fare. Ma
in un posto dove nessuno possa vederci insieme. Dev'essere un bar
sconosciuto, lontano dalla scuola, ad un orario in cui ci sia meno
gente possibile.»
Kurt sospirò, trovandolo un po'
ridicolo. «Come preferisci. Passi a prendermi tu?»
«Non è mica un
appuntamento!» protestò. Lo sguardo del ragazzino però
parlava chiaro. «Va bene. Fatti trovare alla fermata
dell'autobus dopo il Glee club. Passo a prenderti. Cerca di essere
discreto.»
«Lo
sai che non so essere discreto. Baby,
I was born this way»
disse, alzando le spalle.
Prima di puntargli il dito contro con
fare minaccioso, Dave sorrise.
...
«E così è
cominciato tutto. Siamo usciti insieme quella volta, nonostante io
rifiutassi di chiamarlo appuntamento. Siamo usciti ancora tante,
tante altre volte.»
«Intanto tu hai smesso di
picchiarmi e insultarmi e pian piano hanno smesso anche gli altri.»
«Intanto la nostra amicizia
diventava più che amicizia, finché un giorno...»
«Finché non mi hai chiesto
ufficialmente di diventare il tuo ragazzo.»
«E tu hai detto di sì.»
Kurt sospirò. In realtà
non sapeva perché l'aveva fatto. Non amava Dave. Gli piaceva
e, dopo aver cominciato ad aprirsi con lui, trovava piacevole passare
il tempo insieme. Non era neppure male fisicamente, anche se non era
esattamente così che aveva immaginato il suo uomo ideale.
In realtà dentro di sé,
sapeva bene perché aveva accettato: si sentiva tremendamente
solo e desiderava avere un ragazzo più di ogni altra cosa –
tranne forse sfondare nel mondo della musica. Aveva accettato perché
Dave era il primo ragazzo gay che conosceva, il primo che lo avesse
baciato, il primo che gli avesse chiesto “ti vuoi mettere con
me?” Poi però aveva cominciato a sentirsi sempre più
legato a lui e per un po' si era illuso di amarlo.
Kurt non aveva mai amato nessuno. Non
sapeva cosa si provasse e, stoltamente, pensava che sentirsi attratti
da una persona fosse anche solo vagamente paragonabile all'amarla.
Sbagliava, ma non poteva saperlo.
«Sono stati dei bei mesi, non
puoi negarlo» disse Dave.
«Tanto belli, quanto furono
brutti i successivi» disse Kurt.
«Ti ho già chiesto scusa
per questo.»
«Dave, devi capire che a volte
non basta chiedere scusa. Non puoi fare quello che vuoi e poi dire
“scusa, mi dispiace” con la faccia da orsacchiotto e
contare sul fatto che io ti perdonerò, perché sono il
più grande idiota di tutta la terra.»
«Non sei un idiota» disse
Dave. «Sei solo dannatamente buono; sei forse l'unica persona
veramente buona che abbia mai conosciuto e non devi pensare che
questo sia un difetto. Essere buoni non è un difetto.»
Kurt sorrise: «Capito il
concetto.»
«E cosa devono fare quelli che
sbagliano? Ho sbagliato, ma voglio rimediare. Ti prego, dammi una
seconda possibilità.»
«In realtà quella di prima
era già la tua seconda possibilità. Ricordi? Gli
spintoni, gli insulti, le scritte sull'armadietto...questa sarebbe la
terza.»
«Fa differenza?»
«Effettivamente no» ammise.
«Non per un idiota come me.»
Dave sorrise, cercando la sua mano sul
tavolino. «Lo sapevo! Allora possiamo rimetterci in-»
«Non così in fretta. Se
dobbiamo ricominciare, facciamo le cose con calma.»
Dave parve un po' deluso, ma alla fine
alzò le spalle: «Forse hai ragione. L'ultima volta non
ha funzionato perché siamo andati troppo in fretta.»
Tu
sei andato troppo in fretta,
avrebbe voluto dire Kurt. Tu
hai detto...hai detto quelle cose orribili.
No, l'avrebbe perdonato e sarebbe stato
tutto diverso.
In fondo Dave mi piace. Forse un
giorno, chissà, riuscirò anche ad amarlo.
La loro conversazione fu interrotta da
una voce prorompente:
«Ehi, ma guarda com'è
piccolo il mondo!»
Kurt sollevò lo sguardo e...
Oh no.
Se il suo primo sguardo fu per i
capelli assolutamente perfetti di Sebastian, in piedi di fronte a
loro, il secondo sguardo fu per gli occhi di Blaine.
L'espressione
che aveva sul volto era indescrivibile. C'era un messaggio di scusa,
come a dire “non volevo disturbarti” e “che diavolo
sto facendo” e “Sebastian, che diavolo stai facendo”.
E qualcos'altro.
Qualcosa come: “che bello vederti
qui.”
N/A
Casa
mia è piena di moscerini. Che cavolo gli sarà preso? E
soprattutto, perché sembrano trovarsi particolarmente a loro
agio nella mia camera, in particolare sullo schermo del computer dove
scrivo?
E
questo era il capitolo 4, in cui si comincia a parlare di cosa c'è
stato fra Kurt e Dave. Un passo per volta.
Spero
vi sia piaciuta la parte iniziale, perché io mi sono divertita
un sacco a scriverla!
Adoro
a tal punto Jeff e Nick che sono arrivata a chiedere ad una mia amica
di inserirli in una sua fanfiction!
Detto
ciò, faccio i dovuti ringraziamenti alla mia beta (MeMedesima)
che mi ha consigliato lo spoiler da mettere a fine capitolo.
Il
prossimo aggiornamento si farà un po' attendere, per i soliti
motivi (scuola, ispirazione vacante, lettura di Dalton che risucchia
ogni mio minuto libero).
yu_gin
coming
next:
«Blaine,
qualcuno là in alto è a favore della tua scopata.»
«Cosa
te lo fa credere?»
«Vedo
male, o quel nasino alla francese mi risulta familiare.»
Blaine
si voltò di scatto: «Kurt?»
«Te
l'avevo detto: probabilmente siete il OTP di qualche dio pagano.»
«Non
penso proprio.»
«E
perché?»
«Non
è solo.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** can I have a second chance? - maybe a third? ***
A
Lima Side Story
Capitolo
5: give me a second chance – maybe a third
Mentre
Blaine guidava, Sebastian continuava a cambiare stazione radio alla
ricerca di qualche canzone che fosse di suo gusto. Non trovando pane
per i suoi denti, spense la radio e sbuffò.
«Ora
mi lasci prendere le redini della tua vita per riportarla in
carreggiata?»
«Non
mentre guido.»
«Non
durante scienze, non durante storia, non durante letteratura, non
alle prove. Da quando i migliori amici ricevono su appuntamento?»
Blaine
si voltò a guardarlo «Da quando i migliori amici cercano
di trovarti un ragazzo con più insistenza di tua madre?»
«Dubito
che tua madre ti getterebbe fra le braccia di un uomo. Continua
ancora a organizzare cene con i colleghi di tuo padre e le loro
brufolosissime figlie? Ah, dimenticavo, non hai ancora fatto coming
out quindi ovviamente
continuano
a cercarti una ragazza.»
«Già.
E pensano che avere un compagno di stanza gay possa traviarmi. Se non
fosse per la posizione di tuo padre e tua fama immeritata di bravo
ragazzo, probabilmente mi avrebbero già ritirato dal
dormitorio.»
«Al
contrario di te, non mi sono fatto tanti problemi a dirlo ai miei.
All'inizio erano un po' sorpresi – come dar loro torto, con un
figlio così virile – poi l'hanno semplicemente
accettato. Ed ora mi porto a letto chi mi pare.»
«C'è
una cosa chiamata “larghe vedute” o “mentalità
aperta”. Non tutti i genitori ne sono dotati. Nella
fattispecie, i miei di certo non lo sono. Una volta mi hanno sentito
canticchiare I
want to break free
e
mi hanno quasi messo in punizione perché cantavo “quella
musica da froci”.»
«Neppure
gli avessi cantato YMCA!»
protestò Sebastian.
«In
tal caso penso mi avrebbero direttamente buttato fuori di casa.»
L'altro
ridacchiò, immaginandosi l'amico nel bel mezzo di
un'esibizione in stile Village
People.
«Non
è divertente. Se dovessero scoprirlo...»
«-se
dovessero scoprirlo e dovessero cacciarti di casa verresti a stare da
me. Te l'ho già detto. Mia madre non avrebbe problemi ad
ospitarti e la nostra casa è così grande che una camera
per te, nella stanza più remota della torre più alta la
troveremmo di sicuro.»
«Mooolto
spiritoso» ribatté.
«Ora
mi lasci organizzare la tua rappacificazione col Commesso GAP.»
«Il
commesso GAP ha un nome.»
«Detto
anche Ragazzo dello Scandals?»
«Si
chiama Kurt. E se vuoi saperlo, penso sia un bel nome.»
«Cavoli,
pensavo fossi cotto, invece sei già bruciato» disse,
annuendo pensieroso.
«Blatera
di meno ed esponi i tuoi maledettissimi cinque punti.»
«Okay,
punto numero 1: chiedergli scusa.»
«Già
fatto.»
Sebastian
lo guardò sorpreso: «E quando?»
«Quando
ci hai lasciato soli al negozio.»
«Mi
prendi in giro? Lì al massimo puoi avergli detto: “Ero
ubriaco, di solito non sono così.” Questo non è
chiedere scusa. Chiedere scusa implica fare qualcosa per farsi
perdonare.»
«Ad
esempio?»
esempio
chiedergli se vuole uscire per un caffè così da poter
parlare con calma. E solo allora avresti completato il primo punto.»
«E
il secondo?»
«Una
volta completato il primo punto devi riuscire ad ottenere il suo
numero di telefono. Se te lo da significa che ti ha perdonato, o
comunque che è interessato. Una volta ottenuto il numero devi
cominciare a scrivergli, così che diventi naturale parlare con
lui.»
«Okay,
e il terzo?»
«Beh,
pivellino, arriva al secondo, poi ti darò una mano a
proseguire verso la conquista di quel culo da favola.»
«Possibile
che ti riconduca sempre tutto al sesso?»
«Non
essere ipocrita, Blaine. Alla fine tutto
riconduce
sempre al sesso, è che la maggior parte delle persone non ha
il coraggio di ammetterlo. Io non lo nego e vivo in pace con me
stesso. Dovresti farlo anche tu.»
Blaine
schioccò le labbra scettico e guidò fino al Lima Bean.
Parcheggiò l'auto e entrò nel bar assieme a Sebastian.
Ordinarono un caffè a testa e Blaine si concesse il lusso di
un muffin al cioccolato. Stavano giusto andando a sedersi quando
l'amico lo afferrò per una spalla.
«Blaine,
qualcuno là in alto è a favore della tua scopata.»
«Cosa
te lo fa credere?»
«Vedo
male, o quel nasino alla francese mi risulta familiare.»
Blaine
si voltò di scatto: «Kurt?»
«Te
l'avevo detto: probabilmente siete la OTP1 di qualche dio
pagano.»
«Non
penso proprio.»
«E
perché?»
«Non
è solo.»
Guardando
meglio si accorsero che effettivamente seduto al tavolo con lui c'era
un altro ragazzo. E non sembrava un amico qualsiasi o uno sconosciuto
con cui scambiare due parole. A meno che Kurt non fosse abituato a
tenere gli sconosciuti per mano in quel modo.
«Andiamocene.
Salutarlo sarebbe troppo imbarazzante.»
«Fermo
dove sei: davvero hai paura della concorrenza dell'orso Yogi? Dico,
l'hai visto? Per quanto ti ritenga una creatura del bestiario
tolkeniano, meglio un hobbit che un troll delle montagne! Scommetto
che appena ti presenterai a lui, scaricherà in un nanosecondo
il camionista mancato e si getterà fra le tue braccia.»
«Kurt
non è quel tipo di persona.»
«Chi
lo sa, magari da ubriaco si “lascia andare”» disse,
canzonandolo.
«E
poi ho troppa paura di quel tipo: è il doppio di me. Se Kurt
mi ha fatto un occhio nero, quello mi spezza il collo.»
«Disse
il ragazzo che faceva boxe da quando aveva dodici anni. Andiamo!»
Vedendolo
ancora titubante lo afferrò per un braccio – quasi
facendogli rovesciare il caffè bollente – e lo trascinò
verso il tavolino dov'era seduto Kurt insieme allo sconosciuto.
«Ehi,
ma guarda com'è piccolo il mondo!» esclamò,
destando l'attenzione di Kurt. Sebastian notò compiaciuto come
se il primo sguardo del ragazzo fu di sorpresa e rivolto a lui stesso
– il secondo fosse diretto diretto a Blaine. Allora
non ho visto sbagliato al negozio GAP.
«Sebastian.
Blaine.
Che sorpresa» esclamò Kurt. Non sembrava particolarmente
felice. Piuttosto, imbarazzato.
«Stavamo
giusto andando a sederci quando ti abbiamo visto e così siamo
passati a salutarti e a ringraziarti. Le tute sono piaciute molto e
aspettiamo con impazienza le altre.»
«Penso
arriveranno in settimana» disse. Sebastian notò come lo
sconosciuto avesse voltato la testa, cercando di passare inosservato.
Piuttosto difficile, data la sua massa corporea.
«Ma
che scortesi! Non ci siamo neppure presentati!» esclamò,
allungando la propria mano verso lo sconosciuto: «Io sono
Sebastian e lui è Blaine, il mio compagno di stanza.»
Blaine
fece un timido cenno con la mano.
«Dave»
rispose, stringendogli la mano.
«Scusate,
non avremo interrotto qualcosa?» chiese.
«Beh...»
esitò Kurt. «Non direi che-»
«Meno
male! Ho pensato solo dopo che forse volevate un po' di privacy.»
«Oh
no, nononono. Io e Dave siamo amici. Solo amici» ci tenne a
precisare. Sebastian non poté fare a meno di notare la faccia
di Dave quando Kurt disse “solo amici”. Di certo non era
la faccia di uno che considera l'altro “solo un amico”.
«Non
è incredibile, ritrovarsi di nuovo in due giorni?»
Tre,
pensò Blaine, ma non disse nulla. Incrociò per una
frazione di secondo lo sguardo di Kurt, che doveva aver pensato la
stessa cosa.
«Già,
si vede che Lima è proprio una piccola città»
disse Kurt.
«Beh,
allora ci vediamo! Non appena le tute saranno pronte. A proposito,
non è che mi lasceresti il tuo numero? Così potrai
dirmelo senza che debba fare giri a vuoto.»
«Oh,
non c'è problema» disse Kurt. Gli scrisse il numero su
un tovagliolo e glielo passò. Lo sguardo di Dave alla risposta
di Kurt era abbastanza esplicito. Sprizzava gelosia. Era talmente
evidente da risultare quasi imbarazzante. Sebastian sorrise
compiaciuto e intascò il tovagliolo.
«Più
tardi ti faccio uno squillo, così saprai il mio numero. Alla
prossima!» disse, portandosi via Blaine.
«Che
diavolo ti è saltato in testa! Provarci così
spudoratamente davanti al suo ragazzo.»
«Punto
primo: io flirto con chi mi pare e piace. Punto secondo: quello non
era il suo ragazzo, ci potrei scommettere il mio blazer. E terzo:
intanto ho il suo numero.»
«Insomma,
il punto secondo è stato raggiunto.»
Sebastian
lo guardò contrariato: «E chi ha detto che ti darò
il suo numero? Tu non hai capito una cosa: non vale niente ottenerlo
da terzi, dev'essere lui stesso a dartelo. E sogni se pensi che te lo
dirò. Devi sudartelo.»
Blaine
sbuffò: «Prima dici di volermi aiutare, poi invece mi
complichi la vita.»
«Mio
piccolo, piccolo
amico,
non hai neppure idea di quanto ti sarò d'aiuto.»
«E
come?»
«Beh,
secondo te chi manderò a prendere le tute, la settimana
prossima?»
«E
quelli chi erano?» chiese Dave.
«Erano
quelli che ho incontrato al negozio ieri. Due ragazzi simpatici.
Penso facciano la Dalton, sai, quell'accademia maschile»
divagò.
«Non
mi piaceva il modo in cui parlava quello alto. Sembrava... sembrava
che ci stesse provando!»
«Ma
no, Sebastian fa sempre così.»
«E
da quant'è che lo conosci per dirlo?»
«Andiamo,
non sarai mica geloso?»
Dave
scosse la testa: «Ma per favore! Di chi dovrei essere geloso?
Di uno spocchioso figlio di papà e di un tappo con i capelli
unti?»
«Non
sono unti!» protestò, forse troppo veementemente per
passare inosservato. «Intendo dire, un sacco di ragazzi usano
il gel. Non posso certo parlare io che abuso della lacca per
capelli.»
«Come
vuoi, ma sono contento che se ne siano andati. Anche perché
sono solo dei ragazzini viziati: non hanno nulla in comune con noi e
probabilmente non avremmo avuto nulla di cui parlare. Siamo su due
mondi distinti.»
«Due
mondi distinti che continuano ad incrociarsi.»
«Certo,
perchè loro continuino a guardarci dall'alto in basso»
disse, quasi con disprezzo.
Kurt
avrebbe voluto dire che non era giusto da parte sua generalizzare
così e che il fatto di essere nati in una famiglia ricca non
li rendeva in automatico dei viziati. Poi però si rese conto
che era quello che aveva pensato la prima volta che aveva parlato con
Blaine.
Blaine
era stato decisamente poco carino, ma era ubriaco, in fondo. E
probabilmente voleva davvero baciarlo e l'alcol gli aveva
semplicemente dato il coraggio di farlo. Ma ciò significava
solo che-
Gli
piacevo. Ha sbagliato, certo, ma io gli piacevo.
«Tutto
bene?» chiese Dave.
«Tranquillo.
È solo che ormai si sta facendo tardi e io devo tornare a
casa.»
«Ti
accompagno in macchina» gli assicurò.
Uscirono
dal bar e Dave si mise al volante. Furono molto silenziosi, fino a
quando Kurt non disse:
«Fermati
qui.»
«Ma
è ancora lontana casa tua!»
«Non
voglio che mio fratello ti veda» disse.
Dave
annuì: «Giusto, non gli vado a genio.»
Eufemismo!,
pensò Kurt.
Assorto
nei suoi pensieri non si rese conto che Dave si stava sporgendo verso
di lui. Prima che potesse fermarlo, le loro labbra si erano già
sfiorate. Nulla di strano, non era certo il loro primo bacio e di
certo ce ne erano stati di meno casti. Però quando sentì
le mani di Dave farsi strada sui suoi fianchi, stringerlo da sopra la
maglietta, mentre le loro ginocchia cominciavano a farsi troppo
vicine – allora allontanò l'altro più
delicatamente possibile e disse:
«Devo
andare.» Non attese risposta. Slacciò la cintura e balzò
giù dalla macchina.
Camminò
a passo spedito verso casa senza mai guardare indietro.
Non
appena varcò la soglia, vide Finn fare capolino dalla cucina:
«Ehi,
sei tornato tardi.»
«Ho-ho
perso l'autobus» inventò.
Finn
non credette neppure per un secondo alla sua scusa. Capì
subito che doveva essersi visto con Karofsky, o non gli avrebbe
mentito.
«Ho
cominciato a preparare la cena. Sarà pronto fra circa
mezz'ora.»
«A
dire la verità non ho molta fame» disse.
«Ultimamente
ti succede spesso. Devi mangiare, o uno di questi giorni sverrai a
metà serata e Santana mi accuserà di farti patire la
fame.»
Kurt
si lasciò convincere e si sedette a tavola. Vedere Finn ai
fornelli poteva essere assai divertente, quando non era snervante.
Aveva quel fare impacciato che adorava, che gli dava quel senso di
familiarità. Era tutto ciò che rimaneva della loro
famiglia e non voleva perderlo.
Per
certi versi mi ricorda Blaine.
Si sorprese ad averlo pensato. Perché gli era venuto in mente
lui in un momento come quello?
Poi
ripensò ad una cosa che aveva detto Blaine al negozio GAP.
«Ehi,
Finn, per caso ti ricordi se due sere fa, allo Scandals, hai parlato
con un ragazzo nuovo. Uno basso con i riccioli neri.»
«Aspetta...
ora me lo ricordo. Sì, sì, un gran chiacchierone. Gli
sono bastati due bicchieri di birra per cominciare a raccontarmi la
storia della sua vita. A sentirlo raccontare mi veniva da pensare che
in fondo noi non ce la passiamo male!»
«Perché,
cosa ha detto?»
Finn
si sentì un po' a disagio: «Non penso che vorrebbe che
lo andassi a dire in giro. Erano cose private e se non fosse stato
ubriaco non avrebbe mai parlato.»
«Sono
tuo fratello! A me puoi dirlo, mica andrò a raccontarlo in
giro.»
«Non
insistere! È... è l'etica dei baristi, sai, come il
giuramento di Ipparco-»
«Ippocrate»
«-quello
che è – per i medici. Ascoltiamo ma non riferiamo.
Tranne alla polizia, dopo che ci ha minacciati di farci chiudere il
locale.»
«Dovresti
smetterla di guardare polizieschi» protestò Kurt.
Finn
rise: «Non prendertela. Se proprio sei curioso potresti sempre
parlare con lui, quando tornerà. Aveva davvero l'aria di uno
che aveva bisogno di parlare con qualcuno e penso che tu potresti
capirlo. Vi trovereste bene insieme.»
«Veniamo
da mondi diversi.»
«Non
ne sarei così sicuro» disse Finn, girando la zuppa
pronta nella pentola.
Quella
sera, quando Kurt andò in camera sua dopo aver augurato la
buona notte a suo fratello, prima di dormire diede un'ultima occhiata
al cellulare. C'erano due messaggi, che risalivano poco prima.
21:07
Ehi
splendore, sono Sebastian.
Questo
è il mio numero. Ci vediamo presto!
Sorrise
e lesse il secondo, riconoscendo il medesimo numero.
21:11
Dimenticavo,
non ho interrotto niente oggi, vero? Ho pensato che magari lì
per lì non volessi dirlo...spero di non essere stato
inopportuno.
Kurt
rispose:
21:35
Stai
tranquillo. Siamo davvero solo amici.
Poco
dopo ricevette un nuovo messaggio.
21:36
Dalla
faccia che ha fatto il tuo “amico” non sembrava.
21:37
E'
una lunga storia.
21:37
Me
la racconterai?
21:39:
Chissà,
prima vorrei riuscire a capirla io stesso. Poi, se sarai ancora
interessato, te la racconterò e tu ti farai quattro risate.
21:40
Non
vedo l'ora. Notte!
«A
chi stai scrivendo?» chiese Blaine, sporgendosi dal libro di
letteratura inglese per spiare il compagno di stanza.
«Sto
sondando il terreno.»
«Non
mi dire che stai scrivendo a Kurt?»
«Certo
che sì. Ho buone notizie per te: a quanto pare non è
molto preso dal suo presunto “solo amico”. È
confuso. Quindi è il momento giusto per agire, prima che quel
lottatore di sumo non orientale trovi il modo di convincerlo a
mettersi con lui.»
Blaine
fece finta di disapprovare i metodi subdoli del compagno.
In
realtà cominciò a fantasticare e senza nemmeno
accorgersene Oscar Wilde e le sue commedie passarono in secondo piano
nella sua scala delle priorità.
Note:
OTP:
one true pairing. Termine del fandom per indicare la coppia che più
amate.
N/A
Maledette
graminacee.
Vi
odio tutte.
E
questo era il capitolo cinque. Allora, piaciuto? Vi prego, non odiate
troppo Dave, in fondo lui vuole davvero tornare con Kurt. Le sue
intenzioni sono buone anche se inevitabilmente finisce per mettersi
in mezzo. E poi l'odio fa male e fa venire le rughe. Si avvicina la
primavera...vogliamoci tutti più bene! (fine parentesi)
Grazie
a tutte voi che recensite e/o avete inserito la storia fra le
preferite (10) o le seguite (38!).
Come
direbbe Dave, I'm so happy right now!
Al
prossimo aggiornamento! (venerdì?)
yu_gin
PS:
com'è la nuova impaginazione? Quella di prima mi faceva
impazzire, ma non so se questa è abbastanza chiara e se è
faticosa da leggere.
coming
soon
Blaine si rivolse a Sebastian:
«Cosa gli risponderai?»
«Gli dirò di aspettarmi questo pomeriggio. Ma non ci
andrò.»
«Ah no?»
«No. Ci andrai tu, al posto mio.»
Blaine strabuzzò gli occhi: «Da solo?»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** why do you make me act up? ***
A
Lima Side Story
Capitolo
6: why you make me act up?
Kurt
rimase a lungo a fissare lo schermo del cellulare, anche dopo che
Sebastian aveva smesso di scrivergli.
Era
rimasto vago sulla sua storia con Dave anche perché era
davvero troppo complicata per essere spiegata in un messaggio. Come
aveva detto, doveva ancora capirla lui stesso.
Era
riuscito a dimenticare tutto quell'anno. O meglio, non a dimenticare,
ma a smettere di pensarci ogni notte. Aveva trovato un po' di pace e
questo gli bastava.
Ora
invece i ricordi gli tornavano inevitabilmente in testa come se
fossero accaduti il giorno prima.
Si
sorprese nel constatare che certe ferite non si erano ancora
rimarginate.
La
musica era così alta che Kurt quasi non sentiva la propria
stessa voce, figurarsi quello che gli diceva Dave. Provò a
leggere le sue labbra, ma la testa gli girava già un po' e non
riusciva a mettere a fuoco ciò che cercava di dirgli. Lo prese
per un braccio e lo trascinò in disparte:
«Cosa
c'è?» chiese.
«Ti
avevo chiesto se volevi bere qualcosa.»
«Niente
alcol. Se mio fratello lo scopre non mi lascia uscire per il prossimo
mese!»
Dave
lo accompagnò al bancone, dove il barista, un uomo grosso e un
po' cupo, chiese loro cosa volessero.
«Mi
ordini una coca light? Io vado un attimo in bagno.»
Si
diresse verso il bagno degli uomini. Aprì appena la porta e la
richiuse all'istante, imbarazzato. C'erano due uomini in bagno. In
atteggiamenti molto intimi.
Non
gli sembrava il caso di interrompere le loro effusioni e poi –
detto molto sinceramente – non ci teneva ad assistere allo
spettacolo. Lo spaventava parlare
di sesso,
figurarsi vederlo dal vivo!
Si
guardò intorno: non c'era nessun altro. Aprì la porta
del bagno delle donne: libero. In fondo, era solo una pipì
veloce e poi di donne, allo Scandals, ce n'erano ben poche. Entrò
nel bagno e si chiuse in uno dei gabinetti.
Si
compiacque di constatare che, al contrario di quelli degli uomini, i
gabinetti femminili erano decisamente più puliti e le scritte
volgari erano... beh, meno volgari, oltre che meno numerose. Dopo che
ebbe finito andò ai lavandini per lavarsi le mani, quando la
porta del bagno si aprì.
Entrò
una donna alta con lunghi capelli neri che le incorniciavano il volto
olivastro. Era vestita di un rosso che la faceva sembrare ancora più
appariscente. Kurt si chiese cosa ci facesse la sorella di Lucifero
nel bagno dello Scandals.
«E
tu, che diavolo ci fai qui?» chiese contrariata.
«Emh...»
«Non
dirmi che non sai leggere: hanno sostituito apposta la scritta “lady”
con la figura!»
«No,
è che... di là... si, insomma ci sono-»
«Aaah,
ho capito. Scopata in corso. Beh, in tal caso hai fatto bene»
convenne. Lo guardò meglio e sospirò: «Dimmi, ma
almeno ce li hai diciotto anni?»
«Da
un mese» disse, non senza un certo orgoglio.
La
donna si coprì il viso con la mano: «Mio Dio, sembri un
orfano Disney uscito per magia dal VHS» disse.
Dall'espressione
che assunse Kurt al sentire quelle parole, la donna capì di
aver detto una parola di troppo.
«Oh
mio Dio, scusa, non intendevo... volevo dire che non sei il genere di
persona che ci si aspetta di trovare qui. Non è che ti sei
perso?»
«Sono
qui con il mio ragazzo. Più o meno.»
«Più
o meno sei qui o-»
«Più
o meno è il mio ragazzo. Mi piacerebbe capirlo, ma la
chiarezza non è il suo forte.»
«Uomini!
E dopo mia nonna mi chiede perché sono passata all'altra
squadra!» esclamò.
Kurt
sorrise. Nonostante a prima vista gli fosse sembrata il diavolo in
minigonna, quella donna lo aveva messo a suo agio.
«Io
sono Santana» disse, allungandogli la mano.
«Kurt»
rispose.
«Beh,
Kurt, non me ne intendo di uomini, ma il tuo dev'essere proprio un
idiota: fossi in lui non ci penserei due volte a dire “quello è
il mio ragazzo”.»
Kurt
arrossì. Non era abituato a ricevere quel genere di
complimenti.
«Non
dirmi che non te l'hanno mai detto?»
Scosse
la testa.
«Capisco:
purtroppo al liceo si trovano quasi solo idioti omofobi e cheerleader
in uniforme. Nessuno che sappia apprezzare. Mentre qui...» Lo
fissò pensierosa.
«Qui?»
«C'era
un ragazzo che ti somigliava parecchio. Era poco più grande e
per mantenersi negli studi lavorava qui allo Scandals.»
«Barista?»
«Spogliarellista»
disse, e sul suo volto comparve uno strano ghigno. A Kurt non piacque
per niente.
«Perché
me lo dici?»
«Perché
ora quel ragazzo ha trovato un altro lavoro. E il posto da
spogliarellista è vacante.»
Kurt
strabuzzò gli occhi: «Starai scherzando, spero?»
«Di
solito quando scherzo sono offensiva.»
«Io
dovrei- ma tu sei matta! Non riesco neppure ad immaginarmi io che-»
si coprì la faccia con le mani. «Mio Dio! Non riuscirò
più a togliermi quest'orrenda immagine per tutta la sera.»
«Sei
proprio un verginello» disse, ridendo. «Ma è
proprio per questo che potresti farlo. Sono certa che riusciresti
benissimo a unire quella tua aria candida a qualche mossa sexy.
Avresti un successone.»
«Non
se ne parla. Io... io non vendo il mio corpo!» protestò.
«E'
un lavoro come un altro.»
«No,
non lo è. È squallido e non lo farò mai.»
Santana
sorrise, facendo esasperare Kurt che aveva la netta sensazione che
quella donna non lo stesse minimamente ascoltando.
«Facciamo
così» disse, prendendo un foglio di carta da mani dal
distributore. Aprì la borsa e ne prese un pennarello. Vi
scrisse sopra un numero e, prima che Kurt potesse dire qualcosa,
glielo ficcò nella tasca dei pantaloni.
«Se
ci ripensi, sai chi chiamare. Hai un bel culetto, sarebbe un peccato
sprecarlo.»
Dave
accostò poco lontano da casa sua. Si voltò a guardarlo
e sorrise: era bellissimo. Si era vestito semplicemente: una
maglietta bianca, dei jeans stretti e scarpe da ginnastica, eppure
era dannatamente attraente, anzi, forse quell'aria sbarazzina lo
rendevano ancora più sexy ai suoi occhi.
Dave
non voleva assolutamente che li vedessero, così finivano
sempre per ritrovarsi in luoghi squallidi e desolati, che a Kurt
mettevano i brividi.
«Beh,
io allora vado» disse Kurt, slacciandosi la cintura.
«Aspetta!
È ancora presto.»
«Dave,
mio fratello probabilmente mi sta aspettando. Se ritardo ancora mi
farà una ramanzina sul fatto che sono ancora un ragazzino e
poi mi chiederà con chi sono uscito.»
Dave
si irrigidì: «E tu non glielo dirai, vero?»
«No.
Per ora. Ma prima o poi si farà insistente e vorrà
sapere con chi passo le mie serate, soprattutto se faccio così
tardi.»
«Hai
diciotto anni. Puoi fare quello che vuoi.»
«Già,
ma lui è la mia famiglia e non mi piace avere segreti con lui.
Se solo me lo lasciassi dire-»
«Non
se ne parla. Non lo deve sapere nessuno.»
«Finn
non lo andrebbe certo a sbandierare in giro. Sa cos'ho passato io e
non ti farebbe la stessa cosa.»
«Dici?
Secondo me penserebbe “la giusta punizione per Karofsky”.
Mi odia ancora, di certo non immagina che mentre lui mi considera un
bastardo senza cuore il
suo fratellino se la spassa con
me.»
«Non
dire così. Lo fai sembrare squallido. Soprattutto se poi non
hai neppure il coraggio di dirlo in giro. Non hai neppure il coraggio
di dire che siamo almeno “amici”.»
«Kurt,
sono nella squadra di football! Come credi mi tratterebbero se
sapessero che mi piacciono i ragazzi?»
«Più
o meno come tu hai trattato me gli anni scorsi?»
«Ti
ho già chiesto scusa per quello» disse, quasi offeso.
«Sì,
hai ragione. Non so-non so neppure perché ho tirato fuori
questo discorso.»
Era
sul punto di andarsene quando Dave lo baciò di nuovo, questa
volta con più enfasi, perché sapeva che dopo avrebbe
dovuto lasciarlo.
Difatti,
non appena si allontanarono, Kurt prese la sua borsa e aprì la
porta: «Ci vediamo a scuola.»
«A
domani» disse.
Quando
rientrò in casa, trovò Finn seduto sul divano. Aveva la
testa fra le mani e il volto arrossato.
«Finn,
tutto bene?» chiese. «Oh mio Dio, hai pianto!»
esclamò, sedendosi affianco a lui sul divano.
«Scusa,
non volevo farmi trovare così.»
«Non
scusarti. Dimmi cos'è successo.»
«Mi
dispiace Kurt, mi dispiace tantissimo.»
«Finn,
ti prego, non farmi preoccupare oltre.»
Cosa
poteva essere successo? Di certo nessun morto, visto che, al di fuori
di loro due, non avevano nessun altro parente o amico o conoscente
affezionato. I loro genitori erano morti da un anno e Kurt non aveva
ancora dimenticato la notte in cui era successo. Non aveva
dimenticato il nodo alla gola che l'aveva preso quando aveva visto
Finn in lacrime, incapace di dirgli cosa fosse successo.
Non
poteva sopportare di vederlo così.
«Ti
prego-»
«Ho
perso il lavoro» disse.
«Cosa?»
«Mi
hanno licenziato. La fabbrica era in perdita e hanno dovuto fare dei
tagli. Ero l'ultimo assunto, quello con meno esperienza.»
«Dai,
vedrai che riuscirai a trovare-»
«Un
altro posto? E dove? Ho passato tutto il giorno a sfogliare giornali
e a girare per la città alla ricerca di un posto come
commesso, aiuto-cuoco, spazzino... qualsiasi cosa! Nulla. Non so cosa
fare, Kurt! Io-» Si voltò verso di lui e l'abbracciò.
Kurt lo strinse forte. «Avevo promesso a papà che
qualsiasi cosa fosse successa avrei saputo mantenerti almeno fino al
diploma. Ora... non so neppure se riusciremo ad arrivare a fine
mese.»
«Non
è colpa tua Finn. Tu hai sempre fatto del tuo meglio.»
«E
non è stato abbastanza.»
«Finn,
hai diciannove anni, non quaranta. Non puoi chiedere a te stesso più
di quanto non chiederesti ad un altro ragazzo della tua età.»
Si sforzò di sorridergli, accarezzandogli la schiena. «Insieme
riusciremo a trovare una soluzione. Forse potrei cercarmi un
lavoro...»
«No!
Devi finire la scuola, prima. Se non ti riuscissi a diplomare non me
lo perdonerei mai e poi mai.»
«Ma
se fosse un lavoro pomeridiano...»
«Neppure.
Di pomeriggio devi studiare. E poi te l'ho detto: non si trova lavoro
da nessuna parte. Non c'è soluzione.»
Kurt
lo fissò pensieroso. Gli tornò in mente l'incontro di
quella sera con Santana. In tasca aveva ancora il suo numero. Abbassò
la testa e disse:
«Forse
so dove trovare un lavoro. Pagano bene e sarebbe di sera.»
«Davvero?
Ma è fantastico! Dici che mi assumerebbero?»
Kurt
si schiarì la voce: «Non penso. Però
prenderebbero me. Anzi, mi hanno proposto il lavoro giusto oggi.»
Finn
strabuzzò gli occhi: «Ah sì? E che lavoro
sarebbe.»
«Prometti
di non arrabbiarti? E di non dire subito di no?»
«E
come potrei, vista la situazione?»
Kurt
sospirò e prese il biglietto dalla tasca. Poi sollevò
la cornetta.
Dall'altra
parte riconobbe subito la voce della ragazza.
«Sono
Kurt» disse.
«Sapevo
che avresti chiamato.»
«No!»
«Che
vuol dire no?»
«Che
non lo accetto.»
«Ti
prego, ragiona almeno!»
«Che
c'è da ragionare? Mi chiedi se mi sta bene che ti metti a fare
lo spogliarellista allo Scandals? La risposta è no.»
«Te
l'ho detto, non abbiamo alternativa» sbottò, esasperato.
«Dave, per favore.»
«E
tuo fratello... tuo fratello che cazzo fa? Ti asseconda in questa
follia?»
«Ovvio
che anche lui all'inizio era contrario. Alla fine però l'ho
convinto. È una cosa temporanea, finché non finisco il
liceo o lui non trova un buon posto.»
«Beh,
forse avrai convinto lui, ma non convincerai anche me. Sei o no il
mio ragazzo? Come potrei accettare di pensare che, mentre io sono a
casa a dormire, una banda di vecchi bavosi ti guarda mentre ti
spogli, ti tocca e – no, è troppo brutto anche solo da
pensare.»
«Mi
dispiace Dave. Non cambierò idea.»
«Anche
se decidessi di lasciarti?»
«Te
l'ho detto. Io accetto che tu nasconda la nostra relazione a tutto il
mondo, tu accetta questo. Mi sembra equo.»
Dave
sbuffò, grattandosi la testa. «Ci devo pensare»
concluse.
«Va
bene.»
«Quando
cominci?»
«Domani
sera.»
Non
appena varcò la soglia del locale, sentì un nodo
formarglisi in gola. Finn dietro di lui lo seguiva incerto. Si
avvicinarono al bancone.
Kurt
si schiarì la voce e disse:
«Cerco
Santana.»
Il
barista lo guardò annoiato: «Ammiratori?»
«No.
Non direi» disse, incerto. «Dovrei parlarle. Per un certo
lavoro.»
L'uomo
lo guardò. Poi capì e accennò un sorriso poco
rassicurante. «Credo di aver capito.» Lo squadrò
dall'alto in basso. «Ha sempre buon occhio la nostra Santana.
Ora te la chiamo.»
L'uomo
sparì sul retro e Finn si rivolse a Kurt.
«Siamo
ancora in tempo per andarcene.»
«No.
Se me ne vado ora non troverò più il coraggio di
tornare.»
«Sei
sicuro?»
«Sì»
disse. La sua famiglia l'aveva sempre protetto. Si era sempre sentito
amato e coccolato – lui, il piccolino della famiglia. I suoi
gli avevano dato tutto ciò di cui aveva bisogno: tempo,
pazienza, amore incondizionato, anche dopo che aveva rivelato loro di
essere gay. Lo stesso era stato per suo fratello, che da quando erano
rimasti orfani aveva fatto del suo meglio per trasformarsi da
ragazzino perdigiorno ad adulto responsabile.
Ora
toccava a lui darsi da fare. Era il momento di fare la sua parte.
Pochi
secondi dopo fece capolino da dietro la porta una ragazza ispanica,
esuberante e splendida nel suo vestito rosso.
«Eccoti!
Ti stavo aspettando. Se vieni nei camerini ti spiego cosa devi fare e
ti aiuto a prepararti.»
Kurt
annuì debolmente.
Santana
sorrise: «Non fare quella faccia! Guardati, sei assolutamente
adorabile. Sono certa che avrai un successone.»
Finn
si schiarì la voce per richiamare l'attenzione su di sé.
Santana lo guardò, sollevando un sopracciglio: «E tu
devi essere suo fratello.»
«Già.»
«Puoi
andare via tranquillo. È nelle mie mani ora.»
«Senza
offesa, ma la cosa non mi tranquillizza affatto» ammise.
«Ascoltami
bene» disse, posando una mano sul fianco e facendo roteare
l'indice dell'altra mano. «Potrò anche sembrare una
bastarda senza cuore – ed effettivamente lo sono. Ma quando
dico che mi prendo cura di qualcuno, lo faccio fino in fondo. E ti
assicuro che se qualcuno dovesse anche solo provare a sfiorare con un
dito questo angioletto, gli farei passare la voglia di riprovarci per
il resto dei suoi giorni. Capito?»
Finn
deglutì: «Chiaro.»
Santana
sorrise soddisfatta. «Perfetto. Vieni con me, ora. C'è
ancora tanto lavoro da fare» disse, prendendolo per mano e
trascinandolo via. Kurt diede un ultimo saluto a Finn prima di
sparire nei camerini. Una nuova parte della sua vita stava
cominciando.
Stava
diventando adulto.
Blaine
seguiva le lezioni con meno attenzione, ultimamente. Era il suo
ultimo anno e doveva darsi da fare se voleva riuscire ad accedere ad
una buona università, ma in quei giorni i suoi pensieri erano
da tutt'altra parte.
Il
professore di Storia stava illustrando brillantemente l'ascesa dei
regimi totalitaristi in Europa, quando Sebastian gli tirò una
gomitata.
«Ahi!»
«Ma
smettila! Non ti ho fatto male! E tu faresti pugilato?»
«Che
vuoi Sebastian? Sto cercando di seguire.»
«Come
no. Non ti sei neppure accorto di aver aperto il libro di letteratura
inglese invece che quello di storia.»
Blaine
abbassò lo sguardo sul libri che aveva sotto il naso, aperto
al capitolo dedicato a Thomas Eliot. Lo chiuse seccato e si voltò
verso l'amico.
«Che
vuoi?»
«Portarti
belle notizie.»
«Hai
finalmente deciso di cambiare stanza?»
«Offensivo,
Anderson. Quasi quasi me lo tengo per me.»
«Cosa?»
«Questo
SMS fresco fresco da un commesso di nostra conoscenza.»
Blaine
quasi si fiondò sul suo cellulare. Lesse con apprensione le
parole di Kurt:
10:34
Ciao!
Volevo dirti che le tute sono arrivate questa mattina e ti aspettano
in magazzino pronte per essere indossate :)
Pensi di passare oggi?
Blaine
si rivolse a Sebastian:
«Cosa
gli risponderai?»
«Gli
dirò di aspettarmi questo pomeriggio. Ma non ci andrò.»
«Ah
no?»
«No.
Ci andrai tu, al posto mio.»
Blaine
strabuzzò gli occhi: «Da solo?»
«No,
con tutti i Warblers al completo pronti a cantare una patetica
serenata d'amore al tuo bel commesso. Ovvio che ci andrai da solo!»
Blaine
cominciò a sentire il cuore battere con violenza nel petto.
«Cosa gli dirò? Ciao, sono di nuovo io ma, te lo giuro,
non sono uno stalker?»
«Gli
dirai ciò che si aspetterà di sentire: “Sebastian
ha avuto un contrattempo e sono venuto io al suo posto.” A
prova di stupido, direi. Anzi, a prova di Blaine.»
«Forse
mi stai sopravvalutando. L'ultima volta è andato tutto bene
solo perché non ho detto neppure una parola.»
«Blaine,
mi spieghi che vuoi da me? Che ti accompagni anche al vostro primo
appuntamento, magari, che ti dia consigli sull'angolazione della
lingua mentre lo baci e che vi passi il lubrificante mentre-»
«Recepito!»
disse, interrompendolo prima che la sua fantasia partisse al galoppo
con immagini proibite.
«Ci
sono buone probabilità che vada tutto bene. Solo una cosa
Blaine.»
«Ossia?»
«Non
bere.»
Kurt
stava consigliando ad una ragazza il colore della felpa che si
abbinasse meglio con le scarpe che intendeva comprare quando vide una
persona entrare nel negozio. Non di certo la persona che si aspettava
di vedere.
Liquidò
la ragazza con il miglior consiglio che potesse darle e si diresse
verso la persona in questione. Meglio affrontarlo subito, visto che
non aveva alcun dubbio sul perché fosse lì.
«Dov'è
Sebastian?» chiese.
«Buongiorno
Kurt, è un piacere rivederti» rispose Blaine.
Kurt
si rese conto di essere stato scortese. Si morse il labbro: perché
gli veniva così naturale essere acido con quel ragazzo?
«Buongiorno,
Blaine. Immagino tu sia venuto per le tute» disse,
incamminandosi verso il magazzino, seguito dall'altro.
«Già.
Sebastian ha avuto un contrattempo. Ne ha combinata una delle sue e
così è dovuto rimanere alla Dalton per risolvere la
questione dal preside.» Aveva pensato ad una buona scusa per
tutto il tragitto in macchina e quello era stato il risultato. Pregò
che Seb non lo venisse mai a sapere o la sua vendetta sarebbe stata
tremenda.
«Mi
dispiace.»
«Avresti
preferito lui?» chiese, un po' indispettito.
«Intendevo
dire, mi dispiace che abbai avuto problemi con il preside. Ma visto
che lui è sempre stato molto gentile con me... sì,
avrei preferito lui.»
«Bene!»
«Benissimo!»
Rimasero
in silenzio a guardarsi, in attesa che uno dei due dicesse qualcosa.
Kurt distolse lo sguardo mentre fingeva di cercare con eccessiva
perizia le tute. In quel momento si rese conto di cosa aveva detto,
del tono in cui l'aveva detto e dell'intenzione con cui aveva
pronunciato quelle parole: quella di colpire.
Si
sentì uno schifo e distolse lo sguardo.
«Scusa»
disse, cogliendo l'altro di sorpresa. «Io... non so davvero
cosa mi prende. Di solito sono sempre gentile con tutti, anche con
chi non se lo meriterebbe. Anzi, mi criticano spesso di essere troppo
buono e che a volte lascio che altri calpestino i miei sentimenti ma
con te – con te tiro fuori il peggio senza neppure rendermene
conto. E poi mi sento come Meg Ryan su C'è
posta per te.
Non so perché lo faccio, ma non mi piace. Non sono io e-»
«O
forse tu sei proprio così, ma quando sei con me perdi ogni
inibizione e sei davvero te stesso» disse Blaine, alzando lo
sguardo per vedere la sua reazione.
Kurt
provò a dire qualcosa, ma poi tacque. «Forse.»
Blaine
sorrise, incoraggiato. «Senti, ti ho già chiesto scusa
ma ho capito che dire “scusa” non basta. È troppo
semplice combinare guai e poi sperare di cavarsela con due parole.
Per questo volevo chiederti si ti va di... sì, insomma, di
uscire. Per un caffè. In una caffetteria. Anche perché,
dove altro potremmo prenderlo un caffè?» disse,
emettendo una risatina isterica.
Kurt
lo guardò perplesso.
Blaine
deglutì e aggiunse: «A meno che tu e il ragazzo
dell'altro giorno...»
«Io
e Dave siamo solo amici. Eravamo solo due vecchi compagni di scuola
che prendono un caffè e chiacchierano dei tempi passati. Nulla
di più.»
A
giudicare da come ti teneva la mano non sembrava,
avrebbe voluto aggiungere Blaine, ma sarebbe stato farsi autogoal.
«Un
po' come noi, insomma. Ci prenderemo un caffè da amici. Anzi,
da amici di amici» disse Kurt, osservando la sua reazione.
«Quindi
il tuo è un sì?»
«Eh
già» disse, sorridendo.
Blaine
non aveva mai potuto constatare quanto bello fosse il suo sorriso.
Sembrava un'altra persona rispetto al ragazzo che aveva visto ballare
allo Scandals, o a quello seduto in caffetteria la settimana prima o
anche solo a quello che lo aveva accolto in malo modo pochi minuti
prima.
«Voglio
capire perché mi spingi a trattarti così. E poi non ci
sarebbe nulla di male in una chiacchierata fra ragazzi, no?»
«Assolutamente»
disse. «Potremmo vederci domani, quando finisci di lavorare.»
«Perché
no?»
Fra
loro calò nuovamente il silenzio.
Okay,
ora ha detto di sì. Qual'era il punto successivo nel malefico
piano di Sebastian? Ah, già: il numero.
«Ora
non vorrei sembrarti una specie di stalker» disse «ma
potresti darmi il tuo numero? Sai, così se ci dovesse essere
qualche problema, tipo, che so, un'invasione di locuste nei dormitori
della Dalton o la più grande nevicata della storia di Lima –
beh, potremmo sentirci per rimandare o spostare o disdire o magari-»
Non
si era accorto che, mentre lui blaterava, Kurt aveva preso la
ricevuta delle felpe e ci aveva scritto dietro un numero.
«Fammi
uno squillo, più tardi. Non mentre guidi: non vorrei averti
sulla coscienza.»
Blaine
prese la ricevuta e le felpe. Uscì dal negozio con un sorriso
così raggiante che avrebbe potuto fare a meno di accendere i
fari anche se il tenue sole invernale era già tramontato.
A/N
Ed
eccomi qui per un aggiornamento pre-pasquale.
In
questo capitolo si scopre un altro po' della storia di Dave e Kurt.
Certo, rimane ancora da scoprire perché si sono lasciati
ma...alla fine tutto sarà rivelato!
Grazie
a tutte quelle che hanno commentato o inserito la storia fra le
preferite/ricordate!
Al
prossimo aggiornamento (come al solito venerdì)
yu_gin
coming
next:
«Kurt,
tutto bene?»
«No,
maledizione! Non so cosa mettere.»
«Perché
tanti problemi. Vestiti come al solito, no?»
«Finn
non capisci un accidente di niente!» sbottò, ricadendo
sul letto sconfortato.
Finn lo
guardò perplesso.
Kurt
si voltò verso di lui: «Ho un appuntamento»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Courage: you are not alone ***
A
Lima Side Story
Capitolo
7: Courage, you are not alone!
«Sono
orribile» disse Blaine.
«Sei
fantastico. Ti darei una ripassatina prima di mandarti dal tuo bel
commesso, ma rischierei di far arrivare la merce danneggiata. Invece
penso che il nostro Kurt ti voglia tutto intero.»
«La
smetteresti, per cortesia?» chiese Blaine, guardandosi
un'ultima volta allo specchio.
«Non
capisco perché non vuoi mettere la divisa della Dalton: con
quella non avresti dubbi sul tuo aspetto: elegante, sobrio e poi ti
dà quell'aria da bravo ragazzo... assolutamente adorabile.»
«Ecco
appunto. Con quella divisa addosso mi sento uno scolaretto. E non
voglio che lui pensi a me come ad un ragazzino viziato ancora
aggrappato alla sicurezza della propria scuola. Non voglio sembrare-»
«Un
verginello? Beh, mi dispiace Blaine, per quello ci sarebbe una
soluzione, ma come ti ho già detto-»
«Niente
sesso, Sebastian.»
Il
ragazzo sbuffò.
«Comunque,
se non vuoi dare l'impressione del ragazzo di buona famiglia –
ti prego, Blaine, togliti quel papillon!»
«Non
se ne parla» rispose offeso.
«Cioè,
io mi faccio in quattro per procurarti un appuntamento e tu ti vesti
come la marionetta di uno spettacolo per bambini. Dillo che vuoi
farmi incazzare!»
«Senti,
io sono fatto così, va bene? Voglio essere a mio agio quando
sarò con lui. E poi sai che ti dico? Mi è sfuggito
quando i papillon sono passati di moda.»
«Questo
perché non sono mai stati alla moda. Non nella nostra era
geologica, per lo meno» protestò. Blaine lo zittì
con un gesto della mano e Sebastian lo mandò a quel paese,
tornando sui libri.
«Vedi
di non fare cazzate» disse, sfogliando il libro di economia.
«Andrà
tutto bene» rispose Blaine.
Lo
credeva davvero.
7:47
Niente
invasione di locuste e le previsioni dicono che sarà bel
tempo.
Sembra
che la fortuna sia con noi :)
Kurt
lesse il messaggio e sorrise per qualche istante, prima di ricadere
nel panico più totale. Finn passò davanti alla sua
stanza:
«Kurt,
tutto bene?»
«No,
maledizione! Non so cosa mettere.»
«Perché
tanti problemi. Vestiti come al solito, no?»
«Finn
non capisci un accidente di niente!» sbottò, ricadendo
sul letto sconfortato.
Finn
lo guardò perplesso.
Kurt
si voltò verso di lui: «Ho un appuntamento» lo
illuminò.
«Oh»
disse Finn. Aveva paura di chiederlo, ma azzardò: «Con-?»
Kurt
arrossì, vagamente imbarazzato. «Ti ricordi quel ragazzo
nuovo allo Scandals? Quello che si era ubriacato? Capelli neri, occhi
nocciola, piuttosto basso...»
«Ah,
ho capito! Aspetta, mi sfugge il nome...»
«Blaine.»
«Giusto»
disse. Poi sorrise: «E così esci con lui.»
«Non
sfottere!»
«E
perché dovrei? Lui sembra un bravo ragazzo ed è carino,
almeno credo. In realtà non so come sia il tuo tipo ideale.»
«Non
lo so neppure io» disse, sospirando.
Finn
entrò nella camera e si sedette affianco a lui sul letto.
«Senti, in fatto di vestiti non ti posso proprio aiutare. Né
in fatto di ragazzi. Ma ti posso dire una cosa: tu sei un ragazzo
fantastico. E non lo dico solo perché sei mio fratello. Anzi,
in quanto fratello potrei dire che sei un rompiballe asfissiante
lacca-dipendente che quando grida fa incrinare i vetri alle finestre
e cadere il pelo ai gatti e molti altri improperi da fratello. Da
persona a persona ti dico: va’ e sii te stesso. Scommetto che
saprà apprezzarti per quello che sei.»
«Guarda
che usciamo come amici. Solo come amici. Anzi, come amici di amici.»
Finn
sorriso: «E chi dice il contrario?»
«Non
fare quella faccia da “sì, sì, come no”: ti
ho detto che siamo solo amici.»
«Senza
dubbio.»
«Finn!»
gridò, così forte da far tremare gli specchi di tutta
la casa.
15:36
Nessun
criminale ha ancora cercato di svaligiare GAP e prendere in ostaggio
il commesso più carino. Quindi sembra proprio che ci vedremo
questo pomeriggio.
«Anderson!
Dove sei con la testa?» sbraitò Thad.
«Scusate
ragazzi. Non so cosa mi prende in questi giorni.»
«Lo
so io» disse Sebastian, sorridendo. «L'usignolo Blaine è
innamorato.»
Un
mormorio sorpreso si diffuse fra i ragazzi. Blaine lanciò
un'occhiataccia a Sebastian che alzò le spalle noncurante.
«Davvero?
E lei... lei chi è?»
Blaine
si schiarì la voce: «Beh... lei, è una ragazza
che ho conosciuto in un negozio e... abbiamo un appuntamento. Questo
pomeriggio. Dopo le prove.»
«E
il ragazzo non sta nelle mutande per l'emozione» concluse
Sebastian. «E' una settimana che scalpita.»
«E'
fantastico Blaine! Ma perché non ce l'hai detto prima?»
«Perché...»
Perché
non è una ragazza quella con cui uscirò oggi? Perché
non volevo mentirvi? Perché ho una paura folle che mi dia buca
o che mi liquidi dopo dieci minuti o che mi rovesci del caffè
bollente sui pantaloni di proposito?
«Perché gli ho chiesto di uscire solo ieri.»
«Le»
specificò Thad.
«Cosa?»
«Si
dice “le
ho chiesto di uscire”. Se dici “gli
ho chiesto di uscire” sembra che tu abbia appuntamento con un
uomo. La grammatica, Blaine!»
«Oh,
giusto. Grazie Thad.»
«Di
nulla.»
«A
tutti noi fa piacere che tu abbia trovato una ragazza, ma fra qualche
settimana avremo quella cosa chiamata “Regionali” e se ci
facciamo battere dal McKinley tua sorella ci sfotterà a vita.
E tu non vuoi che accada, vero?» chiese Wes.
«Decisamente
no!»
«Allora
diamoci da fare, Warblers!»
Non
appena Kurt uscì dal negozio lo vide.
Era
dall'altra parte della strada e camminava avanti e indietro,
calciando una lattina. Non appena sollevò lo sguardo da terra
lo scorse e gli sorrise. Che sorriso! Se fosse stata notte
probabilmente avrebbe illuminato il quartiere.
Kurt
attraversò la strada e gli andò incontro.
«Hai
visto? Niente cause di forza maggiore a trattenermi.»
«Mi
fa piacere. Anche perché se avesse nevicato così tanto
da sotterrare la Dalton, forse avrei avuto qualche problema di
mobilità anch'io» disse ridacchiando.
«Ne
deduco che l'invasione di locuste invece non ti avrebbe neppure
sfiorato?»
«Mh...
fa così Antico
Testamento!
Poco di classe. E poi la neve ha anche i suoi lati positivi. Le
locuste no. Non sarebbe stata una bella scusa.»
«Ah,
perché adesso le scuse possono anche essere belle?»
«Apprezzo
le scuse originali. Se uno mi dà buca dicendo “scusa,
dovevo aiutare mio zio a traslocare” mi offendo: non si è
neppure sprecato ad inventare una storiella divertente.»
«Stiamo
davvero parlando di scuse al nostro primo appuntamento?» chiese
Blaine.
Kurt
distolse lo sguardo, arrossendo per l'imbarazzo di essersi lasciato
andare così facilmente. «Primo appuntamento da
amici»
precisò.
«Non
pensavo ci fosse bisogno di specificare» rispose, sfoderando il
suo sorriso da e-adesso-cosa-mi-rispondi?
Kurt
scosse la testa: «Come vuoi. Dove pensavi di andare?»
«Da
nessuna parte. Pensavo di sederci in un bar e... parlare. Tutto qui.»
Bluffò. In realtà aveva un posto preciso in mente ma
non voleva dare l'impressione di uno che aveva passato l'intera
giornata a progettare il luogo, i vestiti, le cose da dire, i gesti
da fare. Non voleva dare l'impressione di essere dannatamente
emozionato per quell'appuntamento – come effettivamente era.
«Tutto
qui? È così che organizzi i tuoi primi appuntamenti?»
«Solo
quelli con gli amici» rispose.
Questo
ragazzino mi sta mettendo con le spalle al muro,
pensò Kurt, ma stranamente la cosa non gli dispiaceva. Anzi,
lo trovava divertente.
Blaine
disse di conoscere un bar non troppo lontano, così si
incamminarono. Lungo la strada quasi non si parlarono. Mancava loro
quel contatto visivo che faceva scattare la conversazione e così
rimasero in silenzio.
«Ecco,
il bar è questo» disse Blaine, fermandosi davanti ad un
piccolo locale.
Kurt
sorrise compiaciuto. «Mi sorprendi. Ti facevo più tipo
da Starbucks.»
«Capita
spesso di sbagliarsi nel giudicare. L'importante è ricredersi»
disse, aprendogli la porta e facendolo entrare.
Kurt
si guardò intorno: quel posto era incredibile. Le pareti erano
interamente dipinte di rosso ma erano coperte per la maggior parte da
quadri, fotografie e stampe. Ogni immagine appesa al muro sembrava
essere stata scelta appositamente, ogni quadro sembrava essere stato
dipinto con la consapevolezza che sarebbe stato appeso proprio lì.
«Ma...
sono stupendi!» esclamò Kurt, sedendosi insieme a Blaine
ad un tavolino.
L'altro
sorrise: «Sono tutte opere di artisti emergenti, spesso
rifiutati dalle gallerie o rimasti invenduti. Il proprietario conosce
i pittori di persona, uno ad uno. È una sorta di mecenate:
assume artisti squattrinati come camerieri finché non riescono
ad emergere o a trovare un lavoro appropriato alla loro abilità
e loro come ringraziamento...»
«Rendono
il mio bar una sorta di galleria d'arte» concluse una voce
profonda alle loro spalle.
Kurt
si voltò di scatto e vide dietro il bancone del bar un uomo di
media altezza ma di corporatura decisamente robusta. Era vestito
sobriamente con una camicia bianca che metteva ancora più in
risalto la barba nerissima che gli copriva il viso.
«Ciao
Virgilio!»
«Blaine,
è da tempo che non passavi a salutarci.»
«Colpevole.
Ma sai, gli esami, le prove col coro...»
«Capisco.
E lui è...?»
«Kurt»
rispose il diretto interessato, che si riscosse dallo stato di estasi
contemplativa nel quale era caduto.
«Ti
piacciono?» chiese, facendo un cenno ai quadri.
«Moltissimo»
ammise.
«Sei
un pittore in erba?»
«Oh
no. No, so a stento distinguere gli acquerelli dalla tempera. Se
proprio dovessi scegliere una forma d'arte che mi si addica... direi
la musica.»
«La
musica?» chiese Blaine, guardandolo un po' sorpreso, un po'
compiaciuto.
«Sì,
mi è sempre piaciuto cantare e quando ero alle superiori
cantavo nel Glee Club.»
«S-starai
scherzando?»
«No,
sul serio. Ero nel coro della scuola. All'inizio ci ero entrato
perché c'era anche mio fratello. Ma dopo che lui ha lasciato
la scuola ho continuato ad andarci e - anche se nell'ultimo periodo
le cose non andavano molto bene – è stato davvero
importante per me.» Nel dirlo abbassò lo sguardo.
Virgilio
capì di essere di troppo, così si defilò nel
retro, lasciando i due soli.
«Ti
va di parlarne?»
«Non
c'è molto da dire. Mio fratello andava a lavorare per
mantenerci e a me sembrava stupido sprecare tutti i miei pomeriggi a
cantare in un coro invece che cercarmi un lavoro vero.»
«Ma
a te piaceva davvero il Glee Club, giusto?»
Kurt
sollevò lo sguardo e lo fissò dritto negli occhi: «Era
la mia fonte di energia. Era forse l'unica cosa che mi teneva a
galla. Lì ho conosciuto persone meravigliose e ho capito quale
fosse la cosa che più mi rendeva felice al mondo: cantare.»
Sorrise, senza rendersene conto, nel ricordare i bei momenti passati.
Poi scosse la testa: «Okay, ti sto seccando con inutili
piagnistei! E pensare che praticamente neppure ci conosciamo.»
«Ci
siamo già visti quattro volte, cinque con questa. Come puoi
dire che non ci conosciamo?»
«Per
esempio: come mi chiamo di cognome? Quanti anni ho? Che scuola ho
frequentato? Quand'è il mio compleanno?»
«Okay,
mi arrendo. Cominciamo dall'inizio: mi chiamo Blaine Anderson,
diciotto anni, ultimo anno di liceo alla Dalton.
«Mh,
fa molto Alcolisti Anonimi.»
«Ora
tocca a te.»
«Kurt
Hummel, diciannove anni, diplomato l'anno scorso al McKinley.»
Blaine
lo guardò sorpreso: «Hai frequentato il McKinley?»
«Sì.
Quattro anni in quell'inferno.»
«Come
diavolo hai fatto ad uscirne vivo? Mia sorella si è trasferita
lì quest'anno e da come lo descrive sembra che la prigione di
stato in confronto sia un asilo infantile.»
Kurt
alzò le spalle: «Il bello – e il brutto – di
una scuola pubblica è che trovi davvero chiunque. Ho
conosciuto ragazzi di colore, ebrei, cheerleader, giocatori di
football, ragazzi ricchi, ragazzi poveri. C'erano persone di tutte le
etnie, nazionalità, religioni, estrazione sociale... ma
purtroppo c'era anche chi si divertiva a farti pesare la tua
diversità. I bulli ci tormentavano tutti i giorni, prendendoci
a granitate, spingendoci contro gli armadietti, dandoci nomignoli
orrendi. Essere nel Glee Club al McKinley
è come indossare i pantaloni a vita alta in discoteca. E poi
c'era chi era grasso, chi era nerd, chi stava con la ragazza
sbagliata...»
«E
tu cosa avevi di “sbagliato”?»
«Secondo
te?»
«Emh...»
«Blaine,
sono gay. E in Ohio a quanto pare è peggio che mangiare
bambini» disse. Poi lo fissò perplesso: «Aspetta
un attimo, non abbiamo mai messo in chiaro la cosa: anche tu-?»
«Sì.
Almeno credo.»
«Credi?»
«Sì,
insomma, non sono mai stato il ragazzo di nessuno. Ho baciato più
volte con un mio amico e – beh, diciamo che ci sapeva
decisamente fare.»
«Posso
provare ad indovinare il nome dell'eccellente baciatore?»
Blaine
sbuffò: «Non dirgli che te l'ho detto o il suo ego
crescerà a tal punto che dovremo trovare un letto solo per
lui.»
Kurt
rise: «Sai, la prima volta che vi ho visti insieme al negozio
GAP per un secondo – sì, per un secondo solo ho pensato
che fosse il tuo ragazzo. Poi però ha cominciato a flirtare in
maniera così spudorata... beh, praticamente con ogni ragazzo
del negozio, così ho capito che di certo non potevate essere
insieme.»
«Sebastian
è fatto così. Ci prova con tutti, non ci prova davvero
con nessuno. Io gliel'ho detto: ora fa tanto l'uomo di mondo e si
prende tutti i ragazzi più belli. Poi un giorno si innamorerà
di un ragazzo grassottello e silenzioso abituato a fare da carta da
parati alle feste e allora riderò.»
«Mi
sembra che viva la sua sessualità senza alcun problema. Ne
deduco che alla Dalton nessuno vi tratti male.»
«C'è
tolleranza zero verso i bulli. Nessuno gli ha mai dato fastidio.»
«E
a te?»
Blaine
abbassò lo sguardo: «Io... non ho ancora fatto coming
out. Lo sa solo Sebastian. E te, ovviamente.»
Kurt
alzò gli occhi al cielo: Un
altro che vive nell'ombra. Che sto facendo? Voglio davvero ripetere
lo stesso errore dell'altra volta? Voglio di nuovo imbarcarmi in una
relazione con un ragazzo che avrà paura di camminare mano per
mano per strada, di tenere la mia foto nel portafogli, di dire
“questo è il mio ragazzo” ed esserne orgoglioso?
No.
Non avrebbe mai potuto sopportarlo un'altra volta.
Ma
in fondo questo non è che un amico, no? Quindi che importa? Al
massimo posso aiutarlo a prendere la decisione migliore. Sì,
devo vederla in questo modo.
«Beh,
ne sono lusingato. A quanto pare ispiro fiducia visto che non sei il
primo a farmi una simile confessione.»
«Dev'essere
per quell'aria da elfo di Babbo Natale. Gli elfi di Babbo Natale non
possono fare del male, al massimo si addormentano sulle macchine per
fare i regali creando seri ritardi sulla consegna.»
Kurt
lo fissò, chiedendosi con chi diavolo stesse parlando.
«Se
posso chiedere... perché esiti a fare coming out? Insomma,
Sebastian ti ha “spianato la strada”, se accettano lui
accetteranno anche te. E, a quanto mi risulta, alla Dalton non ci
sono fenomeni di bullismo né omofobia.»
«Non
è per i miei amici. A loro lo direi anche subito. Ma vedi...
la mia famiglia...» Blaine sospirò. «Loro sono dei
tradizionalisti. Sai, di quelli che ci tengono alle apparenze, che a
Natale addobbano la casa, che fanno la preghiera prima di mangiare il
giorno del ringraziamento, che fanno volontariato presso la chiesa...
e poi appena chiudono al porta di casa sparlano dei vicini, dei
nostri parenti lontani, degli immigrati, dei gay...»
«Capisco.»
«Anche
tu hai dovuto nasconderti?»
«No,
per me non è stato così. Nonostante mio padre fosse un
tipo burbero, sai uno di quelli hamburger-birra-e-football, mi ha
sempre accettato per quello che ero. In fondo aveva sempre Finn per
andare alle partite o per parlare di ragazze. Anche mia madre non mi
ha mai fatto mancare l'affetto, neppure per un secondo. E per quanto
riguardo mio fratello... beh, all'inizio è rimasto un po'
spiazzato. Forse sperava di organizzare uscite a quattro con le
nostre ragazze o, che so, far giocare insieme i nostri nipoti, ma
ormai si è abituato all'idea. Non c'è imbarazzo fra
noi, anche se viviamo da soli.»
«Vivete
soli? Ma i vostri genitori-»
Kurt
lo fissò stupito. «Pensavo che Finn te l'avesse detto. I
nostri genitori sono morti due anni fa. È per questo che mio
fratello ha lasciato la scuola per andare a lavorare. È per
questo che io ho-» fece un respiro profondo, come se si
vergognasse di ciò che stava dicendo «è per
questo che ho cominciato a lavorare allo Scandals.»
Blaine
si sentì colpito in faccia da uno schiaffo. Lavorava allo
Scandals per guadagnare di che mangiare. Non era un ragazzino
svogliato che contava di guadagnare soldi facili col proprio corpo.
Quei soldi gli servivano davvero, come gli serviva il lavoro da GAP.
Ripensò a ciò che gli aveva detto e si sentì
male.
Io...
come posso essere stato così stupido? Ubriaco o meno non ho
scuse per ciò che gli ho detto. L'ho ferito gratuitamente,
dopo tutto quello che gli è successo.
«Io...
non ho parole. Mi dispiace tantissimo.»
«Non
potevi saperlo. Insomma, penso che – nei tuoi panni –
avrei pensato anch'io male di uno che a diciotto anni si mette a fare
quel tipo di lavoro.»
«No,
non avevo alcun diritto di fare illazioni. Quel pugno me lo sono
meritato.»
«Diciamo
che entrambi abbiamo dato per scontato un po' troppe cose. È
un errore fin troppo comune fra le persone. Vediamo qualcuno e
pensiamo di aver capito tutto di lui dal modo di vestire, di parlare,
dalla scuola che ha frequentato. E poi, anche se ci rendiamo conto di
aver sbagliato, non vogliamo ammetterlo.»
«I
miei sono più o meno così. Sono cresciuto sentendo
battute sui gay, sugli hippie, sugli atei, sui musicisti... insomma,
su tutto ciò che per loro non è nella norma. Quando ho
capito di essere gay mi sono sentito perso. Dopo tutto quello che
avevo sentito come potevo sedermi davanti a loro e... dirglielo?
Ancora adesso provo ad immaginare le loro facce, i loro sguardi
delusi... schifati!»
«Hai
detto di avere una sorella. Cosa credi direbbe lei?»
«Rachel?»
«Beh,
magari sarà più semplice parlarne con lei. Io ho avuto
difficoltà a parlarne con mio fratello, ma perché
pensavo che fra noi si sarebbe creato imbarazzo essendo due maschi.
Le ragazze di solito hanno una maggiore sensibilità e una
mentalità più aperta.»
«Non
so come reagirebbe lei. Mi sembra ancora una ragazzina! Certo, fra
noi c'è una certa confidenza - ci siamo coperti a vicenda una
sacco di volte – ma se dovesse reagire male e dire tutto ai
nostri genitori...» tacque.
Kurt
capì subito cosa intendeva dire Finn quando diceva che Blaine
aveva davvero bisogno di parlare. Si vedeva che stava male.
Anch'io
ho passato brutti momenti a scuola, ma riuscivo ad andare avanti
pensando che a casa avrei trovato la mia famiglia ad accogliermi.
Invece per lui è il contrario. Con la differenza che non potrà
sperare di dimenticare la sua famiglia ottenuto il diploma, come io
mi sono lasciato alle spalle il McKinley.
Si
rese conto di quanto loro fossero simili. All'inizio pensava che
Blaine fosse uno spocchioso figlio di papà e che vivesse in un
mondo perfetto distante anni luce dal suo appartamento trasandato.
Ora invece non invidiava più la sua grande villa e la sua
famiglia al completo – non dopo aver sentito che tipo di
famiglia fosse.
Non
seppe spiegare cosa lo spinse ad allungare la mano e ad afferrare
quella di Blaine. Gli sembrò una cosa naturale, spontanea, per
nulla fuori luogo, nonostante continuasse a ripetere “è
solo un amico”.
«Courage!»
disse.
«Cosa?»
«Quando
ero alle superiori e i bulli mi rendevano la vita un inferno, me lo
ripetevo in continuazione. Coraggio. Quando mi facevano cadere a
terra, mi rialzavo. Quando mi colpivano, sollevavo la testa. E quando
mi ferivano con le loro parole – e quella era forse la parte
migliore – mi ripetevo che dovevo farmi coraggio ed andare
avanti. Perché le superiori sarebbero finite, perché me
ne sarei andato da Lima, perché un giorno li avrei guardati
dall'alto e avrei provato non più odio, ma compassione per
loro e per le loro piccole menti rattrappite.»
«Ma
come farò? Quando finirò le superiori le cose andranno
ancora peggio perché non ci saranno più le mura della
Dalton a proteggermi.»
«E'
per questo che devi approfittare di questi ultimi mesi per crearti
una corazza che ti protegga dall'odio della gente. E soprattutto,
approfitta di questi ultimi mesi per imparare a riconoscere con chi
la corazza non è necessaria e a chi aprire il tuo cuore.»
Blaine
gli strinse la mano e sorrise.
«Grazie.»
«Di
nulla. So cosa stai passando, e so anche che, insieme, è più
facile andare avanti a testa alta.»
Prima
di salutarsi, quella sera, si ripromisero di tenersi in contatto e di
rivedersi.
«Come
amici» avevano precisato, quasi in coro, con tale fretta che la
sicurezza di entrambi per un attimo vacillò.
«E
quindi?» chiese Sebastian.
«Quindi
cosa?»
«A
che base siete arrivati?»
«Ma
sei idiota?» sbraitò l'altro, tirandogli contro il
cuscino. «Ci sono uscito una sola volta. E solo come amico.»
«Uno:
in realtà, se i miei conti non sono errati, vi siete visti
quattro volte prima di oggi. Certo, in una l'hai insultato, la
seconda hai blaterato inutilità e la terza non hai detto una
parola, ma durante la quarta qualcosa avrai fatto se ha accettato
l'appuntamento.»
«In
realtà-»
«Non
ho finito. Due: come amici? Ma per favore, neppure i ragazzini delle
medie ci vanno così cauti. L'avete precisato così tante
volte che ormai è palese.»
«Che
cosa?»
«Che
nessuno di voi ha intenzione di rimanere “solo un amico”.
Lo fate solo per proteggervi. Tu perché sarebbe il tuo primo
ragazzo e non vuoi rovinare tutto. Lui... beh, è chiaro che
deve essergli successo qualcosa. Un tradimento, forse.»
«Chi
tradirebbe mai uno come lui?»
«Forse
uno stupratore seriale» propose Sebastian.
«Kurt
non si metterebbe mai con uno stupratore seriale.»
«Hai
ragione, preferisce i giovani rampolli di buona famiglia in divisa da
scolaretto» disse, ridacchiando. Per sua fortuna Blaine gli
aveva già lanciato contro il cuscino, così che la sua
battuta non ebbe ripercussioni.
«Smettila.
Secondo me lui è il classico tipo a cui non importa chi sei.
Importa come sei dentro.»
«Continui
a dire “secondo me”, ma la verità è che di
lui sai poco o niente se non che ha un anno più di te, ha
studiato al McKinley e lavora da GAP.»
E
fa qualche serata allo Scandals per arrotondare.
«E
quindi?»
«E
quindi questo mi riporta al punto tre. Devi conoscerlo. Devi capire
cosa gli piace e cosa invece odia. E soprattutto, scopri che cosa gli
ha spezzato il cuore.»
«Lui
è molto riservato.»
«Un
po' come te, insomma. Ma se gli aprirai il tuo cuore, se continuerai
a confidarti con lui, allora si sentirà meno vulnerabile e ti
racconterà tutto ciò che ti serve sapere per portartelo
a letto.»
Blaine
sbuffò: «Okay, penso di poterlo fare. Con calma, ma
posso farcela.»
«Ah,
un’ultima cosa, Blaine. Scopri chi è il ragazzo del bar.
Ho un brutto presentimento.»
Quella
sera Kurt cucinò le frittelle. Finn si affacciò sulla
soglia della cucina e lo guardò perplesso. Kurt stava
canticchiando?
Ebbene
sì, suo fratello era palesemente felice.
Non
felice tipo “oggi c'è il sole” - anche perché
erano le otto di sera – né felice tipo “quant'era
divertente quest'ultima puntata di Friends”.
No, era quel tipo di felicità che Finn aveva imparato a
riconoscere.
Suo
fratello si stava innamorando.
Non
l'aveva mai visto così. Forse alle superiori, quando si era
preso una cotta stratosferica per un giocatore di football
dell'ultimo anno che neppure si era accorto della sua esistenza.
Neppure quando usciva con Karofsky era così felice. Anzi –
avrebbe voluto precisare – non era mai stato felice con lui.
Gli
si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. Kurt sobbalzò.
«Finn!
Non ti avevo sentito.»
«Per
forza. Sembri esserti perso nel paese delle meraviglie.»
«Ma
per favore!» esclamò, rigirando la frittella.
«Cucini
canticchiando. Kurt, non mentirmi. L'ultima volta che hai fatto le
frittelle eri riuscito a comprare il dvd di Rent
a prezzo stracciato.»
«Che
c'è di meglio di Rent?»
«Mh...
forse un ragazzo?»
Kurt
si voltò verso di lui: «U-un ragazzo?»
«Non
so, azzardo, magari un certo Blaine?»
Kurt
tornò alle frittelle. «E cosa te lo fa pensare?»
«Da
quando sei tornato dal vostro appuntamento “solo come amici”
sembri una damigella d'onore al matrimonio di sua sorella.
Dannatamente felice» disse. «Non che la cosa non mi
faccia piacere. Soprattutto se questo ti fa cucinare le frittelle.»
«Va
bene, siamo usciti. Ed è stato... piacevole. Molto piacevole.
Siamo andati in un bar bellissimo e abbiamo bevuto il cappuccino più
buono di tutta Lima, se non dell'Ohio intero e abbiamo parlato –
lui mi ha raccontato di sé, della sua famiglia, dei suoi
amici. È stato bello.»
«Questo
l'avevo capito. Quello che mi chiedevo è quando ti deciderai
ad ammettere che non era esattamente un amico, ma qualcosa di più.»
«Un
confidente?»
«Kurt,
non rendermi le cose più difficili. Sai che non sono un asso
in fatto di storie d'amore, ma cavoli! Qualche commedia romantica me
l'hai fatta vedere e fidati se ti dico che in questo momento potresti
benissimo essere uno di quei protagonisti...»
«Ma
dai, ci sono uscito solo una volta.»
«E
ci sarà una seconda?»
Kurt
spense il fuoco sotto la pentola stizzito: «Come mai tutto
questo interesse per i miei affari?»
«Perché
ti vedo felice ed è una bella cosa. E poiché è
palese che è quel ragazzo a renderti felice, mi piacerebbe che
lo capissi anche tu.»
«Di'
la verità: tu vuoi che mi metta con lui perché così
mi dimenticherò di Dave.»
«Vuoi
la verità? Sì, è anche per questo. Ti ricordi
cosa ti ho detto quando ho scoperto che eravate insieme?»
«Sì,
che avrei sofferto.»
«E
tu cosa mi hai risposto?»
«Che
volevo dargli un'altra possibilità. Perché sbagliare è
umano.»
«E
io mi sono fatto da parte, indeciso se definirti un idiota o un
angelo. Poi è andata come è andata. Ma se anche questa
volta gli permetterai di spezzarti il cuore allora sarai
definitivamente un idiota.»
«Non
voglio rimettermi con lui. Voglio solo... che torniamo amici.»
«Hai
visto come ti guardava? Non mi pareva che volesse rimanere “un
amico” con te. Un amico non tenta di baciarti.»
«E'
confuso.»
«E
lo sei anche tu. Ti sembra di essere l'unico ragazzo gay di tutta
Lima e ti aggrappi al primo che trovi. Che fino ad ora era Dave.»
«Ah,
e quindi adesso che c'è Blaine devo buttarmi su di lui. Così,
perché è gay e non è Dave.»
«Hai
capito quello che intendo.»
«Sì,
se intendi dire che mi butto via col primo che capita... beh, allora
grazie tante» disse, abbandonando le frittelle sul tavolo e
lasciando la cucina con eccessiva teatralità
«Kurt!»
gridò l'altro. Sbuffò, guardando le frittelle calde, e
lo raggiunse in camera. Quando entrò lo vide seduto sul letto
a gambe incrociate. Aveva il cellulare in mano e sorrideva
stupidamente.
Anche
Finn non poté fare a meno di sorridere:
«Posso
indovinare chi ti ha appena scritto?»
Kurt
annuì, ma Finn se ne andò senza rispondere. Come se ce
ne fosse bisogno.
A/N
Ogni
volta che il mio migliore amico sbaglia a mettere i “gli/le”
all'interno di una frase lo correggo sempre e lui sbuffa e alza gli
occhi al cielo. Sì, sono seccante come Thad e ne vado fiera.
Ed
ecco che finalmente i nostri Klaine boys escono insieme per un vero
appuntamento (da amici).
Ora,
mercoledì ho visto la 3x15 di Glee dopo SETTE settimane di
attesa e quello che ho visto ha decisamente raggiunto e superato le
mie aspettative.
E
ieri ho trovato una copia di Harry Potter 7 a metà prezzo
praticamente perfetta.
I'm
so happy right now.
Ringrazio
tutte le sante ragazze che commentano ogni capitolo e tutte/i coloro
che hanno inserito la storia fra le preferite (11) e le ricordate
(53!)
A
venerdì!
yu_gin
PS:
Mayday. Mayday. Finchel a ore dodici in avvicinamento. Impatto
previsto per il prossimo capitolo. Indossare gli appositi caschi e
prepararsi al peggio.
coming next
Non appena varcò
la soglia, trasse un sospiro di sollievo. Era ancora presto e il bar
era praticamente vuoto. Si guardò intorno finché non
vide una donna e pensò di rivolgersi a lei.
«Scusi, sto
cercando Finn.»
«Finn Hummel?»
«Sì.»
«Te lo chiamo
subito» disse, voltando la testa. «Ehi, cozza marinata,
c'è un nano da giardino che vuole parlarti!» gridò.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** a new direction ***
A Lima Side
Story
Capitolo 8: a new direction
Rachel Anderson non era ragazza da stare con le mani in mano. Oh no.
Voleva arrivare lontano e se voleva riuscirci doveva mettersi
d'impegno perché se c'era una cosa che aveva imparato sul
mondo dello spettacolo è che niente è dato
gratuitamente, tutto va guadagnato e il talento non basta se non se
non hai un curriculm di tutto rispetto.
Per questo motivo doveva vincere prima le Regionali e poi le
Nazionali. Ma una cosa per volta.
Aveva un piano in mente.
Un piano molto elaborato.
Prima cosa aveva cambiato scuola. Nella scuola privata femminile che
frequentava prima il Glee Club faceva pena. E poi voleva trovare un
ragazzo che fosse alla sua altezza e frequentare una scuola
esclusivamente femminile con dormitorio annesso e pochi permessi di
uscita a settimana non aiutava certo.
Senza contare che al McKinley si sarebbe fatta le ossa. Sarebbe
diventata più forte e questo non poteva che farle bene se
voleva sfondare nel mondo dello spettacolo.
Seconda cosa: era entrata nel Glee Club. Niente di più facile.
Quando aveva fatto l'audizione il professor Schuster era rimasto a
bocca aperta – come tutti gli altri, d'altronde.
E non le era servito molto tempo per appropriarsi di tutti gli
assoli, nonostante fosse solo al terzo anno.
Terza cosa – in attuazione: trovare una voce maschile che fosse
al suo livello.
Fin da piccola si era abituata a cantare con suo fratello: le loro
voci erano fantastiche insieme. Si armonizzavano alla perfezione –
merito degli anni di esercizio e dei geni in comune. Peccato che suo
fratello fosse nella squadra avversaria e dunque non potesse
accompagnarla in meravigliosi duetti. E poi lei sognava una relazione
romantica con chiunque l'avrebbe affiancata nelle performance
e...duettare con suo fratello cominciava a sembrare...incestuoso.1
«Rassegnati, Rachel, nessuno entrerà nel Glee Club.»
«Ma-»
«Sei qui da poco tempo e chiaramente non sai come vanno queste
cose. Il Glee Club è il fondo della scatola: sotto di noi non
c'è nessuno. E chi vorrebbe entrare nella squadra dei
perdenti?» disse Mercedes.
«Oh, insomma! Non potete essere così male. Siete
arrivati alle nazionali o sbaglio?»
«Sì, ma a quei tempi c'erano gli Hummel» disse
Artie, sistemandosi gli occhiali.
«I chi?»
«Gli Hummel. Non dirmi che non ne hai mai sentito parlare?
Credo ci siano ancora caricature di Kurt nei bagni del secondo
piano.»
«Si può sapere chi sono questi due?»
«Finn e Kurt Hummel sono fratelli e hanno frequentato il
McKinley fino a qualche anno fa. Kurt, il minore, si è
diplomato l'anno scorso. Finn due anni fa. O meglio: due anni fa ha
lasciato il McKinley, ma non mi pare si fosse diplomato» disse
Tina.
«Non si è diplomato?» chiese stupida Rachel.
«Gli mancavano pochi esami ma non ce la faceva proprio più.
