A Lima Side Story

di yu_gin
(/viewuser.php?uid=131123)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I come from the other side, please look at me! ***
Capitolo 2: *** I'm not like the boy you met last night ***
Capitolo 3: *** sorry, I may be in love with you ***
Capitolo 4: *** nice to meet you, again ***
Capitolo 5: *** can I have a second chance? - maybe a third? ***
Capitolo 6: *** why do you make me act up? ***
Capitolo 7: *** Courage: you are not alone ***
Capitolo 8: *** a new direction ***
Capitolo 9: *** this is my past ***
Capitolo 10: *** guess who's coming to dinner? ***
Capitolo 11: *** ops, there you are ***
Capitolo 12: *** shake it out ***
Capitolo 13: *** calling you ***
Capitolo 14: *** so proud of you ***
Capitolo 15: *** i've been changed for good ***
Capitolo 16: *** be my valentine ***
Capitolo 17: *** talk to me ***
Capitolo 18: *** regionals ***
Capitolo 19: *** a house is not a home ***
Capitolo 20: *** looking for forgiveness ***
Capitolo 21: *** unforgettable night ***
Capitolo 22: *** the way of love ***
Capitolo 23: *** this is our night, this is our life ***
Capitolo 24: *** always ***



Capitolo 1
*** I come from the other side, please look at me! ***


A Lima Side Story





Capitolo 1: I come from the other side, please look at me



Kurt uscì dalla doccia e afferrò un asciugamano. Poi, dopo essersi coperto lo stretto indispensabile, corse fuori in corridoio, lasciando le proprie impronte bagnate sul pavimento.

«Finn! Maledizione, Finn, dove sei?»

Arrivato in salotto vide suo fratello seduto in divano con una birra in mano intento a guardare la partita.

Il ragazzo si voltò verso di lui:

«Sei nudo. E bagnato» constatò.

«Ma bravo.»

«E dovresti essere pronto.»

«Dovresti esserlo anche tu. Sono in supermegaiperultra ritardo e tu non sei d'aiuto» sbraitò.

«Non esagerare, sono solo le-» guardò l'orologio e sbiancò. «Oh porca-»

«Appunto!»

Finn sbuffò: «Infilati un paio di mutande, prendi i vestiti e salta in macchina. Ti vestirai strada facendo.»

Kurt lo guardò, strabuzzando gli occhi: «Stai scherzando?»

«Per nulla. Almeno arriveremo in orario» disse. Era perfettamente serio, cosa che già di per sé era strana da parte di Finn.

Kurt si voltò e se ne andò con una vera camminata da drama queen. Si fiondò nella propria camera e aprì l'armadio. Afferrò dei vestiti a caso e li ficcò nella borsa della palestra di Finn insieme a pettine, lacca per capelli, profumo, qualche trucco e spray al peperoncino.

Si infilò il giubbotto e le scarpe, poi prese la borsa e corse fuori. Scese le scale a tre a tre. Fuori suo fratello lo aspettava in macchina.

Si sedette accanto al guidatore e, prima ancora che avesse il tempo per allacciarsi le cinture, Finn partì. Solo allora si tolse il giubbotto e aprì la borsa, cominciando a vestirsi.

«Oggi le mie gambe sembrano particolarmente fantastiche» disse Kurt, infilandosi i pantaloni.

«Non distrarmi mentre guido con le tue uscite da fotomodello!» protestò Finn.

«E perché non dirlo? In fondo è solo grazie a queste gambe, per questo visetto da angelo e per questo fantastico culetto che mi ritrovo che riusciamo a mangiare.»

«Già, se solo non fossi così stupido da non riuscire a trovarsi un lavoro decente.»

«Ne abbiamo già parlato, Finn. Il lavoro non abbonda e senza un diploma...beh, c'è ben poco che tu possa fare.»

«Già. Il posto da barista sono riuscito ad ottenerlo solo perché riuscivo ad arrivare allo scaffale più alto senza bisogno della scala.»

«E perché ti ho raccomandato io.»

«Anche.»

Kurt aveva finito di vestirsi. Ora indossava un paio di jeans attillati ed una maglietta che lasciava scoperte una spalla e cadeva larga sul suo corpo asciutto e perfetto, così da lasciare alle fantasie perverse degli spettatori immaginare cosa potesse esserci sotto. Pettinò i capelli ancora umidi e li fissò con la lacca.

Finn tossì ripetutamente: «Vacci piano con quella roba! Un giorno ci troveranno morti asfissiati in macchina.»

«Il prezzo da pagare per avere un fratello così meravigliosamente bello» rispose, rimettendo tutto in borsa.

Dopo qualche minuto Finn parcheggiò l'auto nel retro del locale. La scritta Scandals troneggiava alta e luminosa così che anche dalla strada principale fosse possibile vederla.

«Eccoci» disse Finn, uscendo dall'auto. Kurt lo seguì.

Non appena varcarono la porta sul retro, una donna li assalì:

«Kurt! Dove cavolo eri finito? Temevo di doverti sostituire all'ultimo con il ragazzino che consegna le coca-cole e non sarebbe stata una buona cosa. Va' a cambiarti e fiondati in pista. Santana è già lì.»

«Sono già pronto» disse, lasciando il borsone a Finn.

«Ci vediamo dopo» disse il maggiore, salutandolo.

Kurt si voltò verso di lui e accennò ad un saluto. Il suo volto era già stanco. Ed erano solo le nove di sera.


«Dove diavolo eri finito?» sbraitò Santana.

«Mi stavo lavando e Finn non alzava le chiappe dal divano» rispose Kurt, dandosi un'ultima pettinata ai capelli.

«April era così incazzata che sembrava sul punto di licenziarti.»

«Non l'avrebbe mai fatto. Non finché mi ritrovo questo culetto» disse.

Santana sorrise: «Già. Se non fossi lesbica-»

«E se io non fossi gay»

«-penso ci avrei fatto un pensierino.»

«Magari in una vita futura» disse Kurt.

«Una vita in cui io sarò una ricca produttrice discografica e tu una star pronta per essere lanciata. Vivremmo in una villa così grande da dover essere attraversata con la macchina e ci alzeremmo dal letto solo una volta a settimana.»

«Mangeremmo caviale a colazione, pranzo e cena, tanto che ci verrebbe a nausea.»

«E utilizzeremmo la faccia di Finn come poggiapiedi» concluse.

«Non essere cattiva. È pur sempre mio fratello.»

«I misteri della natura» disse. «Ed ora, in pista.»


Blaine aprì la porta della propria camera. Corridoio libero. Uscì, richiudendosela alle spalle, facendo meno rumore possibile. Scese le scale lentamente, facendo attenzione a non farsi sentire.

Arrivò in salotto: completamente deserto. Bene. Ormai era fatta.

Arrivò davanti alla porta di casa e si infilò le scarpe. La aprì e stava già per uscire quando una voce lo fermò.

«Dove stai andando?»

Blaine si bloccò e si voltò.

«Non sono affari tuoi» sibilò.

«Lo sono. Sei mio fratello» protestò la ragazza.

«Non rompere, Rachel» sbottò.

La ragazza sbuffò: «Si può sapere dove vai quando esci la sera?»

«Segreto.»

«A me puoi dirlo.»

«Lo andresti di sicuro a dire a mamma e papà. Tu non sai tenere i segreti.»

Rachel ghignò: «Va bene, allora dirò a mamma che stai uscendo.»

Blaine si catapultò verso di lei, chiudendole la bocca con la mano.

«Ti prego, no!»

«Dimmelo.»

Blaine sbuffò: «E va bene. Sto andando allo Scandals

«Allo Scand-»

«Shhh! Vuoi farti sentire?»

«Allo Scandals? Ma è un locale promiscuo! E poi, dicono che sia un ritrovo gay

Blaine si chiese come avrebbe mai potuto fare coming out con la sua famiglia, o anche solo con sua sorella, ancora tremendamente ingenua. Così disse solo: «Ah sì? Starò attento. Ci vediamo domani mattina!»

«Blaine!» lo chiamò, quando il ragazzo era ormai già prossimo alla macchina.

«Che c'è ancora?»

«Mi porti con te?»

«Non se ne parla!»

«Tipregotipregotiprego!»

«Un'altra volta. Ora va' a dormire. E non dire niente ai vecchi» disse, chiudendo la portella e accendendo il motore. Non appena fu uscito dal vialetto di casa sorrise come un perfetto idiota. Era la prima volta che faceva una cosa del genere. Aveva sentito così tante volte il suo amico Sebastian vantarsi di aver passato serate eccezionali allo Scandals o in altri locali e lo aveva invidiato.

Aveva deciso che doveva farlo anche lui. Insomma, ormai aveva diciotto anni, aveva bisogno di avventure. Aveva preferito aspettare un giorno in cui non avrebbe rischiato di incontrare Seb. Aveva il terrore di fare una figuraccia davanti a lui, che l'avrebbe certamente deriso per il resto della loro amicizia.

E ora era in macchina e guidava verso il locale ascoltando musiche di Kate Perry.

Quella sera poteva essere se stesso.

Nessuno sapeva che era gay. Tranne Sebastian, ma solo perché l'aveva capito nel momento stesso in cui l'aveva beccato a guardargli il culo. La loro amicizia era stata preziosa per lui perché era l'unico gay dichiarato di sua conoscenza ed elargiva spesso e volentieri consigli, che poi si rivelavano scuse per vantarsi delle proprie avventure.

Ad esclusione di qualche bacio di prova col suo amico, lui non aveva mai avuto avventure, se non qualche capatina nei siti porno e un conseguente approccio con la propria mano destra. Voleva recuperare. Avrebbe sicuramente incontrato qualche ragazzo carino e disponibile.

Guidava senza pensare ad altro che non fosse la fantastica serata che lo aspettava.

Si sentiva libero e giovane e sicuro di sé per la prima volta in vita sua.


Parcheggiò l'auto ed entrò nel locale. Mostrò i documenti falsi e, non appena lo lasciarono passare si fiondò al bancone degli alcolici. Non c'erano molte persone. In fondo era solo martedì, era strano che fosse addirittura aperto!

Si rivolse al barista, un ragazzo incredibilmente alto che lo costrinse ad alzare non poco la testa.

«Mi dai una birra?»

«Subito» rispose sorridendo.

Carino, pensò Blaine. Peccato sia tremendamente etero, o almeno così credo.

«Non ti ho mai visto qui» disse il ragazzo, passandogli una birra.

«E' la prima volta.»

«Capisco, sei riuscito solo ora a procurarti i documenti falsi.»

Blaine esitò a rispondere.

«Tranquillo» rise il ragazzo «anch'io non ero esattamente in regola la prima volta che sono venuto qui. Ero venuto per accompagnare mio fratello che all'epoca non aveva neppure diciotto anni. Se ci avessero scoperti sarebbero stati davvero casini.»

Blaine si rilassò: «Dev'essere andato tutto bene se alla fine ti hanno assunto.»

«Merito di mio fratello. A proposito, io sono Finn.»

«Blaine» rispose, tendendogli la mano.

All'improvviso le loro voci furono sovrastate dalla musica.

«Che succede?» gridò Blaine.

«Comincia lo show» rispose.

«Lo show?»

«Va' sotto il palco a godertelo.»

Blaine seguì il suo consiglio un po' a malincuore. Etero o meno quel ragazzo era davvero un bel modo per rifarsi gli occhi.

Questo pensava mentre andava a sedersi sotto il palco improvvisato del locale, sul quale troneggiavano due pali da lap dance.

Sarà uno spettacolino squallido con ragazze seminude che si strusciano sui pali e si fanno infilare banconote nelle mutande. Quasi quasi torno dal barista, che-

Ogni suo pensiero venne interrotto dall'entrata in scena dei protagonisti della scena.

Ogni pensiero su Finn o su qualsiasi altro ragazzo, ogni pensiero in generale venne semplicemente spazzato via dalla sua testa nel momento stesso in cui vide calcare la pista quello che poteva tranquillamente definire:

Il più bel culo che abbia mai visto.


Non poteva credere a quello che aveva davanti ai suoi occhi. Sul palco c'erano due ballerini. Una era una ragazza vestita completamente di rosso, del tutto simile ad una diavolessa e dal colorito latinoamericano. Trasudava sensualità e, se non fosse stato gay fino al midollo, i suoi pantaloni si sarebbero di sicuro fatti troppo stretti.

La sua attenzione però era tutta per il ragazzo che si esibiva assieme a lei. Indossava pantaloni attillati e una maglietta bianca che lasciava scoperta una spalla candida come il latte. I capelli erano perfettamente pettinati ma un ciuffo ribelle gli ricadeva sulla fronte, lasciando una lieve ombra che lo rendeva ancora più bello. Per concludere possedeva il più bel culo che Blaine avesse mai visto.

Non che ne avesse visti tanti – anzi, quasi nessuno dal vero, se non in palestra e mai con molta attenzione. Ma diamine, quei pantaloni sembravano gridare: “guardami!” e lui obbediva.

E' un angelo, pensò. Non può esistere in terra un ragazzo così bello. Dev'essere addirittura illegale.

Eppure, dai movimenti che faceva, dagli sguardi penetranti che lanciava, dal modo in cui si strusciava contro il palo, non sembrava proprio un angelo.

Quando poi si tolse la maglietta, rivelando degli addominali davvero niente male, Blaine cominciò a chiedersi chi avesse improvvisamente alzato il riscaldamento del locale.

Si girò e vide uomini ben più vecchi di lui – avrebbero potuto essere suoi padri – allungare banconote e infilarle nei pantaloni del ragazzo che ballava e che, chinandosi in modo estremamente sensuale, offriva il suo fantastico posteriore alla visione del pubblico. Lo stesso facevano altri con la ragazza.

Ad un certo punto il ballerino gli si avvicinò e lui sentì il suo cuore cominciare a battere a mille. Frugò nelle tasche alla disperata ricerca di una banconota. 10 dollari. Poco male, ne valeva la pena. Non appena il ragazzo fu abbastanza vicino allungò la mano per toccarlo e in quel momento si sentì estremamente ridicolo.

Che diavolo stava facendo? Dava delle banconote ad uno spogliarellista che non aveva mia visto in vita sua e che era appena stato toccato da vecchi pervertiti? Si sentì uno schifo e stava per ritirare la mano quando sentì qualcuno afferrargliela.

Era lui, il ballerino, che in quel momento lo fissava con degli stupendi occhi verdi.

La sua mano era morbida come sembrava fosse e la cosa non sorprese Blaine.

Quel contatto fisico cancellò tutti i pensieri che lo avevano assillato ed improvvisamente non gli sembrò di star toccando uno spogliarellista, ma un ragazzo bellissimo che gli porgeva la mano.

Quando il loro contatto cessò si rese conto di avergli dato in mano i 10 dollari che prima voleva infilargli nei pantaloni.

La musica stava giungendo al termine e il ragazzo stava rientrando dietro le quinte. Prima di oltrepassare la tenda si voltò un'ultima volta versi di lui e gli sorrise.

Non solo gli sorrise.

Con le labbra gli mandò un bacio.


«Ehi, Kurt, vieni un po' qua» disse Santana.

«Che c'è?»

«La zietta deve farti qualche domanda» disse, accarezzandogli le spalle e avvicinando i loro visi. Kurt si stava fissando allo specchio e fingeva di ignorare Santana.

«Sbaglio o l'ha fuori c'era qualcuno che ti mangiava con gli occhi.»

«Dici? Tipo, metà sala.»

«Qualcuno in particolare. Qualcuno sotto i sessant'anni, per intenderci. Anzi, se tutto va bene sotto i ventuno.»

Kurt si voltò stizzito: «Sì, l'ho notato anch'io. E allora?»

«E allora? Era carino, o sbaglio?»

Carino? Mio Dio, toglieva il fiato! Quei riccioli neri, quegli occhioni che trasudavano desiderio e imbarazzo insieme, quelle labbra...

«Che ne vuoi sapere tu? Pensavo avessi altri interessi.»

«Infatti. Ma so riconoscere un bel ragazzo. Per esempio, tuo fratello sembra un ameba con le rughe, come la metà degli uomini nel locale. Quel ragazzo no.»

«E' solo un cliente. Sarà venuto una volta sola e non lo rivedremo mai più.»

«A giudicare da come ti guardava, credo tornerà.»

«Non lo farà. Nessuno lo fa mai» disse, abbassando lo sguardo.

Santana guardò il suo viso riflesso nello specchio, improvvisamente triste.

«Non fare così. Se qualcuno oserà fare del male al mio angioletto, giuro che gli spacco la faccia. Quant'è vero che vengo da Lima Heights.»

Kurt si voltò e le sorrise, sentendosi un po' meglio.


Blaine si lasciò cadere sullo sgabello davanti al bancone.

Finn sorrise nel vedere la sua faccia stravolta.

«Piaciuto lo show?»

«Si nota molto?»

«Solo un po'. Santana fa sempre quest'effetto.»

«Santana?»

«La ragazza mora vestita da diavolessa.»

«Ah. Eh già» commentò. Non l'ho osservata con attenzione. Ero un tantino concentrato sull'altro. «Era davvero carina. Sì, insomma, aveva tutte le curve al loro posto.» Tutte le curve al loro posto? Ma che diavolo sto dicendo? Non potrei sembrare più finto di così.

A lui non interessava la ragazza. A lui interessava l'altro.

Ma come faccio a chiedere senza destare sospetti?

«Aveva molto seguito. Non saprei dire se attirasse più clienti lei o il ragazzo con cui ballava.»

Finn rise: «E' una dura lotta. Anche Kurt ha parecchi ammiratori. D'altronde col culo che si ritrova. E credimi se ti assicuro che non sono solo i pantaloni attillati a fare quell'effetto. Te lo dice uno che l'ha visto in mutande.»

Blaine lo guardò stupito. «Non sarà mica il tuo-?»

«Oh, no. Nononono. Mio Dio, no» precisò. «E' mio fratello.»

A quel punto Blaine strabuzzò gli occhi: «Stai scherzando?»

«No, anche se non sei il primo a fare quella faccia.»

«Voi due non-»

«Non ci assomigliamo molto, lo so. Né di aspetto né di carattere. L'unica cosa che abbiamo in comune è che sappiamo cantare.»

«Ah sì?»

«Io non me la cavo male. Ma lui...quando apre bocca sembra di sentire i cori celesti» disse ridendo, mentre asciugava un bicchiere e lo rimetteva fra gli altri.

Nella testa di Blaine si crearono non poche fantasie. Che pensò bene di mandare giù con un'altra birra.

Pessima idea.

Lui l'alcol proprio non lo reggeva.


Uscì dal locale che a stento si reggeva in piedi. Il barista aveva provato a fermarlo, ma lui aveva assicurato che avrebbe preso un taxi invece che guidare fino a casa e, poiché Finn non poteva lasciare il proprio posto neppure per un secondo, lo lasciò andare.

Blaine sentì l'aria gelida della notte arrivargli in faccia come uno schiaffo che lo risvegliò dal torpore. Raddrizzò lo schiena e cercò di raggiungere la macchina. La mente era ancora annebbiata dall'alcol.

Fu allora che lo vide. Appoggiato al cofano di un'auto fissava il cielo con sguardo vacuo e respirava lentamente.

Se fosse stato in sé si sarebbe limitato a guardarlo incantato, poi avrebbe chiamato un taxi e sarebbe tornato a casa. Ma non era per nulla in sé. C'era ben poco di Blaine Anderson in lui. O forse ce n'era troppo.

Gli si avvicinò e lui si voltò a guardarlo.

«Ciao» lo salutò.

Kurt si rese subito conto che l'altro era ubriaco. «Ciao.»

«Ti ho visto sul palco. Eri bellissimo.»

Fortunatamente il buio nascose il rossore che comparì all'improvviso sulle sue guance. «Grazie.»

«Dico sul serio. Non riuscivo a staccare gli occhi da te.»

«L'ho notato.»

«Fai sempre quest'effetto?»

Kurt sorrise: «Talvolta.»

«Non mi sorprende» disse, avvicinando il proprio viso al suo.

Kurt non poté fare a meno di sentire la puzza di birra che proveniva dal suo alito. Lo disgustava. «Puzzi d'alcol» gli disse.

«Pensavo ci fossi abituato.»

«All'alcol.»

«No, a baciare gente che puzza d'alcol» disse, avvicinando le loro labbra fino a farle sfiorare.

Kurt lo spinse via. «E con questo che vorresti dire?»

«Vuoi dirmi che di solito i clienti ti arrivano tutti sobri?»

«Clienti un cazzo! Ma per chi mi hai preso?» sbottò, furioso.

«Oh scusa. Pensavo che i movimenti che facevi sul palco venissero da una lunga esperienza pratica.»

Kurt non poteva credere a quello che sentivano le sue orecchie. Non sapeva se sentirsi più triste o più incazzato. In quel momento la rabbia ebbe la meglio.

«Ascoltami bene, patetico ragazzino figlio di papà. Tu non sai un bel niente di me e della mia vita e non hai nessun diritto di giudicarmi. Quindi, se non ti vuoi ritrovare con un occhio nero o una palla in meno fra le gambe ti conviene andartene.»

«Quelle mani da angioletto sarebbero in gradi di-»

Non fece in tempo a finire la frase che gli arrivò un pugno talmente forte in faccia da farlo cadere a terra.

«Vaffanculo, stronzo» disse Kurt, andandosene.

Blaine rimase a terra con la testa dolorante, senza capire cosa fosse successo. Era ancora in stato catatonico quando gli sembrò di distinguere una figura familiare davanti a lui.

«Rachel?!»

«Blaine, stai bene? Ho visto tutto, quel tizio ti ha tirato un cazzotto! Poteva ammazzarti! Dovresti denunciarlo e-»

«Rachel, che diavolo ci fai qui?»

«Non tornavi ed ero preoccupata. Ho preso un taxi e poi ho visto la tua macchina e sono salita e ho aspettato lì fino ad ora. Ma...Blaine! Sei ubriaco?»

«No» disse, un secondo prima di vomitare l'anima sul marciapiede.


Kurt rientrò nel locale e attraversò la sala a passi lunghi e veloci. Ignorò i fischi e le parole provocatorie. Normalmente si sarebbe fermato a farsi offrire da bere, ma non ora.

Passò davanti al bancone e sentì la voce di Finn chiamarlo:

«Ehi, Kurt! Dove vai?»

«Cerco Santana.»

«E' nei camerini. Va tutto bene?»

Kurt lo guardò negli occhi: «A meraviglia» disse, sull'orlo delle lacrime.

Poi corse nei camerini, dove Santana si stava rimettendo il rossetto. Non appena lo vide entrare capì subito cosa doveva essere successo.

Lo abbracciò forte e, non appena Kurt sentì quel contatto, lasciò andare le lacrime, piangendo sulla spalla dell'amica.

«Perché? Perché noi non possiamo essere felici?»

Santana lo strinse forte e gli accarezzò la testa.

«La vita è ingiusta, Kurt, per chi è nato dalla parte sbagliata di Lima.»



N/A


E questo era il primo capitolo!

Ho già qualche capitolo pronto che va solo corretto, ma mi piacerebbe sapere le vostre opinioni perché sono abbastanza preoccupata di andare OOC. Cioè, un po' lo andrò di sicuro (ma d'altro canto è una AU, un po' OOC è permesso), solo non vorrei che i personaggi risultassero stravolti.


E' la mia prima long e pertanto mi piacerebbe sentire cosa ne pensate, per cercare di migliorarmi!


Ah, dimenticavo, avrete di sicuro notato che molte cose sono diverse dall'originale. Ecco alcune sostanziali differenze (perdonatemele, in fondo è un AU)


  • Finn e Kurt sono fratelli di sangue e, dopo una dura lotta con me stessa, ho deciso di dare loro il cognome Hummel, anche se ogni volta che scrivo Finn Hummel (e infatti lo scriverò il meno possibile) mi si rivolta lo stomaco

  • Anche Blaine e Rachel sono fratelli (ho preso il cognome di lui perché ai fini della storia era impossibile inserire i Berry come genitori, anche se mi sarebbe piaciuto farli apparire!)

  • Le età sono un po' sfasate. Finn ha ventun anni, Kurt diciannove, Blaine diciotto (è al suo ultimo anno alla Dalton) e Rachel è al terzo anno. Santana ha un'età imprecisata (non si chiede alle signore!) ma di sicuro ha più di ventun anni.


Altre eventuali precisazioni verranno fuori nel corso della storia.

Spero di non aver osato troppo.


A presto!


yu_gin

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** I'm not like the boy you met last night ***


A Lima Side Story




Capitolo 2: I'm not like the boy you met last night


Rachel si rese subito conto che qualcosa non andava in suo fratello. Era dannatamente silenzioso. E poiché era suo fratello – e ciò implicava che avessero gli stessi geni – non poteva essere silenzioso senza un motivo.

«Ehi, Blaine, tutto bene?»

«Sì, certo» disse, lasciando andare la testa sullo schienale del sedile.

«Senti, non posso togliere gli occhi dalla strada, ma sono certa che, se ti guardassi in faccia, non ti vedrei felice.»

«Sono ubriaco. E quando mi ubriaco passo dall'euforia alla depressione più velocemente di una girandola in un uragano.»

«Tu non sei solo triste. Sei arrabbiato.»

Blaine si girò: «Ora mi spaventi.»

«Non dovresti. Sei mio fratello e ti conosco.»

Sospirò: «Va bene, lo ammetto. Sono arrabbiato.»

«Col ragazzo che ti ha tirato quel pugno? Lo sapevo che dovevamo fermarci e denunciarlo. Se lo sarebbe meritato. Così, dal nulla, si è girato e ti ha tirato un pugno.»

«Me lo meritavo.»

«Che hai fatto? Hai flirtato con la sua ragazza?»

Blaine avrebbe voluto ridere. «Sì, diciamo così. Anzi, diciamo che non l'ho trattata con rispetto.»

«Blaine Anderson! Tu che tratti male una ragazza?»

«Ero ubriaco. E lei era una ballerina. Diciamo, non esattamente una ballerina classica.»

«Danza moderna?»

Blaine la fulminò con lo sguardo.

«Oooh. Capito. Non esattamente una ballerina.»

«Ecco, e diciamo che mi sono comportato da idiota e che ho ceduto ai luoghi comuni e ai pregiudizi.»

«Hai insinuato che la ragazza fosse una prostituta?»

Blaine guardò sua sorella inorridito: «Ma chi sei? Esci da questo corpo!»

«Tento solo di immaginare cosa può essere successo. Diciamo pure che in tal caso il pugno un po' te lo sei meritato.»

«Un po'? Se mi avesse investito con l'automobile forse non l'avrei neppure denunciato.»

«In fondo, se l'è andata a cercare.»

«Chi?»

«Beh, la ragazza. Insomma, se fai la ballerina in un locale chiamato Scandals, e se fai quel tipo di ballerina...poi non lamentarti se la gente ti scambia per una prostituta. Mettendo in mostra il tuo corpo per soldi ti stai già vendendo.»

«Non posso credere che tu lo pensi veramente.»

«E invece è così. Io non venderei mai il mio corpo. Per nessuna cifra.»

«Lo dici ora che vivi in una splendida casa in cui non ti manca niente. Ma pensa se non avessi altro modo per guadagnare.»

«C'è sempre un altro modo» concluse, tornando a concentrarsi sulla strada.

Blaine chiuse gli occhi e cercò di richiamare alla mente i tratti di quel viso stupendo che aveva stupidamente fatto arrabbiare.

Non potrò mai più rivolgergli la parola in vita mia. Sono proprio un idiota. Ma forse è meglio così: cosa mi ero messo in testa? Io e uno spogliarellista? Siamo gli esatti opposti e fra noi non funzionerebbe mai. Cosa dovrebbe funzionare poi? Una relazione?

Un fiume di pensieri lo travolse.

Lo dimenticherò.


Finn guidava cantando le canzoni della radio a squarciagola. Kurt invece riposava silenziosamente sul sedile del passeggero. Neppure quando passarono una canzone di Pink si degnò di aprire bocca.

«Ehi, sei silenzioso. Qualcosa non va?»

«Sono solo stanco.»

«Sicuro? Perché quando tu e Santana siete usciti dai camerini, lei mi ha lanciato un occhiataccia e poi, quando ho provato a parlarti, ti ha portato via in malo modo. Non avrete mica litigato?»

«Ma figurati. Al massimo la zietta mi tiene il broncio per un quarto d'ora, poi basta che l'abbracci e non riesce a resistere.»

«Problemi con qualche cliente? Te l'ho detto, se qualcuno si azzarda ad allungare le mani più del dovuto gli spezzo le gambe.»

«Tu non spezzi le gambe proprio a nessuno, hai capito? Se no, oltre a perdere il lavoro, finisci pure in galera. E allora sarò davvero costretto a battere il marciapiede per vivere.»

Finn quasi inchiodò nel sentire quelle parole. Si voltò verso di lui, improvvisamente serio: «Non dirlo. Non dirlo neppure per scherzo. Qualsiasi cosa succeda non finirà mai così. Mi hai capito? Ce l'eravamo promesso. L'avevamo promesso ai nostri genitori.»

«Mai fare qualcosa che neghi la nostra dignità. Me lo ricordo bene. Scusa, stavo solo...stavo solo scherzando.»

Finn tornò tranquillo e riprese a fissare la strada: «Mi dispiace che le cose vadano così. È solo colpa mia: sono così idiota da non riuscire a trovare un lavoro decente.»

«Non è vero.»

«Sì che è vero. Me lo dici sempre anche te.»

«Te lo dico perché sono uno stronzetto in costante sindrome premestruale. Vedrai che riusciremo a cavarcela. Riusciremo a cambiare vita. Tu diventerai un campione di football, io un cantante professionista e dimenticheremo questi anni.»

Finn sapeva che quelle erano solo fantasie irrealizzabili e lo sapeva anche Kurt.

«Vuoi sapere perché sono triste? La verità?»

Finn annuì.

«Perché sono stanco di essere deluso dalla gente. Ogni giorno mi aggrappo a qualcosa, ad uno sguardo, ad una parola, a qualsiasi cosa che possa farmi star meglio. Ma alla fine va sempre a finire che cado e sono davvero stanco di rialzarmi ogni volta. E ho paura di non riuscirci più, un giorno o l'altro.»

Finn ascoltò le sue parole, ma non trovava risposta adatta, così tacque.

Percorsero il resto della strada in silenzio.

Una volta a casa si alternarono in bagno e andarono a letto.

Kurt non aveva neppure la forza per infilarsi un pigiama. Si spogliò e si gettò sotto le coperte. Nella sua mente finse di essere nello stesso letto di uno splendido uomo e che quell'uomo il suo fidanzato e che di lì a pochi istanti l'avrebbe abbracciato e avrebbero passato così tutta la notte.

Dopo pochi minuti crollò per il sonno e dormì fino al mattino successivo.


Il giorno dopo Blaine si svegliò con un tremendo mal di testa. Era nel suo letto e aveva ancora addosso i vestiti del giorno prima. Cercò di ricordare cosa fosse successo, ma nella sua testa c'era un buco nero.

Poi, quando provò a stropicciarsi gli occhi, sentì un dolore intenso all'occhio sinistro, e allora si ricordò del pugno nel parcheggio, degli insulti, della sbronza, di quel fantastico corpo sulla pista, della chiacchierata col barista come-diavolo-si-chiamava.

Kurt.

Un solo nome gli era rimasto impresso.

E il suo viso, e i suoi occhi e la sua pelle diafana.

E il suo culo, dovette ammettere a se stesso.

Si stava giusta alzando dal letto quando Rachel fece irruzione in camera sua.

«Forza, è il momento del tuo rituale post-sbronza.»

«Che rottura! Devo proprio?»

«Sì, se non vuoi che mamma lo scopra subito e sai che lo farà. E poi devi andare a scuola, l'hai dimenticato?»

«No.»

«Allora su, in piedi!» esclamò, già pimpante e rumorosa.

Gli preparò una colazione disgustosa che però ebbe il pregio di rimettergli in sesto lo stomaco. Gli fece lavare i denti due volte (una con lo spazzolino, una col collutorio) per mandare via la puzza di alcol. Poi lo gettò sotto la doccia e controllò che non si addormentasse in piedi. Quindi gli preparò sul letto i vestiti per quel giorno. Solo allora si rese conto di un piccolo particolare.

«Quell'occhio è un bel po' appariscente.»

«Si nota tanto?»

«Un panda passerebbe più inosservato.»

«Oh, fantastico!»

«Non vedo soluzione. A scuola di' che te lo sei procurato durante gli allenamenti di box. Dirai lo stesso anche a mamma e papà, ma a loro dirai che è successo oggi, visto che ieri sera a cena ti hanno visto sano e intero.»

Sebastian non se la berrà mai, pensò.

«E in qualche modo convincerai anche il tuo caro amico Sebastian.»

Blaine la fissò sconvolto: «Rachel, uno di questi giorni ti porto da un esorcista!»


Kurt si svegliò tardi. Guardò l'orologio. Le otto e mezza.

Balzò giù dal letto e corse in salotto.

Finn era seduto sul divano e stava bevendo una birra.

«Finn, dannazione! Hai idea di che ore siano?»

«Le sette e-» guardò l'orologio. «Oh merda!»

«Appunto!»

«Quanto tempo hai?»

«Dieci minuti.»

«Okay. Vai in bagno e lavati poi prendi i vestiti e scendi giù. Io intanto ti preparo la colazione. Ti vestirai in macchina.»

«Mi spieghi perché finisce sempre così.»

«Una sveglia. Ci serve una dannatissima sveglia» sbottò Finn, correndo in cucina a scaldare il caffè.

Kurt intanto si chiuse in bagno e cercò di sistemarsi. Aveva un aspetto terribile, dopo l'orrenda serata che sperava di dimenticare al più presto. Fu un'impresa trovare il fantastico ragazzo che era sotto quell'ameba con il volto ancora sporco di trucco.

In camera si bloccò davanti all'armadio, cercando il migliore abbinamento possibile. Una cosa era il suo lavoro notturno, dove bastava mettere qualcosa che facesse risaltare il suo sedere. Una cosa era il suo lavoro mattutino.

Alla fine si decise per un paio di jeans chiari, una camicia e un maglioncino. Prese un paio di scarpe e corse fuori. Con addosso solo il giubbotto e le scarpe saltò nella macchina di Finn, che lo aspettava pronto a partire.

«Questa storia del ritardo comincia a stancarmi» disse Kurt, infilandosi i jeans.

Ma in realtà avrebbe voluto dire: questa vita comincia davvero a stancarmi.


Quando arrivò a scuola fu accolto da un coro di “oh” sorpresi.

«Signor Anderson. Hai esagerato con l'ombretto?» chiese il professore di Storia, quando Blaine entrò in classe. In ritardo. Con un vistoso occhio nero.

«Allenamento» disse solo, raggiungendo il suo banco e cercando di scomparire.

«Allenamento. Come no» disse una voce dietro di lui.

Blaine non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi aveva parlato: «Non mi credi, Sebastian?»

«Per niente, signor Anderson. Lei le bugie non le sa proprio raccontare.»

«Da me non saprai niente di più.»

«Mh...sbaglio o sento odore di alcol uscire da quelle virginee labbra.»

«Sbagli.»

«Chissà se la signora Anderson la penserebbe allo stesso modo.»

Blaine capitolò: «E va bene. Finita la lezione ti racconto.»

«Perché non subito? Tanto non sono interessato al ruolo della Russia nella prima guerra mondiale.»

«Okay. Diciamo che ho bevuto. E non a casa da solo, guardando per l'ennesima volta Grease. Diciamo che sono uscito.»

«Uscito dove.»

«Allo Scandals.»

Sebastian sorrise: «Comincia a farsi interessante.»

«E diciamo che allo Scandals ho incontrato un ragazzo. Maledettamente carino. E maledettamente etero, ma che questo ragazzo mi abbia letteralmente spinto fra le braccia di un altro ragazzo. Ancora più maledettamente carino e soprattutto – se il mio gaydar non sbaglia – meravigliosamente gay, o come minimo bi.»

«Mi piace la piega che sta prendendo. Fammi indovinare. Mentre stavi per arrivare a conclusione col pezzo di manzo, arriva il suo ragazzo, anzi, il suo uomo che è un bruto camionista che ti ha tirato un pugno sull'occhio. Poi, grazie al tuo amante che si è frapposto fra voi, sei riuscito a scappare in mutande fino alla macchina e a tornare a casa vivo e integro per raccontare a me questa fantastica avventura.»

«No. Mi sono ubriacato e gli ho detto cose molto sconvenienti. E poi ho scommesso che non mi avrebbe mai tirato un pugno.»

«E hai perso la scommessa. Oltre che l'uso dell'occhio.»

«Più o meno.»

«E i tuoi non ti hanno scoperto?»

«I miei no. Ma Rachel...beh, quella piccola scimmia deve avere una specie di radar per individuarmi. Oltre che alla facoltà di lettura mentale. Devo impedirle di guardare Twilight.»

«E così la piccola Rachel ti ha aiutato nel rituale post-sbronza. E ha assistito anche al suo fratellone che ci provava con un ragazzo?»

«Grazie a Dio no. Ha assistito al pugno, ma pensava che avessimo litigato per una ragazza. Anche se mi sorprende che abbia potuto pensare che quello lì avesse una ragazza.»

«Perché?»

«Beh, vestito com'era...avrebbe attirato uomini come api sul miele, ma di certo non ragazze, se non fidanzate inferocite che rivolevano i loro uomini.»

«Ma perché non incontro mai ragazzi così carini quando ci vado io, allo Scandals.»

«Perché quando ti vedono ti evitano. Hai già una cattiva fama, lì dentro. E comunque non era un ragazzo qualunque.»

«Ah no?»

Si pentì di aver detto quelle parole. Non voleva ancora ammettere con Sebastian che quello con cui aveva litigato era un ballerino del locale. Magari lo conosceva pure. Ma no, non voleva assolutamente che lo venisse a sapere.

«No. Era troppo bello» disse.

Sebastian ridacchiò fra sé e riprese ad ascoltare la lezione.


Finite le lezioni, Blaine e Sebastian si diressero alle prove dei Warblers. L'argomento del giorno era davvero scottante. Si trattava di discutere un'eventuale modifica delle divise per un numero molto speciale.

«Stiamo parlando di un numero che richiederà alcune mosse particolarmente atletiche. Non possiamo farlo in giacca e cravatta» disse David.

«E allora non lo faremo!» protestò Wes.

«Non se ne parla. Ci abbiamo lavorato troppo per lasciar perdere ora. E con questo numero potremmo vincere le regionali contro le New Direction. Che da quando hanno quella Rachel rischiano seriamente di batterci!»

Qualcuno si schiarì la voce, facendo un chiaro segno con la testa in direzione di Blaine.

«Oh, senza offesa, Blaine. Lo sappiamo che è tua sorella ma-»

«La squadra è la squadra. Sono d'accordo. Dobbiamo vincere.»

«E se vogliamo vincere abbiamo bisogno di quel numero. Ergo, abbiamo bisogno di nuove divise» disse Sebastian. «Il che mi porta ad un'unica soluzione possibile: GAP.»

Ci fu un mormorio soffuso fra le fila dei Warblers.

«Potremmo andare questo pomeriggio stesso a cercare dei capi che siano in tono coi colori della Dalton e che piacciano a tutti. Così, nel caso non ne abbiano abbastanza per tutti, faremo in tempo a farcele mandare.»

Wes continuava ad essere contrario, ma poiché la maggioranza si era espressa, dovette tacere e accettare la novità.

«Rimane un problema. Molti di noi questo pomeriggio devono studiare: gli esami si avvicinano e siamo oberati di compiti.»

«Nessun problema. Se vi fidate del mio gusto – e dovreste davvero farlo – lasciate fare a me. Non ve ne pentirete.»

«Farai tutto da solo? Potresti avere un bel po' di pacchi da caricare in macchina.»

«Per questo mi farò aiutare dal mio hobbit preferito, che sono certo sacrificherà un pomeriggio di studi per il suo migliore amico.»

Blaine lo fissò, non sapeva se più arrabbiato per essere stato chiamato hobbit o per la leggerezza con cui Sebastian si era appropriato del suo tempo libero. Come al solito, d'altronde.

«Non provare a protestare» gli sussurrò Sebastian all'orecchio. «Devi raccontarmi un po' di cosucce, e in macchina non avrai nessuna scusa per tacere.»


Kurt arrivò appena in tempo. Corse dentro il negozio, dove trovò il suo datore di lavoro ad attenderlo all'ingresso.

«Hummel. Sei in ritardo o sbaglio?»

«Veramente sono le-» guardò l'orologio. Era in anticipo di due minuti, ma a giudicare dallo sguardo dell'uomo non era il caso di farglielo notare. «Mi scusi.»

«Poche scuse e vai a lavorare. Oggi Jeremia non c'è, quindi invece che stare in magazzino dovrai piegare i capi ed essere gentile con la clientela. E togliti quello sguardo da deportato! Voglio un sorriso trentadue denti e un saluto radioso come “Buongiorno signore, in cosa posso esserle utile?”»

Kurt annuì.

«E, ti prego, vatti a cambiare! Vestito così sembri la versione maschile di Pretty Woman! In magazzino abbiamo un cambio per emergenze simili.»

Kurt raggiunse il magazzino con lo sguardo basso. Lavorare fra la clientela: l'ultima cosa che avrebbe voluto! Lui preferiva nascondersi e passare inosservato, come sembrava ribadire il suo abbigliamento sobrio, quasi anonimo.

Quello che faceva di notte era tutta un'altra cosa. Lì perdeva ogni inibizione e lasciava uscire il suo vero essere: esuberante, sicuro – perché no, sensuale! Ma alla luce del giorno tutto ciò gli risultava impossibile.

Aveva quasi paura a girare per strada. Temeva che qualcuno del locale lo riconoscesse e lo indicasse. Questo terrore si raddoppiava sul lavoro: se l'avessero scoperto, l'avrebbero licenziato all'istante.

Per questo motivo tenne la testa bassa quasi tutto il tempo e cercò di servire quasi esclusivamente donne – che era meno probabile fossero frequentatrici della Scandals.

Ad un certo punto però gli si avvicinò un ragazzo. Si stava rivolgendo proprio a lui e non poteva certo ignorarlo. Alzò lo sguardo verso di lui e:

Wow. Non male, pensò, sentendosi un po' maniaco per averlo pensato. Ha la divisa scolastica addosso. Farà ancora le superiori.

«Buongiorno signore, in cosa posso esserle utile?» disse, sfoggiando il sorriso migliore che gli riuscisse.

«Quanta formalità! Stavo solo cercando Jeremia, sai, il commesso biondo con i colpi di sole.»

«Mi dispiace, oggi Jeremia non c'è.»

«Beh, vorrà dire che mi accontenterò di te, commesso senza cartellino» disse, sorridendogli. «Che è un modo originale per chiederti “come ti chiami?”»

«Kurt» rispose, sentendosi lui uno studente delle superiori.

«Sebastian Smythe. Molto piacere.»

E' davvero carino. E sembra quasi che ci stia provando.

«Dimmi pure cosa cercavi.»

«Bene, sto cercando un completo sportivo che abbia gli stessi colori della mia divisa. E me ne servono almeno venti.»

«Venti!?»

«Non sono un maniaco del jogging» lo rassicurò ridendo. «Faccio parte di un coro e dobbiamo fare un numero per le regionali. Quindi ci serve qualcosa di assolutamente strepitoso.»

«Vedrò cosa riesco a fare. Vieni con me» lo invitò.

«Aspetta solo un secondo. Quello sfigato del mio amico hobbit si dev'essere perso al reparto papillon e credo ci vorrà un po' prima che riemerga dalla folla con la sua piccola, piccola statura» disse, strappandogli un sorriso. «Ah no, eccolo!» esclamò. «Blaine, ti vuoi muovere?»

Il ragazzo in questione si avvicinò a loro. Ma fu solo quando sollevò la testa che Kurt lo riconobbe. E per l'altro fu lo stesso.

Si fissarono negli occhi spalancati, non potendo credere che la sorte si fosse divertita a tal punto con loro.

Sebastian non poté fare a meno di notare quello sguardo. Ma non disse niente e preferì registrare e indagare più tardi.

«Allora, vogliamo andare?» disse.

«Forse è meglio se io intanto vado a vedere le scarpe.»

«Assolutamente no, mio piccolo amico del bosco. Tu devi aiutarmi.»

«Non vedo come.»

«Beh, ad esempio andando a cercare le tute che ci servono insieme a questo brillante e carinissimo commesso mentre io cerco di rubare il numero a quel ragazzo che mi sta fissando il sedere da almeno dieci minuti» disse, allontanandosi senza dare il tempo a nessuno dei due di ribattere.

Questa me la paghi, pensò Blaine. Ma d'altronde, per avere vendetta avrebbe prima dovuto spiegare a Sebastian perché era poco opportuno per lui rimanere solo con quel ragazzo all'apparenza anonimo e ingenuo ma che nascondeva un evidente pugno di ferro.

«Sì, emh...per il completi?»

«Seguimi» disse Kurt, piuttosto freddamente.

«Ah, a proposito, io sono Blaine» disse.

«Kurt.»

«Lo so» rispose. «Voglio dire, ho parlato con tuo fratello ieri sera, prima di-»

«Prima di fare illazioni molto poco carine su di me e tentare di baciarmi senza neppure conoscermi?»

«Volevo dire prima di ubriacarmi. Ma le due cose corrispondono.»

«Ma tu guarda» commentò sarcastico.

«Io non sono così. Non da sobrio.»

«Invece sai cosa penso io? Penso che l'alcol ti abbia solo tolto le inibizioni che prima ti impedivano di dire quello che pensi davvero. Ossia, penso che tu sia esattamente come eri ieri, solo che lo nascondi a te stesso e a quelli che ti stanno attorno.»

«Non puoi saperlo. Neppure tu mi conosci.»

Kurt lo guardò stupito. «No, hai ragione.»

«Senti, potremmo dimenticare quello che è successo la notte scorsa? Penso sarebbe meglio per tutti e due.»

«Forse è così» disse, fermandosi davanti ad uno scaffale. «Qui troverai tutto quello che ti serve. Penso che queste possano andare bene, visto che le strisce della Adidas richiamano le strisce sulle vostre cravatte. Se non hai più bisogno di me, io andrei da altri clienti. Clienti paganti, sai com'è» disse, allontanandosi.

Blaine avrebbe voluto fermarlo, ma rimase zitto.

Poco dopo Sebastian, che aveva osservato la scena con vivo interesse, gli si avvicinò.

«Allora, hai trovato?»

«Direi che queste possono andare bene» disse, indicando quelle che gli aveva suggerito Kurt.

«Mh, sono perfette. Molto bravo in nostro commesso. Sai, dovrei parlare col padrone del negozio e convincerlo a promuoverlo. È un peccato nasconderlo nel magazzino, non credi?»

«Beh, immagino di sì.»

Sebastian fece esattamente quello che aveva detto: aspettò che il padrone del negozio gli passasse vicino per dirgli quanto gentile e affidabile era stato quel nuovo commesso e chiedendogli perché l'avesse tirato fuori solo ora dal cappello magico.

Blaine continuava a seguire Kurt con lo sguardo fra gli scaffali e ogni volta che quello si girava, faceva finta di niente.

Come al solito.


Kurt vide Sebastian e Blaine parlare col capo.

Ecco, gli avrà detto tutto. Ora il capo verrà da me e mi caccerà via. Mi bandirà dal negozio a vita. Non potrò neppure entrarci per farmi cambiare dieci dollari.

In effetti il capo gli si avvicinò. Gli posò una mano sulla spalla e disse:

«Complimenti, Hummel. Sei stato promosso.»




NdA


ed eccomi col secondo capitolo in cui finalmente arriva Sebastian che in questa AU è un po' diverso (non mira a rubare Blaine a Kurt per ovvi motivi, tipo che non sono ancora insieme!) ma spero di aver riprodotto al meglio la sua bastardaggine (voi che dite?)


Rachel invece penso mi sia venuta sufficientemente petulante e responsabile XD


Lo so che ci ho messo un secolo ad aggiornare, colpa di una certa odiosa cosetta chiamata “simulazione di terza prova” che risucchia la mia voglia di fare qualsiasi cosa.


Detto ciò, volevo ringraziare tutte coloro che hanno recensito, inserito la storia fra i preferiti o fra le seguite o le ricordate. Grazie a tutte!


Non potete immaginare il sorriso trentadue denti che avevo nel leggere le vostre recensioni!


yu_gin







coming next:


«Zietta, che succede?» chiese.

«Stai calmo, Kurt, va bene? Siediti e prometti di non agitarti.»

«San, mi sto agitando.»

«Non farlo. Non sei da solo, ci siamo io e Finn e, per quanto tuo fratello non sia realmente pericoloso, ha la stazza per sembrarlo, mentre io ho delle lamette nascoste fra i capelli.»

«Che diavolo sta succedendo?»

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** sorry, I may be in love with you ***


A Lima Side Story




Capitolo 3: sorry, I may be in love with you



«Sei stato promosso? Ma è fantastico!» esclamò Finn.

«Già. Ora dovrei prendere cinque dollari in più al giorno» disse. Finn sembrava entusiasta, ma per lui era solo una rogna. Significava dover essere gentile con i clienti, sorridere, rimanere sempre vigile per il terrore di incrociare qualche frequentatore dello Scandals.

«Non ho ancora capito: perché ti hanno promosso?»

«A quanto pare un cliente ha parlato bene di me al capo.»

«Un vero colpo di fortuna.»

«Già» disse, anche se quel giorno “fortunato” era l'ultima cosa che pensava di essere.

Kurt finì di cuocere gli hamburger e li mise sui piatti insieme all'insalata e a del formaggio. Finn era già seduto a tavola e cominciò a mangiare come se non toccasse cibo da un mese.

«Mangia più piano. Se continui così ti strozzerai» disse, puntandogli contro la forchetta.

«Non fare la mamma!» esclamò. Subito dopo abbassò lo sguardo: «Scusa.»

«Non fa niente» assicurò.

«Lo dici spesso, ultimamente. “Non fa niente” o “non è niente” o “tutto okay”. Lo dici così spesso che non riesco più a crederci. Soprattutto se dopo fai quelle facce.»

«Ma dai, Finn! Davvero, non è-»

«Niente? Senti, forse non sarò perspicace come Santana, né un mago dei sentimenti. Non sono neppure bravo a tirare fuori le frasi giuste al momento giusto e lo sai, perché mi conosci. Però sai anche che io per te ci sono sempre. Siamo fratelli, no? Qualsiasi cosa ti succeda riguarda un po’ anche me. Quindi ti prego, se c'è qualcosa che non va, parlamene. Anche se dovesse essere imbarazzante.»

«Anche se si trattasse di un ragazzo?» chiese.

Finn ebbe un sussulto. Aveva ancora qualche problema a parlare con naturalezza di ragazzi con suo fratello. «Anche se si trattasse di un ragazzo.»

Kurt sorrise perché sapeva quanto costasse a Finn. «Grazie. Mi fa piacere sentirtelo dire, anche se penso che Santana sarebbe più utile in materia. Senza offesa, ovviamente.»

«Ma c'è effettivamente qualcosa sotto?»

«C'è un ragazzo, sì. Ma dire già dire che c'è è dire troppo. Diciamo che è passato, mi ha sconvolto la vita e se n'è andato. Per poi riapparire dal nulla e sparire di nuovo, pensando con due parole di risolvere tutto.»

«Scusami, non riesco proprio a seguire quello che stai dicendo. Di chi diavolo stiamo parlando?»

«Di nessuno» disse, alzandosi da tavola. Il suo hamburger era ancora a metà. «Finiscilo tu, se vuoi.»

Finn non se lo fece ripetere due volte e si appropriò della cena del fratello.

Kurt raggiunse la propria camera e si gettò a letto. Ora voleva solo dormire.



Blaine si gettò nel suo letto e, nemmeno due secondi dopo, Sebastian gli era praticamente sopra.

«Seb, mi spieghi che stai facendo?»

«Ti convinco a confessare. Anche se, effettivamente, se ti dico “parla o ti stupro” potresti preferire la seconda opzione ed io non otterrei il mio scopo. Quindi direi: “parla, o ti ammazzo di solletico finché non vomiti”.»

Blaine si alzò, spingendo via Sebastian. «E se non mi andasse?»

«Avanti! Sono o non sono il tuo migliore amico? Ho più esperienza sessuale di tutti i Warblers messi insieme e fortunatamente per te giochiamo nella stessa squadra. Di certo mi sono già ritrovato in una situazione simile alla tua.»

Blaine sbuffò: «Voglio risolvermela da solo.»

«Non ce la farai, te lo dico io. Sei un completo inetto in fatto di storie d'amore. Non hai mai avuto neppure un ragazzo, al massimo hai sbaciucchiato qualche ragazzina alla medie. Quindi: parla.»

«Ti ho detto di no.»

«C'entra il commesso di questo pomeriggio?»

Blaine si voltò a guardarlo sconvolto: «Ma sono circondato da dei maledetti vampiri leggi-mente?»

«No, ma è così semplice capire cosa passa per la tua testolina mononeuronica che è come se ti leggessi nella mente» disse. «Comunque, tornando al commesso...»

«Ma perché insisti! Non ne voglio parlare e... non ne posso parlare.»

«Non puoi? Avete fatto qualcosa di illegale? Guarda che la fornicazione omosessuale non è più reato da un bel po', se consenziente e fra maggiorenni.»

«Ma perché devi ricondurre sempre tutto al sesso? Non è successo niente del genere. Non ci siamo neppure baciati, né siamo usciti insieme. Niente.»

«Ma lo conosci.»

Blaine abbassò lo sguardo: «Era così evidente?»

«Quando ti ha visto ho pensato si sarebbe messo a piangere. Ti ha guardato come se fossi il suo ex marito tornato per rubargli la custodia dei figli.» Era un po' eccessivo forse, ma rendeva l'idea.

«Non sono affari tuoi.»

«Neanche questa volta? Prima il ragazzo dello Scandals, poi il commesso di GAP e poi chi altro, forse-» Sebastian si fermò, improvvisamente illuminato da luce divina. «Fermi tutti. Il ragazzo dello Scandals èil commesso di GAP» esordì trionfante. «Ecco perché, tutto torna! E si spiega anche perché ti abbia guardato come se fossi un assassino di micetti: l'hai insultato senza neppure conoscerlo.»

«Non l'ho insultato! Gli ho fatto avances esplicite un po' troppo invadenti, ma ero ubriaco.»

«Il fatto di essere ubriaco non è una scusante. Punto primo perché se ti ubriachi con una o due birre, beh amico, non dirlo in giro. Secondo, perché l'alcol fa uscire il nostro vero essere. Era tua precisa intenzione fargli delle avances, solo non ne avevi il coraggio.»

«E' esattamente quello che mi ha detto lui» ammise.

«Sei proprio un idiota, Blaine Anderson. Secondo me si vedeva che gli piacevi. Se non ti fossi bruciato questa occasione forse ora avresti un appuntamento per la tua prossima serata libera.»

«Non dirmelo.»

«Te lo dico, invece. Chissà, magari la prossima volta ti sveglierai.»



Quel giorno Kurt era stranamente in orario. Lui e Finn uscirono di casa con qualche minuto di anticipo. Finn guidava verso lo Scandals cercando di intavolare una conversazione, ma suo fratello sembrava meno reattivo di un opossum.

«Ehi, coso, hai visto che siamo in orario? Niente spogliarello in macchina oggi» disse, cercando di tirargli su il morale.

Kurt sollevò gli occhi dai propri stivali e fissò il fratello accennando ad un sorriso: «Urrà.»

«So io cosa posso fare per tirarti su il morale» disse, accendendo la radio.

Kurt riconobbe la canzone fin dalle prime note e sorrise, rivolgendosi al fratello che, con aria particolarmente idiota, stava intonando:



Hey Jude don’t make it bad,

Take a sad song and make it better,

Remember, to let her into your heart,

Then you can start to make it better.



Si schiarì la voce e cominciò a cantare con lui:



Hey Jude don’t be afraid,

You were made to go out and get her,

The minute you let her under your skin,

Then you begin to make it better.



A quel punto Finn si mise a fare una cosa molto stupida. Iniziò a dimenare il posteriore e scuotere la testa come un indemoniato, facendo ridere Kurt e continuando a cantare:



And anytime you feel the pain,

Hey Jude refrain,

Don’t carry the world upon your shoulders.



Lasciandosi dietro ogni dignità Kurt lo imitò:



For well you know that it’s a fool,

Who plays it cool,

By making his world a little colder.



E concludendo insieme cantando a squarciagola:



Naaaaah-nah-nah-nanana-naaaah! Nanana-naah!

Hey Jude!



Scoppiarono a ridere, ignorando i colpi di clacson della macchina dietro di loro.

«Hai visto che alla fine ti ho fatto ridere?»

«La tua faccia quando canti in macchina farebbe ridere anche Santana durante i giorni di ciclo intenso» disse, asciugandosi le lacrime. «Grazie, Finn.»

«Di niente. Sono qui per questo, no? E poi i Beatles erano la band preferita della mamma.»

Arrivati allo Scandals, Finn parcheggiò l'auto ed entrarono. Si salutarono all'ingresso e, mentre Finn si dirigeva verso il bancone, Kurt andò verso i camerini. Non appena entrò fu assalito da Santana che, già pronta per il numero, lo afferrò per le spalle.

L'espressione che aveva sul viso non gli piacque per niente.

«Zietta, che succede?» chiese.

«Stai calmo, Kurt, va bene? Siediti e prometti di non agitarti.»

«San, mi stai facendo agitare.»

«Non farlo. Non sei da solo, ci siamo io e Finn e, per quanto tuo fratello non sia realmente pericoloso, ha la stazza per sembrarlo, mentre io ho delle lamette nascoste fra i capelli.»

«Che diavolo sta succedendo?»

«Non so bene come dirtelo ma... di là, seduto ai tavoli... c'è Karofsky.»

Kurt sentì il mondo crollargli addosso.



Finito lo spettacolo avrebbe voluto defilarsi in maniera anonima così da non dover parlare con Dave.

L'aveva visto, durante lo spettacolo. E lui aveva visto che l'aveva visto. Tuttavia nessuno avrebbe potuto accusarlo di maleducazione se non fosse andato a salutare un caro vecchio amico che aveva la fortuna di non vedere da mesi, ormai.

E se Dave fosse stato un tantino più assennato, avrebbe evitato di avvicinarlo in prossimità dell'uscita e di rivolgergli la parola.

«Ehi, Kurt, è passato un bel po’. Col tempo sei diventato ancora più carino.»

«Karofsky. Qual buon vento.»

«Ora mi chiami per cognome? Pensavo fossimo andati ben più in là di queste stupide formalità.»

«Se non mi sbaglio è per questo dissidio di opinioni che è finita.»

«E' successo molto tempo fa» gli ricordò.

«Un anno. Scusa, ma per me non è abbastanza» disse, tentando di allontanarsi.

Dave lo afferrò per il polso: «Non te ne andrai così in fretta.»

«Ah no?» si voltò verso di lui, questa volta con fare aggressivo. «Intendi con la stessa velocità con cui te ne sei andato tu? Intendi così in fretta da non lasciarmi neppure il tempo di capire cosa fosse successo?»

«Ho sbagliato. Sono tornato per chiederti scusa, se me ne darai modo.»

«Non voglio le tue scuse, Dave. Voglio che tu te ne vada dalla mia vita, ora che sembra andare tutto bene.»

«E questo lo chiami bene? Lavori come spogliarellista in un locale di periferia, poi di sicuro ti ammazzerai con un secondo lavoro mattutino. Fammi indovinare: cameriere al Lima Bean?»

«Commesso GAP» ammise, a testa bassa.

«Mentre tuo fratello scommetto che a parte mischiare coca-cola light e acqua tonica con un bel sorriso etero sul volto non ha altre abilità utili per trovarsi un lavoro. Un lavoro vero.»

«E' la mia vita, mia e di mio fratello. Non ti deve riguardare.»

«Ma può. Mio padre ha un'azienda e potrebbe dare un lavoro a tuo fratello. Potresti lasciare questo posto e cominciare una vita vera. E magari un giorno fare anche l'università.»

«Non voglio la tua elemosina.»

«Non sarebbe elemosina.»

«Sarebbe un pagamento? Vuoi che venga a letto con te e in cambio darai un lavoro a mio fratello? Mi spieghi che differenza c'è fra quello che mi proponi e quello che faccio?»

«C'è la differenza che non è “vendersi”, se lo fai con uno che ti piace.»

«E chi ti dice che mi piaci?»

«Mi sembrava fosse abbastanza chiaro, un tempo. Vuoi forse dirmi che è tutto cambiato? Hai detto che un anno è troppo poco: significa che ti piaccio ancora.»

«Non se ne parla, Karofsky.»

Dave lo afferrò per una spalla, evidentemente seccato dalla sua cocciutaggine. Finn si alzò da dietro il bancone e gli lanciò un'occhiata minacciosa. Il ragazzo lasciò andare la spalla di Kurt e alzò le mani:

«E' chiaro che qui non si può parlare in pace, tuo fratello è sul punto di volermi uccidere e la tua amica lesbica sembra del tutto intenzionata a castrarmi. Perché non andiamo fuori?»

Kurt annuì. Lanciò uno sguardo a Santana e seguì Dave fuori.



Santana si rivolse a Finn:

«Beh, stai lì a guardare mentre quel bisonte della prateria calpesta il cuore di tuo fratello e lo usa come berretto? Ma sei un uomo o un bambolotto gonfiabile?»

«Non rompere, Santana! Non so neppure io cosa fare.»

«Te lo dico io: vai lì e gli spacchi il naso.»

«Non posso, e lo sai bene. E può essere che anche Kurt voglia parlarci, o l'avrebbe già allontanato.»

«L'hai visto anche tu che l'ha afferrato per una spalla!»

«E l'ha anche lasciato. Sarà anche più piccolo di noi, ma non è più un bambino. Ha diciotto anni, ormai, quasi diciannove. Sa decidere per se stesso.»

«Dire che un cuore infranto è in grado di pensare lucidamente è come affermare che un ubriaco può guidare!»

Finn strinse con forza lo strofinaccio che aveva in mano, mentre faceva lavorare le meningi. «Va bene, facciamo così. Gli do qualche minuto. Se Kurt non torna dentro, vado io fuori a parlargli.»



«Già meglio, non trovi.»

«Fa freddo» disse Kurt, stringendosi nella propria maglietta troppo leggera.

«Vuoi che ti scaldi?» disse, allargando le braccia.

Kurt lo fissò combattuto. Ricordava bene quanto aveva amato gettarsi fra le sue braccia, lasciarsi stringere forte e sentirsi amato. Ricordava anche il suo goffo modo di fargli i complimenti, i suoi pessimi baci che miglioravano col tempo, i suoi regali sempre sbagliati...gli era piaciuto davvero. Ma il punto era: gli piaceva ancora?

«Torno dentro.»

«Aspetta, Kurt!» esclamò l'altro. «Ti prego, dammi un'altra possibilità! Ho sbagliato, lo so, sono stato un completo idiota, ma ero ancora alle superiori! Si fanno tante idiozie alle superiori. Ora invece sono un uomo migliore: sono qui per chiederti scusa.»

Kurt lo fissò stupito. Dave non chiedeva mai scusa. Non seriamente.

Certo, se gli pestava il piede mentre si baciavano o se per sbaglio gli dava una gomitata mentre erano in autobus o se si dimenticava di riportargli un libro che gli aveva prestato, gli diceva uno scusa veloce, quasi sovrappensiero. Ma non chiedeva mai scusa seriamente. Non era il tipo.

L'aveva fatto solo un'altra volta, da quando si erano conosciuti. E quella volta lui l'aveva perdonato.

«Mi dici che cosa vuoi da me?» chiese Kurt.

«Voglio che torni ad essere il mio ragazzo. Voglio ricominciare da capo e rimediare a tutti gli errori che ho fatto in passato.»

«Hai una minima idea di cosa ho passato l'anno scorso?» gli gridò contro.

«Lo immagino.»

«No! Non lo puoi immaginare se non l'hai vissuto sulla tua pelle. Non dirmi che lo puoi immaginare perché non sai neppure di cosa sto parlando.»

Dave abbassò lo sguardo: «Siamo stati bene insieme, finché è durato, questo non lo puoi negare. Eravamo soli e ci siamo trovati. Può essere di nuovo così. Forse non so cos'hai provato l'anno scorso, ma so cosa si prova ad essere soli e so che è una sensazione orrenda. Questa volta sarà diverso: non siamo più al McKinley, non siamo più il giocatore di football e il ragazzino gay. Siamo due ragazzi qualunque e a nessuno importa nulla di noi.»

Kurt avrebbe voluto gridargli di sparire perché le sue frasi da quattro soldi poteva infilarsele in un ben determinato luogo, ma non disse nulla perché riconosceva nelle parole di Dave parte di ciò che pensava. Era sempre stato solo e sapeva quanto orrenda fosse la sensazione di vuoto che questo comportava.

Dave gli si avvicinò fino a posargli una mano sulla spalla. Kurt non si ritrasse a quel contatto. Rimase immobile e lasciò che Dave lo abbracciasse.

«Mi sei mancato, lo sai?» gli sussurrò ad un orecchio, prima di avvicinare le sue labbra a quelle di Kurt.

In quel momento la porta del locale si aprì e Finn vide la scena, inorridendo:

«Ehi, tu! Che cazzo credi di fare.»

Dave si voltò seccato: «Cerco un po' di intimità, problemi?»

«Sì, se la cerchi con mio fratello.»

«Credo che il tuo fratellino sia abbastanza grande per decidere da solo. E a me sembra che abbia scelto.»

«Kurt, è così?» chiese Finn.

Kurt si voltò verso di lui: «Finn, io-»

«Non ci posso credere! Dopo quello che ti ha fatto? Avrei fatto meglio ad ascoltare Santana.»

«Perché, cosa diceva quella sgualdrina?»

«Diceva di fare questo» disse, tirando un pugno in faccia a Karofsky. Dave cadde a terra ma si rialzò subito, scagliandosi contro Finn. Kurt si frappose fra loro, cercando di separarli.

«Smettetela! Non c'è motivo di prendersi a pugni!» gridò. «Dave, ti sarei grato se non pestassi mio fratello. E tu Finn, non metterti in mezzo.»

«Non metterti in mezzo, mi dici? E cosa mi dirai quando ti ritroverai a piangere sul divano o a bruciare gli hamburger perché sei troppo impegnato a soffiarti il naso o quando passerai ore appoggiato alla parete della doccia a singhiozzare? Mi dirai di farmi gli affari miei?»

«Non succederà» disse, speranzoso.

«Succederà, invece. E io ci sarò, ci sarò sempre e tu lo sai. Ecco qual'è la differenza fra me e lui. Fra Santana e lui. Noi ti vogliamo davvero bene. Impara a riconoscere i veri amici, Kurt. Forse prenderai meno cantonate» disse Finn, tornando nel locale.

Rimasti soli, Dave si pulì il sangue che gli colava dal naso.

«Mi dispiace. Lui non-»

«Non gli piaccio e lo capisco. Se vogliamo trovarci, dobbiamo farlo lontano da tuo fratello.»

Kurt annuì.

«Hai detto che lavori da GAP. Quand'è che stacchi?»

«Finisco alle cinque.»

«Passo a prenderti domani. Prendiamo qualcosa in un bar e intanto parliamo. Abbiamo ancora molte cose da chiarire.»



Il viaggio di ritorno trascorse nel più completo silenzio. Finn e Kurt non si guardarono negli occhi neppure per un istante. Una volta a casa ognuno andò nella propria camera senza neppure augurare la buona notte all'altro.

Nel letto freddo, Kurt si ritrovò a sospirare.

Mi domando quando arriverà il mio turno per essere felice. Quando finalmente passerò dal lato giusto di Lima.




N/A


Per prima cosa mi scuso per il ritardo. Ieri ero convintissima di aver pubblicato il capitolo invece – dopo aver passato mezza serata a litigare col codice html – ho scoperto questa mattina che non l'avevo pubblicato...

Forse il karma vuole punirmi per qualcosa (non voglio indagare)


Ed eccoci al terzo capitolo, nel quale fa la sua entrata in scena Dave!

Che ve ne pare di lui? Le cose vanno un po' diversamente che nell'originale, ma bisogna tener conto che nella fiction Kurt non ha mai conosciuto Blaine alle superiori.


Voglio ringraziare tutte voi che commentate, seguite o che avete inserito fra i preferiti. Ad ogni recensione saltello come una fangirl!


E un grazie alle mie due beta: MeMedesima, con cui sfogo i miei deliri da klainer da mesi, ormai, e Alessandra, una mia amica che non ha mai visto neppure una puntata di Glee (e fino a qualche giorno fa neppure sapeva che faccia avessero gli attori) ma il cui aiuto mi è stato prezioso. Come occhio esterno.


Detto ciò, il quarto capitolo è già pronto e aspetta solo di essere corretto e dovrei riuscire ad aggiornare venerdì (html e computer permettendo).

A presto!


yu_gin!



coming next


Kurt ebbe un tuffo al cuore.

Attraversò la strada correndo, facendo inchiodare una macchina.

«Sei venuto, alla fine.»

«Pensavi non l'avrei fatto?»

«Avevi dei precedenti.»

«Te l'ho detto: sono cambiato. Anche grazie a te.»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** nice to meet you, again ***


A Lima Side Story





Capitolo 4: nice to meet you, again



Blaine si svegliò nel proprio letto con una scomoda compagnia. Sbuffò stizzito, già sapendo chi fosse l'intruso.

«Seb, quante volte ti ho detto di non intrufolarti nel mio letto?»

«Non ti ho fatto niente, verginello. È solo che le stanze della Dalton sono così fredde!»

«E tu sei così maledettamente appiccicoso.»

Sebastian si alzò dal letto, sistemandosi i capelli con la mano. «Che ore sono?»

Un'occhiata all'orologio bastò per far balzare entrambi giù dal letto.

«Si può sapere perché non mi hai svegliato?» sbraitò Sebastian, togliendosi il pigiama e correndo in bagno.

«Per lo stesso motivo per cui non mi hai svegliato tu. Maledizione!» Blaine gettò il pigiama sul letto e cercò i vestiti che avrebbe indossato. Il vantaggio della divisa era che almeno non doveva perdere tempo a scegliere gli abbinamenti. Sebastian uscì dal bagno con un asciugamano attorno alla vita e nient'altro.

«Hai anche perso tempo a farti la doccia?»

«Sebastian Smythe dev'essere sempre perfetto. Sia mai che incontri un bel pezzo di manzo nella strada da qui all'aula di scienze.»

Blaine stava prendendo possesso del bagno e insieme abbottonandosi la camicia quando la porta della stanza si aprì. Un ragazzo imbarazzantemente biondo fece capolino nella stanza.

I due si voltarono a guardarlo: «Jeff?»

«Oh, scusate ragazzi, non volevo interrompere le vostre coccole post-coito.»

«Non ci stiamo facendo coccole post-coito. Non c'è stato nessun coito!» protestò Blaine.

Jeff lanciò un'occhiata al letto disastrato di Blaine, poi a quello perfettamente integro di Sebastian. «Come preferisci. Non spettegolerò di questo coi Warblers per i prossimi cinque minuti» disse, estraendo dalla tasca il suo iPhon e facendo loro una foto. «Volevo solo dirvi che siete in ritardo e che questo pomeriggio si prova. Ordini dall'alto.»

«Wes e David?»

«Precisamente. Buone coccole pre-coito, allora.»

«Non abbiamo nessuna intenzione di-»

Jeff chiuse la porta prima di doversi sorbire le scuse di Blaine e il suo grido “non ci sarà nessun coito”.

«Non posso dargli torto. Se io avessi un compagno di stanza come me penso che scoperei tutti i giorni» disse Sebastian, togliendosi l'asciugamano dalla vita e regalando a Blaine una panoramica delle sue natiche.

Blaine alzò gli occhi al cielo e raggiunse il bagno.

I due ragazzi riuscirono ad arrivare in tempo alla prima lezione solo perché il professore si era attardato in caffetteria. Presero posto in penultimo banco.

Dietro di loro Jeff si sporse e chiese: «Allora, avete recuperato momento di intimità che avevo interrotto?»

«Brillantemente» rispose Sebastian, nonostante le proteste di Blaine. «Se vuoi la prossima volta puoi unirti a noi.»

«Scusa, ho altri gusti.»

«Ah, capisco, a te piace solo Nick» rispose, mettendo a tacere il biondino, al quale il compagno di banco stava giusto chiedendo: “perché Seb mi ha nominato?”

Sebastian seguì i primi due minuti di lezione in silenzio, poi si rivolse a Blaine.

«Ora parliamo di cose serie.»

«Come per esempio la lezione di scienze?»

«Ho detto serie, non noiose. L'argomento di oggi sarà: come recuperare il commesso GAP in cinque facili mosse.»

«No.»

«Non hai neppure sentito la prima. Ti assicuro che le prime quattro sono pure legali nello stato dell'Ohio!»

«Non ne voglio parlare.»

«Tu non vuoi mai parlare di niente. Quasi quasi cambio compagno di stanza.» Si voltò verso Jeff: «Ehi, biondino, vuoi essere il mio nuovo compagno di stanza.»

Nick si frappose fra loro: «Ehi, giù le zampe dal mio coinquilino.»

Sebastian contrasse le labbra in un ghigno: «Molto etero» ridacchiò prima di voltarsi. «Tornando a noi, poiché a quanto pare dovrò accontentarmi di te, non demorderò finché non mi lascerai organizzarti un appuntamento.»

«Va bene. Ma NON durante l'ora di scienze. Né durante quella di storia e di letteratura.»

«Ma durante le prove dei Warblers non posso chiacchierare senza beccarmi una strigliata da David!» protestò.

«Facciamo così: finite le prove usciamo, andiamo in un bar e lì potrai torturarmi a tuo piacere, va bene?»

«Niente negozio GAP?»

«Niente negozio GAP.»

Per ora.


Quando l'orologio del negozio segnò le cinque, Kurt finì di ripiegare il maglione che aveva in mano e poi si diresse verso il retro del negozio. Lì lasciò giù il cartellino e prese giacca e borsa.

Non appena uscì dal negozio, il vento invernale gli fece tremare le gambe.

Si guardò intorno e, dopo poco, lo vide: dall'altra parte della strada, appoggiato alla propria auto, Dave lo stava aspettando.

Kurt ebbe un tuffo al cuore.

Attraversò la strada correndo, facendo inchiodare una macchina.

«Sei venuto, alla fine.»

«Pensavi non l'avrei fatto?»

«Avevi dei precedenti.»

«Te l'ho detto: sono cambiato. Anche grazie a te.»

Kurt gli diede una pacca sulla spalla come per dire “smettila di fare il melenso”.

«Ti porto da qualche parte?»

«Andiamo al Lima Bean. Lì potremo parlare in pace e bere qualcosa di caldo» propose Kurt.

«Salta in macchina» gli rispose e il ragazzo prese posto sul sedile del passeggero.

Non appena salì l'odore di Dave gli entrò nelle narici. Era cambiato, ma non di molto. Deodorante per uomini, birra rovesciata, un arbre magique probabilemente all'eucalipto e-

«Fumi?» chiese, riconoscendo l'inconfondibile odore di tabacco.

«Ho cominciato, ma sto cercando di smettere.»

«Pensavo che col football non potessi-»

«Ho smesso di giocare a football. Ora faccio solo palestra. Niente football.»

Niente spogliatoi maschili, niente docce in comune, niente allenamenti a stretto contatto con altri ragazzi della tua età con degli addominali da paura, pensò Kurt. Neppure lui deve aver avuto una grande annata, sentenziò, arricciando il naso.

«Scusa per la puzza» disse Dave, quando lo vide. «Questa mattina ho lasciato l'auto aperta sperando che passasse, ma ormai anche i sedili hanno preso questo pessimo odore.»

«Non fa niente. La nostra macchina puzza di lacca per capelli, pizza stantia e cavoli. Tutta colpa di Finn che una volta-» si interruppe. Forse non era una mossa saggia tirare in ballo Finn. Non dopo il litigio che avevano avuto la sera prima.

«E così lavori da GAP» disse Dave, nella speranza di cambiare argomento. «Non mi sorprende che ti abbiano preso: scommetto che con il tuo sorriso attiri un sacco di ragazzine, pronte a comprare qualsiasi cosa piegata da te.»

«In realtà, fino a ieri lavoravo nel magazzino.»

«Inaspettata promozione?»

«Già, ho aiutato due ragazzi a trovare delle tute per un numero di danza e a quanto pare uno dei due è figlio di uno che conta e conosce il proprietario. Così gli ha consigliato di promuovermi e quello... l'ha fatto!» disse, alzando le mani e gesticolando.

«Lo fai ancora, vedo.»

«Uh?»

«Intendo, gesticolare con le mani. Le tue mani potrebbero parlare per te. Se te le tagliassero saresti muto.»

Kurt rise: «Già, me lo dicono spesso. Che ci posso fare? Baby, I was born this way!» disse.

Dave parcheggiò davanti al Lima Bean ed entrarono. Presero un caffè a testa, una fetta di torta e un muffin, poi si sedettero l'uno di fronte all'altro ad un tavolino.

Chissà cosa pensavano di loro gli altri clienti del bar. Dave aveva un aspetto estremamente virile, sia per il fisico, sia per il modo di vestire, di parlare, di atteggiarsi. Nessuno avrebbe mai potuto sospettare che fosse gay. Lui invece era consapevole di non essere la quint'essenza della virilità: fisico magro e slanciato, tratti delicati, mani curate, un nasino alla francese e la pelle più bianca di quella di un bambino.

Dovevano sembrare una coppia davvero assurda. A pensarci bene però non gliene importava: anche perché quello non era un vero appuntamento. Erano solo due vecchi amici – beh, magari un po' più che amici – che si ritrovavano per chiacchierare, per chiarirsi, per raccontarsi.

«Allora, Dave, hai detto che sei cambiato in quest'anno. Comincia a dimostrarmelo raccontandomi cosa ti è successo che ti ha fatto cambiare.»

«Non pensi che prima sarebbe opportuno parlare di quello che è successo tempo fa?»

No, Kurt non pensava che fosse opportuno.

Faceva ancora troppo male.


...

Dave lo spinse contro l'armadietto, facendolo cadere.

«Si può sapere che vuoi da me?»

«Niente, mi dà solo fastidio la tua vista» disse, continuando verso gli spogliatoi.

Kurt si rialzò da terra e lo inseguì:

«Sai che ti dico? Purtroppo per te frequentiamo la stessa scuola, quindi se ti dà fastidio la mia vista hai due opzioni: o cambi scuola o ti foderi gli occhi di prosciutto, così non mi vedrai più. In entrambi i casi mi faresti solo un favore.»

«Osi anche rispondermi? Anche ora che non c'è più il tuo fratellino a difenderti?»

«Oso! Perché sai una cosa? Tu potrai anche picchiarmi. Potrai farmi un occhio nero, coprirmi di lividi, mandarmi all'ospedale. Ma io mi rialzerò ogni volta e ti giuro che non cambierò mai. Non il mio modo di vestire, non il mio modo di parlare. Niente. Puoi colpirmi, ma non puoi cambiarmi!»

«Sta' zitto!»

«Sei un bambino che ha paura di ciò che è diverso da lui, diverso dalla norma. Io non ho paura di te, ma tu?»

«Io-» Dave si voltò verso di lui, alzando il pugno per colpirlo. Kurt fece per ripararsi ma – il pugno non arrivò. Alzò lo sguardo e vide Karofsky appoggiato all'armadietto dello spogliatoio. Si copriva il volto con una mano. Stava piangendo.

«Karofsky? Ma stai-»

«Ecco, va' a dirlo a tutta la scuola! Karofsky che piange come una femminuccia!»

«Non andrò a dirlo proprio a nessuno. Anzi, non me ne vado da qui finché non mi dici che ti prende.» Che diavolo stava succedendo?

Dave alzò lo sguardo. I loro occhi si incrociarono.

«Prima mi hai chiesto perché ce l'ho con te. Vuoi proprio saperlo? Una volta per tutte?»

«Voglio saperlo.»

«Ti invidio. Tu sai perfettamente come sei... cosa sei.»

«Intendi gay?»

«Tutto. Intendo dire che tu hai le idee chiare: vuoi diventare una star grazie alla tua voce, vuoi guadagnare abbastanza da comprarti un appartamento lussuoso, scommetto che vuoi sposare un uomo bello ed elegante, con buon gusto in fatto di vestire e che ti faccia felice.»

Kurt strabuzzò gli occhi. Effettivamente sì, quello era il suo sogno. Pensava al giorno in cui avrebbe sposato l'uomo che amava e con cui avrebbe vissuto. Pensava a quando il letto non gli sarebbe più sembrato freddo e inospitale. Pensava a quando Lima sarebbe stata solo una realtà lontana, un brutto ricordo e nulla di più.

«Già, questi sono i miei sogni. Ma dubito riusciranno a diventare realtà. Viviamo a Lima, in Ohio. E' tanto se riuscirò a trovare un lavoro che non sia alla friggitrice del McDonald. Non so neppure se riuscirò a finire la scuola, visto che io e mio fratello non sappiamo più come tirare avanti con il suo solo stipendio e con i risparmi che abbiamo.»

«E tutto questo non ti butta giù?»

«Non ne hai idea. Ed è per questo che ogni giorno mi presento qui brillante e sorridente, pronto a dare il meglio di me. Perché se cedessi un giorno, un giorno solo, non riuscirei più ad alzarmi. Se una sola volta dessi retta ai tuoi insulti e compissi l'errore di rimanerci male, allora tutto mi crollerebbe addosso.»

Dave deglutì prima di chiedere: «Fa così tanto male?»

«Da morire. E non è il dolore fisico o i lividi. È il pensiero che quello che fai è ingiusto e stupido e inutile e si vede che non piace neppure a te. Facendo male a me, stai ferendo anche te stesso. Tutti ci perdono ed è solo colpa tua.»

«Scusa» disse.

Kurt lo guardò incredulo. Forse aveva sentito male.

«Scusa, per gli spintoni, per gli insulti, per le granite, per i vestiti che ti ho rovinato, per i lividi. Scusa per tutto. Se l'ho fatto è stato solo per rabbia contro me stesso. Perché non avevo mai trovato il coraggio di fare ciò che più desideravo.»

«E cioè?»

«Questo» disse, prendendo il suo viso fra le mani e baciandolo.

Kurt rimase immobile, attonito. Non capiva neppure se stesse succedendo davvero. Sapeva solo che quello era il suo primo bacio e – Karofsky era gay?

Certo, si sarebbe spiegata così la sua esagerata omofobia e il suo odio particolare verso di lui. Odio... forse quella non era la parola esatta.

Non appena si rese conto di quello che stava accadendo, allontanò Dave, spingendolo con forza.

«Che diavolo stai facendo? Non puoi passare dal picchiare le persone a... a baciarle!»

«Lo so e ti chiedo scusa. È solo che volevo farlo da troppo, davvero troppo tempo.»

Kurt non poté fare a meno di sentirsi lusingato. D'altra parte però non poteva accettare il suo comportamento. No, avrebbe dovuto insultarlo e spingerlo via, oppure uscire dallo spogliatoio e sbandierare a tutta la scuola ciò che aveva scoperto, rovinando la reputazione del suo peggior nemico.

Invece rimase fermo immobile coprendosi la mano con la bocca.

Il suo primo bacio. Quello era il suo primo bacio ed era successo così in fretta che neppure se ne era accorto. Ed era successo con la persona sbagliata.

«Che c'è, il gatto ti ha mangiato la lingua?» chiese Karofsky.

«Dammi almeno il tempo di recepire la cosa! Maledizione!» Nella sua testa si stavano affollando una marea di pensieri, e nessuno di questi aveva pienamente senso.

Si sedette su una delle panche e prese un bel respiro. Doveva uscire da quella situazione. Poteva scappare e tutto sarebbe ritornato come prima. Poteva rivelare il segreto di Karofsky ma cosa sarebbe successo se nessuno gli avesse creduto? Di sicuro sarebbero stati ancora più crudeli con lui.

Calma, Kurt, ragiona. Qual'è la cosa migliore da fare? Qual'è quella più giusta?

«E' chiaro che hai le idee confuse» disse infine.

Dave alzò gli occhi al cielo.

«Molto confuse, aggiungerei. Immagino che tu non sia pronto per un coming out, e d'altra parte mi sembrerebbe prematuro. Forse però è il caso che tu ne parli con qualcuno. Ad esempio la signorina Pillsbury...» azzardò.

«Non se ne parla! Non lo deve sapere nessuno, mi hai capito?» disse con fare minaccioso. Poi, resosi conto di avergli puntato contro il dito, si allontanò stringendosi le spalle. «Intendo dire, non vorrei che la strizzacervelli andasse a dirlo ai miei. Non so come la prenderebbero.»

«Okay, niente consulente. In questo modo però non saprei proprio come aiutarti.»

Una soluzione ci sarebbe, pensò Kurt, ma non sono sicuro di farcela.

Poi però pensò che, se riusciva a risolvere il problema di Karofsky, forse anche lui avrebbe cominciato ad essere più gentile con lui e tutto sarebbe stato più semplice.

Aiutando lui, aiuto anche me stesso.

«E' solo un'idea. Io te la dico e tu prometti di rispondere senza che picchiarmi o minacciarmi?»

Dave annuì.

«Che ne dici se ci troviamo dopo scuola, dove preferisci, e parliamo di questo tuo-» ruotò più volte la mano in attesa che la parola giusta arrivasse.

«Scomodo segreto?» suggerì.

«Quello che è. Che ne dici?»

Lo sto facendo davvero? Sto aiutando il mio peggior nemico invece che ridergli in faccia e rovinargli la vita come lui ha fatto con me? Sono completamente idiota. Dov'ero quando la fata della malvagità è passata a distribuire la sua dote? Ah già, dimenticavo, non esiste la fata della malvagità.

«Dico che si può fare. Ma in un posto dove nessuno possa vederci insieme. Dev'essere un bar sconosciuto, lontano dalla scuola, ad un orario in cui ci sia meno gente possibile.»

Kurt sospirò, trovandolo un po' ridicolo. «Come preferisci. Passi a prendermi tu?»

«Non è mica un appuntamento!» protestò. Lo sguardo del ragazzino però parlava chiaro. «Va bene. Fatti trovare alla fermata dell'autobus dopo il Glee club. Passo a prenderti. Cerca di essere discreto.»

«Lo sai che non so essere discreto. Baby, I was born this way» disse, alzando le spalle.

Prima di puntargli il dito contro con fare minaccioso, Dave sorrise.


...

«E così è cominciato tutto. Siamo usciti insieme quella volta, nonostante io rifiutassi di chiamarlo appuntamento. Siamo usciti ancora tante, tante altre volte.»

«Intanto tu hai smesso di picchiarmi e insultarmi e pian piano hanno smesso anche gli altri.»

«Intanto la nostra amicizia diventava più che amicizia, finché un giorno...»

«Finché non mi hai chiesto ufficialmente di diventare il tuo ragazzo.»

«E tu hai detto di sì.»

Kurt sospirò. In realtà non sapeva perché l'aveva fatto. Non amava Dave. Gli piaceva e, dopo aver cominciato ad aprirsi con lui, trovava piacevole passare il tempo insieme. Non era neppure male fisicamente, anche se non era esattamente così che aveva immaginato il suo uomo ideale.

In realtà dentro di sé, sapeva bene perché aveva accettato: si sentiva tremendamente solo e desiderava avere un ragazzo più di ogni altra cosa – tranne forse sfondare nel mondo della musica. Aveva accettato perché Dave era il primo ragazzo gay che conosceva, il primo che lo avesse baciato, il primo che gli avesse chiesto “ti vuoi mettere con me?” Poi però aveva cominciato a sentirsi sempre più legato a lui e per un po' si era illuso di amarlo.

Kurt non aveva mai amato nessuno. Non sapeva cosa si provasse e, stoltamente, pensava che sentirsi attratti da una persona fosse anche solo vagamente paragonabile all'amarla. Sbagliava, ma non poteva saperlo.

«Sono stati dei bei mesi, non puoi negarlo» disse Dave.

«Tanto belli, quanto furono brutti i successivi» disse Kurt.

«Ti ho già chiesto scusa per questo.»

«Dave, devi capire che a volte non basta chiedere scusa. Non puoi fare quello che vuoi e poi dire “scusa, mi dispiace” con la faccia da orsacchiotto e contare sul fatto che io ti perdonerò, perché sono il più grande idiota di tutta la terra.»

«Non sei un idiota» disse Dave. «Sei solo dannatamente buono; sei forse l'unica persona veramente buona che abbia mai conosciuto e non devi pensare che questo sia un difetto. Essere buoni non è un difetto.»

Kurt sorrise: «Capito il concetto.»

«E cosa devono fare quelli che sbagliano? Ho sbagliato, ma voglio rimediare. Ti prego, dammi una seconda possibilità.»

«In realtà quella di prima era già la tua seconda possibilità. Ricordi? Gli spintoni, gli insulti, le scritte sull'armadietto...questa sarebbe la terza.»

«Fa differenza?»

«Effettivamente no» ammise. «Non per un idiota come me.»

Dave sorrise, cercando la sua mano sul tavolino. «Lo sapevo! Allora possiamo rimetterci in-»

«Non così in fretta. Se dobbiamo ricominciare, facciamo le cose con calma.»

Dave parve un po' deluso, ma alla fine alzò le spalle: «Forse hai ragione. L'ultima volta non ha funzionato perché siamo andati troppo in fretta.»

Tu sei andato troppo in fretta, avrebbe voluto dire Kurt. Tu hai detto...hai detto quelle cose orribili.

No, l'avrebbe perdonato e sarebbe stato tutto diverso.

In fondo Dave mi piace. Forse un giorno, chissà, riuscirò anche ad amarlo.

La loro conversazione fu interrotta da una voce prorompente:

«Ehi, ma guarda com'è piccolo il mondo!»

Kurt sollevò lo sguardo e...

Oh no.

Se il suo primo sguardo fu per i capelli assolutamente perfetti di Sebastian, in piedi di fronte a loro, il secondo sguardo fu per gli occhi di Blaine.

L'espressione che aveva sul volto era indescrivibile. C'era un messaggio di scusa, come a dire “non volevo disturbarti” e “che diavolo sto facendo” e “Sebastian, che diavolo stai facendo”.

E qualcos'altro.

Qualcosa come: “che bello vederti qui.”



N/A


Casa mia è piena di moscerini. Che cavolo gli sarà preso? E soprattutto, perché sembrano trovarsi particolarmente a loro agio nella mia camera, in particolare sullo schermo del computer dove scrivo?


E questo era il capitolo 4, in cui si comincia a parlare di cosa c'è stato fra Kurt e Dave. Un passo per volta.

Spero vi sia piaciuta la parte iniziale, perché io mi sono divertita un sacco a scriverla!