Non era esattamente una cima a scuola e dopo che i suoi genitori sono
morti ha dovuto trovarsi un lavoro per continuare a mantenere lui e
suo fratello. E poi l'anno scorso se n'è andato anche Kurt,
anche se durante il suo ultimo anno non era molto presente. Era
sempre stanco e sembrava maledettamente infelice. E poi avevano
cominciato a girare strane voci su di lui, voci molto poco carine.»
«Tipo?»
«Non era mai stato detto nulla di certo. Qualcuno giurava di
averlo visto in un locale promiscuo. E poi verso metà anno i
bulli hanno cominciato a prenderlo di mira seriamente, della serie
che Sam o Mike dovevano accompagnarlo in bagno se volevamo averlo di
nuovo intero in giorno dopo.»
«Perché lo prendevano in giro? Non avevano un po' di
rispetto per un ragazzo orfano?»
«Rachel, Kurt era gay. In modo abbastanza evidente. E a quanto
pare qui in Ohio, a Lima, quello è il peggior crimine che tu
possa commettere.»
«Oh» mormorò, sorpresa. Lei era credente e
probabilmente vedere due uomini baciarsi forse l'avrebbe messa
vagamente a disagio. Ma da qui a tollerare il bullismo su un ragazzo
che ne aveva già passate a sufficienza... «Era bravo a
cantare?»
«Molto. Aveva una voce molto acuta per essere un ragazzo ed
arrivava a note impensabili. E poi era decisamente teatrale: quando
mettevamo in scena dei musical dava sempre un'interpretazione
personalissima ai personaggi.»
«Suo fratello invece? Come avete detto che si chiamava?»
«Finn. Lui era l'esatto contrario. Era il quaterback della
squadra di football nonché il leader del Glee. Aveva una bella
voce ed era anche molto carino» disse Mercedes, sorridendo.
«Anche se a ballare era una vera frana!» disse Mike,
facendo ridere tutti.
«Già, Schuster ha provato non so quante volte a
insegnargli qualche passo ma alla fine ha desistito.»
«Ricordo ancora il suo ultimo anno al McKinley. Lui era al
quarto anno, suo fratello al terzo. Avevamo passato le regionali ed
eravamo pronti per andare a New York ma poi...beh, poi i loro
genitori sono morti e Finn ha dovuto lasciare il Glee. Gli avevamo
proposto di dar loro un aiuto economico ma non sarebbe stato
sufficiente. Finché Kurt era ancora minorenne ricevevano aiuto
dai servizi sociali, poi hanno imparato a cavarsela.»
«Capisco» disse Rachel. «E nessuno di voi li ha più
sentiti?»
«No. Dopo il diploma Kurt ha tagliato ogni contatto con noi e
con chiunque gli ricordasse il McKinley. Una volta l'ho intravisto da
GAP, credo lavori lì come commesso. Qualcuno dice di averlo
visto allo Scandals. Mi pare che ci lavori suo fratello come
barista.»
«Allo Scandals, avete detto?»
Rachel sorrise fra sé.
Aveva un piano.
Se avesse detto agli altri in cosa consisteva il suo piano,
probabilmente le avrebbero riso in faccia. Così era tornata in
silenzio a casa, poi aveva preso la macchina e aveva guidato fino
allo Scandals.
Aveva parcheggiato la macchina e solo a quel punto si era resa conto
di cosa stesse facendo.
Stava entrando in un locale promiscuo, frequentato prevalentemente da
gay, transessuali – il perché suo fratello ci fosse
andato rimaneva un mistero. Ma se Finn lavorava lì doveva
entrarci. Doveva parlare con lui.
Non appena varcò la soglia, trasse un sospiro di sollievo. Era
ancora presto e il bar era praticamente vuoto. Si guardò
intorno finché non vide una donna e pensò di rivolgersi
a lei.
«Scusi, sto cercando Finn.»
«Finn Hummel?»
«Sì.»
«Te lo chiamo subito» disse, voltando la testa. «Ehi,
cozza marinata, c'è un nano da giardino che vuole parlarti!»
gridò. Poco dopo dal retro del locale uscì un ragazzo
davvero, davvero alto.
«San, si può sapere che vuoi?»
«Cosa vuole questa qui piuttosto. Ehi, ragazzina, sei sicura di
essere venuta nel posto giusto? Il centro ricamo è dall'altra
parte della città» disse Santana, rivolta a Rachel.
La ragazza però stava guardando Finn. Gli occhi le brillavano.
«Sei Finn Hummel, ex studente del McKinley ed ex membro delle
New Directions?»
Finn la guardò sorpreso: «Sì, sono io. Sei anche
tu del McKinley?» chiese. A giudicare da come era vestita
l'avrebbe vista meglio in una scuola privata.
«Mi chiamo Rachel. Mi sono trasferita quest'anno e attualmente sono il membro di
punta del Glee.»
«Il Glee Club? Sono secoli che non lo sentivo nominare. Come
sta il professor Schuster? Immagino sia ancora lui il direttore.»
«Sta bene. Continua a farci cantare pezzi dei Journey e Disco e
a ignorare il mio talento dirompente, ma sta bene. Quella che non sta
bene sono io» disse.
Finn la guardò perplesso: «Vuoi sederti e bere qualcosa
finché me ne parli?»
«Volentieri.»
«Cosa ti do?»
«Del succo di mirtillo, grazie» disse, frugando nella
borsa alla ricerca del portafogli.
Finn la guardò imbarazzato. «Temo di non avere nulla di
più salutare di una coca light.»
Rachel alzò le spalle: «Andrà bene. Tornando a
noi, ciò che mi turba è che so che non abbiamo speranze
alle regionali. Dovremo affrontare la Dalton e il loro solista è
davvero bravo. Temo ci batteranno e questo non deve accadere.»
«Già, sarebbe un peccato. Anche perché è
da molto che le New Directions non vanno alle nazionali.»
«Da quando te ne sei andato» disse Rachel.
Finn abbassò lo sguardo: «Ce l'hanno ancora con me,
vero? Se non avessi mollato forse avremmo vinto. Non ho fatto un bel
gioco di squadra.»
«Mi hanno detto perché l'hai fatto e penso che tu abbia
agito correttamente. Era la tua famiglia, no? Nessuno può
biasimarti per questo, né lo hanno fatto i tuoi vecchi amici.»
Finn sorrise: «Grazie. Mi fa piacere sentirtelo dire. Quello
che non ho capito è perché sei venuta qui.»
«Come ti ho detto dobbiamo assolutamente battere i Warblers e
questo non accadrà se non troveremo un cantante alla mia
altezza.»
«Beh, c'è Artie, no? E il biondo con la bocca
enorme...Sam?»
«Sì, ma non sono abbastanza bravi. E poi Artie finirebbe
per rallentare la coreografia» disse scuotendo al testa. «No,
a noi serve un vero leader. Come lo eri tu» concluse,
guardandolo negli occhi.
Finn capì: «Oh no. Assolutamente no. Ho capito cosa vuoi
da me, ed è un no.»
«Perché? I ragazzi mi hanno detto che non ti sei mai
diplomato: perché non torni al McKinley? Prenderesti due
piccioni con una fava: ti diplomeresti e vinceresti le nazionali lo
stesso anno.»
«I soldi non piovono dal cielo: devo lavorare!»
«Lavori di sera. Puoi frequentare la mattina, studiare il
pomeriggio e...»
«E le prove col Glee? No, mi prenderebbe troppo tempo. Non
posso tornare fra i banchi di scuola. Non possiamo permettercelo.»
Rachel insistette: «Ma tuo fratello...»
«Mio fratello lavora la mattina e la sera e io sono alla
ricerca di un secondo lavoro. Non avrei il tempo materiale per
tornare a scuola.»
«Senti la mia proposta, allora. Torna al McKinley, diplomati e,
se ci fai vincere le nazionali, ti aiuterò a trovare un posto
di lavoro. E credimi, sono la persona più petulante e
insistente di tutta Lima e potrei trovare un lavoro anche al ragazzo
più perdigiorno di tutti gli Stati Uniti d'America.»
Finn fu tentato di rifiutare, ma poi si fermò a pensare. Un
posto di lavoro, magari fisso? Se fosse riuscito ad ottenerlo forse
Kurt avrebbe potuto lasciare il lavoro allo Scandals.
Tacque, grattandosi la testa.
«Allora?»
«Non lo so! Ci devo pensare e...ne devo parlare con mio
fratello.»
«Va bene. Facciamo così, quando sei arrivato ad una
conclusione, qualsiasi essa sia, chiamami a questo numero»
disse, passandogli un biglietto glitterato su cui c'era scritto
“Rachel Anderson” seguito dal suo numero.
Anderson?, pensò.
Perché mi ricorda qualcosa? E anche il suo viso mi è
familiare. Assomiglia a qualcuno...
Poi lei se ne andò e lui dimenticò quei pensieri.
Santana gli passò accanto:
«Che voleva miss maglioncino-ricamato-dalla-nonna?»
«Niente» rispose, troppo violentemente per passare
inosservato. Lo sguardo di Santana era inequivocabile. «Non
dire nulla a Kurt. Questa sera gliene parlerò.»
«E riguardo a quella
cosa? Avete parlato?»
«Ci ho provato, ma non mi ascolta.»
«Teniamo gli occhi bene aperti. Non mi piace Karofsky ma
soprattutto non mi piace il modo in cui guarda Kurt. Vuole riprovarci
e tuo fratello in questi casi è anche più stupido di te
– per quanto sembri impossibile.»
Finn sorrise: «Sai, forse non ce ne sarà bisogno.»
«Pensi che si sia fatto più scaltro?»
«Penso che attualmente ci sia una persona che può fare
molto più di noi per Kurt.»
«Anderson!» tuonò il professore.
Blaine alzò gli occhi dal cellulare, nascosto dentro
l'astuccio.
«E' forse opzionale per te la lezione?»
Blaine si guardò intorno, mentre gli altri studenti
ridacchiavano. «Suppongo di no.»
«E allora perché è da quando sono entrato che usi
spudoratamente il cellulare in classe invece di ascoltare?»
«Emh...»
«Risposta sbagliata, Anderson. Dammi il tuo cellulare, così
vedremo cosa ti ha distratto fino ad ora dalla lezione di Inglese.»
Blaine afferrò il cellulare nel panico. Non poteva
assolutamente permettere che il professore leggesse i messaggi che
aveva appena scritto a Kurt. Nessuno doveva leggerli!
Si diede dello stupido per non aver salvato il suo numero sotto il
nome di una ragazza, poi però pensò che sarebbe stata
una cosa squallida e davvero di pessimo gusto.
Si alzò in piedi e fece un passo in direzione del professore,
che lo precedette, strappandogli il cellulare di mano.
«Allora, come si usano questi cosi? Messaggi. Anderson, questi
messaggi risultano inviati alle 11:46. Ossia fino ad un minuto fa.
Ossia durante la mia lezione.»
Ottima deduzione, pensò
Blaine, maledicendo quell'uomo.
«Vediamo a chi scrivevi di così interessante da non
ascoltare. Spero almeno sia una ragazza» disse.
«Non può farlo» disse una voce che Blaine
riconobbe come quella del suo salvatore.
«Come?»
«Le ripeto che non può farlo» disse Sebastian.
«Smythe, ti ho forse chiesto qualcosa?»
«No, ma in quanto figlio di un procuratore so bene quanto sia
importante conoscere i propri diritti. Il diritto alla privacy è
uno di questi. E se lei ora legge senza permesso i messaggi di
Anderson, beh, potrebbe finire in seri guai.»
L'uomo fissò il ragazzo con uno sguardo che giurava vendetta,
ma posò il cellulare sulla cattedra e disse solo: «Riavrai
il tuo cellulare a fine lezione. Ora va' a sederti.»
Tornato al suo posto, Blaine sospirò sollevato.
«Grazie» disse a Sebastian, senza farsi notare.
«Figurati. Però datti una calmata. Se continui a
scrivergli con questa frequenza poi non avrete più niente da
dirvi al prossimo appuntamento. E poi coprirti sarà sempre più
difficile.»
«Ma è questo che un buon compagno di stanza fa, non è
vero?»
«Non abusare della mia pazienza, Anderson» ridacchiò
Sebastian. Detto questo prese il cellulare e scrisse un messaggio.
11.52
Perdonalo se non ti risponde. Il prof gli ha appena sequestrato il
cellulare. Stai avendo una cattiva influenza su di lui. Comincia a
non essere più noioso!
11.53
OMG! Mi dispiace un sacco! Dimenticavo che siete a scuola.
11.53
Nessun problema, anche perché tu sarai al lavoro. Nessuno
si è ancora lamentato pretendendo le tue attenzioni?
11.54
Nah, calma piatta. Acc...ecco il capo!
11.55
Vedi di non farti richiamare come uno studentello delle superiori!
Sebastian infilò il cellulare in tasca con un sorrisetto sulle
labbra. Eh sì, trovare un ragazzo al suo migliore amico era
un'impresa dura, ma ce la stava mettendo tutta. Non lo stava facendo
a caso, aveva un piano ben preciso.
Tanto per cominciare, se Blaine
si fosse trovato un ragazzo forse avrebbe smesso di essere così
irritante e dannatamente deprimente.
Secondo: avrebbe fatto coming out, almeno con i Warblers, il che
avrebbe reso le cose molto più semplici anche per lui che era
stanco di coprirlo da ogni insinuazione di Jeff con battute sagaci.
Terzo: non lo avrebbe mai ammesso, ma alla fin fine gli voleva bene.
Era suo amico e con quel ragazzo sembrava contento. Se l'avesse detto
ad alta voce gli avrebbero riso in faccia, visto che si era tanto
brillantemente costruito addosso la maschera da insensibile. No, non
lo avrebbe mai e poi mai detto apertamente, ma considerava Blaine
Anderson il suo migliore amico nel vero senso della parola.
E poi, pensò
sorridendo, potrei sempre informarmi se Kurt ha qualche
amico da presentarmi...
Kurt strabuzzò gli occhi e sentì il cuore battere
dentro al petto come un martello.
E' lui, pensò,
guardando dall'altra parte della strada.
E no, non era lo studente delle superiori nella sua elegante divisa
blu che in quei giorni monopolizzava i suoi pensieri.
Era Dave.
Per un secondo fu tentato di scappare – forse Dave non aveva
visto che l'aveva visto – ma poi pensò che scappare
sarebbe stato da codardi. Non era scappato quando era a scuola e i
bulli gli rendevano la vita un inferno, non sarebbe di certo scappato
in quel momento, non ora che era cresciuto ed era diventato più
forte.
«Non ti aspettavo»
«E' stata una cosa dell'ultimo minuto, volevo vederti e basta.
Ti va di fare un giro in macchina? Dopo ti riporto fino a casa. Cioè,
fino all'angolo, poi puoi andare a piedi così tuo fratello...»
«No.»
«Come scusa?»
«Finn doveva passare in città e così mi passa a
prendere. Mi dispiace davvero, ma sai, non posso dirgli all'ultimo di
non venire. Ormai è già per strada e...» mentre
lo diceva vedeva il volto di Dave rabbuiarsi e si sentiva un essere
orrendo e avrebbe voluto che non fosse tutto così difficile.
Avrebbe voluto un po' di indifferenza da lui, la stessa con cui
l'aveva lasciato un anno prima, di modo da non sentirsi così
in colpa.
Stupido da parte sua. Dopo che Dave l'aveva lasciato lui aveva
passato quello che non esitava a definire il momento più
brutto della sua vita. La scuola stava per finire, i bulli avevano
ripreso a tormentarlo, suo fratello arrancava alla ricerca di un
lavoro, mentre il suo lo stava devastando, togliendogli ore di sonno.
E poi Dave l'aveva lasciato e se ripensava al motivo gli veniva
ancora da piangere. Era stato infido, scorretto...crudele. Era stato
crudele, facendogli male gratuitamente. Ma Kurt non riusciva a
provare odio per lui in quel momento. Solo disagio per come lo stava
facendo sentire.
Dovrei essere più cattivo, dannazione!,
si disse, sapendo bene quanto fosse inutile ripeterselo.
«Capisco. Effettivamente avrei dovuto scriverti. È stato
sciocco da parte mia pensare che-» si interruppe. «Ci
vediamo» disse voltandosi ed andandosene.
«Dave!» lo chiamò, ma l'altro lo ignorò.
Kurt rimase solo sul marciapiede e sospirò.
Aveva mentito. Finn non sarebbe affatto venuto a prenderlo, anzi, un
passaggio fino a casa gli avrebbe fatto comodo.
La verità era che non voleva
rimanere in macchina con lui. Soli.
L'ultima volta l'aveva baciato. Certo,
l'aveva colto di sorpresa, ma l'aveva fatto, nonostante Kurt avesse
specificato che voleva essere solo un amico.
All'improvviso si rese conto di quanto la frase “solo un amico”
fosse stupida. Insomma, non era la stessa cosa che aveva detto a
Blaine? Eppure ogni volta che riceveva un suo messaggio non poteva
fare a meno di sorridere come un'adolescente. Non era arrivato il
momento di essere sincero con se stesso?
Gli interessava Blaine. Gli piaceva. E non nel senso che era
piacevole chiacchierare con lui, che era simpatico, che voleva
aiutarlo in un momento difficile – o meglio, sì, tutto
questo era vero. Ma sarebbe stato difficile per lui negare a se
stesso che di tanto in tanto gli balenava alla mente l'immagine di
loro due, mano nella mano, o di loro due ad un appuntamento –
un appuntamento vero – o di loro due che, al termine del
suddetto appuntamento...
Scacciò quel pensiero prima di ritrovarsi a saltellare per il
marciapiede come Tippete, poi strinse di più la propria
tracolla e si avviò alla fermata dell'autobus, dopo essersi
assicurato che Dave se ne fosse andato.
Si sedette e mandò un messaggio a Finn nel quale gli diceva
che sarebbe tornato a casa di lì a mezz'ora. Poi cominciò
a tamburellare le dita sul cellulare, mentre ripensava alla
situazione in cui si stava cacciando.
Kurt stava finendo di prepararsi nel proprio camerino quando Santana
irruppe nella stanza, portando con sé una zaffata di profumo
intenso.
«Ti stai ancora preparando?» chiese.
«Non preoccuparti, di' pure ad April che ho finito.»
«Glielo dirò» disse sorridendo.
Kurt colse un lampo nei suoi occhi e si alzò di scatto dalla
sedia.
«Cosa mi nascondi?»
«Niente» rispose, senza però riuscire a trattenere
una risata.
«San, non me la dai a bere. Dai, dimmi che c'è? Ho uno
striscio di mascara sulla faccia?» chiese, voltandosi
preoccupato verso lo specchio.
La donna sorrise, abbracciandolo. «Sono solo contenta per te.»
«E potrei sapere il motivo della tua gioia?» chiese,
ricambiando l'abbraccio e annusando il profumo dei suoi capelli:
cocco e mandorla.
«Hai un ammiratore fra il pubblico» disse.
Kurt la guardò perplesso.
«Un ammiratore sotto i ventuno» aggiunse, cogliendo con
piacere la sfumatura di sorpresa sul suo volto. «Te lo dicevo
che sarebbe tornato!» disse, afferrandolo per la mano e
trascinandolo fuori.
La sorpresa lasciò ben presto posto ad un altro sentimento nel
momento in cui Kurt incrociò il suo sguardo fra il pubblico.
Era lì, con una coca-cola in mano, con i suoi splendidi occhi,
con il suo sorriso un po' timido, un po' imbarazzato, con il suo
papillon – immancabile – come a ribadire che era lui,
sempre lui, lo stesso ragazzo del negozio GAP e del caffè
anche in un luogo così poco consono all'eleganza.
Senza nemmeno accorgersene sorrise. E quello era solo per lui.
Quando uscì dai camerini, circa mezz'ora dopo, lo vide seduto
ad uno dei tavolini. Era seduto da solo e continuava a tormentare la
lattina della cocacola che aveva in mano – presumibilmente la
stessa di prima.
Sembrava perso in quel posto, così diverso dai corridoi della
sua scuola, dal bar accogliente dove andava a bere il caffè,
da quella stupenda villa che doveva essere la sua casa – Kurt
ci poteva scommettere – e gli fece una gran tenerezza.
Gli si avvicinò e, giunto al tavolo dov'era seduto, spostò
la sedia di fronte a lui dicendo: «E' libero?»
Blaine sollevò lo sguardo verso di lui ed annuì deciso,
sorridendo.
Kurt si sedette di fronte a lui.
Blaine scosse la lattina di cocacola ormai vuota e disse: «Niente
alcol. Ho cattivi precedenti.»
L'altro rise: «Già, ti vedo più un tipo da caffè»
disse. Rimasero in silenzio qualche secondo prima che Kurt trovasse
il coraggio di dire: «Mi fa piacere che tu sia venuto.»
Blaine trasse un sospiro di sollievo: «Per un secondo ho
pensato che mi avresti considerato una sorta di stalker e mi avresti
tipo tirato dietro qualcosa o che avresti chiamato la polizia.»
«Non sarei stato così plateale. E poi nel tirarti quel
pugno mi sono fatto male la mano – anche se immagino di averti
fatto più male io. A questo proposito, non ti ho mai chiesto
scusa.»
Blaine alzò le spalle: «Me lo meritavo. E poi ci sono
abituato, insomma, facendo box.»
«Fai box?» chiese sorpreso. «Cavoli, potevi dirmelo
prima che me la prendessi con te. È stato scorretto»
disse.
«Quindi ora che lo sai non mi prenderai più a cazzotti?»
«Non penso, anche se potrei sempre rovesciarti una cocacola
light sulla camicia» rispose.
Nel sentire una mano posarsi sulla sua spalla, Kurt sobbalzò.
«Ehi Kurt, non mi presenti il tuo amico?» disse una voce
fin troppo familiare.
«Santana» mormorò Kurt, recuperando il respiro.
«Pensavo fossi impegnata.»
«Trovo sempre un po' di tempo per il mio angioletto»
rispose, strizzandogli una guancia, mentre Kurt cercava di
allontanarla protestando. Allungò la mano verso Blaine «Io
sono Santana e sono il suo angelo custode o guardia del corpo a
seconda dell'occasione. Ho delle lamette nei capelli. Te lo dico
subito, così dopo non puoi dire che non ti avevo avvertito.»
Lui le strinse la mano timoroso: «Io sono Blaine, un –
esitò per un secondo – un amico di Kurt.»
«Amico» mormorò Santana, guadagnandosi una
gomitata da Kurt.
«Sì, ci siamo conosciuti-»
«Ero presente al momento dell'incontro. Due martedì fa
se non vado errata.»
I due la guardarono sorpresi.
«Scusa la domanda ma...ce li hai diciotto anni? Perché
sul fatto che tu non ne abbia ventuno sono sicura, ma sai, se deve
succedere qualcosa almeno-»
«San! Che diavolo ti sei messa in testa» sbraitò
Kurt, arrossendo all'inverosimile.
«Sono all'ultimo anno delle superiori. Ho compiuto gli anni
qualche mese fa» disse.
Santana sorrise compiaciuta. «Uno studente, eh? Spero tu non
frequenti il McKinley. Di solito lì ci vanno abbastanza
pesanti con quelli come noi.»
«Intendi con gli omosessuali?»
«Intendo con quelli che non si adeguano alla norma, a quelli
che emergono, che si distinguono.» Scompigliò i capelli
a Kurt alzandosi. «Vi lascio ragazzi, vado a farmi offrire
qualcosa da bere.»
Quando si fu allontanata Blaine alzò le spalle: «E'
forte.»
«Lo è davvero. E oggi è stranamente tranquilla.»
«Sembra volerti molto bene» commentò.
«Credo mi abbia adottato come fratellino. Le sono molto grato
per tutto quello che fa per me. All'inizio era davvero difficile per
me, mi sentivo a disagio e ogni sera prima di salire sul palco
pensavo di morire. Pensavo che l'esperienza nel coro mi avrebbe
aiutato ma una cosa è cantare “Don't stop believing”
nell'auditorium della scuola, un'altra è...beh, questo»
disse, facendo un cenno con la testa al palco ormai vuoto. «Lei
mi ha praticamente raccolto col cucchiaino e mi ha rimesso in sesto.
All'inizio mi difendeva dalle avance troppo insistenti, ora so
cavarmela da solo. Senza ricorrere a pugni in un occhio» disse
ridendo. «Certo, se solo lei e Finn andassero un tantino
d'accordo...»
«Bisticciano?»
«Come cane e gatto.»
Santana si sporse sul bancone e richiamò l'attenzione di Finn.
«Li hai visti?»
Finn annuì, asciugando un bicchiere.
«E non dici niente?»
«Al contrario di qualcuno io preferisco farmi gli affari
miei» disse.
Santana scosse la mano in segno di disapprovazione: «Volevo
solo controllare che fosse uno okay. Insomma, dopo Dave...»
Finn sbatté il bicchiere sul bancone, facendo sobbalzare la
ragazza. «Non nominarmelo, per favore» disse. «Ho
già conosciuto quel tipo due settimane fa e mi è
sembrato un bravo ragazzo. Forse fin troppo bravo per essere in un
posto come questo.»
«Un po' come te e Kurt, insomma. Due bravi ragazzi che la vita
ha spedito nella parte ovest di Lima, la parte sbagliata.»
Finn annuì pensieroso. «E se ci fosse un modo per
andarcene?»
«Per lasciare Lima?»
«Non necessariamente Lima, ma almeno smettere di fare questa
vita, trovarmi un lavoro serio, una ragazza per me, un ragazzo per
Kurt, comprare una casa che non cada a pezzi, mettere su famiglia...»
«E vissero a lungo felici e contenti? Tu sogni, Finn. Sarebbe
bello, sarebbe bellissimo.» Santana chiuse gli occhi per
un secondo e Finn poteva immaginare che cosa stesse immaginando,
perché sorrise per un secondo prima di riaprire gli occhi: «Ma
appunto, sarebbe solo un sogno.»
Finn ridacchiò: «Sicura di essere lesbica, zietta?
Perché saremmo una bella coppia: litighiamo già come
due vecchi coniugi.»
«Sicurissima, Finn» disse, lanciandogli un'occhiataccia,
senza essere davvero arrabbiata. In quel momento guardava con invidia
Kurt e il suo bello spasimante dalle sopracciglia trigonometriche che
le ricordavano vagamente le ore di geometria di quando era ancora una
studentessa. Li invidiava perché loro – per quanto
continuassero a negarlo – si erano trovati.
Le parole di Finn l'avevano toccata nel profondo. Ora voleva anche
lei qualcuno da amare.
Quella sera Kurt prese il posto di Finn al volante, il quale sembrava
eccessivamente distratto per mettersi alla guida. E poi Kurt l'aveva
visto bere una birra neppure un'ora prima e voleva evitare
inconvenienti. Non gli dispiaceva guidare, anche perché a
quell'ora non c'era quasi più nessuno per le strade e la
macchina, stranamente, non faceva capricci.
«Mi dirai prima o poi perché questa sera sembri fra le
nuvole?» chiese Kurt, fermandosi ad un semaforo.
Finn sbuffò, lasciandosi scivolare sullo schienale del sedile.
«Cos'è, un interrogatorio?»
«Più o meno» ridacchiò, spingendo il piede
sull'acceleratore. «Tanto per sapere se dovrò guidare
ancora altre volte.»
L'altro scosse la testa: «No. Spero di risolvere la cosa.»
«Mh, allora qualcosa c'è. Una ragazza?» chiese.
Poi si voltò preoccupato: «Non ti sarai preso di nuovo
una cotta per Santana? Non sopporterei un'altra settimana con te che
ripeti “in che senso lesbica?” steso sul divano a
mangiare nachos e bere birra calda.»
«Niente Santana. Ho passato quella fase e non ci ritornerò
mai più» disse, rabbrividendo al pensiero della
ispanica in procinto di piantargli un tacco a spillo nelle zone
sensibili. «Effettivamente c'entra una ragazza, ma non ne senso
che intendi tu.»
«Okay. In che senso?»
Finn esitò. Poi pensò che avrebbe potuto girarci
attorno finché voleva, ma alla fine il succo della questione
non sarebbe cambiato. Meglio arrivare subito al sodo.
«E se io – per dire, eh? - tornassi al McKinley per
diplomarmi.»
Kurt quasi inchiodò. Grazie al cielo dietro di loro non c'era
nessuno e questo diede il tempo al ragazzo di riprendersi e tornare
alla guida.
«Okay, ho capito, era un pessima-»
«E' un'idea grandiosa» disse Kurt.
«Ah sì? Dalla tua reazione non si direbbe.»
«Mi hai colto alla sprovvista, tutto qui. Ma penso che sia una
buona idea. In fondo non ti mancava poi molto al diploma. Non hai
nessun lavoro fisso mattutino quindi puoi benissimo frequentare e,
una volta diplomato, potresti sperare di trovare un lavoro vero.»
«Era quello che speravo anch'io. Temevo che mi avresti dato
dello stupido.»
Kurt schioccò le labbra con tono scettico: «A suo tempo
ti sei sacrificato per noi, ora direi che puoi recuperare il tempo
perso» disse, sorridendo. Poi un pensiero gli attraversò
la mente: «Aspetta, e in tutto questo che c'entra la ragazza?»
«Ah. Giusto» mormorò. «Oggi è passata
al bar una ragazza del McKinley. Una ragazza del Glee Club.»
«Il Glee? Esiste ancora? Pensavo che Figgins l'avesse chiuso
per devolvere i fondi al gruppo di musica indiana.»
«Invece esiste ancora e si stanno preparando alle regionali.
Solo che hanno bisogno di un leader, di qualcuno che li porti in
cima.»
«Non dire nient'altro. Hai la mia benedizione» disse
Kurt. «Vai e portali fino alle nazionali e se non porterai a
casa il trofeo del primo posto ti disconoscerò come fratello.»
«Ehi!» esclamò per protesta.
«A proposito, hai detto che è venuta una ragazza. Era
una che conoscevamo? Tina, Mercedes, Quinn?»
«No, era una nuova. Ha detto di essersi trasferita da poco da
una scuola privata. Adesso il nome mi sfugge, ma mi ha lasciato il
suo biglietto da visita oscenamente glitterato» disse, frugando
nelle tasche. «Ah, eccolo qui. Rachel Anderson.»
Kurt quasi inchiodò di nuovo.
«Kurt, che ti prende?» esclamò Finn, il quale si
pentiva in quel momento di non essersi messo al voltante.
«Hai detto Rachel Anderson?»
«Sì! Rachel Anderson. Perché, la conosci?»
Per l'ennesima volta in una manciata di settimane, Kurt si ritrovò
a pensare che Lima fosse decisamente troppo piccola.
Note:
1- Ogni riferimento a Cooper Anderson e a STIUTK è puramente
casuale (no, sul serio, questo capitolo era già stato scritto
BEN prima di aver visto quel meraviglioso episodio)
A/N
Questo capitolo era decisamente lungo (il più lungo finora) ma
c'erano un sacco di cosa da scrivere e non volevo separarle. Spero
non risulti troppo pesante!
Nient'altro da aggiungere. Come al solito un iper-mega grazie a tutte
quelle che commentano e/o hanno inserito la storia fra le
preferite(13)/seguite(63!)
Al prossimo venerdì!
yu_gin
coming next:
«Ripetilo» disse Blaine. Il suo tono era tremendamente
serio, così serio che Kurt esitò prima di aprire di
nuovo bocca.
«Tua sorella è andata allo Scandal a cercare mio
fratello per chiedergli di tornare nelle New Directions.»
«Mia sorella è andata allo SCANDALS?»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** this is my past ***
A
Lima Side Story
Capitolo 9: this is my past
«Ripetilo» disse Blaine. Il suo tono era tremendamente
serio, così serio che Kurt esitò prima di aprire di
nuovo bocca.
«Tua sorella è andata allo Scandal a cercare mio
fratello per chiedergli di tornare nelle New Directions.»
«Mia sorella è andata allo SCANDALS?» sbraitò
Blaine, mettendosi le mani fra i capelli. «Se mia madre lo
scopre...se scopre che ci sono andato anch'io...se solo le dovesse
venire in mente che Rachel l'ha fatto per imitarmi» abbandonò
la testa sul tavolino del caffè. «La mia vita è
rovinata.»
Kurt azzardò a dargli una pacca sulla spalla, che fece
emergere la testa di Blaine dallo sconforto: «Dai, non penso
verrà mai fuori. Piuttosto, tu e i Warblers dovreste
preoccuparvi delle Regionali. Forse Finn non sarà bravo a
ballare e probabilmente non sarà il più talentuoso
solista dell'Ohio, ma se la cava, ha carisma e soprattutto ha quel
sorriso da ragazzo di provincia che fa intenerire le fanatiche
dell'uncinetto e i guidatori di trattori.»
«Quindi non ci resta che sperare che i giudici non rientrino in
queste due categorie.»
«Hai capito cosa intendo.»
Blaine sorrise: «E così fai il tifo per noi?»
«Non faccio il tifo per voi! È che ho in qualche modo
contribuito alle vostre divise e se perdeste Sebastian finirebbe per
scaricare la colpa su di me.»
«Non lo permetterei mai. Sarebbe la mia parola contro la sua e
se riuscirai a sfoderare il tuo migliore sguardo da commesso ferito
nell'orgoglio il perfido Seb non avrà scampo» disse,
bevendo un altro sorso del suo caffè. «Alla fine hai
detto a Finn che Rachel è mia sorella?»
Kurt scosse la testa: «Non sapevo bene come dirglielo e così
ho pensato di temporeggiare. Sarebbe sembrato così...strano. E
poi sicuramente si sarebbe lasciato scappare qualcosa. Invece così
il tuo...segreto rimarrà al sicuro.»
Blaine sospirò: «E tutto ciò perché non ho
il coraggio di dirle la verità.»
«Non puoi compiere un passo così importante senza averci
pensato.»
«Tu quando hai deciso di dirlo alla tua famiglia?»
chiese. «Scusa, forse era un po' troppo personale.»
«No, non c'è problema. Penso di averlo sempre saputo,
dentro di me. Insomma, mentre gli altri ragazzi giocavano con le
macchinine e con i lego, io organizzavo tea party con i soldatini di
Finn. Mentre mio fratello giocava a pallone con i suoi amici io
preferivo saltare la corda con le altre ragazze. E poi quando gli
altri miei coetanei cominciavano ad esprimere apertamente
apprezzamenti sulle ragazze della nostra scuola io mi rendevo conto
che non sentivo nulla verso di loro. Nessun formicolio allo stomaco,
nessun desiderio incontrollato di incollare loro gli occhi addosso.
Cosa che invece mi succedeva quando guardavo i tuffatori alle
olimpiadi o i ballerini ne Il lago dei cigni. Però non
ho mai detto nulla perché pensavo che per la mia famiglia
sarebbe stato un enorme disagio ed avevo paura.
«Poi, al primo anno di liceo, mi sono preso una cotta
stratosferica per un giocatore di football dell'ultimo anno, che
ovviamente nemmeno sapeva della mia esistenza. Mi limitavo a
guardarlo da dietro l'armadietto o durante gli allenamenti. Non mi
piaceva solo fisicamente, dentro la mia testa l'avevo idealizzato a
tal punto da renderlo una sorta di principe azzurro. Fu a quel punto
che capii che non poteva più mentire a me stesso. E così
decisi di dirlo ai miei.»
«Che la presero piuttosto bene.»
«Già, per mia fortuna. E lo stesso per i miei amici del
Glee. Nessuno si sconvolse, nessuno mi voltò le spalle,
nessuno mi trattò diversamente. Poi però...»
«Cosa accadde?»
«Il professor Schuester mi propose di cantare una canzone alle
provinciali: Defyning Gravity.»
«La conosco. Mia sorella la canta da quando ha voce.»
«E allora avrai presente che tipo di canzone è. Una
canzone da donna che arriva ad un fa alto.»
«Aspetta, vuoi dirmi che l'hai cantata nella tonalità
originale?» chiese, strabuzzando gli occhi.
«Certo che sì» ribatté «Sono un
orgoglioso controtenore» disse.
«Non farlo sapere in giro, o Sebastian ti infilerà
addosso un blazer e ti recluterà nei Warblers prima che tu
possa aprire bocca» disse. «Ma va' avanti.»
«Come dicevo, quando mi chiese di cantarla io accettai subito.
Non ci potevo credere, era il mio sogno: cantare una delle mie
canzoni preferite alle provinciali!»
«E la cantasti?»
«Certo. Lasciammo a bocca aperta l'intero auditorium e passammo
le provinciali.»
«Ma è fantastico!»
«Già, peccato che il video delle provinciali fu caricato
su youtube e, neppure due giorni dopo, a scuola cominciarono ad
additarmi come gay, frocio, finocchio con tanto di scritte
sull'armadietto, nel bagno, sullo zaino. Fu l'inizio dell'inferno, in
un certo senso.»
Posò la tazza sul tavolino e sospirò.
«Da lì in poi i bulli si focalizzarono su di me. Gli
altri del Glee provavano a difendermi, ma se potevano ripararmi dai
pugni e dagli spintoni, non potevano farlo dalle loro parola, dai
loro insulti, dai loro sguardi. E finché c'era ancora mio
fratello non era poi così dura. Lui era il quaterback della
squadra di football e in qualche modo questo suo “titolo”
mi serviva da scudo. Poi però lui ha lasciato la scuola e io
mi sono ritrovato improvvisamente scoperto.»
Blaine poteva vedere quanto gli costasse parlarne. «Se non vuoi
non serve che tu continui.»
«No, voglio parlarne. Se ti sta bene ascoltarmi.»
«Non dirlo neanche per scherzo! Certo che ti ascolto!»
«Insomma, ero al mio penultimo anno e un ragazzo mi stava
rendendo la vita impossibile. Sembrava davvero odiarmi. Mi insultava
in ogni momento, mi spingeva contro gli armadietti, minacciava di
picchiarmi e io non ce la facevo più. Così un giorno,
dopo che mi aveva fatto cadere per l'ennesima volta, l'ho inseguito
negli spogliatoi e gli ho detto che non mi importava nulla di quello
che mi diceva e che non sarei mai e poi mai cambiato perché
ero orgoglioso di quello che ero.»
«E lui?» chiese Blaine, aspettandosi il peggio.
Kurt alzò le spalle: «E lui mi ha baciato.»
Blaine quasi sputò il caffè: «Che?»
«A quanto pare è vero che gli omofobi più
convinti sono gay repressi.»
«Cioè, lui ti ha- insomma- oh mio Dio!»
«Ecco, è stata più o meno la mia reazione.»
«E poi che hai fatto?»
«Beh, ovviamente l'ho spinto via. Ero furioso perché si
era preso il mio primo bacio, ma allo stesso tempo ero...lusingato.
Perché prima di allora non pensavo sarei mai piaciuto a
qualcuno.»
«Ma dai!» esclamò Blaine, prima di rendersi conto
di aver parlato troppo.
Kurt sorrise: «Dopo di ché abbiamo parlato. Già,
può sembrare stupido ma andò così. Lui smise
pian piano di darmi fastidio, anche se non fece mai coming out.
Cominciammo a frequentarci – sempre rigorosamente di nascosto –
finché, non so neppure io come, diventò il mio ragazzo.
Anche se la cosa non mi è mai stata chiara.»
«Non ti era chiaro se eravate insieme?»
«Lo so che è strano. Uscivamo insieme, ci baciavamo, ci
scrivevamo sms, ma non l'abbiamo mia detto a nessuno. Per molto tempo
l'ho tenuto nascosto anche a mio fratello, finché non l'ha
scoperto. Inutile dire che è rimasto scioccato. E non per il
fatto che frequentassi un ragazzo – sapeva che da me non poteva
aspettarsi altro – ma perché era lo stesso ragazzo che
mi aveva reso la vita un inferno.»
«Posso chiederti una cosa?»
Kurt alzò le spalle: «Meglio che ne approfitti. Oggi
sono in vena di confessioni.»
«Questo ragazzo...è lo stesso del Lima Bean?»
Kurt annuì. «Dave.»
«Quindi siete ancora-»
«No. Ci siamo lasciati che eravamo ancora al liceo. E diciamo
che non è stata esattamente una rottura pacifica» disse.
«E no, questa volta non mi va di parlarne.»
«Capisco» disse Blaine, addentando il suo muffin.
«Cavolo, ho parlato anche troppo»
«Il che è strano. Di solito mi prendono sempre in giro
perché tendo a sovrastare la gente con le mie chiacchiere.»
«Ma tendi a non parlare di te. Magari stai più sul vago,
parli delle possibili canzoni da eseguire al Glee, delle innovazioni
per le vostre divise e di che cosa hai fatto nel week end. Ma non
parli mai di te stesso.»
«Sono così palese?»
«No, è che è lo stesso per me. Ci sono poche
persone con cui parlo apertamente. La zietta San, una volta c'era mia
madre e al Glee avevo dello buone amiche. Neppure con mio fratello
parlo sempre apertamente. Con te invece mi sembra tutto più
semplice.»
«E a me fa piacere ascoltarti» disse.
«Pensi che un giorno comincerai anche tu a raccontarmi di te?»
Blaine alzò le spalle: «Come se ci fosse qualcosa da
raccontare! La mia vita finora è stata noiosamente normale. A
volte penso che avrei preferito...qualcosa di diverso» disse,
lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. «Sembra
molto un discorso da figli di papà, ma a volte mi sarebbe
piaciuto frequentare una scuola pubblica, affrontare le difficoltà
di tutti i giorni, trovare un ragazzo e magari anche farsi scaricare,
ma almeno sapere che cosa si prova. Insomma, dico di voler cantare,
di voler fare l'artista, ma la verità è che i più
grandi autori hanno sempre messo tutta la loro esperienza nelle loro
composizioni e io di esperienza ne ho ben poca.»
«Forse devi solo aspettare la persona giusta per fare questo
tipo di esperienze.»
«Forse devo solo aspettare il momento. E quando arriverà
dovrò riuscire a coglierlo, prima che sia troppo tardi.»
Entrambi abbassarono lo sguardo sorridendo, entrambi chiedendosi se
stessero effettivamente pensando alla stessa cosa.
E così eccomi di nuovo fra queste mura,
pensò Finn camminando per i corridoi della sua vecchia scuola
superiore. Chi l'avrebbe mai detto che un giorno sarei
tornato.
Da quando aveva lasciato la scuola, era rientrato al McKinley una
sola volta – al diploma di Kurt – per sua personale
scelta. Era convinto che, se mai vi fosse tornato, non avrebbe più
voluto andarsene.
Sono qui per restare. Almeno finché non mi diplomerò,
pensò. Raggiunse quello che doveva essere il suo armadietto a
aprì il lucchetto. Era completamente vuoto. Un buon
inizio, pensò,
chiedendosi che foto avrebbe attaccato, che cosa ci avrebbe messo
dentro e se sarebbe riuscito a non fare un casino.
La sua prima tappa fu nell'ufficio della signorina Pillsbury che fu
più che lieta di rivederlo. Si ricordava ancora di lui e di
quanto aveva insistito perché non lasciasse la scuola prima
del diploma.
«Sono contenta che tu sia tornato» disse.
«Lo sono anch'io» ammise lui.
«Hai già parlato col professor Schuester? Sono certa che
sarà entusiasta di rivederti.»
«Non ancora, pensavo di andare a salutarlo dopo scuola, alle
prove del Glee.»
La donna lo guardò a bocca aperta: «Hai intenzione di
tornare nel club?»
«Ovvio!» disse ridendo e lasciando l'ufficio.
Si stava dirigendo verso l'aula di matematica quando sentì
qualcuno aggrapparsi alla sua camicia. Si voltò e riconobbe
Rachel, la ragazza del bar.
«Ti sei iscritto, alla fine!» esclamò gioiosa,
abbracciandolo.
Finn alzò le spalle: «Un diploma mi sarà utile,
no?»
«E ti sarà ancora più
utile il trofeo delle nazionali e il tuo nome sui giornali. I nostri
nomi su tutti i giornali»
esclamò felice. «Vieni dopo alle prove?»
«Non mancherò. Ora scusa, non vorrei arrivare in ritardo
alla lezione di matematica» disse, dirigendosi verso la classe.
Si voltò per un secondo, cercando di scorgere Rachel fra la
folla di studenti, ma era già troppo tardi.
Rachel era in fibrillazione. Mercedes la fissava innervosita,
chiedendosi che cosa stesse macchinando – probabilmente voleva
perseguitare il professore finché non le avesse assegnato
tutti gli assoli per le provinciali, i musical o qual si voglia
progetto del Glee.
«Si può sapere che hai?» chiese Quinn infastidita.
«Sto aspettando qualcuno. Qualcuno che ci farà vincere
le provinciali.»
«E chi, l'elfo di Babbo Natale?» sbottò.
«Stai scherzando? Non vorrai mica sottrarre a Babbo Natale uno
dei suoi preziosi aiutanti?» chiese Brittany.
Il Glee fissò Brittany, divisi fra lo sbigottimento e la
tenerezza per la sua uscita.
«No, veramente pensavo a qualcuno di più reale. E più
alto. E proveniente da un luogo più vicino e raggiungibile del
lontano Capo Nord.»
A quel punto fu interrotta da un colpo di tosse. Tutto il Glee alzò
lo sguardo in direzione dell'entrata, interamente occupata dalla
figura alta ed ingombrante di Finn.
«Oh mio Dio. Non credo ai miei occhi» mormorò
Quinn.
«Finn Hummel?» esclamò Mike.
«Allora qualcuno si ricorda ancora di me» disse,
grattandosi la testa imbarazzato.
Non riuscì a dire altro. Tutti i ragazzi gli saltarono
addosso, abbracciandolo, dandogli pacche sulla schiena, gridandogli
dov'era stato, togliendogli il fiato.
«Calmi, calmi! Ho tutto il tempo che volete per rispondere alle
vostre domande anche perché, se mi vorrete, non me ne andrò
fino al diploma. E potrebbe volermici un po'. Tipo, fino alle
nazionali.»
La sua affermazione fu accolta dalle risate e dalle esclamazione di
approvazione.
«Ragazzi, cos'è tutta questa agitazione?» chiese
il professor Schuster, entrando nell'aula di musica. «Chi
diavolo-»
Ammutolì, riconoscendo il ragazzo che aveva davanti. «Finn»
mormorò.
«Buongiorno professore. Sono tornato per restare, se mi vorrà
ancora.»
Schuster non aggiunse altro ed abbracciò il ragazzo.
«Finn! Non sai quante volte ho sperato che tornassi.»
«Mi ci è voluto un po'. Poi però ho fatto una
chiacchierata con Rachel che mi ha convinto a tornare» disse,
rivolgendosi verso di lei.
Quinn la guardò stupita: «Ti avevamo sottovalutata.»
«Già. È il destino della mia vita.»
«Ora, se non vi spiace, avrei preparato una canzone. Una
canzone per dirvi perché sono tornato» disse, voltandosi
verso Brad che, avvertito in precedenza da Rachel, aveva lo spartito
pronto davanti al pianoforte. Lo stesso valeva per la band.
Non appena le prime note cominciarono a riempire la stanza, a Finn
sembrò di tornare indietro nel tempo, come se quei due anni
non fossero mai passati.
I have climbed the highest
mountain
I have run through the
fields
Only to be with you
Only to be with you
Vedeva i suoi amici di
sempre dondolarsi sulle sedie, muovere la testa al ritmo della
musica. Poteva vedere Tina mormorare a fior di labbra le
parole e affianco a lei Mike tamburellare le dita sulla sedia.
I have run, I have crawled
I have scaled these city
walls
These city walls
Only to be with you
Avrebbe fatto di tutto da lì in
avanti per rimanere al loro fianco, questa volta fino alla fine.
Aveva perso una parte troppo importante della sua vita e ora voleva
riprendersela, come gli spettava.
But I still haven't found
what I'm looking for But I still haven't found what I'm looking
for
Non aveva ancora trovato quello che
stava cercando. La felicità, la sicurezza in se stesso e nelle
proprie capacità, la propria strada nella vita. Non era ancora
riuscito a trovare un sogno che potesse condurlo da qualche parte e
voleva trovarlo.
I have kissed honey
lips Felt the healing in her fingertips It burned like
fire This burning desire I have spoke with the tongue of
angels I have held the hand of a devil It was warm in the
night I was cold as a stone
I suoi amici gli stavano sorridendo. Lo
avevo accettato – e perdonato, come avevano sempre fatto.
Nonostante li avesse abbandonati quando più avevano bisogno di
lui, ora erano seduti di fronte a lui, pronti a riaccoglierlo in
quella grande famiglia che era il Glee club.
But I still haven't found
what I'm looking for But I still haven't found what I'm looking
for
Non l'aveva ancora trovato, ma sentiva
di potercela fare.
«Avanti, Finn, siediti. Hai così tante cose da
raccontarci!» disse il professore, offrendogli una sedia. «Cosa
hai fatto in questi due anni?»
Finn si accomodò fra loro e si voltò verso gli altri
ragazzi, per vederli tutti in faccia. «Ho lavorato per circa un
anno in una fabbrica, poi però mi hanno licenziato perché
stavano facendo dei tagli al personale. E così ho cominciato a
lavorare come barista, di sera, e intanto ho continuato a cercare un
lavoro. Un lavoro serio e diurno, ma non si trova nulla in giro.
Così, quando Rachel mi ha proposto di tornare a scuola e
diplomarmi, ne ho parlato con Kurt e-»
«Kurt! Quasi mi dimenticavo di chiedertelo: come sta?»
Finn abbassò lo sguardo e cercò di sembrare il più
sincero possibile nel dire: «Sta bene. Ha trovato un posto come
commesso da GAP e ogni tanto lavora con me al locale» disse,
rimanendo sul vago. «Tiriamo avanti.»
Gli altri ragazzi annuirono, capendo subito che non andava tutto
bene. Tutti avrebbero voluto fare qualcosa per loro, se solo avessero
saputo cosa fare.
«Pensi che lo vedremo di nuovo qui al McKinley?»
«Non penso tornerebbe qui, neppure per tutto l'oro del mondo»
disse ridendo. «Gli mancate però. Ogni volta che salta
fuori il Glee Club si vede che si taglierebbe una mano pur di tornare
a cantare con voi. Con noi» aggiunse infine, grattandosi la
testa.
«Resterai davvero? Fino alle nazionali, intendo» chiese
Mercedes.
«Se ci arriveremo» commentò Quinn, scettica.
«Resterò e arriveremo alle nazionali. Ho una promessa da
mantenere» disse.
All'uscita da scuola i ragazzi si divisero, andando ognuno alla
propria macchina. Finn si attardò a salutare tutti quanti, poi
si avviò alla macchina. Fu allora che il professore lo
raggiunse.
«Ehi, Finn!» lo chiamò, fermandolo. «Ti
dispiace fermarti qualche minuto in più per...parlare?»
«Parlare?»
«Sì, di te, di come te la passi. Di quello che non hai
voluto dire ai tuoi compagni.»
Finn distolse lo sguardo: «Ho pensato che non fosse il caso di
tirare giù il morale ai ragazzi, non con le provinciali alle
porte.»
«E tu invece? Ora sei di nuovo felice perché sei tornato
fra i tuoi amici, ma come hai passato questi due anni? Come li hai
passati davvero?»
«Da schifo» ammise. «Non sono ancora riuscito a
trovare un lavoro serio e a stento riusciamo ad arrivare a fine mese,
facendo i salti mortali. Kurt fa due lavori e io non riesco a
trovarne uno che mi permetta di guadagnare abbastanza. Ho pensato che
forse col diploma le cose sarebbero migliorate, e poi Rachel diceva
che suo padre può aiutarmi a trovare un lavoro, se sarà
lei a chiederglielo. Farei qualsiasi cosa, pur di uscire dalla
situazione in cui ci troviamo.»
«C'è un'altra cosa che volevo chiederti. E ti prego di
rispondermi con sincerità, anche se non sarà facile.
Prima che Kurt si diplomasse giravano delle voci a scuola. Delle voci
poco carine.»
«Intende più del solito?» commentò
sarcastico.
«Finn, una cosa è essere gay. Una cosa è lavorare
in un locale come lo Scandals e non esattamente come barista»
disse.
Colto nel segno, Finn abbassò la testa e mormorò: «Sì,
erano vere.»
Schuester si passò una mano sul volto nel sentire che i suoi
timori erano fondati. «E da quant'è che va avanti?»
«Dall'anno scorso, più o meno, ossia da quando ho perso
il lavoro alla fabbrica. Non sapevamo più come fare e poi è
successo. Non avevamo alternativa.»
«Ma cosa vi è saltato in mente!» esclamò il
professore. «Potevate parlarcene! Avrei fatto di tutto
piuttosto che-» si trattenne. «Perché avete voluto
fare tutto da soli? Siete dei ragazzini.»
«Non fate altro che dire “potevate dircelo” e
“avrei fatto qualcosa”, ma cosa? Avremmo forse dovuto
vivere di elemosina tutta la vita? O davvero è convinto che
sarebbe riuscito a trovarmi un lavoro? A me, che non so fare un bel
niente se non...cantare, probabilmente. Smettetela di dirci cosa
avremmo dovuto fare. È la nostra vita.»
«Ma che vita? Quanto pensate di poter andare avanti così?»
«Non lo so. Ma per ora è l'unico modo che abbiamo
trovato e ci va bene.»
«Voglio aiutarvi, Finn. L'anno scorso ho fallito come insegnate
e come persona. Quest'anno lasciamo rimediare. Vorrei parlare con
entrambi voi, per essere sicuro che stiate bene davvero. Pensi di
poter convincere Kurt a incontrarmi? Non qui al McKinley, ovunque
preferiate. Anche a casa mia, se vi sta bene.»
«Penso di poterci riuscire» disse.
«Lo spero. Fammi sapere» disse, lasciandolo alla macchina
e allontanandosi.
«Professore!» lo richiamò Finn, facendolo voltare.
«Grazie. Lei è sempre stato il mio prof preferito.»
Schuester sorrise, andandosene.
«Non se ne parla!» esclamò Kurt.
«Andiamo, sii ragionevole» disse Finn, tentando di
fermarlo prima che lasciasse la cucina e si chiudesse nella propria
camera.
«Non andrò a casa del professor Schuester per una cena
ed una predica su cosa dovremmo o non dovremmo fare.»
Finn alzò le spalle: «E dai! Magari vuole solo parlare
con noi e sentire come stiamo. E poi, pensaci un attimo, avremmo una
cena gratis e scommetto che la signorina Pillsbury è molto
brava a cucinare!»
Kurt sbuffò e lo guardò negli occhi: «Ci vuoi
davvero andare?»
«Perché no? In fondo siamo ancora dei ragazzini e
l'aiuto di due adulti non può che tornarci utile.»
«Ragazzini?» esclamò Kurt.
«Hai capito cosa intendo dire. Pensiamo di essere adulti, ma la
verità è che non abbiamo un progetto, non abbiamo uno
scopo, non sappiamo neppure cosa faremo domani. Non possiamo andare
avanti così tutta la vita. Doveva essere una cosa temporanea,
ricordi? Il lavoro allo Scandals, questo appartamento, cenare con
quello che capita e così via. Non abbiamo neppure più
un sogno, un sogno vero al quale aggrapparci.»
Kurt distolse lo sguardo.
«Ricordi il nostro ultimo anno al Glee? Ricordi la canzone che
avevamo preparato?»
«Don't stop believing, dei Journey» disse.
«Esatto. Non smettere di sognare, cantavamo. Anche nelle
situazioni più dure ciò che ci faceva andare avanti,
ciò che ci permetteva di non mollare tutto erano i nostri
sogni. Perché ora dovrebbe essere diverso?»
«Perché ora ci troviamo in questa situazione che-»
«E' per via dei soldi che mancano, o del lavoro? Non servono i
soldi per sognare. Seriamente, Kurt, quando la sera chiudi gli occhi
pensi mai a dove vorresti essere fra un anno o due o dieci? E non
dirmi che ti immagini su quello stesso letto, in questa stessa città,
in questa stessa vita.»
Kurt chiuse gli occhi e pensò: aveva davvero perso i suoi
sogni?
Quand'era alle superiori e Karofsky lo tormentava l'unica cosa che
l'aveva fatto andare avanti era stato il pensiero di come sarebbe
stata bella e radiosa la sua vita di lì a cinque anni, come si
immaginava a New York in compagnia di un uomo bellissimo. Quando i
suoi genitori erano morti non aveva mai abbandonato quel sogno,
pensando che un giorno anche lui avrebbe avuto una famiglia tutta sua
e dei figli.
Poi però, senza neppure rendersene conto, aveva smesso di
crederci e tutto era diventato più duro da sopportare. Ora che
non aveva più uno scopo i giorno passavano senza che lui se ne
accorgesse, tutti ugualmente grigi.
Quand'era che aveva smesso di sognare?
Quando aveva smesso di essere speciale?
«Credo dovresti andarci» disse Blaine.
«Dici?» chiese Kurt, tormentando i tasti del suo
cellulare senza uno scopo.
«Pensaci un attimo: se cercheranno di convincerti a fare
qualcosa che non vuoi davvero fare, sono certo riuscirai ad opporti,
se invece temi che ti convincano compiere una scelta che hai paura di
fare...non credi sarebbe meglio lasciarti convincere? E magari
lasciare che vi aiutino? È il bello della scuola, no? Avere i
professori che, ad ogni difficoltà, ti possono venire in
aiuto.»
«Già, ma io la scuola l'ho finita» precisò.
«Tuo fratello no, però. Tornare a scuola vuol dire
tornare a dipendere dagli adulti. Nel bene e nel male.»
Bevve un sorso del suo caffè: «Quindi secondo te dovrei
andare?»
«Assolutamente» concluse. «E poi ha ragione tuo
fratello: in ogni caso ci avrete guadagnato una cena, no?»
Kurt sorrise: «Già. Mi immagino già la signorina
Pillsbury intenta a riempirci il piatto e a sottoporci volantini
sulla malnutrizione giovanile e sui disturbi dell'alimentazione»
disse. «Mentre il professor Schuester cercherà di farmi
tornare nel Glee a tutti i costi.»
Blaine ebbe un sussultò che fu notato da Kurt.
«Ovviamente però non è possibile che ci torni. Ho
finito la scuola e poi mi porterebbe via tutti i pomeriggi e devo
lavorare.»
Senza volerlo Blaine sospirò sollevato. Notando l'aria
perplessa di Kurt, aggiunse: «Scusa, è solo che averti
come avversario sarebbe...così strano! Non credo di aver
ancora mandato giù il trasferimento di Rachel e vedere anche
te sul palco e pensare “o me o lui”...non credo riuscirei
a sopportarlo.»
«Ah no?»
«No! Insomma, tu...» balbettò. «Noi...noi
siamo amici.»
«Amici» ripeté Kurt.
«Già. Sarebbe come Red e Toby e uno dei due dovrebbe
sbranare l'altro.»
«Non finisce così Red e Toby. Finisce che rimangono
amici ma non si possono più frequentare» specificò
Kurt, forte di una ferrata cultura Disney.
Come se questa prospettiva fosse sopportabile,
pensò Blaine.
«Stai tranquillo. Niente Red e Toby. Non tornerò nelle
New Direction. Certo, sarà dura alle Regionali decidere per
chi fare il tifo» disse, grattandosi il mento e fingendosi
pensieroso.
Kurt e Blaine continuarono a scherzare e a bere i loro caffè.
Non sapevano di essere osservati ormai da dieci minuti.
Dave era passato da GAP per parlare con Kurt, ma una delle commesse
gli aveva detto di averlo visto andar via con un altro ragazzo.
Basso, moro e con la divisa di una scuola superiore. Dave non aveva
avuto dubbi su chi dovesse essere il ragazzo in questione.
Aveva ipotizzato che fossero andati al Lima Bean e così era
stato, per sua fortuna. Li aveva visti entrando ed era rimasto in
disparte. Per un secondo aveva pensato di andarsene. Quel
comportamento era come minimo fuori luogo, oltre che da stalker.
Kurt non era il suo ragazzo – non più, per propria
colpa.
Tuttavia non era riuscito a frenare la curiosità: quanto erano
amici quei due? Da quanto si conoscevano? Ogni quanto si vedevano e
per quanto tempo?
Avrebbe voluto spuntare fuori dal nulla e interrompere la loro
conversazione, un po' come avevano fatto il tappo e il suo amico
spilungone qualche settimana prima.
Ma poi non avrebbe saputo cosa dire
o fare. Aveva preferito rimanere nell'ombra e studiare il
nemico. Termine orrendo, ma
quanto mai appropriato.
Voleva riavere Kurt. Nella sua vita fatta di menzogne, Kurt era stata
forse l'unica cosa vera, autentica e perfetta e lui aveva rovinato
tutto per stupidità e paura. Voleva che tornasse tutto come
prima, perché questa volta non avrebbe più commesso gli
stessi errori.
Si sarebbe ripreso Kurt.
E nessun ragazzino papillon-dipendente glielo avrebbe impedito.
A/N
La canzone che canta Finn è I still
haven't found what I'm looking for degli U2.
Personalmente trovo sia stupenda, sia per la
musica in sé, sia per le parole. Su youtube ci sono una
valanga di cover fantastiche, se avete tempo dateci un'occhiata!
Colpo di scena finale (?): Dave ha avuto modo
di appurare come le cose per lui si stiano mettendo male. Se ne starà
con le mani in mano e si metterà a shippare la klaine come
Puck e Rachel nel telefilm? Ovviamente no! Ma ogni cosa a suo tempo.
A venerdì con il prossimo aggiornamento!
yu_gin
coming soon
Blaine avrebbe voluto essere da tutt'altra
parte in quel momento.
Sul serio, qualsiasi posto sarebbe stato
migliore.
Un autogrill pieno di camionisti incazzati, una
vasca piena di squali affamati, il Titanic sul punto di affondare.
Tutto. Ma non lì.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** guess who's coming to dinner? ***
A Lima Side Story
Capitolo
10:
guess who's coming to dinner
Kurt si
sistemò la cravatta
osservandosi davanti allo specchio.
Stentò a
riconoscersi.
Quant'era che non si vestiva così? Dal giorno del diploma,
forse? O il giorno
del funerale dei loro genitori?
Glielo avevano detto:
quando
indossi un abito ad un funerale non riuscirai più a
dimenticarlo. E lui avrebbe
voluto bruciare la giacca e i pantaloni eleganti insieme alle scarpe e
alla
cravatta non appena rientrato a casa dal cimitero, invece si era
limitato a
togliersi i vestiti, gettarli a terra e aspettare che gli tornasse la
forza di
piegarli e nasconderli nell'armadio.
Alla fine non li aveva
gettati. Li aveva lasciati a marcire nell'armadio, sperando di non
doverli mai
più indossare.
Uscì dalla
propria camera e
raggiunse quella di Finn. Diede un'occhiata dentro:
«Tutto
bene?»
Finn stava tentando di
fare
il nodo alla cravatta, con l'unico risultato di essere prossimo a
strangolarsi.
Kurt gli si
avvicinò e, dopo
averlo fermato, gli sistemò la cravatta.
«Non
è che posso mettermi
una felpa e un paio di jeans? In fondo è quello che indosso
ogni giorno a
scuola.»
«No. Se non
ci presenteremo
vestiti di tutto punto, puliti e profumati penseranno che viviamo alla
giornata, mangiando avanzi e cibo spazzatura eccetera
eccetera.»
«Che poi
sarebbe la verità»
aggiunse Finn, dandosi un'ultima occhiata allo specchio.
Kurt neppure gli
rispose.
Andò in cucina, prese la torta che aveva preparato e la mise
in una borsa di
tela per trasportarla integra e al sicuro da Finn per tutto il viaggio.
«Sei
pronto?» gridò.
«Eccomi»
rispose Finn,
emergendo dalla propria camera. «Andiamo?»
Scesero le scale e
salirono
in macchina. Per tutto il tragitto Finn continuò a
tamburellare nervosamente le
dita sul cruscotto dell'auto.
«Cerca di
sembrare
rilassato. Ad esempio, riusciresti a controllare la
sudorazione?» chiese.
«Kurt,
seriamente, pensi che
sia possibile controllare la sudorazione ascellare? Eh?»
replicò, accelerando
in modo preoccupante.
«Okay, non
scaldarti e non
farci schiantare. Scherzavo.»
«In fondo
è solo una cena
col nostro vecchio professore. Col mio attuale professore. Insomma,
perché mi
dovrei preoccupare?»
«Appunto,
quindi potresti
rallentare e... mio Dio Finn! Rimetti la mani sul volante!»
sbraitò Kurt,
vedendo il fratello sistemarsi i capelli. Cominciava seriamente a
pensare che
l'idea di quella cena li avrebbe portati alla morte.
«Scusa. Ora
mi calmo» disse.
«E' che... lo sai, ho sempre tenuto al parere del professor
Schuester. Lui ci
ha sempre aiutati anche nei momenti peggiori, ha sempre creduto in noi
quando
tutti gli altri vedevano nel nostro futuro niente di più che
una friggitrice
del McDonald.»
«Sì,
ricordo bene che per te
era una specie di eroe da imitare. Ricordi quando avevi seriamente
pensato di
cominciare ad indossare gilet?»
«Ti prego,
Kurt, non farmi
tornare certi brutti ricordi!» disse, ridendo.
«Però è vero, l'ho sempre
stimato. Perché, nonostante la maggior parte delle persone
consideri il suo
lavoro al pari di quello di uno spazzino – faticoso,
sottopagato e a stretto
contatto con dei rifiuti – lui è sempre stato
felice di ciò che faceva. Ed è
ancora così, tiene a noi studenti. Altrimenti non ci avrebbe
invitato a casa
sua, per controllare che stessimo bene.»
«Qualcuno
troverebbe un po'
sospetto questo suo interesse per gli adolescenti»
insinuò Kurt, sprofondando
contro il sedile.
«Kurt!»
«Scherzavo,
dai, non hai
ancora imparato a riconoscere quando faccio sul serio e quando ho
semplicemente
una serata acida?»
Finn scosse la testa:
«Ho
come l'impressione che Santana stia avendo un cattivo ascendente su di
te»
disse, mentre suo fratello ridacchiava e intanto controllava che la
torta non
si fosse rovinata durante il viaggio.
Quando giunsero a casa
del
professore parcheggiarono e suonarono il campanello. Finn continuava a
tormentarsi le maniche della camicia così Kurt gli diede una
gomitata. Appena
in tempo, perché neppure un secondo dopo la porta si
aprì e fece capolino la
testa rosso fuoco della signorina Pillsbury.
«Ragazzi,
già qui?» squittì,
battendo le mani felice.
«Non abbiamo
trovato
traffico» disse Finn.
Kurt si fece avanti,
offrendole la torta ancora coperta: «Abbiamo pensato di
portare un dolce. Per
ringraziarvi della cena» disse, un po' imbarazzato.
La donna prese la
torta
sorridendo: «Kurt, non sei cambiato per niente»
disse.
«Ed
è un bene o un male?»
chiese, azzardando una risatina nervosa.
«Su, venite
dentro» li
invitò. Fece loro strada fino alla sala da pranzo, dove il
professore stava
finendo di apparecchiare la tavola.
«Buongiorno
professore»
salutò Finn.
Kurt optò
per un saluto più
timido, più nel suo stile.
Schuester si rivolse a
lui:
«Kurt, è più di un anno che non ci
vediamo, ma tu non sei cambiato per niente»
disse.
Sul serio?,
avrebbe
voluto dire Kurt. Sul serio mi trova esattamente uguale ad un
anno fa?
Perché io stento a riconoscermi allo specchio. Stento a
riconoscermi ogni volta
che chiudo gli occhi.
Era per quello che
odiava
l'idea di rivedere i suoi professori delle superiori. Perché
sapeva che
l'avrebbero accolto con un “non sei cambiato per
niente” e questo perché lo
vedevano in quel momento, rimesso “a nuovo” per
l'occasione. Avrebbero detto lo
stesso se l'avessero visto dopo una serata allo Scandals, o dopo una
litigata
con Finn, o in quei momenti in cui si lasciava prendere dallo sconforto?
«Me lo
dicono tutti» si
limitò a rispondere, alzando le spalle e percepì
il sollievo di Finn affianco a
lui, che probabilmente si aspettava una risposta sarcastica.
«Avanti,
venite a sedervi a
tavola.»
Poco dopo la cena fu
servita. Entrambi cercarono di trattenersi dal divorare istantaneamente
tutto
ciò che la signorina Pillsubry metteva loro sul piatto, per
mantenere quella
parvenza di contegno che a stento riuscivano a conservare.
I due padroni di casa
non
poterono fare a meno di notare la perizia con cui pulivano il piatto.
Ciò era
indicativo della vita che dovevano condurre.
Passarono la cena a
parlare
tranquillamente del Glee, delle canzoni da portare alle regionali,
dell'entusiasmo di Rachel e il modo in cui Mercedes la spegneva, le
uscite di
Brittany, le labbra esageratamente grandi di Sam. Poi passarono a
rivangare i
vecchi tempi e a riesumare aneddoti che ormai pensavano di aver
dimenticato.
Fu solo alla fine
della cena
che Schuester azzardò a tirare fuori l'argomento che
realmente gli premeva.
«Abbiamo
parlato del Glee e
dei vecchi tempi. Ma non ci avete detto niente di come ve la passate in
questo
periodo.»
I due fratelli si
scambiarono un'occhiata indecisa, poi Finn decise di parlare.
«Va tutto
bene, come le ho
già detto a scuola-»
«Finn, a
scuola non mi hai
detto che “andava tutto bene”. O meglio,
sì, l'hai detto davanti ai tuoi
compagni, ma poi, prima di andartene, mi hai detto come stavano davvero
le
cose.»
«Sì,
è vero, abbiamo
difficoltà economiche e non riesco a trovare un
lavoro.»
«Finn»
lo interruppe la
signorina Pillsbury. «Io penso che William non si riferisca a
questo.»
Il suo sguardo si
rivolse a
Kurt, che continuava a non capire.
«Penso si
riferisca allo
Scandals. E al vostro lavoro. Al tuo lavoro,
Kurt.»
Finn si rivolse al
professore: «Non posso credere che glielo abbia
detto!» esclamò.
«Non posso
credere che tu
glielo abbia detto!» esclamò Kurt, rivolgendosi a
suo fratello. «Che cosa ti è
saltato in mente?»
«Ed io non
posso credere che
non ce l'abbiate detto prima!» intervenne il professore.
«Perché
non è una cosa di
cui andare esattamente fieri» disse Kurt, evitando il loro
sguardo.
«Non lo
è. E non so neppure
se è legale» disse.
«Ho
diciannove anni» sbottò
Kurt. «E non è niente di più che
ballare e sorridere. Un po' come il Glee,
professore» ribatté, acido.
«Non
paragonare il Glee a
quello che fai! Quando cantavi nel coro della scuola lo facevi
perché amavi la
musica e perché ti faceva sentire bene. Tutti vi prendevano
in giro ma tu ne eri
orgoglioso lo stesso, non ti eri mai nascosto. Ora invece eviti i tuoi
vecchi
amici per non dovergli dire cosa fai.»
«E' solo una
soluzione
temporanea. Non appena troverò di meglio-»
«Quante
volte te lo sei
ripetuto perché suonasse vero anche a te?»
Kurt si
alzò da tavola:
«Grazie per la cena e per tutto. Noi ora ce ne
andiamo» disse.
«Non credo
proprio, Kurt»
disse il professore, alzandosi in piedi.
«Non potete
costringermi a
rimanere!»
«Veramente
possiamo» disse
Finn. «Finché le chiavi della macchina ce le ho
io.»
Kurt fissò
il fratello,
sentendosi tradito. Poi sbuffò e tornò a sedersi.
«E' una
congiura. Ho capito.
E io che ho pure portato una torta.»
«Non
è una congiura. Non a
tuo danno, almeno» disse il professore. «Vogliamo
solo trovare una soluzione.»
«Io ho
portato dei depliant»
aggiunse la signorina Pillsbury, aprendo una scatola. Kurt lesse alcuni
dei
titoli, come “Il mio corpo non è in
vendita” e “Io valgo più di
questo” e “Lo
spogliarellista non è un lavoro”.
«Dica la
verità. L'ultimo
l'ha fatto a posta per me» disse.
Finn gli
tirò un calcio
sotto la sedia.
«Ci
ascolterai?»
«Vi
ascolterò fino alla
fine. Ascolterò tutto ciò che avrete da dirmi. Ma
alla fine sarò io a
scegliere. E se non troveremo una soluzione migliore terrò
il lavoro finché non
ne ce ne inventeremo una» disse.
Si morse il labbro
desiderando essere da tutt'altra parte in quel momento.
Blaine avrebbe voluto
essere
da tutt'altra parte in quel momento.
Sul serio, qualsiasi
posto
sarebbe stato migliore.
Un autogrill pieno di
camionisti incazzati, una vasca piena di squali affamati, il Titanic
sul punto
di affondare. Tutto. Ma non lì.
La cosa che lo faceva
ridere
– quel risolino isterico che ogni tanto parte nella nostra
testa – era che quel
luogo era casa sua.
In quel preciso
istante si
trovava seduto a tavola con: suo padre – arrabbiato come al
solito per un
affare andato storto o per un assistente incompetente; sua madre
– impegnata a
fissarsi le unghie con attenzione quasi sconcertante, ignorando la voce
in sottofondo;
Rachel – suddetta voce di sottofondo alla cena, intenta a
raccontare per filo
e per segno ogni dettaglio, ogni novità, ogni singola
frivolezza del Glee.
«E allora
Finn – vi ho
parlato di lui, vero?»
«Sì,
tesoro. Sappiamo vita,
morte e miracoli di questo Finn.»
«Come
dicevo, Finn e io
abbiamo provato questa canzone e le nostre voci erano qualcosa di
straordinario! Non credo di aver mai trovato un compagno di duetti come
lui.
Senza offesa, Blaine» disse, ma il fratello
minimizzò con un gesto della mano.
«Tesoro,
scusa se te lo
dico, ma non ti sembra di essere un po'... avventata?» disse
la signora
Anderson, alzando gli occhi dalle sue unghie perfette.
«Avventata?»
ripeté. Blaine
alzò gli occhi dal piatto, improvvisamente attento.
«Non fai
altro che parlare
di questo Finn. Non è che voi due-»
«Mamma!»
esclamò lei,
scandalizzata. In realtà Blaine non poté non
notare il rossore che
improvvisamente le aveva coperto le guance. «E' solo un
partner artistico.»
«Meno male.
Perché da quello
che ci hai raccontato non mi sarebbe sembrato il ragazzo adatto a
te.»
Rachel
fissò sua madre. Se
Blaine avesse dovuto trovare un aggettivo per descrivere il suo sguardo
avrebbe
detto “mortificato”.
«Insomma, ha
lasciato la
scuola a diciotto anni, ha perso il lavoro e poi è tornato a
scuola per
prendere il diploma. Quindi deve avere come minimo vent'anni, mentre tu
ne hai
appena diciassette. E non ho neppure capito come faccia a guadagnarsi
da vivere
questo se non ha i genitori e va a scuola.»
«Lavora la
sera in un bar. E
poi c'è suo fratello che fa il commesso in un
negozio.»
«Ah
già, suo fratello finocchio.»
Al sentire quelle
parole
Blaine sobbalzò. Il cuore cominciò a martellargli
in petto. Cercò di mantenere
la calma, di non dare a vedere quanto in realtà fosse
agitato nel sentire
tirato in ballo Kurt.
«Papà!»
esclamò Rachel.
«Che
c'è, me l'hai detto tu
che quello lì aveva un fratello finocchio.»
«Omosessuale»
lo corresse.
«Fa uguale.
Il concetto è
sempre lo stesso: uno a cui piace farselo mettere in-»
«Tesoro, ti
prego!» esclamò
la moglie. «Non a tavola.»
«Hai
ragione. Meglio non
parlare di queste cose. Mi dà già abbastanza
preoccupazioni Blaine.»
Nel sentirsi nominare
il
ragazzo alzò lo sguardo, terrorizzato.
«Preoccupazioni?»
«Ma
sì, tu e quel tuo
compagno di stanza. Come accidenti si chiama...»
«Sebastian
Smythe, papà.
Figlio del procuratore Smythe.»
«Già,
ormai quei deviati
sono un po' ovunque, si diffondono a macchia d'olio. Non è
che a duettare con
quello lì mi diventi frocio pure tu?»
Blaine
sbatté i pugni sul
tavolo. Questa sua reazione stupì i suoi genitori e Rachel,
che lo fissarono
perplessi.
«Smettetela
di parlar male
di Sebastian. Sarà anche gay, ma è mio amico. E
non mi importa se guarda il
culo alle ragazze o ai ragazzi, se in futuro si sposerà con
una donna o con un
uomo. Non me ne importa niente! Sono affari suoi.»
«Sono affari
suoi fintanto
che non dorme nella tua stessa stanza. E se ci... provasse con te? Ci
hai
pensato?»
Sua madre
alzò gli occhi al
cielo: «Mio Dio, non farmici pensare.»
Blaine
pensò a tutte le
volte che si era svegliato con Sebastian nel suo letto o a tutte le
volte che
il suo coinquilino usciva dalla doccia e si cambiava senza problemi
davanti a
lui, o ancora quei baci che si era scambiati, più per
divertimento che per amore.
«Sebastian
non farebbe mai
nulla contro la mia volontà» disse. In fondo lo
credeva davvero. Una cosa era
dormire nel suo letto. Una cosa era forzarlo ad avere un rapporto
completo
contro la sua volontà e – per quanto considerasse
Sebastian un bastardo
opportunista – sapeva che non sarebbe mai arrivato a tanto.
Suo padre
alzò le mani:
«Come vuoi tu. Ti avrei fatto cambiare di stanza, ma dicono
che sia un bravo
ragazzo e quindi mi sono fidato.»
“Bravo
ragazzo” e
“Sebastian” nel vocabolario di Blaine non stavano
nella stessa frase. Se non
forse nella frase “Sebastian non è per niente un
bravo ragazzo” o“Sebastian si
è portato a letto un altro bravo ragazzo”.
«Però,
Blaine, lasciamelo
dire. Siamo davvero preoccupati per te. Da quant'è che non
ti vediamo uscire con
una ragazza?» disse sua madre.
«Mai. Alle
medie forse, ma
non l'ho mai visto uscire con una ragazza da quando è alle
superiori.»
«Cosa vuoi
dire? Neppure
Rachel ha il ragazzo» protestò.
«Già,
perché spende tutte le
sue energie a studiare ed accumulare crediti scolastici e premi con cui
riempie
la camera» precisò la donna, noncurante del fatto
che la figlia fosse lì
affianco a lei. «A te invece sembra che non interessi per
nulla trovare una
fidanzata. Sembra che non ti interessi nulla del tuo futuro. Lo sai
vero che
l'anno prossimo andrai al college? E che un giorno ti sposerai e avrai
dei
figli? Insomma, se vuoi mettere su famiglia dovrai almeno cominciare
col
trovarti una fidanzata.»
«Possibile
che vi facciate
gli affari miei solo quando non ve lo chiedo?»
sbottò.
«Ci
preoccupiamo per te»
disse sua madre.
Non
è vero, pensò. Non
ve ne frega nulla di me. Vi importa solo della vostra reputazione e di
come
sarebbe macchiata se nei circoli dell'alta società si
venisse a sapere che
vostro figlio è gay.
«E comunque
Blaine sta
uscendo con una ragazza» disse Rachel.
Blaine si
voltò a guardarla.
«Non fare
quella faccia,
Blaine. Sono tua sorella. Mi sono accorta che qualcosa in te stava
cambiando.
Sembravi più felice, più allegro, come se ti
avessero tolto un peso dal cuore.
E poi capita sempre più spesso che tu ti metta
a sorridere come un idiota, quando ti arriva un messaggio»
disse.
«Non
significa niente!»
«E siccome
volevo avere
delle conferme» continuò lei «ho
chiamato il tuo amico Wes. Che mi ha detto che
dovevi vederti con una qualche settimana fa e che eri in fibrillazione
per
questo.»
«Rachel, ma
farti gli affari
tuoi no?»
«Avevi un
appuntamento? Ma è
stupendo!» esclamò sua madre.
«Perché non ce l'hai detto prima, avremmo evitato
tutta quella spiacevole conversazione. Dicci un po' di lei,
com'è?»
Alta, magra,
un culo
fantastico. Si chiama Kurt.
«E'...
è-»
«Tesoro, non
assillarlo!»
esclamò suo padre. «E' un adolescente, lasciagli i
suoi spazi. Quando ti
sembrerà che la vostra relazione si sia consolidata ce la
presenterai. Per ora
a me importa solo che tu sia normale.»
Blaine sapeva bene
cosa
intendeva dire con “normale”. Intendeva dire etero,
non gay, non frocio o
finocchio o qualsiasi altro appellativo offensivo avesse trovato.
«Era tutto
squisito. Ora
scusate, ma vado in camera mia» disse, alzandosi da tavola e
andandosene. Salì
le scale e si chiuse in camera. Prese il cellulare e scrisse un
messaggio:
20:57
Hai presente
quando tutta
la cena ti rimane sullo stomaco e ti prende quel nodo alla gola che
neppure
riesci a digerire per la rabbia?
20:59
Come me in
questo
momento? Avanti, spara. Cos'è successo?
21:00
Cena in
famiglia. I miei
genitori hanno fatto le loro solite battute omofobe e io sono stato sul
punto
di gridargli in faccia che mi piace l'uccello. L'avrei fatto solo per
vedere la
reazione di mia madre. Tu, invece?
21:01
Dopo aver
letto il tuo
messaggio, non mi sembra più così terribile la
cena appena finita a casa del
professor Schuester. Finn gli ha detto del mio lavoro serale ed
è stato molto
imbarazzante. Hanno cercato di convincermi a smettere.
21:01
E tu?
21:03
E io li ho
ascoltati
attentamente. Ma continuerò con questo lavoro, almeno fino a
che Finn non
troverà un lavoro decente, ossia fino al suo diploma.
Però questo non l'ho
detto, altrimenti quello era capace di lasciare di nuovo la scuola e di
cercare
inutilmente un lavoro.
Blaine sorrise nel
leggere
il messaggio. Sorrise pensando a quanto doveva essere forte il ragazzo
che da
quasi un mese, ormai, affollava i suoi pensieri. A quanto doveva essere
coraggioso e determinato. A quanto dovesse essere forte il legame con
suo
fratello.
In quel momento
sentì la
porta della sua camera aprirsi. Sollevò lo sguardo e vide
Rachel fare capolino.
«Posso?»
Lui annuì.
Lei entrò e si
sedette sul letto dove Blaine era steso. Notò subito il
cellulare illuminato.
«Stavi
scrivendole?» chiese.
Scrivendogli,
voleva
precisare. Grazie, Thad.
«Scusa se
l'ho detto ai
vecchi. Continuavano a parlare male di te e non capivo
perché non li mettevi a
tacere.»
«Stai
tranquilla. Non me la
sono presa. È che mi piacerebbe non essere così
evidente, per te.»
«Non puoi
farci niente. Sei
un libro aperto» disse, ridendo.
Poi tornò
seria: «Quando hai
avuto quella reazione a tavola, sai, quando papà ha detto
quelle cose su
Sebastian... io ero d'accordo con te.»
Blaine la
fissò, stupito.
«Entrare nel
Glee club mi ha
aperto gli occhi. Tutti i miei amici del coro sono... diversi. Mercedes
è una
ragazza di colore, Mike e Tina sono asiatici, Brittany ha i genitori
europei,
Sam è di famiglia povera, Finn come ti ho già
detto vive in un appartamento da
quattro soldi e suo fratello è gay. Ma tutto ciò
non mi sembra strano
e... sbagliato. Sono miei amici. Non mi tocca minimamente il colore
della loro
pelle, la loro religione, il loro orientamento sessuale o i soldi che
hanno in
banca. Ognuno di loro mi ha aperto gli occhi, mi ha fatto vedere
com'è il mondo
là fuori: vario. E tutto ciò... mi
piace.»
«Ti piace
Finn?»
Rachel
arrossì.
«Anche tu
non scherzi in
quanto a “evidenza”.»
«Non dirlo
alla mamma!»
«Per chi mi
hai preso?»
esclamò.
«Non mi dici
neppure cose
come “è troppo vecchio” o “non
fa per te?”»
«Perché
dovrei farlo. È un
bravo ragazzo, è responsabile, dà sempre il
massimo per le persone cui vuole
bene...»
«Da come
parli sembra quasi
che tu lo conosca di persona.»
«Ne parli
così tanto che un
po' è così» disse, evitando il
pericolo. «Da quando è nel Glee non fai che
parlare di lui. Dev'essere davvero speciale se ti distrae dalle tue
mire da
diva.»
«Lo
è» ammise. «A volte mi
piacerebbe che fosse un po' più di un semplice amico, ma lui
sembra non
notarmi. O meglio sembra notarmi come “la ragazzina di buona
famiglia da
evitare come la peste”.»
«Non credo
sia così.»
«Fidati.
Sembra avere occhi
solo per Quinn» disse, abbassando lo sguardo. «In
fondo, loro si conoscevano da
prima. Non ho nessuna possibilità in confronto a
lei.»
Il suo cellulare si
illuminò
di nuovo e Rachel, nel vederlo, sorrise.
«E lei? Lei
com'è?»
«Lei-»
Lei
è un lui. Un ragazzo.
Un maschio. Avanti, Blaine, dillo! Dillo almeno a Rachel. Abbi le
palle, una
volta tanto, sii abbastanza uomo da dire la verità a tua
sorella.
«E' tutto
quello che non
sono io. Sa quello che vuole, sa chi vuole essere e non ha paura di
dirlo.»
«Dev'essere
una ragazza
straordinaria.»
«Lo
è.»
«E quando vi
siete messi
insieme?»
«Non
è ancora successo
niente. Per ora siamo ancora alla fase “solo
amici”.»
Rachel
strabuzzò gli occhi:
«E perché?»
«Perché
non ha ancora
digerito la rottura col suo ex. Non che gli... le piaccia ancora.
È che ha paura
di soffrire di nuovo.»
«Ma per
favore!» esclamò
Rachel. «Non metto in dubbio che un anno fa abbia sofferto e
forse che ne
soffra tutt'ora, ma non può rimanere per sempre chiusa nel
suo guscio.
Scommetto che lo dice solo per “difendersi” ma che
se tu facessi la prima
mossa, se tu le dicessi quello che hai appena detto a me –
ossia quanto lei sia
straordinaria, coraggiosa, forte e quanto ti faccia stare bene
– beh, scommetto
che dimenticherebbe il suo ex e si lancerebbe fra le tue braccia.
Metaforicamente
parlando. O forse anche letteralmente.»
Blaine sorrise.
«Grazie,
Rachel. È bello
avere una sorella, in momenti come questo.»
«Perché,
vuoi dire che
normalmente sono una petulante rompipalle?»
I due scoppiarono a
ridere,
dimentichi ormai della pessima cena.
21:28
Mia sorella
mi sorprende
ogni giorno di più.
21:29
Cos'ha
combinato?
21:30
Mi ha fatto
sorridere
dopo l'orrenda cena con i nostri genitori. Forse non tutta la mia
famiglia è da
buttare.
21:31
Mi fa piacere
sentirtelo
dire. Anche perché, da come ne parla Finn, sembra la ragazza
più seria, gentile
e talentuosa dell'intero Ohio.
Blaine, nel leggere
quel
messaggio, non poté fare a meno di sussultare. Forse le
possibilità di Rachel
con Finn non erano così basse.
21:35
Ti va se ci
vediamo per
un caffè, uno di questi giorni? Ho bisogno di una bella
chiacchierata fra
amici. Ne ho proprio bisogno. Offro io il caffè, se serve a
convincerti.
21:36
Se offri non
mi lasci
scelta! :) Buona notte, Blaine.
21:36
Buona notte,
Kurt.
Finn si
voltò verso di lui.
Kurt era seduto scompostamente sul sedile e fissava attonito il
cellulare.
«Sei ancora
arrabbiato
perché l'ho detto a Schuester?»
«Sì.»
Silenzio.
«No»
ammise.
«E allora
perché non mi
parli da quando siamo saliti in macchina?» disse, allungando
l'occhio sul suo
cellulare.
Kurt lo nascose con
fare
protettivo: «Non penso di volertelo dire» disse,
facendogli la linguaccia.
Finn sorriso:
«Come vuoi.
Tanto so a chi stai scrivendo.»
«Ha parlato
mister non-ho-niente-di-meglio-da-fare-che-parlare-di-Rachel»
rispose acido.
Finn, colpito nel
segno,
tacque fissando la strada.
«Aspetta.
Non intendevo...»
Kurt non poté fare a meno che spalancare la bocca stupito.
«Ti piace Rachel?»
«No!»
esclamò.
«Sicuro?»
«Kurt, non
scherzare. Perché
una come lei dovrebbe guardare uno come me? Sono completamente
disastrato e il
mio futuro oltre il diploma è un completo azzardo, mentre
lei sembra aver
pianificato la vita fino alla pensione. In quale universo parallelo
potrei
piacerle?»
«In uno in
cui tu non ti
comporti da zuccone e invece cerchi di capire se le interessi? Dico per
dire.»
«Apri gli
occhi, Kurt.
Veniamo da due mondi diversi. Ti immagini, per esempio, se dovesse mai
presentarmi ai suoi genitori? Cosa direi loro? Che ho vent'anni, che
vivo
mantenuto da mio fratello minore, che devo ancora diplomarmi, che non
riesco a
trovare uno straccio di lavoro? Dico per dire.»
Kurt
ascoltò le sue parole
attentamente. Ma in quel momento smise di pensare a suo fratello e
– forse
egoisticamente – pensò a Blaine.
Blaine, che era il
fratello
di Rachel, che proveniva dalla sua stessa famiglia. Una famiglia che
non
accettava neppure il fatto che fosse omosessuale. Come avrebbero
reagito se poi
il loro adorato figliuolo avesse portato loro a casa uno come lui,
commesso di
mattina, spogliarellista di sera. Uno che aveva sempre frequentato la
scuola
pubblica, che guidava un'auto scassata, che si arrangiava come meglio
poteva a
far sembrare splendidi gli abiti che riusciva a comprare o a rimediare
dal
magazzino GAP.
Si era dimenticato da
che
parte di Lima Blaine provenisse.
La parte opposta alla
sua,
per l'esattezza.
N/A
Una
cena non così semplice da digerire per entrambi!
Blaine
e Rachel fanno dei passi avanti e lo stesso per Finn e Kurt.
Ovviamente
il titolo è una citazione – neppure velata
– al film “Indovina che viene a
cena”.
E... basta.
In realtà non sarò io a postare il capitolo ma la
mia beta MeMedesima, che
ovviamente ringrazio!
Al
prossimo venerdì!
yu_gin
N/B
(yu_gin non piangere quando noterai l'infelice accostamento di queste
due lettere...)
Buon
giorno a tutti! :) Qui la beta, aka MeMedesima.
Sì,
sto scrivendo una nota alla fine e non vandalizzando quelle
dell'autrice... E' che è ancora mattina - mezzogiorno?! -
mentre sto scrivendo, quindi non riesco a pensare a qualche troll
più acuto di un "io puzzo" scritto alla fine...
Spero
che vi sia piaciuto il capitolo, io personalmente vorrei pestare sia il
signor Anderson che la moglie.
Preparatevi
per i prossimi capitoli, perchè saranno straordinari e vi
lasceranno con la voglia di sbattere la testa contro il monitor del
computer per poi andare a cercare l'autrice per tirarle contro suddetto
computer.
Baci
a tutti! Ciao yu_gin! :)
coming
next:
Kurt
intuì il disastro di dimensioni epiche che stava per
accadere. Si voltò appena in tempo per vedere Rachel
avanzare verso di lui con
lo sguardo fisso in direzione di colui che aveva riconosciuto come il
proprio
stupidissimo fratello.
«Blaine?»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** ops, there you are ***
A
Lima Side Story
Capitolo
11: ops, there you are!
Kurt sentì il cellulare
vibrare nella tasca proprio mentre aiutava una donna a comprare un
maglione per la figlia. Finì di aiutare la cliente – che
se ne andò ringraziandolo – e prese il cellulare.
Non appena lesse il messaggio
sorrise.
10:47
Ormai credo di aver digerito la
cena con i miei. Ti va se ci troviamo per parlarne questo pomeriggio?
10:56
Signor Anderson, segua la lezione
invece di mandare messaggi alla gente che lavora!
10:59
Stavo scherzando. Non ti sarai
davvero offeso?
11:03
Signor Hummel, un po' di rispetto
per la gente che studia!
11:05
No, non mi sono offeso.
11:07
Meno male. Per me va bene. Passi
quando stacco e andiamo al Lima Bean? O preferisci il tuo
fantasmagorico bar da intellettuale?
11:08
Tu che dici? :) Decideremo al
momento. A dopo.
Blaine sorrise nell'inviare il
messaggio.
«Fammi indovinare: stai
scrivendo ad un certo commesso?» chiese Sebastian, sporgendosi
verso di lui.
«Ci vediamo questo pomeriggio
per un caffè.»
«Sono toccato. Il mio bambino
sta diventando grande» disse, fingendo di commuoversi. «Direi
che sei pronto per il punto quattro.»
«Il punto quattro?»
«Ma sì, hai detto che
l'ultima volta avete parlato. Che lui ha parlato e ti ha
rivelato non poche cose su di sé. Dunque sei pronto per il
quarto punto che, ai fini pratici, è davvero importante.
Perché se riesci a passarlo vuol dire che si fida di te.»
«Fini pratici.»
«Sesso, Blaine, quella cosa
che tu hai solo sentito nominare.»
«Okay, okay. E quale sarebbe.»
«Devi convincerlo a salire
sulla tua auto. Da soli.»
«Ma sei... sei impazzito? Non
ci siamo mai neppure baciati e-»
«Non ho detto che devi
sbattertelo sul sedile posteriore, idiota! Ho solo detto che devi
convincerlo a salire in macchina con te. Da come lo descrivi sembra
uno un po' titubante con i rapporti... fisici. Se rifiuta non
forzarlo. Prova un'altra volta. Quando accetterà potrai
passare al punto cinque.»
«Non mi piace il punto
cinque.»
«Non l'hai ancora sentito!»
protestò Sebastian.
Blaine lo guardò dubbioso,
aspettandosi il peggio.
Sebastian invece si limitò a
sorridere, puntandogli contro la penna: «Tu fallo entrare nella
tua auto. E mi raccomando... sii un vero gentiluomo!»
«Non so se sia una buona idea»
disse Tina, grattandosi il mento.
«Su, Tina, non fare la
guastafeste. Eravamo tutti d'accordo, no?» protestò
Mercedes.
«Io non ho mai detto di essere
d'accordo» protestò.
Quinn sospirò: «E se lo
chiedessimo a Finn? Magari ci saprebbe dare un parere costruttivo.»
«Ma è stato lui a
consigliarcelo. Indirettamente, certo, ma come altro potevamo
interpretare le parole “gli mancate molto”?»
«Io le interpreto come “non
voglio offendere i vostri sentimenti, così vi spiattello una
balla”» disse Quinn. «La verità, Mercedes, è
che Kurt ci avrà di sicuro dimenticati. Ricordi com'era l'anno
scorso? Assente, lontano, sempre per conto suo. Quasi non ci
rivolgeva la parola, ed eravamo tutti nel Glee. Ti ha mai scritto in
quest'ultimo anno? Ha almeno mai risposto ai tuoi messaggi con
qualcosa di più di un “sto bene, grazie”?»
No, doveva ammettere Mercedes, ma
non perdeva la fiducia. Kurt le mancava da morire. Era imbarazzante
pensarci ora, ma era stato la sua prima cotta – durata fino a
che non aveva scoperto la sua omosessualità. Dopodiché
erano diventati migliori amici. Dopo la morte dei suoi genitori gli
era stata vicino e lui sembrava aver apprezzato il suo aiuto. Poi
però aveva finito per allontanarsi sempre di più da
lei, da tutti loro. Era stato il periodo in cui i bulli avevano
cominciato a lasciarlo in pace – inspiegabilmente. Poi avevano
preso a girare quelle orrende voci su di lui e il bullismo era
ricominciato. Lui non si era più riavvicinato.
Le mancava il suo vecchio amico, il
ragazzo sorridente che le consigliava gli abbinamenti o con cui
chiacchierava di ragazzi. Le mancava il vecchio Kurt e voleva tirarlo
fuori dal fantasma che aveva visto, per l'ultima volta, il giorno del
diploma.
«Se non verrete con me andrò
da sola» dichiarò.
«Io vorrei accompagnarti»
disse Rachel.
Tutti si voltarono verso di lei.
«Ma se neppure lo conosci?»
le fece notare Quinn.
«E' vero, ma mi piacerebbe
conoscerlo. Quando ne parlate mi sento sempre esclusa e, se vogliamo
essere una vera squadra, voglio poter partecipare anch'io alle vostre
conversazioni.»
«Siamo già in due!»
esclamò felice Mercedes.
«Vengo anch'io. Se dovete
disturbarlo in due, tanto vale farlo in tre.»
«Non penserete che vi lasci
andare da sole?» disse Quinn.
«Potete portarmi con voi?»
chiese Brittany. «Non voglio tornare a casa perché ho
paura che Lord Tubbington stia avendo un incontro con i suoi amici
gatti e potrebbero irritarsi nel vedermi in giro.»
«Allora è deciso? Finn
ha detto che finisce di lavorare alle cinque. Andremmo al termine del
suo orario, così eviteremo di disturbarlo. Contente?»
Kurt guardò l'orologio. Le
cinque e quattro minuti. Poi guardò fuori dalla vetrina. Di
solito Blaine arrivava sempre in anticipo. Quella volte invece non
c'era. Controllò nuovamente il cellulare per vedere se gli era
arrivato qualche messaggio – magari qualche prova extra coi
Warblers – ma niente.
Decise di uscire ugualmente ed
aspettarlo fuori. Magari stava aspettando in macchina, anche perché
fuori minacciava di piovere.
Ma non appena uscì vide
qualcosa che gli fece dimenticare Blaine. Riconobbe al volo quella
che per anni era stata la sua migliore amica, la ragazza che l'aveva
aiutato a non cadere nel baratro.
La ragazza che aveva allontanato per
evitare di farle vedere che cosa era diventato.
Mercedes lo stava guardando e il suo
sguardo gli parlava.
Gli stava dicendo “sei uno
stupido” e “non so come farò a perdonarti” e
“eccoti qua, ci voleva tanto a mandarmi uno stupido messaggio”.
Ma soprattutto “mi sei mancato da morire”.
«Mercedes» mormorò.
La ragazza non disse niente. Gli si
avvicinò e gli mollò uno schiaffo.
Kurt rimase basito per la sua
reazione.
«Questo è per non
esserti fatto sentire dal giorno del diploma!» disse.
«Io-»
«Zitto!» esclamò.
Lo abbracciò forte, quasi stritolandolo. Kurt rimase senza
fiato per la sorpresa – e perché gli abbracci della sua
amica erano davvero forti! «E questo è perché mi
sei mancato da morire, brutta diva che non sei altro.»
Kurt sorrise, ricambiando
l'abbraccio: «Mai diva quanto te.»
Quando si staccarono dall'abbraccio,
Kurt ebbe modo di vedere le altre ragazze del Glee farsi avanti.
Tina, Quinn, Brittany. Le riconobbe tutte e le salutò. Poi si
fece avanti una ragazzina bassa e vestita come una scolaretta del
collegio. Gli tese la mano e disse:
«Io sono Rachel Anderson,
nuovo membro delle New Direction. Ho sentito così tanto
parlare di te.»
Kurt deglutì, stringendole la
mano.
Anch'io ho sentito parlare molto
di te. Non sai neppure quanto, pensò, cercando di non
sembrare agitato. Aveva davanti a sé la sorella di Blaine, la
ragazza di cui Finn straparlava da quando era tornato a scuola.
Rachel lo scrutò e per un
istante Kurt pensò che forse Blaine aveva ragione e sua
sorella era davvero una vampira leggi-mente, perché corrugò
le sopracciglia e chiese: «Ma noi non ci siamo già visti
da qualche parte?»
«Non saprei» temporeggiò
Kurt. Quando poteva averlo visto? Di certo non con suo fratello,
altrimenti non sarebbe stata così tranquilla. E neppure al
negozio GAP, perché lei e GAP non avevano nulla in comune. Ma
– questo poteva escluderlo per certo – non poteva averlo
visto durante uno show allo Scandals. Se così fosse stato –
e se Blaine fosse venuto a saperlo – sarebbe morto.
«E' stato Finn a dirvi di
venire?» chiese. Sospettava che il fratello avesse un ruolo in
tutto ciò. O forse il professore voleva farlo tornare nelle
New Directions.
«No, siamo venute senza dirgli
niente. Avevamo paura di darti fastidio o che non volessi vederci. Ma
noi volevamo sapere come stavi. Volevamo sentirlo dalla tua bocca e
non la quella di tuo fratello.»
Kurt indugiò, con lo sguardo
basso. «Io-»
In quel momento sentì il
telefono squillare. Lo prese dalla tasca e lesse il messaggio.
17:13
Ehi, hai uno stuolo di
ammiratrici? Girati e guarda dall'altra parte della strada
Kurt fece come diceva il messaggio.
Le ragazze guardarono tutte in quella direzione, per capire che cosa
avesse attirato la sua attenzione.
Nella fattispecie, un esemplare di
Anderson maschio, anni diciotto, vestito da gentiluomo con il suo
immancabile papillon che salutava come un idiota dall'altra parte
della strada.
Kurt intuì il disastro di
dimensioni epiche che stava per accadere. Si voltò appena in
tempo per vedere Rachel avanzare verso di lui con lo sguardo fisso in
direzione di colui che aveva riconosciuto come il proprio
stupidissimo fratello.
«Blaine?» esclamò
stupita.
Il sorriso sul volto di Blaine si
spense.
Seduti tutti attorno ad un tavolino
del Lima Bean, fecero le dovute presentazioni.
«Quindi, tu sei Kurt Hummel,
fratello minore di Finn, ex membro delle New Direction» disse
Rachel. Kurt annuì, sorseggiando il proprio cappuccino e
lanciando a Blaine un'occhiata significativa.
«Mentre tu» disse Quinn
«sei Blaine Anderson, fratello maggiore di Rachel. Attuale
membro dei Warblers.»
«Colpevole» ammise.
«E, esattamente, che cosa ci
facevi davanti al negozio GAP proprio mentre c'eravamo noi? Non è
che voi Warblers ci state spiando?» insinuò Rachel.
«Ma per favore!» esclamò
Blaine, esibendo la sua migliore faccia contrariata.
«Ti prego, non dirmi che stavi
casualmente andando da GAP e che mi hai vista e salutata.
Senza contare che non sembravi salutare me, ma lui»
precisò, indicando Kurt con il pollice.
«Oh, ma è molto
semplice» disse Kurt, posando sul tavolo il proprio cappuccino.
Blaine lo guardò sorpreso come per dire “ah sì?”
«Vedi, Rachel, tuo fratello è venuto qualche settimana
fa in negozio per una commissione da parte della Dalton. Siccome non
avevamo in magazzino quello che gli serviva, ce lo siamo fatti
spedire e siamo rimasti in contatto, così potevo avvisarlo di
quando sarebbe arrivato ciò che gli serviva. Semplice, no?»
«E da quando sono i commessi a
chiamare personalmente i clienti?»
Blaine si schiarì la voce:
«Kurt è stato solo gentile. Sapeva che avevamo urgenza e
in questo modo eravamo sicuri che le divise sarebbero arrivate.»
«Aspetta, tu e i Warblers
progettate un numero con una nuova divisa?» chiese Rachel.
Blaine pensò sollevato che
era riuscito a cambiare argomento. «Top secret. Lo scoprirete
alle regionali.»
La ragazza sbuffò. «Io
comunque insisto: ti ho già visto da qualche parte»
disse, puntando il proprio cucchiaio contro Kurt. Poi il suo volto si
illuminò. Fece un semplice calcolo mentale. Sommò un
vago ricordo che aveva in testa con le voci che aveva sentito girare
circa Kurt Hummel e lo Scaldals. Se poi aggiungeva che era il posto
di lavoro di suo fratello. «Tu! Tu sei quello che ha tirato un
pugno a mio fratello!» esclamò.
Mercedes si voltò sorpresa
verso Kurt, mentre Rachel guardò Blaine in cerca di
spiegazioni.
«E non provare a negarlo. Era
lui, ora ne sono più che certa!»
Kurt e Blaine si guardarono, senza
sapere cosa fare. Infine Blaine sospirò e cedette:
«Va bene, confesso. Era lui.»
«Non ci posso credere! Gli hai
tirato un pugno?» chiese Mercedes.
«Tu mi hai appena
schiaffeggiato» le ricordò Kurt.
«Che c'entra? Quello era uno
schiaffo da diva: un pugno, invece, è un pugno. Dovevi essere
davvero incazzato nero.»
«Lo ero» ammise Kurt.
«Perché vedi, Blaine...» indugiò qualche
istante. «Lui voleva convincermi a... entrare nei Warblers.»
«Lo sapevo! Traditore!»
esclamò Rachel, tirando uno schiaffo alla schiena del
fratello.
«Non fare quella faccia,
Blaine, lo sai che è vero!» insistette Kurt. «Mi
disse che serviva loro un controtenore. Mi ha chiesto di unirmi a
loro, io ho rifiutato, lui ha detto che i Warblers erano meglio delle
New Direction e io gli ho tirato un pugno» concluse.
«A mia discolpa, ero ubriaco»
ci tenne a precisare Blaine, cercando di salvare quel poco di dignità
che gli era rimasta. E tutto ciò per non rivelare a sua
sorella ciò che lui sentiva dentro da anni ormai.
Se solo avessi il coraggio.
«Poi ci siamo rivisti da GAP,
lui si è scusato e io mi sono fatto perdonare per il pugno»
concluse Kurt.
«Si può sapere perché
Finn non ci ha detto niente?» chiese Mercedes.
«Perché non lo sapeva.
È successo prima che tornasse a scuola e non vedevo il motivo
per dirglielo. E vi pregherei di non farlo. Mi prenderebbe in giro a
vita se sapesse che ho preso a pugni qualcuno. Di solito sono sempre
io a dirgli che ha il sangue caldo.»
Mercedes sorrise: «Stai
tranquillo, bocche cucite. Tu però vedi di farti sentire, ogni
tanto. O sarò costretta a fare una visita al negozio per
schiaffeggiarti.»
«Non sia mai!» rise.
Le ragazze delle New Directions si
alzarono e, dopo aver salutato, se ne andarono. Solo Rachel rimase
seduta con i due ragazzi.
«Direi che dopo questo
pomeriggio mi devi come minimo un po' di spiegazioni» disse
Rachel, rivolta a suo fratello. «Perché non mi
accompagni a casa. Hai tempo di una chiacchierata con tua sorella
prima di rientrare alla Dalton?»
«Suppongo di sì»
disse Blaine. Poi si rivolse a Kurt: «Visto che per colpa
nostra hai fatto tardi, vuoi un passaggio fino a casa? Anche perché
fuori è brutto e – ad aspettare l'autobus – rischi
di prenderti una polmonite.»
Kurt esitò. Non amava l'idea
di salire sulla macchina di qualcuno che non conoscesse bene. In
generale non amava i luoghi nei quali fosse necessario rimanere in
stretto contatto con qualcuno che non fosse suo amico intimo. E
considerava amici intimi solo Finn, Santana e ora nuovamente
Mercedes.
Però, alla fin fine, non
sarebbero stati soli – Rachel non sarebbe stata zitta un minuto
– e la macchina non costringeva ad un contatto fisico così
ravvicinato. E poi il tempo fuori...
«Grazie, accetto volentieri»
rispose, un po' titubante.
«Ma, Blaine! Casa sua è
dall'altra parte di Lima: ci metteremo una vita.»
«Non essere scortese, Rachel.
Vorrà dire che porterò prima a casa te e poi lui,
contenta?»
Kurt sobbalzò.
Il suo peggiore incubo si stava
avverando.
Soli in macchina.
Blaine fermò la macchina
davanti a casa sua e fece scendere Rachel, la quale sbatté la
portiera in malo modo, seccata per la cocciutaggine del fratello.
«Ci vediamo più tardi»
disse Blaine.
Lei non gli rispose neppure e si
avviò verso casa. Prima di entrare si voltò verso il
fratello e gli fece un cenno con la mano. Il quale lo interpretò
come un “ti aspetto”.
«Ed ora pensiamo a riportarti
a casa. Mi dici il tuo indirizzo?» chiese Blaine, prendendo il
navigatore. Poi si soffermò a fissare il cruscotto: «Ora
che ci penso, detto così suona molto da stalker.»
«Soltanto un po'» ammise
Kurt, ridendo. Poi gli disse l'indirizzo e Blaine lo inserì
nel navigatore.
«Volevo ringraziarti per oggi.
Mi hai retto il gioco magnificamente» disse.
«Figurati. Immagino che
sarebbe stato difficile spiegare a tua sorella perché ti avevo
tirato un pugno, perché eri al negozio e perché ci
conoscevamo. Probabilmente avrebbe fatto due più due e avrebbe
tratto le sue conclusioni.»
Blaine annuì assente, poi
perse un bel respiro e aggiunse: «Ho intenzione di dirglielo.»
Kurt lo guardò sorpreso.
«Intendi...»
«Intendo quello»
disse. «Ora che sa che ci conosciamo parlerà con Finn e
lui potrebbe involontariamente farsi sfuggire qualcosa e non voglio
che lo venga a sapere da altri. Voglio essere io a dirglielo. Voglio
avere il coraggio di farlo.»
«Okay» disse Kurt,
sorridendo. «Ora che l'ho conosciuta – anche se è
davvero petulante e un po' aggressiva nei miei confronti –
penso che sia una brava sorella. Penso andrà tutto bene.»
«Lo dici solo per
tranquillizzarmi, non è vero?»
«Anche» ammise.
Stava andando tutto bene, finché
fra loro non cadde un imbarazzante silenzio. E allora Kurt sentì
la vicinanza pesargli. L'atmosfera cupa, dovuta al cielo ormai scuro
e alla pioggia che batteva insistente sul vetro, contribuì ad
aumentare il disagio.
Doveva fare qualcosa:
«Questo pomeriggio volevi
parlarmi della cena disastrosa. Perché non ne parli ora?»
propose Kurt.
«Oh, quella. Non vedo altro
modo per definirla, visto che a metà cena mia madre ha fatto
nuovamente pesare a Rachel il fatto che abbia cambiato scuola e che
si stia “mischiando con il volgo” mentre mio padre ha
insultato il mio compagno di stanza e “quelli come lui”
senza sapere che in quella cerchia di miscredenti rientra anche il
suo caro figlioletto. Ah, dimenticavo, ora pensano anche che abbia la
ragazza.»
«Ah sì?» chiese
divertito.
«Rachel si è accorta
che passavo meno pomeriggi a casa e che non staccavo gli occhi dal
cellulare e quindi ha pensato che avessi una ragazza. Mentre invece-»
si interruppe. Si voltò verso Kurt.
«Invece?»
«Beh... invece i messaggi a
cui rispondevo erano i tuoi» concluse, piuttosto imbarazzato.
Perché aveva esitato? Se l'avesse detto con nonchalance ci
avrebbero riso sopra. Invece dalla sua frase emergeva chiaramente ciò
che entrambi sapevano ma si rifiutavano di ammettere: ormai uscivano
insieme da settimane e qualcosa doveva pur significare!
«E tu invece? La cena con i
tuoi vecchi professori?»
«Non molto meglio della tua.
Mi hanno praticamente costretto ad ascoltarli mentre mi riempivano la
testa di discorsi moralisti tipo “non ti puoi buttare via così”
e blah blah blah. E Finn non ha fatto nulla, neppure quando gli ho
chiesto se potevamo andarcene. È rimasto lì ad
ascoltare il professore. Non ha neppure provato a sostenermi.»
«Hai mai pensato che forse lui
vorrebbe che tu lasciassi quel lavoro?» chiese Blaine.
«Certo, me lo dice sempre.»
«Intendo dire, non pensi che
quello che tu fai lo ferisca nell'orgoglio di fratello maggiore?»
«In che senso?»
«Ti parlo da fratello
maggiore. Se fossi nella vostra situazione, mi sentirei in dovere di
badare a Rachel, nonostante per certi versi sia più matura di
me» ammise. «E se la vedessi fare qualcosa che non le
piace, se sapessi che lo sta facendo per me – non lo
potrei davvero sopportare.»
«Ma è ridicolo! Abbiamo
solo un anno di differenza. Non ha nessun dovere nei miei confronti!»
«Non è una cosa
razionale, Kurt. E' così e basta.»
Kurt abbassò lo sguardo.
«Quindi» continuò
Blaine «non biasimarlo se cerca in tutti i modi di allontanarti
da quella vita, perché in quel modo allontana anche i suoi
sensi di colpa.»
«E... e se quel lavoro non mi
dispiacesse poi così tanto?» disse.
Quella uscita fece sobbalzare
Blaine. «Il lavoro allo Scandals?»
«Sì, vedi, all'inizio
lo odiavo e mi sentivo... sporco ogni volta che salivo sul palco.
Dopo un po' però – e a questo ha contribuito Santana –
ha cominciato a darmi sempre meno fastidio. Finché un giorno
non mi sono reso conto che non mi dispiaceva affatto. Mettermi in
mostra, sapere di piacere a qualcuno... è strano, lo so. È
vero che il giorno dopo tutta l'euforia svanisce e io mi ritrovo a
girare per strada col terrore di incrociare qualcuno. Ma quando sono
sul palco dimentico tutto.»
«Perché non lo dici a
Finn?»
«Sei matto? Se lo dicesse al
professore mi spedirebbero in un... centro riabilitazione per
esibizionisti cronici!»
«Oppure» disse,
sorridendogli «smetterebbe di sentirsi così in colpa.
Per voi sarebbe tutto più facile.»
«Forse» ammise. «Ma
non so se ce la farei.»
«Provaci. Sei abbastanza
coraggioso – e tieni abbastanza a tuo fratello – per
riuscirci.»
Kurt annuì.
Poco dopo Blaine parcheggiò
davanti a casa di Kurt. Diede un'occhiata all'edificio fatiscente e
cercò di non lasciar trasparire nessuna emozione. Non il
disgusto, non la tristezza, non il desiderio di portarlo via da tutto
quello.
«V-vuoi entrare un momento?»
chiese Kurt, timoroso.
«No, devo tornare a casa da
Rachel e poi tornare a scuola prima che chiudano i cancelli.»
«Capisco» disse,
sollevato. Non voleva che Blaine vedesse in che macello di casa
viveva.
Ci fu un momento, prima che Kurt si
decidesse ad uscire, in cui rimasero in silenzio.
Ecco, pensò Kurt,
adesso mi bacerà, poi il bacio diventerà più
“approfondito”, io andrò nel panico e rovinerò
tutto.
Invece non accadde niente. Blaine si
limitò a sorridergli e dirgli:
«Ci sentiamo stasera.»
L'altro lo fissò stupito
prima di rispondere: «Ci conto.»
Si salutarono da amici, poi Kurt
corse sotto la pioggia fino alla porta.
Due colpi alla porta.
«Posso entrare?» chiese
Blaine, facendo capolino sulla soglia.
«L'hai già fatto»
rispose Rachel, scontrosa.
Il ragazzo la ignorò ed
entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Rachel era seduta
alla sua scrivania e stava finendo i compiti. Blaine si sedette sul
letto, tormentandosi le maniche della camicia.
«Volevo parlarti di questo
pomeriggio.»
«Di come tu abbia subdolamente
provato a ingraziarti un nostro ex solista per batterci alle
Regionali?» chiese piccata.
«No. Voglio parlarti di me e
del motivo per cui conosco Kurt. Il vero motivo.»
Rachel smise di scrivere e si voltò,
lentamente, sulla sua sedia girevole. Improvvisamente i compiti di
matematica non sembravano più importanti.
«Ti ascolto.»
«Ho conosciuto Kurt allo
Scandals un mese fa circa. Lui lavora lì, come suo fratello.
Quella sera – la sera in cui mi sono ubriacato – io...
gli ho fatto delle avances. Delle avances poco gentili. Per questo
lui mi ha colpito.»
«Cavoli, dovevi essere davvero
ubriaco per provarci con un ragazzo.»
Blaine la fissò negli occhi.
Perché doveva essere così difficile? «No, Rachel.
Non è questo il punto. Ci avrei provato anche da sobrio, se
solo ne avessi avuto il coraggio. Probabilmente senza combinare un
casino.»
«Aspetta» disse,
avvicinandosi con la sedia al letto. «Blaine, che cosa stai
cercando di dirmi?»
Il ragazzo fece un profondo respiro
prima di dire: «Rachel, io credo di essere gay. Anzi, senza il
credo. Sono gay e probabilmente lo sono sempre stato. Me ne sono reso
conto anni fa ma non ho mai voluto dirlo a nessuno, anche perché
non ne ho mai avuto motivo: non mi era mai piaciuto nessuno
seriamente.»
«Fin ora.»
«Già.»
Rachel ci mise un momento a recepire
la notizia: «Oh mio Dio! Quindi tu e Kurt...»
«Ma no! Non siamo insieme.
Cioè» aggiunse, schiarendosi la voce «non ancora.»
Il sorriso sul volto della ragazza
si allargò a dismisura, insieme al rossore sulle guance del
fratello.
«Beh?»
«Sono... sono così
contenta per te, fratellone!» esclamò.
«Ah... sì?»
«Certo! Da che ho memoria non
ti ho mai visto così preso da una persona. Ed ora che è
finalmente successo... sono così contenta per te! Anche
perché, diciamocelo, è palese che anche tu non gli sia
indifferente.»
«Tu dici?» chiese
speranzoso.
«Il modo in cui ti ha coperto
oggi, e come ti sorrideva e i messaggi a raffica che vi scrivete.
Andiamo, è evidente!»
«Ma non ti disturba nemmeno un
po' il fatto che io sia-»
«Gay? No. O meglio, un po' mi
ha sorpresa, però non mi dà alcun fastidio. Non ti ho
mai visto felice con le tue “fidanzatine” delle medie.
Non ti ho mai visto felice con nessuno, tranne che con lui. Ora. Te
l'ho detto, il Glee mi ha cambiata, ha allargato i miei orizzonti e
la prospettiva di avere un cognato invece che una cognata... beh, la
preferisco alla prospettiva di non avere nessuno dei due – o
peggio, di vederti infelice.»
Blaine sorrise: «Kurt l'aveva
detto.»
«Cosa?»
«Che avresti capito. Che
sarebbe andato tutto bene.»
Rachel lo abbracciò. «Come
potevi pensare che ti avrei odiato per questo? È la tua vita,
Blaine, ed è il tuo cuore. Ti avrei odiato molto di più
se ci avessi rubato Finn per le Regionali» disse, ridendo.
«E farmi rubare gli assoli da
lui?» scherzò. «Senza contare che, nella divisa
della Dalton non ce lo vedo proprio.»
«A proposito di Finn»
indugiò «lo sa che ti vedi con suo fratello tipo... una
o due volte a settimana?»
«Suppongo di sì, visto
che è stato lui a gettarmi – se pur involontariamente –
fra le sue braccia. Metaforicamente parlando.»
«Finn ha fatto cosa?»
«Andiamo, non sapeva neppure
che fossimo fratelli. Anzi, non lo conoscevi ancora. E poi c'è
stato il periodo in cui io e Kurt ci insultavamo ogni volta che ci
incontravamo e-»
«Quante cosa mi hai tenuto
nascoste?» chiese, sorpresa.
«Lo so, sono stato uno stupido
a non parlartene, ma avevo paura.»
«Capisco» minimizzò
lei. «Quindi, riassumendo, quanti altri sanno di te e Kurt,
oltre a me e Finn – che, da quello che ho capito, non sa
neppure che io e te siamo fratelli.»
«Ovviamente il genio del male,
fautore di quasi ogni mia conquista, mister Sebastian Smythe»
rispose. «E' stato grazie a lui che ci siamo rappacificati. Mi
secca dirlo – e non lo ammetterei neppure sotto tortura davanti
a lui – ma se non fosse stato per i suoi consigli, a quest'ora
io e Kurt saremmo ancora su due mondi paralleli.»
«Dovrò fare una
chiacchieratina con quel ragazzo, prima o poi. A proposito, non è
che voi due, in camera da soli tutte le notti...»
«Rachel!» esclamò.
«Vuoi seriamente che ti risponda?»
«Non voglio i dettagli! Ma
dico, è un bel ragazzo e alla luce delle nuove scoperte...»
«No, non abbiamo mai fatto
niente. Per lui sarei uno dei tanti, un ragazzo da una
dimenticabilissima notte e via. Non si è mai fatto problemi a
dirmelo. Mentre invece – ti sembrerà stupido –
vorrei che la mia prima volta fosse con una persona speciale.
Qualcosa di indimenticabile.»
«Non è una cosa
stupida. Non per degli inguaribili romantici come noi.»
19:37
E' come se mi fossi tolto un peso
dal cuore.
19:42
Sono contento per te. Sapevo che
ce l'avresti fatta.
19:43
Grazie di tutto, Kurt. Per non
avermi giudicato. Per non avermi spinto a fare qualcosa che non
volevo. Per avermi fatto trovare la mia strada.
19:45
Grazie a te. Perché
aiutandoti, ho aiutato anche me stesso.
A/N
E finalmente
Blaine ha fatto coming out, almeno con Rachel, anche perché
sarebbe di sicuro venuto fuori.
Anche il punto
4 è stato portato a termine e la conclusione del piano di
mister Smythe si avvicina!
Un mega grazie
a tutte coloro che recensiscono: mi diverto un sacco a leggere cosa
avete notato del capitolo o cosa vi è piaciuto, soprattutto
quando coincidono con le parti che mi sono divertita di più a
scrivere.
E un grazie
anche a tutte coloro che hanno inserito la storia fra le
preferite/seguite/ricordate. Wow, cominciate ad essere davvero tante!
Un grazie alla
mia preziosa beta che mi salva quando la connessione internet salta o
non riesco ad aggiornare di venerdì.
E uno scusa
alla mia compagna di classe/lettrice esterna che per colpa mia sta
diventando una gleek. E a un mese dalla maturità questo non
è un bene!
Alla prossima!
yu_gin
coming next
Si lasciò cadere
sul letto e chiuse gli occhi.
Un ultimo sforzo,
Kurt. È il solo modo per andare avanti.
I ricordi cominciarono
a fluire.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** shake it out ***
A
Lima Side Story
Capitolo
12: shake it out
Non appena entrò in casa vide
Finn seduto al tavolo della cucina. Stava evidentemente studiando
matematica. Poté intravedere un integrale cancellato con
rabbia sul blocco dove si stava esercitando.
«Problemi?» chiese.
«Qualcuno» ammise.
Si sedette affianco a lui. Non poté
fare a meno di sorridere nel constatare il caos che aveva generato e
i fogli appallottolati, evidentemente tentativi falliti di risolvere
dei problemi.
«Vuoi che ti dia una mano?»
«Non esiste al mondo che mi
faccia dare ripetizioni da mio fratello minore» protestò
Finn.
Kurt lo guardò severo:
«Finn!»
«Che c'è, avrò
pure un minimo di orgoglio da mantenere?»
Kurt ripensò alle parole di
Blaine. Orgoglio. Non aveva mai valutato questo aspetto di Finn, ma
ora doveva ammettere che forse il ragazzo aveva ragione. Il suo
atteggiamento stava ferendo suo fratello e quella era l'ultima cosa
che voleva.
Doveva essere stato umiliante per
Finn tornare fra i banchi, sedersi affianco a ragazzi e ragazze più
giovani di lui di due anni, ascoltare le lezioni, seguire il Glee e
poi tornare a casa con la consapevolezza che anche quel giorno era
stato suo fratello a portare a casa il pane. Suo fratello minore.
Forse tutto quello che voleva era
dimostrare che poteva farcela anche da solo. Che voleva farcela.
«Hai ragione. Anche a me hanno
dato parecchio filo da torcere. Sono certo che nel giro di qualche
giorno li avrai capiti.»
Finn annuì, mordicchiando la
penna: «L'autobus era in ritardo?» chiese, guardando
l'orologio.
«No.»
Finn abbassò lo sguardo. Kurt
poteva intuire il suo pensiero: Dave.
«Non è come pensi tu»
disse. «Questo pomeriggio ho preso un caffè con Blaine e
poi mi ha riportato a casa perché era tardi e fuori pioveva.»
Poté chiaramente vedere lo
sguardo del fratello farsi più sereno. «E' andato tutto
bene?»
«Beh, ci sono stati un po' di
colpi di scena» disse. «Ad esempio, ho ricevuto uno
schiaffo. Da Mercedes.»
«Mercedes? Ma non eri...»
«Dovevo vedermi con Blaine ma
le tue amiche del Glee hanno pensato bene di farmi una sorpresa.»
«Anche Rachel?»
«Sì, c'era anche lei.
Anzi, è proprio a causa sua che abbiamo perso gran parte del
pomeriggio» disse.
Poi realizzò che Finn non
sapeva. Non ancora, per lo meno. Esitò un istante, chiedendosi
se fosse il caso di dirglielo, poi pensò che in quel momento
Blaine stava parlando con Rachel ed era giusto che anche suo fratello
sapesse tutta la storia.
«Credo di averti tenuto
nascosto un dettaglio degno di nota.»
Finn alzò lo sguardo dagli
integrali. «Devo preoccuparmi.»
«Non proprio. Riguarda
Blaine.»
«Oh mio Dio! Non dirmi che è
stato in galera?»
«NO! Sii serio, Finn, ti pare
che uno che indossa papillon e le scarpe senza calzini potrebbe
sopravvivere in prigione?»
«Effettivamente...»
«Quello che non ti ho detto –
e che ormai è bene che tu sappia – è che Blaine
è... il fratello maggiore di Rachel.»
La penna cadde dalla mani di Finn
con un tonfo secco sul tavolo e poi sul pavimento. Per svariati
secondi il ragazzo rimase immobile, attonito, fissando l'altro.
«Fratelli?»
esclamò.
«Sì, come me e te.
Fratelli. Sai, padre e madre in comune, stesso cognome, stesso
indirizzo, stessa bassa statura e stesso imbarazzante gusto per i
vestiti.»
«Rachel non ha un gusto
imbarazzante per i vestiti!» protestò Finn. «Non
quanto Blaine, almeno.»
«Ha parlato il guru della
moda!» esclamò.
«Almeno i miei capelli non
sembrano leccati da una mucca.»
«Tu-» balbettò,
prima di capitolare e ridere insieme al fratello. «Guarda come
siamo ridotti. Per due... hobbit!»
«Dev'essere qualcosa di
genetico che irrefrenabilmente attira gli Hummel agli Anderson. Devo
ancora capire cosa» disse Finn. «Ora col senno di poi non
è così strano che siano fratelli. Però Rachel
non mi aveva mai detto di avere un fratello gay.»
Kurt si schiarì la voce:
«Ecco. Questo è il motivo principale per cui non ti ho
mai detto di questa parentela.»
«Lei... non lo sa?»
Kurt scosse la testa.
«E quindi... ora ho un segreto
da mantenere!» disse, mettendosi le mani fra i capelli. Lui
odiava i segreti.
«Forse non per molto. Questa
sera, dopo avermi riportato a casa, Blaine ha detto che avrebbe
parlato con lei. Quindi è possibile che domani, a scuola,
Rachel ti attacchi chiedendoti da quanto esco con suo fratello.»
Finn si grattò la testa
confuso: «Che casino! Mi ero dimenticato quanto confusionario e
caotico fosse il Glee. E che intrecci di relazioni potessero
nascere.»
«Intrecci che devono rimanere
il più a lungo possibile riservati. Mercedes ha già
cominciato a bersagliarmi di SMS alla ricerca di dettagli
succulenti.»
«E tu l'hai accontentata?»
chiese.
«Finn! Non ci sono... dettagli
succulenti da riferire. Non c'è proprio nulla da riferire
se non qualche caffè e una chiacchierata in macchina.»
«Dai, vuoi dirmi che uscite da
qualche settimana e ancora...»
«Niente» disse. Dopo un
lungo sospiro aggiunse: «Non so se essere contento o deluso.»
«Mi confondi...»
«Beh, da un lato sono
contento. Insomma, i suoi modi di fare sono... da vero gentiluomo. Ci
va piano e sembra tenerci davvero a me. Avendomi conosciuto allo
Scandals potrebbe trattarmi come uno facile.» E così
ha fatto. Da ubriaco. «Invece non è così.
Non... non mi giudica e di questo gli sono grato. Però...»
esitò.
«Però?»
«Mi chiedo... e se invece
facesse così perché non gli interesso? Insomma, magari
abbiamo ripetuto così tante volte “solo amici” che
abbiamo finito per crederci. Forse non sono il suo tipo oppure si
aspetta un po' più di intraprendenza da parte mia, visto che
sono più grande. Forse si aspetta che faccia io il primo
passo.»
«E fallo!» esclamò
Finn. «Dannazione, Kurt, di solito sono sempre io quello che ti
diceva di andarci piano perché ho pensavo che qualcuno avrebbe
potuto ferirti. Ma in questo momento ti fa più male
trattenerti, quindi buttati! Ti ha dato un passaggio in macchina,
Kurt. Hai idea di quanto disti casa sua da casa nostra? Mezza città!
E ti ha dato un passaggio in macchina nonostante dopo sia dovuto
tornare a casa e poi presumo tornare a scuola. Perché pensi
che l'avrebbe fatto?»
«Per provarci con me in
macchina, ho pensato, ma non l'ha fatto.»
«Allora vuol dire che l'ha
fatto perché gli piaci, gli piaci davvero e si è
reso conto che non eri ancora pronto.»
«Ero terrorizzato all'idea che
succedesse. Ma allo stesso tempo lo volevo. Che diavolo mi sta
succedendo?»
Finn si grattò la testa
imbarazzato: «Di questo dovresti parlarne con la zietta. Lei è
molto più esperta di me in queste cose.»
«Dici che posso chiamarla? Non
è che la disturbo?»
«Kurt, sai bene che, quando
chiami tu, non la disturbi mai. Mentre quando chiamo io sta sempre
facendo qualcosa di più importante.»
Kurt annuì, prese il
telefono, diede una pacca sulla schiena a Finn – che riprese i
propri integrali – e sgattaiolò in camera sua. Compose
il numero.
«Parla Santana» rispose,
chiaramente incazzata.
«Ciao zietta.»
«Buonasera, angioletto. Tutto
bene?» chiese raddolcendosi.
Kurt sorrise. Aveva uno strano
effetto su quella donna. Ogni volta che apriva bocca lei passava
dall'incazzato nero alla modalità zietta in meno di un
microsecondo.
«Tutto bene.»
«Scommetto che vuoi parlarmi
del tuo nuovo amichetto» disse, ridacchiando dall'altra parte
del telefono.
«Come diavolo-»
«Kurt, per favore! Sono due i
motivi per cui potresti chiamarmi invece che parlarmi di persona. Uno
per dirmi che sei malato e che non puoi venire e in tal caso non
avresti detto “tutto bene”. Due per parlare di uomini. E
in questo periodo c'è un certo ragazzo che ti gira intorno...»
disse.
«Va bene, hai vinto. Volevo
parlarti di Blaine.»
«Ecco, bravo. Sono
tutt'orecchi.»
«Ricordi il primo giorno che
ci siamo incontrati?» chiese.
«Certo. Eri allo Scandals
con-» si interruppe. «Eri allo Scandals e ti eri
intrufolato nel bagno delle donne.»
«E tu mi dicesti che...»
«Che avevi un bel culetto e
che sarebbe stato uno spreco tenerlo nascosto» concluse.
«Ricordo abbastanza bene. Arriva al punto.»
«Il punto è che...
secondo te è possibile che un ragazzo che mi ha invitato più
volte a prendere un caffè, che mi scrive messaggi ogni giorno,
che mi viene a prendere dopo il lavoro e che oggi ha attraversato
mezza città per riportarmi a casa... è possibile che io
non interessi a questo ragazzo in quel modo.»
«No. Non è possibile. A
meno che non sia totalmente frigido e immune dagli istinti sessuali.»
E questa eventualità la
scarterei, pensò, ricordando le circostanze in cui si
erano conosciuti.
«E allora mi spieghi perché
non ci ha provato con me dopo che siamo rimasti soli in
macchina?»
Santana si lasciò scivolare
sul divano, attorcigliando il filo del telefono attorno al dito:
«Beh, dolcezza, probabilmente ha intuito che la cosa ti avrebbe
messo a disagio.»
«E perché mai...»
«Perché non hai ancora
dimenticato» disse seria.
Kurt tacque. Non pensava che Santana
avrebbe ritirato fuori quella storia. Di solito era tabù e non
ne parlavano mai. Lei era l'unica a saperlo. Non l’aveva detto
nemmeno a Finn e mai gliene avrebbe parlato. Dirlo ad alta voce,
rievocare davanti alla sua amica quello che era successo era stato
già abbastanza doloroso per lui.
«No, non l'ho dimenticato. Ma
lui non lo sa. Non lo può sapere.»
«E allora vuol dire che
intuisce che qualcosa è successo. Il nostro corpo parla per
noi. Tu non sei uno espansivo, tendi a tormentarti le unghie e a
“occupare meno spazio possibile”, come se avessi paura
del contatto fisico. Evidentemente anche Blaine ha colto
quest'aspetto di te e ha deciso di aspettare che fossi pronto.»
«Mh.»
«E tu lo sei?»
«...»
«Kurt?»
«Non lo so. Io... ci devo
ancora pensare un po'.»
«Ascoltami. Devi andare
avanti. Devi lasciarti alle spalle quello che è successo: non
puoi farti rovinare la vita da quell'episodio, hai capito? Eravate
ancora alle superiori e... alle superiori si fanno tante cose
stupide. Poi le superiori finiscono e... si va avanti. Si trovano
altre persone. Persone come Blaine.»
«Grazie, Santana.»
«Di nulla, angioletto.
Richiama quando vuoi. E di' a Finn di studiare. Ho come l'impressione
che passi troppo tempo a pensare alla studentessa da collegio di
suore che ai libri.»
«Glielo dirò»
disse ridendo e riattaccando.
Si lasciò cadere sul letto e
chiuse gli occhi.
Un ultimo sforzo, Kurt. È
il solo modo per andare avanti.
I ricordi cominciarono a fluire.
Kurt lanciò un'occhiata
all'orologio. Era davvero tardi.
«Dave, devo tornare a casa»
disse.
«Che lagna! E' ancora
presto!» protestò, baciandolo sul collo.
«Dai, lo sai che non posso
fare troppo tardi» disse, cercando di allontanarlo. Neppure lui
voleva andarsene, ma aveva fatto un patto con Finn: suo fratello non
faceva domande ma lui doveva tornare entro mezzanotte.
«Va bene, Cenerentola, ti
riporto a casa» disse, passandogli un braccio attorno ai
fianchi e baciandolo sulla guancia. Uscirono dal locale e si
diressero verso la macchina.
Dave aprì lo sportello
posteriore e si lasciò cadere sui sedili.
«Beh?»
«Sono distrutto. Hai idea
di quanto sia sfiancante tenere d'occhio tutti gli uomini del locale
che ti fissavano?»
Kurt sorrise, posandosi all'auto
con il gomito: «Mi sembra che tu abbia messo bene in chiaro che
sono impegnato.»
«Starei più
tranquillo se potessi appenderti un cartello alla schiena con scritto
“proprietà privata”. Sai, nel caso non fossi
sempre presente a renderlo palese.» Si sporse dalla macchina e
lo prese per il polso, facendogli cenno di avvicinarsi.
Kurt si avvicinò a lui,
raggiungendolo sui sedili posteriori. Dave non attese un secondo
prima di baciarlo e, quella volta, Kurt non protestò. Lasciò
che lo trascinasse sui sedili e quando lo sentì scendere dalle
sue labbra al suo collo non riuscì a reprimere un gemito.
Dave, soddisfatto, proseguì,
concentrandosi sulla porzione di pelle sotto la mascella.
«Dave!» esclamò
Kurt, quando si rese conto di quello che stava facendo.
«Che c'è?»
ridacchiò.
«Mi-mi hai fatto un
succhiotto! Che cos'hai in testa, pigne? Che diavolo dico a mio
fratello quando torno a casa? E domani a scuola?»
«Dirai che hai conosciuto
un affascinante straniero che ti ha lasciato un ricordino, in memoria
del suo passaggio.»
«Mentre invece è
stato quello scemo del mio ragazzo per “marcare il
territorio”.»
«Bravo: “il mio
ragazzo”. Non dimenticarlo.»
Kurt avrebbe voluto ribadire che
lui non se lo dimenticava mai. Che quando si incrociavano per i
corridoi, a scuola, lui cercava sempre il suo sguardo, sperando in un
sorriso, in un saluto, in un cenno, almeno. Era Dave ad abbassare
sempre lo sguardo, a voltarsi, per nascondere dei sentimenti che –
lo sapeva – sarebbero stati palesi a tutti se solo si fosse
lasciato andare.
A lui Kurt piaceva davvero e non
c'era cosa che volesse più che trovare il coraggio di dirlo
apertamente, di vivere la loro relazione come una coppia qualsiasi,
invece che come dei criminali, sempre attenti a non farsi scoprire.
Ma, di fatto, aveva troppa paura. Troppa paura di cosa avrebbero
detto i suoi amici, i suoi genitori, i professori o i suoi futuri
datori di lavoro.
«E sai qual è la
cosa più bella dell'essere il tuo ragazzo?» gli sussurrò
ad un orecchio, facendolo rabbrividire.
«Quale?»
«Questa» rispose,
infilando le mani sotto la maglietta e sfilandogliela.
«Dave!» esclamò.
«Siamo in un parcheggio!»
«E dai, non c'è
nessuno!»
«Non è solo quello è
che... fa freddo» protestò. Lo sguardo di Dave lo fece
sbuffare: «E va bene, mi vergogno.»
«E di che? Ti spogli tre
sere a settimana allo Scandals!»
«E' diverso! Lì non
c'è... contatto fisico» disse. Se ci fosse stata più
luce, Dave avrebbe potuto vedere il rossore sulle sue guance.
«Cosa c'è di male?
Stiamo insieme da qualche mese ormai. Non pensi che sia... giunto il
momento?»
Sgranò gli occhi e il
cuore gli balzò in gola. «Come prego?»
«Hai capito, no? Che ci
sarebbe di male, in fondo? Siamo entrambi maggiorenni e vaccinati. E
poi, vuoi dirmi che la tua amichetta – la brunetta dello
Scandals – non ti ha insegnato ancora nulla?»
Kurt lo allontanò con più
delicatezza possibile. «No, Dave, non mi va. Non voglio che la
mia prima volta sia in... in un postaccio come questo, nel sedile
posteriore della tua auto. Ho sempre sognato di farlo in un letto
comodo e pulito, con l'uomo che amo-»
«Con l'uomo che ami?»
chiese, staccandosi da lui. «Cioè non con me?»
«Non volevo dire questo.»
Volevo dire che non ti amo, non
ancora. E che finché non imparo ad amare non posso fare
l'amore. Posso solo fare... sesso, e non è questo che voglio.
«Ah no? Scusa se ho
interpretato male le tue parole.» Il suo tono di voce era
tagliente, ma Kurt si rese subito conto di averlo ferito.
«Dave, non ci siamo mai
detti “ti amo”. Tu mi piaci, sul serio! Amo passare le
serate con te, amo quando mi baci o quando mi stringi, o quando mi
accompagni a casa e mi auguri la buonanotte, ma-»
«Ma non ami me.»
«Perché, tu mi ami?»
chiese.
«Io-» si interruppe.
Lo amava? Non l'avrebbe mai ammesso a se stesso. Era cominciato tutto
quando si era reso conto di quanto invitante fossero le labbra di
quel ragazzino quando leccava via la granita che gli tirava in faccia
e quanto profondi fossero quegli occhi che lo guardavano feriti ogni
volta che lo spingeva contro un armadietto. Certo, all'inizio era
solo curiosità, poi un'insana attrazione. Ora però che
aveva cominciato a parlare con lui, a vederlo ridere, a vedere il suo
sorriso rivolto a lui... ora era qualcosa di più.
Si stava innamorando? Forse. Ma
difficilmente l'avrebbe ammesso.
Avvicinò di nuovo le loro
labbra, questa volta senza foga, lentamente, così che anche
Kurt cessò di protestare. Nel frattempo lasciò che la
sua mano scorresse lungo il petto scoperto di Kurt, fino ai suoi
fianchi e poi giù, verso la patta dei pantaloni.
Nel sentire quello scomodo
contatto Kurt lo allontanò di nuovo, questa volta con più
violenza: «Ti ho detto di no!»
«Che palle! Possibile che
ti comporti da puttanella con tutti tranne che con me?» sbottò.
«Co-come mi hai chiamato?»
«Avanti, hai sentito! E lo
sai cosa intendo. Vuoi dirmi che i clienti al locale non ti toccano?
Vuoi dirmi che non ne approfitti mai per fare soldi extra? Quanto te
lo pagano un servizietto in bagno, più o meno di quanto pagano
la tua amica?»
«Rimangiati quello che hai
detto su me e Santana!»
«Perché dovrei? È
la verità e tu lo sai. Altrimenti non ti vergogneresti tanto
del tuo lavoro.»
Kurt lo spinse via e, afferrata
la propria maglietta, uscì dalla macchina, rivestendosi.
«E adesso dove credi di
andare?»
Kurt si voltò. Sul suo
viso non c'era traccia di tristezza. Solo rabbia. Ci sarebbe stato
tempo per le lacrime, non appena fosse rimasto solo e le parole di
Dave avessero cominciato a risuonargli nella mente. «Di certo
non torno a casa con uno stronzo come te!» gli gridò
contro.
«Che c'è? Ti farai
dare un passaggio da uno di quelli che ti guardava il culo questa
sera? E poi come pensi di ripagarlo? Con tante belle parole?»
Non ricevette risposta. Kurt
camminò spedito fino al locale, mentre Dave lo richiamava
invano.
Una volta rientrato ignorò
qualsiasi tentativo di avance e si diresse verso il bagno. Vi si
chiuse dentro e – cellulare alla mano – compose l'unico
numero che gli fosse venuto in mente. Lo stesso numero che l'aveva
già salvato.
Dall'altra parte, pochi istanti
dopo, rispose una donna.
«Pronto, angioletto?»
«San» mormorò,
tentando di ricacciare indietro le lacrime.
«Mio Dio, Kurt, stai
piangendo?»
Come risposta ricevette un
singhiozzo.
«Kurt, che cosa è
successo? E soprattutto, dove sei? Sento della musica, sei in un
locale?»
Il ragazzo le disse il nome del
posto.
«Stai fermo lì, hai
capito? Fra dieci minuti sono lì» disse.
Come promesso, dieci minuti dopo
Santana spalancò la porta del bagno degli uomini e, vedendo
Kurt seduto a terra contro il muro, si avvicinò a lui e lo
abbracciò.
«Dai, va tutto bene»
disse, accarezzandogli la schiena e stringendolo forte. «Piangi
finché vuoi, ora ci sono io.»
«San, ti prego, portami a
casa.»
Quella notte, di ritorno a casa,
Kurt raccontò a Santana per filo e per segno che cosa fosse
successo – evitando volutamente le invettive da parte di Dave
contro la ragazza stessa. Fu doloroso, ma non appena ebbe buttato
fuori tutto si sentì meglio. Pianse per tutto il tragitto
senza che Santana gli dicesse mai, una sola volta, frasi idiote come
“non piangere” o “tirati su”.
Sapeva bene che, in momento come
quello, la cosa migliore era piangere tutte le proprie lacrime.
Kurt riuscì a ricomporsi
quando Santana parcheggiò l'auto davanti a casa sua. La
abbracciò, promettendole che l'avrebbe richiamata il giorno
dopo, e rientrò in casa.
Finn, sorpreso di vederlo tornare
con la ragazza, chiese se ci fossero problemi, ma Kurt si limitò
a scrollare le spalle.
«Figurati, mi ha solo dato
un passaggio» disse, prima di correre di sopra e chiudersi in
camera.
Quando fu solo riprese a
piangere, sperando che suo fratello non lo sentisse.
Il giorno dopo, guardandosi
davanti allo specchio per vestirsi, si ricordò del fastidioso
livido violaceo – che livido non era – appena sotto la
mascella. Lo sfiorò con le dita, rievocando tutti i ricordi
della sera prima, come se lo fosse procurato e cosa fosse successo
dopo.
Cercò di scacciarli via,
coprendo il succhiotto con una sciarpa e chiudendo di scatto la porta
dell'armadio.
Quel giorno a scuola seguì
distrattamente le lezioni, pensando a cosa sarebbe successo dopo.
A come avrebbe guardato Dave quando l'avesse incrociato per i
corridoi. Si sarebbe degnato di sollevare lo sguardo, almeno una
volta? E ci sarebbero state delle tacite scuse nei suoi occhi o le
stesse parole cattive della sera prima?
Questo si chiedeva mentre
risistemava i libri nel suo armadietto. Prima che se ne rendesse
conto, qualcuno lo spinse contro il muro.
«Hummel, che sciarpina da
checca hai oggi» disse Azimio, prendendolo per la sciarpa. «Ma
guarda cosa c'è sotto!» esclamò, voltandosi verso
due suoi compari – giocatori della squadra di football,
probabilmente. «Avete visto ragazzi? Qualcuno ha fatto un
succhiotto a Faccia-da-checca.»
«E'-è un livido»
disse.
«Come no? Non prenderci per
fessi, Hummel. Piuttosto dicci, chi te l'ha fatto? Hai passato la
notte in un covo di invertiti? Oppure c'è qualche altro
piccolo frocetto nascosto in questa scuola?» chiese.
In quel momento Dave stava
attraversando il corridoio.
«Ehi, Dave, vieni un po'
qui» disse Azimio.
Karofsky alzò lo sguardo
su di loro ed incrociò quello di Kurt. Lo sguardo del più
piccolo parlava chiaro: c'era una muta supplica, una richiesta
d'aiuto.
«Dave, la nostra fatina
deve aver trovato un amichetto e ci chiedevamo – io e i ragazzi
– se sia andato a pescarselo in un locale gay o se ci sia
qualche altra mela marcia nella scuola. Tu che dici?»
«Beh-»
«Scommetto che è uno
dei tuoi amichetti del Glee. Magari quello con la bocca da trota.
Nah, quello ti risucchierebbe direttamente la faccia, altro che
succhiotto. Magari il cinesino. Oh perché no, magari è
una cosa di famiglia, magari tu e il tuo fratellone da soli in
casa...»
«Smettila!» esclamò
Kurt, spingendolo via. I ragazzi rimasero stupiti dalla sua reazione.
«Non è nessuno di loro!» gridò.
«Ah no? Allora, ci vuoi
dire chi te la fatto? Così andremo a tormentare anche lui e ti
dedicheremo meno attenzioni. Non ti piacerebbe? Vorrebbe dire un volo
nel cassonetto a giorni alterni invece che ogni giorno.»
Le labbra di Kurt tremarono. Per
un secondo fissò Karofsky e i loro sguardi erano l'uno
nell'altro. Si stavano dicendo mille cose ed entrambi stavano
pensando al giorno prima, a quello che era successo.
«Allora, parli? Hai solo
che da guadagnare, Hummel.»
«Io non-»
«Scommetto che gliel'ha
fatto un cliente dello Scandals» disse una voce. Una voce che
Kurt riconobbe come quella di Karofsky.
Qualcosa dentro Kurt si spezzò
in quel momento. La fiducia in Dave, nella loro amicizia che era
diventata qualcosa di più, in quello che forse un giorno
sarebbe diventato amore.
«Ma che, quel locale da
finocchi e pervertiti?» disse Azimio. «Ti piace fare le
cose sporche con gli sconosciuti?»
«Ma che, scommetto che è
ancora un verginello» continuò Dave. «Lui è
uno che tiene chiuse le gambe.»
«Ah già, quasi
dimenticavo che al nostro amico Faccia-da-checca piace stare in
ricezione» disse ridendo Azimio.
Non erano quelle battute volgari
a ferirlo. A quelle ci era ormai abituato. Erano state le parole di
Dave a spezzargli il cuore e a portarlo fino alle lacrime.
Le parole di quel ragazzo che
invece lui aveva sempre protetto, prendendosi spintoni, granite e
insulti al posto suo.
«Che c'è, adesso
piangi? Lo sai che così hai ancora di più la
Faccia-da-checca?»
«Dai, ragazzi, andiamocene.
Odio vedere gli uomini piangere» disse Dave, portandosi via gli
altri.
Kurt non sapeva ancora – ma
poteva immaginare – che l'inferno era appena cominciato.
Quando Blaine fece ritorno in
camera, Sebastian stava studiando. Sentì la porta aprirsi e
vide il suo amico entrare e – senza neppure rivolgergli la
parola – spogliarsi entrando in bagno.
Sentì il rumore dell'acqua
della doccia scorrere e tornò sui propri libri.
Aveva imparato a conoscere e
sopportare le stranezze dei suo compagno di stanza.
Quando Blaine uscì dalla
doccia, si lasciò cadere sul letto con ancora l'accappatoio
addosso e non disse niente.
Sebastian chiuse il libro e disse:
«Allora, o ti decidi a parlare
o ti strappo l'accappatoio di dosso e ti butto in mezzo al corridoio
nudo come mamma ti ha fatto» disse Sebastian.
Blaine gemette passandosi la mano
fra i capelli:
«L'ho fatto. Non ci posso
ancora credere. L'ho fatto!»
Sebastian lo guardò colpito e
piacevolmente sorpreso: «Sei riuscito a conquistare il tuo bel
commesso senza neppure completare gli ultimi due punti? Aspetta,
scommetto che l'avete fatto in macchina. Il che vorrebbe dire che il
punto quattro-»
Blaine si voltò verso di lui:
«Seb, che diavolo hai capito?»
«Beh, come altro posso
interpretare la frase “l'ho fatto” e tu che ti vai a fare
una doccia senza neppure salutarmi. Pensavo avessi ancora qualcosa
di... appiccicoso addosso» disse.
«Non abbiamo fatto niente!»
esclamò. «Io... io l'ho detto a Rachel.»
Questa volta l'espressione di
Sebastian fu davvero di sorpresa. Anzi, era decisamente sconvolto:
«CHE?»
«Ho detto a Rachel quello che
avrei dovuto dirle anni fa, ossia che sono gay e che non ho nessuna
intenzione di cambiare e che mi piace un ragazzo. Un ragazzo
fantastico» disse, sorridendo. «Un ragazzo che mi ha
aiutato a capire chi fossi.»
«E lei? Come l'ha presa?»
«Benissimo. Meglio di quello
che avrei potuto sperare. Ha detto che non le importa, purché
io sia felice e che – se mai decidessi di dirlo ai miei –
si schiererà dalla mia parte.»
«Che cambiamento.»
«Penso sia stato il Glee club
della sua scuola a cambiarla. Lì ha conosciuto persone di...
altri mondi rispetto a quello in cui siamo cresciuti. Anche Kurt
l'aveva detto: quel Glee club gli era stato d'aiuto quando-»
«Ferma il cavallo! Blaine, mi
vuoi dire che Kurt era nel Glee club del McKinley quando era alle
superiori?» chiese.
Blaine si morse la lingua:
dannazione, non poteva stare zitto! «Sì, ma è
stato un anno fa e poi-»
«Ti prego, non dirmi che era
il controtenore, non dirmi che era il minore dei due fratelli che
avevano praticamente portato il loro Glee club alle nazionali»
disse.
«Temo sia lui.»
Sebastian gli scagliò contro
il cuscino: «Blaine Anderson! Tu stai uscendo da più di
un mese con un controtenore e non me l'hai detto? Ti rendi conto? Hai
idea di cosa significherebbe averlo nel nostro coro? Hai anche solo
una vaga idea?»
«Emh...»
«Significherebbe una
possibilità in più contro il McKinley e contro Rachel.»
«Kurt non accetterebbe mai.
Intanto perché ha finito la scuola e non può entrare
nei Warblers se non frequenta la Dalton – la cui retta è
peraltro esorbitante. Secondo perché dovrebbe gareggiare
contro suo fratello e non penso che-»
«Aspetta un momento. Mi stai
dicendo che il maggiore dei due fratelli è tornato a scuola e
che si prepara a darci una batosta alle Regionali?»
Blaine si rese conto di come le cose
si stessero mettendo male per lui quando vide Sebastian avvicinarsi e
afferrarlo per l'accappatoio.
Ecco, adesso mi butta davvero in
mezzo al corridoio nudo e bagnato.
«BLAINE ANDERSON! Mi spieghi
per che squadra giochi?»
«Pensavo ormai tu l'avessi
capito da un pezzo» disse, trovando il momento di fare ilarità.
«Non mi stavo riferendo alla
tua ormai non più confusa sessualità. Mi riferivo a:
vuoi che i Warblers battano le New Directions alle Regionali o vuoi
che tua sorella ti sfotta per gli anni a venire? Vuoi o no andare a
New York? Vuoi o no darti uno straccio di possibilità per il
tuo futuro nella musica, o vuoi finire a dirigere l'azienda di tuo
padre e stare alle sue dipendenze per tutta la vita?»
«Che domande, voglio vincere!»
«E allora sveglia! Credi che
tua sorella si faccia problemi a rivelare al suo coro qualsiasi
informazione riesca a carpire da te o da me o da Wes o in qualunque
altro modo subdolo e illegale? Non è andata forse a ripescare
il fratello del tuo bel commesso... ancora non ci posso credere. Cosa
ti passava per la testa? Dovevi venirmelo a dire l'istante stesso in
cui l'hai scoperto.»
«Avevo altro per la testa, va
bene?» disse, sbuffando. «E adesso cosa stai facendo?»
chiese, quando vide Sebastian ignorarlo e prendere il proprio
cellulare.
«Quello che avresti dovuto
fare tu settimane fa.»
«Ossia.»
«Riunione straordinaria dei
Warblers. Ora.»
A/N
Non odiatemi
per l'angst, per favore. Giuro che era necessario.
E poi, meglio
ricordi angst che avvenimenti angst, no?
Per farmi
perdonare vi dico solo una cosa. Anzi, due.
Prossimo
capitolo: Warblers in pigiama. E un pizzico di Niff. ♥
yu_gin
coming next
Thad si passò
una mano fra i capelli e, dopo un lungo sospiro, si voltò
verso Blaine:
«Anderson. Mi
spieghi per che squadra giochi?»
------------------------------------------------------
Quello che stava per
fare era... scorretto. Lo sapeva bene. La sua coscienza glielo stava
gridando da tutto il pomeriggio.
Se lo faccio... lui
potrebbe odiarmi. Questa volta potrebbe non perdonarmi più.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** calling you ***
A Lima Side Story
Capitolo
13: calling you
David si sistemò meglio sulla
sedia mentre Wes si aggrappò al pianoforte per non cadere.
Jeff si appoggiò a Nick, ma solo perché non aspettava
che una scusa per farlo e la sconvolgente rivelazione di Sebastian lo
era. Thad si passò una mano fra i capelli e, dopo un lungo
sospiro, si voltò verso Blaine:
«Anderson. Mi spieghi per che
squadra giochi?»
Il fatto che in quel momento fossero
tutti in pigiama – e che quello di Trent fosse particolarmente
imbarazzante – non rendeva la situazione meno seria. La diceria
che “immaginare tutti in mutande o in pigiama faccia passare
l'ansia” era evidentemente falsa, Blaine lo sperimentò
sulla sua pelle quella sera. I Warblers al completo erano presenti
nell'aula di musica per una riunione straordinaria e assolutamente
illegale. La situazione era grave e al momento gli occhi di tutti
erano puntati su di lui.
E lui – Blaine Anderson –
speranza del gruppo alle regionali – invece che percepire la
gravità della situazione pensò a quanto sarebbe stata
buffa la faccia di Thad se gli avesse risposto “per la stessa
di Sebastian”.
«Ho già chiesto scusa»
protestò.
«Non è questione di
chiedere scusa. È questione di... dannazione, dove avevi la
testa? Conosci un controtenore – e già avresti dovuto
infilargli un blazer e portarlo in aula coro – e che fai?
Niente. Ti rendi conto di quanto sarebbe stato importante per noi
avere uno in grado di competere con tua sorella per la ballad?»
«A mia discolpa-»
«Secondo» proseguì
Thad «scopri che le New Directions hanno un nuovo membro che in
passato li aveva fatti stravincere e non ce lo dici?»
«Non ho pensato che-»
«E ultimo ma non meno
importante: il tuo amico controtenore è il fratello del nuovo
membro delle New Directions e tu non riesci neppure a fargli sputare
UNA maledetta canzone della loro scaletta per le Regionali? Scommetto
che Rachel setaccia settimanalmente il tuo iPod per carpire
informazioni.»
«Oh, dai, non è così
malata» disse, prima di ricordarsi di quando l'aveva beccata a
spiarlo sotto la doccia per sentire che canzone stesse cantando. Il
momento in cui era uscito dalla doccia cantando a squarciagola Stupid
Girl era stato uno dei più imbarazzanti della sua vita.
A quel punto Wes si allontanò
dal pianoforte in direzione di Blaine e gli posò una mano
sulla spalla.
«Blaine, siamo amici da quanto
tempo?»
«Quattro anni. Da quando ci
siamo conosciuti il primo giorno di scuola.»
«E in questi quattro anni ho
mai tradito la tua fiducia?»
«No, mai.»
«E allora mi spieghi perché
in quest'ultimo periodo non riesco quasi più a parlarti? Mi
ero accorto che c'era qualcosa di strano in te, qualcosa che ti stava
cambiando, ma ho pensato che prima o poi ce ne avresti parlato.
Invece prima ometti di parlarci della tua nuova ragazza, poi la
storia del controtenore – e non ho ancora ben capito come, dove
e quando tu l'abbia conosciuto. Blaine, non è che ti sei
innamorato di una delle New Directions e ora vuoi farli vincere?»
«Ma no! Non c'è nessuna
ragazza delle New Directions!» esclamò. Sospirò e
alzò lo sguardo verso il Warbler. Era cambiato in quel periodo
– in meglio, probabilmente – ma non poteva parlarne con i
suoi migliori amici. Girò la testa per guardare Sebastian che
capì le intenzioni del ragazzo e gli annuì di rimando,
come per dargli un tacito assenso.
«A dirla tutta, non c'è
nessuna ragazza» disse.
«Vi siete già
lasciati?» esclamò Jeff, guadagnandosi uno schiaffo da
David.
«Non c'è mai stata
nessuna ragazza.»
«Che intendi dire?»
chiese Thad. «Forse che mentre noi pensavamo che tu uscissi con
lei in realtà andavi dalle New Directions ad aiutarli a
sconfiggerci?»
Sebastian sbuffò: «Se
non foste tutti troppo fissati con teorie del complotto e se aveste
osservato meglio il vostro amico Anderson in questi anni vi sareste
accorti di quello che io ho capito il giorno esatto in cui sono
finito in camera con lui.»
«Ossia?»
«Che io e Blaine giochiamo
effettivamente per la stessa squadra. In tutti i sensi,
musicali e non, dove con “non” intendo sessuali.»
Se la convocazione nel cuore della
notte aveva sorpreso i Warblers, l'asserzione di Sebastian li
sconvolse.
Blaine si segnò di
ringraziare Sebastian per la delicatezza e l'eleganza con cui aveva
sbandierato i suoi gusti sessuali – in perfetto stile Smythe.
Una panoramica delle facce assonnate dei suoi compagni scrollate dal
torpore notturno con inaudita violenza lo gettò nel panico più
totale.
Ed ora? Wes gli avrebbe ancora
posato la mano sulla spalla per i suoi discorsi del tipo “ora
mi ascolti perché sto per dire qualcosa di super-saggio?”
oppure sarebbe stato molto più discreto? E negli spogliatoi
dopo aver fatto allenamento? Se la voce si fosse diffusa a scuola
come si sarebbero comportati gli altri studenti?
«E' vero?» chiese Wes.
Annuì.
«E da quanto tempo lo sai?»
«Da qualche anno, penso. Prima
non ne ero sicuro e pensavo fosse semplicemente l'effetto congiunto
di ormoni impazziti e scuola prettamente maschile ma poi mi sono reso
conto che non era una cosa temporanea.»
«E in questo l'ho aiutato
anch'io» intervenne Sebastian.
«E si può sapere perché
non ce l'hai detto?»
«Io... avevo paura che voi...
avevo paura che la nostra amicizia non sarebbe più stata la
stessa» ammise, lanciando un'occhiata preoccupata a tutti i
ragazzi presenti.
«Blaine Anderson, sei proprio
un idiota!» esclamò Wes. «Tu pensi davvero che
dopo aver sopportato le proposte sessuali di Sebastian per un anno
intero senza cacciarlo dai dormitori, qualcuno di noi avrebbe mai
potuto giudicarti o trattarti con diffidenza?»
Sebastian tentò di protestare
ma lo sguardo degli altri ragazzi lo mise a tacere.
«In questi quattro anni ti
vedevo sempre solo e infelice e continuavo a presentarti ragazze,
pensando che prima o poi avresti trovato quella giusta. Che cavolo,
potevi evitare di farmi perdere tempo! Ti avrei presentato qualche
ragazzo o almeno ti avrei tenuto lontano dalle grinfie di Sebastian.
Scommetto che in questi mesi ti avrà riempito di avances
esplicite più o meno ogni notte.»
«Più o meno»
convenne, mentre Sebastian cercava – inutilmente – di
scagionarsi.
«Allora le mie battutine erano
fondate!» esclamò Jeff.
«No che non lo erano!»
sbraitò Blaine, arrossendo all'istante.
«Confermo» intervenne
Sebastian. «E' molto più difficile corrompere lui che
molti etero» e per quel commento ricevette un'occhiataccia da
parte di Thad, sempre pronto a redarguire il ragazzo per le sue
uscite fuori luogo.
«La verità, ragazzi, è
che non avevo paura di voi. Avevo paura piuttosto dei miei genitori e
di come avrebbero potuto reagire se lo fossero venuti a sapere»
disse Blaine, a testa bassa. «Mio padre come prima cosa darebbe
la colpa a Sebastian, e non sarebbe giusto, visto che – strano
ma vero – questa volta lui è innocente. E poi
insisterebbero per farmi cambiare scuola e mi assillerebbero
presentandomi ragazze che non potrei mai amare ma, soprattutto, mi
impedirebbero in ogni modo di vederlo. Di vedere Kurt.»
«Il nostro controtenore, devo
supporre?» chiese Wes, sorridendo.
Blaine annuì.
«Deve piacerti davvero molto.»
«All'inizio era solo una cotta
infondata, ma col tempo – conoscendolo – ho potuto
scoprire che, nonostante lui venga dall'altra parte di Lima, non
siamo poi così diversi. Con lui mi sento bene» disse, e
nel farlo sentì il peso che gli gravava sul cuore sciogliersi
e scomparire e si diede dello stupido per non aver parlato prima con
i suoi amici.
«Vedo che Sebastian non è
riuscito a corromperti» disse Wes.
«Meno smancerie, Anderson, e
parliamo di cose serie. Per quanto mi faccia piacere vederti
finalmente impegnato sentimentalmente – cosa che spero ti
guarirà dalla tua Katy Perry mania – devo ricordarvi
perché siamo qui, illegalmente, nel cuore della notte?»
I Warblers al completo si lanciarono sguardi tremendamente assonnati
e totalmente spaesati. «Le Regionali! Le Regionali, dannazione!
E se qualcuno di voi non tira fuori un'idea geniale entro l'alba
siamo spacciati.»
«Blaine, perché non
convinci il tuo ragazzo controtenore ad unirsi a noi?»
Il ragazzo si grattò la testa
imbarazzato. «Veramente, lui non è ancora il mio-
beh, noi non siamo ancora propriamente, sì, come si
suol dire...»
«Non hanno combinato niente»
concluse Sebastian. «Nonostante io stia spendendo le mie
energie da settimane per farli mettere insieme» disse.
«Tu... hai cercato di
conquistarlo seguendo i consigli di Sebastian?» chiese Wes,
disperato.
«Che, vorrei far notare, fin
ora lo hanno fatto avvicinare notevolmente all'obiettivo, visto che
poco più di un mese fa si odiavano» ci tenne a precisare
Sebastian, fiero dei propri metodi. «E se riuscirai a portare a
termine il punto cinque sono certo che non potrà far altro che
caderti fra le braccia!»
«E' fuori questione che tu
segua ancora i consigli di Sebastian!» esclamò Wes. «Ora
ascolta attentamente cosa devi fare-»
«Wesley, mi è sfuggita
una cosa. Da quando tu saresti più esperto di uomini di me?»
«Si dà il caso, Smythe,
che io sia un uomo.»
«E immagino che tutte le
notti, prima di addormentarti, tu compili una lista su come
conquistare il pompiere dei tuoi sogni.»
«Una cosa è certa: so
come essere romantico e come conquistare il cuore di una persona. Tu
sai come portartela a letto.»
«Chiamalo niente!»
esclamò, incrociando le braccia al petto.
Wes afferrò Blaine per le
spalle e lo scosse: «Ascoltami. Non metto in dubbio che più
avanti i consigli di Sebastian potranno venirti utili per gli aspetti
più... fisici della relazione.» Quell'espressione fece
rabbrividire Blaine. «Ma per ora ascolta me» disse
facendolo sedere.
Thad non si lamentò
ulteriormente del fatto che ci fossero cose più importanti dei
drammi sentimentali di Blaine, perché doveva riconoscere che –
se Blaine fosse riuscito a portare un controtenore fra le loro fila –
le loro possibilità di vittoria sarebbero sensibilmente
aumentate.
«Scommetto che l'ultimo punto
di Sebastian comprendeva qualcosa di illegale, vero?»
Blaine strabuzzò gli occhi,
voltandosi verso Sebastian.
«Ti avrei detto di portarlo in
un posto isolato, farlo sedere sul cofano della macchina guardare le
stelle. Intanto avresti dovuto offrirgli del vino – se regge
l'alcol come te una birra sarebbe bastata. Quindi si sarebbe lasciato
andare, vi sareste baciati e poi sareste finiti sui sedili
posteriori. È matematico» affermò. «Non c'è
nulla di illegale. Il sesso in macchina non è illegale in
Ohio!» protestò.
Wes sospirò: «Come
immaginavo. Un'idea assolutamente idiota: facendolo ubriacare il
giorno dopo non si ricorderebbe nulla! No, Blaine, ti dico io che
cosa devi fare» disse, estremamente serio.
Blaine aprì le orecchie ed
ascoltò.
La riunione terminò all'una.
Era stata decisa una nuova scaletta, erano state decise le prove per
la settimana e soprattutto Blaine era stato tartassato a sufficienza
affinché facesse di tutto per convincere il suo – si
sperava – futuro ragazzo ad unirsi ai Warblers.
Quando Wes, David e Thad sciolsero
la riunione tutti furono ben felici di tornarsene a letto.
Nick e Jeff salutarono gli altri e
si avviarono verso la loro camera. Jeff era così stanco che
più di una volta Nick fu costretto ad afferrarlo per un
braccio e sostenerlo fino al suo letto. Quando il biondino si lasciò
cadere esausto sul materasso, Nick sorrise.
«Non ci posso credere»
disse in un sospiro.
«Che Wes e David ci abbiano
svegliato nel cuore della notte per una riunione straordinaria.»
«No, non posso credere che
Blaine sia gay!» disse. «Ora mi sento una vera merda per
tutte le battute che gli ho fatto. Sono stato davvero un idiota.»
Nick si stese sul proprio letto,
infilandosi sotto le coperte. «Non sei stato un idiota. Sei
solo stato un po'... ingenuo. E hai dato per scontate un po' di cose.
Però c'è da dire che la maggior parte delle tue
frecciatine erano rivolte a Sebastian. E lui se le meritava!»
«Cavoli, non c'è
nessuno in questa scuola che meriterebbe di essere deriso più
di Smythe! E' da quando è arrivato che non fa altro che
sostenere che io e te in realtà abbiamo un relazione»
esclamò, sbuffando.
«E la cosa ti dà tanto
fastidio?»
«N-non volevo dire questo»
disse Jeff. Il mix di sonno e di eccitazione dovuta alle ultime
rivelazioni su Blaine non lo faceva ragionare con lucidità e
in quel momento il suo cervello non sembrava in grado di formare
frasi di senso compiuto. «Noi siamo... amici. E lui non
dovrebbe... deridere la nostra amicizia.»
«Sai perché lo fa?»
chiese Nick, voltandosi verso di lui. Jeff non si girò perché
sapeva che, se lo avesse guardato negli occhi, non sarebbe più
riuscito a mentire. Si limitò a scuotere la testa. «Lo
fa perché invidia la nostra amicizia. Perché con il suo
modo di fare, la sua paura di esporsi e di rivelare i suoi lati
deboli gli impediscono di avere dei veri amici. Potrebbe averne, ma
non lo vuole ammettere. E allora invidia e deride Wes e David, o
Blaine e Wes. O me e te.»
«Forse hai ragione»
disse. Tacque, tormentandosi le dita. «Sebastian si vanta
sempre delle sue mille conquiste e quando vuole una cosa è
abituato ad ottenerla. Nonostante ciò non sembra mai felice.
Allegro, sfacciato, soddisfatto, ma mai davvero felice. Mentre
Blaine... nel vederlo parlare del suo controtenore... beh, gli
brillavano gli occhi e quasi gli tremava la voce quando pronunciava
il suo nome. Penso che non ci sia nulla di più bello che
provare un'emozione del genere.»
«Hai ragione» disse
Nick. «E se a farmi spuntare quel sorriso fosse un ragazzo,
penso non esiterei a passare all'altra sponda» disse, ridendo.
Jeff si voltò verso di lui e
i loro occhi si incontrarono.
Per un secondo. Uno soltanto, prima
che entrambi distogliessero lo sguardo.
E per quel secondo furono certi di
aver pensato entrambi alla stessa cosa.
Nessuno dei due voleva parlare.
Quello che c'era fra loro era speciale – questo l'avevano
capito un po' tutti. Non erano semplicemente compagni di stanza o
migliori amici. Erano come due facce della stessa medaglia. La frase
fatta “prendersi i propri spazi” nel loro vocabolario non
esisteva. Lo spazio che era di uno era anche dell'altro.
Parlavano di tutto l'uno con
l'altro, pranzavano allo stesso tavolo, studiavano insieme e se
durante un pomeriggio particolarmente stancante uno dei due si
appoggiava alla spalla dell'altro invece che sul libro di storia non
c'erano spintoni o proteste.