Adoro a tal punto Jeff e Nick che sono arrivata a chiedere ad una mia amica di inserirli in una sua fanfiction!


Detto ciò, faccio i dovuti ringraziamenti alla mia beta (MeMedesima) che mi ha consigliato lo spoiler da mettere a fine capitolo.

Il prossimo aggiornamento si farà un po' attendere, per i soliti motivi (scuola, ispirazione vacante, lettura di Dalton che risucchia ogni mio minuto libero).


yu_gin





coming next:


«Blaine, qualcuno là in alto è a favore della tua scopata.»

«Cosa te lo fa credere?»

«Vedo male, o quel nasino alla francese mi risulta familiare.»

Blaine si voltò di scatto: «Kurt?»

«Te l'avevo detto: probabilmente siete il OTP di qualche dio pagano.»

«Non penso proprio.»

«E perché?»

«Non è solo.»

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** can I have a second chance? - maybe a third? ***


A Lima Side Story





Capitolo 5: give me a second chance – maybe a third




Mentre Blaine guidava, Sebastian continuava a cambiare stazione radio alla ricerca di qualche canzone che fosse di suo gusto. Non trovando pane per i suoi denti, spense la radio e sbuffò.

«Ora mi lasci prendere le redini della tua vita per riportarla in carreggiata?»

«Non mentre guido.»

«Non durante scienze, non durante storia, non durante letteratura, non alle prove. Da quando i migliori amici ricevono su appuntamento?»

Blaine si voltò a guardarlo «Da quando i migliori amici cercano di trovarti un ragazzo con più insistenza di tua madre?»

«Dubito che tua madre ti getterebbe fra le braccia di un uomo. Continua ancora a organizzare cene con i colleghi di tuo padre e le loro brufolosissime figlie? Ah, dimenticavo, non hai ancora fatto coming out quindi ovviamente continuano a cercarti una ragazza.»

«Già. E pensano che avere un compagno di stanza gay possa traviarmi. Se non fosse per la posizione di tuo padre e tua fama immeritata di bravo ragazzo, probabilmente mi avrebbero già ritirato dal dormitorio.»

«Al contrario di te, non mi sono fatto tanti problemi a dirlo ai miei. All'inizio erano un po' sorpresi – come dar loro torto, con un figlio così virile – poi l'hanno semplicemente accettato. Ed ora mi porto a letto chi mi pare.»

«C'è una cosa chiamata “larghe vedute” o “mentalità aperta”. Non tutti i genitori ne sono dotati. Nella fattispecie, i miei di certo non lo sono. Una volta mi hanno sentito canticchiare I want to break free e mi hanno quasi messo in punizione perché cantavo “quella musica da froci”.»

«Neppure gli avessi cantato YMCA!» protestò Sebastian.

«In tal caso penso mi avrebbero direttamente buttato fuori di casa.»

L'altro ridacchiò, immaginandosi l'amico nel bel mezzo di un'esibizione in stile Village People.

«Non è divertente. Se dovessero scoprirlo...»

«-se dovessero scoprirlo e dovessero cacciarti di casa verresti a stare da me. Te l'ho già detto. Mia madre non avrebbe problemi ad ospitarti e la nostra casa è così grande che una camera per te, nella stanza più remota della torre più alta la troveremmo di sicuro.»

«Mooolto spiritoso» ribatté.

«Ora mi lasci organizzare la tua rappacificazione col Commesso GAP.»

«Il commesso GAP ha un nome.»

«Detto anche Ragazzo dello Scandals?»

«Si chiama Kurt. E se vuoi saperlo, penso sia un bel nome.»

«Cavoli, pensavo fossi cotto, invece sei già bruciato» disse, annuendo pensieroso.

«Blatera di meno ed esponi i tuoi maledettissimi cinque punti.»

«Okay, punto numero 1: chiedergli scusa.»

«Già fatto.»

Sebastian lo guardò sorpreso: «E quando?»

«Quando ci hai lasciato soli al negozio.»

«Mi prendi in giro? Lì al massimo puoi avergli detto: “Ero ubriaco, di solito non sono così.” Questo non è chiedere scusa. Chiedere scusa implica fare qualcosa per farsi perdonare.»

«Ad esempio?»

esempio chiedergli se vuole uscire per un caffè così da poter parlare con calma. E solo allora avresti completato il primo punto.»

«E il secondo?»

«Una volta completato il primo punto devi riuscire ad ottenere il suo numero di telefono. Se te lo da significa che ti ha perdonato, o comunque che è interessato. Una volta ottenuto il numero devi cominciare a scrivergli, così che diventi naturale parlare con lui.»

«Okay, e il terzo?»

«Beh, pivellino, arriva al secondo, poi ti darò una mano a proseguire verso la conquista di quel culo da favola.»

«Possibile che ti riconduca sempre tutto al sesso?»

«Non essere ipocrita, Blaine. Alla fine tutto riconduce sempre al sesso, è che la maggior parte delle persone non ha il coraggio di ammetterlo. Io non lo nego e vivo in pace con me stesso. Dovresti farlo anche tu.»

Blaine schioccò le labbra scettico e guidò fino al Lima Bean. Parcheggiò l'auto e entrò nel bar assieme a Sebastian. Ordinarono un caffè a testa e Blaine si concesse il lusso di un muffin al cioccolato. Stavano giusto andando a sedersi quando l'amico lo afferrò per una spalla.

«Blaine, qualcuno là in alto è a favore della tua scopata.»

«Cosa te lo fa credere?»

«Vedo male, o quel nasino alla francese mi risulta familiare.»

Blaine si voltò di scatto: «Kurt?»

«Te l'avevo detto: probabilmente siete la OTP1 di qualche dio pagano.»

«Non penso proprio.»

«E perché?»

«Non è solo.»

Guardando meglio si accorsero che effettivamente seduto al tavolo con lui c'era un altro ragazzo. E non sembrava un amico qualsiasi o uno sconosciuto con cui scambiare due parole. A meno che Kurt non fosse abituato a tenere gli sconosciuti per mano in quel modo.

«Andiamocene. Salutarlo sarebbe troppo imbarazzante.»

«Fermo dove sei: davvero hai paura della concorrenza dell'orso Yogi? Dico, l'hai visto? Per quanto ti ritenga una creatura del bestiario tolkeniano, meglio un hobbit che un troll delle montagne! Scommetto che appena ti presenterai a lui, scaricherà in un nanosecondo il camionista mancato e si getterà fra le tue braccia.»

«Kurt non è quel tipo di persona.»

«Chi lo sa, magari da ubriaco si “lascia andare”» disse, canzonandolo.

«E poi ho troppa paura di quel tipo: è il doppio di me. Se Kurt mi ha fatto un occhio nero, quello mi spezza il collo.»

«Disse il ragazzo che faceva boxe da quando aveva dodici anni. Andiamo!»

Vedendolo ancora titubante lo afferrò per un braccio – quasi facendogli rovesciare il caffè bollente – e lo trascinò verso il tavolino dov'era seduto Kurt insieme allo sconosciuto.

«Ehi, ma guarda com'è piccolo il mondo!» esclamò, destando l'attenzione di Kurt. Sebastian notò compiaciuto come se il primo sguardo del ragazzo fu di sorpresa e rivolto a lui stesso – il secondo fosse diretto diretto a Blaine. Allora non ho visto sbagliato al negozio GAP.

«Sebastian. Blaine. Che sorpresa» esclamò Kurt. Non sembrava particolarmente felice. Piuttosto, imbarazzato.

«Stavamo giusto andando a sederci quando ti abbiamo visto e così siamo passati a salutarti e a ringraziarti. Le tute sono piaciute molto e aspettiamo con impazienza le altre.»

«Penso arriveranno in settimana» disse. Sebastian notò come lo sconosciuto avesse voltato la testa, cercando di passare inosservato. Piuttosto difficile, data la sua massa corporea.

«Ma che scortesi! Non ci siamo neppure presentati!» esclamò, allungando la propria mano verso lo sconosciuto: «Io sono Sebastian e lui è Blaine, il mio compagno di stanza.»

Blaine fece un timido cenno con la mano.

«Dave» rispose, stringendogli la mano.

«Scusate, non avremo interrotto qualcosa?» chiese.

«Beh...» esitò Kurt. «Non direi che-»

«Meno male! Ho pensato solo dopo che forse volevate un po' di privacy.»

«Oh no, nononono. Io e Dave siamo amici. Solo amici» ci tenne a precisare. Sebastian non poté fare a meno di notare la faccia di Dave quando Kurt disse “solo amici”. Di certo non era la faccia di uno che considera l'altro “solo un amico”.

«Non è incredibile, ritrovarsi di nuovo in due giorni?»

Tre, pensò Blaine, ma non disse nulla. Incrociò per una frazione di secondo lo sguardo di Kurt, che doveva aver pensato la stessa cosa.

«Già, si vede che Lima è proprio una piccola città» disse Kurt.

«Beh, allora ci vediamo! Non appena le tute saranno pronte. A proposito, non è che mi lasceresti il tuo numero? Così potrai dirmelo senza che debba fare giri a vuoto.»

«Oh, non c'è problema» disse Kurt. Gli scrisse il numero su un tovagliolo e glielo passò. Lo sguardo di Dave alla risposta di Kurt era abbastanza esplicito. Sprizzava gelosia. Era talmente evidente da risultare quasi imbarazzante. Sebastian sorrise compiaciuto e intascò il tovagliolo.

«Più tardi ti faccio uno squillo, così saprai il mio numero. Alla prossima!» disse, portandosi via Blaine.

«Che diavolo ti è saltato in testa! Provarci così spudoratamente davanti al suo ragazzo.»

«Punto primo: io flirto con chi mi pare e piace. Punto secondo: quello non era il suo ragazzo, ci potrei scommettere il mio blazer. E terzo: intanto ho il suo numero.»

«Insomma, il punto secondo è stato raggiunto.»

Sebastian lo guardò contrariato: «E chi ha detto che ti darò il suo numero? Tu non hai capito una cosa: non vale niente ottenerlo da terzi, dev'essere lui stesso a dartelo. E sogni se pensi che te lo dirò. Devi sudartelo.»

Blaine sbuffò: «Prima dici di volermi aiutare, poi invece mi complichi la vita.»

«Mio piccolo, piccolo amico, non hai neppure idea di quanto ti sarò d'aiuto.»

«E come?»

«Beh, secondo te chi manderò a prendere le tute, la settimana prossima?»



«E quelli chi erano?» chiese Dave.

«Erano quelli che ho incontrato al negozio ieri. Due ragazzi simpatici. Penso facciano la Dalton, sai, quell'accademia maschile» divagò.

«Non mi piaceva il modo in cui parlava quello alto. Sembrava... sembrava che ci stesse provando!»

«Ma no, Sebastian fa sempre così.»

«E da quant'è che lo conosci per dirlo?»

«Andiamo, non sarai mica geloso?»

Dave scosse la testa: «Ma per favore! Di chi dovrei essere geloso? Di uno spocchioso figlio di papà e di un tappo con i capelli unti?»

«Non sono unti!» protestò, forse troppo veementemente per passare inosservato. «Intendo dire, un sacco di ragazzi usano il gel. Non posso certo parlare io che abuso della lacca per capelli.»

«Come vuoi, ma sono contento che se ne siano andati. Anche perché sono solo dei ragazzini viziati: non hanno nulla in comune con noi e probabilmente non avremmo avuto nulla di cui parlare. Siamo su due mondi distinti.»

«Due mondi distinti che continuano ad incrociarsi.»

«Certo, perchè loro continuino a guardarci dall'alto in basso» disse, quasi con disprezzo.

Kurt avrebbe voluto dire che non era giusto da parte sua generalizzare così e che il fatto di essere nati in una famiglia ricca non li rendeva in automatico dei viziati. Poi però si rese conto che era quello che aveva pensato la prima volta che aveva parlato con Blaine.

Blaine era stato decisamente poco carino, ma era ubriaco, in fondo. E probabilmente voleva davvero baciarlo e l'alcol gli aveva semplicemente dato il coraggio di farlo. Ma ciò significava solo che-

Gli piacevo. Ha sbagliato, certo, ma io gli piacevo.

«Tutto bene?» chiese Dave.

«Tranquillo. È solo che ormai si sta facendo tardi e io devo tornare a casa.»

«Ti accompagno in macchina» gli assicurò.

Uscirono dal bar e Dave si mise al volante. Furono molto silenziosi, fino a quando Kurt non disse:

«Fermati qui.»

«Ma è ancora lontana casa tua!»

«Non voglio che mio fratello ti veda» disse.

Dave annuì: «Giusto, non gli vado a genio.»

Eufemismo!, pensò Kurt.

Assorto nei suoi pensieri non si rese conto che Dave si stava sporgendo verso di lui. Prima che potesse fermarlo, le loro labbra si erano già sfiorate. Nulla di strano, non era certo il loro primo bacio e di certo ce ne erano stati di meno casti. Però quando sentì le mani di Dave farsi strada sui suoi fianchi, stringerlo da sopra la maglietta, mentre le loro ginocchia cominciavano a farsi troppo vicine – allora allontanò l'altro più delicatamente possibile e disse:

«Devo andare.» Non attese risposta. Slacciò la cintura e balzò giù dalla macchina.

Camminò a passo spedito verso casa senza mai guardare indietro.

Non appena varcò la soglia, vide Finn fare capolino dalla cucina:

«Ehi, sei tornato tardi.»

«Ho-ho perso l'autobus» inventò.

Finn non credette neppure per un secondo alla sua scusa. Capì subito che doveva essersi visto con Karofsky, o non gli avrebbe mentito.

«Ho cominciato a preparare la cena. Sarà pronto fra circa mezz'ora.»

«A dire la verità non ho molta fame» disse.

«Ultimamente ti succede spesso. Devi mangiare, o uno di questi giorni sverrai a metà serata e Santana mi accuserà di farti patire la fame.»

Kurt si lasciò convincere e si sedette a tavola. Vedere Finn ai fornelli poteva essere assai divertente, quando non era snervante. Aveva quel fare impacciato che adorava, che gli dava quel senso di familiarità. Era tutto ciò che rimaneva della loro famiglia e non voleva perderlo.

Per certi versi mi ricorda Blaine. Si sorprese ad averlo pensato. Perché gli era venuto in mente lui in un momento come quello?

Poi ripensò ad una cosa che aveva detto Blaine al negozio GAP.

«Ehi, Finn, per caso ti ricordi se due sere fa, allo Scandals, hai parlato con un ragazzo nuovo. Uno basso con i riccioli neri.»

«Aspetta... ora me lo ricordo. Sì, sì, un gran chiacchierone. Gli sono bastati due bicchieri di birra per cominciare a raccontarmi la storia della sua vita. A sentirlo raccontare mi veniva da pensare che in fondo noi non ce la passiamo male!»

«Perché, cosa ha detto?»

Finn si sentì un po' a disagio: «Non penso che vorrebbe che lo andassi a dire in giro. Erano cose private e se non fosse stato ubriaco non avrebbe mai parlato.»

«Sono tuo fratello! A me puoi dirlo, mica andrò a raccontarlo in giro.»

«Non insistere! È... è l'etica dei baristi, sai, come il giuramento di Ipparco-»

«Ippocrate»

«-quello che è – per i medici. Ascoltiamo ma non riferiamo. Tranne alla polizia, dopo che ci ha minacciati di farci chiudere il locale.»

«Dovresti smetterla di guardare polizieschi» protestò Kurt.

Finn rise: «Non prendertela. Se proprio sei curioso potresti sempre parlare con lui, quando tornerà. Aveva davvero l'aria di uno che aveva bisogno di parlare con qualcuno e penso che tu potresti capirlo. Vi trovereste bene insieme.»

«Veniamo da mondi diversi.»

«Non ne sarei così sicuro» disse Finn, girando la zuppa pronta nella pentola.

Quella sera, quando Kurt andò in camera sua dopo aver augurato la buona notte a suo fratello, prima di dormire diede un'ultima occhiata al cellulare. C'erano due messaggi, che risalivano poco prima.


21:07

Ehi splendore, sono Sebastian.

Questo è il mio numero. Ci vediamo presto!


Sorrise e lesse il secondo, riconoscendo il medesimo numero.


21:11

Dimenticavo, non ho interrotto niente oggi, vero? Ho pensato che magari lì per lì non volessi dirlo...spero di non essere stato inopportuno.


Kurt rispose:


21:35

Stai tranquillo. Siamo davvero solo amici.


Poco dopo ricevette un nuovo messaggio.


21:36

Dalla faccia che ha fatto il tuo “amico” non sembrava.


21:37

E' una lunga storia.


21:37

Me la racconterai?


21:39:

Chissà, prima vorrei riuscire a capirla io stesso. Poi, se sarai ancora interessato, te la racconterò e tu ti farai quattro risate.


21:40

Non vedo l'ora. Notte!


«A chi stai scrivendo?» chiese Blaine, sporgendosi dal libro di letteratura inglese per spiare il compagno di stanza.

«Sto sondando il terreno.»

«Non mi dire che stai scrivendo a Kurt?»

«Certo che sì. Ho buone notizie per te: a quanto pare non è molto preso dal suo presunto “solo amico”. È confuso. Quindi è il momento giusto per agire, prima che quel lottatore di sumo non orientale trovi il modo di convincerlo a mettersi con lui.»

Blaine fece finta di disapprovare i metodi subdoli del compagno.

In realtà cominciò a fantasticare e senza nemmeno accorgersene Oscar Wilde e le sue commedie passarono in secondo piano nella sua scala delle priorità.



Note:

OTP: one true pairing. Termine del fandom per indicare la coppia che più amate.




N/A


Maledette graminacee.

Vi odio tutte.


E questo era il capitolo cinque. Allora, piaciuto? Vi prego, non odiate troppo Dave, in fondo lui vuole davvero tornare con Kurt. Le sue intenzioni sono buone anche se inevitabilmente finisce per mettersi in mezzo. E poi l'odio fa male e fa venire le rughe. Si avvicina la primavera...vogliamoci tutti più bene! (fine parentesi)


Grazie a tutte voi che recensite e/o avete inserito la storia fra le preferite (10) o le seguite (38!).

Come direbbe Dave, I'm so happy right now!


Al prossimo aggiornamento! (venerdì?)


yu_gin


PS: com'è la nuova impaginazione? Quella di prima mi faceva impazzire, ma non so se questa è abbastanza chiara e se è faticosa da leggere.




coming soon


Blaine si rivolse a Sebastian:

«Cosa gli risponderai?»

«Gli dirò di aspettarmi questo pomeriggio. Ma non ci andrò.»

«Ah no?»

«No. Ci andrai tu, al posto mio.»

Blaine strabuzzò gli occhi: «Da solo?»

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** why do you make me act up? ***


A Lima Side Story



Capitolo 6: why you make me act up?



Kurt rimase a lungo a fissare lo schermo del cellulare, anche dopo che Sebastian aveva smesso di scrivergli.

Era rimasto vago sulla sua storia con Dave anche perché era davvero troppo complicata per essere spiegata in un messaggio. Come aveva detto, doveva ancora capirla lui stesso.

Era riuscito a dimenticare tutto quell'anno. O meglio, non a dimenticare, ma a smettere di pensarci ogni notte. Aveva trovato un po' di pace e questo gli bastava.

Ora invece i ricordi gli tornavano inevitabilmente in testa come se fossero accaduti il giorno prima.

Si sorprese nel constatare che certe ferite non si erano ancora rimarginate.


La musica era così alta che Kurt quasi non sentiva la propria stessa voce, figurarsi quello che gli diceva Dave. Provò a leggere le sue labbra, ma la testa gli girava già un po' e non riusciva a mettere a fuoco ciò che cercava di dirgli. Lo prese per un braccio e lo trascinò in disparte:

«Cosa c'è?» chiese.

«Ti avevo chiesto se volevi bere qualcosa.»

«Niente alcol. Se mio fratello lo scopre non mi lascia uscire per il prossimo mese!»

Dave lo accompagnò al bancone, dove il barista, un uomo grosso e un po' cupo, chiese loro cosa volessero.

«Mi ordini una coca light? Io vado un attimo in bagno.»

Si diresse verso il bagno degli uomini. Aprì appena la porta e la richiuse all'istante, imbarazzato. C'erano due uomini in bagno. In atteggiamenti molto intimi.

Non gli sembrava il caso di interrompere le loro effusioni e poi – detto molto sinceramente – non ci teneva ad assistere allo spettacolo. Lo spaventava parlare di sesso, figurarsi vederlo dal vivo!

Si guardò intorno: non c'era nessun altro. Aprì la porta del bagno delle donne: libero. In fondo, era solo una pipì veloce e poi di donne, allo Scandals, ce n'erano ben poche. Entrò nel bagno e si chiuse in uno dei gabinetti.

Si compiacque di constatare che, al contrario di quelli degli uomini, i gabinetti femminili erano decisamente più puliti e le scritte volgari erano... beh, meno volgari, oltre che meno numerose. Dopo che ebbe finito andò ai lavandini per lavarsi le mani, quando la porta del bagno si aprì.

Entrò una donna alta con lunghi capelli neri che le incorniciavano il volto olivastro. Era vestita di un rosso che la faceva sembrare ancora più appariscente. Kurt si chiese cosa ci facesse la sorella di Lucifero nel bagno dello Scandals.

«E tu, che diavolo ci fai qui?» chiese contrariata.

«Emh...»

«Non dirmi che non sai leggere: hanno sostituito apposta la scritta “lady” con la figura!»

«No, è che... di là... si, insomma ci sono-»

«Aaah, ho capito. Scopata in corso. Beh, in tal caso hai fatto bene» convenne. Lo guardò meglio e sospirò: «Dimmi, ma almeno ce li hai diciotto anni?»

«Da un mese» disse, non senza un certo orgoglio.

La donna si coprì il viso con la mano: «Mio Dio, sembri un orfano Disney uscito per magia dal VHS» disse.

Dall'espressione che assunse Kurt al sentire quelle parole, la donna capì di aver detto una parola di troppo.

«Oh mio Dio, scusa, non intendevo... volevo dire che non sei il genere di persona che ci si aspetta di trovare qui. Non è che ti sei perso?»

«Sono qui con il mio ragazzo. Più o meno.»

«Più o meno sei qui o-»

«Più o meno è il mio ragazzo. Mi piacerebbe capirlo, ma la chiarezza non è il suo forte.»

«Uomini! E dopo mia nonna mi chiede perché sono passata all'altra squadra!» esclamò.

Kurt sorrise. Nonostante a prima vista gli fosse sembrata il diavolo in minigonna, quella donna lo aveva messo a suo agio.

«Io sono Santana» disse, allungandogli la mano.

«Kurt» rispose.

«Beh, Kurt, non me ne intendo di uomini, ma il tuo dev'essere proprio un idiota: fossi in lui non ci penserei due volte a dire “quello è il mio ragazzo”.»

Kurt arrossì. Non era abituato a ricevere quel genere di complimenti.

«Non dirmi che non te l'hanno mai detto?»

Scosse la testa.

«Capisco: purtroppo al liceo si trovano quasi solo idioti omofobi e cheerleader in uniforme. Nessuno che sappia apprezzare. Mentre qui...» Lo fissò pensierosa.

«Qui?»

«C'era un ragazzo che ti somigliava parecchio. Era poco più grande e per mantenersi negli studi lavorava qui allo Scandals.»

«Barista?»

«Spogliarellista» disse, e sul suo volto comparve uno strano ghigno. A Kurt non piacque per niente.

«Perché me lo dici?»

«Perché ora quel ragazzo ha trovato un altro lavoro. E il posto da spogliarellista è vacante.»

Kurt strabuzzò gli occhi: «Starai scherzando, spero?»

«Di solito quando scherzo sono offensiva.»

«Io dovrei- ma tu sei matta! Non riesco neppure ad immaginarmi io che-» si coprì la faccia con le mani. «Mio Dio! Non riuscirò più a togliermi quest'orrenda immagine per tutta la sera.»

«Sei proprio un verginello» disse, ridendo. «Ma è proprio per questo che potresti farlo. Sono certa che riusciresti benissimo a unire quella tua aria candida a qualche mossa sexy. Avresti un successone.»

«Non se ne parla. Io... io non vendo il mio corpo!» protestò.

«E' un lavoro come un altro.»

«No, non lo è. È squallido e non lo farò mai.»

Santana sorrise, facendo esasperare Kurt che aveva la netta sensazione che quella donna non lo stesse minimamente ascoltando.

«Facciamo così» disse, prendendo un foglio di carta da mani dal distributore. Aprì la borsa e ne prese un pennarello. Vi scrisse sopra un numero e, prima che Kurt potesse dire qualcosa, glielo ficcò nella tasca dei pantaloni.

«Se ci ripensi, sai chi chiamare. Hai un bel culetto, sarebbe un peccato sprecarlo.»


Dave accostò poco lontano da casa sua. Si voltò a guardarlo e sorrise: era bellissimo. Si era vestito semplicemente: una maglietta bianca, dei jeans stretti e scarpe da ginnastica, eppure era dannatamente attraente, anzi, forse quell'aria sbarazzina lo rendevano ancora più sexy ai suoi occhi.

Dave non voleva assolutamente che li vedessero, così finivano sempre per ritrovarsi in luoghi squallidi e desolati, che a Kurt mettevano i brividi.

«Beh, io allora vado» disse Kurt, slacciandosi la cintura.

«Aspetta! È ancora presto.»

«Dave, mio fratello probabilmente mi sta aspettando. Se ritardo ancora mi farà una ramanzina sul fatto che sono ancora un ragazzino e poi mi chiederà con chi sono uscito.»

Dave si irrigidì: «E tu non glielo dirai, vero?»

«No. Per ora. Ma prima o poi si farà insistente e vorrà sapere con chi passo le mie serate, soprattutto se faccio così tardi.»

«Hai diciotto anni. Puoi fare quello che vuoi.»

«Già, ma lui è la mia famiglia e non mi piace avere segreti con lui. Se solo me lo lasciassi dire-»

«Non se ne parla. Non lo deve sapere nessuno.»

«Finn non lo andrebbe certo a sbandierare in giro. Sa cos'ho passato io e non ti farebbe la stessa cosa.»

«Dici? Secondo me penserebbe “la giusta punizione per Karofsky”. Mi odia ancora, di certo non immagina che mentre lui mi considera un bastardo senza cuore il suo fratellino se la spassa con me.»

«Non dire così. Lo fai sembrare squallido. Soprattutto se poi non hai neppure il coraggio di dirlo in giro. Non hai neppure il coraggio di dire che siamo almeno “amici”.»

«Kurt, sono nella squadra di football! Come credi mi tratterebbero se sapessero che mi piacciono i ragazzi?»

«Più o meno come tu hai trattato me gli anni scorsi?»

«Ti ho già chiesto scusa per quello» disse, quasi offeso.

«Sì, hai ragione. Non so-non so neppure perché ho tirato fuori questo discorso.»

Era sul punto di andarsene quando Dave lo baciò di nuovo, questa volta con più enfasi, perché sapeva che dopo avrebbe dovuto lasciarlo.

Difatti, non appena si allontanarono, Kurt prese la sua borsa e aprì la porta: «Ci vediamo a scuola.»

«A domani» disse.

Quando rientrò in casa, trovò Finn seduto sul divano. Aveva la testa fra le mani e il volto arrossato.

«Finn, tutto bene?» chiese. «Oh mio Dio, hai pianto!» esclamò, sedendosi affianco a lui sul divano.

«Scusa, non volevo farmi trovare così.»

«Non scusarti. Dimmi cos'è successo.»

«Mi dispiace Kurt, mi dispiace tantissimo.»

«Finn, ti prego, non farmi preoccupare oltre.»

Cosa poteva essere successo? Di certo nessun morto, visto che, al di fuori di loro due, non avevano nessun altro parente o amico o conoscente affezionato. I loro genitori erano morti da un anno e Kurt non aveva ancora dimenticato la notte in cui era successo. Non aveva dimenticato il nodo alla gola che l'aveva preso quando aveva visto Finn in lacrime, incapace di dirgli cosa fosse successo.

Non poteva sopportare di vederlo così.

«Ti prego-»

«Ho perso il lavoro» disse.

«Cosa?»

«Mi hanno licenziato. La fabbrica era in perdita e hanno dovuto fare dei tagli. Ero l'ultimo assunto, quello con meno esperienza.»

«Dai, vedrai che riuscirai a trovare-»

«Un altro posto? E dove? Ho passato tutto il giorno a sfogliare giornali e a girare per la città alla ricerca di un posto come commesso, aiuto-cuoco, spazzino... qualsiasi cosa! Nulla. Non so cosa fare, Kurt! Io-» Si voltò verso di lui e l'abbracciò. Kurt lo strinse forte. «Avevo promesso a papà che qualsiasi cosa fosse successa avrei saputo mantenerti almeno fino al diploma. Ora... non so neppure se riusciremo ad arrivare a fine mese.»

«Non è colpa tua Finn. Tu hai sempre fatto del tuo meglio.»

«E non è stato abbastanza.»

«Finn, hai diciannove anni, non quaranta. Non puoi chiedere a te stesso più di quanto non chiederesti ad un altro ragazzo della tua età.» Si sforzò di sorridergli, accarezzandogli la schiena. «Insieme riusciremo a trovare una soluzione. Forse potrei cercarmi un lavoro...»

«No! Devi finire la scuola, prima. Se non ti riuscissi a diplomare non me lo perdonerei mai e poi mai.»

«Ma se fosse un lavoro pomeridiano...»

«Neppure. Di pomeriggio devi studiare. E poi te l'ho detto: non si trova lavoro da nessuna parte. Non c'è soluzione.»

Kurt lo fissò pensieroso. Gli tornò in mente l'incontro di quella sera con Santana. In tasca aveva ancora il suo numero. Abbassò la testa e disse:

«Forse so dove trovare un lavoro. Pagano bene e sarebbe di sera.»

«Davvero? Ma è fantastico! Dici che mi assumerebbero?»

Kurt si schiarì la voce: «Non penso. Però prenderebbero me. Anzi, mi hanno proposto il lavoro giusto oggi.»

Finn strabuzzò gli occhi: «Ah sì? E che lavoro sarebbe.»

«Prometti di non arrabbiarti? E di non dire subito di no?»

«E come potrei, vista la situazione?»

Kurt sospirò e prese il biglietto dalla tasca. Poi sollevò la cornetta.

Dall'altra parte riconobbe subito la voce della ragazza.

«Sono Kurt» disse.

«Sapevo che avresti chiamato.»


«No!»

«Che vuol dire no?»

«Che non lo accetto.»

«Ti prego, ragiona almeno!»

«Che c'è da ragionare? Mi chiedi se mi sta bene che ti metti a fare lo spogliarellista allo Scandals? La risposta è no.»

«Te l'ho detto, non abbiamo alternativa» sbottò, esasperato. «Dave, per favore.»

«E tuo fratello... tuo fratello che cazzo fa? Ti asseconda in questa follia?»

«Ovvio che anche lui all'inizio era contrario. Alla fine però l'ho convinto. È una cosa temporanea, finché non finisco il liceo o lui non trova un buon posto.»

«Beh, forse avrai convinto lui, ma non convincerai anche me. Sei o no il mio ragazzo? Come potrei accettare di pensare che, mentre io sono a casa a dormire, una banda di vecchi bavosi ti guarda mentre ti spogli, ti tocca e – no, è troppo brutto anche solo da pensare.»

«Mi dispiace Dave. Non cambierò idea.»

«Anche se decidessi di lasciarti?»

«Te l'ho detto. Io accetto che tu nasconda la nostra relazione a tutto il mondo, tu accetta questo. Mi sembra equo.»

Dave sbuffò, grattandosi la testa. «Ci devo pensare» concluse.

«Va bene.»

«Quando cominci?»

«Domani sera.»


Non appena varcò la soglia del locale, sentì un nodo formarglisi in gola. Finn dietro di lui lo seguiva incerto. Si avvicinarono al bancone.

Kurt si schiarì la voce e disse:

«Cerco Santana.»

Il barista lo guardò annoiato: «Ammiratori?»

«No. Non direi» disse, incerto. «Dovrei parlarle. Per un certo lavoro.»

L'uomo lo guardò. Poi capì e accennò un sorriso poco rassicurante. «Credo di aver capito.» Lo squadrò dall'alto in basso. «Ha sempre buon occhio la nostra Santana. Ora te la chiamo.»

L'uomo sparì sul retro e Finn si rivolse a Kurt.

«Siamo ancora in tempo per andarcene.»

«No. Se me ne vado ora non troverò più il coraggio di tornare.»

«Sei sicuro?»

«Sì» disse. La sua famiglia l'aveva sempre protetto. Si era sempre sentito amato e coccolato – lui, il piccolino della famiglia. I suoi gli avevano dato tutto ciò di cui aveva bisogno: tempo, pazienza, amore incondizionato, anche dopo che aveva rivelato loro di essere gay. Lo stesso era stato per suo fratello, che da quando erano rimasti orfani aveva fatto del suo meglio per trasformarsi da ragazzino perdigiorno ad adulto responsabile.

Ora toccava a lui darsi da fare. Era il momento di fare la sua parte.

Pochi secondi dopo fece capolino da dietro la porta una ragazza ispanica, esuberante e splendida nel suo vestito rosso.

«Eccoti! Ti stavo aspettando. Se vieni nei camerini ti spiego cosa devi fare e ti aiuto a prepararti.»

Kurt annuì debolmente.

Santana sorrise: «Non fare quella faccia! Guardati, sei assolutamente adorabile. Sono certa che avrai un successone.»

Finn si schiarì la voce per richiamare l'attenzione su di sé. Santana lo guardò, sollevando un sopracciglio: «E tu devi essere suo fratello.»

«Già.»

«Puoi andare via tranquillo. È nelle mie mani ora.»

«Senza offesa, ma la cosa non mi tranquillizza affatto» ammise.

«Ascoltami bene» disse, posando una mano sul fianco e facendo roteare l'indice dell'altra mano. «Potrò anche sembrare una bastarda senza cuore – ed effettivamente lo sono. Ma quando dico che mi prendo cura di qualcuno, lo faccio fino in fondo. E ti assicuro che se qualcuno dovesse anche solo provare a sfiorare con un dito questo angioletto, gli farei passare la voglia di riprovarci per il resto dei suoi giorni. Capito?»

Finn deglutì: «Chiaro.»

Santana sorrise soddisfatta. «Perfetto. Vieni con me, ora. C'è ancora tanto lavoro da fare» disse, prendendolo per mano e trascinandolo via. Kurt diede un ultimo saluto a Finn prima di sparire nei camerini. Una nuova parte della sua vita stava cominciando.

Stava diventando adulto.


Blaine seguiva le lezioni con meno attenzione, ultimamente. Era il suo ultimo anno e doveva darsi da fare se voleva riuscire ad accedere ad una buona università, ma in quei giorni i suoi pensieri erano da tutt'altra parte.

Il professore di Storia stava illustrando brillantemente l'ascesa dei regimi totalitaristi in Europa, quando Sebastian gli tirò una gomitata.

«Ahi!»

«Ma smettila! Non ti ho fatto male! E tu faresti pugilato?»

«Che vuoi Sebastian? Sto cercando di seguire.»

«Come no. Non ti sei neppure accorto di aver aperto il libro di letteratura inglese invece che quello di storia.»

Blaine abbassò lo sguardo sul libri che aveva sotto il naso, aperto al capitolo dedicato a Thomas Eliot. Lo chiuse seccato e si voltò verso l'amico.

«Che vuoi?»

«Portarti belle notizie.»

«Hai finalmente deciso di cambiare stanza?»

«Offensivo, Anderson. Quasi quasi me lo tengo per me.»

«Cosa?»

«Questo SMS fresco fresco da un commesso di nostra conoscenza.»

Blaine quasi si fiondò sul suo cellulare. Lesse con apprensione le parole di Kurt:


10:34

Ciao! Volevo dirti che le tute sono arrivate questa mattina e ti aspettano in magazzino pronte per essere indossate :) Pensi di passare oggi?


Blaine si rivolse a Sebastian:

«Cosa gli risponderai?»

«Gli dirò di aspettarmi questo pomeriggio. Ma non ci andrò.»

«Ah no?»

«No. Ci andrai tu, al posto mio.»

Blaine strabuzzò gli occhi: «Da solo?»

«No, con tutti i Warblers al completo pronti a cantare una patetica serenata d'amore al tuo bel commesso. Ovvio che ci andrai da solo!»

Blaine cominciò a sentire il cuore battere con violenza nel petto. «Cosa gli dirò? Ciao, sono di nuovo io ma, te lo giuro, non sono uno stalker?»

«Gli dirai ciò che si aspetterà di sentire: “Sebastian ha avuto un contrattempo e sono venuto io al suo posto.” A prova di stupido, direi. Anzi, a prova di Blaine.»

«Forse mi stai sopravvalutando. L'ultima volta è andato tutto bene solo perché non ho detto neppure una parola.»

«Blaine, mi spieghi che vuoi da me? Che ti accompagni anche al vostro primo appuntamento, magari, che ti dia consigli sull'angolazione della lingua mentre lo baci e che vi passi il lubrificante mentre-»

«Recepito!» disse, interrompendolo prima che la sua fantasia partisse al galoppo con immagini proibite.

«Ci sono buone probabilità che vada tutto bene. Solo una cosa Blaine.»

«Ossia?»

«Non bere.»


Kurt stava consigliando ad una ragazza il colore della felpa che si abbinasse meglio con le scarpe che intendeva comprare quando vide una persona entrare nel negozio. Non di certo la persona che si aspettava di vedere.

Liquidò la ragazza con il miglior consiglio che potesse darle e si diresse verso la persona in questione. Meglio affrontarlo subito, visto che non aveva alcun dubbio sul perché fosse lì.

«Dov'è Sebastian?» chiese.

«Buongiorno Kurt, è un piacere rivederti» rispose Blaine.

Kurt si rese conto di essere stato scortese. Si morse il labbro: perché gli veniva così naturale essere acido con quel ragazzo?

«Buongiorno, Blaine. Immagino tu sia venuto per le tute» disse, incamminandosi verso il magazzino, seguito dall'altro.

«Già. Sebastian ha avuto un contrattempo. Ne ha combinata una delle sue e così è dovuto rimanere alla Dalton per risolvere la questione dal preside.» Aveva pensato ad una buona scusa per tutto il tragitto in macchina e quello era stato il risultato. Pregò che Seb non lo venisse mai a sapere o la sua vendetta sarebbe stata tremenda.

«Mi dispiace.»

«Avresti preferito lui?» chiese, un po' indispettito.

«Intendevo dire, mi dispiace che abbai avuto problemi con il preside. Ma visto che lui è sempre stato molto gentile con me... sì, avrei preferito lui.»

«Bene!»

«Benissimo!»

Rimasero in silenzio a guardarsi, in attesa che uno dei due dicesse qualcosa. Kurt distolse lo sguardo mentre fingeva di cercare con eccessiva perizia le tute. In quel momento si rese conto di cosa aveva detto, del tono in cui l'aveva detto e dell'intenzione con cui aveva pronunciato quelle parole: quella di colpire.

Si sentì uno schifo e distolse lo sguardo.

«Scusa» disse, cogliendo l'altro di sorpresa. «Io... non so davvero cosa mi prende. Di solito sono sempre gentile con tutti, anche con chi non se lo meriterebbe. Anzi, mi criticano spesso di essere troppo buono e che a volte lascio che altri calpestino i miei sentimenti ma con te – con te tiro fuori il peggio senza neppure rendermene conto. E poi mi sento come Meg Ryan su C'è posta per te. Non so perché lo faccio, ma non mi piace. Non sono io e-»

«O forse tu sei proprio così, ma quando sei con me perdi ogni inibizione e sei davvero te stesso» disse Blaine, alzando lo sguardo per vedere la sua reazione.

Kurt provò a dire qualcosa, ma poi tacque. «Forse.»

Blaine sorrise, incoraggiato. «Senti, ti ho già chiesto scusa ma ho capito che dire “scusa” non basta. È troppo semplice combinare guai e poi sperare di cavarsela con due parole. Per questo volevo chiederti si ti va di... sì, insomma, di uscire. Per un caffè. In una caffetteria. Anche perché, dove altro potremmo prenderlo un caffè?» disse, emettendo una risatina isterica.

Kurt lo guardò perplesso.

Blaine deglutì e aggiunse: «A meno che tu e il ragazzo dell'altro giorno...»

«Io e Dave siamo solo amici. Eravamo solo due vecchi compagni di scuola che prendono un caffè e chiacchierano dei tempi passati. Nulla di più.»

A giudicare da come ti teneva la mano non sembrava, avrebbe voluto aggiungere Blaine, ma sarebbe stato farsi autogoal.

«Un po' come noi, insomma. Ci prenderemo un caffè da amici. Anzi, da amici di amici» disse Kurt, osservando la sua reazione.

«Quindi il tuo è un sì?»

«Eh già» disse, sorridendo.

Blaine non aveva mai potuto constatare quanto bello fosse il suo sorriso. Sembrava un'altra persona rispetto al ragazzo che aveva visto ballare allo Scandals, o a quello seduto in caffetteria la settimana prima o anche solo a quello che lo aveva accolto in malo modo pochi minuti prima.

«Voglio capire perché mi spingi a trattarti così. E poi non ci sarebbe nulla di male in una chiacchierata fra ragazzi, no?»

«Assolutamente» disse. «Potremmo vederci domani, quando finisci di lavorare.»

«Perché no?»

Fra loro calò nuovamente il silenzio.

Okay, ora ha detto di sì. Qual'era il punto successivo nel malefico piano di Sebastian? Ah, già: il numero.

«Ora non vorrei sembrarti una specie di stalker» disse «ma potresti darmi il tuo numero? Sai, così se ci dovesse essere qualche problema, tipo, che so, un'invasione di locuste nei dormitori della Dalton o la più grande nevicata della storia di Lima – beh, potremmo sentirci per rimandare o spostare o disdire o magari-»

Non si era accorto che, mentre lui blaterava, Kurt aveva preso la ricevuta delle felpe e ci aveva scritto dietro un numero.

«Fammi uno squillo, più tardi. Non mentre guidi: non vorrei averti sulla coscienza.»

Blaine prese la ricevuta e le felpe. Uscì dal negozio con un sorriso così raggiante che avrebbe potuto fare a meno di accendere i fari anche se il tenue sole invernale era già tramontato.



A/N


Ed eccomi qui per un aggiornamento pre-pasquale.

In questo capitolo si scopre un altro po' della storia di Dave e Kurt. Certo, rimane ancora da scoprire perché si sono lasciati ma...alla fine tutto sarà rivelato!


Grazie a tutte quelle che hanno commentato o inserito la storia fra le preferite/ricordate!


Al prossimo aggiornamento (come al solito venerdì)


yu_gin





coming next:


«Kurt, tutto bene?»

«No, maledizione! Non so cosa mettere.»

«Perché tanti problemi. Vestiti come al solito, no?»

«Finn non capisci un accidente di niente!» sbottò, ricadendo sul letto sconfortato.

Finn lo guardò perplesso.

Kurt si voltò verso di lui: «Ho un appuntamento»

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Courage: you are not alone ***


A Lima Side Story



Capitolo 7: Courage, you are not alone!


«Sono orribile» disse Blaine.

«Sei fantastico. Ti darei una ripassatina prima di mandarti dal tuo bel commesso, ma rischierei di far arrivare la merce danneggiata. Invece penso che il nostro Kurt ti voglia tutto intero.»

«La smetteresti, per cortesia?» chiese Blaine, guardandosi un'ultima volta allo specchio.

«Non capisco perché non vuoi mettere la divisa della Dalton: con quella non avresti dubbi sul tuo aspetto: elegante, sobrio e poi ti dà quell'aria da bravo ragazzo... assolutamente adorabile.»

«Ecco appunto. Con quella divisa addosso mi sento uno scolaretto. E non voglio che lui pensi a me come ad un ragazzino viziato ancora aggrappato alla sicurezza della propria scuola. Non voglio sembrare-»

«Un verginello? Beh, mi dispiace Blaine, per quello ci sarebbe una soluzione, ma come ti ho già detto-»

«Niente sesso, Sebastian.»

Il ragazzo sbuffò.

«Comunque, se non vuoi dare l'impressione del ragazzo di buona famiglia – ti prego, Blaine, togliti quel papillon!»

«Non se ne parla» rispose offeso.

«Cioè, io mi faccio in quattro per procurarti un appuntamento e tu ti vesti come la marionetta di uno spettacolo per bambini. Dillo che vuoi farmi incazzare!»

«Senti, io sono fatto così, va bene? Voglio essere a mio agio quando sarò con lui. E poi sai che ti dico? Mi è sfuggito quando i papillon sono passati di moda.»

«Questo perché non sono mai stati alla moda. Non nella nostra era geologica, per lo meno» protestò. Blaine lo zittì con un gesto della mano e Sebastian lo mandò a quel paese, tornando sui libri.

«Vedi di non fare cazzate» disse, sfogliando il libro di economia.

«Andrà tutto bene» rispose Blaine.

Lo credeva davvero.


7:47

Niente invasione di locuste e le previsioni dicono che sarà bel tempo.

Sembra che la fortuna sia con noi :)


Kurt lesse il messaggio e sorrise per qualche istante, prima di ricadere nel panico più totale. Finn passò davanti alla sua stanza:

«Kurt, tutto bene?»

«No, maledizione! Non so cosa mettere.»

«Perché tanti problemi. Vestiti come al solito, no?»

«Finn non capisci un accidente di niente!» sbottò, ricadendo sul letto sconfortato.

Finn lo guardò perplesso.

Kurt si voltò verso di lui: «Ho un appuntamento» lo illuminò.

«Oh» disse Finn. Aveva paura di chiederlo, ma azzardò: «Con-?»

Kurt arrossì, vagamente imbarazzato. «Ti ricordi quel ragazzo nuovo allo Scandals? Quello che si era ubriacato? Capelli neri, occhi nocciola, piuttosto basso...»

«Ah, ho capito! Aspetta, mi sfugge il nome...»

«Blaine.»

«Giusto» disse. Poi sorrise: «E così esci con lui.»

«Non sfottere!»

«E perché dovrei? Lui sembra un bravo ragazzo ed è carino, almeno credo. In realtà non so come sia il tuo tipo ideale.»

«Non lo so neppure io» disse, sospirando.

Finn entrò nella camera e si sedette affianco a lui sul letto. «Senti, in fatto di vestiti non ti posso proprio aiutare. Né in fatto di ragazzi. Ma ti posso dire una cosa: tu sei un ragazzo fantastico. E non lo dico solo perché sei mio fratello. Anzi, in quanto fratello potrei dire che sei un rompiballe asfissiante lacca-dipendente che quando grida fa incrinare i vetri alle finestre e cadere il pelo ai gatti e molti altri improperi da fratello. Da persona a persona ti dico: va’ e sii te stesso. Scommetto che saprà apprezzarti per quello che sei.»

«Guarda che usciamo come amici. Solo come amici. Anzi, come amici di amici.»

Finn sorriso: «E chi dice il contrario?»

«Non fare quella faccia da “sì, sì, come no”: ti ho detto che siamo solo amici.»

«Senza dubbio.»

«Finn!» gridò, così forte da far tremare gli specchi di tutta la casa.


15:36

Nessun criminale ha ancora cercato di svaligiare GAP e prendere in ostaggio il commesso più carino. Quindi sembra proprio che ci vedremo questo pomeriggio.


«Anderson! Dove sei con la testa?» sbraitò Thad.

«Scusate ragazzi. Non so cosa mi prende in questi giorni.»

«Lo so io» disse Sebastian, sorridendo. «L'usignolo Blaine è innamorato.»

Un mormorio sorpreso si diffuse fra i ragazzi. Blaine lanciò un'occhiataccia a Sebastian che alzò le spalle noncurante.

«Davvero? E lei... lei chi è?»

Blaine si schiarì la voce: «Beh... lei, è una ragazza che ho conosciuto in un negozio e... abbiamo un appuntamento. Questo pomeriggio. Dopo le prove.»

«E il ragazzo non sta nelle mutande per l'emozione» concluse Sebastian. «E' una settimana che scalpita.»

«E' fantastico Blaine! Ma perché non ce l'hai detto prima?»

«Perché...» Perché non è una ragazza quella con cui uscirò oggi? Perché non volevo mentirvi? Perché ho una paura folle che mi dia buca o che mi liquidi dopo dieci minuti o che mi rovesci del caffè bollente sui pantaloni di proposito? «Perché gli ho chiesto di uscire solo ieri.»

«Le» specificò Thad.

«Cosa?»

«Si dice “le ho chiesto di uscire”. Se dici “gli ho chiesto di uscire” sembra che tu abbia appuntamento con un uomo. La grammatica, Blaine!»

«Oh, giusto. Grazie Thad.»

«Di nulla.»

«A tutti noi fa piacere che tu abbia trovato una ragazza, ma fra qualche settimana avremo quella cosa chiamata “Regionali” e se ci facciamo battere dal McKinley tua sorella ci sfotterà a vita. E tu non vuoi che accada, vero?» chiese Wes.

«Decisamente no!»

«Allora diamoci da fare, Warblers!»


Non appena Kurt uscì dal negozio lo vide.

Era dall'altra parte della strada e camminava avanti e indietro, calciando una lattina. Non appena sollevò lo sguardo da terra lo scorse e gli sorrise. Che sorriso! Se fosse stata notte probabilmente avrebbe illuminato il quartiere.

Kurt attraversò la strada e gli andò incontro.

«Hai visto? Niente cause di forza maggiore a trattenermi.»

«Mi fa piacere. Anche perché se avesse nevicato così tanto da sotterrare la Dalton, forse avrei avuto qualche problema di mobilità anch'io» disse ridacchiando.

«Ne deduco che l'invasione di locuste invece non ti avrebbe neppure sfiorato?»

«Mh... fa così Antico Testamento! Poco di classe. E poi la neve ha anche i suoi lati positivi. Le locuste no. Non sarebbe stata una bella scusa.»

«Ah, perché adesso le scuse possono anche essere belle?»

«Apprezzo le scuse originali. Se uno mi dà buca dicendo “scusa, dovevo aiutare mio zio a traslocare” mi offendo: non si è neppure sprecato ad inventare una storiella divertente.»

«Stiamo davvero parlando di scuse al nostro primo appuntamento?» chiese Blaine.

Kurt distolse lo sguardo, arrossendo per l'imbarazzo di essersi lasciato andare così facilmente. «Primo appuntamento da amici» precisò.

«Non pensavo ci fosse bisogno di specificare» rispose, sfoderando il suo sorriso da e-adesso-cosa-mi-rispondi?

Kurt scosse la testa: «Come vuoi. Dove pensavi di andare?»

«Da nessuna parte. Pensavo di sederci in un bar e... parlare. Tutto qui.» Bluffò. In realtà aveva un posto preciso in mente ma non voleva dare l'impressione di uno che aveva passato l'intera giornata a progettare il luogo, i vestiti, le cose da dire, i gesti da fare. Non voleva dare l'impressione di essere dannatamente emozionato per quell'appuntamento – come effettivamente era.

«Tutto qui? È così che organizzi i tuoi primi appuntamenti?»

«Solo quelli con gli amici» rispose.

Questo ragazzino mi sta mettendo con le spalle al muro, pensò Kurt, ma stranamente la cosa non gli dispiaceva. Anzi, lo trovava divertente.

Blaine disse di conoscere un bar non troppo lontano, così si incamminarono. Lungo la strada quasi non si parlarono. Mancava loro quel contatto visivo che faceva scattare la conversazione e così rimasero in silenzio.

«Ecco, il bar è questo» disse Blaine, fermandosi davanti ad un piccolo locale.

Kurt sorrise compiaciuto. «Mi sorprendi. Ti facevo più tipo da Starbucks.»

«Capita spesso di sbagliarsi nel giudicare. L'importante è ricredersi» disse, aprendogli la porta e facendolo entrare.

Kurt si guardò intorno: quel posto era incredibile. Le pareti erano interamente dipinte di rosso ma erano coperte per la maggior parte da quadri, fotografie e stampe. Ogni immagine appesa al muro sembrava essere stata scelta appositamente, ogni quadro sembrava essere stato dipinto con la consapevolezza che sarebbe stato appeso proprio lì.

«Ma... sono stupendi!» esclamò Kurt, sedendosi insieme a Blaine ad un tavolino.

L'altro sorrise: «Sono tutte opere di artisti emergenti, spesso rifiutati dalle gallerie o rimasti invenduti. Il proprietario conosce i pittori di persona, uno ad uno. È una sorta di mecenate: assume artisti squattrinati come camerieri finché non riescono ad emergere o a trovare un lavoro appropriato alla loro abilità e loro come ringraziamento...»

«Rendono il mio bar una sorta di galleria d'arte» concluse una voce profonda alle loro spalle.

Kurt si voltò di scatto e vide dietro il bancone del bar un uomo di media altezza ma di corporatura decisamente robusta. Era vestito sobriamente con una camicia bianca che metteva ancora più in risalto la barba nerissima che gli copriva il viso.

«Ciao Virgilio!»

«Blaine, è da tempo che non passavi a salutarci.»

«Colpevole. Ma sai, gli esami, le prove col coro...»

«Capisco. E lui è...?»

«Kurt» rispose il diretto interessato, che si riscosse dallo stato di estasi contemplativa nel quale era caduto.

«Ti piacciono?» chiese, facendo un cenno ai quadri.

«Moltissimo» ammise.

«Sei un pittore in erba?»

«Oh no. No, so a stento distinguere gli acquerelli dalla tempera. Se proprio dovessi scegliere una forma d'arte che mi si addica... direi la musica.»

«La musica?» chiese Blaine, guardandolo un po' sorpreso, un po' compiaciuto.

«Sì, mi è sempre piaciuto cantare e quando ero alle superiori cantavo nel Glee Club.»

«S-starai scherzando?»

«No, sul serio. Ero nel coro della scuola. All'inizio ci ero entrato perché c'era anche mio fratello. Ma dopo che lui ha lasciato la scuola ho continuato ad andarci e - anche se nell'ultimo periodo le cose non andavano molto bene – è stato davvero importante per me.» Nel dirlo abbassò lo sguardo.

Virgilio capì di essere di troppo, così si defilò nel retro, lasciando i due soli.

«Ti va di parlarne?»

«Non c'è molto da dire. Mio fratello andava a lavorare per mantenerci e a me sembrava stupido sprecare tutti i miei pomeriggi a cantare in un coro invece che cercarmi un lavoro vero.»

«Ma a te piaceva davvero il Glee Club, giusto?»

Kurt sollevò lo sguardo e lo fissò dritto negli occhi: «Era la mia fonte di energia. Era forse l'unica cosa che mi teneva a galla. Lì ho conosciuto persone meravigliose e ho capito quale fosse la cosa che più mi rendeva felice al mondo: cantare.» Sorrise, senza rendersene conto, nel ricordare i bei momenti passati. Poi scosse la testa: «Okay, ti sto seccando con inutili piagnistei! E pensare che praticamente neppure ci conosciamo.»

«Ci siamo già visti quattro volte, cinque con questa. Come puoi dire che non ci conosciamo?»

«Per esempio: come mi chiamo di cognome? Quanti anni ho? Che scuola ho frequentato? Quand'è il mio compleanno?»

«Okay, mi arrendo. Cominciamo dall'inizio: mi chiamo Blaine Anderson, diciotto anni, ultimo anno di liceo alla Dalton.

«Mh, fa molto Alcolisti Anonimi.»

«Ora tocca a te.»

«Kurt Hummel, diciannove anni, diplomato l'anno scorso al McKinley.»

Blaine lo guardò sorpreso: «Hai frequentato il McKinley?»

«Sì. Quattro anni in quell'inferno.»

«Come diavolo hai fatto ad uscirne vivo? Mia sorella si è trasferita lì quest'anno e da come lo descrive sembra che la prigione di stato in confronto sia un asilo infantile.»

Kurt alzò le spalle: «Il bello – e il brutto – di una scuola pubblica è che trovi davvero chiunque. Ho conosciuto ragazzi di colore, ebrei, cheerleader, giocatori di football, ragazzi ricchi, ragazzi poveri. C'erano persone di tutte le etnie, nazionalità, religioni, estrazione sociale... ma purtroppo c'era anche chi si divertiva a farti pesare la tua diversità. I bulli ci tormentavano tutti i giorni, prendendoci a granitate, spingendoci contro gli armadietti, dandoci nomignoli orrendi. Essere nel Glee Club al McKinley è come indossare i pantaloni a vita alta in discoteca. E poi c'era chi era grasso, chi era nerd, chi stava con la ragazza sbagliata...»

«E tu cosa avevi di “sbagliato”?»

«Secondo te?»

«Emh...»

«Blaine, sono gay. E in Ohio a quanto pare è peggio che mangiare bambini» disse. Poi lo fissò perplesso: «Aspetta un attimo, non abbiamo mai messo in chiaro la cosa: anche tu-?»

«Sì. Almeno credo.»

«Credi?»

«Sì, insomma, non sono mai stato il ragazzo di nessuno. Ho baciato più volte con un mio amico e – beh, diciamo che ci sapeva decisamente fare.»

«Posso provare ad indovinare il nome dell'eccellente baciatore?»

Blaine sbuffò: «Non dirgli che te l'ho detto o il suo ego crescerà a tal punto che dovremo trovare un letto solo per lui.»

Kurt rise: «Sai, la prima volta che vi ho visti insieme al negozio GAP per un secondo – sì, per un secondo solo ho pensato che fosse il tuo ragazzo. Poi però ha cominciato a flirtare in maniera così spudorata... beh, praticamente con ogni ragazzo del negozio, così ho capito che di certo non potevate essere insieme.»

«Sebastian è fatto così. Ci prova con tutti, non ci prova davvero con nessuno. Io gliel'ho detto: ora fa tanto l'uomo di mondo e si prende tutti i ragazzi più belli. Poi un giorno si innamorerà di un ragazzo grassottello e silenzioso abituato a fare da carta da parati alle feste e allora riderò.»

«Mi sembra che viva la sua sessualità senza alcun problema. Ne deduco che alla Dalton nessuno vi tratti male.»

«C'è tolleranza zero verso i bulli. Nessuno gli ha mai dato fastidio.»

«E a te?»

Blaine abbassò lo sguardo: «Io... non ho ancora fatto coming out. Lo sa solo Sebastian. E te, ovviamente.»

Kurt alzò gli occhi al cielo: Un altro che vive nell'ombra. Che sto facendo? Voglio davvero ripetere lo stesso errore dell'altra volta? Voglio di nuovo imbarcarmi in una relazione con un ragazzo che avrà paura di camminare mano per mano per strada, di tenere la mia foto nel portafogli, di dire “questo è il mio ragazzo” ed esserne orgoglioso?

No. Non avrebbe mai potuto sopportarlo un'altra volta.

Ma in fondo questo non è che un amico, no? Quindi che importa? Al massimo posso aiutarlo a prendere la decisione migliore. Sì, devo vederla in questo modo.

«Beh, ne sono lusingato. A quanto pare ispiro fiducia visto che non sei il primo a farmi una simile confessione.»

«Dev'essere per quell'aria da elfo di Babbo Natale. Gli elfi di Babbo Natale non possono fare del male, al massimo si addormentano sulle macchine per fare i regali creando seri ritardi sulla consegna.»

Kurt lo fissò, chiedendosi con chi diavolo stesse parlando.

«Se posso chiedere... perché esiti a fare coming out? Insomma, Sebastian ti ha “spianato la strada”, se accettano lui accetteranno anche te. E, a quanto mi risulta, alla Dalton non ci sono fenomeni di bullismo né omofobia.»

«Non è per i miei amici. A loro lo direi anche subito. Ma vedi... la mia famiglia...» Blaine sospirò. «Loro sono dei tradizionalisti. Sai, di quelli che ci tengono alle apparenze, che a Natale addobbano la casa, che fanno la preghiera prima di mangiare il giorno del ringraziamento, che fanno volontariato presso la chiesa... e poi appena chiudono al porta di casa sparlano dei vicini, dei nostri parenti lontani, degli immigrati, dei gay...»

«Capisco.»

«Anche tu hai dovuto nasconderti?»

«No, per me non è stato così. Nonostante mio padre fosse un tipo burbero, sai uno di quelli hamburger-birra-e-football, mi ha sempre accettato per quello che ero. In fondo aveva sempre Finn per andare alle partite o per parlare di ragazze. Anche mia madre non mi ha mai fatto mancare l'affetto, neppure per un secondo. E per quanto riguardo mio fratello... beh, all'inizio è rimasto un po' spiazzato. Forse sperava di organizzare uscite a quattro con le nostre ragazze o, che so, far giocare insieme i nostri nipoti, ma ormai si è abituato all'idea. Non c'è imbarazzo fra noi, anche se viviamo da soli.»

«Vivete soli? Ma i vostri genitori-»

Kurt lo fissò stupito. «Pensavo che Finn te l'avesse detto. I nostri genitori sono morti due anni fa. È per questo che mio fratello ha lasciato la scuola per andare a lavorare. È per questo che io ho-» fece un respiro profondo, come se si vergognasse di ciò che stava dicendo «è per questo che ho cominciato a lavorare allo Scandals.»

Blaine si sentì colpito in faccia da uno schiaffo. Lavorava allo Scandals per guadagnare di che mangiare. Non era un ragazzino svogliato che contava di guadagnare soldi facili col proprio corpo. Quei soldi gli servivano davvero, come gli serviva il lavoro da GAP. Ripensò a ciò che gli aveva detto e si sentì male.

Io... come posso essere stato così stupido? Ubriaco o meno non ho scuse per ciò che gli ho detto. L'ho ferito gratuitamente, dopo tutto quello che gli è successo.

«Io... non ho parole. Mi dispiace tantissimo.»

«Non potevi saperlo. Insomma, penso che – nei tuoi panni – avrei pensato anch'io male di uno che a diciotto anni si mette a fare quel tipo di lavoro.»

«No, non avevo alcun diritto di fare illazioni. Quel pugno me lo sono meritato.»

«Diciamo che entrambi abbiamo dato per scontato un po' troppe cose. È un errore fin troppo comune fra le persone. Vediamo qualcuno e pensiamo di aver capito tutto di lui dal modo di vestire, di parlare, dalla scuola che ha frequentato. E poi, anche se ci rendiamo conto di aver sbagliato, non vogliamo ammetterlo.»

«I miei sono più o meno così. Sono cresciuto sentendo battute sui gay, sugli hippie, sugli atei, sui musicisti... insomma, su tutto ciò che per loro non è nella norma. Quando ho capito di essere gay mi sono sentito perso. Dopo tutto quello che avevo sentito come potevo sedermi davanti a loro e... dirglielo? Ancora adesso provo ad immaginare le loro facce, i loro sguardi delusi... schifati!»

«Hai detto di avere una sorella. Cosa credi direbbe lei?»

«Rachel?»

«Beh, magari sarà più semplice parlarne con lei. Io ho avuto difficoltà a parlarne con mio fratello, ma perché pensavo che fra noi si sarebbe creato imbarazzo essendo due maschi. Le ragazze di solito hanno una maggiore sensibilità e una mentalità più aperta.»

«Non so come reagirebbe lei. Mi sembra ancora una ragazzina! Certo, fra noi c'è una certa confidenza - ci siamo coperti a vicenda una sacco di volte – ma se dovesse reagire male e dire tutto ai nostri genitori...» tacque.

Kurt capì subito cosa intendeva dire Finn quando diceva che Blaine aveva davvero bisogno di parlare. Si vedeva che stava male.

Anch'io ho passato brutti momenti a scuola, ma riuscivo ad andare avanti pensando che a casa avrei trovato la mia famiglia ad accogliermi. Invece per lui è il contrario. Con la differenza che non potrà sperare di dimenticare la sua famiglia ottenuto il diploma, come io mi sono lasciato alle spalle il McKinley.

Si rese conto di quanto loro fossero simili. All'inizio pensava che Blaine fosse uno spocchioso figlio di papà e che vivesse in un mondo perfetto distante anni luce dal suo appartamento trasandato. Ora invece non invidiava più la sua grande villa e la sua famiglia al completo – non dopo aver sentito che tipo di famiglia fosse.

Non seppe spiegare cosa lo spinse ad allungare la mano e ad afferrare quella di Blaine. Gli sembrò una cosa naturale, spontanea, per nulla fuori luogo, nonostante continuasse a ripetere “è solo un amico”.

«Courage!» disse.

«Cosa?»

«Quando ero alle superiori e i bulli mi rendevano la vita un inferno, me lo ripetevo in continuazione. Coraggio. Quando mi facevano cadere a terra, mi rialzavo. Quando mi colpivano, sollevavo la testa. E quando mi ferivano con le loro parole – e quella era forse la parte migliore – mi ripetevo che dovevo farmi coraggio ed andare avanti. Perché le superiori sarebbero finite, perché me ne sarei andato da Lima, perché un giorno li avrei guardati dall'alto e avrei provato non più odio, ma compassione per loro e per le loro piccole menti rattrappite.»

«Ma come farò? Quando finirò le superiori le cose andranno ancora peggio perché non ci saranno più le mura della Dalton a proteggermi.»

«E' per questo che devi approfittare di questi ultimi mesi per crearti una corazza che ti protegga dall'odio della gente. E soprattutto, approfitta di questi ultimi mesi per imparare a riconoscere con chi la corazza non è necessaria e a chi aprire il tuo cuore.»

Blaine gli strinse la mano e sorrise.

«Grazie.»

«Di nulla. So cosa stai passando, e so anche che, insieme, è più facile andare avanti a testa alta.»

Prima di salutarsi, quella sera, si ripromisero di tenersi in contatto e di rivedersi.

«Come amici» avevano precisato, quasi in coro, con tale fretta che la sicurezza di entrambi per un attimo vacillò.


«E quindi?» chiese Sebastian.

«Quindi cosa?»

«A che base siete arrivati?»

«Ma sei idiota?» sbraitò l'altro, tirandogli contro il cuscino. «Ci sono uscito una sola volta. E solo come amico.»

«Uno: in realtà, se i miei conti non sono errati, vi siete visti quattro volte prima di oggi. Certo, in una l'hai insultato, la seconda hai blaterato inutilità e la terza non hai detto una parola, ma durante la quarta qualcosa avrai fatto se ha accettato l'appuntamento.»

«In realtà-»

«Non ho finito. Due: come amici? Ma per favore, neppure i ragazzini delle medie ci vanno così cauti. L'avete precisato così tante volte che ormai è palese.»

«Che cosa?»

«Che nessuno di voi ha intenzione di rimanere “solo un amico”. Lo fate solo per proteggervi. Tu perché sarebbe il tuo primo ragazzo e non vuoi rovinare tutto. Lui... beh, è chiaro che deve essergli successo qualcosa. Un tradimento, forse.»

«Chi tradirebbe mai uno come lui?»

«Forse uno stupratore seriale» propose Sebastian.

«Kurt non si metterebbe mai con uno stupratore seriale.»

«Hai ragione, preferisce i giovani rampolli di buona famiglia in divisa da scolaretto» disse, ridacchiando. Per sua fortuna Blaine gli aveva già lanciato contro il cuscino, così che la sua battuta non ebbe ripercussioni.

«Smettila. Secondo me lui è il classico tipo a cui non importa chi sei. Importa come sei dentro.»

«Continui a dire “secondo me”, ma la verità è che di lui sai poco o niente se non che ha un anno più di te, ha studiato al McKinley e lavora da GAP.»

E fa qualche serata allo Scandals per arrotondare.

«E quindi?»

«E quindi questo mi riporta al punto tre. Devi conoscerlo. Devi capire cosa gli piace e cosa invece odia. E soprattutto, scopri che cosa gli ha spezzato il cuore.»

«Lui è molto riservato.»

«Un po' come te, insomma. Ma se gli aprirai il tuo cuore, se continuerai a confidarti con lui, allora si sentirà meno vulnerabile e ti racconterà tutto ciò che ti serve sapere per portartelo a letto.»

Blaine sbuffò: «Okay, penso di poterlo fare. Con calma, ma posso farcela.»

«Ah, un’ultima cosa, Blaine. Scopri chi è il ragazzo del bar. Ho un brutto presentimento.»


Quella sera Kurt cucinò le frittelle. Finn si affacciò sulla soglia della cucina e lo guardò perplesso. Kurt stava canticchiando?

Ebbene sì, suo fratello era palesemente felice.

Non felice tipo “oggi c'è il sole” - anche perché erano le otto di sera – né felice tipo “quant'era divertente quest'ultima puntata di Friends”. No, era quel tipo di felicità che Finn aveva imparato a riconoscere.

Suo fratello si stava innamorando.

Non l'aveva mai visto così. Forse alle superiori, quando si era preso una cotta stratosferica per un giocatore di football dell'ultimo anno che neppure si era accorto della sua esistenza. Neppure quando usciva con Karofsky era così felice. Anzi – avrebbe voluto precisare – non era mai stato felice con lui.

Gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. Kurt sobbalzò.

«Finn! Non ti avevo sentito.»

«Per forza. Sembri esserti perso nel paese delle meraviglie.»

«Ma per favore!» esclamò, rigirando la frittella.

«Cucini canticchiando. Kurt, non mentirmi. L'ultima volta che hai fatto le frittelle eri riuscito a comprare il dvd di Rent a prezzo stracciato.»

«Che c'è di meglio di Rent

«Mh... forse un ragazzo?»

Kurt si voltò verso di lui: «U-un ragazzo?»

«Non so, azzardo, magari un certo Blaine?»

Kurt tornò alle frittelle. «E cosa te lo fa pensare?»

«Da quando sei tornato dal vostro appuntamento “solo come amici” sembri una damigella d'onore al matrimonio di sua sorella. Dannatamente felice» disse. «Non che la cosa non mi faccia piacere. Soprattutto se questo ti fa cucinare le frittelle.»

«Va bene, siamo usciti. Ed è stato... piacevole. Molto piacevole. Siamo andati in un bar bellissimo e abbiamo bevuto il cappuccino più buono di tutta Lima, se non dell'Ohio intero e abbiamo parlato – lui mi ha raccontato di sé, della sua famiglia, dei suoi amici. È stato bello.»

«Questo l'avevo capito. Quello che mi chiedevo è quando ti deciderai ad ammettere che non era esattamente un amico, ma qualcosa di più.»

«Un confidente?»

«Kurt, non rendermi le cose più difficili. Sai che non sono un asso in fatto di storie d'amore, ma cavoli! Qualche commedia romantica me l'hai fatta vedere e fidati se ti dico che in questo momento potresti benissimo essere uno di quei protagonisti...»

«Ma dai, ci sono uscito solo una volta.»

«E ci sarà una seconda?»

Kurt spense il fuoco sotto la pentola stizzito: «Come mai tutto questo interesse per i miei affari?»

«Perché ti vedo felice ed è una bella cosa. E poiché è palese che è quel ragazzo a renderti felice, mi piacerebbe che lo capissi anche tu.»

«Di' la verità: tu vuoi che mi metta con lui perché così mi dimenticherò di Dave.»

«Vuoi la verità? Sì, è anche per questo. Ti ricordi cosa ti ho detto quando ho scoperto che eravate insieme?»

«Sì, che avrei sofferto.»

«E tu cosa mi hai risposto?»

«Che volevo dargli un'altra possibilità. Perché sbagliare è umano.»

«E io mi sono fatto da parte, indeciso se definirti un idiota o un angelo. Poi è andata come è andata. Ma se anche questa volta gli permetterai di spezzarti il cuore allora sarai definitivamente un idiota.»

«Non voglio rimettermi con lui. Voglio solo... che torniamo amici.»

«Hai visto come ti guardava? Non mi pareva che volesse rimanere “un amico” con te. Un amico non tenta di baciarti.»

«E' confuso.»

«E lo sei anche tu. Ti sembra di essere l'unico ragazzo gay di tutta Lima e ti aggrappi al primo che trovi. Che fino ad ora era Dave.»

«Ah, e quindi adesso che c'è Blaine devo buttarmi su di lui. Così, perché è gay e non è Dave.»

«Hai capito quello che intendo.»

«Sì, se intendi dire che mi butto via col primo che capita... beh, allora grazie tante» disse, abbandonando le frittelle sul tavolo e lasciando la cucina con eccessiva teatralità

«Kurt!» gridò l'altro. Sbuffò, guardando le frittelle calde, e lo raggiunse in camera. Quando entrò lo vide seduto sul letto a gambe incrociate. Aveva il cellulare in mano e sorrideva stupidamente.

Anche Finn non poté fare a meno di sorridere:

«Posso indovinare chi ti ha appena scritto?»

Kurt annuì, ma Finn se ne andò senza rispondere. Come se ce ne fosse bisogno.





A/N


Ogni volta che il mio migliore amico sbaglia a mettere i “gli/le” all'interno di una frase lo correggo sempre e lui sbuffa e alza gli occhi al cielo. Sì, sono seccante come Thad e ne vado fiera.


Ed ecco che finalmente i nostri Klaine boys escono insieme per un vero appuntamento (da amici).


Ora, mercoledì ho visto la 3x15 di Glee dopo SETTE settimane di attesa e quello che ho visto ha decisamente raggiunto e superato le mie aspettative.

E ieri ho trovato una copia di Harry Potter 7 a metà prezzo praticamente perfetta.

I'm so happy right now.


Ringrazio tutte le sante ragazze che commentano ogni capitolo e tutte/i coloro che hanno inserito la storia fra le preferite (11) e le ricordate (53!)


A venerdì!


yu_gin



PS: Mayday. Mayday. Finchel a ore dodici in avvicinamento. Impatto previsto per il prossimo capitolo. Indossare gli appositi caschi e prepararsi al peggio.



coming next


Non appena varcò la soglia, trasse un sospiro di sollievo. Era ancora presto e il bar era praticamente vuoto. Si guardò intorno finché non vide una donna e pensò di rivolgersi a lei.

«Scusi, sto cercando Finn.»

«Finn Hummel?»

«Sì.»

«Te lo chiamo subito» disse, voltando la testa. «Ehi, cozza marinata, c'è un nano da giardino che vuole parlarti!» gridò.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** a new direction ***


A Lima Side Story



Capitolo 8: a new direction


Rachel Anderson non era ragazza da stare con le mani in mano. Oh no. Voleva arrivare lontano e se voleva riuscirci doveva mettersi d'impegno perché se c'era una cosa che aveva imparato sul mondo dello spettacolo è che niente è dato gratuitamente, tutto va guadagnato e il talento non basta se non se non hai un curriculm di tutto rispetto.

Per questo motivo doveva vincere prima le Regionali e poi le Nazionali. Ma una cosa per volta.

Aveva un piano in mente.

Un piano molto elaborato.

Prima cosa aveva cambiato scuola. Nella scuola privata femminile che frequentava prima il Glee Club faceva pena. E poi voleva trovare un ragazzo che fosse alla sua altezza e frequentare una scuola esclusivamente femminile con dormitorio annesso e pochi permessi di uscita a settimana non aiutava certo.

Senza contare che al McKinley si sarebbe fatta le ossa. Sarebbe diventata più forte e questo non poteva che farle bene se voleva sfondare nel mondo dello spettacolo.

Seconda cosa: era entrata nel Glee Club. Niente di più facile. Quando aveva fatto l'audizione il professor Schuster era rimasto a bocca aperta – come tutti gli altri, d'altronde.

E non le era servito molto tempo per appropriarsi di tutti gli assoli, nonostante fosse solo al terzo anno.

Terza cosa – in attuazione: trovare una voce maschile che fosse al suo livello.

Fin da piccola si era abituata a cantare con suo fratello: le loro voci erano fantastiche insieme. Si armonizzavano alla perfezione – merito degli anni di esercizio e dei geni in comune. Peccato che suo fratello fosse nella squadra avversaria e dunque non potesse accompagnarla in meravigliosi duetti. E poi lei sognava una relazione romantica con chiunque l'avrebbe affiancata nelle performance e...duettare con suo fratello cominciava a sembrare...incestuoso.1

«Rassegnati, Rachel, nessuno entrerà nel Glee Club.»

«Ma-»

«Sei qui da poco tempo e chiaramente non sai come vanno queste cose. Il Glee Club è il fondo della scatola: sotto di noi non c'è nessuno. E chi vorrebbe entrare nella squadra dei perdenti?» disse Mercedes.

«Oh, insomma! Non potete essere così male. Siete arrivati alle nazionali o sbaglio?»

«Sì, ma a quei tempi c'erano gli Hummel» disse Artie, sistemandosi gli occhiali.

«I chi?»

«Gli Hummel. Non dirmi che non ne hai mai sentito parlare? Credo ci siano ancora caricature di Kurt nei bagni del secondo piano.»

«Si può sapere chi sono questi due?»

«Finn e Kurt Hummel sono fratelli e hanno frequentato il McKinley fino a qualche anno fa. Kurt, il minore, si è diplomato l'anno scorso. Finn due anni fa. O meglio: due anni fa ha lasciato il McKinley, ma non mi pare si fosse diplomato» disse Tina.

«Non si è diplomato?» chiese stupida Rachel.

«Gli mancavano pochi esami ma non ce la faceva proprio più. Non era esattamente una cima a scuola e dopo che i suoi genitori sono morti ha dovuto trovarsi un lavoro per continuare a mantenere lui e suo fratello. E poi l'anno scorso se n'è andato anche Kurt, anche se durante il suo ultimo anno non era molto presente. Era sempre stanco e sembrava maledettamente infelice. E poi avevano cominciato a girare strane voci su di lui, voci molto poco carine.»

«Tipo?»

«Non era mai stato detto nulla di certo. Qualcuno giurava di averlo visto in un locale promiscuo. E poi verso metà anno i bulli hanno cominciato a prenderlo di mira seriamente, della serie che Sam o Mike dovevano accompagnarlo in bagno se volevamo averlo di nuovo intero in giorno dopo.»

«Perché lo prendevano in giro? Non avevano un po' di rispetto per un ragazzo orfano?»

«Rachel, Kurt era gay. In modo abbastanza evidente. E a quanto pare qui in Ohio, a Lima, quello è il peggior crimine che tu possa commettere.»

«Oh» mormorò, sorpresa. Lei era credente e probabilmente vedere due uomini baciarsi forse l'avrebbe messa vagamente a disagio. Ma da qui a tollerare il bullismo su un ragazzo che ne aveva già passate a sufficienza... «Era bravo a cantare?»

«Molto. Aveva una voce molto acuta per essere un ragazzo ed arrivava a note impensabili. E poi era decisamente teatrale: quando mettevamo in scena dei musical dava sempre un'interpretazione personalissima ai personaggi.»

«Suo fratello invece? Come avete detto che si chiamava?»

«Finn. Lui era l'esatto contrario. Era il quaterback della squadra di football nonché il leader del Glee. Aveva una bella voce ed era anche molto carino» disse Mercedes, sorridendo.

«Anche se a ballare era una vera frana!» disse Mike, facendo ridere tutti.

«Già, Schuster ha provato non so quante volte a insegnargli qualche passo ma alla fine ha desistito.»

«Ricordo ancora il suo ultimo anno al McKinley. Lui era al quarto anno, suo fratello al terzo. Avevamo passato le regionali ed eravamo pronti per andare a New York ma poi...beh, poi i loro genitori sono morti e Finn ha dovuto lasciare il Glee. Gli avevamo proposto di dar loro un aiuto economico ma non sarebbe stato sufficiente. Finché Kurt era ancora minorenne ricevevano aiuto dai servizi sociali, poi hanno imparato a cavarsela.»

«Capisco» disse Rachel. «E nessuno di voi li ha più sentiti?»

«No. Dopo il diploma Kurt ha tagliato ogni contatto con noi e con chiunque gli ricordasse il McKinley. Una volta l'ho intravisto da GAP, credo lavori lì come commesso. Qualcuno dice di averlo visto allo Scandals. Mi pare che ci lavori suo fratello come barista.»

«Allo Scandals, avete detto?»

Rachel sorrise fra sé.

Aveva un piano.


Se avesse detto agli altri in cosa consisteva il suo piano, probabilmente le avrebbero riso in faccia. Così era tornata in silenzio a casa, poi aveva preso la macchina e aveva guidato fino allo Scandals.

Aveva parcheggiato la macchina e solo a quel punto si era resa conto di cosa stesse facendo.

Stava entrando in un locale promiscuo, frequentato prevalentemente da gay, transessuali – il perché suo fratello ci fosse andato rimaneva un mistero. Ma se Finn lavorava lì doveva entrarci. Doveva parlare con lui.

Non appena varcò la soglia, trasse un sospiro di sollievo. Era ancora presto e il bar era praticamente vuoto. Si guardò intorno finché non vide una donna e pensò di rivolgersi a lei.

«Scusi, sto cercando Finn.»

«Finn Hummel?»

«Sì.»

«Te lo chiamo subito» disse, voltando la testa. «Ehi, cozza marinata, c'è un nano da giardino che vuole parlarti!» gridò. Poco dopo dal retro del locale uscì un ragazzo davvero, davvero alto.

«San, si può sapere che vuoi?»

«Cosa vuole questa qui piuttosto. Ehi, ragazzina, sei sicura di essere venuta nel posto giusto? Il centro ricamo è dall'altra parte della città» disse Santana, rivolta a Rachel.

La ragazza però stava guardando Finn. Gli occhi le brillavano. «Sei Finn Hummel, ex studente del McKinley ed ex membro delle New Directions?»

Finn la guardò sorpreso: «Sì, sono io. Sei anche tu del McKinley?» chiese. A giudicare da come era vestita l'avrebbe vista meglio in una scuola privata.

«Mi chiamo Rachel. Mi sono trasferita quest'anno e attualmente sono il membro di punta del Glee.»

«Il Glee Club? Sono secoli che non lo sentivo nominare. Come sta il professor Schuster? Immagino sia ancora lui il direttore.»

«Sta bene. Continua a farci cantare pezzi dei Journey e Disco e a ignorare il mio talento dirompente, ma sta bene. Quella che non sta bene sono io» disse.

Finn la guardò perplesso: «Vuoi sederti e bere qualcosa finché me ne parli?»

«Volentieri.»

«Cosa ti do?»

«Del succo di mirtillo, grazie» disse, frugando nella borsa alla ricerca del portafogli.

Finn la guardò imbarazzato. «Temo di non avere nulla di più salutare di una coca light.»

Rachel alzò le spalle: «Andrà bene. Tornando a noi, ciò che mi turba è che so che non abbiamo speranze alle regionali. Dovremo affrontare la Dalton e il loro solista è davvero bravo. Temo ci batteranno e questo non deve accadere.»

«Già, sarebbe un peccato. Anche perché è da molto che le New Directions non vanno alle nazionali.»

«Da quando te ne sei andato» disse Rachel.

Finn abbassò lo sguardo: «Ce l'hanno ancora con me, vero? Se non avessi mollato forse avremmo vinto. Non ho fatto un bel gioco di squadra.»

«Mi hanno detto perché l'hai fatto e penso che tu abbia agito correttamente. Era la tua famiglia, no? Nessuno può biasimarti per questo, né lo hanno fatto i tuoi vecchi amici.»

Finn sorrise: «Grazie. Mi fa piacere sentirtelo dire. Quello che non ho capito è perché sei venuta qui.»

«Come ti ho detto dobbiamo assolutamente battere i Warblers e questo non accadrà se non troveremo un cantante alla mia altezza.»

«Beh, c'è Artie, no? E il biondo con la bocca enorme...Sam?»

«Sì, ma non sono abbastanza bravi. E poi Artie finirebbe per rallentare la coreografia» disse scuotendo al testa. «No, a noi serve un vero leader. Come lo eri tu» concluse, guardandolo negli occhi.

Finn capì: «Oh no. Assolutamente no. Ho capito cosa vuoi da me, ed è un no

«Perché? I ragazzi mi hanno detto che non ti sei mai diplomato: perché non torni al McKinley? Prenderesti due piccioni con una fava: ti diplomeresti e vinceresti le nazionali lo stesso anno.»

«I soldi non piovono dal cielo: devo lavorare!»

«Lavori di sera. Puoi frequentare la mattina, studiare il pomeriggio e...»

«E le prove col Glee? No, mi prenderebbe troppo tempo. Non posso tornare fra i banchi di scuola. Non possiamo permettercelo.»

Rachel insistette: «Ma tuo fratello...»

«Mio fratello lavora la mattina e la sera e io sono alla ricerca di un secondo lavoro. Non avrei il tempo materiale per tornare a scuola.»

«Senti la mia proposta, allora. Torna al McKinley, diplomati e, se ci fai vincere le nazionali, ti aiuterò a trovare un posto di lavoro. E credimi, sono la persona più petulante e insistente di tutta Lima e potrei trovare un lavoro anche al ragazzo più perdigiorno di tutti gli Stati Uniti d'America.»

Finn fu tentato di rifiutare, ma poi si fermò a pensare. Un posto di lavoro, magari fisso? Se fosse riuscito ad ottenerlo forse Kurt avrebbe potuto lasciare il lavoro allo Scandals.

Tacque, grattandosi la testa.

«Allora?»

«Non lo so! Ci devo pensare e...ne devo parlare con mio fratello.»

«Va bene. Facciamo così, quando sei arrivato ad una conclusione, qualsiasi essa sia, chiamami a questo numero» disse, passandogli un biglietto glitterato su cui c'era scritto “Rachel Anderson” seguito dal suo numero.

Anderson?, pensò. Perché mi ricorda qualcosa? E anche il suo viso mi è familiare. Assomiglia a qualcuno...

Poi lei se ne andò e lui dimenticò quei pensieri. Santana gli passò accanto:

«Che voleva miss maglioncino-ricamato-dalla-nonna?»

«Niente» rispose, troppo violentemente per passare inosservato. Lo sguardo di Santana era inequivocabile. «Non dire nulla a Kurt. Questa sera gliene parlerò.»

«E riguardo a quella cosa? Avete parlato?»

«Ci ho provato, ma non mi ascolta.»

«Teniamo gli occhi bene aperti. Non mi piace Karofsky ma soprattutto non mi piace il modo in cui guarda Kurt. Vuole riprovarci e tuo fratello in questi casi è anche più stupido di te – per quanto sembri impossibile.»

Finn sorrise: «Sai, forse non ce ne sarà bisogno.»

«Pensi che si sia fatto più scaltro?»

«Penso che attualmente ci sia una persona che può fare molto più di noi per Kurt.»


«Anderson!» tuonò il professore.

Blaine alzò gli occhi dal cellulare, nascosto dentro l'astuccio.

«E' forse opzionale per te la lezione?»

Blaine si guardò intorno, mentre gli altri studenti ridacchiavano. «Suppongo di no.»

«E allora perché è da quando sono entrato che usi spudoratamente il cellulare in classe invece di ascoltare?»

«Emh...»

«Risposta sbagliata, Anderson. Dammi il tuo cellulare, così vedremo cosa ti ha distratto fino ad ora dalla lezione di Inglese.»

Blaine afferrò il cellulare nel panico. Non poteva assolutamente permettere che il professore leggesse i messaggi che aveva appena scritto a Kurt. Nessuno doveva leggerli!

Si diede dello stupido per non aver salvato il suo numero sotto il nome di una ragazza, poi però pensò che sarebbe stata una cosa squallida e davvero di pessimo gusto.

Si alzò in piedi e fece un passo in direzione del professore, che lo precedette, strappandogli il cellulare di mano.

«Allora, come si usano questi cosi? Messaggi. Anderson, questi messaggi risultano inviati alle 11:46. Ossia fino ad un minuto fa. Ossia durante la mia lezione.»

Ottima deduzione, pensò Blaine, maledicendo quell'uomo.

«Vediamo a chi scrivevi di così interessante da non ascoltare. Spero almeno sia una ragazza» disse.

«Non può farlo» disse una voce che Blaine riconobbe come quella del suo salvatore.

«Come?»

«Le ripeto che non può farlo» disse Sebastian.

«Smythe, ti ho forse chiesto qualcosa?»

«No, ma in quanto figlio di un procuratore so bene quanto sia importante conoscere i propri diritti. Il diritto alla privacy è uno di questi. E se lei ora legge senza permesso i messaggi di Anderson, beh, potrebbe finire in seri guai.»

L'uomo fissò il ragazzo con uno sguardo che giurava vendetta, ma posò il cellulare sulla cattedra e disse solo: «Riavrai il tuo cellulare a fine lezione. Ora va' a sederti.»

Tornato al suo posto, Blaine sospirò sollevato.

«Grazie» disse a Sebastian, senza farsi notare.

«Figurati. Però datti una calmata. Se continui a scrivergli con questa frequenza poi non avrete più niente da dirvi al prossimo appuntamento. E poi coprirti sarà sempre più difficile.»

«Ma è questo che un buon compagno di stanza fa, non è vero?»

«Non abusare della mia pazienza, Anderson» ridacchiò Sebastian. Detto questo prese il cellulare e scrisse un messaggio.


11.52

Perdonalo se non ti risponde. Il prof gli ha appena sequestrato il cellulare. Stai avendo una cattiva influenza su di lui. Comincia a non essere più noioso!


11.53

OMG! Mi dispiace un sacco! Dimenticavo che siete a scuola.


11.53

Nessun problema, anche perché tu sarai al lavoro. Nessuno si è ancora lamentato pretendendo le tue attenzioni?


11.54

Nah, calma piatta. Acc...ecco il capo!


11.55

Vedi di non farti richiamare come uno studentello delle superiori!


Sebastian infilò il cellulare in tasca con un sorrisetto sulle labbra. Eh sì, trovare un ragazzo al suo migliore amico era un'impresa dura, ma ce la stava mettendo tutta. Non lo stava facendo a caso, aveva un piano ben preciso.

Tanto per cominciare, se Blaine si fosse trovato un ragazzo forse avrebbe smesso di essere così irritante e dannatamente deprimente.

Secondo: avrebbe fatto coming out, almeno con i Warblers, il che avrebbe reso le cose molto più semplici anche per lui che era stanco di coprirlo da ogni insinuazione di Jeff con battute sagaci.

Terzo: non lo avrebbe mai ammesso, ma alla fin fine gli voleva bene. Era suo amico e con quel ragazzo sembrava contento. Se l'avesse detto ad alta voce gli avrebbero riso in faccia, visto che si era tanto brillantemente costruito addosso la maschera da insensibile. No, non lo avrebbe mai e poi mai detto apertamente, ma considerava Blaine Anderson il suo migliore amico nel vero senso della parola.

E poi, pensò sorridendo, potrei sempre informarmi se Kurt ha qualche amico da presentarmi...


Kurt strabuzzò gli occhi e sentì il cuore battere dentro al petto come un martello.

E' lui, pensò, guardando dall'altra parte della strada.

E no, non era lo studente delle superiori nella sua elegante divisa blu che in quei giorni monopolizzava i suoi pensieri.

Era Dave.

Per un secondo fu tentato di scappare – forse Dave non aveva visto che l'aveva visto – ma poi pensò che scappare sarebbe stato da codardi. Non era scappato quando era a scuola e i bulli gli rendevano la vita un inferno, non sarebbe di certo scappato in quel momento, non ora che era cresciuto ed era diventato più forte.