Lo spazio di uno era anche
dell'altro.
A loro non importava che gli altri
ragazzi preferissero mantenere le distanze dai loro amici dello
stesso sesso. Non importava neppure se, nelle altre scuole, un simile
comportamento sarebbe stato definito “da froci”. Non ci
pensavano neppure, perché lì alla Dalton nessuno li
etichettava, nessuno chiedeva loro spiegazioni.
Ora però cominciavano a farsi
delle domande.
Potevano continuare a chiamare
quello che c'era fra loro solo “amicizia” o dovevano
cominciare a trovare un altro nome? Aveva importanza?
Jeff pensava di no. O meglio, lo
aveva pensato fino a quel momento.
Stare vicino a Nick lo faceva stare
bene, ma era possibile stare ancora meglio? Era possibile essere
felice col suo amico allo stesso modo in cui Blaine sembrava esserlo
con Kurt?
Era possibile esserlo con qualcuno
che non fosse Nick?
Non seppe neppure come o perché
lo fece, ma la sua mano si allungò verso l'altro fino a che le
loro dita si sfiorarono. Quel contatto così naturale lo fece
sorridere e sentì il proprio cuore alleggerirsi.
«E' tardi» disse Nick.
«Forse è il caso di dormire.»
«Buona notte» sussurrò.
«Buona notte, Jeff»
rispose, spegnendo la luce. Le loro dita rimasero intrecciate ancora
per qualche minuto prima che il sonno avesse la meglio.
Kurt ricevette il messaggio a metà
mattina. Quando sentì il cellulare vibrare pensò subito
a Blaine e sorrise, pregustando qualche aneddoto o anche solo una sua
lamentela del tipo “la lezione è noiosa e vorrei essere
davanti ad un caffè a parlare con te”.
Quando lesse il nome del mittente il
suo sorriso sparì.
Il messaggio che seguiva era breve.
Poche parole che lo mandarono nel panico.
10:23
Ehi, mi chiedevo se sei libero
uno di questi giorni. Pensavo che potremmo andare al Lima Bean. Fammi
sapere.
Dave.
Kurt lesse il messaggio almeno una
decina di volte.
Cosa poteva fare? Non aveva valide
scuse per rifiutare. Poteva rimandare di qualche giorno, prendere
tempo, ma poteva essere solo qualcosa di temporaneo.
Non voleva uscire con Dave. Gli
ricordava troppo il passato e lui voleva andare avanti. Non voleva
ricordare come era finita drasticamente la sua ultima relazione,
voleva pensare a come sarebbe stato bello se fra lui e Blaine fosse
nato qualcosa di più di quello che c'era ora. A come sarebbe
stato bello baciarlo, tenerlo per mano, sentirlo dire “sei il
mio ragazzo” con orgoglio e non con timore.
Però non erano insieme. Non
poteva dire “sono già impegnato”. Senza contare
che aveva promesso a Dave che gli sarebbe stato vicino e che, se ne
avesse avuto bisogno, ci sarebbe sempre stato. Per parlare o per
aiutarlo.
Era scappato dal passato, ma la
verità era che non lo aveva mai superato. E non voleva più
che gli errori del passato finissero per rovinargli il presente.
No, l'avrebbe incontrato, quel
giorno stesso, se necessario. Non doveva avere paura di Dave o di ciò
che gli ricordava. Doveva andare avanti. Doveva farlo anche per
Blaine.
Cercò a lungo le parole,
prima di rispondergli semplicemente:
11:14
Ti va bene questo pomeriggio,
quando stacco?
Quando uscì dal negozio e
vide Dave aspettarlo dall'altra parte della strada pensò:
E' il momento. Sono cresciuto, mi
sono lasciato alle spalle le superiori. Ora devo affrontare
quest'ultimo scoglio.
«Ciao» lo salutò,
non appena gli fu affianco.
Dave rispose al saluto. Sembrava
tranquillo e la cosa fece sorridere Kurt. Sarebbe stato più
semplice di quello che aveva temuto. Probabilmente Dave voleva
davvero solo parlare e in fondo non c'era nulla di male in quello.
«Andiamo al Lima Bean?»
«Perfetto» rispose, ma
quando vide Dave accennare alla macchina scosse la testa e disse:
«Pensavo di fare due passi. Visto che è una bella
giornata.»
L'espressione dell'altro si incupì.
Kurt pensò che probabilmente farsi vedere con lui per strada
era ancora un problema per lui. Ma alla fine Dave alzò le
spalle.
Durante i primi minuti Kurt poteva
percepire il disagio di Dave che continuava a guardarsi intorno,
temendo probabilmente di incrociare qualcuno di sua conoscenza, amici
o parenti o colleghi di lavoro.
Dopo poco però lo vide
rilassarsi e, ben presto, cominciarono a parlare.
Ecco, così dovrebbe
essere. Anche se un tempo siamo stati insieme ora possiamo rimanere
amici. Non ci sarebbe nulla di male, anzi, continuava a ripetersi
Kurt, più per convincersi che perché lo credesse
davvero.
Quando arrivarono al Lima Bean si
sedettero ad un tavolo dopo aver preso due caffè. Kurt aveva
lasciato che Dave gli parlasse di sé e della sua vita, in
particolare del lavoro alle dipendenze del padre e di quella mattina,
finché Dave non si interruppe e non disse:
«Parlami di te. È da
molto che non ti fai sentire.»
Kurt posò il bicchiere del
caffè e distolse lo sguardo: «Sono stato molto
impegnato. Fra i due lavori e mio fratello che ha ripreso la scuola
e...»
E Blaine, pensò, ma
non lo disse.
Ci pensò Dave a far emergere
l'argomento: «E i tuoi amici della Dalton?»
«Oh, loro» mormorò,
cominciando a tormentarsi le dita. Poteva mentire, ma che senso
avrebbe avuto? Anzi, parlare di Blaine e di cosa significasse per lui
gli avrebbe permesso di mettere in chiaro le cose fra loro. «Sì,
continuo a vederli. O meglio, continuo a vedere Blaine.»
Studiò la reazione di Dave.
Si aspettava almeno un'espressione contrariata, invece non vide
nulla, come se la cosa non lo toccasse minimamente. Inizialmente si
sentì sollevato, poi però cominciò a ronzargli
in testa l'assurdo pensiero che ci fosse qualcosa sotto.
«Quindi siete amici»
concluse.
«Forse qualcosa di più
di amici» disse. «Anche se non c'è ancora nulla di
ufficiale» aggiunse subito.
«Ti piace, insomma.»
L'affermazione di Dave lo lasciò
spiazzato.
«Suppongo di sì,
insomma. Lui è gentile e mi trovo bene in sua compagnia.»
«Tutto qui? Da uno che si
emozionava per i musical mi aspettavo un po' più di
entusiasmo.»
Kurt non voleva parlare dei propri
sentimenti con lui, per questo non sembrava entusiasta. Aveva già
sommerso Santana con i suoi sproloqui su quanto fosse bello, su come
adorasse il ricciolo che ogni tanto sfuggiva alla morsa del gel e gli
rigava la fronte, come vedere i suoi papillon – diversi ogni
volta – gli facesse spuntare un sorriso e come ad un semplice
saluto il suo cuore sobbalzasse.
Santana lo ascoltava pazientemente
ogni volta, sorridendo perché vederlo felice la rendeva
serena. Kurt amava parlare di Blaine, ma non amava parlarne con Dave.
«Mi piace davvero»
disse. Il suo tono era fermo.
Dave si stiracchiò, cercando
di dissimulare l'ansia per ciò che stava per fare. Sapeva che,
se Kurt l'avesse scoperto, difficilmente avrebbe potuto trovare una
scusa per giustificarsi. Per questo motivo non doveva destare
sospetti. Chiese distrattamente che ore fossero.
«Le sei meno cinque»
rispose Kurt, guardando lo schermo del cellulare.
«Cavolo, abbiamo fatto
dannatamente tardi! Non è che mi presteresti il tuo cellulare?
Il mio è scarico e devo avvisare mio padre che non lo
raggiungerò in ufficio questa sera.»
«Fai pure» disse,
porgendogli il telefono. «Io-io intanto vado a prendere un
altro caffè» disse, alzandosi dal tavolo e lasciando
Dave solo.
Non appena Kurt si fu allontanato a
sufficienza, Dave aprì la rubrica del telefono e scorse i
contatti finché non trovò quello che cercava. Si segnò
il numero su una salviettina di carta e la infilò in tasca.
Poi finse di parlare al telefono – sentendosi per altro
ridicolo – osservando Kurt, da lontano, ordinare un altro caffè
e pagare.
Il cuore gli martellava nel petto.
L'aveva fatto. Il primo passo era compiuto. Avrebbe avuto il coraggio
di andare avanti con il suo piano?
Quando Kurt tornò a sedersi,
lo guardò sentendosi in colpa, ma scacciò il pensiero.
Non ci doveva pensare.
«Riproviamo da capo!»
esclamò il professore, ricevendo come risposta un coro di
sospiri.
Schuester stava tormentando le New
Directions più di quanto avesse mai fatto, in vista delle
Regionali. Ora che Finn era tornato e che Rachel era dei loro,
sentiva di avere buone, anzi, ottime probabilità di arrivare
alle Nazionali.
Voleva farcela. Non sapeva cosa ne
sarebbe stato del Glee club l'anno venturo o quelli a venire. Sapeva
che quell'anno aveva la possibilità di farcela e non l'avrebbe
sprecata. L'avrebbe fatto per se stesso, per Emma, che credeva
pazientemente in lui, e per tutti i suoi ragazzi, che se lo
meritavano.
Quando Artie lo implorò di
fare una pausa fra un respiro e l'altro, capì di avere un
tantino esagerato.
«Va bene, ragazzi, oggi avete
lavorato bene. Facciamo dieci minuti di pausa.»
Tutti sospirarono sollevati,
lasciandosi cadere sulle sedie dell'aula di musica.
Rachel fissò Finn, mentre
questi si asciugava il sudore dalla fronte con la manica della
maglietta – in modo decisamente poco elegante. Sorrise nel
vederlo agire in modo così sgraziato. In fondo, era anche
questo che le piaceva di lui.
Stava per rivolgergli la parola
quando il suo telefono squillò. Lesse il nome sul display e
corrugò la fronte, rispondendo.
«I tuoi tentativi di spiarci
sono tanto ridicoli quanto inutili» disse, senza lasciare tempo
all'interlocutore di salutare.
«Non-non vi sto spiando!»
protestò Blaine, dall'altra parte del telefono.
«Ah no? E allora si può
sapere perché hai chiamato?»
Blaine si schiarì la voce:
«Io... avrei bisogno di un favore.» Il suo tono era
serio.
«Un favore?»
«Sì, ma non da te»
aggiunse.
Rachel era sempre più
perplessa: «E... allora perché diavolo mi hai chiamato?»
«Avrei bisogno che tu mi
passassi Finn.»
Rachel alzò lo sguardo sul
ragazzo affianco a lei che la guardò incuriosito.
«Chi è?» chiese.
«E' mio fratello»
rispose.
«Spero non ci siano dei
problemi.»
«Non so. Ha detto che vuole
parlarti» disse, porgendogli il telefono.
Finn lo accostò all'orecchio:
«Blaine?»
«Ciao, Finn.»
«Ehi, coso, tutto bene? Non è
che è successo qualcosa fra te e mio fratello, perché
non credo che-»
«No. No, assolutamente no»
rispose.
Finn sospirò sollevato. Non
era pronto ad affrontare suo fratello in stato depressivo steso sul
divano a piangere e ingozzarsi di gelato gemendo che i suoi fianchi
sarebbero diventati più larghi di un imbuto.
«Allora hai... bisogno di
qualcosa?» azzardò.
«Sì» ammise. «Ho
bisogno del numero... di Santana.»
«Santana?» esclamò.
«Ehi, amico, sei sicuro? Lo dico per te. Non ho nessun problema
a darti il numero di quella pazza furiosa, ma ti avverto che poche
persone oltre a Kurt hanno il permesso di chiamarla senza essere
insultati. Io non sono fra queste.»
«Rischierò.»
Finn si passò una mano fra i
capelli, prendendo il proprio cellulare dalla tasca. «E'
davvero così importante?»
«Lo è, decisamente.
Solo col suo aiuto potrò portare a termine il punto cinq-»
Dall'altra parte del telefono si
sentì un sonoro schiaffo e un “ahia” esclamato da
Blaine. Rachel si avvicinò al telefono gridando:
«Wesley, so che sei in
ascolto! Non riuscirai mai a strapparci neppure una canzone
della scaletta delle regionali.»
«Non abbiamo bisogno di questi
sporchi trucchetti, Rachel» ribatté la voce di uno
sconosciuto dall'altra parte. «Piuttosto tu, smettila di
cercare di far leva sull'ingenuità di tuo fratello per
riuscire a ottenere informazioni da lui.»
«Ehi!» protestò
Blaine. Dopo una serie di insulti e proteste, il telefono tornò
in mane al ragazzo. «Finn, ci sei ancora.»
«Certo. Il numero di Santana
è-» Gli dettò il numero della ragazza. «Non
so a cosa ti serva, ma... buona fortuna, amico.»
«Grazie» rispose Blaine
chiudendo la chiamata. Fissò il numero appuntato su un
foglietto di carta, poi lo digitò sul suo cellulare e attese,
finché una voce dall'altra parte non rispose.
«Chi rompe?»
«Ciao Santana. Sono Blaine. Ho
bisogno di parlarti... di Kurt.»
Aspettò di vedere Kurt
sparire oltre l'angolo, poi si sedette in macchina e prese il
cellulare. Digitò il numero che aveva ottenuto ma, prima di
avviare la chiamata, si bloccò.
Quello che stava per fare era...
scorretto. Lo sapeva bene. La sua coscienza glielo stava gridando da
tutto il pomeriggio.
Se lo faccio... lui potrebbe
odiarmi. Questa volta potrebbe non perdonarmi più, pensò,
fissando attonito lo schermo del cellulare.
D'altra parte però, se non
avesse agito al più presto, l'avrebbe perso. Kurt si stava
innamorando di Blaine come non aveva mai fatto con lui e l'idea di
pensarlo fra le braccia di un altro faceva troppo male. Non poteva
farselo portare via, non ora che aveva capito quanto Kurt fosse
davvero importante per lui.
Fu con questo pensiero che avviò
la chiamata. Per qualche secondo pregò che nessuno
rispondesse.
Ovviamente non fu ascoltato.
Riconobbe subito la voce che gli
rispose:
«Pronto?»
«Ciao, forse non ti ricordi di
me. Sono Dave, un amico di Kurt. C'è qualcosa di cui ti devo
parlare.»
N/A
No, seriamente, non odiate Dave.
L'odio fa male alla pelle e fa venire le rughe.
È solo innamorato. E molto stupido.
Tanto lo sappiamo alla fine chi sceglierà
Kurt (non c'è neppure da chiederselo!)
In questi giorni ho avuto un crollo emozionale
(soprattutto dopo la 3x22) e scrivere mi risulta difficile, ma non
temete, avevo qualche capitolo pronto (immaginavo che l'avvicinarsi
della fine della scuola avrebbe avuto simili effetti).
Dico, ma voi l'avete vista la 3x22? Io vorrei
seriamente fare una chiacchierata con i RIB.
Vedere la fine della terza stagione è
stato un duro colpo. A volte mi chiedo cosa ne sarà del fandom
in questi tre mesi di agonia fino a settembre. Riusciremo a
sopravvivere solo di fanfiction e repliche?
Ma passiamo oltre. Volevo ringraziarvi per le
stupende recensioni e per il numero in crescita di
preferite/seguite/ricordate, che ogni volta mi fa gongolare. Sul
serio: wow.
yu_gin
N/B:
Eeeeeee,
via con le scommesse su chi avrà chiamato Dave! Blaine?
Rachel? Sebastian? Wes?
Il Professor Schue? Santana? Babbo Natale?
Anyway,
c’è un motivo per cui vi sto scrivendo alla fine di
questo capitolo, ed è: lo so che molte di voi saranno tristi
perché non potranno vedere il punto 5 del Piano Sebastian
portato a termine, ma fidatevi se vi dico che i consigli di Wes sono
molto, molto, moooooooolto meglio…
Sicchè:
preparatevi
per il prossimo capitolo. No, preparatevi. Dico sul serio. È
una fottuta bomba!!
Baci
a tutte!!
MM,
la beta :)
coming next
Blaine entrò nel locale e si guardò attorno con
circospezione, tirandosi il cappuccio della felpa sulla testa. Non
voleva farsi riconoscere.
Una mano lo afferrò per la spalla, facendolo sobbalzare.
«Con quel cappuccio in testa sembri proprio un ragazzaccio»
disse una voce che riconobbe subito.
«Lo prendo come un complimento» disse, sorridendo alla
ragazza.
«Ero sarcastica, hobbit. Non sembreresti un cattivo ragazzo
neppure con una spranga in mano» disse Santana. «Ma
questo rende il mio compito ancora più entusiasmante»
disse, fregandosi le mani. «Ora seguimi, prima che Kurt ti
veda.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** so proud of you ***
A Lima Side
Story
Capitolo 14: so proude of
you
Entrò al Lima Bean e le porte si chiusero dietro di lui. Si
guardò intorno alla ricerca di un viso che aveva bene in mente
da quando l'aveva visto in quello stesso locale insieme a Kurt.
Lo scorse seduto ad un tavolino in un angolo, lontano da tutti mentre
si guardava intorno con l'aria colpevole. Come diavolo si chiamava?
David? Kurt lo chiamava Dave, se non ricordava male.
Dave lo intravide e gli fece un cenno con la testa. Decise
volutamente di ignorarlo e andò a prendersi un caffè.
Solo dopo aver pagato, gli si avvicinò e si sedette di fronte
a lui, sistemandosi la cravatta della divisa e dando un'ultima
occhiata all'orologio.
«Eccomi qui, Dave, come mi avevi chiesto.»
«Grazie per essere venuto, Sebastian.»
«Spero che la chiamata che ho ricevuto da te ieri non fosse
tutta una scusa per chiedermi di uscire. In tal caso dovresti come
minimo offrirmi il caffè o qualsiasi altra cosa il mio corpo
necessiti per non collassare dalla noia.»
Dave ridacchiò: «Curioso. Quindi in un eventuale
rapporto fra noi due, farei io la parte dell'uomo.»
Sebastian lo guardò divertito: «In un eventuale –
e altamente improbabile – rapporto tu faresti la parte di
quello che mi offre il caffè per ringraziarmi di bearlo con la
mia presenza e per avergli fatto vivere i migliori dieci minuti della
sua vita. E ovviamente io starei sopra» concluse, sorseggiano
il proprio caffè.
Dave abbassò lo sguardo e a Sebastian venne quasi da ridere.
Pensava sarebbe stato un avversario più temibile, invece
l'aveva decisamente sopravvalutato. Lo impegnavano molto di più
le pungenti conversazioni con Kurt che – sotto quella faccia
d'angelo – nascondeva un sarcasmo pungente e una lingua
biforcuta – cosa che, ai suoi occhi, lo rendeva molto più
simpatico.
Davvero questo qui è stato il ragazzo di Kurt? Il bel
commesso GAP doveva essere proprio disperato alle superiori.
«Non sono qui per parlare di me – argomento che trovo
peraltro maledettamente interessante. Hai detto che dovevi parlarmi
di Kurt e che c'erano alcune cose su di lui che dovevo sapere. Cose
che mi avrebbero fatto cambiare idea su di lui. Beh, sappi che mi hai
messo su una dannata curiosità. Quindi comincia a parlare.»
«Una dannata curiosità? Non sei neppure un pochino
preoccupato?»
«Non so che idea tu ti sia fatto di me. In compenso posso dirti
cosa penso di te: penso che tu sia uno di quei gay repressi della
peggior specie: perché non solo tieni nascosto il tuo
“segreto” ai tuoi genitori e ai tuoi amici. Tu lo neghi
anche con te stesso. Fermami quando sbaglio.»
Dave tacque e Sebastian proseguì.
«Alle superiori eri uno che si faceva rispettare. Un atleta,
dire. Football, a giudicare dalla massa corporea. Mi immagino come
sia stato difficile per te distogliere lo sguardo dai tuoi muscolosi
e sudati compagni di squadra in campo, negli spogliatoi, nelle docce.
Ma, come si suol dire, lontano dagli occhi lontano da cuore. Bastava
uscire da scuola e gli istinti si placavano e potevi tornare alla tua
normalissima vita da finto etero.
«Ma poi ecco che compare nella
tua vita un ragazzino dai tratti femminei, palesemente gay e fiero di
esserlo e la tua maschera comincia a sgretolarsi. Lo guardi nei
corridoi e nelle classi che avete in comune. Pensi a lui anche quando
non è presente, magari mentre sei sotto la doccia o nel tuo
letto. Magari pensi a lui sotto
la doccia o a lui nel
tuo letto. E ti sembra che con lui – così puro, così
bello, così distante dai giocatori di football accaldati –
sia diverso. Ti sembra meno sporco,
meno sbagliato. Meno gay, perché – continui a ripeterti
– sembra una ragazza.
«Te lo ripeti finché non finisci per crederci. È
colpa sua, di lui che si comporta come una ragazza, si veste come una
ragazza e ha quella voce così femminile. È colpa sua se
ora ti piacciono gli uomini. Hai paura di perdere il nome che ti sei
fatto, di venire deriso e preso in giro. E allora ti scagli contro di
lui. Scommetto che, quando eravate alle superiori, non ti facevi
vedere in giro con lui. Neppure gli avresti parlato, se non per
insultarlo, ma vederlo con altri ragazzi ti faceva morire dentro. Non
mi hai ancora interrotto, quindi suppongo di essere nel giusto.»
«Tu...tu non sai un bel niente di me. O di noi.»
«So anche troppo. Hai detto di volermi parlare di Kurt. Che
scusa hai usato con lui per farti dare il mio numero? Hai detto che
volevi uscire con me?»
«Io...» esitò. «L'ho presi di nascosto.»
Sebastian sorrise: «Sorprendente» commentò con
sarcasmo. «Molto corretto da parte tua. Deve starti proprio a
cuore la sua felicità, se sparli di lui alle sue spalle. O,
aspetta, forse hai intenzione di ordinarmi di stargli lontano? Hai
paura che te lo porti via?»
«Non ho paura di te.»
«Ah no?»
«Non penso che tu sia in grado di far innamorare Kurt. E non
penso che sia neppure tua intenzione. Tu sembri più il tipo da
una botta e via, e il tuo bell'aspetto gioca a tuo favore. Tuttavia
non credo saresti in grado di mantenere una relazione stabile. La
troveresti noiosa e finiresti per concederti qualche scappatella,
cosa che porterebbe ben presto la tua presunta relazione ad una
tragica fine. Correggimi se sbaglio.»
«Tutto corretto. Ma chi ti dice che non voglia semplicemente
portarmi a letto Kurt e poi scaricarlo?»
«Me lo dice il modo in cui il tuo amico guarda Kurt, il modo in
cui gli parla e l'incredibile quantità di tempo che passano
insieme. Se solo provassi a portartelo a letto, il tuo amico non
esiterebbe a romperti il naso.»
«Diciamo che ci proverebbe. Ma difficilmente arriverebbe a
colpirmi in faccia, basso com'è. Ad ogni modo ho capito il
concetto. Sono consapevole dell'attrazione fra quei due e mi duole
dirti che non credo tu abbia speranze.»
«Ne avrei, se solo Kurt aprisse gli occhi e si rendesse conto
quanto il tuo amico sia sbagliato per lui.»
«E perché il mio amico – il cui nome è
Blaine, se ti dovesse interessare – perché non andrebbe
bene per lui? Se è per i suoi imbarazzanti papillon, penso tu
stia esagerando.»
«Guardati» disse all'improvviso. «Guardati e dimmi
cosa vedi.»
«Un meraviglioso ragazzo?»
«Bene, ora ti dico cosa vedo io. Vedo un ragazzo di buona
famiglia, che non sa neppure cosa voglia dire frequentare una scuola
pubblica, dover ogni tanto tirare la cinghia, rinunciare a qualcosa
per riuscire ad arrivare a fine mese. Vedo un ragazzo abituato ad
avere tutto e subito. Vedo uno che l'anno prossimo andrà al
college, uno dei migliori college del paese e che fra cinque anni
sarà un brillante giovane laureato pronto a diventare un
importante avvocato o un medico rinomato o il dirigente di qualche
azienda. Ti vedo andartene da Lima per qualche grande città,
ti vedo seduto in un ufficio lussuoso almeno quanto il tuo attico in
centro. Ecco cosa vedo. E vedo lo stesso quando guardo il tuo amico –
Blaine – o qualunque altro studente della vostra scuola.»
Sebastian seguì il suo discorso: «Ammettiamo che sia
così: ci rende così tanto disprezzabili?»
«Sì, perché invece, quando guardo me o Kurt o suo
fratello, vedo un ragazzo che passerà la sua vita a fare un
lavoro sottopagato, che dovrà rinunciare alle vacanze per
pagare l'affitto, che non riuscirà mai ad andarsene da qui.
Kurt forse potrebbe farcela perché è ambizioso –
o per lo meno lo era quando era ancora al liceo. Ma non
abbandonerebbe mai suo fratello e così finirebbe per rimanere
qui. Sarebbe costretto a vedere Blaine abbandonarlo per seguire i
propri sogni e questo lo distruggerebbe.»
Si fermò e strinse il proprio bicchiere.
«Potrei aspettare. Potrei seguire l'evolversi della loro storia
fino al punto in cui Blaine gli spezzerà il cuore andandosene
e semplicemente raccogliere i pezzi e rimetterlo insieme. Sarebbe
vulnerabile e tornerebbe da me. Dovrei solo aspettare. Ma la verità
è che Kurt ha sofferto abbastanza, in parte anche per colpa
mia, e tengo troppo a lui per lasciare che ciò accada»
concluse.
L'aveva detto. Aveva esternato con un perfetto sconosciuto i suoi
sentimenti, come non era mai riuscito a fare davanti al diretto
interessato. Che diavolo c'era di sbagliato in lui?
«Il college è lontano. È appena febbraio e Blaine
non partirà per il college se non a settembre. Sono sette
mesi. In sette mesi farebbero in tempo a lasciarsi per ben altri
motivi. Non dev'essere per forza la storia della loro vita, può
essere semplicemente un flirt. O una storia di sesso.»
«Io non conosco il tuo amico,
ma conosco Kurt. Ho visto come guarda Blaine e per lui non
è solo un flirt. Lui...non ha
mai guardato me in
quel modo» disse, abbassando la voce.
Sebastian si fermò a pensare a Blaine, a quanto era cambiato
in quell'ultimo mese, al coraggio che quella relazione gli stava
dando. Al suo sguardo quando parlava di Kurt, alla luce che si
accendeva nei suoi occhi quando solo lo nominava. No, neppure per lui
era un flirt.
«E a me cosa dovrebbe
importare? In fondo Kurt è un tuo amico»
disse, anche se dire che non gli importasse per nulla del pungente
commesso GAP sarebbe stata una bugia.
«Mettiamola così. Ripeti in continuazione che il tuo
amico è incline alla stupidità.»
«Più che vero» confermò.
«E se decidesse, per dire, di non andare al college? Se
decidesse di rimanere qui a Lima per rimanere al fianco di Kurt? Se
gettasse via il suo brillante futuro per un amore adolescenziale.»
Le sue parole fecero gelare il sangue nelle vene di Sebastian. A
questo non aveva mai pensato.
Ripeteva in continuazione quanto Blaine fosse stupido, quanto alcune
sua azioni o scelte fossero stupide. E quella di rimanere nel mezzo
del nulla per un perfetto nessuno di cui era follemente innamorato
era decisamente una cosa in stile Blaine Anderson.
Non poteva permetterlo.
Aveva sempre sostenuto il suo amico e gli aveva sempre promesso
appoggio nel caso i suoi genitori l'avessero cacciato di casa. Aveva
capito quanto Blaine avesse talento in campo musicale e quanto –
nonostante la sua aria svagata – fosse brillante a scuola.
Avrebbe potuto benissimo frequentare le migliori università e
laurearsi in tempo, se solo l'avesse voluto.
Fuori da Lima poteva essere chiunque volesse. Una volta raggiunta
l'indipendenza economica avrebbe potuto andarsene e vivere la propria
vita senza più nascondersi.
La sua vita era a New York, in una casa elegante, al fianco di uno
splendido marito che avrebbe potuto sposare legalmente, nella città
dove poteva realizzare i propri sogni. Non certo a Lima affianco ad
un commesso GAP con cui avrebbe potuto solo convivere in uno
squallido appartamento, rifiutato dalla propria famiglia e costretto
a fare un lavoro al di sotto delle sue potenzialità.
«Non succederà» disse.
«Ne sei certo?» insinuò Dave.
No. Dannazione, non era più certo di nulla. Era convinto che
Blaine non avrebbe fatto coming out con Rachel almeno fino al
diploma. Era convinto che non l'avrebbe mai detto ai Warblers. Era
convinto che non avrebbe mai passato l'ora di storia a scrivere
messaggi con un ragazzo invece che ascoltare. E invece aveva fatto
tutto ciò.
Tentò di cambiare discorso.
«Hai detto che dovevi parlarmi di Kurt e di alcune cose che mi
avrebbero fatto cambiare idea su di lui. Sto ancora aspettando.»
«Mi fa piacere che tu abbia tirato in ballo la questione.
Perché c'è una cosa che non credo tu sappia di lui –
e forse neppure Blaine ne è a conoscenza. Vedi, il lavoro al
negozio GAP è solo uno dei lavori di Kurt, per la precisione,
quello diurno.»
«Perché, di notte veglia su Lima City alla ricerca dei
cattivi?» scherzò.
«Niente di così eroico» disse, posando il
bicchiere sul tavolo. «Ma scommetto che se te lo dicessi non ci
crederesti. Potrei fartelo vedere con i tuoi occhi questa sera
stessa» disse.
«Dove?» chiese solamente.
«Allo Scandals.»
Rachel raccolse il coraggio a due mani quel giorno. Si avvicinò
a Finn, stringendo convulsamente la propria cartella, e disse tutto
d'un fiato:
«Vorresti accompagnarmi a comprare gli spartiti?»
Finn la guardò sorpreso. Rachel gli stava chiedendo di uscire?
«Gli...spartiti?» Brillante risposta, Finn!, si
disse. O meglio, sentì la voce di Kurt dire dentro la sua
testa.
«Sì, per il Glee club. Il professore ha acconsentito a
darmi i soldi per andarli a comprare. Volevo solo essere sicura che
gli arrangiamenti fossero...appropriati. Però non mi va di
andarci da sola.»
Finn prese il proprio zaino: «Certo, vengo volentieri.»
«Davvero?» esclamò raggiante. «E'
fantastico!»
«Prendiamo la mia macchina?» propose, facendole strada.
Per tutto il tragitto Rachel non fece che parlare: di cosa dovevano
fare per battere i Warblers alle regionali, di cosa stavano
sbagliando, di quanto perfetto sarebbe stato un loro duetto e un suo
assolo. Finn la ascoltava paziente.
«Scusa. Parlo sempre troppo» disse.
«Figurati. A dirla tutta non mi dispiace. È...piacevole.
Sempre meglio che quei silenzi imbarazzati che calano ogni tanto
quando si è da soli in macchina.»
«Lo so. Li odio anch'io. Di solito succede quando tutti e due
si vuole dire qualcosa ma nessuno dei due ha il coraggio di parlare.»
Non appena ebbe chiuso bocca, calò un silenzio imbarazzato.
«Immagino tu parlassi di questo» disse Finn dopo un po'.
«Già» ammise. Dopo qualche istante si fece
coraggio e disse: «E va bene. C'è una cosa di cui mi
preme parlare.»
Finn si voltò un istante verso di lei, per vedere che
espressione avesse il suo volto. Solo un istante, poi tornò a
concentrarsi sulla strada. «Ossia?»
«Sono...preoccupata per mio fratello.»
«Blaine?» chiese.
«Sì. Nonostante sia passata solo una settimana da quando
mi ha informata circa i suoi gusti, ho avuto modo di preoccuparmi.»
«Rachel, non credo di essere la persona più-»
«No, aspetta. C'è una cosa importantissima che devo
sapere. Perché, vedi, mio fratello è una frana in fatto
di relazioni. Non ha mai avuto una ragazza, né tanto meno un
ragazzo. E quello che voglio sapere è: che intenzioni ha tuo
fratello?»
Finn scoppiò a ridere, senza riuscire minimamente a
trattenersi. Scoppiò a ridere all'idea che qualcuno potesse
considerare Kurt uno spezza-cuori.
«Non c'è nulla da ridere! Immagino che tuo fratello
abbia avuto numerosi ragazzi in passato ed essendo più grande
e più maturo di Blaine non vorrei che per lui mio fratello
fosse solo un passatempo. Perché lui è davvero preso da
questa cosa e se venisse fuori che era solo un gioco lui-»
Finn interruppe il fiume di parole con cui la ragazzo lo stava
inondando: «Ascolta, Rachel. Kurt ha avuto un solo ragazzo in
passato, che l'ha lasciato ormai un anno fa. Quindi non si può
certo dire che abbia una grande esperienza in fatto di relazioni. Non
so a che punto siano arrivati quei due – come minimo hanno
smesso di ripetere “siamo solo amici” - ma Kurt sembra
tenerci davvero. Sa cosa vuol dire farsi spezzare il cuore e non lo
farebbe mai. Non si permetterebbe mai di giocare con i sentimenti
altrui.»
Rachel sospirò sollevata: «Mi fa piacere sentirtelo
dire. Sai, quando mi hanno raccontato che la prima volta che si sono
incontrati Kurt gli ha tirato un pugno-»
«Aspetta: Kurt gli ha tirato un pugno? Stiamo parlando della
stessa persona? Stiamo davvero parlando di mio fratello?»
Rachel si morse la lingua, pentendosi di essere così
petulante. «Gli avevo promesso di non dirtelo. Aveva detto che,
se l'avessi saputo, l'avresti preso in giro a vita.»
Finn ridacchiò: «Ci puoi scommettere. Dopo tutti i
sermoni che mi sono dovuto sorbire su quanto siano sbagliati i
videogiochi di lotta e quanto incitino alla violenza gratuita!»
Rachel sorrise. In un modo o nell'altro l'atmosfera era tornata
serena e rilassata. Quando giunsero al negozio Finn parcheggiò
l'auto ed entrarono insieme.
Rachel si gettò sugli spartiti e cominciò a spulciarli
alla ricerca di quello che facesse al caso suo, mentre Finn guardava
con una luce negli occhi la batteria esposta vicino alle chitarre.
La ragazza lo guardava curiosa, cercando di decifrare il suo sguardo,
quando una voce la fece voltare di scatto.
«Ma guarda chi si vede!»
Rachel si voltò e si ritrovò davanti un ragazzo che
doveva avere qualche anno più di lei – l'età di
Finn, forse. Il ragazzo in questione la fissava con un sorrisetto
sulle labbra. Si avvicinò a lei, prendendole lo spartito dalle
mani.
«Adele? Davvero, ragazzina? Non pensi di essere un po'
presuntuosa.»
Rachel gli strappo lo spartito dalle mani, riprendendoselo. «E
tu non credi di essere un po' inopportuno? Prima ti rivolgi a me come
se ci conoscessimo e poi ti permetti di criticare la mia voce senza
avermi neppure sentita cantare.»
«Oh, ma io ti ho sentita cantare» disse il ragazzo,
mettendosi fra lei e Finn che, in quel momento, si voltò
notando la loro conversazione.
«Ah sì?»
«Alle provinciali di quest'anno. Eri la solista delle New
Directions o sbaglio? Sei nuova però. Non c'eri l'anno
scorso.»
«Mi sono trasferita al McKinley quest'anno» rispose,
cercando di liberarsi dello scocciatore.
«E perché non al Caramel?»
«Per non dover sopportare la tua faccia tutti i giorni,
probabilmente» rispose Finn al posto suo.
Il ragazzo si voltò verso di lui: «Finn Hummel.»
«E' un dispiacere anche per me, Jesse St. James.»
«Pensavo che dopo aver abbandonato le New Directions prima
delle nazionali, causando la loro irreparabile sconfitta nonché
ricoprendoli di ridicolo, avessi come minimo lasciato Lima. O almeno
che ti fossi fatto una plastica facciale di modo da rendere
irriconoscibile il tuo volto da barboncino tumefatto.»
«Sei sempre così cortese. Se non mi sbaglio però
neppure voi avete fatto faville l'anno scorso.»
«Ma almeno abbiamo vinto un trofeo nazionale in un secolo in
cui fosse già stata inventata la musica dodecafonica. Cosa che
non si può dire delle New Directions.»
Finn avrebbe potuto ribattere sottolineando che il liceo McKinley
aveva vinto un trofeo nazionale nel 93, ma effettivamente non erano
state le New Directions a vincerlo.
«E non credo che quest'anno andrà meglio. Le New
Directions avranno anche passato le provinciali grazie alla loro
solista discretamente brava» disse, facendo un cenno a Rachel
«ma dubito passeranno le regionali. Se non mi sbaglio dovranno
sconfiggere i Warblers e gli Oral Intensity. Ed entrambi i gruppi
hanno un solista maschile niente male.»
Rachel si schiarì la voce: «Si dà il caso che la
solista discretamente brava si senta perfettamente all'altezza del
solista dei Warbler» ci tenne a precisare. «Senza contare
che anche noi abbiamo un buon solista maschile.»
«E chi sarebbe? Quello in sedia a rotelle? O no, aspetta, forse
il biondino con la bocca da trota? O l'asiatico che non apre bocca
nemmeno per sbaglio?»
«Ce l'hai davanti» rispose, indicando Finn.
L'espressione di Jesse fu di puro stupore: «Tu? Dopo averli
abbandonati sul più bello osi ripresentarti davanti a
loro? Vuoi fare la tua uscita da diva anche questa volta? Magari il
giorno stesso delle nazionali.»
«Resterò fino alla fine questa volta. Fino alle
nazionali. Fino a che non impugneremo quel trofeo per sbattertelo in
faccia» disse Finn.
«Lo vedremo» disse, sorridendo. «Ci vediamo a New
York. Sempre che ci arriviate.»
Stava ormai uscendo dal negozio quando si voltò verso di loro
e aggiunse: «Che scortese! Quasi dimenticavo: salutami il tuo
fratellino. Ho sentito dire che, dopo il flop dell'anno scorso alle
nazionali, si è dato ad un altro tipo di...canto
coreografato.»
Finn scattò in avanti ma Rachel si intromise. L'ultima cosa di
cui avevano bisogno era un'accusa di violenza su un membro di un coro
avversario.
Rimasti soli la ragazza si rivolse a Finn: «Quello chi-»
«Jesse St. James, ex leader e attuale allenatore dei Vocal
Adrenalin. Che, mi duole dirlo, sono uno dei cori più forti
dell'Ohio, se non degli Stati Uniti e che – questo duole ancora
di più – non so se riusciremo a battere.»
«Hanno vinto le nazionali due anni fa?»
«Già. Quell'anno eravamo davvero forti. Se solo fossi
rimasto...»
«Smettila. Sai bene perché l'hai fatto: non certo per
passare ad un coro rivale o perché ti eri stancato. L'hai
fatto per la tua famiglia» disse Rachel, afferrandolo per una
spalla – cosa che la costrinse ad alzare non poco il braccio.
«E poi hai sempre quest'anno per rifarti, giusto. E quest'anno
ci sarò anch'io.»
Finn sorrise. «E poi vuoi mettere la faccia di quel pallone
gonfiato quando lo batteremo?»
«Dobbiamo fare qualcosa per Finn» disse Rachel.
Gli altri del Glee la guardarono sconsolati: in quei mesi ormai
avevano imparato a sopportare i suoi attacchi di follia.
«In che contesto per la precisione?» chiese Quinn.
«Siamo suoi amici e per questo dovremmo sostenerlo. E' chiaro
come il sole che si vergogna del suo lavoro allo Scandals. Ne parla
il meno possibile, quasi fosse illegale!»
«Non ti sorprendere, Rachel, non è certo il migliore
locale di Lima! Insomma, penso sia abbastanza imbarazzante, anche
perché girano strane voci su quel locale» disse Artie.
«E non sono sicura di voler sapere che tipo di lavoro faccia
lì» concluse Mercedes.
«Siete scorretti! Finn fa quel lavoro per guadagnarsi da
vivere! Non fareste lo stesso al posto suo?»
«Non c'è nulla di male a fare il barista, ma...allo
Scandals?» disse Mike. «Insomma, poteva scegliere un
locale meno equivoco.»
«Come se avesse potuto trovare di meglio!» disse
Mercedes. «Sono d'accordo con Rachel» disse, strizzandole
l'occhio «dobbiamo far capire a Finn che non ha nulla di cui
vergognarsi e che non deve farsi problemi a parlarne con noi.»
«Se gli parlassimo lo metteremmo ancora di più in
imbarazzo» fece notare Tina.
«Infatti non ci limiteremo a parlargli» disse Rachel,
sorridendo. «Andremo a trovarlo sul posto di lavoro. E non di
pomeriggio, quando non c'è ancora nessuno. Andremo nel momento
di massimo caos e gli mostreremo come per noi non ci sia nulla di
strano nel lavoro che fa. Ci presenteremo davanti a lui e ordineremo
delle coke senza battere ciglio.»
Gli altri la fissarono a bocca aperta.
«Dici sul serio? Tu andresti allo Scandals di sera? Di
notte?»
Rachel alzò le spalle: «Perché no? Cos'è,
siete troppo perbenino per avere il coraggio di entrarci?» li
sfidò. In realtà neppure lei ci sarebbe entrata da
sola. Non dopo le nove di sera, almeno. Per questo doveva convincerli
a venire con lei. Insieme non sarebbe stato poi così male, no?
No?
Blaine entrò nel locale e si guardò attorno con
circospezione, tirandosi il cappuccio della felpa sulla testa. Non
voleva farsi riconoscere.
Una mano lo afferrò per la spalla, facendolo sobbalzare.
«Con quel cappuccio in testa sembri proprio un ragazzaccio»
disse una voce che riconobbe subito.
«Lo prendo come un complimento» disse, sorridendo alla
ragazza.
«Ero sarcastica, hobbit. Non sembreresti un cattivo ragazzo
neppure con una spranga in mano» disse Santana. «Ma
questo rende il mio compito ancora più entusiasmante»
disse, fregandosi le mani. «Ora seguimi, prima che Kurt ti
veda.»
«Non gli hai detto niente?»
«Mi hai preso per una stupida? Non mi sono lasciata scappare
neppure mezza parola. Non si aspetta assolutamente nulla.»
Blaine sospirò sollevato. Aveva un terrore assurdo di perdere
il coraggio all'ultimo. Santana lo trascinò in una specie di
sgabuzzino e lo schiacciò contro la parete. Poi accese la luce
e lo squadrò dal capo ai piedi, scuotendo la testa.
«Ci sarà da lavorare» disse.
«Cos'ho che non va?» chiese offeso.
«Per esempio quell'aria da studente delle superiori.»
«Ma io sono uno studente delle superiori!»
protestò.
«E allora fingi! Tanto per cominciare» disse,
infilandogli una mano fra i capelli e scompigliandoli.
«Ehi!»
«Non azzardarti a parlare. Pensa a me che ho dovuto mettere una
mano in quel nido di gel che chiami testa!» esclamò. Poi
lo guardò: «Già meglio. Seconda cosa, via i
vestiti.»
«Che?»
«Non pensare male, idiota. Ho altri gusti. Ma con quella
camicia addosso non attireresti neppure il gay più arrapato.
Insomma...in quale pianeta è permesso indossare una camicia
sotto la felpa?»
«Esprime la mia personalità: badboy fuori, gentiluomo
dentro!»
Santana, per tutta risposta, lo afferrò per la felpa e gliela
sfilò, prima di ordinargli di togliersi quella dannata
camicia. Gli lanciò dei vestiti.
«Metti questi. Senza protestare.»
Blaine eseguì, seppure scettico.
«I pantaloni possono andare. Ma ti prego: i mocassini senza
calzini allo Scandals? Sul serio, Blaine?» Gli passò un
paio di anfibi. «Questo è decisamente più in tono
con il resto.
«Non mi sento esattamente a mio agio» confessò.
Santana sbuffò e con una mano scostò le scope
appoggiate al muro e scostò degli stracci per rivelare uno
specchio a parete. Indicò le loro figuro riflesse nello
specchio.
«Vedi quel ragazzo?» disse.
«Mh.»
«Ora tu ti guardi in quello specchio e ti vergogni un po',
perché non sei abituato a vederti così. Perché
pensi di non essere te stesso, e probabilmente è così.
Ed è esattamente così che si è sentito Kurt la
prima volta che è venuto allo Scandals per lavorarci. È
rimasto un intero quarto d'ora davanti allo specchio a guardarsi e a
giudicarsi, come stai facendo tu ora.»
«Lui non è così insicuro.»
«Non più. E sai in parte anche grazie a chi?»
«A te?»
«Ad un ragazzo che una sera l'ha visto sul palco e che non ha
smesso di guardarlo un solo istante. Lo stesso ragazzo che poi è
diventato suo amico e confidente. Un ragazzo che non lo giudica né
prova vergogna a stare affianco a lui.»
Blaine fissò la propria immagine sullo specchio.
«Pensi che Kurt si vergognerebbe di starti affianco?»
«Emh...»
«Oh, andiamo! Se si è fatto vedere al Lima Bean con te e
i tuoi papillon, è evidente che ti seguirebbe anche nel
reparto donna di H&M in una domenica di saldi! A lui non
interessa come sei vestito. Gli interessa quello che dici, quello che
fai. E le persone per cui lo fai.»
Blaine sorrise, cominciando a notare i lati positivi di quel
cambiamento di look.
«Domani però torno ai miei vecchi abiti, o mia sorella
potrebbe avere un infarto.»
Kurt stava finendo di vestirsi in quel momento quando entrò
Santana. Si voltò a guardarla, prima di tornare a fissare la
propria immagine sulle specchio. Con la coda dell'occhio intravide un
sorrisetto sulle labbra della donna. Un sorrisetto che conosceva fin
troppo bene. Si voltò verso di lei.
«Avanti, San, sputa il rospo.»
Santana assunse un'aria innocente: «Di cosa stai parlando?»
«Del tuo sorriso da “so qualcosa che tu non sai ma non
voglio dirtelo”.»
«Non esiste un sorriso del genere» protestò.
Kurt le lanciò un'occhiata indagatrice, alla quale lei decise
di sfuggire.
«Quanto ti manca?» chiese.
«Sono pronto» disse, raggiungendola. Si fermarono dietro
la tenda dalla quale sarebbero usciti. Solo allora Kurt notò
che Santana non era pronta. «Zietta, che diavolo-»
«Scusa, Kurt, temo non ti farò compagnia sul palco,
oggi.»
«Ah no?»
«No. Ma non devi preoccuparti» lo rassicurò.
«Non devo preoccuparmi? San, vuoi farmi venire un infarto.»
«Spero proprio di no, dal momento che ti sarò accanto
io» disse Blaine.
Blaine.
BLAINE?
La mente di Kurt non riuscì neppure a formulare un pensiero
che non fosse: “Blaine”. Era lì, di fronte a lui.
Era diverso. Niente papillon, niente divisa, niente gel.
E in effetti la vista dei suoi capelli spettinati e i muscoli –
cavoli, non avrebbe mai immaginato che sotto il blazer nascondesse un
simile fisico! - e quello sguardo quasi magnetico, beh, gli avevano
tolto il fiato.
Solo amici, Kurt? Seriamente?,
pensò, cercando di non arrossire.
«Blaine, si può sapere cosa ci fai qui? E perché
sei vestito...così?»
Il ragazzo stava quasi per rispondergli quando la musica sul palco
partì a tutto volume e Santana, con un provvidenziale spinta,
li catapultò fuori.
Kurt non riusciva ancora a capacitarsi di che diavolo stesse
succedendo, né del perché Blaine fosse lì sul
palco con lui.
Lo vide leggermente impacciato all'inizio ma, via via che la musica
di faceva più intensa, prendeva anche lui sicurezza.
Si sentiva...orgoglioso di lui. Orgoglioso per il coraggio che aveva
dimostrato. Orgoglioso perché sapeva che ragazzo stupendo
fosse. E infine si sentiva felice perché capiva che quel suo
gesto era per lui. Una dedica, un modo per dirgli che per lui ci
sarebbe stato.
Forse anche una dichiarazione,
pensò e sperò.
Troppo preso dagli occhi di Blaine – e Blaine dai suoi –
nessuno dei due notò il gruppo di ragazzi che, seduti ai
tavolini lontani dal palco, li fissavano sconvolti.
Procurarsi i documenti falsi non era stato difficile. Puck ne aveva
abbastanza per tutti i ragazzi, mentre per le ragazze non era servito
più di un pomeriggio.
Arrivare sul posto era stato semplice: si erano stipati in due
macchine, quella di Quinn per le ragazze e quella di Puck per i
ragazzi.
Neppure entrare aveva richiesto particolari sforzi: era bastato
mostrare i documenti e assumere un'aria vissuta. L'uomo all'ingresso
li aveva fissati un po' perplesso – forse chiedendosi che
diavolo ci facessero quelle ragazzine di buona famiglia in un posto
come quello – ma non aveva fatto domande.
Il difficile era stato trovare il coraggio di avanzare dalla porta
d'ingresso al locale vero e proprio.
«Okay, ora siamo dentro» disse Quinn. «Cosa
facciamo?»
«Mi sembra ovvio» rispose Rachel «dobbiamo trovare
Finn.»
«Ha detto di fare il barista: andiamo al bancone. Anche perché
ho proprio voglia di una Coca Cola» disse Sam, avviandosi senza
alcuna preoccupazione, seguito a ruota da Puck. Gli altri invece li
seguirono guardandosi intorno in continuazione.
«Eccolo lì!» esclamò Mercedes, vedendo Finn
pulire un bicchiere. Dava loro le spalle, ma la sua schiena
chilometrica era inconfondibile. «Finn!» gridò,
per richiamare la sua attenzione.
Nel vederli, il ragazzo sbiancò.
«R-ragazzi?» esclamò. «Che diavolo ci fate
qui?»
«Sorpresa!»
Rachel si rese conto in quel momento
che forse non era stata un'idea così brillante.
Il volto di Finn non sembrava felice: piuttosto terrorizzato.
«Abbiamo pensato di passare a salutarti e di prendere qualcosa
da bere e fare quelle cose che si fanno nei locali. Sai, perché
noi siamo ragazzi di mondo» disse Artie.
Finn avrebbe voluto dirgli che in
quel locale si
facevano cose che lui non avrebbe neppure voluto sapere. Ma poiché
dirlo avrebbe reso ancora più difficile la propria situazione,
optò per il silenzio.
«Va bene. Cosa vi servo?» Doveva sembrare perfettamente
tranquillo. Cercò di prendere tempo e di calmarsi.
Ordinarono delle birre e delle Coca Cole. Nel frattempo si guardarono
intorno e notarono che molti dei clienti del locale stavano affluendo
verso un'altra stanza.
«Cosa c'è di là?» chiese Mercede,
incuriosita.
«NULLA!» La sua reazione insospettì gli altri.
«E allora perché stanno tutti andando da quella parte?»
chiese Tina.
«C'è una specie di spettacolo. Ma nulla di ché»
minimizzò, restando sul vago. «C'è della musica e
dei...dei...ballerini.»
«Andiamo anche noi!» propose Sam. «Potremmo
prendere spunto per le regionali.»
«Non credo sia una buona idea» disse Finn.
«Perché?»
Il ragazzo esitò a
rispondere. Doveva dirgli in faccia cosa stava veramente accadendo
nell'altra stanza? Chi si
stava per esibire a pochi metro da loro?
«Finn, tutto bene?» chiese Rachel.
Un secondo dopo Sam e Puck erano spariti nell'altra stanza e Tina e
Mercedes stavano cercando di raggiungerli, seguiti dagli altri. A
nulla valsero i tentativi di Finn di richiamarli.
E a quel punto anche Rachel – incuriosita in parte dalla
musica, in parte dalla reazione del ragazzo – decise di andare
a dare un'occhiata.
Non le ci volle molto per capire che
genere di spettacolo fosse.
E le ci volle ancora meno per riconoscere il ragazzo basso e riccio
che ballava sul palco.
Nella fattispecie, suo fratello.
Boccheggiò qualche secondo,
cercando di trovare una spiegazione valida a
ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi, ma fallì.
Dopo questo dovrò fare una chiacchierata con mio fratello.
Una lunga chiacchierata, pensò.
E, guardandolo mentre si spogliava aggiunse. E forse anche
qualche mese di terapia.
Non appena lasciò il palco sentì le gambe tremargli e
dovette aggrapparsi a Blaine per non cadere. L'emozione, l'euforia,
il cuore che martellava nel suo petto come se volesse uscirgli dalla
gola, non sapeva a cosa imputare quel tremore che quasi l'aveva fatto
cadere.
«Tutto bene?» chiese Blaine.
«Benissimo» rispose ridendo l'altro. Si voltò
verso di lui e sorrise. Un ricciolo più ribelle degli altri
gli ricadeva con grazia sulla fronte. Non riuscì a trattenere
la mano che corse a sfiorargli la fronte. «Stai-stai molto bene
così.»
«Stento a riconoscermi allo specchio.»
«Sì, sei molto diverso. Ma non mi dispiace.»
E come potrebbe? Non mi dispiaceresti neppure con un costume da
pinguino addosso, pensò.
La musica nel locale aveva ricominciato ad assordare i clienti e
anche conversare era difficile, così Kurt spinse Blaine verso
l'uscita sul retro.
L'aria fresca della sera spazzò via parte dell'euforia,
lasciandoli più tranquilli. Sereni, avrebbe detto Kurt. Sereno
come non lo era da molto tempo.
«Quello che hai fatto questa sera è stato-»
«Molto stupido?»
«Volevo dire molto bello, ma effettivamente hai ragione. È
stato oggettivamente stupido.»
«E' la stessa cosa che mi ha detto Santana quando gliel'ho
chiesto. All'inizio mi ha gridato contro dicendo che dovevo essere
fuori come un balcone, poi però l'ho convinta. Devo ancora
finire di ringraziarla.»
«Non riesco ancora a credere che la zietta non ti abbia
spolpato vivo. Di solito è gentile solo con me. Devo essere
geloso?»
«Mi ha bistrattato tutta la
sera, spingendomi in uno sgabuzzino e violentando i miei capelli.
Direi che non hai nulla di
cui essere geloso» rispose.
Senza neppure rendersene conto si ritrovarono nel parcheggio dove, ad
esclusione delle macchine dei clienti, non c'era nessuno che potesse
disturbarli.
«Ti ricordi della sera che ci siamo conosciuti?» disse
Blaine. «Eravamo in questo stesso parcheggio.»
«Come potrei dimenticarlo? Sei arrivato allo Scandals vestito
da supplente di Inglese, ti sei ubriacato e poi hai tentato di
baciarmi.»
«E tu mi hai tirato un pugno.»
«Già. Ho mollato parecchi schiaffi in vita mia, ma pugni
davvero pochi. Considerati speciale.»
«Non so se essere felice o se preoccuparmi.»
«E per che cosa?» disse ridendo.
Il volto di Blaine era perfettamente serio e per un attimo Kurt
tremò.
«Sai, sono cambiate così tante cose da quel giorno.
Prima ero alla deriva, non avevo il coraggio di affrontare i problemi
e mi limitavo ad esistere, ma senza vivere. Ora invece è
cambiato tutto. È cambiato in meglio.»
Nel dire quelle parole cercò istintivamente la mano di Kurt e,
nell'afferrarla, fece intrecciare le loro dita, sfiorando il dorso
con i propri polpastrelli.
«Ora so di avere una sorella pronta a sostenermi e dei veri
amici che mi accettano, nonostante tutto. C'è solo una cosa
che manca a ché tutto sia perfetto.»
Kurt non osò chiedere. Non osò neppure sperare che
quella “cosa”, quel pezzo mancante fosse lui.
«Ho detto che tante cose sono cambiate da quella sera, ma una è
rimasta essenzialmente la stessa» disse, avvicinandosi a lui.
«Non c'è stato giorno in questo mese appena trascorso in
cui io non abbia voluto baciarti.»
Successe tutto lentamente. Kurt poté chiaramente vedere il
viso di Blaine avvicinarsi al suo, le sue mani stringere le proprie.
Tutto come la prima volta.
Avrebbe potuto benissimo spingerlo via, fermarlo, tirargli un altro
pugno se necessario. Ma perché avrebbe dovuto?
Sentì il contatto delle labbra di Blaine con le proprie e in
quel momento capì che per nessun motivo al mondo l'avrebbe
respinto. Dischiuse le labbra e liberò le dita dalla stretta
di Blaine solo per allacciare le braccia al collo dell'altro, che gli
cinse i fianchi stringendolo.
Quanto tempo aveva sognato quel momento? Probabilmente dall'istante
stesso in cui aveva visto Blaine al negozio GAP con l'aria di chi è
stato appena investito da un tir e in cui aveva azzardato quelle
scuse caotiche ed impacciate.
Avrebbe voluto non dover mai staccarsi da quelle labbra, pensò,
mentre con le mani risaliva la forma della sua nuca fino a perdersi
fra i suoi ricci.
Invece anche quel bacio finì e, non appena si staccarono,
ripresero fiato, respirando l'aria fredda della sera mentre i loro
nasi ancora si sfioravano.
«Temevo mi avresti preso a pugni un'altra volta» gli
sussurrò Blaine all'orecchio, facendolo ridere.
«Non l'avrei mai fatto» rispose. «Con che faccia
avrei poi voluto chiederti di diventare il mio ragazzo?»
chiese.
Blaine lo fissò stupito e boccheggiò qualche istante
prima di rispondere: «Con qualsiasi faccia, visto che la
risposta sarebbe stata sì. Decisamente, assolutamente,
totalmente sì» disse, tornando a baciarlo.
Avrebbero continuato a baciarsi finché avessero avuto fiato,
se una voce non li avesse interrotti.
«BLAINE ANDERSON!» gridò Rachel.
Blaine e Kurt si voltarono nella sua direzione, ancora stretti uno
nelle braccia dell'altro in atteggiamenti inequivocabili. Dietro a
lei videro comparire le New Directions al completo, accompagnati da
Santana, la quale guardava soddisfatta il risultato ottenuto.
«Mi sa che dobbiamo loro qualche spiegazione» sussurrò
Kurt all'orecchio del suo nuovissimo ragazzo.
Blaine cercò nuovamente la sua mano e questa volta la strinse
senza esitazione.
Comunque fossero andate le cose, le avrebbero affrontate insieme.
N/A
Eeeeeeh Ta-Daaaaaan! Bacio!
Li ho fatti penare oltre ogni possibilità
di sopportazione – quattordici capitoli, ma quanto sono
crudele? - ma alla fine è successo.
E ora sarà tutto rose e fiori, vero?
Baci, abbracci, frasi dolci, cioccolatini e appuntamenti?
Ovviamente no. Ora arriva la Bad Romance.
* corre a nascondersi *
yu_gin
PS: altre ship in arrivo!
coming
next
Le prove erano concluse e tutti si stavano dirigendo verso le proprie
camere quando Wes lasciò il proprio prezioso martelletto per
fermare Blaine prima che lasciasse la stanza.
«Aspetta un secondo» disse, afferrandolo per la spalle.
«Non è che mi devi dire qualcosa? Tipo perché
oggi sei dannatamente sorridente e perché per i corridoi
cammini guardando il telefono e ridendo ogni volta che si illumina.»
«Oh, quello» disse, non riuscendo a trattenere un
sorriso. «Penso sia perché l'ho baciato.»
Wes strabuzzò gli occhi: «Tu l'hai...?»
«Baciato.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** i've been changed for good ***
A Lima Side
Story
Capitolo 15: i've been
changed for good
Lo sguardo di Rachel era dannatamente serio. Stringeva le braccia al
petto e tamburellava la scarpina di vernice contro la gamba del
tavolo, forse pensando di sembrare più aggressiva.
In realtà Blaine doveva trattenersi per non ridere. Certo, il
fatto che in quel momento fosse seduto affianco al suo ragazzo nuovo
di zecca e che si stessero tenendo per mano, non aiutava a togliergli
quel sorrisetto da ho-trovato-il-paradiso dalla faccia.
«Sto aspettando.»
«Volevo fare qualcosa di romantico e stupido allo stesso tempo
per richiamare la sua attenzione» disse semplicemente Blaine.
«E c'è riuscito» aggiunse Kurt.
«Sfido, amico! Hai richiamato l'attenzione di mezzo locale»
disse Puck, ridacchiando. «Avete intenzione di fare qualcosa
del genere anche alle Regionali?» chiese.
«No, pensiamo di battervi tenendoci il blazer addosso»
puntualizzò Blaine.
Puck non si scoraggiò e si allungò per dare una pacca
sulla schiena a Kurt: «E che dire del nostro piccolo
controtenore. Pensavo di essere il più trasgressivo del Glee,
ma ora mi devo inchinare a te.» Con quel commento si guadagnò
un calcio agli stinchi da parte di Quinn. «Che ho detto?»
protestò.
«E' tutto okay» rise Kurt, stringendosi al braccio di
Blaine. «Mi dispiace di avervelo tenuto nascosto, ragazzi, ma
avevo paura che non mi avreste più guardato allo stesso modo o
che mi avreste allontanato.»
«Kurt! Come puoi averlo pensato? Insomma, se sopportiamo Puck
tutti i santi giorni con le sue battute a sfondo sessuale, i suoi
tradimenti, i suoi soggiorni in riformatorio, le risse e i furti alla
mensa...pensi davvero che avremmo potuto criticare te?»
disse Mercedes.
Lui alzò le spalle: «L'importante è che tutto ora
sia venuto a galla» disse.
«Non è ancora venuto a galla tutto» precisò
Rachel. «Non mi è ancora chiaro cosa ci faceste nel
parcheggio dello Scandals, insieme, abbracciati.»
Blaine e Kurt si guardarono un istante prima di scoppiare a ridere.
«Non credo ci sia molto da spiegare, Rachel. Ho messo in
pratica i consigli di Sebastian e quelli di Wes e sono riuscito a
fare la cosa più stupida – e per questo l'unica sensata
della mia vita.»
«Aspetta, c'era un piano sotto?» chiese Kurt, guardandolo
curioso.
«Non hai idea! Se non fosse stato per Seb a quest'ora
probabilmente non avrei fatto altri che dire stupidaggini ad ogni
nostro incontro voluto dal karma e noi ci staremmo odiando ancora di
più.»
Kurt rise: «Già, ricordami di ringraziarlo, un giorno di
questi.»
«Non posso credere che quel Sebastian abbia fatto
qualcosa di buono. Immagino di averlo...valutato male.»
«Lo fanno tutti. Ma sotto gli strati di sarcasmo pungente e
apparente egoismo, si nasconde un buon amico. Forse il migliore che
abbia mai avuto. Insieme a Wes, ovviamente.»
Rachel sorrise. Non le dispiaceva più la presenza di Sebastian
nella vita di suo fratello. Lei non aveva potuto fare nulla per
aiutarlo perché non conosceva neppure il problema, non aveva
neppure immaginato cosa Blaine stesse passando. Invece Sebastian
c'era stato per lui – in un modo o nell'altro.
«Immagino che ora non potrò farmi più scappare
neppure una parola riguardo alle regionali in casa» disse Finn,
facendo alzare gli occhi al cielo a Kurt.
La sua reazione fece scoppiare a ridere tutti gli altri.
Il pensiero che di lì a qualche settimana si sarebbero
scontrati non li sfiorava nemmeno. Quella sera Blaine non era il
ragazzo del Glee avversario o un nemico da battere. Era un ragazzo
come un altro, il fratello di una loro compagna, il ragazzo di un
loro amico.
Mentre Blaine sollevava il bicchiere per brindare alle Regionali che
si avvicinavano e a “che vinca il migliore” pensò
ai suoi amici della Dalton. Pensò a Wes che gli aveva detto:
“Fa' qualcosa che lo renda orgoglioso di te. Fagli capire che
lo conosci nel profondo.”
E poi pensò a Sebastian e a come sarebbe stato fiero di lui
quando gli avesse detto che finalmente aveva conquistato il cuore del
“bel commesso GAP”.
Non vedeva l'ora di assistere alla sua reazione!
La schiuma della birra si era ormai sciolta e le goccioline della
condensa scivolavano lungo il bicchiere, bagnandogli la mano.
Tuttavia Sebastian non riusciva a distogliere gli occhi dallo
spettacolo che aveva davanti. Normalmente l'avrebbe fatto sorridere,
magari avrebbe aggiunto una battuta sagace ed una pacca sulla spalla
al suo amico. Non in quel momento. Non dopo quello che gli aveva
detto Dave.
Quello sul palco era Blaine, il suo compagno di stanza – anche
se con quella giacca di pelle e quei capelli ribelli aveva qualche
difficoltà a riconoscerlo – e quello al suo fianco era
il ragazzino per bene che aveva conosciuto al negozio GAP, il
commesso con le guance da bambino che sembrava uscito da un
sussidiario tanto era candido.
«Ora capisci di cosa parlavo?» disse Dave, al suo fianco.
«Capisco.»
«Stenti a riconoscerlo, vero?»
«Quello non è lo stesso Blaine con cui divido la stanza
da anni. È cambiato.»
«E continuerà a cambiare. Comincerà a venire qui
più spesso, studierà di meno, cambierà il suo
giro di amici.»
«E finirà per spazzare i pavimenti in un officina»
concluse. «Invece di andare al college o di frequentare una
scuola di musica al suo livello.»
«Diciamocelo, io e te – come Kurt e Blaine –
veniamo dalle parti opposte della città. Possiamo fingere di
appartenere all'altro lato per qualche ora, per un giorno, ma alla
fine torneremo sempre alle nostre origini. Kurt non lascerà
mai Lima. Ora odia questa città perché è solo,
ma so di poterlo rendere felice.»
Sebastian lo guardò scettico: «Continuando a
nasconderti?»
«Troverò il coraggio di uscire allo scoperto. Con Kurt
al mio fianco posso farcela.»
L'altro annuì. Alla fin fine non gli importava di cose ne
sarebbe stato di Dave. Gli importava solo che Blaine non finisse per
gettare via la sua vita.
«Va bene. Ti aiuterò. Dimmi cosa devo fare.»
Dave sorrise. «Tanto per cominciare, quanto spesso Blaine
lascia incustodito il suo cellulare?»
Santana salutò i ragazzi con un sorriso sulle labbra.
Le era parso strano tornare ad essere circondata da adolescenti.
Seguire le vicende di Kurt la faceva sentire ancora giovane, ma nulla
in confronto a quello che era successo quella sera.
Un pizzico di gelosia le aveva solleticato le guance nel vedere con
Finn e Kurt potessero cavarsela anche senza di lei, in fondo, poiché
avevano dei buoni amici, ma era stato solo un momento. Era stata
felice per loro. E anche per se stessa.
Non poteva negare di essersi divertita, soprattutto nel respingere le
avance del ragazzo con la cresta.
Prima di andarsene si diresse verso il bagno. Si piazzò
davanti allo specchio, osservando con una certa apprensione i propri
occhi stanchi e l'accenno di occhiaie. Aprì il rubinetto per
rinfrescarsi le mani quando, nell'angolo dello specchio, notò
il riflesso di qualcuno.
Si voltò di scatto.
C'era una ragazza bionda accucciata per terra. Quella visione le
ricordò dannatamente il momento in cui aveva trovato Kurt per
terra nel bagno degli uomini dopo la lite con Dave. Le si avvicinò
preoccupata.
«Tutto bene?»
«Mi hanno abbandonata» mormorò.
«Chi?»
«Ma come chi? I miei amici. Mi hanno dimenticata qui e se ne
sono andati senza di me.»
Santana provò a figurarsi cosa fosse successo: «Aspetta,
ma tu non eri venuta qui con gli altri ragazzi del McKinley?»
«Appunto.»
«E ti hanno dimenticata qui?»
«Già» disse. «Loro lo fanno sempre.
Dimenticarmi, intendo. È perché parlo poco e quando lo
faccio dico sempre cose stupide e quindi cerco di non parlare mai.»
«Ma dai!» provò a consolarla Santana. «Carina
come sei scommetto che metà dei ragazzi della scuola ti
seguono ad ogni passo che fai.»
La ragazza alzò lo sguardo verso di lei: «No. O meglio,
lo fanno finché non vado a letto con loro, poi mi dimenticano.
Sai, credo di essere una con cui è bello andare a letto ma
sono davvero difficile da sopportare.»
Santana si sedette al suo fianco: «Non credo che tu sia
difficile da sopportare. Anzi, mi sembri simpatica. Un po' triste in
questo momento, ma simpatica.» Le sorrise e l'altra fece
altrettanto. «Come ti chiami?»
«Brittany.»
«Io sono Santana.»
«Sei l'amica di Kurt, giusto? Lavori qui con lui. Come lui.»
Santana esitò un attimo prima di rispondere: «Sì,
normalmente non è Blaine a dare spettacolo al suo fianco.»
Brittany ridacchiò: «Sai, avrei preferito vedere te, sul
palco. Scommetto che saresti stata molto più forte.»
«Ah sì?»
«Decisamente. Si vede subito che sei una diva.»
Una diva? Santana
in quegli anni si era sentita chiamare in molto modi. Sgualdrina,
stronza, puttana, donna di facili costumi, e la lista poteva
proseguire in un escalation di offese sempre meno sopportabili. Ma in
quegli anni nessuno le
aveva mai dato della diva.
«Intendo, quando entri in una stanza richiami subito
l'attenzione su di te, quando parli ti fai ascoltare e poi hai quel
modo di mettere la mano sui fianchi e agitare l'indice...da diva,
ecco.»
«Nessuno me l'aveva mai detto» confessò.
«Nessuno mi aveva mai detto che sono simpatica. Direi che siamo
pari» disse.
«Direi di sì» sorrise. «Che ne dici ora di
alzarti da questo bagno? È piuttosto sporco e i tuoi si
staranno preoccupando.»
«Oh, dubito si siano accorti che non ci sono. Una volta ho
dormito nella cuccia del mio gatto tutta la notte perché mi
avevano chiusa fuori. Potrei semplicemente addormentarmi su un
divanetto del locale e farmi venire a prendere domani.»
«Non se ne parla! E' fuori questione che tu dorma qui»
disse Santana. La afferrò per un braccio e la fece alzare. «Ti
riporto a casa io.»
«Sul serio? Ma non sai neppure dove abito» le fece
notare.
Santana a questo non aveva pensato. Chissà, magari abitava
dalla parte opposta della città. «Non importa. Mi darai
le indicazioni strada facendo.»
Brittany la seguì sorridendo. Santana salutò la padrona
del locale e accompagnò Brittany fino alla sua macchina. Era
una vecchia automobile sgangherata e, per un secondo, si vergognò
del disordine sui sedili e della puzza di acetone.
«E' un po' sporca» si giustificò.
«E' un passaggio a casa» rispose, alzando le spalle e
sedendosi sul sedile affianco al guidatore.
Santana allacciò la cintura e accese il motore. «Mi fai
strada?»
Brittany annuì. Nonostante il buio riuscirono ad orientarsi
senza problemi e, una volta imboccata la statale, proseguirono dritte
per svariati minuti, durante i quali calò il silenzio.
«Sei gentile ad accompagnarmi. Chiunque altro mi avrebbe detto
“chiama un taxi”.»
«Per me non è un problema, non sei poi così
distante da casa mia.»
«Dove abiti?» chiese curiosa.
Santana si mordicchiò le labbra. «Hai presente Lima
Heigh?»
Brittany annuì, ma non aggiunse altro.
Santana era abituata ad altre reazioni. Di solito degli “oh”
imbarazzati o degli “accidenti, che postaccio” o a dei
silenzi intimoriti. Non certo alla tranquillità con cui
Brittany aveva recepito l'informazione.
«Non so se hai presente» aggiunse.
«Sì, più o meno» disse.
«Una volta l'inquilina sopra di me ha spinto dalla finestra il
suo fidanzato che è caduto sul mio terrazzo. Nudo» disse
Santana.
«Ma pensa! Una volta Lord Tubbington ha vomitato sulla mia
ricerca di spagnolo.»
«Chi?»
«Lord Tubbington. Il mio gatto» disse con naturalezza.
«Lui-» si interruppe. Okay, era davvero strana.
Ora capiva come potesse avere dei problemi a relazionarsi con gli
altri. Però le piaceva. Era strana e un po' matta, ma era
simpatica.
«E' un gran ciccione» aggiunse, ridacchiando. «E ha
una dipendenza da droghe che sto cercando di fargli passare.»
«Brutto affare» commentò Santana, sorridendo.
«Già.» Dopo pochi minuti Brittany indicò
una casa e disse: «Eccola, è quella.»
Santana parcheggiò l'auto davanti a casa sua. «Aspetto
qui finché non entri in casa» assicurò.
«Grazie di tutto» disse Brittany. Poi si sporse sul
sedile, schioccandole un bacio all'angolo delle labbra. «Buona
notte!»
Poi aprì la porta e sgattaiolò via. Santana rimase
basita a fissare la ragazza infilare una mano nella porticcina del
gatto e aprire la porta, per poi richiudersela alle spalle.
Si sfiorò l'angolo della bocca con le dita.
Mise in moto il motore, ma senza riuscire a scordare quella
sensazione stupenda.
Il profumo di Brittany era ancora in quell'auto.
Wes batté più volte il martelletto sul tavolo per
richiamare l'attenzione.
«Warblers, prego, un po' di attenzione. Diamo inizio alla
riunione. Per prima cosa, abbiamo valutato più volte le
proposte fatte e le audizioni di ognuno di voi e infine abbiamo
redatto da scaletta per le regionali.»
Mormorii di curiosità si diffusero fra le fila.
«L'assolo iniziale andrà a Blaine Anderson.»
Nessuna sorpresa, nessun colpo di scena. Insomma, un po' tutti se lo
aspettavano. Se era riuscito ad ottenere tutti gli assoli degli
ultimi due anni non c'era motivo per cui non riuscisse ad ottenere
anche quello.
«Per quanto riguarda il brano finale il solista sarà
Sebastian Smythe, accompagnato ovviamente da tutto il coro.»
E anche lì, nessuna sorpresa.
«E ora passiamo al secondo assolo. È stata una scelta
davvero, davvero difficile. Io, David e Thad abbiamo discusso a
lungo-»
«Arrivando quasi alle mani» aggiunse David.
«Poco elegante, ma veritiero» convenne Thad.
«-e infine» continuò Wes, seccato per
l'interruzione «abbiamo deciso di arrangiare la canzone per un
duetto, così da avere due solisti.»
L'informazione fu accolta da mormorii confusi.
«Un duetto? Ma non è un po'...rischioso?» chiese
Trent.
«In che senso?»
«Beh, siamo in Ohio e noi siamo una scuola maschile. Insomma,
se faremo cantare due maschi non rischiamo di essere penalizzati da
una possibile giuria bigotta. Senza offesa, Sebastina. E Blaine»
aggiunse. I due scossero la testa. Capivano le motivazioni di Trent.
«Ci abbiamo pensato. Ma siamo sicuri che Nick e Jeff
riusciranno a dissipare ogni indecisione da parte di qualsiasi
giuria.»
«Eh?» esclamarono i due, in sincronia perfetta.
«Credo stia dicendo che i due solisti designati siete voi»
disse Sebastian. «E personalmente, penso che se riuscirete a
mantenere una parvenza etero per la durata del brano potrebbe anche
funzionare.»
«E' una follia» protestò Jeff, scattando in piedi.
«Insomma, quello che ha detto Trent non è sbagliato.
Finiranno per penalizzarci.»
«Oppure apprezzeranno il coraggio. O comprenderanno che,
essendo una scuola maschile, non possiamo che fare duetti maschili.»
«Ma non abbiamo neppure una canzone pronta come duetto»
continuò.
«Che c'è, Jeff, non vuoi duettare con me?» chiese
Nick.
Jeff si voltò a guardarlo. Il suo sguardo era...ferito. La sua
reazione aveva ferito il suo migliore amico e la cosa che faceva più
male era che lui voleva duettare con Nick, più di ogni
altra cosa al mondo. Ma sapeva che, lì sul palco, quando le
loro voci si fossero fuse insieme e i loro sguardi si fossero
incontrati, non sarebbe più riuscito a nascondere i suoi
sentimenti. E questo avrebbe rovinato la sua amicizia con Nick, allo
stesso modo in cui, rifiutandosi di cantare con lui, lo avrebbe
ferito.
«Se ti rifiuti di cantare con lui, l'assolo va a Nick»
disse Wes. «Fa' la tua scelta, ma ricorda: prima di decidi, più
tempo avrete per lavorare alla canzone.»
Jeff tornò a sedersi, tenendo lo sguardo basso.
Le prove cominciarono. Blaine e Sebastian provarono i loro assoli,
accompagnati dalle voci perfettamente intonate dei Warblers.
Nel brano che sarebbe stato cantato da Sebastian incontrarono qualche
difficoltà nella coreografia, particolarmente complicata, ma
Wes era fiducioso: entro le Regionali sarebbero stati pronti a
battere anche le New Direction.
Le prove erano concluse e tutti si stavano dirigendo verso le proprie
camere quando Wes lasciò il proprio prezioso martelletto per
fermare Blaine prima che lasciasse la stanza.
«Aspetta un secondo» disse, afferrandolo per la spalle.
«Non è che mi devi dire qualcosa? Tipo perché
oggi sei dannatamente sorridente e perché per i corridoi
cammini guardando il telefono e ridendo ogni volta che si illumina.»
«Oh, quello» disse, non riuscendo a trattenere un
sorriso. «Penso sia perché l'ho baciato.»
Wes strabuzzò gli occhi: «Tu l'hai...?»
«Baciato.»
Wes non riuscì a trattenersi. Di solito manteneva un certo
contegno nei confronti dei suoi amici, ma quella volta era davvero
troppo e finì per abbracciarlo. «Il nostro bambino
cresce!» disse, fieri di Blaine.
«Il nostro bambino?» chiese Sebastian, avvicinandosi a
loro. «Non credevo di aver mai riconosciuto la paternità
di questo hobbit. Anche se i leggeri tratti euroasiatici porterebbero
a pensare che tu sia effettivamente la madre biologica.»
Wes storse il naso: «Era un “nostro” generico.
Plurale maiestatis.»
«Come no» commentò Sebastian, prendendo la propria
borsa e lasciando l'aula coro.
Blaine rimase sorpreso dalla sua reazione. Ovviamente quella mattina,
nel momento stesso in cui aveva visto Sebastian, gli aveva raccontato
della sera precedente.
Ma l'amico, invece che attaccarlo con qualche battutina sagace o
dichiararsi contento per lui, si era limitato a qualche frasi di
circostanza. Blaine aveva imputato quella reazione al sonno che
l'amico doveva avere – conoscendolo doveva aver passato la
notte in qualche locale a flirtare con i ragazzi più belli.
Ora però non aveva scuse. Blaine ebbe come l'impressione che
fosse seccato dalla cosa. Escluse che potesse essere geloso.
Insomma, era stato lui stesso a spingerlo letteralmente fra le
braccia di Kurt - o viceversa – o entrambi. Si scusò con
Wes e seguì il compagno di stanza lungo i corridoi.
«Sebastian, vuoi fermarti?» esclamò, afferrandolo
per il braccio.
«Cosa c'è? Le tue gambine troppo corte non riescono a
tenere il mio passo?»
«Ecco, lo vedi? Lo fai di nuovo.»
«Blaine, pensavo fossi abituato alle mie battute sull'altezza o
sui tuoi capelli o sui papillon. Insomma, è sempre stato così
fra noi.»
«No, di solito mi prendi in giro e poi sorridi e poi mi dici
“dai, non prendertela” e io non me la prendo. Invece poco
fa te ne sei andato seccato e non so neppure che cosa ho fatto per
irritarti.»
«Oh, dimenticavo il Blaine Anderson Show, dove tu sei sempre al
centro delle nostre vite!» esclamò, sbuffando.
«Seriamente, non ti è neppure passato per la mente che
possa essere irritato per qualcosa di non legato a te?»
Blaine tacque, attonito. «Quindi non sei arrabbiato con me?»
Sebastian riprese a camminare, ignorandolo. «Non sono
arrabbiato con te, va bene?» disse. Dopo un po' aggiunse: «Sono
preoccupato.»
«E per cosa? Per la prima volta la mia vita sembra avere un
dannato senso!»
Sebastian si fermò e si voltò verso di lui, guardandolo
dritto negli occhi: «Blaine, possibile che tu non te ne renda
conto? In quest'ultimo mese sei...sei diventato un'altra persona. Sei
cambiato e a volte stento a riconoscerti.»
«E non è un bene?»
«Forse. Ma non è da te distrarti in continuazione
durante le lezioni. Di solito, quando ti disturbavo, mi richiamavi
dicendomi: “stai attento”. Invece da un mese a questa
parte sei tu che non fai altro che parlare, ignorando i professori. E
quando non parli scrivi con quel dannato telefono. E passi tutti i
pomeriggi al Lima Bean o al negozio GAP.»
«Solo perché la mia vita è passata dall'essere
una noia ad essere entusiasmante non significa che debba pentirmene.
Anzi, non eri tu quello che mi diceva: goditi la vita finché
sei alle superiori.»
«Beh, le cose ora sono cambiate. Goditi la vita, ma pensa al
futuro. Dimmi, Blaine, come vanno i tuoi voti ultimamente?»
A quella domanda fu Blaine ad abbassare lo sguardo, evitando quello
dell'amico: «Sono in leggero calo.»
«Leggero calo? Blaine, hai preso una F in inglese. Una F?!
Sembrava che il tuo compito fosse stato scritto da Trent. Da Trent
ubriaco.»
«Stai esagerando» minimizzò.
Lo sguardo di Sebastian parlava chiaro.
«Va bene, hai ragione, sono stato distratto. Ma che importa un
voto in meno al diploma se ho l'occasione per essere felice?»
«Un voto in meno? Blaine, sei sicuro di arrivarci al diploma?
Perché se continui così l'anno prossimo sarai ancora
fra queste mura con questo blazer.»
«Giuro di impegnarmi a studiare» disse, abbastanza
seriamente per far tacere Sebastian. «Sto passando una fase di
transizione. La supererò, con l'aiuto tuo e di Wes. E di Kurt.
È solo una fase.»
«Mi sembri uno di quei genitori che dicono: “Mio figlio
non è gay, è solo una fase. Certo, l'ho beccato a
pomiciare con un suo amico sul tavolo della cucina, ma è solo
una fase”» disse. Sapeva quanto potente fosse la sua
ironia.
«E' diverso.»
«Dimostramelo. Dimostrami che ci tieni al tuo futuro.
Dimostrami che sei ancora il Blaine che, ad inizio anno, mi disse:
“Voglio andarmene di qui per realizzare i miei sogni”.»
«E se i miei sogni ora fossero cambiati? Se comprendessero
qualcun altro?» chiese. «Se ora i miei sogni fossero un
po' più vicini geograficamente a Lima.»
«Vicini quanto?» chiese Sebastian, già
temendo la risposta.
«N-non so. Ci sono dei buoni college in Ohio...»
Tanto bastò. Sebastian ripensò alle parole di Dave e –
anche se a malincuore – riconobbe che le sue predizioni si
stavano avverando.
«Io vado in camera nostra. A studiare. Immagino tu passerai il
pomeriggio al Lima Bean o con i tuoi nuovi amici delle New Direction,
quindi buon divertimento.»
Blaine guardò l'amico andarsene e rimase a fissare la sua
schiena sparire dietro l'angolo del corridoio.
Solo dopo pensò: I miei nuovi amici delle New Direction?
Kurt lasciò il lavoro alla solita ora. Vedere Blaine
dall'altra parte della strada e pensare: “Quello è il
mio ragazzo” gli fece accelerare il passo fino a raggiungerlo.
Non ci fu neppure un secondo di esitazione prima che le loro labbra
si incontrassero. Non si guardarono neppure intorno: probabilmente
quel loro scambio di affetto aveva scandalizzato qualche passante - o
forse neppure quello. A loro non importava più.
«Come sono andate le prove dei Warblers?» chiese Kurt,
sistemandosi meglio la cartella sulla spalla.
«Che c'è? Cerchi di carpire informazioni per le New
Direction?» chiese, scherzando.
«Sinceramente, penso che nel ruolo di spia basti Rachel»
rispose.
«Tutto bene, comunque. Le Regionali si avvicinano e hanno già
assegnati i ruoli da solisti.»
«Fammi indovinare: uno l'hai ottenuto tu, vero?»
Blaine non poté reprimere un sorriso, che Kurt interpretò
come un sì.
«E un altro dev'essere andato a Sebastian.»
Nel sentire quel nome, il ragazzo ripensò al litigio avuto
neppure un'ora prima con l'amico. La sua espressione rivelò i
suoi pensieri.
«Qualcosa non va con lui?»
«Non proprio» ammise. «Oggi abbiamo avuto una
discussione. Lui sostiene che sto cambiando, ma che lo sto facendo
troppo in fretta e che questo potrebbe essere un male.»
«Dipende in che senso stai cambiando» disse Kurt.
«Dipende che cosa stai cambiando di te.»
«Lui ha scoperto che ho preso dei voti abbastanza bassi
ultimamente.»
«Tu? Pensavo fossi una specie di...sai, secchione sexy.»
«Secchione sexy?» chiese divertito. «Diciamo che
aveva una buona media, soprattutto in Inglese. Ma ultimamente ho
cominciato a perdere colpi.»
«Fammi indovinare: da un mese a questa parte?»
«Kurt, non è assolutamente legato al fatto che ti ho
conosciuto.»
«Invece lo è, Blaine» disse. «Ascolta,
l'anno scorso anche a me è capitato di vedere i miei voti
abbassarsi. E sai quand'è successo?»
«Quando hai cominciato ad uscire con Dave?»
«Già. Tornavo a casa e mi mettevo a studiare ma poi
finivo per pensare a dove e a cosa avremmo fatto quella sera, cosa
avrei potuto indossare, cosa avrei dovuto dirgli, le solite cose,
insomma. All'inizio non ci ho dato molto peso. Poi però hanno
cominciato ad arrivare delle insufficienze e io mi vergognavo a tal
punto che non l'ho neppure detto a mio fratello. A quel punto mi sono
reso conto che dovevo recuperare perché non c'era cosa al
mondo che volessi di più che lasciare quel maledetto
istituto.»
«E alla fine ti sei diplomato» disse.
«Credimi, non c'è soddisfazione più grande che
stringere il diploma in mano e pensare: “Ce l'ho fatta”.»
«Con questo vorresti dire che devo studiare di più?»
chiese Blaine.
«Voglio dirti di pensare al tuo futuro. Possiamo stare insieme
anche senza scriverci SMS durante le ore di lezione o senza vederci
tutti i pomeriggi. Mi mancheranno i nostri pomeriggi al Lima Bean, ma
penso potrò sopravvivere vedendoti tre volte a settimana
invece che sei.»
«Mi secca costringerti ad aspettarmi.»
Kurt gli prese le mani, stringendole: «Blaine, sono stato per
mesi con un ragazzo che neppure aveva il coraggio di stringermi le
mani in pubblico. Avere questo» disse, sollevando le loro mani
«avere te per me è già abbastanza.»
Blaine sorrise, cercando nuovamente le sue labbra. «Forse
potrei riuscire a sopravvivere.»
«Guarda che terrò d'occhio i tuoi voti!» lo
avvertì, puntandogli contro il dito. «Altrimenti
scommetto che Rachel verrà a cercarmi per farmi la pelle.»
«Fidati, nell'eventualità di una mia bocciatura penso
sarei io il suo primo bersaglio» disse ridendo. «Ad ogni
modo, se ritieni che non minerà ulteriormente la mia media
scolastica, vorresti uscire con me mercoledì sera?»
«Certo che lo voglio, ma sei sicuro di riuscire a non
addormentarti giovedì mattina sul banco?»
«Rischierò. Non è proprio possibile rimandare ad
un altro giorno.»
«Ah no? E perché?» chiese Kurt, curioso.
«Ma come» rispose, accennando ad un sorriso: «pensavo
che un inguaribile romantico come te non avrebbe mai potuto
dimenticare che giorno è il quattordici febbraio.»
Kurt sussultò.
Ho un appuntamento per San Valentino?
A/N
Aiuto. Non avrei dovuto fare un Sebastian così
simpatico che ora tutte adorano. Non uccidetemi, per favore. Ci tengo a precisare che la
fanfiction avrà un lieto fine, quindi tutto si risolverà.
In compenso posso dire che il prossimo capitolo
sarà un vero concentrato di fluff. Da far vomitare arcobaleni.
Ora, non c'entra molto con la storia, ma ci
tenevo per così dire a trarre delle conclusioni.
Per molti oggi (o domani) è l'ultimo
giorno di scuola. Per me (come per molti altri) questo è stato
l'ultimo giorno di scuola della mia vita.
Non so voi, ma penso che senza Glee quest'anno
scolastico sarebbe stato molto più triste e noioso. Molti lo
definirebbero un discorso infantile, ma seguire le avventure dei
ragazzi del Glee club – in particolare di Kurt e Blaine –
mi ha aiutato ad andare avanti, ad affrontare più serenamente
l'idea del futuro che incombe, dei possibili insuccessi, degli amici
che se ne vanno e dell'amore che a volte fa male.
Anche scrivere
A Lima Side Story mi
ha aiutato e in particolare leggere le vostre recensioni o i vostri
messaggi.
È un po' come se quest'anno scolastico
l'avessi passato un po' anche con voi.
Quindi grazie per esserci state!
Scusate la parentesi, sono una inguaribile
sentimentale...
Buona vacanze a tutte/i e in bocca al lupo per
gli esami (scolastici, universitari, musicali...)
Al prossimo capitolo!
yu_gin
coming next
Kurt si immerse nel proprio armadio, sfiorando con le dita i vestiti
e ripensando alle occasioni in cui li aveva indossati, finché
fra scorse fra gli altri abiti un completo a lui molto familiare che
ricordava di aver indossato esattamente un anno prima.
Quando aveva detto che quello era il suo primo San Valentino da
impegnato aveva mentito. Non una bugia poi così grave, visto
che di quel San Valentino non aveva potuto parlare con nessuno.
Era passato un anno ma non aveva ancora dimenticato.
//////////////////////////////////////////////////////////
Blaine finì di vestirsi e si abbottonò le maniche della
camicia con le dita tremanti.
Kurt era arrivato. Il suo ragazzo in quel momento lo stava aspettando
nella sala comune della sua scuola, vestito di tutto punto per uscire
con lui per il loro primo San Valentino. Ed era anche arrivato in
anticipo! Come se non avesse potuto aspettare, come se anche lui non
vedesse l'ora.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** be my valentine ***
A Lima Side
Story
Capitolo 16: be my Valentine
Quando Finn passò davanti alla stanza di Kurt non si stupì
di trovarlo in piena crisi isterica, giunta al punto in cui suo
fratello si lasciava cadere sul letto biascicando che non aveva
niente da mettersi.
«Kurt, tutto bene?»
«A meraviglia» grugnì.
«Hai un appuntamento per San Valentino?»
Kurt si sollevò dal letto: «Per la prima volta in vita
mia non sono single a San Valentino e ho un appuntamento e se
sbaglierò outfit non me lo perdonerò per il resto della
mia vita e sarà un disastro e lui se ne andrà con il
cameriere e-»
«Kurt, calmati. Non dirmi che sei rimasto a decidere come
vestirti per un'ora!»
«Non essere ridicolo Finn.»
Ho cominciato a pensare a come vestirmi più o meno lunedì.
«Perché non ti vesti come alla cena con Schuester? Alla
Pillsbury il tuo completo piaceva molto.»
Kurt lo fulminò con lo sguardo: «Sì, così
mi torneranno in mente i brutti ricordi di quella sera.»
E del funerale, aggiunse
mentalmente.
«Pensavo avresti seguito il principio del “ora che ti ho
preso posso anche lasciarmi andare”.»
«Bel principio, Finn. Dovresti scrivere un manuale.»
«Va bene, ti lascio solo» disse, allontanandosi prima che
Kurt passasse alla fase in cui gli lanciava dietro un attaccapanni.
Kurt si immerse nel proprio armadio, sfiorando con le dita i vestiti
e ripensando alle occasioni in cui li aveva indossati, finché
fra scorse fra gli altri abiti un completo a lui molto familiare che
ricordava di aver indossato esattamente un anno prima.
Quando aveva detto che quello era il suo primo San Valentino da
impegnato aveva mentito. Non una bugia poi così grave, visto
che di quel San Valentino non aveva potuto parlare con nessuno.
Era passato un anno ma non aveva ancora dimenticato.
Lo spintone lo colse impreparato.
Kurt non era ci era più abituato, da quando, grazie al
tacito aiuto di Karofsky, Azimio e gli altri giocatori di football
avevano cominciato a lasciarlo in pace. Per questo l'impatto con gli
armadietti fece più male.
Quando alzò lo sguardo da terra incontrò gli occhi
di Azimio.
«Ehi, fatina, con chi passerai San Valentino?» chiese.
Kurt scosse la testa senza sapere cosa rispondere. In quel momento
Dave attraversò il corridoio e, vedendo la scena, si avvicinò
ad Azimio dicendo:
«Dai, andiamo» e cercando di portarlo via.
«Con nessuno immagino» continuò. «Grazie
a Dio non ci sono altri come te in questa scuola» disse, mentre
Dave lo aveva ormai spinto oltre l'angolo del corridoio.
Poco dopo il cellulare di Kurt si illuminò.
9.36
Azimio ha ricevuto un bidone dalla tipa che gli piaceva ed aveva solo
voglia di prendersela con qualcuno. Scusa, dovevo prevedere che
saresti stato il suo bersaglio.
Kurt nel leggere il messaggio si lasciò sfuggire un
sorriso. In parte per quello scusa veloce, che doveva essere costato
molto a Dave. In parte per il pensiero che Azimio sarebbe stato solo
a San Valentino, mentre lui era impegnato.
Beh, impegnato era una parola grossa. Certo, stava insieme a Dave
– più o meno – ma non gli aveva proposto nulla per
San Valentino.
Era il suo primo San Valentino non da single. Il suo primo vero
San Valentino e probabilmente avrebbe passato la serata a casa con
suo fratello a guardare la televisione e mangiare patatine –
rigorosamente light.
All'improvviso sentì che quella prospettiva non gli andava
bene.
Così prese il coraggio a due mani e scrisse un messaggio a
Dave.
9:41
Ti va di fare qualcosa sta sera? In fondo è San Valentino.
Attese trepidante, mordicchiandosi le labbra. Si aspettava già
un cortese rifiuto come “scusa, devo studiare” o
“facciamo un'altra volta”. Dave non era uno romantico.
Probabilmente se non fosse stato per la mandria di ragazze
scalpitanti e i palloncini a forma di cuore appesi agli angoli dei
corridoi neppure si sarebbe ricordato della festività.
Sobbalzò appena vide lo schermo illuminarsi.
9.44
Apri il tuo armadietto.
Kurt eseguì, sempre più curioso. Prendendo il
lucchetto in mano si accorse che doveva essere stato forzato con
qualcosa di simile ad una pinza da meccanico.
Decisamente da te, Dave,
pensò, sorridendo.
Non appena spalancò lo sportello un foglietto cadde dal
ripiano e Kurt fu svelto ad afferrarlo al volo prima che potesse
toccare terra.
Era un semplice foglietto di carta bianca con scritto: be my
valentine.
9.45
Allora?
9.46
Hai scassinato il mio armadietto?
9.46
Kurt.
9.47
Sì. Decisamente sì.
Nonostante il breve scambio di parole, si capirono perfettamente.
9.50
Passo a prenderti questa sera alle sette e mezza.
Kurt sorrise. Mise il biglietto nel taschino della giacca, giusto
vicino al cuore, perché in quel momento era lì che lo
sentiva.
Finn sapeva quando era il momento di stare lontano da Kurt. Per la
precisione, il momento in cui decideva come vestirsi era
probabilmente il più delicato della giornata.
«Hai un appuntamento per San Valentino?» chiese.
«Assolutamente no» rispose Kurt, afferrando
compulsivamente la giacca che intendeva indossare.
«E infatti ti stai vestendo elegantemente per passare la
serata sul divano a guardare musical e mangiare patatine light.»
Beccato.
«Esco con Mercedes e le altre. Serata single. Non c'è
bisogno di un valido motivo per vestirsi bene» aggiunse.
«Come vuoi» rispose, poco convinto. «Un giorno
mi dirai con chi ti vedi?»
«Con nessuno!»
«Kurt...»
Il ragazzo si morse il labbro. Come avrebbe voluto dire tutto a
suo fratello, dirgli di come fosse tutto nuovo per lui, di come gli
avesse battuto forte il cuore nel leggere quel semplice biglietto che
ora teneva sul comodino, sotto il libro che stava leggendo.
«Senti, lo so che fra noi non eravamo soliti parlare molto.
Non siamo mai stati di quei fratelli che si siedono sul letto e si
raccontano la propria giornata. Però mi piacerebbe sapere a
chi imputare la colpa o il merito quando ti vedo tornare a casa un
giorno raggiante e l'altro desolato.»
Kurt aprì bocca per parlare. Voleva fare un discorso
coerente ma gli uscì solo un: «C'è qualcuno.»
«E' un ragazzo del McKinley?» azzardò.
«Sì, lo è. Ma è come se non lo fosse»
disse.
«Non dirmi che marina la scuola tutti i giorni. Aspetta, è
uno del Glee?»
«No» disse, sorridendo al ricordo della cotta
stratosferica che si era preso per Sam. «Non è nel Glee.
A dire la verità, dubito che sia capace a cantare. Volevo dire
che a scuola non riusciamo neppure a parlarci.»
«Non ha detto a nessuno di essere gay?»
«Visto come vengo trattato io non lo posso biasimare. Lui è
abbastanza fortunato: può benissimo passare per etero. Non ci
facciamo vedere insieme al McKinley, ma in fondo preferisco anch'io
così. Se Azimio ci vedesse insieme non la smetterebbe di
tormentarmi.»
Finn capì subito che Kurt non “preferiva così”
e che avrebbe sopportato i bulli – come peraltro già
faceva – per poter camminare per i corridoi della scuola mano
nella mano con la persona che amava.
«In fondo manca poco alla fine della scuola» disse.
«Dopo sarà tutto più semplice.»
Finn annuì: «Mi dirai prima o poi di chi si tratta?»
Kurt pensò alla possibile reazione di Finn se gli avesse
detto che usciva con Karofsky, lo stesso Karofsky che aveva reso loro
la vita un inferno.
«Se diventerà davvero importante per me te lo dirò.»
Finn annuì, lasciandolo solo.
Kurt prese i vestiti dall'armadio e – dopo aver affondato la
testa in essi e annusato l'odore di mogano ed ammorbidente –
richiuse le ante e si vestì.
Non appena ricevette il messaggio da Dave, salutò Finn e,
prima che questo avesse il tempo di chiedere qualsiasi cosa, si
chiuse la porta dietro e corse giù per le scale. Si guardò
intorno finché non vide l'auto di Dave parcheggiata poco
lontano e lo raggiunse.
Aprì lo sportello e saltò su.
Nel vedere Dave vestito meglio del solito – insomma, senza
la solita giacca da atleta – sorrise, allungando il collo per
baciarlo. L'altro ricambiò, accarezzandogli la guancia.
«Sei bellissimo» disse Dave, guardandolo.
«Anche tu.»
Andarono in un locale abbastanza lontano dalla scuola e
scarsamente frequentato da studenti, di modo da essere sicuri di non
trovare nessuno. E infatti la maggior parte dei presenti erano gruppi
di donne intente a chiacchierare con le amiche o vecchie coppie che
mangiavano in tranquillità. Nessuno sembrava badare a loro o
al fatto che fossero due ragazzi. Il loro tavolo era piuttosto
lontano dall'entrata così poterono evitare il via vai di
camerieri e clienti.
Ordinarono la cena e finalmente ebbero modo di stare da soli,
senza il frastuono della musica o gli sguardi curiosi dei compagni di
scuola. Solo loro due.
Ebbero modo di parlare e di scherzare fra loro. Parlarono della
scuola, del diploma che si avvicinava, di cosa avrebbero fatto dopo.
Di cosa ne sarebbe stato di loro
e di quello che avevano dopo il diploma.
«Pensi mai ad andartene da Lima?» chiese Kurt.
«A volte. Lasciare questo posto mi spaventa: sono nato e
cresciuto qua, è un po' come se gli appartenessi» disse,
alzando le spalle. «Tu?»
«Ci penso ogni giorno: a come sarebbe bello andarmene da
qui, a quanto mi piacerebbe non dover più sopportare Azimio e
quelli come lui e cominciare una nuova vita. È come se
appartenessi ad un luogo dove non sono mai stato. Dove non sono
ancora stato»
precisò. «Ma sì, penso anch'io che finirò
qui i miei giorni» concluse. Da come aveva abbassato lo
sguardo, Dave capì quanto pesasse a Kurt dover rimanere in
quel luogo.
«Almeno adesso non sei solo» disse, andando a
sfiorargli la mano.
«No» sorrise «Ora è molto più
facile.»
In quel momento il cellulare di Dave si illuminò e il
ragazzo lo controllò distrattamente. Non appena lesse il
messaggio strabuzzò gli occhi.
«Che c'è?» chiese Kurt preoccupato.
«Azimio, Patterson,
Stewart e gli altri mi hanno chiesto se voglio raggiungerli ad
una cena per sfottere le coppiette innamorate.»
«E dov'è il problema? Di' loro che non puoi venire.»
«Kurt, stanno venendo qui!» disse. Si alzò di
scatto, facendo sobbalzare l'altro ragazzo.
«Okay, stai calmo. Se vuoi chiediamo il conto e ce ne-»
Non fece in tempo a concludere la frase che la porta del locale si
aprì e – con grande clamore – vide i giocatori di
football di sua conoscenza fare la loro entrata. Si voltò
verso Dave ma questo era sparito, presumibilmente in bagno.
Kurt cercò di sprofondare il più possibile sulla
sedia e tenne la testa china sul piatto, fingendo di mangiare.
Fingendo, perché in quel momento il suo stomaco era annodato
come le cuffiette di un iPod.
Il suo cuore cominciò a martellargli nel petto quando sentì
il rumore di passi avvicinarsi a lui, ma non rialzò la testa
finché non sentì una voce familiare pronunciare il suo
nome:
«Hummel: appuntamento galante?»
«Già, dov'è l'altra fatina?» incalzò
un altro.
Kurt sollevò il volto dal piatto e li guardò in
faccia.
«Sono qui con una mia amica» inventò.
«Con la tua amica immaginaria?» lo canzonò
Azimio. «Chi vuoi prendere in giro? Avanti, dov'è il tuo
ragazzo, Hummel?»
«Secondo me si è nascosto in bagno» propose
uno, ridendo.
Kurt sussultò, ma riuscì a non darlo a notare. Se
fossero andati in bagno avrebbero di sicuro trovato Dave e avrebbero
fatto due più due – per quanto un calcolo così
semplice, per dei Neanderthal come loro, doveva sembrare pari alla
difficoltà di un integrale improprio.
Così disse l'unica cosa che avrebbe potuto salvare l'altro.
«Lui se n'è andato. Abbiamo... abbiamo litigato»
disse. Non osò guardare le reazioni degli altri, ma poté
udirle.
«Ti ha scaricato? Beh, come dargli torno, anche ad un altro
finocchio deve dare fastidio la tua inguaribile faccia da checca.»
Le risate lo ferirono al cuore come una pioggia di spilli.
Avrebbe voluto gridare loro in faccia che non era stato scaricato
e che – al contrario loro – aveva avuto un appuntamento
per San Valentino, ma poi ripensò a come Dave, sopraffatto
dalla paura, l'avesse lasciato lì, ad affrontare i suoi
amici. E questo era quasi più triste.
«Andatevene, per favore» sibilò, tenendo lo
sguardo basso e sentendo le lacrime pungergli gli occhi.
«Ma se siamo appena arrivati?» rise uno. «E poi
sei tutto solo, potremmo farti compagnia. Ci divertiremo un mondo.»
«Penso vi abbia detto di andarvene» disse una donna,
che Kurt riconobbe come la proprietaria del locale.
«Mi scusi? Noi siamo qui per divertirci» disse Azimio.
«Beh, non mi sembra che lui
si stia divertendo» disse, indicando Kurt. «E non si
stanno divertendo neppure gli altri clienti che vorrebbero solo
passare una serata in tranquillità» aggiunse, indicando
tutti coloro che si erano voltati a guardarli infastiditi.
«Ci sta cacciando?» chiese stupito.
«Ci puoi giurare» confermò quella. Il suo
atteggiamento risoluto e la sua voce ferma fecero desistere i bulli
che, dopo aver imprecato sommessamente, se ne andarono com'erano
venuti, dicendo che quel posto era un mortorio e che sarebbero andati
da un'altra parte.
Solo allora Kurt sollevò gli occhi verso la donna: «Grazie»
mormorò.
«Di nulla. È stato un piacere mettere in riga quelli
lì» disse, strizzando l'occhio. «Penso che tu
possa dire al tuo cavaliere di tornare a tavola.»
Kurt annuì e gli mandò un messaggio col cellulare.
Poco dopo Dave riemerse dal bagno a testa bassa. Tornò a
sedersi senza dire una parola.
«Ho rovinato tutto» sospirò.
«Non tu. Quelli hanno rovinato la serata, non tu»
disse, senza troppa convinzione. Cominciava a sentire del
risentimento nei suoi confronti. Cercò di cacciare via i
pensieri cattivi, ma fallì e si limitò a tacere.
Finirono di mangiare in silenzio, poi pagarono – facendo a
metà del conto, nonostante le insistenze di Dave – e
raggiunsero la macchina.
Dave riaccompagnò Kurt a casa e, prima che scendesse
dall'auto, disse:
«Le cose andranno meglio. L'anno prossimo ti prometto che
avrai un San Valentino coi fiocchi» disse.
Kurt gli sorrise: «Mi piacerebbe molto.»
Blaine finì di vestirsi e si abbottonò le maniche della
camicia con le dita tremanti. Normalmente avrebbe chiesto a Sebastian
di dargli una mano, ma dal giorno del loro piccolo litigio in
corridoio il suo compagno di stanza gli era sembrato più
distante e chiedergli un qualsiasi favore lo metteva a disagio.
Sentì il cellulare vibrare sul tavolo della scrivania. Lesse
distrattamente il messaggio.
19:22
Sono arrivato un po' in anticipo.
Blaine sorrise e, lasciando il papillon non ancora annodato, gli
rispose:
19:23
Puoi aspettarmi nella sala comune, se vuoi, anche perché
fuori deve fare un bel freddo.
Kurt era arrivato. Il suo ragazzo in quel momento lo stava aspettando
nella sala comune della sua scuola, vestito di tutto punto per uscire
con lui per il loro primo San Valentino. Ed era anche arrivato in
anticipo! Come se non avesse potuto aspettare, come se anche lui non
vedesse l'ora.
Infilò il telefono in tasca ed uscì dalla propria
camera.
I divanetti della Dalton erano la cosa più scomoda su cui Kurt
si fosse mai seduto. Probabilmente a renderli così scomodi era
il fatto che in quel momento cinque ragazzi lo stavano squadrando
senza dire una parola.
Kurt cominciò a chiedersi seriamente se aveva qualcosa in
faccia o una mega macchia sulla maglietta – controllò
per sicurezza.
Dopo qualche minuto di totale silenzio, uno di loro – un
ragazzo dai tratti asiatici – aprì bocca per chiedergli:
«Sei uno nuovo?»
«Emh...» biascicò Kurt. «No, io sto... sto
aspettando Blaine.»
Due dei cinque ragazzi emisero esclamazioni di gioia, dandosi il
cinque a vicenda. Il più alto dei cinque – un ragazzo di
colore dal sorriso simpatico – si sedette affianco a lui:
«Tu devi essere Kurt! E' una settimana che sentiamo parlare di
te.»
Il ragazzo che aveva parlato per primo continuò: «Blaine
sembra una radiolina rotta. Non fa che dire quanto tu sia
fantasmagorico, quanto i tuoi capelli siano perfetti, quanto tu
sia perfetto... cominciavamo a credere che non esistessi neppure.»
Kurt si mordicchiò il labbro arrossendo.
L'altro non gli lasciò il tempo di rispondere: «Ci ha
detto anche che sei un controtenore e che hai cantato alle nazionali.
È vero? Eri nel coro del McKinley, se non sbaglio. Non è
che ti uniresti ai Warblers?»
Kurt sorrise al non così velato tentativo di “infilargli
un blazer addosso”. Blaine l'aveva avvisato.
«Wes, smettila di fargli pressione» disse un ragazzo dai
capelli neri. «Scusalo, le Regionali sono la settimana prossima
e Wes è sul punto di una crisi nevrotica. Io sono Nick e lui è
il mio compagno di stanza, Jeff» disse, indicando il ragazzo
biondo, che rispose con un cenno della mano. «Loro invece sono
David e Thad» concluse, indicando i due rimanenti.
«Siete tutti nel Glee club?» chiese Kurt.
«Tutti Warblers» confermò orgogliosamente Thad.
«Blaine mi parla spesso di voi. Sarà una bella sfida fra
voi e le New Direction.»
«Non temiamo il confronto» disse Thad. «Certo la
sorella di Blaine e lo spilungone nuovo sono bravi ma-» Una
gomitata da David lo bloccò. «Che c'è?»
«Credo volesse ricordarti che lo spilungone – Finn –
è mio fratello» disse Kurt, ridendo. Improvvisamente il
divanetto non era più così scomodo. Quei ragazzi erano
simpatici. Certo, un po' strani, ma dopo quattro anni nel Glee del
McKinley era abituato a ben altri livelli di stranezza.
Devono essere dei buoni amici, per Blaine,
pensò, sollevato al pensiero che non fosse solo.
In quel momento Sebastian attraversò l'aula comune e, nel
vedere Kurt, si irrigidì.
«Ciao, Sebastian!» esclamò «Ti devo ancora
ringraziare per-»
«Ciao, Kurt» disse, prima di sparire. La sua reazione
lasciò Kurt perplesso, ma ogni pensiero al suo riguardo fu
spazzato via perché un secondo dopo vide Blaine entrare
nell'aula comune. Indossava un completo nero ed una camicia bianca,
semplici ma eleganti. Al collo aveva l'immancabile papillon.
«Ma come siamo eleganti» ridacchiò Wes.
Blaine si avvicinò, grattandosi la testa imbarazzato. «Ciao.»
Kurt lo fissò, cercando di non lasciare cadere la mascella. Si
alzò dal divanetto e si avvicinò a lui. «Ciao.»
Ancora titubante, sollevò la testa e fece sfiorare le loro
labbra in un bacio leggero – abbastanza per far emettere ai
Warblers presenti dei gridolini di gioia decisamente inappropriati.
«Noi andiamo» disse.
«Ricorda il coprifuoco» gli gridò Thad, quando
ormai Blaine aveva lasciato l'aula comune.
«Non hanno provato a tirarti dentro al coro, vero?»
chiese apprensivo.
«Solo un pochino» disse Kurt, sorridendo. «Sono
simpatici. Sembrano dei buoni amici.»
«Lo sono.»
Quando entrarono nel locale, Kurt non poté fare a meno di
spalancare gli occhi. I muri rossi del bar del loro primo
appuntamento erano coperti di palloncini a forma di cuore e
decorazioni a tema. I tavolini erano quasi tutti occupati da
coppiette che – come loro – volevano solo passare San
Valentino con la persona che amavano.
«E' stupendo» boccheggiò, senza parole. «Ed
è... pieno! Sei sicuro che troveremo posto?»
«Stai tranquillo, ho i miei agganci» disse. Un cameriere
li accompagnò al loro tavolo e si sedettero, cominciando a
spulciare i menù, spiandosi al di sopra di essi.
Entrambi sembravano nervosi.
Alla fine, Blaine posò il menù e, sistemandosi il
colletto della camicia – visibilmente a disagio – ammise:
«E' il mio primo – sì, insomma, il mio primo
appuntamento di San Valentino.»
«In un certo senso, lo è anche per me» disse,
sentendosi sollevato da quella confessione.
«Pensavo che l'anno scorso, dal momento che eri insieme a-»
«L'anno scorso non è andato tutto esattamente bene»
sospirò «ma quest'anno sarà diverso. Quest'anno
sarà fantastico. È già fantastico: questo posto,
la musica di sottofondo» disse, facendo un cenno alla band che,
in quel momento, stava esibendosi su un piccolo palco al centro della
sala. «Tu: tu sei fantastico.»
«Detto da uno che in nemmeno cinque minuti ha conquistato il
cuore dei miei amici» disse, ridendo.
«Partivo avvantaggiato. Un usignolo mi ha detto che qualcuno ha
parlato molto negli ultimi giorni.»
Blaine arrossì fino alla punta dei capelli: «Non posso
credere che te l'abbiano detto» esclamò.
«Perché? È una cosa... carina.»
«Trovi?»
«Assolutamente. È bello dover vivere senza segreti.
Sembra tutto più reale, quando lo condividi con che ti sta
vicino.»
Blaine annuì: capiva perfettamente le parole di Kurt e capiva
anche a cosa – a chi si riferisse, mentre per lui
assumevano un altro significato. Finalmente era innamorato e niente
al mondo avrebbe potuto privarlo del piacere di condividere aneddoti
e racconti con i suoi amici di sempre.
Mangiarono chiacchierando del più e del meno, finché
Blaine non si scusò e disse di dover andare al bagno.
Kurt ne approfittò per prendere il cellulare. Aveva un
messaggio.
20.59
Allora? Come sta andando questo San Valentino?
Sorrise nel vedere il nome di Mercedes sul display. Un tempo erano
stati inseparabili e non avevano segreti l'uno per l'altra. Ora le
cose erano cambiate, ma a Kurt piaceva l'idea di averla ritrovata.
21.00
Ho paura di aprire gli occhi e scoprire che è tutto un
sogno. Tu?
21.02
Sam mi ha portata al Bel Grissino. Sta andando tutto alla grande.
Sta tornando. Ci sentiamo sta sera.
Kurt ripose il cellulare in tasca e si guardò intorno,
aspettando il ritorno di Blaine. Ci stava mettendo un eternità!
Cominciò ad immaginarsi uno scenario in cui Blaine sedeva
annoiato sul gabinetto del locale e pensava a quanto noiosa era
quella serata. Si agitò senza motivo e dovette ripetersi più
volte di calmarsi.
Sta andando tutto bene Kurt. Blaine non ti sta evitando. È
che un minuto senza di lui ti sembra un ora, ma scommetto che non è
via da tanto.
In quel momento il gruppo terminò la canzone che stavano
eseguendo e la cantante si avvicinò al microfono.
«Buonasera a tutti. Per prima cosa, vogliamo ringraziarvi per
aver passato con noi la serata. Speriamo apprezzerete un piccolo
cambio di programma» disse, sorridendo ed ammiccando ai clienti
del locale, la cui attenzione era rivolta a lei. «Abbiamo un
ospite speciale questa sera che vorrebbe dedicare una canzone alla
persona con cui è venuto qui questa sera. Quindi, fate un
bell'applauso a questo coraggioso giovanotto.»
La donna si fece indietro e lasciò che un'altra persona
occupasse il suo posto. Una persona che Kurt riconobbe come il suo
ragazzo.
«Buon San Valentino a tutti gli innamorati qui presenti»
disse, rivolto al pubblico. Poi il suo sguardo si rivolse a Kurt. I
loro occhi si incontrarono, come se fra loro non ci fosse nulla, non
i tavolini, non gli estranei, non il tintinnio delle forchette sui
piatti. Solo loro due.
«Questa è per te.»
I musicisti cominciarono a suonare l'introduzione.
Blaine era così agitato che temeva di svenire da un momento
all'altro. Si aggrappò al microfono e cercò ancora una
volta Kurt fra i tavolini. Incontrato il suo sguardo, non ebbe più
paura.
I text a postcard, sent to you Did it go through? Sending
all my love to you You are the moonlight of my life every
night Giving all my love to you
Le attenzioni erano tutte per lui. La gente smise di mangiare e di
fare rumore: tutti si voltarono per vedere chi stesse cantando e
cercavano di seguire la linea dei suoi occhi fino a capire chi fosse
la fortunata destinataria della canzone.
My beating heart belongs to you I walked for miles ’til I
found you I’m here to honor you If I lose everything in
the fire I’m sending all my love to you
Kurt non ci poteva credere. Nessuno gli aveva mai cantato una canzone
d'amore. Era stato nel Glee club per quattro anni e di canzoni
sdolcinate ne aveva sentite tante, e tante ne aveva cantate.
Ma mai aveva saputo cosa si provasse a sentirsi dedicare una canzone.
Certe persone – pensò – quando cantano mostrano se
stesse. Blaine era evidentemente una di quelle, perché mai
come in quel momento gli sembrava di vedere il ragazzo di cui si era
innamorato.
With every breath that I am worth Here on Earth I’m
sending all my love to you So if you dare to second guess You
can rest assure That all my love’s for you
Ormai in molti dovevano aver capito che la persona a cui era dedicata
la canzone era il ragazzo con gli occhi lucidi che sedeva solo ad un
tavolo e guardava con occhi fissi il cantante. E forse qualcuno si
era anche voltato scandalizzato o offeso dal fatto che fossero due
ragazzi, ma la maggior parte dei presenti vide solo due persone che
si amavano.
My beating heart belongs to you I walked for miles ’til I
found you I’m here to honor you If I lose everything in
the fire I’m sending all my love to you
Blaine pensava con tutto il cuore le parole che cantava.
Se anche i suoi avessero scoperto la loro relazione, se anche
l'avessero cacciato di casa, diseredato, rinnegato... se tutto fosse
finito nel fuoco, lui non sarebbe tornato indietro.
Per la prima volta in vita sua sentiva di avere qualcosa di bello.
Il sapore delle sue labbra era come lo ricordava. La sua schiena era
premuta contro l'automobile e – dal momento che erano in un
parcheggio pubblico – c'erano buone probabilità che
qualcuno passasse di lì e li vedesse. Non gli importava. Non
ci aveva neppure pensato, troppo preso dall'assaporare le labbra di
Blaine.
Gli cinse il collo con le braccia e quando sentì Blaine
circondargli i fianchi e stringerlo a sé provò un
brivido, ma non di paura. Provò un brivido perché si
rese conto che non era un sogno: era tutto meravigliosamente vero.
«C-che ore sono?» balbettò Kurt, cercando di
riprendere fiato.
«Sono le undici e mezza.»
«Cenerentola deve tornare al castello prima che la carrozza si
trasformi in zucca.»
Blaine sbuffò: «Maledetto il dormitorio e i suoi orari»
borbottò, facendo sorridere l'altro. «Un ultimo bacio.»
Kurt non poté dire di no. Cercò la sua bocca,
divertendosi a mordicchiare il labbro inferiore e passandogli una
mano fra i capelli che ormai neppure il gel riusciva più a
domare. Poi sentì Blaine scendere fino a baciargli il profilo
del mento e poi l'incavo del collo.
Mio Dio. Che altro gli avrà insegnato Sebastian?,
pensò.
Scacciò via ogni pensiero al riguardo, perché sapeva a
cosa avrebbero portato certe immagini che non aspettavano che di
affollargli la mente.
Il loro bacio fu interrotto dal rumore di passi vicino a loro. La
macchina più vicina alla loro distava qualche metro, quindi
non potevano essere accusati di dare fastidio a qualcuno. Tuttavia
Kurt sentì la fastidiosa sensazione di avere gli occhi di
qualcuno addosso.
Guardò oltre la spalla di Blaine per vedere chi fossero i
seccatori. Nel riconoscere il ragazzo che aveva di fronte si
irrigidì.
Anche l'altro – che in quel momento lo stava fissando –
sembrò riconoscerlo, perché esclamò stupito:
«Hummel?»
Kurt ne fu certo: quello davanti a lui era Azimio.
«Che diavolo ci fai qui, vicino alla mia macchina?» La
ragazza che era con lui rimase in disparte.
«Io, veramente-» balbettò.
All'improvviso tutti i brutti ricordi dell'anno precedente ebbero il
sopravvento e si ritrovò ad essere di nuovo il ragazzino
spaventato dai bulli. L'anno scorso lui e i suoi amici gli avevano
rovinato il giorno che aveva tanto atteso.
Ma quell'anno sarebbe stato diverso. Quell'anno – l'aveva
promesso a se stesso – sarebbe stato bellissimo.
«Veramente sono vicino alla
mia macchina e sto
baciando il mio ragazzo.»
Blaine guardò confuso Azimio, senza sapere chi diavolo fosse.
«Vedo che non sei cambiato in quest'anno, Hummel: sei sempre la
solita checca.»
«Anche tu non ha fatto progressi. Potrai anche avere un
attestato di diploma in camera ma rimarrai sempre il pallone gonfiato
dal cervello ristretto che ha sprecato i suoi anni delle superiori a
rendere la mia vita un inferno invece che essere felice.»
L'altro fece alcuni passi nella loro direzione con fare minaccioso, e
Kurt tremò per un istante, ricordando il numero di volte che
era stato sbattuto contro l'armadietto o gettato nel bidone dei
rifiuti.
Quella volta no, però. Non aveva paura. Era cresciuto.
«Non mi fai paura, Azimio. Al liceo eri qualcuno, a scuola
avevi un nome ed una reputazione che ti precedeva e faceva sì
che tutti ti temessero. Ora invece per me sei solo un brutto
ricordo.»
«Stai attento.»
«James!» La ragazza, che fino a quel momento era rimasta
in disparte, si fece avanti e afferrò Azimio per il braccio.
«Per favore, lasciali stare e andiamo a casa.»
Il ragazzo guardò Kurt negli occhi, senza riuscire a fargli
abbassare la testa. Poi si voltò verso la fidanzata. «Va
bene.»
Si voltò senza aggiungere altro e salì in macchina. Non
appena il rumore del motore si spense in lontananza, Kurt sospirò,
appoggiandosi contro il cofano della sua auto.
«Vecchie conoscenze?»
«Vecchi incubi» lo corresse. «Pensavo di essermene
liberato per sempre. Tendo a dimenticare quanto sia piccola Lima.»
«Sei stato coraggioso ad affrontarlo. Aveva un'aria
minacciosa.»
Kurt alzò le spalle: «Penso
che quelli come lui siano tutto fumo e niente arrosto. Non mi odia
davvero. Odia il fatto che non è
riuscito a piegarmi alle superiori e che non riuscirà a farlo
mai. Odia il fatto che gente come me gli ricorda ogni giorno quanto
sia bello essere se stessi e quanto sia triste rinnegarsi –
come fa lui. È bravo a gridare volgarità, ma non penso
arriverebbe mai alle mani. Non seriamente.»
Blaine sorrise, passandogli un braccio attorno ai fianchi e
stringendolo a sé ancora una volta.
«L'anno scorso lui e i suoi amici mi hanno rovinato San
Valentino. Non potevo permettere che mi rovinassero anche questo.»
In macchina, durante il viaggio fino alla Dalton, non parlarono
molto. Erano stanchi e quella sera si erano già detti tutto.
Nel vedere Blaine salutarlo e oltrepassare il portone della vecchia
scuola, Kurt sentì una morsa al cuore e portò una mano
al petto.
Il cuore gli batteva fortissimo e sentiva le lacrime pungergli gli
occhi.
E ora cosa fai, stupido, piangi di gioia?
Quell'anno era stato un San Valentino perfetto.
A/N
Eccomi qua! Le vacanze sono cominciate ma
niente paura, almeno fino a luglio dovrei riuscire a pubblicare senza
interruzioni (anzi, verso la fine gli aggiornamenti potrebbero farsi
più frequenti.)
Questo capitolo non era previsto nella scaletta
originale, ma mi sono resa conto che in questa storia mancava del
fluff e visto che non ho potuto mettere del fluff natalizio (visto
che la storia comincia più o meno in gennaio) ho pensato di
mettere del fluff “valentinesco”.
E poi non ho saputo resistere alla tentazione
dei Warblers fangirl.
Alcune precisazioni.
I nomi degli atleti nominati da Karofsky sono
tutti beatamente inventati (ad esclusione ovviamente di Azimio).
Per quanto riguarda il nome di Azimio, ho
setacciato wiki-glee alla ricerca del suo nome, invano, e ho scoperto
che all'inizio il suo personaggio si doveva chiamare James qualcosa.
Se vi risulta diversamente fatemi sapere.
Infine la canzone cantata da Blaine è
“Last Night on Earth” dei Green Day (che sono la mia band
preferita e chi quindi non ho resistito ad infilare nella
fanfiction).
E questo è tutto. Fatemi sapere cosa ne
pensate!
A venerdì!
yu_gin
coming next
Come al solito Blaine aveva lasciato il cellulare sul letto. Sbloccò
la tastiera e aprì la rubrica, scorrendo finché non
trovò il numero che gli serviva.
Si fermò un istante per pensare a quello che stava facendo.
Un giorno mi ringrazierai, Blaine,
pensò.
Poi prese il numero di Kurt e lo cancellò dai contatti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** talk to me ***
A Lima Side
Story
Capitolo
17: talk to me
Blaine rientrò silenziosamente nella propria stanza tenendo le
scarpe in mano per paura di svegliare il compagno. Precauzione
inutile, visto che Sebastian era ancora sveglio e sedeva alla
scrivania con un libro aperto sotto il naso.
«Pensavo dormissi».
«No, stavo studiando».
Blaine lasciò cadere le scarpe e cominciò a svestirsi,
riponendo diligentemente l'abito nell'armadio. «E' andato tutto
bene, per la cronaca. Anzi, è stato perfetto.»
«Bene» commentò freddamente, senza neppure
sollevare la testa dal libro.
«Mi faccio una doccia e poi me ne vado a letto» annunciò,
sparendo in bagno.
Non appena sentì l'acqua scrosciare, Sebastian lasciò
la scrivania senza fare rumore. Come al solito Blaine aveva lasciato
il cellulare sul letto. Sbloccò la tastiera e aprì la
rubrica, scorrendo finché non trovò il numero che gli
serviva.
Si fermò un istante per pensare a quello che stava facendo.
Un giorno mi ringrazierai, Blaine,
pensò.
Poi prese il numero di Kurt e lo cancellò dai contatti.
Il giorno dopo San Valentino, Blaine si svegliò di buon umore.
O meglio, i primi secondi furono orrendi perché aveva ancora
un sonno tremendo e avrebbe voluto continuare a dormire tutto il
giorno mentre di lì ad un'ora avrebbe avuto scuola.
Poi però ricordò
cos'era successo il giorno prima. Ricordò il momento in cui
aveva sceso le scale e aveva visto Kurt, il suo ragazzo,
chiacchierare tranquillamente con i suoi migliori amici come se fosse
la cosa più naturale del mondo. Ricordò l'istante in
cui Kurt si era voltato e come i suoi occhi chiari si fossero
spalancati nel vederlo. Ricordò il bacio a fior di labbra che
si erano dato nella sala comune, e come si fossero presi per mano
andando alla macchina. Ricordò le loro conversazioni libere e
sincere durante la cena. Con un sorriso poi ripensò al momento
in cui era salito sul palco per cantare Last night on Earth
e infine ai baci molto meno casti
che si erano dati appoggiati al cofano dell'auto di Kurt.
Neppure il ricordo di quel bullo – come diavolo si chiamava? -
Azimio – poteva rovinare il suo sorriso.
Prese il cellulare e scrisse un messaggio:
7.32
Ieri sera è successo davvero tutto quello che ricordo o è
stato solo un sogno?
Immaginava già come avrebbe risposto Kurt. Di sicuro qualcosa
come: “Dipende da che cosa ricordi” e poi magari qualche
commento sulla sua esibizione imprevista.
Si vestì in fretta e raggiunse l'aula della sua lezione della
prima ora. Si sedette al proprio posto, affianco a Sebastian. Nascose
il cellulare nell'astuccio, così che fosse al riparo dagli
occhi indiscreti del professore e fece attenzione alla lezione –
prendendo addirittura appunti!
Il cellulare non si illuminò neppure una volta.
Durante la seconda ora ricevette un messaggio. Lo aprì con un
sorriso, che si spense quando vide che il messaggio era di Jeff, che
gli chiedeva a che ore fossero le prove quel giorno.
Alla terza ora ricevette un altro messaggio. Neppure questa volta da
parte di Kurt. Cercò di rispondere in tono entusiasta a Wes
che gli chiedeva come fosse andato l'appuntamento del giorno prima,
tuttavia fu difficile nascondere la sua apprensione.
Kurt era solito rispondere con
sollecitudine ai suoi messaggi. Come poteva essere successo. Forse
– pensò – oggi
non lavora e ne ha approfittato per dormire fino a tardi. O forse il
cellulare gli si è scaricato. O forse l'ha perso. O...
O forse era lui ad essere troppo insistente. Forse l'emozione di
avere un ragazzo gli stava facendo perdere la testa e si stava
comportando come un idiota. In fondo avevano passato tutta la serata
insieme neppure dodici ore prima. Potevano resistere senza sentirsi
per dodici ore, no?
La giornata proseguì ma non ricevette risposta.
Era ormai pomeriggio inoltrato e Blaine poteva giurare di essersi
sentito poche volte in vita sua agitato a tal punto. Era
semplicemente ridicolo. Probabilmente si stava immaginando tutto.
Tuttavia non resistette a spedire un ulteriore messaggio.
17.18
Ehi, tutto bene?
Ma neppure quello ricevette risposta.
Finite le prove del coro Blaine uscì dalla stanza. L'euforia
di quella mattina era completamente esaurita, in parte dalle prove
sfiancanti, in parte dal silenzio di Kurt.
Infatti ad esclusione di un messaggio da un numero sconosciuto
(probabilmente sbagliato), che cancellò stizzito non appena
ebbe modo di constatare che non era di Kurt, il suo telefono era
rimasto silenzioso.
Nel sentire una mano posarsi sulla sua spalla si voltò.
«Wes» esclamò.
«Blaine, tutto bene? Perché oggi non sprizzi gioia da
tutti i pori come sei solito fare? Pensavo che l'appuntamento di ieri
fosse stato fantastico.»
«Lo è stato. Cavolo se lo è stato! Davvero, non
avrei potuto sperare di meglio.»
«Ma...?»
«Ma niente. Hai presente quando ti accade una cosa bellissima e
poi cadi nella depressione più nera perché al confronto
le tue giornate sembrano grigie e insulse?»
«Credo di capirti. È il prezzo da pagare per essere
innamorati, suppongo» disse, battendogli la mano sulla schiena.
«Già» borbottò. Dopo poco vide avvicinarsi
Sebastian. Aveva uno strano sorriso sul volto. Il sorriso di uno che
non ha buone intenzioni.
«Allora, come va col fidanzatino?»
«A meraviglia, grazie per l'interessamento» disse Blaine,
cercando di evitarlo. Impresa impossibile, visto che erano compagni
di stanza e conosceva abbastanza bene Sebastian per sapere che –
se voleva irritarlo – non si sarebbe fermato prima di aver
raggiunto l'obbiettivo.
«Non sembra. Continuavi a guardare insistentemente il cellulare
ma non ti ho mai visto scrivere. O sorridere.»
«Sa che le Regionali sono vicine e non vuole disturbarmi
durante le prove. Tutto qui.»
«Come no. Posso provare ad indovinare il vero motivo del tuo
atteggiamento da cucciolo gettato in un cassonetto?» Non attese
conferma e ricominciò a parlare: «Ieri sera hai dato il
peggio di te: scommetto che l'hai portato in un posto
super-romantico, ovviamente per una cena. E poi magari gli hai anche
cantato una canzone.»
Blaine lo fissò a bocca aperta.
In realtà Sebastian aveva semplicemente sentito Blaine
raccontare a Wes i suoi progetti per San Valentino, ma adorava farlo
sentire tremendamente scontato e prevedibile.
«Poi vi sarete baciati in macchina o in un parcheggio prima che
lui ti riaccompagnasse alla Dalton. Quindi scommetto che questa
mattina gli hai scritto un messaggio sdolcinato a cui lui non ha
risposto.»
Blaine lo fissò ancora più sbalordito. Ovviamente
Sebastian aveva un trucco anche per quello.
«Okay, va bene, è andata come hai detto tu. Non vuol
dire niente.»
«Possibile che tu sia così ingenuo? Pensi davvero che
uno così si accontenti di una cena al ristorante e un
messaggio sdolcinato?»
«Uno così?» chiese.
«Blaine, sai di cosa parlo» disse, serio. «Sono
stato allo Scandals qualche sera fa e indovina un po' chi ho visto?»
L'altro distolse lo sguardo. Effettivamente era strano che non
l'avesse scoperto prima. Il fatto che Kurt lavorasse solo alcuni
giorni a settimana aiutava, ma non poteva sperare che il suo segreto
rimanesse al sicuro per sempre.
«Tu lo sapevi, non è vero? L'hai conosciuto lì,
dopo uno dei suoi spettacoli. Sai che tipo di ragazzo è e puoi
provare ad immaginare a che cosa sia abituato.»
«Sei tu quello che non sa nulla di lui.»
«Apri gli occhi: ti sei preso una cotta stratosferica per lui e
quindi non riesci a vederlo in maniera oggettiva. Scommetto che i
tuoi modi da scolaretto lo fanno sbellicare dalle risate alle tue
spalle.»
Blaine sbuffò esasperato: «E allora mi spieghi perché
si sarebbe messo con me? Non poteva semplicemente lasciarmi perdere?»
«Si sta solo divertendo. Per lui sei un passatempo. La verità
è che Kurt è più simile a me di quanto tu creda.
O voglia credere.»
«Kurt non è affatto come te. Kurt non cambia i
ragazzi con la frequenza con cui io cambio i miei papillon, come
invece fai tu.»
«E questo da cosa lo deduci? Dal fatto che te l'abbia detto?
Esiste una cosa chiamata “mentire”, Blaine, e la gente lo
fa spesso. Lo hai fatto anche tu per tanto tempo e lo fai ancora, con
la tua famiglia.»
«Mi spieghi perché lo fai, Seb? Mi spieghi perché
tutto ad un tratto sembri odiarlo? Sei stato tu a cercare di
spingermi fra le sue braccia fin dal primo giorno. Se non fosse stato
per te io e lui ancora ci odieremmo. Tu non hai idea di quanto io ti
sia grato per tutto ciò che hai fatto per me in questi anni e
in particolare in quest'ultimo mese. Perché ora devi rovinare
tutto?» chiese.
Sebastian si sentì punto nel vivo. Una cosa era assumere la
parte dello stronzo – e lui adorava fare lo stronzo: ce
l'aveva nel sangue – un'altra era fare la parte del cattivo. E
questo non lo accettava.
«E' proprio perché tengo a te che lo sto facendo.
Blaine, tu ti stai innamorando di lui più di quanto lui stia
facendo con te. È entrato nella tua vita e l'ha stravolta
senza che tu potessi evitarlo. Stai cambiando per lui, stai facendo
passi da gigante solo per lui, per un ragazzo che conosci da un mese.
Lui cos'ha fatto per te? Quanto è cambiato lui, da quando
l'hai conosciuto? Si è forse infilato un blazer per venire a
cantare nel nostro coro allo stesso modo in cui tu ti sei tolto
l'uniforme – e non solo quella – allo Scandals.»
Blaine spalancò gli occhi e arrossì leggermente. Non
immaginava che Sebastian sapesse anche quello.
«Lo stai idealizzando, Blaine, ed è la cosa peggiore che
tu potessi fare. I miei consigli non erano volti a conquistare il suo
cuore di panna, ma a fare irruzione nei suoi pantaloni, mi spiego?»
Le sue labbra si piegarono in un sorrisetto. «Scommetto che
sogni la vostra prima volta da prima che vi metteste insieme.
Probabilmente ti immagini qualcosa di così romantico da far
vomitare arcobaleni pure a me, del tipo voi due in un meraviglioso
letto a baldacchino con candele d'atmosfera e dolci sussurri. Beh, mi
duole informarti che il sesso non è così. È
sporco e rude e più che sussurri ci sono gemiti. Ah, e niente
letti a baldacchino: normalmente si finisce sui sedili posteriori
dell'auto o nei bagni di un locale.»
«Questo è il tipo di sesso che conosci tu.»
«Questo è il tipo di sesso che conosce il tuo ragazzo.
Lavora allo Scandals: pensi davvero che possa essere ancora vergine?
Quella che per te sarà la prima volta per lui sarà la
cinquantesima.»
«Sai che ti dico, Sebastian? Non m'importa. Non m'importa se
l'ha già fatto con il suo ex, dove l'ha fatto o quante volte.
Non so neppure se arriveremo mai a quel punto e quando questo
accadrà. Ma so una cosa: voglio che sia con lui. Io voglio
stare con lui, col ragazzo che ho conosciuto e di cui mi sto
innamorando. Lui non è come tu dici.»
«Ma dai! Scommetto che ieri sera, dopo averti accompagnato alla
Dalton, è andato in qualche locale a finire la festa.
Scommetto che col sedere che si ritrova non ha avuto difficoltà
a trovare compagnia-»
Sebastian quasi non riuscì a terminare la frase perché
il pugno di Blaine lo colpì in pieno viso. Si sbilanciò
all'indietro e lo guardò allibito.
«Che c'è? Non è colpa mia se il tuo ragazzo ha la
faccia da cockslut1.»
Questa volta Sebastian fu più veloce e riuscì a
schivare il pungo e a ricambiare. Si stavano letteralmente azzuffando
per i corridoi della Dalton.
Prima che un professore intervenisse per fermarli si erano già
procurati alcuni lividi e un occhio nero a testa.
Ci vollero due insegnanti per dividerli e furono immediatamente
spediti dal preside.
L'uomo li fissava, tamburellando le dita sulla scrivania.
«Allora?»
Blaine e Sebastian erano seduti davanti al preside e si davano
vicendevolmente la schiena., evitando così di guardarsi negli
occhi. Negli occhi neri e decisamente gonfi.
«Anderson, Smythe, uno di voi due vorrebbe dirmi perché
due studenti modello come voi si stessero azzuffando nei corridoi
della scuola?»
«Glielo dico io» intervenne Sebastian. «Gli ho
aperto gli occhi sulla sua ragazza e lui non l'ha presa bene.»
Blaine strinse i pugni. Il desiderio di voltarsi e ricominciare la
zuffa da dove erano stati interrotti era forte. Sapeva che con quel
suo riferirsi a Kurt come la sua “ragazza” voleva
ricordargli quanto fosse precaria la sua situazione.
I suoi genitori sarebbero sicuramente stati informati di quella lite
e del motivo che l'aveva scatenata. Non poteva assolutamente
permettersi che venissero a scoprire la verità e questo lo
sapeva anche Sebastian.
«Immagino tu non abbia usato termini molto educati»
suggerì l'uomo.
«Dopo il primo pugno potrei essermi fatto scappare una parola
poco elegante. Ma prima non ho fatto altro che fargli notare ciò
che lui si rifiuta di vedere.»
«Hai fatto delle sporche insinuazioni!» gridò
Blaine.
«Insinuazioni giustificate» precisò.
L'uomo li zittì spazientito: «Non mi interessa sapere se
le insinuazioni fossero fondate o meno, né voglio che mi
riferisca i termini che hai usato, Smythe. Sono questioni che voi
adolescenti dovreste imparare a risolvere da soli. Solo non tollero
la violenza nel mio istituto. La nostra politica è piuttosto
severa al riguardo.»
Blaine deglutì. Sapeva di non essere in una buona situazione.
Inoltre fare parte del club di boxe di certo non migliorava la sua
posizione.
«I vostri genitori saranno informati della lite» disse.
«L'accaduto verrà segnalato nelle vostre schede e
potrebbe penalizzarvi nella scelta dei college.»
Sebastian alzò gli occhi al cielo. Sapeva che tutto quel
parlare era più per terrorizzarli.
«E infine non avrete il permesso di lasciare l'istituto fino
alle Regionali. Non posso impedirvi di partecipare alla competizione
perché so che siete due dei solisti migliori e ciò
significherebbe costringere i Warblers alla sconfitta. Ma se
l'episodio dovesse ripetersi sacrificherò la vittoria del
nostro coro, sono stato chiaro.»
I due annuirono.
«Ed ora tornate nella vostra stanza. E non costringetemi a
rivedervi.»
Lasciarono l'ufficio del preside e camminarono in silenzio fino alla
loro stanza. Non si rivolsero la parola neppure per decidere chi
dovesse andare prima in bagno. Neppure per insultarsi nuovamente.
Verso le nove di sera Blaine ricevette una chiamata. Non appena sentì
il cellulare squillare, sobbalzò e si avventò su di
esso.
Quando lesse sullo schermo il nome “Papà” gli si
gelò il sangue nelle vene.
Fu quasi tentato di non rispondere, ma poi si rese conto che
quell'atteggiamento avrebbe solo peggiorato le cose.
«Sì?»
«Blaine?»
Riconobbe la voce: era sua madre.
«Mamma?»
«Tesoro, questo pomeriggio ha chiamato la scuola e ci ha detto
della lite. Io e tuo padre siamo così preoccupati!»
Blaine sentì la voce di suo padre pretendere il telefono e
poco dopo il suo tono cupo ed autoritario gli risuonò
nell'orecchio.
«E' vero quello che ha detto il preside? E' vero che hai
cominciato tu la rissa?» chiese.
Blaine si guardò intorno. Era solo nella stanza: Sebastian
probabilmente stava saccheggiando di nascosto la mensa visto che, a
causa della capatina nell'ufficio del preside, avevano saltato la
cena.
«Sì.»
«Non ti avrà mica... molestato?»
«Papà!» esclamò. «No! Lui... no,
niente “molestie”. Lui ha solo... ha detto delle cose
cattive» disse, in un sospiro.
«Delle cose cattive di che genere?» indagò.
Respirò a fondo prima di aggiungere: «Delle cose cattive
su... sulla ragazza con cui esco.»
Lo aveva fatto. Aveva di nuovo mentito. Si era vergognato di
Kurt e di quello che c'era fra loro. In quel momento non era molto
diverso da Dave, il suo ex. Si sentì male al solo pensiero.
«In tal caso hai fatto bene. Sono fiero di te.»
«Papà, gli ho tirato un pugno! Io... non è mai un
bene la violenza.»
«Non fare la femminuccia. Fai boxe per qualcosa, no? Certe cose
non si risolvono a parole. Certe cose si lavano via solo con una dose
di pugni.»
Blaine storse il naso schifato a quelle parole. Non poteva averlo
detto davvero.
«Sono fiero di te, Blaine. Sei un vero uomo.»
Non resistette più e interruppe la chiamata, prima che i suoi
nervi cedessero: ancora un'altra parola e gli avrebbe gridato in
faccia che il suo figlio tanto macho e virile era – per citarlo
– una checca, un finocchio.
Poco dopo ricevette un messaggio preoccupato da Rachel in cui gli
chiedeva cosa fosse successo con Sebastian.
Era sul punto di rispondere quando la stanchezza ebbe la meglio. Da
Kurt ancora nessuna risposta.
Kurt si svegliò tardi quel giorno e dovette vestirsi e lavarsi
nel giro di qualche minuto, prima di scappare fuori per prendere
l'autobus. Da quando Finn aveva ripreso ad andare a scuola tendeva a
lasciare a lui la macchina di mattina anche se, in quel modo, doveva
prendere l'autobus.
Arrivò al lavoro in ritardo e così fu costretto a
rimanere oltre il suo orario per recuperare. Senza contare che,
passato San Valentino, qualcuno doveva avere l'ingrato compito di
staccare e riporre in magazzino i festoni oltre a mettere ordine fra
i nuovi arrivi. Per sua sfortuna il capo designò lui.
Uscì dal negozio alle cinque e mezza e come prima cosa avvertì
Finn che sarebbe arrivato con l'autobus successivo. Poi diede
un'occhiata ai messaggi ricevuto.
Ancora niente.
Era strano.
Si sarebbe aspettato almeno un messaggio da Blaine, che di solito non
resisteva più di qualche ora senza scrivergli anche solo per
raccontargli qualche aneddoto divertente o per chiedergli come stava.
Poi si ricordò che era stato lui stesso a dirgli di stare
attento durante le lezioni e di non distrarsi col cellulare. Senza
contare che mancava meno di una settimana alle Regionali e di sicuro
aveva prove per tutto il pomeriggio. Probabilmente si sarebbero
sentiti quella sera.
Pensò di mandargli un messaggio.
17.46
Sei silenzioso oggi. Tutto bene?
Attese fino a ché non arrivò l'autobus e poi continuò
a monitorare il cellulare per tutto il tragitto. Nulla.
Non ricevette messaggi per tutta la serata e quando lasciò il
cellulare nel camerino dello Scandals per eseguire il suo numero,
cominciò a sentire un pizzico di apprensione.
Dave sapeva bene in che giorno
e a che ora Kurt lavorava allo Scandals e non gli fu difficile
sgattaiolare nei camerini. Forzare la serratura fu un gioco da
ragazzi – non era molto più complessa di quella degli
armadietti scolastici, che aveva aperto impunemente così tante
volte da aver perso il conto.
Individuò il cellulare
di Kurt giusto affianco alla trousse di Santana.
La musica fuori continuava ad
assordare i presenti e lui sapeva di avere ancora tempo. Prese dalla
tasca il foglietto con il numero e sospirò.
Lui e Sebastian avevano
studiato a fondo il loro piano ed avevano convenuto che fosse la cosa
migliore da fare. Non ci sarebbero stati litigi o traumi da superare.
Sarebbe stato tutto molto indolore. In fondo quei due si conoscevano
solo da un mese, non poteva essere una cosa seria, no?
Ecco cosa avrebbe dovuto fare
Dave: avrebbe preso il numero di Blaine e l'avrebbe sostituito con il
numero di un cellulare che in quel momento era nelle mani di
Sebastian.
Sarebbe
stato lui a dirigere i giochi – per quanto questo punto non
piacesse particolarmente a Dave. Avrebbe preferito leggere i messaggi
che avrebbe mandato a Kurt, pregarlo di non essere troppo
cattivo. D'altro canto, però,
non avrebbe mai accettato di fare il lavoro sporco.
Ripose il cellulare dove
l'aveva trovato ed uscì dal camerino.
Finito il numero, Kurt e
Santana rientrarono nel camerino. La donna aveva estratto la chiave
dalla tasca quando si accorse che la porta era aperta.
«Kurt, quante volte ti ho
detto di chiudere la porta? Lo Scandals non è esattamente un
locale per bene.»
«Ma se sei uscita te per
ultima?» protestò lui, entrando in camerino. «Sei
sicura di aver chiuso?»
Santana si grattò il
mento dubbiosa: «Non ricordo. È un po' come lavarsi i
denti: non ti ricordi mai se li hai già lavati o no.»
Kurt diede un'occhiata in giro:
«Ad ogni modo non mi sembra che manchi niente. Il mio cellulare
è dove l'ho lasciato ed era l'unica cosa che potevano rubare.»
«Magari un maniaco voleva
rubarti il numero di cellulare.»
«Non dirlo neanche per
scherzo!» esclamò Kurt.
Santana ridacchiò:
«Scherzavo. Lo so che adesso sei un ragazzo impegnato e che il
tuo muscolosissimo e pericolosissimo fidanzato metterebbe in fuga
qualsiasi rivale.»
Kurt mise il broncio: «Molto
divertente. Continua a prendere in giro il mio ragazzo.»
Santana lo abbracciò,
per farsi perdonare: «Lo sai che piace anche a me. Penso sia la
persona giusta per te. Non ti ci vedrei proprio con uno grande,
grosso e muscoloso. E poi, che ci vuoi fare: il fascino della
divisa!»
Kurt sorrise mentre con le dita
giocherellava con i tasti del cellulare. Sbloccò la tastiera e
fissò lo schermo.
Nessun messaggio ricevuto.
Per Kurt quella mattina non fu
affatto un buon risveglio. La stanchezza sommata al silenzio di
Blaine lo avevano reso triste. Provò a fare le frittelle per
colazione, ma finì per bruciarle.
Finn, attratto dallo sfrigolio
della pastella scese le scale già pregustando la colazione.
Quando sentì Kurt imprecare capì che qualcosa non
andava.
«Kurt, hai bruciato le
frittelle?» chiese stupito.
«Scusa tanto! Non sono un
maledetto cuoco» sbottò.
«Non è per quello.
È che l'ultima volta che le hai bruciate...» L'ultima
volta ti eri lasciato con Karofsky. Avevi gli occhi così
appannati dalle lacrime da non riuscire a vedere quello che facevi.
«E' stato molto tempo fa» concluse, invece.
«Scaldo i toast.»
«Lascia, faccio io»
assicurò Finn, facendolo sedere e tenendolo rigorosamente
lontano dai fornelli.
Kurt sbuffò, prese un
biscotto dalla scatola e cominciò a sgranocchiarlo.
«Finn, ricordi cosa mi
dicesti una volta di Rachel?»
«Tipo che è la
ragazza più straordinaria che abbia mai conosciuto.»
«Sì, oltre a
questo – che ripeti più o meno una volta al giorno –
una volta mi dicesti che secondo te non avevi speranze con Rachel,
perché “una come lei” per citarti “non
avrebbe mai guardato uno come te”.»
Finn afferrò
nervosamente i toast. «Qualcosa del genere, sì. Ma che
c'entra ora?»
Kurt cominciò a spalmare
distrattamente il burro e mormorò in un sussurro: «E se
le cose fra me e Blaine non fossero così semplici come
pensavo?»
Finn fece un bel respiro e si
sedette affianco a lui. Cercò di mantenere la calma. Si era
ripromesso di aiutare sempre il suo fratellino quando avesse avuto
problemi di cuore, ma la paura di dare consigli sbagliati o di dire
una parola di troppo era grande.
«Avete litigato?»
«No. Non è questo,
anzi. Se avessimo discusso almeno saprei da dove partire, ma il punto
è che è dall'altro ieri che non lo sento.»
Finn lo guardò
perplesso: «L'altro ieri, cioè quando siete usciti
insieme per San Valentino?»
«Già.»
«E tu ti preoccupi perché
non lo senti da un giorno?»
«Finn, già prima
di metterci insieme ci sentivamo ogni giorno. Fra sms e appuntamenti
al Lima Bean non passavamo più di ventiquattrore senza avere
notizie l'uno dell'altro.»
«Hai pensato che, dato
che le Regionali sono fra meno di una settimana, forse ha avuto prove
tutto il giorno?»
«Tutto il giorno?»
chiese dubbioso.
«Fidati, se il McKinley
avesse dei dormitori il professor Schuester ci farebbe dormire lì
e provare tutta la notte. Con l'aiuto di Rachel, ovviamente: lei è
quasi più lanciata di lui.»
Kurt si sentì un po'
rincuorato. «Quindi dici che non mi devo preoccupare?»
«Non per così
poco.»
«Va bene. Però
resta un fatto: i suoi genitori. Non mi accetteranno mai.»
«Kurt, i suoi genitori
non ti accetterebbero neppure se fossi il principe del Galles! Sono
degli omofobi e il problema non è la tua estrazione sociale o
il tuo titolo di studi. Il problema per loro è che sei un
ragazzo. E su questo non potranno farci nulla: prima lo accetteranno
meglio sarà per loro. Certo, quando lo scopriranno...»
«E non pensi sarebbe
meglio per lui se il primo ragazzo che portasse a casa fosse per lo
meno... un buon partito?»
«Dico, ma ti senti? Stai
parlando come una vecchia comare. Il mio consiglio è: smettila
di parlare e fai colazione. Dimentica tutti questi assurdi discorsi.
Da quando hai imparato a parlare sostieni che l'amore è amore
e che ognuno è libero di amare chi vuole. Non ti ha mai
fermato il tuo orientamento sessuale, vuoi farti scoraggiare dalla
“condizione sociale”?»
Kurt annuì pensieroso.
«E per quanto riguarda
quello che ho detto su me e Rachel» continuò Finn «Lì
non mi riferivo solo ad una questione di classe sociale o di
famiglia. Mi riferivo al fatto che lei ha dei progetti per la vita,
mentre io non vedo più in là del diploma.»
Kurt si soffermò a
pensare che lo stesso valeva per lui e Blaine. Tuttavia disse invece:
«Ci sono ancora le
Regionali, Finn. E le Nazionali. Aspetta a dire che non hai
progetti.»
«Pensi che possa avere
qualche possibilità di andarmene da Lima.»
«Ehi, quando eravamo nel
Glee club insieme eravamo inarrestabili» disse, sorridendogli.
«Chi dice che non può essere di nuovo così? Chi
ti dice che non possiamo fare strada, insieme? Ci ti dice che non ce
la farai, anche da solo?»
«Siamo realistici, Kurt.»
«Sii sognatore, invece,
visto che essere realistici, fino ad ora, non ci ha portati da
nessuna parte.»
Finn si grattò la testa,
imbarazzato.
«Promettimi una cosa»
disse.
«Ossia?»
«Quando ce ne andremo –
se mai ce ne andremo – lo faremo insieme.»
Kurt sorriso: «Promesso.»
Jeff si schiarì la voce,
distraendo così Nick dai vocalizzi.
«Sei arrivato.»
«Sono passato in camera a
prendere gli spartiti appena finita la lezione di Geografia»
disse, avvicinandosi a lui.
«Quindi ti sta bene la
storia del duetto» ne dedusse.
Jeff sospirò, poi però
sorrise: «Non so come ho potuto essere così stupido da
farmi venire qualche dubbio. Noi due insieme spacchiamo. Siamo due
forze della natura e lo siamo sempre stati.»
«Hai visto qual'è
il brano previsto, vero?» chiese.
Sì, Jeff l'aveva visto.
Quando aveva letto il titolo del brano aveva quasi fatto un colpo.
Kiss from a rose.
Dannazione,
che si erano messi in testa Dave, Thad e Wes? Volevano davvero
scandalizzare la giuria? Insomma, non era esattamente una canzona
appropriata da cantare in duetto, soprattutto per due ragazzi. Due
ragazzi etero.
Certo, se per tutto il brano
avessero fissato il pubblico, forse sarebbero riusciti a convincere
gli spettatori che la canzone era dedicata ad una ragazza seduta fra
gli spalti.
Per gli spettatori sarebbe
bastato. Ma per lui?
«Ho visto.»
«E' un bel brano»
disse Nick.
«Forse avrei preferito
qualcosa di più movimentato. Sai, meno romantico»
commentò, sfogliando distrattamente gli spartiti. «Ma è
un bel brano. E l'arrangiamento per coro a cappella sarà
fantastico, già me lo immagino.»
Nick si sedette al pianoforte e
suonò l'introduzione del brano, poi si fermò e si voltò
verso Jeff: «Sei pronto?»
L'altro annuì, sedendosi
affianco a lui.
Nessuno dei due si fece remore
per il fatto che i loro gomiti si stessero toccando, né che i
loro visi fossero pericolosamente vicini o che quando Jeff si sporse
per voltare la pagina dello spartito Nick poté praticamente
affondare il viso fra i suoi capelli platinati. Ma non lo fece.
Provarono per un'ora intera
prima di concedersi una pausa.
«C'è ancora tempo,
ma direi che siamo sulla buona strada» disse Jeff.
«Sono contento che alla
fine tu abbia accettato di fare questo duetto.»
«Come avrei potuto
altrimenti? Le nostre voci sono esplosive insieme.»
«Non-non solo per quello»
ammise Nick.
Quella frase a metà, per
entrambi, era già abbastanza.
Blaine immerse il viso
nell'incavo del collo del ragazzo steso affianco a lui. Kurt rise,
solleticato dai suoi riccioli ribelli. Adorava quando non metteva il
gel. Adorava vedere “l'uomo senza prodotto” e glielo
diceva sempre, ogni volta che poteva immergere le dita fra i suoi
splendidi capelli.
«Dici che dovremmo
alzarci?» disse Kurt, stringendo una mano attorno al suo
fianco.
«Nah» protestò
Blaine «Rimaniamo ancora un po' così. Restiamo così
finché possiamo.»
«Lo sai che devo
andare al lavoro. Mentre tu hai lezione, oggi» gli fece notare,
baciandogli la fronte.
Blaine sbuffò: «Non
capisco perché devi sempre fare il responsabile.»
«Perché uno di
noi due deve pur fare l'adulto, no? E visto che tu non mi sembri in
vena...» Kurt provò ad alzarsi, ma Blaine lo afferrò,
facendolo nuovamente piombare sul letto.
«Cinque minuti, poi ci
alziamo entrambi.»
«Andata.»
Blaine si accoccolò
contro il suo petto, circondandogli il busto con le braccia ed
impedendogli di fatto di alzarsi prima che i cinque minuti che gli
erano stati promessi fossero passati.
«Pensi mai a quando
eravamo ancora a Lima?» chiese Kurt, ad un certo punto.
Blaine alzò le
spalle: «E' stato molto tempo fa.»
«Mentre ora siamo a
New York. A volte neppure ci credo.»
«Ce ne siamo andati.
Lì non potevamo essere felici» disse. «Lì
dovevamo fare attenzione se volevamo tenerci per mano fuori di casa,
dovevo sopportare gli sguardi di disapprovazione dei miei genitori e
tu i tuoi vecchi compagni delle superiori che continuavano a
tormentarti. Qui invece è molto meglio. Abbiamo cominciato una
nuova vita.»
«Ma abbiamo lasciato
indietro qualcuno» disse.
Blaine sospirò:
«Rachel ha la sua vita ormai.»
«Anche Finn, se è
per questo, ma il fatto che la loro vita non comprenda la nostra è...
sbagliato. E non sono gli unici cui abbiamo dovuto dire addio.
Abbiamo lasciato i nostri amici dei Glee club – le New
Direction e i Warblers – e Santana e Sebastian. E Dave. Erano
nostri amici.»
«Abbiamo sempre noi.»
Kurt si morse le labbra. «Lo
so» disse. Ma non ne sembrava più convinto.
Blaine si sollevò,
improvvisamente preoccupato. «Che c'è?»
«E' sbagliato, Blaine.
Stiamo sbagliando tutto.»
«E' la nostra vita. È
la vita che abbiamo scelto: solo noi due e i nostri sogni nella città
che ci permetterà di realizzarli.»
«La stai idealizzando,
Blaine, ed è la cosa peggiore che tu potessi fare.»
«Aspetta un momento,
questo me l'ha già detto Sebastian. Come conosci le parole
esatte che mi ha detto?»
«Perché è
un tuo sogno, Blaine. Tutto questo è un sogno.»
Blaine provò ad
aggrapparsi a quell'immagine, ma per quanto stringesse forte le dita-
Si svegliò di
soprassalto, respirando pesantemente. Affianco a lui Sebastian
dormiva pacificamente con la testa affondata sul cuscino ed un
braccio piegato in modo scomposto. Tutto regolare.
Non era a New York. Non aveva
finito le superiori. E soprattutto, non aveva Kurt al suo fianco.
Era stato solo un sogno –
o forse avrebbe dovuto definirlo un incubo. Rabbrividì,
stringendosi alle coperte.
Erano passati quattro giorni da
San Valentino. Alla fine Kurt si era fatto vivo, ma non nel modo in
cui aveva sperato.
All'ennesimo messaggio in cui
gli chiedeva cosa stesse succedendo, Kurt aveva effettivamente
risposto: “Forse è meglio se non ci sentiamo per un
po'.”
Non
era da lui. Non era assolutamente da
lui. Kurt non era uno da lasciare le cose non dette: se c'era un
problema fra loro – che problema, poi? - l'avrebbe affrontato a
viso aperto, faccia a faccia. Più ci pensava più si
convinceva che fosse successo qualcosa.
Possibile che ci fosse sotto lo
zampino di sua sorella? Magari aveva paura che Kurt gli spifferasse
qualcosa sulle Regionali. No, Rachel non avrebbe mai fatto una cosa
così stupida, non senza prima avvertirlo.
E se gli fosse successo
qualcosa? Forse aveva litigato con suo fratello. O con Dave.
Rabbrividì al pensiero e lo scacciò con decisione.
E se Sebastian avesse
ragione? E se si fosse semplicemente stancato di me?
Ma
anche questo non aveva senso. Se non si era stancato di lui per quel
mese intero in cui si erano rincorsi come ragazzini, perché
doveva essersi stancato ora?
Non ci capisco più
niente.
Sapeva solo una cosa: alle
regionali l'avrebbe rivisto. Alle regionali avrebbero chiarito tutto.
Kurt sapeva che quello che
stava facendo era molto stupido e che se ne sarebbe pentito.
Non era da lui piombare in casa
altrui per chiedere spiegazioni.
Tecnicamente, si ricordò,
quella non era casa di Blaine, ma la sua scuola. Non sarebbe mai
piombato a casa del suo ragazzo, sapendo che tipo di genitori
l'avrebbero aspettato.
Blaine gli aveva detto tempo
prima gli “orari di visita” senza contare che, essendo un
ragazzo, poteva godere di più libertà rispetto alle
ragazze. Kurt sorrise per la stupidità del regolamento ma non
se ne dispiacque se gli permetteva di vedere Blaine.
Passò per la segreteria
e fece come aveva fatto l'ultima volta – non poteva credere che
fossero passati solo una manciata di giorni da quella fantastica
sera, da quello che poteva definire senza ombra di dubbio il più
bell'appuntamento della sua vita.
Ostentò naturalezza
mentre camminava per i corridoi, indossando un giubbotto per non far
notare l'assenza della divisa. Nessuno lo fermò, nessuno lo
fissò curioso. Camminò a passo spedito verso la sala
comune, sperando di incrociare qualche Warblers di sua conoscenza.
Solo in quel momento si rendeva
conto di quanto fosse stato mal strutturato l'intero piano. Aveva
agito d'impulso – cosa che faceva molto raramente – e ora
cominciava a credere che il suo atteggiamento avrebbe potuto
peggiorare le cose.
Beh, effettivamente sarebbe
stato difficile peggiorarle. Dopo il messaggio ricevuto quel giorno
non aveva più potuto evitare di agire.
Dopo giorni di silenzio, alla
sua richiesta di incontrarsi, aveva ricevuto in risposta solo una
manciata di parole.
“In
questi giorni sono molto impegnato e non potremo vederci.”
“Non
c'è problema” aveva risposto “solo mi piacerebbe
sapere cosa c'è che non va.”
“Nulla”
Kurt aveva preso il coraggio a
due mani e aveva scritto:
“E
allora perché sono quattro giorni che non ti fai sentire?”
La risposta si era fatta
attendere un po'. Poi era arrivata.
“La
scuola e il coro assorbono tutto il mio tempo. Inoltre devo studiare
se voglio riuscire a diplomarmi con ottimi voti. L'anno prossimo
voglio andare in un buon college.”
Kurt dovette scacciare a fatica
il pensiero che quell'ultima frase fosse una frecciatina. Come se
Blaine gli volesse dire: “non voglio finire come te solo perché
siamo insieme.” Ma no, Blaine non gli avrebbe mai scritto una
cosa del genere. Era fuori questione.
“A
volte non sembri tu.”
“Sto
cambiando. O forse non mi conosci abbastanza.”
Questo faceva male. Faceva male
soprattutto se ripensava a tutte le conversazioni che lui e Blaine
avevano avuto sul cambiare e sul conoscersi prima di giudicare. Era
come se l'altro ignorasse ciò che si erano detti o l'avesse
volutamente dimenticato.
Era come se a scrivere fosse un
altro.
Aveva provato a chiamarlo due
volte. La prima il cellulare aveva suonato a vuoto. La seconda volta
Blaine aveva rifiutato la chiamata.
Kurt arrivò nella sala
comune e rimase in piedi, in attesa di incontrare qualcuno. Erano le
cinque e mezza e probabilmente molti stavano tornando dalle attività
pomeridiane. Avrebbe di sicuro incontrato un Warbler. In caso di
estrema necessità avrebbe chiesto ad un ragazzo qualsiasi.
Non voleva mandare un messaggio
a Blaine: temeva che sapendolo lì l'avrebbe evitato. Una volta
faccia a faccia non avrebbe più potuto scappare.
Stava già cominciando ad
agitarsi quando vide passare Sebastian.
Lo chiamò per richiamare
la sua attenzione. Quando Sebastian lo vide cercò di
dissimulare una smorfia e gli riuscì abbastanza bene perché
Kurt non sospettò nulla.
«Kurt, ma che sorpresa»
mormorò, avvicinandosi a lui.
«Io sto cercando Blaine.»
«Non mi ha detto che
saresti passato.»
«Io non gliel'ho detto.
Ho bisogno di parlare con lui. È importante.»
«Perché non l'hai
chiamato? Sarebbe stato più semplice.»
Kurt sospirò: «Non
mi risponde. E i suoi messaggi sono...strani.»
«Strani?» ripeté.
«Sì, come se non
fosse lui a scriverli. Come se fosse un altro. Ho anche sospettato
che li avesse scritti da ubriaco o che uno dei suoi amici gli avesse
rubato il cellulare, ma è da un po' di giorni che si comporta
in modo strano.»
«Che vuoi che ti dica: le
Regionali che si avvicinano, la scuola...»
«Immagino che sia
impegnato. Insomma, io stesso gli ho detto di non distrarsi dalla
scuola e dalla musica perché altrimenti se ne sarebbe pentito.
Gli ho detto che lo avrei aspettato.»
Sebastian si morse le labbra
nel sentire quelle parole. Più parlava con Kurt più
l'immagine che andava facendosi di lui si avvicinava a quella che gli
aveva descritto Blaine: di un ragazzo serio e davvero interessato a
lui. E questo non faceva che minare le sue sicurezze e acuire i suoi
sensi di colpa.
«E allora perché
sei qui? Glielo hai detto tu stesso.»
«Una cosa è
vedersi solo due o tre volte a settimana, una cosa e non sentirsi per
giorni. Insomma, anch'io l'anno scorso mi barcamenavo fra scuola e
coro e lavo-» si interruppe. «Fra scuola e coro, ma
trovavo lo stesso il tempo per uscire.» Con Dave, pensò,
mordendosi le labbra.
«Scusa se te lo dico, ma
ritengo che gli standard della Dalton siano un tantino superiori a
quelli del McKinley.»
Kurt dovette trattenersi dallo
spalancare la bocca. Offese gratuite. Decisamente da Sebastian. «Ho
sudato per ottenere il diploma e sono uscito con ottimi voti.»
«Infatti adesso fai il
commesso da GAP.»
«E' un crimine?»
«Assolutamente no. Come
non lo è ambire a qualcosa di più, come ad esempio una
laurea e un posto come avvocato o medico o dirigente d'azienda. Di
solito sono queste le strade che intraprendono quelli che escono da
qui.»
«Continuerei volentieri
questa conversazione con te, ma sono venuto qui per parlare con
Blaine e non me ne andrò senza avergli parlato.»
«Temo che dovrai
divergere dai tuoi piani perché Blaine non c'è. E'
impegnato a studiare il pezzo da solista e dopo dovrà di
sicuro studiare per il compito di domani.»
«Devo solo parlargli.
Qualche minuto basterà. Voglio solo sapere che cosa vuole
fare... di noi. Solo questo. Voglio saperlo, perché non credo
che il ragazzo con cui sono uscito mercoledì si sarebbe
comportato così.»
«Posso essere sincero,
Kurt?» disse. «Se non ti ha risposto fino ad ora credo
che le sue intenzioni siano abbastanza chiare.»
«Non ti credo, Smythe.
Non ti credo per niente. Voglio vederlo.»
«Mandagli un messaggio,
allora. Vedi cosa ti risponde. Non puoi costringerlo a vederti.»
«Va bene» rispose,
prendendo il cellulare.
«Ti lascio solo»
aggiunse Sebastian, allontanandosi.
17.43
Blaine, sono nella sala
comune della Dalton. Per favore, vieni a parlare con me. E' davvero,
davvero importante.
Non dovette attendere molto per
la risposta.
17:45
Scusa, ma non voglio
vederti.
Sebastian ripose il cellulare
in tasca e spiò la reazione di Kurt da dietro l'angolo. Lo
vide voltarsi ed andarsene.
Sapeva riconoscere un viso
prossimo alle lacrime.
Andandosene, Sebastian non
sorrideva come avrebbe voluto.
A/N
E' stato
doloroso scrivere questo capitolo, che tra l'altro, ora come ora, è
il più lungo di tutti! (11 pagine, dico, 11 pagine di angst)
E pensare
che martedì, in un raptus di malvagità ho addirittura
pensato di aggiungere una parte davvero bastarda. Ma sono rinsavita.
Poteva andare peggio, insomma. Molto peggio.
No, non
vi tedierò ulteriormente. Vado a rintanarmi in un angolino a
dormire e recuperare le forze.
Klainers,
resistete! L'amore alla fine vince sempre!
yu_gin
PS: dai,
visto che per farmi perdonare ho anche messo i dolcissimi Niff nel
loro mondo di panna e cuccioli e unicorni e arcobaleni?
Coming next
«Non vede che ho la
divisa della scuola che si è appena esibita?»
«Per quel che ne so
potresti essere un amico della scuola senza essere nel coro. Mi
spiace. Se davvero sei del coro perché non torni con il pass?»
Blaine sbuffò. A quel
punto non vedeva altra soluzione. Si voltò per tornare sui
propri passi quando una voce lo fermò.
«Blaine?»
Il Warbler si voltò di
scatto riconoscendo la voce inconfondibile.
Era Kurt.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** regionals ***
A
Lima Side Story
Capitolo
18: regionals
Blaine finì di
prepararsi, allacciando la cravatta e mettendo in borsa gli spartiti.
Jeff fece capolino nella sua stanza.
«Siamo tutti pronti. Tu
come sei messo?»
«Pronto» assicurò,
chiudendosi la porta alle spalle. «Agitato?»
«Me la sto facendo sotto»
ammise Jeff, alzando le spalle. «Ma so già che quando
sarò sul palco sarà fantastico.»
«Tu sarai fantastico»
precisò una voce. Nick li raggiunse, battendo una mano sulla
spalla del compagno di stanza. «Noi saremo fantastici. Abbiamo
provato duramente e non mi sono mai sentito tanto carico in vita mia.
Comunque vada, sarò fiero di noi.» Afferrò i due
compagni per le spalle e li spinse verso il corridoio. «Ora
però è meglio se ci sbrighiamo, o partiranno senza di
noi.»
«Non partirebbero mai
senza tre dei loro quattro solisti» fece notare Jeff.