«Non ti aspettavo»

«E' stata una cosa dell'ultimo minuto, volevo vederti e basta. Ti va di fare un giro in macchina? Dopo ti riporto fino a casa. Cioè, fino all'angolo, poi puoi andare a piedi così tuo fratello...»

«No.»

«Come scusa?»

«Finn doveva passare in città e così mi passa a prendere. Mi dispiace davvero, ma sai, non posso dirgli all'ultimo di non venire. Ormai è già per strada e...» mentre lo diceva vedeva il volto di Dave rabbuiarsi e si sentiva un essere orrendo e avrebbe voluto che non fosse tutto così difficile. Avrebbe voluto un po' di indifferenza da lui, la stessa con cui l'aveva lasciato un anno prima, di modo da non sentirsi così in colpa.

Stupido da parte sua. Dopo che Dave l'aveva lasciato lui aveva passato quello che non esitava a definire il momento più brutto della sua vita. La scuola stava per finire, i bulli avevano ripreso a tormentarlo, suo fratello arrancava alla ricerca di un lavoro, mentre il suo lo stava devastando, togliendogli ore di sonno.

E poi Dave l'aveva lasciato e se ripensava al motivo gli veniva ancora da piangere. Era stato infido, scorretto...crudele. Era stato crudele, facendogli male gratuitamente. Ma Kurt non riusciva a provare odio per lui in quel momento. Solo disagio per come lo stava facendo sentire.

Dovrei essere più cattivo, dannazione!, si disse, sapendo bene quanto fosse inutile ripeterselo.

«Capisco. Effettivamente avrei dovuto scriverti. È stato sciocco da parte mia pensare che-» si interruppe. «Ci vediamo» disse voltandosi ed andandosene.

«Dave!» lo chiamò, ma l'altro lo ignorò.

Kurt rimase solo sul marciapiede e sospirò.

Aveva mentito. Finn non sarebbe affatto venuto a prenderlo, anzi, un passaggio fino a casa gli avrebbe fatto comodo.

La verità era che non voleva rimanere in macchina con lui. Soli. L'ultima volta l'aveva baciato. Certo, l'aveva colto di sorpresa, ma l'aveva fatto, nonostante Kurt avesse specificato che voleva essere solo un amico.

All'improvviso si rese conto di quanto la frase “solo un amico” fosse stupida. Insomma, non era la stessa cosa che aveva detto a Blaine? Eppure ogni volta che riceveva un suo messaggio non poteva fare a meno di sorridere come un'adolescente. Non era arrivato il momento di essere sincero con se stesso?

Gli interessava Blaine. Gli piaceva. E non nel senso che era piacevole chiacchierare con lui, che era simpatico, che voleva aiutarlo in un momento difficile – o meglio, sì, tutto questo era vero. Ma sarebbe stato difficile per lui negare a se stesso che di tanto in tanto gli balenava alla mente l'immagine di loro due, mano nella mano, o di loro due ad un appuntamento – un appuntamento vero – o di loro due che, al termine del suddetto appuntamento...

Scacciò quel pensiero prima di ritrovarsi a saltellare per il marciapiede come Tippete, poi strinse di più la propria tracolla e si avviò alla fermata dell'autobus, dopo essersi assicurato che Dave se ne fosse andato.

Si sedette e mandò un messaggio a Finn nel quale gli diceva che sarebbe tornato a casa di lì a mezz'ora. Poi cominciò a tamburellare le dita sul cellulare, mentre ripensava alla situazione in cui si stava cacciando.


Kurt stava finendo di prepararsi nel proprio camerino quando Santana irruppe nella stanza, portando con sé una zaffata di profumo intenso.

«Ti stai ancora preparando?» chiese.

«Non preoccuparti, di' pure ad April che ho finito.»

«Glielo dirò» disse sorridendo.

Kurt colse un lampo nei suoi occhi e si alzò di scatto dalla sedia.

«Cosa mi nascondi?»

«Niente» rispose, senza però riuscire a trattenere una risata.

«San, non me la dai a bere. Dai, dimmi che c'è? Ho uno striscio di mascara sulla faccia?» chiese, voltandosi preoccupato verso lo specchio.

La donna sorrise, abbracciandolo. «Sono solo contenta per te.»

«E potrei sapere il motivo della tua gioia?» chiese, ricambiando l'abbraccio e annusando il profumo dei suoi capelli: cocco e mandorla.

«Hai un ammiratore fra il pubblico» disse.

Kurt la guardò perplesso.

«Un ammiratore sotto i ventuno» aggiunse, cogliendo con piacere la sfumatura di sorpresa sul suo volto. «Te lo dicevo che sarebbe tornato!» disse, afferrandolo per la mano e trascinandolo fuori.

La sorpresa lasciò ben presto posto ad un altro sentimento nel momento in cui Kurt incrociò il suo sguardo fra il pubblico.

Era lì, con una coca-cola in mano, con i suoi splendidi occhi, con il suo sorriso un po' timido, un po' imbarazzato, con il suo papillon – immancabile – come a ribadire che era lui, sempre lui, lo stesso ragazzo del negozio GAP e del caffè anche in un luogo così poco consono all'eleganza.

Senza nemmeno accorgersene sorrise. E quello era solo per lui.


Quando uscì dai camerini, circa mezz'ora dopo, lo vide seduto ad uno dei tavolini. Era seduto da solo e continuava a tormentare la lattina della cocacola che aveva in mano – presumibilmente la stessa di prima.

Sembrava perso in quel posto, così diverso dai corridoi della sua scuola, dal bar accogliente dove andava a bere il caffè, da quella stupenda villa che doveva essere la sua casa – Kurt ci poteva scommettere – e gli fece una gran tenerezza.

Gli si avvicinò e, giunto al tavolo dov'era seduto, spostò la sedia di fronte a lui dicendo: «E' libero?»

Blaine sollevò lo sguardo verso di lui ed annuì deciso, sorridendo.

Kurt si sedette di fronte a lui.

Blaine scosse la lattina di cocacola ormai vuota e disse: «Niente alcol. Ho cattivi precedenti.»

L'altro rise: «Già, ti vedo più un tipo da caffè» disse. Rimasero in silenzio qualche secondo prima che Kurt trovasse il coraggio di dire: «Mi fa piacere che tu sia venuto.»

Blaine trasse un sospiro di sollievo: «Per un secondo ho pensato che mi avresti considerato una sorta di stalker e mi avresti tipo tirato dietro qualcosa o che avresti chiamato la polizia.»

«Non sarei stato così plateale. E poi nel tirarti quel pugno mi sono fatto male la mano – anche se immagino di averti fatto più male io. A questo proposito, non ti ho mai chiesto scusa.»

Blaine alzò le spalle: «Me lo meritavo. E poi ci sono abituato, insomma, facendo box.»

«Fai box?» chiese sorpreso. «Cavoli, potevi dirmelo prima che me la prendessi con te. È stato scorretto» disse.

«Quindi ora che lo sai non mi prenderai più a cazzotti?»

«Non penso, anche se potrei sempre rovesciarti una cocacola light sulla camicia» rispose.

Nel sentire una mano posarsi sulla sua spalla, Kurt sobbalzò.

«Ehi Kurt, non mi presenti il tuo amico?» disse una voce fin troppo familiare.

«Santana» mormorò Kurt, recuperando il respiro. «Pensavo fossi impegnata.»

«Trovo sempre un po' di tempo per il mio angioletto» rispose, strizzandogli una guancia, mentre Kurt cercava di allontanarla protestando. Allungò la mano verso Blaine «Io sono Santana e sono il suo angelo custode o guardia del corpo a seconda dell'occasione. Ho delle lamette nei capelli. Te lo dico subito, così dopo non puoi dire che non ti avevo avvertito.»

Lui le strinse la mano timoroso: «Io sono Blaine, un – esitò per un secondo – un amico di Kurt.»

«Amico» mormorò Santana, guadagnandosi una gomitata da Kurt.

«Sì, ci siamo conosciuti-»

«Ero presente al momento dell'incontro. Due martedì fa se non vado errata.»

I due la guardarono sorpresi.

«Scusa la domanda ma...ce li hai diciotto anni? Perché sul fatto che tu non ne abbia ventuno sono sicura, ma sai, se deve succedere qualcosa almeno-»

«San! Che diavolo ti sei messa in testa» sbraitò Kurt, arrossendo all'inverosimile.

«Sono all'ultimo anno delle superiori. Ho compiuto gli anni qualche mese fa» disse.

Santana sorrise compiaciuta. «Uno studente, eh? Spero tu non frequenti il McKinley. Di solito lì ci vanno abbastanza pesanti con quelli come noi.»

«Intendi con gli omosessuali?»

«Intendo con quelli che non si adeguano alla norma, a quelli che emergono, che si distinguono.» Scompigliò i capelli a Kurt alzandosi. «Vi lascio ragazzi, vado a farmi offrire qualcosa da bere.»

Quando si fu allontanata Blaine alzò le spalle: «E' forte.»

«Lo è davvero. E oggi è stranamente tranquilla.»

«Sembra volerti molto bene» commentò.

«Credo mi abbia adottato come fratellino. Le sono molto grato per tutto quello che fa per me. All'inizio era davvero difficile per me, mi sentivo a disagio e ogni sera prima di salire sul palco pensavo di morire. Pensavo che l'esperienza nel coro mi avrebbe aiutato ma una cosa è cantare “Don't stop believing” nell'auditorium della scuola, un'altra è...beh, questo» disse, facendo un cenno con la testa al palco ormai vuoto. «Lei mi ha praticamente raccolto col cucchiaino e mi ha rimesso in sesto. All'inizio mi difendeva dalle avance troppo insistenti, ora so cavarmela da solo. Senza ricorrere a pugni in un occhio» disse ridendo. «Certo, se solo lei e Finn andassero un tantino d'accordo...»

«Bisticciano?»

«Come cane e gatto.»


Santana si sporse sul bancone e richiamò l'attenzione di Finn.

«Li hai visti?»

Finn annuì, asciugando un bicchiere.

«E non dici niente?»

«Al contrario di qualcuno io preferisco farmi gli affari miei» disse.

Santana scosse la mano in segno di disapprovazione: «Volevo solo controllare che fosse uno okay. Insomma, dopo Dave...»

Finn sbatté il bicchiere sul bancone, facendo sobbalzare la ragazza. «Non nominarmelo, per favore» disse. «Ho già conosciuto quel tipo due settimane fa e mi è sembrato un bravo ragazzo. Forse fin troppo bravo per essere in un posto come questo.»

«Un po' come te e Kurt, insomma. Due bravi ragazzi che la vita ha spedito nella parte ovest di Lima, la parte sbagliata.»

Finn annuì pensieroso. «E se ci fosse un modo per andarcene?»

«Per lasciare Lima?»

«Non necessariamente Lima, ma almeno smettere di fare questa vita, trovarmi un lavoro serio, una ragazza per me, un ragazzo per Kurt, comprare una casa che non cada a pezzi, mettere su famiglia...»

«E vissero a lungo felici e contenti? Tu sogni, Finn. Sarebbe bello, sarebbe bellissimo.» Santana chiuse gli occhi per un secondo e Finn poteva immaginare che cosa stesse immaginando, perché sorrise per un secondo prima di riaprire gli occhi: «Ma appunto, sarebbe solo un sogno.»

Finn ridacchiò: «Sicura di essere lesbica, zietta? Perché saremmo una bella coppia: litighiamo già come due vecchi coniugi.»

«Sicurissima, Finn» disse, lanciandogli un'occhiataccia, senza essere davvero arrabbiata. In quel momento guardava con invidia Kurt e il suo bello spasimante dalle sopracciglia trigonometriche che le ricordavano vagamente le ore di geometria di quando era ancora una studentessa. Li invidiava perché loro – per quanto continuassero a negarlo – si erano trovati.

Le parole di Finn l'avevano toccata nel profondo. Ora voleva anche lei qualcuno da amare.


Quella sera Kurt prese il posto di Finn al volante, il quale sembrava eccessivamente distratto per mettersi alla guida. E poi Kurt l'aveva visto bere una birra neppure un'ora prima e voleva evitare inconvenienti. Non gli dispiaceva guidare, anche perché a quell'ora non c'era quasi più nessuno per le strade e la macchina, stranamente, non faceva capricci.

«Mi dirai prima o poi perché questa sera sembri fra le nuvole?» chiese Kurt, fermandosi ad un semaforo.

Finn sbuffò, lasciandosi scivolare sullo schienale del sedile. «Cos'è, un interrogatorio?»

«Più o meno» ridacchiò, spingendo il piede sull'acceleratore. «Tanto per sapere se dovrò guidare ancora altre volte.»

L'altro scosse la testa: «No. Spero di risolvere la cosa.»

«Mh, allora qualcosa c'è. Una ragazza?» chiese. Poi si voltò preoccupato: «Non ti sarai preso di nuovo una cotta per Santana? Non sopporterei un'altra settimana con te che ripeti “in che senso lesbica?” steso sul divano a mangiare nachos e bere birra calda.»

«Niente Santana. Ho passato quella fase e non ci ritornerò mai più» disse, rabbrividendo al pensiero della ispanica in procinto di piantargli un tacco a spillo nelle zone sensibili. «Effettivamente c'entra una ragazza, ma non ne senso che intendi tu.»

«Okay. In che senso?»

Finn esitò. Poi pensò che avrebbe potuto girarci attorno finché voleva, ma alla fine il succo della questione non sarebbe cambiato. Meglio arrivare subito al sodo.

«E se io – per dire, eh? - tornassi al McKinley per diplomarmi.»

Kurt quasi inchiodò. Grazie al cielo dietro di loro non c'era nessuno e questo diede il tempo al ragazzo di riprendersi e tornare alla guida.

«Okay, ho capito, era un pessima-»

«E' un'idea grandiosa» disse Kurt.

«Ah sì? Dalla tua reazione non si direbbe.»

«Mi hai colto alla sprovvista, tutto qui. Ma penso che sia una buona idea. In fondo non ti mancava poi molto al diploma. Non hai nessun lavoro fisso mattutino quindi puoi benissimo frequentare e, una volta diplomato, potresti sperare di trovare un lavoro vero.»

«Era quello che speravo anch'io. Temevo che mi avresti dato dello stupido.»

Kurt schioccò le labbra con tono scettico: «A suo tempo ti sei sacrificato per noi, ora direi che puoi recuperare il tempo perso» disse, sorridendo. Poi un pensiero gli attraversò la mente: «Aspetta, e in tutto questo che c'entra la ragazza?»

«Ah. Giusto» mormorò. «Oggi è passata al bar una ragazza del McKinley. Una ragazza del Glee Club.»

«Il Glee? Esiste ancora? Pensavo che Figgins l'avesse chiuso per devolvere i fondi al gruppo di musica indiana.»

«Invece esiste ancora e si stanno preparando alle regionali. Solo che hanno bisogno di un leader, di qualcuno che li porti in cima.»

«Non dire nient'altro. Hai la mia benedizione» disse Kurt. «Vai e portali fino alle nazionali e se non porterai a casa il trofeo del primo posto ti disconoscerò come fratello.»

«Ehi!» esclamò per protesta.

«A proposito, hai detto che è venuta una ragazza. Era una che conoscevamo? Tina, Mercedes, Quinn?»

«No, era una nuova. Ha detto di essersi trasferita da poco da una scuola privata. Adesso il nome mi sfugge, ma mi ha lasciato il suo biglietto da visita oscenamente glitterato» disse, frugando nelle tasche. «Ah, eccolo qui. Rachel Anderson.»

Kurt quasi inchiodò di nuovo.

«Kurt, che ti prende?» esclamò Finn, il quale si pentiva in quel momento di non essersi messo al voltante.

«Hai detto Rachel Anderson?»

«Sì! Rachel Anderson. Perché, la conosci?»

Per l'ennesima volta in una manciata di settimane, Kurt si ritrovò a pensare che Lima fosse decisamente troppo piccola.




Note:


1- Ogni riferimento a Cooper Anderson e a STIUTK è puramente casuale (no, sul serio, questo capitolo era già stato scritto BEN prima di aver visto quel meraviglioso episodio)




A/N


Questo capitolo era decisamente lungo (il più lungo finora) ma c'erano un sacco di cosa da scrivere e non volevo separarle. Spero non risulti troppo pesante!


Nient'altro da aggiungere. Come al solito un iper-mega grazie a tutte quelle che commentano e/o hanno inserito la storia fra le preferite(13)/seguite(63!)


Al prossimo venerdì!


yu_gin



coming next:


«Ripetilo» disse Blaine. Il suo tono era tremendamente serio, così serio che Kurt esitò prima di aprire di nuovo bocca.

«Tua sorella è andata allo Scandal a cercare mio fratello per chiedergli di tornare nelle New Directions.»

«Mia sorella è andata allo SCANDALS?»

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** this is my past ***


A Lima Side Story




Capitolo 9: this is my past



«Ripetilo» disse Blaine. Il suo tono era tremendamente serio, così serio che Kurt esitò prima di aprire di nuovo bocca.

«Tua sorella è andata allo Scandal a cercare mio fratello per chiedergli di tornare nelle New Directions.»

«Mia sorella è andata allo SCANDALS?» sbraitò Blaine, mettendosi le mani fra i capelli. «Se mia madre lo scopre...se scopre che ci sono andato anch'io...se solo le dovesse venire in mente che Rachel l'ha fatto per imitarmi» abbandonò la testa sul tavolino del caffè. «La mia vita è rovinata.»

Kurt azzardò a dargli una pacca sulla spalla, che fece emergere la testa di Blaine dallo sconforto: «Dai, non penso verrà mai fuori. Piuttosto, tu e i Warblers dovreste preoccuparvi delle Regionali. Forse Finn non sarà bravo a ballare e probabilmente non sarà il più talentuoso solista dell'Ohio, ma se la cava, ha carisma e soprattutto ha quel sorriso da ragazzo di provincia che fa intenerire le fanatiche dell'uncinetto e i guidatori di trattori.»

«Quindi non ci resta che sperare che i giudici non rientrino in queste due categorie.»

«Hai capito cosa intendo.»

Blaine sorrise: «E così fai il tifo per noi?»

«Non faccio il tifo per voi! È che ho in qualche modo contribuito alle vostre divise e se perdeste Sebastian finirebbe per scaricare la colpa su di me.»

«Non lo permetterei mai. Sarebbe la mia parola contro la sua e se riuscirai a sfoderare il tuo migliore sguardo da commesso ferito nell'orgoglio il perfido Seb non avrà scampo» disse, bevendo un altro sorso del suo caffè. «Alla fine hai detto a Finn che Rachel è mia sorella?»

Kurt scosse la testa: «Non sapevo bene come dirglielo e così ho pensato di temporeggiare. Sarebbe sembrato così...strano. E poi sicuramente si sarebbe lasciato scappare qualcosa. Invece così il tuo...segreto rimarrà al sicuro.»

Blaine sospirò: «E tutto ciò perché non ho il coraggio di dirle la verità.»

«Non puoi compiere un passo così importante senza averci pensato.»

«Tu quando hai deciso di dirlo alla tua famiglia?» chiese. «Scusa, forse era un po' troppo personale.»

«No, non c'è problema. Penso di averlo sempre saputo, dentro di me. Insomma, mentre gli altri ragazzi giocavano con le macchinine e con i lego, io organizzavo tea party con i soldatini di Finn. Mentre mio fratello giocava a pallone con i suoi amici io preferivo saltare la corda con le altre ragazze. E poi quando gli altri miei coetanei cominciavano ad esprimere apertamente apprezzamenti sulle ragazze della nostra scuola io mi rendevo conto che non sentivo nulla verso di loro. Nessun formicolio allo stomaco, nessun desiderio incontrollato di incollare loro gli occhi addosso. Cosa che invece mi succedeva quando guardavo i tuffatori alle olimpiadi o i ballerini ne Il lago dei cigni. Però non ho mai detto nulla perché pensavo che per la mia famiglia sarebbe stato un enorme disagio ed avevo paura.

«Poi, al primo anno di liceo, mi sono preso una cotta stratosferica per un giocatore di football dell'ultimo anno, che ovviamente nemmeno sapeva della mia esistenza. Mi limitavo a guardarlo da dietro l'armadietto o durante gli allenamenti. Non mi piaceva solo fisicamente, dentro la mia testa l'avevo idealizzato a tal punto da renderlo una sorta di principe azzurro. Fu a quel punto che capii che non poteva più mentire a me stesso. E così decisi di dirlo ai miei.»

«Che la presero piuttosto bene.»

«Già, per mia fortuna. E lo stesso per i miei amici del Glee. Nessuno si sconvolse, nessuno mi voltò le spalle, nessuno mi trattò diversamente. Poi però...»

«Cosa accadde?»

«Il professor Schuester mi propose di cantare una canzone alle provinciali: Defyning Gravity

«La conosco. Mia sorella la canta da quando ha voce.»

«E allora avrai presente che tipo di canzone è. Una canzone da donna che arriva ad un fa alto.»

«Aspetta, vuoi dirmi che l'hai cantata nella tonalità originale?» chiese, strabuzzando gli occhi.

«Certo che sì» ribatté «Sono un orgoglioso controtenore» disse.

«Non farlo sapere in giro, o Sebastian ti infilerà addosso un blazer e ti recluterà nei Warblers prima che tu possa aprire bocca» disse. «Ma va' avanti.»

«Come dicevo, quando mi chiese di cantarla io accettai subito. Non ci potevo credere, era il mio sogno: cantare una delle mie canzoni preferite alle provinciali!»

«E la cantasti?»

«Certo. Lasciammo a bocca aperta l'intero auditorium e passammo le provinciali.»

«Ma è fantastico!»

«Già, peccato che il video delle provinciali fu caricato su youtube e, neppure due giorni dopo, a scuola cominciarono ad additarmi come gay, frocio, finocchio con tanto di scritte sull'armadietto, nel bagno, sullo zaino. Fu l'inizio dell'inferno, in un certo senso.»

Posò la tazza sul tavolino e sospirò.

«Da lì in poi i bulli si focalizzarono su di me. Gli altri del Glee provavano a difendermi, ma se potevano ripararmi dai pugni e dagli spintoni, non potevano farlo dalle loro parola, dai loro insulti, dai loro sguardi. E finché c'era ancora mio fratello non era poi così dura. Lui era il quaterback della squadra di football e in qualche modo questo suo “titolo” mi serviva da scudo. Poi però lui ha lasciato la scuola e io mi sono ritrovato improvvisamente scoperto.»

Blaine poteva vedere quanto gli costasse parlarne. «Se non vuoi non serve che tu continui.»

«No, voglio parlarne. Se ti sta bene ascoltarmi.»

«Non dirlo neanche per scherzo! Certo che ti ascolto!»

«Insomma, ero al mio penultimo anno e un ragazzo mi stava rendendo la vita impossibile. Sembrava davvero odiarmi. Mi insultava in ogni momento, mi spingeva contro gli armadietti, minacciava di picchiarmi e io non ce la facevo più. Così un giorno, dopo che mi aveva fatto cadere per l'ennesima volta, l'ho inseguito negli spogliatoi e gli ho detto che non mi importava nulla di quello che mi diceva e che non sarei mai e poi mai cambiato perché ero orgoglioso di quello che ero.»

«E lui?» chiese Blaine, aspettandosi il peggio.

Kurt alzò le spalle: «E lui mi ha baciato.»

Blaine quasi sputò il caffè: «Che?»

«A quanto pare è vero che gli omofobi più convinti sono gay repressi.»

«Cioè, lui ti ha- insomma- oh mio Dio!»

«Ecco, è stata più o meno la mia reazione.»

«E poi che hai fatto?»

«Beh, ovviamente l'ho spinto via. Ero furioso perché si era preso il mio primo bacio, ma allo stesso tempo ero...lusingato. Perché prima di allora non pensavo sarei mai piaciuto a qualcuno.»

«Ma dai!» esclamò Blaine, prima di rendersi conto di aver parlato troppo.

Kurt sorrise: «Dopo di ché abbiamo parlato. Già, può sembrare stupido ma andò così. Lui smise pian piano di darmi fastidio, anche se non fece mai coming out. Cominciammo a frequentarci – sempre rigorosamente di nascosto – finché, non so neppure io come, diventò il mio ragazzo. Anche se la cosa non mi è mai stata chiara.»

«Non ti era chiaro se eravate insieme?»

«Lo so che è strano. Uscivamo insieme, ci baciavamo, ci scrivevamo sms, ma non l'abbiamo mia detto a nessuno. Per molto tempo l'ho tenuto nascosto anche a mio fratello, finché non l'ha scoperto. Inutile dire che è rimasto scioccato. E non per il fatto che frequentassi un ragazzo – sapeva che da me non poteva aspettarsi altro – ma perché era lo stesso ragazzo che mi aveva reso la vita un inferno.»

«Posso chiederti una cosa?»

Kurt alzò le spalle: «Meglio che ne approfitti. Oggi sono in vena di confessioni.»

«Questo ragazzo...è lo stesso del Lima Bean?»

Kurt annuì. «Dave.»

«Quindi siete ancora-»

«No. Ci siamo lasciati che eravamo ancora al liceo. E diciamo che non è stata esattamente una rottura pacifica» disse. «E no, questa volta non mi va di parlarne.»

«Capisco» disse Blaine, addentando il suo muffin.

«Cavolo, ho parlato anche troppo»

«Il che è strano. Di solito mi prendono sempre in giro perché tendo a sovrastare la gente con le mie chiacchiere.»

«Ma tendi a non parlare di te. Magari stai più sul vago, parli delle possibili canzoni da eseguire al Glee, delle innovazioni per le vostre divise e di che cosa hai fatto nel week end. Ma non parli mai di te stesso.»

«Sono così palese?»

«No, è che è lo stesso per me. Ci sono poche persone con cui parlo apertamente. La zietta San, una volta c'era mia madre e al Glee avevo dello buone amiche. Neppure con mio fratello parlo sempre apertamente. Con te invece mi sembra tutto più semplice.»

«E a me fa piacere ascoltarti» disse.

«Pensi che un giorno comincerai anche tu a raccontarmi di te?»

Blaine alzò le spalle: «Come se ci fosse qualcosa da raccontare! La mia vita finora è stata noiosamente normale. A volte penso che avrei preferito...qualcosa di diverso» disse, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia. «Sembra molto un discorso da figli di papà, ma a volte mi sarebbe piaciuto frequentare una scuola pubblica, affrontare le difficoltà di tutti i giorni, trovare un ragazzo e magari anche farsi scaricare, ma almeno sapere che cosa si prova. Insomma, dico di voler cantare, di voler fare l'artista, ma la verità è che i più grandi autori hanno sempre messo tutta la loro esperienza nelle loro composizioni e io di esperienza ne ho ben poca.»

«Forse devi solo aspettare la persona giusta per fare questo tipo di esperienze.»

«Forse devo solo aspettare il momento. E quando arriverà dovrò riuscire a coglierlo, prima che sia troppo tardi.»

Entrambi abbassarono lo sguardo sorridendo, entrambi chiedendosi se stessero effettivamente pensando alla stessa cosa.


E così eccomi di nuovo fra queste mura, pensò Finn camminando per i corridoi della sua vecchia scuola superiore. Chi l'avrebbe mai detto che un giorno sarei tornato.

Da quando aveva lasciato la scuola, era rientrato al McKinley una sola volta – al diploma di Kurt – per sua personale scelta. Era convinto che, se mai vi fosse tornato, non avrebbe più voluto andarsene.

Sono qui per restare. Almeno finché non mi diplomerò, pensò. Raggiunse quello che doveva essere il suo armadietto a aprì il lucchetto. Era completamente vuoto. Un buon inizio, pensò, chiedendosi che foto avrebbe attaccato, che cosa ci avrebbe messo dentro e se sarebbe riuscito a non fare un casino.

La sua prima tappa fu nell'ufficio della signorina Pillsbury che fu più che lieta di rivederlo. Si ricordava ancora di lui e di quanto aveva insistito perché non lasciasse la scuola prima del diploma.

«Sono contenta che tu sia tornato» disse.

«Lo sono anch'io» ammise lui.

«Hai già parlato col professor Schuester? Sono certa che sarà entusiasta di rivederti.»

«Non ancora, pensavo di andare a salutarlo dopo scuola, alle prove del Glee.»

La donna lo guardò a bocca aperta: «Hai intenzione di tornare nel club?»

«Ovvio!» disse ridendo e lasciando l'ufficio.

Si stava dirigendo verso l'aula di matematica quando sentì qualcuno aggrapparsi alla sua camicia. Si voltò e riconobbe Rachel, la ragazza del bar.

«Ti sei iscritto, alla fine!» esclamò gioiosa, abbracciandolo.

Finn alzò le spalle: «Un diploma mi sarà utile, no?»

«E ti sarà ancora più utile il trofeo delle nazionali e il tuo nome sui giornali. I nostri nomi su tutti i giornali» esclamò felice. «Vieni dopo alle prove?»

«Non mancherò. Ora scusa, non vorrei arrivare in ritardo alla lezione di matematica» disse, dirigendosi verso la classe. Si voltò per un secondo, cercando di scorgere Rachel fra la folla di studenti, ma era già troppo tardi.


Rachel era in fibrillazione. Mercedes la fissava innervosita, chiedendosi che cosa stesse macchinando – probabilmente voleva perseguitare il professore finché non le avesse assegnato tutti gli assoli per le provinciali, i musical o qual si voglia progetto del Glee.

«Si può sapere che hai?» chiese Quinn infastidita.

«Sto aspettando qualcuno. Qualcuno che ci farà vincere le provinciali.»

«E chi, l'elfo di Babbo Natale?» sbottò.

«Stai scherzando? Non vorrai mica sottrarre a Babbo Natale uno dei suoi preziosi aiutanti?» chiese Brittany.

Il Glee fissò Brittany, divisi fra lo sbigottimento e la tenerezza per la sua uscita.

«No, veramente pensavo a qualcuno di più reale. E più alto. E proveniente da un luogo più vicino e raggiungibile del lontano Capo Nord.»

A quel punto fu interrotta da un colpo di tosse. Tutto il Glee alzò lo sguardo in direzione dell'entrata, interamente occupata dalla figura alta ed ingombrante di Finn.

«Oh mio Dio. Non credo ai miei occhi» mormorò Quinn.

«Finn Hummel?» esclamò Mike.

«Allora qualcuno si ricorda ancora di me» disse, grattandosi la testa imbarazzato.

Non riuscì a dire altro. Tutti i ragazzi gli saltarono addosso, abbracciandolo, dandogli pacche sulla schiena, gridandogli dov'era stato, togliendogli il fiato.

«Calmi, calmi! Ho tutto il tempo che volete per rispondere alle vostre domande anche perché, se mi vorrete, non me ne andrò fino al diploma. E potrebbe volermici un po'. Tipo, fino alle nazionali.»

La sua affermazione fu accolta dalle risate e dalle esclamazione di approvazione.

«Ragazzi, cos'è tutta questa agitazione?» chiese il professor Schuster, entrando nell'aula di musica. «Chi diavolo-»

Ammutolì, riconoscendo il ragazzo che aveva davanti. «Finn» mormorò.

«Buongiorno professore. Sono tornato per restare, se mi vorrà ancora.»

Schuster non aggiunse altro ed abbracciò il ragazzo.

«Finn! Non sai quante volte ho sperato che tornassi.»

«Mi ci è voluto un po'. Poi però ho fatto una chiacchierata con Rachel che mi ha convinto a tornare» disse, rivolgendosi verso di lei.

Quinn la guardò stupita: «Ti avevamo sottovalutata.»

«Già. È il destino della mia vita.»

«Ora, se non vi spiace, avrei preparato una canzone. Una canzone per dirvi perché sono tornato» disse, voltandosi verso Brad che, avvertito in precedenza da Rachel, aveva lo spartito pronto davanti al pianoforte. Lo stesso valeva per la band.

Non appena le prime note cominciarono a riempire la stanza, a Finn sembrò di tornare indietro nel tempo, come se quei due anni non fossero mai passati.


I have climbed the highest mountain

I have run through the fields

Only to be with you

Only to be with you


Vedeva i suoi amici di sempre dondolarsi sulle sedie, muovere la testa al ritmo della musica. Poteva vedere Tina mormorare a fior di labbra le parole e affianco a lei Mike tamburellare le dita sulla sedia.


I have run, I have crawled

I have scaled these city walls

These city walls

Only to be with you


Avrebbe fatto di tutto da lì in avanti per rimanere al loro fianco, questa volta fino alla fine. Aveva perso una parte troppo importante della sua vita e ora voleva riprendersela, come gli spettava.


But I still haven't found what I'm looking for
But I still haven't found what I'm looking for


Non aveva ancora trovato quello che stava cercando. La felicità, la sicurezza in se stesso e nelle proprie capacità, la propria strada nella vita. Non era ancora riuscito a trovare un sogno che potesse condurlo da qualche parte e voleva trovarlo.


I have kissed honey lips
Felt the healing in her fingertips
It burned like fire
This burning desire
I have spoke with the tongue of angels
I have held the hand of a devil
It was warm in the night
I was cold as a stone


I suoi amici gli stavano sorridendo. Lo avevo accettato – e perdonato, come avevano sempre fatto. Nonostante li avesse abbandonati quando più avevano bisogno di lui, ora erano seduti di fronte a lui, pronti a riaccoglierlo in quella grande famiglia che era il Glee club.


But I still haven't found what I'm looking for
But I still haven't found what I'm looking for


Non l'aveva ancora trovato, ma sentiva di potercela fare.


«Avanti, Finn, siediti. Hai così tante cose da raccontarci!» disse il professore, offrendogli una sedia. «Cosa hai fatto in questi due anni?»

Finn si accomodò fra loro e si voltò verso gli altri ragazzi, per vederli tutti in faccia. «Ho lavorato per circa un anno in una fabbrica, poi però mi hanno licenziato perché stavano facendo dei tagli al personale. E così ho cominciato a lavorare come barista, di sera, e intanto ho continuato a cercare un lavoro. Un lavoro serio e diurno, ma non si trova nulla in giro. Così, quando Rachel mi ha proposto di tornare a scuola e diplomarmi, ne ho parlato con Kurt e-»

«Kurt! Quasi mi dimenticavo di chiedertelo: come sta?»

Finn abbassò lo sguardo e cercò di sembrare il più sincero possibile nel dire: «Sta bene. Ha trovato un posto come commesso da GAP e ogni tanto lavora con me al locale» disse, rimanendo sul vago. «Tiriamo avanti.»

Gli altri ragazzi annuirono, capendo subito che non andava tutto bene. Tutti avrebbero voluto fare qualcosa per loro, se solo avessero saputo cosa fare.

«Pensi che lo vedremo di nuovo qui al McKinley?»

«Non penso tornerebbe qui, neppure per tutto l'oro del mondo» disse ridendo. «Gli mancate però. Ogni volta che salta fuori il Glee Club si vede che si taglierebbe una mano pur di tornare a cantare con voi. Con noi» aggiunse infine, grattandosi la testa.

«Resterai davvero? Fino alle nazionali, intendo» chiese Mercedes.

«Se ci arriveremo» commentò Quinn, scettica.

«Resterò e arriveremo alle nazionali. Ho una promessa da mantenere» disse.


All'uscita da scuola i ragazzi si divisero, andando ognuno alla propria macchina. Finn si attardò a salutare tutti quanti, poi si avviò alla macchina. Fu allora che il professore lo raggiunse.

«Ehi, Finn!» lo chiamò, fermandolo. «Ti dispiace fermarti qualche minuto in più per...parlare?»

«Parlare?»

«Sì, di te, di come te la passi. Di quello che non hai voluto dire ai tuoi compagni.»

Finn distolse lo sguardo: «Ho pensato che non fosse il caso di tirare giù il morale ai ragazzi, non con le provinciali alle porte.»

«E tu invece? Ora sei di nuovo felice perché sei tornato fra i tuoi amici, ma come hai passato questi due anni? Come li hai passati davvero

«Da schifo» ammise. «Non sono ancora riuscito a trovare un lavoro serio e a stento riusciamo ad arrivare a fine mese, facendo i salti mortali. Kurt fa due lavori e io non riesco a trovarne uno che mi permetta di guadagnare abbastanza. Ho pensato che forse col diploma le cose sarebbero migliorate, e poi Rachel diceva che suo padre può aiutarmi a trovare un lavoro, se sarà lei a chiederglielo. Farei qualsiasi cosa, pur di uscire dalla situazione in cui ci troviamo.»

«C'è un'altra cosa che volevo chiederti. E ti prego di rispondermi con sincerità, anche se non sarà facile. Prima che Kurt si diplomasse giravano delle voci a scuola. Delle voci poco carine.»

«Intende più del solito?» commentò sarcastico.

«Finn, una cosa è essere gay. Una cosa è lavorare in un locale come lo Scandals e non esattamente come barista» disse.

Colto nel segno, Finn abbassò la testa e mormorò: «Sì, erano vere.»

Schuester si passò una mano sul volto nel sentire che i suoi timori erano fondati. «E da quant'è che va avanti?»

«Dall'anno scorso, più o meno, ossia da quando ho perso il lavoro alla fabbrica. Non sapevamo più come fare e poi è successo. Non avevamo alternativa.»

«Ma cosa vi è saltato in mente!» esclamò il professore. «Potevate parlarcene! Avrei fatto di tutto piuttosto che-» si trattenne. «Perché avete voluto fare tutto da soli? Siete dei ragazzini.»

«Non fate altro che dire “potevate dircelo” e “avrei fatto qualcosa”, ma cosa? Avremmo forse dovuto vivere di elemosina tutta la vita? O davvero è convinto che sarebbe riuscito a trovarmi un lavoro? A me, che non so fare un bel niente se non...cantare, probabilmente. Smettetela di dirci cosa avremmo dovuto fare. È la nostra vita.»

«Ma che vita? Quanto pensate di poter andare avanti così?»

«Non lo so. Ma per ora è l'unico modo che abbiamo trovato e ci va bene.»

«Voglio aiutarvi, Finn. L'anno scorso ho fallito come insegnate e come persona. Quest'anno lasciamo rimediare. Vorrei parlare con entrambi voi, per essere sicuro che stiate bene davvero. Pensi di poter convincere Kurt a incontrarmi? Non qui al McKinley, ovunque preferiate. Anche a casa mia, se vi sta bene.»

«Penso di poterci riuscire» disse.

«Lo spero. Fammi sapere» disse, lasciandolo alla macchina e allontanandosi.

«Professore!» lo richiamò Finn, facendolo voltare. «Grazie. Lei è sempre stato il mio prof preferito.»

Schuester sorrise, andandosene.


«Non se ne parla!» esclamò Kurt.

«Andiamo, sii ragionevole» disse Finn, tentando di fermarlo prima che lasciasse la cucina e si chiudesse nella propria camera.

«Non andrò a casa del professor Schuester per una cena ed una predica su cosa dovremmo o non dovremmo fare.»

Finn alzò le spalle: «E dai! Magari vuole solo parlare con noi e sentire come stiamo. E poi, pensaci un attimo, avremmo una cena gratis e scommetto che la signorina Pillsbury è molto brava a cucinare!»

Kurt sbuffò e lo guardò negli occhi: «Ci vuoi davvero andare?»

«Perché no? In fondo siamo ancora dei ragazzini e l'aiuto di due adulti non può che tornarci utile.»

«Ragazzini?» esclamò Kurt.

«Hai capito cosa intendo dire. Pensiamo di essere adulti, ma la verità è che non abbiamo un progetto, non abbiamo uno scopo, non sappiamo neppure cosa faremo domani. Non possiamo andare avanti così tutta la vita. Doveva essere una cosa temporanea, ricordi? Il lavoro allo Scandals, questo appartamento, cenare con quello che capita e così via. Non abbiamo neppure più un sogno, un sogno vero al quale aggrapparci.»

Kurt distolse lo sguardo.

«Ricordi il nostro ultimo anno al Glee? Ricordi la canzone che avevamo preparato?»

«Don't stop believing, dei Journey» disse.

«Esatto. Non smettere di sognare, cantavamo. Anche nelle situazioni più dure ciò che ci faceva andare avanti, ciò che ci permetteva di non mollare tutto erano i nostri sogni. Perché ora dovrebbe essere diverso?»

«Perché ora ci troviamo in questa situazione che-»

«E' per via dei soldi che mancano, o del lavoro? Non servono i soldi per sognare. Seriamente, Kurt, quando la sera chiudi gli occhi pensi mai a dove vorresti essere fra un anno o due o dieci? E non dirmi che ti immagini su quello stesso letto, in questa stessa città, in questa stessa vita.»

Kurt chiuse gli occhi e pensò: aveva davvero perso i suoi sogni?

Quand'era alle superiori e Karofsky lo tormentava l'unica cosa che l'aveva fatto andare avanti era stato il pensiero di come sarebbe stata bella e radiosa la sua vita di lì a cinque anni, come si immaginava a New York in compagnia di un uomo bellissimo. Quando i suoi genitori erano morti non aveva mai abbandonato quel sogno, pensando che un giorno anche lui avrebbe avuto una famiglia tutta sua e dei figli.

Poi però, senza neppure rendersene conto, aveva smesso di crederci e tutto era diventato più duro da sopportare. Ora che non aveva più uno scopo i giorno passavano senza che lui se ne accorgesse, tutti ugualmente grigi.

Quand'era che aveva smesso di sognare?

Quando aveva smesso di essere speciale?


«Credo dovresti andarci» disse Blaine.

«Dici?» chiese Kurt, tormentando i tasti del suo cellulare senza uno scopo.

«Pensaci un attimo: se cercheranno di convincerti a fare qualcosa che non vuoi davvero fare, sono certo riuscirai ad opporti, se invece temi che ti convincano compiere una scelta che hai paura di fare...non credi sarebbe meglio lasciarti convincere? E magari lasciare che vi aiutino? È il bello della scuola, no? Avere i professori che, ad ogni difficoltà, ti possono venire in aiuto.»

«Già, ma io la scuola l'ho finita» precisò.

«Tuo fratello no, però. Tornare a scuola vuol dire tornare a dipendere dagli adulti. Nel bene e nel male.»

Bevve un sorso del suo caffè: «Quindi secondo te dovrei andare?»

«Assolutamente» concluse. «E poi ha ragione tuo fratello: in ogni caso ci avrete guadagnato una cena, no?»

Kurt sorrise: «Già. Mi immagino già la signorina Pillsbury intenta a riempirci il piatto e a sottoporci volantini sulla malnutrizione giovanile e sui disturbi dell'alimentazione» disse. «Mentre il professor Schuester cercherà di farmi tornare nel Glee a tutti i costi.»

Blaine ebbe un sussultò che fu notato da Kurt.

«Ovviamente però non è possibile che ci torni. Ho finito la scuola e poi mi porterebbe via tutti i pomeriggi e devo lavorare.»

Senza volerlo Blaine sospirò sollevato. Notando l'aria perplessa di Kurt, aggiunse: «Scusa, è solo che averti come avversario sarebbe...così strano! Non credo di aver ancora mandato giù il trasferimento di Rachel e vedere anche te sul palco e pensare “o me o lui”...non credo riuscirei a sopportarlo.»

«Ah no?»

«No! Insomma, tu...» balbettò. «Noi...noi siamo amici.»

«Amici» ripeté Kurt.

«Già. Sarebbe come Red e Toby e uno dei due dovrebbe sbranare l'altro.»

«Non finisce così Red e Toby. Finisce che rimangono amici ma non si possono più frequentare» specificò Kurt, forte di una ferrata cultura Disney.

Come se questa prospettiva fosse sopportabile, pensò Blaine.

«Stai tranquillo. Niente Red e Toby. Non tornerò nelle New Direction. Certo, sarà dura alle Regionali decidere per chi fare il tifo» disse, grattandosi il mento e fingendosi pensieroso.

Kurt e Blaine continuarono a scherzare e a bere i loro caffè.

Non sapevano di essere osservati ormai da dieci minuti.

Dave era passato da GAP per parlare con Kurt, ma una delle commesse gli aveva detto di averlo visto andar via con un altro ragazzo. Basso, moro e con la divisa di una scuola superiore. Dave non aveva avuto dubbi su chi dovesse essere il ragazzo in questione.

Aveva ipotizzato che fossero andati al Lima Bean e così era stato, per sua fortuna. Li aveva visti entrando ed era rimasto in disparte. Per un secondo aveva pensato di andarsene. Quel comportamento era come minimo fuori luogo, oltre che da stalker.

Kurt non era il suo ragazzo – non più, per propria colpa.

Tuttavia non era riuscito a frenare la curiosità: quanto erano amici quei due? Da quanto si conoscevano? Ogni quanto si vedevano e per quanto tempo?

Avrebbe voluto spuntare fuori dal nulla e interrompere la loro conversazione, un po' come avevano fatto il tappo e il suo amico spilungone qualche settimana prima.

Ma poi non avrebbe saputo cosa dire o fare. Aveva preferito rimanere nell'ombra e studiare il nemico. Termine orrendo, ma quanto mai appropriato.

Voleva riavere Kurt. Nella sua vita fatta di menzogne, Kurt era stata forse l'unica cosa vera, autentica e perfetta e lui aveva rovinato tutto per stupidità e paura. Voleva che tornasse tutto come prima, perché questa volta non avrebbe più commesso gli stessi errori.

Si sarebbe ripreso Kurt.

E nessun ragazzino papillon-dipendente glielo avrebbe impedito.




A/N


La canzone che canta Finn è I still haven't found what I'm looking for degli U2.

Personalmente trovo sia stupenda, sia per la musica in sé, sia per le parole. Su youtube ci sono una valanga di cover fantastiche, se avete tempo dateci un'occhiata!


Colpo di scena finale (?): Dave ha avuto modo di appurare come le cose per lui si stiano mettendo male. Se ne starà con le mani in mano e si metterà a shippare la klaine come Puck e Rachel nel telefilm? Ovviamente no! Ma ogni cosa a suo tempo.


A venerdì con il prossimo aggiornamento!


yu_gin


coming soon


Blaine avrebbe voluto essere da tutt'altra parte in quel momento.

Sul serio, qualsiasi posto sarebbe stato migliore.

Un autogrill pieno di camionisti incazzati, una vasca piena di squali affamati, il Titanic sul punto di affondare. Tutto. Ma non lì.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** guess who's coming to dinner? ***


A Lima Side Story

 

 

 

Capitolo 10: guess who's coming to dinner

 

 

Kurt si sistemò la cravatta osservandosi davanti allo specchio.

Stentò a riconoscersi. Quant'era che non si vestiva così? Dal giorno del diploma, forse? O il giorno del funerale dei loro genitori?

Glielo avevano detto: quando indossi un abito ad un funerale non riuscirai più a dimenticarlo. E lui avrebbe voluto bruciare la giacca e i pantaloni eleganti insieme alle scarpe e alla cravatta non appena rientrato a casa dal cimitero, invece si era limitato a togliersi i vestiti, gettarli a terra e aspettare che gli tornasse la forza di piegarli e nasconderli nell'armadio.

Alla fine non li aveva gettati. Li aveva lasciati a marcire nell'armadio, sperando di non doverli mai più indossare.

Uscì dalla propria camera e raggiunse quella di Finn. Diede un'occhiata dentro:

«Tutto bene?»

Finn stava tentando di fare il nodo alla cravatta, con l'unico risultato di essere prossimo a strangolarsi.

Kurt gli si avvicinò e, dopo averlo fermato, gli sistemò la cravatta.

«Non è che posso mettermi una felpa e un paio di jeans? In fondo è quello che indosso ogni giorno a scuola.»

«No. Se non ci presenteremo vestiti di tutto punto, puliti e profumati penseranno che viviamo alla giornata, mangiando avanzi e cibo spazzatura eccetera eccetera.»

«Che poi sarebbe la verità» aggiunse Finn, dandosi un'ultima occhiata allo specchio.

Kurt neppure gli rispose. Andò in cucina, prese la torta che aveva preparato e la mise in una borsa di tela per trasportarla integra e al sicuro da Finn per tutto il viaggio.

«Sei pronto?» gridò.

«Eccomi» rispose Finn, emergendo dalla propria camera. «Andiamo?»

Scesero le scale e salirono in macchina. Per tutto il tragitto Finn continuò a tamburellare nervosamente le dita sul cruscotto dell'auto.

«Cerca di sembrare rilassato. Ad esempio, riusciresti a controllare la sudorazione?» chiese.

«Kurt, seriamente, pensi che sia possibile controllare la sudorazione ascellare? Eh?» replicò, accelerando in modo preoccupante.

«Okay, non scaldarti e non farci schiantare. Scherzavo.»

«In fondo è solo una cena col nostro vecchio professore. Col mio attuale professore. Insomma, perché mi dovrei preoccupare?»

«Appunto, quindi potresti rallentare e... mio Dio Finn! Rimetti la mani sul volante!» sbraitò Kurt, vedendo il fratello sistemarsi i capelli. Cominciava seriamente a pensare che l'idea di quella cena li avrebbe portati alla morte.

«Scusa. Ora mi calmo» disse. «E' che... lo sai, ho sempre tenuto al parere del professor Schuester. Lui ci ha sempre aiutati anche nei momenti peggiori, ha sempre creduto in noi quando tutti gli altri vedevano nel nostro futuro niente di più che una friggitrice del McDonald.»

«Sì, ricordo bene che per te era una specie di eroe da imitare. Ricordi quando avevi seriamente pensato di cominciare ad indossare gilet?»

«Ti prego, Kurt, non farmi tornare certi brutti ricordi!» disse, ridendo. «Però è vero, l'ho sempre stimato. Perché, nonostante la maggior parte delle persone consideri il suo lavoro al pari di quello di uno spazzino – faticoso, sottopagato e a stretto contatto con dei rifiuti – lui è sempre stato felice di ciò che faceva. Ed è ancora così, tiene a noi studenti. Altrimenti non ci avrebbe invitato a casa sua, per controllare che stessimo bene.»

«Qualcuno troverebbe un po' sospetto questo suo interesse per gli adolescenti» insinuò Kurt, sprofondando contro il sedile.

«Kurt!»

«Scherzavo, dai, non hai ancora imparato a riconoscere quando faccio sul serio e quando ho semplicemente una serata acida?»

Finn scosse la testa: «Ho come l'impressione che Santana stia avendo un cattivo ascendente su di te» disse, mentre suo fratello ridacchiava e intanto controllava che la torta non si fosse rovinata durante il viaggio.

Quando giunsero a casa del professore parcheggiarono e suonarono il campanello. Finn continuava a tormentarsi le maniche della camicia così Kurt gli diede una gomitata. Appena in tempo, perché neppure un secondo dopo la porta si aprì e fece capolino la testa rosso fuoco della signorina Pillsbury.

«Ragazzi, già qui?» squittì, battendo le mani felice.

«Non abbiamo trovato traffico» disse Finn.

Kurt si fece avanti, offrendole la torta ancora coperta: «Abbiamo pensato di portare un dolce. Per ringraziarvi della cena» disse, un po' imbarazzato.

La donna prese la torta sorridendo: «Kurt, non sei cambiato per niente» disse.

«Ed è un bene o un male?» chiese, azzardando una risatina nervosa.

«Su, venite dentro» li invitò. Fece loro strada fino alla sala da pranzo, dove il professore stava finendo di apparecchiare la tavola.

«Buongiorno professore» salutò Finn.

Kurt optò per un saluto più timido, più nel suo stile.

Schuester si rivolse a lui: «Kurt, è più di un anno che non ci vediamo, ma tu non sei cambiato per niente» disse.

Sul serio?, avrebbe voluto dire Kurt. Sul serio mi trova esattamente uguale ad un anno fa? Perché io stento a riconoscermi allo specchio. Stento a riconoscermi ogni volta che chiudo gli occhi.

Era per quello che odiava l'idea di rivedere i suoi professori delle superiori. Perché sapeva che l'avrebbero accolto con un “non sei cambiato per niente” e questo perché lo vedevano in quel momento, rimesso “a nuovo” per l'occasione. Avrebbero detto lo stesso se l'avessero visto dopo una serata allo Scandals, o dopo una litigata con Finn, o in quei momenti in cui si lasciava prendere dallo sconforto?

«Me lo dicono tutti» si limitò a rispondere, alzando le spalle e percepì il sollievo di Finn affianco a lui, che probabilmente si aspettava una risposta sarcastica.

«Avanti, venite a sedervi a tavola.»

Poco dopo la cena fu servita. Entrambi cercarono di trattenersi dal divorare istantaneamente tutto ciò che la signorina Pillsubry metteva loro sul piatto, per mantenere quella parvenza di contegno che a stento riuscivano a conservare.

I due padroni di casa non poterono fare a meno di notare la perizia con cui pulivano il piatto. Ciò era indicativo della vita che dovevano condurre.

Passarono la cena a parlare tranquillamente del Glee, delle canzoni da portare alle regionali, dell'entusiasmo di Rachel e il modo in cui Mercedes la spegneva, le uscite di Brittany, le labbra esageratamente grandi di Sam. Poi passarono a rivangare i vecchi tempi e a riesumare aneddoti che ormai pensavano di aver dimenticato.

Fu solo alla fine della cena che Schuester azzardò a tirare fuori l'argomento che realmente gli premeva.

«Abbiamo parlato del Glee e dei vecchi tempi. Ma non ci avete detto niente di come ve la passate in questo periodo.»

I due fratelli si scambiarono un'occhiata indecisa, poi Finn decise di parlare.

«Va tutto bene, come le ho già detto a scuola-»

«Finn, a scuola non mi hai detto che “andava tutto bene”. O meglio, sì, l'hai detto davanti ai tuoi compagni, ma poi, prima di andartene, mi hai detto come stavano davvero le cose.»

«Sì, è vero, abbiamo difficoltà economiche e non riesco a trovare un lavoro.»

«Finn» lo interruppe la signorina Pillsbury. «Io penso che William non si riferisca a questo.»

Il suo sguardo si rivolse a Kurt, che continuava a non capire.

«Penso si riferisca allo Scandals. E al vostro lavoro. Al tuo lavoro, Kurt.»

Finn si rivolse al professore: «Non posso credere che glielo abbia detto!» esclamò.

«Non posso credere che tu glielo abbia detto!» esclamò Kurt, rivolgendosi a suo fratello. «Che cosa ti è saltato in mente?»

«Ed io non posso credere che non ce l'abbiate detto prima!» intervenne il professore.

«Perché non è una cosa di cui andare esattamente fieri» disse Kurt, evitando il loro sguardo.

«Non lo è. E non so neppure se è legale» disse.

«Ho diciannove anni» sbottò Kurt. «E non è niente di più che ballare e sorridere. Un po' come il Glee, professore» ribatté, acido.

«Non paragonare il Glee a quello che fai! Quando cantavi nel coro della scuola lo facevi perché amavi la musica e perché ti faceva sentire bene. Tutti vi prendevano in giro ma tu ne eri orgoglioso lo stesso, non ti eri mai nascosto. Ora invece eviti i tuoi vecchi amici per non dovergli dire cosa fai.»

«E' solo una soluzione temporanea. Non appena troverò di meglio-»

«Quante volte te lo sei ripetuto perché suonasse vero anche a te?»

Kurt si alzò da tavola: «Grazie per la cena e per tutto. Noi ora ce ne andiamo» disse.

«Non credo proprio, Kurt» disse il professore, alzandosi in piedi.

«Non potete costringermi a rimanere!»

«Veramente possiamo» disse Finn. «Finché le chiavi della macchina ce le ho io.»

Kurt fissò il fratello, sentendosi tradito. Poi sbuffò e tornò a sedersi.

«E' una congiura. Ho capito. E io che ho pure portato una torta.»

«Non è una congiura. Non a tuo danno, almeno» disse il professore. «Vogliamo solo trovare una soluzione.»

«Io ho portato dei depliant» aggiunse la signorina Pillsbury, aprendo una scatola. Kurt lesse alcuni dei titoli, come “Il mio corpo non è in vendita” e “Io valgo più di questo” e “Lo spogliarellista non è un lavoro”.

«Dica la verità. L'ultimo l'ha fatto a posta per me» disse.

Finn gli tirò un calcio sotto la sedia.

«Ci ascolterai?»

«Vi ascolterò fino alla fine. Ascolterò tutto ciò che avrete da dirmi. Ma alla fine sarò io a scegliere. E se non troveremo una soluzione migliore terrò il lavoro finché non ne ce ne inventeremo una» disse.

Si morse il labbro desiderando essere da tutt'altra parte in quel momento.

 

Blaine avrebbe voluto essere da tutt'altra parte in quel momento.

Sul serio, qualsiasi posto sarebbe stato migliore.

Un autogrill pieno di camionisti incazzati, una vasca piena di squali affamati, il Titanic sul punto di affondare. Tutto. Ma non lì.

La cosa che lo faceva ridere – quel risolino isterico che ogni tanto parte nella nostra testa – era che quel luogo era casa sua.

In quel preciso istante si trovava seduto a tavola con: suo padre – arrabbiato come al solito per un affare andato storto o per un assistente incompetente; sua madre – impegnata a fissarsi le unghie con attenzione quasi sconcertante, ignorando la voce in sottofondo; Rachel – suddetta voce di sottofondo alla cena, intenta a raccontare per filo e per segno ogni dettaglio, ogni novità, ogni singola frivolezza del Glee.

«E allora Finn – vi ho parlato di lui, vero?»

«Sì, tesoro. Sappiamo vita, morte e miracoli di questo Finn.»

«Come dicevo, Finn e io abbiamo provato questa canzone e le nostre voci erano qualcosa di straordinario! Non credo di aver mai trovato un compagno di duetti come lui. Senza offesa, Blaine» disse, ma il fratello minimizzò con un gesto della mano.

«Tesoro, scusa se te lo dico, ma non ti sembra di essere un po'... avventata?» disse la signora Anderson, alzando gli occhi dalle sue unghie perfette.

«Avventata?» ripeté. Blaine alzò gli occhi dal piatto, improvvisamente attento.

«Non fai altro che parlare di questo Finn. Non è che voi due-»

«Mamma!» esclamò lei, scandalizzata. In realtà Blaine non poté non notare il rossore che improvvisamente le aveva coperto le guance. «E' solo un partner artistico

«Meno male. Perché da quello che ci hai raccontato non mi sarebbe sembrato il ragazzo adatto a te.»

Rachel fissò sua madre. Se Blaine avesse dovuto trovare un aggettivo per descrivere il suo sguardo avrebbe detto “mortificato”.

«Insomma, ha lasciato la scuola a diciotto anni, ha perso il lavoro e poi è tornato a scuola per prendere il diploma. Quindi deve avere come minimo vent'anni, mentre tu ne hai appena diciassette. E non ho neppure capito come faccia a guadagnarsi da vivere questo se non ha i genitori e va a scuola.»

«Lavora la sera in un bar. E poi c'è suo fratello che fa il commesso in un negozio.»

«Ah già, suo fratello finocchio

Al sentire quelle parole Blaine sobbalzò. Il cuore cominciò a martellargli in petto. Cercò di mantenere la calma, di non dare a vedere quanto in realtà fosse agitato nel sentire tirato in ballo Kurt.

«Papà!» esclamò Rachel.

«Che c'è, me l'hai detto tu che quello lì aveva un fratello finocchio.»

«Omosessuale» lo corresse.

«Fa uguale. Il concetto è sempre lo stesso: uno a cui piace farselo mettere in-»

«Tesoro, ti prego!» esclamò la moglie. «Non a tavola.»

«Hai ragione. Meglio non parlare di queste cose. Mi dà già abbastanza preoccupazioni Blaine.»

Nel sentirsi nominare il ragazzo alzò lo sguardo, terrorizzato.

«Preoccupazioni?»

«Ma sì, tu e quel tuo compagno di stanza. Come accidenti si chiama...»

«Sebastian Smythe, papà. Figlio del procuratore Smythe.»

«Già, ormai quei deviati sono un po' ovunque, si diffondono a macchia d'olio. Non è che a duettare con quello lì mi diventi frocio pure tu?»

Blaine sbatté i pugni sul tavolo. Questa sua reazione stupì i suoi genitori e Rachel, che lo fissarono perplessi.

«Smettetela di parlar male di Sebastian. Sarà anche gay, ma è mio amico. E non mi importa se guarda il culo alle ragazze o ai ragazzi, se in futuro si sposerà con una donna o con un uomo. Non me ne importa niente! Sono affari suoi.»

«Sono affari suoi fintanto che non dorme nella tua stessa stanza. E se ci... provasse con te? Ci hai pensato?»

Sua madre alzò gli occhi al cielo: «Mio Dio, non farmici pensare.»

Blaine pensò a tutte le volte che si era svegliato con Sebastian nel suo letto o a tutte le volte che il suo coinquilino usciva dalla doccia e si cambiava senza problemi davanti a lui, o ancora quei baci che si era scambiati, più per divertimento che per amore.

«Sebastian non farebbe mai nulla contro la mia volontà» disse. In fondo lo credeva davvero. Una cosa era dormire nel suo letto. Una cosa era forzarlo ad avere un rapporto completo contro la sua volontà e – per quanto considerasse Sebastian un bastardo opportunista – sapeva che non sarebbe mai arrivato a tanto.

Suo padre alzò le mani: «Come vuoi tu. Ti avrei fatto cambiare di stanza, ma dicono che sia un bravo ragazzo e quindi mi sono fidato.»

“Bravo ragazzo” e “Sebastian” nel vocabolario di Blaine non stavano nella stessa frase. Se non forse nella frase “Sebastian non è per niente un bravo ragazzo” o“Sebastian si è portato a letto un altro bravo ragazzo”.

«Però, Blaine, lasciamelo dire. Siamo davvero preoccupati per te. Da quant'è che non ti vediamo uscire con una ragazza?» disse sua madre.

«Mai. Alle medie forse, ma non l'ho mai visto uscire con una ragazza da quando è alle superiori.»

«Cosa vuoi dire? Neppure Rachel ha il ragazzo» protestò.

«Già, perché spende tutte le sue energie a studiare ed accumulare crediti scolastici e premi con cui riempie la camera» precisò la donna, noncurante del fatto che la figlia fosse lì affianco a lei. «A te invece sembra che non interessi per nulla trovare una fidanzata. Sembra che non ti interessi nulla del tuo futuro. Lo sai vero che l'anno prossimo andrai al college? E che un giorno ti sposerai e avrai dei figli? Insomma, se vuoi mettere su famiglia dovrai almeno cominciare col trovarti una fidanzata.»

«Possibile che vi facciate gli affari miei solo quando non ve lo chiedo?» sbottò.

«Ci preoccupiamo per te» disse sua madre.

Non è vero, pensò. Non ve ne frega nulla di me. Vi importa solo della vostra reputazione e di come sarebbe macchiata se nei circoli dell'alta società si venisse a sapere che vostro figlio è gay.

«E comunque Blaine sta uscendo con una ragazza» disse Rachel.

Blaine si voltò a guardarla.

«Non fare quella faccia, Blaine. Sono tua sorella. Mi sono accorta che qualcosa in te stava cambiando. Sembravi più felice, più allegro, come se ti avessero tolto un peso dal cuore. E poi capita sempre più spesso che tu ti metta a sorridere come un idiota, quando ti arriva un messaggio» disse.

«Non significa niente!»

«E siccome volevo avere delle conferme» continuò lei «ho chiamato il tuo amico Wes. Che mi ha detto che dovevi vederti con una qualche settimana fa e che eri in fibrillazione per questo.»

«Rachel, ma farti gli affari tuoi no?»

«Avevi un appuntamento? Ma è stupendo!» esclamò sua madre. «Perché non ce l'hai detto prima, avremmo evitato tutta quella spiacevole conversazione. Dicci un po' di lei, com'è?»

Alta, magra, un culo fantastico. Si chiama Kurt.

«E'... è-»

«Tesoro, non assillarlo!» esclamò suo padre. «E' un adolescente, lasciagli i suoi spazi. Quando ti sembrerà che la vostra relazione si sia consolidata ce la presenterai. Per ora a me importa solo che tu sia normale

Blaine sapeva bene cosa intendeva dire con “normale”. Intendeva dire etero, non gay, non frocio o finocchio o qualsiasi altro appellativo offensivo avesse trovato.

«Era tutto squisito. Ora scusate, ma vado in camera mia» disse, alzandosi da tavola e andandosene. Salì le scale e si chiuse in camera. Prese il cellulare e scrisse un messaggio:

 

20:57

Hai presente quando tutta la cena ti rimane sullo stomaco e ti prende quel nodo alla gola che neppure riesci a digerire per la rabbia?

 

20:59

Come me in questo momento? Avanti, spara. Cos'è successo?

 

21:00

Cena in famiglia. I miei genitori hanno fatto le loro solite battute omofobe e io sono stato sul punto di gridargli in faccia che mi piace l'uccello. L'avrei fatto solo per vedere la reazione di mia madre. Tu, invece?

 

21:01

Dopo aver letto il tuo messaggio, non mi sembra più così terribile la cena appena finita a casa del professor Schuester. Finn gli ha detto del mio lavoro serale ed è stato molto imbarazzante. Hanno cercato di convincermi a smettere.

 

21:01

E tu?

 

21:03

E io li ho ascoltati attentamente. Ma continuerò con questo lavoro, almeno fino a che Finn non troverà un lavoro decente, ossia fino al suo diploma. Però questo non l'ho detto, altrimenti quello era capace di lasciare di nuovo la scuola e di cercare inutilmente un lavoro.

 

Blaine sorrise nel leggere il messaggio. Sorrise pensando a quanto doveva essere forte il ragazzo che da quasi un mese, ormai, affollava i suoi pensieri. A quanto doveva essere coraggioso e determinato. A quanto dovesse essere forte il legame con suo fratello.

In quel momento sentì la porta della sua camera aprirsi. Sollevò lo sguardo e vide Rachel fare capolino.

«Posso?»

Lui annuì. Lei entrò e si sedette sul letto dove Blaine era steso. Notò subito il cellulare illuminato.

«Stavi scrivendole?» chiese.

Scrivendogli, voleva precisare. Grazie, Thad.

«Scusa se l'ho detto ai vecchi. Continuavano a parlare male di te e non capivo perché non li mettevi a tacere.»

«Stai tranquilla. Non me la sono presa. È che mi piacerebbe non essere così evidente, per te.»

«Non puoi farci niente. Sei un libro aperto» disse, ridendo.

Poi tornò seria: «Quando hai avuto quella reazione a tavola, sai, quando papà ha detto quelle cose su Sebastian... io ero d'accordo con te.»

Blaine la fissò, stupito.

«Entrare nel Glee club mi ha aperto gli occhi. Tutti i miei amici del coro sono... diversi. Mercedes è una ragazza di colore, Mike e Tina sono asiatici, Brittany ha i genitori europei, Sam è di famiglia povera, Finn come ti ho già detto vive in un appartamento da quattro soldi e suo fratello è gay. Ma tutto ciò non mi sembra strano e... sbagliato. Sono miei amici. Non mi tocca minimamente il colore della loro pelle, la loro religione, il loro orientamento sessuale o i soldi che hanno in banca. Ognuno di loro mi ha aperto gli occhi, mi ha fatto vedere com'è il mondo là fuori: vario. E tutto ciò... mi piace.»

«Ti piace Finn?»

Rachel arrossì.

«Anche tu non scherzi in quanto a “evidenza”.»

«Non dirlo alla mamma!»

«Per chi mi hai preso?» esclamò.

«Non mi dici neppure cose come “è troppo vecchio” o “non fa per te?”»

«Perché dovrei farlo. È un bravo ragazzo, è responsabile, dà sempre il massimo per le persone cui vuole bene...»

«Da come parli sembra quasi che tu lo conosca di persona.»

«Ne parli così tanto che un po' è così» disse, evitando il pericolo. «Da quando è nel Glee non fai che parlare di lui. Dev'essere davvero speciale se ti distrae dalle tue mire da diva.»

«Lo è» ammise. «A volte mi piacerebbe che fosse un po' più di un semplice amico, ma lui sembra non notarmi. O meglio sembra notarmi come “la ragazzina di buona famiglia da evitare come la peste”.»

«Non credo sia così.»

«Fidati. Sembra avere occhi solo per Quinn» disse, abbassando lo sguardo. «In fondo, loro si conoscevano da prima. Non ho nessuna possibilità in confronto a lei.»

Il suo cellulare si illuminò di nuovo e Rachel, nel vederlo, sorrise.

«E lei? Lei com'è?»

«Lei-»

Lei è un lui. Un ragazzo. Un maschio. Avanti, Blaine, dillo! Dillo almeno a Rachel. Abbi le palle, una volta tanto, sii abbastanza uomo da dire la verità a tua sorella.

«E' tutto quello che non sono io. Sa quello che vuole, sa chi vuole essere e non ha paura di dirlo.»

«Dev'essere una ragazza straordinaria.»

«Lo è.»

«E quando vi siete messi insieme?»

«Non è ancora successo niente. Per ora siamo ancora alla fase “solo amici”.»

Rachel strabuzzò gli occhi: «E perché?»

«Perché non ha ancora digerito la rottura col suo ex. Non che gli... le piaccia ancora. È che ha paura di soffrire di nuovo.»

«Ma per favore!» esclamò Rachel. «Non metto in dubbio che un anno fa abbia sofferto e forse che ne soffra tutt'ora, ma non può rimanere per sempre chiusa nel suo guscio. Scommetto che lo dice solo per “difendersi” ma che se tu facessi la prima mossa, se tu le dicessi quello che hai appena detto a me – ossia quanto lei sia straordinaria, coraggiosa, forte e quanto ti faccia stare bene – beh, scommetto che dimenticherebbe il suo ex e si lancerebbe fra le tue braccia. Metaforicamente parlando. O forse anche letteralmente.»

Blaine sorrise.

«Grazie, Rachel. È bello avere una sorella, in momenti come questo.»

«Perché, vuoi dire che normalmente sono una petulante rompipalle?»

I due scoppiarono a ridere, dimentichi ormai della pessima cena.

 

21:28

Mia sorella mi sorprende ogni giorno di più.

 

21:29

Cos'ha combinato?

 

21:30

Mi ha fatto sorridere dopo l'orrenda cena con i nostri genitori. Forse non tutta la mia famiglia è da buttare.

 

21:31

Mi fa piacere sentirtelo dire. Anche perché, da come ne parla Finn, sembra la ragazza più seria, gentile e talentuosa dell'intero Ohio.

 

Blaine, nel leggere quel messaggio, non poté fare a meno di sussultare. Forse le possibilità di Rachel con Finn non erano così basse.

 

 

21:35

Ti va se ci vediamo per un caffè, uno di questi giorni? Ho bisogno di una bella chiacchierata fra amici. Ne ho proprio bisogno. Offro io il caffè, se serve a convincerti.

 

21:36

Se offri non mi lasci scelta! :) Buona notte, Blaine.

 

21:36

Buona notte, Kurt.

 

Finn si voltò verso di lui. Kurt era seduto scompostamente sul sedile e fissava attonito il cellulare.

«Sei ancora arrabbiato perché l'ho detto a Schuester?»

«Sì.»

Silenzio.

«No» ammise.

«E allora perché non mi parli da quando siamo saliti in macchina?» disse, allungando l'occhio sul suo cellulare.

Kurt lo nascose con fare protettivo: «Non penso di volertelo dire» disse, facendogli la linguaccia.

Finn sorriso: «Come vuoi. Tanto so a chi stai scrivendo.»

«Ha parlato mister non-ho-niente-di-meglio-da-fare-che-parlare-di-Rachel» rispose acido.

Finn, colpito nel segno, tacque fissando la strada.

«Aspetta. Non intendevo...» Kurt non poté fare a meno che spalancare la bocca stupito. «Ti piace Rachel?»

«No!» esclamò.

«Sicuro?»

«Kurt, non scherzare. Perché una come lei dovrebbe guardare uno come me? Sono completamente disastrato e il mio futuro oltre il diploma è un completo azzardo, mentre lei sembra aver pianificato la vita fino alla pensione. In quale universo parallelo potrei piacerle?»

«In uno in cui tu non ti comporti da zuccone e invece cerchi di capire se le interessi? Dico per dire.»

«Apri gli occhi, Kurt. Veniamo da due mondi diversi. Ti immagini, per esempio, se dovesse mai presentarmi ai suoi genitori? Cosa direi loro? Che ho vent'anni, che vivo mantenuto da mio fratello minore, che devo ancora diplomarmi, che non riesco a trovare uno straccio di lavoro? Dico per dire.»

Kurt ascoltò le sue parole attentamente. Ma in quel momento smise di pensare a suo fratello e – forse egoisticamente – pensò a Blaine.

Blaine, che era il fratello di Rachel, che proveniva dalla sua stessa famiglia. Una famiglia che non accettava neppure il fatto che fosse omosessuale. Come avrebbero reagito se poi il loro adorato figliuolo avesse portato loro a casa uno come lui, commesso di mattina, spogliarellista di sera. Uno che aveva sempre frequentato la scuola pubblica, che guidava un'auto scassata, che si arrangiava come meglio poteva a far sembrare splendidi gli abiti che riusciva a comprare o a rimediare dal magazzino GAP.

Si era dimenticato da che parte di Lima Blaine provenisse.

La parte opposta alla sua, per l'esattezza.

 

 

 

N/A

 

Una cena non così semplice da digerire per entrambi!

Blaine e Rachel fanno dei passi avanti e lo stesso per Finn e Kurt.

 

Ovviamente il titolo è una citazione – neppure velata – al film “Indovina che viene a cena”.

E... basta. In realtà non sarò io a postare il capitolo ma la mia beta MeMedesima, che ovviamente ringrazio!

 

Al prossimo venerdì!

 

yu_gin

 

N/B (yu_gin non piangere quando noterai l'infelice accostamento di queste due lettere...)

Buon giorno a tutti! :) Qui la beta, aka MeMedesima.

Sì, sto scrivendo una nota alla fine e non vandalizzando quelle dell'autrice... E' che è ancora mattina - mezzogiorno?! - mentre sto scrivendo, quindi non riesco a pensare a qualche troll più acuto di un "io puzzo" scritto alla fine...

Spero che vi sia piaciuto il capitolo, io personalmente vorrei pestare sia il signor Anderson che la moglie.

Preparatevi per i prossimi capitoli, perchè saranno straordinari e vi lasceranno con la voglia di sbattere la testa contro il monitor del computer per poi andare a cercare l'autrice per tirarle contro suddetto computer.

Baci a tutti! Ciao yu_gin! :)

 

coming next:

 

Kurt intuì il disastro di dimensioni epiche che stava per accadere. Si voltò appena in tempo per vedere Rachel avanzare verso di lui con lo sguardo fisso in direzione di colui che aveva riconosciuto come il proprio stupidissimo fratello.

«Blaine?»

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** ops, there you are ***


A Lima Side Story





Capitolo 11: ops, there you are!





Kurt sentì il cellulare vibrare nella tasca proprio mentre aiutava una donna a comprare un maglione per la figlia. Finì di aiutare la cliente – che se ne andò ringraziandolo – e prese il cellulare.

Non appena lesse il messaggio sorrise.



10:47

Ormai credo di aver digerito la cena con i miei. Ti va se ci troviamo per parlarne questo pomeriggio?



10:56

Signor Anderson, segua la lezione invece di mandare messaggi alla gente che lavora!

10:59

Stavo scherzando. Non ti sarai davvero offeso?



11:03

Signor Hummel, un po' di rispetto per la gente che studia!

11:05

No, non mi sono offeso.



11:07

Meno male. Per me va bene. Passi quando stacco e andiamo al Lima Bean? O preferisci il tuo fantasmagorico bar da intellettuale?



11:08

Tu che dici? :) Decideremo al momento. A dopo.





Blaine sorrise nell'inviare il messaggio.

«Fammi indovinare: stai scrivendo ad un certo commesso?» chiese Sebastian, sporgendosi verso di lui.

«Ci vediamo questo pomeriggio per un caffè.»

«Sono toccato. Il mio bambino sta diventando grande» disse, fingendo di commuoversi. «Direi che sei pronto per il punto quattro.»

«Il punto quattro?»

«Ma sì, hai detto che l'ultima volta avete parlato. Che lui ha parlato e ti ha rivelato non poche cose su di sé. Dunque sei pronto per il quarto punto che, ai fini pratici, è davvero importante. Perché se riesci a passarlo vuol dire che si fida di te.»

«Fini pratici.»

«Sesso, Blaine, quella cosa che tu hai solo sentito nominare.»

«Okay, okay. E quale sarebbe.»

«Devi convincerlo a salire sulla tua auto. Da soli.»

«Ma sei... sei impazzito? Non ci siamo mai neppure baciati e-»

«Non ho detto che devi sbattertelo sul sedile posteriore, idiota! Ho solo detto che devi convincerlo a salire in macchina con te. Da come lo descrivi sembra uno un po' titubante con i rapporti... fisici. Se rifiuta non forzarlo. Prova un'altra volta. Quando accetterà potrai passare al punto cinque.»

«Non mi piace il punto cinque.»

«Non l'hai ancora sentito!» protestò Sebastian.

Blaine lo guardò dubbioso, aspettandosi il peggio.

Sebastian invece si limitò a sorridere, puntandogli contro la penna: «Tu fallo entrare nella tua auto. E mi raccomando... sii un vero gentiluomo!»



«Non so se sia una buona idea» disse Tina, grattandosi il mento.

«Su, Tina, non fare la guastafeste. Eravamo tutti d'accordo, no?» protestò Mercedes.

«Io non ho mai detto di essere d'accordo» protestò.

Quinn sospirò: «E se lo chiedessimo a Finn? Magari ci saprebbe dare un parere costruttivo.»

«Ma è stato lui a consigliarcelo. Indirettamente, certo, ma come altro potevamo interpretare le parole “gli mancate molto”?»

«Io le interpreto come “non voglio offendere i vostri sentimenti, così vi spiattello una balla”» disse Quinn. «La verità, Mercedes, è che Kurt ci avrà di sicuro dimenticati. Ricordi com'era l'anno scorso? Assente, lontano, sempre per conto suo. Quasi non ci rivolgeva la parola, ed eravamo tutti nel Glee. Ti ha mai scritto in quest'ultimo anno? Ha almeno mai risposto ai tuoi messaggi con qualcosa di più di un “sto bene, grazie”?»

No, doveva ammettere Mercedes, ma non perdeva la fiducia. Kurt le mancava da morire. Era imbarazzante pensarci ora, ma era stato la sua prima cotta – durata fino a che non aveva scoperto la sua omosessualità. Dopodiché erano diventati migliori amici. Dopo la morte dei suoi genitori gli era stata vicino e lui sembrava aver apprezzato il suo aiuto. Poi però aveva finito per allontanarsi sempre di più da lei, da tutti loro. Era stato il periodo in cui i bulli avevano cominciato a lasciarlo in pace – inspiegabilmente. Poi avevano preso a girare quelle orrende voci su di lui e il bullismo era ricominciato. Lui non si era più riavvicinato.

Le mancava il suo vecchio amico, il ragazzo sorridente che le consigliava gli abbinamenti o con cui chiacchierava di ragazzi. Le mancava il vecchio Kurt e voleva tirarlo fuori dal fantasma che aveva visto, per l'ultima volta, il giorno del diploma.

«Se non verrete con me andrò da sola» dichiarò.

«Io vorrei accompagnarti» disse Rachel.

Tutti si voltarono verso di lei.

«Ma se neppure lo conosci?» le fece notare Quinn.

«E' vero, ma mi piacerebbe conoscerlo. Quando ne parlate mi sento sempre esclusa e, se vogliamo essere una vera squadra, voglio poter partecipare anch'io alle vostre conversazioni.»

«Siamo già in due!» esclamò felice Mercedes.

«Vengo anch'io. Se dovete disturbarlo in due, tanto vale farlo in tre.»

«Non penserete che vi lasci andare da sole?» disse Quinn.

«Potete portarmi con voi?» chiese Brittany. «Non voglio tornare a casa perché ho paura che Lord Tubbington stia avendo un incontro con i suoi amici gatti e potrebbero irritarsi nel vedermi in giro.»

«Allora è deciso? Finn ha detto che finisce di lavorare alle cinque. Andremmo al termine del suo orario, così eviteremo di disturbarlo. Contente?»



Kurt guardò l'orologio. Le cinque e quattro minuti. Poi guardò fuori dalla vetrina. Di solito Blaine arrivava sempre in anticipo. Quella volte invece non c'era. Controllò nuovamente il cellulare per vedere se gli era arrivato qualche messaggio – magari qualche prova extra coi Warblers – ma niente.

Decise di uscire ugualmente ed aspettarlo fuori. Magari stava aspettando in macchina, anche perché fuori minacciava di piovere.

Ma non appena uscì vide qualcosa che gli fece dimenticare Blaine. Riconobbe al volo quella che per anni era stata la sua migliore amica, la ragazza che l'aveva aiutato a non cadere nel baratro.

La ragazza che aveva allontanato per evitare di farle vedere che cosa era diventato.

Mercedes lo stava guardando e il suo sguardo gli parlava.

Gli stava dicendo “sei uno stupido” e “non so come farò a perdonarti” e “eccoti qua, ci voleva tanto a mandarmi uno stupido messaggio”. Ma soprattutto “mi sei mancato da morire”.

«Mercedes» mormorò.

La ragazza non disse niente. Gli si avvicinò e gli mollò uno schiaffo.

Kurt rimase basito per la sua reazione.

«Questo è per non esserti fatto sentire dal giorno del diploma!» disse.

«Io-»

«Zitto!» esclamò. Lo abbracciò forte, quasi stritolandolo. Kurt rimase senza fiato per la sorpresa – e perché gli abbracci della sua amica erano davvero forti! «E questo è perché mi sei mancato da morire, brutta diva che non sei altro.»

Kurt sorrise, ricambiando l'abbraccio: «Mai diva quanto te.»

Quando si staccarono dall'abbraccio, Kurt ebbe modo di vedere le altre ragazze del Glee farsi avanti. Tina, Quinn, Brittany. Le riconobbe tutte e le salutò. Poi si fece avanti una ragazzina bassa e vestita come una scolaretta del collegio. Gli tese la mano e disse:

«Io sono Rachel Anderson, nuovo membro delle New Direction. Ho sentito così tanto parlare di te.»

Kurt deglutì, stringendole la mano.

Anch'io ho sentito parlare molto di te. Non sai neppure quanto, pensò, cercando di non sembrare agitato. Aveva davanti a sé la sorella di Blaine, la ragazza di cui Finn straparlava da quando era tornato a scuola.

Rachel lo scrutò e per un istante Kurt pensò che forse Blaine aveva ragione e sua sorella era davvero una vampira leggi-mente, perché corrugò le sopracciglia e chiese: «Ma noi non ci siamo già visti da qualche parte?»

«Non saprei» temporeggiò Kurt. Quando poteva averlo visto? Di certo non con suo fratello, altrimenti non sarebbe stata così tranquilla. E neppure al negozio GAP, perché lei e GAP non avevano nulla in comune. Ma – questo poteva escluderlo per certo – non poteva averlo visto durante uno show allo Scandals. Se così fosse stato – e se Blaine fosse venuto a saperlo – sarebbe morto.

«E' stato Finn a dirvi di venire?» chiese. Sospettava che il fratello avesse un ruolo in tutto ciò. O forse il professore voleva farlo tornare nelle New Directions.

«No, siamo venute senza dirgli niente. Avevamo paura di darti fastidio o che non volessi vederci. Ma noi volevamo sapere come stavi. Volevamo sentirlo dalla tua bocca e non la quella di tuo fratello.»

Kurt indugiò, con lo sguardo basso. «Io-»

In quel momento sentì il telefono squillare. Lo prese dalla tasca e lesse il messaggio.



17:13

Ehi, hai uno stuolo di ammiratrici? Girati e guarda dall'altra parte della strada



Kurt fece come diceva il messaggio. Le ragazze guardarono tutte in quella direzione, per capire che cosa avesse attirato la sua attenzione.

Nella fattispecie, un esemplare di Anderson maschio, anni diciotto, vestito da gentiluomo con il suo immancabile papillon che salutava come un idiota dall'altra parte della strada.

Kurt intuì il disastro di dimensioni epiche che stava per accadere. Si voltò appena in tempo per vedere Rachel avanzare verso di lui con lo sguardo fisso in direzione di colui che aveva riconosciuto come il proprio stupidissimo fratello.

«Blaine?» esclamò stupita.

Il sorriso sul volto di Blaine si spense.



Seduti tutti attorno ad un tavolino del Lima Bean, fecero le dovute presentazioni.

«Quindi, tu sei Kurt Hummel, fratello minore di Finn, ex membro delle New Direction» disse Rachel. Kurt annuì, sorseggiando il proprio cappuccino e lanciando a Blaine un'occhiata significativa.

«Mentre tu» disse Quinn «sei Blaine Anderson, fratello maggiore di Rachel. Attuale membro dei Warblers.»

«Colpevole» ammise.

«E, esattamente, che cosa ci facevi davanti al negozio GAP proprio mentre c'eravamo noi? Non è che voi Warblers ci state spiando?» insinuò Rachel.

«Ma per favore!» esclamò Blaine, esibendo la sua migliore faccia contrariata.

«Ti prego, non dirmi che stavi casualmente andando da GAP e che mi hai vista e salutata. Senza contare che non sembravi salutare me, ma lui» precisò, indicando Kurt con il pollice.

«Oh, ma è molto semplice» disse Kurt, posando sul tavolo il proprio cappuccino. Blaine lo guardò sorpreso come per dire “ah sì?” «Vedi, Rachel, tuo fratello è venuto qualche settimana fa in negozio per una commissione da parte della Dalton. Siccome non avevamo in magazzino quello che gli serviva, ce lo siamo fatti spedire e siamo rimasti in contatto, così potevo avvisarlo di quando sarebbe arrivato ciò che gli serviva. Semplice, no?»

«E da quando sono i commessi a chiamare personalmente i clienti?»

Blaine si schiarì la voce: «Kurt è stato solo gentile. Sapeva che avevamo urgenza e in questo modo eravamo sicuri che le divise sarebbero arrivate.»

«Aspetta, tu e i Warblers progettate un numero con una nuova divisa?» chiese Rachel.

Blaine pensò sollevato che era riuscito a cambiare argomento. «Top secret. Lo scoprirete alle regionali.»

La ragazza sbuffò. «Io comunque insisto: ti ho già visto da qualche parte» disse, puntando il proprio cucchiaio contro Kurt. Poi il suo volto si illuminò. Fece un semplice calcolo mentale. Sommò un vago ricordo che aveva in testa con le voci che aveva sentito girare circa Kurt Hummel e lo Scaldals. Se poi aggiungeva che era il posto di lavoro di suo fratello. «Tu! Tu sei quello che ha tirato un pugno a mio fratello!» esclamò.

Mercedes si voltò sorpresa verso Kurt, mentre Rachel guardò Blaine in cerca di spiegazioni.

«E non provare a negarlo. Era lui, ora ne sono più che certa!»

Kurt e Blaine si guardarono, senza sapere cosa fare. Infine Blaine sospirò e cedette:

«Va bene, confesso. Era lui.»

«Non ci posso credere! Gli hai tirato un pugno?» chiese Mercedes.

«Tu mi hai appena schiaffeggiato» le ricordò Kurt.

«Che c'entra? Quello era uno schiaffo da diva: un pugno, invece, è un pugno. Dovevi essere davvero incazzato nero.»

«Lo ero» ammise Kurt. «Perché vedi, Blaine...» indugiò qualche istante. «Lui voleva convincermi a... entrare nei Warblers.»

«Lo sapevo! Traditore!» esclamò Rachel, tirando uno schiaffo alla schiena del fratello.

«Non fare quella faccia, Blaine, lo sai che è vero!» insistette Kurt. «Mi disse che serviva loro un controtenore. Mi ha chiesto di unirmi a loro, io ho rifiutato, lui ha detto che i Warblers erano meglio delle New Direction e io gli ho tirato un pugno» concluse.

«A mia discolpa, ero ubriaco» ci tenne a precisare Blaine, cercando di salvare quel poco di dignità che gli era rimasta. E tutto ciò per non rivelare a sua sorella ciò che lui sentiva dentro da anni ormai.

Se solo avessi il coraggio.

«Poi ci siamo rivisti da GAP, lui si è scusato e io mi sono fatto perdonare per il pugno» concluse Kurt.

«Si può sapere perché Finn non ci ha detto niente?» chiese Mercedes.

«Perché non lo sapeva. È successo prima che tornasse a scuola e non vedevo il motivo per dirglielo. E vi pregherei di non farlo. Mi prenderebbe in giro a vita se sapesse che ho preso a pugni qualcuno. Di solito sono sempre io a dirgli che ha il sangue caldo.»

Mercedes sorrise: «Stai tranquillo, bocche cucite. Tu però vedi di farti sentire, ogni tanto. O sarò costretta a fare una visita al negozio per schiaffeggiarti.»

«Non sia mai!» rise.

Le ragazze delle New Directions si alzarono e, dopo aver salutato, se ne andarono. Solo Rachel rimase seduta con i due ragazzi.

«Direi che dopo questo pomeriggio mi devi come minimo un po' di spiegazioni» disse Rachel, rivolta a suo fratello. «Perché non mi accompagni a casa. Hai tempo di una chiacchierata con tua sorella prima di rientrare alla Dalton?»

«Suppongo di sì» disse Blaine. Poi si rivolse a Kurt: «Visto che per colpa nostra hai fatto tardi, vuoi un passaggio fino a casa? Anche perché fuori è brutto e – ad aspettare l'autobus – rischi di prenderti una polmonite.»

Kurt esitò. Non amava l'idea di salire sulla macchina di qualcuno che non conoscesse bene. In generale non amava i luoghi nei quali fosse necessario rimanere in stretto contatto con qualcuno che non fosse suo amico intimo. E considerava amici intimi solo Finn, Santana e ora nuovamente Mercedes.

Però, alla fin fine, non sarebbero stati soli – Rachel non sarebbe stata zitta un minuto – e la macchina non costringeva ad un contatto fisico così ravvicinato. E poi il tempo fuori...

«Grazie, accetto volentieri» rispose, un po' titubante.

«Ma, Blaine! Casa sua è dall'altra parte di Lima: ci metteremo una vita.»

«Non essere scortese, Rachel. Vorrà dire che porterò prima a casa te e poi lui, contenta?»

Kurt sobbalzò.

Il suo peggiore incubo si stava avverando.

Soli in macchina.



Blaine fermò la macchina davanti a casa sua e fece scendere Rachel, la quale sbatté la portiera in malo modo, seccata per la cocciutaggine del fratello.

«Ci vediamo più tardi» disse Blaine.

Lei non gli rispose neppure e si avviò verso casa. Prima di entrare si voltò verso il fratello e gli fece un cenno con la mano. Il quale lo interpretò come un “ti aspetto”.

«Ed ora pensiamo a riportarti a casa. Mi dici il tuo indirizzo?» chiese Blaine, prendendo il navigatore. Poi si soffermò a fissare il cruscotto: «Ora che ci penso, detto così suona molto da stalker.»

«Soltanto un po'» ammise Kurt, ridendo. Poi gli disse l'indirizzo e Blaine lo inserì nel navigatore.

«Volevo ringraziarti per oggi. Mi hai retto il gioco magnificamente» disse.

«Figurati. Immagino che sarebbe stato difficile spiegare a tua sorella perché ti avevo tirato un pugno, perché eri al negozio e perché ci conoscevamo. Probabilmente avrebbe fatto due più due e avrebbe tratto le sue conclusioni.»

Blaine annuì assente, poi perse un bel respiro e aggiunse: «Ho intenzione di dirglielo.»

Kurt lo guardò sorpreso.

«Intendi...»

«Intendo quello» disse. «Ora che sa che ci conosciamo parlerà con Finn e lui potrebbe involontariamente farsi sfuggire qualcosa e non voglio che lo venga a sapere da altri. Voglio essere io a dirglielo. Voglio avere il coraggio di farlo.»

«Okay» disse Kurt, sorridendo. «Ora che l'ho conosciuta – anche se è davvero petulante e un po' aggressiva nei miei confronti – penso che sia una brava sorella. Penso andrà tutto bene.»

«Lo dici solo per tranquillizzarmi, non è vero?»

«Anche» ammise.

Stava andando tutto bene, finché fra loro non cadde un imbarazzante silenzio. E allora Kurt sentì la vicinanza pesargli. L'atmosfera cupa, dovuta al cielo ormai scuro e alla pioggia che batteva insistente sul vetro, contribuì ad aumentare il disagio.

Doveva fare qualcosa:

«Questo pomeriggio volevi parlarmi della cena disastrosa. Perché non ne parli ora?» propose Kurt.

«Oh, quella. Non vedo altro modo per definirla, visto che a metà cena mia madre ha fatto nuovamente pesare a Rachel il fatto che abbia cambiato scuola e che si stia “mischiando con il volgo” mentre mio padre ha insultato il mio compagno di stanza e “quelli come lui” senza sapere che in quella cerchia di miscredenti rientra anche il suo caro figlioletto. Ah, dimenticavo, ora pensano anche che abbia la ragazza.»

«Ah sì?» chiese divertito.

«Rachel si è accorta che passavo meno pomeriggi a casa e che non staccavo gli occhi dal cellulare e quindi ha pensato che avessi una ragazza. Mentre invece-» si interruppe. Si voltò verso Kurt.

«Invece?»

«Beh... invece i messaggi a cui rispondevo erano i tuoi» concluse, piuttosto imbarazzato. Perché aveva esitato? Se l'avesse detto con nonchalance ci avrebbero riso sopra. Invece dalla sua frase emergeva chiaramente ciò che entrambi sapevano ma si rifiutavano di ammettere: ormai uscivano insieme da settimane e qualcosa doveva pur significare!

«E tu invece? La cena con i tuoi vecchi professori?»

«Non molto meglio della tua. Mi hanno praticamente costretto ad ascoltarli mentre mi riempivano la testa di discorsi moralisti tipo “non ti puoi buttare via così” e blah blah blah. E Finn non ha fatto nulla, neppure quando gli ho chiesto se potevamo andarcene. È rimasto lì ad ascoltare il professore. Non ha neppure provato a sostenermi.»

«Hai mai pensato che forse lui vorrebbe che tu lasciassi quel lavoro?» chiese Blaine.

«Certo, me lo dice sempre.»

«Intendo dire, non pensi che quello che tu fai lo ferisca nell'orgoglio di fratello maggiore?»

«In che senso?»

«Ti parlo da fratello maggiore. Se fossi nella vostra situazione, mi sentirei in dovere di badare a Rachel, nonostante per certi versi sia più matura di me» ammise. «E se la vedessi fare qualcosa che non le piace, se sapessi che lo sta facendo per me – non lo potrei davvero sopportare.»

«Ma è ridicolo! Abbiamo solo un anno di differenza. Non ha nessun dovere nei miei confronti!»

«Non è una cosa razionale, Kurt. E' così e basta.»

Kurt abbassò lo sguardo.

«Quindi» continuò Blaine «non biasimarlo se cerca in tutti i modi di allontanarti da quella vita, perché in quel modo allontana anche i suoi sensi di colpa.»

«E... e se quel lavoro non mi dispiacesse poi così tanto?» disse.

Quella uscita fece sobbalzare Blaine. «Il lavoro allo Scandals?»

«Sì, vedi, all'inizio lo odiavo e mi sentivo... sporco ogni volta che salivo sul palco. Dopo un po' però – e a questo ha contribuito Santana – ha cominciato a darmi sempre meno fastidio. Finché un giorno non mi sono reso conto che non mi dispiaceva affatto. Mettermi in mostra, sapere di piacere a qualcuno... è strano, lo so. È vero che il giorno dopo tutta l'euforia svanisce e io mi ritrovo a girare per strada col terrore di incrociare qualcuno. Ma quando sono sul palco dimentico tutto.»

«Perché non lo dici a Finn?»

«Sei matto? Se lo dicesse al professore mi spedirebbero in un... centro riabilitazione per esibizionisti cronici!»

«Oppure» disse, sorridendogli «smetterebbe di sentirsi così in colpa. Per voi sarebbe tutto più facile.»

«Forse» ammise. «Ma non so se ce la farei.»

«Provaci. Sei abbastanza coraggioso – e tieni abbastanza a tuo fratello – per riuscirci.»

Kurt annuì.

Poco dopo Blaine parcheggiò davanti a casa di Kurt. Diede un'occhiata all'edificio fatiscente e cercò di non lasciar trasparire nessuna emozione. Non il disgusto, non la tristezza, non il desiderio di portarlo via da tutto quello.

«V-vuoi entrare un momento?» chiese Kurt, timoroso.

«No, devo tornare a casa da Rachel e poi tornare a scuola prima che chiudano i cancelli.»

«Capisco» disse, sollevato. Non voleva che Blaine vedesse in che macello di casa viveva.

Ci fu un momento, prima che Kurt si decidesse ad uscire, in cui rimasero in silenzio.

Ecco, pensò Kurt, adesso mi bacerà, poi il bacio diventerà più “approfondito”, io andrò nel panico e rovinerò tutto.

Invece non accadde niente. Blaine si limitò a sorridergli e dirgli:

«Ci sentiamo stasera.»

L'altro lo fissò stupito prima di rispondere: «Ci conto.»

Si salutarono da amici, poi Kurt corse sotto la pioggia fino alla porta.



Due colpi alla porta.

«Posso entrare?» chiese Blaine, facendo capolino sulla soglia.

«L'hai già fatto» rispose Rachel, scontrosa.

Il ragazzo la ignorò ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Rachel era seduta alla sua scrivania e stava finendo i compiti. Blaine si sedette sul letto, tormentandosi le maniche della camicia.

«Volevo parlarti di questo pomeriggio.»

«Di come tu abbia subdolamente provato a ingraziarti un nostro ex solista per batterci alle Regionali?» chiese piccata.

«No. Voglio parlarti di me e del motivo per cui conosco Kurt. Il vero motivo.»

Rachel smise di scrivere e si voltò, lentamente, sulla sua sedia girevole. Improvvisamente i compiti di matematica non sembravano più importanti.

«Ti ascolto.»

«Ho conosciuto Kurt allo Scandals un mese fa circa. Lui lavora lì, come suo fratello. Quella sera – la sera in cui mi sono ubriacato – io... gli ho fatto delle avances. Delle avances poco gentili. Per questo lui mi ha colpito.»

«Cavoli, dovevi essere davvero ubriaco per provarci con un ragazzo.»

Blaine la fissò negli occhi. Perché doveva essere così difficile? «No, Rachel. Non è questo il punto. Ci avrei provato anche da sobrio, se solo ne avessi avuto il coraggio. Probabilmente senza combinare un casino.»

«Aspetta» disse, avvicinandosi con la sedia al letto. «Blaine, che cosa stai cercando di dirmi?»

Il ragazzo fece un profondo respiro prima di dire: «Rachel, io credo di essere gay. Anzi, senza il credo. Sono gay e probabilmente lo sono sempre stato. Me ne sono reso conto anni fa ma non ho mai voluto dirlo a nessuno, anche perché non ne ho mai avuto motivo: non mi era mai piaciuto nessuno seriamente.»

«Fin ora.»

«Già.»

Rachel ci mise un momento a recepire la notizia: «Oh mio Dio! Quindi tu e Kurt...»

«Ma no! Non siamo insieme. Cioè» aggiunse, schiarendosi la voce «non ancora.»

Il sorriso sul volto della ragazza si allargò a dismisura, insieme al rossore sulle guance del fratello.

«Beh?»

«Sono... sono così contenta per te, fratellone!» esclamò.

«Ah... sì?»

«Certo! Da che ho memoria non ti ho mai visto così preso da una persona. Ed ora che è finalmente successo... sono così contenta per te! Anche perché, diciamocelo, è palese che anche tu non gli sia indifferente.»

«Tu dici?» chiese speranzoso.

«Il modo in cui ti ha coperto oggi, e come ti sorrideva e i messaggi a raffica che vi scrivete. Andiamo, è evidente!»

«Ma non ti disturba nemmeno un po' il fatto che io sia-»

«Gay? No. O meglio, un po' mi ha sorpresa, però non mi dà alcun fastidio. Non ti ho mai visto felice con le tue “fidanzatine” delle medie. Non ti ho mai visto felice con nessuno, tranne che con lui. Ora. Te l'ho detto, il Glee mi ha cambiata, ha allargato i miei orizzonti e la prospettiva di avere un cognato invece che una cognata... beh, la preferisco alla prospettiva di non avere nessuno dei due – o peggio, di vederti infelice.»

Blaine sorrise: «Kurt l'aveva detto.»

«Cosa?»

«Che avresti capito. Che sarebbe andato tutto bene.»

Rachel lo abbracciò. «Come potevi pensare che ti avrei odiato per questo? È la tua vita, Blaine, ed è il tuo cuore. Ti avrei odiato molto di più se ci avessi rubato Finn per le Regionali» disse, ridendo.

«E farmi rubare gli assoli da lui?» scherzò. «Senza contare che, nella divisa della Dalton non ce lo vedo proprio.»

«A proposito di Finn» indugiò «lo sa che ti vedi con suo fratello tipo... una o due volte a settimana?»

«Suppongo di sì, visto che è stato lui a gettarmi – se pur involontariamente – fra le sue braccia. Metaforicamente parlando.»

«Finn ha fatto cosa?»

«Andiamo, non sapeva neppure che fossimo fratelli. Anzi, non lo conoscevi ancora. E poi c'è stato il periodo in cui io e Kurt ci insultavamo ogni volta che ci incontravamo e-»

«Quante cosa mi hai tenuto nascoste?» chiese, sorpresa.

«Lo so, sono stato uno stupido a non parlartene, ma avevo paura.»

«Capisco» minimizzò lei. «Quindi, riassumendo, quanti altri sanno di te e Kurt, oltre a me e Finn – che, da quello che ho capito, non sa neppure che io e te siamo fratelli.»

«Ovviamente il genio del male, fautore di quasi ogni mia conquista, mister Sebastian Smythe» rispose. «E' stato grazie a lui che ci siamo rappacificati. Mi secca dirlo – e non lo ammetterei neppure sotto tortura davanti a lui – ma se non fosse stato per i suoi consigli, a quest'ora io e Kurt saremmo ancora su due mondi paralleli.»

«Dovrò fare una chiacchieratina con quel ragazzo, prima o poi. A proposito, non è che voi due, in camera da soli tutte le notti...»

«Rachel!» esclamò. «Vuoi seriamente che ti risponda?»

«Non voglio i dettagli! Ma dico, è un bel ragazzo e alla luce delle nuove scoperte...»

«No, non abbiamo mai fatto niente. Per lui sarei uno dei tanti, un ragazzo da una dimenticabilissima notte e via. Non si è mai fatto problemi a dirmelo. Mentre invece – ti sembrerà stupido – vorrei che la mia prima volta fosse con una persona speciale. Qualcosa di indimenticabile.»

«Non è una cosa stupida. Non per degli inguaribili romantici come noi.»





19:37

E' come se mi fossi tolto un peso dal cuore.



19:42

Sono contento per te. Sapevo che ce l'avresti fatta.



19:43

Grazie di tutto, Kurt. Per non avermi giudicato. Per non avermi spinto a fare qualcosa che non volevo. Per avermi fatto trovare la mia strada.



19:45

Grazie a te. Perché aiutandoti, ho aiutato anche me stesso.







A/N



E finalmente Blaine ha fatto coming out, almeno con Rachel, anche perché sarebbe di sicuro venuto fuori.

Anche il punto 4 è stato portato a termine e la conclusione del piano di mister Smythe si avvicina!



Un mega grazie a tutte coloro che recensiscono: mi diverto un sacco a leggere cosa avete notato del capitolo o cosa vi è piaciuto, soprattutto quando coincidono con le parti che mi sono divertita di più a scrivere.

E un grazie anche a tutte coloro che hanno inserito la storia fra le preferite/seguite/ricordate. Wow, cominciate ad essere davvero tante!



Un grazie alla mia preziosa beta che mi salva quando la connessione internet salta o non riesco ad aggiornare di venerdì.

E uno scusa alla mia compagna di classe/lettrice esterna che per colpa mia sta diventando una gleek. E a un mese dalla maturità questo non è un bene!



Alla prossima!



yu_gin





coming next



Si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi.

Un ultimo sforzo, Kurt. È il solo modo per andare avanti.

I ricordi cominciarono a fluire.







Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** shake it out ***


A Lima Side Story





Capitolo 12: shake it out





Non appena entrò in casa vide Finn seduto al tavolo della cucina. Stava evidentemente studiando matematica. Poté intravedere un integrale cancellato con rabbia sul blocco dove si stava esercitando.

«Problemi?» chiese.

«Qualcuno» ammise.

Si sedette affianco a lui. Non poté fare a meno di sorridere nel constatare il caos che aveva generato e i fogli appallottolati, evidentemente tentativi falliti di risolvere dei problemi.

«Vuoi che ti dia una mano?»

«Non esiste al mondo che mi faccia dare ripetizioni da mio fratello minore» protestò Finn.

Kurt lo guardò severo: «Finn!»

«Che c'è, avrò pure un minimo di orgoglio da mantenere?»

Kurt ripensò alle parole di Blaine. Orgoglio. Non aveva mai valutato questo aspetto di Finn, ma ora doveva ammettere che forse il ragazzo aveva ragione. Il suo atteggiamento stava ferendo suo fratello e quella era l'ultima cosa che voleva.

Doveva essere stato umiliante per Finn tornare fra i banchi, sedersi affianco a ragazzi e ragazze più giovani di lui di due anni, ascoltare le lezioni, seguire il Glee e poi tornare a casa con la consapevolezza che anche quel giorno era stato suo fratello a portare a casa il pane. Suo fratello minore.

Forse tutto quello che voleva era dimostrare che poteva farcela anche da solo. Che voleva farcela.

«Hai ragione. Anche a me hanno dato parecchio filo da torcere. Sono certo che nel giro di qualche giorno li avrai capiti.»

Finn annuì, mordicchiando la penna: «L'autobus era in ritardo?» chiese, guardando l'orologio.

«No.»

Finn abbassò lo sguardo. Kurt poteva intuire il suo pensiero: Dave.

«Non è come pensi tu» disse. «Questo pomeriggio ho preso un caffè con Blaine e poi mi ha riportato a casa perché era tardi e fuori pioveva.»

Poté chiaramente vedere lo sguardo del fratello farsi più sereno. «E' andato tutto bene?»

«Beh, ci sono stati un po' di colpi di scena» disse. «Ad esempio, ho ricevuto uno schiaffo. Da Mercedes.»

«Mercedes? Ma non eri...»

«Dovevo vedermi con Blaine ma le tue amiche del Glee hanno pensato bene di farmi una sorpresa.»

«Anche Rachel?»

«Sì, c'era anche lei. Anzi, è proprio a causa sua che abbiamo perso gran parte del pomeriggio» disse.

Poi realizzò che Finn non sapeva. Non ancora, per lo meno. Esitò un istante, chiedendosi se fosse il caso di dirglielo, poi pensò che in quel momento Blaine stava parlando con Rachel ed era giusto che anche suo fratello sapesse tutta la storia.

«Credo di averti tenuto nascosto un dettaglio degno di nota.»

Finn alzò lo sguardo dagli integrali. «Devo preoccuparmi.»

«Non proprio. Riguarda Blaine.»

«Oh mio Dio! Non dirmi che è stato in galera?»

«NO! Sii serio, Finn, ti pare che uno che indossa papillon e le scarpe senza calzini potrebbe sopravvivere in prigione?»

«Effettivamente...»

«Quello che non ti ho detto – e che ormai è bene che tu sappia – è che Blaine è... il fratello maggiore di Rachel.»

La penna cadde dalla mani di Finn con un tonfo secco sul tavolo e poi sul pavimento. Per svariati secondi il ragazzo rimase immobile, attonito, fissando l'altro.

«Fratelli?» esclamò.

«Sì, come me e te. Fratelli. Sai, padre e madre in comune, stesso cognome, stesso indirizzo, stessa bassa statura e stesso imbarazzante gusto per i vestiti.»

«Rachel non ha un gusto imbarazzante per i vestiti!» protestò Finn. «Non quanto Blaine, almeno.»

«Ha parlato il guru della moda!» esclamò.

«Almeno i miei capelli non sembrano leccati da una mucca.»

«Tu-» balbettò, prima di capitolare e ridere insieme al fratello. «Guarda come siamo ridotti. Per due... hobbit!»

«Dev'essere qualcosa di genetico che irrefrenabilmente attira gli Hummel agli Anderson. Devo ancora capire cosa» disse Finn. «Ora col senno di poi non è così strano che siano fratelli. Però Rachel non mi aveva mai detto di avere un fratello gay.»

Kurt si schiarì la voce: «Ecco. Questo è il motivo principale per cui non ti ho mai detto di questa parentela.»

«Lei... non lo sa?»

Kurt scosse la testa.

«E quindi... ora ho un segreto da mantenere!» disse, mettendosi le mani fra i capelli. Lui odiava i segreti.

«Forse non per molto. Questa sera, dopo avermi riportato a casa, Blaine ha detto che avrebbe parlato con lei. Quindi è possibile che domani, a scuola, Rachel ti attacchi chiedendoti da quanto esco con suo fratello.»

Finn si grattò la testa confuso: «Che casino! Mi ero dimenticato quanto confusionario e caotico fosse il Glee. E che intrecci di relazioni potessero nascere.»

«Intrecci che devono rimanere il più a lungo possibile riservati. Mercedes ha già cominciato a bersagliarmi di SMS alla ricerca di dettagli succulenti.»

«E tu l'hai accontentata?» chiese.

«Finn! Non ci sono... dettagli succulenti da riferire. Non c'è proprio nulla da riferire se non qualche caffè e una chiacchierata in macchina.»

«Dai, vuoi dirmi che uscite da qualche settimana e ancora...»

«Niente» disse. Dopo un lungo sospiro aggiunse: «Non so se essere contento o deluso.»

«Mi confondi...»

«Beh, da un lato sono contento. Insomma, i suoi modi di fare sono... da vero gentiluomo. Ci va piano e sembra tenerci davvero a me. Avendomi conosciuto allo Scandals potrebbe trattarmi come uno facile.» E così ha fatto. Da ubriaco. «Invece non è così. Non... non mi giudica e di questo gli sono grato. Però...» esitò.

«Però?»

«Mi chiedo... e se invece facesse così perché non gli interesso? Insomma, magari abbiamo ripetuto così tante volte “solo amici” che abbiamo finito per crederci. Forse non sono il suo tipo oppure si aspetta un po' più di intraprendenza da parte mia, visto che sono più grande. Forse si aspetta che faccia io il primo passo.»

«E fallo!» esclamò Finn. «Dannazione, Kurt, di solito sono sempre io quello che ti diceva di andarci piano perché ho pensavo che qualcuno avrebbe potuto ferirti. Ma in questo momento ti fa più male trattenerti, quindi buttati! Ti ha dato un passaggio in macchina, Kurt. Hai idea di quanto disti casa sua da casa nostra? Mezza città! E ti ha dato un passaggio in macchina nonostante dopo sia dovuto tornare a casa e poi presumo tornare a scuola. Perché pensi che l'avrebbe fatto?»

«Per provarci con me in macchina, ho pensato, ma non l'ha fatto.»

«Allora vuol dire che l'ha fatto perché gli piaci, gli piaci davvero e si è reso conto che non eri ancora pronto.»

«Ero terrorizzato all'idea che succedesse. Ma allo stesso tempo lo volevo. Che diavolo mi sta succedendo?»

Finn si grattò la testa imbarazzato: «Di questo dovresti parlarne con la zietta. Lei è molto più esperta di me in queste cose.»

«Dici che posso chiamarla? Non è che la disturbo?»

«Kurt, sai bene che, quando chiami tu, non la disturbi mai. Mentre quando chiamo io sta sempre facendo qualcosa di più importante.»

Kurt annuì, prese il telefono, diede una pacca sulla schiena a Finn – che riprese i propri integrali – e sgattaiolò in camera sua. Compose il numero.

«Parla Santana» rispose, chiaramente incazzata.

«Ciao zietta.»

«Buonasera, angioletto. Tutto bene?» chiese raddolcendosi.

Kurt sorrise. Aveva uno strano effetto su quella donna. Ogni volta che apriva bocca lei passava dall'incazzato nero alla modalità zietta in meno di un microsecondo.

«Tutto bene.»

«Scommetto che vuoi parlarmi del tuo nuovo amichetto» disse, ridacchiando dall'altra parte del telefono.

«Come diavolo-»

«Kurt, per favore! Sono due i motivi per cui potresti chiamarmi invece che parlarmi di persona. Uno per dirmi che sei malato e che non puoi venire e in tal caso non avresti detto “tutto bene”. Due per parlare di uomini. E in questo periodo c'è un certo ragazzo che ti gira intorno...» disse.

«Va bene, hai vinto. Volevo parlarti di Blaine.»

«Ecco, bravo. Sono tutt'orecchi.»

«Ricordi il primo giorno che ci siamo incontrati?» chiese.

«Certo. Eri allo Scandals con-» si interruppe. «Eri allo Scandals e ti eri intrufolato nel bagno delle donne.»

«E tu mi dicesti che...»

«Che avevi un bel culetto e che sarebbe stato uno spreco tenerlo nascosto» concluse. «Ricordo abbastanza bene. Arriva al punto.»

«Il punto è che... secondo te è possibile che un ragazzo che mi ha invitato più volte a prendere un caffè, che mi scrive messaggi ogni giorno, che mi viene a prendere dopo il lavoro e che oggi ha attraversato mezza città per riportarmi a casa... è possibile che io non interessi a questo ragazzo in quel modo.»

«No. Non è possibile. A meno che non sia totalmente frigido e immune dagli istinti sessuali.»

E questa eventualità la scarterei, pensò, ricordando le circostanze in cui si erano conosciuti.

«E allora mi spieghi perché non ci ha provato con me dopo che siamo rimasti soli in macchina?»

Santana si lasciò scivolare sul divano, attorcigliando il filo del telefono attorno al dito: «Beh, dolcezza, probabilmente ha intuito che la cosa ti avrebbe messo a disagio.»

«E perché mai...»

«Perché non hai ancora dimenticato» disse seria.

Kurt tacque. Non pensava che Santana avrebbe ritirato fuori quella storia. Di solito era tabù e non ne parlavano mai. Lei era l'unica a saperlo. Non l’aveva detto nemmeno a Finn e mai gliene avrebbe parlato. Dirlo ad alta voce, rievocare davanti alla sua amica quello che era successo era stato già abbastanza doloroso per lui.

«No, non l'ho dimenticato. Ma lui non lo sa. Non lo può sapere.»

«E allora vuol dire che intuisce che qualcosa è successo. Il nostro corpo parla per noi. Tu non sei uno espansivo, tendi a tormentarti le unghie e a “occupare meno spazio possibile”, come se avessi paura del contatto fisico. Evidentemente anche Blaine ha colto quest'aspetto di te e ha deciso di aspettare che fossi pronto.»

«Mh.»

«E tu lo sei?»

«...»

«Kurt?»

«Non lo so. Io... ci devo ancora pensare un po'.»

«Ascoltami. Devi andare avanti. Devi lasciarti alle spalle quello che è successo: non puoi farti rovinare la vita da quell'episodio, hai capito? Eravate ancora alle superiori e... alle superiori si fanno tante cose stupide. Poi le superiori finiscono e... si va avanti. Si trovano altre persone. Persone come Blaine.»

«Grazie, Santana.»

«Di nulla, angioletto. Richiama quando vuoi. E di' a Finn di studiare. Ho come l'impressione che passi troppo tempo a pensare alla studentessa da collegio di suore che ai libri.»

«Glielo dirò» disse ridendo e riattaccando.

Si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi.

Un ultimo sforzo, Kurt. È il solo modo per andare avanti.

I ricordi cominciarono a fluire.



Kurt lanciò un'occhiata all'orologio. Era davvero tardi.

«Dave, devo tornare a casa» disse.

«Che lagna! E' ancora presto!» protestò, baciandolo sul collo.

«Dai, lo sai che non posso fare troppo tardi» disse, cercando di allontanarlo. Neppure lui voleva andarsene, ma aveva fatto un patto con Finn: suo fratello non faceva domande ma lui doveva tornare entro mezzanotte.

«Va bene, Cenerentola, ti riporto a casa» disse, passandogli un braccio attorno ai fianchi e baciandolo sulla guancia. Uscirono dal locale e si diressero verso la macchina.

Dave aprì lo sportello posteriore e si lasciò cadere sui sedili.

«Beh?»

«Sono distrutto. Hai idea di quanto sia sfiancante tenere d'occhio tutti gli uomini del locale che ti fissavano?»

Kurt sorrise, posandosi all'auto con il gomito: «Mi sembra che tu abbia messo bene in chiaro che sono impegnato.»

«Starei più tranquillo se potessi appenderti un cartello alla schiena con scritto “proprietà privata”. Sai, nel caso non fossi sempre presente a renderlo palese.» Si sporse dalla macchina e lo prese per il polso, facendogli cenno di avvicinarsi.

Kurt si avvicinò a lui, raggiungendolo sui sedili posteriori. Dave non attese un secondo prima di baciarlo e, quella volta, Kurt non protestò. Lasciò che lo trascinasse sui sedili e quando lo sentì scendere dalle sue labbra al suo collo non riuscì a reprimere un gemito.

Dave, soddisfatto, proseguì, concentrandosi sulla porzione di pelle sotto la mascella.

«Dave!» esclamò Kurt, quando si rese conto di quello che stava facendo.

«Che c'è?» ridacchiò.

«Mi-mi hai fatto un succhiotto! Che cos'hai in testa, pigne? Che diavolo dico a mio fratello quando torno a casa? E domani a scuola?»

«Dirai che hai conosciuto un affascinante straniero che ti ha lasciato un ricordino, in memoria del suo passaggio.»

«Mentre invece è stato quello scemo del mio ragazzo per “marcare il territorio”.»

«Bravo: “il mio ragazzo”. Non dimenticarlo.»

Kurt avrebbe voluto ribadire che lui non se lo dimenticava mai. Che quando si incrociavano per i corridoi, a scuola, lui cercava sempre il suo sguardo, sperando in un sorriso, in un saluto, in un cenno, almeno. Era Dave ad abbassare sempre lo sguardo, a voltarsi, per nascondere dei sentimenti che – lo sapeva – sarebbero stati palesi a tutti se solo si fosse lasciato andare.

A lui Kurt piaceva davvero e non c'era cosa che volesse più che trovare il coraggio di dirlo apertamente, di vivere la loro relazione come una coppia qualsiasi, invece che come dei criminali, sempre attenti a non farsi scoprire. Ma, di fatto, aveva troppa paura. Troppa paura di cosa avrebbero detto i suoi amici, i suoi genitori, i professori o i suoi futuri datori di lavoro.

«E sai qual è la cosa più bella dell'essere il tuo ragazzo?» gli sussurrò ad un orecchio, facendolo rabbrividire.

«Quale?»

«Questa» rispose, infilando le mani sotto la maglietta e sfilandogliela.

«Dave!» esclamò. «Siamo in un parcheggio!»

«E dai, non c'è nessuno!»

«Non è solo quello è che... fa freddo» protestò. Lo sguardo di Dave lo fece sbuffare: «E va bene, mi vergogno.»

«E di che? Ti spogli tre sere a settimana allo Scandals!»

«E' diverso! Lì non c'è... contatto fisico» disse. Se ci fosse stata più luce, Dave avrebbe potuto vedere il rossore sulle sue guance.

«Cosa c'è di male? Stiamo insieme da qualche mese ormai. Non pensi che sia... giunto il momento?»

Sgranò gli occhi e il cuore gli balzò in gola. «Come prego?»

«Hai capito, no? Che ci sarebbe di male, in fondo? Siamo entrambi maggiorenni e vaccinati. E poi, vuoi dirmi che la tua amichetta – la brunetta dello Scandals – non ti ha insegnato ancora nulla?»

Kurt lo allontanò con più delicatezza possibile. «No, Dave, non mi va. Non voglio che la mia prima volta sia in... in un postaccio come questo, nel sedile posteriore della tua auto. Ho sempre sognato di farlo in un letto comodo e pulito, con l'uomo che amo-»

«Con l'uomo che ami?» chiese, staccandosi da lui. «Cioè non con me?»

«Non volevo dire questo.»

Volevo dire che non ti amo, non ancora. E che finché non imparo ad amare non posso fare l'amore. Posso solo fare... sesso, e non è questo che voglio.

«Ah no? Scusa se ho interpretato male le tue parole.» Il suo tono di voce era tagliente, ma Kurt si rese subito conto di averlo ferito.

«Dave, non ci siamo mai detti “ti amo”. Tu mi piaci, sul serio! Amo passare le serate con te, amo quando mi baci o quando mi stringi, o quando mi accompagni a casa e mi auguri la buonanotte, ma-»

«Ma non ami me.»

«Perché, tu mi ami?» chiese.

«Io-» si interruppe. Lo amava? Non l'avrebbe mai ammesso a se stesso. Era cominciato tutto quando si era reso conto di quanto invitante fossero le labbra di quel ragazzino quando leccava via la granita che gli tirava in faccia e quanto profondi fossero quegli occhi che lo guardavano feriti ogni volta che lo spingeva contro un armadietto. Certo, all'inizio era solo curiosità, poi un'insana attrazione. Ora però che aveva cominciato a parlare con lui, a vederlo ridere, a vedere il suo sorriso rivolto a lui... ora era qualcosa di più.

Si stava innamorando? Forse. Ma difficilmente l'avrebbe ammesso.

Avvicinò di nuovo le loro labbra, questa volta senza foga, lentamente, così che anche Kurt cessò di protestare. Nel frattempo lasciò che la sua mano scorresse lungo il petto scoperto di Kurt, fino ai suoi fianchi e poi giù, verso la patta dei pantaloni.

Nel sentire quello scomodo contatto Kurt lo allontanò di nuovo, questa volta con più violenza: «Ti ho detto di no!»

«Che palle! Possibile che ti comporti da puttanella con tutti tranne che con me?» sbottò.

«Co-come mi hai chiamato?»

«Avanti, hai sentito! E lo sai cosa intendo. Vuoi dirmi che i clienti al locale non ti toccano? Vuoi dirmi che non ne approfitti mai per fare soldi extra? Quanto te lo pagano un servizietto in bagno, più o meno di quanto pagano la tua amica?»

«Rimangiati quello che hai detto su me e Santana!»

«Perché dovrei? È la verità e tu lo sai. Altrimenti non ti vergogneresti tanto del tuo lavoro.»

Kurt lo spinse via e, afferrata la propria maglietta, uscì dalla macchina, rivestendosi.

«E adesso dove credi di andare?»

Kurt si voltò. Sul suo viso non c'era traccia di tristezza. Solo rabbia. Ci sarebbe stato tempo per le lacrime, non appena fosse rimasto solo e le parole di Dave avessero cominciato a risuonargli nella mente. «Di certo non torno a casa con uno stronzo come te!» gli gridò contro.

«Che c'è? Ti farai dare un passaggio da uno di quelli che ti guardava il culo questa sera? E poi come pensi di ripagarlo? Con tante belle parole?»

Non ricevette risposta. Kurt camminò spedito fino al locale, mentre Dave lo richiamava invano.

Una volta rientrato ignorò qualsiasi tentativo di avance e si diresse verso il bagno. Vi si chiuse dentro e – cellulare alla mano – compose l'unico numero che gli fosse venuto in mente. Lo stesso numero che l'aveva già salvato.

Dall'altra parte, pochi istanti dopo, rispose una donna.

«Pronto, angioletto?»

«San» mormorò, tentando di ricacciare indietro le lacrime.

«Mio Dio, Kurt, stai piangendo?»

Come risposta ricevette un singhiozzo.

«Kurt, che cosa è successo? E soprattutto, dove sei? Sento della musica, sei in un locale?»

Il ragazzo le disse il nome del posto.

«Stai fermo lì, hai capito? Fra dieci minuti sono lì» disse.

Come promesso, dieci minuti dopo Santana spalancò la porta del bagno degli uomini e, vedendo Kurt seduto a terra contro il muro, si avvicinò a lui e lo abbracciò.

«Dai, va tutto bene» disse, accarezzandogli la schiena e stringendolo forte. «Piangi finché vuoi, ora ci sono io.»

«San, ti prego, portami a casa.»



Quella notte, di ritorno a casa, Kurt raccontò a Santana per filo e per segno che cosa fosse successo – evitando volutamente le invettive da parte di Dave contro la ragazza stessa. Fu doloroso, ma non appena ebbe buttato fuori tutto si sentì meglio. Pianse per tutto il tragitto senza che Santana gli dicesse mai, una sola volta, frasi idiote come “non piangere” o “tirati su”.

Sapeva bene che, in momento come quello, la cosa migliore era piangere tutte le proprie lacrime.

Kurt riuscì a ricomporsi quando Santana parcheggiò l'auto davanti a casa sua. La abbracciò, promettendole che l'avrebbe richiamata il giorno dopo, e rientrò in casa.

Finn, sorpreso di vederlo tornare con la ragazza, chiese se ci fossero problemi, ma Kurt si limitò a scrollare le spalle.

«Figurati, mi ha solo dato un passaggio» disse, prima di correre di sopra e chiudersi in camera.

Quando fu solo riprese a piangere, sperando che suo fratello non lo sentisse.



Il giorno dopo, guardandosi davanti allo specchio per vestirsi, si ricordò del fastidioso livido violaceo – che livido non era – appena sotto la mascella. Lo sfiorò con le dita, rievocando tutti i ricordi della sera prima, come se lo fosse procurato e cosa fosse successo dopo.

Cercò di scacciarli via, coprendo il succhiotto con una sciarpa e chiudendo di scatto la porta dell'armadio.

Quel giorno a scuola seguì distrattamente le lezioni, pensando a cosa sarebbe successo dopo. A come avrebbe guardato Dave quando l'avesse incrociato per i corridoi. Si sarebbe degnato di sollevare lo sguardo, almeno una volta? E ci sarebbero state delle tacite scuse nei suoi occhi o le stesse parole cattive della sera prima?

Questo si chiedeva mentre risistemava i libri nel suo armadietto. Prima che se ne rendesse conto, qualcuno lo spinse contro il muro.

«Hummel, che sciarpina da checca hai oggi» disse Azimio, prendendolo per la sciarpa. «Ma guarda cosa c'è sotto!» esclamò, voltandosi verso due suoi compari – giocatori della squadra di football, probabilmente. «Avete visto ragazzi? Qualcuno ha fatto un succhiotto a Faccia-da-checca.»

«E'-è un livido» disse.

«Come no? Non prenderci per fessi, Hummel. Piuttosto dicci, chi te l'ha fatto? Hai passato la notte in un covo di invertiti? Oppure c'è qualche altro piccolo frocetto nascosto in questa scuola?» chiese.

In quel momento Dave stava attraversando il corridoio.

«Ehi, Dave, vieni un po' qui» disse Azimio.

Karofsky alzò lo sguardo su di loro ed incrociò quello di Kurt. Lo sguardo del più piccolo parlava chiaro: c'era una muta supplica, una richiesta d'aiuto.

«Dave, la nostra fatina deve aver trovato un amichetto e ci chiedevamo – io e i ragazzi – se sia andato a pescarselo in un locale gay o se ci sia qualche altra mela marcia nella scuola. Tu che dici?»

«Beh-»

«Scommetto che è uno dei tuoi amichetti del Glee. Magari quello con la bocca da trota. Nah, quello ti risucchierebbe direttamente la faccia, altro che succhiotto. Magari il cinesino. Oh perché no, magari è una cosa di famiglia, magari tu e il tuo fratellone da soli in casa...»

«Smettila!» esclamò Kurt, spingendolo via. I ragazzi rimasero stupiti dalla sua reazione. «Non è nessuno di loro!» gridò.

«Ah no? Allora, ci vuoi dire chi te la fatto? Così andremo a tormentare anche lui e ti dedicheremo meno attenzioni. Non ti piacerebbe? Vorrebbe dire un volo nel cassonetto a giorni alterni invece che ogni giorno.»

Le labbra di Kurt tremarono. Per un secondo fissò Karofsky e i loro sguardi erano l'uno nell'altro. Si stavano dicendo mille cose ed entrambi stavano pensando al giorno prima, a quello che era successo.

«Allora, parli? Hai solo che da guadagnare, Hummel.»

«Io non-»

«Scommetto che gliel'ha fatto un cliente dello Scandals» disse una voce. Una voce che Kurt riconobbe come quella di Karofsky.

Qualcosa dentro Kurt si spezzò in quel momento. La fiducia in Dave, nella loro amicizia che era diventata qualcosa di più, in quello che forse un giorno sarebbe diventato amore.

«Ma che, quel locale da finocchi e pervertiti?» disse Azimio. «Ti piace fare le cose sporche con gli sconosciuti?»

«Ma che, scommetto che è ancora un verginello» continuò Dave. «Lui è uno che tiene chiuse le gambe.»

«Ah già, quasi dimenticavo che al nostro amico Faccia-da-checca piace stare in ricezione» disse ridendo Azimio.

Non erano quelle battute volgari a ferirlo. A quelle ci era ormai abituato. Erano state le parole di Dave a spezzargli il cuore e a portarlo fino alle lacrime.

Le parole di quel ragazzo che invece lui aveva sempre protetto, prendendosi spintoni, granite e insulti al posto suo.

«Che c'è, adesso piangi? Lo sai che così hai ancora di più la Faccia-da-checca?»

«Dai, ragazzi, andiamocene. Odio vedere gli uomini piangere» disse Dave, portandosi via gli altri.

Kurt non sapeva ancora – ma poteva immaginare – che l'inferno era appena cominciato.



Quando Blaine fece ritorno in camera, Sebastian stava studiando. Sentì la porta aprirsi e vide il suo amico entrare e – senza neppure rivolgergli la parola – spogliarsi entrando in bagno.

Sentì il rumore dell'acqua della doccia scorrere e tornò sui propri libri.

Aveva imparato a conoscere e sopportare le stranezze dei suo compagno di stanza.

Quando Blaine uscì dalla doccia, si lasciò cadere sul letto con ancora l'accappatoio addosso e non disse niente.

Sebastian chiuse il libro e disse:

«Allora, o ti decidi a parlare o ti strappo l'accappatoio di dosso e ti butto in mezzo al corridoio nudo come mamma ti ha fatto» disse Sebastian.

Blaine gemette passandosi la mano fra i capelli:

«L'ho fatto. Non ci posso ancora credere. L'ho fatto!»

Sebastian lo guardò colpito e piacevolmente sorpreso: «Sei riuscito a conquistare il tuo bel commesso senza neppure completare gli ultimi due punti? Aspetta, scommetto che l'avete fatto in macchina. Il che vorrebbe dire che il punto quattro-»

Blaine si voltò verso di lui: «Seb, che diavolo hai capito?»

«Beh, come altro posso interpretare la frase “l'ho fatto” e tu che ti vai a fare una doccia senza neppure salutarmi. Pensavo avessi ancora qualcosa di... appiccicoso addosso» disse.

«Non abbiamo fatto niente!» esclamò. «Io... io l'ho detto a Rachel.»

Questa volta l'espressione di Sebastian fu davvero di sorpresa. Anzi, era decisamente sconvolto: «CHE?»

«Ho detto a Rachel quello che avrei dovuto dirle anni fa, ossia che sono gay e che non ho nessuna intenzione di cambiare e che mi piace un ragazzo. Un ragazzo fantastico» disse, sorridendo. «Un ragazzo che mi ha aiutato a capire chi fossi.»

«E lei? Come l'ha presa?»

«Benissimo. Meglio di quello che avrei potuto sperare. Ha detto che non le importa, purché io sia felice e che – se mai decidessi di dirlo ai miei – si schiererà dalla mia parte.»

«Che cambiamento.»

«Penso sia stato il Glee club della sua scuola a cambiarla. Lì ha conosciuto persone di... altri mondi rispetto a quello in cui siamo cresciuti. Anche Kurt l'aveva detto: quel Glee club gli era stato d'aiuto quando-»

«Ferma il cavallo! Blaine, mi vuoi dire che Kurt era nel Glee club del McKinley quando era alle superiori?» chiese.

Blaine si morse la lingua: dannazione, non poteva stare zitto! «Sì, ma è stato un anno fa e poi-»

«Ti prego, non dirmi che era il controtenore, non dirmi che era il minore dei due fratelli che avevano praticamente portato il loro Glee club alle nazionali» disse.

«Temo sia lui.»

Sebastian gli scagliò contro il cuscino: «Blaine Anderson! Tu stai uscendo da più di un mese con un controtenore e non me l'hai detto? Ti rendi conto? Hai idea di cosa significherebbe averlo nel nostro coro? Hai anche solo una vaga idea?»

«Emh...»

«Significherebbe una possibilità in più contro il McKinley e contro Rachel.»

«Kurt non accetterebbe mai. Intanto perché ha finito la scuola e non può entrare nei Warblers se non frequenta la Dalton – la cui retta è peraltro esorbitante. Secondo perché dovrebbe gareggiare contro suo fratello e non penso che-»

«Aspetta un momento. Mi stai dicendo che il maggiore dei due fratelli è tornato a scuola e che si prepara a darci una batosta alle Regionali?»

Blaine si rese conto di come le cose si stessero mettendo male per lui quando vide Sebastian avvicinarsi e afferrarlo per l'accappatoio.

Ecco, adesso mi butta davvero in mezzo al corridoio nudo e bagnato.

«BLAINE ANDERSON! Mi spieghi per che squadra giochi?»

«Pensavo ormai tu l'avessi capito da un pezzo» disse, trovando il momento di fare ilarità.

«Non mi stavo riferendo alla tua ormai non più confusa sessualità. Mi riferivo a: vuoi che i Warblers battano le New Directions alle Regionali o vuoi che tua sorella ti sfotta per gli anni a venire? Vuoi o no andare a New York? Vuoi o no darti uno straccio di possibilità per il tuo futuro nella musica, o vuoi finire a dirigere l'azienda di tuo padre e stare alle sue dipendenze per tutta la vita?»

«Che domande, voglio vincere!»

«E allora sveglia! Credi che tua sorella si faccia problemi a rivelare al suo coro qualsiasi informazione riesca a carpire da te o da me o da Wes o in qualunque altro modo subdolo e illegale? Non è andata forse a ripescare il fratello del tuo bel commesso... ancora non ci posso credere. Cosa ti passava per la testa? Dovevi venirmelo a dire l'istante stesso in cui l'hai scoperto.»

«Avevo altro per la testa, va bene?» disse, sbuffando. «E adesso cosa stai facendo?» chiese, quando vide Sebastian ignorarlo e prendere il proprio cellulare.

«Quello che avresti dovuto fare tu settimane fa.»

«Ossia.»

«Riunione straordinaria dei Warblers. Ora.»





A/N





Non odiatemi per l'angst, per favore. Giuro che era necessario.

E poi, meglio ricordi angst che avvenimenti angst, no?



Per farmi perdonare vi dico solo una cosa. Anzi, due.

Prossimo capitolo: Warblers in pigiama. E un pizzico di Niff. ♥



yu_gin







coming next



Thad si passò una mano fra i capelli e, dopo un lungo sospiro, si voltò verso Blaine:

«Anderson. Mi spieghi per che squadra giochi?»



------------------------------------------------------



Quello che stava per fare era... scorretto. Lo sapeva bene. La sua coscienza glielo stava gridando da tutto il pomeriggio.

Se lo faccio... lui potrebbe odiarmi. Questa volta potrebbe non perdonarmi più.





Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** calling you ***


A Lima Side Story





Capitolo 13: calling you





David si sistemò meglio sulla sedia mentre Wes si aggrappò al pianoforte per non cadere. Jeff si appoggiò a Nick, ma solo perché non aspettava che una scusa per farlo e la sconvolgente rivelazione di Sebastian lo era. Thad si passò una mano fra i capelli e, dopo un lungo sospiro, si voltò verso Blaine:

«Anderson. Mi spieghi per che squadra giochi?»

Il fatto che in quel momento fossero tutti in pigiama – e che quello di Trent fosse particolarmente imbarazzante – non rendeva la situazione meno seria. La diceria che “immaginare tutti in mutande o in pigiama faccia passare l'ansia” era evidentemente falsa, Blaine lo sperimentò sulla sua pelle quella sera. I Warblers al completo erano presenti nell'aula di musica per una riunione straordinaria e assolutamente illegale. La situazione era grave e al momento gli occhi di tutti erano puntati su di lui.

E lui – Blaine Anderson – speranza del gruppo alle regionali – invece che percepire la gravità della situazione pensò a quanto sarebbe stata buffa la faccia di Thad se gli avesse risposto “per la stessa di Sebastian”.

«Ho già chiesto scusa» protestò.

«Non è questione di chiedere scusa. È questione di... dannazione, dove avevi la testa? Conosci un controtenore – e già avresti dovuto infilargli un blazer e portarlo in aula coro – e che fai? Niente. Ti rendi conto di quanto sarebbe stato importante per noi avere uno in grado di competere con tua sorella per la ballad?»

«A mia discolpa-»

«Secondo» proseguì Thad «scopri che le New Directions hanno un nuovo membro che in passato li aveva fatti stravincere e non ce lo dici?»

«Non ho pensato che-»

«E ultimo ma non meno importante: il tuo amico controtenore è il fratello del nuovo membro delle New Directions e tu non riesci neppure a fargli sputare UNA maledetta canzone della loro scaletta per le Regionali? Scommetto che Rachel setaccia settimanalmente il tuo iPod per carpire informazioni.»

«Oh, dai, non è così malata» disse, prima di ricordarsi di quando l'aveva beccata a spiarlo sotto la doccia per sentire che canzone stesse cantando. Il momento in cui era uscito dalla doccia cantando a squarciagola Stupid Girl era stato uno dei più imbarazzanti della sua vita.

A quel punto Wes si allontanò dal pianoforte in direzione di Blaine e gli posò una mano sulla spalla.

«Blaine, siamo amici da quanto tempo?»

«Quattro anni. Da quando ci siamo conosciuti il primo giorno di scuola.»

«E in questi quattro anni ho mai tradito la tua fiducia?»

«No, mai.»

«E allora mi spieghi perché in quest'ultimo periodo non riesco quasi più a parlarti? Mi ero accorto che c'era qualcosa di strano in te, qualcosa che ti stava cambiando, ma ho pensato che prima o poi ce ne avresti parlato. Invece prima ometti di parlarci della tua nuova ragazza, poi la storia del controtenore – e non ho ancora ben capito come, dove e quando tu l'abbia conosciuto. Blaine, non è che ti sei innamorato di una delle New Directions e ora vuoi farli vincere?»

«Ma no! Non c'è nessuna ragazza delle New Directions!» esclamò. Sospirò e alzò lo sguardo verso il Warbler. Era cambiato in quel periodo – in meglio, probabilmente – ma non poteva parlarne con i suoi migliori amici. Girò la testa per guardare Sebastian che capì le intenzioni del ragazzo e gli annuì di rimando, come per dargli un tacito assenso.

«A dirla tutta, non c'è nessuna ragazza» disse.

«Vi siete già lasciati?» esclamò Jeff, guadagnandosi uno schiaffo da David.

«Non c'è mai stata nessuna ragazza

«Che intendi dire?» chiese Thad. «Forse che mentre noi pensavamo che tu uscissi con lei in realtà andavi dalle New Directions ad aiutarli a sconfiggerci?»

Sebastian sbuffò: «Se non foste tutti troppo fissati con teorie del complotto e se aveste osservato meglio il vostro amico Anderson in questi anni vi sareste accorti di quello che io ho capito il giorno esatto in cui sono finito in camera con lui.»

«Ossia?»

«Che io e Blaine giochiamo effettivamente per la stessa squadra. In tutti i sensi, musicali e non, dove con “non” intendo sessuali.»

Se la convocazione nel cuore della notte aveva sorpreso i Warblers, l'asserzione di Sebastian li sconvolse.

Blaine si segnò di ringraziare Sebastian per la delicatezza e l'eleganza con cui aveva sbandierato i suoi gusti sessuali – in perfetto stile Smythe. Una panoramica delle facce assonnate dei suoi compagni scrollate dal torpore notturno con inaudita violenza lo gettò nel panico più totale.

Ed ora? Wes gli avrebbe ancora posato la mano sulla spalla per i suoi discorsi del tipo “ora mi ascolti perché sto per dire qualcosa di super-saggio?” oppure sarebbe stato molto più discreto? E negli spogliatoi dopo aver fatto allenamento? Se la voce si fosse diffusa a scuola come si sarebbero comportati gli altri studenti?

«E' vero?» chiese Wes.

Annuì.

«E da quanto tempo lo sai?»

«Da qualche anno, penso. Prima non ne ero sicuro e pensavo fosse semplicemente l'effetto congiunto di ormoni impazziti e scuola prettamente maschile ma poi mi sono reso conto che non era una cosa temporanea.»

«E in questo l'ho aiutato anch'io» intervenne Sebastian.

«E si può sapere perché non ce l'hai detto?»

«Io... avevo paura che voi... avevo paura che la nostra amicizia non sarebbe più stata la stessa» ammise, lanciando un'occhiata preoccupata a tutti i ragazzi presenti.

«Blaine Anderson, sei proprio un idiota!» esclamò Wes. «Tu pensi davvero che dopo aver sopportato le proposte sessuali di Sebastian per un anno intero senza cacciarlo dai dormitori, qualcuno di noi avrebbe mai potuto giudicarti o trattarti con diffidenza?»

Sebastian tentò di protestare ma lo sguardo degli altri ragazzi lo mise a tacere.

«In questi quattro anni ti vedevo sempre solo e infelice e continuavo a presentarti ragazze, pensando che prima o poi avresti trovato quella giusta. Che cavolo, potevi evitare di farmi perdere tempo! Ti avrei presentato qualche ragazzo o almeno ti avrei tenuto lontano dalle grinfie di Sebastian. Scommetto che in questi mesi ti avrà riempito di avances esplicite più o meno ogni notte.»

«Più o meno» convenne, mentre Sebastian cercava – inutilmente – di scagionarsi.

«Allora le mie battutine erano fondate!» esclamò Jeff.

«No che non lo erano!» sbraitò Blaine, arrossendo all'istante.

«Confermo» intervenne Sebastian. «E' molto più difficile corrompere lui che molti etero» e per quel commento ricevette un'occhiataccia da parte di Thad, sempre pronto a redarguire il ragazzo per le sue uscite fuori luogo.

«La verità, ragazzi, è che non avevo paura di voi. Avevo paura piuttosto dei miei genitori e di come avrebbero potuto reagire se lo fossero venuti a sapere» disse Blaine, a testa bassa. «Mio padre come prima cosa darebbe la colpa a Sebastian, e non sarebbe giusto, visto che – strano ma vero – questa volta lui è innocente. E poi insisterebbero per farmi cambiare scuola e mi assillerebbero presentandomi ragazze che non potrei mai amare ma, soprattutto, mi impedirebbero in ogni modo di vederlo. Di vedere Kurt.»

«Il nostro controtenore, devo supporre?» chiese Wes, sorridendo.

Blaine annuì.

«Deve piacerti davvero molto.»

«All'inizio era solo una cotta infondata, ma col tempo – conoscendolo – ho potuto scoprire che, nonostante lui venga dall'altra parte di Lima, non siamo poi così diversi. Con lui mi sento bene» disse, e nel farlo sentì il peso che gli gravava sul cuore sciogliersi e scomparire e si diede dello stupido per non aver parlato prima con i suoi amici.

«Vedo che Sebastian non è riuscito a corromperti» disse Wes.

«Meno smancerie, Anderson, e parliamo di cose serie. Per quanto mi faccia piacere vederti finalmente impegnato sentimentalmente – cosa che spero ti guarirà dalla tua Katy Perry mania – devo ricordarvi perché siamo qui, illegalmente, nel cuore della notte?» I Warblers al completo si lanciarono sguardi tremendamente assonnati e totalmente spaesati. «Le Regionali! Le Regionali, dannazione! E se qualcuno di voi non tira fuori un'idea geniale entro l'alba siamo spacciati.»

«Blaine, perché non convinci il tuo ragazzo controtenore ad unirsi a noi?»

Il ragazzo si grattò la testa imbarazzato. «Veramente, lui non è ancora il mio- beh, noi non siamo ancora propriamente, sì, come si suol dire...»

«Non hanno combinato niente» concluse Sebastian. «Nonostante io stia spendendo le mie energie da settimane per farli mettere insieme» disse.

«Tu... hai cercato di conquistarlo seguendo i consigli di Sebastian?» chiese Wes, disperato.

«Che, vorrei far notare, fin ora lo hanno fatto avvicinare notevolmente all'obiettivo, visto che poco più di un mese fa si odiavano» ci tenne a precisare Sebastian, fiero dei propri metodi. «E se riuscirai a portare a termine il punto cinque sono certo che non potrà far altro che caderti fra le braccia!»

«E' fuori questione che tu segua ancora i consigli di Sebastian!» esclamò Wes. «Ora ascolta attentamente cosa devi fare-»

«Wesley, mi è sfuggita una cosa. Da quando tu saresti più esperto di uomini di me?»

«Si dà il caso, Smythe, che io sia un uomo.»

«E immagino che tutte le notti, prima di addormentarti, tu compili una lista su come conquistare il pompiere dei tuoi sogni.»

«Una cosa è certa: so come essere romantico e come conquistare il cuore di una persona. Tu sai come portartela a letto.»

«Chiamalo niente!» esclamò, incrociando le braccia al petto.

Wes afferrò Blaine per le spalle e lo scosse: «Ascoltami. Non metto in dubbio che più avanti i consigli di Sebastian potranno venirti utili per gli aspetti più... fisici della relazione.» Quell'espressione fece rabbrividire Blaine. «Ma per ora ascolta me» disse facendolo sedere.

Thad non si lamentò ulteriormente del fatto che ci fossero cose più importanti dei drammi sentimentali di Blaine, perché doveva riconoscere che – se Blaine fosse riuscito a portare un controtenore fra le loro fila – le loro possibilità di vittoria sarebbero sensibilmente aumentate.

«Scommetto che l'ultimo punto di Sebastian comprendeva qualcosa di illegale, vero?»

Blaine strabuzzò gli occhi, voltandosi verso Sebastian.

«Ti avrei detto di portarlo in un posto isolato, farlo sedere sul cofano della macchina guardare le stelle. Intanto avresti dovuto offrirgli del vino – se regge l'alcol come te una birra sarebbe bastata. Quindi si sarebbe lasciato andare, vi sareste baciati e poi sareste finiti sui sedili posteriori. È matematico» affermò. «Non c'è nulla di illegale. Il sesso in macchina non è illegale in Ohio!» protestò.

Wes sospirò: «Come immaginavo. Un'idea assolutamente idiota: facendolo ubriacare il giorno dopo non si ricorderebbe nulla! No, Blaine, ti dico io che cosa devi fare» disse, estremamente serio.

Blaine aprì le orecchie ed ascoltò.



La riunione terminò all'una. Era stata decisa una nuova scaletta, erano state decise le prove per la settimana e soprattutto Blaine era stato tartassato a sufficienza affinché facesse di tutto per convincere il suo – si sperava – futuro ragazzo ad unirsi ai Warblers.

Quando Wes, David e Thad sciolsero la riunione tutti furono ben felici di tornarsene a letto.

Nick e Jeff salutarono gli altri e si avviarono verso la loro camera. Jeff era così stanco che più di una volta Nick fu costretto ad afferrarlo per un braccio e sostenerlo fino al suo letto. Quando il biondino si lasciò cadere esausto sul materasso, Nick sorrise.

«Non ci posso credere» disse in un sospiro.

«Che Wes e David ci abbiano svegliato nel cuore della notte per una riunione straordinaria.»

«No, non posso credere che Blaine sia gay!» disse. «Ora mi sento una vera merda per tutte le battute che gli ho fatto. Sono stato davvero un idiota.»

Nick si stese sul proprio letto, infilandosi sotto le coperte. «Non sei stato un idiota. Sei solo stato un po'... ingenuo. E hai dato per scontate un po' di cose. Però c'è da dire che la maggior parte delle tue frecciatine erano rivolte a Sebastian. E lui se le meritava!»

«Cavoli, non c'è nessuno in questa scuola che meriterebbe di essere deriso più di Smythe! E' da quando è arrivato che non fa altro che sostenere che io e te in realtà abbiamo un relazione» esclamò, sbuffando.

«E la cosa ti dà tanto fastidio?»

«N-non volevo dire questo» disse Jeff. Il mix di sonno e di eccitazione dovuta alle ultime rivelazioni su Blaine non lo faceva ragionare con lucidità e in quel momento il suo cervello non sembrava in grado di formare frasi di senso compiuto. «Noi siamo... amici. E lui non dovrebbe... deridere la nostra amicizia.»

«Sai perché lo fa?» chiese Nick, voltandosi verso di lui. Jeff non si girò perché sapeva che, se lo avesse guardato negli occhi, non sarebbe più riuscito a mentire. Si limitò a scuotere la testa. «Lo fa perché invidia la nostra amicizia. Perché con il suo modo di fare, la sua paura di esporsi e di rivelare i suoi lati deboli gli impediscono di avere dei veri amici. Potrebbe averne, ma non lo vuole ammettere. E allora invidia e deride Wes e David, o Blaine e Wes. O me e te.»

«Forse hai ragione» disse. Tacque, tormentandosi le dita. «Sebastian si vanta sempre delle sue mille conquiste e quando vuole una cosa è abituato ad ottenerla. Nonostante ciò non sembra mai felice. Allegro, sfacciato, soddisfatto, ma mai davvero felice. Mentre Blaine... nel vederlo parlare del suo controtenore... beh, gli brillavano gli occhi e quasi gli tremava la voce quando pronunciava il suo nome. Penso che non ci sia nulla di più bello che provare un'emozione del genere.»

«Hai ragione» disse Nick. «E se a farmi spuntare quel sorriso fosse un ragazzo, penso non esiterei a passare all'altra sponda» disse, ridendo.

Jeff si voltò verso di lui e i loro occhi si incontrarono.

Per un secondo. Uno soltanto, prima che entrambi distogliessero lo sguardo.

E per quel secondo furono certi di aver pensato entrambi alla stessa cosa.

Nessuno dei due voleva parlare. Quello che c'era fra loro era speciale – questo l'avevano capito un po' tutti. Non erano semplicemente compagni di stanza o migliori amici. Erano come due facce della stessa medaglia. La frase fatta “prendersi i propri spazi” nel loro vocabolario non esisteva. Lo spazio che era di uno era anche dell'altro.

Parlavano di tutto l'uno con l'altro, pranzavano allo stesso tavolo, studiavano insieme e se durante un pomeriggio particolarmente stancante uno dei due si appoggiava alla spalla dell'altro invece che sul libro di storia non c'erano spintoni o proteste.

Lo spazio di uno era anche dell'altro.

A loro non importava che gli altri ragazzi preferissero mantenere le distanze dai loro amici dello stesso sesso. Non importava neppure se, nelle altre scuole, un simile comportamento sarebbe stato definito “da froci”. Non ci pensavano neppure, perché lì alla Dalton nessuno li etichettava, nessuno chiedeva loro spiegazioni.

Ora però cominciavano a farsi delle domande.

Potevano continuare a chiamare quello che c'era fra loro solo “amicizia” o dovevano cominciare a trovare un altro nome? Aveva importanza?

Jeff pensava di no. O meglio, lo aveva pensato fino a quel momento.

Stare vicino a Nick lo faceva stare bene, ma era possibile stare ancora meglio? Era possibile essere felice col suo amico allo stesso modo in cui Blaine sembrava esserlo con Kurt?

Era possibile esserlo con qualcuno che non fosse Nick?

Non seppe neppure come o perché lo fece, ma la sua mano si allungò verso l'altro fino a che le loro dita si sfiorarono. Quel contatto così naturale lo fece sorridere e sentì il proprio cuore alleggerirsi.

«E' tardi» disse Nick. «Forse è il caso di dormire.»

«Buona notte» sussurrò.

«Buona notte, Jeff» rispose, spegnendo la luce. Le loro dita rimasero intrecciate ancora per qualche minuto prima che il sonno avesse la meglio.



Kurt ricevette il messaggio a metà mattina. Quando sentì il cellulare vibrare pensò subito a Blaine e sorrise, pregustando qualche aneddoto o anche solo una sua lamentela del tipo “la lezione è noiosa e vorrei essere davanti ad un caffè a parlare con te”.

Quando lesse il nome del mittente il suo sorriso sparì.

Il messaggio che seguiva era breve. Poche parole che lo mandarono nel panico.



10:23

Ehi, mi chiedevo se sei libero uno di questi giorni. Pensavo che potremmo andare al Lima Bean. Fammi sapere.

Dave.



Kurt lesse il messaggio almeno una decina di volte.

Cosa poteva fare? Non aveva valide scuse per rifiutare. Poteva rimandare di qualche giorno, prendere tempo, ma poteva essere solo qualcosa di temporaneo.

Non voleva uscire con Dave. Gli ricordava troppo il passato e lui voleva andare avanti. Non voleva ricordare come era finita drasticamente la sua ultima relazione, voleva pensare a come sarebbe stato bello se fra lui e Blaine fosse nato qualcosa di più di quello che c'era ora. A come sarebbe stato bello baciarlo, tenerlo per mano, sentirlo dire “sei il mio ragazzo” con orgoglio e non con timore.

Però non erano insieme. Non poteva dire “sono già impegnato”. Senza contare che aveva promesso a Dave che gli sarebbe stato vicino e che, se ne avesse avuto bisogno, ci sarebbe sempre stato. Per parlare o per aiutarlo.

Era scappato dal passato, ma la verità era che non lo aveva mai superato. E non voleva più che gli errori del passato finissero per rovinargli il presente.

No, l'avrebbe incontrato, quel giorno stesso, se necessario. Non doveva avere paura di Dave o di ciò che gli ricordava. Doveva andare avanti. Doveva farlo anche per Blaine.

Cercò a lungo le parole, prima di rispondergli semplicemente:



11:14

Ti va bene questo pomeriggio, quando stacco?





Quando uscì dal negozio e vide Dave aspettarlo dall'altra parte della strada pensò:

E' il momento. Sono cresciuto, mi sono lasciato alle spalle le superiori. Ora devo affrontare quest'ultimo scoglio.

«Ciao» lo salutò, non appena gli fu affianco.

Dave rispose al saluto. Sembrava tranquillo e la cosa fece sorridere Kurt. Sarebbe stato più semplice di quello che aveva temuto. Probabilmente Dave voleva davvero solo parlare e in fondo non c'era nulla di male in quello.

«Andiamo al Lima Bean?»

«Perfetto» rispose, ma quando vide Dave accennare alla macchina scosse la testa e disse: «Pensavo di fare due passi. Visto che è una bella giornata.»

L'espressione dell'altro si incupì. Kurt pensò che probabilmente farsi vedere con lui per strada era ancora un problema per lui. Ma alla fine Dave alzò le spalle.

Durante i primi minuti Kurt poteva percepire il disagio di Dave che continuava a guardarsi intorno, temendo probabilmente di incrociare qualcuno di sua conoscenza, amici o parenti o colleghi di lavoro.

Dopo poco però lo vide rilassarsi e, ben presto, cominciarono a parlare.

Ecco, così dovrebbe essere. Anche se un tempo siamo stati insieme ora possiamo rimanere amici. Non ci sarebbe nulla di male, anzi, continuava a ripetersi Kurt, più per convincersi che perché lo credesse davvero.

Quando arrivarono al Lima Bean si sedettero ad un tavolo dopo aver preso due caffè. Kurt aveva lasciato che Dave gli parlasse di sé e della sua vita, in particolare del lavoro alle dipendenze del padre e di quella mattina, finché Dave non si interruppe e non disse:

«Parlami di te. È da molto che non ti fai sentire.»

Kurt posò il bicchiere del caffè e distolse lo sguardo: «Sono stato molto impegnato. Fra i due lavori e mio fratello che ha ripreso la scuola e...»

E Blaine, pensò, ma non lo disse.

Ci pensò Dave a far emergere l'argomento: «E i tuoi amici della Dalton?»

«Oh, loro» mormorò, cominciando a tormentarsi le dita. Poteva mentire, ma che senso avrebbe avuto? Anzi, parlare di Blaine e di cosa significasse per lui gli avrebbe permesso di mettere in chiaro le cose fra loro. «Sì, continuo a vederli. O meglio, continuo a vedere Blaine.»

Studiò la reazione di Dave. Si aspettava almeno un'espressione contrariata, invece non vide nulla, come se la cosa non lo toccasse minimamente. Inizialmente si sentì sollevato, poi però cominciò a ronzargli in testa l'assurdo pensiero che ci fosse qualcosa sotto.

«Quindi siete amici» concluse.

«Forse qualcosa di più di amici» disse. «Anche se non c'è ancora nulla di ufficiale» aggiunse subito.

«Ti piace, insomma.»

L'affermazione di Dave lo lasciò spiazzato.

«Suppongo di sì, insomma. Lui è gentile e mi trovo bene in sua compagnia.»

«Tutto qui? Da uno che si emozionava per i musical mi aspettavo un po' più di entusiasmo.»

Kurt non voleva parlare dei propri sentimenti con lui, per questo non sembrava entusiasta. Aveva già sommerso Santana con i suoi sproloqui su quanto fosse bello, su come adorasse il ricciolo che ogni tanto sfuggiva alla morsa del gel e gli rigava la fronte, come vedere i suoi papillon – diversi ogni volta – gli facesse spuntare un sorriso e come ad un semplice saluto il suo cuore sobbalzasse.

Santana lo ascoltava pazientemente ogni volta, sorridendo perché vederlo felice la rendeva serena. Kurt amava parlare di Blaine, ma non amava parlarne con Dave.

«Mi piace davvero» disse. Il suo tono era fermo.

Dave si stiracchiò, cercando di dissimulare l'ansia per ciò che stava per fare. Sapeva che, se Kurt l'avesse scoperto, difficilmente avrebbe potuto trovare una scusa per giustificarsi. Per questo motivo non doveva destare sospetti. Chiese distrattamente che ore fossero.

«Le sei meno cinque» rispose Kurt, guardando lo schermo del cellulare.

«Cavolo, abbiamo fatto dannatamente tardi! Non è che mi presteresti il tuo cellulare? Il mio è scarico e devo avvisare mio padre che non lo raggiungerò in ufficio questa sera.»

«Fai pure» disse, porgendogli il telefono. «Io-io intanto vado a prendere un altro caffè» disse, alzandosi dal tavolo e lasciando Dave solo.

Non appena Kurt si fu allontanato a sufficienza, Dave aprì la rubrica del telefono e scorse i contatti finché non trovò quello che cercava. Si segnò il numero su una salviettina di carta e la infilò in tasca. Poi finse di parlare al telefono – sentendosi per altro ridicolo – osservando Kurt, da lontano, ordinare un altro caffè e pagare.

Il cuore gli martellava nel petto. L'aveva fatto. Il primo passo era compiuto. Avrebbe avuto il coraggio di andare avanti con il suo piano?

Quando Kurt tornò a sedersi, lo guardò sentendosi in colpa, ma scacciò il pensiero.

Non ci doveva pensare.



«Riproviamo da capo!» esclamò il professore, ricevendo come risposta un coro di sospiri.

Schuester stava tormentando le New Directions più di quanto avesse mai fatto, in vista delle Regionali. Ora che Finn era tornato e che Rachel era dei loro, sentiva di avere buone, anzi, ottime probabilità di arrivare alle Nazionali.

Voleva farcela. Non sapeva cosa ne sarebbe stato del Glee club l'anno venturo o quelli a venire. Sapeva che quell'anno aveva la possibilità di farcela e non l'avrebbe sprecata. L'avrebbe fatto per se stesso, per Emma, che credeva pazientemente in lui, e per tutti i suoi ragazzi, che se lo meritavano.

Quando Artie lo implorò di fare una pausa fra un respiro e l'altro, capì di avere un tantino esagerato.

«Va bene, ragazzi, oggi avete lavorato bene. Facciamo dieci minuti di pausa.»

Tutti sospirarono sollevati, lasciandosi cadere sulle sedie dell'aula di musica.

Rachel fissò Finn, mentre questi si asciugava il sudore dalla fronte con la manica della maglietta – in modo decisamente poco elegante. Sorrise nel vederlo agire in modo così sgraziato. In fondo, era anche questo che le piaceva di lui.

Stava per rivolgergli la parola quando il suo telefono squillò. Lesse il nome sul display e corrugò la fronte, rispondendo.

«I tuoi tentativi di spiarci sono tanto ridicoli quanto inutili» disse, senza lasciare tempo all'interlocutore di salutare.

«Non-non vi sto spiando!» protestò Blaine, dall'altra parte del telefono.

«Ah no? E allora si può sapere perché hai chiamato?»

Blaine si schiarì la voce: «Io... avrei bisogno di un favore.» Il suo tono era serio.

«Un favore?»

«Sì, ma non da te» aggiunse.

Rachel era sempre più perplessa: «E... allora perché diavolo mi hai chiamato?»

«Avrei bisogno che tu mi passassi Finn.»

Rachel alzò lo sguardo sul ragazzo affianco a lei che la guardò incuriosito.

«Chi è?» chiese.

«E' mio fratello» rispose.

«Spero non ci siano dei problemi.»

«Non so. Ha detto che vuole parlarti» disse, porgendogli il telefono.

Finn lo accostò all'orecchio: «Blaine?»

«Ciao, Finn.»

«Ehi, coso, tutto bene? Non è che è successo qualcosa fra te e mio fratello, perché non credo che-»

«No. No, assolutamente no» rispose.

Finn sospirò sollevato. Non era pronto ad affrontare suo fratello in stato depressivo steso sul divano a piangere e ingozzarsi di gelato gemendo che i suoi fianchi sarebbero diventati più larghi di un imbuto.

«Allora hai... bisogno di qualcosa?» azzardò.

«Sì» ammise. «Ho bisogno del numero... di Santana.»

«Santana?» esclamò. «Ehi, amico, sei sicuro? Lo dico per te. Non ho nessun problema a darti il numero di quella pazza furiosa, ma ti avverto che poche persone oltre a Kurt hanno il permesso di chiamarla senza essere insultati. Io non sono fra queste.»

«Rischierò.»

Finn si passò una mano fra i capelli, prendendo il proprio cellulare dalla tasca. «E' davvero così importante?»

«Lo è, decisamente. Solo col suo aiuto potrò portare a termine il punto cinq-»

Dall'altra parte del telefono si sentì un sonoro schiaffo e un “ahia” esclamato da Blaine. Rachel si avvicinò al telefono gridando:

«Wesley, so che sei in ascolto! Non riuscirai mai a strapparci neppure una canzone della scaletta delle regionali.»

«Non abbiamo bisogno di questi sporchi trucchetti, Rachel» ribatté la voce di uno sconosciuto dall'altra parte. «Piuttosto tu, smettila di cercare di far leva sull'ingenuità di tuo fratello per riuscire a ottenere informazioni da lui.»

«Ehi!» protestò Blaine. Dopo una serie di insulti e proteste, il telefono tornò in mane al ragazzo. «Finn, ci sei ancora.»

«Certo. Il numero di Santana è-» Gli dettò il numero della ragazza. «Non so a cosa ti serva, ma... buona fortuna, amico.»

«Grazie» rispose Blaine chiudendo la chiamata. Fissò il numero appuntato su un foglietto di carta, poi lo digitò sul suo cellulare e attese, finché una voce dall'altra parte non rispose.

«Chi rompe?»

«Ciao Santana. Sono Blaine. Ho bisogno di parlarti... di Kurt.»



Aspettò di vedere Kurt sparire oltre l'angolo, poi si sedette in macchina e prese il cellulare. Digitò il numero che aveva ottenuto ma, prima di avviare la chiamata, si bloccò.

Quello che stava per fare era... scorretto. Lo sapeva bene. La sua coscienza glielo stava gridando da tutto il pomeriggio.

Se lo faccio... lui potrebbe odiarmi. Questa volta potrebbe non perdonarmi più, pensò, fissando attonito lo schermo del cellulare.

D'altra parte però, se non avesse agito al più presto, l'avrebbe perso. Kurt si stava innamorando di Blaine come non aveva mai fatto con lui e l'idea di pensarlo fra le braccia di un altro faceva troppo male. Non poteva farselo portare via, non ora che aveva capito quanto Kurt fosse davvero importante per lui.

Fu con questo pensiero che avviò la chiamata. Per qualche secondo pregò che nessuno rispondesse.

Ovviamente non fu ascoltato.

Riconobbe subito la voce che gli rispose:

«Pronto?»

«Ciao, forse non ti ricordi di me. Sono Dave, un amico di Kurt. C'è qualcosa di cui ti devo parlare.»





N/A


No, seriamente, non odiate Dave.

L'odio fa male alla pelle e fa venire le rughe. È solo innamorato. E molto stupido.

Tanto lo sappiamo alla fine chi sceglierà Kurt (non c'è neppure da chiederselo!)


In questi giorni ho avuto un crollo emozionale (soprattutto dopo la 3x22) e scrivere mi risulta difficile, ma non temete, avevo qualche capitolo pronto (immaginavo che l'avvicinarsi della fine della scuola avrebbe avuto simili effetti).

Dico, ma voi l'avete vista la 3x22? Io vorrei seriamente fare una chiacchierata con i RIB.

Vedere la fine della terza stagione è stato un duro colpo. A volte mi chiedo cosa ne sarà del fandom in questi tre mesi di agonia fino a settembre. Riusciremo a sopravvivere solo di fanfiction e repliche?


Ma passiamo oltre. Volevo ringraziarvi per le stupende recensioni e per il numero in crescita di preferite/seguite/ricordate, che ogni volta mi fa gongolare. Sul serio: wow.


yu_gin



N/B:

Eeeeeee, via con le scommesse su chi avrà chiamato Dave! Blaine? Rachel? Sebastian? Wes? Il Professor Schue? Santana? Babbo Natale?

Anyway, c’è un motivo per cui vi sto scrivendo alla fine di questo capitolo, ed è: lo so che molte di voi saranno tristi perché non potranno vedere il punto 5 del Piano Sebastian portato a termine, ma fidatevi se vi dico che i consigli di Wes sono molto, molto, moooooooolto meglio…

Sicchè: preparatevi per il prossimo capitolo. No, preparatevi. Dico sul serio. È una fottuta bomba!!

Baci a tutte!!

MM, la beta :)

coming next


Blaine entrò nel locale e si guardò attorno con circospezione, tirandosi il cappuccio della felpa sulla testa. Non voleva farsi riconoscere.

Una mano lo afferrò per la spalla, facendolo sobbalzare.

«Con quel cappuccio in testa sembri proprio un ragazzaccio» disse una voce che riconobbe subito.

«Lo prendo come un complimento» disse, sorridendo alla ragazza.

«Ero sarcastica, hobbit. Non sembreresti un cattivo ragazzo neppure con una spranga in mano» disse Santana. «Ma questo rende il mio compito ancora più entusiasmante» disse, fregandosi le mani. «Ora seguimi, prima che Kurt ti veda.»


Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** so proud of you ***


A Lima Side Story



Capitolo 14: so proude of you



Entrò al Lima Bean e le porte si chiusero dietro di lui. Si guardò intorno alla ricerca di un viso che aveva bene in mente da quando l'aveva visto in quello stesso locale insieme a Kurt.

Lo scorse seduto ad un tavolino in un angolo, lontano da tutti mentre si guardava intorno con l'aria colpevole. Come diavolo si chiamava? David? Kurt lo chiamava Dave, se non ricordava male.

Dave lo intravide e gli fece un cenno con la testa. Decise volutamente di ignorarlo e andò a prendersi un caffè. Solo dopo aver pagato, gli si avvicinò e si sedette di fronte a lui, sistemandosi la cravatta della divisa e dando un'ultima occhiata all'orologio.

«Eccomi qui, Dave, come mi avevi chiesto.»

«Grazie per essere venuto, Sebastian.»

«Spero che la chiamata che ho ricevuto da te ieri non fosse tutta una scusa per chiedermi di uscire. In tal caso dovresti come minimo offrirmi il caffè o qualsiasi altra cosa il mio corpo necessiti per non collassare dalla noia.»

Dave ridacchiò: «Curioso. Quindi in un eventuale rapporto fra noi due, farei io la parte dell'uomo.»

Sebastian lo guardò divertito: «In un eventuale – e altamente improbabile – rapporto tu faresti la parte di quello che mi offre il caffè per ringraziarmi di bearlo con la mia presenza e per avergli fatto vivere i migliori dieci minuti della sua vita. E ovviamente io starei sopra» concluse, sorseggiano il proprio caffè.

Dave abbassò lo sguardo e a Sebastian venne quasi da ridere. Pensava sarebbe stato un avversario più temibile, invece l'aveva decisamente sopravvalutato. Lo impegnavano molto di più le pungenti conversazioni con Kurt che – sotto quella faccia d'angelo – nascondeva un sarcasmo pungente e una lingua biforcuta – cosa che, ai suoi occhi, lo rendeva molto più simpatico.

Davvero questo qui è stato il ragazzo di Kurt? Il bel commesso GAP doveva essere proprio disperato alle superiori.

«Non sono qui per parlare di me – argomento che trovo peraltro maledettamente interessante. Hai detto che dovevi parlarmi di Kurt e che c'erano alcune cose su di lui che dovevo sapere. Cose che mi avrebbero fatto cambiare idea su di lui. Beh, sappi che mi hai messo su una dannata curiosità. Quindi comincia a parlare.»

«Una dannata curiosità? Non sei neppure un pochino preoccupato?»

«Non so che idea tu ti sia fatto di me. In compenso posso dirti cosa penso di te: penso che tu sia uno di quei gay repressi della peggior specie: perché non solo tieni nascosto il tuo “segreto” ai tuoi genitori e ai tuoi amici. Tu lo neghi anche con te stesso. Fermami quando sbaglio.»

Dave tacque e Sebastian proseguì.

«Alle superiori eri uno che si faceva rispettare. Un atleta, dire. Football, a giudicare dalla massa corporea. Mi immagino come sia stato difficile per te distogliere lo sguardo dai tuoi muscolosi e sudati compagni di squadra in campo, negli spogliatoi, nelle docce. Ma, come si suol dire, lontano dagli occhi lontano da cuore. Bastava uscire da scuola e gli istinti si placavano e potevi tornare alla tua normalissima vita da finto etero.

«Ma poi ecco che compare nella tua vita un ragazzino dai tratti femminei, palesemente gay e fiero di esserlo e la tua maschera comincia a sgretolarsi. Lo guardi nei corridoi e nelle classi che avete in comune. Pensi a lui anche quando non è presente, magari mentre sei sotto la doccia o nel tuo letto. Magari pensi a lui sotto la doccia o a lui nel tuo letto. E ti sembra che con lui – così puro, così bello, così distante dai giocatori di football accaldati – sia diverso. Ti sembra meno sporco, meno sbagliato. Meno gay, perché – continui a ripeterti – sembra una ragazza.

«Te lo ripeti finché non finisci per crederci. È colpa sua, di lui che si comporta come una ragazza, si veste come una ragazza e ha quella voce così femminile. È colpa sua se ora ti piacciono gli uomini. Hai paura di perdere il nome che ti sei fatto, di venire deriso e preso in giro. E allora ti scagli contro di lui. Scommetto che, quando eravate alle superiori, non ti facevi vedere in giro con lui. Neppure gli avresti parlato, se non per insultarlo, ma vederlo con altri ragazzi ti faceva morire dentro. Non mi hai ancora interrotto, quindi suppongo di essere nel giusto.»

«Tu...tu non sai un bel niente di me. O di noi.»

«So anche troppo. Hai detto di volermi parlare di Kurt. Che scusa hai usato con lui per farti dare il mio numero? Hai detto che volevi uscire con me?»

«Io...» esitò. «L'ho presi di nascosto.»

Sebastian sorrise: «Sorprendente» commentò con sarcasmo. «Molto corretto da parte tua. Deve starti proprio a cuore la sua felicità, se sparli di lui alle sue spalle. O, aspetta, forse hai intenzione di ordinarmi di stargli lontano? Hai paura che te lo porti via?»

«Non ho paura di te.»

«Ah no?»

«Non penso che tu sia in grado di far innamorare Kurt. E non penso che sia neppure tua intenzione. Tu sembri più il tipo da una botta e via, e il tuo bell'aspetto gioca a tuo favore. Tuttavia non credo saresti in grado di mantenere una relazione stabile. La troveresti noiosa e finiresti per concederti qualche scappatella, cosa che porterebbe ben presto la tua presunta relazione ad una tragica fine. Correggimi se sbaglio.»

«Tutto corretto. Ma chi ti dice che non voglia semplicemente portarmi a letto Kurt e poi scaricarlo?»

«Me lo dice il modo in cui il tuo amico guarda Kurt, il modo in cui gli parla e l'incredibile quantità di tempo che passano insieme. Se solo provassi a portartelo a letto, il tuo amico non esiterebbe a romperti il naso.»

«Diciamo che ci proverebbe. Ma difficilmente arriverebbe a colpirmi in faccia, basso com'è. Ad ogni modo ho capito il concetto. Sono consapevole dell'attrazione fra quei due e mi duole dirti che non credo tu abbia speranze.»

«Ne avrei, se solo Kurt aprisse gli occhi e si rendesse conto quanto il tuo amico sia sbagliato per lui.»

«E perché il mio amico – il cui nome è Blaine, se ti dovesse interessare – perché non andrebbe bene per lui? Se è per i suoi imbarazzanti papillon, penso tu stia esagerando.»

«Guardati» disse all'improvviso. «Guardati e dimmi cosa vedi.»

«Un meraviglioso ragazzo?»

«Bene, ora ti dico cosa vedo io. Vedo un ragazzo di buona famiglia, che non sa neppure cosa voglia dire frequentare una scuola pubblica, dover ogni tanto tirare la cinghia, rinunciare a qualcosa per riuscire ad arrivare a fine mese. Vedo un ragazzo abituato ad avere tutto e subito. Vedo uno che l'anno prossimo andrà al college, uno dei migliori college del paese e che fra cinque anni sarà un brillante giovane laureato pronto a diventare un importante avvocato o un medico rinomato o il dirigente di qualche azienda. Ti vedo andartene da Lima per qualche grande città, ti vedo seduto in un ufficio lussuoso almeno quanto il tuo attico in centro. Ecco cosa vedo. E vedo lo stesso quando guardo il tuo amico – Blaine – o qualunque altro studente della vostra scuola.»

Sebastian seguì il suo discorso: «Ammettiamo che sia così: ci rende così tanto disprezzabili?»

«Sì, perché invece, quando guardo me o Kurt o suo fratello, vedo un ragazzo che passerà la sua vita a fare un lavoro sottopagato, che dovrà rinunciare alle vacanze per pagare l'affitto, che non riuscirà mai ad andarsene da qui. Kurt forse potrebbe farcela perché è ambizioso – o per lo meno lo era quando era ancora al liceo. Ma non abbandonerebbe mai suo fratello e così finirebbe per rimanere qui. Sarebbe costretto a vedere Blaine abbandonarlo per seguire i propri sogni e questo lo distruggerebbe.»

Si fermò e strinse il proprio bicchiere.

«Potrei aspettare. Potrei seguire l'evolversi della loro storia fino al punto in cui Blaine gli spezzerà il cuore andandosene e semplicemente raccogliere i pezzi e rimetterlo insieme. Sarebbe vulnerabile e tornerebbe da me. Dovrei solo aspettare. Ma la verità è che Kurt ha sofferto abbastanza, in parte anche per colpa mia, e tengo troppo a lui per lasciare che ciò accada» concluse.

L'aveva detto. Aveva esternato con un perfetto sconosciuto i suoi sentimenti, come non era mai riuscito a fare davanti al diretto interessato. Che diavolo c'era di sbagliato in lui?

«Il college è lontano. È appena febbraio e Blaine non partirà per il college se non a settembre. Sono sette mesi. In sette mesi farebbero in tempo a lasciarsi per ben altri motivi. Non dev'essere per forza la storia della loro vita, può essere semplicemente un flirt. O una storia di sesso.»

«Io non conosco il tuo amico, ma conosco Kurt. Ho visto come guarda Blaine e per lui non è solo un flirt. Lui...non ha mai guardato me in quel modo» disse, abbassando la voce.

Sebastian si fermò a pensare a Blaine, a quanto era cambiato in quell'ultimo mese, al coraggio che quella relazione gli stava dando. Al suo sguardo quando parlava di Kurt, alla luce che si accendeva nei suoi occhi quando solo lo nominava. No, neppure per lui era un flirt.

«E a me cosa dovrebbe importare? In fondo Kurt è un tuo amico» disse, anche se dire che non gli importasse per nulla del pungente commesso GAP sarebbe stata una bugia.

«Mettiamola così. Ripeti in continuazione che il tuo amico è incline alla stupidità.»

«Più che vero» confermò.

«E se decidesse, per dire, di non andare al college? Se decidesse di rimanere qui a Lima per rimanere al fianco di Kurt? Se gettasse via il suo brillante futuro per un amore adolescenziale.»

Le sue parole fecero gelare il sangue nelle vene di Sebastian. A questo non aveva mai pensato.

Ripeteva in continuazione quanto Blaine fosse stupido, quanto alcune sua azioni o scelte fossero stupide. E quella di rimanere nel mezzo del nulla per un perfetto nessuno di cui era follemente innamorato era decisamente una cosa in stile Blaine Anderson.

Non poteva permetterlo.

Aveva sempre sostenuto il suo amico e gli aveva sempre promesso appoggio nel caso i suoi genitori l'avessero cacciato di casa. Aveva capito quanto Blaine avesse talento in campo musicale e quanto – nonostante la sua aria svagata – fosse brillante a scuola. Avrebbe potuto benissimo frequentare le migliori università e laurearsi in tempo, se solo l'avesse voluto.

Fuori da Lima poteva essere chiunque volesse. Una volta raggiunta l'indipendenza economica avrebbe potuto andarsene e vivere la propria vita senza più nascondersi.

La sua vita era a New York, in una casa elegante, al fianco di uno splendido marito che avrebbe potuto sposare legalmente, nella città dove poteva realizzare i propri sogni. Non certo a Lima affianco ad un commesso GAP con cui avrebbe potuto solo convivere in uno squallido appartamento, rifiutato dalla propria famiglia e costretto a fare un lavoro al di sotto delle sue potenzialità.

«Non succederà» disse.

«Ne sei certo?» insinuò Dave.

No. Dannazione, non era più certo di nulla. Era convinto che Blaine non avrebbe fatto coming out con Rachel almeno fino al diploma. Era convinto che non l'avrebbe mai detto ai Warblers. Era convinto che non avrebbe mai passato l'ora di storia a scrivere messaggi con un ragazzo invece che ascoltare. E invece aveva fatto tutto ciò.

Tentò di cambiare discorso.

«Hai detto che dovevi parlarmi di Kurt e di alcune cose che mi avrebbero fatto cambiare idea su di lui. Sto ancora aspettando.»

«Mi fa piacere che tu abbia tirato in ballo la questione. Perché c'è una cosa che non credo tu sappia di lui – e forse neppure Blaine ne è a conoscenza. Vedi, il lavoro al negozio GAP è solo uno dei lavori di Kurt, per la precisione, quello diurno.»

«Perché, di notte veglia su Lima City alla ricerca dei cattivi?» scherzò.

«Niente di così eroico» disse, posando il bicchiere sul tavolo. «Ma scommetto che se te lo dicessi non ci crederesti. Potrei fartelo vedere con i tuoi occhi questa sera stessa» disse.

«Dove?» chiese solamente.

«Allo Scandals.»


Rachel raccolse il coraggio a due mani quel giorno. Si avvicinò a Finn, stringendo convulsamente la propria cartella, e disse tutto d'un fiato:

«Vorresti accompagnarmi a comprare gli spartiti?»

Finn la guardò sorpreso. Rachel gli stava chiedendo di uscire?

«Gli...spartiti?» Brillante risposta, Finn!, si disse. O meglio, sentì la voce di Kurt dire dentro la sua testa.

«Sì, per il Glee club. Il professore ha acconsentito a darmi i soldi per andarli a comprare. Volevo solo essere sicura che gli arrangiamenti fossero...appropriati. Però non mi va di andarci da sola.»

Finn prese il proprio zaino: «Certo, vengo volentieri.»

«Davvero?» esclamò raggiante. «E' fantastico!»

«Prendiamo la mia macchina?» propose, facendole strada.

Per tutto il tragitto Rachel non fece che parlare: di cosa dovevano fare per battere i Warblers alle regionali, di cosa stavano sbagliando, di quanto perfetto sarebbe stato un loro duetto e un suo assolo. Finn la ascoltava paziente.

«Scusa. Parlo sempre troppo» disse.

«Figurati. A dirla tutta non mi dispiace. È...piacevole. Sempre meglio che quei silenzi imbarazzati che calano ogni tanto quando si è da soli in macchina.»

«Lo so. Li odio anch'io. Di solito succede quando tutti e due si vuole dire qualcosa ma nessuno dei due ha il coraggio di parlare.»

Non appena ebbe chiuso bocca, calò un silenzio imbarazzato.

«Immagino tu parlassi di questo» disse Finn dopo un po'.

«Già» ammise. Dopo qualche istante si fece coraggio e disse: «E va bene. C'è una cosa di cui mi preme parlare.»

Finn si voltò un istante verso di lei, per vedere che espressione avesse il suo volto. Solo un istante, poi tornò a concentrarsi sulla strada. «Ossia?»

«Sono...preoccupata per mio fratello.»

«Blaine?» chiese.

«Sì. Nonostante sia passata solo una settimana da quando mi ha informata circa i suoi gusti, ho avuto modo di preoccuparmi.»