«Quattro» precisò
Nick, indicando Sebastian, davanti a loro. Il ragazzo era appoggiato
contro il muro e teneva gli occhi fissi sul cellulare, tanto che
neppure li aveva sentiti arrivare.
«Ehi, Sebastian, nuovo
cellulare?» chiese Jeff, avvicinandosi incuriosito. Sebastian
alzò lo sguardo verso di loro e ripose frettolosamente il
cellulare in tasca. Forse un po' troppo frettolosamente.
Blaine lo notò, senza
riuscire a trovare una spiegazione plausibile.
«Mi spieghi perché
usi quel macinino se hai un iPhone nuovo di zecca?» chiese
Jeff.
«L'altro si è
rotto» rispose sbrigativo.
«Ma se ti ho visto-»
«Allora, vogliamo
andare?» lo interruppe.
I Warblers salirono sul pulmino
che li avrebbe accompagnati alle Regionali. Wes e Thad avevano già
organizzato il riscaldamento vocale e ora i coristi stavano provando
alcune scale, mentre David si ostinava a controllare che le note
fossero intonate con il suo diapason.
Blaine prese posto e guardò
fuori dal finestrino.
Si chiese se sarebbe finalmente
riuscito a vedere Kurt.
«Non è necessario,
davvero, ragazzi!» insistette Kurt.
«Kurt, in che lingua te
lo dobbiamo ripetere? Noi vogliamo che tu venga col nostro
pulmino» insistette Mercedes.
«Ma se non faccio nemmeno
più parte del Glee?»
«Che importa? Lo sei
stato fino al diploma. E poi sarebbe ridicolo che tu ci seguissi in
macchina. Salta su. Sarà come ai vecchi tempi» disse
Tina, facendogli cenno di salire.
Kurt infine accettò e
salì con loro, sedendosi affianco a Mercedes.
Il professor Schuester si alzò
in piedi e si rivolse alle New Direction: «Ascoltate ragazzi:
ci siamo impegnati molto quest'anno e non intendo perdere. Abbiamo
nuovi membri e vecchie conoscenze tornate per farci vincere. L'anno
prossimo molti di voi se ne andranno e non so se avremo nuovi membri
e se questi saranno bravi come voi. Quindi cerchiamo di portare a
casa il trofeo. Quest'anno voglio andare alle nazionali, ragazzi, e
voglio vincere. Ce lo meritiamo.»
I ragazzi esultarono.
Kurt sorrise nel ricordare i
tempi in cui era anche lui nel Glee. Non era poi cambiato molto.
Trepidava anche lui per loro, come se la loro vittoria fosse una
vittoria anche per lui. Guardò fuori dal finestrino.
Nel sentire la voce squillante
di Rachel farsi spazio sulle altre non poté che pensare a
Blaine e a cosa stesse facendo.
Kurt si separò dagli
altri che andarono a cambiarsi e prese posto sulle poltroncine
affianco al professor Schuester e alla Pillsbury. Attorno a loro
c'erano numerosi posti vuoti, riservati alle New Direction. Lo stesso
spazio vuoto che poteva vedere alla sua destra.
Schuester si sporse verso di
lui: «Sono i posti riservati ai Warblers. Si esibiranno per
primi, quindi immagino che verranno qui solo dopo la loro
performance» disse, sventolando il volantino che aveva in mano
per scaricare l'ansia. «So che fra loro c'è anche il
fratello di Rachel. Lei dice che è molto bravo e che
sicuramente sarà uno dei solisti.»
Diavolo se lo è,
pensò Kurt, ripensando all'unica occasione in cui l'aveva
sentito cantare, il giorno di San Valentino. Ripensò a come la
sua voce gli fosse arrivata dritta al cuore, colpendolo e portandolo
quasi alle lacrime. If
I loose everything in the fire, I'm sending all my love to you.
Ripensò alle parole della canzone e si chiese se le avesse
credute davvero.
A lui piaceva pensare di sì.
Dopo una decina di minuti le
luci si abbassarono e il presentatore annunciò il primo coro:
i Warblers.
Kurt sentì il proprio
cuore martellare nel petto e desiderò scappare.
No, non scapperò.
Voglio vederlo. Voglio vedere se eviterà il mio sguardo o se
mi guarderà dritto negli occhi. Almeno potrò capire che
sta succedendo.
Il palco si liberò del
presentatore e rimase solo un microfono al centro. Da dietro gli
spalti vide avanzare un ragazzo con la divisa. Lo riconobbe
all'istante.
Era Blaine.
Blaine sospirò e chiuse
gli occhi. Era così agitato da aver seriamente valutato
l'ipotesi di scappare. Certo, dopo avrebbe dovuto lasciare lo stato
perché l'ira dei suoi compagni di coro sarebbe stata
incontrollabile, ma almeno non sarebbe svenuto nel bel mezzo del
palco.
Wes gli fece un cenno con la
testa che poteva significare una sola cosa: vai.
E Blaine, nonostante il terrore
gli avesse intrecciato le ginocchia e arricciato lo stomaco, uscì
sul palco. La luce lo abbagliò per un istante.
La platea risultava ai suoi
occhi come un'indistinta macchia scura. Avanzò fino al
microfono. Le luci si focalizzarono su di lui e, dopo pochi istanti,
cominciò ad abituarcisi.
Il pubblico cominciò a
farsi più nitido. Fu allora che lo vide. Seduto vicino ai
posti riservati alle New Direction. Bellissimo come sempre.
Kurt non evitò il suo
sguardo come aveva temuto. Lo guardò dritto negli occhi, così
intensamente che fu come se in quel momento non ci fossero che loro
due, soli in auditorium. Come se stessero parlandosi, chiarendosi.
Blaine ripensò al testo
della canzone che stava per cantare e sperò che Kurt capisse
quanto valessero per lui quelle parole.
I heard there was a secret
chord That david played and it pleased the lord But you don't
really care for music, do you Well it goes like this the fourth,
the fifth The minor fall and the major lift The baffled king
composing hallelujah
Sentì le voci dei propri
compagni accompagnare il ritornello, nella perfetta armonia che tanto
a lungo avevano studiato.
La paura iniziale cominciò
a scemare, lasciando spazio alla musica.
Well your faith was strong
but you needed proof You saw her bathing on the roof Her
beauty and the moonlight overthrew you She tied you to her
kitchen chair She broke your throne and she cut your hair And
from your lips she drew the hallelujah.
E come avrebbe voluto fargli
capire che quel “she” per lui era un “he”,
che solo a lui pensava quando cantava quelle parole.
Baby i've been here before
I've seen this room and i've walked this floor I used to live
alone before i knew you I've seen your flag on the marble arch
But love is not a victory march It's a cold and it's a broken
hallelujah.
L'amore non è una marcia
di vittoria, Blaine ormai l'aveva capito. Non era la sconfitta di uno
per mano dell'altro. Se cadevano, cadevano insieme.
Well there was a time when
you let me know What's really going on below But now you
never show that to me do you But remember when i moved in you
And the holy dove was moving too And every breath we drew was
hallelujah.
Parlami,
avrebbe voluto gridargli da lì. Insultami
se devi, ma non evitarmi.
Ma Kurt non sembrava evitarlo.
Tutt'altro. I suoi occhi non lo lasciarono neppure per un istante.
Well, maybe there's a god
above But all i've ever learned from love Was how to shoot
somebody who outdrew you It's not a cry that you hear at night
It's not somebody who's seen the light It's a cold and it's a
broken hallelujah.
Cos'aveva imparato dall'amore?
Difficile dirlo, visto che prima di allora non aveva mai amato e
poche settimane evidentemente non erano abbastanza.
Ma quei pochi giorni di
lontananza gli avevano fatto capire una cosa: quando non ti escono
più neppure le lacrime l'unica cosa che ti rimane è un
freddo hallelujah.
Aveva in mente di portare alle
Regionali una canzone di Kate Perry (l'ennesima) o di Pink (doveva
ancora scegliere), ma all'improvviso aveva sentito il bisogno di una
canzone più emotiva, più personale. Una canzone che
dicesse semplicemente... di più.
Aveva scelto quella. Aveva
dimostrato di poterla cantare e nessuno aveva obiettato.
Tutti pensavano l'avesse fatto
per scrollarsi di dosso lo stereotipo del ragazzo Top-40. La verità
era che l'aveva fatto per lui. Perché con le parole non era
bravo, ma a quanto pare – quando cantava – riusciva ad
arrivare al cuore delle persone.
Nick e Jeff stavano ascoltando
Hallelujah in religioso silenzio. I loro compagni Warblers
stavano accompagnando l'assolo di Blaine ma loro – i prossimi
solisti ad esibirsi – erano rimasti dietro le quinte a
prepararsi psicologicamente.
«Agitato?»
«Da morire»
confessò Jeff.
«Anch'io» ammise
Nick, alzando le spalle. «E' il nostro primo assolo –
beh, duetto – ad una competizione ufficiale, in fondo.»
«E se facessi un
disastro? Se dimenticassi le parole o stonassi alla grande, rovinando
il lavoro di tutti? Il tuo, in particolare.»
«Ehi, tu non stonerai, mi
hai capito? Abbiamo provato ogni pomeriggio da quando ci hanno
affidato il pezzo fino ad oggi e cantiamo insieme da tre anni ormai.
Ricordi come abbiamo cominciato?»
«Cantando le sigle dei
cartoni animati durante le nostre maratone serali al primo anno»
disse, sorridendo.
«E poi siamo entrati nei
Warblers. Insieme. Ed ora siamo qui, sul punto di esibirci. Ancora
insieme. Vorrà pur dire qualcosa, no?»
Jeff sorrise. La paura si fece
meno insistente.
Sentirono Blaine concludere il
suo assolo e si scambiarono un ultimo sguardo. Poi entrarono in
scena.
Le voci dei Warblers erano –
come sempre – perfettamente armonizzate. Jeff respirò
profondamente, poi prese il microfono e gli si avvicinò.
There used to be a greying
tower alone on the sea You became the light on the dark side of
me Love remains a drug that's the high and not the pill But did
you know that when it snows My eyes become large And the light
that you shine can't be seen?
Sentì il coro
accompagnarlo nel ritornello, e all'improvviso l'ansia scemò.
Baby, I compare you to a
kiss from a rose on the grey Ooo, the more I get of you, the
stranger it feels, yeah Now that your rose is in bloom A light
hits the gloom on the grey.
Questa volta fu Nick ad
afferrare il microfono e a soffiarvi dentro la voce:
There is so much a man can
tell you So much he can say You remain my power, my pleasure,
my pain Baby, to me, you're like a growing Addiction that I
can't deny Won't you tell me, is that healthy, baby? But did
you know that when it snows My eyes become large And the light
that you shine can't be seen?
Nick guardava il pubblico come
se fra loro ci fosse la persona a cui stava dedicando la canzone. Ma
nell'istante in cui si voltò verso di lui, Jeff capì
che non era così. Il suo sguardo non era solo d'intesa, non
era lo sguardo che lanci ad un partner artistico. E' il tipo
di sguardo che vuole dire le parole non dette.
Canta con me.
Era
come se Nick glielo stesse gridando. Che
importa se i giudici capiranno che non è per una ragazza del
pubblico la canzone ma per noi? Che importa se coglieranno i nostri
sguardi?
Now that your rose is in
bloom A light hits the gloom on the grey
La fine della canzone giunse
senza che neppure se ne accorgessero. Rimasero qualche istante a
guardarsi, davanti ai microfoni. Si sorrisero, senza dire
nient'altro. Non serviva.
Kurt
guardò i Warblers esibirsi nell'ultimo pezzo. Sebastian era
davvero bravo e The Shock of the Lighting era
decisamente nelle sue corde. Aveva una voce stupenda e il modo in cui
si muoveva... non stentava a credere che cambiasse ragazzo con la
frequenza con cui lui cambiava outfit. Sorrise nel vedere gli altri
Warblers – quelli che non si erano esibiti nei pezzi da solisti
– ballare indossando le tute che aveva lui stesso aiutato a
trovare. Alcuni stavano dando davvero il meglio di sé, facendo
acrobazie che forse solo Mike e le Cheerios avrebbero saputo
eguagliare.
Scorse
i due ragazzi che avevano cantato Kiss from a rose.
Erano stati eccezionali e a lui non era sfuggito lo sguardo finale
che si erano lanciati. Quanto avrebbe dato per poter avere un momento
simile. Si era esibito da solista alle regionali e una volta aveva
duettato con Finn – ma nulla di romantico, ovviamente.
Pensò a come sarebbe
stato duettare con la persona che amava.
Fu
a quel punto che l'immagine di Blaine, solo sul palco, che intonava
Hallelujah tornò
prepotente alla sua mente.
Quando il pubblico si alzò
in piedi per la standing ovation, lui ne approfittò per
sgusciare via. Il professor Schuester provò a fermarlo ma lui
fu più rapido e percorse il corridoio quasi di corsa. Non
sarebbe riuscito a rimanere lì un istante di più.
Non appena ebbero finito di
esibirsi, Blaine fu trascinato nei camerini insieme a Sebastian, Nick
e Jeff in un coro di ovazioni. Tutti si complimentavano con loro,
commentavano l'esibizione, si lamentavano per qualche passo
sbagliato.
I due più acclamati
furono Nick e Jeff. Il secondo quasi arrossì per i tanti
complimenti ricevuti, scuotendo animatamente le mani e assicurando
che non ce l'avrebbe mai fatta da solo. Nick, al suo fianco,
sorrideva, tenendolo per il braccio quasi avesse paura che glielo
portassero via.
Blaine invece riuscì ad
evitare tutti e a sgattaiolare via dagli spogliatoi.
Incrociò Rachel, già
vestita di tutto punto per entrare in scena.
«Blaine!» esclamò
vedendolo. «Sei stato fantastico. Sarà dura battervi.»
«Grazie, Rachel. Ora
scusa ma devo andare.»
«Non mi fai neppure gli
auguri per l'esibizione?» protestò.
Blaine sorrise e la abbracciò:
«Buona fortuna. Sono sicuro che sarai fantastica.» Si
staccò da lei e ripartì. Scappando si scontrò
con Finn, lo salutò velocemente e sparì.
Finn lo guardò
perplesso, poi si rivolse a Rachel.
«Tutto bene?»
«Penso di sì. Ho
come il sospetto di sapere da chi stia correndo.»
Finn sorrise: «Pronta?»
«Tu, piuttosto. Sono due
anni che non ti esibisci su un palco vero e proprio: sicuro di
reggere la tensione?»
«Non proprio. Ma sarai tu
ad aprire le danze, ricordi?» le fece notare.
Rachel si morse le labbra.
«Spero di essere all'altezza.»
«Lo sarai» disse,
spingendola verso l'entrata.
Rachel si voltò
un'ultima volta a guardarlo, poi fece la sua apparizione sul palco.
Le luci erano tutte puntate su
di lei e il microfono era pronto. Esattamente come suo fratello si
avvicinò ad esso e vi si aggrappò.
Fece un bel respiro e fece un
cenno. La base partì.
Poi cominciò a cantare
ed il resto venne da sé.
Non appena uscirono dal palco,
Nick e Jeff furono travolti dall'entusiasmo dei loro compagni. Li
abbracciarono, li spettinarono, si complimentarono con loro per quel
fantastico duetto affermando che, se fossero arrivati alle Nazionali,
avrebbero di sicuro dato a loro una canzone.
Non appena però ebbero
un secondo di pausa, Nick afferrò Jeff per la manica e lo
trascinò via dalla folla.
Jeff non capì subito che
cosa fosse preso all'amico e pensò che volesse dirgli qualcosa
– o forse doveva semplicemente vomitare per l'agitazione e gli
serviva qualcuno di supporto.
Invece, quando raggiunsero i
bagni deserti, Nick si voltò verso di lui e, senza aggiungere
altro, lo afferrò per i bordi della giacca e lo attirò
a sé, baciandolo.
Fu tutto tranne che un bacio
dolce.
Prima di rendersi conto di
quello che stava accadendo, Jeff stava rispondendo al bacio. Non era
la prima volta che baciava qualcuno, ma certo era la prima volta che
baciava un ragazzo e, più tardi, si sarebbe stupito della
naturalezza con cui si era comportato.
Avevano entrambi agito
d'istinto: si erano trattenuti sul palco, avevano evitato di
guardarsi negli occhi ogni secondo della performance e,
nell'inchinarsi l'uno affianco all'altro non si erano neppure
abbracciati perché sapevano che, se si fossero lasciati andare
anche solo un secondo, non sarebbero più riusciti a fermarsi.
Ma lì, al sicuro da
sguardi indiscreti, potevano fare ciò che volevano e quel
bacio era stato troppo desiderato da entrambi per essere posticipato.
Quando si staccarono presero un
respiro profondo, uscendo dall'apnea nel quale erano immersi.
Si guardarono, temendo di
affrontare lo sguardo dell'altro.
«Scusa, non sono riuscito
a trattenermi oltre» disse Nick.
«Non mi pare di essermi
opposto alla cosa» gli fece notare l'altro.
Si sorrisero, facendo
nuovamente sfiorare i loro nasi.
«A te sta bene... questa
cosa?»
«Sì. Insomma, ho
sempre saputo che tu eri più di un amico. Wes è mio
amico. David e Thad sono miei amici. Anche Blaine è solo un
amico. Tu sei sempre stato qualcosa di più» disse Jeff.
«Questo non cambierà
le cose tra noi, vero? Rimarremo sempre quelli di prima: i soliti
Nickejeff, indivisibili e inimitabili.»
«Prendi due paghi uno.
Immagino di sì. Anche perché credo che gli altri lo
sappiano ormai da tempo. Forse da prima di noi.»
Nick appoggiò la testa
contro la spalla dell'altro: «Mio Dio, quando Sebastian lo
scoprirà gongolerà come un cucciolo dopo la poppata.»
«E tu lascialo fare»
disse Jeff, ridendo. «Finché ci saremo noi due, chi se
ne frega di Sebastian.»
Nick si sollevò e,
guardandolo negli occhi, portò una mano alla sua nuca e la
accompagnò verso di sé per un altro bacio. Questa volta
fu dolce e controllato. Le loro labbra si sfiorarono, solleticandosi,
prima di dischiudersi. Rimasero ancora qualche minuti, fronte contro
fronte, a respirare la stessa aria.
«Che dici, torniamo dagli
altri?»
Jeff annuì e, senza
dividersi, lasciarono il bagno.
Blaine era impegnato a litigare
con uno dei buttafuori mentre Rachel cantava a pieni polmoni Don't
you remember di Adele. Si fermò un istante ad ascoltarla
pensando che, diavolo, ne aveva fatta di strada da quando cantavano
in duetto Anything you can do I can do better alle feste di
compleanno della nonna.
Poi tornò a rivolgersi
al buttafuori.
«La prego, è
davvero importante. Devo rientrare assolutamente nella platea.»
«Niente da fare, se non
hai il biglietto o il pass.»
Blaine si maledì per
aver lasciato nella fretta il pass nei camerini.
«Non vede che ho la
divisa della scuola che si è appena esibita?»
«Per quel che ne so
potresti essere un amico della scuola senza essere nel coro. Mi
spiace. Se davvero sei del coro perché non torni con il pass?»
Blaine sbuffò. A quel
punto non vedeva altra soluzione. Si voltò per tornare sui
propri passi quando una voce lo fermò.
«Blaine?»
Il Warbler si voltò di
scatto riconoscendo la voce inconfondibile.
Era Kurt.
Finito il proprio pezzo, Rachel
si inchinò al pubblico con sorriso raggiante e gridò
entusiasta:
«Signore e signori: le
New Directions!»
Mentre gli applausi
scrosciavano Finn attraversò il palco, mentre Rachel
indietreggiava per raggiungere il resto del coro.
Finn prese un respiro profondo
e ripensò a tutte le volte che aveva cantato da solista ad una
delle competizioni. Poi cominciò a cantare.
I'm just the pieces of the
man I used to be Too many bitter tears are raining down on me
I'm far away from home And I've been facing this alone For
much too long.
Blaine fissò incredulo
il ragazzo davanti a lui. All'improvviso fu tentato di scappare per
non doverlo affrontare, per non doverlo ascoltare mentre gli diceva
“non dobbiamo più vederci” o “sei stato uno
sbaglio”.
Sarebbe stato troppo.
Oh, I feel like no-one ever
told the truth to me About growing up and what a struggle it
would be In my tangled state of mind I've been looking back
to find Where I went wrong.
Era davanti a lui. Blaine era
lì, dall'altra parte dell'atrio e a separarli c'era solo
l'ampia stanza vuota.
Nessuno aveva mai detto a Kurt
cosa si prova ad essere innamorati. Certo, gli avevano parlato delle
farfalle nello stomaco, dei messaggi d'amore, dei baci, delle
promesse. Ma nessuno gli aveva mai detto quanto facesse male.
In quel momento desiderò
non essere così dannatamente innamorato, desiderò non
provare quella stretta al cuore di quando stai per perdere qualcosa
di importante.
Si chiese cosa avesse
sbagliato, cosa diavolo avesse fatto di male se non
innamorarsi del ragazzo più stupido dell'Ohio.
Too much love will kill you
If you can't make up your mind Torn between the lover And
the love you leave behind You're headed for disaster 'Cos you
never read the signs Too much love will kill you - every time.
Entrambi indecisi se fuggire o
affrontare la realtà rimasero a guardarsi, paralizzati dalla
paura come bambini durante un terremoto.
Quell'amore li stava uccidendo
dentro, lentamente ed inesorabilmente. Li aveva colti impreparati ed
incapaci di agire. Li aveva colti al primo amore, quando tutto è
ancora nuovo ed è facile ferirsi.
I'm just the shadow of the
man I used to be And it seems like there's no way out of this for
me
No there's no making sense
of it Every way I go I'm bound to lose.
Blaine non era che un'ombra del
ragazzo che una volta era e questo per colpa – o merito –
di Kurt e di come l'aveva cambiato.
Probabilmente non aveva senso
ciò che stava per fare, ma in fondo lui in amore era ancora un
novellino. Poteva ancora permettersi di sbagliare.
Too much love will kill you
Just as sure as none at all It'll drain the power that's in
you Make you plead and scream and crawl And the pain will
make you crazy You're the victim of your crime Too much love
will kill you - every time.
Attraversò la sala e,
man mano che accorciava i metri che li dividevano, vide Kurt
imitarlo. Si raggiunsero a metà sala e, senza che nessuno dei
due dicesse niente, si abbracciarono così forte da dover
trattenere il respiro.
Si separarono qualche secondo
solo per guardarsi negli occhi e le loro labbra – così
vicine dopo giorni di astinenza – non riuscirono a trattenersi.
Non aveva minimamente senso.
Kurt era arrabbiato con Blaine, ed era preoccupato ed
era confuso e l'ultima cosa che avrebbe dovuto fare era
baciarlo lì, davanti ad un buttafuori improvvisamente
imbarazzato, mentre la voce di suo fratello gli arrivava come da un
altro mondo.
«Kurt, mio Dio, Kurt...
pensavo che... pensavo che non...»
«Tu pensavi? Non ti sei
fatto sentire per cinque giorni. Cinque maledettissimi giorni.»
«Come? Ma se ti avrò
mandato almeno una decina di messaggi! Ho anche provato a chiamarti,
ma niente. Non sapevo cosa pensare.»
«Blaine, sei tu
che non ti sei fatto sentire.»
«Aspetta, vuoi dire che
non hai ricevuto nessuno dei miei messaggi?»
«E tu nessuno dei miei?
Neppure le chiamate? Ma se mi hai pure risposto!»
Blaine lo guardò
sbalordito.
Kurt prese dalla tasca il
cellulare e gli mostrò i messaggi.
«Ecco» disse,
lasciandogli leggere i vecchi sms.
«Io non ho mai scritto
nulla del genere» disse, leggendo sbalordito le parole sul
display. «Io non ti avrei mai scritto niente del genere»
esclamò. Poi corrugò la fronte. «Ma soprattutto,
questo non è il mio numero.»
«Ma se è quello
che ho salvato il giorno stesso in cui ti ho dato il mio.»
«Beh, ti assicuro che non
lo è» disse, prendendo dalla tasca il proprio cellulare.
«E' questo il tuo numero?»
«No, ma è lo
stesso che mi ha mandato quei messaggi spacciandosi per te.»
I due ragazzi si guardarono
negli occhi, capendo improvvisamente cosa fosse successo.
«Qualcuno ha cambiato i
numeri di telefono. Forse per fare uno scherzo idiota...»
«O forse col preciso
intento di farci litigare» concluse Blaine.
«Ma dai, chi avrebbe
interesse a farci litigare?» disse.
Blaine strinse i pugni e
respirò profondamente.
«Sebastian.»
Il Warbler si stava sistemando
la cravatta. Era piuttosto soddisfatto della propria esibizione e
doveva ammettere che l'Halleluja di Blaine era stato davvero
toccante.
Merito del suo cuore
spezzato,
pensò una piccola parte del suo cervello che Sebastian mise
provvidenzialmente a tacere. Cuore spezzato? Per un ragazzo con cui
stava da una settimana? Non gli sembrava possibile.
La vittoria alle Regionali
l'avrebbe distratto da Kurt, permettendogli così di
concentrarsi al massimo sulle Nazionali e sugli esami finali. Finì
di sistemarsi la camicia e sentì il cellulare squillare.
No,
non il suo cellulare. Bensì il cellulare,
quello con cui si fingeva alternativamente Kurt o Blaine. Si chiese
quale dei due potesse essere.
Kurt.
Era un messaggio che diceva
semplicemente: “Ti ho visto cantare. Ti prego, rispondimi.”
Non era davvero in vena di
scrivere qualcosa di cattivo. Anzi, fu quasi tentato di togliere la
sim dal cellulare e buttarla nel primo water a sua disposizione e
dimenticare tutta quella storia maledetta. Invece rispose: “E'
stato un errore. Non dobbiamo più vederci.”
Sentì il rumore di un
telefono che squilla alle sue spalle.
«Lo sapevo.»
Sebastian riconobbe la voce di
Blaine. Chiuse gli occhi e respirò profondamente prima vi
voltarsi. Il suo compagno di stanza era sulla porta dei camerini
ormai vuoti. Affianco a lui c'era Kurt che reggeva in mano il proprio
cellulare.
«Ops» disse,
alzando le spalle.
«Non ci volevo crede
all'inizio. Poi ho pensato: chi altri potrebbe essere stato? Chi
altri da una settimana a questa parte cerca di osteggiare in ogni
modo la nostra relazione? Chi altri avrebbe avuto modo di prendere il
mio cellulare e cambiare il numero?»
Sebastian alzò il
sopracciglio e reclinò la testa, colpevole. «Lo facevo
per il vostro bene.»
«Non raccontarmi cazzate!
In che modo potevi voler fare il mio bene? Questa cosa mi ha... mi ha
devastato!»
«Dio,
Blaine, sei sempre così melodrammatico! Devastato per una
cotta adolescenziale? Per favore! Saresti guarito in fretta e,
volendo, avrei potuto darti una mano – se capisci cosa intendo.
Invece se continuerete a vedervi fino ad innamorarvi per davvero,
quando arriverà il momento di lasciarvi sarà davvero
devastante. Devastante al punto da
portarvi a commettere delle sciocchezze. Come, ad esempio, optare per
un'università scadente per rimanere vicini. O dirlo ai tuoi
genitori e farti cacciare di casa. O essere costretto a vivere
nell'Ohio per tutto il resto della tua vita come triste impiegato
d'ufficio senza neppure la possibilità di sposarti o di
trovarti un uomo che si rispetti.»
«Che vuoi dire con
questo?» disse Kurt, facendosi avanti.
«Voglio dire che tu non
vai bene per lui. Tutte quelle stronzate sull'amore che non ha
confini... ma per favore! Sai meglio di me che tipo di vita fai e
potrai continuare a farla finché manterrai quel bel culetto.
Ma quando comincerai a diventare adulto e perderai quell'aria da
angioletto quanto pensi che ci metteranno a licenziarti? E dopo
cos'hai intenzione di fare?»
«Mi arrangerò,
come ho sempre fatto» rispose.
«Come? Aggrappandoti a
lui e tirandolo a fondo con te, forse? Se davvero provi qualcosa per
lui, lascialo andare. Sarà meglio per entrambi.»
«Lascia decidere a me
cosa è “meglio per me”» disse Blaine. «Ti
sei intromesso abbastanza.»
«Non mi sembrava che ti
dispiacessero le mie intromissioni fintanto che ti aiutavano ad
entrargli nelle mutande.»
Sebastian sperava forse di
scatenare una reazione in Blaine. Pensava che l'altro l'avrebbe preso
a pugni. Pensava che Kurt l'avrebbe guardato scandalizzato.
Invece
i due si limitarono ad avvicinarsi l'uno all'altro ancora di più
e a guardarlo. Nei loro sguardi c'era disappunto. Disappunto.
La cosa che Sebastian più odiasse al mondo dopo la
commiserazione.
«Ti chiedo solo una cosa»
disse Kurt. «E me la devi. Capisco che tu abbia cambiato il
numero dal cellulare di Blaine, ma come hai fatto a cambiare il
numero dal mio?»
Sebastian tacque. Non voleva
fare il nome di Dave perché tradire l'altro non avrebbe
aiutato la sua situazione.
Non servì neppure,
perché dopo il silenzio di Sebastian il volto di Kurt si
illuminò, per poi rabbuiarsi.
«E' stato Dave.»
Nessuna risposta. Ma a Kurt non
servivano.
«E' stato Dave. Lui...
lui mi ha chiesto il cellulare per prendere il tuo numero e poi... la
serratura del camerino scassinata. Proprio come faceva al liceo. È
stato lui, vero? L'hai coinvolto nella tua idea!»
No, non questa volta. Non
voglio più fare la parte del cattivo,
pensò.
«Non dire assurdità,
Kurt. L'hai detto tu stesso. È stato lui a cercarmi. È
stato lui a mostrarmi perché eri così sbagliato per
Blaine. Certo, l'idea dei numeri è stata mia ed ero io a
rispondere ai messaggi, ma Dave è colpevole quanto me. Se non
con l'aggravante che mentre io l'ho fatto per il bene di Blaine, lui
l'ha fatto solo perché voleva che tu tornassi con lui.»
Kurt non gli rispose neppure.
Si voltò e se ne andò, seguito da Blaine.
Sebastian era consapevole di
cosa l'avrebbe aspettato.
L'aveva fatto per il bene di
Blaine, continuava a ripetersi. Le sue intenzioni erano buone. Era
dalla parte del giusto. L'aveva fatto perché era un buon
amico.
Una piccola parte del cervello
gli suggerì che non fosse stato l'altruismo a spingerlo, ma
l'invidia.
I tre cori sfidanti salirono
sul palco.
Rachel si scambiò un
cenno della testa con Blaine, che si sforzò di sorriderle.
Kurt dal pubblico cercò
lo sguardo di Finn e di Mercedes e alzò i pollici nella loro
direzione. Poi spostò l'attenzione sui Warblers. I quattro
solisti era tutti vicini ma notò che Nick e Jeff stavano fra
gli altri due. Sebastian non sorrideva. Si limitava a corrugare la
fronte e guardare scocciato le New Directions.
Uno dei tre giudici fece la sua
entrata sul palco con una busta in mano. La aprì con
teatralità prima di schiarirsi la voce davanti al microfono.
«I vincitori delle
regionali di quest'anno sono...»
Silenzio.
Kurt giurò di poter
sentire il rumore del battito del loro cuore fin dal suo posto.
«Le New Directions.»
I due cori stavano già
salendo sui rispettivi pulmini – le New Direction esultanti di
gioia, i Warblers remissivi e un po' delusi.
Blaine si attardò,
stringendosi nella propria sciarpa e nei propri guanti. Davanti a lui
Kurt sorrideva tenendogli le mani e a lui questo bastava.
«Mi dispiace. Eravate
davvero bravi. Nick e Jeff sono stati meravigliosi e il tuo assolo...
è stato fantastico, Blaine.»
«Non dispiacerti. Non
sono triste.»
«Ma se ci tenevi
tantissimo!»
«E' vero, ma c'era
qualcosa a cui tenevo di più» disse, sollevandogli le
mani e avvicinandosele alle labbra, per baciarle da sopra i guanti.
«E sono riuscito a ritrovarla quando pensavo di averla persa.
Ci siamo ritrovati, Kurt. Questo vale più di uno stupido
trofeo, no?»
«Anche se tua sorella ti
deriderà per tutto il resto dell'anno?» chiese,
voltandosi ad osservare la ragazza che in quel momento stava
abbracciando il suo altissimo fratello.
Blaine gemette al solo pensiero
di dover affrontare Rachel e la sua smorfia fece ridere Kurt.
Lo baciò, come aveva
voluto fare in quei cinque giorni senza mai averne la possibilità.
«Sì, vale
decisamente di più» disse.
Kurt gli sorrise, sciogliendo
l'intreccio delle loro dita e accompagnandolo verso il pulmino. «Mi
scriverai questa sera per dirmi se è tutto okay?»
chiese.
«Non ci saranno problemi,
ma ti scriverò ugualmente. Solo per dirti quanto sei
fantastico» disse, facendolo vagamente arrossire. «E tu
promettimi che non farai stupidaggini.»
«Promesso» garantì
Kurt, non così certo di poter mantenere la promessa.
Si divisero con la certezza che
non si sarebbero persi mai più.
Dave quel giorno fu svegliato
da sua madre. Erano le sette e non avrebbe dovuto alzarsi fino alle
otto. Suo padre era già al lavoro e lui avrebbe dovuto
raggiungerlo per le nove e visto che non doveva fare molta strada
aveva ancora tutto il tempo per dormire. Che diavolo poteva volere
sua madre?
«Dave, tesoro,
svegliati.»
«Mhpf, che c'è
mamma? E' ancora presto!»
«Lo so, ma c'è un
ragazzo alla porta che chiede di te.»
«E chi diavolo è?»
«Non lo so; ha detto solo
di essere un tuo ex compagno di scuola.»
Dave si chiese chi potesse
essere. Sua madre conosceva quasi tutti i suoi vecchi compagni di
squadra delle superiori e all'infuori di loro non aveva amici. Forse
era qualche sconosciuto del McKinley venuto a scroccargli soldi per
beneficenza o per rimodernare le aule o roba del genere.
Si alzò scocciato dal
letto. «Va bene, mi metto qualcosa e scendo» disse,
infilandosi la prima t-shirt che trovò e un paio di pantaloni.
Cercò delle ciabatte e le calzò, scendendo le scale
assonnato. Poté sentire la voce di sua madre dire: “Accomodati
pure finché lo aspetti.”
Il cuore gli si fermò in
petto quando riconobbe la voce che rispose: “No signora,
grazie, è una cosa veloce.”
«Kurt?» mormorò
dalle scale. Era incredibile come quel ragazzo potesse essere
perfetto anche di prima mattina. Non un capello fuori posto, non un
vestito scelto a caso. Poi si ricordò che sua madre lo stava
guardando e cercò di mantenere un minimo di contegno. Come –
ad esempio – chiudere la bocca.
«Ciao, Dave, scusa per
l'ora ma sono passato prima di andare al lavoro. Ho bisogno di
parlarti.»
«Okay» disse,
raggiungendo la porta.
«Perché non
entrate dentro? Fa freddo fuori e tu Dave sei poco vestito.»
«Mamma!» protestò.
«Scusi, signora, un
minuto e glielo rimando dentro» disse Kurt, sorridendo
rassicurante alla donna.
Lei annuì e Dave la
superò, chiudendosi la porta alle spalle. Non appena furono
rimasti soli, il sorriso sulle labbra di Kurt sparì.
«Verrò subito al
sodo: ho parlato con Sebastian.»
Dave boccheggiò:
«Kurt, ti posso
spiegare...»
«Ti prego, risparmiami i
dettagli su come tu e Sebastian possiate aver partorito l'idea malata
di separarci. Se penso poi che devi avermi preso il cellulare e
cambiato il numero... e devi averci pensato bene prima... non posso
neppure credere che tu abbia potuto...» Kurt si fermò e
prese il respiro.
«Mi lasci parlare?»
Kurt alzò le spalle.
«Kurt, l'ho fatto perché
non volevo che ti innamorassi di quello lì. Fra qualche mese
lui finirà la scuola e poi se ne andrà di qui. O, nel
caso restasse per te, finirebbe poi per darti la colpa della sua
infelicità e io non volevo questo.»
«Ah, quindi l'avresti
fatto per il mio bene?»
«Sì. Blaine non è
il ragazzo giusto per te.»
Kurt fece un respiro profondo
per ricacciare indietro il desiderio di prenderlo a pugni. «Quando
mio fratello scoprì la nostra relazione, mi disse che non eri
quello giusto, che non avresti mai potuto essere quello giusto
e che mi avresti fatto soffrire. Ma io non l'ho ascoltato. Ti ho dato
fiducia perché tutti la meritano.»
«Questa volta è
diverso.»
«Lasciami finire. Poi,
sappiamo tutti e due com'è andata a finire, ma quando un mese
fa ci siamo incontrati di nuovo ho deciso che ti meritavi una
possibilità. Ed ora te la sei giocata di nuovo.»
«Blaine ti farà
soffrire.»
«Può essere!
Probabilmente un giorno mi farà star male tanto quanto mi hai
fatto stare male tu, ma non è ancora successo. Finora è
stato l'unico ad avermi mai fatto sentire... amato. Speciale. Unico.»
«Anche per me eri unico»
mormorò Dave.
Kurt si impose di ignorare le
sue parole e di non pensare a come dovesse sentirsi. Aveva
oltrepassato il limite e lui non poteva più perdonarlo.
«Non scrivermi più,
per favore. Non chiamarmi neppure, non cercarmi. Pensavo potessimo
essere amici, ma a quanto pare mi sbagliavo.»
Si voltò e se ne andò,
lasciandolo sulla soglia di casa a chiamarlo per nome.
Dave lo guardò andare
via e sbatté il pugno contro la porta di casa.
Sua madre aprì la porta
allarmata:
«Mio Dio, Dave, cos'è
successo? Che voleva quel ragazzo?»
«Nulla, mamma»
mormorò.
«Va tutto bene? Sembri
scosso.»
«No, non va per niente
bene» rispose, tornandosene in camera sua.
Affondò nel letto e si
immerse fra le coperte, dandosi dello stupido ancora e ancora.
A/N
Scusate
il ritardo, ma ero convinta che fosse giovedì.
Ho
approfittato delle orette in più per scrivere la scena Niff
(sì, non era prevista, ma mi andava e l'ho scritta, gnè)
Visto che
tutto si è risolto? Okay, ora le cose per Dave e Sebastian non
sono esattamente una favola ma almeno Kurt e Blaine si sono
rappacificati.
E poi
anche Nick e Jeff hanno fatto un bel passo!
Posso
affermare con orgoglio di aver stabilito il numero di capitoli della
fanfiction: saranno 23 (al massimo uno in più nel caso le
questioni che devo trattare si dilunghino). Lunedì sera ho
avuto una sorta di visione riguardante il finale e quindi ora anche
quello è deciso e non vedo l'ora di scriverlo!
Niente
tragedie o angst nel prossimo capitolo, solo molto fluff e qualche
scena undapper.
A
venerdì!
yu_gin
coming next
Quella notte, nel proprio
letto, Kurt si sarebbe chiesto fin dove sarebbero arrivati se,
proprio mentre i primi bottoni della camicia cominciavano ad essere
sbottonati, non avessero sentito il rumore inconfondibile di un colpo
di tosse alle loro spalle.
I due ragazzi scattarono a
sedere, cercando di ricomporsi nel minor tempo possibile. Poi
entrambi si voltarono per vedere chi fosse.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** a house is not a home ***
A
Lima Side Story
Capitolo
19: a house is not a home
Blaine aspettava impaziente il
proprio turno in fila al Lima Bean. Affianco a lui Finn faceva lo
stesso, tamburellando le dita sul bancone.
Blaine percepì
improvvisamente il papillon come troppo stretto. Da quando si era
messo con Kurt non aveva mai avuto modo di fare una vera e propria
chiacchierata con Finn e temeva il momento in cui questa sarebbe
arrivata. Nella fattispecie, quel preciso istante.
Finn si era girato verso di lui
con aria distesa e aveva detto:
«E così stai con
mio fratello.»
Blaine aveva seriamente pensato
di voltarsi e fuggire. Poco appropriato, d'accordo, ma almeno avrebbe
salvato la pelle.
«Non fraintendere, non
che sia una novità. Insomma, se sommiamo il periodo in cui
uscivate sempre insieme come amici e poi le ultime settimane, ormai
mi sono abituato all'idea. È solo che... è strano. Sai,
in un certo senso è come se fossi il primo. Almeno per quanto
mi riguarda.»
«Pensavo che conoscessi
Dave.»
«Conoscerlo è una
parola grossa. Ci odiavamo quando eravamo insieme nella squadra di
football visto che lui, come il resto della scuola, sembrava avere un
problema con noi del Glee. Poi, quando ho scoperto che si vedeva con
Kurt, diciamo che non ho toccato il cielo con un dito. Nel senso che
ho dovuto usare tutta la mia buona volontà per non spaccargli
la faccia» disse.
Sì, quel papillon era
decisamente troppo stretto, pensò Blaine.
«Per questo non ci è
mai sembrato il caso di uscire tutti insieme per un caffè.
Mentre oggi mi sembra che tutto stia andando bene» disse,
voltandosi verso i tavolini dove Kurt e Rachel stavano discutendo
animatamente.
«Sembrano andare
d'accordo» disse Blaine. «Mia sorella ha la sindrome
della diva. Tende a sopraffare gli altri.»
«Kurt non è da
meno. Temevo che si sarebbero sbranati, invece hanno trovato un loro
equilibrio, a quanto pare.»
Blaine sorrise, perché
Rachel era il membro della sua famiglia a cui più voleva bene,
probabilmente anche quella che lo conosceva meglio di tutti e sapere
di poter condividere con lei parte della sua felicità lo
faceva sentire meno solo. Anche finita la scuola avrebbe avuto
qualcuno su cui contare.
«Comunque stai
tranquillo» disse, battendogli una mano sulla spalla –
cosa che ovviamente non fece tranquillizzare Blaine, cui parve di
sentire il rumore di una clavicola rotta. «Non ho intenzione di
fare quei discorsi del tipo “fallo soffrire e ti spezzo le
gambe” o cose del genere. Insomma, siete tutti e due abbastanza
grandi per badare a voi stessi. E poi hai già conosciuto
Santana, quindi sai già chi devi temere in caso di una rottura
violenta.»
Blaine ripensò
all'ispanica e improvvisamente capì chi doveva davvero temere.
«Potrei dirti la stessa
cosa» disse Blaine, prendendo coraggio. «Insomma, tu e
Rachel...»
«Oh» mormorò
Finn, che perse di colpo tutta la propria sicurezza. «Non credo
dovrai preoccuparti di me. Dubito sia interessata al di fuori
dell'ambito – aspetta, com'è che lo chiama? -
artistico-professionale.»
«Stai scherzando, spero?»
esclamò Blaine. «Rachel non fa che parlare di te. So più
cose di te da lei che da Kurt, anche perché lui parla di te
solo per lamentarsi del fatto che non lavi i piatti.»
Finn era troppo preso dalla
prima parte della frase per replicare alle accuse indirette di Kurt.
«Parla di me?»
«Ma sì, dei duetti
che fate, delle vostre uscite al negozio di musica, dei consigli che
vi date, della tua vita in generale. Cavolo, potrei scrivere la tua
biografia! “Finn, il gigante buono” o qualcosa di simile.
Penso venderebbe.»
«I tuoi genitori mi
odierebbero. Non sono esattamente il miglior partito sulla piazza.»
«Credimi, sarebbero
troppo impegnati a cacciarmi di casa per il solo fatto di essere
gay.»
«Spero tu stia
scherzando.»
«Purtroppo temo di no, e
non ho il coraggio di verificare i miei timori» disse.
Ordinarono i propri caffè e pagarono.
«E se lo dovessero
scoprire?» chiese. «Dico, se ti cacciassero di casa?»
«Non lo so. Nella
migliore delle ipotesi mi spedirebbero al college invitandomi
caldamente a non tornare per le vacanze di Natale. E mi andrebbe
anche bene. Se invece mi cacciassero di casa senza un soldo se non
l'eredità che mi ha lasciato mio nonno... non lo so davvero.
Fino ad una settimana fa avevo un amico che mi aveva sempre garantito
un posto a casa sua, nell'eventualità, ma dubito che sarebbe
ancora disponibile ad ospitarmi, non dopo la litigata colossale che
abbiamo avuto.»
«So che può
suonare azzardato, ma se non dovessi avere altro posto dove andare –
sì, insomma, prima di trovarti a dormire sotto i ponti o nei
bagni del Lima Bean – sai che puoi venire da noi, vero? Basta
che tu ci dia una mano con le spese e che lavi i piatti ogni tanto.»
Blaine sorrise. «Ricevuto.
Grazie. Mi fa sentire più tranquillo.»
Finn stava per rispondere che
non c'era alcun problema, visto che anni prima avevano ospitato la
sua ex ragazza per mesi, quando era convinto di averla messa incinta.
Poi pensò che un simile episodio non giocasse esattamente a
suo favore e tacque.
Quando tornarono al tavolino
con i caffè in mano, poterono constatare che Kurt e Rachel
stavano parlando delle Nazionali.
In realtà i due avevano
parlato fino a quel momento di Finn e Kurt aveva assicurato a Rachel
che, se entro un mese suo fratello non si fosse fatto avanti, avrebbe
pensato lui stesso a privarlo della sua sostanziosa colazione a base
di frittelle per punizione.
«E quindi secondo me
dovreste puntare su una musica... gioiosa. Perché Glee vuol
dire “gioia” e non c'è nulla al mondo che lo
esprimerebbe meglio della musica.»
Rachel si grattò il
mento pensierosa, poi sollevò lo sguardo sui due ragazzi che
stavano tornando. Blaine e Finn posarono i caffè sul tavolo e
si sedettero con loro.
«Di cosa stavate
parlando?»
«Delle Nazionali,
ovviamente» rispose Rachel. «Non abbiamo un minuto da
perdere, se vogliamo battere i Vocal Adrenaline avremo bisogno di
tutta la preparazione possibile.»
«Non credi di star
esagerando?» chiese Blaine, sorseggiando il caffè.
«Blaine, solo perché
la sconfitta brucia come carboni ardenti, non ti servirà a
nulla sabotarci.»
«Non sto cercando di...
sabotarvi! Dico solo che, se vi siete impegnati quanto noi in queste
ultime settimane, probabilmente ora avrete bisogno di una piccola
pausa.»
«Niente pause!»
Kurt si schiarì la voce:
«Forse Blaine ha ragione. Insomma, potreste passare almeno una
sera senza parlare del Glee e delle Nazionali. Potreste – per
dire, eh – uscire. Insieme.»
Rachel e Finn abbassarono lo
sguardo e Kurt capì che l'unico modo per farli parlare era
costringerli. Così si alzò in piedi, afferrò
Blaine per il braccio e disse: «Non è che mi
accompagneresti a prendere un muffin?»
Blaine balbettò confuso
un “va bene” e lo seguì. Quando furono a distanza
di sicurezza disse:
«Pensavo non mangiassi
nulla che contenesse burro, zucchero e cioccolato in proporzioni così
smisurate» disse, occhieggiando ai muffin in vetrina.
«Non dire assurdità,
ovvio che non mangerei mai una di quelle bombe caloriche. Era solo
una scusa per lasciarli soli. Se quei due non si mettono insieme alla
svelta dovrò continuare a sentire i piagnistei di Finn su
quanto Rachel sia perfetta e assolutamente fuori dalla sua portata
eccetera eccetera eccetera.»
Blaine sorrise, trovando
decisamente tenera la sua apprensione per il fratello.
«Guarda, stanno parlando»
disse Kurt, mordendosi le labbra. «Si sta grattando la testa
imbarazzato. Glielo sta chiedendo, me lo sento.»
«Rachel... sta annuendo.»
«E' fatta! Hanno un
appuntamento» esclamò felice.
«Non pensi di correre un
po' troppo. Magari le ha solo chiesto se vuole un altro caffè»
disse Blaine, che però sotto sotto sperava avesse ragione
Kurt.
L'altro si voltò verso
di lui: «Non fare il guastafeste!» disse, simulando un
broncio che sparì un secondo dopo, sostituito da un sorriso.
Blaine pensò che non si
sarebbe mai stancato di vederlo sorridere. Amava farlo sorridere e
amava ancora di più il fatto che gli riuscisse così
facile.
«Che ne dici se lo
facessimo anche noi?»
«Cosa?»
«Uscire, dico. Non un
saluto di sfuggita o un salto al Lima Bean. Intendo un vero
appuntamento.»
«Tipo quello di San
Valentino?»
«Tipo quello di San
Valentino.»
Kurt sorrise: «Sarebbe
fantastico. Dopo le Regionali ci siamo visti solo di sfuggita o ci
siamo sentiti per telefono.»
«Che ne dici di venerdì?
E' la mia serata di libertà e pensavo di tornare a dormire a
casa, quindi niente coprifuoco per il dormitorio.»
«Perfetto.»
«Passo a prenderti verso
le otto.»
Ritornarono ai tavolini con un
sorriso sulle labbra. E Blaine con un muffin al cioccolato in mano.
«Ehi Finn, se hai bisogno
di qualcosa dimmelo subito perché fra qualche min-» Kurt
si interruppe nel vedere il proprio fratello fermo davanti
all'armadio con l'espressione vacua di chi non sa cosa mettersi e ha
dieci minuti per decidersi.
Il maggiore si voltò
disperato: «Aiutami, ti prego.»
Kurt ridacchiò entrando
in camera: «Chi è adesso quello che si preoccupa per i
vestiti?»
«Chiudi la bocca! Voi
siete usciti un sacco di volte e siete insieme da due settimane.
Questo è il nostro primo vero appuntamento, perdonami se sono
un tantino agitato.»
Kurt lo ignorò per
immergersi nel suo armadio. Studiò attentamente i capi a sua
disposizione, arricciando più volte le labbra per l'immane
quantità di felpe puzzolenti, ed infine gettò sul letto
un paio di pantaloni scuri, un maglione, una camicia ed una cravatta.
«Ecco: più
elegante rispetto a “camicia a quadri e t-shirt da jogging”
ma non troppo elegante da “ho già un piede sull'altare”,
che ne dici?»
«Mi fido ciecamente»
disse, prendendo i pantaloni. «Allora per te non è un
problema se prendo la macchina.»
«Nah, tanto mi viene a
prendere Blaine.»
«E, tanto per sapere,
quando hai intenzione di tornare?»
«Finn, che hai intenzione
di fare? E' solo il vostro primo appuntamento.»
«Ma no!» esclamò,
lanciandogli contro una maglietta sporca. «Quello dovrei
chiederlo a te. Giusto per non ritornare a casa nel momento meno
opportuno.»
«Non ci saranno momenti
poco opportuni» replicò. «Ci stiamo andando
piano.»
«Ci andate piano perché
lo vuoi tu, perché lo vuole lui o perché nessuno di voi
due ha il coraggio di ammettere che non volete affatto andarci piano
e che avete aspettato abbastanza?»
Kurt boccheggiò cercando
una risposta. «Non voglio rovinare tutto.»
«Sai, io non credo che
esista “il momento giusto”. Esiste la persona giusta e
quando l'hai trovata, allora nulla può andare storto. E se
proprio qualcosa dovesse rompersi, se è quello giusto saprete
riaggiustare tutto.»
Kurt sorrise, gettando la
maglietta sporca nel cesto dei panni da lavare.
«Da quando sei diventato
così saggio?»
«Ehi, lo sono sempre
stato» protestò.
Pochi secondi dopo sentirono
suonare il campanello.
«E' lui» disse
Kurt.
«Cerca di fare tardi»
lo stuzzicò.
«E tu vedi di fare il
gentiluomo» replicò Kurt, chiudendosi la porta alle
spalle e scendendo le scale di corsa.
Quando vide Blaine fargli cenno
dall'auto ripensò alle parole di Finn.
Poteva sembrare avventato, ma
sentiva di aver trovato la persona giusta.
Il tavolo che avevano riservato
per loro era abbastanza vicino al palco da poter ascoltare la musica
ma abbastanza appartato per non doversi preoccupare di sguardi
indiscreti.
Ordinarono e, mentre
aspettavano la cena, parlarono serenamente del più e del meno,
soffermandosi a fantasticare su come Finn e Rachel stessero passando
la serata.
Blaine stava ridendo ad un
imitazione che Kurt stava facendo di Finn quando il proprietario del
locale si avvicinò a loro.
«Tutto bene? Sembri
stravolto» disse Blaine, notando il volto dell'uomo.
«E' successo un pasticcio
con la cantante del gruppo che deve esibirsi ora. Ma non voglio
annoiarvi o rovinarvi la cena.»
«Che genere di
pasticcio?» continuò curioso il ragazzo.
«Si è sentita male
mentre era in bagno un quarto d'ora fa. Niente di grave, ma ha detto
di non riuscire a cantare, non questa sera almeno. Il problema è
che la band che ha suonato fin ora non può fermarsi di più
e non so più chi chiamare» disse, mettendosi le mani fra
i capelli.
Blaine si grattò il
mento: «Ti manca solo la cantante, giusto?»
«E dici solo!»
«Intendo, i musicisti
sono tutti disponibili, no?»
«Certo, ma non possono
suonare senza una voce.»
«Che brani avrebbero
dovuto eseguire?»
«Principalmente pezzi di
musical. Perché tanto interessamento?»
Blaine sorrise, voltandosi
verso Kurt: «Forse so come salvare la situazione. Perché
non chiedi a lui di cantare?»
Kurt strabuzzò gli
occhi: «Stai scherzando, spero?»
«E perché no? Se
sono pezzi di musical con ogni probabilità li conoscerai a
memoria uno ad uno e poi, dal momento che sei un controtenore, non
dovrebbero neppure riarrangiare la parte strumentale.»
«Ma è assurdo!
Dovrei cantare davanti a tutte queste persone senza neppure un minimo
di preparazione?»
«Sono certo che potresti
farlo benissimo. Kurt, tu sembri nato per il palcoscenico. Non
dovresti neppure esitare!»
Kurt cominciò a
tormentarsi le unghie, mentre Virgilio si voltò verso di lui:
«Pensi di poterlo fare? Perché in tal caso ci
salveresti.»
«Io-» esitò.
«Fallo per me, Kurt. Non
hai idea di quanto mi piacerebbe sentirti cantare.»
Bastarono quelle parole a
cancellare nel ragazzo qualsiasi incertezza.
Aveva avuto dieci minuti per
parlare con quelli della band e dare un'occhiata agli spartiti. Come
avevano detto i musicisti, le canzoni erano nelle tonalità
originali. Kurt conosceva quelle canzoni da una vita e le cantava da
quando aveva voce. Molte le aveva studiate ai tempi del Glee anche se
solo alcune aveva potuto poi cantarle in pubblico.
Gli altri membri della band si
erano già sistemati sul palco: un contrabbassista, un
chitarrista, una violinista, un percussionista e un suonatore di
tromba dai capelli eccentrici. La ragazza gli fece cenno di
raggiungerli e lui, stringendo gli spartiti con mani tremanti,
eseguì.
I clienti del locale stavano
mangiando senza neppure badare a loro. L'unico che non smetteva di
fissare il palco era Blaine, che gli sorrideva dal loro tavolo.
«Sei pronto?»
chiese la violinista e lui annuì.
La ragazza si fece avanti e si
rivolse al pubblico: «Salve gente, ci scusiamo per il ritardo.
Approfitto della vostra attenzione per esortarvi ad applaudire il
nostro nuovo cantante, reclutato neppure dieci minuti fa, senza il
quale questa serata non sarebbe stata possibile. Un ringraziamento a
Kurt Hummel.»
Sentendo il proprio nome
seguito da uno scrocio di applausi distratti da parte dei clienti,
Kurt si agitò ancora di più.
Oh, avanti! Quante volte hai
cantato davanti a platee piene di gente. Ricordi alle Provinciali,
alle Regionali...addirittura alle Nazionali! Perché devi
essere agitato.
La risposta era semplice.
Perché Blaine era lì e lo stava guardando.
Blaine
non l'aveva mai sentito cantare, non seriamente, almeno. Certo,
talvolta gli capitava di canticchiare qualche motivetto senza neppure
rendersene conto, ma non aveva mai cantato seriamente
davanti a lui.
Ora invece l'avrebbe sentito
cantare e voleva lasciarlo sbalordito, come Blaine l'aveva più
volte stupito – a San Valentino, per dirne una.
Quando sentì la base
partire seppe che ce l'avrebbe fatta. L'avrebbe lasciato a bocca
aperta, perché ogni singola nota sarebbe stata dedicata a lui.
Eseguì le varie canzoni
senza intoppi. Dopo le prime due musiche nessuno lo guardava più,
troppo impegnati a fissare il proprio piatto. Blaine invece non aveva
staccato neppure per un secondo gli occhi da lui, e Kurt non era
stato da meno. Si erano fissati per tutto il tempo.
Quando esaurirono le canzoni ed
i bis, salutarono il pubblico e lasciarono il palco. Gli altri
musicisti stavano complimentandosi con lui ed accordandosi per
ritrovarsi, qualche volta, quando il proprietario gli si avvicinò,
battendogli una mano sulla spalla.
«Sappi che da oggi in poi
ti sarò sempre riconoscente e, se ti servirà, ti
procurerò sempre un tavolo al mio locale.»
Kurt rise: «Per così
poco? E' stato un piacere anche per me esibirmi. Avevo dimenticato
quanto fosse bello...tutto ciò. Il palcoscenico, la musica,
gli occhi di tutti su di te.»
«Ne terrò conto.
Blaine te l'avrà detto, spesso mi affeziono agli artisti che
si esibiscono al mio locale o che espongono dei quadri. Se mai
volessi tornare ad esibirti, questa volte con il repertorio che
preferisci, fammelo sapere. Chissà, magari potresti essere
notato dalla persona giusta» disse.
«Io...non ho parole.
Grazie.»
«Non ringraziarmi. Hai
del talento e si vede che ami quello che fai. Meriteresti un pubblico
più attento» disse. «Beh, di certo non più
attento del giovanotto che ti sta aspettando.»
Kurt scorse Blaine aspettarlo
all'angolo del corridoio. Salutò distrattamente l'uomo e corse
verso di lui.
«Oh, Blaine, mi dispiace.
Per colpa di questa cosa ho finito per passare tutta la serata
lontano da te. Doveva essere un appuntamento romantico, un modo per
stare insieme, da soli, senza nessuno intorno e invece a stento siamo
riusciti a parlare.»
«Kurt, non dirlo neanche
per scherzo. Non scusarti. Intanto ti sei guadagnato l'eterna
gratitudine di Virgilio, che ci ha offerto una cena gratis per
riparare quando vogliamo. E poi ascoltarti è
stato...meraviglioso. È stato come averti sempre al mio
fianco.»
«Non hai smesso un
secondo di guardarmi.»
«Lo stesso vale per te»
disse Blaine, accarezzandogli la guancia e avvicinando le loro labbra
per un soffice bacio. «E poi la notte è ancora giovane e
non devo tornare nel dormitorio. Potremmo, che so, andare al cinema
oppure ci fermiamo a prendere un panino o-»
«Stavo pensando... casa
tua è libera?»
Uscirono dalla macchina
ridendo. Avevano passato tutto il viaggio verso casa a cantare ogni
canzone della playlist dell'iPod di Blaine, tanto da non avere quasi
più voce. Kurt si appoggiò alla macchina, uscendo,
tenendosi la pancia per il tanto ridere. Poi alzò lo sguardo
per cercare quello di Blaine, che gli si stava avvicinando.
Gli sorrise e, quando Blaine
gli sfiorò il viso con la mano, chiuse gli occhi, aspettando
il bacio che puntualmente arrivò.
Nell'aria fredda della sera le
labbra calde le Blaine erano tutto ciò che potesse desiderare.
Quello che era cominciato come un bacio a fior di pelle, venne ben
presto approfondito e Kurt non esitò ad allacciare le braccia
al collo di Blaine. La leggera pressione contro l'auto non lo
infastidiva, come non lo infastidivano le braccia di Blaine strette
attorno ai suoi fianchi.
Si staccò un secondo dal
bacio per riprendere fiato.
«Sembriamo ubriachi»
gli sussurrò.
«Ma non lo siamo.
Altrimenti avrei già fatto qualcosa di irrimediabilmente
stupido come al mio solito.»
«Sei ancora in tempo»
disse, baciandogli la fronte e rabbrividendo quando sentì le
labbra di Blaine baciargli il collo.
Senza staccarsi, barcollarono
fino alla porta di casa. Aveva ragione Kurt: entrambi si sentivano
ebbri, come solo l'amore, oltre all'alcol, sa far sentire. Blaine
frugò nelle tasche finché non trovò le chiavi ed
aprì la porta.
Kurt rimase a bocca aperta e
cercò di dissimulare lo stupore che però non sfuggì
a Blaine.
«Casa dolce casa»
mormorò, posando le chiavi nello svuotatasche.
Kurt ringraziò il cielo
di non averlo fatto entrare in casa sua. Si vergognò al solo
pensiero che comunque doveva averla vista da fuori e quindi una vaga
idea in testa doveva essersela fatta.
Okay, prima di farlo entrare
in quel porcile di appartamento io e Finn dobbiamo ripulire per bene.
Blaine chiuse la porta e il
rumore fece sobbalzare Kurt, risvegliandolo dai suoi pensieri.
«C'è nessuno in
casa?» chiese.
Blaine scosse la testa: «I
miei sono in viaggio, come ti ho detto, mentre mia sorella è...»
«Con mio fratello»
concluse Kurt. «Fa strano a pensarci bene. Dev'esserci qualcosa
che attira gli Hummel e gli Anderson. Forse è qualcosa di
chimico.»
«Qualsiasi cosa sia non
ho nessuna intenzione di oppormi» disse sorridendo e
prendendolo per mano. «Ti va di umh... vedere un film?»
«Cosa offre casa
Anderson?» chiese, guardandosi in giro.
Blaine fece un mezzo inchino,
invitandolo a seguirlo. Si fermò davanti ad uno scaffale e a
Kurt servì qualche istante per rendersi conto che i quattro
ripiani erano pieni di dvd.
«Oh mio Dio. E sono pure
originali» si lasciò scappare, pentendosene un secondo
dopo. La maggior parte dei dvd che avevano a casa erano stati
scaricati illegalmente da Puck, il quale piantava un insopportabile
piagnisteo ogni volta che Kurt gli chiedeva di scaricargli un
musical.
Osservò ammirato i
titoli: «Abbiamo gusti simili» commentò.
Blaine si schiarì la
voce: «Temo che quelli siano i dvd di mia sorella» disse,
grattandosi la testa. «I miei sono davvero pochi. Qualche
horror, Star Wars, qualche film di guerra. Anche se talvolta, quando
i miei non sono in casa, io e Rachel ci spariamo una maratona di
musical o commedie romantiche.»
Kurt sorrise al pensiero di
quei due in divano intenti a mangiare popcorn e a guardare la tv. Non
dovevano essere tanto diversi da lui e Finn.
«E questi cosa sono?»
chiese, indicando dei dvd senza titolo in un angolo.
«Niente!» esclamò
Blaine, con troppa enfasi perché passasse inosservata. Per un
secondo Kurt pensò che si trattasse di porno, ma scartò
l'idea: poco appropriato tenerli nella videoteca del salotto. Poi gli
venne in mente che probabilmente erano video di famiglia: matrimoni,
battesimi, vacanze. Anche lui e Finn avevano qualche cassetta del
genere, ma da quando i loro genitori erano morti non avevano più
il coraggio di guardarle.
«C-cosa ti va di vedere?»
chiese Blaine, cercando di sembrare rilassato.
«Ce
l'hai Harry ti presento Sally?»
chiese. Blaine scorse velocemente i titoli e prese il film con un
sorriso sulle labbra.
«Penso che io e tua
sorella andremo d'accordo» disse Kurt, andando a sedersi in
divano.
C'era un motivo ben preciso per
cui Kurt aveva scelto quel film. Uno era che in quel modo avrebbe
potuto vedere una delle sue commedie preferite in HD su un mega
televisore accoccolato su un comodo divano. Secondo, conosceva quel
film a memoria e non gli sarebbe certo dispiaciuto se, nel corso
della serata, si fosse perso qualche frase a causa delle attenzioni
dovuto al suo ragazzo.
Infatti a neppure dieci minuti
dall'inizio del film, i loro gomiti, che prima solamente si
sfiorarono, erano ormai intrecciati e pian piano Kurt poté
constatare come il film mantenesse il suo fascino anche dal comodo
petto di Blaine. A metà film avevano già dimenticato le
disavventure dei due protagonisti per dedicarsi l'uno all'altro.
Nessuno dei due seppe
esattamente descrivere le dinamiche dell'accaduto, ma un secondo
prima si stavano baciando seduti sul divano, mentre un secondo dopo
Kurt si ritrovò con la schiena schiacciata contro i morbidi
cuscini e le labbra di Blaine sul suo collo.
Qualcuno per caso ha accesso
il riscaldamento al massimo?,
si disse, chiedendosi perché mai facesse così caldo in
quella stanza così, all'improvviso.
Quando il suo respiro cominciò
a farsi pesante, Blaine si risollevò. Aveva le guance
leggermente arrossate.
Imbarazzo?
Possibile
che quel rossore fosse dovuto all'imbarazzo.
«S-scusa. Non so che mi è
preso» balbettò.
Sì, era proprio
imbarazzo.
«Non saprei dire cosa “ti
sia preso”, ma posso dirti che a me non dispiaceva per niente.»
E questa da dove ti è
uscita, Kurt Hummel? Sul serio, signorino, l'influenza di Santana
comincia seriamente a farsi sentire.
Afferrò il viso di
Blaine, conducendolo fino alle proprie labbra per un bacio
decisamente più appassionato.
Stavano andando troppo in
fretta? La voce della ragione nella testa di Kurt continuava a
gridargli che sì, stavano andando troppo in fretta. Ma si sa,
negli adolescenti la ragione tende ad essere sopraffatta da quel mix
micidiale di ormoni che mette in subbuglio lo stomaco e tende a
mettere da parte ogni pensiero razionale.
Quella notte, nel proprio
letto, Kurt si sarebbe chiesto fin dove sarebbero arrivati se,
proprio mentre i primi bottoni della camicia cominciavano ad essere
sbottonati, non avessero sentito il rumore inconfondibile di un colpo
di tosse alle loro spalle.
«Bene, bene, bene»
commentò una voce a Kurt sconosciuta, ma decisamente maschile.
I due ragazzi scattarono a
sedere, cercando di ricomporsi nel minor tempo possibile. Poi
entrambi si voltarono per vedere chi avesse parlato.
Il ragazzo – o forse
sarebbe stato più appropriato dire l'uomo – che avevano
di fronte li guardava con un sorrisetto divertito sulle labbra e
stringeva le braccia incrociate al petto. Kurt non aveva idea di chi
fosse, ma gli occhi nocciola e le folte sopracciglia scure gli
risultavano in qualche modo familiari.
«Coop, che diavolo ci fai
qui!» esclamò Blaine.
«Che
domande? Quando ho saputo che mamma e papà andavano in viaggio
ho pensato di passare a salutare i miei fratellini. E poi, da quando
mamma mi ha detto che dovevi esserti trovato una ragazza, ero
assolutamente curioso di conoscere la fortunata.»
Blaine provò a
balbettare una scusa. Ovviamente senza successo.
«Devo
supporre che lui sia la fortunata. O meglio, il
fortunato, su questo almeno vado
sicuro.»
«Lui...è Kurt.»
Fu l'unica frase compiuta che gli uscì.
«Molto piacere Kurt. Io
sono Cooper Anderson e, come avrai potuto immaginare, sono suo
fratello maggiore.»
Kurt si voltò sorpreso
verso Blaine.
«Devo dedurre che non ti
abbia mai parlato di me, vero? Effettivamente preferisce tenermi
nell'ombra. Forse per la grande differenza di età fra noi non
siamo mai stati molto legati. Lui faceva più comunella con
Rachel.»
«Coop.»
«Che c'è? Non
credere che non fossi geloso quando vi vedevo duettare alle feste di
famiglia. Tutti tirati a lucido, addobbati di fiocchi lei e papillon
tu eravate davvero adorabili.»
«Coop.»
Il ragazzo sorrise,
avvicinandosi al divano. Alla luce soffusa proveniente dallo schermo
della tv, Kurt riuscì a vedere meglio i tratti del viso
dell'ormai non più sconosciuto uomo e non poté
reprimere un'espressione di stupore.
«Oh mio Dio, tu sei...»
«Quello della pubblicità
del Free Credit Rating Today. Colpevole.»
«Io... non ci posso
credere! Adoro letteralmente quello spot! E la musica e la
coreografia sono... e tu... tu sei...»
Coop sorrise, inarcando le
sopracciglia. Probabilmente era abituato a quel genere di reazioni.
Kurt
si voltò verso il proprio ragazzo per chiedergli perché
non gli avesse mai detto di essere il fratello di quel
Cooper Anderson. Poi vide lo sguardo
basso e stizzito di Blaine e allora capì. Capì il
perché del suo silenzio e si sentì improvvisamente
stupido.
«Piacere.»
«Il piacere è
tutto mio, Kurt.»
Blaine si schiarì la
voce: «Coop, io posso spiegarti...»
«Per
favore, Blaine, non venire a blaterare cose come “non ci
stavamo baciando” o “siamo solo amici”. So quello
che ho visto e se quella non era una pomiciata allora Sarah Palin è
democratica! E per fortuna non sono arrivato cinque minuti più
tardi, o sarebbe stato davvero imbarazzante.»
Blaine tacque, colpevole. «Non
volevo che lo scoprissi in questo modo.
«Alza la testa e guardami
in faccia» disse, costringendo l'altro ad eseguire. «Vedi
forse dello stupore nei miei occhi? O del disgusto? O del biasimo?»
No. Blaine non vide nulla di
tutto ciò nello sguardo di suo fratello.
«Detto fra noi,
fratellino, l'ho sempre saputo. Intendo, ho sempre saputo che, se mai
ti avessi beccato in un momento poco opportuno, sarebbe stato con un
ragazzo e non con una ragazza.»
L'altro lo sguardo sorpreso.
«Oh, non fare quella
faccia! Sono tuo fratello e, al contrario di Rachel, non vivo sotto
una campana di vetro. Conosco il mondo e conosco Hollywood: lì
l'omosessualità è comune come il caffè a
colazione e non è trattata come una malattia, ma solo come
quella che è: una preferenza sessuale.»
«Quindi non sei sconvolto
da questa cosa? Neppure un po' sorpreso?»
«Blaine. Quando avevi
sedici anni ti regalai una rivista porno, ricordi?»
«Come dimenticarlo?»
«Era una prova.
Sospettavo che tu fossi gay da quando, ogni volta che ti chiedevo se
c'era qualche ragazza che ti piaceva, storcevi il naso e mettevi su
un broncio triste come se avessi un groppo allo stomaco che non
riuscivi a sciogliere. Allora ho pensato di controllare. Ti ho
regalato quella rivista e due giorni dopo, mentre tu eri fuori casa,
ho controllato in camera tua e non l'ho trovata. Sai dov'era?»
«Nel cassonetto della
carta all'angolo del quartiere. Dove ero andato a buttarla di
nascosto.»
Kurt dovette mordersi le labbra
per non sorridere ad una simile immagine. La tentazione di
abbracciarlo e baciarlo era forte, ma capiva quanto poco opportuno
fosse quel momento.
«Appunto. Da quella volta
ho smesso di chiederti se uscivi con qualcuna o di offrirti un aiuto
per rimorchiare ragazze. Aspettavo solo il momento in cui me lo
avresti detto. Mi aspettavo qualcosa di molto intimo e toccante, ma
mi farò bastare l'avervi interrotto sul più bello»
disse, alzando le spalle e sorridendo.
«Non lo dirai a mamma e
papà, quindi.»
«Blaine, per chi mi hai
preso? So come la pensano e so quanto sia difficile dire loro la
verità. Ma sappi una cosa: se mai dovesse accadere il peggio,
se mai dovessero fare qualcosa di molto stupido, ricordati che hai
sempre un fratello da cui andare. Un fratello che ha un appartamento
di sua proprietà e uno stipendio abbastanza sostanzioso da
mantenere il proprio fratellino e mandarlo al college.»
Blaine sorrise, sospirando
sollevato.
«Ora, la mia proposta è:
mentre io mi cucino degli spaghetti, voi vi sedete al tavolo della
cucina e mi raccontate tutto per bene. Che ne dire?»
Blaine si voltò verso
Kurt, che annuì sereno e insieme seguirono Cooper in cucina.
«Allora, vi ascolto.»
Blaine cominciò a
raccontare. Restò vago sul modo in cui si erano conosciuti,
evitando così di rivelare il lavoro di Kurt e passò a
parlare delle settimane passate ad avvicinarsi lentamente: i litigi,
il primo appuntamento, tutti quelli che erano seguiti. Raccontare
faceva male perché gli facevano ricordare quanto Sebastian
fosse stato importante per lui in quei momenti e non voleva sentirsi
in colpa per lui e per quello che gli aveva gridato contro.
Sorrise nel raccontare il suo
coming out con Rachel, ridendo alle proteste di Coop, che avrebbe
voluto essere il primo a sapere.
Poi raccontò del loro
primo bacio nel parcheggio – evitando di parlare dello
spettacolo che lo aveva preceduto – e di come Kurt gli aveva
chiesto di diventare il suo ragazzo.
Proseguì raccontando di
San Valentino e dei terribili giorni che erano seguiti, senza
trascurare il ruolo che avevano avuto Sebastian e Dave.
«Ragazzi, un piano
davvero complesso. Dovevano volerlo davvero molto, entrambi.»
«Ciò non gli dava
il diritto di agire così: sono le nostre vite e non sta a loro
giudicare se siamo adatti o meno l'uno all'altro.»
«Sono d'accordo. Quello
che hanno fatto è stato stupido e ingiusto» disse «ma
lo hanno fatto perché tenevano a voi e pensavano di fare il
vostro bene.»
I due ragazzi fecero schioccare
la lingua in segno di scetticismo quasi in contemporanea.
«Pensa a quello che ha
fatto Sebastian per voi. Ha sbagliato, va bene, ma se non ci fosse
stato lui a quest'ora vi stareste ancora odiando, no?»
«Va bene, lo devo
ammettere. Senza di lui nulla di tutto ciò sarebbe successo,
nel bene e nel male. Ciò non toglie che abbia sbagliato»
concluse Blaine.
«Oh, avanti! Quante volte
sarà capitato a te di sbagliare? Non credi che si meriti una
seconda possibilità?»
Blaine si morse le labbra,
indeciso.
«E lo stesso vale per
Dave. Ha fatto quello che ha fatto perché teneva a te.»
«Dave ha già avuto
la sua secondo possibilità e se l'è giocata. Non sarò
così stolto da concedergliene una terza.»
Cooper annuì, capendo
che cercare di convincerlo era inutile. «L'unica cosa che non
ho capito è: perché non dovreste andare bene l'uno per
l'altro? Insomma, avete quasi la stessa età, non avete altre
relazioni né la fedina penale sporca e mi sembra che siate
abbastanza affiatati.»
Kurt arrossì appena
mormorando: «Penso sia perché non frequento il college,
né probabilmente avrò mai modo di frequentarlo, visto
che da quando ho finito la scuola lavoro. E perché vivo da
solo con mio fratello che ha ripreso ad andare a scuola a vent'anni
per prendere un diploma che prima non aveva e diciamo che il nostro
appartamento non è nella zona in di Lima.»
«Che sciocchezze! Si vede
lontano un miglio che sei un bravo ragazzo. Che importanza ha dove
vivi o con chi vivi? O se studi o fai un lavoro onesto per
mantenerti?»
Kurt abbassò lo sguardo
alla parola “onesto”, pensando non al suo lavoro al
negozio GAP, quanto al suo lavoro notturno.
«E' bello sentirtelo
dire, Coop» disse Blaine.
«Stai scherzando? Una
storia d'amore osteggiata come la vostra sarebbe un soggetto perfetto
per un film. Ti immagini che roba? Un Romeo e Giulietta versione gay!
Pagherei per recitare in un simile film!»
Blaine scosse la testa ridendo.
Ovviamente Cooper non poteva rimanere serio più di un quarto
d'ora per volta.
«Direi che si è
fatto tardi» disse, sparecchiando la tavola e rivolgendosi ai
ragazzi. «Non ho visto macchine estranee parcheggiate qui
fuori, quindi Kurt avrà bisogno di un passaggio a casa.»
«Veramente non ce ne sarà
bisogno» disse. «Mio fratello dovrebbe venirmi a prendere
fra non molto. Anche perché deve riportare a casa Rachel.»
«Comecomecome?»
esclamò Cooper.
Kurt si diede dell'idiota.
«Mi stai dicendo che tu
esci con Blaine e tuo fratello esce con Rachel?» chiese, mentre
Kurt si grattava la testa imbarazzato. «Non è che avete
una sorella maggiore? Tanto per sapere se devo stare attento»
disse.
«Niente sorelle, stai
tranquillo» lo rassicurò.
«Dimmi che hai già
fatto tu il discorsetto da fratello maggiore, quello in cui guardi il
ragazzo dall'altro in basso e gli dici con fare minaccioso: “fai
soffrire mia sorella e ti spezzo le gambe”. Non ho voglia di
recitare anche fuori dal set.»
«Coop, lo sai che Rachel
odia questo genere di cose. E poi è difficile guardare Finn
dall'alto. Dubito che qualcuno nello stato dell'Ohio sia più
alto di lui.»
In quello sentirono una
macchina parcheggiare sul vialetto e si catapultarono tutti e tre
alla finestra.
«E' la sua macchina»
confermò Kurt.
«Accidenti se è
alto!» esclamò Cooper, quando vide Finn uscire dall'auto
per andare ad aprire la portiera a Rachel. Kurt si complimentò
con se stesso per essere riuscito ad insegnare a suo fratello –
dopo anni di tentativi – un minimo di buona educazione. «Che
diavolo gli davate da mangiare da bambino: pane e fertilizzante? E
vicino a Rachel sembra davvero un watusso.»
Blaine mise il broncio, perché
tutte quelle osservazioni sull'altezza gli facevano ricordare che non
poteva certo vantare un fisico da giocatore di pallacanestro. Kurt se
ne accorse e si avvicinò a lui, baciandolo sulla tempia e
stringendo un braccio attorno alla sua vita.
Pochi secondi dopo sentirono il
campanello suonare e il maggiore degli Anderson corse ad aprire la
porta.
Non appena Rachel riconobbe il
fratello esclamò:
«Coop! Che diavolo ci fai
qui?»
Cooper sorrise: «Sembra
che questa sia la mia serata fortunata.»
Dopo che anche Finn e Rachel
ebbero finito di raccontare la loro serata, il loro primo bacio e i
balbettii del ragazzo per chiederle di mettersi con lui, Cooper poté
ritenersi soddisfatto.
A malincuore i quattro ragazzi
furono costretti a salutarsi con la promessa di sentirsi la sera
stessa.
Kurt e Finn salirono in
macchina nel più completo silenzio, finché Finn non
ebbe il coraggio di esclamare:
«Siamo sopravvissuti. Mio
Dio, per un secondo ho pensato che l'uomo che ci aveva aperto la
porta fosse il padre di Blaine e Rachel, che vi avesse scoperti, che
volesse uccidermi per essere uscito con sua figlia e... e poi ho
pensato che Rachel l'aveva chiamato per nome e che era un po' troppo
giovane per essere il padre di due figli adolescenti.»
«Non è stato poi
così minaccioso. Insomma, dal momento che abbiamo a che fare
con Santana quotidianamente e che al liceo abbiamo sopportato i
soprusi di Sue direi che Cooper Anderson non è stato uno
scoglio così difficile da superare. E poi è, umh,
simpatico.»
«Kurt, sbaglio o quello è
l'uomo che, fino ad un mese fa, ritenevi – cito testuale -
“bello da svenire come neppure un principe Disney potrebbe
essere”?»
«Mio Dio, Finn! Speravo
te lo fossi dimenticato.»
«Non lo andrò a
dire a Blaine se tu eviterai di rivelare a Rachel la mia
passata...cotta per Santana.»
«Affare fatto»
disse Kurt, voltandosi verso il fratello. Non riuscì a
trattenersi oltre e lo abbraccio, facendolo quasi sbandare.
«Kurt! Sto guidando!»
«Non m'interessa. Sono
troppo felice per te e Rachel. Cavoli, Finn, te lo meriti! Dopo
l'ultimo anno che hai – che abbiamo passato, te lo meriti.»
«Ce lo meritiamo,
Kurt. Tutti e due. Abbiamo toccato il fondo, ma ora stiamo risalendo.
In serate come questa mi viene quasi da pensare che...che per noi ci
sia una speranza. Sai, per essere felici.»
«Comincio a crederlo
anch'io» disse. «Non pensavo avrei mai trovato una
persona capace di farmi sorridere anche solo con un sms. E invece ora
è tutto così reale ed è bellissimo»
concluse in un sospiro. «Ma guarda come ci hanno ridotto,
maledetti Anderson!»
Neppure le strade deserte di
Lima, neppure il loro appartamento o la loro macchina sgangherata
sembravano più così squallidi.
A/N
Sì,
lo svuotatasche è un tributo a Sheldon Cooper (ah, ah, Cooper)
che è l'uomo più geniale della tivù.
Sono
lieta di affermare che ho finito di scrivere A Lima Side Story (23
capitoli più Epilogo) e quindi, come promesso, accelererò
gli aggiornamenti a due a settimana. Uno di venerdì e l'altro
di martedì.
Lasciamo
da parte il fatto che oggi, al mio orale, mi sono sentita molto come
Kurt al suo provino per la NYADA: ho praticamente inventato metà
tesina al momento perché era molto meno sicura ma... molto più
me. Glee mi ha davvero fatto male...
E
ora che sono una donna libera e maturata potrò dedicarmi alle
mille idee che ho in testa e leggere leggere leggere. Adoro l'estate.
Al
prossimo capitolo!
yu_gin
coming
next
«Che vuoi Smythe.»
«Ciao, Rachel, è
un piacere sentirti. Come stai? Io non c'è male.»
«Sì, sì, è
un piacere anche per me, Sebastian. Perché non saltiamo i
convenevoli e arriviamo al punto in cui tu mi dici che cavolo vuoi.
Sii breve perché il prurito di chiuderti il telefono in faccia
è irrefrenabile.»
«Va bene, Rachel. Volevo
chiederti quando e dove Kurt e Blaine usciranno insieme.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** looking for forgiveness ***
A
Lima Side Story
Capitolo
20: looking for foregiveness
«Dannazione!»
esclamò Finn, lanciando via l'ennesima pallina di carta.
Kurt, che in quel momento
passava di lì con il cesto della biancheria da stirare fra le
mani, si sporse in cucina e chiese:
«Tutto bene, Finn?»
«Sì, a meraviglia»
gridò l'altro.
Kurt entrò in cucina e
diede un'occhiata al tavolo. Completamente coperto di fogli
scarabocchiati e macchie di inchiostro e il libro di matematica
aperto sembrava una bocca pronta a divorare suo fratello.
«Fammi indovinare:
matematica?»
«La odio. Stupida
sgualdrina.»
Kurt soffocò una risata
e, dopo aver posato per terra il cesto, si avvicinò a lui.
«Chi voglio prendere in
giro? Faccio schifo a scuola. Io non sono fatto per studiare. Appena
mi concentro per più di dieci minuti mi viene un mal di testa
osceno.»
«Non credi di essere un
tantino drammatico?»
Finn si voltò verso di
lui e Kurt per un secondo fu spaventato da quell'immagine. «Io
non so neppure se ci arrivo, al diploma.»
«Eh no! Discorsi del
genere non ne voglio sentire, mi hai capito? Siamo appena a marzo e
c'è ancora tempo prima di giugno. Tu prenderai il diploma, mi
hai capito? A costo di dover studiare con te fino alle tre di notte
questi stupidi integrali o logaritmi o qualunque cosa sia.»
«Non voglio esserti di
peso.»
«Finn, tu non sei di
peso. Sei mio fratello, hai capito?»
Finn mugugnò un “va
bene” prima di riabbassare la testa sui libri. In quel momento
suonò il campanello e Finn fece per alzarsi, ma Kurt lo
bloccò.
«Non ci provare neanche.
Sarà la padrona di casa che vuole l'affitto. O Santana in
crisi depressiva.» Si diresse verso la porta e si avvicinò
al citofono. «Sì?»
«Emh, sono Lenny, Lenny
Clark. Tu devi essere Kurt, non so se ti ricordi di me.»
Kurt si ricordava molto bene di
lui. «Certo. Vuoi salire?»
«Mi faresti un favore,
grazie.»
Dalla cucina Finn gridò:
«Chi è?»
«Torna a studiare. Dopo
ti dico tutto.»
Kurt aprì la porta e
sentì i passi dell'uomo che saliva le scale. Quando lo vide
sbucare da dietro l'angolo lo riconobbe come il Lenny che aveva
sempre visto in officina da suo padre.
«Cavoli, ti sei fatto
grande. Se penso a quando eri così piccolo che dovevamo sempre
andarti a cercare sotto le automobili e...»
«Lenny, ci siamo visti
due anni fa, ricordi?»
L'ultima volta al funerale.