«Rachel, non credo di essere la persona più-»

«No, aspetta. C'è una cosa importantissima che devo sapere. Perché, vedi, mio fratello è una frana in fatto di relazioni. Non ha mai avuto una ragazza, né tanto meno un ragazzo. E quello che voglio sapere è: che intenzioni ha tuo fratello?»

Finn scoppiò a ridere, senza riuscire minimamente a trattenersi. Scoppiò a ridere all'idea che qualcuno potesse considerare Kurt uno spezza-cuori.

«Non c'è nulla da ridere! Immagino che tuo fratello abbia avuto numerosi ragazzi in passato ed essendo più grande e più maturo di Blaine non vorrei che per lui mio fratello fosse solo un passatempo. Perché lui è davvero preso da questa cosa e se venisse fuori che era solo un gioco lui-»

Finn interruppe il fiume di parole con cui la ragazzo lo stava inondando: «Ascolta, Rachel. Kurt ha avuto un solo ragazzo in passato, che l'ha lasciato ormai un anno fa. Quindi non si può certo dire che abbia una grande esperienza in fatto di relazioni. Non so a che punto siano arrivati quei due – come minimo hanno smesso di ripetere “siamo solo amici” - ma Kurt sembra tenerci davvero. Sa cosa vuol dire farsi spezzare il cuore e non lo farebbe mai. Non si permetterebbe mai di giocare con i sentimenti altrui.»

Rachel sospirò sollevata: «Mi fa piacere sentirtelo dire. Sai, quando mi hanno raccontato che la prima volta che si sono incontrati Kurt gli ha tirato un pugno-»

«Aspetta: Kurt gli ha tirato un pugno? Stiamo parlando della stessa persona? Stiamo davvero parlando di mio fratello?»

Rachel si morse la lingua, pentendosi di essere così petulante. «Gli avevo promesso di non dirtelo. Aveva detto che, se l'avessi saputo, l'avresti preso in giro a vita.»

Finn ridacchiò: «Ci puoi scommettere. Dopo tutti i sermoni che mi sono dovuto sorbire su quanto siano sbagliati i videogiochi di lotta e quanto incitino alla violenza gratuita!»

Rachel sorrise. In un modo o nell'altro l'atmosfera era tornata serena e rilassata. Quando giunsero al negozio Finn parcheggiò l'auto ed entrarono insieme.

Rachel si gettò sugli spartiti e cominciò a spulciarli alla ricerca di quello che facesse al caso suo, mentre Finn guardava con una luce negli occhi la batteria esposta vicino alle chitarre.

La ragazza lo guardava curiosa, cercando di decifrare il suo sguardo, quando una voce la fece voltare di scatto.

«Ma guarda chi si vede!»

Rachel si voltò e si ritrovò davanti un ragazzo che doveva avere qualche anno più di lei – l'età di Finn, forse. Il ragazzo in questione la fissava con un sorrisetto sulle labbra. Si avvicinò a lei, prendendole lo spartito dalle mani.

«Adele? Davvero, ragazzina? Non pensi di essere un po' presuntuosa.»

Rachel gli strappo lo spartito dalle mani, riprendendoselo. «E tu non credi di essere un po' inopportuno? Prima ti rivolgi a me come se ci conoscessimo e poi ti permetti di criticare la mia voce senza avermi neppure sentita cantare.»

«Oh, ma io ti ho sentita cantare» disse il ragazzo, mettendosi fra lei e Finn che, in quel momento, si voltò notando la loro conversazione.

«Ah sì?»

«Alle provinciali di quest'anno. Eri la solista delle New Directions o sbaglio? Sei nuova però. Non c'eri l'anno scorso.»

«Mi sono trasferita al McKinley quest'anno» rispose, cercando di liberarsi dello scocciatore.

«E perché non al Caramel?»

«Per non dover sopportare la tua faccia tutti i giorni, probabilmente» rispose Finn al posto suo.

Il ragazzo si voltò verso di lui: «Finn Hummel.»

«E' un dispiacere anche per me, Jesse St. James.»

«Pensavo che dopo aver abbandonato le New Directions prima delle nazionali, causando la loro irreparabile sconfitta nonché ricoprendoli di ridicolo, avessi come minimo lasciato Lima. O almeno che ti fossi fatto una plastica facciale di modo da rendere irriconoscibile il tuo volto da barboncino tumefatto.»

«Sei sempre così cortese. Se non mi sbaglio però neppure voi avete fatto faville l'anno scorso.»

«Ma almeno abbiamo vinto un trofeo nazionale in un secolo in cui fosse già stata inventata la musica dodecafonica. Cosa che non si può dire delle New Directions.»

Finn avrebbe potuto ribattere sottolineando che il liceo McKinley aveva vinto un trofeo nazionale nel 93, ma effettivamente non erano state le New Directions a vincerlo.

«E non credo che quest'anno andrà meglio. Le New Directions avranno anche passato le provinciali grazie alla loro solista discretamente brava» disse, facendo un cenno a Rachel «ma dubito passeranno le regionali. Se non mi sbaglio dovranno sconfiggere i Warblers e gli Oral Intensity. Ed entrambi i gruppi hanno un solista maschile niente male.»

Rachel si schiarì la voce: «Si dà il caso che la solista discretamente brava si senta perfettamente all'altezza del solista dei Warbler» ci tenne a precisare. «Senza contare che anche noi abbiamo un buon solista maschile.»

«E chi sarebbe? Quello in sedia a rotelle? O no, aspetta, forse il biondino con la bocca da trota? O l'asiatico che non apre bocca nemmeno per sbaglio?»

«Ce l'hai davanti» rispose, indicando Finn.

L'espressione di Jesse fu di puro stupore: «Tu? Dopo averli abbandonati sul più bello osi ripresentarti davanti a loro? Vuoi fare la tua uscita da diva anche questa volta? Magari il giorno stesso delle nazionali.»

«Resterò fino alla fine questa volta. Fino alle nazionali. Fino a che non impugneremo quel trofeo per sbattertelo in faccia» disse Finn.

«Lo vedremo» disse, sorridendo. «Ci vediamo a New York. Sempre che ci arriviate.»

Stava ormai uscendo dal negozio quando si voltò verso di loro e aggiunse: «Che scortese! Quasi dimenticavo: salutami il tuo fratellino. Ho sentito dire che, dopo il flop dell'anno scorso alle nazionali, si è dato ad un altro tipo di...canto coreografato.»

Finn scattò in avanti ma Rachel si intromise. L'ultima cosa di cui avevano bisogno era un'accusa di violenza su un membro di un coro avversario.

Rimasti soli la ragazza si rivolse a Finn: «Quello chi-»

«Jesse St. James, ex leader e attuale allenatore dei Vocal Adrenalin. Che, mi duole dirlo, sono uno dei cori più forti dell'Ohio, se non degli Stati Uniti e che – questo duole ancora di più – non so se riusciremo a battere.»

«Hanno vinto le nazionali due anni fa?»

«Già. Quell'anno eravamo davvero forti. Se solo fossi rimasto...»

«Smettila. Sai bene perché l'hai fatto: non certo per passare ad un coro rivale o perché ti eri stancato. L'hai fatto per la tua famiglia» disse Rachel, afferrandolo per una spalla – cosa che la costrinse ad alzare non poco il braccio. «E poi hai sempre quest'anno per rifarti, giusto. E quest'anno ci sarò anch'io.»

Finn sorrise. «E poi vuoi mettere la faccia di quel pallone gonfiato quando lo batteremo?»


«Dobbiamo fare qualcosa per Finn» disse Rachel.

Gli altri del Glee la guardarono sconsolati: in quei mesi ormai avevano imparato a sopportare i suoi attacchi di follia.

«In che contesto per la precisione?» chiese Quinn.

«Siamo suoi amici e per questo dovremmo sostenerlo. E' chiaro come il sole che si vergogna del suo lavoro allo Scandals. Ne parla il meno possibile, quasi fosse illegale!»

«Non ti sorprendere, Rachel, non è certo il migliore locale di Lima! Insomma, penso sia abbastanza imbarazzante, anche perché girano strane voci su quel locale» disse Artie.

«E non sono sicura di voler sapere che tipo di lavoro faccia lì» concluse Mercedes.

«Siete scorretti! Finn fa quel lavoro per guadagnarsi da vivere! Non fareste lo stesso al posto suo?»

«Non c'è nulla di male a fare il barista, ma...allo Scandals?» disse Mike. «Insomma, poteva scegliere un locale meno equivoco.»

«Come se avesse potuto trovare di meglio!» disse Mercedes. «Sono d'accordo con Rachel» disse, strizzandole l'occhio «dobbiamo far capire a Finn che non ha nulla di cui vergognarsi e che non deve farsi problemi a parlarne con noi.»

«Se gli parlassimo lo metteremmo ancora di più in imbarazzo» fece notare Tina.

«Infatti non ci limiteremo a parlargli» disse Rachel, sorridendo. «Andremo a trovarlo sul posto di lavoro. E non di pomeriggio, quando non c'è ancora nessuno. Andremo nel momento di massimo caos e gli mostreremo come per noi non ci sia nulla di strano nel lavoro che fa. Ci presenteremo davanti a lui e ordineremo delle coke senza battere ciglio.»

Gli altri la fissarono a bocca aperta.

«Dici sul serio? Tu andresti allo Scandals di sera? Di notte?»

Rachel alzò le spalle: «Perché no? Cos'è, siete troppo perbenino per avere il coraggio di entrarci?» li sfidò. In realtà neppure lei ci sarebbe entrata da sola. Non dopo le nove di sera, almeno. Per questo doveva convincerli a venire con lei. Insieme non sarebbe stato poi così male, no?

No?


Blaine entrò nel locale e si guardò attorno con circospezione, tirandosi il cappuccio della felpa sulla testa. Non voleva farsi riconoscere.

Una mano lo afferrò per la spalla, facendolo sobbalzare.

«Con quel cappuccio in testa sembri proprio un ragazzaccio» disse una voce che riconobbe subito.

«Lo prendo come un complimento» disse, sorridendo alla ragazza.

«Ero sarcastica, hobbit. Non sembreresti un cattivo ragazzo neppure con una spranga in mano» disse Santana. «Ma questo rende il mio compito ancora più entusiasmante» disse, fregandosi le mani. «Ora seguimi, prima che Kurt ti veda.»

«Non gli hai detto niente?»

«Mi hai preso per una stupida? Non mi sono lasciata scappare neppure mezza parola. Non si aspetta assolutamente nulla.»

Blaine sospirò sollevato. Aveva un terrore assurdo di perdere il coraggio all'ultimo. Santana lo trascinò in una specie di sgabuzzino e lo schiacciò contro la parete. Poi accese la luce e lo squadrò dal capo ai piedi, scuotendo la testa.

«Ci sarà da lavorare» disse.

«Cos'ho che non va?» chiese offeso.

«Per esempio quell'aria da studente delle superiori.»

«Ma io sono uno studente delle superiori!» protestò.

«E allora fingi! Tanto per cominciare» disse, infilandogli una mano fra i capelli e scompigliandoli.

«Ehi!»

«Non azzardarti a parlare. Pensa a me che ho dovuto mettere una mano in quel nido di gel che chiami testa!» esclamò. Poi lo guardò: «Già meglio. Seconda cosa, via i vestiti.»

«Che?»

«Non pensare male, idiota. Ho altri gusti. Ma con quella camicia addosso non attireresti neppure il gay più arrapato. Insomma...in quale pianeta è permesso indossare una camicia sotto la felpa?»

«Esprime la mia personalità: badboy fuori, gentiluomo dentro!»

Santana, per tutta risposta, lo afferrò per la felpa e gliela sfilò, prima di ordinargli di togliersi quella dannata camicia. Gli lanciò dei vestiti.

«Metti questi. Senza protestare.»

Blaine eseguì, seppure scettico.

«I pantaloni possono andare. Ma ti prego: i mocassini senza calzini allo Scandals? Sul serio, Blaine?» Gli passò un paio di anfibi. «Questo è decisamente più in tono con il resto.

«Non mi sento esattamente a mio agio» confessò.

Santana sbuffò e con una mano scostò le scope appoggiate al muro e scostò degli stracci per rivelare uno specchio a parete. Indicò le loro figuro riflesse nello specchio.

«Vedi quel ragazzo?» disse.

«Mh.»

«Ora tu ti guardi in quello specchio e ti vergogni un po', perché non sei abituato a vederti così. Perché pensi di non essere te stesso, e probabilmente è così. Ed è esattamente così che si è sentito Kurt la prima volta che è venuto allo Scandals per lavorarci. È rimasto un intero quarto d'ora davanti allo specchio a guardarsi e a giudicarsi, come stai facendo tu ora.»

«Lui non è così insicuro.»

«Non più. E sai in parte anche grazie a chi?»

«A te?»

«Ad un ragazzo che una sera l'ha visto sul palco e che non ha smesso di guardarlo un solo istante. Lo stesso ragazzo che poi è diventato suo amico e confidente. Un ragazzo che non lo giudica né prova vergogna a stare affianco a lui.»

Blaine fissò la propria immagine sullo specchio.

«Pensi che Kurt si vergognerebbe di starti affianco?»

«Emh...»

«Oh, andiamo! Se si è fatto vedere al Lima Bean con te e i tuoi papillon, è evidente che ti seguirebbe anche nel reparto donna di H&M in una domenica di saldi! A lui non interessa come sei vestito. Gli interessa quello che dici, quello che fai. E le persone per cui lo fai.»

Blaine sorrise, cominciando a notare i lati positivi di quel cambiamento di look.

«Domani però torno ai miei vecchi abiti, o mia sorella potrebbe avere un infarto.»


Kurt stava finendo di vestirsi in quel momento quando entrò Santana. Si voltò a guardarla, prima di tornare a fissare la propria immagine sulle specchio. Con la coda dell'occhio intravide un sorrisetto sulle labbra della donna. Un sorrisetto che conosceva fin troppo bene. Si voltò verso di lei.

«Avanti, San, sputa il rospo.»

Santana assunse un'aria innocente: «Di cosa stai parlando?»

«Del tuo sorriso da “so qualcosa che tu non sai ma non voglio dirtelo”.»

«Non esiste un sorriso del genere» protestò.

Kurt le lanciò un'occhiata indagatrice, alla quale lei decise di sfuggire.

«Quanto ti manca?» chiese.

«Sono pronto» disse, raggiungendola. Si fermarono dietro la tenda dalla quale sarebbero usciti. Solo allora Kurt notò che Santana non era pronta. «Zietta, che diavolo-»

«Scusa, Kurt, temo non ti farò compagnia sul palco, oggi.»

«Ah no?»

«No. Ma non devi preoccuparti» lo rassicurò.

«Non devo preoccuparmi? San, vuoi farmi venire un infarto.»

«Spero proprio di no, dal momento che ti sarò accanto io» disse Blaine.

Blaine.

BLAINE?

La mente di Kurt non riuscì neppure a formulare un pensiero che non fosse: “Blaine”. Era lì, di fronte a lui. Era diverso. Niente papillon, niente divisa, niente gel.

E in effetti la vista dei suoi capelli spettinati e i muscoli – cavoli, non avrebbe mai immaginato che sotto il blazer nascondesse un simile fisico! - e quello sguardo quasi magnetico, beh, gli avevano tolto il fiato.

Solo amici, Kurt? Seriamente?, pensò, cercando di non arrossire.

«Blaine, si può sapere cosa ci fai qui? E perché sei vestito...così?»

Il ragazzo stava quasi per rispondergli quando la musica sul palco partì a tutto volume e Santana, con un provvidenziale spinta, li catapultò fuori.

Kurt non riusciva ancora a capacitarsi di che diavolo stesse succedendo, né del perché Blaine fosse lì sul palco con lui.

Lo vide leggermente impacciato all'inizio ma, via via che la musica di faceva più intensa, prendeva anche lui sicurezza.

Si sentiva...orgoglioso di lui. Orgoglioso per il coraggio che aveva dimostrato. Orgoglioso perché sapeva che ragazzo stupendo fosse. E infine si sentiva felice perché capiva che quel suo gesto era per lui. Una dedica, un modo per dirgli che per lui ci sarebbe stato.

Forse anche una dichiarazione, pensò e sperò.

Troppo preso dagli occhi di Blaine – e Blaine dai suoi – nessuno dei due notò il gruppo di ragazzi che, seduti ai tavolini lontani dal palco, li fissavano sconvolti.


Procurarsi i documenti falsi non era stato difficile. Puck ne aveva abbastanza per tutti i ragazzi, mentre per le ragazze non era servito più di un pomeriggio.

Arrivare sul posto era stato semplice: si erano stipati in due macchine, quella di Quinn per le ragazze e quella di Puck per i ragazzi.

Neppure entrare aveva richiesto particolari sforzi: era bastato mostrare i documenti e assumere un'aria vissuta. L'uomo all'ingresso li aveva fissati un po' perplesso – forse chiedendosi che diavolo ci facessero quelle ragazzine di buona famiglia in un posto come quello – ma non aveva fatto domande.

Il difficile era stato trovare il coraggio di avanzare dalla porta d'ingresso al locale vero e proprio.

«Okay, ora siamo dentro» disse Quinn. «Cosa facciamo?»

«Mi sembra ovvio» rispose Rachel «dobbiamo trovare Finn.»

«Ha detto di fare il barista: andiamo al bancone. Anche perché ho proprio voglia di una Coca Cola» disse Sam, avviandosi senza alcuna preoccupazione, seguito a ruota da Puck. Gli altri invece li seguirono guardandosi intorno in continuazione.

«Eccolo lì!» esclamò Mercedes, vedendo Finn pulire un bicchiere. Dava loro le spalle, ma la sua schiena chilometrica era inconfondibile. «Finn!» gridò, per richiamare la sua attenzione.

Nel vederli, il ragazzo sbiancò.

«R-ragazzi?» esclamò. «Che diavolo ci fate qui?»

«Sorpresa!»

Rachel si rese conto in quel momento che forse non era stata un'idea così brillante. Il volto di Finn non sembrava felice: piuttosto terrorizzato.

«Abbiamo pensato di passare a salutarti e di prendere qualcosa da bere e fare quelle cose che si fanno nei locali. Sai, perché noi siamo ragazzi di mondo» disse Artie.

Finn avrebbe voluto dirgli che in quel locale si facevano cose che lui non avrebbe neppure voluto sapere. Ma poiché dirlo avrebbe reso ancora più difficile la propria situazione, optò per il silenzio.

«Va bene. Cosa vi servo?» Doveva sembrare perfettamente tranquillo. Cercò di prendere tempo e di calmarsi.

Ordinarono delle birre e delle Coca Cole. Nel frattempo si guardarono intorno e notarono che molti dei clienti del locale stavano affluendo verso un'altra stanza.

«Cosa c'è di là?» chiese Mercede, incuriosita.

«NULLA!» La sua reazione insospettì gli altri.

«E allora perché stanno tutti andando da quella parte?» chiese Tina.

«C'è una specie di spettacolo. Ma nulla di ché» minimizzò, restando sul vago. «C'è della musica e dei...dei...ballerini.»

«Andiamo anche noi!» propose Sam. «Potremmo prendere spunto per le regionali.»

«Non credo sia una buona idea» disse Finn.

«Perché?»

Il ragazzo esitò a rispondere. Doveva dirgli in faccia cosa stava veramente accadendo nell'altra stanza? Chi si stava per esibire a pochi metro da loro?

«Finn, tutto bene?» chiese Rachel.

Un secondo dopo Sam e Puck erano spariti nell'altra stanza e Tina e Mercedes stavano cercando di raggiungerli, seguiti dagli altri. A nulla valsero i tentativi di Finn di richiamarli.

E a quel punto anche Rachel – incuriosita in parte dalla musica, in parte dalla reazione del ragazzo – decise di andare a dare un'occhiata.

Non le ci volle molto per capire che genere di spettacolo fosse.

E le ci volle ancora meno per riconoscere il ragazzo basso e riccio che ballava sul palco.

Nella fattispecie, suo fratello.

Boccheggiò qualche secondo, cercando di trovare una spiegazione valida a ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi, ma fallì.

Dopo questo dovrò fare una chiacchierata con mio fratello. Una lunga chiacchierata, pensò. E, guardandolo mentre si spogliava aggiunse. E forse anche qualche mese di terapia.


Non appena lasciò il palco sentì le gambe tremargli e dovette aggrapparsi a Blaine per non cadere. L'emozione, l'euforia, il cuore che martellava nel suo petto come se volesse uscirgli dalla gola, non sapeva a cosa imputare quel tremore che quasi l'aveva fatto cadere.

«Tutto bene?» chiese Blaine.

«Benissimo» rispose ridendo l'altro. Si voltò verso di lui e sorrise. Un ricciolo più ribelle degli altri gli ricadeva con grazia sulla fronte. Non riuscì a trattenere la mano che corse a sfiorargli la fronte. «Stai-stai molto bene così.»

«Stento a riconoscermi allo specchio.»

«Sì, sei molto diverso. Ma non mi dispiace.»

E come potrebbe? Non mi dispiaceresti neppure con un costume da pinguino addosso, pensò.

La musica nel locale aveva ricominciato ad assordare i clienti e anche conversare era difficile, così Kurt spinse Blaine verso l'uscita sul retro.

L'aria fresca della sera spazzò via parte dell'euforia, lasciandoli più tranquilli. Sereni, avrebbe detto Kurt. Sereno come non lo era da molto tempo.

«Quello che hai fatto questa sera è stato-»

«Molto stupido?»

«Volevo dire molto bello, ma effettivamente hai ragione. È stato oggettivamente stupido.»

«E' la stessa cosa che mi ha detto Santana quando gliel'ho chiesto. All'inizio mi ha gridato contro dicendo che dovevo essere fuori come un balcone, poi però l'ho convinta. Devo ancora finire di ringraziarla.»

«Non riesco ancora a credere che la zietta non ti abbia spolpato vivo. Di solito è gentile solo con me. Devo essere geloso?»

«Mi ha bistrattato tutta la sera, spingendomi in uno sgabuzzino e violentando i miei capelli. Direi che non hai nulla di cui essere geloso» rispose.

Senza neppure rendersene conto si ritrovarono nel parcheggio dove, ad esclusione delle macchine dei clienti, non c'era nessuno che potesse disturbarli.

«Ti ricordi della sera che ci siamo conosciuti?» disse Blaine. «Eravamo in questo stesso parcheggio.»

«Come potrei dimenticarlo? Sei arrivato allo Scandals vestito da supplente di Inglese, ti sei ubriacato e poi hai tentato di baciarmi.»

«E tu mi hai tirato un pugno.»

«Già. Ho mollato parecchi schiaffi in vita mia, ma pugni davvero pochi. Considerati speciale.»

«Non so se essere felice o se preoccuparmi.»

«E per che cosa?» disse ridendo.

Il volto di Blaine era perfettamente serio e per un attimo Kurt tremò.

«Sai, sono cambiate così tante cose da quel giorno. Prima ero alla deriva, non avevo il coraggio di affrontare i problemi e mi limitavo ad esistere, ma senza vivere. Ora invece è cambiato tutto. È cambiato in meglio.»

Nel dire quelle parole cercò istintivamente la mano di Kurt e, nell'afferrarla, fece intrecciare le loro dita, sfiorando il dorso con i propri polpastrelli.

«Ora so di avere una sorella pronta a sostenermi e dei veri amici che mi accettano, nonostante tutto. C'è solo una cosa che manca a ché tutto sia perfetto.»

Kurt non osò chiedere. Non osò neppure sperare che quella “cosa”, quel pezzo mancante fosse lui.

«Ho detto che tante cose sono cambiate da quella sera, ma una è rimasta essenzialmente la stessa» disse, avvicinandosi a lui. «Non c'è stato giorno in questo mese appena trascorso in cui io non abbia voluto baciarti.»

Successe tutto lentamente. Kurt poté chiaramente vedere il viso di Blaine avvicinarsi al suo, le sue mani stringere le proprie. Tutto come la prima volta.

Avrebbe potuto benissimo spingerlo via, fermarlo, tirargli un altro pugno se necessario. Ma perché avrebbe dovuto?

Sentì il contatto delle labbra di Blaine con le proprie e in quel momento capì che per nessun motivo al mondo l'avrebbe respinto. Dischiuse le labbra e liberò le dita dalla stretta di Blaine solo per allacciare le braccia al collo dell'altro, che gli cinse i fianchi stringendolo.

Quanto tempo aveva sognato quel momento? Probabilmente dall'istante stesso in cui aveva visto Blaine al negozio GAP con l'aria di chi è stato appena investito da un tir e in cui aveva azzardato quelle scuse caotiche ed impacciate.

Avrebbe voluto non dover mai staccarsi da quelle labbra, pensò, mentre con le mani risaliva la forma della sua nuca fino a perdersi fra i suoi ricci.

Invece anche quel bacio finì e, non appena si staccarono, ripresero fiato, respirando l'aria fredda della sera mentre i loro nasi ancora si sfioravano.

«Temevo mi avresti preso a pugni un'altra volta» gli sussurrò Blaine all'orecchio, facendolo ridere.

«Non l'avrei mai fatto» rispose. «Con che faccia avrei poi voluto chiederti di diventare il mio ragazzo?» chiese.

Blaine lo fissò stupito e boccheggiò qualche istante prima di rispondere: «Con qualsiasi faccia, visto che la risposta sarebbe stata sì. Decisamente, assolutamente, totalmente sì» disse, tornando a baciarlo.

Avrebbero continuato a baciarsi finché avessero avuto fiato, se una voce non li avesse interrotti.

«BLAINE ANDERSON!» gridò Rachel.

Blaine e Kurt si voltarono nella sua direzione, ancora stretti uno nelle braccia dell'altro in atteggiamenti inequivocabili. Dietro a lei videro comparire le New Directions al completo, accompagnati da Santana, la quale guardava soddisfatta il risultato ottenuto.

«Mi sa che dobbiamo loro qualche spiegazione» sussurrò Kurt all'orecchio del suo nuovissimo ragazzo.

Blaine cercò nuovamente la sua mano e questa volta la strinse senza esitazione.

Comunque fossero andate le cose, le avrebbero affrontate insieme.




N/A


Eeeeeeh Ta-Daaaaaan! Bacio!

Li ho fatti penare oltre ogni possibilità di sopportazione – quattordici capitoli, ma quanto sono crudele? - ma alla fine è successo.


E ora sarà tutto rose e fiori, vero? Baci, abbracci, frasi dolci, cioccolatini e appuntamenti?

Ovviamente no. Ora arriva la Bad Romance.

* corre a nascondersi *


yu_gin


PS: altre ship in arrivo!




coming next


Le prove erano concluse e tutti si stavano dirigendo verso le proprie camere quando Wes lasciò il proprio prezioso martelletto per fermare Blaine prima che lasciasse la stanza.

«Aspetta un secondo» disse, afferrandolo per la spalle. «Non è che mi devi dire qualcosa? Tipo perché oggi sei dannatamente sorridente e perché per i corridoi cammini guardando il telefono e ridendo ogni volta che si illumina.»

«Oh, quello» disse, non riuscendo a trattenere un sorriso. «Penso sia perché l'ho baciato.»

Wes strabuzzò gli occhi: «Tu l'hai...?»

«Baciato.»

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** i've been changed for good ***


A Lima Side Story



Capitolo 15: i've been changed for good



Lo sguardo di Rachel era dannatamente serio. Stringeva le braccia al petto e tamburellava la scarpina di vernice contro la gamba del tavolo, forse pensando di sembrare più aggressiva.

In realtà Blaine doveva trattenersi per non ridere. Certo, il fatto che in quel momento fosse seduto affianco al suo ragazzo nuovo di zecca e che si stessero tenendo per mano, non aiutava a togliergli quel sorrisetto da ho-trovato-il-paradiso dalla faccia.

«Sto aspettando.»

«Volevo fare qualcosa di romantico e stupido allo stesso tempo per richiamare la sua attenzione» disse semplicemente Blaine.

«E c'è riuscito» aggiunse Kurt.

«Sfido, amico! Hai richiamato l'attenzione di mezzo locale» disse Puck, ridacchiando. «Avete intenzione di fare qualcosa del genere anche alle Regionali?» chiese.

«No, pensiamo di battervi tenendoci il blazer addosso» puntualizzò Blaine.

Puck non si scoraggiò e si allungò per dare una pacca sulla schiena a Kurt: «E che dire del nostro piccolo controtenore. Pensavo di essere il più trasgressivo del Glee, ma ora mi devo inchinare a te.» Con quel commento si guadagnò un calcio agli stinchi da parte di Quinn. «Che ho detto?» protestò.

«E' tutto okay» rise Kurt, stringendosi al braccio di Blaine. «Mi dispiace di avervelo tenuto nascosto, ragazzi, ma avevo paura che non mi avreste più guardato allo stesso modo o che mi avreste allontanato.»

«Kurt! Come puoi averlo pensato? Insomma, se sopportiamo Puck tutti i santi giorni con le sue battute a sfondo sessuale, i suoi tradimenti, i suoi soggiorni in riformatorio, le risse e i furti alla mensa...pensi davvero che avremmo potuto criticare te?» disse Mercedes.

Lui alzò le spalle: «L'importante è che tutto ora sia venuto a galla» disse.

«Non è ancora venuto a galla tutto» precisò Rachel. «Non mi è ancora chiaro cosa ci faceste nel parcheggio dello Scandals, insieme, abbracciati.»

Blaine e Kurt si guardarono un istante prima di scoppiare a ridere. «Non credo ci sia molto da spiegare, Rachel. Ho messo in pratica i consigli di Sebastian e quelli di Wes e sono riuscito a fare la cosa più stupida – e per questo l'unica sensata della mia vita.»

«Aspetta, c'era un piano sotto?» chiese Kurt, guardandolo curioso.

«Non hai idea! Se non fosse stato per Seb a quest'ora probabilmente non avrei fatto altri che dire stupidaggini ad ogni nostro incontro voluto dal karma e noi ci staremmo odiando ancora di più.»

Kurt rise: «Già, ricordami di ringraziarlo, un giorno di questi.»

«Non posso credere che quel Sebastian abbia fatto qualcosa di buono. Immagino di averlo...valutato male.»

«Lo fanno tutti. Ma sotto gli strati di sarcasmo pungente e apparente egoismo, si nasconde un buon amico. Forse il migliore che abbia mai avuto. Insieme a Wes, ovviamente.»

Rachel sorrise. Non le dispiaceva più la presenza di Sebastian nella vita di suo fratello. Lei non aveva potuto fare nulla per aiutarlo perché non conosceva neppure il problema, non aveva neppure immaginato cosa Blaine stesse passando. Invece Sebastian c'era stato per lui – in un modo o nell'altro.

«Immagino che ora non potrò farmi più scappare neppure una parola riguardo alle regionali in casa» disse Finn, facendo alzare gli occhi al cielo a Kurt.

La sua reazione fece scoppiare a ridere tutti gli altri.

Il pensiero che di lì a qualche settimana si sarebbero scontrati non li sfiorava nemmeno. Quella sera Blaine non era il ragazzo del Glee avversario o un nemico da battere. Era un ragazzo come un altro, il fratello di una loro compagna, il ragazzo di un loro amico.

Mentre Blaine sollevava il bicchiere per brindare alle Regionali che si avvicinavano e a “che vinca il migliore” pensò ai suoi amici della Dalton. Pensò a Wes che gli aveva detto: “Fa' qualcosa che lo renda orgoglioso di te. Fagli capire che lo conosci nel profondo.”

E poi pensò a Sebastian e a come sarebbe stato fiero di lui quando gli avesse detto che finalmente aveva conquistato il cuore del “bel commesso GAP”.

Non vedeva l'ora di assistere alla sua reazione!


La schiuma della birra si era ormai sciolta e le goccioline della condensa scivolavano lungo il bicchiere, bagnandogli la mano.

Tuttavia Sebastian non riusciva a distogliere gli occhi dallo spettacolo che aveva davanti. Normalmente l'avrebbe fatto sorridere, magari avrebbe aggiunto una battuta sagace ed una pacca sulla spalla al suo amico. Non in quel momento. Non dopo quello che gli aveva detto Dave.

Quello sul palco era Blaine, il suo compagno di stanza – anche se con quella giacca di pelle e quei capelli ribelli aveva qualche difficoltà a riconoscerlo – e quello al suo fianco era il ragazzino per bene che aveva conosciuto al negozio GAP, il commesso con le guance da bambino che sembrava uscito da un sussidiario tanto era candido.

«Ora capisci di cosa parlavo?» disse Dave, al suo fianco.

«Capisco.»

«Stenti a riconoscerlo, vero?»

«Quello non è lo stesso Blaine con cui divido la stanza da anni. È cambiato.»

«E continuerà a cambiare. Comincerà a venire qui più spesso, studierà di meno, cambierà il suo giro di amici.»

«E finirà per spazzare i pavimenti in un officina» concluse. «Invece di andare al college o di frequentare una scuola di musica al suo livello.»

«Diciamocelo, io e te – come Kurt e Blaine – veniamo dalle parti opposte della città. Possiamo fingere di appartenere all'altro lato per qualche ora, per un giorno, ma alla fine torneremo sempre alle nostre origini. Kurt non lascerà mai Lima. Ora odia questa città perché è solo, ma so di poterlo rendere felice.»

Sebastian lo guardò scettico: «Continuando a nasconderti?»

«Troverò il coraggio di uscire allo scoperto. Con Kurt al mio fianco posso farcela.»

L'altro annuì. Alla fin fine non gli importava di cose ne sarebbe stato di Dave. Gli importava solo che Blaine non finisse per gettare via la sua vita.

«Va bene. Ti aiuterò. Dimmi cosa devo fare.»

Dave sorrise. «Tanto per cominciare, quanto spesso Blaine lascia incustodito il suo cellulare?»


Santana salutò i ragazzi con un sorriso sulle labbra.

Le era parso strano tornare ad essere circondata da adolescenti. Seguire le vicende di Kurt la faceva sentire ancora giovane, ma nulla in confronto a quello che era successo quella sera.

Un pizzico di gelosia le aveva solleticato le guance nel vedere con Finn e Kurt potessero cavarsela anche senza di lei, in fondo, poiché avevano dei buoni amici, ma era stato solo un momento. Era stata felice per loro. E anche per se stessa.

Non poteva negare di essersi divertita, soprattutto nel respingere le avance del ragazzo con la cresta.

Prima di andarsene si diresse verso il bagno. Si piazzò davanti allo specchio, osservando con una certa apprensione i propri occhi stanchi e l'accenno di occhiaie. Aprì il rubinetto per rinfrescarsi le mani quando, nell'angolo dello specchio, notò il riflesso di qualcuno.

Si voltò di scatto.

C'era una ragazza bionda accucciata per terra. Quella visione le ricordò dannatamente il momento in cui aveva trovato Kurt per terra nel bagno degli uomini dopo la lite con Dave. Le si avvicinò preoccupata.

«Tutto bene?»

«Mi hanno abbandonata» mormorò.

«Chi?»

«Ma come chi? I miei amici. Mi hanno dimenticata qui e se ne sono andati senza di me.»

Santana provò a figurarsi cosa fosse successo: «Aspetta, ma tu non eri venuta qui con gli altri ragazzi del McKinley?»

«Appunto.»

«E ti hanno dimenticata qui?»

«Già» disse. «Loro lo fanno sempre. Dimenticarmi, intendo. È perché parlo poco e quando lo faccio dico sempre cose stupide e quindi cerco di non parlare mai.»

«Ma dai!» provò a consolarla Santana. «Carina come sei scommetto che metà dei ragazzi della scuola ti seguono ad ogni passo che fai.»

La ragazza alzò lo sguardo verso di lei: «No. O meglio, lo fanno finché non vado a letto con loro, poi mi dimenticano. Sai, credo di essere una con cui è bello andare a letto ma sono davvero difficile da sopportare.»

Santana si sedette al suo fianco: «Non credo che tu sia difficile da sopportare. Anzi, mi sembri simpatica. Un po' triste in questo momento, ma simpatica.» Le sorrise e l'altra fece altrettanto. «Come ti chiami?»

«Brittany.»

«Io sono Santana.»

«Sei l'amica di Kurt, giusto? Lavori qui con lui. Come lui.»

Santana esitò un attimo prima di rispondere: «Sì, normalmente non è Blaine a dare spettacolo al suo fianco.»

Brittany ridacchiò: «Sai, avrei preferito vedere te, sul palco. Scommetto che saresti stata molto più forte.»

«Ah sì?»

«Decisamente. Si vede subito che sei una diva.»

Una diva? Santana in quegli anni si era sentita chiamare in molto modi. Sgualdrina, stronza, puttana, donna di facili costumi, e la lista poteva proseguire in un escalation di offese sempre meno sopportabili. Ma in quegli anni nessuno le aveva mai dato della diva.

«Intendo, quando entri in una stanza richiami subito l'attenzione su di te, quando parli ti fai ascoltare e poi hai quel modo di mettere la mano sui fianchi e agitare l'indice...da diva, ecco.»

«Nessuno me l'aveva mai detto» confessò.

«Nessuno mi aveva mai detto che sono simpatica. Direi che siamo pari» disse.

«Direi di sì» sorrise. «Che ne dici ora di alzarti da questo bagno? È piuttosto sporco e i tuoi si staranno preoccupando.»

«Oh, dubito si siano accorti che non ci sono. Una volta ho dormito nella cuccia del mio gatto tutta la notte perché mi avevano chiusa fuori. Potrei semplicemente addormentarmi su un divanetto del locale e farmi venire a prendere domani.»

«Non se ne parla! E' fuori questione che tu dorma qui» disse Santana. La afferrò per un braccio e la fece alzare. «Ti riporto a casa io.»

«Sul serio? Ma non sai neppure dove abito» le fece notare.

Santana a questo non aveva pensato. Chissà, magari abitava dalla parte opposta della città. «Non importa. Mi darai le indicazioni strada facendo.»

Brittany la seguì sorridendo. Santana salutò la padrona del locale e accompagnò Brittany fino alla sua macchina. Era una vecchia automobile sgangherata e, per un secondo, si vergognò del disordine sui sedili e della puzza di acetone.

«E' un po' sporca» si giustificò.

«E' un passaggio a casa» rispose, alzando le spalle e sedendosi sul sedile affianco al guidatore.

Santana allacciò la cintura e accese il motore. «Mi fai strada?»

Brittany annuì. Nonostante il buio riuscirono ad orientarsi senza problemi e, una volta imboccata la statale, proseguirono dritte per svariati minuti, durante i quali calò il silenzio.

«Sei gentile ad accompagnarmi. Chiunque altro mi avrebbe detto “chiama un taxi”.»

«Per me non è un problema, non sei poi così distante da casa mia.»

«Dove abiti?» chiese curiosa.

Santana si mordicchiò le labbra. «Hai presente Lima Heigh?»

Brittany annuì, ma non aggiunse altro.

Santana era abituata ad altre reazioni. Di solito degli “oh” imbarazzati o degli “accidenti, che postaccio” o a dei silenzi intimoriti. Non certo alla tranquillità con cui Brittany aveva recepito l'informazione.

«Non so se hai presente» aggiunse.

«Sì, più o meno» disse.

«Una volta l'inquilina sopra di me ha spinto dalla finestra il suo fidanzato che è caduto sul mio terrazzo. Nudo» disse Santana.

«Ma pensa! Una volta Lord Tubbington ha vomitato sulla mia ricerca di spagnolo.»

«Chi?»

«Lord Tubbington. Il mio gatto» disse con naturalezza.

«Lui-» si interruppe. Okay, era davvero strana. Ora capiva come potesse avere dei problemi a relazionarsi con gli altri. Però le piaceva. Era strana e un po' matta, ma era simpatica.

«E' un gran ciccione» aggiunse, ridacchiando. «E ha una dipendenza da droghe che sto cercando di fargli passare.»

«Brutto affare» commentò Santana, sorridendo.

«Già.» Dopo pochi minuti Brittany indicò una casa e disse: «Eccola, è quella.»

Santana parcheggiò l'auto davanti a casa sua. «Aspetto qui finché non entri in casa» assicurò.

«Grazie di tutto» disse Brittany. Poi si sporse sul sedile, schioccandole un bacio all'angolo delle labbra. «Buona notte!»

Poi aprì la porta e sgattaiolò via. Santana rimase basita a fissare la ragazza infilare una mano nella porticcina del gatto e aprire la porta, per poi richiudersela alle spalle.

Si sfiorò l'angolo della bocca con le dita.

Mise in moto il motore, ma senza riuscire a scordare quella sensazione stupenda.

Il profumo di Brittany era ancora in quell'auto.


Wes batté più volte il martelletto sul tavolo per richiamare l'attenzione.

«Warblers, prego, un po' di attenzione. Diamo inizio alla riunione. Per prima cosa, abbiamo valutato più volte le proposte fatte e le audizioni di ognuno di voi e infine abbiamo redatto da scaletta per le regionali.»

Mormorii di curiosità si diffusero fra le fila.

«L'assolo iniziale andrà a Blaine Anderson.»

Nessuna sorpresa, nessun colpo di scena. Insomma, un po' tutti se lo aspettavano. Se era riuscito ad ottenere tutti gli assoli degli ultimi due anni non c'era motivo per cui non riuscisse ad ottenere anche quello.

«Per quanto riguarda il brano finale il solista sarà Sebastian Smythe, accompagnato ovviamente da tutto il coro.»

E anche lì, nessuna sorpresa.

«E ora passiamo al secondo assolo. È stata una scelta davvero, davvero difficile. Io, David e Thad abbiamo discusso a lungo-»

«Arrivando quasi alle mani» aggiunse David.

«Poco elegante, ma veritiero» convenne Thad.

«-e infine» continuò Wes, seccato per l'interruzione «abbiamo deciso di arrangiare la canzone per un duetto, così da avere due solisti.»

L'informazione fu accolta da mormorii confusi.

«Un duetto? Ma non è un po'...rischioso?» chiese Trent.

«In che senso?»

«Beh, siamo in Ohio e noi siamo una scuola maschile. Insomma, se faremo cantare due maschi non rischiamo di essere penalizzati da una possibile giuria bigotta. Senza offesa, Sebastina. E Blaine» aggiunse. I due scossero la testa. Capivano le motivazioni di Trent.

«Ci abbiamo pensato. Ma siamo sicuri che Nick e Jeff riusciranno a dissipare ogni indecisione da parte di qualsiasi giuria.»

«Eh?» esclamarono i due, in sincronia perfetta.

«Credo stia dicendo che i due solisti designati siete voi» disse Sebastian. «E personalmente, penso che se riuscirete a mantenere una parvenza etero per la durata del brano potrebbe anche funzionare.»

«E' una follia» protestò Jeff, scattando in piedi. «Insomma, quello che ha detto Trent non è sbagliato. Finiranno per penalizzarci.»

«Oppure apprezzeranno il coraggio. O comprenderanno che, essendo una scuola maschile, non possiamo che fare duetti maschili

«Ma non abbiamo neppure una canzone pronta come duetto» continuò.

«Che c'è, Jeff, non vuoi duettare con me?» chiese Nick.

Jeff si voltò a guardarlo. Il suo sguardo era...ferito. La sua reazione aveva ferito il suo migliore amico e la cosa che faceva più male era che lui voleva duettare con Nick, più di ogni altra cosa al mondo. Ma sapeva che, lì sul palco, quando le loro voci si fossero fuse insieme e i loro sguardi si fossero incontrati, non sarebbe più riuscito a nascondere i suoi sentimenti. E questo avrebbe rovinato la sua amicizia con Nick, allo stesso modo in cui, rifiutandosi di cantare con lui, lo avrebbe ferito.

«Se ti rifiuti di cantare con lui, l'assolo va a Nick» disse Wes. «Fa' la tua scelta, ma ricorda: prima di decidi, più tempo avrete per lavorare alla canzone.»

Jeff tornò a sedersi, tenendo lo sguardo basso.

Le prove cominciarono. Blaine e Sebastian provarono i loro assoli, accompagnati dalle voci perfettamente intonate dei Warblers.

Nel brano che sarebbe stato cantato da Sebastian incontrarono qualche difficoltà nella coreografia, particolarmente complicata, ma Wes era fiducioso: entro le Regionali sarebbero stati pronti a battere anche le New Direction.

Le prove erano concluse e tutti si stavano dirigendo verso le proprie camere quando Wes lasciò il proprio prezioso martelletto per fermare Blaine prima che lasciasse la stanza.

«Aspetta un secondo» disse, afferrandolo per la spalle. «Non è che mi devi dire qualcosa? Tipo perché oggi sei dannatamente sorridente e perché per i corridoi cammini guardando il telefono e ridendo ogni volta che si illumina.»

«Oh, quello» disse, non riuscendo a trattenere un sorriso. «Penso sia perché l'ho baciato.»

Wes strabuzzò gli occhi: «Tu l'hai...?»

«Baciato.»

Wes non riuscì a trattenersi. Di solito manteneva un certo contegno nei confronti dei suoi amici, ma quella volta era davvero troppo e finì per abbracciarlo. «Il nostro bambino cresce!» disse, fieri di Blaine.

«Il nostro bambino?» chiese Sebastian, avvicinandosi a loro. «Non credevo di aver mai riconosciuto la paternità di questo hobbit. Anche se i leggeri tratti euroasiatici porterebbero a pensare che tu sia effettivamente la madre biologica.»

Wes storse il naso: «Era un “nostro” generico. Plurale maiestatis.»

«Come no» commentò Sebastian, prendendo la propria borsa e lasciando l'aula coro.

Blaine rimase sorpreso dalla sua reazione. Ovviamente quella mattina, nel momento stesso in cui aveva visto Sebastian, gli aveva raccontato della sera precedente.

Ma l'amico, invece che attaccarlo con qualche battutina sagace o dichiararsi contento per lui, si era limitato a qualche frasi di circostanza. Blaine aveva imputato quella reazione al sonno che l'amico doveva avere – conoscendolo doveva aver passato la notte in qualche locale a flirtare con i ragazzi più belli.

Ora però non aveva scuse. Blaine ebbe come l'impressione che fosse seccato dalla cosa. Escluse che potesse essere geloso. Insomma, era stato lui stesso a spingerlo letteralmente fra le braccia di Kurt - o viceversa – o entrambi. Si scusò con Wes e seguì il compagno di stanza lungo i corridoi.

«Sebastian, vuoi fermarti?» esclamò, afferrandolo per il braccio.

«Cosa c'è? Le tue gambine troppo corte non riescono a tenere il mio passo?»

«Ecco, lo vedi? Lo fai di nuovo.»

«Blaine, pensavo fossi abituato alle mie battute sull'altezza o sui tuoi capelli o sui papillon. Insomma, è sempre stato così fra noi.»

«No, di solito mi prendi in giro e poi sorridi e poi mi dici “dai, non prendertela” e io non me la prendo. Invece poco fa te ne sei andato seccato e non so neppure che cosa ho fatto per irritarti.»

«Oh, dimenticavo il Blaine Anderson Show, dove tu sei sempre al centro delle nostre vite!» esclamò, sbuffando. «Seriamente, non ti è neppure passato per la mente che possa essere irritato per qualcosa di non legato a te?»

Blaine tacque, attonito. «Quindi non sei arrabbiato con me?»

Sebastian riprese a camminare, ignorandolo. «Non sono arrabbiato con te, va bene?» disse. Dopo un po' aggiunse: «Sono preoccupato.»

«E per cosa? Per la prima volta la mia vita sembra avere un dannato senso!»

Sebastian si fermò e si voltò verso di lui, guardandolo dritto negli occhi: «Blaine, possibile che tu non te ne renda conto? In quest'ultimo mese sei...sei diventato un'altra persona. Sei cambiato e a volte stento a riconoscerti.»

«E non è un bene?»

«Forse. Ma non è da te distrarti in continuazione durante le lezioni. Di solito, quando ti disturbavo, mi richiamavi dicendomi: “stai attento”. Invece da un mese a questa parte sei tu che non fai altro che parlare, ignorando i professori. E quando non parli scrivi con quel dannato telefono. E passi tutti i pomeriggi al Lima Bean o al negozio GAP.»

«Solo perché la mia vita è passata dall'essere una noia ad essere entusiasmante non significa che debba pentirmene. Anzi, non eri tu quello che mi diceva: goditi la vita finché sei alle superiori.»

«Beh, le cose ora sono cambiate. Goditi la vita, ma pensa al futuro. Dimmi, Blaine, come vanno i tuoi voti ultimamente?»

A quella domanda fu Blaine ad abbassare lo sguardo, evitando quello dell'amico: «Sono in leggero calo.»

«Leggero calo? Blaine, hai preso una F in inglese. Una F?! Sembrava che il tuo compito fosse stato scritto da Trent. Da Trent ubriaco.»

«Stai esagerando» minimizzò.

Lo sguardo di Sebastian parlava chiaro.

«Va bene, hai ragione, sono stato distratto. Ma che importa un voto in meno al diploma se ho l'occasione per essere felice?»

«Un voto in meno? Blaine, sei sicuro di arrivarci al diploma? Perché se continui così l'anno prossimo sarai ancora fra queste mura con questo blazer.»

«Giuro di impegnarmi a studiare» disse, abbastanza seriamente per far tacere Sebastian. «Sto passando una fase di transizione. La supererò, con l'aiuto tuo e di Wes. E di Kurt. È solo una fase.»

«Mi sembri uno di quei genitori che dicono: “Mio figlio non è gay, è solo una fase. Certo, l'ho beccato a pomiciare con un suo amico sul tavolo della cucina, ma è solo una fase”» disse. Sapeva quanto potente fosse la sua ironia.

«E' diverso.»

«Dimostramelo. Dimostrami che ci tieni al tuo futuro. Dimostrami che sei ancora il Blaine che, ad inizio anno, mi disse: “Voglio andarmene di qui per realizzare i miei sogni”.»

«E se i miei sogni ora fossero cambiati? Se comprendessero qualcun altro?» chiese. «Se ora i miei sogni fossero un po' più vicini geograficamente a Lima.»

«Vicini quanto?» chiese Sebastian, già temendo la risposta.

«N-non so. Ci sono dei buoni college in Ohio...»

Tanto bastò. Sebastian ripensò alle parole di Dave e – anche se a malincuore – riconobbe che le sue predizioni si stavano avverando.

«Io vado in camera nostra. A studiare. Immagino tu passerai il pomeriggio al Lima Bean o con i tuoi nuovi amici delle New Direction, quindi buon divertimento.»

Blaine guardò l'amico andarsene e rimase a fissare la sua schiena sparire dietro l'angolo del corridoio.

Solo dopo pensò: I miei nuovi amici delle New Direction?


Kurt lasciò il lavoro alla solita ora. Vedere Blaine dall'altra parte della strada e pensare: “Quello è il mio ragazzo” gli fece accelerare il passo fino a raggiungerlo.

Non ci fu neppure un secondo di esitazione prima che le loro labbra si incontrassero. Non si guardarono neppure intorno: probabilmente quel loro scambio di affetto aveva scandalizzato qualche passante - o forse neppure quello. A loro non importava più.

«Come sono andate le prove dei Warblers?» chiese Kurt, sistemandosi meglio la cartella sulla spalla.

«Che c'è? Cerchi di carpire informazioni per le New Direction?» chiese, scherzando.

«Sinceramente, penso che nel ruolo di spia basti Rachel» rispose.

«Tutto bene, comunque. Le Regionali si avvicinano e hanno già assegnati i ruoli da solisti.»

«Fammi indovinare: uno l'hai ottenuto tu, vero?»

Blaine non poté reprimere un sorriso, che Kurt interpretò come un sì.

«E un altro dev'essere andato a Sebastian.»

Nel sentire quel nome, il ragazzo ripensò al litigio avuto neppure un'ora prima con l'amico. La sua espressione rivelò i suoi pensieri.

«Qualcosa non va con lui?»

«Non proprio» ammise. «Oggi abbiamo avuto una discussione. Lui sostiene che sto cambiando, ma che lo sto facendo troppo in fretta e che questo potrebbe essere un male.»

«Dipende in che senso stai cambiando» disse Kurt. «Dipende che cosa stai cambiando di te.»

«Lui ha scoperto che ho preso dei voti abbastanza bassi ultimamente.»

«Tu? Pensavo fossi una specie di...sai, secchione sexy.»

«Secchione sexy?» chiese divertito. «Diciamo che aveva una buona media, soprattutto in Inglese. Ma ultimamente ho cominciato a perdere colpi.»

«Fammi indovinare: da un mese a questa parte?»

«Kurt, non è assolutamente legato al fatto che ti ho conosciuto.»

«Invece lo è, Blaine» disse. «Ascolta, l'anno scorso anche a me è capitato di vedere i miei voti abbassarsi. E sai quand'è successo?»

«Quando hai cominciato ad uscire con Dave?»

«Già. Tornavo a casa e mi mettevo a studiare ma poi finivo per pensare a dove e a cosa avremmo fatto quella sera, cosa avrei potuto indossare, cosa avrei dovuto dirgli, le solite cose, insomma. All'inizio non ci ho dato molto peso. Poi però hanno cominciato ad arrivare delle insufficienze e io mi vergognavo a tal punto che non l'ho neppure detto a mio fratello. A quel punto mi sono reso conto che dovevo recuperare perché non c'era cosa al mondo che volessi di più che lasciare quel maledetto istituto.»

«E alla fine ti sei diplomato» disse.

«Credimi, non c'è soddisfazione più grande che stringere il diploma in mano e pensare: “Ce l'ho fatta”.»

«Con questo vorresti dire che devo studiare di più?» chiese Blaine.

«Voglio dirti di pensare al tuo futuro. Possiamo stare insieme anche senza scriverci SMS durante le ore di lezione o senza vederci tutti i pomeriggi. Mi mancheranno i nostri pomeriggi al Lima Bean, ma penso potrò sopravvivere vedendoti tre volte a settimana invece che sei.»

«Mi secca costringerti ad aspettarmi.»

Kurt gli prese le mani, stringendole: «Blaine, sono stato per mesi con un ragazzo che neppure aveva il coraggio di stringermi le mani in pubblico. Avere questo» disse, sollevando le loro mani «avere te per me è già abbastanza.»

Blaine sorrise, cercando nuovamente le sue labbra. «Forse potrei riuscire a sopravvivere.»

«Guarda che terrò d'occhio i tuoi voti!» lo avvertì, puntandogli contro il dito. «Altrimenti scommetto che Rachel verrà a cercarmi per farmi la pelle.»

«Fidati, nell'eventualità di una mia bocciatura penso sarei io il suo primo bersaglio» disse ridendo. «Ad ogni modo, se ritieni che non minerà ulteriormente la mia media scolastica, vorresti uscire con me mercoledì sera?»

«Certo che lo voglio, ma sei sicuro di riuscire a non addormentarti giovedì mattina sul banco?»

«Rischierò. Non è proprio possibile rimandare ad un altro giorno.»

«Ah no? E perché?» chiese Kurt, curioso.

«Ma come» rispose, accennando ad un sorriso: «pensavo che un inguaribile romantico come te non avrebbe mai potuto dimenticare che giorno è il quattordici febbraio.»

Kurt sussultò.

Ho un appuntamento per San Valentino?




A/N


Aiuto. Non avrei dovuto fare un Sebastian così simpatico che ora tutte adorano. Non uccidetemi, per favore. Ci tengo a precisare che la fanfiction avrà un lieto fine, quindi tutto si risolverà.

In compenso posso dire che il prossimo capitolo sarà un vero concentrato di fluff. Da far vomitare arcobaleni.



Ora, non c'entra molto con la storia, ma ci tenevo per così dire a trarre delle conclusioni.

Per molti oggi (o domani) è l'ultimo giorno di scuola. Per me (come per molti altri) questo è stato l'ultimo giorno di scuola della mia vita.

Non so voi, ma penso che senza Glee quest'anno scolastico sarebbe stato molto più triste e noioso. Molti lo definirebbero un discorso infantile, ma seguire le avventure dei ragazzi del Glee club – in particolare di Kurt e Blaine – mi ha aiutato ad andare avanti, ad affrontare più serenamente l'idea del futuro che incombe, dei possibili insuccessi, degli amici che se ne vanno e dell'amore che a volte fa male.

Anche scrivere A Lima Side Story mi ha aiutato e in particolare leggere le vostre recensioni o i vostri messaggi.

È un po' come se quest'anno scolastico l'avessi passato un po' anche con voi.

Quindi grazie per esserci state!


Scusate la parentesi, sono una inguaribile sentimentale...


Buona vacanze a tutte/i e in bocca al lupo per gli esami (scolastici, universitari, musicali...)


Al prossimo capitolo!


yu_gin


coming next


Kurt si immerse nel proprio armadio, sfiorando con le dita i vestiti e ripensando alle occasioni in cui li aveva indossati, finché fra scorse fra gli altri abiti un completo a lui molto familiare che ricordava di aver indossato esattamente un anno prima.

Quando aveva detto che quello era il suo primo San Valentino da impegnato aveva mentito. Non una bugia poi così grave, visto che di quel San Valentino non aveva potuto parlare con nessuno.

Era passato un anno ma non aveva ancora dimenticato.


//////////////////////////////////////////////////////////


Blaine finì di vestirsi e si abbottonò le maniche della camicia con le dita tremanti.

Kurt era arrivato. Il suo ragazzo in quel momento lo stava aspettando nella sala comune della sua scuola, vestito di tutto punto per uscire con lui per il loro primo San Valentino. Ed era anche arrivato in anticipo! Come se non avesse potuto aspettare, come se anche lui non vedesse l'ora.


Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** be my valentine ***


A Lima Side Story



Capitolo 16: be my Valentine



Quando Finn passò davanti alla stanza di Kurt non si stupì di trovarlo in piena crisi isterica, giunta al punto in cui suo fratello si lasciava cadere sul letto biascicando che non aveva niente da mettersi.

«Kurt, tutto bene?»

«A meraviglia» grugnì.

«Hai un appuntamento per San Valentino?»

Kurt si sollevò dal letto: «Per la prima volta in vita mia non sono single a San Valentino e ho un appuntamento e se sbaglierò outfit non me lo perdonerò per il resto della mia vita e sarà un disastro e lui se ne andrà con il cameriere e-»

«Kurt, calmati. Non dirmi che sei rimasto a decidere come vestirti per un'ora!»

«Non essere ridicolo Finn.»

Ho cominciato a pensare a come vestirmi più o meno lunedì.

«Perché non ti vesti come alla cena con Schuester? Alla Pillsbury il tuo completo piaceva molto.»

Kurt lo fulminò con lo sguardo: «Sì, così mi torneranno in mente i brutti ricordi di quella sera.»

E del funerale, aggiunse mentalmente.

«Pensavo avresti seguito il principio del “ora che ti ho preso posso anche lasciarmi andare”.»

«Bel principio, Finn. Dovresti scrivere un manuale.»

«Va bene, ti lascio solo» disse, allontanandosi prima che Kurt passasse alla fase in cui gli lanciava dietro un attaccapanni.

Kurt si immerse nel proprio armadio, sfiorando con le dita i vestiti e ripensando alle occasioni in cui li aveva indossati, finché fra scorse fra gli altri abiti un completo a lui molto familiare che ricordava di aver indossato esattamente un anno prima.

Quando aveva detto che quello era il suo primo San Valentino da impegnato aveva mentito. Non una bugia poi così grave, visto che di quel San Valentino non aveva potuto parlare con nessuno.

Era passato un anno ma non aveva ancora dimenticato.


Lo spintone lo colse impreparato.

Kurt non era ci era più abituato, da quando, grazie al tacito aiuto di Karofsky, Azimio e gli altri giocatori di football avevano cominciato a lasciarlo in pace. Per questo l'impatto con gli armadietti fece più male.

Quando alzò lo sguardo da terra incontrò gli occhi di Azimio.

«Ehi, fatina, con chi passerai San Valentino?» chiese.

Kurt scosse la testa senza sapere cosa rispondere. In quel momento Dave attraversò il corridoio e, vedendo la scena, si avvicinò ad Azimio dicendo:

«Dai, andiamo» e cercando di portarlo via.

«Con nessuno immagino» continuò. «Grazie a Dio non ci sono altri come te in questa scuola» disse, mentre Dave lo aveva ormai spinto oltre l'angolo del corridoio.

Poco dopo il cellulare di Kurt si illuminò.


9.36

Azimio ha ricevuto un bidone dalla tipa che gli piaceva ed aveva solo voglia di prendersela con qualcuno. Scusa, dovevo prevedere che saresti stato il suo bersaglio.


Kurt nel leggere il messaggio si lasciò sfuggire un sorriso. In parte per quello scusa veloce, che doveva essere costato molto a Dave. In parte per il pensiero che Azimio sarebbe stato solo a San Valentino, mentre lui era impegnato.

Beh, impegnato era una parola grossa. Certo, stava insieme a Dave – più o meno – ma non gli aveva proposto nulla per San Valentino.

Era il suo primo San Valentino non da single. Il suo primo vero San Valentino e probabilmente avrebbe passato la serata a casa con suo fratello a guardare la televisione e mangiare patatine – rigorosamente light.

All'improvviso sentì che quella prospettiva non gli andava bene.

Così prese il coraggio a due mani e scrisse un messaggio a Dave.


9:41

Ti va di fare qualcosa sta sera? In fondo è San Valentino.


Attese trepidante, mordicchiandosi le labbra. Si aspettava già un cortese rifiuto come “scusa, devo studiare” o “facciamo un'altra volta”. Dave non era uno romantico. Probabilmente se non fosse stato per la mandria di ragazze scalpitanti e i palloncini a forma di cuore appesi agli angoli dei corridoi neppure si sarebbe ricordato della festività.

Sobbalzò appena vide lo schermo illuminarsi.


9.44

Apri il tuo armadietto.


Kurt eseguì, sempre più curioso. Prendendo il lucchetto in mano si accorse che doveva essere stato forzato con qualcosa di simile ad una pinza da meccanico.

Decisamente da te, Dave, pensò, sorridendo.

Non appena spalancò lo sportello un foglietto cadde dal ripiano e Kurt fu svelto ad afferrarlo al volo prima che potesse toccare terra.

Era un semplice foglietto di carta bianca con scritto: be my valentine.


9.45

Allora?


9.46

Hai scassinato il mio armadietto?


9.46

Kurt.


9.47

Sì. Decisamente sì.


Nonostante il breve scambio di parole, si capirono perfettamente.


9.50

Passo a prenderti questa sera alle sette e mezza.


Kurt sorrise. Mise il biglietto nel taschino della giacca, giusto vicino al cuore, perché in quel momento era lì che lo sentiva.


Finn sapeva quando era il momento di stare lontano da Kurt. Per la precisione, il momento in cui decideva come vestirsi era probabilmente il più delicato della giornata.

«Hai un appuntamento per San Valentino?» chiese.

«Assolutamente no» rispose Kurt, afferrando compulsivamente la giacca che intendeva indossare.

«E infatti ti stai vestendo elegantemente per passare la serata sul divano a guardare musical e mangiare patatine light.»

Beccato.

«Esco con Mercedes e le altre. Serata single. Non c'è bisogno di un valido motivo per vestirsi bene» aggiunse.

«Come vuoi» rispose, poco convinto. «Un giorno mi dirai con chi ti vedi?»

«Con nessuno!»

«Kurt...»

Il ragazzo si morse il labbro. Come avrebbe voluto dire tutto a suo fratello, dirgli di come fosse tutto nuovo per lui, di come gli avesse battuto forte il cuore nel leggere quel semplice biglietto che ora teneva sul comodino, sotto il libro che stava leggendo.

«Senti, lo so che fra noi non eravamo soliti parlare molto. Non siamo mai stati di quei fratelli che si siedono sul letto e si raccontano la propria giornata. Però mi piacerebbe sapere a chi imputare la colpa o il merito quando ti vedo tornare a casa un giorno raggiante e l'altro desolato.»

Kurt aprì bocca per parlare. Voleva fare un discorso coerente ma gli uscì solo un: «C'è qualcuno.»

«E' un ragazzo del McKinley?» azzardò.

«Sì, lo è. Ma è come se non lo fosse» disse.

«Non dirmi che marina la scuola tutti i giorni. Aspetta, è uno del Glee?»

«No» disse, sorridendo al ricordo della cotta stratosferica che si era preso per Sam. «Non è nel Glee. A dire la verità, dubito che sia capace a cantare. Volevo dire che a scuola non riusciamo neppure a parlarci.»

«Non ha detto a nessuno di essere gay?»

«Visto come vengo trattato io non lo posso biasimare. Lui è abbastanza fortunato: può benissimo passare per etero. Non ci facciamo vedere insieme al McKinley, ma in fondo preferisco anch'io così. Se Azimio ci vedesse insieme non la smetterebbe di tormentarmi.»

Finn capì subito che Kurt non “preferiva così” e che avrebbe sopportato i bulli – come peraltro già faceva – per poter camminare per i corridoi della scuola mano nella mano con la persona che amava.

«In fondo manca poco alla fine della scuola» disse. «Dopo sarà tutto più semplice.»

Finn annuì: «Mi dirai prima o poi di chi si tratta?»

Kurt pensò alla possibile reazione di Finn se gli avesse detto che usciva con Karofsky, lo stesso Karofsky che aveva reso loro la vita un inferno.

«Se diventerà davvero importante per me te lo dirò.»

Finn annuì, lasciandolo solo.

Kurt prese i vestiti dall'armadio e – dopo aver affondato la testa in essi e annusato l'odore di mogano ed ammorbidente – richiuse le ante e si vestì.


Non appena ricevette il messaggio da Dave, salutò Finn e, prima che questo avesse il tempo di chiedere qualsiasi cosa, si chiuse la porta dietro e corse giù per le scale. Si guardò intorno finché non vide l'auto di Dave parcheggiata poco lontano e lo raggiunse.

Aprì lo sportello e saltò su.

Nel vedere Dave vestito meglio del solito – insomma, senza la solita giacca da atleta – sorrise, allungando il collo per baciarlo. L'altro ricambiò, accarezzandogli la guancia.

«Sei bellissimo» disse Dave, guardandolo.

«Anche tu.»

Andarono in un locale abbastanza lontano dalla scuola e scarsamente frequentato da studenti, di modo da essere sicuri di non trovare nessuno. E infatti la maggior parte dei presenti erano gruppi di donne intente a chiacchierare con le amiche o vecchie coppie che mangiavano in tranquillità. Nessuno sembrava badare a loro o al fatto che fossero due ragazzi. Il loro tavolo era piuttosto lontano dall'entrata così poterono evitare il via vai di camerieri e clienti.

Ordinarono la cena e finalmente ebbero modo di stare da soli, senza il frastuono della musica o gli sguardi curiosi dei compagni di scuola. Solo loro due.

Ebbero modo di parlare e di scherzare fra loro. Parlarono della scuola, del diploma che si avvicinava, di cosa avrebbero fatto dopo. Di cosa ne sarebbe stato di loro e di quello che avevano dopo il diploma.

«Pensi mai ad andartene da Lima?» chiese Kurt.

«A volte. Lasciare questo posto mi spaventa: sono nato e cresciuto qua, è un po' come se gli appartenessi» disse, alzando le spalle. «Tu?»

«Ci penso ogni giorno: a come sarebbe bello andarmene da qui, a quanto mi piacerebbe non dover più sopportare Azimio e quelli come lui e cominciare una nuova vita. È come se appartenessi ad un luogo dove non sono mai stato. Dove non sono ancora stato» precisò. «Ma sì, penso anch'io che finirò qui i miei giorni» concluse. Da come aveva abbassato lo sguardo, Dave capì quanto pesasse a Kurt dover rimanere in quel luogo.

«Almeno adesso non sei solo» disse, andando a sfiorargli la mano.

«No» sorrise «Ora è molto più facile.»

In quel momento il cellulare di Dave si illuminò e il ragazzo lo controllò distrattamente. Non appena lesse il messaggio strabuzzò gli occhi.

«Che c'è?» chiese Kurt preoccupato.

«Azimio, Patterson, Stewart e gli altri mi hanno chiesto se voglio raggiungerli ad una cena per sfottere le coppiette innamorate.»

«E dov'è il problema? Di' loro che non puoi venire.»

«Kurt, stanno venendo qui!» disse. Si alzò di scatto, facendo sobbalzare l'altro ragazzo.

«Okay, stai calmo. Se vuoi chiediamo il conto e ce ne-»

Non fece in tempo a concludere la frase che la porta del locale si aprì e – con grande clamore – vide i giocatori di football di sua conoscenza fare la loro entrata. Si voltò verso Dave ma questo era sparito, presumibilmente in bagno.

Kurt cercò di sprofondare il più possibile sulla sedia e tenne la testa china sul piatto, fingendo di mangiare. Fingendo, perché in quel momento il suo stomaco era annodato come le cuffiette di un iPod.

Il suo cuore cominciò a martellargli nel petto quando sentì il rumore di passi avvicinarsi a lui, ma non rialzò la testa finché non sentì una voce familiare pronunciare il suo nome:

«Hummel: appuntamento galante?»

«Già, dov'è l'altra fatina?» incalzò un altro.

Kurt sollevò il volto dal piatto e li guardò in faccia.

«Sono qui con una mia amica» inventò.

«Con la tua amica immaginaria?» lo canzonò Azimio. «Chi vuoi prendere in giro? Avanti, dov'è il tuo ragazzo, Hummel?»

«Secondo me si è nascosto in bagno» propose uno, ridendo.

Kurt sussultò, ma riuscì a non darlo a notare. Se fossero andati in bagno avrebbero di sicuro trovato Dave e avrebbero fatto due più due – per quanto un calcolo così semplice, per dei Neanderthal come loro, doveva sembrare pari alla difficoltà di un integrale improprio.

Così disse l'unica cosa che avrebbe potuto salvare l'altro.

«Lui se n'è andato. Abbiamo... abbiamo litigato» disse. Non osò guardare le reazioni degli altri, ma poté udirle.

«Ti ha scaricato? Beh, come dargli torno, anche ad un altro finocchio deve dare fastidio la tua inguaribile faccia da checca.»

Le risate lo ferirono al cuore come una pioggia di spilli.

Avrebbe voluto gridare loro in faccia che non era stato scaricato e che – al contrario loro – aveva avuto un appuntamento per San Valentino, ma poi ripensò a come Dave, sopraffatto dalla paura, l'avesse lasciato lì, ad affrontare i suoi amici. E questo era quasi più triste.

«Andatevene, per favore» sibilò, tenendo lo sguardo basso e sentendo le lacrime pungergli gli occhi.

«Ma se siamo appena arrivati?» rise uno. «E poi sei tutto solo, potremmo farti compagnia. Ci divertiremo un mondo.»

«Penso vi abbia detto di andarvene» disse una donna, che Kurt riconobbe come la proprietaria del locale.

«Mi scusi? Noi siamo qui per divertirci» disse Azimio.

«Beh, non mi sembra che lui si stia divertendo» disse, indicando Kurt. «E non si stanno divertendo neppure gli altri clienti che vorrebbero solo passare una serata in tranquillità» aggiunse, indicando tutti coloro che si erano voltati a guardarli infastiditi.

«Ci sta cacciando?» chiese stupito.

«Ci puoi giurare» confermò quella. Il suo atteggiamento risoluto e la sua voce ferma fecero desistere i bulli che, dopo aver imprecato sommessamente, se ne andarono com'erano venuti, dicendo che quel posto era un mortorio e che sarebbero andati da un'altra parte.

Solo allora Kurt sollevò gli occhi verso la donna: «Grazie» mormorò.

«Di nulla. È stato un piacere mettere in riga quelli lì» disse, strizzando l'occhio. «Penso che tu possa dire al tuo cavaliere di tornare a tavola.»

Kurt annuì e gli mandò un messaggio col cellulare. Poco dopo Dave riemerse dal bagno a testa bassa. Tornò a sedersi senza dire una parola.

«Ho rovinato tutto» sospirò.

«Non tu. Quelli hanno rovinato la serata, non tu» disse, senza troppa convinzione. Cominciava a sentire del risentimento nei suoi confronti. Cercò di cacciare via i pensieri cattivi, ma fallì e si limitò a tacere.

Finirono di mangiare in silenzio, poi pagarono – facendo a metà del conto, nonostante le insistenze di Dave – e raggiunsero la macchina.

Dave riaccompagnò Kurt a casa e, prima che scendesse dall'auto, disse:

«Le cose andranno meglio. L'anno prossimo ti prometto che avrai un San Valentino coi fiocchi» disse.

Kurt gli sorrise: «Mi piacerebbe molto.»


Blaine finì di vestirsi e si abbottonò le maniche della camicia con le dita tremanti. Normalmente avrebbe chiesto a Sebastian di dargli una mano, ma dal giorno del loro piccolo litigio in corridoio il suo compagno di stanza gli era sembrato più distante e chiedergli un qualsiasi favore lo metteva a disagio.

Sentì il cellulare vibrare sul tavolo della scrivania. Lesse distrattamente il messaggio.


19:22

Sono arrivato un po' in anticipo.


Blaine sorrise e, lasciando il papillon non ancora annodato, gli rispose:


19:23

Puoi aspettarmi nella sala comune, se vuoi, anche perché fuori deve fare un bel freddo.


Kurt era arrivato. Il suo ragazzo in quel momento lo stava aspettando nella sala comune della sua scuola, vestito di tutto punto per uscire con lui per il loro primo San Valentino. Ed era anche arrivato in anticipo! Come se non avesse potuto aspettare, come se anche lui non vedesse l'ora.

Infilò il telefono in tasca ed uscì dalla propria camera.


I divanetti della Dalton erano la cosa più scomoda su cui Kurt si fosse mai seduto. Probabilmente a renderli così scomodi era il fatto che in quel momento cinque ragazzi lo stavano squadrando senza dire una parola.

Kurt cominciò a chiedersi seriamente se aveva qualcosa in faccia o una mega macchia sulla maglietta – controllò per sicurezza.

Dopo qualche minuto di totale silenzio, uno di loro – un ragazzo dai tratti asiatici – aprì bocca per chiedergli:

«Sei uno nuovo?»

«Emh...» biascicò Kurt. «No, io sto... sto aspettando Blaine.»

Due dei cinque ragazzi emisero esclamazioni di gioia, dandosi il cinque a vicenda. Il più alto dei cinque – un ragazzo di colore dal sorriso simpatico – si sedette affianco a lui:

«Tu devi essere Kurt! E' una settimana che sentiamo parlare di te.»

Il ragazzo che aveva parlato per primo continuò: «Blaine sembra una radiolina rotta. Non fa che dire quanto tu sia fantasmagorico, quanto i tuoi capelli siano perfetti, quanto tu sia perfetto... cominciavamo a credere che non esistessi neppure.»

Kurt si mordicchiò il labbro arrossendo.

L'altro non gli lasciò il tempo di rispondere: «Ci ha detto anche che sei un controtenore e che hai cantato alle nazionali. È vero? Eri nel coro del McKinley, se non sbaglio. Non è che ti uniresti ai Warblers?»

Kurt sorrise al non così velato tentativo di “infilargli un blazer addosso”. Blaine l'aveva avvisato.

«Wes, smettila di fargli pressione» disse un ragazzo dai capelli neri. «Scusalo, le Regionali sono la settimana prossima e Wes è sul punto di una crisi nevrotica. Io sono Nick e lui è il mio compagno di stanza, Jeff» disse, indicando il ragazzo biondo, che rispose con un cenno della mano. «Loro invece sono David e Thad» concluse, indicando i due rimanenti.

«Siete tutti nel Glee club?» chiese Kurt.

«Tutti Warblers» confermò orgogliosamente Thad.

«Blaine mi parla spesso di voi. Sarà una bella sfida fra voi e le New Direction.»

«Non temiamo il confronto» disse Thad. «Certo la sorella di Blaine e lo spilungone nuovo sono bravi ma-» Una gomitata da David lo bloccò. «Che c'è?»

«Credo volesse ricordarti che lo spilungone – Finn – è mio fratello» disse Kurt, ridendo. Improvvisamente il divanetto non era più così scomodo. Quei ragazzi erano simpatici. Certo, un po' strani, ma dopo quattro anni nel Glee del McKinley era abituato a ben altri livelli di stranezza.

Devono essere dei buoni amici, per Blaine, pensò, sollevato al pensiero che non fosse solo.

In quel momento Sebastian attraversò l'aula comune e, nel vedere Kurt, si irrigidì.

«Ciao, Sebastian!» esclamò «Ti devo ancora ringraziare per-»

«Ciao, Kurt» disse, prima di sparire. La sua reazione lasciò Kurt perplesso, ma ogni pensiero al suo riguardo fu spazzato via perché un secondo dopo vide Blaine entrare nell'aula comune. Indossava un completo nero ed una camicia bianca, semplici ma eleganti. Al collo aveva l'immancabile papillon.

«Ma come siamo eleganti» ridacchiò Wes.

Blaine si avvicinò, grattandosi la testa imbarazzato. «Ciao.»

Kurt lo fissò, cercando di non lasciare cadere la mascella. Si alzò dal divanetto e si avvicinò a lui. «Ciao.»

Ancora titubante, sollevò la testa e fece sfiorare le loro labbra in un bacio leggero – abbastanza per far emettere ai Warblers presenti dei gridolini di gioia decisamente inappropriati.

«Noi andiamo» disse.

«Ricorda il coprifuoco» gli gridò Thad, quando ormai Blaine aveva lasciato l'aula comune.

«Non hanno provato a tirarti dentro al coro, vero?» chiese apprensivo.

«Solo un pochino» disse Kurt, sorridendo. «Sono simpatici. Sembrano dei buoni amici.»

«Lo sono.»


Quando entrarono nel locale, Kurt non poté fare a meno di spalancare gli occhi. I muri rossi del bar del loro primo appuntamento erano coperti di palloncini a forma di cuore e decorazioni a tema. I tavolini erano quasi tutti occupati da coppiette che – come loro – volevano solo passare San Valentino con la persona che amavano.

«E' stupendo» boccheggiò, senza parole. «Ed è... pieno! Sei sicuro che troveremo posto?»

«Stai tranquillo, ho i miei agganci» disse. Un cameriere li accompagnò al loro tavolo e si sedettero, cominciando a spulciare i menù, spiandosi al di sopra di essi.

Entrambi sembravano nervosi.

Alla fine, Blaine posò il menù e, sistemandosi il colletto della camicia – visibilmente a disagio – ammise: «E' il mio primo – sì, insomma, il mio primo appuntamento di San Valentino.»

«In un certo senso, lo è anche per me» disse, sentendosi sollevato da quella confessione.

«Pensavo che l'anno scorso, dal momento che eri insieme a-»

«L'anno scorso non è andato tutto esattamente bene» sospirò «ma quest'anno sarà diverso. Quest'anno sarà fantastico. È già fantastico: questo posto, la musica di sottofondo» disse, facendo un cenno alla band che, in quel momento, stava esibendosi su un piccolo palco al centro della sala. «Tu: tu sei fantastico.»

«Detto da uno che in nemmeno cinque minuti ha conquistato il cuore dei miei amici» disse, ridendo.

«Partivo avvantaggiato. Un usignolo mi ha detto che qualcuno ha parlato molto negli ultimi giorni.»

Blaine arrossì fino alla punta dei capelli: «Non posso credere che te l'abbiano detto» esclamò.

«Perché? È una cosa... carina.»

«Trovi?»

«Assolutamente. È bello dover vivere senza segreti. Sembra tutto più reale, quando lo condividi con che ti sta vicino.»

Blaine annuì: capiva perfettamente le parole di Kurt e capiva anche a cosa – a chi si riferisse, mentre per lui assumevano un altro significato. Finalmente era innamorato e niente al mondo avrebbe potuto privarlo del piacere di condividere aneddoti e racconti con i suoi amici di sempre.

Mangiarono chiacchierando del più e del meno, finché Blaine non si scusò e disse di dover andare al bagno.

Kurt ne approfittò per prendere il cellulare. Aveva un messaggio.


20.59

Allora? Come sta andando questo San Valentino?


Sorrise nel vedere il nome di Mercedes sul display. Un tempo erano stati inseparabili e non avevano segreti l'uno per l'altra. Ora le cose erano cambiate, ma a Kurt piaceva l'idea di averla ritrovata.


21.00

Ho paura di aprire gli occhi e scoprire che è tutto un sogno. Tu?


21.02

Sam mi ha portata al Bel Grissino. Sta andando tutto alla grande. Sta tornando. Ci sentiamo sta sera.


Kurt ripose il cellulare in tasca e si guardò intorno, aspettando il ritorno di Blaine. Ci stava mettendo un eternità! Cominciò ad immaginarsi uno scenario in cui Blaine sedeva annoiato sul gabinetto del locale e pensava a quanto noiosa era quella serata. Si agitò senza motivo e dovette ripetersi più volte di calmarsi.

Sta andando tutto bene Kurt. Blaine non ti sta evitando. È che un minuto senza di lui ti sembra un ora, ma scommetto che non è via da tanto.

In quel momento il gruppo terminò la canzone che stavano eseguendo e la cantante si avvicinò al microfono.

«Buonasera a tutti. Per prima cosa, vogliamo ringraziarvi per aver passato con noi la serata. Speriamo apprezzerete un piccolo cambio di programma» disse, sorridendo ed ammiccando ai clienti del locale, la cui attenzione era rivolta a lei. «Abbiamo un ospite speciale questa sera che vorrebbe dedicare una canzone alla persona con cui è venuto qui questa sera. Quindi, fate un bell'applauso a questo coraggioso giovanotto.»

La donna si fece indietro e lasciò che un'altra persona occupasse il suo posto. Una persona che Kurt riconobbe come il suo ragazzo.

«Buon San Valentino a tutti gli innamorati qui presenti» disse, rivolto al pubblico. Poi il suo sguardo si rivolse a Kurt. I loro occhi si incontrarono, come se fra loro non ci fosse nulla, non i tavolini, non gli estranei, non il tintinnio delle forchette sui piatti. Solo loro due.

«Questa è per te.»

I musicisti cominciarono a suonare l'introduzione.

Blaine era così agitato che temeva di svenire da un momento all'altro. Si aggrappò al microfono e cercò ancora una volta Kurt fra i tavolini. Incontrato il suo sguardo, non ebbe più paura.

I text a postcard, sent to you
Did it go through?
Sending all my love to you
You are the moonlight of my life every night
Giving all my love to you

Le attenzioni erano tutte per lui. La gente smise di mangiare e di fare rumore: tutti si voltarono per vedere chi stesse cantando e cercavano di seguire la linea dei suoi occhi fino a capire chi fosse la fortunata destinataria della canzone.

My beating heart belongs to you
I walked for miles ’til I found you
I’m here to honor you
If I lose everything in the fire
I’m sending all my love to you

Kurt non ci poteva credere. Nessuno gli aveva mai cantato una canzone d'amore. Era stato nel Glee club per quattro anni e di canzoni sdolcinate ne aveva sentite tante, e tante ne aveva cantate.

Ma mai aveva saputo cosa si provasse a sentirsi dedicare una canzone.

Certe persone – pensò – quando cantano mostrano se stesse. Blaine era evidentemente una di quelle, perché mai come in quel momento gli sembrava di vedere il ragazzo di cui si era innamorato.

With every breath that I am worth
Here on Earth
I’m sending all my love to you
So if you dare to second guess
You can rest assure
That all my love’s for you

Ormai in molti dovevano aver capito che la persona a cui era dedicata la canzone era il ragazzo con gli occhi lucidi che sedeva solo ad un tavolo e guardava con occhi fissi il cantante. E forse qualcuno si era anche voltato scandalizzato o offeso dal fatto che fossero due ragazzi, ma la maggior parte dei presenti vide solo due persone che si amavano.

My beating heart belongs to you
I walked for miles ’til I found you
I’m here to honor you
If I lose everything in the fire
I’m sending all my love to you

Blaine pensava con tutto il cuore le parole che cantava.

Se anche i suoi avessero scoperto la loro relazione, se anche l'avessero cacciato di casa, diseredato, rinnegato... se tutto fosse finito nel fuoco, lui non sarebbe tornato indietro.

Per la prima volta in vita sua sentiva di avere qualcosa di bello.


Il sapore delle sue labbra era come lo ricordava. La sua schiena era premuta contro l'automobile e – dal momento che erano in un parcheggio pubblico – c'erano buone probabilità che qualcuno passasse di lì e li vedesse. Non gli importava. Non ci aveva neppure pensato, troppo preso dall'assaporare le labbra di Blaine.

Gli cinse il collo con le braccia e quando sentì Blaine circondargli i fianchi e stringerlo a sé provò un brivido, ma non di paura. Provò un brivido perché si rese conto che non era un sogno: era tutto meravigliosamente vero.

«C-che ore sono?» balbettò Kurt, cercando di riprendere fiato.

«Sono le undici e mezza.»

«Cenerentola deve tornare al castello prima che la carrozza si trasformi in zucca.»

Blaine sbuffò: «Maledetto il dormitorio e i suoi orari» borbottò, facendo sorridere l'altro. «Un ultimo bacio.»

Kurt non poté dire di no. Cercò la sua bocca, divertendosi a mordicchiare il labbro inferiore e passandogli una mano fra i capelli che ormai neppure il gel riusciva più a domare. Poi sentì Blaine scendere fino a baciargli il profilo del mento e poi l'incavo del collo.

Mio Dio. Che altro gli avrà insegnato Sebastian?, pensò.

Scacciò via ogni pensiero al riguardo, perché sapeva a cosa avrebbero portato certe immagini che non aspettavano che di affollargli la mente.

Il loro bacio fu interrotto dal rumore di passi vicino a loro. La macchina più vicina alla loro distava qualche metro, quindi non potevano essere accusati di dare fastidio a qualcuno. Tuttavia Kurt sentì la fastidiosa sensazione di avere gli occhi di qualcuno addosso.

Guardò oltre la spalla di Blaine per vedere chi fossero i seccatori. Nel riconoscere il ragazzo che aveva di fronte si irrigidì.

Anche l'altro – che in quel momento lo stava fissando – sembrò riconoscerlo, perché esclamò stupito:

«Hummel?»

Kurt ne fu certo: quello davanti a lui era Azimio.

«Che diavolo ci fai qui, vicino alla mia macchina?» La ragazza che era con lui rimase in disparte.

«Io, veramente-» balbettò.

All'improvviso tutti i brutti ricordi dell'anno precedente ebbero il sopravvento e si ritrovò ad essere di nuovo il ragazzino spaventato dai bulli. L'anno scorso lui e i suoi amici gli avevano rovinato il giorno che aveva tanto atteso.

Ma quell'anno sarebbe stato diverso. Quell'anno – l'aveva promesso a se stesso – sarebbe stato bellissimo.

«Veramente sono vicino alla mia macchina e sto baciando il mio ragazzo.»

Blaine guardò confuso Azimio, senza sapere chi diavolo fosse.

«Vedo che non sei cambiato in quest'anno, Hummel: sei sempre la solita checca.»

«Anche tu non ha fatto progressi. Potrai anche avere un attestato di diploma in camera ma rimarrai sempre il pallone gonfiato dal cervello ristretto che ha sprecato i suoi anni delle superiori a rendere la mia vita un inferno invece che essere felice.»

L'altro fece alcuni passi nella loro direzione con fare minaccioso, e Kurt tremò per un istante, ricordando il numero di volte che era stato sbattuto contro l'armadietto o gettato nel bidone dei rifiuti.

Quella volta no, però. Non aveva paura. Era cresciuto.

«Non mi fai paura, Azimio. Al liceo eri qualcuno, a scuola avevi un nome ed una reputazione che ti precedeva e faceva sì che tutti ti temessero. Ora invece per me sei solo un brutto ricordo.»

«Stai attento.»

«James!» La ragazza, che fino a quel momento era rimasta in disparte, si fece avanti e afferrò Azimio per il braccio. «Per favore, lasciali stare e andiamo a casa.»

Il ragazzo guardò Kurt negli occhi, senza riuscire a fargli abbassare la testa. Poi si voltò verso la fidanzata. «Va bene.»

Si voltò senza aggiungere altro e salì in macchina. Non appena il rumore del motore si spense in lontananza, Kurt sospirò, appoggiandosi contro il cofano della sua auto.

«Vecchie conoscenze?»

«Vecchi incubi» lo corresse. «Pensavo di essermene liberato per sempre. Tendo a dimenticare quanto sia piccola Lima.»

«Sei stato coraggioso ad affrontarlo. Aveva un'aria minacciosa.»

Kurt alzò le spalle: «Penso che quelli come lui siano tutto fumo e niente arrosto. Non mi odia davvero. Odia il fatto che non è riuscito a piegarmi alle superiori e che non riuscirà a farlo mai. Odia il fatto che gente come me gli ricorda ogni giorno quanto sia bello essere se stessi e quanto sia triste rinnegarsi – come fa lui. È bravo a gridare volgarità, ma non penso arriverebbe mai alle mani. Non seriamente.»

Blaine sorrise, passandogli un braccio attorno ai fianchi e stringendolo a sé ancora una volta.

«L'anno scorso lui e i suoi amici mi hanno rovinato San Valentino. Non potevo permettere che mi rovinassero anche questo.»

In macchina, durante il viaggio fino alla Dalton, non parlarono molto. Erano stanchi e quella sera si erano già detti tutto.

Nel vedere Blaine salutarlo e oltrepassare il portone della vecchia scuola, Kurt sentì una morsa al cuore e portò una mano al petto.

Il cuore gli batteva fortissimo e sentiva le lacrime pungergli gli occhi.

E ora cosa fai, stupido, piangi di gioia?


Quell'anno era stato un San Valentino perfetto.




A/N


Eccomi qua! Le vacanze sono cominciate ma niente paura, almeno fino a luglio dovrei riuscire a pubblicare senza interruzioni (anzi, verso la fine gli aggiornamenti potrebbero farsi più frequenti.)

Questo capitolo non era previsto nella scaletta originale, ma mi sono resa conto che in questa storia mancava del fluff e visto che non ho potuto mettere del fluff natalizio (visto che la storia comincia più o meno in gennaio) ho pensato di mettere del fluff “valentinesco”.

E poi non ho saputo resistere alla tentazione dei Warblers fangirl.


Alcune precisazioni.

I nomi degli atleti nominati da Karofsky sono tutti beatamente inventati (ad esclusione ovviamente di Azimio).

Per quanto riguarda il nome di Azimio, ho setacciato wiki-glee alla ricerca del suo nome, invano, e ho scoperto che all'inizio il suo personaggio si doveva chiamare James qualcosa. Se vi risulta diversamente fatemi sapere.

Infine la canzone cantata da Blaine è “Last Night on Earth” dei Green Day (che sono la mia band preferita e chi quindi non ho resistito ad infilare nella fanfiction).


E questo è tutto. Fatemi sapere cosa ne pensate!

A venerdì!


yu_gin



coming next


Come al solito Blaine aveva lasciato il cellulare sul letto. Sbloccò la tastiera e aprì la rubrica, scorrendo finché non trovò il numero che gli serviva.

Si fermò un istante per pensare a quello che stava facendo.

Un giorno mi ringrazierai, Blaine, pensò.

Poi prese il numero di Kurt e lo cancellò dai contatti.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** talk to me ***


A Lima Side Story



Capitolo 17: talk to me



Blaine rientrò silenziosamente nella propria stanza tenendo le scarpe in mano per paura di svegliare il compagno. Precauzione inutile, visto che Sebastian era ancora sveglio e sedeva alla scrivania con un libro aperto sotto il naso.

«Pensavo dormissi».

«No, stavo studiando».

Blaine lasciò cadere le scarpe e cominciò a svestirsi, riponendo diligentemente l'abito nell'armadio. «E' andato tutto bene, per la cronaca. Anzi, è stato perfetto.»

«Bene» commentò freddamente, senza neppure sollevare la testa dal libro.

«Mi faccio una doccia e poi me ne vado a letto» annunciò, sparendo in bagno.

Non appena sentì l'acqua scrosciare, Sebastian lasciò la scrivania senza fare rumore. Come al solito Blaine aveva lasciato il cellulare sul letto. Sbloccò la tastiera e aprì la rubrica, scorrendo finché non trovò il numero che gli serviva.

Si fermò un istante per pensare a quello che stava facendo.

Un giorno mi ringrazierai, Blaine, pensò.

Poi prese il numero di Kurt e lo cancellò dai contatti.


Il giorno dopo San Valentino, Blaine si svegliò di buon umore. O meglio, i primi secondi furono orrendi perché aveva ancora un sonno tremendo e avrebbe voluto continuare a dormire tutto il giorno mentre di lì ad un'ora avrebbe avuto scuola.

Poi però ricordò cos'era successo il giorno prima. Ricordò il momento in cui aveva sceso le scale e aveva visto Kurt, il suo ragazzo, chiacchierare tranquillamente con i suoi migliori amici come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ricordò l'istante in cui Kurt si era voltato e come i suoi occhi chiari si fossero spalancati nel vederlo. Ricordò il bacio a fior di labbra che si erano dato nella sala comune, e come si fossero presi per mano andando alla macchina. Ricordò le loro conversazioni libere e sincere durante la cena. Con un sorriso poi ripensò al momento in cui era salito sul palco per cantare Last night on Earth e infine ai baci molto meno casti che si erano dati appoggiati al cofano dell'auto di Kurt.

Neppure il ricordo di quel bullo – come diavolo si chiamava? - Azimio – poteva rovinare il suo sorriso.

Prese il cellulare e scrisse un messaggio:


7.32

Ieri sera è successo davvero tutto quello che ricordo o è stato solo un sogno?


Immaginava già come avrebbe risposto Kurt. Di sicuro qualcosa come: “Dipende da che cosa ricordi” e poi magari qualche commento sulla sua esibizione imprevista.

Si vestì in fretta e raggiunse l'aula della sua lezione della prima ora. Si sedette al proprio posto, affianco a Sebastian. Nascose il cellulare nell'astuccio, così che fosse al riparo dagli occhi indiscreti del professore e fece attenzione alla lezione – prendendo addirittura appunti!

Il cellulare non si illuminò neppure una volta.

Durante la seconda ora ricevette un messaggio. Lo aprì con un sorriso, che si spense quando vide che il messaggio era di Jeff, che gli chiedeva a che ore fossero le prove quel giorno.

Alla terza ora ricevette un altro messaggio. Neppure questa volta da parte di Kurt. Cercò di rispondere in tono entusiasta a Wes che gli chiedeva come fosse andato l'appuntamento del giorno prima, tuttavia fu difficile nascondere la sua apprensione.

Kurt era solito rispondere con sollecitudine ai suoi messaggi. Come poteva essere successo. Forsepensò – oggi non lavora e ne ha approfittato per dormire fino a tardi. O forse il cellulare gli si è scaricato. O forse l'ha perso. O...

O forse era lui ad essere troppo insistente. Forse l'emozione di avere un ragazzo gli stava facendo perdere la testa e si stava comportando come un idiota. In fondo avevano passato tutta la serata insieme neppure dodici ore prima. Potevano resistere senza sentirsi per dodici ore, no?

La giornata proseguì ma non ricevette risposta.

Era ormai pomeriggio inoltrato e Blaine poteva giurare di essersi sentito poche volte in vita sua agitato a tal punto. Era semplicemente ridicolo. Probabilmente si stava immaginando tutto.

Tuttavia non resistette a spedire un ulteriore messaggio.


17.18

Ehi, tutto bene?


Ma neppure quello ricevette risposta.



Finite le prove del coro Blaine uscì dalla stanza. L'euforia di quella mattina era completamente esaurita, in parte dalle prove sfiancanti, in parte dal silenzio di Kurt.

Infatti ad esclusione di un messaggio da un numero sconosciuto (probabilmente sbagliato), che cancellò stizzito non appena ebbe modo di constatare che non era di Kurt, il suo telefono era rimasto silenzioso.

Nel sentire una mano posarsi sulla sua spalla si voltò.

«Wes» esclamò.

«Blaine, tutto bene? Perché oggi non sprizzi gioia da tutti i pori come sei solito fare? Pensavo che l'appuntamento di ieri fosse stato fantastico.»

«Lo è stato. Cavolo se lo è stato! Davvero, non avrei potuto sperare di meglio.»

«Ma...?»

«Ma niente. Hai presente quando ti accade una cosa bellissima e poi cadi nella depressione più nera perché al confronto le tue giornate sembrano grigie e insulse?»

«Credo di capirti. È il prezzo da pagare per essere innamorati, suppongo» disse, battendogli la mano sulla schiena.

«Già» borbottò. Dopo poco vide avvicinarsi Sebastian. Aveva uno strano sorriso sul volto. Il sorriso di uno che non ha buone intenzioni.

«Allora, come va col fidanzatino?»

«A meraviglia, grazie per l'interessamento» disse Blaine, cercando di evitarlo. Impresa impossibile, visto che erano compagni di stanza e conosceva abbastanza bene Sebastian per sapere che – se voleva irritarlo – non si sarebbe fermato prima di aver raggiunto l'obbiettivo.

«Non sembra. Continuavi a guardare insistentemente il cellulare ma non ti ho mai visto scrivere. O sorridere.»

«Sa che le Regionali sono vicine e non vuole disturbarmi durante le prove. Tutto qui.»

«Come no. Posso provare ad indovinare il vero motivo del tuo atteggiamento da cucciolo gettato in un cassonetto?» Non attese conferma e ricominciò a parlare: «Ieri sera hai dato il peggio di te: scommetto che l'hai portato in un posto super-romantico, ovviamente per una cena. E poi magari gli hai anche cantato una canzone.»

Blaine lo fissò a bocca aperta.

In realtà Sebastian aveva semplicemente sentito Blaine raccontare a Wes i suoi progetti per San Valentino, ma adorava farlo sentire tremendamente scontato e prevedibile.

«Poi vi sarete baciati in macchina o in un parcheggio prima che lui ti riaccompagnasse alla Dalton. Quindi scommetto che questa mattina gli hai scritto un messaggio sdolcinato a cui lui non ha risposto.»

Blaine lo fissò ancora più sbalordito. Ovviamente Sebastian aveva un trucco anche per quello.

«Okay, va bene, è andata come hai detto tu. Non vuol dire niente.»

«Possibile che tu sia così ingenuo? Pensi davvero che uno così si accontenti di una cena al ristorante e un messaggio sdolcinato?»

«Uno così?» chiese.

«Blaine, sai di cosa parlo» disse, serio. «Sono stato allo Scandals qualche sera fa e indovina un po' chi ho visto?»

L'altro distolse lo sguardo. Effettivamente era strano che non l'avesse scoperto prima. Il fatto che Kurt lavorasse solo alcuni giorni a settimana aiutava, ma non poteva sperare che il suo segreto rimanesse al sicuro per sempre.

«Tu lo sapevi, non è vero? L'hai conosciuto lì, dopo uno dei suoi spettacoli. Sai che tipo di ragazzo è e puoi provare ad immaginare a che cosa sia abituato.»

«Sei tu quello che non sa nulla di lui.»

«Apri gli occhi: ti sei preso una cotta stratosferica per lui e quindi non riesci a vederlo in maniera oggettiva. Scommetto che i tuoi modi da scolaretto lo fanno sbellicare dalle risate alle tue spalle.»

Blaine sbuffò esasperato: «E allora mi spieghi perché si sarebbe messo con me? Non poteva semplicemente lasciarmi perdere?»

«Si sta solo divertendo. Per lui sei un passatempo. La verità è che Kurt è più simile a me di quanto tu creda. O voglia credere.»

«Kurt non è affatto come te. Kurt non cambia i ragazzi con la frequenza con cui io cambio i miei papillon, come invece fai tu.»

«E questo da cosa lo deduci? Dal fatto che te l'abbia detto? Esiste una cosa chiamata “mentire”, Blaine, e la gente lo fa spesso. Lo hai fatto anche tu per tanto tempo e lo fai ancora, con la tua famiglia.»

«Mi spieghi perché lo fai, Seb? Mi spieghi perché tutto ad un tratto sembri odiarlo? Sei stato tu a cercare di spingermi fra le sue braccia fin dal primo giorno. Se non fosse stato per te io e lui ancora ci odieremmo. Tu non hai idea di quanto io ti sia grato per tutto ciò che hai fatto per me in questi anni e in particolare in quest'ultimo mese. Perché ora devi rovinare tutto?» chiese.

Sebastian si sentì punto nel vivo. Una cosa era assumere la parte dello stronzo – e lui adorava fare lo stronzo: ce l'aveva nel sangue – un'altra era fare la parte del cattivo. E questo non lo accettava.

«E' proprio perché tengo a te che lo sto facendo. Blaine, tu ti stai innamorando di lui più di quanto lui stia facendo con te. È entrato nella tua vita e l'ha stravolta senza che tu potessi evitarlo. Stai cambiando per lui, stai facendo passi da gigante solo per lui, per un ragazzo che conosci da un mese. Lui cos'ha fatto per te? Quanto è cambiato lui, da quando l'hai conosciuto? Si è forse infilato un blazer per venire a cantare nel nostro coro allo stesso modo in cui tu ti sei tolto l'uniforme – e non solo quella – allo Scandals.»

Blaine spalancò gli occhi e arrossì leggermente. Non immaginava che Sebastian sapesse anche quello.

«Lo stai idealizzando, Blaine, ed è la cosa peggiore che tu potessi fare. I miei consigli non erano volti a conquistare il suo cuore di panna, ma a fare irruzione nei suoi pantaloni, mi spiego?» Le sue labbra si piegarono in un sorrisetto. «Scommetto che sogni la vostra prima volta da prima che vi metteste insieme. Probabilmente ti immagini qualcosa di così romantico da far vomitare arcobaleni pure a me, del tipo voi due in un meraviglioso letto a baldacchino con candele d'atmosfera e dolci sussurri. Beh, mi duole informarti che il sesso non è così. È sporco e rude e più che sussurri ci sono gemiti. Ah, e niente letti a baldacchino: normalmente si finisce sui sedili posteriori dell'auto o nei bagni di un locale.»

«Questo è il tipo di sesso che conosci tu.»

«Questo è il tipo di sesso che conosce il tuo ragazzo. Lavora allo Scandals: pensi davvero che possa essere ancora vergine? Quella che per te sarà la prima volta per lui sarà la cinquantesima.»

«Sai che ti dico, Sebastian? Non m'importa. Non m'importa se l'ha già fatto con il suo ex, dove l'ha fatto o quante volte. Non so neppure se arriveremo mai a quel punto e quando questo accadrà. Ma so una cosa: voglio che sia con lui. Io voglio stare con lui, col ragazzo che ho conosciuto e di cui mi sto innamorando. Lui non è come tu dici.»

«Ma dai! Scommetto che ieri sera, dopo averti accompagnato alla Dalton, è andato in qualche locale a finire la festa. Scommetto che col sedere che si ritrova non ha avuto difficoltà a trovare compagnia-»

Sebastian quasi non riuscì a terminare la frase perché il pugno di Blaine lo colpì in pieno viso. Si sbilanciò all'indietro e lo guardò allibito.

«Che c'è? Non è colpa mia se il tuo ragazzo ha la faccia da cockslut1

Questa volta Sebastian fu più veloce e riuscì a schivare il pungo e a ricambiare. Si stavano letteralmente azzuffando per i corridoi della Dalton.

Prima che un professore intervenisse per fermarli si erano già procurati alcuni lividi e un occhio nero a testa.

Ci vollero due insegnanti per dividerli e furono immediatamente spediti dal preside.


L'uomo li fissava, tamburellando le dita sulla scrivania.

«Allora?»

Blaine e Sebastian erano seduti davanti al preside e si davano vicendevolmente la schiena., evitando così di guardarsi negli occhi. Negli occhi neri e decisamente gonfi.

«Anderson, Smythe, uno di voi due vorrebbe dirmi perché due studenti modello come voi si stessero azzuffando nei corridoi della scuola?»

«Glielo dico io» intervenne Sebastian. «Gli ho aperto gli occhi sulla sua ragazza e lui non l'ha presa bene.»

Blaine strinse i pugni. Il desiderio di voltarsi e ricominciare la zuffa da dove erano stati interrotti era forte. Sapeva che con quel suo riferirsi a Kurt come la sua “ragazza” voleva ricordargli quanto fosse precaria la sua situazione.

I suoi genitori sarebbero sicuramente stati informati di quella lite e del motivo che l'aveva scatenata. Non poteva assolutamente permettersi che venissero a scoprire la verità e questo lo sapeva anche Sebastian.

«Immagino tu non abbia usato termini molto educati» suggerì l'uomo.

«Dopo il primo pugno potrei essermi fatto scappare una parola poco elegante. Ma prima non ho fatto altro che fargli notare ciò che lui si rifiuta di vedere.»

«Hai fatto delle sporche insinuazioni!» gridò Blaine.

«Insinuazioni giustificate» precisò.

L'uomo li zittì spazientito: «Non mi interessa sapere se le insinuazioni fossero fondate o meno, né voglio che mi riferisca i termini che hai usato, Smythe. Sono questioni che voi adolescenti dovreste imparare a risolvere da soli. Solo non tollero la violenza nel mio istituto. La nostra politica è piuttosto severa al riguardo.»

Blaine deglutì. Sapeva di non essere in una buona situazione. Inoltre fare parte del club di boxe di certo non migliorava la sua posizione.

«I vostri genitori saranno informati della lite» disse. «L'accaduto verrà segnalato nelle vostre schede e potrebbe penalizzarvi nella scelta dei college.»

Sebastian alzò gli occhi al cielo. Sapeva che tutto quel parlare era più per terrorizzarli.

«E infine non avrete il permesso di lasciare l'istituto fino alle Regionali. Non posso impedirvi di partecipare alla competizione perché so che siete due dei solisti migliori e ciò significherebbe costringere i Warblers alla sconfitta. Ma se l'episodio dovesse ripetersi sacrificherò la vittoria del nostro coro, sono stato chiaro.»

I due annuirono.

«Ed ora tornate nella vostra stanza. E non costringetemi a rivedervi.»

Lasciarono l'ufficio del preside e camminarono in silenzio fino alla loro stanza. Non si rivolsero la parola neppure per decidere chi dovesse andare prima in bagno. Neppure per insultarsi nuovamente.

Verso le nove di sera Blaine ricevette una chiamata. Non appena sentì il cellulare squillare, sobbalzò e si avventò su di esso.

Quando lesse sullo schermo il nome “Papà” gli si gelò il sangue nelle vene.

Fu quasi tentato di non rispondere, ma poi si rese conto che quell'atteggiamento avrebbe solo peggiorato le cose.

«Sì?»

«Blaine?»

Riconobbe la voce: era sua madre.

«Mamma?»

«Tesoro, questo pomeriggio ha chiamato la scuola e ci ha detto della lite. Io e tuo padre siamo così preoccupati!»

Blaine sentì la voce di suo padre pretendere il telefono e poco dopo il suo tono cupo ed autoritario gli risuonò nell'orecchio.

«E' vero quello che ha detto il preside? E' vero che hai cominciato tu la rissa?» chiese.

Blaine si guardò intorno. Era solo nella stanza: Sebastian probabilmente stava saccheggiando di nascosto la mensa visto che, a causa della capatina nell'ufficio del preside, avevano saltato la cena.

«Sì.»

«Non ti avrà mica... molestato?»

«Papà!» esclamò. «No! Lui... no, niente “molestie”. Lui ha solo... ha detto delle cose cattive» disse, in un sospiro.

«Delle cose cattive di che genere?» indagò.

Respirò a fondo prima di aggiungere: «Delle cose cattive su... sulla ragazza con cui esco.»

Lo aveva fatto. Aveva di nuovo mentito. Si era vergognato di Kurt e di quello che c'era fra loro. In quel momento non era molto diverso da Dave, il suo ex. Si sentì male al solo pensiero.

«In tal caso hai fatto bene. Sono fiero di te.»

«Papà, gli ho tirato un pugno! Io... non è mai un bene la violenza.»

«Non fare la femminuccia. Fai boxe per qualcosa, no? Certe cose non si risolvono a parole. Certe cose si lavano via solo con una dose di pugni.»

Blaine storse il naso schifato a quelle parole. Non poteva averlo detto davvero.

«Sono fiero di te, Blaine. Sei un vero uomo.»

Non resistette più e interruppe la chiamata, prima che i suoi nervi cedessero: ancora un'altra parola e gli avrebbe gridato in faccia che il suo figlio tanto macho e virile era – per citarlo – una checca, un finocchio.

Poco dopo ricevette un messaggio preoccupato da Rachel in cui gli chiedeva cosa fosse successo con Sebastian.

Era sul punto di rispondere quando la stanchezza ebbe la meglio. Da Kurt ancora nessuna risposta.


Kurt si svegliò tardi quel giorno e dovette vestirsi e lavarsi nel giro di qualche minuto, prima di scappare fuori per prendere l'autobus. Da quando Finn aveva ripreso ad andare a scuola tendeva a lasciare a lui la macchina di mattina anche se, in quel modo, doveva prendere l'autobus.

Arrivò al lavoro in ritardo e così fu costretto a rimanere oltre il suo orario per recuperare. Senza contare che, passato San Valentino, qualcuno doveva avere l'ingrato compito di staccare e riporre in magazzino i festoni oltre a mettere ordine fra i nuovi arrivi. Per sua sfortuna il capo designò lui.

Uscì dal negozio alle cinque e mezza e come prima cosa avvertì Finn che sarebbe arrivato con l'autobus successivo. Poi diede un'occhiata ai messaggi ricevuto.

Ancora niente.

Era strano.

Si sarebbe aspettato almeno un messaggio da Blaine, che di solito non resisteva più di qualche ora senza scrivergli anche solo per raccontargli qualche aneddoto divertente o per chiedergli come stava.

Poi si ricordò che era stato lui stesso a dirgli di stare attento durante le lezioni e di non distrarsi col cellulare. Senza contare che mancava meno di una settimana alle Regionali e di sicuro aveva prove per tutto il pomeriggio. Probabilmente si sarebbero sentiti quella sera.

Pensò di mandargli un messaggio.


17.46

Sei silenzioso oggi. Tutto bene?


Attese fino a ché non arrivò l'autobus e poi continuò a monitorare il cellulare per tutto il tragitto. Nulla.

Non ricevette messaggi per tutta la serata e quando lasciò il cellulare nel camerino dello Scandals per eseguire il suo numero, cominciò a sentire un pizzico di apprensione.


Dave sapeva bene in che giorno e a che ora Kurt lavorava allo Scandals e non gli fu difficile sgattaiolare nei camerini. Forzare la serratura fu un gioco da ragazzi – non era molto più complessa di quella degli armadietti scolastici, che aveva aperto impunemente così tante volte da aver perso il conto.

Individuò il cellulare di Kurt giusto affianco alla trousse di Santana.

La musica fuori continuava ad assordare i presenti e lui sapeva di avere ancora tempo. Prese dalla tasca il foglietto con il numero e sospirò.

Lui e Sebastian avevano studiato a fondo il loro piano ed avevano convenuto che fosse la cosa migliore da fare. Non ci sarebbero stati litigi o traumi da superare. Sarebbe stato tutto molto indolore. In fondo quei due si conoscevano solo da un mese, non poteva essere una cosa seria, no?

Ecco cosa avrebbe dovuto fare Dave: avrebbe preso il numero di Blaine e l'avrebbe sostituito con il numero di un cellulare che in quel momento era nelle mani di Sebastian.

Sarebbe stato lui a dirigere i giochi – per quanto questo punto non piacesse particolarmente a Dave. Avrebbe preferito leggere i messaggi che avrebbe mandato a Kurt, pregarlo di non essere troppo cattivo. D'altro canto, però, non avrebbe mai accettato di fare il lavoro sporco.

Ripose il cellulare dove l'aveva trovato ed uscì dal camerino.


Finito il numero, Kurt e Santana rientrarono nel camerino. La donna aveva estratto la chiave dalla tasca quando si accorse che la porta era aperta.

«Kurt, quante volte ti ho detto di chiudere la porta? Lo Scandals non è esattamente un locale per bene.»

«Ma se sei uscita te per ultima?» protestò lui, entrando in camerino. «Sei sicura di aver chiuso?»

Santana si grattò il mento dubbiosa: «Non ricordo. È un po' come lavarsi i denti: non ti ricordi mai se li hai già lavati o no.»

Kurt diede un'occhiata in giro: «Ad ogni modo non mi sembra che manchi niente. Il mio cellulare è dove l'ho lasciato ed era l'unica cosa che potevano rubare.»

«Magari un maniaco voleva rubarti il numero di cellulare.»

«Non dirlo neanche per scherzo!» esclamò Kurt.

Santana ridacchiò: «Scherzavo. Lo so che adesso sei un ragazzo impegnato e che il tuo muscolosissimo e pericolosissimo fidanzato metterebbe in fuga qualsiasi rivale.»

Kurt mise il broncio: «Molto divertente. Continua a prendere in giro il mio ragazzo.»

Santana lo abbracciò, per farsi perdonare: «Lo sai che piace anche a me. Penso sia la persona giusta per te. Non ti ci vedrei proprio con uno grande, grosso e muscoloso. E poi, che ci vuoi fare: il fascino della divisa!»

Kurt sorrise mentre con le dita giocherellava con i tasti del cellulare. Sbloccò la tastiera e fissò lo schermo.

Nessun messaggio ricevuto.


Per Kurt quella mattina non fu affatto un buon risveglio. La stanchezza sommata al silenzio di Blaine lo avevano reso triste. Provò a fare le frittelle per colazione, ma finì per bruciarle.

Finn, attratto dallo sfrigolio della pastella scese le scale già pregustando la colazione. Quando sentì Kurt imprecare capì che qualcosa non andava.

«Kurt, hai bruciato le frittelle?» chiese stupito.

«Scusa tanto! Non sono un maledetto cuoco» sbottò.

«Non è per quello. È che l'ultima volta che le hai bruciate...» L'ultima volta ti eri lasciato con Karofsky. Avevi gli occhi così appannati dalle lacrime da non riuscire a vedere quello che facevi. «E' stato molto tempo fa» concluse, invece.

«Scaldo i toast.»

«Lascia, faccio io» assicurò Finn, facendolo sedere e tenendolo rigorosamente lontano dai fornelli.

Kurt sbuffò, prese un biscotto dalla scatola e cominciò a sgranocchiarlo.

«Finn, ricordi cosa mi dicesti una volta di Rachel?»

«Tipo che è la ragazza più straordinaria che abbia mai conosciuto.»

«Sì, oltre a questo – che ripeti più o meno una volta al giorno – una volta mi dicesti che secondo te non avevi speranze con Rachel, perché “una come lei” per citarti “non avrebbe mai guardato uno come te”.»

Finn afferrò nervosamente i toast. «Qualcosa del genere, sì. Ma che c'entra ora?»

Kurt cominciò a spalmare distrattamente il burro e mormorò in un sussurro: «E se le cose fra me e Blaine non fossero così semplici come pensavo?»

Finn fece un bel respiro e si sedette affianco a lui. Cercò di mantenere la calma. Si era ripromesso di aiutare sempre il suo fratellino quando avesse avuto problemi di cuore, ma la paura di dare consigli sbagliati o di dire una parola di troppo era grande.

«Avete litigato?»

«No. Non è questo, anzi. Se avessimo discusso almeno saprei da dove partire, ma il punto è che è dall'altro ieri che non lo sento.»

Finn lo guardò perplesso: «L'altro ieri, cioè quando siete usciti insieme per San Valentino?»

«Già.»

«E tu ti preoccupi perché non lo senti da un giorno?»

«Finn, già prima di metterci insieme ci sentivamo ogni giorno. Fra sms e appuntamenti al Lima Bean non passavamo più di ventiquattrore senza avere notizie l'uno dell'altro.»

«Hai pensato che, dato che le Regionali sono fra meno di una settimana, forse ha avuto prove tutto il giorno?»

«Tutto il giorno?» chiese dubbioso.

«Fidati, se il McKinley avesse dei dormitori il professor Schuester ci farebbe dormire lì e provare tutta la notte. Con l'aiuto di Rachel, ovviamente: lei è quasi più lanciata di lui.»

Kurt si sentì un po' rincuorato. «Quindi dici che non mi devo preoccupare?»

«Non per così poco.»

«Va bene. Però resta un fatto: i suoi genitori. Non mi accetteranno mai.»

«Kurt, i suoi genitori non ti accetterebbero neppure se fossi il principe del Galles! Sono degli omofobi e il problema non è la tua estrazione sociale o il tuo titolo di studi. Il problema per loro è che sei un ragazzo. E su questo non potranno farci nulla: prima lo accetteranno meglio sarà per loro. Certo, quando lo scopriranno...»

«E non pensi sarebbe meglio per lui se il primo ragazzo che portasse a casa fosse per lo meno... un buon partito?»

«Dico, ma ti senti? Stai parlando come una vecchia comare. Il mio consiglio è: smettila di parlare e fai colazione. Dimentica tutti questi assurdi discorsi. Da quando hai imparato a parlare sostieni che l'amore è amore e che ognuno è libero di amare chi vuole. Non ti ha mai fermato il tuo orientamento sessuale, vuoi farti scoraggiare dalla “condizione sociale”?»

Kurt annuì pensieroso.

«E per quanto riguarda quello che ho detto su me e Rachel» continuò Finn «Lì non mi riferivo solo ad una questione di classe sociale o di famiglia. Mi riferivo al fatto che lei ha dei progetti per la vita, mentre io non vedo più in là del diploma.»

Kurt si soffermò a pensare che lo stesso valeva per lui e Blaine. Tuttavia disse invece:

«Ci sono ancora le Regionali, Finn. E le Nazionali. Aspetta a dire che non hai progetti.»

«Pensi che possa avere qualche possibilità di andarmene da Lima.»

«Ehi, quando eravamo nel Glee club insieme eravamo inarrestabili» disse, sorridendogli. «Chi dice che non può essere di nuovo così? Chi ti dice che non possiamo fare strada, insieme? Ci ti dice che non ce la farai, anche da solo?»

«Siamo realistici, Kurt.»

«Sii sognatore, invece, visto che essere realistici, fino ad ora, non ci ha portati da nessuna parte.»

Finn si grattò la testa, imbarazzato.

«Promettimi una cosa» disse.

«Ossia?»

«Quando ce ne andremo – se mai ce ne andremo – lo faremo insieme.»

Kurt sorriso: «Promesso.»


Jeff si schiarì la voce, distraendo così Nick dai vocalizzi.

«Sei arrivato.»

«Sono passato in camera a prendere gli spartiti appena finita la lezione di Geografia» disse, avvicinandosi a lui.

«Quindi ti sta bene la storia del duetto» ne dedusse.

Jeff sospirò, poi però sorrise: «Non so come ho potuto essere così stupido da farmi venire qualche dubbio. Noi due insieme spacchiamo. Siamo due forze della natura e lo siamo sempre stati.»

«Hai visto qual'è il brano previsto, vero?» chiese.

Sì, Jeff l'aveva visto. Quando aveva letto il titolo del brano aveva quasi fatto un colpo.

Kiss from a rose.

Dannazione, che si erano messi in testa Dave, Thad e Wes? Volevano davvero scandalizzare la giuria? Insomma, non era esattamente una canzona appropriata da cantare in duetto, soprattutto per due ragazzi. Due ragazzi etero.

Certo, se per tutto il brano avessero fissato il pubblico, forse sarebbero riusciti a convincere gli spettatori che la canzone era dedicata ad una ragazza seduta fra gli spalti.

Per gli spettatori sarebbe bastato. Ma per lui?

«Ho visto.»

«E' un bel brano» disse Nick.

«Forse avrei preferito qualcosa di più movimentato. Sai, meno romantico» commentò, sfogliando distrattamente gli spartiti. «Ma è un bel brano. E l'arrangiamento per coro a cappella sarà fantastico, già me lo immagino.»

Nick si sedette al pianoforte e suonò l'introduzione del brano, poi si fermò e si voltò verso Jeff: «Sei pronto?»

L'altro annuì, sedendosi affianco a lui.

Nessuno dei due si fece remore per il fatto che i loro gomiti si stessero toccando, né che i loro visi fossero pericolosamente vicini o che quando Jeff si sporse per voltare la pagina dello spartito Nick poté praticamente affondare il viso fra i suoi capelli platinati. Ma non lo fece.

Provarono per un'ora intera prima di concedersi una pausa.

«C'è ancora tempo, ma direi che siamo sulla buona strada» disse Jeff.

«Sono contento che alla fine tu abbia accettato di fare questo duetto.»

«Come avrei potuto altrimenti? Le nostre voci sono esplosive insieme.»

«Non-non solo per quello» ammise Nick.

Quella frase a metà, per entrambi, era già abbastanza.


Blaine immerse il viso nell'incavo del collo del ragazzo steso affianco a lui. Kurt rise, solleticato dai suoi riccioli ribelli. Adorava quando non metteva il gel. Adorava vedere “l'uomo senza prodotto” e glielo diceva sempre, ogni volta che poteva immergere le dita fra i suoi splendidi capelli.

«Dici che dovremmo alzarci?» disse Kurt, stringendo una mano attorno al suo fianco.

«Nah» protestò Blaine «Rimaniamo ancora un po' così. Restiamo così finché possiamo.»

«Lo sai che devo andare al lavoro. Mentre tu hai lezione, oggi» gli fece notare, baciandogli la fronte.

Blaine sbuffò: «Non capisco perché devi sempre fare il responsabile.»

«Perché uno di noi due deve pur fare l'adulto, no? E visto che tu non mi sembri in vena...» Kurt provò ad alzarsi, ma Blaine lo afferrò, facendolo nuovamente piombare sul letto.

«Cinque minuti, poi ci alziamo entrambi.»

«Andata.»

Blaine si accoccolò contro il suo petto, circondandogli il busto con le braccia ed impedendogli di fatto di alzarsi prima che i cinque minuti che gli erano stati promessi fossero passati.

«Pensi mai a quando eravamo ancora a Lima?» chiese Kurt, ad un certo punto.

Blaine alzò le spalle: «E' stato molto tempo fa.»

«Mentre ora siamo a New York. A volte neppure ci credo.»

«Ce ne siamo andati. Lì non potevamo essere felici» disse. «Lì dovevamo fare attenzione se volevamo tenerci per mano fuori di casa, dovevo sopportare gli sguardi di disapprovazione dei miei genitori e tu i tuoi vecchi compagni delle superiori che continuavano a tormentarti. Qui invece è molto meglio. Abbiamo cominciato una nuova vita.»

«Ma abbiamo lasciato indietro qualcuno» disse.

Blaine sospirò: «Rachel ha la sua vita ormai.»

«Anche Finn, se è per questo, ma il fatto che la loro vita non comprenda la nostra è... sbagliato. E non sono gli unici cui abbiamo dovuto dire addio. Abbiamo lasciato i nostri amici dei Glee club – le New Direction e i Warblers – e Santana e Sebastian. E Dave. Erano nostri amici.»

«Abbiamo sempre noi.»

Kurt si morse le labbra. «Lo so» disse. Ma non ne sembrava più convinto.

Blaine si sollevò, improvvisamente preoccupato. «Che c'è?»

«E' sbagliato, Blaine. Stiamo sbagliando tutto.»

«E' la nostra vita. È la vita che abbiamo scelto: solo noi due e i nostri sogni nella città che ci permetterà di realizzarli.»

«La stai idealizzando, Blaine, ed è la cosa peggiore che tu potessi fare.»

«Aspetta un momento, questo me l'ha già detto Sebastian. Come conosci le parole esatte che mi ha detto?»

«Perché è un tuo sogno, Blaine. Tutto questo è un sogno.»

Blaine provò ad aggrapparsi a quell'immagine, ma per quanto stringesse forte le dita-


Si svegliò di soprassalto, respirando pesantemente. Affianco a lui Sebastian dormiva pacificamente con la testa affondata sul cuscino ed un braccio piegato in modo scomposto. Tutto regolare.

Non era a New York. Non aveva finito le superiori. E soprattutto, non aveva Kurt al suo fianco.

Era stato solo un sogno – o forse avrebbe dovuto definirlo un incubo. Rabbrividì, stringendosi alle coperte.

Erano passati quattro giorni da San Valentino. Alla fine Kurt si era fatto vivo, ma non nel modo in cui aveva sperato.

All'ennesimo messaggio in cui gli chiedeva cosa stesse succedendo, Kurt aveva effettivamente risposto: “Forse è meglio se non ci sentiamo per un po'.”

Non era da lui. Non era assolutamente da lui. Kurt non era uno da lasciare le cose non dette: se c'era un problema fra loro – che problema, poi? - l'avrebbe affrontato a viso aperto, faccia a faccia. Più ci pensava più si convinceva che fosse successo qualcosa.

Possibile che ci fosse sotto lo zampino di sua sorella? Magari aveva paura che Kurt gli spifferasse qualcosa sulle Regionali. No, Rachel non avrebbe mai fatto una cosa così stupida, non senza prima avvertirlo.

E se gli fosse successo qualcosa? Forse aveva litigato con suo fratello. O con Dave. Rabbrividì al pensiero e lo scacciò con decisione.

E se Sebastian avesse ragione? E se si fosse semplicemente stancato di me? Ma anche questo non aveva senso. Se non si era stancato di lui per quel mese intero in cui si erano rincorsi come ragazzini, perché doveva essersi stancato ora?

Non ci capisco più niente.

Sapeva solo una cosa: alle regionali l'avrebbe rivisto. Alle regionali avrebbero chiarito tutto.


Kurt sapeva che quello che stava facendo era molto stupido e che se ne sarebbe pentito.

Non era da lui piombare in casa altrui per chiedere spiegazioni.

Tecnicamente, si ricordò, quella non era casa di Blaine, ma la sua scuola. Non sarebbe mai piombato a casa del suo ragazzo, sapendo che tipo di genitori l'avrebbero aspettato.

Blaine gli aveva detto tempo prima gli “orari di visita” senza contare che, essendo un ragazzo, poteva godere di più libertà rispetto alle ragazze. Kurt sorrise per la stupidità del regolamento ma non se ne dispiacque se gli permetteva di vedere Blaine.

Passò per la segreteria e fece come aveva fatto l'ultima volta – non poteva credere che fossero passati solo una manciata di giorni da quella fantastica sera, da quello che poteva definire senza ombra di dubbio il più bell'appuntamento della sua vita.

Ostentò naturalezza mentre camminava per i corridoi, indossando un giubbotto per non far notare l'assenza della divisa. Nessuno lo fermò, nessuno lo fissò curioso. Camminò a passo spedito verso la sala comune, sperando di incrociare qualche Warblers di sua conoscenza.

Solo in quel momento si rendeva conto di quanto fosse stato mal strutturato l'intero piano. Aveva agito d'impulso – cosa che faceva molto raramente – e ora cominciava a credere che il suo atteggiamento avrebbe potuto peggiorare le cose.

Beh, effettivamente sarebbe stato difficile peggiorarle. Dopo il messaggio ricevuto quel giorno non aveva più potuto evitare di agire.

Dopo giorni di silenzio, alla sua richiesta di incontrarsi, aveva ricevuto in risposta solo una manciata di parole.

In questi giorni sono molto impegnato e non potremo vederci.”

Non c'è problema” aveva risposto “solo mi piacerebbe sapere cosa c'è che non va.”

Nulla”

Kurt aveva preso il coraggio a due mani e aveva scritto:

E allora perché sono quattro giorni che non ti fai sentire?”

La risposta si era fatta attendere un po'. Poi era arrivata.

La scuola e il coro assorbono tutto il mio tempo. Inoltre devo studiare se voglio riuscire a diplomarmi con ottimi voti. L'anno prossimo voglio andare in un buon college.”

Kurt dovette scacciare a fatica il pensiero che quell'ultima frase fosse una frecciatina. Come se Blaine gli volesse dire: “non voglio finire come te solo perché siamo insieme.” Ma no, Blaine non gli avrebbe mai scritto una cosa del genere. Era fuori questione.

A volte non sembri tu.”

Sto cambiando. O forse non mi conosci abbastanza.”

Questo faceva male. Faceva male soprattutto se ripensava a tutte le conversazioni che lui e Blaine avevano avuto sul cambiare e sul conoscersi prima di giudicare. Era come se l'altro ignorasse ciò che si erano detti o l'avesse volutamente dimenticato.

Era come se a scrivere fosse un altro.

Aveva provato a chiamarlo due volte. La prima il cellulare aveva suonato a vuoto. La seconda volta Blaine aveva rifiutato la chiamata.

Kurt arrivò nella sala comune e rimase in piedi, in attesa di incontrare qualcuno. Erano le cinque e mezza e probabilmente molti stavano tornando dalle attività pomeridiane. Avrebbe di sicuro incontrato un Warbler. In caso di estrema necessità avrebbe chiesto ad un ragazzo qualsiasi.

Non voleva mandare un messaggio a Blaine: temeva che sapendolo lì l'avrebbe evitato. Una volta faccia a faccia non avrebbe più potuto scappare.

Stava già cominciando ad agitarsi quando vide passare Sebastian.

Lo chiamò per richiamare la sua attenzione. Quando Sebastian lo vide cercò di dissimulare una smorfia e gli riuscì abbastanza bene perché Kurt non sospettò nulla.

«Kurt, ma che sorpresa» mormorò, avvicinandosi a lui.

«Io sto cercando Blaine.»

«Non mi ha detto che saresti passato.»

«Io non gliel'ho detto. Ho bisogno di parlare con lui. È importante.»

«Perché non l'hai chiamato? Sarebbe stato più semplice.»

Kurt sospirò: «Non mi risponde. E i suoi messaggi sono...strani.»

«Strani?» ripeté.

«Sì, come se non fosse lui a scriverli. Come se fosse un altro. Ho anche sospettato che li avesse scritti da ubriaco o che uno dei suoi amici gli avesse rubato il cellulare, ma è da un po' di giorni che si comporta in modo strano.»

«Che vuoi che ti dica: le Regionali che si avvicinano, la scuola...»

«Immagino che sia impegnato. Insomma, io stesso gli ho detto di non distrarsi dalla scuola e dalla musica perché altrimenti se ne sarebbe pentito. Gli ho detto che lo avrei aspettato.»

Sebastian si morse le labbra nel sentire quelle parole. Più parlava con Kurt più l'immagine che andava facendosi di lui si avvicinava a quella che gli aveva descritto Blaine: di un ragazzo serio e davvero interessato a lui. E questo non faceva che minare le sue sicurezze e acuire i suoi sensi di colpa.

«E allora perché sei qui? Glielo hai detto tu stesso.»

«Una cosa è vedersi solo due o tre volte a settimana, una cosa e non sentirsi per giorni. Insomma, anch'io l'anno scorso mi barcamenavo fra scuola e coro e lavo-» si interruppe. «Fra scuola e coro, ma trovavo lo stesso il tempo per uscire.» Con Dave, pensò, mordendosi le labbra.

«Scusa se te lo dico, ma ritengo che gli standard della Dalton siano un tantino superiori a quelli del McKinley.»

Kurt dovette trattenersi dallo spalancare la bocca. Offese gratuite. Decisamente da Sebastian. «Ho sudato per ottenere il diploma e sono uscito con ottimi voti.»

«Infatti adesso fai il commesso da GAP.»

«E' un crimine?»

«Assolutamente no. Come non lo è ambire a qualcosa di più, come ad esempio una laurea e un posto come avvocato o medico o dirigente d'azienda. Di solito sono queste le strade che intraprendono quelli che escono da qui.»

«Continuerei volentieri questa conversazione con te, ma sono venuto qui per parlare con Blaine e non me ne andrò senza avergli parlato.»

«Temo che dovrai divergere dai tuoi piani perché Blaine non c'è. E' impegnato a studiare il pezzo da solista e dopo dovrà di sicuro studiare per il compito di domani.»

«Devo solo parlargli. Qualche minuto basterà. Voglio solo sapere che cosa vuole fare... di noi. Solo questo. Voglio saperlo, perché non credo che il ragazzo con cui sono uscito mercoledì si sarebbe comportato così.»

«Posso essere sincero, Kurt?» disse. «Se non ti ha risposto fino ad ora credo che le sue intenzioni siano abbastanza chiare.»

«Non ti credo, Smythe. Non ti credo per niente. Voglio vederlo.»

«Mandagli un messaggio, allora. Vedi cosa ti risponde. Non puoi costringerlo a vederti.»

«Va bene» rispose, prendendo il cellulare.

«Ti lascio solo» aggiunse Sebastian, allontanandosi.


17.43

Blaine, sono nella sala comune della Dalton. Per favore, vieni a parlare con me. E' davvero, davvero importante.


Non dovette attendere molto per la risposta.


17:45

Scusa, ma non voglio vederti.


Sebastian ripose il cellulare in tasca e spiò la reazione di Kurt da dietro l'angolo. Lo vide voltarsi ed andarsene.

Sapeva riconoscere un viso prossimo alle lacrime.

Andandosene, Sebastian non sorrideva come avrebbe voluto.



A/N


E' stato doloroso scrivere questo capitolo, che tra l'altro, ora come ora, è il più lungo di tutti! (11 pagine, dico, 11 pagine di angst)

E pensare che martedì, in un raptus di malvagità ho addirittura pensato di aggiungere una parte davvero bastarda. Ma sono rinsavita. Poteva andare peggio, insomma. Molto peggio.

No, non vi tedierò ulteriormente. Vado a rintanarmi in un angolino a dormire e recuperare le forze.


Klainers, resistete! L'amore alla fine vince sempre!


yu_gin


PS: dai, visto che per farmi perdonare ho anche messo i dolcissimi Niff nel loro mondo di panna e cuccioli e unicorni e arcobaleni?




Coming next


«Non vede che ho la divisa della scuola che si è appena esibita?»

«Per quel che ne so potresti essere un amico della scuola senza essere nel coro. Mi spiace. Se davvero sei del coro perché non torni con il pass?»

Blaine sbuffò. A quel punto non vedeva altra soluzione. Si voltò per tornare sui propri passi quando una voce lo fermò.

«Blaine?»

Il Warbler si voltò di scatto riconoscendo la voce inconfondibile.

Era Kurt.


Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** regionals ***


A Lima Side Story



Capitolo 18: regionals



Blaine finì di prepararsi, allacciando la cravatta e mettendo in borsa gli spartiti. Jeff fece capolino nella sua stanza.

«Siamo tutti pronti. Tu come sei messo?»

«Pronto» assicurò, chiudendosi la porta alle spalle. «Agitato?»

«Me la sto facendo sotto» ammise Jeff, alzando le spalle. «Ma so già che quando sarò sul palco sarà fantastico.»

«Tu sarai fantastico» precisò una voce. Nick li raggiunse, battendo una mano sulla spalla del compagno di stanza. «Noi saremo fantastici. Abbiamo provato duramente e non mi sono mai sentito tanto carico in vita mia. Comunque vada, sarò fiero di noi.» Afferrò i due compagni per le spalle e li spinse verso il corridoio. «Ora però è meglio se ci sbrighiamo, o partiranno senza di noi.»

«Non partirebbero mai senza tre dei loro quattro solisti» fece notare Jeff.

«Quattro» precisò Nick, indicando Sebastian, davanti a loro. Il ragazzo era appoggiato contro il muro e teneva gli occhi fissi sul cellulare, tanto che neppure li aveva sentiti arrivare.

«Ehi, Sebastian, nuovo cellulare?» chiese Jeff, avvicinandosi incuriosito. Sebastian alzò lo sguardo verso di loro e ripose frettolosamente il cellulare in tasca. Forse un po' troppo frettolosamente.

Blaine lo notò, senza riuscire a trovare una spiegazione plausibile.

«Mi spieghi perché usi quel macinino se hai un iPhone nuovo di zecca?» chiese Jeff.

«L'altro si è rotto» rispose sbrigativo.

«Ma se ti ho visto-»

«Allora, vogliamo andare?» lo interruppe.

I Warblers salirono sul pulmino che li avrebbe accompagnati alle Regionali. Wes e Thad avevano già organizzato il riscaldamento vocale e ora i coristi stavano provando alcune scale, mentre David si ostinava a controllare che le note fossero intonate con il suo diapason.

Blaine prese posto e guardò fuori dal finestrino.

Si chiese se sarebbe finalmente riuscito a vedere Kurt.


«Non è necessario, davvero, ragazzi!» insistette Kurt.

«Kurt, in che lingua te lo dobbiamo ripetere? Noi vogliamo che tu venga col nostro pulmino» insistette Mercedes.

«Ma se non faccio nemmeno più parte del Glee?»

«Che importa? Lo sei stato fino al diploma. E poi sarebbe ridicolo che tu ci seguissi in macchina. Salta su. Sarà come ai vecchi tempi» disse Tina, facendogli cenno di salire.

Kurt infine accettò e salì con loro, sedendosi affianco a Mercedes.

Il professor Schuester si alzò in piedi e si rivolse alle New Direction: «Ascoltate ragazzi: ci siamo impegnati molto quest'anno e non intendo perdere. Abbiamo nuovi membri e vecchie conoscenze tornate per farci vincere. L'anno prossimo molti di voi se ne andranno e non so se avremo nuovi membri e se questi saranno bravi come voi. Quindi cerchiamo di portare a casa il trofeo. Quest'anno voglio andare alle nazionali, ragazzi, e voglio vincere. Ce lo meritiamo.»

I ragazzi esultarono.

Kurt sorrise nel ricordare i tempi in cui era anche lui nel Glee. Non era poi cambiato molto. Trepidava anche lui per loro, come se la loro vittoria fosse una vittoria anche per lui. Guardò fuori dal finestrino.

Nel sentire la voce squillante di Rachel farsi spazio sulle altre non poté che pensare a Blaine e a cosa stesse facendo.


Kurt si separò dagli altri che andarono a cambiarsi e prese posto sulle poltroncine affianco al professor Schuester e alla Pillsbury. Attorno a loro c'erano numerosi posti vuoti, riservati alle New Direction. Lo stesso spazio vuoto che poteva vedere alla sua destra.

Schuester si sporse verso di lui: «Sono i posti riservati ai Warblers. Si esibiranno per primi, quindi immagino che verranno qui solo dopo la loro performance» disse, sventolando il volantino che aveva in mano per scaricare l'ansia. «So che fra loro c'è anche il fratello di Rachel. Lei dice che è molto bravo e che sicuramente sarà uno dei solisti.»

Diavolo se lo è, pensò Kurt, ripensando all'unica occasione in cui l'aveva sentito cantare, il giorno di San Valentino. Ripensò a come la sua voce gli fosse arrivata dritta al cuore, colpendolo e portandolo quasi alle lacrime. If I loose everything in the fire, I'm sending all my love to you. Ripensò alle parole della canzone e si chiese se le avesse credute davvero.

A lui piaceva pensare di sì.

Dopo una decina di minuti le luci si abbassarono e il presentatore annunciò il primo coro: i Warblers.

Kurt sentì il proprio cuore martellare nel petto e desiderò scappare.

No, non scapperò. Voglio vederlo. Voglio vedere se eviterà il mio sguardo o se mi guarderà dritto negli occhi. Almeno potrò capire che sta succedendo.

Il palco si liberò del presentatore e rimase solo un microfono al centro. Da dietro gli spalti vide avanzare un ragazzo con la divisa. Lo riconobbe all'istante.

Era Blaine.


Blaine sospirò e chiuse gli occhi. Era così agitato da aver seriamente valutato l'ipotesi di scappare. Certo, dopo avrebbe dovuto lasciare lo stato perché l'ira dei suoi compagni di coro sarebbe stata incontrollabile, ma almeno non sarebbe svenuto nel bel mezzo del palco.

Wes gli fece un cenno con la testa che poteva significare una sola cosa: vai.

E Blaine, nonostante il terrore gli avesse intrecciato le ginocchia e arricciato lo stomaco, uscì sul palco. La luce lo abbagliò per un istante.

La platea risultava ai suoi occhi come un'indistinta macchia scura. Avanzò fino al microfono. Le luci si focalizzarono su di lui e, dopo pochi istanti, cominciò ad abituarcisi.

Il pubblico cominciò a farsi più nitido. Fu allora che lo vide. Seduto vicino ai posti riservati alle New Direction. Bellissimo come sempre.

Kurt non evitò il suo sguardo come aveva temuto. Lo guardò dritto negli occhi, così intensamente che fu come se in quel momento non ci fossero che loro due, soli in auditorium. Come se stessero parlandosi, chiarendosi.

Blaine ripensò al testo della canzone che stava per cantare e sperò che Kurt capisse quanto valessero per lui quelle parole.

I heard there was a secret chord
That david played and it pleased the lord
But you don't really care for music, do you
Well it goes like this the fourth, the fifth
The minor fall and the major lift
The baffled king composing hallelujah

Sentì le voci dei propri compagni accompagnare il ritornello, nella perfetta armonia che tanto a lungo avevano studiato.

La paura iniziale cominciò a scemare, lasciando spazio alla musica.

Well your faith was strong but you needed proof
You saw her bathing on the roof
Her beauty and the moonlight overthrew you
She tied you to her kitchen chair
She broke your throne and she cut your hair
And from your lips she drew the hallelujah.

E come avrebbe voluto fargli capire che quel “she” per lui era un “he”, che solo a lui pensava quando cantava quelle parole.

Baby i've been here before
I've seen this room and i've walked this floor
I used to live alone before i knew you
I've seen your flag on the marble arch
But love is not a victory march
It's a cold and it's a broken hallelujah.

L'amore non è una marcia di vittoria, Blaine ormai l'aveva capito. Non era la sconfitta di uno per mano dell'altro. Se cadevano, cadevano insieme.

Well there was a time when you let me know
What's really going on below
But now you never show that to me do you
But remember when i moved in you
And the holy dove was moving too
And every breath we drew was hallelujah.

Parlami, avrebbe voluto gridargli da lì. Insultami se devi, ma non evitarmi.

Ma Kurt non sembrava evitarlo. Tutt'altro. I suoi occhi non lo lasciarono neppure per un istante.

Well, maybe there's a god above
But all i've ever learned from love
Was how to shoot somebody who outdrew you
It's not a cry that you hear at night
It's not somebody who's seen the light
It's a cold and it's a broken hallelujah.

Cos'aveva imparato dall'amore? Difficile dirlo, visto che prima di allora non aveva mai amato e poche settimane evidentemente non erano abbastanza.

Ma quei pochi giorni di lontananza gli avevano fatto capire una cosa: quando non ti escono più neppure le lacrime l'unica cosa che ti rimane è un freddo hallelujah.

Aveva in mente di portare alle Regionali una canzone di Kate Perry (l'ennesima) o di Pink (doveva ancora scegliere), ma all'improvviso aveva sentito il bisogno di una canzone più emotiva, più personale. Una canzone che dicesse semplicemente... di più.

Aveva scelto quella. Aveva dimostrato di poterla cantare e nessuno aveva obiettato.

Tutti pensavano l'avesse fatto per scrollarsi di dosso lo stereotipo del ragazzo Top-40. La verità era che l'aveva fatto per lui. Perché con le parole non era bravo, ma a quanto pare – quando cantava – riusciva ad arrivare al cuore delle persone.


Nick e Jeff stavano ascoltando Hallelujah in religioso silenzio. I loro compagni Warblers stavano accompagnando l'assolo di Blaine ma loro – i prossimi solisti ad esibirsi – erano rimasti dietro le quinte a prepararsi psicologicamente.

«Agitato?»

«Da morire» confessò Jeff.

«Anch'io» ammise Nick, alzando le spalle. «E' il nostro primo assolo – beh, duetto – ad una competizione ufficiale, in fondo.»

«E se facessi un disastro? Se dimenticassi le parole o stonassi alla grande, rovinando il lavoro di tutti? Il tuo, in particolare.»

«Ehi, tu non stonerai, mi hai capito? Abbiamo provato ogni pomeriggio da quando ci hanno affidato il pezzo fino ad oggi e cantiamo insieme da tre anni ormai. Ricordi come abbiamo cominciato?»

«Cantando le sigle dei cartoni animati durante le nostre maratone serali al primo anno» disse, sorridendo.

«E poi siamo entrati nei Warblers. Insieme. Ed ora siamo qui, sul punto di esibirci. Ancora insieme. Vorrà pur dire qualcosa, no?»

Jeff sorrise. La paura si fece meno insistente.

Sentirono Blaine concludere il suo assolo e si scambiarono un ultimo sguardo. Poi entrarono in scena.


Le voci dei Warblers erano – come sempre – perfettamente armonizzate. Jeff respirò profondamente, poi prese il microfono e gli si avvicinò.

There used to be a greying tower alone on the sea
You became the light on the dark side of me
Love remains a drug that's the high and not the pill
But did you know that when it snows
My eyes become large
And the light that you shine can't be seen?

Sentì il coro accompagnarlo nel ritornello, e all'improvviso l'ansia scemò.

Baby, I compare you to a kiss from a rose on the grey
Ooo, the more I get of you, the stranger it feels, yeah
Now that your rose is in bloom
A light hits the gloom on the grey.

Questa volta fu Nick ad afferrare il microfono e a soffiarvi dentro la voce:

There is so much a man can tell you
So much he can say
You remain my power, my pleasure, my pain
Baby, to me, you're like a growing
Addiction that I can't deny
Won't you tell me, is that healthy, baby?
But did you know that when it snows
My eyes become large
And the light that you shine can't be seen?

Nick guardava il pubblico come se fra loro ci fosse la persona a cui stava dedicando la canzone. Ma nell'istante in cui si voltò verso di lui, Jeff capì che non era così. Il suo sguardo non era solo d'intesa, non era lo sguardo che lanci ad un partner artistico. E' il tipo di sguardo che vuole dire le parole non dette.

Canta con me. Era come se Nick glielo stesse gridando. Che importa se i giudici capiranno che non è per una ragazza del pubblico la canzone ma per noi? Che importa se coglieranno i nostri sguardi?

Now that your rose is in bloom
A light hits the gloom on the grey

La fine della canzone giunse senza che neppure se ne accorgessero. Rimasero qualche istante a guardarsi, davanti ai microfoni. Si sorrisero, senza dire nient'altro. Non serviva.


Kurt guardò i Warblers esibirsi nell'ultimo pezzo. Sebastian era davvero bravo e The Shock of the Lighting era decisamente nelle sue corde. Aveva una voce stupenda e il modo in cui si muoveva... non stentava a credere che cambiasse ragazzo con la frequenza con cui lui cambiava outfit. Sorrise nel vedere gli altri Warblers – quelli che non si erano esibiti nei pezzi da solisti – ballare indossando le tute che aveva lui stesso aiutato a trovare. Alcuni stavano dando davvero il meglio di sé, facendo acrobazie che forse solo Mike e le Cheerios avrebbero saputo eguagliare.

Scorse i due ragazzi che avevano cantato Kiss from a rose. Erano stati eccezionali e a lui non era sfuggito lo sguardo finale che si erano lanciati. Quanto avrebbe dato per poter avere un momento simile. Si era esibito da solista alle regionali e una volta aveva duettato con Finn – ma nulla di romantico, ovviamente.

Pensò a come sarebbe stato duettare con la persona che amava.

Fu a quel punto che l'immagine di Blaine, solo sul palco, che intonava Hallelujah tornò prepotente alla sua mente.

Quando il pubblico si alzò in piedi per la standing ovation, lui ne approfittò per sgusciare via. Il professor Schuester provò a fermarlo ma lui fu più rapido e percorse il corridoio quasi di corsa. Non sarebbe riuscito a rimanere lì un istante di più.


Non appena ebbero finito di esibirsi, Blaine fu trascinato nei camerini insieme a Sebastian, Nick e Jeff in un coro di ovazioni. Tutti si complimentavano con loro, commentavano l'esibizione, si lamentavano per qualche passo sbagliato.

I due più acclamati furono Nick e Jeff. Il secondo quasi arrossì per i tanti complimenti ricevuti, scuotendo animatamente le mani e assicurando che non ce l'avrebbe mai fatta da solo. Nick, al suo fianco, sorrideva, tenendolo per il braccio quasi avesse paura che glielo portassero via.

Blaine invece riuscì ad evitare tutti e a sgattaiolare via dagli spogliatoi.

Incrociò Rachel, già vestita di tutto punto per entrare in scena.

«Blaine!» esclamò vedendolo. «Sei stato fantastico. Sarà dura battervi.»

«Grazie, Rachel. Ora scusa ma devo andare.»

«Non mi fai neppure gli auguri per l'esibizione?» protestò.

Blaine sorrise e la abbracciò: «Buona fortuna. Sono sicuro che sarai fantastica.» Si staccò da lei e ripartì. Scappando si scontrò con Finn, lo salutò velocemente e sparì.

Finn lo guardò perplesso, poi si rivolse a Rachel.

«Tutto bene?»

«Penso di sì. Ho come il sospetto di sapere da chi stia correndo.»

Finn sorrise: «Pronta?»

«Tu, piuttosto. Sono due anni che non ti esibisci su un palco vero e proprio: sicuro di reggere la tensione?»

«Non proprio. Ma sarai tu ad aprire le danze, ricordi?» le fece notare.

Rachel si morse le labbra. «Spero di essere all'altezza.»

«Lo sarai» disse, spingendola verso l'entrata.

Rachel si voltò un'ultima volta a guardarlo, poi fece la sua apparizione sul palco.

Le luci erano tutte puntate su di lei e il microfono era pronto. Esattamente come suo fratello si avvicinò ad esso e vi si aggrappò.

Fece un bel respiro e fece un cenno. La base partì.

Poi cominciò a cantare ed il resto venne da sé.


Non appena uscirono dal palco, Nick e Jeff furono travolti dall'entusiasmo dei loro compagni. Li abbracciarono, li spettinarono, si complimentarono con loro per quel fantastico duetto affermando che, se fossero arrivati alle Nazionali, avrebbero di sicuro dato a loro una canzone.

Non appena però ebbero un secondo di pausa, Nick afferrò Jeff per la manica e lo trascinò via dalla folla.

Jeff non capì subito che cosa fosse preso all'amico e pensò che volesse dirgli qualcosa – o forse doveva semplicemente vomitare per l'agitazione e gli serviva qualcuno di supporto.

Invece, quando raggiunsero i bagni deserti, Nick si voltò verso di lui e, senza aggiungere altro, lo afferrò per i bordi della giacca e lo attirò a sé, baciandolo.

Fu tutto tranne che un bacio dolce.

Prima di rendersi conto di quello che stava accadendo, Jeff stava rispondendo al bacio. Non era la prima volta che baciava qualcuno, ma certo era la prima volta che baciava un ragazzo e, più tardi, si sarebbe stupito della naturalezza con cui si era comportato.

Avevano entrambi agito d'istinto: si erano trattenuti sul palco, avevano evitato di guardarsi negli occhi ogni secondo della performance e, nell'inchinarsi l'uno affianco all'altro non si erano neppure abbracciati perché sapevano che, se si fossero lasciati andare anche solo un secondo, non sarebbero più riusciti a fermarsi.

Ma lì, al sicuro da sguardi indiscreti, potevano fare ciò che volevano e quel bacio era stato troppo desiderato da entrambi per essere posticipato.

Quando si staccarono presero un respiro profondo, uscendo dall'apnea nel quale erano immersi.

Si guardarono, temendo di affrontare lo sguardo dell'altro.

«Scusa, non sono riuscito a trattenermi oltre» disse Nick.

«Non mi pare di essermi opposto alla cosa» gli fece notare l'altro.

Si sorrisero, facendo nuovamente sfiorare i loro nasi.

«A te sta bene... questa cosa?»

«Sì. Insomma, ho sempre saputo che tu eri più di un amico. Wes è mio amico. David e Thad sono miei amici. Anche Blaine è solo un amico. Tu sei sempre stato qualcosa di più» disse Jeff.

«Questo non cambierà le cose tra noi, vero? Rimarremo sempre quelli di prima: i soliti Nickejeff, indivisibili e inimitabili.»

«Prendi due paghi uno. Immagino di sì. Anche perché credo che gli altri lo sappiano ormai da tempo. Forse da prima di noi.»

Nick appoggiò la testa contro la spalla dell'altro: «Mio Dio, quando Sebastian lo scoprirà gongolerà come un cucciolo dopo la poppata.»

«E tu lascialo fare» disse Jeff, ridendo. «Finché ci saremo noi due, chi se ne frega di Sebastian.»

Nick si sollevò e, guardandolo negli occhi, portò una mano alla sua nuca e la accompagnò verso di sé per un altro bacio. Questa volta fu dolce e controllato. Le loro labbra si sfiorarono, solleticandosi, prima di dischiudersi. Rimasero ancora qualche minuti, fronte contro fronte, a respirare la stessa aria.

«Che dici, torniamo dagli altri?»

Jeff annuì e, senza dividersi, lasciarono il bagno.


Blaine era impegnato a litigare con uno dei buttafuori mentre Rachel cantava a pieni polmoni Don't you remember di Adele. Si fermò un istante ad ascoltarla pensando che, diavolo, ne aveva fatta di strada da quando cantavano in duetto Anything you can do I can do better alle feste di compleanno della nonna.

Poi tornò a rivolgersi al buttafuori.

«La prego, è davvero importante. Devo rientrare assolutamente nella platea.»

«Niente da fare, se non hai il biglietto o il pass.»

Blaine si maledì per aver lasciato nella fretta il pass nei camerini.

«Non vede che ho la divisa della scuola che si è appena esibita?»

«Per quel che ne so potresti essere un amico della scuola senza essere nel coro. Mi spiace. Se davvero sei del coro perché non torni con il pass?»

Blaine sbuffò. A quel punto non vedeva altra soluzione. Si voltò per tornare sui propri passi quando una voce lo fermò.

«Blaine?»

Il Warbler si voltò di scatto riconoscendo la voce inconfondibile.

Era Kurt.


Finito il proprio pezzo, Rachel si inchinò al pubblico con sorriso raggiante e gridò entusiasta:

«Signore e signori: le New Directions!»

Mentre gli applausi scrosciavano Finn attraversò il palco, mentre Rachel indietreggiava per raggiungere il resto del coro.

Finn prese un respiro profondo e ripensò a tutte le volte che aveva cantato da solista ad una delle competizioni. Poi cominciò a cantare.

I'm just the pieces of the man I used to be
Too many bitter tears are raining down on me
I'm far away from home
And I've been facing this alone
For much too long.

Blaine fissò incredulo il ragazzo davanti a lui. All'improvviso fu tentato di scappare per non doverlo affrontare, per non doverlo ascoltare mentre gli diceva “non dobbiamo più vederci” o “sei stato uno sbaglio”.

Sarebbe stato troppo.

Oh, I feel like no-one ever told the truth to me
About growing up and what a struggle it would be
In my tangled state of mind
I've been looking back to find
Where I went wrong.

Era davanti a lui. Blaine era lì, dall'altra parte dell'atrio e a separarli c'era solo l'ampia stanza vuota.

Nessuno aveva mai detto a Kurt cosa si prova ad essere innamorati. Certo, gli avevano parlato delle farfalle nello stomaco, dei messaggi d'amore, dei baci, delle promesse. Ma nessuno gli aveva mai detto quanto facesse male.

In quel momento desiderò non essere così dannatamente innamorato, desiderò non provare quella stretta al cuore di quando stai per perdere qualcosa di importante.

Si chiese cosa avesse sbagliato, cosa diavolo avesse fatto di male se non innamorarsi del ragazzo più stupido dell'Ohio.

Too much love will kill you
If you can't make up your mind
Torn between the lover
And the love you leave behind
You're headed for disaster
'Cos you never read the signs
Too much love will kill you - every time.

Entrambi indecisi se fuggire o affrontare la realtà rimasero a guardarsi, paralizzati dalla paura come bambini durante un terremoto.

Quell'amore li stava uccidendo dentro, lentamente ed inesorabilmente. Li aveva colti impreparati ed incapaci di agire. Li aveva colti al primo amore, quando tutto è ancora nuovo ed è facile ferirsi.

I'm just the shadow of the man I used to be
And it seems like there's no way out of this for me

No there's no making sense of it
Every way I go I'm bound to lose.

Blaine non era che un'ombra del ragazzo che una volta era e questo per colpa – o merito – di Kurt e di come l'aveva cambiato.

Probabilmente non aveva senso ciò che stava per fare, ma in fondo lui in amore era ancora un novellino. Poteva ancora permettersi di sbagliare.

Too much love will kill you
Just as sure as none at all
It'll drain the power that's in you
Make you plead and scream and crawl
And the pain will make you crazy
You're the victim of your crime
Too much love will kill you - every time.

Attraversò la sala e, man mano che accorciava i metri che li dividevano, vide Kurt imitarlo. Si raggiunsero a metà sala e, senza che nessuno dei due dicesse niente, si abbracciarono così forte da dover trattenere il respiro.

Si separarono qualche secondo solo per guardarsi negli occhi e le loro labbra – così vicine dopo giorni di astinenza – non riuscirono a trattenersi.

Non aveva minimamente senso. Kurt era arrabbiato con Blaine, ed era preoccupato ed era confuso e l'ultima cosa che avrebbe dovuto fare era baciarlo lì, davanti ad un buttafuori improvvisamente imbarazzato, mentre la voce di suo fratello gli arrivava come da un altro mondo.

«Kurt, mio Dio, Kurt... pensavo che... pensavo che non...»

«Tu pensavi? Non ti sei fatto sentire per cinque giorni. Cinque maledettissimi giorni.»

«Come? Ma se ti avrò mandato almeno una decina di messaggi! Ho anche provato a chiamarti, ma niente. Non sapevo cosa pensare.»

«Blaine, sei tu che non ti sei fatto sentire.»

«Aspetta, vuoi dire che non hai ricevuto nessuno dei miei messaggi?»

«E tu nessuno dei miei? Neppure le chiamate? Ma se mi hai pure risposto!»

Blaine lo guardò sbalordito.

Kurt prese dalla tasca il cellulare e gli mostrò i messaggi.

«Ecco» disse, lasciandogli leggere i vecchi sms.

«Io non ho mai scritto nulla del genere» disse, leggendo sbalordito le parole sul display. «Io non ti avrei mai scritto niente del genere» esclamò. Poi corrugò la fronte. «Ma soprattutto, questo non è il mio numero.»

«Ma se è quello che ho salvato il giorno stesso in cui ti ho dato il mio.»

«Beh, ti assicuro che non lo è» disse, prendendo dalla tasca il proprio cellulare. «E' questo il tuo numero?»

«No, ma è lo stesso che mi ha mandato quei messaggi spacciandosi per te.»

I due ragazzi si guardarono negli occhi, capendo improvvisamente cosa fosse successo.

«Qualcuno ha cambiato i numeri di telefono. Forse per fare uno scherzo idiota...»

«O forse col preciso intento di farci litigare» concluse Blaine.

«Ma dai, chi avrebbe interesse a farci litigare?» disse.

Blaine strinse i pugni e respirò profondamente.

«Sebastian.»


Il Warbler si stava sistemando la cravatta. Era piuttosto soddisfatto della propria esibizione e doveva ammettere che l'Halleluja di Blaine era stato davvero toccante.

Merito del suo cuore spezzato, pensò una piccola parte del suo cervello che Sebastian mise provvidenzialmente a tacere. Cuore spezzato? Per un ragazzo con cui stava da una settimana? Non gli sembrava possibile.

La vittoria alle Regionali l'avrebbe distratto da Kurt, permettendogli così di concentrarsi al massimo sulle Nazionali e sugli esami finali. Finì di sistemarsi la camicia e sentì il cellulare squillare.

No, non il suo cellulare. Bensì il cellulare, quello con cui si fingeva alternativamente Kurt o Blaine. Si chiese quale dei due potesse essere.

Kurt.

Era un messaggio che diceva semplicemente: “Ti ho visto cantare. Ti prego, rispondimi.”

Non era davvero in vena di scrivere qualcosa di cattivo. Anzi, fu quasi tentato di togliere la sim dal cellulare e buttarla nel primo water a sua disposizione e dimenticare tutta quella storia maledetta. Invece rispose: “E' stato un errore. Non dobbiamo più vederci.”

Sentì il rumore di un telefono che squilla alle sue spalle.

«Lo sapevo.»

Sebastian riconobbe la voce di Blaine. Chiuse gli occhi e respirò profondamente prima vi voltarsi. Il suo compagno di stanza era sulla porta dei camerini ormai vuoti. Affianco a lui c'era Kurt che reggeva in mano il proprio cellulare.

«Ops» disse, alzando le spalle.

«Non ci volevo crede all'inizio. Poi ho pensato: chi altri potrebbe essere stato? Chi altri da una settimana a questa parte cerca di osteggiare in ogni modo la nostra relazione? Chi altri avrebbe avuto modo di prendere il mio cellulare e cambiare il numero?»

Sebastian alzò il sopracciglio e reclinò la testa, colpevole. «Lo facevo per il vostro bene.»

«Non raccontarmi cazzate! In che modo potevi voler fare il mio bene? Questa cosa mi ha... mi ha devastato!»

«Dio, Blaine, sei sempre così melodrammatico! Devastato per una cotta adolescenziale? Per favore! Saresti guarito in fretta e, volendo, avrei potuto darti una mano – se capisci cosa intendo. Invece se continuerete a vedervi fino ad innamorarvi per davvero, quando arriverà il momento di lasciarvi sarà davvero devastante. Devastante al punto da portarvi a commettere delle sciocchezze. Come, ad esempio, optare per un'università scadente per rimanere vicini. O dirlo ai tuoi genitori e farti cacciare di casa. O essere costretto a vivere nell'Ohio per tutto il resto della tua vita come triste impiegato d'ufficio senza neppure la possibilità di sposarti o di trovarti un uomo che si rispetti.»

«Che vuoi dire con questo?» disse Kurt, facendosi avanti.

«Voglio dire che tu non vai bene per lui. Tutte quelle stronzate sull'amore che non ha confini... ma per favore! Sai meglio di me che tipo di vita fai e potrai continuare a farla finché manterrai quel bel culetto. Ma quando comincerai a diventare adulto e perderai quell'aria da angioletto quanto pensi che ci metteranno a licenziarti? E dopo cos'hai intenzione di fare?»

«Mi arrangerò, come ho sempre fatto» rispose.

«Come? Aggrappandoti a lui e tirandolo a fondo con te, forse? Se davvero provi qualcosa per lui, lascialo andare. Sarà meglio per entrambi.»

«Lascia decidere a me cosa è “meglio per me”» disse Blaine. «Ti sei intromesso abbastanza.»

«Non mi sembrava che ti dispiacessero le mie intromissioni fintanto che ti aiutavano ad entrargli nelle mutande.»

Sebastian sperava forse di scatenare una reazione in Blaine. Pensava che l'altro l'avrebbe preso a pugni. Pensava che Kurt l'avrebbe guardato scandalizzato.

Invece i due si limitarono ad avvicinarsi l'uno all'altro ancora di più e a guardarlo. Nei loro sguardi c'era disappunto. Disappunto. La cosa che Sebastian più odiasse al mondo dopo la commiserazione.

«Ti chiedo solo una cosa» disse Kurt. «E me la devi. Capisco che tu abbia cambiato il numero dal cellulare di Blaine, ma come hai fatto a cambiare il numero dal mio?»

Sebastian tacque. Non voleva fare il nome di Dave perché tradire l'altro non avrebbe aiutato la sua situazione.

Non servì neppure, perché dopo il silenzio di Sebastian il volto di Kurt si illuminò, per poi rabbuiarsi.

«E' stato Dave.»

Nessuna risposta. Ma a Kurt non servivano.

«E' stato Dave. Lui... lui mi ha chiesto il cellulare per prendere il tuo numero e poi... la serratura del camerino scassinata. Proprio come faceva al liceo. È stato lui, vero? L'hai coinvolto nella tua idea!»

No, non questa volta. Non voglio più fare la parte del cattivo, pensò.

«Non dire assurdità, Kurt. L'hai detto tu stesso. È stato lui a cercarmi. È stato lui a mostrarmi perché eri così sbagliato per Blaine. Certo, l'idea dei numeri è stata mia ed ero io a rispondere ai messaggi, ma Dave è colpevole quanto me. Se non con l'aggravante che mentre io l'ho fatto per il bene di Blaine, lui l'ha fatto solo perché voleva che tu tornassi con lui.»

Kurt non gli rispose neppure. Si voltò e se ne andò, seguito da Blaine.

Sebastian era consapevole di cosa l'avrebbe aspettato.

L'aveva fatto per il bene di Blaine, continuava a ripetersi. Le sue intenzioni erano buone. Era dalla parte del giusto. L'aveva fatto perché era un buon amico.

Una piccola parte del cervello gli suggerì che non fosse stato l'altruismo a spingerlo, ma l'invidia.


I tre cori sfidanti salirono sul palco.

Rachel si scambiò un cenno della testa con Blaine, che si sforzò di sorriderle.

Kurt dal pubblico cercò lo sguardo di Finn e di Mercedes e alzò i pollici nella loro direzione. Poi spostò l'attenzione sui Warblers. I quattro solisti era tutti vicini ma notò che Nick e Jeff stavano fra gli altri due. Sebastian non sorrideva. Si limitava a corrugare la fronte e guardare scocciato le New Directions.

Uno dei tre giudici fece la sua entrata sul palco con una busta in mano. La aprì con teatralità prima di schiarirsi la voce davanti al microfono.

«I vincitori delle regionali di quest'anno sono...»

Silenzio.

Kurt giurò di poter sentire il rumore del battito del loro cuore fin dal suo posto.

«Le New Directions.»


I due cori stavano già salendo sui rispettivi pulmini – le New Direction esultanti di gioia, i Warblers remissivi e un po' delusi.

Blaine si attardò, stringendosi nella propria sciarpa e nei propri guanti. Davanti a lui Kurt sorrideva tenendogli le mani e a lui questo bastava.

«Mi dispiace. Eravate davvero bravi. Nick e Jeff sono stati meravigliosi e il tuo assolo... è stato fantastico, Blaine.»

«Non dispiacerti. Non sono triste.»

«Ma se ci tenevi tantissimo!»

«E' vero, ma c'era qualcosa a cui tenevo di più» disse, sollevandogli le mani e avvicinandosele alle labbra, per baciarle da sopra i guanti. «E sono riuscito a ritrovarla quando pensavo di averla persa. Ci siamo ritrovati, Kurt. Questo vale più di uno stupido trofeo, no?»

«Anche se tua sorella ti deriderà per tutto il resto dell'anno?» chiese, voltandosi ad osservare la ragazza che in quel momento stava abbracciando il suo altissimo fratello.

Blaine gemette al solo pensiero di dover affrontare Rachel e la sua smorfia fece ridere Kurt.

Lo baciò, come aveva voluto fare in quei cinque giorni senza mai averne la possibilità.

«Sì, vale decisamente di più» disse.

Kurt gli sorrise, sciogliendo l'intreccio delle loro dita e accompagnandolo verso il pulmino. «Mi scriverai questa sera per dirmi se è tutto okay?» chiese.

«Non ci saranno problemi, ma ti scriverò ugualmente. Solo per dirti quanto sei fantastico» disse, facendolo vagamente arrossire. «E tu promettimi che non farai stupidaggini.»

«Promesso» garantì Kurt, non così certo di poter mantenere la promessa.

Si divisero con la certezza che non si sarebbero persi mai più.


Dave quel giorno fu svegliato da sua madre. Erano le sette e non avrebbe dovuto alzarsi fino alle otto. Suo padre era già al lavoro e lui avrebbe dovuto raggiungerlo per le nove e visto che non doveva fare molta strada aveva ancora tutto il tempo per dormire. Che diavolo poteva volere sua madre?

«Dave, tesoro, svegliati.»

«Mhpf, che c'è mamma? E' ancora presto!»

«Lo so, ma c'è un ragazzo alla porta che chiede di te.»

«E chi diavolo è?»

«Non lo so; ha detto solo di essere un tuo ex compagno di scuola.»

Dave si chiese chi potesse essere. Sua madre conosceva quasi tutti i suoi vecchi compagni di squadra delle superiori e all'infuori di loro non aveva amici. Forse era qualche sconosciuto del McKinley venuto a scroccargli soldi per beneficenza o per rimodernare le aule o roba del genere.

Si alzò scocciato dal letto. «Va bene, mi metto qualcosa e scendo» disse, infilandosi la prima t-shirt che trovò e un paio di pantaloni. Cercò delle ciabatte e le calzò, scendendo le scale assonnato. Poté sentire la voce di sua madre dire: “Accomodati pure finché lo aspetti.”

Il cuore gli si fermò in petto quando riconobbe la voce che rispose: “No signora, grazie, è una cosa veloce.”

«Kurt?» mormorò dalle scale. Era incredibile come quel ragazzo potesse essere perfetto anche di prima mattina. Non un capello fuori posto, non un vestito scelto a caso. Poi si ricordò che sua madre lo stava guardando e cercò di mantenere un minimo di contegno. Come – ad esempio – chiudere la bocca.

«Ciao, Dave, scusa per l'ora ma sono passato prima di andare al lavoro. Ho bisogno di parlarti.»

«Okay» disse, raggiungendo la porta.

«Perché non entrate dentro? Fa freddo fuori e tu Dave sei poco vestito.»

«Mamma!» protestò.

«Scusi, signora, un minuto e glielo rimando dentro» disse Kurt, sorridendo rassicurante alla donna.

Lei annuì e Dave la superò, chiudendosi la porta alle spalle. Non appena furono rimasti soli, il sorriso sulle labbra di Kurt sparì.

«Verrò subito al sodo: ho parlato con Sebastian.»

Dave boccheggiò:

«Kurt, ti posso spiegare...»

«Ti prego, risparmiami i dettagli su come tu e Sebastian possiate aver partorito l'idea malata di separarci. Se penso poi che devi avermi preso il cellulare e cambiato il numero... e devi averci pensato bene prima... non posso neppure credere che tu abbia potuto...» Kurt si fermò e prese il respiro.

«Mi lasci parlare?»

Kurt alzò le spalle.

«Kurt, l'ho fatto perché non volevo che ti innamorassi di quello lì. Fra qualche mese lui finirà la scuola e poi se ne andrà di qui. O, nel caso restasse per te, finirebbe poi per darti la colpa della sua infelicità e io non volevo questo.»

«Ah, quindi l'avresti fatto per il mio bene?»

«Sì. Blaine non è il ragazzo giusto per te.»

Kurt fece un respiro profondo per ricacciare indietro il desiderio di prenderlo a pugni. «Quando mio fratello scoprì la nostra relazione, mi disse che non eri quello giusto, che non avresti mai potuto essere quello giusto e che mi avresti fatto soffrire. Ma io non l'ho ascoltato. Ti ho dato fiducia perché tutti la meritano.»

«Questa volta è diverso.»

«Lasciami finire. Poi, sappiamo tutti e due com'è andata a finire, ma quando un mese fa ci siamo incontrati di nuovo ho deciso che ti meritavi una possibilità. Ed ora te la sei giocata di nuovo.»

«Blaine ti farà soffrire.»

«Può essere! Probabilmente un giorno mi farà star male tanto quanto mi hai fatto stare male tu, ma non è ancora successo. Finora è stato l'unico ad avermi mai fatto sentire... amato. Speciale. Unico.»

«Anche per me eri unico» mormorò Dave.

Kurt si impose di ignorare le sue parole e di non pensare a come dovesse sentirsi. Aveva oltrepassato il limite e lui non poteva più perdonarlo.

«Non scrivermi più, per favore. Non chiamarmi neppure, non cercarmi. Pensavo potessimo essere amici, ma a quanto pare mi sbagliavo.»

Si voltò e se ne andò, lasciandolo sulla soglia di casa a chiamarlo per nome.

Dave lo guardò andare via e sbatté il pugno contro la porta di casa.

Sua madre aprì la porta allarmata:

«Mio Dio, Dave, cos'è successo? Che voleva quel ragazzo?»

«Nulla, mamma» mormorò.

«Va tutto bene? Sembri scosso.»

«No, non va per niente bene» rispose, tornandosene in camera sua.

Affondò nel letto e si immerse fra le coperte, dandosi dello stupido ancora e ancora.



A/N


Scusate il ritardo, ma ero convinta che fosse giovedì.

Ho approfittato delle orette in più per scrivere la scena Niff (sì, non era prevista, ma mi andava e l'ho scritta, gnè)


Visto che tutto si è risolto? Okay, ora le cose per Dave e Sebastian non sono esattamente una favola ma almeno Kurt e Blaine si sono rappacificati.

E poi anche Nick e Jeff hanno fatto un bel passo!


Posso affermare con orgoglio di aver stabilito il numero di capitoli della fanfiction: saranno 23 (al massimo uno in più nel caso le questioni che devo trattare si dilunghino). Lunedì sera ho avuto una sorta di visione riguardante il finale e quindi ora anche quello è deciso e non vedo l'ora di scriverlo!


Niente tragedie o angst nel prossimo capitolo, solo molto fluff e qualche scena undapper.

A venerdì!


yu_gin



coming next


Quella notte, nel proprio letto, Kurt si sarebbe chiesto fin dove sarebbero arrivati se, proprio mentre i primi bottoni della camicia cominciavano ad essere sbottonati, non avessero sentito il rumore inconfondibile di un colpo di tosse alle loro spalle.

I due ragazzi scattarono a sedere, cercando di ricomporsi nel minor tempo possibile. Poi entrambi si voltarono per vedere chi fosse.


Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** a house is not a home ***


A Lima Side Story



Capitolo 19: a house is not a home



Blaine aspettava impaziente il proprio turno in fila al Lima Bean. Affianco a lui Finn faceva lo stesso, tamburellando le dita sul bancone.

Blaine percepì improvvisamente il papillon come troppo stretto. Da quando si era messo con Kurt non aveva mai avuto modo di fare una vera e propria chiacchierata con Finn e temeva il momento in cui questa sarebbe arrivata. Nella fattispecie, quel preciso istante.

Finn si era girato verso di lui con aria distesa e aveva detto:

«E così stai con mio fratello.»

Blaine aveva seriamente pensato di voltarsi e fuggire. Poco appropriato, d'accordo, ma almeno avrebbe salvato la pelle.

«Non fraintendere, non che sia una novità. Insomma, se sommiamo il periodo in cui uscivate sempre insieme come amici e poi le ultime settimane, ormai mi sono abituato all'idea. È solo che... è strano. Sai, in un certo senso è come se fossi il primo. Almeno per quanto mi riguarda.»

«Pensavo che conoscessi Dave.»

«Conoscerlo è una parola grossa. Ci odiavamo quando eravamo insieme nella squadra di football visto che lui, come il resto della scuola, sembrava avere un problema con noi del Glee. Poi, quando ho scoperto che si vedeva con Kurt, diciamo che non ho toccato il cielo con un dito. Nel senso che ho dovuto usare tutta la mia buona volontà per non spaccargli la faccia» disse.

Sì, quel papillon era decisamente troppo stretto, pensò Blaine.

«Per questo non ci è mai sembrato il caso di uscire tutti insieme per un caffè. Mentre oggi mi sembra che tutto stia andando bene» disse, voltandosi verso i tavolini dove Kurt e Rachel stavano discutendo animatamente.

«Sembrano andare d'accordo» disse Blaine. «Mia sorella ha la sindrome della diva. Tende a sopraffare gli altri.»

«Kurt non è da meno. Temevo che si sarebbero sbranati, invece hanno trovato un loro equilibrio, a quanto pare.»

Blaine sorrise, perché Rachel era il membro della sua famiglia a cui più voleva bene, probabilmente anche quella che lo conosceva meglio di tutti e sapere di poter condividere con lei parte della sua felicità lo faceva sentire meno solo. Anche finita la scuola avrebbe avuto qualcuno su cui contare.

«Comunque stai tranquillo» disse, battendogli una mano sulla spalla – cosa che ovviamente non fece tranquillizzare Blaine, cui parve di sentire il rumore di una clavicola rotta. «Non ho intenzione di fare quei discorsi del tipo “fallo soffrire e ti spezzo le gambe” o cose del genere. Insomma, siete tutti e due abbastanza grandi per badare a voi stessi. E poi hai già conosciuto Santana, quindi sai già chi devi temere in caso di una rottura violenta.»

Blaine ripensò all'ispanica e improvvisamente capì chi doveva davvero temere.

«Potrei dirti la stessa cosa» disse Blaine, prendendo coraggio. «Insomma, tu e Rachel...»

«Oh» mormorò Finn, che perse di colpo tutta la propria sicurezza. «Non credo dovrai preoccuparti di me. Dubito sia interessata al di fuori dell'ambito – aspetta, com'è che lo chiama? - artistico-professionale.»

«Stai scherzando, spero?» esclamò Blaine. «Rachel non fa che parlare di te. So più cose di te da lei che da Kurt, anche perché lui parla di te solo per lamentarsi del fatto che non lavi i piatti.»

Finn era troppo preso dalla prima parte della frase per replicare alle accuse indirette di Kurt.

«Parla di me?»

«Ma sì, dei duetti che fate, delle vostre uscite al negozio di musica, dei consigli che vi date, della tua vita in generale. Cavolo, potrei scrivere la tua biografia! “Finn, il gigante buono” o qualcosa di simile. Penso venderebbe.»

«I tuoi genitori mi odierebbero. Non sono esattamente il miglior partito sulla piazza.»

«Credimi, sarebbero troppo impegnati a cacciarmi di casa per il solo fatto di essere gay.»

«Spero tu stia scherzando.»

«Purtroppo temo di no, e non ho il coraggio di verificare i miei timori» disse. Ordinarono i propri caffè e pagarono.

«E se lo dovessero scoprire?» chiese. «Dico, se ti cacciassero di casa?»

«Non lo so. Nella migliore delle ipotesi mi spedirebbero al college invitandomi caldamente a non tornare per le vacanze di Natale. E mi andrebbe anche bene. Se invece mi cacciassero di casa senza un soldo se non l'eredità che mi ha lasciato mio nonno... non lo so davvero. Fino ad una settimana fa avevo un amico che mi aveva sempre garantito un posto a casa sua, nell'eventualità, ma dubito che sarebbe ancora disponibile ad ospitarmi, non dopo la litigata colossale che abbiamo avuto.»

«So che può suonare azzardato, ma se non dovessi avere altro posto dove andare – sì, insomma, prima di trovarti a dormire sotto i ponti o nei bagni del Lima Bean – sai che puoi venire da noi, vero? Basta che tu ci dia una mano con le spese e che lavi i piatti ogni tanto.»

Blaine sorrise. «Ricevuto. Grazie. Mi fa sentire più tranquillo.»

Finn stava per rispondere che non c'era alcun problema, visto che anni prima avevano ospitato la sua ex ragazza per mesi, quando era convinto di averla messa incinta. Poi pensò che un simile episodio non giocasse esattamente a suo favore e tacque.

Quando tornarono al tavolino con i caffè in mano, poterono constatare che Kurt e Rachel stavano parlando delle Nazionali.

In realtà i due avevano parlato fino a quel momento di Finn e Kurt aveva assicurato a Rachel che, se entro un mese suo fratello non si fosse fatto avanti, avrebbe pensato lui stesso a privarlo della sua sostanziosa colazione a base di frittelle per punizione.

«E quindi secondo me dovreste puntare su una musica... gioiosa. Perché Glee vuol dire “gioia” e non c'è nulla al mondo che lo esprimerebbe meglio della musica.»

Rachel si grattò il mento pensierosa, poi sollevò lo sguardo sui due ragazzi che stavano tornando. Blaine e Finn posarono i caffè sul tavolo e si sedettero con loro.

«Di cosa stavate parlando?»

«Delle Nazionali, ovviamente» rispose Rachel. «Non abbiamo un minuto da perdere, se vogliamo battere i Vocal Adrenaline avremo bisogno di tutta la preparazione possibile.»

«Non credi di star esagerando?» chiese Blaine, sorseggiando il caffè.

«Blaine, solo perché la sconfitta brucia come carboni ardenti, non ti servirà a nulla sabotarci.»

«Non sto cercando di... sabotarvi! Dico solo che, se vi siete impegnati quanto noi in queste ultime settimane, probabilmente ora avrete bisogno di una piccola pausa.»

«Niente pause!»

Kurt si schiarì la voce: «Forse Blaine ha ragione. Insomma, potreste passare almeno una sera senza parlare del Glee e delle Nazionali. Potreste – per dire, eh – uscire. Insieme.»

Rachel e Finn abbassarono lo sguardo e Kurt capì che l'unico modo per farli parlare era costringerli. Così si alzò in piedi, afferrò Blaine per il braccio e disse: «Non è che mi accompagneresti a prendere un muffin?»

Blaine balbettò confuso un “va bene” e lo seguì. Quando furono a distanza di sicurezza disse:

«Pensavo non mangiassi nulla che contenesse burro, zucchero e cioccolato in proporzioni così smisurate» disse, occhieggiando ai muffin in vetrina.

«Non dire assurdità, ovvio che non mangerei mai una di quelle bombe caloriche. Era solo una scusa per lasciarli soli. Se quei due non si mettono insieme alla svelta dovrò continuare a sentire i piagnistei di Finn su quanto Rachel sia perfetta e assolutamente fuori dalla sua portata eccetera eccetera eccetera.»

Blaine sorrise, trovando decisamente tenera la sua apprensione per il fratello.

«Guarda, stanno parlando» disse Kurt, mordendosi le labbra. «Si sta grattando la testa imbarazzato. Glielo sta chiedendo, me lo sento.»

«Rachel... sta annuendo.»

«E' fatta! Hanno un appuntamento» esclamò felice.

«Non pensi di correre un po' troppo. Magari le ha solo chiesto se vuole un altro caffè» disse Blaine, che però sotto sotto sperava avesse ragione Kurt.

L'altro si voltò verso di lui: «Non fare il guastafeste!» disse, simulando un broncio che sparì un secondo dopo, sostituito da un sorriso.

Blaine pensò che non si sarebbe mai stancato di vederlo sorridere. Amava farlo sorridere e amava ancora di più il fatto che gli riuscisse così facile.

«Che ne dici se lo facessimo anche noi?»

«Cosa?»

«Uscire, dico. Non un saluto di sfuggita o un salto al Lima Bean. Intendo un vero appuntamento.»

«Tipo quello di San Valentino?»

«Tipo quello di San Valentino.»