Ah no, l'ultima volta era stata dal notaio.
«Sì, volevo solo
dire che sei cresciuto. Stavi facendo il bucato?»
Kurt posò a terra il
cesto e lo spinse via con un piede. «Può aspettare. A
cosa dobbiamo questa visita improvvisa?»
«Io avrei bisogno di
parlare con Finn.»
Kurt si voltò verso la
cucina. «Sta studiando in questo momento. È appena
riuscito a concentrarsi – impresa titanica per lui – e
non vorrei che si distraesse. Puoi dire a me.»
«Ecco, io ero venuto per
vedere come stavate. Mio figlio ora va al liceo, al McKinley, e mi ha
detto di aver sentito dire che non ve la cavate esattamente alla
grande.» Uno sguardo all'appartamento giustificò la sua
affermazione.
«Tiriamo avanti. In un
modo o nell'altro. Tu, invece?»
«Bene. Insomma,
l'officina va alla grande, come sempre. Non è stato difficile,
dal momento che tutti i clienti di tuo padre hanno continuato a
venire da me. Anche dopo che ho rilevato l'officina.» Kurt capì
subito che l'uomo era a disagio e sapeva anche il motivo.
«Lenny, non ce l'abbiamo
con te. Insomma, non saremmo mai riusciti a tenere in piedi l'intera
officina e forse senza i soldi della vendita non ce l'avremmo fatta.
Il fatto che ora gli affari ti vadano bene non può che farmi
piacere. Anche papà sarebbe contento che tutto il suo lavoro
sia servito a qualcosa.»
«Sarà, ma io
continuo a sentirmi in debito. Avevo vent'anni quando tuo padre mi
assunse e abbiamo lavorato insieme per altri venti. Gli sono sempre
stato grato per avermi assunto anche se non ci capivo molto di motori
all'epoca e avevo solo bisogno di un lavoro per andare avanti. Ora
voglio sdebitarmi nell'unico modo che mi è possibile. Uno dei
miei dipendenti ha dato le dimissioni e voglio chiedere a Finn di
venire a lavorare all'officina. Ricordo che fin da bambino era sempre
in giro a sporcarsi con l'olio dei motori mentre tu te ne stavi alla
scrivania di tuo padre a fare i compiti.»
Kurt sorrise a quel ricordo.
«Sono certo che in meno
di un mese riuscirà a rispolverare tutto ciò che
sapeva. Sarebbe un lavoro a tempo pieno e lo stipendio sarebbe buono.
Vi permetterebbe di vivere più serenamente.»
Kurt si mordicchiò il
labbro: «Lenny, tutto ciò è stupendo, ma Finn va
ancora a scuola. È il suo ultimo anno e questa volta vuole
davvero riuscire a diplomarsi.»
«Kurt, si può
sapere con chi stai-» Finn irruppe nel salotto e si bloccò
non appena riconobbe l'uomo. «Ciao Lenny. Che- che cosa ci fai
qui?»
«Sono venuto a proporti
di lavorare all'officina. Un lavoro a tempo pieno. Sempre se ti va.»
Finn lanciò uno sguardo
a Kurt.
«A tempo pieno.
Significherebbe lasciare la scuola.»
«Sarebbe un lavoro
sicuro.»
«Finn, no-»
«Oh, andiamo, Kurt! Non
so neppure se riuscirò a diplomarmi quest'anno.»
«E' solo fino a giugno!»
tentò di convincerlo.
«Sono quattro mesi, Kurt.
Quattro mesi in meno a lavorare al locale. Quattro mesi in meno di
cibo in scatola e vestiti di seconda mano.»
«E' il tuo diploma.»
«E' solo un pezzo di
carta. Guarda il tuo a cosa ti è servito!» esclamò,
pentendosene un secondo dopo. Era stato un colpo basso.
Kurt gli rispose a tono: «Cosa
ne direbbe Rachel? Pensi sarebbe contenta di avere un fidanzato che
rinuncia senza neppure aver lottato?»
«Lasciala fuori»
protestò.
«E invece no. Pensavo ci
tenessi a lei. Non saresti in grado di fare questo, di renderla
orgogliosa di te?»
Finn tentennò e Kurt ne
approfittò per prendere in mano la situazione:
«Lenny, non è che
potresti aspettare fino a giugno?»
«Beh, sono quattro mesi e
io ho bisogno di qualcuno che mi dia una mano...»
«Potrebbe venire qualche
pomeriggio a fare praticantato, intanto, e poi da maggio in poi
potrebbe venire ogni pomeriggio. E passato giugno sarebbe già
pronto a lavorare a tempo pieno.»
«Solo fino a giugno,
dici? Beh, penso che si possa fare. Basta che dopo a settembre non
debba ricominciare la scuola.»
«Oh, credimi, non sarà
necessario. Mi assicurerò io stesso che questo zuccone si
diplomi» disse, battendogli una mano sulla spalla.
Finn era ancora senza parole.
«Grazie, Lenny. Io non so davvero che altro dire.»
«”Ci vediamo in
officina” penso possa andare bene» disse, porgendogli la
mano. «Quando hai un pomeriggio libero passa a trovarmi.
Intanto ti farò conoscere gli altri dipendenti e ti metterò
all'opera. Tanto per vedere quanto sei arrugginito.»
«Non ti deluderò»
disse.
Si salutarono sulla porta e,
una volta rimasti soli, i due fratelli si guardarono ancora
increduli.
Finn riuscì solo a
balbettare:
«Ho un lavoro.»
«E così gli ha
offerto un lavoro. Un lavoro vero, non come barista in un
locale qualche sera a settimana.»
«Wow. E Finn è
contento.»
«E' in estasi. Lavorare
in un officina, anzi, nell'officina di nostro padre è...
è un sogno per lui. Non vede l'ora di cominciare, anche se gli
ho fatto giurare che prima si diplomerà.»
Blaine ridacchiò
dall'altra parte del telefono: «A volte mi chiedo chi di voi
due sia il maggiore.»
«All'anagrafe lui. Per
tutto il resto io, ovviamente» rispose, facendolo ridere. «E
poi, non appena Finn comincerà a lavorare in officina, lascerò
il lavoro allo Scandals.»
«Sono sicuro che troverai
un altro modo per esprimere le tue potenzialità da diva. Per
esempio, quest'estate potremmo esibirci insieme nei parchi a tema.»
«Blaine Anderson, non
osare! Non ho intenzione di indossare un ridicolo costume da pinguino
per far sorridere i bambini.»
«Scommetto che saresti
dannatamente sexy anche così.»
«Tu di più.»
«Stiamo giocando al “no,
tu di più”, “no, tu”, “no, tu!”?
Perché in tal caso prenoto la clausola “all'infinito”»
disse. La risata cristallina di Kurt risuonò nell'apparecchio.
Amava farlo ridere.
«Io la tengo di riserva
per quando giocheremo ad “attacca tu”, “no, attacca
tu”.»
«Giochi sporco, Hummel!»
«Se ne può
discutere.»
Blaine stava per prepararsi una
risposta degna dell'avversario quando la porta della camera si aprì.
Sebastian, entrando, sollevò lo sguardo su di lui, sorpreso di
trovarlo al telefono.
Lo salutò con un vago
cenno della testa e posò la propria borsa vicino alla
scrivania e si sedette sul letto per slegarsi le scarpe.
«Blaine, tutto bene?»
«Sì, non
preoccuparti.»
«E' tornato Sebastian?»
«Già.»
«Ho capito, ti mette
ancora a disagio affrontare la questione con lui.»
Blaine rabbrividì
chiedendosi se Rachel avesse passato i suoi poteri da vampira a Kurt
o se semplicemente – per l'ennesima volta – le sue
reazioni fossero noiosamente prevedibili.
«Ci sentiamo domani,
allora.»
«Come sempre.»
«Mi manchi» di
lasciò sfuggire. «Ci siamo visti tre giorni fa, lo so,
ma-»
«Mi manchi anche tu. Ma
non sarà sempre così. Quest'estate sarà tutto
più semplice.»
«Lo spero.»
Nessuno dei due voleva parlare
di cosa sarebbe successo dopo l'estate, di Blaine al college e
Kurt ancora al negozio GAP, dei genitori di Blaine e a come avrebbero
reagito – perché Blaine sapeva di non poter mantenere il
segreto ancora a lungo.
Ma non dissero nulla. Si
limitarono a salutarsi e a chiudere la chiamata.
«Non serve che chiudi
appena entro, non mi sconvolgo mica. Semmai mi si cariano i denti, ma
il mio dentista fa miracoli.»
«Non ricordo di averti
perdonato.»
«Però non hai
cambiato stanza.»
«Non penso che avrebbero
accettato come motivazione: “ho litigato con lui” mi
avrebbero detto di risolvere i nostri problemi da adolescenti senza
seccarli.»
«Mentre invece ti limiti
a tenere il broncio e a non parlarmi. Molto maturo.»
«Di certo più
maturo che rubare il cellulare e cambiare i numeri di telefono.»
«Ti ho già chiesto
scusa.»
«Come se bastasse!»
Sebastian lo guardò. Non
sorrideva. Sul suo volto non c'era alcuna traccia di
quell'espressione spavalda che di solito sfoggiava.
«Sai, le persone
sbagliano. E altre persone le perdonano. Se non ricordo male, non
sono l'unico in questa stanza ad aver sbagliato in passato.»
Detto questo Sebastian si
chiuse in bagno, senza dare modo a Blaine di rispondere, lasciandolo
in silenzio sul letto a maledirsi per l'ennesima volta.
Sebastian schioccò le
dita per richiamare l'attenzione del cameriere.
«Sì?»
«Una birra» disse.
Il ragazzo lo guardò
dubbioso: «Un'altra?»
«Che cazzo, ti pagano per
servire da bere o per fare il moralista?»
Il barista sollevò un
sopracciglio seccato e gli servì un'altra birra.
«Spero non debba guidare
tu sta sera» disse una voce alle sue spalle.
Sebastian si girò di
scatto e, non appena riconobbe Dave, si voltò infastidito. «Se
devi farmi la predica dimmelo subito che torno a casa. Comunque no,
non devo guidare io. Nella previsione di sbronzarmi ho preso un taxi
e – se non riuscirò a trovare un passaggio per il
ritorno – ne prenderò un altro. Tutto qui.»
«Coprifuoco?»
«Mezzanotte.»
«Come Cenerentola.»
«E' stato un piacere
parlare con te, Karofsky» disse, prendendo la birra e alzandosi
per cambiare posto.
«Dio, come sei permaloso!
Stavo scherzando, va bene?»
Sebastian appoggiò
nuovamente il bicchiere sul bancone e tornò a sedersi. «Come
te la passi?» azzardò.
«Oh, a meraviglia. Se non
fosse per il fatto che ora Kurt neppure mi rivolge la parola e, se
mai lo facesse, sarebbe probabilmente per insultarmi.»
«Beh, non posso dargli
torto» commentò, bevendo la propria birra.
«Ehi! Ti ricordo che sei
stato mio complice?»
«Sì, ma le mie
intenzioni erano buone. Tu lo volevi fare solo per tornare a scoparti
il tuo ex.»
Dave abbassò lo sguardo
e si morse le labbra. Sebastian strabuzzò gli occhi:
«Aspetta, tu non ci hai
mai fatto niente?»
Lo sguardo dell'altro fu
inequivocabile. Sebastian si colpì la fronte con il palmo
della mano: «Signore, allora era davvero un verginello!»
esclamò, ripensando a tutto quello che aveva detto per far
incazzare Blaine. A quanto pare si sbagliava. «Cioè,
siete stati insieme qualche mese e non avete mai fatto niente? Mi
spieghi cosa facevate la sera? Vi raccontavate delle favole?»
«Perché non
cambiamo argomento? Per esempio, tu come te la passi?»
Sebastian alzò le
spalle: «Come al solito. La scuola è dura ma la mia
media è ottima, riesco a fare felici un buon numero di ragazzi
a settimana, questa birra è annacquata» disse, alzando
il tono della voce in direzione del barista nel pronunciare l'ultima
frase.
«Intendevo dire con
Blaine.»
«Mi odia, ovviamente.
Quel piccolo ingrato.»
«E' facile odiarti. Fai
sempre lo stronzo con tutti.»
«Non è colpa mia,
è la mia natura! Non posso farci niente, ogni volta che
qualcuno dice qualcosa di stupido non posso fare a meno di prenderlo
in giro. E Blaine, cavolo, me le serve su un piatto d'argento.»
«Quel ragazzo deve avere
una pazienza infinita per averti sopportato per anni.»
«E Kurt doveva avere uno
stomaco davvero solido per riuscire a baciarti» disse, prima di
mandare giù d'un sorso ciò che rimaneva della sua
birra.
Lo sguardo di Dave si rabbuiò
e Sebastia sentì quella leggera fitta allo stomaco che lo
prendeva ogni volta che capiva di essere andato un passo oltre.
«Scusa. Sono uno stronzo,
ma a volte esagero anch'io.»
«Sto cominciando ad
abituarmi» disse. «Cominciò a capire perché
lo fai. Preferisci non essere mai preso sul serio. Sputi sarcasmo in
continuazione e chi ti sta attorno si abitua al tuo modo di fare e
così puoi insultare la gente sapendo di non ferirla. Tutti ti
considerano lo stronzo del gruppo, quello che passa da un ragazzo
all'altro spezzando cuori ogni sera, quella che al posto del cuore ha
un motore elettrico-»
«Ehi!»
«Ma la verità è
che a volte anche tu ti stanchi di fare il cattivo e vorresti solo
dire alle persone cui tieni quanto siano importanti per te. Però
sai che non verresti preso sul serio e così taci.»
«Oppure sono davvero uno
stronzo senza cuore.»
Dave sorrise: «Non penso.
Quello che hai fatto... l'hai fatto perché tenevi davvero a
Blaine. Senza secondi fini. Forse hai visto in lui il vero amico che
non sei mai riuscito a trovare.»
Sebastian distolse lo sguardo.
Ripensò a tutte le volte che vedeva Blaine confidarsi con Wes,
o quando telefonava sua sorella e lui spariva per tutti e rimaneva ad
ascoltare i piagnistei della ragazza. In quelle occasioni era geloso.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma mentre Blaine sembrava avere molti
buoni amici e tutti sembravano amarlo, Sebastian sentiva di avere
solo lui.
Blaine era l'unico a sapere che
sotto – molto sotto – c'era del buono anche in lui. E
proprio a lui aveva mostrato la parte peggiore.
«Sono certo che ti
perdonerà. Dagli tempo e fa' qualcosa per convincerlo.»
«Cosa ti fa credere che
voglia il suo perdono?»
«Se non fossi triste per
questa storia non saresti qui a bere birra calda e a parlare con me.»
«Beccato» ammise.
«Il mio consiglio è:
cerca di incontrarlo quando c'è anche Kurt. Sono sicuro che
lui lo spingerà a perdonarti. È troppo buono per non
concedere una seconda possibilità.»
«Anche a te?»
Dave alzò le spalle: «Mi
sono giocato la mia seconda possibilità. Sono stato uno
stupido, me ne rendo conto solo adesso. Ero geloso perché
avevo visto come lui fosse felice anche senza di me mentre io non
riesco a dimenticarlo. Ero invidioso, perché lui è così
fiero e coraggioso mentre io da quando ho capito di essere gay ho
paura della mia ombra.»
«Stai tranquillo, con il
fisico da lottatore di sumo e con quelle orrende camicie a quadri che
indossi nessuno sospetterà mai niente. A meno che non ti
becchino a pomiciare nel retro di un locale con un ragazzino, in tal
caso non avresti scusanti. Anche se potresti sempre giocare la carta
“ero ubriaco e lui sembrava una ragazza alternativa coi capelli
corti”.»
«Farò tesoro del
tuo consiglio.»
«Karofsky, stavo
scherzando.»
«Anch'io, Smythe.»
Sebastian ridacchiò.
«Cavoli, a volte sei proprio spassoso.»
Alle undici e mezza uscirono
dal locale. Dave gli offrì un passaggio alla Dalton, ma
Sebastian rifiutò – troppo orgoglioso – e chiamò
un taxi.
«Buona fortuna con
Blaine» gli disse, vedendolo salire nel taxi.
Sebastian gli sorrise di
rimando e gli fece un cenno con la mano.
«Che vuoi Smythe?»
«Ciao, Rachel, è
un piacere sentirti. Come stai? Io non c'è male.»
«Sì, sì, è
un piacere anche per me, Sebastian. Perché non saltiamo i
convenevoli e arriviamo al punto in cui tu mi dici che cavolo vuoi.
Sii breve perché il prurito di chiuderti il telefono in faccia
è irrefrenabile.»
«Va bene, Rachel. Volevo
chiederti quando e dove Kurt e Blaine usciranno insieme.»
«E' stato un piacere
parlare con te, alla prossima, mangusta.»
«Oh, andiamo!»
«Sebastian, non ti
aspetterai che te lo dica? Blaine mi ha detto cos'hai fatto ed è
stato orrendo. Sia meglio di me com'era ridotto Blaine e Kurt non era
da meno – almeno così mi ha detto suo Finn.»
«Non farmi la predica. Ho
bisogno di parlare ad entrambi. Niente piani loschi.»
«E' dovrei crederti?»
«Maledizione, Rachel, ho
bisogno di saperlo!»
«Okay, Sebastian,
calmati. Tutto bene?»
«No che non va “tutto
bene”. Rachel, ho davvero bisogno di parlare loro. Io voglio-
voglio chiedere scusa.»
«Come prego?»
«Non farmelo ripetere.»
«Sebastian Smythe che
chiede scusa?»
«Su, avanti, continua a
sfottere.»
«Da come parli sembri
ridotto ad uno straccio, non ci sarebbe neppure divertimento a
tormentarti.» Pausa. «Sembra che sotto sotto anche tu
abbia un cuore.»
«Lo sento dire spesso
ultimamente.»
«Va bene, ti aiuterò.»
«Grazie, Rachel.»
«Non farmene pentire.»
Kurt stava finendo di piegare
un maglione quando sentì un colpo di tosse alle sue spalle. Si
voltò per vedere chi fosse – un cliente infastidito
dalla sua lentezza? - e quando riconobbe il ragazzo davanti a lui
sorrise.
«Buongiorno, avrei
bisogno di una mano.»
«Ma certo, signore, ha
davanti a lei il commesso più competente del negozio.»
«Più competente
non saprei. Se non altro il più carino» rispose Blaine.
«Le ricordo che i
commessi non sono in vendita.»
«Altrimenti ti avrei già
comprato.»
I due si guardarono intorno per
assicurarsi che nessuno avesse sentito la loro conversazione e
sorrisero. Non si vedevano da un po' di giorni e l'istinto di
baciarsi era forte ma si trattennero. Non era il posto giusto.
«Che ci fai qui? Manca
ancora un quarto d'ora alla fine del mio turno.»
«Lo so, ma avevo bisogno
di una mano. Sai, il compleanno di Rachel si avvicina e quest'anno
volevo regalarle qualcosa da vestire. L'anno scorso, andando a scuola
privata, aveva la divisa mentre quest'anno ogni volta che torno a
casa la sento lamentarsi che non ha nulla da mettersi, così...»
«Non aggiungere altro. Ho
già in mente un paio di vestitini che le starebbero una
favola» rispose Kurt entusiasta, trascinandolo nel reparto
donna.
Passarono i seguenti dieci
minuti immersi fra fiocchi e nastri di raso, mentre Blaine cominciava
a sentire la testa girare per tutti i pois sui vestiti. Alla fine
Kurt gli semplificò la scelta, riducendola a tre vestiti che a
lui sembravano tutti ugualmente belli ma che il suo ragazzo insisteva
a considerare completamente diversi.
«Andiamo, Kurt, non puoi
semplicemente scegliere tu? Finirò per fare un disastro.»
«Non se ne parla. È
tua sorella ed è il tuo regalo. E poi dovrò aiutare
anche Finn a scegliere il suo e poi inventare qualcosa anche da parte
mia.»
«Ma non sei obbligato a-»
«E' la sorella del mio
ragazzo e la ragazza di mio fratello. Sono decisamente obbligato.»
Blaine sorrise: «Direi
che prendo que-»
«Ma guarda chi si vede.
Le due fatine.»
I due ragazzi si voltarono e si
ritrovarono davanti Azimio.
«Che c'è, Hummel,
lo stai convincendo a comprarti il vestitino per il matrimonio?
Chissà perché non sono sorpreso di trovarvi nel reparto
donna.»
«Azimio, devo ricordarti
che anche tu sei nel reparto donna?» disse Kurt,
infastidito dal ragazzo ma per nulla spaventato. «Io sto
lavorando, la tua scusa qual è?»
Azimio corrugò la
fronte: «Devo comprare un regalo alla mia ragazza. Insomma,
come stai facendo tu» disse, rivolto a Blaine.
«Se non te ne fossi
accorto, Kurt è il mio ragazzo. Se fosse la mia ragazza
non dovremmo sopportare le tue battute omofobe nonché la tua
fastidiosa presenza. Quindi se non ti spiace, vorrei finire di
decidere il regalo per mia sorella e poi uscire con lui.»
«Sì, mi dispiace.
Non capisco perché non sono libero di venire da GAP senza
essere costretto a vedere tu e quella checca che chiami “ragazzo”
comportarvi da finocchi.»
«Ci sono tante cose che
non capisci, a quanto pare, e credimi anch'io mi chiedo perché
sono costretto a parlare con te quando vorrei solo andare alla cassa
a pagare. Ah no, aspetta, non sono costretto a parlare con te, come
tu non sei costretto a starci fra i piedi. Quindi, se proprio ti dà
fastidio, è meglio che ti giri» disse, passando un
braccio attorno al fianco di Kurt e stringendolo a sé,
guardando con aria di sfida Azimio.
«Non provocarmi.»
«Di' la verità,
non ti dà affatto fastidio. Anzi, magari sei pure curioso di
guardare.»
Azimio lo afferrò per il
braccio, strattonandolo e costringendolo a lasciare la presa su Kurt.
«Ci sono problemi?»
chiese il direttore del negozio, avvicinandosi a loro.
Kurt provò a
minimizzare, ma Azimio replicò:
«Sì, il vostro
commesso si comporta in modo poco professionale.»
Il direttore si voltò
verso Kurt: «Hummel, mi sembrava di essere stato chiaro. Non è
il primo errore che fai. Prima c'è stata la settimana in cui i
clienti scappavano appena vedevano la tua faccia da funerale, poi il
fatto che alcuni giorni a settimana arrivi al lavoro con delle
occhiaie terribili, poi i continui ritardi ed ora questo.» Si
rivolse ad Azimio. «Che cos'ha fatto? Le ha parlato in modo
scortese?»
«No, lui-»
«In effetti se qui c'è
qualcuno che ha parlato in modo scortese è proprio lui»
intervenne Sebastian, indicando Azimio.
Kurt e Blaine guardarono
sorpresi il ragazzo. Quando era arrivato? E che ci faceva da GAP?
«Lei era presente?»
«Ero poco distante. Il
vostro commesso stava aiutando questo ragazzo a scegliere un vestito
– quello che ha in mano in questo momento, suppongo –
quando questo individuo si è avvicinato e ha richiamato la
loro attenzione in modo scortese ed offensivo, nonché con
battute trite e noiose oltre che discriminatorie.»
«Io non-»
«Come se ciò non
bastasse, questo individuo ha afferrato con poca gentilezza il vostro
cliente per il braccio.»
«Ma lui stava-»
«Lo sai vero che
l'aggressione è un reato punibile con il carcere? Ti auguro di
non avere precedenti, neppure lievi, perché altrimenti sei in
una brutta situazione e credimi, parlo con cognizione di causa visto
che sono il figlio del procuratore. Scusa, mi è sfuggito il
tuo nome.»
Azimio balbettò una
scusa, incapace di parlare.
«Non importa, scommetto
che il commesso qui presente ti conosce per nome e cognome.»
«Andiamo, l'ho solo-»
«Fossi in te non
aggiungerei altro e me ne andrei.»
Azimio non aggiunse altro. Si
voltò e, con la testa incassata nel collo, se ne andò.
Prima di uscire si voltò un'ultima volta in direzione di Kurt
e lo fulminò con lo sguardo.
Sebastian si rivolse allora al
direttore: «Mi auguro che episodi del genere non accadano più.
Sa, quando vengo a fare spese non mi piace dover assistere a simili
situazioni.»
«Non si preoccupi. È
stato un caso isolato.»
«Lo spero.»
Il direttore cercò di
recuperare il discorso che stava facendo per redarguire Kurt, quando
Sebastian aggiunse nuovamente:
«Può andare. Per
qualsiasi cosa chiederò al vostro abilissimo commesso.»
L'uomo allora rinunciò
alla ramanzina e si defilò.
«Cavolo, era da un bel
po' che non insultavo un omofobo, non ricordavo fosse così
soddisfacente» disse ridacchiando.
Il volto di Blaine invece era
tremendamente serio: «Che ci fai qui?»
«Compere da GAP?»
«Sebastian.»
«Beh, dovrai ammettere
che il mio tempismo e la mia lingua lunga sono stati provvidenziali.»
«Sì, sì,
grazie per l'aiuto. Ce l'avrei fatta benissimo da solo.»
«Come no. L'avresti fatto
licenziare in meno di un minuto. Ottimo piano, Blaine, davvero, eri
sulla buona strada.»
«Ora che mi hai preso in
giro puoi andartene?»
«No» disse. «Sono
venuto qui perché volevo» fece un respiro profondo
«volevo parlare con voi.»
«Mentre noi non vogliamo
parlare con te.»
Kurt afferrò
delicatamente il braccio del suo ragazzo e disse: «Dai, Blaine,
lascialo parlare.»
«Dopo quello che ha
fatto?»
«Vuole solo parlare. Non
ha mai ucciso nessuno.»
Blaine sbuffò: «Va
bene. Spara, che cosa vuoi?»
«GAP non è il
posto migliore per parlare. E se andassimo da qualche altra parte?
Tipo, propongo, al Lima Bean?»
Blaine sbuffò, ma Kurt
sapeva già che avrebbe accettato.
Kurt tornò posando i tre
caffè sul tavolo. Blaine era ancora silenzioso, mentre
Sebastian gli sorrise, prendendo il proprio bicchiere.
«Ora vuoi dirci che cosa
vuoi?» sbottò Blaine.
«Posso prima bere il mio
caffè?»
«No, vieni al dunque.
Prima la sbrighiamo, prima potrò andarmene.»
Kurt gli diede un colpetto al
piede da sotto il tavolo, per cercare di ammansirlo.
«Va bene. Se è
proprio questo che vuoi» mormorò Sebastian, posando il
bicchiere. «Non sono bravo in queste cose. Insomma, di solito
sono abituato a fare lo stronzo senza conseguenze, anche perché
mi comporto così in continuazione e se dovessi avere i sensi
di colpa ogni volta che apro bocca...»
«Sebastian, stai
divagando.»
«Per farla breve, sono
venuto a chiedervi scusa. Riconosco di aver usato dei metodi poco
corretti e, per quanto le mie intenzioni fossero delle migliori, se
avessi saputo che una cosa del genere vi avrebbe fatto stare così
male non avrei mai cominciato il piano. Ero convinto che, essendo
insieme da poco più di una settimana, fosse ancora solo una
cotta. Poi ho visto lo stato in cui ti eri ridotto, Blaine, e ho
incontrato te alla Dalton, Kurt. È stato allora che ho
cominciato ad avere dei dubbi.»
«Ah, solo allora?»
«Ascoltami. Ti ho già
detto perché l'ho fatto: l'anno prossimo tutto cambierà.
Blaine, tu andrai al college, in un ottimo college come ti
meriti. Puoi aspirare in alto e puoi andartene dall'Ohio. Anzi, devi
farlo. Fino a qualche mese fa non vedevi l'ora di finire la scuola
per andartene da casa, dalla città e possibilmente anche dallo
stato.»
«Mentre ora ho smesso di
odiare la mia vita.»
«Ed è fantastico,
credimi. Ma potresti tornare ad odiarla quando sarai adulto e allora
sarà troppo tardi per cambiare strada. Ti chiedo solo una
cosa: non sprecare quelle occasioni che non potrai riavere.»
«Perché dovrei
ascoltarti?»
«Perché tutto
quello che ho fatto, l'ho fatto solo perché non avevo il
coraggio di dirti che sei probabilmente il migliore amico che ho,
l'unico che conosce il mio lato più umano, l'unico che mi
considera più di “quello gay e stronzo” e per una
volta nella mia vita tengo a qualcuno che non sia me stesso.»
Blaine lo fissò
sbalordito: «Wow. Io non-»
«Lo so, non è da
me. Ma è la verità. Non so come andranno le cose fra
voi due ma anche tu» disse, questa volta rivolgendosi a Kurt
«devi promettermi che non lo tratterrai qui se avrà la
possibilità di migliorare la sua vita.»
Kurt annuì, leggermente
confuso. «Non ho mai avuto intenzione di trattenerlo in un
posto dove non potesse essere felice. Ma finché sarà
felice a Lima non sarò io ad allontanarlo.»
Sebastian annuì.
«Allora, sono perdonato?»
Blaine lo fulminò con lo
sguardo ed arricciò le labbra per qualche secondo, poi sbuffò:
«Potrei ricominciare a parlarti. Però basta battute
sulla mia altezza.»
«Eh no! Cavoli, le
battute sulla tua altezza costituiscono metà del mio
repertorio.»
«Appunto, non credi di
essere un po' pesante?»
Sebastian capitolò: «E
va bene. Almeno mi rimangono quelle sui papillon e sulla tua insana
passione per Katy Perry.»
«Sai, potrei cambiare
idea in qualsiasi momento e tornare ad odiarti. Anche perché
lo stai rendendo incredibilmente facile.»
«Amici come prima?»
disse, porgendogli la mano.
Blaine la strinse: «Finché
non farai un'altra stronzata.»
Sebastian si rivolse allora a
Kurt: «Credo di dover chiedere scusa anche a te. Sia per gli
orribili sms che ti ho mandato, sia perché – nel
tentativo di convincere Blaine e dimenticarti – potrei aver
detto alcune cose poco carine su di te.»
Kurt inarcò il
sopracciglio: «Che genere di cose?»
«Tipo che conducevi una
vita poco casta nel retro dello Scandals. Però ho specificato
che il tuo sedere è una favola.»
«Sebastian, ti conviene
catapultarti a zuccherare il mio caffè o potrei non rispondere
delle mie azioni» disse Kurt, allungandogli il bicchiere.
Sebastian lo afferrò e
sparì, lasciandoli nuovamente soli.
«Dici che ho fatto bene a
perdonarlo?» disse Blaine.
«E' Sebastian. Ti ha
sempre aiutato quando ne avevi bisogno e pensa a quanto ha fatto per
noi. Ha fatto un errore, ma ha fatto anche tante cose buone. Magari
sfrutta i suoi sensi di colpa per un mesetto, ad esempio facendogli
rifare entrambi i letti. Con Finn funziona sempre.»
Blaine sorrise: «Penso
seguirò il tuo consiglio.»
Si voltarono entrambi a
guardare Sebastian tornare verso di loro.
Blaine dovette ammettere con se
stesso che gli era mancato.
A/N
Ed eccomi
qui per il primo aggiornamento di martedì!
Sebastian
ha fatto il primo passo verso il perdono, paradossalmente grazie a
Dave.
Dal
prossimo capitolo la situazione si animerà per bene e non si
distenderà fino alla fine.
Ditemi
cosa ne pensate.
A
venerdì!
yu_gin
coming next
«Che dici, andiamo anche
noi?» propose Blaine. «A casa mia ci sono i miei, quindi
è off limits, ma potremmo – che so – fare un giro
in macchina, oppure...»
«Casa mia è
libera» disse Kurt, tutto d'un fiato. L'idea di far vedere a
Blaine la sua casa disastrata lo terrorizzava, ma nelle ultime
settimane lui e Finn si erano impegnati a mantenere un livello di
ordine e pulizia accettabile. «Sì, insomma, Finn rimarrà
qui ancora un'ora e mezza quindi a casa mia non c'è nessuno.
Sempre se ti va, ovviamente.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** unforgettable night ***
A
Lima Side Story
Capitolo
21: unforgettable night
Kurt uscì dai camerini e
il suo primo pensiero fu quello di raggiungere Blaine. Erano insieme
da due mesi e mezzo ormai e, nonostante i piccoli ostacoli costituiti
dalla scuola, dal lavoro, dalla famiglia Anderson (ancora ignara
della loro relazione) e da tutte le opposizioni che potevano
incontrare due giovani gay sulla loro strada... beh, nonostante tutto
erano felici.
Certo, talvolta litigavano e
capitava che si tenessero il muso per un giorno, ma alla fine uno dei
due cedeva sempre per primo e si rappacificavano.
Finn e Rachel non facevano
altro che allenarsi per le Nazionali e Kurt non mancava, di tanto in
tanto, di aiutarli con consigli o pareri. Le cose fra loro sembravano
andare bene. Kurt era timoroso, all'inizio: temeva che l'esuberanza
di Rachel avrebbe finito per spaventare Finn, ma a quanto pare suo
fratello era cresciuto. Ricordava ancora come erano andate le cose
con Quinn – non esattamente rose e fiori – e temeva che
con Rachel sarebbe stato lo stesso. Fu contento di sbagliarsi.
Sebastian aveva saputo farsi
perdonare e in meno di una settimana era tornato lo stronzo di prima,
fingendo di non aver mai ammesso di tenere davvero a Blaine come
amico e non solo come schiavetto personale e sfogo per il suo
sarcasmo.
Andava bene così. In
fondo era pur sempre Sebastian, no? Non potevano certo pretendere che
diventasse un santo anche perché più di una volta la
sua lingua lunga era tornata utile per levarsi d'impiccio da
spiacevoli situazioni.
Dave invece non si era più
fatto sentire, non intenzionalmente, almeno. Si erano incrociati un
paio di volte per strada o al supermercato. Non c'era neppure stato
bisogno di respingerlo: Dave si era tenuto distante. Kurt si
rifiutava di sentirsi in colpa e il più delle volte ci
riusciva.
Quando incrociava il suo
sguardo da cane bastonato pensava a quell'orrida settimana passata
pensando che fra lui e Blaine fosse finita e ogni rimorso spariva.
Era felice. In quel momento
sedeva ad uno dei tavolini dello Scandals con il suo ragazzo,
sorseggiando una Coca light e facendo sfiorare i loro piedi da sotto
le sedie.
«Sbaglio o qualcuno era
particolarmente sexy questa sera?» disse Blaine.
«Hai ragione. Le tette di
Santana oggi sembravano davvero fantastiche.»
«Sai, non credo di averle
notate. Ero troppo impegnato a fissare il tuo sedere.»
Kurt rise, perché quello
era un gioco che li divertiva sempre: atteggiarsi da cattivi ragazzi
o “star da bar gay” quando sapevano entrambi di essere
degli inguaribili romantici.
«Beh, cerco di dare il
meglio di me in questo mese, visto che sarà l'ultimo. Poi
addio Scandals» disse, guardandosi intorno e sospirando.
«Ti mancherà?»
chiese Blaine.
«Di certo non le mani
sudaticce degli uomini attempati o gli squallidi bagni o le alzatacce
il giorno dopo per andare al lavoro. No, questo non mi mancherà
affatto. Però mi mancherà quel brivido che precede ogni
esibizione e gli scherzi di Santana nei camerini. E poi una volta ad
uno di questi spettacoli mi sono perso nel più bel paio
d'occhi che avessi mai visto.»
«Devo essere geloso?»
«No, scemo. Parlavo di
te» disse, sorridendogli.
«Oh» mormorò
sorpreso e poi lusingato. Per evitare di far notare a Kurt che era
leggermente arrossito disse: «E Santana come l'ha presa.»
L'altro si morse le labbra:
«Potrei non averglielo ancora detto.»
«Kurt!»
«Oh, va bene! Lo so che
glielo devo dire. Lo so che lei avrebbe dovuto essere la prima
persona a saperlo e che le spezzerò un po' il cuore
andandomene. È per questo che ho aspettato.»
«Non pensi che sia meglio
dirglielo il prima possibile? Almeno avrà più tempo per
prepararsi all'idea o rischi di ritrovarti all'ultimo giorno, quando
prenderai la tua roba dal camerino e le dirai: “oggi era la mia
ultima volta qui, me ne vado, addio”.»
«Chi è che se ne
va?» chiese Santana alle loro spalle.
Kurt sobbalzò: «Nessuno.
Assolutamente nessuno. Blaine stava parlando di-»
«Vecchi amici.
Discussioni tristi che vanno decisamente accantonate» concluse,
salvandolo. «A proposito, Santana, prima c'era una ragazza
bionda che ti cercava.»
«Che cos-» Si voltò
di scatto, in tempo per vedere Brittany – la bionda in
questione – dirigersi verso di loro. «Brittany! Non-non
ti aspettavo.»
Kurt guardò incredulo le
due donne. «Voi vi conoscete?»
«Siamo uscite insieme
qualche volta, così, per un caffè. E una cena.»
«E un dopo cena»
aggiunse candidamente Brittany, con un sorriso raggiante sul volto.
Kurt per poco non sputò
la sua Coca. «Per un- okay, è evidente che qui qualcuno
ha omesso di raccontarmi un po' di cosette» disse rivolto a
Santana. E non è stata l'unica, si redarguì in
silenzio.
«Lo so. È solo che
è stato tutto abbastanza all'improvviso e te ne avrei parlato.
Sul serio» disse, mordendosi il labbro. Poi si rivolse alla
ragazza: «Pensavo fossimo d'accordo che ti sarei venuta a
prendere io a casa.»
«Lo so, ma non avevo
voglia di aspettare e poi volevo vederti mentre ti esibivi»
disse, con un tono non più molto candido che mise leggermente
a disagio i due ragazzi lì presenti.
«Lo sai che non serve che
vieni fin qui per vedermi mentre mi spo-»
«Okay, ragazze! Immagino
vorrete restare sole. Noi forse è il caso che ce ne andiamo
fuori, all'aria fresca, a schiarirci le idee.»
Santana ridacchiò,
strizzandogli la guancia. «Stai tranquillo angioletto, non ti
metteremo ulteriormente in imbarazzo. Noi andiamo, ragazzi!
Divertitevi» disse, cingendo i fianchi della bionda e
dirigendosi con lei verso l'uscita.
Kurt e Blaine si guardarono
stupiti.
«Okay, devo segnarmi
alcune domandine per Santana. Tipo quando aveva intenzione di dirmi
che esce con una mia amica del Glee.»
«E che uscite!»
commentò Blaine, sorseggiando la propria Coca. «Quelle
due non potevano essere più esplicite.»
Un secondo dopo aver
pronunciato quelle parole se ne pentì perché calò
subito un'atmosfera imbarazzata. Nonostante fossero insieme da due
mesi e mezzo l'argomento “sesso” era ancora tabù.
Il fatto poi che raramente
avessero il privilegio di avere casa libera certo non aiutava.
Parlarne era imbarazzante. Entrambi immaginavano che una sera si
sarebbero finalmente ritrovati soli in casa a baciarsi sul divano
e... sarebbe successo. Come era naturale che fosse.
«Che dici, andiamo anche
noi?» propose Blaine. «A casa mia ci sono i miei, quindi
è off limits, ma potremmo – che so – fare un giro
in macchina, oppure...»
«Casa mia è
libera» disse Kurt, tutto d'un fiato. L'idea di far vedere a
Blaine la sua casa disastrata lo terrorizzava, ma nelle ultime
settimane lui e Finn si erano impegnati a mantenere un livello di
ordine e pulizia accettabile. «Sì, insomma, Finn rimarrà
qui ancora un'ora e mezza quindi a casa mia non c'è nessuno.
Sempre se ti va, ovviamente.»
«Sì»
rispose, forse un po' troppo entusiasticamente. «Insomma, sì,
mi piacerebbe. È... è perfetto.» Da quanto Blaine
sognava di vedere la casa dove Kurt viveva, intrufolarsi nella sua
camera, vedere quali poster teneva attaccati alle pareti, spiare le
due foto da bambino, annusare l'odore che respirava ogni giorno.
«Perfetto. Vado ad
avvertire Finn e andiamo» disse. Si diresse verso suo fratello
e gli spiegò la situazione.
All'inizio Finn andò nel
panico, non sapendo esattamente cosa dire. Poi se ne uscì con:
“Andateci piano, usate le protezioni e... per favore non in
cucina”.
Ovviamente questa asserzione
gli fece guadagnare una sberla sulla spalla da parte del fratello.
«E mi raccomando: suona
il campanello prima di entrare. Per favore.»
Finn ridacchiò: «Penso
lo farò. Sai, anche per il mio bene.»
Avuta anche la benedizione di
Finn sgattaiolò via e raggiunse Blaine. Insieme uscirono dal
locale.
Era già sera quando Dave
sentì suonare il campanello. Sua madre andò ad aprire
e, con grande disappunto del ragazzo, riconobbe le voci dei suoi
vecchi compagni di squadra.
La donna li fece entrare
entusiasta: «Ragazzi! Quanto tempo!»
«Non lo dica a noi
signora. Sono secoli che cerchiamo di convincere Dave ad uscire ma
lui ha sempre da lavorare. Non è che ce lo sta sciupando
troppo?»
La donna sapeva bene che il
figlio non lavorava affatto la sera e la mattina poteva dormire, ma
mentì: «Glielo dico sempre anch'io di uscire.»
«Siamo venuti a
prelevarlo con la forza per una vecchia rimpatriata. Siamo tutta la
vecchia squadra. Beh, tutti tranne quelli del Glee» disse
Azimio ridendo. «Allora, signora, ce lo lascia per una sera?
Glielo riportiamo intero, eh? Promesso.»
La donna si voltò verso
Dave. «Penso sia un'ottima idea. Dave, sei ancora vestito,
vero?»
«Ma forse dovrei
cambiarmi...»
«Mio Dio, Dave! Mi sembri
Hummel!» esclamò Azimio. «Basta che tu non sia in
pigiama, vogliamo andare a bere mica a cena in qualche locale da
elegantoni.»
Dave sobbalzò nel
sentire quel nome.
«Non esci mai. E in
questo periodo ti vedo parecchio giù. Faresti bene ad uscire.»
«Dave, non puoi dire di
no ai vecchi amici!» disse qualcuno del gruppo.
Capì di non avere
alternativa: o usciva con loro o sarebbe stato costretto a gridare
loro che non ne voleva più sapere della “vecchia
squadra”, delle loro “bevute per rivangare i bei vecchi
tempi” e dei loro insulti gratuiti a Kurt e ai suoi amici del
Glee – dei quali in realtà gli importava ben poco.
«Va bene, ragazzi!
Andiamo a farci questa bevuta» esclamò, cercando di
sembrare più rilassato possibile.
Se ne andò di casa con i
suoi amici. Salì in macchina con loro e partirono verso un
locale dove trovarono il resto dei ragazzi.
Come aveva detto Azimio non
c'era nessuno del Glee, né quelli ancora a scuola, né
quelli di una volta. In un certo senso lo fece sentire sollevato. Non
sarebbe riuscito ad affrontare Finn tutta la serata, né Puck o
Sam o Mike o Artie. Non gli avevano ancora del tutto perdonato il
modo in cui aveva trattato Kurt.
Si sedettero a bere e presto
l'atmosfera si fece rumorosa e allegra. Tutti ridevano e molti erano
già brilli e Dave si sforzò di farsi coinvolgere
dall'entusiasmo generale e ci riuscì fino a che alcuni della
squadra non cominciarono a parlare del Glee.
«E che dire, vi ricordate
di tutte le granite che gli abbiamo tirato addosso?»
«O di tutte le volte che
li abbiamo gettati nel bidone della spazzatura?»
«E le scritte che abbiamo
lasciato nei bagni?»
Tutti ridevano ad ogni frase,
mentre Dave cominciava a provare l'impulso di andarsene. Non poteva
credere che, a un anno dalla fine della scuola, continuassero a
provare piacere nel ricordare i loro atti di bullismo.
«Vi ricordate le facce
che faceva la cinese? O il suo fidanzato?»
«No, la migliore secondo
me era quella di colore. Quella che continuava ad andare in giro
dicendo “Rispect” e poi veniva granitata da noi.»
«Ehi, non offendere la
mia gente!» esclamò Azimio. «Piuttosto Hummel:
quello sì che era divertente. Ed era anche quello che se lo
meritava di più. Andava in giro per la scuola con quei suoi
vestiti da femmina e quella sua vocetta insopportabile e... mio Dio,
se penso che per qualche mese è stato addirittura nella
squadra di football! Non capisco perché ad un certo punto
abbiamo anche smesso di tormentarlo» disse, rivolgendosi a
Dave. «Ricordi? È stato l'anno scorso, verso dicembre
forse.»
«Stava passando un brutto
periodo. Insomma, i suoi genitori erano morti l'anno prima, suo
fratello aveva perso il lavoro... sarebbe stato troppo, no?»
«Ti vedo stranamente
informato su di lui» disse un ragazzo. Lo riconobbe come
Jackson, il fratello maggiore di Azimio. Aveva un paio di anni più
di loro ed aveva frequentato il McKinley a suo tempo, guadagnandosi
la fama di uno dei peggiori bulli che avesse mai attraversato i
corridoi dell'istituto. Nessuna sorpresa se Azimio era diventato
quello che era, con un simile fratello.
«Lo sapevano tutti a
scuola. Non era un segreto.»
«E il tuo tenero cuore si
è stretto per la sua triste situazione» commentò
sarcastico.
«Ho provato ad immaginare
come potesse stare in quel periodo. Tutto qui.»
«Non so in quel periodo,
ma di sicuro ora si è ripreso bene» commentò
Azimio schifato. «L'ho visto per ben due volte con il suo
fidanzatino o quello che se lo scopa, non so bene come funzioni fra
loro. Una volta li ho beccati a pomiciare vicino alla mia auto mentre
ero fuori con Grace per San Valentino. Davvero disgustoso»
commentò.
Dave sentì il cuore
stringerglisi nel pensare a Kurt e al fatto che ora, con Blaine, era
felice. Che poteva baciare il suo ragazzo al di fuori dei locali gay
o della sua auto. Ma in una certa misura si sentì sollevato.
Almeno ora era felice.
«E tu cos'hai fatto?»
chiese Jackson.
«Gli ho detto di
andarsene e lui l'ha fatto. È praticamente corso via a gambe
levate» mentì, dal momento che nessuno dei presenti
aveva assistito alla sua cocente sconfitta.
«Avresti dovuto fare di
meglio. Allora gli sarebbe passata la voglia di fare il gay in un
luogo pubblico» commentò il maggiore, finendo la birra.
A Dave il suo sguardo non
piacque, come non gli piacque affatto quel “avresti dovuto fare
di meglio” perché aveva come la sensazione di sapere
cosa intendesse con “meglio”: ciò che lui avrebbe
definito decisamente “peggio”.
Da lì in poi la
conversazione cambiò e Dave non poté che sentirsi
sollevato quando cominciarono a parlare di football e macchine.
Era ormai tardi quando i primi
cominciarono ad andarsene e alla fine rimasero solo Dave, Azimio,
qualche ragazzo della squadra e Jackson. Dave si rese conto di aver
probabilmente bevuto un po' troppo quando Azimio si voltò
verso di lui e gli disse qualcosa che Dave faticò a
comprendere. I rumori del locale e il mal di testa che gli stava
salendo rallentavano le sue capacità di reazione.
«Ti ho detto che io vado
via con mio fratello. Raggiungiamo dei suoi amici e andiamo a fare un
po' di casino in giro. Sai, tipo andare a imbrattare i cartelloni
pubblicitari o abbattere le cassette della posta con la mazza da
baseball. Le solite cose, insomma. Vieni con noi?»
«Non so, mi sento
abbastanza rintronato. Preferirei andarmene a casa.»
«Ma che noia! Una buona
volta che riesco a tirarti fuori dalla tua camera vuoi subito
lasciare la festa.»
«Devo lavorare domani»
protestò stancamente.
«Va bene, ho capito.
Certo che sei proprio un ragazzo responsabile» sbuffò
annoiato. «Ti diamo un passaggio fino a casa, va bene?»
Dave annuì. Non vedeva
l'ora di tornare a casa e gettarsi a letto a dormire.
Salì in macchina con
Azimio e Jackson e poco dopo se ne pentì. I discorsi che
faceva il maggiore erano disgustosi e non poteva credere di essere
stato come lui un tempo. Quante cose idiote si fanno alle superiori,
si ritrovò a pensare. Avrebbe voluto tornare indietro e
rinnegare tutto.
«Posso scendere qui»
disse, seccato dal ragazzo e desideroso solo di andarsene a letto.
«Mi farò una camminata per schiarirmi le idee.»
«Come vuoi» disse
Azimio. «Ci vediamo.»
«Dai, lascialo andare. Lo
sai che abbiamo un appuntamento imperdibile allo Scandals.»
Dave si bloccò, come
paralizzato.
«A-allo Scandals?»
ripeté come inebetito. Se non sbagliava quella sera Kurt
lavorava lì.
«Sì, mica per
andare in quel covo di pervertiti. No, l'idea era di rimanere nel
parcheggio e aspettare che qualche fatina esca. Per divertirci un
po'.»
Detto questo ripartì,
lasciando Dave solo, immobile sul marciapiede, intontito dall'auto.
Terrorizzato.
Non avevano fretta. Uscirono
dal locale ma non camminarono diretti verso l'auto, barcollarono per
il parcheggio, baciandosi, cingendosi i fianchi.
Tutto sembrava perfetto.
«Kurt.»
«Mh...»
«Kurt, lo so che suonerà
malissimo, ma sento qualcosa che vibra nei tuoi pantaloni.»
Si staccarono un istante e Kurt
infilò una mano in tasca. Il cellulare. Guardò il
display e sbuffò scocciato, ricacciandolo in tasca.
«Tutto bene?»
«A meraviglia.»
«Non rispondi?»
«Non ce n'è
bisogno» disse. «Pensavo che dopo aver rifiutato tre
chiamate fosse abbastanza chiaro che non avrei risposto neppure alla
quarta. Ma certe persone sono dure di comprendonio.»
«Forse dovresti
rispondergli.»
«Non farmi sentire in
colpa. Non voglio pensare a lui. Non ora» disse, baciandolo.
Blaine non insistette, anche perché in quel momento aveva
altre priorità. Ad esempio il suo ragazzo che in quel momento
lo stava baciando. O il fatto che lo stesso suddetto ragazzo lo
avesse appena invitato a casa sua dopo aver specificato chiaramente
che questa era vuota. Decisamente, aveva altro per la testa.
Mancavano pochi metri alla
macchina, quando lo stridio dei freni di un auto li distrasse,
facendogli sollevare la testa.
«Cazzo!» esclamò
Dave. «Merda!»
Fu tentato di scaraventare via
il cellulare, ma quel poco di cervello che l'alcol non aveva
annebbiato lo fermò in tempo.
Con le dita che gli tremavano
scorse la rubrica alla ricerca di un numero. Aspettò
ansiosamente che l'altro rispondesse.
«Allora, non è che
perché abbiamo preso una birra insieme adesso ti fai strane
idee, eh? Perché sono un ragazzo molto impegnato. Molto
impegnato con molti ragazzi.»
«Sebastian!»
«Non disperare. Magari
una serata fra amici la possiamo-»
«Sebastian, chiudi quella
bocca e ascoltami. Saranno dieci minuti che cerco di chiamare Kurt ma
continua a non rispondermi. Non sapevo più cosa fare.»
«Amico, lo sai che è
ancora incazzato. Lo sapevi anche tu che ti avrebbe odiato.»
«Non è per quello.
Devo avvertirlo! Ci sono dei ragazzi che stanno andando allo
Scandals, dei bulli che andavano alla mia scuola e che non hanno per
niente buone intenzioni.»
«Stai scherzando, spero.»
«Cazzo, ti sembra che
stia scherzando!? Sebastian, devi chiamarlo subito, non so più
che fare! Quelli lì... quelli ce l'hanno particolarmente con
lui, lo tormentavano già alle superiori ma temo che oggi
potrebbero fare... fare di peggio.»
«Oh mio Dio, c'è
anche Blaine con lui. Ora ci penso io. Dove sei adesso?»
«Sono a piedi vicino a
casa mia.»
«Troviamoci lì il
prima possibile. Io chiamo Blaine.»
Dave chiuse la chiamata e si
guardò intorno.
La città già
dormiva e la via scarsamente illuminata era fredda e buia.
Si voltò verso casa e
corse.
Blaine sollevò la testa
quando sentì lo stridio dei freni, staccando appena la testa
da Kurt. In quello il suo cellulare vibrò e lui lo prese dalla
tasca. Riconobbe il numero di Sebastian e rispose.
«Sebastian, te l'ho detto
che oggi non tornavo in dormitorio.»
«Blaine, chiudi la bocca!
Se sei allo Scandals rimani nel locale. Non uscire, non da solo,
almeno né solo con Kurt. Portatevi dietro quel gigante di suo
fratello o qualche marcantonio.»
«Sebastian, hai bevuto?
Comunque è troppo tardi. Siamo nel parcheggio e stiamo per
salire in macchina. Ci sent-»
«No, devi ascoltarmi, ci
sono dei ragazzi che stanno arrivando. Sono dei bulli della scuola di
Kurt e non hanno buone intenzioni. Tornate subito dentro.»
Ma Blaine non lo stava più
ascoltando.
Sebastian gettò il
telefono sul letto e imprecò. Guardò l'ora. Dannato
coprifuoco.
Grazie al cielo non si era
ancora cambiato. Si infilò le scarpe senza neppure allacciarle
e corse in corridoio. Bussò freneticamente alla porta della
stanza finché non si aprì.
Un Wes particolarmente
assonnato lo fissò infastidito.
«Sebastian, che diavolo
vuoi a quest'ora?»
«Devo uscire, Wes, e voi
dovete aiutarmi.»
«Non ho intenzione di
infrangere il regolarmente perché le mutande ti sono strette.
Vai in doccia e risolvi da solo.»
«Wesley, per una volta il
sudombelico non c'entra. È per Blaine. È questione di
vita o di morte.»
Il sonno sparì dal volto
di Wes. Si voltò all'interno della stanza.
«David, chiama Nick, Jeff
e Thad. Dobbiamo organizzare una fuga.»
Kurt riconobbe al volo Jackson
e, nel vederlo, tremò.
Non aveva paura di Azimio
perché sapeva che, dietro i suoi insulti e le sue minacce, si
nascondeva un ragazzo insicuro e più terrorizzato di lui dalla
vita.
Jackson era diverso. Jackson ci
metteva il cuore, se così si può dire, nei suoi
pestaggi. A lui piaceva ciò che faceva. Quando lo
guardavi negli occhi potevi leggerci tutto il suo odio. E,
particolare non trascurabile, molti lo consideravano matto come un
cavallo.
Afferrò il braccio di
Blaine convulsamente e l'altro capì subito che qualcosa non
andava.
«Andiamocene, Blaine.
Torniamo dentro.»
«Ma la macchina è...»
«Subito!» Si voltò
e accelerò i propri passi verso il locale, trascinando dietro
l'altro ragazzo, confuso ed ora spaventato.
«Ehi, voi due, non
scappate!» gridavano i ragazzi dietro di loro.
«Non volete divertirvi
anche con noi?»
«Chi sono quelli?»
chiese Blaine.
«Non parlare e corri!»
Una mano si chiuse attorno al
braccio di Kurt e strinse così forse da costringerlo a
voltarlo. Gli occhi di Jackson si impiantarono nei suoi.
Riconobbe quello sguardo. Era
lo stesso odio che ricordava.
«Hummel, sempre nel posto
sbagliato al momento sbagliato.»
Sebastian respirò
profondamente. «Ci siete?»
«Non ancora.»
«Dannazione, Wes! Capisci
il concetto di “questione di vita o di morte”?»
«Ti ricordo che Blaine è
anche nostro amico, quindi smettila di criticare. Stiamo facendo del
nostro meglio.»
«Scusa. Sono solo...
agitato.»
In quello il cellulare di Wes
si illuminò.
«Okay, Jeff e Nick hanno
fatto scattare l'allarme antincendio. Fra non molto la sorveglianza
dovrebbe accorrere dall'altra parte della scuola. Tu stai pronto.»
«Lo sono. Appena fuori
dovrò trovare un taxi e...»
«Non ce ne sarà
bisogno» disse, prendendo dalla tasca della chiavi.
Sebastian strabuzzò gli
occhi: «Le chiavi di Thad?»
«Ha detto che se fai un
graffio alla sua bambina la rivernicerà con il tuo sangue. Ha
insistito perché usassi queste parole esatte.»
«Wow. Non ho parole.»
«Allora chiudi la bocca e
muoviti. La guardia si sta muovendo.»
Non appena l'uomo in divisa fu
sparito dalla loro vista, Sebastian uscì dal nascondiglio e
corse verso l'uscita. Si voltò un'ultima volta per salutare
Wes, poi corse nel parcheggio finché non riconobbe la Ferrari
rossa fiammante di Thad.
Infilò le chiavi nella
serratura e balzò dentro, accoccolandosi sul sedile di pelle
pulito come una camera sterilizzata.
«Allora, vediamo quanti
chilometri all'ora sai fare, dolcezza.»
Kurt provò a liberarsi
dalla presa, ma fu inutile. Normalmente avrebbe risposto con una
battuta sarcastica, della serie “visto che siamo allo Scandals,
forse sei tu quello nel posto sbagliato” ma la paura l'aveva
paralizzato. E al terrore per quello che avrebbero potuto fargli si
aggiunse quello che avrebbero potuto fare a Blaine, che in quel
momento lo guardava con gli occhi spalancati.
«Che c'è, il tuo
ragazzo ti ha mangiato la lingua? Da come stavate appiccicati prima
non mi sorprenderebbe.»
«Lasciatelo andare. Ce
l'avete con me, no?»
«Bel tentativo, ma no,
non ce l'abbiamo con te. Ce l'abbiamo con tutti quelli come voi. La
gente è troppo permissiva nei vostri confronti e vi state
diffondendo a macchia d'olio e perdete ogni pudore. È ora di
rimettervi in riga e perché non cominciare da una vecchia
conoscenza?»
Il primo pugno colpì
Kurt allo stomaco, facendolo piegare contro il ragazzo che l'aveva
colpito. Blaine, affianco a lui, si gettò al suo fianco
coprendolo col suo corpo per proteggerlo, ma un paio di braccia lo
afferrarono, sollevandolo da terra.
«Mio fratello mi ha
raccontato cos'è successo al negozio GAP, il mese scorso. Ti
pensavi tanto simpatico, vero?»
«Di sicuro più
intelligente del tuo fratellino» rispose.
«Blaine, no!»
gridò.
La risposta di Blaine scatenò
la reazione nei ragazzi che li circondavano: erano quattro. Azimio
invece era in disparte, più indietro, e osservava la scena con
espressione indecifrabile. Uno di loro lo colpì in faccia,
facendolo cadere. Blaine non rimase a terra: si rialzò e lo
colpì sotto la mandibola, facendolo sbilanciare.
Gli altri assistettero alla
scena increduli – Kurt compreso. Certo nessuno di loro aveva
immaginato di trovare resistenza da parte loro. Pensavano di arrivare
lì e picchiarli impunemente.
Un altro ragazzo si fece avanti
e tentò di colpirlo, ma Blaine schivò il colpo e lo
colpì allo stomaco. Senza dargli tempo di riprendersi lo colpì
nuovamente fino a farlo indietreggiare. Quello che l'aveva attaccato
doveva essere ubriaco, perché colpirlo era fin troppo facile e
la sua difesa faceva acqua da tutte le parti.
Jackson fermò il terzo
ragazzo e lo spinse indietro, facendogli segno di occuparsi di Kurt.
Poi si tolse la giacca e la gettò a terra, rimboccandosi le
maniche.
«E così il
damerino tira di boxe. Chi l'avrebbe mai detto? Pensavo foste tutti
come il tuo ragazzo, ma evidentemente mi sbagliavo. Sarà un
piacere farti supplicare.»
Blaine sentiva le gambe che gli
tremavano per la paura e l'adrenalina che gli saliva in corpo. Il
pugno che l'aveva colpito al viso gli aveva fatto sanguinare il
labbro e in quel momento sentiva la bocca impastata del denso liquido
ferroso.
Non provocò il suo
avversario. Era abituato agli incontri di boxe della Dalton e sapeva
che, infierire sul nemico prima di aver vinto, era davvero di cattivo
gusto.
Jackson si avvicinò a
lui e tentò di colpirlo. Il pugno lo toccò di striscio,
ma quando provò a rispondere, il più grande anticipò
le sue mosse, afferrando la sua mano e torcendogli il polso. Con
l'altra mano Blaine lo colpì sotto il mento ma non abbastanza
forte, dal momento che era la sinistra. Riuscì però a
liberarsi e indietreggiò. La testa gli girava e in quel
momento la sua attenzione era polarizzata fra l'avversario e la
figura di Kurt, che veniva trattenuto dal ragazzo più alto.
Blaine vedeva il suo ragazzo
dimenarsi per liberarsi dalla presa. Se solo Kurt fosse riuscito a
scappare forse sarebbe riuscito a chiamare aiuto o a raggiungere
l'auto e a salvarsi almeno lui. Potevano solo sperare che qualcuno
uscisse dal locale e li vedesse, perché la musica all'interno
era così assordante che nessuno li avrebbe sentiti.
Il locale era alle sue spalle e
nulla si frapponeva fra loro. Era abbastanza veloce e probabilmente
sarebbe riuscito ad arrivare dentro prima di essere raggiunto da
Jackson. Gettò un'occhiata dietro di sé, ma l'altro
anticipò il suo pensiero.
«Prova a scappare e vedi
come riduciamo quello lì. Se tu ci stai dando problemi, con
lui sarà fin troppo facile.»
No, Blaine non sarebbe
scappato. Non poteva fare altro che aspettare che l'altro si facesse
avanti di nuovo e nel intanto cercava di temporeggiare.
Il cuore gli batteva tanto
forte da fare male.
Dave arrivò a casa
sudato e ansimante. Bussò freneticamente alla porta finché
sua madre non venne ad aprirgli, spaventata dallo stato in cui era il
ragazzo.
«Ho bisogno dell'auto.
Subito!»
«Ma, Dave, sei appena
tornato! Dove devi andare a quest'ora?»
«C'è un mio amico
che è nei guai. Devo andare ad aiutarlo, mamma. Non ho tempo
per spiegarti.»
«Va bene» balbettò,
prendendo le chiavi dal mobile in entrata e porgendogliele. «Quando
tornerai?»
«Non lo so»
rispose, correndo via. Aprì la macchina e vi balzò
dentro. Infilò le chiavi nel quadro e girò. Il motore
sussultò un poco e poi partì, finalmente. Dave sgommò
via, probabilmente violando alcune regole del codice della strada.
Non ci pensò neppure.
Il suo unico pensiero, in quel
momento era arrivare allo Scandals il prima possibile.
Quando riconobbe l'insegna del
locale in lontananza svoltò parcheggiando l'auto in mezzo alla
strada e saltando giù. In mezzo al parcheggio c'era un gruppo
di ragazzi e non sembravano intenti a “chiacchierare”.
Riconobbe immediatamente i due
che stavano facendo a pugni: uno era Jackson mentre l'altro –
con suo grande rammarico – era Blaine. Kurt non poteva essere
lontano. Infatti, poco dopo, lo vide: un ragazzo lo stava trattenendo
per le braccia mentre lui cercava di liberarsi. Era chiaramente
terrorizzato e continuava a guardare nella direzione di Blaine,
temendo il peggio ad ogni azione.
Per una frazione di secondo gli
venne in mente che – intervenendo – non avrebbe più
potuto frequentare i suoi “vecchi amici”. Azimio
l'avrebbe etichettato come traditore, gli altri probabilmente
avrebbero fatto due più due e avrebbero concluso il motivo
della sua improvvisa redenzione. Le voci sarebbero arrivate ai suoi.
Il peggiore coming out che avesse potuto immaginare.
Ma fu solo un momento. Poi
scacciò il pensiero perché Kurt – e tanti altri
ragazzi come lui – avevano sofferto abbastanza a causa della
sua codardia ed era il momento di cambiare.
Kurt non staccò gli
occhi da Blaine neppure per un istante. Jackson era il doppio di lui
e sapeva bene che, se Blaine fosse caduto, se per un secondo avesse
abbassato la guardia, sarebbe stata la fine.
Cercava di liberarsi, ma era
tutto inutile. Sapeva che l'unico motivo per cui Blaine non era corso
verso il locale era a causa sua e non riusciva a guardare la scena
senza ripetersi: è tutta colpa mia.
Se solo non avessi provocato
Azimio. Se solo questa sera non mi fossi attardato. Se solo...
Il ragazzo che lo teneva
strinse di più la presa, storcendogli il braccio di proposito.
Quando la mano del suo aggressore fu abbastanza vicina, piegò
il collo fino a raggiungerla con la bocca e la morse, serrando la
mascella con tutte le sue forze. Il ragazzo gridò e lasciò
la presa, facendolo rotolare per terra. Kurt cercò di
rialzarsi ma subito uno degli altri due lo colpì con un
calcio.
Blaine, distratto dalle grida,
venne colto alla sprovvista dal pugno di Jackson. Cadde a terra e,
prima che si potesse rialzare, l'altro gli fu sopra. Lo schiacciò
a terra col proprio corpo e lo colpì in viso più e più
volte.
Kurt assistette a quella scena
da terra, cercando di alzarsi per raggiungerlo. Fu allora che sentì
la voce di Azimio gridare: «Che ci fai qui?»
Seguì il rumore di un
pugno ben assestato e, prima che potesse voltarsi, il ragazzo che lo
stava picchiando era a terra. Si girò per vedere cosa fosse
successo.
«Mio Dio, stai bene,
Kurt?»
Dave. Davanti a lui c'era Dave
e gli stava porgendo la mano per farlo rialzare. Non fece in tempo a
rispondergli perché un altro attaccò il più
grande.
«Kurt, corri! Va' a
chiamare aiuto» gli gridò Dave.
Kurt si voltò e corse
verso il locale ma non riuscì a guardare Blaine che veniva
picchiato da Jackson senza far niente. Non seppe cosa lo spinse ad
agire in quel modo, ma un secondo dopo era saltato contro la schiena
di Jackson e aveva attorcigliato un braccio attorno al suo collo,
tirando indietro e costringendo il ragazzo a distogliere l'attenzione
da Blaine per cercare di liberarsi di Kurt.
Si
alzò in piedi, sollevando Kurt e, dopo averlo afferrato per i
vestiti, lo scaraventò a terra affianco a Blaine che arrancò
verso di lui, abbracciandolo.
«Ma che spettacolo
pietoso» sputò fra i denti, guardandoli con odio.
Fu l'ultima frase che riuscì
a pronunciare.
Finn stava servendo l'ennesimo
cliente. Continuava a fissare l'orologio, pensando a quanto avrebbe
dovuto aspettare prima di poter tornare a casa senza incappare in una
spiacevole situazione.
Stava prendendo una banconota
da cinque dollari quando un uomo arrivò trafelato fino al
bancone e biascicò:
«C'è una rissa là
fuori. Ci sono due ragazzini e dei ragazzi più grandi che li
stanno picchiando.»
Finn ebbe un unico pensiero.
Saltò al di là del bancone, urtando alcuni clienti, e
corse fuori dal locale.
Riconobbe
Kurt e Blaine a terra e Jackson – sì, ricordava anche
lui – davanti a loro. Con sua grande sorpresa riconobbe anche
Karofsky ma, al contrario di quello che aveva pensato in un primo
momento, sembrava lottare contro quelli
che avevano attaccato suo fratello.
Gridò a qualcuno di
chiamare la polizia e corse verso di loro, appena in tempo per
affrontare Jackson, il quale non si aspettava di dover affrontare uno
della sua stazza.
Dave intanto stava affrontando
due dei ragazzi rimanenti mentre il terzo era stesa per terra e si
teneva lo stomaco. Azimio era sparito: probabilmente era scappato non
appena aveva capito che la situazione si stava facendo seria.
Kurt distolse lo sguardo da suo
fratello per rivolgersi a Blaine, fra le sue braccia. Solo ora che
era davvero vicino poteva vedere quanto serie fossero le sue ferite.
Gli accarezzò il volto,
costringendolo ad aprire gli occhi.
«Blaine, mi senti?
Blaine, ti prego rispondimi!»
Blaine sentiva la bocca
impastata di sangue e la lingua intorpidita.
«Kurt...» biascicò.
L'ultima cosa che sentì
prima di svenire fu il rumore di una sirena, senza sapere se fosse
l'ambulanza o la polizia.
A/N
Non
odiatemi.
Va bene,
odiatemi pure, ne avete tutto il diritto.
Ho messo
un'anticipazione che presupponeva scene fluff, amore, cuoricini ed
unicorni e alla fine vi ho rifilato questo.
Permettetemi
però di spendere due parole su Azimio e Jackson. Ora, secondo
me c'è una bella differenza fra i bulletti del liceo e i veri
cattivi. Azimio, secondo me, al di fuori della scuola non farebbe
male ad una mosca. È un cane che abbaia ma che ha paura di
mordere.
Poi
invece ci sono tipi come Jackson che è davvero convinto di
quello che fa, è davvero convinto di dover “ripulire”
il mondo. E purtroppo persone del genere esistono davvero.
Ecco,
sentivo di dover fare questa precisazione.
Beh, che
ne pensate di questo capitolo?
* corre
prima che arrivino le pietre *
yu_gin
coming next
Kurt non amava gli ospedali.
Stupida asserzione: nessuno ama gli ospedali.
Certo, ognuno ha i suoi motivi
per non amarli. Kurt ce li aveva. Ricordava ancora quelle ore
interminabili passate a calcare i corridoi mentre suo fratello sedeva
sulle poltroncine, tenendosi la testa fra le mani. Ricordava quella
sensazione di impotenza e l'impulso di guardarsi le mani e pensare
che non poteva fare nulla, nonostante lo volesse più di ogni
altra cosa al mondo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** the way of love ***
A
Lima Side Story
Capitolo
22: the way of love
Quando Sebastian arrivò
allo Scandals incrociò all'uscita due ambulanze parcheggiò
la macchina nel primo posto libero e corse fuori. C'era una gran
folla nel parcheggio intorno alle due auto della polizia. Tre agenti
stavano arrestando tre ragazzi mentre un quarto stava parlando con
Dave e un ragazzo altissimo che Sebastian riconobbe come Finn, il
leader delle New Direction nonché fratello maggiore di Kurt.
Di Kurt e Blaine non c'era
traccia e cominciò a provare una fitta allo stomaco nel
ricordarsi che, arrivando, aveva visto uscire due ambulanze con la
sirena spiegata.
Corse verso Dave, facendosi
spazio fra la folla. Dave e Finn stavano rispondendo alle domande
dell'agente ma sembravano ansiosi di liberarsene.
«Gliel'ho detto che
cos'era successo! Avevo sentito che avevano intenzione di venire qui
ma non immaginavo che sarebbero arrivati a tanto. Pensavo che li
avrebbero insultati ed ero venuto qui per fermarli.»
«Uno dei quattro
aggressori non è messo bene» disse l'agente. «L'hanno
dovuto caricare in ambulanza.»
«Erano quattro contro due
ed erano anche più grossi. Quando ho visto quello alto
picchiare il mio... il mio amico... l'ho solo fermato.»
L'agente annuì, ancora
poco convinto.
«E tu, invece? Perché
sei rimasto coinvolto nella rissa?»
«Sono il barista del
locale. Uno dei due ragazzi è mio fratello. Quando mi hanno
detto della rissa ho pensato a lui, ma rissa non è la parola
esatta. Pestaggio sarebbe più appropriato. Se c'è una
cosa di cui sono sicuro è che non è stato mio fratello
a cominciare e non penso neanche che l'abbia istigato a parole. Kurt
aveva paura di quello lì» disse, indicando Jackson. «Lui
e suo fratello ci hanno sempre tormentato, fin dalle superiori.»
«Va bene, ho capito. E
l'altro ragazzino chi era?»
«Lui è il ragazzo
di mio fratello» rispose Finn. La reazione dell'agente non si
fece attendere. Sollevò il sopracciglio stupito e e storse
appena il naso. «Io penso che sia per questo che li hanno
attaccati. Chiunque conosca Jackson e la sua banda sa che sono
notoriamente omofobi.»
«Terremo conto anche di
questo. Ora vorrei...»
«E basta con le domande!
Risponderemo quando vuole, ora vogliamo solo andare in ospedale a
vedere come stanno i nostri amici» sbottò Dave.
L'agente sbuffò: «Penso
si possa fare, anche perché forse è il caso che anche
voi vi facciate vedere. Domani verremo in ospedale per interrogare i
due ragazzi. Se vi farete trovare lì interrogheremo anche
voi.»
Non appena l'agente li lasciò
andare, Sebastian si fece avanti.
«Che cazzo è
successo? Dove sono Blaine e Kurt?»
«Sono su una delle
ambulanze che hai visto andarsene di qui.»
«E... e voi siete ancora
qui?» esclamò.
«Senti, in
quell'ambulanza c'era mio fratello! Pensi che se avessi potuto
saltare in macchina e andare in ospedale non l'avrei fatto?»
replicò Finn, massaggiandosi il gomito contuso.
«Okay, okay, ho
esagerato. Ma ditemi: com'erano messi?»
I loro sguardi furono
abbastanza esplicativi. Abbassarono entrambi la testa.
«Kurt aveva delle
contusioni alle gambe probabilmente un braccio rotto. Blaine...»
Dave esitò. «Lui era privo di conoscenza. L'hanno
caricato in barella di peso e sono partiti. Non sappiamo
nient'altro.»
Dave aveva visto lo stato in
cui era ridotto il ragazzo. Aveva visto la violenza con cui Jackson
l'aveva picchiato e aveva visto lo sguardo di Kurt quando l'aveva
preso fra le braccia. Lo aveva guardato terrorizzato e aveva chiamato
il suo nome più e più volte. La sua voce risuonava
ancora nelle orecchie di Dave e faceva male.
Non lo disse a Sebastian, però,
perché sapeva che la prima cosa da fare era arrivare in
ospedale.
«Andremo insieme»
disse Sebastian. «E' chiaro che voi due non potete guidare e io
ho una Ferrari parcheggiata poco più in là. Saremo in
ospedale in un batter d'occhio.»
Perché diavolo non
imparo a tenere la bocca chiusa?,
pensò Sebastian, tamburellando nervosamente il piede in attesa
che il semaforo diventasse verde.
Sui sedili posteriori era in
corso un'accesa discussione fra Finn e Dave, i quali, a quanto pare,
non avevano mai appianato tutti i disaccordi fra loro dai tempi delle
superiori.
«Dico solo che non ho mai
sentito da parte tua delle scuse ufficiali al Glee club.»
«Senti, senza offesa,
penso che voi del Glee foste tutti a posto, però...
seriamente, canto coreografato? Insomma, dai Finn! Anche il club di
informatica era sopra di voi nella classifica della popolarità.»
«Mentre mister “Faccio
l'omofobo per nascondere che mi piacciono i ragazzi” è
decisamente in. Mi domando come abbiano fatto a non accorgersene i
tuoi compagni di squadra. Non lanciavi loro occhiate lascive negli
spogliatoi?»
«Nah» intervenne
Sebastian «lui non è il tipo da atleti. Lui non si
metterebbe mai con uno più grosso di lui. A lui piacciono
quelli piccoli e magrolini che però hanno sempre l'ultima
parola quando discutono. Nella fattispecie Kurt.»
«Grazie, Sebastian, per
la tua interessante analisi psicologica dei miei gusti. Vogliamo
parlare di te e della tua congenita incapacità di mantenere
una relazione per paura che qualcuno ti spezzi il cuore? Vogliamo
parlarne?»
«Visto che voi due
sembrate tanto amiconi perché non vi mettete insieme e non la
finite di litigare. E tu, Warbler, guida più veloce. Hai una
Ferrari e neppure la sai usare.»
«Non esiste che io mi
metta con lui» sbraitò Sebastian, pigiando
sull'acceleratore. «E comunque non è mia la macchina e
se le faccio un graffio rischio la morte.»
«Ecco! Eccolo, è
quello l'ospedale. Dai gira!» esclamò Dave, quasi
saltando sul sedile.
«Calmati, King Kong, ora
giro! Non sfasciare i sedili» protestò Sebastian,
entrando nel parcheggio dell'ospedale. Scesero dalla macchina e
corsero verso l'entrata, travolgendo praticamente un'infermiera che
gridò loro di calmarsi.
«Stiamo cercando due
ragazzi che sono arrivati qui con l'ambulanza meno di un'ora fa.»
«Ah, ho capito di chi
parlate. Uno di loro è in sala operatoria mentre l'altro sta
dormendo.»
«Possiamo vederli?»
«Assolutamente no! Per
prima cosa sono ammessi solo i familiari-»
«Io sono suo fratello»
esclamò Finn.
«Beh, allora quando si
sveglierà ti faremo entrare. Per ora potete aspettare qui. Gli
orari di visita per i non familiari sono dalle nove a mezzogiorno.»
«Ma... è l'una di
notte! Dovremo aspettare otto ore.»
«Potete tornare domani,
allora. Andate a casa a dormire.»
«No, non ce ne andremo,
costo di dormire qui!» esclamò Sebastian. Sapeva che
l'indomani la sua assenza sarebbe stata scoperta e che avrebbe avuto
delle conseguenze, ma non gli importava.
L'infermiera alzò le
spalle: «Come volete. L'importante è che non disturbiate
le persone che aspettano o i pazienti.»
I tre ragazzi annuirono e
presero posto sulle poltroncine.
«Ed ora?» chiese
Dave.
«Ora aspettiamo.»
Kurt ritornò a casa
presto quel pomeriggio. Aveva passato il doposcuola con Mercedes.
Erano andati a fare spese e l'aveva aiutata a scegliere un abito. Si
erano divertiti e per un pomeriggio erano riusciti a dimenticare le
prese in giro, gli spintoni, gli insulti.
Era tornato a casa con
l'autobus e aveva fatto la strada dalla fermata camminando
allegramente. La primavera era nel suo pieno splendore e camminare
era piacevole.
Prese le chiavi dalla
tracolla ed aprì il cancello. Si pulì le scarpe sullo
zerbino e bussò alla porta. Non ricevendo risposta aprì
il portoncino di casa e chiamò suo fratello e i suoi genitori.
Nessuna risposta.
Forse erano usciti. Forse
non erano ancora tornati.
Chiuse la porta e avanzò
verso il salotto. Gli sembrò di sentire dei rumori e chiamò
di nuovo. Riconobbe la schiena di suo fratello, seduto sul divano.
«Finn, perché
non rispondevi?»
Solo allora notò il
movimento ritmico della sua schiena. Stava... stava piangendo?
«Finn, tutto bene?»
«Kurt...»
«Che cos'è
successo? Finn, dove sono mamma e papà?»
«Ha appena chiamato
l'ospedale. Loro... loro hanno avuto un incidente.»
In quel momento Kurt sentì
qualcosa dentro di sé rompersi.
Kurt non amava gli ospedali.
Stupida asserzione: nessuno ama gli ospedali.
Certo, ognuno ha i suoi motivi
per non amarli. Kurt ce li aveva. Ricordava ancora quelle ore
interminabili passate a calcare i corridoi mentre suo fratello sedeva
sulle poltroncine, tenendosi la testa fra le mani. Ricordava quella
sensazione di impotenza e l'impulso di guardarsi le mani e pensare
che non poteva fare nulla, nonostante lo volesse più di ogni
altra cosa al mondo.
Ricordava il momento in cui i
medici si erano avvicinati a loro e come avevano scosso la testa. Li
avevano guardati negli occhi e Kurt aveva capito che non era un
incubo ma era la maledetta realtà.
Ma Kurt non aveva ancora
conosciuto tutti gli aspetti dell'ospedale.
Non aveva mai sperimentato
l'esperienza dell'ambulanza, la paura, gli ordini perentori dei
paramedici, il fischio assordante della sirena. Ora lo sapeva.
Una volta caricati in ambulanza
la vista di Blaine steso sulla barella e privo di sensi l'aveva
gettato in uno stato di panico. L'infermiera si era vista costretta a
schiaffeggiarlo per farlo calmare. Gli aveva ordinato di rimanere
seduto mentre lo controllava. Ciò non gli aveva impedito di
non staccare neppure per un istante lo sguardo da Blaine e dal medico
che in quel momento cercava di farlo rinvenire.
Ricordava l'arrivo in ospedale
e il momento in cui li avevano separati. Ricordava di aver gridato il
nome di Blaine. Poi il buio.
Quando Kurt aprì gli
occhi lo raggiunse la luce soffusa del corridoio. Sentiva le palpebre
pesanti e la stanza in cui si trovava era abbastanza buia da non
permettergli di distinguere che le sagome. Dopo pochi minuti i suoi
occhi si abituarono all'oscurità e riconobbe il ragazzo steso
sul lettino di fronte a lui.
Subito si liberò delle
coperte e cercò di scendere dal letto, ma non appena poggiò
i piedi a terra, le gambe non ressero e lui cadde con un tonfo. Solo
allora si rese conto di avere un braccio fasciato e un dolore atroce
all'addome.
Pochi secondi dopo,
evidentemente richiamata dal trambusto, accorse un'infermiera che lo
redarguì per essersi alzato dal letto senza chiamare.
«Se mi avessi chiamata ti
avrei aiutato. Quando sei arrivato in ospedale eri così
agitato e continuavi a gridare: abbiamo dovuto darti un
tranquillante. Avevi numerose ferite e il braccio era rotto. Hai
dormito un bel po'.»
«Quanto... quanto tempo è
passato?»
«nove ore ore, più
o meno.»
Kurt si voltò verso
Blaine. «E lui cosa-»
«Anche lui sta dormendo.
Era messo male, molto peggio di te. Due costole rotte e un'emorragia
interna.»
«Ma adesso...»
«Adesso sta dormendo. È
fuori pericolo, ma deve riposare» disse, rassicurandolo.
«Sembri molto preoccupato. È tuo fratello?»
«No, lui... lui è
il mio ragazzo» disse, aspettando la reazione dell'infermiera.
La sua espressione fu di
sorpresa, ma durò solo un attimo: «Oh, certo, che
sciocca. Mi avevano detto che-» Si interruppe, ma Kurt non
faticò a completare mentalmente la frase: mi avevano detto che
vi avevano picchiato per quel motivo.
«Vedrai che si riprenderà
in fretta» disse, accarezzandogli la schiena.
«Io... io non posso
smettere di credere che sia stata colpa mia. Quei tizi ce l'avevano
con me. Se la sono presa con lui solo perché era con me, e non
gli sarebbe mai successo nulla di simile se fosse rimasto... nel suo
mondo» concluse, prossimo alle lacrime.
«Non dire sciocchezze. Se
la colpa è di qualcuno è solo di quei delinquenti e, se
ha scelto di essere il tuo ragazzo, significa che ora il tuo mondo è
anche un po' il suo e viceversa.»
Kurt alzò lo sguardo
verso di lei, che gli sorrise.
«Vuoi tornare a dormire?»
«Non penso riuscirei.»
«Allora ci sono alcune
persone qui fuori che fremono per vedervi e, se per te non è
un problema, li lascerei entrare.»
Kurt annuì, lasciando
andare l'infermiera. Pochi secondi dopo Finn e Sebastian fecero
irruzione nella stanza.
«Kurt!»
esclamarono, catapultandosi verso il suo letto. «Stai bene? Oh
mio Dio, il tuo braccio-»
«Sto bene, Finn. Certo,
ad esclusione del braccio rotto. E del dolore allo stomaco.» A
guardarlo non stava affatto bene ma il fatto che le infermiere lo
avessero almeno ripulito del sangue e avessero fasciato le ferite
peggiori aiutava a migliorarne l'aspetto.
«Blaine sta-»
«Sta ancora dormendo.
L'infermiera mi ha detto che si riprenderà. Ma che-»
«Deve riposare»
concluse Sebastian sbuffando. «Non hanno fatto che ripetercelo.
“Perché voi tre non andate a riposare invece che-”»
«Voi tre?»
chiese Kurt.
Fu in quel momento che dalla
porta fece capolino Dave. Lo salutò timidamente con un gesto
della mano e non osò avanzare oltre.
«E' stato Dave ad
avvertirmi. Lui aveva sentito uno di quei tipi dire che sarebbero
andati allo Scandals e siccome sapeva che ci saresti stato anche tu
ha fatto il possibile per avvertirti-»
«Ma io non ho risposto
alle sue chiamate» concluse, guardandosi tristemente le mani.
«E così mi ha
chiamato chiedendomi di avvertire Blaine, ma a quel punto suppongo
fosse già troppo tardi. Così entrambi abbiamo cercato
di arrivare il prima possibile, ma evidentemente non è stato
abbastanza.»
«Beh, penso che se Dave
non fosse arrivato le cose sarebbero andate molto peggio» disse
Kurt, facendo cenno al ragazzo di avvicinarsi. Solo allora Dave osò
avanzare dalla soglia della porta fino al suo capezzale. «Se
avessi risposto alle tue chiamate tutto questo non sarebbe successo.
Sono stato uno stupido.»
«Avevi tutte le ragioni
per non rispondermi. Io ho fatto una cazzata dietro l'altra e... e mi
dispiace. Solo dopo mi sono reso conto di quanto stupido e immaturo
fossi stato. Non mentirò: sapevo di non essere nel giusto, ma
tenevo troppo a te.»
Finn guardò Dave
confuso: «Qualcuno vuole spiegarmi che diavolo sta succedendo?»
«Oh, è molto
semplice. Io e Dave ci eravamo alleati per far lasciare questi due,
convinti che non fossero adatti l'uno per l'altro. E ce l'avevamo
quasi fatta ma ci siamo resi conto del casino che avevamo combinato e
abbiamo cercato di redimerci.»
Finn strabuzzò gli
occhi: «Quindi era per questo per sei stato depresso un'intera
settimana. Mio Dio, non facevi che rivedere 500 giorni insieme
e poi piangere sul divano mangiando gelato e io che-»
«Finn! Certi
dettagli dovrebbero rimanere in famiglia!» precisò.
Poi sbuffò. «Comunque sì, siete stati terribili
oltre che degli idioti. Cioè, davvero pensavate che avremmo
accettato la rottura senza neppure parlarci in faccia? Insomma, solo
alle medie ci si lascia per sms!»
«Mi permetto di
dissentire, io lo faccio praticamente ogni sabato sera» disse
Sebastian.
«Seb, tu non lasci i
ragazzi. Tu non ti ci metti neppure insieme.» A parlare era
stata una voce rauca e flebile proveniente dal lettino davanti a
quello di Kurt.
«Blaine!»
Incurante delle raccomandazioni
dell'infermiera, Kurt si alzò nuovamente dal letto e, con
l'aiuto di Finn, riuscì a raggiungere il letto del suo
ragazzo. Gli afferrò la mano, ancora abbandonata sulle
coperte.
«Come ti senti?»
«Come se mi fosse passato
sopra un carro armato.»
«Hai due costole rotte»
disse Sebastian. «Oltre al labbro spaccato e a numerose
contusioni praticamente su tutto il corpo.»
Blaine sollevò la testa,
cercando di guardarsi. Sollevò la maglietta e ammirò la
fasciatura che gli stringeva l'addome. «Beh, per aver
affrontato uno che era il doppio di me non me la sono cavata male»
disse, accennando ad un sorrisetto. «Tu Kurt?»
«Non preoccuparti per me,
solo un braccio rotto. Dev'essere successo quando Jackson mi
ha scaraventato a terra.»
«Intendi quando l'hai
afferrato da dietro per impedirgli di riprendere a picchiarmi
nonostante per lui pesassi al pari di una piuma?»
«Mossa stupida, eh?»
«Avrei detto romantica»
rispose, stringendogli la mano e sorridendo. Poi si rivolse verso
Dave. «Credo di doverti dei ringraziamenti. Non ho ben chiare
le dinamiche dei fatti, ma so per certo che se non fossi venuto in
nostro aiuto forse ora saremmo messo molto peggio. Quindi grazie.»
Dave si grattò la testa
imbarazzato. Improvvisamente si chiese come aveva potuto essere così
stupido da odiare Blaine. Gelosia, si rispose. Era stata la gelosia
ad accecarlo e forse anche l'invidia, perché Blaine sapeva
stare con Kurt e renderlo felice come lui non era mai riuscito a
fare.
«E poi» continuò
Blaine «penso che con questo tu abbia pagato il tuo debito.»
Guardò verso Kurt, che sollevò lo sguardo sbuffando.
«Oh, va bene, va bene.
Considerati perdonato. Mi ero detto che solo uno stupido ti avrebbe
perdonato una terza volta, ma a quanto pare è quello che sono.
Una sola cosa, e questo vale per tutti e due» disse, indicando
Dave e Sebastian «non cercate mai più di fare “il
nostro bene”. Lasciateci prendere le nostre cantonate.
Sbaglieremo, come è giusto che sia, ma sapremo riprenderci.»
«Questa volta non
sbaglierò» disse Dave, sorridendo.
Kurt annuì, chiedendosi
se sarebbe davvero andata così e ripromettendosi – un
giorno o l'altro – di aiutare Dave nel percorso verso
l'autoaccettazione e soprattutto di aiutarlo a trovarsi un ragazzo.
Anche se in questo, rifletté, probabilmente sarebbe stato più
competente Sebastian.
Stavano ancora parlando quando
Cooper e Rachel fecero irruzione nella stanza.
«Blaine! Kurt! Siamo
venuti appena Finn ci ha avvertito» disse Rachel, sedendosi
affianco al fratello. «Cos'è successo?»
«Abbiamo avuto un
incontro ravvicinato con degli omofobi.»
«Cavoli, fratellino, sei
ridotto proprio male» commentò Cooper, sbirciando le
fasciature. «Non hai idea della paura che ci avete fatto
prendere. Quando questa mattina Rachel ha chiamato Finn per
chiedergli se sapesse di Blaine – visto che non rispondeva al
cellulare – beh, puoi immaginarti la nostra reazione. Cioè,
noi pensavamo che si fosse fermato per... passare la notte e ci
eravamo anche inventati una scusa assurda per mamma e papà e
solo questa mattina l'abbiamo saputo. Siamo saltati in macchina e
siamo arrivati il prima possibile.»
«Che se è stato di
quelli che vi hanno attaccato?» chiese Rachel. «Spero che
la polizia li abbia fermati e sbattuti in una di quelle orrende celle
piene di tossicodipendenti dei migliori telefilm nostrani.»
«Non posso garantire per
i tossicodipendenti» disse Sebastian «ma stai certa che
non appena spiegherò ai miei che cosa hanno fatto, farò
in modo che finiscano in galera e che non ne escano molto presto. In
questa città l'omofobia viene trattata con troppa leggerezza,
un po' come se un ragazzo – essendo gay – se la fosse
“andata a cercare”. Probabilmente quei quattro erano
convinti di rimanere impuniti: se finiranno in carcere sarà
d'esempio per tutti gli altri.»
Kurt annuì: «Non
si aspettavano neppure di trovare qualcuno capace di tirare di boxe»
commentò, sorridendo a Blaine, il quale si strinse le spalle.
«La faccia che ha fatto quando gli hai tirato il primo pugno!»
«Kurt! Non eri tu quello
contro la violenza?» chiese Finn.
«Oh, sta zitto! Quella
non era violenza: era legittima difesa» protestò,
tornando a guardare adorante il suo ragazzo.
Pochi secondi dopo furono
interrotti nuovamente dalle imprecazioni in spagnolo provenienti dal
corridoio e dall'arrivo di una Santana particolarmente isterica.
«Kurt,
estas bien? Dios mio, yo estaba tam preocupada. Me abian dicho que-»
«Santana, calmati. Stai
parlando in spagnolo.»
«Scusami, mi succede
quando sono agitata. E Blaine, tu come stai?»
«Sono ancora vivo»
rispose sorridendo e accennando alle numerose ferite.
«Ero a casa con Brittany
quando sta mattina ha chiamato April e mi ha detto che c'era stata
una rissa nel parcheggio e che eri in ospedale. Sono arrivata appena
ho potuto. Ti giuro che se mi capitano sotto mano quei quattro io
li... li...»
«Tu non farai niente.
Sono già stati fermati dalla polizia e, con i precedenti di
Jackson, è probabile che finisca in prigione e mi auguro sarà
così anche per gli altri anche se temo che riusciranno a
cavarsela con qualche mese di servizi sociali. E poi qualche pugno
glielo abbiamo assestato anche noi, vero?» disse, sorridendo a
Blaine.
Santana sollevò il
sopracciglio: «E così l'hobbit sa difendersi?»
«Ehi, servirà pur
a qualcosa la boxe, no?» disse Blaine.
«E
io che mi preoccupavo che il mio angioletto non fosse in buone mani.
Invece c'è un impavido cavaliere
pronto a proteggerlo» commentò sarcastica, ma
decisamente sollevata. Poi si rivolse a Kurt: «Con il braccio
che ti ritrovi immagino che non potrai esibirti per qualche mese.»
Ignorando
le occhiate confuse di Cooper, Kurt annuì e, dopo un bel
respiro, rispose: «No, ma non credo che quando il braccio sarà
guarito riprenderò a lavorare lì. Vedi, Finn ha trovato
un lavoro. Un lavoro vero
per quando si sarà diplomato ed io-»
«E tu non vedi l'ora di
lasciare questa vita» concluse lei, sospirando. «Sapevo
che questo giorno sarebbe arrivato, prima o poi. Sapevo che te ne
saresti andato perché non appartenevi a quel mondo, ci eri
finito solo per sbaglio. E anche se immagino che il nano qui presente
sia una delle cause principali della tua decisione, va bene così.
Le serate non saranno più le stesse senza di te e mi mancherai
da morire.»
«Non me ne andrò
dalla tua vita, Santana! Pensi davvero che potrei sopravvivere senza
i tuoi consigli e il tuo supporto?» esclamò. «Io
non lavorerò più lì, ma verrò a trovarti
e rimarremo in contatto. Promesso.»
«Una promessa è
una promessa» disse sorridendo e accarezzandogli la schiena,
ammirando come il suo piccolo cucciolo di pinguino fosse ormai
diventato un uomo.
Due colpi di tosse distrassero
i presenti, che si voltarono verso la porta. Quando Blaine riconobbe
le due persone in piedi davanti a lui sbiancò.
«Mamma, papà»
mormorò con un filo di voce.
Kurt guardò terrorizzato
i signori Anderson. Non li aveva mai conosciuti ma, da come ne
parlavano Blaine e Rachel, non sentiva alcun bisogno di fare la loro
conoscenza. Non appena si rese conto di stare ancora stringendo la
mano di Blaine, si affrettò a lasciarla prima che potessero
vederli, ma l'altro fu più svelto e riafferrò la sua
mano, stringendola più di prima e intrecciando le loro dita.
«Blaine. Cooper. Rachel.
Vedo che ci siete tutti, e anche qualcuno di troppo» disse
l'uomo, alludendo alla folla di sconosciuti.
«Buongiorno signori
Anderson» salutò Sebastian.
«Smythe, anche tu qui»
commentò lui, visibilmente infastidito.
Sebastian sapeva dell'antipatia
che l'uomo provava per lui – peraltro reciproca – e
sapeva anche la motivazione.
«Cooper ci ha detto che
eri in ospedale ma certo non ci aspettavamo di vedere questa
festicciola.»
«Papà, loro sono i
miei amici. Sono qui perché erano preoccupati per me... per
noi» si corresse, scambiandosi uno sguardo con Kurt. Sguardo
che ai signori Anderson non sfuggì, come non sfuggì
loro l'intreccio delle loro mani.
«Ci hanno detto che sei
stato coinvolto in una rissa. È vero? Perché se è
così sono molto deluso da te, farti coinvolgere con gente di
quella risma è davvero disd-»
«Non era una rissa!»
protestò Rachel. «Era un vero e proprio pestaggio! Erano
quattro mentre loro erano due ed erano molto più grossi. Se
Blaine non si fosse difeso-»
«Resta da capire perché
quei tipi se la sono presa con lui. Li hai forse provocati? Erano
ubriachi?»
«No, non erano ubriachi
erano solo degli emeriti idioti oltre che degli omofobi.»
A quell'ultima parola i due si
irrigidirono e Blaine poté vedere lo sguardo che lanciarono a
Sebastian.
«Cosa vorresti dire con
questo?»
Ci furono attimi di silenzio
prima che Blaine trovasse il coraggio di parlare.
«Avrei voluto dirvelo in
un altro modo, in un'altra circostanza, ma non posso più
aspettare. Mamma, papà, io sono gay. E non è una fase
transitoria o una sperimentazione adolescenziale. È parte di
me con cui convivo senza problemi ormai da anni.»
«Lo sapevo. Lo sapevo che
stare in stanza con quello lì ti avrebbe traviato. Ora chiamo
la scuola e ti faccio subito spostare, vedrai che tutto passerà.
Tra l'altro non avevi detto che stavi frequentando una ragazza?»
Blaine si morse le labbra: «Per
l'ennesima volta, papà, Sebastian non ha nulla a che fare con
il mio orientamento sessuale. Ero gay da ben prima di conoscerlo. Sai
una cosa? Probabilmente lo so da quando ero all'asilo, ma ho sempre
dovuto tenermelo dentro per paura che voi mi ripudiaste invece che
accettarmi e farmi sentire amato. E per la cronaca, non c'è
mai stata nessuna ragazza.»
«Ma le uscite, i messaggi
al telefono e tutti i sorrisi che facevi quando rientravi»
insistette sua madre.
«C'era qualcuno, ma non
una ragazza» disse, rendendo palesi la loro mani intrecciate.
«C'era Kurt. E c'è ancora, se è per questo. In
effetti è da due mesi e mezzo che stiamo insieme e sono stati
senza ombra di dubbio i mesi più belli della mia vita.»
L'uomo corrugò la
fronte, nel chiaro tentativo di trattenere la rabbia. Si voltò
verso Rachel e Cooper: «Voi lo sapevate, vero? Lo sapevate
benissimo che usciva con... con quello lì! D'altronde come
potevate non saperlo, qualcuno dovrà pur averlo aiutato nella
sua messinscena.»
«Sì, papà,
lo sapevamo entrambi. Ma al contrario di te e della mamma, abbiamo
accettato la cosa perché lui è sempre nostro fratello e
questo non cambierà mai e poi mai» disse Rachel. «E
se è per questo anch'io ti ho tenuto nascosto qualcosa, ma
visto che siamo in vena di presentazioni: questo è Finn, il
mio ragazzo. Sì, quel Finn. E prima che tu me lo
chieda, sì, Kurt è suo fratello.»
«Ma allora è una
cosa di famiglia! Cos'è, voi due vi siete messi d'accordo per
fare l'affare del secolo?» disse, indicando minaccioso Kurt e
Finn. «Morti di fame come siete scommetto che appena avete
fiutato odore di soldi siete accorsi.»
Dave e Santana dovettero
afferrare Finn prima che facesse qualcosa di davvero inappropriato
come prendere a pugni il suo futuro suocero.
«Al contrario di quello
che credi, papà, non tutti pensano solo ai soldi» disse
Blaine. «Nonostante voi due riteniate di aver avuto tre figli
uno più deludente dell'altro, c'è chi ci apprezza così
come siamo.»
Questa volta a parlare fu la
signora Anderson: «Siete ancora giovani e non potete capire.
Ora vi sembra tutto meraviglioso e pensate che durerà per
sempre, ma col passare del tempo vi renderete conto di quanto loro
siano sbagliati per voi, di quanto le differenze fra voi siano
insormontabili. E un giorno, quando starete cenando in un ristorante,
vi sentirete improvvisamente imbarazzati dal fatto di essere lì
con loro e non con una persona... alla vostra altezza.»
«Mamma, io non potrei mai
vergognarmi di Kurt. Né Rachel di Finn. Avranno i loro
difetti, come tutti d'altronde, ma a noi piacciono così. E se
ci sentiremo a disagio in un ristorante di lusso, vorrà dire
che andremo da un'altra parte, anche in un fast food, se necessario.
Perché finché sarò con lui non mi importerà
nulla il “dove”: con lui ogni posto è quello
giusto.»
«Non lo accetto. Non
accetto che i miei figli si facciano vedere in giro con gente come
questa» disse, facendo cenno a Kurt, Finn, Dave e Santana.
«Blaine, ti proibisco di vedere ancora questo ragazzo. Non
appena ti diplomerai andrai in un college più lontano
possibile da qui e non disturbarti a tornare per le vacanze di
Natale. Quanto a te, Rachel, è evidente che una scuola
pubblica non è stata la scelta migliore. Andrò subito a
chiamare la segreteria del McKinley e da domani tornerai alla tua
vecchia scuola. Chissà che stare con gente della classe ti
faccia rinsavire.»
«Non credo proprio, papà»
intervenne Cooper. «Non puoi costringerli. Blaine ha diciotto
anni, ormai, e Rachel li compirà fra qualche mese.»
«Saranno maggiorenni ma
fintanto che dipendono da me-»
«Fintanto che avranno un
fratello con uno stipendio sufficientemente alto da mantenerli
entrambi tu non puoi fare proprio nulla» concluse Cooper.
«Vi siete alleati, eh? Vi
siete alleati contro di noi. Bene, bei figli ho avuto: un traditore,
un finocchio e una svampita.»
«I figli che ti meriti,
papà» rispose Blaine.
«Non osare parlarmi in
questo modo, razza di-»
«E lei non osi
offendere un'altra volta il mio ragazzo» intervenne Kurt. «La
verità è che lei non si merita minimamente i figli che
ha avuto, che sono uno più talentuoso dell'altro e se lei non
riesce a vedere quanto meravigliosi sono... beh, allora deve avere
davvero gli occhi foderati di prosciutto.»
«Tu! E' tutta colpa tua,
non è vero? Sei tu che l'hai traviato. Cos'hai fatto per
convincerlo a venire con te? Sei forse la sua put-»
«Papà!»
gridò Blaine. «Vattene. Esci da questa stanza. Questa
notte ho quasi rischiato di morire e tu vieni qui e la tua prima
preoccupazione è che tuo figlio è gay? Pensi che a
qualcuno in questa stanza, a parte te e la mamma, importi qualcosa se
sono gay o meno? No: loro sono qui perché mi vogliono bene e
perché erano preoccupati per me, mentre a te importa solo
della tua fottuta reputazione. Speravo in un briciolo di
comprensione, di affetto. Volevo sentirvi dire che mi avreste voluto
bene e che avevate avuto paura di perdermi. Volevo sentire le cose
che un figlio si aspetta dai loro genitori e invece cosa ho avuto?
Solo disprezzo e offese. Vattene via, per favore. Ho già
affrontato quattro omofobi, questa notte, non voglio affrontarne un
altro.»
La signora Anderson provò
a dire qualcosa, ma l'uomo la afferrò per un braccio e,
voltatosi, se ne andò, trascinandosela con sé.
Blaine prese un bel respiro e
gemette quando si rese conto del dolore che gli aveva provocato
quella sfuriata.
«Stai bene?» chiese
Kurt.
«Benissimo. A meraviglia.
Mai stato meglio» disse.
Ed era così. Aveva perso
la fiducia nei suoi genitori, ma aveva trovato altre persone di cui
fidarsi, altre persone da amare e che lo amavano. Aveva ancora i suoi
fratelli, e i suoi amici. Aveva ancora il suo stupendo ragazzo, che
in quel momento gli stringeva la mano, accucciato accanto al suo
letto.
«Grazie per quello che
hai detto. Grazie per avermi aspettato e per non aver mai lasciato la
mia mano. Grazie perché se non fosse stato per te non avrei
mai trovato il coraggio di ammettere quello che ero. Non avrei mai
trovato il coraggio di dirlo ad alta voce ed andarne fiero»
disse. «Io... io ti amo, Kurt.»
Il ragazzo spalancò gli
occhi e per un secondo sentì il respiro bloccato a metà
in gola e il cuore battere così forte da fargli male.
«Ti amo anch'io»
disse, abbracciandolo.
Blaine lo strinse, incurante
delle proprie ferite come Kurt aveva deciso di ignorare le proprie.
Il dolore al petto per i calci
si fuse con quello provocato dalle parole di suo padre e l'anestesia
fece dimenticare tutto.
Si dice che i genitori amino
incondizionatamente.
Non è così.
Esistono genitori che non amano
i figli e figli che vorrebbero amare i genitori ma che non ci
riescono più.
Nessun amore è scontato.
Ma a Blaine andava bene così:
non dare niente per scontato.
Aveva l'amore di Kurt e finché
fosse stato così, poteva bastare.
A/N
Scusate
il ritardo nel rispondere alle recensioni e nel pubblicare.
Sono
stata quattro giorni in montagna a disintossicarmi da internet,
tumblr, computer e quant'altro, ma ora sono tornata!
Ringrazio
la mia amica che mi ha aiutato a tradurre le parole di Santana in
spagnolo. Se trovate qualche errore prendetevela con lei * scarica la
responsabilità *
Blaine ha
fatto il coming out più difficile, il suo quarto per la
precisione. Il nostro piccolo sta crescendo. Mi piace pensare che in
questa fanfiction, oltre ad aver visto la loro relazione evolversi da
odio ad amore, ci sia stata anche una sorta di crescita per Blaine.
La fine è
vicina, gente!
Il
prossimo sarà l'ultimo capitolo ma non temete, ci sarà
anche l'epilogo!
Ditemi
cosa ne pensate di questo capitolo!
A
venerdì!
yu_gin
coming next
E poi, dopo che ebbero
sparecchiato e messo i piatti nel lavello, Kurt disse ciò che
Blaine aspettava da tutta la sera:
«Vuoi... vuoi vedere la
mia camera?»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** this is our night, this is our life ***
A
Lima Side Story
Capitolo
23: this is our night, this is our life
Blaine sapeva che le cose non
sarebbero state facili e non si sbagliò.
Il mese che seguì fu
forse il più duro della sua vita: fra la riabilitazione, gli
ultimi esami a scuola, il silenzio dei suoi genitori, la paura del
futuro che si faceva ogni giorno più pressante, Blaine
faticava a dormire sereno la notte.
Passava sempre la sua sera di
libertà con Kurt e poi andava a dormire a casa di suo
fratello, dove aveva ormai trasferito gran parte delle sue cose.
L'unico suo rammarico era stato
quello di lasciare Rachel sola con i loro genitori, ma sapeva che,
non appena avesse potuto, se le cose non si fossero messe meglio, li
avrebbe raggiunti.
Il suo corpo era guarito quasi
del tutto anche se la cicatrice dell'intervento al torace era ancora
visibile. Aveva recuperato le lezioni perse e ormai riusciva a
cantare senza che il petto gli dolesse ogni volta che doveva prendere
un respiro particolarmente profondo.
Anche Kurt si era ripreso.
Certo, aveva ancora delle fasciature al braccio, ma almeno aveva
tolto il gesso ed ora riusciva di nuovo a lavorare. Aveva perso il
lavoro da GAP – il datore di lavoro non aspettava che una scusa
per buttarlo fuori – ma era riuscito a trovare un posto come
cameriere nel locale di Virgilio e quel posto gli piaceva decisamente
di più.
Rachel era riuscita a
convincere i suoi genitori a farle come minimo finire l'anno al
McKinley. Si era ripromessa di riuscire a farsi iscrivere lì
anche l'anno successivo. Non avrebbe mai lasciato quel Glee club.
Finn continuava a studiare per
il diploma, sempre più intensamente e allo stesso tempo le
prove del Glee per le nazionali si facevano più faticose e
devastanti.
Nonostante tutti gli ostacoli
che si trovava ogni giorno ad affrontare, Blaine era sereno.
Finché una telefonata
non arrivò a movimentare le acque.
Era a casa di Cooper e stavano
guardando un film d'azione mangiando patatine quando il telefono
squillò. Rispose il maggiore che biascicò un: “pronto?”
Blaine si voltò verso il
fratello e lo vide strabuzzare gli occhi per la sorpresa.
«Va bene. Sì, te
lo passo» disse, allontanando il telefono dall'orecchio. «E'
per te, Blaine. È la mamma.»
Blaine prese il telefono con
mani tremanti e lo portò all'orecchio. «Mamma?»
«Ciao, tesoro. Ho
chiamato per sapere come stavi.»
«Bene. Ora sto bene e...
e sono felice.»
La donna sospirò: «Tuo
padre non ha ancora accettato la cosa.»
«La cosa, mamma? Intendi
la mia omosessualità?»
«Lo sai com'è
fatto. Ha paura di quello che penseranno i suoi colleghi al lavoro e
i suoi amici. Ha paura, tutto qui.»
«Anch'io avevo paura.
Avevo paura di voi e ho vissuto male per anni per questo
motivo. Sono stanco di avere paura.»
«Devi solo dargli tempo.
Un giorno forse...»
«Un giorno. Forse. Beh,
suppongo di dovermi accontentare. Forse un giorno mio padre tornerà
ad amarmi come figlio.»
«Non dire così. Lo
farò ragionare, vedrai, le cose andranno meglio. Io sono stata
cieca: per anni non mi sono accorta di questo peso enorme che avevi
dentro, mentre tuo fratello sembra averlo sempre saputo e tua sorella
non ha fatto che supportarti. Ho cresciuto tre figli, Blaine, e vi
amo tutti e tre allo stesso modo, nonostante i vostri difetti. Forse
un giorno anche tuo padre lo capirà.»
Blaine non riuscì a
sorridere. Non riuscì a pensare a come un genitore potesse non
amare il proprio figlio. Si ripromise che, se mai avesse avuto la
fortuna di avere dei figli, non avrebbe mai smesso di farli sentire
amati. Neppure per un istante.
«Grazie, mamma.»
«Grazie a te, Blaine, per
avermi aperto gli occhi.»
Sì, le cose sarebbero
andate decisamente meglio.
Il motore del pulmino era già
acceso e il rombo che produceva copriva le loro parole.
«In bocca al lupo»
disse Blaine alla sorella, abbracciandola.
Kurt fece lo stesso col
fratello, aggrappandosi al suo collo e sussurrandogli: «E
questa volta vedete di portare a casa il trofeo delle nazionali.»
«Farò del mio
meglio» rispose Finn, sorridendo. Sciolsero l'abbraccio e
Blaine recuperò il proprio posto al fianco di Kurt. «Sei
sicuro di non voler venire? Anche solo come accompagnatore o come
supporto.»
«Non devi preoccuparti,
Finn, me la caverò in questi tre giorni» disse Kurt. «E
poi non credo che mi mancherà la compagnia» disse,
facendo un cenno con la testa al suo ragazzo.
Finn colse il le parole non
dette e annuì, capendo che per nulla al mondo Kurt li avrebbe
seguiti, perdendo l'occasione di avere la casa libera per tre giorni
di fila.
«Divertitevi!»
gridarono, quando ormai tutti erano saliti sul pulmino e questo si
stava mettendo in moto.
Kurt e Blaine sospirarono
guardando i loro fratelli e i loro amici andare a New York a vincere
le Nazionali, mentre a loro rimaneva Lima. Lima, il cui luogo di
punta era il Lima Bean, il cui sport cittadino sembrava essere
granitare gli sfigati o imbrattare i muri con insulti ai gay. Lima,
che alla fin fine era la loro casa.
Blaine si voltò verso di
lui: «E così abbiamo tre giorni tutti per noi.»
«Signor Anderson, le
ricordo che deve studiare.»
«Al diavolo i libri! La
mia media è quasi più alta di quella di Sebastian e lui
passa praticamente ogni sera allo Scandals. E non esattamente a
studiare Storia europea» disse, sfiorandogli il collo con il
naso. «Questi tre giorni sono solo per noi.»
«In quanto ragazzo
responsabile dovrei resistere all'idea, ma che vuoi farci: ho anch'io
le mie debolezze.»
«Kurt Hummel ha dei
difetti?»
«Sotto molti chili di
lacca per capelli, però!» rispose ridendo. «Che
dici, andiamo a farci un giro?»
«Ho giusto voglia di un
gelato.»
Passarono il pomeriggio a
gironzolare per la città senza una meta particolare. Blaine fu
trascinato dentro una quantità esorbitante di negozi di
vestiti e alla fine uscirono con solo una maglietta per Kurt e un
papillon per Blaine. Presero il gelato e si sedettero al parco.
Guardavano le coppie di adolescenti che, come loro, avevano sentito
il richiamo del sole e non avevano atteso ulteriormente per stendere
una coperta e stendersi all'ombra degli alberi del parco.
C'erano anche dei genitori con
i figli e Blaine, guardandoli giocare felici, si chiese se anche lui
avrebbe potuto, un giorno, formare una famiglia. Forse non lì
a Lima, ma in una città più grande, più aperta
mentalmente o in cui – più semplicemente – alla
gente non importasse nulla del vicino, etero o gay che fosse. Si
chiese se in quel futuro ci sarebbe stato Kurt, se al suo fianco ogni
notte nel suo letto ci sarebbe stato lui, se a disinfettare il
ginocchio sbucciato di suo figlio sarebbe stato lui, se ogni giorno
della sua vita l'avrebbe condiviso con lui.
Stavano insieme da tre mesi e
non avevano neppure vent'anni. Ma quando ti innamori non pensi a
quando tutto finirà. Pensi che sarà per sempre e che
non amerai mai nessuno a quel modo e che non sarai mai più
felice di così.
E' quello il bello dell'amore:
l'ignoranza.
L'arrivo all'aeroporto fu
epico. Alcuni di loro non avevano mai messo piede fuori dall'Ohio, né
avevano mai preso l'aereo. Certo, la maggior parte di loro era già
stata alle Nazionali negli anno scorsi ma rimaneva lo stesso una
grande emozione. Perché quell'anno, con Rachel e Finn,
sapevano di poter vincere.
Dopo aver lasciato le borse in
albergo, decisero di concedersi un tour per la città.
Visitarono i posti più importanti e famosi, pranzarono con un
panino preso per strada e acquistarono stupidi souvenir per i
genitori a casa e scattarono rullini interi di fotografia scentrate e
sfocate.
Capirono a pieno cosa
intendessero le persone per “la magia di New York”:
l'entusiasmo li aveva catturati e nessuno di loro sembrava
intenzionato a tornare in albergo per dormire. Il professor Schuester
si era raccomandato di tornare presto e di andare a dormire, dal
momento che di lì a due giorni avrebbero dovuto esibirsi, ma
era stato tutto inutile e alla fine aveva desistito.
Ad una certa ora i ragazzi si
erano divisi e ognuno di loro aveva proseguito il tour per la città
come aveva preferito.
Tina e Mike erano andati a
Central Park e poi a cenare thailandese, Artie e Puck avevano cercato
il museo della tortura e avevano fatto due giri, divertendosi a
spaventare i clienti, Sam e Mercedes si erano divertiti al luna park
mentre Brittany era rimasta tutta la sera in albergo su skype a
parlare con Santana e a raccontarle del viaggio.
Rachel aveva trascinato Finn in
tutti i negozi che aveva sempre sognato di vedere e l'aveva caricato
di borse e sacchetti. Poi erano andati a cenare in un ristorante
italiano dove un musicista aveva improvvisato una esecuzione di
“Bella notte”.
Stavano tornando verso
l'albergo quando una spiacevole vista sbarrò loro la strada.
«Ma guarda chi si vede.
Siete insieme da quanto – un mese? - e già vi chiamano
tutti i “Finchel”. “Dite che i Finchel porteranno
le New Direction alle nazionali?” “Dite che li faranno
vincere?”»
«Jesse» mormorò
Finn. «Spunti sempre nei momento meno opportuni.»
«Sempre così
scortese. Volevo solo complimentarmi con te per essere arrivato fin
qui. Immagino che questa volta sparirai il giorno dell'esibizione.
Magari un minuto prima di salire sul palco. Non male come uscita di
scena, eh? Ti ho dato una bella idea.»
«Sparisci!»
«Siamo su una strada
pubblica, posso stare qui, davanti a voi, quanto mi pare e piace»
insistette.
«Cos'è, una nuova
tecnica dei Vocal Adrenaline per distruggere gli avversari? Prenderli
per sfinimento? Deriderli, cercare i loro punti deboli e poi girare
il dito nella piaga?»
«Non è per niente
nuova. La usiamo da anni e fino ad ora ha sempre dato buoni frutti»
rispose, sorridendo soddisfatti.
Finn lo spinse da parte e
proseguì con Rachel ancora sotto braccio.
«Se te ne vai non è
divertente!» protestò. Jesse sbuffò e poi
aggiunse: «E' stato un piacere rivederti, Rachel. Se mai
dovessi deciderti a fare un salto di qualità, i Vocal
Adrenaline saranno lieti di accoglierti. E così anch'io.»
Rachel stava per declinare
gentilmente l'offerta, ma Finn si voltò e lanciò a
Jesse uno sguardo che spaventò l'altro. «Cosa intendevi
dire con “e così anch'io”?» chiese
minaccioso.
Jesse sorrise, alzando le
spalle: «Non avrai mica pensato male? Intendevo dire da un
punto di vista prettamente professionale.» Si stava
divertendo a stuzzicarlo e a mettere zizzania nel gruppo. Prima di
perdere tempo con loro due, aveva importunato quasi tutti i membri
del Glee club, cogliendoli a due a due e infastidendoli con battutine
e insulti, nel tentativo di devastarli psicologicamente.
Era molto probabile che Jesse
St James avesse letto il libro di Sue Sylvester su come annientare il
tuo nemico senza sfiorarlo con un dito – e dunque senza finire
in prigione – e lo avesse assimilato in ogni sua parte perché
gli atteggiamenti di quel ragazzo erano in tutto simili a quelli
della malefica coach.
«Bye bye perdenti, ci
vediamo domani» disse, salutandoli allegramente.
Rachel dovette aggrapparsi al
braccio di Finn per trattenerlo dall'aggredire il ragazzo e dunque
farsi squalificare dalla competizione.
«Non capisci, Finn? Così
faresti solo il suo gioco. Funziona così nel mondo dello
spettacolo: devi sopportare le frecciatine e aspettare il momento
giusto per rispondere. E credimi, la migliore vendetta sarà
salire sul palco domani e fargli mangiare la polvere.»
Finn annuì: «Sa
che con me questi trucchi funzionano sempre e si diverte a
stuzzicarmi. Ma sì, picchiarlo non servirebbe a niente, se non
a procurarmi un'enorme soddisfazione. Avremo la nostra vendetta
domani, insieme al trofeo.»
Rachel sorrise: «Così
mi piaci!»
Tornarono in albergo piuttosto
tardi. Brittany era già a letto, mentre Mercedes e Tina
stavano bevendo un cocktail analcolico al bar dell'hotel. Mike, Sam,
Artie e Puck erano in camera a fare scherzi telefonici con il
telefono dell'albergo mentre altri dovevano ancora tornare. Il
professor Schue e la signorina Pillsbury, come da programma,
dormivano già da qualche ora.
«Dici che è troppo
tardi per chiamare a casa?» disse Rachel.
«Dubito che tuo fratello
stia già dormendo» commentò Finn che aveva come
la sensazione di sapere dove si trovasse Blaine in quel momento e –
soprattutto – con chi.
«Allora lo chiamo, così
gli racconto come è andata oggi e lo faccio morire d'invidia»
disse ridacchiando.
«Non credo sia una buona
idea» tentò di fermarla Finn.
«E perché?»
chiese. «Se tutto va bene starà guardando qualche
programma idiota alla tv. Dopo, se vuoi, possiamo chiamare anche
Kurt: sarà entusiasta di sapere le novità!»
Finn tentò di fermarla,
ma conosceva la sua ragazza abbastanza bene per sapere che neppure un
uragano in rotta di collisione con il loro hotel avrebbe potuto farla
desistere dai suoi intenti.
Era sera e Kurt e Blaine erano
appena usciti dal cinema, dopo aver visto l'ultima commedia romantica
di Woody Allen. Ridevano perché Blaine aveva un pezzetto di
popcorn sopra il labbro e non se n'erano accorti finché non
erano passati davanti al grande specchio in uscita. Kurt glielo aveva
tolto con il pollice e, nello sfiorare le sue labbra, la tentazione
di baciarlo fu irrefrenabile, ma si trattenne perché non
volevano guai e la macchina era abbastanza vicina. Potevano
aspettare.
Non appena ebbero chiuso le
portiere dell'auto, le loro labbra si incontrarono e presto le loro
mani raggiunsero il corpo dell'altro, cercandolo, accarezzandolo con
l'urgenza degli innamorati.
Dopo svariati minuti il bacio
si affievolì e si allontanarono, sorridendosi vicendevolmente.
«E' ancora presto»
disse Kurt «e oggi non sei al dormitorio quindi mi chiedevo se
ti andasse di... di venire a casa mia. Magari possiamo mangiare
qualcosa- sai, qualcosa di più sano dei popcorn, e...»
balbettò, sentendo che le parole gli mancavano.
«Sarebbe perfetto.»
Kurt sorrise e guidò
fino a casa. Fece un bel respiro: il momento era arrivato. Blaine
avrebbe visto per la prima volta casa sua e sapeva che non sarebbe
stato così stupido da aspettarsi una villa, ma aveva paura di
trovarlo... schifato. Aveva pulito con tale perizia che la Pillsbury
avrebbe avuto il coraggio di leccare il pavimento. E se non era
pulizia quella...
Però rimanevano i mobili
di pessimo gusto, la mancanza di quadri che non fossero i suoi
disegni di bambino, la cucina quasi spoglia e gli aloni sul muro
dovuti all'umidità. Non era una bella casa, ma era casa
e voleva condividere anche quello con il suo ragazzo.
Aprì la porta con le
chiavi e accennò ad un debole: “ta-dan!” indicando
l'entrata.
La prima impressione che ebbe
Blaine appena entrato fu di una casa accogliente. Certo, riconosceva
la scarsa qualità dei mobili e tutto il resto, ma sentiva
anche il buon odore di pulito e, ancora più importante,
sentiva l'odore di Kurt che aveva impregnato ogni centimetro cubo
d'aria di quella casa. E questo per lui valeva più di ogni
spray per l'ambiente.
«Allora, cosa vuoi
mangiare?»
«Non saprei. Sei tu il
salutista, cosa proponi?»
«Devo avere della
minestra di broccoli da scaldare in microonde» disse,
tamburellando l'indice sul labbro. Alla reazione di Blaine, Kurt
rise: «Scherzavo, Blaine. Ti va della pasta? Me la cavo bene
con il cibo italiano.»
«Qualsiasi cosa piuttosto
della minestra di broccoli!» esclamò, raggiungendolo in
cucina. Apparecchiarono la tavola solo per loro due e Kurt rise
quando Blaine gli chiese dove fossero le candele.
«Ehi, se dobbiamo fare le
cose per bene ci vogliono le candele» protestò il
ragazzo, quando Kurt aprì il cassetto per passargliele.
«Come ho fatto ad
innamorarmi di uno più romantico di me?» borbottò
Kurt, accendendo il fornello. «Pensavo sarei finito con uno
stronzo che si sarebbe dimenticato il mio compleanno e mi avrebbe
fatto soffrire. E invece ho trovato te» disse. Blaine lo
abbracciò da dietro, circondandogli il petto con le braccia e
stringendolo a sé.
«E io pensavo avrei
finito per sposare una ragazza scelta dai miei e sbavare dietro gli
attori della televisione. E invece eccomi qui, ad apparecchiare la
tavola per me e il mio ragazzo come un perfetto casalingo.»
«Ah, quindi saresti tu
quello che sta a casa a badare ai figli» commentò Kurt,
voltandosi e sollevando un sopracciglio.
«Ovviamente. Mentre il
mio splendido e impegnatissimo marito andrebbe a presentare la sua
ultima collezione autunno-inverno, io starei a casa e insegnerei ai
nostri figli a giocare a football e a ballare la disco.»
«Ti sei giocato la
possibilità di crescerli. Tu non influirai minimamente nei
loro gusti musicali, mi hai capito, Blaine Anderson?»
«Allora vorrà dire
che farò mettere a tutti loro il papillon. E alle bambine un
fiocco di raso. O il papillon anche a loro, devo ancora decidere.»
«Però lasceresti a
me il compito di fare le trecce, vero?»
«No! Non puoi prenderti
la parte più bella!»
«Va bene, una treccia a
testa. E poi potremmo cantare dei duetti per farli addormentare così
non dovremmo litigare. Sai, una ninna nanna a canone.»
«Rigorosamente a
cappella. Potrei chiamare tutti i Warblers e...»
«Blaine! Non possiamo far
entrare venti ragazzi in divisa nella camera dei bambini ogni notte.
E poi dove li metteremmo a dormire?»
«Hai ragione. Sarà
una ninna nanna a due voci.»
«Due splendide voci.»
Kurt servì in tavola e
si sedettero. Senza neppure rendersene conto si stavano già
comportando come una coppia sposata. Una favolosa coppia
sposata. Veniva loro così naturale comportarsi in quel modo
che nessuno di loro aveva puntualizzato che avevano solo diciotto
anni e che stavano insieme solo da tre mesi e che, tra l'altro, il
matrimonio gay non era legale in Ohio.
Non importava finché
erano solo loro due.
Mangiarono chiacchierando e
ridendo, continuando a fantasticare sulla loro possibile vita insieme
come se fosse l'unica vita possibile.
E poi, dopo che ebbero
sparecchiato e messo i piatti nel lavello, Kurt disse ciò che
Blaine aspettava da tutta la sera:
«Vuoi... vuoi vedere la
mia camera?»
Ovviamente lo voleva. Per
Blaine era come se Kurt avesse deciso di mettersi a nudo davanti a
lui. Dovette scacciare dalla mente quell'ultimo pensiero per non
trovarsi un imbarazzante problema nei pantaloni.
Seguì Kurt lungo il
corridoio. Vide la prontezza con cui il ragazzo chiuse la porta di
una camera.
«La camera di Finn»
si giustificò. La quale ovviamente era un macello completo.
«Questa è la mia» disse, indicando una porta alla
quale era appeso un poster di Mulin Rouge.
Certo, pensò
Blaine, questa
non può che essere la sua stanza.
Dentro era esattamente come se
l'era immaginata: semplice e ordinata, piena di poster di musical e
con tutti i vestiti rigorosamente piegati o appesi a degli
attaccapanni nell'armadio. Sul comodino notò alcune foto. Una
con la sua famiglia, una con il Glee club e... e poi notò una
foto più piccola delle altre senza cornice e appesa al muro.
Era una foto di loro due scattata da Santana a tradimento una sera
allo Scandals. La foto era male inquadrata e loro si stavano voltando
in quel momento quindi i loro volti erano di tre quarti e leggermente
mossi. I colori poi erano sfalsati dalle luci colorate del locale, di
cui si vedevano in sottofondo due clienti intenti a pomiciare. Però
c'erano loro e le loro mani si sfioravano da sopra il tavolino.
Kurt notò quella foto e
arrossì: «Cavolo, me l'ero dimenticata» borbottò
imbarazzato.
«E' bellissima.»
«Ma se sono orribile?
Guarda che razza di capelli!»
«Sei bellissimo. Sei
sempre bellissimo» disse, senza neppure pensarci. Gli uscì
naturale e Kurt arrossì, se possibile, ancora di più.
Si avvicinò a lui e lo
baciò, accarezzando le sue labbra con le proprie e poi
insinuando lentamente la lingua. Con la mano gli accarezzò la
guancia. Poi le mani lentamente cominciarono a scendere sul suo corpo
e Kurt non lo fermò, anzi, lo avvolse con le proprie braccia,
avvicinandolo ancora di più, premendo i loro corpi come
fossero uno solo.
Quando
Blaine sentì le mani di Kurt indugiare sulla sua camicia e
cominciare a sbottonarla si staccò un secondo da lui e lo
fissò negli occhi. Kurt si fermò, temendo di aver
esagerato con la foga ma quando sentì le mani dell'altro fare
lo stesso sul suo corpo proseguì. Gli sfilò la camicia
e lasciò che Blaine facesse lo stesso con la sua maglietta.
Poi, nella foga dei baci, caddero sul letto e fu allora che
realizzarono davvero ciò
che stava per accadere.
«Sta succedendo?»
chiese Blaine.
Kurt annuì e poi
aggiunse imbarazzato: «Nel cassetto ho tutto ciò che
serve» Indicò il cassetto accanto al letto e Blaine si
sporse per aprirlo. Dentro vi trovò del lubrificante e un
pacchetto di preservativi. «S-stai tu sopra? Io con questo
braccio non so se riuscirei, sai, insomma, a-»
Blaine annuì e sentì
i la mani tremargli. Si morse le labbra imbarazzato: «Come ti
ho già detto io non ho mai avuto un ragazzo e questa è
la mia prima volta in tutti i sensi. Quindi se sbaglio qualcosa-»
«Beh, allora siamo in
due» disse Kurt.
«Come?»
«Anche per me è la
prima volta» ammise.
«Ma io pensavo che...
insomma, Dave...»
«Siamo stati insieme
qualche mese, ma non l'abbiamo mai fatto. Perché non lo amavo
e non volevo semplicemente fare sesso. Volevo fare l'amore con la
persona che amo. Come adesso.»
Blaine lo guardò,
spalancando gli occhi e sentendo il respiro sparire. «Ti amo,
Kurt. Ti amo da morire.»
«Ti amo anch'io»
disse, accompagnando la sua testa fino alla sua per un altro bacio
mentre con la mano libera gli sbottonava i pantaloni e glieli
abbassava. Blaine si fermò per liberarsi dello scomodo
indumento per dedicarsi ai jeans di Kurt: li afferrò insieme
ai boxer e, facendogli alzare le gambe, li sfilò via,
lasciando l'altro completamente nudo e scoperto.
Era bellissimo. L'aveva già
visto seminudo agli spettacoli dello Scandals, ma questa volta era
diverso. Questa volta non c'era una folla di vecchi intenti a sbavare
alla vista di lui, né c'era la musica assordante o la puzza
d'alcol. C'erano solo loro due e quel corpo, quella nudità
completa e perfetta, era per lui e solo per lui.
Kurt distolse lo sguardo
imbarazzato. Sulla sua pelle candida erano ancora visibili i segni
delle percosse e il braccio ancora gli doleva se era costretto a
sopportare del peso. Lo stesso valeva per Blaine, sul cui petto Kurt
poteva ancora scorgere la cicatrice dell'intervento.
Kurt si sporse e baciò
quel lembo di pelle, tremendamente vicino al suo cuore. Quando vi
accostò le labbra poté sentire il suo battito
accelerare e sorrise contro il suo petto. Con lui non si vergognava
neppure degli ematomi sul suo corpo perché sapevano entrambi
come se li erano procurati: per difendere se stessi, per difendere
l'altro e per difendere ciò che avevano che era intoccabile ed
inviolabile.
Scivolò con le mani
lungo i fianchi di Blaine, abbassandogli i boxer.
Entrambi sapevano cosa
fare. Entrambi avevano ricevuto un minimo di educazione teorica –
e né Santana né Sebastian erano stati avari di
particolari – ma nessuno di loro sapeva come
comportarsi. Ogni gesto poteva essere quello sbagliato, poteva
rovinare tutto e rompere la magia.
Blaine aprì il
lubrificante e con le dita tremanti se ne versò un po' sulla
mano e si avvicinò all'altro, accarezzando appena la sua
apertura e facendovi scivolare il primo dito.
Sentì Kurt irrigidirsi e
inarcare la schiena.
«Va tutto bene, io-»
«Calmati. Va- va tutto
bene» lo rassicurò, baciandolo. «E' solo...
strano. Ma strano in modo positivo. È tutto nuovo.»
Cominciò a muovere
lentamente il dito finché non sentì l'altro rilassarsi
e solo allora osò inserire il secondo. Questa volta la
reazione fu più rumorosa e Kurt si lasciò sfuggire un
gemito. La vista di quell'essere perfetto che si inarcava e gemeva
per lui fece rabbrividire Blaine.
«Continua» lo
esortò e l'altro proseguì allargando le dita dentro di
lui ed inserendo il terzo e ultimo dito. Cercò di entrare in
profondità fino a sfiorare quel punto intimo e profondo che
fece gemere l'altro senza ritegno.
A quel punto non riuscì
più a trattenersi. Sfilò le dita e sussurrò
all'altro:
«Sei pronto?»
L'altro annuì,
sorridendo.
Blaine fece per aprire il
preservativo, ma Kurt lo fermò: «E' la prima volta per
entrambi. Possiamo... possiamo fare senza? Almeno la prima volta
voglio... sentirti.»
Blaine annuì, gettando
da parte la bustina e prendendo di nuovo il lubrificante. Se ne
spalmò abbondantemente e poi si avvicinò tremante
all'entrata dell'altro.
«Se fa male, tu fermami o
dimmi-»
«Blaine!» esclamò.
«Io mi fido di te, hai capito? So che non mi faresti mai male e
so che con te sarà fantastico. Mi fido ciecamente di te come
non mi sono mai fidato di nessun altro. Quindi, per favore, fidati di
te stesso.»
Erano le parole che servivano a
Blaine per perdere ogni timore.
Si spinse dentro e Kurt si
aggrappò totalmente alla sua schiena, affondandovi le dita e
gemendo per il dolore al braccio che non era ancora andato via.
Blaine, dal canto suo, dovette trattenersi per non lamentarsi: anche
le sue ferite non si erano ancora riparate del tutto.
Tutto andò come doveva
andare, sebbene alcune ferite ancora dolessero e rendessero i loro
movimenti più lenti e calibrati.
Blaine ripensò alle
parole di Sebastian riguardo al sesso: era vero, non si trovavano in
un letto a baldacchino, né c'erano candele d'atmosfera, più
che di dolci sussurri l'aria era impregnata di gemiti e il tutto fu
un tantino rude, soprattutto tenendo conto dell'inesperienza di
entrambi. Ma fu indimenticabile.
Non erano solo i loro corpi ad
essere vicini, erano loro stessi che per la prima volta mettevano
completamente a nudo la loro anima uno davanti all'altro senza più
timori né vergogna.
Blaine scivolò
lentamente fuori dal corpo dell'altro e lo abbracciò stretto,
quasi temesse che fuggisse.
Kurt gli baciò la fronte
sudata, sorridendo contro la sua pelle.
«Ti amo» sussurrò.
Blaine affondò il viso
nell'incavo del collo dell'altro, respirando a pieni polmoni la sua
essenza: «Ti amo anch'io.»
Si accoccolarono sul letto e
chiusero gli occhi, respirando piano. Non seppero dire quanto
rimasero così a guardarsi ed accarezzarsi, senza fretta e
senza timore. Erano quasi sul punto di addormentarsi, ancora stretti
l'uno all'altro, quando il cellulare di Blaine squillò e loro
– seppure a malincuore – si divisero.
Blaine sentì la voce di
Rachel gridare dall'apparecchio: «Siamo a New York. NEW YORK
BLAINE! Ci credi? E' fantastico, oh mio Dio, è tutto
meraviglioso qui e...»
«Mi fa piacere sentire il
tuo entusiasmo, Rachel, ma non potremmo riparlarne domani mattina?
Magari ora vai a letto a farti una dormita, per dire. Sarai esausta
per il viaggio e tutto il resto.»
«Sono euforica, altro che
esausta! Tu, piuttosto, mi sembri uno che ha appena corso una
maratona» gridò all'apparecchio. «Passami Cooper,
devo chiedergli una cosa.»
«Cooper non c'è.»
«Come no? E' uscito
lasciandoti da solo in casa? Ma per favore, scommetto che è lì
sul divano e non ha voglia di alzarsi a rispondere. Dai, passamelo.»
«Rachel, non sono a casa
di Cooper!»
«Scusa, sentivo silenzio,
pensavo fossi già tornato a casa.» Blaine poté
sentire chiaramente la voce di Finn dall'altra parte del telefono
borbottare qualcosa alla sorella. Poi sentì Rachel mormorare
un “oh”. «Okay, sei a casa di Finn e Kurt, vero?»
«Precisamente.»
«E ho chiamato in un
momento poco opportuno.»
«Molto poco opportuno.»
«Oh. Oh. Oh mio
Dio, voi avete- cioè tu hai-»
«Buona notte, Rachel, a
domani.»
«Buona notte anche a te.
E salutami anche Kurt.»
«Non preoccuparti, lo
farò» chiuse la chiamata e si gettò di nuovo sul
letto.
«Temo che la prima cosa
che farà sarà chiamare Cooper per dirglielo»
disse Blaine «il quale non aspetterà neppure un attimo
per chiamare e farsi gli affari nostri.» Sbuffò,
mettendo il broncio: «Scusa, ho dei fratelli imbarazzanti.»
Kurt ridacchiò: «Non
sono imbarazzanti. Un po' invadenti, forse. Esuberanti, senza dubbio.
Ma tengono molto a te, questo si può vedere.»
Blaine sorrise di rimando, poi
spense il cellulare e lo ripose sul comodino: «Così non
potremo essere interrotti di nuovo.»
Kurt si stese affianco a lui,
facendo sfiorare i loro baci: «Il mio l'ho già spento.
Così Finn non può seccarci.»
«Eccellente» disse
Blaine. «Vedo che ti sei svegliato per bene. Che ne dici di-»
«Secondo giro?»
«Questa volta invertendo
le parti?»
«Ma il mio braccio-»
«In qualche modo faremo.
Ti fidi di me, no?»
«L'ho già detto
che ti amo?» chiese Kurt sollevandosi sulle ginocchia per poi
mettersi a cavalcioni su di lui.
«Ripetilo ancora.»
«Ti amo.»
Per loro quella fu una lunga,
lunghissima notte.
Ma fu solo una notte, cui ne
seguirono tante altre.
Altrettanto belle, altrettanto
romantiche, ma mai uguali a quella in cui per la prima volta si erano
completamente lasciati andare – anima e corpo – l'uno con
l'altro.
La sera successiva era stato
tutto più facile e naturale: scivolare nello stesso letto,
spogliarsi senza che le mani tremassero, percorrere con le labbra il
corpo dell'altro senza pudore, sussurrarsi “ti amo” con
la certezza di ricevere come risposta “ti amo anch'io”.
L'essere interrotti dallo
squillo del telefono e dalla voce prorompente di Rachel che gridava
“Abbiamo vinto! Abbiamo vinto le Nazionali!” non aveva
impedito loro di recuperare in pochi minuti l'atmosfera infranta.
Le settimane successive erano
state dure: Blaine aveva dato gli ultimi esami e Finn come lui non
aveva smesso un secondo di studiare per riuscire a conquistare
l'agognato diploma.
Kurt si era ormai ambientato
nel nuovo lavoro e cominciava a pensare al futuro, a cosa fare della
sua vita di lì a qualche anno. Aveva tanti sogni in testa e
poche idee per realizzarli ma al come ci avrebbe pensato più
in là, con l'aiuto dei suoi amici e del suo ragazzo.
Di lì ad un mese Blaine
e Finn si diplomarono e, il giorno dopo della cerimonia, Finn
cominciò a lavorare a tempo pieno nell'officina che un tempo
era stata di loro padre, mentre Blaine cominciò a cercare la
lista dei migliori college in Ohio.
Davanti a loro si apriva la
prospettiva di un'estate fantastica perché l'avrebbero passata
insieme.
Avrebbero mentito se avessero
detto che l'idea di settembre non li spaventava.
Passarono l'estate intera a
temere il giorno in cui Blaine sarebbe partito per il college.
Sarebbe stata dura, lo
sapevano. Non avrebbero potuto vedersi tutti i giorni, ma avrebbero
avuto tutti i weekend e le vacanze e le festività e talvolta
Kurt avrebbe potuto andare a trovarlo e rimanere a dormire da lui o
Blaine avrebbe potuto tornare per una sera o due e fermarsi.
Sarebbe stata dura anche per
mille altri motivi, lo sapevano, ma erano tre anni di college e poi
le cosa sarebbero potute cambiare. Kurt avrebbe potuto trasferirsi o
Blaine avrebbe potuto fare il pendolare. C'erano mille opportunità,
mille modi per farcela e loro erano decisi a tentarli tutti.
Avrebbero affrontato il futuro,
qualsiasi cosa esso avesse comportato.
Avevano l'uno l'altro. E poi
avevano i loro fratelli e Santana e i Warbler e le New Direction (e
in fondo anche Dave e Sebastian, che avevano preso l'abitudine di
trovarsi il venerdì sera allo Scandals a bere birra e
lamentarsi di quanto esile e per nulla sexy fosse il nuovo sostituto
di Kurt).
Quando Kurt si fermava a
pensare a com'era cambiata la sua situazione da gennaio ad ora non
poteva che sorridere.
Poteva affermare serenamente
che quello, per Kurt Hummel, era stato un anno davvero niente male.
Forse il primo di una lunga
serie.
A/N
E questo
era l'ultimo capitolo.
Calma,
calma, c'è anche l'epilogo. L'ho promesso e arriverà
(martedì) e spero non vi deluderà.
Ho
cercato di andarci “piano” con la scena della prima volta
perché sono convinta che scrivere una smut seria su un momento
romantico e intimo come appunto la prima volta sia... dissacrante. In
testa ho centinaia di scene smut fra quei due e prima o poi le
metterò su carta e poi su efp, ma la prima volta è... è
solo loro, ecco.
Rimando i
ringraziamenti e le conclusioni nostalgiche all'epilogo!
A martedì
per l'ultimo aggiornamento * scappa via piangendo *
yu_gin
coming next
Erano passati sette anni.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** always ***
A
Lima Side Story
Epilogo:
Always
Blaine si svegliò madido
di sudore e spalancò gli occhi, arrancando fra le coperte.
Vuoto.
Il letto in cui dormiva era
vuoto e il posto accanto a lui freddo. Si aggrappò alle
coperte e si alzò a sedere con il cuore che ancora gli
martellava nel petto.
La stanza era completamente
buia se non per una sottile luce che filtrava dalla finestra. In
contrasto con la luce lattiginosa dell'alba distinse una silhouette a
lui familiare e si calmò.
Sentendo il suo respiro pesante
la figura si voltò:
«Blaine, tutto bene?»
Il ragazzo annuì: «Ho-
ho avuto un incubo.» Si stropicciò gli occhi e cominciò
a distinguere meglio la figura di Kurt in controluce. Indossava solo
un paio di mutande. Il resto del suo corpo era magnificamente
illuminato dalla luce mattutina e la sua pelle nivea sembrava quasi
di un altro pianeta. Si soffermò estasiato ad osservarlo,
incapace di aggiungere una parola, incapace di capacitarsi del fatto
che quel ragazzo fosse suo.
Kurt lasciò andare la
tenda, che tornò a coprire la finestra, e raggiunse nuovamente
il letto, lasciandovi cadere le ginocchia ed arrancando fino al
ragazzo. Lo baciò sorridendo, prima di tornare sotto le
coperte, rabbrividendo.
«Ha nevicato, questa
notte» lo informò.
«Ah sì?»
«Fuori è tutto
meravigliosamente bianco» disse, posando la testa sul cuscino.
Blaine rimase seduto contro la testiera del letto, senza riuscire a
sorridere di nuovo. Kurt se ne accorse e cercò la sua mano per
accarezzarla. «Cosa c'è?»
Blaine scosse la testa e spostò
la mano dal cuscino ai capelli del ragazzo. Fece correre le dita sui
suoi capelli, meravigliosamente spettinati dalla notte precedente.
«E' per il sogno di
questa notte. Mi passerà.»
«Vuoi parlarne?»
«Sono solo brutti
ricordi. Non voglio che ci rovinino la giornata.»
«Blaine» mormorò
il suo nome con un tono di rimprovero, ma allo stesso tempo
estremamente dolce.
«Okay. Questa notte ho
sognato di nuovo quello che è accaduto sette anni fa, nel
parcheggio dello Scandals con quei- con quei ragazzi-»
Kurt capì a cosa si
riferiva. Certo, neppure lui aveva dimenticato quella terribile notte
in cui aveva seriamente pensato di morire. O peggio, di perdere
Blaine.
«Solo che nel sogno non
arrivava Dave, né Finn, né la polizia. Non arrivava
proprio nessuno. Continuavano a picchiarci e non riuscivo a fare
niente, come se le mie braccia fossero state immerse nel cemento e
non riuscivo neppure a scappare e tu eri a terra e gridavi e io- io-
non riuscivo a svegliarmi e poi-»
«Blaine, calmati»
gli sussurrò, mettendosi a sedere e abbracciandolo. Lo strinse
forte e lui fece altrettanto, cercando rifugio nel tepore del suo
corpo. «E' finita. Dopo quella volta Jackson è finito
dentro e gli altri – per paura di fare la stessa fine –
non si sono più fatti vedere. Abbiamo superato anche quella.
Grazie a te, che invece hai saputo affrontare alla grande quei
delinquenti. Ce l'abbiamo fatta, insieme.»
Blaine si calmò, ma Kurt
non lo lasciò andare finché non sentì il suo
cuore, che batteva contro il suo petto, tornare ad un ritmo
accettabile. Gli baciò la tempia, accarezzandogli i riccioli
indomiti.
«Questo incubo... è
per quello che è successo ieri?»
«No, io- non lo so.
Forse» ammise a malincuore.
Kurt annuì. Era ancora
scosso per gli avvenimenti del giorno prima. Il suo lavoro lo portava
ad avere a che fare con persone le cui vite erano in condizioni
davvero pietose, peggio di come avesse mai vissuto lui anche nei
momenti più bui della sua vita. Tuttavia il suo lavoro di
assistente sociale gli piaceva.
Sapeva cosa voleva dire avere
diciassette anni e una vita insostenibile. Sapeva cosa voleva dire
essere soli e non avere nessuna prospettiva. Sapeva però che
era possibile uscirne, con un piccolo aiuto, e lui voleva fare la
differenza.
Aveva aiutato ragazzine a
uscire dal giro della prostituzione, ragazze-madri a dare in adozione
i figli, figli picchiati fra le mura domestiche a trovare una nuova
casa e giovani omosessuali a fare pace con se stessi e con le
famiglie.
Ogni volta che aiutava una
ragazza a trovare un lavoro che le permettesse di non vendersi o che
ascoltava le confessioni di un ragazzo che ammetteva di essere stato
picchiato per la propria omosessualità, non poteva che pensare
a se stesso e a quanto era stato fortunato ad uscire da quel mondo. A
quanto era stato fortunato a trovare Blaine.
Tuttavia non mancavano gli
episodi sgradevoli.
Il giorno prima una madre, dopo
aver scoperto l'orientamento sessuale di Kurt, aveva fatto una
scenata al centro sociale, gridando che non gli avrebbe mai più
fatto vedere suo figlio e che doveva essere stato lui a traviarlo e a
farlo diventare un invertito, accusandolo di aver abusato di lui.
Ovviamente nessuno al centro
sociale aveva creduto ad una parola: tutti sapevano quanto Kurt fosse
professionale e sapevano anche che il ragazzo in questione era venuto
da loro proprio per cercare l'aiuto che non riusciva ad avere dalla
sua famiglia.
L'amaro in bocca però
era rimasto e Kurt era stato di cattivo umore tutto il giorno. Quando
poi, finita la giornata, aveva raggiunto la propria macchina per
tornare a casa, aveva trovato un'altra brutta sorpresa. E quella non
avrebbe potuto nasconderla a Blaine.
Quando tornò a casa con
una scritta fluorescente sull'auto che recitava “fag”,
Blaine ovviamente fece delle domande e Kurt non gli nascose nulla.
Gli raccontò tutto: della donna, delle sue stupide accuse, del
figlio imbarazzato prossimo alle lacrime, della scritta.
Blaine all'inizio aveva dato di
matto, inveendo contro la donna e dicendo che di sicuro era stata lei
e che avrebbero potuto accusarla e chiedere i danni, ma Kurt si era
rifiutato di sporgere denuncia, affermando che in quel modo avrebbe
fatto del male anche al figlio che in quel momento aveva bisogno solo
di essere aiutato.
Blaine aveva consumato la cena
in silenzio e poi, senza neppure dare il tempo a Kurt di sbrigare la
tavola, l'aveva baciato e l'altro aveva capito che non sarebbe finita
lì.
L'aveva afferrato per i
fianchi, tirandolo a sé, poi si erano trascinati a vicenda
verso la camera da letto andando a sbattere più volte contro i
mobili e travolgendo qualsiasi oggetto si frapponesse fra loro e la
meta.
Erano caduti sul grande letto
matrimoniale e si era spogliati con urgenza, gettando i vestiti con
noncuranza – sì, anche Kurt – e senza smettere un
secondo di baciarsi.
Avevano fatto l'amore, in modo
un po' rude forse, per dimenticare ciò che di brutto era
accaduto e lasciare tutti il mondo fuori. L'avevano fatto perché,
persi l'uno nell'altro, tutti i brutti ricordi sparivano e c'erano
solo loro due ed era bellissimo.
Uscendo da dentro di lui,
Blaine aveva sussurrato a Kurt un'infinità di volte “ti
amo” e Kurt gli aveva risposto in un sussurro “ti amo
anch'io”. Si erano addormentati abbracciati, stretti sotto il
piumone, al riparo dal gelo dell'inverno e l'ansia, la paura, la
rabbia che avevano provato si erano sciolte come neve al sole.
Ed ora erano lì, di
nuovo abbracciati e di nuovo con la stessa orrenda sensazione di
ingiustizia nel cuore.
«Non è giusto,
Kurt. Non è giusto che tu debba sopportare una cosa del
genere. Tu sei la persona più buona e più generosa e
più... più fantastica che io conosca! Quella donna non
avrebbe neppure dovuto osare dirti una cosa del genere. Tu ti
fai in quattro per aiutare quei ragazzi e nessuno sembra capirlo.»
«Lo capisci tu. Lo
capiscono anche loro. Lo capiscono quelli del centro sociale e,
credimi, non tutti i genitori sono come quella donna. Alla maggior
parte di loro non interessa che io viva con un uomo o con una donna:
a loro importa solo di ciò che faccio per migliorare le vite
dei loro figli. A me basta questo. La loro gratitudine, la vostra
comprensione e la consapevolezza che quello che faccio rende Lima un
posto un pochino migliore.»
Blaine sorrise, cercando le sue
labbra. «Sei fantastico.»
«Anche tu» rispose,
baciandolo. «Hai appena cominciato a lavorare come avvocato e
hai vinto quasi tutte le tue cause.»
«Erano solo piccoli
casi.»
«Però li hai
vinti» insistette Kurt.
Blaine a volte si chiedeva se
si meritava la stima del suo ragazzo. Dopo le superiori –
mentre Kurt si barcamenava fra il lavoro al locale di Virgilio e la
scuola serale - aveva trascorso tre anni al college e due
all'università, riuscendo a laurearsi con buoni voti e subito
aveva cominciato a lavorare in uno studio.
Gli seccava ammettere che
probabilmente la tempestività con cui aveva trovato quel
lavoro era dovuta in parte all'influenza di suo padre che – nel
tentativo di redimersi – aveva cercato segretamente di aiutare
il figlio. Blaine sapeva quanto suo padre si stesse sforzando di
accettare la sua omosessualità ma sapeva anche che la strada
sarebbe stata lunga e probabilmente lo aveva aiutato nella speranza
che, una situazione economica stabile e sicura, l'avrebbe allontanato
per sempre dalla sua famiglia, impedendogli di gettare scandalo sul
buon nome degli Anderson, come aveva fatto suo fratello maggiore con
certi film alquanto discutibili.
Tuttavia Blaine aveva saputo
dimostrare la propria bravura e i suoi datori di lavoro non si erano
pentiti di averlo assunto. Avevano saputo quasi subito del suo
orientamento sessuale, ma non ci avevano dato troppo peso, fintanto
che svolgeva così egregiamente il suo lavoro.
«Che dici, ci alziamo?»
chiese.
«Solo se per colazione
fai le frittelle» disse, mettendo su il broncio a cui sapeva
che Kurt non avrebbe resistito.
«Frittelle siano. A volte
mi domando se sia più bambino tu o mio fratello» disse,
uscendo dal piumone e cercando dei vestiti puliti.
Uscendo dal letto Blaine
rabbrividì per il freddo e, dopo una rapida occhiata fuori
dalla finestra, poté constatare che sì, aveva nevicato
e anche parecchio, visto che la neve arrivava a metà della
ruota della sua auto.
«Dici che le strade
saranno agibili?» chiese perplesso.
«Vedrai che riusciremo ad
arrivare a casa di Finn.»
«Ma è dall'altra
parte della città!»
«Sono certo che per
questo pomeriggio sarà tutto pulito» disse. «E
vedrai che anche Rachel riuscirà ad arrivare.»
Blaine annuì,
infilandosi i vestiti. Quando raggiunse Kurt in cucina, questi aveva
già cominciato a preparare le frittelle e il profumo di caffè
cominciava ad aleggiare per la cucina.
«A proposito di Rachel,
sai com'è andato il suo ultimo spettacolo?»
Blaine ridacchiò: «Ha
litigato con i costumisti, ma alla fine è andato tutto bene.
Questa volta aveva la parte dell'antagonista.»
«Una parte importante,
dunque.»
«Già, ma lo sai
che lei punta sempre ad essere al centro dell'attenzione.»
«Sono sicuro che si sarà
fatta notare lo stesso» disse Kurt, girando la frittella e
servendola sul piatto.
«Finn, invece?»
«L'ho sentito ieri. Ha
detto che all'officina gli affari vanno a meraviglia. Ora che è
socio alla pari di Larry ci mette anima e corpo affinché gli
affari fioriscano. Pensa che sono riuscito anche a fare assumere uno
dei ragazzi del centro sociale. E poi non indovinerai mai che è
andati a farsi riparare la macchina qualche giorno fa.»
«Dave?»
Kurt lo guardò
contrariato: «Come diavolo hai- ad ogni modo, sì, Dave.
Non ha ancora fatto coming out con i suoi. E ha ventisei anni! I suoi
avranno cominciato a farsi delle domande. Della serie, perché
mio figlio non ha ancora la fidanzata?»
«Non aveva avuto un
ragazzo?»
«Intendi quello che aveva
preso il mio posto allo Scandals? Non è durata molto. Qualche
mese, credo. Mi dispiace per lui. Penso che se trovasse la persona
giusta smetterebbe di fingere con i suoi e comincerebbe a vivere.»
«Un po' come Sebastian.
Sto ancora aspettando che qualcuno gli spezzi il cuore: allora forse
metterà la testa a posto e si accaserà.»
«Gira ancora per il mondo
in continui “viaggi studio”?»
«Sì, studio
dell'anatomia locale» commentò Blaine. «Si è
laureato da due anni e continua ad usare la scusa dei corsi di
perfezionamento. A volte non so chi sia più infantile fra lui
o Dave.»
«A proposito»
esclamò Kurt, servendo anche la propria frittella e sedendosi
davanti a Blaine «lo sapevi che quei due continuano a vedersi
ogni volta che Sebastian torna dai suoi viaggi per “una bevuta
fra amici”?»
«Stai scherzando?
Sebastian e Dave?»
«A quanto pare da quella
volta in cui hanno avuto la geniale idea di separarci sono diventati
“amici” in un modo tutto loro. In pratica si trovano per
una birra e per sparlare del mondo come due vecchie comari.»
«Dici che...»
«Non ne ho idea»
disse Kurt, alzando le spalle. «Ma sarebbe una soluzione.»
Blaine ridacchiò:
«Secondo me finirebbero per litigare in ogni momento. Nessuno
dei due accetterebbe di stare sotto. Lo riterrebbero uno “smacco”.»
«Stupidi. Non sanno cosa
si perdono.»
Blaine quasi sputò il
suo caffè. «Intendi-»
«Intendo, non sanno cosa
si perdono ad avere un ragazzo stabile, a condividere con lui la casa
e il letto, e sì, anche a decidere di volta in volta chi sta
sopra e chi sta sotto. Fra parentesi, la tua faccia è stata
impagabile» rispose, sorridendo.
«Ricordami perché
ti amo?»
«Perché sono
fantastico.»
«Lo sei.»
«E perché so
cucinare le frittelle più buone del mondo» aggiunse.
«Vero anche questo»
convenne. Guardò l'orologio: le nove. Non avrebbero dovuto
essere da Finn prima delle cinque del pomeriggio, quindi avevano
praticamente tutta la giornata libera.
La prima cosa da fare, lo
sapevano entrambi, era lavare via la scritta dalla macchina.
Si vestirono pesantemente e,
muniti di guanti, detersivo e spugne, cominciarono a lavorare. Il
freddo non perdonava e, nonostante la sciarpa e il berretto,
continuavano a tremare.
Sapevano entrambi che prima o
poi l'avrebbero riscritto di nuovo e che sarebbe stato così
per sempre. Sapevano anche che, andandosene da lì, avrebbero
potuto vivere più serenamente, senza scritte sulle auto, senza
insulti. Lo sapevano, ma nessuno dei due aveva più parlato di
andarsene. Non volevano più scappare.
Quando la macchina fu pulita si
guardarono soddisfatti e tornarono in casa.
Finirono per farlo nuovamente,
questa volta sul divano, e Blaine riuscì a convincere Kurt ad
ordinare cinese da asporto e a mangiarlo sul divano guardando della
tv spazzatura.
La migliore domenica mattina
che potessero desiderare.
Quando furono le quattro si
vestirono e si misero in macchina verso la casa di Finn.
Quando arrivarono il ragazzo li
salutò calorosamente, abbracciando il fratellino e dando una
pacca sulla spalla a Blaine – facendogli peraltro balzare il
cuore avanti nella cassa toracica. Rachel era già arrivata e
stava lamentandosi di quanto antipatica fosse la costumista e di
quanto si divertisse a pungerla con gli aghi.
Kurt porse a Finn la cena che
aveva accuratamente preparato a casa e che doveva solamente
riscaldare. Ben presto dalla cucina cominciò a provenire un
buon odore.
Poco prima di cena arrivarono
Santana e Brittany. Quest'ultima aveva un pancione ormai evidente e
rispose divertita a tutte le domande di Blaine sul nascituro.
«Sembra che fra qualche
mese non sarò più io il tuo “angioletto”»
disse Kurt, avvicinandosi a Santana e dandole una gomitata leggera.
Osservarono dalla cucina i rispettivi partner.
«Stai zitto, tu. Da
quando l'hobbit ti ha monopolizzato hai perso il tuo posto. Che
ovviamente è stato rimpiazzato da Chase, il ragazzo dello
Scandals.»
Kurt la guardò finché
la mora non cedette: «Oh, va bene. Sei sempre stato il mio
preferito. Chase era simpatico, ma non ero l'unica a preferire te a
lui» disse. «Sai, credo che Dave ci abbia messo un bel
po' per dimenticarti. Forse non l'ha ancora fatto.»
«E' meglio che lo faccia,
perché non credo che tornerò sul mercato. O almeno lo
spero.»
Santana sorrise: «Te lo
auguro. Anche se sono gelosa dell'hobbit, riconosco che è
quello giusto per te. Prima di conoscerlo eri un ragazzino così
triste, mentre ora guardati. Sei un uomo. E sei felice.»
«Lo sono» disse. «E
anche tu con Brittany. Come va il suo lavoro all'asilo?»
«Bene. È la
maestra preferita dei bambini, anche se ora che è in maternità
la gran parte dei soldi arrivano da mio lavoro alla scuola di ballo.
Stavo quasi pensando di cominciare un corso extra.»
«Hip hop?»
«Lap dance» rispose
ridendo. «Vuoi darmi una mano?»
«Mh, temo di aver chiuso
con quella vita.»
«Oh, avanti, vuoi dirmi
che non fai mai qualche spettacolo privato per l'hobbit?»
«Santana!»
«Che ci sarebbe di male?
Io e Brittany-»
«Non lo voglio sapere!»
«Okay, stai calmo. Forse,
sotto sotto, sei ancora lo stesso verginello di un tempo»
disse.
Poco dopo arrivò anche
Cooper, rumoroso ed entusiasta come sempre, ansioso di raccontare a
tutti il successo del suo ultimo film. Il suo primo pensiero però
fu per Brittany e per il suo pancione.
«Allora, come sta il
frutto dei miei lombi?»
«Per favore, Coop,
vorresti smetterla di chiamarlo così? Lo fai sembrare una cosa
orrenda» lo redarguì Santana.
«Come dovrei chiamarlo?
Mio figliuolo?»
«Quante volte devo
ripetertelo? Il fatto che tu ci abbia messo una cellula non fa di te
suo padre. Io e Brittany saremo i suoi genitori» insistette.
«Però lasciate che
Kurt e Blaine si considerino gli zii. È ingiusto.»
«Niente affatto»
rispose «loro sono adulti e responsabili. Cosa che non si può
dire di te.»
Il bisticcio fra Cooper e
Santana proseguì, ma tutti sapevano quanto l'ispanica fosse
grata al maggiore degli Anderson per averle aiutate a realizzare il
loro sogno. E sapevano tutti che Cooper non era ancora pronto per
accollarsi la responsabilità di un figlio. E forse non lo
sarebbe stato mai. Gli sarebbe bastato il ruolo di zio.
Cenarono tutti insieme,
chiacchierando allegramente e facendo progetti per il futuro.
Verso le undici Brittany disse
di essere stanca e di voler tornare a casa. Santana la accompagnò
premurosa alla macchina e così Kurt e Blaine dissero che
sarebbero andati anche loro.
Blaine si mise alla guida
mentre Kurt si lasciò sprofondare sul sedile e per qualche
minuto dormì. Blaine non lo svegliò perché
sapeva quanto fosse esausto e cosa l'avrebbe atteso l'indomani.
Tuttavia non riusciva a
togliersi dalla testa il pensiero di quello che aveva intenzione di
fare. Continuava a ripetersi che forse era una cattiva idea, che non
sarebbe stato per nulla romantico e che forse Kurt gli avrebbe riso
in faccia o si sarebbe arrabbiato. Aveva paura di rovinare tutto.
Poi, guardando il volto
placidamente addormentato di Kurt, scacciò via ogni timore e,
quando giunse al bivio, svoltò verso una meta ben precisa.
Dopo un po' Kurt si risvegliò
dal sonno, intontito.
«Scusa, mi sono
addormentato.»
«Figurati. Dormivi così
bene.»
Kurt sorrise. Poi diede
un'occhiata alla strada. «Dove siamo?»
Blaine non rispose.
«Non è la strada
per casa.»
Ancora silenzio.
«Mi stai... rapendo?»
«Più o meno.»
«Immagino che non mi
dirai dove stiamo andando.»
«Sorpresa.»
Kurt schioccò la lingua
scettico, ma sorrise e cominciò a guardare la strada, curioso.
Dopo circa un chilometro ebbe la sensazione di sapere dove stavano
andando.
Quando Blaine parcheggiò
l'auto nel parcheggio dello Scandals ne ebbe la certezza.
Scesero entrambi e guardarono
il locale ancora illuminato e la musica che arrivava attutita. Non
tornavano il quel luogo da anni, ma nulla era cambiato.
Kurt rabbrividì pensando
a cosa era successo in quel parcheggio e si strinse nel cappotto.
Blaine gli circondò le spalle e lo spinse verso il locale. Poi
si fermò, nel bel mezzo del parcheggio e si voltò verso
Kurt.
«Perché questa
rimpatriata?» chiese.
L'altro esitò qualche
secondo, cercando le parole.
«Sai, Kurt, arriva un
momento nella tua vita in cui dici a te stesso: “oh, eccolo
là”.» Gli accarezzò il volto con il guanto.
«A me è successo molto tempo fa. Non sapevo chi fossi né
cosa fare della mia vita e pensavo di poterlo scoprire in un locale
promiscuo.»
Kurt rise e l'altro lo imitò.
«Ed è andata
esattamente così. Ho visto un ragazzo e ho pensato che avesse
un culo magnifico e che dovevo incontrarlo, dovevo parlarci, dovevo
fare qualcosa per farlo entrare nella mia vita. Così ho fatto
la cosa più stupida del mondo.»
«L'hai inseguito in un
parcheggio e gli hai fatto delle proposte sconce?» suggerì
Kurt.
«Già. E lui mi ha
tirato un pugno» disse. «In quel momento ho capito di
essermi innamorato di te.»
«Ma smettila.»
«No, seriamente! Mi avevi
davvero colpito» insistette, ma entrambi ridevano. Poi Blaine
afferrò Kurt per i gomiti, facendo combaciare gli avambracci.
«Da quel momento ho fatto di tutto per riuscire a conquistarlo
e alla fine ci sono riuscito. L'ho baciato in questo stesso
parcheggio e in questo stesso posto lui mi ha chiesto di diventare il
suo ragazzo e io ho accettato.»
«Penso di sapere come
prosegua questa storia» disse Kurt.
«Ci sono stati tanti
altri bei momenti in questo parcheggio. Dei baci sul cofano
dell'auto, degli scherzi, delle chiacchierate al chiaro di luna. E ci
sono stati ricordi meno belli.»
Kurt distolse lo sguardo, ma
Blaine proseguì.
«Come hai detto tu, però,
ne siamo usciti insieme. Abbiamo lottato, ci siamo difesi a vicenda e
abbiamo vinto. Alla fine abbiamo vinto su quei bulli. E questo è
successo sempre qui.»
«E' per questo che mi hai
portato qui oggi? Per ricordare tutta la strada che abbiamo fatto in
questi sette anni?»
«No» disse. Poi
prese un bel respiro. «Ti ho portato qui perché, di
tutti i posti in cui siamo stati, questo che è stato l'inizio
di tutto mi è sembrato il più adatto per un altro
nuovissimo inizio.»
Lasciò le braccia di
Kurt e si allontanò quel tanto che gli permettesse di
inginocchiarsi. C'era ancora neve sull'asfalto e, maledizione, era
davvero gelida. Frugò con la mano tremante nella tasca e ne
estrasse una scatola.
«Lo so che in Ohio non
c'è ancora una legge sui matrimoni gay e che quindi non avrà
valore ufficiale, ma avrebbe valore per me. Per noi» disse,
schiarendosi la voce. «Kurt Hummel, mi vuoi sposare?»
Kurt non poté fare a
meno di portarsi le mani alla bocca, senza parole. Gli sembrava
troppo bello per essere vero. Boccheggiò alla ricerca
dell'aria che improvvisamente sembrava aver lasciato i suoi polmoni e
rispose:
«Sì. Mio Dio, sì,
assolutamente sì, sì e ancora un milione di volte sì»
balbettò euforico. Poi cercò di ricomporsi: «Sì,
Blaine Anderson, voglio diventare tuo marito. E non m'importa se per
lo stato dell'Ohio quest'unione vale meno di niente. Per me vuol dire
tutto.»
Gli afferrò il viso e
baciò le sue labbra congelate dal freddo. Si baciarono
incuranti del luogo, del tempo e dei primi
fiocchi di neve che cominciavano a cadere sulle loro teste.
Incuranti
del fatto che quella non fosse New York ma una cittadina sconosciuta
dell'Ohio e che la loro non fosse una vita da favola ma piena di
ostacoli e delusioni.
Per la
prima volta in vita sua, Blaine capì di essere dalla parte
giusta. Spesso le persone dividono il mondo in parti, pensando che
ciò renda tutto più semplice: nord e sud, est e ovest,
ricchi e poveri, bianchi e neri, etero e gay.
Per lungo
tempo Blaine si era chiesto quale fosse la parte giusta dove stare e
se fosse possibile cambiare. Ora aveva
la risposta.
Il suo
posto era accanto alla persona che amava. Non esistevano più
per lui limiti geografici o sociali o del cosiddetto buonsenso. Non
esisteva più la Lima giusta e la Lima sbagliata.
Per lui,
ora, c'era solo Lima.
E Kurt.
Sempre Kurt.
A/N
E questo
era l'epilogo. Confesso che mettere “completa” alla mia
prima long è stato un duro colpo, ma sono contenta. Per me è
un piccolo traguardo.
All'inizio
volevo fare un superfinale con Kurt che diventava una star a Brodway
e Blaine un avvocato di successo, loro che vivevano a New York con
tanti bei bambini eccetera eccetera, ma poi ho optato per qualcosa di
più pacato e realistico.
Non è
da escludere che in un futuro si trasferiscano a New York per
sposarsi e che vivano una vita da favola, ma non spetta a me
scriverlo.
Ma
passiamo ai progetti futuri: A Lima Side Story finisce qui, ma tanti
nuovi progetti si stanno facendo strada nella mia testa.
Tanto per
cominciare una long au piuttosto particolare che mi richiederà
parecchie ricerche di cui ho già scritto la scaletta e i primi
tre capitoli per un totale di 21 pagine.
Poi altre
due mini-long au: una nerd/cherios (con un Kurt un po' OOC all'inizio
e un Blaine incredibilmente scaltro) e una skank!kurt.
Ah, e
quasi dimenticavo un'originale slash/yaoi di ambientazione storica
cui lavoro da più di un anno!
Ma tutto
questo a settembre perché da adesso in poi non so se saprei
garantire l'aggiornamento per vie di viaggi e vacanze e perché
voglio lavorarci per bene.
In
compenso sto lavorando ad un po' di one-shot (la maggior parte smut
perché lo smut fa bene alla pelle) che pubblicherò
appena troverò il coraggio di farlo.
Ed ora i
ringraziamenti. Intanto grazie a MeMedesima, che ha sempre letto
pazientemente i capitoli prima che venissero corretti e ha sopportato
i miei scleri (e mi ha rallegrato con le sue one-shot molto fluff) e
alle mie compagne di classe che mi hanno sopportata nei miei deliri
da klainer.
Poi un
grazie a tutte le recensirci, sia quelle regolari sia quelle
saltuarie, perché leggere le recensioni è sempre un
piacere.
Infine un
grazie a tutte quelle che l'hanno inserita fra i preferiti (38) fra
le ricordate (4) e fra le seguite (110!). Davvero, ragazze. WOW!
A Lima
Side Story finisce qui * lacrimuccia * e se l'epilogo non è
stato di vostro gradimento, ecco a voi un finale alternativo offerto
da MeMedesima. Scegliete voi a quale credere.
yu_gin
tumblr
bonus
COME
"ALSS" DOVREBBE FINIRE:
"Ehi
Blaine, avresti mai pensato che ci saremmo trasferiti entrambi a New
York con i soldi che tuo padre ci ha regalato dopo la sua conversione
spirituale al buddhismo?"
"No
Kurt, non me lo sarei mai aspettato! E sai cos'è ancora più
incredibile? Che abbia trasformato l'azienda di famiglia in una
fabbrica di vestiti per bambini e abbia nominato Finn direttore e
Rachel art director."
"Alla
fine tutto si è risolto per il meglio vero?"
"Già,
tesoro mi... Ehi Kurt, perché ti stai togliendo la maglietta?"
"Pensavo
solo che fosse ora di uno spettacolo privato tutto per te."
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=982138
|