Kurt sorrise: «Sarebbe fantastico. Dopo le Regionali ci siamo visti solo di sfuggita o ci siamo sentiti per telefono.»

«Che ne dici di venerdì? E' la mia serata di libertà e pensavo di tornare a dormire a casa, quindi niente coprifuoco per il dormitorio.»

«Perfetto.»

«Passo a prenderti verso le otto.»

Ritornarono ai tavolini con un sorriso sulle labbra. E Blaine con un muffin al cioccolato in mano.


«Ehi Finn, se hai bisogno di qualcosa dimmelo subito perché fra qualche min-» Kurt si interruppe nel vedere il proprio fratello fermo davanti all'armadio con l'espressione vacua di chi non sa cosa mettersi e ha dieci minuti per decidersi.

Il maggiore si voltò disperato: «Aiutami, ti prego.»

Kurt ridacchiò entrando in camera: «Chi è adesso quello che si preoccupa per i vestiti?»

«Chiudi la bocca! Voi siete usciti un sacco di volte e siete insieme da due settimane. Questo è il nostro primo vero appuntamento, perdonami se sono un tantino agitato.»

Kurt lo ignorò per immergersi nel suo armadio. Studiò attentamente i capi a sua disposizione, arricciando più volte le labbra per l'immane quantità di felpe puzzolenti, ed infine gettò sul letto un paio di pantaloni scuri, un maglione, una camicia ed una cravatta.

«Ecco: più elegante rispetto a “camicia a quadri e t-shirt da jogging” ma non troppo elegante da “ho già un piede sull'altare”, che ne dici?»

«Mi fido ciecamente» disse, prendendo i pantaloni. «Allora per te non è un problema se prendo la macchina.»

«Nah, tanto mi viene a prendere Blaine.»

«E, tanto per sapere, quando hai intenzione di tornare?»

«Finn, che hai intenzione di fare? E' solo il vostro primo appuntamento.»

«Ma no!» esclamò, lanciandogli contro una maglietta sporca. «Quello dovrei chiederlo a te. Giusto per non ritornare a casa nel momento meno opportuno.»

«Non ci saranno momenti poco opportuni» replicò. «Ci stiamo andando piano.»

«Ci andate piano perché lo vuoi tu, perché lo vuole lui o perché nessuno di voi due ha il coraggio di ammettere che non volete affatto andarci piano e che avete aspettato abbastanza?»

Kurt boccheggiò cercando una risposta. «Non voglio rovinare tutto.»

«Sai, io non credo che esista “il momento giusto”. Esiste la persona giusta e quando l'hai trovata, allora nulla può andare storto. E se proprio qualcosa dovesse rompersi, se è quello giusto saprete riaggiustare tutto.»

Kurt sorrise, gettando la maglietta sporca nel cesto dei panni da lavare.

«Da quando sei diventato così saggio?»

«Ehi, lo sono sempre stato» protestò.

Pochi secondi dopo sentirono suonare il campanello.

«E' lui» disse Kurt.

«Cerca di fare tardi» lo stuzzicò.

«E tu vedi di fare il gentiluomo» replicò Kurt, chiudendosi la porta alle spalle e scendendo le scale di corsa.

Quando vide Blaine fargli cenno dall'auto ripensò alle parole di Finn.

Poteva sembrare avventato, ma sentiva di aver trovato la persona giusta.


Il tavolo che avevano riservato per loro era abbastanza vicino al palco da poter ascoltare la musica ma abbastanza appartato per non doversi preoccupare di sguardi indiscreti.

Ordinarono e, mentre aspettavano la cena, parlarono serenamente del più e del meno, soffermandosi a fantasticare su come Finn e Rachel stessero passando la serata.

Blaine stava ridendo ad un imitazione che Kurt stava facendo di Finn quando il proprietario del locale si avvicinò a loro.

«Tutto bene? Sembri stravolto» disse Blaine, notando il volto dell'uomo.

«E' successo un pasticcio con la cantante del gruppo che deve esibirsi ora. Ma non voglio annoiarvi o rovinarvi la cena.»

«Che genere di pasticcio?» continuò curioso il ragazzo.

«Si è sentita male mentre era in bagno un quarto d'ora fa. Niente di grave, ma ha detto di non riuscire a cantare, non questa sera almeno. Il problema è che la band che ha suonato fin ora non può fermarsi di più e non so più chi chiamare» disse, mettendosi le mani fra i capelli.

Blaine si grattò il mento: «Ti manca solo la cantante, giusto?»

«E dici solo!»

«Intendo, i musicisti sono tutti disponibili, no?»

«Certo, ma non possono suonare senza una voce.»

«Che brani avrebbero dovuto eseguire?»

«Principalmente pezzi di musical. Perché tanto interessamento?»

Blaine sorrise, voltandosi verso Kurt: «Forse so come salvare la situazione. Perché non chiedi a lui di cantare?»

Kurt strabuzzò gli occhi: «Stai scherzando, spero?»

«E perché no? Se sono pezzi di musical con ogni probabilità li conoscerai a memoria uno ad uno e poi, dal momento che sei un controtenore, non dovrebbero neppure riarrangiare la parte strumentale.»

«Ma è assurdo! Dovrei cantare davanti a tutte queste persone senza neppure un minimo di preparazione?»

«Sono certo che potresti farlo benissimo. Kurt, tu sembri nato per il palcoscenico. Non dovresti neppure esitare!»

Kurt cominciò a tormentarsi le unghie, mentre Virgilio si voltò verso di lui: «Pensi di poterlo fare? Perché in tal caso ci salveresti.»

«Io-» esitò.

«Fallo per me, Kurt. Non hai idea di quanto mi piacerebbe sentirti cantare.»

Bastarono quelle parole a cancellare nel ragazzo qualsiasi incertezza.


Aveva avuto dieci minuti per parlare con quelli della band e dare un'occhiata agli spartiti. Come avevano detto i musicisti, le canzoni erano nelle tonalità originali. Kurt conosceva quelle canzoni da una vita e le cantava da quando aveva voce. Molte le aveva studiate ai tempi del Glee anche se solo alcune aveva potuto poi cantarle in pubblico.

Gli altri membri della band si erano già sistemati sul palco: un contrabbassista, un chitarrista, una violinista, un percussionista e un suonatore di tromba dai capelli eccentrici. La ragazza gli fece cenno di raggiungerli e lui, stringendo gli spartiti con mani tremanti, eseguì.

I clienti del locale stavano mangiando senza neppure badare a loro. L'unico che non smetteva di fissare il palco era Blaine, che gli sorrideva dal loro tavolo.

«Sei pronto?» chiese la violinista e lui annuì.

La ragazza si fece avanti e si rivolse al pubblico: «Salve gente, ci scusiamo per il ritardo. Approfitto della vostra attenzione per esortarvi ad applaudire il nostro nuovo cantante, reclutato neppure dieci minuti fa, senza il quale questa serata non sarebbe stata possibile. Un ringraziamento a Kurt Hummel.»

Sentendo il proprio nome seguito da uno scrocio di applausi distratti da parte dei clienti, Kurt si agitò ancora di più.

Oh, avanti! Quante volte hai cantato davanti a platee piene di gente. Ricordi alle Provinciali, alle Regionali...addirittura alle Nazionali! Perché devi essere agitato.

La risposta era semplice. Perché Blaine era lì e lo stava guardando.

Blaine non l'aveva mai sentito cantare, non seriamente, almeno. Certo, talvolta gli capitava di canticchiare qualche motivetto senza neppure rendersene conto, ma non aveva mai cantato seriamente davanti a lui.

Ora invece l'avrebbe sentito cantare e voleva lasciarlo sbalordito, come Blaine l'aveva più volte stupito – a San Valentino, per dirne una.

Quando sentì la base partire seppe che ce l'avrebbe fatta. L'avrebbe lasciato a bocca aperta, perché ogni singola nota sarebbe stata dedicata a lui.

Eseguì le varie canzoni senza intoppi. Dopo le prime due musiche nessuno lo guardava più, troppo impegnati a fissare il proprio piatto. Blaine invece non aveva staccato neppure per un secondo gli occhi da lui, e Kurt non era stato da meno. Si erano fissati per tutto il tempo.

Quando esaurirono le canzoni ed i bis, salutarono il pubblico e lasciarono il palco. Gli altri musicisti stavano complimentandosi con lui ed accordandosi per ritrovarsi, qualche volta, quando il proprietario gli si avvicinò, battendogli una mano sulla spalla.

«Sappi che da oggi in poi ti sarò sempre riconoscente e, se ti servirà, ti procurerò sempre un tavolo al mio locale.»

Kurt rise: «Per così poco? E' stato un piacere anche per me esibirmi. Avevo dimenticato quanto fosse bello...tutto ciò. Il palcoscenico, la musica, gli occhi di tutti su di te.»

«Ne terrò conto. Blaine te l'avrà detto, spesso mi affeziono agli artisti che si esibiscono al mio locale o che espongono dei quadri. Se mai volessi tornare ad esibirti, questa volte con il repertorio che preferisci, fammelo sapere. Chissà, magari potresti essere notato dalla persona giusta» disse.

«Io...non ho parole. Grazie.»

«Non ringraziarmi. Hai del talento e si vede che ami quello che fai. Meriteresti un pubblico più attento» disse. «Beh, di certo non più attento del giovanotto che ti sta aspettando.»

Kurt scorse Blaine aspettarlo all'angolo del corridoio. Salutò distrattamente l'uomo e corse verso di lui.

«Oh, Blaine, mi dispiace. Per colpa di questa cosa ho finito per passare tutta la serata lontano da te. Doveva essere un appuntamento romantico, un modo per stare insieme, da soli, senza nessuno intorno e invece a stento siamo riusciti a parlare.»

«Kurt, non dirlo neanche per scherzo. Non scusarti. Intanto ti sei guadagnato l'eterna gratitudine di Virgilio, che ci ha offerto una cena gratis per riparare quando vogliamo. E poi ascoltarti è stato...meraviglioso. È stato come averti sempre al mio fianco.»

«Non hai smesso un secondo di guardarmi.»

«Lo stesso vale per te» disse Blaine, accarezzandogli la guancia e avvicinando le loro labbra per un soffice bacio. «E poi la notte è ancora giovane e non devo tornare nel dormitorio. Potremmo, che so, andare al cinema oppure ci fermiamo a prendere un panino o-»

«Stavo pensando... casa tua è libera?»


Uscirono dalla macchina ridendo. Avevano passato tutto il viaggio verso casa a cantare ogni canzone della playlist dell'iPod di Blaine, tanto da non avere quasi più voce. Kurt si appoggiò alla macchina, uscendo, tenendosi la pancia per il tanto ridere. Poi alzò lo sguardo per cercare quello di Blaine, che gli si stava avvicinando.

Gli sorrise e, quando Blaine gli sfiorò il viso con la mano, chiuse gli occhi, aspettando il bacio che puntualmente arrivò.

Nell'aria fredda della sera le labbra calde le Blaine erano tutto ciò che potesse desiderare. Quello che era cominciato come un bacio a fior di pelle, venne ben presto approfondito e Kurt non esitò ad allacciare le braccia al collo di Blaine. La leggera pressione contro l'auto non lo infastidiva, come non lo infastidivano le braccia di Blaine strette attorno ai suoi fianchi.

Si staccò un secondo dal bacio per riprendere fiato.

«Sembriamo ubriachi» gli sussurrò.

«Ma non lo siamo. Altrimenti avrei già fatto qualcosa di irrimediabilmente stupido come al mio solito.»

«Sei ancora in tempo» disse, baciandogli la fronte e rabbrividendo quando sentì le labbra di Blaine baciargli il collo.

Senza staccarsi, barcollarono fino alla porta di casa. Aveva ragione Kurt: entrambi si sentivano ebbri, come solo l'amore, oltre all'alcol, sa far sentire. Blaine frugò nelle tasche finché non trovò le chiavi ed aprì la porta.

Kurt rimase a bocca aperta e cercò di dissimulare lo stupore che però non sfuggì a Blaine.

«Casa dolce casa» mormorò, posando le chiavi nello svuotatasche.

Kurt ringraziò il cielo di non averlo fatto entrare in casa sua. Si vergognò al solo pensiero che comunque doveva averla vista da fuori e quindi una vaga idea in testa doveva essersela fatta.

Okay, prima di farlo entrare in quel porcile di appartamento io e Finn dobbiamo ripulire per bene.

Blaine chiuse la porta e il rumore fece sobbalzare Kurt, risvegliandolo dai suoi pensieri.

«C'è nessuno in casa?» chiese.

Blaine scosse la testa: «I miei sono in viaggio, come ti ho detto, mentre mia sorella è...»

«Con mio fratello» concluse Kurt. «Fa strano a pensarci bene. Dev'esserci qualcosa che attira gli Hummel e gli Anderson. Forse è qualcosa di chimico.»

«Qualsiasi cosa sia non ho nessuna intenzione di oppormi» disse sorridendo e prendendolo per mano. «Ti va di umh... vedere un film?»

«Cosa offre casa Anderson?» chiese, guardandosi in giro.

Blaine fece un mezzo inchino, invitandolo a seguirlo. Si fermò davanti ad uno scaffale e a Kurt servì qualche istante per rendersi conto che i quattro ripiani erano pieni di dvd.

«Oh mio Dio. E sono pure originali» si lasciò scappare, pentendosene un secondo dopo. La maggior parte dei dvd che avevano a casa erano stati scaricati illegalmente da Puck, il quale piantava un insopportabile piagnisteo ogni volta che Kurt gli chiedeva di scaricargli un musical.

Osservò ammirato i titoli: «Abbiamo gusti simili» commentò.

Blaine si schiarì la voce: «Temo che quelli siano i dvd di mia sorella» disse, grattandosi la testa. «I miei sono davvero pochi. Qualche horror, Star Wars, qualche film di guerra. Anche se talvolta, quando i miei non sono in casa, io e Rachel ci spariamo una maratona di musical o commedie romantiche.»

Kurt sorrise al pensiero di quei due in divano intenti a mangiare popcorn e a guardare la tv. Non dovevano essere tanto diversi da lui e Finn.

«E questi cosa sono?» chiese, indicando dei dvd senza titolo in un angolo.

«Niente!» esclamò Blaine, con troppa enfasi perché passasse inosservata. Per un secondo Kurt pensò che si trattasse di porno, ma scartò l'idea: poco appropriato tenerli nella videoteca del salotto. Poi gli venne in mente che probabilmente erano video di famiglia: matrimoni, battesimi, vacanze. Anche lui e Finn avevano qualche cassetta del genere, ma da quando i loro genitori erano morti non avevano più il coraggio di guardarle.

«C-cosa ti va di vedere?» chiese Blaine, cercando di sembrare rilassato.

«Ce l'hai Harry ti presento Sally?» chiese. Blaine scorse velocemente i titoli e prese il film con un sorriso sulle labbra.

«Penso che io e tua sorella andremo d'accordo» disse Kurt, andando a sedersi in divano.

C'era un motivo ben preciso per cui Kurt aveva scelto quel film. Uno era che in quel modo avrebbe potuto vedere una delle sue commedie preferite in HD su un mega televisore accoccolato su un comodo divano. Secondo, conosceva quel film a memoria e non gli sarebbe certo dispiaciuto se, nel corso della serata, si fosse perso qualche frase a causa delle attenzioni dovuto al suo ragazzo.

Infatti a neppure dieci minuti dall'inizio del film, i loro gomiti, che prima solamente si sfiorarono, erano ormai intrecciati e pian piano Kurt poté constatare come il film mantenesse il suo fascino anche dal comodo petto di Blaine. A metà film avevano già dimenticato le disavventure dei due protagonisti per dedicarsi l'uno all'altro.

Nessuno dei due seppe esattamente descrivere le dinamiche dell'accaduto, ma un secondo prima si stavano baciando seduti sul divano, mentre un secondo dopo Kurt si ritrovò con la schiena schiacciata contro i morbidi cuscini e le labbra di Blaine sul suo collo.

Qualcuno per caso ha accesso il riscaldamento al massimo?, si disse, chiedendosi perché mai facesse così caldo in quella stanza così, all'improvviso.

Quando il suo respiro cominciò a farsi pesante, Blaine si risollevò. Aveva le guance leggermente arrossate.

Imbarazzo? Possibile che quel rossore fosse dovuto all'imbarazzo.

«S-scusa. Non so che mi è preso» balbettò.

Sì, era proprio imbarazzo.

«Non saprei dire cosa “ti sia preso”, ma posso dirti che a me non dispiaceva per niente.»

E questa da dove ti è uscita, Kurt Hummel? Sul serio, signorino, l'influenza di Santana comincia seriamente a farsi sentire.

Afferrò il viso di Blaine, conducendolo fino alle proprie labbra per un bacio decisamente più appassionato.

Stavano andando troppo in fretta? La voce della ragione nella testa di Kurt continuava a gridargli che sì, stavano andando troppo in fretta. Ma si sa, negli adolescenti la ragione tende ad essere sopraffatta da quel mix micidiale di ormoni che mette in subbuglio lo stomaco e tende a mettere da parte ogni pensiero razionale.

Quella notte, nel proprio letto, Kurt si sarebbe chiesto fin dove sarebbero arrivati se, proprio mentre i primi bottoni della camicia cominciavano ad essere sbottonati, non avessero sentito il rumore inconfondibile di un colpo di tosse alle loro spalle.

«Bene, bene, bene» commentò una voce a Kurt sconosciuta, ma decisamente maschile.

I due ragazzi scattarono a sedere, cercando di ricomporsi nel minor tempo possibile. Poi entrambi si voltarono per vedere chi avesse parlato.

Il ragazzo – o forse sarebbe stato più appropriato dire l'uomo – che avevano di fronte li guardava con un sorrisetto divertito sulle labbra e stringeva le braccia incrociate al petto. Kurt non aveva idea di chi fosse, ma gli occhi nocciola e le folte sopracciglia scure gli risultavano in qualche modo familiari.

«Coop, che diavolo ci fai qui!» esclamò Blaine.

«Che domande? Quando ho saputo che mamma e papà andavano in viaggio ho pensato di passare a salutare i miei fratellini. E poi, da quando mamma mi ha detto che dovevi esserti trovato una ragazza, ero assolutamente curioso di conoscere la fortunata

Blaine provò a balbettare una scusa. Ovviamente senza successo.

«Devo supporre che lui sia la fortunata. O meglio, il fortunato, su questo almeno vado sicuro.»

«Lui...è Kurt.» Fu l'unica frase compiuta che gli uscì.

«Molto piacere Kurt. Io sono Cooper Anderson e, come avrai potuto immaginare, sono suo fratello maggiore.»

Kurt si voltò sorpreso verso Blaine.

«Devo dedurre che non ti abbia mai parlato di me, vero? Effettivamente preferisce tenermi nell'ombra. Forse per la grande differenza di età fra noi non siamo mai stati molto legati. Lui faceva più comunella con Rachel.»

«Coop.»

«Che c'è? Non credere che non fossi geloso quando vi vedevo duettare alle feste di famiglia. Tutti tirati a lucido, addobbati di fiocchi lei e papillon tu eravate davvero adorabili.»

«Coop.»

Il ragazzo sorrise, avvicinandosi al divano. Alla luce soffusa proveniente dallo schermo della tv, Kurt riuscì a vedere meglio i tratti del viso dell'ormai non più sconosciuto uomo e non poté reprimere un'espressione di stupore.

«Oh mio Dio, tu sei...»

«Quello della pubblicità del Free Credit Rating Today. Colpevole.»

«Io... non ci posso credere! Adoro letteralmente quello spot! E la musica e la coreografia sono... e tu... tu sei...»

Coop sorrise, inarcando le sopracciglia. Probabilmente era abituato a quel genere di reazioni.

Kurt si voltò verso il proprio ragazzo per chiedergli perché non gli avesse mai detto di essere il fratello di quel Cooper Anderson. Poi vide lo sguardo basso e stizzito di Blaine e allora capì. Capì il perché del suo silenzio e si sentì improvvisamente stupido.

«Piacere.»

«Il piacere è tutto mio, Kurt.»

Blaine si schiarì la voce: «Coop, io posso spiegarti...»

«Per favore, Blaine, non venire a blaterare cose come “non ci stavamo baciando” o “siamo solo amici”. So quello che ho visto e se quella non era una pomiciata allora Sarah Palin è democratica! E per fortuna non sono arrivato cinque minuti più tardi, o sarebbe stato davvero imbarazzante.»

Blaine tacque, colpevole. «Non volevo che lo scoprissi in questo modo.

«Alza la testa e guardami in faccia» disse, costringendo l'altro ad eseguire. «Vedi forse dello stupore nei miei occhi? O del disgusto? O del biasimo?»

No. Blaine non vide nulla di tutto ciò nello sguardo di suo fratello.

«Detto fra noi, fratellino, l'ho sempre saputo. Intendo, ho sempre saputo che, se mai ti avessi beccato in un momento poco opportuno, sarebbe stato con un ragazzo e non con una ragazza.»

L'altro lo sguardo sorpreso.

«Oh, non fare quella faccia! Sono tuo fratello e, al contrario di Rachel, non vivo sotto una campana di vetro. Conosco il mondo e conosco Hollywood: lì l'omosessualità è comune come il caffè a colazione e non è trattata come una malattia, ma solo come quella che è: una preferenza sessuale.»

«Quindi non sei sconvolto da questa cosa? Neppure un po' sorpreso?»

«Blaine. Quando avevi sedici anni ti regalai una rivista porno, ricordi?»

«Come dimenticarlo?»

«Era una prova. Sospettavo che tu fossi gay da quando, ogni volta che ti chiedevo se c'era qualche ragazza che ti piaceva, storcevi il naso e mettevi su un broncio triste come se avessi un groppo allo stomaco che non riuscivi a sciogliere. Allora ho pensato di controllare. Ti ho regalato quella rivista e due giorni dopo, mentre tu eri fuori casa, ho controllato in camera tua e non l'ho trovata. Sai dov'era?»

«Nel cassonetto della carta all'angolo del quartiere. Dove ero andato a buttarla di nascosto.»

Kurt dovette mordersi le labbra per non sorridere ad una simile immagine. La tentazione di abbracciarlo e baciarlo era forte, ma capiva quanto poco opportuno fosse quel momento.

«Appunto. Da quella volta ho smesso di chiederti se uscivi con qualcuna o di offrirti un aiuto per rimorchiare ragazze. Aspettavo solo il momento in cui me lo avresti detto. Mi aspettavo qualcosa di molto intimo e toccante, ma mi farò bastare l'avervi interrotto sul più bello» disse, alzando le spalle e sorridendo.

«Non lo dirai a mamma e papà, quindi.»

«Blaine, per chi mi hai preso? So come la pensano e so quanto sia difficile dire loro la verità. Ma sappi una cosa: se mai dovesse accadere il peggio, se mai dovessero fare qualcosa di molto stupido, ricordati che hai sempre un fratello da cui andare. Un fratello che ha un appartamento di sua proprietà e uno stipendio abbastanza sostanzioso da mantenere il proprio fratellino e mandarlo al college.»

Blaine sorrise, sospirando sollevato.

«Ora, la mia proposta è: mentre io mi cucino degli spaghetti, voi vi sedete al tavolo della cucina e mi raccontate tutto per bene. Che ne dire?»

Blaine si voltò verso Kurt, che annuì sereno e insieme seguirono Cooper in cucina.

«Allora, vi ascolto.»

Blaine cominciò a raccontare. Restò vago sul modo in cui si erano conosciuti, evitando così di rivelare il lavoro di Kurt e passò a parlare delle settimane passate ad avvicinarsi lentamente: i litigi, il primo appuntamento, tutti quelli che erano seguiti. Raccontare faceva male perché gli facevano ricordare quanto Sebastian fosse stato importante per lui in quei momenti e non voleva sentirsi in colpa per lui e per quello che gli aveva gridato contro.

Sorrise nel raccontare il suo coming out con Rachel, ridendo alle proteste di Coop, che avrebbe voluto essere il primo a sapere.

Poi raccontò del loro primo bacio nel parcheggio – evitando di parlare dello spettacolo che lo aveva preceduto – e di come Kurt gli aveva chiesto di diventare il suo ragazzo.

Proseguì raccontando di San Valentino e dei terribili giorni che erano seguiti, senza trascurare il ruolo che avevano avuto Sebastian e Dave.

«Ragazzi, un piano davvero complesso. Dovevano volerlo davvero molto, entrambi.»

«Ciò non gli dava il diritto di agire così: sono le nostre vite e non sta a loro giudicare se siamo adatti o meno l'uno all'altro.»

«Sono d'accordo. Quello che hanno fatto è stato stupido e ingiusto» disse «ma lo hanno fatto perché tenevano a voi e pensavano di fare il vostro bene.»

I due ragazzi fecero schioccare la lingua in segno di scetticismo quasi in contemporanea.

«Pensa a quello che ha fatto Sebastian per voi. Ha sbagliato, va bene, ma se non ci fosse stato lui a quest'ora vi stareste ancora odiando, no?»

«Va bene, lo devo ammettere. Senza di lui nulla di tutto ciò sarebbe successo, nel bene e nel male. Ciò non toglie che abbia sbagliato» concluse Blaine.

«Oh, avanti! Quante volte sarà capitato a te di sbagliare? Non credi che si meriti una seconda possibilità?»

Blaine si morse le labbra, indeciso.

«E lo stesso vale per Dave. Ha fatto quello che ha fatto perché teneva a te.»

«Dave ha già avuto la sua secondo possibilità e se l'è giocata. Non sarò così stolto da concedergliene una terza.»

Cooper annuì, capendo che cercare di convincerlo era inutile. «L'unica cosa che non ho capito è: perché non dovreste andare bene l'uno per l'altro? Insomma, avete quasi la stessa età, non avete altre relazioni né la fedina penale sporca e mi sembra che siate abbastanza affiatati.»

Kurt arrossì appena mormorando: «Penso sia perché non frequento il college, né probabilmente avrò mai modo di frequentarlo, visto che da quando ho finito la scuola lavoro. E perché vivo da solo con mio fratello che ha ripreso ad andare a scuola a vent'anni per prendere un diploma che prima non aveva e diciamo che il nostro appartamento non è nella zona in di Lima.»

«Che sciocchezze! Si vede lontano un miglio che sei un bravo ragazzo. Che importanza ha dove vivi o con chi vivi? O se studi o fai un lavoro onesto per mantenerti?»

Kurt abbassò lo sguardo alla parola “onesto”, pensando non al suo lavoro al negozio GAP, quanto al suo lavoro notturno.

«E' bello sentirtelo dire, Coop» disse Blaine.

«Stai scherzando? Una storia d'amore osteggiata come la vostra sarebbe un soggetto perfetto per un film. Ti immagini che roba? Un Romeo e Giulietta versione gay! Pagherei per recitare in un simile film!»

Blaine scosse la testa ridendo. Ovviamente Cooper non poteva rimanere serio più di un quarto d'ora per volta.

«Direi che si è fatto tardi» disse, sparecchiando la tavola e rivolgendosi ai ragazzi. «Non ho visto macchine estranee parcheggiate qui fuori, quindi Kurt avrà bisogno di un passaggio a casa.»

«Veramente non ce ne sarà bisogno» disse. «Mio fratello dovrebbe venirmi a prendere fra non molto. Anche perché deve riportare a casa Rachel.»

«Comecomecome?» esclamò Cooper.

Kurt si diede dell'idiota.

«Mi stai dicendo che tu esci con Blaine e tuo fratello esce con Rachel?» chiese, mentre Kurt si grattava la testa imbarazzato. «Non è che avete una sorella maggiore? Tanto per sapere se devo stare attento» disse.

«Niente sorelle, stai tranquillo» lo rassicurò.

«Dimmi che hai già fatto tu il discorsetto da fratello maggiore, quello in cui guardi il ragazzo dall'altro in basso e gli dici con fare minaccioso: “fai soffrire mia sorella e ti spezzo le gambe”. Non ho voglia di recitare anche fuori dal set.»

«Coop, lo sai che Rachel odia questo genere di cose. E poi è difficile guardare Finn dall'alto. Dubito che qualcuno nello stato dell'Ohio sia più alto di lui.»

In quello sentirono una macchina parcheggiare sul vialetto e si catapultarono tutti e tre alla finestra.

«E' la sua macchina» confermò Kurt.

«Accidenti se è alto!» esclamò Cooper, quando vide Finn uscire dall'auto per andare ad aprire la portiera a Rachel. Kurt si complimentò con se stesso per essere riuscito ad insegnare a suo fratello – dopo anni di tentativi – un minimo di buona educazione. «Che diavolo gli davate da mangiare da bambino: pane e fertilizzante? E vicino a Rachel sembra davvero un watusso.»

Blaine mise il broncio, perché tutte quelle osservazioni sull'altezza gli facevano ricordare che non poteva certo vantare un fisico da giocatore di pallacanestro. Kurt se ne accorse e si avvicinò a lui, baciandolo sulla tempia e stringendo un braccio attorno alla sua vita.

Pochi secondi dopo sentirono il campanello suonare e il maggiore degli Anderson corse ad aprire la porta.

Non appena Rachel riconobbe il fratello esclamò:

«Coop! Che diavolo ci fai qui?»

Cooper sorrise: «Sembra che questa sia la mia serata fortunata.»


Dopo che anche Finn e Rachel ebbero finito di raccontare la loro serata, il loro primo bacio e i balbettii del ragazzo per chiederle di mettersi con lui, Cooper poté ritenersi soddisfatto.

A malincuore i quattro ragazzi furono costretti a salutarsi con la promessa di sentirsi la sera stessa.

Kurt e Finn salirono in macchina nel più completo silenzio, finché Finn non ebbe il coraggio di esclamare:

«Siamo sopravvissuti. Mio Dio, per un secondo ho pensato che l'uomo che ci aveva aperto la porta fosse il padre di Blaine e Rachel, che vi avesse scoperti, che volesse uccidermi per essere uscito con sua figlia e... e poi ho pensato che Rachel l'aveva chiamato per nome e che era un po' troppo giovane per essere il padre di due figli adolescenti.»

«Non è stato poi così minaccioso. Insomma, dal momento che abbiamo a che fare con Santana quotidianamente e che al liceo abbiamo sopportato i soprusi di Sue direi che Cooper Anderson non è stato uno scoglio così difficile da superare. E poi è, umh, simpatico.»

«Kurt, sbaglio o quello è l'uomo che, fino ad un mese fa, ritenevi – cito testuale - “bello da svenire come neppure un principe Disney potrebbe essere”?»

«Mio Dio, Finn! Speravo te lo fossi dimenticato.»

«Non lo andrò a dire a Blaine se tu eviterai di rivelare a Rachel la mia passata...cotta per Santana.»

«Affare fatto» disse Kurt, voltandosi verso il fratello. Non riuscì a trattenersi oltre e lo abbraccio, facendolo quasi sbandare.

«Kurt! Sto guidando!»

«Non m'interessa. Sono troppo felice per te e Rachel. Cavoli, Finn, te lo meriti! Dopo l'ultimo anno che hai – che abbiamo passato, te lo meriti.»

«Ce lo meritiamo, Kurt. Tutti e due. Abbiamo toccato il fondo, ma ora stiamo risalendo. In serate come questa mi viene quasi da pensare che...che per noi ci sia una speranza. Sai, per essere felici.»

«Comincio a crederlo anch'io» disse. «Non pensavo avrei mai trovato una persona capace di farmi sorridere anche solo con un sms. E invece ora è tutto così reale ed è bellissimo» concluse in un sospiro. «Ma guarda come ci hanno ridotto, maledetti Anderson!»

Neppure le strade deserte di Lima, neppure il loro appartamento o la loro macchina sgangherata sembravano più così squallidi.



A/N


Sì, lo svuotatasche è un tributo a Sheldon Cooper (ah, ah, Cooper) che è l'uomo più geniale della tivù.


Sono lieta di affermare che ho finito di scrivere A Lima Side Story (23 capitoli più Epilogo) e quindi, come promesso, accelererò gli aggiornamenti a due a settimana. Uno di venerdì e l'altro di martedì.


Lasciamo da parte il fatto che oggi, al mio orale, mi sono sentita molto come Kurt al suo provino per la NYADA: ho praticamente inventato metà tesina al momento perché era molto meno sicura ma... molto più me. Glee mi ha davvero fatto male...

E ora che sono una donna libera e maturata potrò dedicarmi alle mille idee che ho in testa e leggere leggere leggere. Adoro l'estate.


Al prossimo capitolo!


yu_gin



coming next



«Che vuoi Smythe.»

«Ciao, Rachel, è un piacere sentirti. Come stai? Io non c'è male.»

«Sì, sì, è un piacere anche per me, Sebastian. Perché non saltiamo i convenevoli e arriviamo al punto in cui tu mi dici che cavolo vuoi. Sii breve perché il prurito di chiuderti il telefono in faccia è irrefrenabile.»

«Va bene, Rachel. Volevo chiederti quando e dove Kurt e Blaine usciranno insieme.»

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** looking for forgiveness ***


A Lima Side Story



Capitolo 20: looking for foregiveness



«Dannazione!» esclamò Finn, lanciando via l'ennesima pallina di carta.

Kurt, che in quel momento passava di lì con il cesto della biancheria da stirare fra le mani, si sporse in cucina e chiese:

«Tutto bene, Finn?»

«Sì, a meraviglia» gridò l'altro.

Kurt entrò in cucina e diede un'occhiata al tavolo. Completamente coperto di fogli scarabocchiati e macchie di inchiostro e il libro di matematica aperto sembrava una bocca pronta a divorare suo fratello.

«Fammi indovinare: matematica?»

«La odio. Stupida sgualdrina.»

Kurt soffocò una risata e, dopo aver posato per terra il cesto, si avvicinò a lui.

«Chi voglio prendere in giro? Faccio schifo a scuola. Io non sono fatto per studiare. Appena mi concentro per più di dieci minuti mi viene un mal di testa osceno.»

«Non credi di essere un tantino drammatico?»

Finn si voltò verso di lui e Kurt per un secondo fu spaventato da quell'immagine. «Io non so neppure se ci arrivo, al diploma.»

«Eh no! Discorsi del genere non ne voglio sentire, mi hai capito? Siamo appena a marzo e c'è ancora tempo prima di giugno. Tu prenderai il diploma, mi hai capito? A costo di dover studiare con te fino alle tre di notte questi stupidi integrali o logaritmi o qualunque cosa sia.»

«Non voglio esserti di peso.»

«Finn, tu non sei di peso. Sei mio fratello, hai capito?»

Finn mugugnò un “va bene” prima di riabbassare la testa sui libri. In quel momento suonò il campanello e Finn fece per alzarsi, ma Kurt lo bloccò.

«Non ci provare neanche. Sarà la padrona di casa che vuole l'affitto. O Santana in crisi depressiva.» Si diresse verso la porta e si avvicinò al citofono. «Sì?»

«Emh, sono Lenny, Lenny Clark. Tu devi essere Kurt, non so se ti ricordi di me.»

Kurt si ricordava molto bene di lui. «Certo. Vuoi salire?»

«Mi faresti un favore, grazie.»

Dalla cucina Finn gridò: «Chi è?»

«Torna a studiare. Dopo ti dico tutto.»

Kurt aprì la porta e sentì i passi dell'uomo che saliva le scale. Quando lo vide sbucare da dietro l'angolo lo riconobbe come il Lenny che aveva sempre visto in officina da suo padre.

«Cavoli, ti sei fatto grande. Se penso a quando eri così piccolo che dovevamo sempre andarti a cercare sotto le automobili e...»

«Lenny, ci siamo visti due anni fa, ricordi?»

L'ultima volta al funerale. Ah no, l'ultima volta era stata dal notaio.

«Sì, volevo solo dire che sei cresciuto. Stavi facendo il bucato?»

Kurt posò a terra il cesto e lo spinse via con un piede. «Può aspettare. A cosa dobbiamo questa visita improvvisa?»

«Io avrei bisogno di parlare con Finn.»

Kurt si voltò verso la cucina. «Sta studiando in questo momento. È appena riuscito a concentrarsi – impresa titanica per lui – e non vorrei che si distraesse. Puoi dire a me.»

«Ecco, io ero venuto per vedere come stavate. Mio figlio ora va al liceo, al McKinley, e mi ha detto di aver sentito dire che non ve la cavate esattamente alla grande.» Uno sguardo all'appartamento giustificò la sua affermazione.

«Tiriamo avanti. In un modo o nell'altro. Tu, invece?»

«Bene. Insomma, l'officina va alla grande, come sempre. Non è stato difficile, dal momento che tutti i clienti di tuo padre hanno continuato a venire da me. Anche dopo che ho rilevato l'officina.» Kurt capì subito che l'uomo era a disagio e sapeva anche il motivo.

«Lenny, non ce l'abbiamo con te. Insomma, non saremmo mai riusciti a tenere in piedi l'intera officina e forse senza i soldi della vendita non ce l'avremmo fatta. Il fatto che ora gli affari ti vadano bene non può che farmi piacere. Anche papà sarebbe contento che tutto il suo lavoro sia servito a qualcosa.»

«Sarà, ma io continuo a sentirmi in debito. Avevo vent'anni quando tuo padre mi assunse e abbiamo lavorato insieme per altri venti. Gli sono sempre stato grato per avermi assunto anche se non ci capivo molto di motori all'epoca e avevo solo bisogno di un lavoro per andare avanti. Ora voglio sdebitarmi nell'unico modo che mi è possibile. Uno dei miei dipendenti ha dato le dimissioni e voglio chiedere a Finn di venire a lavorare all'officina. Ricordo che fin da bambino era sempre in giro a sporcarsi con l'olio dei motori mentre tu te ne stavi alla scrivania di tuo padre a fare i compiti.»

Kurt sorrise a quel ricordo.

«Sono certo che in meno di un mese riuscirà a rispolverare tutto ciò che sapeva. Sarebbe un lavoro a tempo pieno e lo stipendio sarebbe buono. Vi permetterebbe di vivere più serenamente.»

Kurt si mordicchiò il labbro: «Lenny, tutto ciò è stupendo, ma Finn va ancora a scuola. È il suo ultimo anno e questa volta vuole davvero riuscire a diplomarsi.»

«Kurt, si può sapere con chi stai-» Finn irruppe nel salotto e si bloccò non appena riconobbe l'uomo. «Ciao Lenny. Che- che cosa ci fai qui?»

«Sono venuto a proporti di lavorare all'officina. Un lavoro a tempo pieno. Sempre se ti va.»

Finn lanciò uno sguardo a Kurt.

«A tempo pieno. Significherebbe lasciare la scuola.»

«Sarebbe un lavoro sicuro.»

«Finn, no-»

«Oh, andiamo, Kurt! Non so neppure se riuscirò a diplomarmi quest'anno.»

«E' solo fino a giugno!» tentò di convincerlo.

«Sono quattro mesi, Kurt. Quattro mesi in meno a lavorare al locale. Quattro mesi in meno di cibo in scatola e vestiti di seconda mano.»

«E' il tuo diploma.»

«E' solo un pezzo di carta. Guarda il tuo a cosa ti è servito!» esclamò, pentendosene un secondo dopo. Era stato un colpo basso.

Kurt gli rispose a tono: «Cosa ne direbbe Rachel? Pensi sarebbe contenta di avere un fidanzato che rinuncia senza neppure aver lottato?»

«Lasciala fuori» protestò.

«E invece no. Pensavo ci tenessi a lei. Non saresti in grado di fare questo, di renderla orgogliosa di te?»

Finn tentennò e Kurt ne approfittò per prendere in mano la situazione:

«Lenny, non è che potresti aspettare fino a giugno?»

«Beh, sono quattro mesi e io ho bisogno di qualcuno che mi dia una mano...»

«Potrebbe venire qualche pomeriggio a fare praticantato, intanto, e poi da maggio in poi potrebbe venire ogni pomeriggio. E passato giugno sarebbe già pronto a lavorare a tempo pieno.»

«Solo fino a giugno, dici? Beh, penso che si possa fare. Basta che dopo a settembre non debba ricominciare la scuola.»

«Oh, credimi, non sarà necessario. Mi assicurerò io stesso che questo zuccone si diplomi» disse, battendogli una mano sulla spalla.

Finn era ancora senza parole. «Grazie, Lenny. Io non so davvero che altro dire.»

«”Ci vediamo in officina” penso possa andare bene» disse, porgendogli la mano. «Quando hai un pomeriggio libero passa a trovarmi. Intanto ti farò conoscere gli altri dipendenti e ti metterò all'opera. Tanto per vedere quanto sei arrugginito.»

«Non ti deluderò» disse.

Si salutarono sulla porta e, una volta rimasti soli, i due fratelli si guardarono ancora increduli.

Finn riuscì solo a balbettare:

«Ho un lavoro.»


«E così gli ha offerto un lavoro. Un lavoro vero, non come barista in un locale qualche sera a settimana.»

«Wow. E Finn è contento.»

«E' in estasi. Lavorare in un officina, anzi, nell'officina di nostro padre è... è un sogno per lui. Non vede l'ora di cominciare, anche se gli ho fatto giurare che prima si diplomerà.»

Blaine ridacchiò dall'altra parte del telefono: «A volte mi chiedo chi di voi due sia il maggiore.»

«All'anagrafe lui. Per tutto il resto io, ovviamente» rispose, facendolo ridere. «E poi, non appena Finn comincerà a lavorare in officina, lascerò il lavoro allo Scandals.»

«Sono sicuro che troverai un altro modo per esprimere le tue potenzialità da diva. Per esempio, quest'estate potremmo esibirci insieme nei parchi a tema.»

«Blaine Anderson, non osare! Non ho intenzione di indossare un ridicolo costume da pinguino per far sorridere i bambini.»

«Scommetto che saresti dannatamente sexy anche così.»

«Tu di più.»

«Stiamo giocando al “no, tu di più”, “no, tu”, “no, tu!”? Perché in tal caso prenoto la clausola “all'infinito”» disse. La risata cristallina di Kurt risuonò nell'apparecchio. Amava farlo ridere.

«Io la tengo di riserva per quando giocheremo ad “attacca tu”, “no, attacca tu”.»

«Giochi sporco, Hummel!»

«Se ne può discutere.»

Blaine stava per prepararsi una risposta degna dell'avversario quando la porta della camera si aprì. Sebastian, entrando, sollevò lo sguardo su di lui, sorpreso di trovarlo al telefono.

Lo salutò con un vago cenno della testa e posò la propria borsa vicino alla scrivania e si sedette sul letto per slegarsi le scarpe.

«Blaine, tutto bene?»

«Sì, non preoccuparti.»

«E' tornato Sebastian?»

«Già.»

«Ho capito, ti mette ancora a disagio affrontare la questione con lui.»

Blaine rabbrividì chiedendosi se Rachel avesse passato i suoi poteri da vampira a Kurt o se semplicemente – per l'ennesima volta – le sue reazioni fossero noiosamente prevedibili.

«Ci sentiamo domani, allora.»

«Come sempre.»

«Mi manchi» di lasciò sfuggire. «Ci siamo visti tre giorni fa, lo so, ma-»

«Mi manchi anche tu. Ma non sarà sempre così. Quest'estate sarà tutto più semplice.»

«Lo spero.»

Nessuno dei due voleva parlare di cosa sarebbe successo dopo l'estate, di Blaine al college e Kurt ancora al negozio GAP, dei genitori di Blaine e a come avrebbero reagito – perché Blaine sapeva di non poter mantenere il segreto ancora a lungo.

Ma non dissero nulla. Si limitarono a salutarsi e a chiudere la chiamata.

«Non serve che chiudi appena entro, non mi sconvolgo mica. Semmai mi si cariano i denti, ma il mio dentista fa miracoli.»

«Non ricordo di averti perdonato.»

«Però non hai cambiato stanza.»

«Non penso che avrebbero accettato come motivazione: “ho litigato con lui” mi avrebbero detto di risolvere i nostri problemi da adolescenti senza seccarli.»

«Mentre invece ti limiti a tenere il broncio e a non parlarmi. Molto maturo.»

«Di certo più maturo che rubare il cellulare e cambiare i numeri di telefono.»

«Ti ho già chiesto scusa.»

«Come se bastasse!»

Sebastian lo guardò. Non sorrideva. Sul suo volto non c'era alcuna traccia di quell'espressione spavalda che di solito sfoggiava.

«Sai, le persone sbagliano. E altre persone le perdonano. Se non ricordo male, non sono l'unico in questa stanza ad aver sbagliato in passato.»

Detto questo Sebastian si chiuse in bagno, senza dare modo a Blaine di rispondere, lasciandolo in silenzio sul letto a maledirsi per l'ennesima volta.


Sebastian schioccò le dita per richiamare l'attenzione del cameriere.

«Sì?»

«Una birra» disse.

Il ragazzo lo guardò dubbioso: «Un'altra?»

«Che cazzo, ti pagano per servire da bere o per fare il moralista?»

Il barista sollevò un sopracciglio seccato e gli servì un'altra birra.

«Spero non debba guidare tu sta sera» disse una voce alle sue spalle.

Sebastian si girò di scatto e, non appena riconobbe Dave, si voltò infastidito. «Se devi farmi la predica dimmelo subito che torno a casa. Comunque no, non devo guidare io. Nella previsione di sbronzarmi ho preso un taxi e – se non riuscirò a trovare un passaggio per il ritorno – ne prenderò un altro. Tutto qui.»

«Coprifuoco?»

«Mezzanotte.»

«Come Cenerentola.»

«E' stato un piacere parlare con te, Karofsky» disse, prendendo la birra e alzandosi per cambiare posto.

«Dio, come sei permaloso! Stavo scherzando, va bene?»

Sebastian appoggiò nuovamente il bicchiere sul bancone e tornò a sedersi. «Come te la passi?» azzardò.

«Oh, a meraviglia. Se non fosse per il fatto che ora Kurt neppure mi rivolge la parola e, se mai lo facesse, sarebbe probabilmente per insultarmi.»

«Beh, non posso dargli torto» commentò, bevendo la propria birra.

«Ehi! Ti ricordo che sei stato mio complice?»

«Sì, ma le mie intenzioni erano buone. Tu lo volevi fare solo per tornare a scoparti il tuo ex.»

Dave abbassò lo sguardo e si morse le labbra. Sebastian strabuzzò gli occhi:

«Aspetta, tu non ci hai mai fatto niente?»

Lo sguardo dell'altro fu inequivocabile. Sebastian si colpì la fronte con il palmo della mano: «Signore, allora era davvero un verginello!» esclamò, ripensando a tutto quello che aveva detto per far incazzare Blaine. A quanto pare si sbagliava. «Cioè, siete stati insieme qualche mese e non avete mai fatto niente? Mi spieghi cosa facevate la sera? Vi raccontavate delle favole?»

«Perché non cambiamo argomento? Per esempio, tu come te la passi?»

Sebastian alzò le spalle: «Come al solito. La scuola è dura ma la mia media è ottima, riesco a fare felici un buon numero di ragazzi a settimana, questa birra è annacquata» disse, alzando il tono della voce in direzione del barista nel pronunciare l'ultima frase.

«Intendevo dire con Blaine.»

«Mi odia, ovviamente. Quel piccolo ingrato.»

«E' facile odiarti. Fai sempre lo stronzo con tutti.»

«Non è colpa mia, è la mia natura! Non posso farci niente, ogni volta che qualcuno dice qualcosa di stupido non posso fare a meno di prenderlo in giro. E Blaine, cavolo, me le serve su un piatto d'argento.»

«Quel ragazzo deve avere una pazienza infinita per averti sopportato per anni.»

«E Kurt doveva avere uno stomaco davvero solido per riuscire a baciarti» disse, prima di mandare giù d'un sorso ciò che rimaneva della sua birra.

Lo sguardo di Dave si rabbuiò e Sebastia sentì quella leggera fitta allo stomaco che lo prendeva ogni volta che capiva di essere andato un passo oltre.

«Scusa. Sono uno stronzo, ma a volte esagero anch'io.»

«Sto cominciando ad abituarmi» disse. «Cominciò a capire perché lo fai. Preferisci non essere mai preso sul serio. Sputi sarcasmo in continuazione e chi ti sta attorno si abitua al tuo modo di fare e così puoi insultare la gente sapendo di non ferirla. Tutti ti considerano lo stronzo del gruppo, quello che passa da un ragazzo all'altro spezzando cuori ogni sera, quella che al posto del cuore ha un motore elettrico-»

«Ehi!»

«Ma la verità è che a volte anche tu ti stanchi di fare il cattivo e vorresti solo dire alle persone cui tieni quanto siano importanti per te. Però sai che non verresti preso sul serio e così taci.»

«Oppure sono davvero uno stronzo senza cuore.»

Dave sorrise: «Non penso. Quello che hai fatto... l'hai fatto perché tenevi davvero a Blaine. Senza secondi fini. Forse hai visto in lui il vero amico che non sei mai riuscito a trovare.»

Sebastian distolse lo sguardo. Ripensò a tutte le volte che vedeva Blaine confidarsi con Wes, o quando telefonava sua sorella e lui spariva per tutti e rimaneva ad ascoltare i piagnistei della ragazza. In quelle occasioni era geloso. Non lo avrebbe mai ammesso, ma mentre Blaine sembrava avere molti buoni amici e tutti sembravano amarlo, Sebastian sentiva di avere solo lui.

Blaine era l'unico a sapere che sotto – molto sotto – c'era del buono anche in lui. E proprio a lui aveva mostrato la parte peggiore.

«Sono certo che ti perdonerà. Dagli tempo e fa' qualcosa per convincerlo.»

«Cosa ti fa credere che voglia il suo perdono?»

«Se non fossi triste per questa storia non saresti qui a bere birra calda e a parlare con me.»

«Beccato» ammise.

«Il mio consiglio è: cerca di incontrarlo quando c'è anche Kurt. Sono sicuro che lui lo spingerà a perdonarti. È troppo buono per non concedere una seconda possibilità.»

«Anche a te?»

Dave alzò le spalle: «Mi sono giocato la mia seconda possibilità. Sono stato uno stupido, me ne rendo conto solo adesso. Ero geloso perché avevo visto come lui fosse felice anche senza di me mentre io non riesco a dimenticarlo. Ero invidioso, perché lui è così fiero e coraggioso mentre io da quando ho capito di essere gay ho paura della mia ombra.»

«Stai tranquillo, con il fisico da lottatore di sumo e con quelle orrende camicie a quadri che indossi nessuno sospetterà mai niente. A meno che non ti becchino a pomiciare nel retro di un locale con un ragazzino, in tal caso non avresti scusanti. Anche se potresti sempre giocare la carta “ero ubriaco e lui sembrava una ragazza alternativa coi capelli corti”.»

«Farò tesoro del tuo consiglio.»

«Karofsky, stavo scherzando.»

«Anch'io, Smythe.»

Sebastian ridacchiò. «Cavoli, a volte sei proprio spassoso.»

Alle undici e mezza uscirono dal locale. Dave gli offrì un passaggio alla Dalton, ma Sebastian rifiutò – troppo orgoglioso – e chiamò un taxi.

«Buona fortuna con Blaine» gli disse, vedendolo salire nel taxi.

Sebastian gli sorrise di rimando e gli fece un cenno con la mano.


«Che vuoi Smythe?»

«Ciao, Rachel, è un piacere sentirti. Come stai? Io non c'è male.»

«Sì, sì, è un piacere anche per me, Sebastian. Perché non saltiamo i convenevoli e arriviamo al punto in cui tu mi dici che cavolo vuoi. Sii breve perché il prurito di chiuderti il telefono in faccia è irrefrenabile.»

«Va bene, Rachel. Volevo chiederti quando e dove Kurt e Blaine usciranno insieme.»

«E' stato un piacere parlare con te, alla prossima, mangusta.»

«Oh, andiamo!»

«Sebastian, non ti aspetterai che te lo dica? Blaine mi ha detto cos'hai fatto ed è stato orrendo. Sia meglio di me com'era ridotto Blaine e Kurt non era da meno – almeno così mi ha detto suo Finn.»

«Non farmi la predica. Ho bisogno di parlare ad entrambi. Niente piani loschi.»

«E' dovrei crederti?»

«Maledizione, Rachel, ho bisogno di saperlo!»

«Okay, Sebastian, calmati. Tutto bene?»

«No che non va “tutto bene”. Rachel, ho davvero bisogno di parlare loro. Io voglio- voglio chiedere scusa.»

«Come prego?»

«Non farmelo ripetere.»

«Sebastian Smythe che chiede scusa?»

«Su, avanti, continua a sfottere.»

«Da come parli sembri ridotto ad uno straccio, non ci sarebbe neppure divertimento a tormentarti.» Pausa. «Sembra che sotto sotto anche tu abbia un cuore.»

«Lo sento dire spesso ultimamente.»

«Va bene, ti aiuterò.»

«Grazie, Rachel.»

«Non farmene pentire.»


Kurt stava finendo di piegare un maglione quando sentì un colpo di tosse alle sue spalle. Si voltò per vedere chi fosse – un cliente infastidito dalla sua lentezza? - e quando riconobbe il ragazzo davanti a lui sorrise.

«Buongiorno, avrei bisogno di una mano.»

«Ma certo, signore, ha davanti a lei il commesso più competente del negozio.»

«Più competente non saprei. Se non altro il più carino» rispose Blaine.

«Le ricordo che i commessi non sono in vendita.»

«Altrimenti ti avrei già comprato.»

I due si guardarono intorno per assicurarsi che nessuno avesse sentito la loro conversazione e sorrisero. Non si vedevano da un po' di giorni e l'istinto di baciarsi era forte ma si trattennero. Non era il posto giusto.

«Che ci fai qui? Manca ancora un quarto d'ora alla fine del mio turno.»

«Lo so, ma avevo bisogno di una mano. Sai, il compleanno di Rachel si avvicina e quest'anno volevo regalarle qualcosa da vestire. L'anno scorso, andando a scuola privata, aveva la divisa mentre quest'anno ogni volta che torno a casa la sento lamentarsi che non ha nulla da mettersi, così...»

«Non aggiungere altro. Ho già in mente un paio di vestitini che le starebbero una favola» rispose Kurt entusiasta, trascinandolo nel reparto donna.

Passarono i seguenti dieci minuti immersi fra fiocchi e nastri di raso, mentre Blaine cominciava a sentire la testa girare per tutti i pois sui vestiti. Alla fine Kurt gli semplificò la scelta, riducendola a tre vestiti che a lui sembravano tutti ugualmente belli ma che il suo ragazzo insisteva a considerare completamente diversi.

«Andiamo, Kurt, non puoi semplicemente scegliere tu? Finirò per fare un disastro.»

«Non se ne parla. È tua sorella ed è il tuo regalo. E poi dovrò aiutare anche Finn a scegliere il suo e poi inventare qualcosa anche da parte mia.»

«Ma non sei obbligato a-»

«E' la sorella del mio ragazzo e la ragazza di mio fratello. Sono decisamente obbligato.»

Blaine sorrise: «Direi che prendo que-»

«Ma guarda chi si vede. Le due fatine.»

I due ragazzi si voltarono e si ritrovarono davanti Azimio.

«Che c'è, Hummel, lo stai convincendo a comprarti il vestitino per il matrimonio? Chissà perché non sono sorpreso di trovarvi nel reparto donna.»

«Azimio, devo ricordarti che anche tu sei nel reparto donna?» disse Kurt, infastidito dal ragazzo ma per nulla spaventato. «Io sto lavorando, la tua scusa qual è?»

Azimio corrugò la fronte: «Devo comprare un regalo alla mia ragazza. Insomma, come stai facendo tu» disse, rivolto a Blaine.

«Se non te ne fossi accorto, Kurt è il mio ragazzo. Se fosse la mia ragazza non dovremmo sopportare le tue battute omofobe nonché la tua fastidiosa presenza. Quindi se non ti spiace, vorrei finire di decidere il regalo per mia sorella e poi uscire con lui.»

«Sì, mi dispiace. Non capisco perché non sono libero di venire da GAP senza essere costretto a vedere tu e quella checca che chiami “ragazzo” comportarvi da finocchi.»

«Ci sono tante cose che non capisci, a quanto pare, e credimi anch'io mi chiedo perché sono costretto a parlare con te quando vorrei solo andare alla cassa a pagare. Ah no, aspetta, non sono costretto a parlare con te, come tu non sei costretto a starci fra i piedi. Quindi, se proprio ti dà fastidio, è meglio che ti giri» disse, passando un braccio attorno al fianco di Kurt e stringendolo a sé, guardando con aria di sfida Azimio.

«Non provocarmi.»

«Di' la verità, non ti dà affatto fastidio. Anzi, magari sei pure curioso di guardare.»

Azimio lo afferrò per il braccio, strattonandolo e costringendolo a lasciare la presa su Kurt.

«Ci sono problemi?» chiese il direttore del negozio, avvicinandosi a loro.

Kurt provò a minimizzare, ma Azimio replicò:

«Sì, il vostro commesso si comporta in modo poco professionale.»

Il direttore si voltò verso Kurt: «Hummel, mi sembrava di essere stato chiaro. Non è il primo errore che fai. Prima c'è stata la settimana in cui i clienti scappavano appena vedevano la tua faccia da funerale, poi il fatto che alcuni giorni a settimana arrivi al lavoro con delle occhiaie terribili, poi i continui ritardi ed ora questo.» Si rivolse ad Azimio. «Che cos'ha fatto? Le ha parlato in modo scortese?»

«No, lui-»

«In effetti se qui c'è qualcuno che ha parlato in modo scortese è proprio lui» intervenne Sebastian, indicando Azimio.

Kurt e Blaine guardarono sorpresi il ragazzo. Quando era arrivato? E che ci faceva da GAP?

«Lei era presente?»

«Ero poco distante. Il vostro commesso stava aiutando questo ragazzo a scegliere un vestito – quello che ha in mano in questo momento, suppongo – quando questo individuo si è avvicinato e ha richiamato la loro attenzione in modo scortese ed offensivo, nonché con battute trite e noiose oltre che discriminatorie.»

«Io non-»

«Come se ciò non bastasse, questo individuo ha afferrato con poca gentilezza il vostro cliente per il braccio.»

«Ma lui stava-»

«Lo sai vero che l'aggressione è un reato punibile con il carcere? Ti auguro di non avere precedenti, neppure lievi, perché altrimenti sei in una brutta situazione e credimi, parlo con cognizione di causa visto che sono il figlio del procuratore. Scusa, mi è sfuggito il tuo nome.»

Azimio balbettò una scusa, incapace di parlare.

«Non importa, scommetto che il commesso qui presente ti conosce per nome e cognome.»

«Andiamo, l'ho solo-»

«Fossi in te non aggiungerei altro e me ne andrei.»

Azimio non aggiunse altro. Si voltò e, con la testa incassata nel collo, se ne andò. Prima di uscire si voltò un'ultima volta in direzione di Kurt e lo fulminò con lo sguardo.

Sebastian si rivolse allora al direttore: «Mi auguro che episodi del genere non accadano più. Sa, quando vengo a fare spese non mi piace dover assistere a simili situazioni.»

«Non si preoccupi. È stato un caso isolato.»

«Lo spero.»

Il direttore cercò di recuperare il discorso che stava facendo per redarguire Kurt, quando Sebastian aggiunse nuovamente:

«Può andare. Per qualsiasi cosa chiederò al vostro abilissimo commesso.»

L'uomo allora rinunciò alla ramanzina e si defilò.

«Cavolo, era da un bel po' che non insultavo un omofobo, non ricordavo fosse così soddisfacente» disse ridacchiando.

Il volto di Blaine invece era tremendamente serio: «Che ci fai qui?»

«Compere da GAP?»

«Sebastian.»

«Beh, dovrai ammettere che il mio tempismo e la mia lingua lunga sono stati provvidenziali.»

«Sì, sì, grazie per l'aiuto. Ce l'avrei fatta benissimo da solo.»

«Come no. L'avresti fatto licenziare in meno di un minuto. Ottimo piano, Blaine, davvero, eri sulla buona strada.»

«Ora che mi hai preso in giro puoi andartene?»

«No» disse. «Sono venuto qui perché volevo» fece un respiro profondo «volevo parlare con voi.»

«Mentre noi non vogliamo parlare con te.»

Kurt afferrò delicatamente il braccio del suo ragazzo e disse: «Dai, Blaine, lascialo parlare.»

«Dopo quello che ha fatto?»

«Vuole solo parlare. Non ha mai ucciso nessuno.»

Blaine sbuffò: «Va bene. Spara, che cosa vuoi?»

«GAP non è il posto migliore per parlare. E se andassimo da qualche altra parte? Tipo, propongo, al Lima Bean?»

Blaine sbuffò, ma Kurt sapeva già che avrebbe accettato.


Kurt tornò posando i tre caffè sul tavolo. Blaine era ancora silenzioso, mentre Sebastian gli sorrise, prendendo il proprio bicchiere.

«Ora vuoi dirci che cosa vuoi?» sbottò Blaine.

«Posso prima bere il mio caffè?»

«No, vieni al dunque. Prima la sbrighiamo, prima potrò andarmene.»

Kurt gli diede un colpetto al piede da sotto il tavolo, per cercare di ammansirlo.

«Va bene. Se è proprio questo che vuoi» mormorò Sebastian, posando il bicchiere. «Non sono bravo in queste cose. Insomma, di solito sono abituato a fare lo stronzo senza conseguenze, anche perché mi comporto così in continuazione e se dovessi avere i sensi di colpa ogni volta che apro bocca...»

«Sebastian, stai divagando.»

«Per farla breve, sono venuto a chiedervi scusa. Riconosco di aver usato dei metodi poco corretti e, per quanto le mie intenzioni fossero delle migliori, se avessi saputo che una cosa del genere vi avrebbe fatto stare così male non avrei mai cominciato il piano. Ero convinto che, essendo insieme da poco più di una settimana, fosse ancora solo una cotta. Poi ho visto lo stato in cui ti eri ridotto, Blaine, e ho incontrato te alla Dalton, Kurt. È stato allora che ho cominciato ad avere dei dubbi.»

«Ah, solo allora?»

«Ascoltami. Ti ho già detto perché l'ho fatto: l'anno prossimo tutto cambierà. Blaine, tu andrai al college, in un ottimo college come ti meriti. Puoi aspirare in alto e puoi andartene dall'Ohio. Anzi, devi farlo. Fino a qualche mese fa non vedevi l'ora di finire la scuola per andartene da casa, dalla città e possibilmente anche dallo stato.»

«Mentre ora ho smesso di odiare la mia vita.»

«Ed è fantastico, credimi. Ma potresti tornare ad odiarla quando sarai adulto e allora sarà troppo tardi per cambiare strada. Ti chiedo solo una cosa: non sprecare quelle occasioni che non potrai riavere.»

«Perché dovrei ascoltarti?»

«Perché tutto quello che ho fatto, l'ho fatto solo perché non avevo il coraggio di dirti che sei probabilmente il migliore amico che ho, l'unico che conosce il mio lato più umano, l'unico che mi considera più di “quello gay e stronzo” e per una volta nella mia vita tengo a qualcuno che non sia me stesso.»

Blaine lo fissò sbalordito: «Wow. Io non-»

«Lo so, non è da me. Ma è la verità. Non so come andranno le cose fra voi due ma anche tu» disse, questa volta rivolgendosi a Kurt «devi promettermi che non lo tratterrai qui se avrà la possibilità di migliorare la sua vita.»

Kurt annuì, leggermente confuso. «Non ho mai avuto intenzione di trattenerlo in un posto dove non potesse essere felice. Ma finché sarà felice a Lima non sarò io ad allontanarlo.»

Sebastian annuì. «Allora, sono perdonato?»

Blaine lo fulminò con lo sguardo ed arricciò le labbra per qualche secondo, poi sbuffò: «Potrei ricominciare a parlarti. Però basta battute sulla mia altezza.»

«Eh no! Cavoli, le battute sulla tua altezza costituiscono metà del mio repertorio.»

«Appunto, non credi di essere un po' pesante?»

Sebastian capitolò: «E va bene. Almeno mi rimangono quelle sui papillon e sulla tua insana passione per Katy Perry.»

«Sai, potrei cambiare idea in qualsiasi momento e tornare ad odiarti. Anche perché lo stai rendendo incredibilmente facile.»

«Amici come prima?» disse, porgendogli la mano.

Blaine la strinse: «Finché non farai un'altra stronzata.»

Sebastian si rivolse allora a Kurt: «Credo di dover chiedere scusa anche a te. Sia per gli orribili sms che ti ho mandato, sia perché – nel tentativo di convincere Blaine e dimenticarti – potrei aver detto alcune cose poco carine su di te.»

Kurt inarcò il sopracciglio: «Che genere di cose?»

«Tipo che conducevi una vita poco casta nel retro dello Scandals. Però ho specificato che il tuo sedere è una favola.»

«Sebastian, ti conviene catapultarti a zuccherare il mio caffè o potrei non rispondere delle mie azioni» disse Kurt, allungandogli il bicchiere.

Sebastian lo afferrò e sparì, lasciandoli nuovamente soli.

«Dici che ho fatto bene a perdonarlo?» disse Blaine.

«E' Sebastian. Ti ha sempre aiutato quando ne avevi bisogno e pensa a quanto ha fatto per noi. Ha fatto un errore, ma ha fatto anche tante cose buone. Magari sfrutta i suoi sensi di colpa per un mesetto, ad esempio facendogli rifare entrambi i letti. Con Finn funziona sempre.»

Blaine sorrise: «Penso seguirò il tuo consiglio.»

Si voltarono entrambi a guardare Sebastian tornare verso di loro.

Blaine dovette ammettere con se stesso che gli era mancato.



A/N


Ed eccomi qui per il primo aggiornamento di martedì!

Sebastian ha fatto il primo passo verso il perdono, paradossalmente grazie a Dave.


Dal prossimo capitolo la situazione si animerà per bene e non si distenderà fino alla fine.

Ditemi cosa ne pensate.


A venerdì!


yu_gin


coming next


«Che dici, andiamo anche noi?» propose Blaine. «A casa mia ci sono i miei, quindi è off limits, ma potremmo – che so – fare un giro in macchina, oppure...»

«Casa mia è libera» disse Kurt, tutto d'un fiato. L'idea di far vedere a Blaine la sua casa disastrata lo terrorizzava, ma nelle ultime settimane lui e Finn si erano impegnati a mantenere un livello di ordine e pulizia accettabile. «Sì, insomma, Finn rimarrà qui ancora un'ora e mezza quindi a casa mia non c'è nessuno. Sempre se ti va, ovviamente.»

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** unforgettable night ***


A Lima Side Story



Capitolo 21: unforgettable night



Kurt uscì dai camerini e il suo primo pensiero fu quello di raggiungere Blaine. Erano insieme da due mesi e mezzo ormai e, nonostante i piccoli ostacoli costituiti dalla scuola, dal lavoro, dalla famiglia Anderson (ancora ignara della loro relazione) e da tutte le opposizioni che potevano incontrare due giovani gay sulla loro strada... beh, nonostante tutto erano felici.

Certo, talvolta litigavano e capitava che si tenessero il muso per un giorno, ma alla fine uno dei due cedeva sempre per primo e si rappacificavano.

Finn e Rachel non facevano altro che allenarsi per le Nazionali e Kurt non mancava, di tanto in tanto, di aiutarli con consigli o pareri. Le cose fra loro sembravano andare bene. Kurt era timoroso, all'inizio: temeva che l'esuberanza di Rachel avrebbe finito per spaventare Finn, ma a quanto pare suo fratello era cresciuto. Ricordava ancora come erano andate le cose con Quinn – non esattamente rose e fiori – e temeva che con Rachel sarebbe stato lo stesso. Fu contento di sbagliarsi.

Sebastian aveva saputo farsi perdonare e in meno di una settimana era tornato lo stronzo di prima, fingendo di non aver mai ammesso di tenere davvero a Blaine come amico e non solo come schiavetto personale e sfogo per il suo sarcasmo.

Andava bene così. In fondo era pur sempre Sebastian, no? Non potevano certo pretendere che diventasse un santo anche perché più di una volta la sua lingua lunga era tornata utile per levarsi d'impiccio da spiacevoli situazioni.

Dave invece non si era più fatto sentire, non intenzionalmente, almeno. Si erano incrociati un paio di volte per strada o al supermercato. Non c'era neppure stato bisogno di respingerlo: Dave si era tenuto distante. Kurt si rifiutava di sentirsi in colpa e il più delle volte ci riusciva.

Quando incrociava il suo sguardo da cane bastonato pensava a quell'orrida settimana passata pensando che fra lui e Blaine fosse finita e ogni rimorso spariva.

Era felice. In quel momento sedeva ad uno dei tavolini dello Scandals con il suo ragazzo, sorseggiando una Coca light e facendo sfiorare i loro piedi da sotto le sedie.

«Sbaglio o qualcuno era particolarmente sexy questa sera?» disse Blaine.

«Hai ragione. Le tette di Santana oggi sembravano davvero fantastiche.»

«Sai, non credo di averle notate. Ero troppo impegnato a fissare il tuo sedere.»

Kurt rise, perché quello era un gioco che li divertiva sempre: atteggiarsi da cattivi ragazzi o “star da bar gay” quando sapevano entrambi di essere degli inguaribili romantici.

«Beh, cerco di dare il meglio di me in questo mese, visto che sarà l'ultimo. Poi addio Scandals» disse, guardandosi intorno e sospirando.

«Ti mancherà?» chiese Blaine.

«Di certo non le mani sudaticce degli uomini attempati o gli squallidi bagni o le alzatacce il giorno dopo per andare al lavoro. No, questo non mi mancherà affatto. Però mi mancherà quel brivido che precede ogni esibizione e gli scherzi di Santana nei camerini. E poi una volta ad uno di questi spettacoli mi sono perso nel più bel paio d'occhi che avessi mai visto.»

«Devo essere geloso?»

«No, scemo. Parlavo di te» disse, sorridendogli.

«Oh» mormorò sorpreso e poi lusingato. Per evitare di far notare a Kurt che era leggermente arrossito disse: «E Santana come l'ha presa.»

L'altro si morse le labbra: «Potrei non averglielo ancora detto.»

«Kurt!»

«Oh, va bene! Lo so che glielo devo dire. Lo so che lei avrebbe dovuto essere la prima persona a saperlo e che le spezzerò un po' il cuore andandomene. È per questo che ho aspettato.»

«Non pensi che sia meglio dirglielo il prima possibile? Almeno avrà più tempo per prepararsi all'idea o rischi di ritrovarti all'ultimo giorno, quando prenderai la tua roba dal camerino e le dirai: “oggi era la mia ultima volta qui, me ne vado, addio”.»

«Chi è che se ne va?» chiese Santana alle loro spalle.

Kurt sobbalzò: «Nessuno. Assolutamente nessuno. Blaine stava parlando di-»

«Vecchi amici. Discussioni tristi che vanno decisamente accantonate» concluse, salvandolo. «A proposito, Santana, prima c'era una ragazza bionda che ti cercava.»

«Che cos-» Si voltò di scatto, in tempo per vedere Brittany – la bionda in questione – dirigersi verso di loro. «Brittany! Non-non ti aspettavo.»

Kurt guardò incredulo le due donne. «Voi vi conoscete?»

«Siamo uscite insieme qualche volta, così, per un caffè. E una cena.»

«E un dopo cena» aggiunse candidamente Brittany, con un sorriso raggiante sul volto.

Kurt per poco non sputò la sua Coca. «Per un- okay, è evidente che qui qualcuno ha omesso di raccontarmi un po' di cosette» disse rivolto a Santana. E non è stata l'unica, si redarguì in silenzio.

«Lo so. È solo che è stato tutto abbastanza all'improvviso e te ne avrei parlato. Sul serio» disse, mordendosi il labbro. Poi si rivolse alla ragazza: «Pensavo fossimo d'accordo che ti sarei venuta a prendere io a casa.»

«Lo so, ma non avevo voglia di aspettare e poi volevo vederti mentre ti esibivi» disse, con un tono non più molto candido che mise leggermente a disagio i due ragazzi lì presenti.

«Lo sai che non serve che vieni fin qui per vedermi mentre mi spo-»

«Okay, ragazze! Immagino vorrete restare sole. Noi forse è il caso che ce ne andiamo fuori, all'aria fresca, a schiarirci le idee.»

Santana ridacchiò, strizzandogli la guancia. «Stai tranquillo angioletto, non ti metteremo ulteriormente in imbarazzo. Noi andiamo, ragazzi! Divertitevi» disse, cingendo i fianchi della bionda e dirigendosi con lei verso l'uscita.

Kurt e Blaine si guardarono stupiti.

«Okay, devo segnarmi alcune domandine per Santana. Tipo quando aveva intenzione di dirmi che esce con una mia amica del Glee.»

«E che uscite!» commentò Blaine, sorseggiando la propria Coca. «Quelle due non potevano essere più esplicite.»

Un secondo dopo aver pronunciato quelle parole se ne pentì perché calò subito un'atmosfera imbarazzata. Nonostante fossero insieme da due mesi e mezzo l'argomento “sesso” era ancora tabù.

Il fatto poi che raramente avessero il privilegio di avere casa libera certo non aiutava. Parlarne era imbarazzante. Entrambi immaginavano che una sera si sarebbero finalmente ritrovati soli in casa a baciarsi sul divano e... sarebbe successo. Come era naturale che fosse.

«Che dici, andiamo anche noi?» propose Blaine. «A casa mia ci sono i miei, quindi è off limits, ma potremmo – che so – fare un giro in macchina, oppure...»

«Casa mia è libera» disse Kurt, tutto d'un fiato. L'idea di far vedere a Blaine la sua casa disastrata lo terrorizzava, ma nelle ultime settimane lui e Finn si erano impegnati a mantenere un livello di ordine e pulizia accettabile. «Sì, insomma, Finn rimarrà qui ancora un'ora e mezza quindi a casa mia non c'è nessuno. Sempre se ti va, ovviamente.»

«Sì» rispose, forse un po' troppo entusiasticamente. «Insomma, sì, mi piacerebbe. È... è perfetto.» Da quanto Blaine sognava di vedere la casa dove Kurt viveva, intrufolarsi nella sua camera, vedere quali poster teneva attaccati alle pareti, spiare le due foto da bambino, annusare l'odore che respirava ogni giorno.

«Perfetto. Vado ad avvertire Finn e andiamo» disse. Si diresse verso suo fratello e gli spiegò la situazione.

All'inizio Finn andò nel panico, non sapendo esattamente cosa dire. Poi se ne uscì con: “Andateci piano, usate le protezioni e... per favore non in cucina”.

Ovviamente questa asserzione gli fece guadagnare una sberla sulla spalla da parte del fratello.

«E mi raccomando: suona il campanello prima di entrare. Per favore.»

Finn ridacchiò: «Penso lo farò. Sai, anche per il mio bene.»

Avuta anche la benedizione di Finn sgattaiolò via e raggiunse Blaine. Insieme uscirono dal locale.


Era già sera quando Dave sentì suonare il campanello. Sua madre andò ad aprire e, con grande disappunto del ragazzo, riconobbe le voci dei suoi vecchi compagni di squadra.

La donna li fece entrare entusiasta: «Ragazzi! Quanto tempo!»

«Non lo dica a noi signora. Sono secoli che cerchiamo di convincere Dave ad uscire ma lui ha sempre da lavorare. Non è che ce lo sta sciupando troppo?»

La donna sapeva bene che il figlio non lavorava affatto la sera e la mattina poteva dormire, ma mentì: «Glielo dico sempre anch'io di uscire.»

«Siamo venuti a prelevarlo con la forza per una vecchia rimpatriata. Siamo tutta la vecchia squadra. Beh, tutti tranne quelli del Glee» disse Azimio ridendo. «Allora, signora, ce lo lascia per una sera? Glielo riportiamo intero, eh? Promesso.»

La donna si voltò verso Dave. «Penso sia un'ottima idea. Dave, sei ancora vestito, vero?»

«Ma forse dovrei cambiarmi...»

«Mio Dio, Dave! Mi sembri Hummel!» esclamò Azimio. «Basta che tu non sia in pigiama, vogliamo andare a bere mica a cena in qualche locale da elegantoni.»

Dave sobbalzò nel sentire quel nome.

«Non esci mai. E in questo periodo ti vedo parecchio giù. Faresti bene ad uscire.»

«Dave, non puoi dire di no ai vecchi amici!» disse qualcuno del gruppo.

Capì di non avere alternativa: o usciva con loro o sarebbe stato costretto a gridare loro che non ne voleva più sapere della “vecchia squadra”, delle loro “bevute per rivangare i bei vecchi tempi” e dei loro insulti gratuiti a Kurt e ai suoi amici del Glee – dei quali in realtà gli importava ben poco.

«Va bene, ragazzi! Andiamo a farci questa bevuta» esclamò, cercando di sembrare più rilassato possibile.

Se ne andò di casa con i suoi amici. Salì in macchina con loro e partirono verso un locale dove trovarono il resto dei ragazzi.

Come aveva detto Azimio non c'era nessuno del Glee, né quelli ancora a scuola, né quelli di una volta. In un certo senso lo fece sentire sollevato. Non sarebbe riuscito ad affrontare Finn tutta la serata, né Puck o Sam o Mike o Artie. Non gli avevano ancora del tutto perdonato il modo in cui aveva trattato Kurt.

Si sedettero a bere e presto l'atmosfera si fece rumorosa e allegra. Tutti ridevano e molti erano già brilli e Dave si sforzò di farsi coinvolgere dall'entusiasmo generale e ci riuscì fino a che alcuni della squadra non cominciarono a parlare del Glee.

«E che dire, vi ricordate di tutte le granite che gli abbiamo tirato addosso?»

«O di tutte le volte che li abbiamo gettati nel bidone della spazzatura?»

«E le scritte che abbiamo lasciato nei bagni?»

Tutti ridevano ad ogni frase, mentre Dave cominciava a provare l'impulso di andarsene. Non poteva credere che, a un anno dalla fine della scuola, continuassero a provare piacere nel ricordare i loro atti di bullismo.

«Vi ricordate le facce che faceva la cinese? O il suo fidanzato?»

«No, la migliore secondo me era quella di colore. Quella che continuava ad andare in giro dicendo “Rispect” e poi veniva granitata da noi.»

«Ehi, non offendere la mia gente!» esclamò Azimio. «Piuttosto Hummel: quello sì che era divertente. Ed era anche quello che se lo meritava di più. Andava in giro per la scuola con quei suoi vestiti da femmina e quella sua vocetta insopportabile e... mio Dio, se penso che per qualche mese è stato addirittura nella squadra di football! Non capisco perché ad un certo punto abbiamo anche smesso di tormentarlo» disse, rivolgendosi a Dave. «Ricordi? È stato l'anno scorso, verso dicembre forse.»

«Stava passando un brutto periodo. Insomma, i suoi genitori erano morti l'anno prima, suo fratello aveva perso il lavoro... sarebbe stato troppo, no?»

«Ti vedo stranamente informato su di lui» disse un ragazzo. Lo riconobbe come Jackson, il fratello maggiore di Azimio. Aveva un paio di anni più di loro ed aveva frequentato il McKinley a suo tempo, guadagnandosi la fama di uno dei peggiori bulli che avesse mai attraversato i corridoi dell'istituto. Nessuna sorpresa se Azimio era diventato quello che era, con un simile fratello.

«Lo sapevano tutti a scuola. Non era un segreto.»

«E il tuo tenero cuore si è stretto per la sua triste situazione» commentò sarcastico.

«Ho provato ad immaginare come potesse stare in quel periodo. Tutto qui.»

«Non so in quel periodo, ma di sicuro ora si è ripreso bene» commentò Azimio schifato. «L'ho visto per ben due volte con il suo fidanzatino o quello che se lo scopa, non so bene come funzioni fra loro. Una volta li ho beccati a pomiciare vicino alla mia auto mentre ero fuori con Grace per San Valentino. Davvero disgustoso» commentò.

Dave sentì il cuore stringerglisi nel pensare a Kurt e al fatto che ora, con Blaine, era felice. Che poteva baciare il suo ragazzo al di fuori dei locali gay o della sua auto. Ma in una certa misura si sentì sollevato. Almeno ora era felice.

«E tu cos'hai fatto?» chiese Jackson.

«Gli ho detto di andarsene e lui l'ha fatto. È praticamente corso via a gambe levate» mentì, dal momento che nessuno dei presenti aveva assistito alla sua cocente sconfitta.

«Avresti dovuto fare di meglio. Allora gli sarebbe passata la voglia di fare il gay in un luogo pubblico» commentò il maggiore, finendo la birra.

A Dave il suo sguardo non piacque, come non gli piacque affatto quel “avresti dovuto fare di meglio” perché aveva come la sensazione di sapere cosa intendesse con “meglio”: ciò che lui avrebbe definito decisamente “peggio”.

Da lì in poi la conversazione cambiò e Dave non poté che sentirsi sollevato quando cominciarono a parlare di football e macchine.

Era ormai tardi quando i primi cominciarono ad andarsene e alla fine rimasero solo Dave, Azimio, qualche ragazzo della squadra e Jackson. Dave si rese conto di aver probabilmente bevuto un po' troppo quando Azimio si voltò verso di lui e gli disse qualcosa che Dave faticò a comprendere. I rumori del locale e il mal di testa che gli stava salendo rallentavano le sue capacità di reazione.

«Ti ho detto che io vado via con mio fratello. Raggiungiamo dei suoi amici e andiamo a fare un po' di casino in giro. Sai, tipo andare a imbrattare i cartelloni pubblicitari o abbattere le cassette della posta con la mazza da baseball. Le solite cose, insomma. Vieni con noi?»

«Non so, mi sento abbastanza rintronato. Preferirei andarmene a casa.»

«Ma che noia! Una buona volta che riesco a tirarti fuori dalla tua camera vuoi subito lasciare la festa.»

«Devo lavorare domani» protestò stancamente.

«Va bene, ho capito. Certo che sei proprio un ragazzo responsabile» sbuffò annoiato. «Ti diamo un passaggio fino a casa, va bene?»

Dave annuì. Non vedeva l'ora di tornare a casa e gettarsi a letto a dormire.

Salì in macchina con Azimio e Jackson e poco dopo se ne pentì. I discorsi che faceva il maggiore erano disgustosi e non poteva credere di essere stato come lui un tempo. Quante cose idiote si fanno alle superiori, si ritrovò a pensare. Avrebbe voluto tornare indietro e rinnegare tutto.

«Posso scendere qui» disse, seccato dal ragazzo e desideroso solo di andarsene a letto. «Mi farò una camminata per schiarirmi le idee.»

«Come vuoi» disse Azimio. «Ci vediamo.»

«Dai, lascialo andare. Lo sai che abbiamo un appuntamento imperdibile allo Scandals.»

Dave si bloccò, come paralizzato.

«A-allo Scandals?» ripeté come inebetito. Se non sbagliava quella sera Kurt lavorava lì.

«Sì, mica per andare in quel covo di pervertiti. No, l'idea era di rimanere nel parcheggio e aspettare che qualche fatina esca. Per divertirci un po'.»

Detto questo ripartì, lasciando Dave solo, immobile sul marciapiede, intontito dall'auto.

Terrorizzato.


Non avevano fretta. Uscirono dal locale ma non camminarono diretti verso l'auto, barcollarono per il parcheggio, baciandosi, cingendosi i fianchi.

Tutto sembrava perfetto.

«Kurt.»

«Mh...»

«Kurt, lo so che suonerà malissimo, ma sento qualcosa che vibra nei tuoi pantaloni.»

Si staccarono un istante e Kurt infilò una mano in tasca. Il cellulare. Guardò il display e sbuffò scocciato, ricacciandolo in tasca.

«Tutto bene?»

«A meraviglia.»

«Non rispondi?»

«Non ce n'è bisogno» disse. «Pensavo che dopo aver rifiutato tre chiamate fosse abbastanza chiaro che non avrei risposto neppure alla quarta. Ma certe persone sono dure di comprendonio.»

«Forse dovresti rispondergli.»

«Non farmi sentire in colpa. Non voglio pensare a lui. Non ora» disse, baciandolo. Blaine non insistette, anche perché in quel momento aveva altre priorità. Ad esempio il suo ragazzo che in quel momento lo stava baciando. O il fatto che lo stesso suddetto ragazzo lo avesse appena invitato a casa sua dopo aver specificato chiaramente che questa era vuota. Decisamente, aveva altro per la testa.

Mancavano pochi metri alla macchina, quando lo stridio dei freni di un auto li distrasse, facendogli sollevare la testa.


«Cazzo!» esclamò Dave. «Merda!»

Fu tentato di scaraventare via il cellulare, ma quel poco di cervello che l'alcol non aveva annebbiato lo fermò in tempo.

Con le dita che gli tremavano scorse la rubrica alla ricerca di un numero. Aspettò ansiosamente che l'altro rispondesse.

«Allora, non è che perché abbiamo preso una birra insieme adesso ti fai strane idee, eh? Perché sono un ragazzo molto impegnato. Molto impegnato con molti ragazzi.»

«Sebastian!»

«Non disperare. Magari una serata fra amici la possiamo-»

«Sebastian, chiudi quella bocca e ascoltami. Saranno dieci minuti che cerco di chiamare Kurt ma continua a non rispondermi. Non sapevo più cosa fare.»

«Amico, lo sai che è ancora incazzato. Lo sapevi anche tu che ti avrebbe odiato.»

«Non è per quello. Devo avvertirlo! Ci sono dei ragazzi che stanno andando allo Scandals, dei bulli che andavano alla mia scuola e che non hanno per niente buone intenzioni.»

«Stai scherzando, spero.»

«Cazzo, ti sembra che stia scherzando!? Sebastian, devi chiamarlo subito, non so più che fare! Quelli lì... quelli ce l'hanno particolarmente con lui, lo tormentavano già alle superiori ma temo che oggi potrebbero fare... fare di peggio.»

«Oh mio Dio, c'è anche Blaine con lui. Ora ci penso io. Dove sei adesso?»

«Sono a piedi vicino a casa mia.»

«Troviamoci lì il prima possibile. Io chiamo Blaine.»

Dave chiuse la chiamata e si guardò intorno.

La città già dormiva e la via scarsamente illuminata era fredda e buia.

Si voltò verso casa e corse.


Blaine sollevò la testa quando sentì lo stridio dei freni, staccando appena la testa da Kurt. In quello il suo cellulare vibrò e lui lo prese dalla tasca. Riconobbe il numero di Sebastian e rispose.

«Sebastian, te l'ho detto che oggi non tornavo in dormitorio.»

«Blaine, chiudi la bocca! Se sei allo Scandals rimani nel locale. Non uscire, non da solo, almeno né solo con Kurt. Portatevi dietro quel gigante di suo fratello o qualche marcantonio.»

«Sebastian, hai bevuto? Comunque è troppo tardi. Siamo nel parcheggio e stiamo per salire in macchina. Ci sent-»

«No, devi ascoltarmi, ci sono dei ragazzi che stanno arrivando. Sono dei bulli della scuola di Kurt e non hanno buone intenzioni. Tornate subito dentro.»

Ma Blaine non lo stava più ascoltando.


Sebastian gettò il telefono sul letto e imprecò. Guardò l'ora. Dannato coprifuoco.

Grazie al cielo non si era ancora cambiato. Si infilò le scarpe senza neppure allacciarle e corse in corridoio. Bussò freneticamente alla porta della stanza finché non si aprì.

Un Wes particolarmente assonnato lo fissò infastidito.

«Sebastian, che diavolo vuoi a quest'ora?»

«Devo uscire, Wes, e voi dovete aiutarmi.»

«Non ho intenzione di infrangere il regolarmente perché le mutande ti sono strette. Vai in doccia e risolvi da solo.»

«Wesley, per una volta il sudombelico non c'entra. È per Blaine. È questione di vita o di morte.»

Il sonno sparì dal volto di Wes. Si voltò all'interno della stanza.

«David, chiama Nick, Jeff e Thad. Dobbiamo organizzare una fuga.»


Kurt riconobbe al volo Jackson e, nel vederlo, tremò.

Non aveva paura di Azimio perché sapeva che, dietro i suoi insulti e le sue minacce, si nascondeva un ragazzo insicuro e più terrorizzato di lui dalla vita.

Jackson era diverso. Jackson ci metteva il cuore, se così si può dire, nei suoi pestaggi. A lui piaceva ciò che faceva. Quando lo guardavi negli occhi potevi leggerci tutto il suo odio. E, particolare non trascurabile, molti lo consideravano matto come un cavallo.

Afferrò il braccio di Blaine convulsamente e l'altro capì subito che qualcosa non andava.

«Andiamocene, Blaine. Torniamo dentro.»

«Ma la macchina è...»

«Subito!» Si voltò e accelerò i propri passi verso il locale, trascinando dietro l'altro ragazzo, confuso ed ora spaventato.

«Ehi, voi due, non scappate!» gridavano i ragazzi dietro di loro.

«Non volete divertirvi anche con noi?»

«Chi sono quelli?» chiese Blaine.

«Non parlare e corri!»

Una mano si chiuse attorno al braccio di Kurt e strinse così forse da costringerlo a voltarlo. Gli occhi di Jackson si impiantarono nei suoi.

Riconobbe quello sguardo. Era lo stesso odio che ricordava.

«Hummel, sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato.»


Sebastian respirò profondamente. «Ci siete?»

«Non ancora.»

«Dannazione, Wes! Capisci il concetto di “questione di vita o di morte”?»

«Ti ricordo che Blaine è anche nostro amico, quindi smettila di criticare. Stiamo facendo del nostro meglio.»

«Scusa. Sono solo... agitato.»

In quello il cellulare di Wes si illuminò.

«Okay, Jeff e Nick hanno fatto scattare l'allarme antincendio. Fra non molto la sorveglianza dovrebbe accorrere dall'altra parte della scuola. Tu stai pronto.»

«Lo sono. Appena fuori dovrò trovare un taxi e...»

«Non ce ne sarà bisogno» disse, prendendo dalla tasca della chiavi.

Sebastian strabuzzò gli occhi: «Le chiavi di Thad?»

«Ha detto che se fai un graffio alla sua bambina la rivernicerà con il tuo sangue. Ha insistito perché usassi queste parole esatte.»

«Wow. Non ho parole.»

«Allora chiudi la bocca e muoviti. La guardia si sta muovendo.»

Non appena l'uomo in divisa fu sparito dalla loro vista, Sebastian uscì dal nascondiglio e corse verso l'uscita. Si voltò un'ultima volta per salutare Wes, poi corse nel parcheggio finché non riconobbe la Ferrari rossa fiammante di Thad.

Infilò le chiavi nella serratura e balzò dentro, accoccolandosi sul sedile di pelle pulito come una camera sterilizzata.

«Allora, vediamo quanti chilometri all'ora sai fare, dolcezza.»


Kurt provò a liberarsi dalla presa, ma fu inutile. Normalmente avrebbe risposto con una battuta sarcastica, della serie “visto che siamo allo Scandals, forse sei tu quello nel posto sbagliato” ma la paura l'aveva paralizzato. E al terrore per quello che avrebbero potuto fargli si aggiunse quello che avrebbero potuto fare a Blaine, che in quel momento lo guardava con gli occhi spalancati.

«Che c'è, il tuo ragazzo ti ha mangiato la lingua? Da come stavate appiccicati prima non mi sorprenderebbe.»

«Lasciatelo andare. Ce l'avete con me, no?»

«Bel tentativo, ma no, non ce l'abbiamo con te. Ce l'abbiamo con tutti quelli come voi. La gente è troppo permissiva nei vostri confronti e vi state diffondendo a macchia d'olio e perdete ogni pudore. È ora di rimettervi in riga e perché non cominciare da una vecchia conoscenza?»

Il primo pugno colpì Kurt allo stomaco, facendolo piegare contro il ragazzo che l'aveva colpito. Blaine, affianco a lui, si gettò al suo fianco coprendolo col suo corpo per proteggerlo, ma un paio di braccia lo afferrarono, sollevandolo da terra.

«Mio fratello mi ha raccontato cos'è successo al negozio GAP, il mese scorso. Ti pensavi tanto simpatico, vero?»

«Di sicuro più intelligente del tuo fratellino» rispose.

«Blaine, no!» gridò.

La risposta di Blaine scatenò la reazione nei ragazzi che li circondavano: erano quattro. Azimio invece era in disparte, più indietro, e osservava la scena con espressione indecifrabile. Uno di loro lo colpì in faccia, facendolo cadere. Blaine non rimase a terra: si rialzò e lo colpì sotto la mandibola, facendolo sbilanciare.

Gli altri assistettero alla scena increduli – Kurt compreso. Certo nessuno di loro aveva immaginato di trovare resistenza da parte loro. Pensavano di arrivare lì e picchiarli impunemente.

Un altro ragazzo si fece avanti e tentò di colpirlo, ma Blaine schivò il colpo e lo colpì allo stomaco. Senza dargli tempo di riprendersi lo colpì nuovamente fino a farlo indietreggiare. Quello che l'aveva attaccato doveva essere ubriaco, perché colpirlo era fin troppo facile e la sua difesa faceva acqua da tutte le parti.

Jackson fermò il terzo ragazzo e lo spinse indietro, facendogli segno di occuparsi di Kurt. Poi si tolse la giacca e la gettò a terra, rimboccandosi le maniche.

«E così il damerino tira di boxe. Chi l'avrebbe mai detto? Pensavo foste tutti come il tuo ragazzo, ma evidentemente mi sbagliavo. Sarà un piacere farti supplicare.»

Blaine sentiva le gambe che gli tremavano per la paura e l'adrenalina che gli saliva in corpo. Il pugno che l'aveva colpito al viso gli aveva fatto sanguinare il labbro e in quel momento sentiva la bocca impastata del denso liquido ferroso.

Non provocò il suo avversario. Era abituato agli incontri di boxe della Dalton e sapeva che, infierire sul nemico prima di aver vinto, era davvero di cattivo gusto.

Jackson si avvicinò a lui e tentò di colpirlo. Il pugno lo toccò di striscio, ma quando provò a rispondere, il più grande anticipò le sue mosse, afferrando la sua mano e torcendogli il polso. Con l'altra mano Blaine lo colpì sotto il mento ma non abbastanza forte, dal momento che era la sinistra. Riuscì però a liberarsi e indietreggiò. La testa gli girava e in quel momento la sua attenzione era polarizzata fra l'avversario e la figura di Kurt, che veniva trattenuto dal ragazzo più alto.

Blaine vedeva il suo ragazzo dimenarsi per liberarsi dalla presa. Se solo Kurt fosse riuscito a scappare forse sarebbe riuscito a chiamare aiuto o a raggiungere l'auto e a salvarsi almeno lui. Potevano solo sperare che qualcuno uscisse dal locale e li vedesse, perché la musica all'interno era così assordante che nessuno li avrebbe sentiti.

Il locale era alle sue spalle e nulla si frapponeva fra loro. Era abbastanza veloce e probabilmente sarebbe riuscito ad arrivare dentro prima di essere raggiunto da Jackson. Gettò un'occhiata dietro di sé, ma l'altro anticipò il suo pensiero.

«Prova a scappare e vedi come riduciamo quello lì. Se tu ci stai dando problemi, con lui sarà fin troppo facile.»

No, Blaine non sarebbe scappato. Non poteva fare altro che aspettare che l'altro si facesse avanti di nuovo e nel intanto cercava di temporeggiare.

Il cuore gli batteva tanto forte da fare male.


Dave arrivò a casa sudato e ansimante. Bussò freneticamente alla porta finché sua madre non venne ad aprirgli, spaventata dallo stato in cui era il ragazzo.

«Ho bisogno dell'auto. Subito!»

«Ma, Dave, sei appena tornato! Dove devi andare a quest'ora?»

«C'è un mio amico che è nei guai. Devo andare ad aiutarlo, mamma. Non ho tempo per spiegarti.»

«Va bene» balbettò, prendendo le chiavi dal mobile in entrata e porgendogliele. «Quando tornerai?»

«Non lo so» rispose, correndo via. Aprì la macchina e vi balzò dentro. Infilò le chiavi nel quadro e girò. Il motore sussultò un poco e poi partì, finalmente. Dave sgommò via, probabilmente violando alcune regole del codice della strada. Non ci pensò neppure.

Il suo unico pensiero, in quel momento era arrivare allo Scandals il prima possibile.

Quando riconobbe l'insegna del locale in lontananza svoltò parcheggiando l'auto in mezzo alla strada e saltando giù. In mezzo al parcheggio c'era un gruppo di ragazzi e non sembravano intenti a “chiacchierare”.

Riconobbe immediatamente i due che stavano facendo a pugni: uno era Jackson mentre l'altro – con suo grande rammarico – era Blaine. Kurt non poteva essere lontano. Infatti, poco dopo, lo vide: un ragazzo lo stava trattenendo per le braccia mentre lui cercava di liberarsi. Era chiaramente terrorizzato e continuava a guardare nella direzione di Blaine, temendo il peggio ad ogni azione.

Per una frazione di secondo gli venne in mente che – intervenendo – non avrebbe più potuto frequentare i suoi “vecchi amici”. Azimio l'avrebbe etichettato come traditore, gli altri probabilmente avrebbero fatto due più due e avrebbero concluso il motivo della sua improvvisa redenzione. Le voci sarebbero arrivate ai suoi. Il peggiore coming out che avesse potuto immaginare.

Ma fu solo un momento. Poi scacciò il pensiero perché Kurt – e tanti altri ragazzi come lui – avevano sofferto abbastanza a causa della sua codardia ed era il momento di cambiare.


Kurt non staccò gli occhi da Blaine neppure per un istante. Jackson era il doppio di lui e sapeva bene che, se Blaine fosse caduto, se per un secondo avesse abbassato la guardia, sarebbe stata la fine.

Cercava di liberarsi, ma era tutto inutile. Sapeva che l'unico motivo per cui Blaine non era corso verso il locale era a causa sua e non riusciva a guardare la scena senza ripetersi: è tutta colpa mia.

Se solo non avessi provocato Azimio. Se solo questa sera non mi fossi attardato. Se solo...

Il ragazzo che lo teneva strinse di più la presa, storcendogli il braccio di proposito. Quando la mano del suo aggressore fu abbastanza vicina, piegò il collo fino a raggiungerla con la bocca e la morse, serrando la mascella con tutte le sue forze. Il ragazzo gridò e lasciò la presa, facendolo rotolare per terra. Kurt cercò di rialzarsi ma subito uno degli altri due lo colpì con un calcio.

Blaine, distratto dalle grida, venne colto alla sprovvista dal pugno di Jackson. Cadde a terra e, prima che si potesse rialzare, l'altro gli fu sopra. Lo schiacciò a terra col proprio corpo e lo colpì in viso più e più volte.

Kurt assistette a quella scena da terra, cercando di alzarsi per raggiungerlo. Fu allora che sentì la voce di Azimio gridare: «Che ci fai qui?»

Seguì il rumore di un pugno ben assestato e, prima che potesse voltarsi, il ragazzo che lo stava picchiando era a terra. Si girò per vedere cosa fosse successo.

«Mio Dio, stai bene, Kurt?»

Dave. Davanti a lui c'era Dave e gli stava porgendo la mano per farlo rialzare. Non fece in tempo a rispondergli perché un altro attaccò il più grande.

«Kurt, corri! Va' a chiamare aiuto» gli gridò Dave.

Kurt si voltò e corse verso il locale ma non riuscì a guardare Blaine che veniva picchiato da Jackson senza far niente. Non seppe cosa lo spinse ad agire in quel modo, ma un secondo dopo era saltato contro la schiena di Jackson e aveva attorcigliato un braccio attorno al suo collo, tirando indietro e costringendo il ragazzo a distogliere l'attenzione da Blaine per cercare di liberarsi di Kurt.

Si alzò in piedi, sollevando Kurt e, dopo averlo afferrato per i vestiti, lo scaraventò a terra affianco a Blaine che arrancò verso di lui, abbracciandolo.

«Ma che spettacolo pietoso» sputò fra i denti, guardandoli con odio.

Fu l'ultima frase che riuscì a pronunciare.


Finn stava servendo l'ennesimo cliente. Continuava a fissare l'orologio, pensando a quanto avrebbe dovuto aspettare prima di poter tornare a casa senza incappare in una spiacevole situazione.

Stava prendendo una banconota da cinque dollari quando un uomo arrivò trafelato fino al bancone e biascicò:

«C'è una rissa là fuori. Ci sono due ragazzini e dei ragazzi più grandi che li stanno picchiando.»

Finn ebbe un unico pensiero. Saltò al di là del bancone, urtando alcuni clienti, e corse fuori dal locale.

Riconobbe Kurt e Blaine a terra e Jackson – sì, ricordava anche lui – davanti a loro. Con sua grande sorpresa riconobbe anche Karofsky ma, al contrario di quello che aveva pensato in un primo momento, sembrava lottare contro quelli che avevano attaccato suo fratello.

Gridò a qualcuno di chiamare la polizia e corse verso di loro, appena in tempo per affrontare Jackson, il quale non si aspettava di dover affrontare uno della sua stazza.

Dave intanto stava affrontando due dei ragazzi rimanenti mentre il terzo era stesa per terra e si teneva lo stomaco. Azimio era sparito: probabilmente era scappato non appena aveva capito che la situazione si stava facendo seria.

Kurt distolse lo sguardo da suo fratello per rivolgersi a Blaine, fra le sue braccia. Solo ora che era davvero vicino poteva vedere quanto serie fossero le sue ferite.

Gli accarezzò il volto, costringendolo ad aprire gli occhi.

«Blaine, mi senti? Blaine, ti prego rispondimi!»

Blaine sentiva la bocca impastata di sangue e la lingua intorpidita.

«Kurt...» biascicò.

L'ultima cosa che sentì prima di svenire fu il rumore di una sirena, senza sapere se fosse l'ambulanza o la polizia.



A/N


Non odiatemi.

Va bene, odiatemi pure, ne avete tutto il diritto.

Ho messo un'anticipazione che presupponeva scene fluff, amore, cuoricini ed unicorni e alla fine vi ho rifilato questo.


Permettetemi però di spendere due parole su Azimio e Jackson. Ora, secondo me c'è una bella differenza fra i bulletti del liceo e i veri cattivi. Azimio, secondo me, al di fuori della scuola non farebbe male ad una mosca. È un cane che abbaia ma che ha paura di mordere.

Poi invece ci sono tipi come Jackson che è davvero convinto di quello che fa, è davvero convinto di dover “ripulire” il mondo. E purtroppo persone del genere esistono davvero.


Ecco, sentivo di dover fare questa precisazione.

Beh, che ne pensate di questo capitolo?


* corre prima che arrivino le pietre *


yu_gin


coming next


Kurt non amava gli ospedali. Stupida asserzione: nessuno ama gli ospedali.

Certo, ognuno ha i suoi motivi per non amarli. Kurt ce li aveva. Ricordava ancora quelle ore interminabili passate a calcare i corridoi mentre suo fratello sedeva sulle poltroncine, tenendosi la testa fra le mani. Ricordava quella sensazione di impotenza e l'impulso di guardarsi le mani e pensare che non poteva fare nulla, nonostante lo volesse più di ogni altra cosa al mondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** the way of love ***


A Lima Side Story



Capitolo 22: the way of love



Quando Sebastian arrivò allo Scandals incrociò all'uscita due ambulanze parcheggiò la macchina nel primo posto libero e corse fuori. C'era una gran folla nel parcheggio intorno alle due auto della polizia. Tre agenti stavano arrestando tre ragazzi mentre un quarto stava parlando con Dave e un ragazzo altissimo che Sebastian riconobbe come Finn, il leader delle New Direction nonché fratello maggiore di Kurt.

Di Kurt e Blaine non c'era traccia e cominciò a provare una fitta allo stomaco nel ricordarsi che, arrivando, aveva visto uscire due ambulanze con la sirena spiegata.

Corse verso Dave, facendosi spazio fra la folla. Dave e Finn stavano rispondendo alle domande dell'agente ma sembravano ansiosi di liberarsene.

«Gliel'ho detto che cos'era successo! Avevo sentito che avevano intenzione di venire qui ma non immaginavo che sarebbero arrivati a tanto. Pensavo che li avrebbero insultati ed ero venuto qui per fermarli.»

«Uno dei quattro aggressori non è messo bene» disse l'agente. «L'hanno dovuto caricare in ambulanza.»

«Erano quattro contro due ed erano anche più grossi. Quando ho visto quello alto picchiare il mio... il mio amico... l'ho solo fermato.»

L'agente annuì, ancora poco convinto.

«E tu, invece? Perché sei rimasto coinvolto nella rissa?»

«Sono il barista del locale. Uno dei due ragazzi è mio fratello. Quando mi hanno detto della rissa ho pensato a lui, ma rissa non è la parola esatta. Pestaggio sarebbe più appropriato. Se c'è una cosa di cui sono sicuro è che non è stato mio fratello a cominciare e non penso neanche che l'abbia istigato a parole. Kurt aveva paura di quello lì» disse, indicando Jackson. «Lui e suo fratello ci hanno sempre tormentato, fin dalle superiori.»

«Va bene, ho capito. E l'altro ragazzino chi era?»

«Lui è il ragazzo di mio fratello» rispose Finn. La reazione dell'agente non si fece attendere. Sollevò il sopracciglio stupito e e storse appena il naso. «Io penso che sia per questo che li hanno attaccati. Chiunque conosca Jackson e la sua banda sa che sono notoriamente omofobi.»

«Terremo conto anche di questo. Ora vorrei...»

«E basta con le domande! Risponderemo quando vuole, ora vogliamo solo andare in ospedale a vedere come stanno i nostri amici» sbottò Dave.

L'agente sbuffò: «Penso si possa fare, anche perché forse è il caso che anche voi vi facciate vedere. Domani verremo in ospedale per interrogare i due ragazzi. Se vi farete trovare lì interrogheremo anche voi.»

Non appena l'agente li lasciò andare, Sebastian si fece avanti.

«Che cazzo è successo? Dove sono Blaine e Kurt?»

«Sono su una delle ambulanze che hai visto andarsene di qui.»

«E... e voi siete ancora qui?» esclamò.

«Senti, in quell'ambulanza c'era mio fratello! Pensi che se avessi potuto saltare in macchina e andare in ospedale non l'avrei fatto?» replicò Finn, massaggiandosi il gomito contuso.

«Okay, okay, ho esagerato. Ma ditemi: com'erano messi?»

I loro sguardi furono abbastanza esplicativi. Abbassarono entrambi la testa.

«Kurt aveva delle contusioni alle gambe probabilmente un braccio rotto. Blaine...» Dave esitò. «Lui era privo di conoscenza. L'hanno caricato in barella di peso e sono partiti. Non sappiamo nient'altro.»

Dave aveva visto lo stato in cui era ridotto il ragazzo. Aveva visto la violenza con cui Jackson l'aveva picchiato e aveva visto lo sguardo di Kurt quando l'aveva preso fra le braccia. Lo aveva guardato terrorizzato e aveva chiamato il suo nome più e più volte. La sua voce risuonava ancora nelle orecchie di Dave e faceva male.

Non lo disse a Sebastian, però, perché sapeva che la prima cosa da fare era arrivare in ospedale.

«Andremo insieme» disse Sebastian. «E' chiaro che voi due non potete guidare e io ho una Ferrari parcheggiata poco più in là. Saremo in ospedale in un batter d'occhio.»


Perché diavolo non imparo a tenere la bocca chiusa?, pensò Sebastian, tamburellando nervosamente il piede in attesa che il semaforo diventasse verde.

Sui sedili posteriori era in corso un'accesa discussione fra Finn e Dave, i quali, a quanto pare, non avevano mai appianato tutti i disaccordi fra loro dai tempi delle superiori.

«Dico solo che non ho mai sentito da parte tua delle scuse ufficiali al Glee club.»

«Senti, senza offesa, penso che voi del Glee foste tutti a posto, però... seriamente, canto coreografato? Insomma, dai Finn! Anche il club di informatica era sopra di voi nella classifica della popolarità.»

«Mentre mister “Faccio l'omofobo per nascondere che mi piacciono i ragazzi” è decisamente in. Mi domando come abbiano fatto a non accorgersene i tuoi compagni di squadra. Non lanciavi loro occhiate lascive negli spogliatoi?»

«Nah» intervenne Sebastian «lui non è il tipo da atleti. Lui non si metterebbe mai con uno più grosso di lui. A lui piacciono quelli piccoli e magrolini che però hanno sempre l'ultima parola quando discutono. Nella fattispecie Kurt.»

«Grazie, Sebastian, per la tua interessante analisi psicologica dei miei gusti. Vogliamo parlare di te e della tua congenita incapacità di mantenere una relazione per paura che qualcuno ti spezzi il cuore? Vogliamo parlarne?»

«Visto che voi due sembrate tanto amiconi perché non vi mettete insieme e non la finite di litigare. E tu, Warbler, guida più veloce. Hai una Ferrari e neppure la sai usare.»

«Non esiste che io mi metta con lui» sbraitò Sebastian, pigiando sull'acceleratore. «E comunque non è mia la macchina e se le faccio un graffio rischio la morte.»

«Ecco! Eccolo, è quello l'ospedale. Dai gira!» esclamò Dave, quasi saltando sul sedile.

«Calmati, King Kong, ora giro! Non sfasciare i sedili» protestò Sebastian, entrando nel parcheggio dell'ospedale. Scesero dalla macchina e corsero verso l'entrata, travolgendo praticamente un'infermiera che gridò loro di calmarsi.

«Stiamo cercando due ragazzi che sono arrivati qui con l'ambulanza meno di un'ora fa.»

«Ah, ho capito di chi parlate. Uno di loro è in sala operatoria mentre l'altro sta dormendo.»

«Possiamo vederli?»

«Assolutamente no! Per prima cosa sono ammessi solo i familiari-»

«Io sono suo fratello» esclamò Finn.

«Beh, allora quando si sveglierà ti faremo entrare. Per ora potete aspettare qui. Gli orari di visita per i non familiari sono dalle nove a mezzogiorno.»

«Ma... è l'una di notte! Dovremo aspettare otto ore.»

«Potete tornare domani, allora. Andate a casa a dormire.»

«No, non ce ne andremo, costo di dormire qui!» esclamò Sebastian. Sapeva che l'indomani la sua assenza sarebbe stata scoperta e che avrebbe avuto delle conseguenze, ma non gli importava.

L'infermiera alzò le spalle: «Come volete. L'importante è che non disturbiate le persone che aspettano o i pazienti.»

I tre ragazzi annuirono e presero posto sulle poltroncine.

«Ed ora?» chiese Dave.

«Ora aspettiamo.»


Kurt ritornò a casa presto quel pomeriggio. Aveva passato il doposcuola con Mercedes. Erano andati a fare spese e l'aveva aiutata a scegliere un abito. Si erano divertiti e per un pomeriggio erano riusciti a dimenticare le prese in giro, gli spintoni, gli insulti.

Era tornato a casa con l'autobus e aveva fatto la strada dalla fermata camminando allegramente. La primavera era nel suo pieno splendore e camminare era piacevole.

Prese le chiavi dalla tracolla ed aprì il cancello. Si pulì le scarpe sullo zerbino e bussò alla porta. Non ricevendo risposta aprì il portoncino di casa e chiamò suo fratello e i suoi genitori. Nessuna risposta.

Forse erano usciti. Forse non erano ancora tornati.

Chiuse la porta e avanzò verso il salotto. Gli sembrò di sentire dei rumori e chiamò di nuovo. Riconobbe la schiena di suo fratello, seduto sul divano.

«Finn, perché non rispondevi?»

Solo allora notò il movimento ritmico della sua schiena. Stava... stava piangendo?

«Finn, tutto bene?»

«Kurt...»

«Che cos'è successo? Finn, dove sono mamma e papà?»

«Ha appena chiamato l'ospedale. Loro... loro hanno avuto un incidente.»

In quel momento Kurt sentì qualcosa dentro di sé rompersi.


Kurt non amava gli ospedali. Stupida asserzione: nessuno ama gli ospedali.

Certo, ognuno ha i suoi motivi per non amarli. Kurt ce li aveva. Ricordava ancora quelle ore interminabili passate a calcare i corridoi mentre suo fratello sedeva sulle poltroncine, tenendosi la testa fra le mani. Ricordava quella sensazione di impotenza e l'impulso di guardarsi le mani e pensare che non poteva fare nulla, nonostante lo volesse più di ogni altra cosa al mondo.

Ricordava il momento in cui i medici si erano avvicinati a loro e come avevano scosso la testa. Li avevano guardati negli occhi e Kurt aveva capito che non era un incubo ma era la maledetta realtà.

Ma Kurt non aveva ancora conosciuto tutti gli aspetti dell'ospedale.

Non aveva mai sperimentato l'esperienza dell'ambulanza, la paura, gli ordini perentori dei paramedici, il fischio assordante della sirena. Ora lo sapeva.

Una volta caricati in ambulanza la vista di Blaine steso sulla barella e privo di sensi l'aveva gettato in uno stato di panico. L'infermiera si era vista costretta a schiaffeggiarlo per farlo calmare. Gli aveva ordinato di rimanere seduto mentre lo controllava. Ciò non gli aveva impedito di non staccare neppure per un istante lo sguardo da Blaine e dal medico che in quel momento cercava di farlo rinvenire.

Ricordava l'arrivo in ospedale e il momento in cui li avevano separati. Ricordava di aver gridato il nome di Blaine. Poi il buio.

Quando Kurt aprì gli occhi lo raggiunse la luce soffusa del corridoio. Sentiva le palpebre pesanti e la stanza in cui si trovava era abbastanza buia da non permettergli di distinguere che le sagome. Dopo pochi minuti i suoi occhi si abituarono all'oscurità e riconobbe il ragazzo steso sul lettino di fronte a lui.

Subito si liberò delle coperte e cercò di scendere dal letto, ma non appena poggiò i piedi a terra, le gambe non ressero e lui cadde con un tonfo. Solo allora si rese conto di avere un braccio fasciato e un dolore atroce all'addome.

Pochi secondi dopo, evidentemente richiamata dal trambusto, accorse un'infermiera che lo redarguì per essersi alzato dal letto senza chiamare.

«Se mi avessi chiamata ti avrei aiutato. Quando sei arrivato in ospedale eri così agitato e continuavi a gridare: abbiamo dovuto darti un tranquillante. Avevi numerose ferite e il braccio era rotto. Hai dormito un bel po'.»

«Quanto... quanto tempo è passato?»

«nove ore ore, più o meno.»

Kurt si voltò verso Blaine. «E lui cosa-»

«Anche lui sta dormendo. Era messo male, molto peggio di te. Due costole rotte e un'emorragia interna.»

«Ma adesso...»

«Adesso sta dormendo. È fuori pericolo, ma deve riposare» disse, rassicurandolo. «Sembri molto preoccupato. È tuo fratello?»

«No, lui... lui è il mio ragazzo» disse, aspettando la reazione dell'infermiera.

La sua espressione fu di sorpresa, ma durò solo un attimo: «Oh, certo, che sciocca. Mi avevano detto che-» Si interruppe, ma Kurt non faticò a completare mentalmente la frase: mi avevano detto che vi avevano picchiato per quel motivo.

«Vedrai che si riprenderà in fretta» disse, accarezzandogli la schiena.

«Io... io non posso smettere di credere che sia stata colpa mia. Quei tizi ce l'avevano con me. Se la sono presa con lui solo perché era con me, e non gli sarebbe mai successo nulla di simile se fosse rimasto... nel suo mondo» concluse, prossimo alle lacrime.

«Non dire sciocchezze. Se la colpa è di qualcuno è solo di quei delinquenti e, se ha scelto di essere il tuo ragazzo, significa che ora il tuo mondo è anche un po' il suo e viceversa.»

Kurt alzò lo sguardo verso di lei, che gli sorrise.

«Vuoi tornare a dormire?»

«Non penso riuscirei.»

«Allora ci sono alcune persone qui fuori che fremono per vedervi e, se per te non è un problema, li lascerei entrare.»

Kurt annuì, lasciando andare l'infermiera. Pochi secondi dopo Finn e Sebastian fecero irruzione nella stanza.

«Kurt!» esclamarono, catapultandosi verso il suo letto. «Stai bene? Oh mio Dio, il tuo braccio-»

«Sto bene, Finn. Certo, ad esclusione del braccio rotto. E del dolore allo stomaco.» A guardarlo non stava affatto bene ma il fatto che le infermiere lo avessero almeno ripulito del sangue e avessero fasciato le ferite peggiori aiutava a migliorarne l'aspetto.

«Blaine sta-»

«Sta ancora dormendo. L'infermiera mi ha detto che si riprenderà. Ma che-»

«Deve riposare» concluse Sebastian sbuffando. «Non hanno fatto che ripetercelo. “Perché voi tre non andate a riposare invece che-”»

«Voi tre?» chiese Kurt.

Fu in quel momento che dalla porta fece capolino Dave. Lo salutò timidamente con un gesto della mano e non osò avanzare oltre.

«E' stato Dave ad avvertirmi. Lui aveva sentito uno di quei tipi dire che sarebbero andati allo Scandals e siccome sapeva che ci saresti stato anche tu ha fatto il possibile per avvertirti-»

«Ma io non ho risposto alle sue chiamate» concluse, guardandosi tristemente le mani.

«E così mi ha chiamato chiedendomi di avvertire Blaine, ma a quel punto suppongo fosse già troppo tardi. Così entrambi abbiamo cercato di arrivare il prima possibile, ma evidentemente non è stato abbastanza.»

«Beh, penso che se Dave non fosse arrivato le cose sarebbero andate molto peggio» disse Kurt, facendo cenno al ragazzo di avvicinarsi. Solo allora Dave osò avanzare dalla soglia della porta fino al suo capezzale. «Se avessi risposto alle tue chiamate tutto questo non sarebbe successo. Sono stato uno stupido.»

«Avevi tutte le ragioni per non rispondermi. Io ho fatto una cazzata dietro l'altra e... e mi dispiace. Solo dopo mi sono reso conto di quanto stupido e immaturo fossi stato. Non mentirò: sapevo di non essere nel giusto, ma tenevo troppo a te.»

Finn guardò Dave confuso: «Qualcuno vuole spiegarmi che diavolo sta succedendo?»

«Oh, è molto semplice. Io e Dave ci eravamo alleati per far lasciare questi due, convinti che non fossero adatti l'uno per l'altro. E ce l'avevamo quasi fatta ma ci siamo resi conto del casino che avevamo combinato e abbiamo cercato di redimerci.»

Finn strabuzzò gli occhi: «Quindi era per questo per sei stato depresso un'intera settimana. Mio Dio, non facevi che rivedere 500 giorni insieme e poi piangere sul divano mangiando gelato e io che-»

«Finn! Certi dettagli dovrebbero rimanere in famiglia!» precisò. Poi sbuffò. «Comunque sì, siete stati terribili oltre che degli idioti. Cioè, davvero pensavate che avremmo accettato la rottura senza neppure parlarci in faccia? Insomma, solo alle medie ci si lascia per sms!»

«Mi permetto di dissentire, io lo faccio praticamente ogni sabato sera» disse Sebastian.

«Seb, tu non lasci i ragazzi. Tu non ti ci metti neppure insieme.» A parlare era stata una voce rauca e flebile proveniente dal lettino davanti a quello di Kurt.

«Blaine!»

Incurante delle raccomandazioni dell'infermiera, Kurt si alzò nuovamente dal letto e, con l'aiuto di Finn, riuscì a raggiungere il letto del suo ragazzo. Gli afferrò la mano, ancora abbandonata sulle coperte.

«Come ti senti?»

«Come se mi fosse passato sopra un carro armato.»

«Hai due costole rotte» disse Sebastian. «Oltre al labbro spaccato e a numerose contusioni praticamente su tutto il corpo.»

Blaine sollevò la testa, cercando di guardarsi. Sollevò la maglietta e ammirò la fasciatura che gli stringeva l'addome. «Beh, per aver affrontato uno che era il doppio di me non me la sono cavata male» disse, accennando ad un sorrisetto. «Tu Kurt?»

«Non preoccuparti per me, solo un braccio rotto. Dev'essere successo quando Jackson mi ha scaraventato a terra.»

«Intendi quando l'hai afferrato da dietro per impedirgli di riprendere a picchiarmi nonostante per lui pesassi al pari di una piuma?»

«Mossa stupida, eh?»

«Avrei detto romantica» rispose, stringendogli la mano e sorridendo. Poi si rivolse verso Dave. «Credo di doverti dei ringraziamenti. Non ho ben chiare le dinamiche dei fatti, ma so per certo che se non fossi venuto in nostro aiuto forse ora saremmo messo molto peggio. Quindi grazie.»

Dave si grattò la testa imbarazzato. Improvvisamente si chiese come aveva potuto essere così stupido da odiare Blaine. Gelosia, si rispose. Era stata la gelosia ad accecarlo e forse anche l'invidia, perché Blaine sapeva stare con Kurt e renderlo felice come lui non era mai riuscito a fare.

«E poi» continuò Blaine «penso che con questo tu abbia pagato il tuo debito.» Guardò verso Kurt, che sollevò lo sguardo sbuffando.

«Oh, va bene, va bene. Considerati perdonato. Mi ero detto che solo uno stupido ti avrebbe perdonato una terza volta, ma a quanto pare è quello che sono. Una sola cosa, e questo vale per tutti e due» disse, indicando Dave e Sebastian «non cercate mai più di fare “il nostro bene”. Lasciateci prendere le nostre cantonate. Sbaglieremo, come è giusto che sia, ma sapremo riprenderci.»

«Questa volta non sbaglierò» disse Dave, sorridendo.

Kurt annuì, chiedendosi se sarebbe davvero andata così e ripromettendosi – un giorno o l'altro – di aiutare Dave nel percorso verso l'autoaccettazione e soprattutto di aiutarlo a trovarsi un ragazzo. Anche se in questo, rifletté, probabilmente sarebbe stato più competente Sebastian.

Stavano ancora parlando quando Cooper e Rachel fecero irruzione nella stanza.

«Blaine! Kurt! Siamo venuti appena Finn ci ha avvertito» disse Rachel, sedendosi affianco al fratello. «Cos'è successo?»

«Abbiamo avuto un incontro ravvicinato con degli omofobi.»

«Cavoli, fratellino, sei ridotto proprio male» commentò Cooper, sbirciando le fasciature. «Non hai idea della paura che ci avete fatto prendere. Quando questa mattina Rachel ha chiamato Finn per chiedergli se sapesse di Blaine – visto che non rispondeva al cellulare – beh, puoi immaginarti la nostra reazione. Cioè, noi pensavamo che si fosse fermato per... passare la notte e ci eravamo anche inventati una scusa assurda per mamma e papà e solo questa mattina l'abbiamo saputo. Siamo saltati in macchina e siamo arrivati il prima possibile.»

«Che se è stato di quelli che vi hanno attaccato?» chiese Rachel. «Spero che la polizia li abbia fermati e sbattuti in una di quelle orrende celle piene di tossicodipendenti dei migliori telefilm nostrani.»

«Non posso garantire per i tossicodipendenti» disse Sebastian «ma stai certa che non appena spiegherò ai miei che cosa hanno fatto, farò in modo che finiscano in galera e che non ne escano molto presto. In questa città l'omofobia viene trattata con troppa leggerezza, un po' come se un ragazzo – essendo gay – se la fosse “andata a cercare”. Probabilmente quei quattro erano convinti di rimanere impuniti: se finiranno in carcere sarà d'esempio per tutti gli altri.»

Kurt annuì: «Non si aspettavano neppure di trovare qualcuno capace di tirare di boxe» commentò, sorridendo a Blaine, il quale si strinse le spalle. «La faccia che ha fatto quando gli hai tirato il primo pugno!»

«Kurt! Non eri tu quello contro la violenza?» chiese Finn.

«Oh, sta zitto! Quella non era violenza: era legittima difesa» protestò, tornando a guardare adorante il suo ragazzo.

Pochi secondi dopo furono interrotti nuovamente dalle imprecazioni in spagnolo provenienti dal corridoio e dall'arrivo di una Santana particolarmente isterica.

«Kurt, estas bien? Dios mio, yo estaba tam preocupada. Me abian dicho que-»

«Santana, calmati. Stai parlando in spagnolo.»

«Scusami, mi succede quando sono agitata. E Blaine, tu come stai?»

«Sono ancora vivo» rispose sorridendo e accennando alle numerose ferite.

«Ero a casa con Brittany quando sta mattina ha chiamato April e mi ha detto che c'era stata una rissa nel parcheggio e che eri in ospedale. Sono arrivata appena ho potuto. Ti giuro che se mi capitano sotto mano quei quattro io li... li...»

«Tu non farai niente. Sono già stati fermati dalla polizia e, con i precedenti di Jackson, è probabile che finisca in prigione e mi auguro sarà così anche per gli altri anche se temo che riusciranno a cavarsela con qualche mese di servizi sociali. E poi qualche pugno glielo abbiamo assestato anche noi, vero?» disse, sorridendo a Blaine.

Santana sollevò il sopracciglio: «E così l'hobbit sa difendersi?»

«Ehi, servirà pur a qualcosa la boxe, no?» disse Blaine.

«E io che mi preoccupavo che il mio angioletto non fosse in buone mani. Invece c'è un impavido cavaliere pronto a proteggerlo» commentò sarcastica, ma decisamente sollevata. Poi si rivolse a Kurt: «Con il braccio che ti ritrovi immagino che non potrai esibirti per qualche mese.»

Ignorando le occhiate confuse di Cooper, Kurt annuì e, dopo un bel respiro, rispose: «No, ma non credo che quando il braccio sarà guarito riprenderò a lavorare lì. Vedi, Finn ha trovato un lavoro. Un lavoro vero per quando si sarà diplomato ed io-»

«E tu non vedi l'ora di lasciare questa vita» concluse lei, sospirando. «Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, prima o poi. Sapevo che te ne saresti andato perché non appartenevi a quel mondo, ci eri finito solo per sbaglio. E anche se immagino che il nano qui presente sia una delle cause principali della tua decisione, va bene così. Le serate non saranno più le stesse senza di te e mi mancherai da morire.»

«Non me ne andrò dalla tua vita, Santana! Pensi davvero che potrei sopravvivere senza i tuoi consigli e il tuo supporto?» esclamò. «Io non lavorerò più lì, ma verrò a trovarti e rimarremo in contatto. Promesso.»

«Una promessa è una promessa» disse sorridendo e accarezzandogli la schiena, ammirando come il suo piccolo cucciolo di pinguino fosse ormai diventato un uomo.

Due colpi di tosse distrassero i presenti, che si voltarono verso la porta. Quando Blaine riconobbe le due persone in piedi davanti a lui sbiancò.

«Mamma, papà» mormorò con un filo di voce.

Kurt guardò terrorizzato i signori Anderson. Non li aveva mai conosciuti ma, da come ne parlavano Blaine e Rachel, non sentiva alcun bisogno di fare la loro conoscenza. Non appena si rese conto di stare ancora stringendo la mano di Blaine, si affrettò a lasciarla prima che potessero vederli, ma l'altro fu più svelto e riafferrò la sua mano, stringendola più di prima e intrecciando le loro dita.

«Blaine. Cooper. Rachel. Vedo che ci siete tutti, e anche qualcuno di troppo» disse l'uomo, alludendo alla folla di sconosciuti.

«Buongiorno signori Anderson» salutò Sebastian.

«Smythe, anche tu qui» commentò lui, visibilmente infastidito.

Sebastian sapeva dell'antipatia che l'uomo provava per lui – peraltro reciproca – e sapeva anche la motivazione.

«Cooper ci ha detto che eri in ospedale ma certo non ci aspettavamo di vedere questa festicciola.»

«Papà, loro sono i miei amici. Sono qui perché erano preoccupati per me... per noi» si corresse, scambiandosi uno sguardo con Kurt. Sguardo che ai signori Anderson non sfuggì, come non sfuggì loro l'intreccio delle loro mani.

«Ci hanno detto che sei stato coinvolto in una rissa. È vero? Perché se è così sono molto deluso da te, farti coinvolgere con gente di quella risma è davvero disd-»

«Non era una rissa!» protestò Rachel. «Era un vero e proprio pestaggio! Erano quattro mentre loro erano due ed erano molto più grossi. Se Blaine non si fosse difeso-»

«Resta da capire perché quei tipi se la sono presa con lui. Li hai forse provocati? Erano ubriachi?»

«No, non erano ubriachi erano solo degli emeriti idioti oltre che degli omofobi.»

A quell'ultima parola i due si irrigidirono e Blaine poté vedere lo sguardo che lanciarono a Sebastian.

«Cosa vorresti dire con questo?»

Ci furono attimi di silenzio prima che Blaine trovasse il coraggio di parlare.

«Avrei voluto dirvelo in un altro modo, in un'altra circostanza, ma non posso più aspettare. Mamma, papà, io sono gay. E non è una fase transitoria o una sperimentazione adolescenziale. È parte di me con cui convivo senza problemi ormai da anni.»

«Lo sapevo. Lo sapevo che stare in stanza con quello lì ti avrebbe traviato. Ora chiamo la scuola e ti faccio subito spostare, vedrai che tutto passerà. Tra l'altro non avevi detto che stavi frequentando una ragazza?»

Blaine si morse le labbra: «Per l'ennesima volta, papà, Sebastian non ha nulla a che fare con il mio orientamento sessuale. Ero gay da ben prima di conoscerlo. Sai una cosa? Probabilmente lo so da quando ero all'asilo, ma ho sempre dovuto tenermelo dentro per paura che voi mi ripudiaste invece che accettarmi e farmi sentire amato. E per la cronaca, non c'è mai stata nessuna ragazza.»

«Ma le uscite, i messaggi al telefono e tutti i sorrisi che facevi quando rientravi» insistette sua madre.

«C'era qualcuno, ma non una ragazza» disse, rendendo palesi la loro mani intrecciate. «C'era Kurt. E c'è ancora, se è per questo. In effetti è da due mesi e mezzo che stiamo insieme e sono stati senza ombra di dubbio i mesi più belli della mia vita.»

L'uomo corrugò la fronte, nel chiaro tentativo di trattenere la rabbia. Si voltò verso Rachel e Cooper: «Voi lo sapevate, vero? Lo sapevate benissimo che usciva con... con quello lì! D'altronde come potevate non saperlo, qualcuno dovrà pur averlo aiutato nella sua messinscena.»

«Sì, papà, lo sapevamo entrambi. Ma al contrario di te e della mamma, abbiamo accettato la cosa perché lui è sempre nostro fratello e questo non cambierà mai e poi mai» disse Rachel. «E se è per questo anch'io ti ho tenuto nascosto qualcosa, ma visto che siamo in vena di presentazioni: questo è Finn, il mio ragazzo. Sì, quel Finn. E prima che tu me lo chieda, sì, Kurt è suo fratello.»

«Ma allora è una cosa di famiglia! Cos'è, voi due vi siete messi d'accordo per fare l'affare del secolo?» disse, indicando minaccioso Kurt e Finn. «Morti di fame come siete scommetto che appena avete fiutato odore di soldi siete accorsi.»

Dave e Santana dovettero afferrare Finn prima che facesse qualcosa di davvero inappropriato come prendere a pugni il suo futuro suocero.

«Al contrario di quello che credi, papà, non tutti pensano solo ai soldi» disse Blaine. «Nonostante voi due riteniate di aver avuto tre figli uno più deludente dell'altro, c'è chi ci apprezza così come siamo.»

Questa volta a parlare fu la signora Anderson: «Siete ancora giovani e non potete capire. Ora vi sembra tutto meraviglioso e pensate che durerà per sempre, ma col passare del tempo vi renderete conto di quanto loro siano sbagliati per voi, di quanto le differenze fra voi siano insormontabili. E un giorno, quando starete cenando in un ristorante, vi sentirete improvvisamente imbarazzati dal fatto di essere lì con loro e non con una persona... alla vostra altezza.»

«Mamma, io non potrei mai vergognarmi di Kurt. Né Rachel di Finn. Avranno i loro difetti, come tutti d'altronde, ma a noi piacciono così. E se ci sentiremo a disagio in un ristorante di lusso, vorrà dire che andremo da un'altra parte, anche in un fast food, se necessario. Perché finché sarò con lui non mi importerà nulla il “dove”: con lui ogni posto è quello giusto.»

«Non lo accetto. Non accetto che i miei figli si facciano vedere in giro con gente come questa» disse, facendo cenno a Kurt, Finn, Dave e Santana. «Blaine, ti proibisco di vedere ancora questo ragazzo. Non appena ti diplomerai andrai in un college più lontano possibile da qui e non disturbarti a tornare per le vacanze di Natale. Quanto a te, Rachel, è evidente che una scuola pubblica non è stata la scelta migliore. Andrò subito a chiamare la segreteria del McKinley e da domani tornerai alla tua vecchia scuola. Chissà che stare con gente della classe ti faccia rinsavire.»

«Non credo proprio, papà» intervenne Cooper. «Non puoi costringerli. Blaine ha diciotto anni, ormai, e Rachel li compirà fra qualche mese.»

«Saranno maggiorenni ma fintanto che dipendono da me-»

«Fintanto che avranno un fratello con uno stipendio sufficientemente alto da mantenerli entrambi tu non puoi fare proprio nulla» concluse Cooper.

«Vi siete alleati, eh? Vi siete alleati contro di noi. Bene, bei figli ho avuto: un traditore, un finocchio e una svampita.»

«I figli che ti meriti, papà» rispose Blaine.

«Non osare parlarmi in questo modo, razza di-»

«E lei non osi offendere un'altra volta il mio ragazzo» intervenne Kurt. «La verità è che lei non si merita minimamente i figli che ha avuto, che sono uno più talentuoso dell'altro e se lei non riesce a vedere quanto meravigliosi sono... beh, allora deve avere davvero gli occhi foderati di prosciutto.»

«Tu! E' tutta colpa tua, non è vero? Sei tu che l'hai traviato. Cos'hai fatto per convincerlo a venire con te? Sei forse la sua put-»

«Papà!» gridò Blaine. «Vattene. Esci da questa stanza. Questa notte ho quasi rischiato di morire e tu vieni qui e la tua prima preoccupazione è che tuo figlio è gay? Pensi che a qualcuno in questa stanza, a parte te e la mamma, importi qualcosa se sono gay o meno? No: loro sono qui perché mi vogliono bene e perché erano preoccupati per me, mentre a te importa solo della tua fottuta reputazione. Speravo in un briciolo di comprensione, di affetto. Volevo sentirvi dire che mi avreste voluto bene e che avevate avuto paura di perdermi. Volevo sentire le cose che un figlio si aspetta dai loro genitori e invece cosa ho avuto? Solo disprezzo e offese. Vattene via, per favore. Ho già affrontato quattro omofobi, questa notte, non voglio affrontarne un altro.»

La signora Anderson provò a dire qualcosa, ma l'uomo la afferrò per un braccio e, voltatosi, se ne andò, trascinandosela con sé.

Blaine prese un bel respiro e gemette quando si rese conto del dolore che gli aveva provocato quella sfuriata.

«Stai bene?» chiese Kurt.

«Benissimo. A meraviglia. Mai stato meglio» disse.

Ed era così. Aveva perso la fiducia nei suoi genitori, ma aveva trovato altre persone di cui fidarsi, altre persone da amare e che lo amavano. Aveva ancora i suoi fratelli, e i suoi amici. Aveva ancora il suo stupendo ragazzo, che in quel momento gli stringeva la mano, accucciato accanto al suo letto.

«Grazie per quello che hai detto. Grazie per avermi aspettato e per non aver mai lasciato la mia mano. Grazie perché se non fosse stato per te non avrei mai trovato il coraggio di ammettere quello che ero. Non avrei mai trovato il coraggio di dirlo ad alta voce ed andarne fiero» disse. «Io... io ti amo, Kurt.»

Il ragazzo spalancò gli occhi e per un secondo sentì il respiro bloccato a metà in gola e il cuore battere così forte da fargli male.

«Ti amo anch'io» disse, abbracciandolo.

Blaine lo strinse, incurante delle proprie ferite come Kurt aveva deciso di ignorare le proprie.

Il dolore al petto per i calci si fuse con quello provocato dalle parole di suo padre e l'anestesia fece dimenticare tutto.


Si dice che i genitori amino incondizionatamente.

Non è così.

Esistono genitori che non amano i figli e figli che vorrebbero amare i genitori ma che non ci riescono più.

Nessun amore è scontato.

Ma a Blaine andava bene così: non dare niente per scontato.

Aveva l'amore di Kurt e finché fosse stato così, poteva bastare.




A/N


Scusate il ritardo nel rispondere alle recensioni e nel pubblicare.

Sono stata quattro giorni in montagna a disintossicarmi da internet, tumblr, computer e quant'altro, ma ora sono tornata!


Ringrazio la mia amica che mi ha aiutato a tradurre le parole di Santana in spagnolo. Se trovate qualche errore prendetevela con lei * scarica la responsabilità *


Blaine ha fatto il coming out più difficile, il suo quarto per la precisione. Il nostro piccolo sta crescendo. Mi piace pensare che in questa fanfiction, oltre ad aver visto la loro relazione evolversi da odio ad amore, ci sia stata anche una sorta di crescita per Blaine.


La fine è vicina, gente!

Il prossimo sarà l'ultimo capitolo ma non temete, ci sarà anche l'epilogo!


Ditemi cosa ne pensate di questo capitolo!

A venerdì!


yu_gin



coming next


E poi, dopo che ebbero sparecchiato e messo i piatti nel lavello, Kurt disse ciò che Blaine aspettava da tutta la sera:

«Vuoi... vuoi vedere la mia camera?»

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** this is our night, this is our life ***


A Lima Side Story



Capitolo 23: this is our night, this is our life



Blaine sapeva che le cose non sarebbero state facili e non si sbagliò.

Il mese che seguì fu forse il più duro della sua vita: fra la riabilitazione, gli ultimi esami a scuola, il silenzio dei suoi genitori, la paura del futuro che si faceva ogni giorno più pressante, Blaine faticava a dormire sereno la notte.

Passava sempre la sua sera di libertà con Kurt e poi andava a dormire a casa di suo fratello, dove aveva ormai trasferito gran parte delle sue cose.

L'unico suo rammarico era stato quello di lasciare Rachel sola con i loro genitori, ma sapeva che, non appena avesse potuto, se le cose non si fossero messe meglio, li avrebbe raggiunti.

Il suo corpo era guarito quasi del tutto anche se la cicatrice dell'intervento al torace era ancora visibile. Aveva recuperato le lezioni perse e ormai riusciva a cantare senza che il petto gli dolesse ogni volta che doveva prendere un respiro particolarmente profondo.

Anche Kurt si era ripreso. Certo, aveva ancora delle fasciature al braccio, ma almeno aveva tolto il gesso ed ora riusciva di nuovo a lavorare. Aveva perso il lavoro da GAP – il datore di lavoro non aspettava che una scusa per buttarlo fuori – ma era riuscito a trovare un posto come cameriere nel locale di Virgilio e quel posto gli piaceva decisamente di più.

Rachel era riuscita a convincere i suoi genitori a farle come minimo finire l'anno al McKinley. Si era ripromessa di riuscire a farsi iscrivere lì anche l'anno successivo. Non avrebbe mai lasciato quel Glee club.

Finn continuava a studiare per il diploma, sempre più intensamente e allo stesso tempo le prove del Glee per le nazionali si facevano più faticose e devastanti.

Nonostante tutti gli ostacoli che si trovava ogni giorno ad affrontare, Blaine era sereno.

Finché una telefonata non arrivò a movimentare le acque.

Era a casa di Cooper e stavano guardando un film d'azione mangiando patatine quando il telefono squillò. Rispose il maggiore che biascicò un: “pronto?”

Blaine si voltò verso il fratello e lo vide strabuzzare gli occhi per la sorpresa.

«Va bene. Sì, te lo passo» disse, allontanando il telefono dall'orecchio. «E' per te, Blaine. È la mamma.»

Blaine prese il telefono con mani tremanti e lo portò all'orecchio. «Mamma?»

«Ciao, tesoro. Ho chiamato per sapere come stavi.»

«Bene. Ora sto bene e... e sono felice.»

La donna sospirò: «Tuo padre non ha ancora accettato la cosa.»

«La cosa, mamma? Intendi la mia omosessualità?»

«Lo sai com'è fatto. Ha paura di quello che penseranno i suoi colleghi al lavoro e i suoi amici. Ha paura, tutto qui.»

«Anch'io avevo paura. Avevo paura di voi e ho vissuto male per anni per questo motivo. Sono stanco di avere paura.»

«Devi solo dargli tempo. Un giorno forse...»

«Un giorno. Forse. Beh, suppongo di dovermi accontentare. Forse un giorno mio padre tornerà ad amarmi come figlio.»

«Non dire così. Lo farò ragionare, vedrai, le cose andranno meglio. Io sono stata cieca: per anni non mi sono accorta di questo peso enorme che avevi dentro, mentre tuo fratello sembra averlo sempre saputo e tua sorella non ha fatto che supportarti. Ho cresciuto tre figli, Blaine, e vi amo tutti e tre allo stesso modo, nonostante i vostri difetti. Forse un giorno anche tuo padre lo capirà.»

Blaine non riuscì a sorridere. Non riuscì a pensare a come un genitore potesse non amare il proprio figlio. Si ripromise che, se mai avesse avuto la fortuna di avere dei figli, non avrebbe mai smesso di farli sentire amati. Neppure per un istante.

«Grazie, mamma.»

«Grazie a te, Blaine, per avermi aperto gli occhi.»

Sì, le cose sarebbero andate decisamente meglio.


Il motore del pulmino era già acceso e il rombo che produceva copriva le loro parole.

«In bocca al lupo» disse Blaine alla sorella, abbracciandola.

Kurt fece lo stesso col fratello, aggrappandosi al suo collo e sussurrandogli: «E questa volta vedete di portare a casa il trofeo delle nazionali.»

«Farò del mio meglio» rispose Finn, sorridendo. Sciolsero l'abbraccio e Blaine recuperò il proprio posto al fianco di Kurt. «Sei sicuro di non voler venire? Anche solo come accompagnatore o come supporto.»

«Non devi preoccuparti, Finn, me la caverò in questi tre giorni» disse Kurt. «E poi non credo che mi mancherà la compagnia» disse, facendo un cenno con la testa al suo ragazzo.

Finn colse il le parole non dette e annuì, capendo che per nulla al mondo Kurt li avrebbe seguiti, perdendo l'occasione di avere la casa libera per tre giorni di fila.

«Divertitevi!» gridarono, quando ormai tutti erano saliti sul pulmino e questo si stava mettendo in moto.

Kurt e Blaine sospirarono guardando i loro fratelli e i loro amici andare a New York a vincere le Nazionali, mentre a loro rimaneva Lima. Lima, il cui luogo di punta era il Lima Bean, il cui sport cittadino sembrava essere granitare gli sfigati o imbrattare i muri con insulti ai gay. Lima, che alla fin fine era la loro casa.

Blaine si voltò verso di lui: «E così abbiamo tre giorni tutti per noi.»

«Signor Anderson, le ricordo che deve studiare.»

«Al diavolo i libri! La mia media è quasi più alta di quella di Sebastian e lui passa praticamente ogni sera allo Scandals. E non esattamente a studiare Storia europea» disse, sfiorandogli il collo con il naso. «Questi tre giorni sono solo per noi.»

«In quanto ragazzo responsabile dovrei resistere all'idea, ma che vuoi farci: ho anch'io le mie debolezze.»

«Kurt Hummel ha dei difetti?»

«Sotto molti chili di lacca per capelli, però!» rispose ridendo. «Che dici, andiamo a farci un giro?»

«Ho giusto voglia di un gelato.»

Passarono il pomeriggio a gironzolare per la città senza una meta particolare. Blaine fu trascinato dentro una quantità esorbitante di negozi di vestiti e alla fine uscirono con solo una maglietta per Kurt e un papillon per Blaine. Presero il gelato e si sedettero al parco. Guardavano le coppie di adolescenti che, come loro, avevano sentito il richiamo del sole e non avevano atteso ulteriormente per stendere una coperta e stendersi all'ombra degli alberi del parco.

C'erano anche dei genitori con i figli e Blaine, guardandoli giocare felici, si chiese se anche lui avrebbe potuto, un giorno, formare una famiglia. Forse non lì a Lima, ma in una città più grande, più aperta mentalmente o in cui – più semplicemente – alla gente non importasse nulla del vicino, etero o gay che fosse. Si chiese se in quel futuro ci sarebbe stato Kurt, se al suo fianco ogni notte nel suo letto ci sarebbe stato lui, se a disinfettare il ginocchio sbucciato di suo figlio sarebbe stato lui, se ogni giorno della sua vita l'avrebbe condiviso con lui.

Stavano insieme da tre mesi e non avevano neppure vent'anni. Ma quando ti innamori non pensi a quando tutto finirà. Pensi che sarà per sempre e che non amerai mai nessuno a quel modo e che non sarai mai più felice di così.

E' quello il bello dell'amore: l'ignoranza.


L'arrivo all'aeroporto fu epico. Alcuni di loro non avevano mai messo piede fuori dall'Ohio, né avevano mai preso l'aereo. Certo, la maggior parte di loro era già stata alle Nazionali negli anno scorsi ma rimaneva lo stesso una grande emozione. Perché quell'anno, con Rachel e Finn, sapevano di poter vincere.

Dopo aver lasciato le borse in albergo, decisero di concedersi un tour per la città. Visitarono i posti più importanti e famosi, pranzarono con un panino preso per strada e acquistarono stupidi souvenir per i genitori a casa e scattarono rullini interi di fotografia scentrate e sfocate.

Capirono a pieno cosa intendessero le persone per “la magia di New York”: l'entusiasmo li aveva catturati e nessuno di loro sembrava intenzionato a tornare in albergo per dormire. Il professor Schuester si era raccomandato di tornare presto e di andare a dormire, dal momento che di lì a due giorni avrebbero dovuto esibirsi, ma era stato tutto inutile e alla fine aveva desistito.

Ad una certa ora i ragazzi si erano divisi e ognuno di loro aveva proseguito il tour per la città come aveva preferito.

Tina e Mike erano andati a Central Park e poi a cenare thailandese, Artie e Puck avevano cercato il museo della tortura e avevano fatto due giri, divertendosi a spaventare i clienti, Sam e Mercedes si erano divertiti al luna park mentre Brittany era rimasta tutta la sera in albergo su skype a parlare con Santana e a raccontarle del viaggio.

Rachel aveva trascinato Finn in tutti i negozi che aveva sempre sognato di vedere e l'aveva caricato di borse e sacchetti. Poi erano andati a cenare in un ristorante italiano dove un musicista aveva improvvisato una esecuzione di “Bella notte”.

Stavano tornando verso l'albergo quando una spiacevole vista sbarrò loro la strada.

«Ma guarda chi si vede. Siete insieme da quanto – un mese? - e già vi chiamano tutti i “Finchel”. “Dite che i Finchel porteranno le New Direction alle nazionali?” “Dite che li faranno vincere?”»

«Jesse» mormorò Finn. «Spunti sempre nei momento meno opportuni.»

«Sempre così scortese. Volevo solo complimentarmi con te per essere arrivato fin qui. Immagino che questa volta sparirai il giorno dell'esibizione. Magari un minuto prima di salire sul palco. Non male come uscita di scena, eh? Ti ho dato una bella idea.»

«Sparisci!»

«Siamo su una strada pubblica, posso stare qui, davanti a voi, quanto mi pare e piace» insistette.

«Cos'è, una nuova tecnica dei Vocal Adrenaline per distruggere gli avversari? Prenderli per sfinimento? Deriderli, cercare i loro punti deboli e poi girare il dito nella piaga?»

«Non è per niente nuova. La usiamo da anni e fino ad ora ha sempre dato buoni frutti» rispose, sorridendo soddisfatti.

Finn lo spinse da parte e proseguì con Rachel ancora sotto braccio.

«Se te ne vai non è divertente!» protestò. Jesse sbuffò e poi aggiunse: «E' stato un piacere rivederti, Rachel. Se mai dovessi deciderti a fare un salto di qualità, i Vocal Adrenaline saranno lieti di accoglierti. E così anch'io.»

Rachel stava per declinare gentilmente l'offerta, ma Finn si voltò e lanciò a Jesse uno sguardo che spaventò l'altro. «Cosa intendevi dire con “e così anch'io”?» chiese minaccioso.

Jesse sorrise, alzando le spalle: «Non avrai mica pensato male? Intendevo dire da un punto di vista prettamente professionale.» Si stava divertendo a stuzzicarlo e a mettere zizzania nel gruppo. Prima di perdere tempo con loro due, aveva importunato quasi tutti i membri del Glee club, cogliendoli a due a due e infastidendoli con battutine e insulti, nel tentativo di devastarli psicologicamente.

Era molto probabile che Jesse St James avesse letto il libro di Sue Sylvester su come annientare il tuo nemico senza sfiorarlo con un dito – e dunque senza finire in prigione – e lo avesse assimilato in ogni sua parte perché gli atteggiamenti di quel ragazzo erano in tutto simili a quelli della malefica coach.

«Bye bye perdenti, ci vediamo domani» disse, salutandoli allegramente.

Rachel dovette aggrapparsi al braccio di Finn per trattenerlo dall'aggredire il ragazzo e dunque farsi squalificare dalla competizione.

«Non capisci, Finn? Così faresti solo il suo gioco. Funziona così nel mondo dello spettacolo: devi sopportare le frecciatine e aspettare il momento giusto per rispondere. E credimi, la migliore vendetta sarà salire sul palco domani e fargli mangiare la polvere.»

Finn annuì: «Sa che con me questi trucchi funzionano sempre e si diverte a stuzzicarmi. Ma sì, picchiarlo non servirebbe a niente, se non a procurarmi un'enorme soddisfazione. Avremo la nostra vendetta domani, insieme al trofeo.»

Rachel sorrise: «Così mi piaci!»

Tornarono in albergo piuttosto tardi. Brittany era già a letto, mentre Mercedes e Tina stavano bevendo un cocktail analcolico al bar dell'hotel. Mike, Sam, Artie e Puck erano in camera a fare scherzi telefonici con il telefono dell'albergo mentre altri dovevano ancora tornare. Il professor Schue e la signorina Pillsbury, come da programma, dormivano già da qualche ora.

«Dici che è troppo tardi per chiamare a casa?» disse Rachel.

«Dubito che tuo fratello stia già dormendo» commentò Finn che aveva come la sensazione di sapere dove si trovasse Blaine in quel momento e – soprattutto – con chi.

«Allora lo chiamo, così gli racconto come è andata oggi e lo faccio morire d'invidia» disse ridacchiando.

«Non credo sia una buona idea» tentò di fermarla Finn.

«E perché?» chiese. «Se tutto va bene starà guardando qualche programma idiota alla tv. Dopo, se vuoi, possiamo chiamare anche Kurt: sarà entusiasta di sapere le novità!»

Finn tentò di fermarla, ma conosceva la sua ragazza abbastanza bene per sapere che neppure un uragano in rotta di collisione con il loro hotel avrebbe potuto farla desistere dai suoi intenti.


Era sera e Kurt e Blaine erano appena usciti dal cinema, dopo aver visto l'ultima commedia romantica di Woody Allen. Ridevano perché Blaine aveva un pezzetto di popcorn sopra il labbro e non se n'erano accorti finché non erano passati davanti al grande specchio in uscita. Kurt glielo aveva tolto con il pollice e, nello sfiorare le sue labbra, la tentazione di baciarlo fu irrefrenabile, ma si trattenne perché non volevano guai e la macchina era abbastanza vicina. Potevano aspettare.

Non appena ebbero chiuso le portiere dell'auto, le loro labbra si incontrarono e presto le loro mani raggiunsero il corpo dell'altro, cercandolo, accarezzandolo con l'urgenza degli innamorati.

Dopo svariati minuti il bacio si affievolì e si allontanarono, sorridendosi vicendevolmente.

«E' ancora presto» disse Kurt «e oggi non sei al dormitorio quindi mi chiedevo se ti andasse di... di venire a casa mia. Magari possiamo mangiare qualcosa- sai, qualcosa di più sano dei popcorn, e...» balbettò, sentendo che le parole gli mancavano.

«Sarebbe perfetto.»

Kurt sorrise e guidò fino a casa. Fece un bel respiro: il momento era arrivato. Blaine avrebbe visto per la prima volta casa sua e sapeva che non sarebbe stato così stupido da aspettarsi una villa, ma aveva paura di trovarlo... schifato. Aveva pulito con tale perizia che la Pillsbury avrebbe avuto il coraggio di leccare il pavimento. E se non era pulizia quella...

Però rimanevano i mobili di pessimo gusto, la mancanza di quadri che non fossero i suoi disegni di bambino, la cucina quasi spoglia e gli aloni sul muro dovuti all'umidità. Non era una bella casa, ma era casa e voleva condividere anche quello con il suo ragazzo.

Aprì la porta con le chiavi e accennò ad un debole: “ta-dan!” indicando l'entrata.

La prima impressione che ebbe Blaine appena entrato fu di una casa accogliente. Certo, riconosceva la scarsa qualità dei mobili e tutto il resto, ma sentiva anche il buon odore di pulito e, ancora più importante, sentiva l'odore di Kurt che aveva impregnato ogni centimetro cubo d'aria di quella casa. E questo per lui valeva più di ogni spray per l'ambiente.

«Allora, cosa vuoi mangiare?»

«Non saprei. Sei tu il salutista, cosa proponi?»

«Devo avere della minestra di broccoli da scaldare in microonde» disse, tamburellando l'indice sul labbro. Alla reazione di Blaine, Kurt rise: «Scherzavo, Blaine. Ti va della pasta? Me la cavo bene con il cibo italiano.»

«Qualsiasi cosa piuttosto della minestra di broccoli!» esclamò, raggiungendolo in cucina. Apparecchiarono la tavola solo per loro due e Kurt rise quando Blaine gli chiese dove fossero le candele.

«Ehi, se dobbiamo fare le cose per bene ci vogliono le candele» protestò il ragazzo, quando Kurt aprì il cassetto per passargliele.

«Come ho fatto ad innamorarmi di uno più romantico di me?» borbottò Kurt, accendendo il fornello. «Pensavo sarei finito con uno stronzo che si sarebbe dimenticato il mio compleanno e mi avrebbe fatto soffrire. E invece ho trovato te» disse. Blaine lo abbracciò da dietro, circondandogli il petto con le braccia e stringendolo a sé.

«E io pensavo avrei finito per sposare una ragazza scelta dai miei e sbavare dietro gli attori della televisione. E invece eccomi qui, ad apparecchiare la tavola per me e il mio ragazzo come un perfetto casalingo.»

«Ah, quindi saresti tu quello che sta a casa a badare ai figli» commentò Kurt, voltandosi e sollevando un sopracciglio.

«Ovviamente. Mentre il mio splendido e impegnatissimo marito andrebbe a presentare la sua ultima collezione autunno-inverno, io starei a casa e insegnerei ai nostri figli a giocare a football e a ballare la disco.»

«Ti sei giocato la possibilità di crescerli. Tu non influirai minimamente nei loro gusti musicali, mi hai capito, Blaine Anderson?»

«Allora vorrà dire che farò mettere a tutti loro il papillon. E alle bambine un fiocco di raso. O il papillon anche a loro, devo ancora decidere.»

«Però lasceresti a me il compito di fare le trecce, vero?»

«No! Non puoi prenderti la parte più bella!»

«Va bene, una treccia a testa. E poi potremmo cantare dei duetti per farli addormentare così non dovremmo litigare. Sai, una ninna nanna a canone.»

«Rigorosamente a cappella. Potrei chiamare tutti i Warblers e...»

«Blaine! Non possiamo far entrare venti ragazzi in divisa nella camera dei bambini ogni notte. E poi dove li metteremmo a dormire?»

«Hai ragione. Sarà una ninna nanna a due voci.»

«Due splendide voci.»

Kurt servì in tavola e si sedettero. Senza neppure rendersene conto si stavano già comportando come una coppia sposata. Una favolosa coppia sposata. Veniva loro così naturale comportarsi in quel modo che nessuno di loro aveva puntualizzato che avevano solo diciotto anni e che stavano insieme solo da tre mesi e che, tra l'altro, il matrimonio gay non era legale in Ohio.

Non importava finché erano solo loro due.

Mangiarono chiacchierando e ridendo, continuando a fantasticare sulla loro possibile vita insieme come se fosse l'unica vita possibile.

E poi, dopo che ebbero sparecchiato e messo i piatti nel lavello, Kurt disse ciò che Blaine aspettava da tutta la sera:

«Vuoi... vuoi vedere la mia camera?»

Ovviamente lo voleva. Per Blaine era come se Kurt avesse deciso di mettersi a nudo davanti a lui. Dovette scacciare dalla mente quell'ultimo pensiero per non trovarsi un imbarazzante problema nei pantaloni.

Seguì Kurt lungo il corridoio. Vide la prontezza con cui il ragazzo chiuse la porta di una camera.

«La camera di Finn» si giustificò. La quale ovviamente era un macello completo. «Questa è la mia» disse, indicando una porta alla quale era appeso un poster di Mulin Rouge.

Certo, pensò Blaine, questa non può che essere la sua stanza.

Dentro era esattamente come se l'era immaginata: semplice e ordinata, piena di poster di musical e con tutti i vestiti rigorosamente piegati o appesi a degli attaccapanni nell'armadio. Sul comodino notò alcune foto. Una con la sua famiglia, una con il Glee club e... e poi notò una foto più piccola delle altre senza cornice e appesa al muro. Era una foto di loro due scattata da Santana a tradimento una sera allo Scandals. La foto era male inquadrata e loro si stavano voltando in quel momento quindi i loro volti erano di tre quarti e leggermente mossi. I colori poi erano sfalsati dalle luci colorate del locale, di cui si vedevano in sottofondo due clienti intenti a pomiciare. Però c'erano loro e le loro mani si sfioravano da sopra il tavolino.

Kurt notò quella foto e arrossì: «Cavolo, me l'ero dimenticata» borbottò imbarazzato.

«E' bellissima.»

«Ma se sono orribile? Guarda che razza di capelli!»

«Sei bellissimo. Sei sempre bellissimo» disse, senza neppure pensarci. Gli uscì naturale e Kurt arrossì, se possibile, ancora di più.

Si avvicinò a lui e lo baciò, accarezzando le sue labbra con le proprie e poi insinuando lentamente la lingua. Con la mano gli accarezzò la guancia. Poi le mani lentamente cominciarono a scendere sul suo corpo e Kurt non lo fermò, anzi, lo avvolse con le proprie braccia, avvicinandolo ancora di più, premendo i loro corpi come fossero uno solo.

Quando Blaine sentì le mani di Kurt indugiare sulla sua camicia e cominciare a sbottonarla si staccò un secondo da lui e lo fissò negli occhi. Kurt si fermò, temendo di aver esagerato con la foga ma quando sentì le mani dell'altro fare lo stesso sul suo corpo proseguì. Gli sfilò la camicia e lasciò che Blaine facesse lo stesso con la sua maglietta. Poi, nella foga dei baci, caddero sul letto e fu allora che realizzarono davvero ciò che stava per accadere.

«Sta succedendo?» chiese Blaine.

Kurt annuì e poi aggiunse imbarazzato: «Nel cassetto ho tutto ciò che serve» Indicò il cassetto accanto al letto e Blaine si sporse per aprirlo. Dentro vi trovò del lubrificante e un pacchetto di preservativi. «S-stai tu sopra? Io con questo braccio non so se riuscirei, sai, insomma, a-»

Blaine annuì e sentì i la mani tremargli. Si morse le labbra imbarazzato: «Come ti ho già detto io non ho mai avuto un ragazzo e questa è la mia prima volta in tutti i sensi. Quindi se sbaglio qualcosa-»

«Beh, allora siamo in due» disse Kurt.

«Come?»

«Anche per me è la prima volta» ammise.

«Ma io pensavo che... insomma, Dave...»

«Siamo stati insieme qualche mese, ma non l'abbiamo mai fatto. Perché non lo amavo e non volevo semplicemente fare sesso. Volevo fare l'amore con la persona che amo. Come adesso.»

Blaine lo guardò, spalancando gli occhi e sentendo il respiro sparire. «Ti amo, Kurt. Ti amo da morire.»

«Ti amo anch'io» disse, accompagnando la sua testa fino alla sua per un altro bacio mentre con la mano libera gli sbottonava i pantaloni e glieli abbassava. Blaine si fermò per liberarsi dello scomodo indumento per dedicarsi ai jeans di Kurt: li afferrò insieme ai boxer e, facendogli alzare le gambe, li sfilò via, lasciando l'altro completamente nudo e scoperto.

Era bellissimo. L'aveva già visto seminudo agli spettacoli dello Scandals, ma questa volta era diverso. Questa volta non c'era una folla di vecchi intenti a sbavare alla vista di lui, né c'era la musica assordante o la puzza d'alcol. C'erano solo loro due e quel corpo, quella nudità completa e perfetta, era per lui e solo per lui.

Kurt distolse lo sguardo imbarazzato. Sulla sua pelle candida erano ancora visibili i segni delle percosse e il braccio ancora gli doleva se era costretto a sopportare del peso. Lo stesso valeva per Blaine, sul cui petto Kurt poteva ancora scorgere la cicatrice dell'intervento.

Kurt si sporse e baciò quel lembo di pelle, tremendamente vicino al suo cuore. Quando vi accostò le labbra poté sentire il suo battito accelerare e sorrise contro il suo petto. Con lui non si vergognava neppure degli ematomi sul suo corpo perché sapevano entrambi come se li erano procurati: per difendere se stessi, per difendere l'altro e per difendere ciò che avevano che era intoccabile ed inviolabile.

Scivolò con le mani lungo i fianchi di Blaine, abbassandogli i boxer.

Entrambi sapevano cosa fare. Entrambi avevano ricevuto un minimo di educazione teorica – e né Santana né Sebastian erano stati avari di particolari – ma nessuno di loro sapeva come comportarsi. Ogni gesto poteva essere quello sbagliato, poteva rovinare tutto e rompere la magia.

Blaine aprì il lubrificante e con le dita tremanti se ne versò un po' sulla mano e si avvicinò all'altro, accarezzando appena la sua apertura e facendovi scivolare il primo dito.

Sentì Kurt irrigidirsi e inarcare la schiena.

«Va tutto bene, io-»

«Calmati. Va- va tutto bene» lo rassicurò, baciandolo. «E' solo... strano. Ma strano in modo positivo. È tutto nuovo.»

Cominciò a muovere lentamente il dito finché non sentì l'altro rilassarsi e solo allora osò inserire il secondo. Questa volta la reazione fu più rumorosa e Kurt si lasciò sfuggire un gemito. La vista di quell'essere perfetto che si inarcava e gemeva per lui fece rabbrividire Blaine.

«Continua» lo esortò e l'altro proseguì allargando le dita dentro di lui ed inserendo il terzo e ultimo dito. Cercò di entrare in profondità fino a sfiorare quel punto intimo e profondo che fece gemere l'altro senza ritegno.

A quel punto non riuscì più a trattenersi. Sfilò le dita e sussurrò all'altro:

«Sei pronto?»

L'altro annuì, sorridendo.

Blaine fece per aprire il preservativo, ma Kurt lo fermò: «E' la prima volta per entrambi. Possiamo... possiamo fare senza? Almeno la prima volta voglio... sentirti.»

Blaine annuì, gettando da parte la bustina e prendendo di nuovo il lubrificante. Se ne spalmò abbondantemente e poi si avvicinò tremante all'entrata dell'altro.

«Se fa male, tu fermami o dimmi-»

«Blaine!» esclamò. «Io mi fido di te, hai capito? So che non mi faresti mai male e so che con te sarà fantastico. Mi fido ciecamente di te come non mi sono mai fidato di nessun altro. Quindi, per favore, fidati di te stesso.»

Erano le parole che servivano a Blaine per perdere ogni timore.

Si spinse dentro e Kurt si aggrappò totalmente alla sua schiena, affondandovi le dita e gemendo per il dolore al braccio che non era ancora andato via. Blaine, dal canto suo, dovette trattenersi per non lamentarsi: anche le sue ferite non si erano ancora riparate del tutto.

Tutto andò come doveva andare, sebbene alcune ferite ancora dolessero e rendessero i loro movimenti più lenti e calibrati.

Blaine ripensò alle parole di Sebastian riguardo al sesso: era vero, non si trovavano in un letto a baldacchino, né c'erano candele d'atmosfera, più che di dolci sussurri l'aria era impregnata di gemiti e il tutto fu un tantino rude, soprattutto tenendo conto dell'inesperienza di entrambi. Ma fu indimenticabile.

Non erano solo i loro corpi ad essere vicini, erano loro stessi che per la prima volta mettevano completamente a nudo la loro anima uno davanti all'altro senza più timori né vergogna.

Blaine scivolò lentamente fuori dal corpo dell'altro e lo abbracciò stretto, quasi temesse che fuggisse.

Kurt gli baciò la fronte sudata, sorridendo contro la sua pelle.

«Ti amo» sussurrò.

Blaine affondò il viso nell'incavo del collo dell'altro, respirando a pieni polmoni la sua essenza: «Ti amo anch'io.»

Si accoccolarono sul letto e chiusero gli occhi, respirando piano. Non seppero dire quanto rimasero così a guardarsi ed accarezzarsi, senza fretta e senza timore. Erano quasi sul punto di addormentarsi, ancora stretti l'uno all'altro, quando il cellulare di Blaine squillò e loro – seppure a malincuore – si divisero.

Blaine sentì la voce di Rachel gridare dall'apparecchio: «Siamo a New York. NEW YORK BLAINE! Ci credi? E' fantastico, oh mio Dio, è tutto meraviglioso qui e...»

«Mi fa piacere sentire il tuo entusiasmo, Rachel, ma non potremmo riparlarne domani mattina? Magari ora vai a letto a farti una dormita, per dire. Sarai esausta per il viaggio e tutto il resto.»

«Sono euforica, altro che esausta! Tu, piuttosto, mi sembri uno che ha appena corso una maratona» gridò all'apparecchio. «Passami Cooper, devo chiedergli una cosa.»

«Cooper non c'è.»

«Come no? E' uscito lasciandoti da solo in casa? Ma per favore, scommetto che è lì sul divano e non ha voglia di alzarsi a rispondere. Dai, passamelo.»

«Rachel, non sono a casa di Cooper!»

«Scusa, sentivo silenzio, pensavo fossi già tornato a casa.» Blaine poté sentire chiaramente la voce di Finn dall'altra parte del telefono borbottare qualcosa alla sorella. Poi sentì Rachel mormorare un “oh”. «Okay, sei a casa di Finn e Kurt, vero?»

«Precisamente.»

«E ho chiamato in un momento poco opportuno.»

«Molto poco opportuno.»

«Oh. Oh. Oh mio Dio, voi avete- cioè tu hai-»

«Buona notte, Rachel, a domani.»

«Buona notte anche a te. E salutami anche Kurt.»

«Non preoccuparti, lo farò» chiuse la chiamata e si gettò di nuovo sul letto.

«Temo che la prima cosa che farà sarà chiamare Cooper per dirglielo» disse Blaine «il quale non aspetterà neppure un attimo per chiamare e farsi gli affari nostri.» Sbuffò, mettendo il broncio: «Scusa, ho dei fratelli imbarazzanti.»

Kurt ridacchiò: «Non sono imbarazzanti. Un po' invadenti, forse. Esuberanti, senza dubbio. Ma tengono molto a te, questo si può vedere.»

Blaine sorrise di rimando, poi spense il cellulare e lo ripose sul comodino: «Così non potremo essere interrotti di nuovo.»

Kurt si stese affianco a lui, facendo sfiorare i loro baci: «Il mio l'ho già spento. Così Finn non può seccarci.»

«Eccellente» disse Blaine. «Vedo che ti sei svegliato per bene. Che ne dici di-»

«Secondo giro?»

«Questa volta invertendo le parti?»

«Ma il mio braccio-»

«In qualche modo faremo. Ti fidi di me, no?»

«L'ho già detto che ti amo?» chiese Kurt sollevandosi sulle ginocchia per poi mettersi a cavalcioni su di lui.

«Ripetilo ancora.»

«Ti amo.»

Per loro quella fu una lunga, lunghissima notte.




Ma fu solo una notte, cui ne seguirono tante altre.

Altrettanto belle, altrettanto romantiche, ma mai uguali a quella in cui per la prima volta si erano completamente lasciati andare – anima e corpo – l'uno con l'altro.

La sera successiva era stato tutto più facile e naturale: scivolare nello stesso letto, spogliarsi senza che le mani tremassero, percorrere con le labbra il corpo dell'altro senza pudore, sussurrarsi “ti amo” con la certezza di ricevere come risposta “ti amo anch'io”.

L'essere interrotti dallo squillo del telefono e dalla voce prorompente di Rachel che gridava “Abbiamo vinto! Abbiamo vinto le Nazionali!” non aveva impedito loro di recuperare in pochi minuti l'atmosfera infranta.

Le settimane successive erano state dure: Blaine aveva dato gli ultimi esami e Finn come lui non aveva smesso un secondo di studiare per riuscire a conquistare l'agognato diploma.

Kurt si era ormai ambientato nel nuovo lavoro e cominciava a pensare al futuro, a cosa fare della sua vita di lì a qualche anno. Aveva tanti sogni in testa e poche idee per realizzarli ma al come ci avrebbe pensato più in là, con l'aiuto dei suoi amici e del suo ragazzo.

Di lì ad un mese Blaine e Finn si diplomarono e, il giorno dopo della cerimonia, Finn cominciò a lavorare a tempo pieno nell'officina che un tempo era stata di loro padre, mentre Blaine cominciò a cercare la lista dei migliori college in Ohio.

Davanti a loro si apriva la prospettiva di un'estate fantastica perché l'avrebbero passata insieme.

Avrebbero mentito se avessero detto che l'idea di settembre non li spaventava.

Passarono l'estate intera a temere il giorno in cui Blaine sarebbe partito per il college.

Sarebbe stata dura, lo sapevano. Non avrebbero potuto vedersi tutti i giorni, ma avrebbero avuto tutti i weekend e le vacanze e le festività e talvolta Kurt avrebbe potuto andare a trovarlo e rimanere a dormire da lui o Blaine avrebbe potuto tornare per una sera o due e fermarsi.

Sarebbe stata dura anche per mille altri motivi, lo sapevano, ma erano tre anni di college e poi le cosa sarebbero potute cambiare. Kurt avrebbe potuto trasferirsi o Blaine avrebbe potuto fare il pendolare. C'erano mille opportunità, mille modi per farcela e loro erano decisi a tentarli tutti.

Avrebbero affrontato il futuro, qualsiasi cosa esso avesse comportato.

Avevano l'uno l'altro. E poi avevano i loro fratelli e Santana e i Warbler e le New Direction (e in fondo anche Dave e Sebastian, che avevano preso l'abitudine di trovarsi il venerdì sera allo Scandals a bere birra e lamentarsi di quanto esile e per nulla sexy fosse il nuovo sostituto di Kurt).

Quando Kurt si fermava a pensare a com'era cambiata la sua situazione da gennaio ad ora non poteva che sorridere.

Poteva affermare serenamente che quello, per Kurt Hummel, era stato un anno davvero niente male.

Forse il primo di una lunga serie.




A/N


E questo era l'ultimo capitolo.

Calma, calma, c'è anche l'epilogo. L'ho promesso e arriverà (martedì) e spero non vi deluderà.


Ho cercato di andarci “piano” con la scena della prima volta perché sono convinta che scrivere una smut seria su un momento romantico e intimo come appunto la prima volta sia... dissacrante. In testa ho centinaia di scene smut fra quei due e prima o poi le metterò su carta e poi su efp, ma la prima volta è... è solo loro, ecco.


Rimando i ringraziamenti e le conclusioni nostalgiche all'epilogo!

A martedì per l'ultimo aggiornamento * scappa via piangendo *


yu_gin



coming next


Erano passati sette anni.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** always ***


A Lima Side Story



Epilogo: Always



Blaine si svegliò madido di sudore e spalancò gli occhi, arrancando fra le coperte.

Vuoto.

Il letto in cui dormiva era vuoto e il posto accanto a lui freddo. Si aggrappò alle coperte e si alzò a sedere con il cuore che ancora gli martellava nel petto.

La stanza era completamente buia se non per una sottile luce che filtrava dalla finestra. In contrasto con la luce lattiginosa dell'alba distinse una silhouette a lui familiare e si calmò.

Sentendo il suo respiro pesante la figura si voltò:

«Blaine, tutto bene?»

Il ragazzo annuì: «Ho- ho avuto un incubo.» Si stropicciò gli occhi e cominciò a distinguere meglio la figura di Kurt in controluce. Indossava solo un paio di mutande. Il resto del suo corpo era magnificamente illuminato dalla luce mattutina e la sua pelle nivea sembrava quasi di un altro pianeta. Si soffermò estasiato ad osservarlo, incapace di aggiungere una parola, incapace di capacitarsi del fatto che quel ragazzo fosse suo.

Kurt lasciò andare la tenda, che tornò a coprire la finestra, e raggiunse nuovamente il letto, lasciandovi cadere le ginocchia ed arrancando fino al ragazzo. Lo baciò sorridendo, prima di tornare sotto le coperte, rabbrividendo.

«Ha nevicato, questa notte» lo informò.

«Ah sì?»

«Fuori è tutto meravigliosamente bianco» disse, posando la testa sul cuscino. Blaine rimase seduto contro la testiera del letto, senza riuscire a sorridere di nuovo. Kurt se ne accorse e cercò la sua mano per accarezzarla. «Cosa c'è?»

Blaine scosse la testa e spostò la mano dal cuscino ai capelli del ragazzo. Fece correre le dita sui suoi capelli, meravigliosamente spettinati dalla notte precedente.

«E' per il sogno di questa notte. Mi passerà.»

«Vuoi parlarne?»

«Sono solo brutti ricordi. Non voglio che ci rovinino la giornata.»

«Blaine» mormorò il suo nome con un tono di rimprovero, ma allo stesso tempo estremamente dolce.

«Okay. Questa notte ho sognato di nuovo quello che è accaduto sette anni fa, nel parcheggio dello Scandals con quei- con quei ragazzi-»

Kurt capì a cosa si riferiva. Certo, neppure lui aveva dimenticato quella terribile notte in cui aveva seriamente pensato di morire. O peggio, di perdere Blaine.

«Solo che nel sogno non arrivava Dave, né Finn, né la polizia. Non arrivava proprio nessuno. Continuavano a picchiarci e non riuscivo a fare niente, come se le mie braccia fossero state immerse nel cemento e non riuscivo neppure a scappare e tu eri a terra e gridavi e io- io- non riuscivo a svegliarmi e poi-»

«Blaine, calmati» gli sussurrò, mettendosi a sedere e abbracciandolo. Lo strinse forte e lui fece altrettanto, cercando rifugio nel tepore del suo corpo. «E' finita. Dopo quella volta Jackson è finito dentro e gli altri – per paura di fare la stessa fine – non si sono più fatti vedere. Abbiamo superato anche quella. Grazie a te, che invece hai saputo affrontare alla grande quei delinquenti. Ce l'abbiamo fatta, insieme.»

Blaine si calmò, ma Kurt non lo lasciò andare finché non sentì il suo cuore, che batteva contro il suo petto, tornare ad un ritmo accettabile. Gli baciò la tempia, accarezzandogli i riccioli indomiti.

«Questo incubo... è per quello che è successo ieri?»

«No, io- non lo so. Forse» ammise a malincuore.

Kurt annuì. Era ancora scosso per gli avvenimenti del giorno prima. Il suo lavoro lo portava ad avere a che fare con persone le cui vite erano in condizioni davvero pietose, peggio di come avesse mai vissuto lui anche nei momenti più bui della sua vita. Tuttavia il suo lavoro di assistente sociale gli piaceva.

Sapeva cosa voleva dire avere diciassette anni e una vita insostenibile. Sapeva cosa voleva dire essere soli e non avere nessuna prospettiva. Sapeva però che era possibile uscirne, con un piccolo aiuto, e lui voleva fare la differenza.

Aveva aiutato ragazzine a uscire dal giro della prostituzione, ragazze-madri a dare in adozione i figli, figli picchiati fra le mura domestiche a trovare una nuova casa e giovani omosessuali a fare pace con se stessi e con le famiglie.

Ogni volta che aiutava una ragazza a trovare un lavoro che le permettesse di non vendersi o che ascoltava le confessioni di un ragazzo che ammetteva di essere stato picchiato per la propria omosessualità, non poteva che pensare a se stesso e a quanto era stato fortunato ad uscire da quel mondo. A quanto era stato fortunato a trovare Blaine.

Tuttavia non mancavano gli episodi sgradevoli.

Il giorno prima una madre, dopo aver scoperto l'orientamento sessuale di Kurt, aveva fatto una scenata al centro sociale, gridando che non gli avrebbe mai più fatto vedere suo figlio e che doveva essere stato lui a traviarlo e a farlo diventare un invertito, accusandolo di aver abusato di lui.

Ovviamente nessuno al centro sociale aveva creduto ad una parola: tutti sapevano quanto Kurt fosse professionale e sapevano anche che il ragazzo in questione era venuto da loro proprio per cercare l'aiuto che non riusciva ad avere dalla sua famiglia.

L'amaro in bocca però era rimasto e Kurt era stato di cattivo umore tutto il giorno. Quando poi, finita la giornata, aveva raggiunto la propria macchina per tornare a casa, aveva trovato un'altra brutta sorpresa. E quella non avrebbe potuto nasconderla a Blaine.

Quando tornò a casa con una scritta fluorescente sull'auto che recitava “fag”, Blaine ovviamente fece delle domande e Kurt non gli nascose nulla. Gli raccontò tutto: della donna, delle sue stupide accuse, del figlio imbarazzato prossimo alle lacrime, della scritta.

Blaine all'inizio aveva dato di matto, inveendo contro la donna e dicendo che di sicuro era stata lei e che avrebbero potuto accusarla e chiedere i danni, ma Kurt si era rifiutato di sporgere denuncia, affermando che in quel modo avrebbe fatto del male anche al figlio che in quel momento aveva bisogno solo di essere aiutato.

Blaine aveva consumato la cena in silenzio e poi, senza neppure dare il tempo a Kurt di sbrigare la tavola, l'aveva baciato e l'altro aveva capito che non sarebbe finita lì.

L'aveva afferrato per i fianchi, tirandolo a sé, poi si erano trascinati a vicenda verso la camera da letto andando a sbattere più volte contro i mobili e travolgendo qualsiasi oggetto si frapponesse fra loro e la meta.

Erano caduti sul grande letto matrimoniale e si era spogliati con urgenza, gettando i vestiti con noncuranza – sì, anche Kurt – e senza smettere un secondo di baciarsi.

Avevano fatto l'amore, in modo un po' rude forse, per dimenticare ciò che di brutto era accaduto e lasciare tutti il mondo fuori. L'avevano fatto perché, persi l'uno nell'altro, tutti i brutti ricordi sparivano e c'erano solo loro due ed era bellissimo.

Uscendo da dentro di lui, Blaine aveva sussurrato a Kurt un'infinità di volte “ti amo” e Kurt gli aveva risposto in un sussurro “ti amo anch'io”. Si erano addormentati abbracciati, stretti sotto il piumone, al riparo dal gelo dell'inverno e l'ansia, la paura, la rabbia che avevano provato si erano sciolte come neve al sole.

Ed ora erano lì, di nuovo abbracciati e di nuovo con la stessa orrenda sensazione di ingiustizia nel cuore.

«Non è giusto, Kurt. Non è giusto che tu debba sopportare una cosa del genere. Tu sei la persona più buona e più generosa e più... più fantastica che io conosca! Quella donna non avrebbe neppure dovuto osare dirti una cosa del genere. Tu ti fai in quattro per aiutare quei ragazzi e nessuno sembra capirlo.»

«Lo capisci tu. Lo capiscono anche loro. Lo capiscono quelli del centro sociale e, credimi, non tutti i genitori sono come quella donna. Alla maggior parte di loro non interessa che io viva con un uomo o con una donna: a loro importa solo di ciò che faccio per migliorare le vite dei loro figli. A me basta questo. La loro gratitudine, la vostra comprensione e la consapevolezza che quello che faccio rende Lima un posto un pochino migliore.»

Blaine sorrise, cercando le sue labbra. «Sei fantastico.»

«Anche tu» rispose, baciandolo. «Hai appena cominciato a lavorare come avvocato e hai vinto quasi tutte le tue cause.»

«Erano solo piccoli casi.»

«Però li hai vinti» insistette Kurt.

Blaine a volte si chiedeva se si meritava la stima del suo ragazzo. Dopo le superiori – mentre Kurt si barcamenava fra il lavoro al locale di Virgilio e la scuola serale - aveva trascorso tre anni al college e due all'università, riuscendo a laurearsi con buoni voti e subito aveva cominciato a lavorare in uno studio.

Gli seccava ammettere che probabilmente la tempestività con cui aveva trovato quel lavoro era dovuta in parte all'influenza di suo padre che – nel tentativo di redimersi – aveva cercato segretamente di aiutare il figlio. Blaine sapeva quanto suo padre si stesse sforzando di accettare la sua omosessualità ma sapeva anche che la strada sarebbe stata lunga e probabilmente lo aveva aiutato nella speranza che, una situazione economica stabile e sicura, l'avrebbe allontanato per sempre dalla sua famiglia, impedendogli di gettare scandalo sul buon nome degli Anderson, come aveva fatto suo fratello maggiore con certi film alquanto discutibili.

Tuttavia Blaine aveva saputo dimostrare la propria bravura e i suoi datori di lavoro non si erano pentiti di averlo assunto. Avevano saputo quasi subito del suo orientamento sessuale, ma non ci avevano dato troppo peso, fintanto che svolgeva così egregiamente il suo lavoro.

«Che dici, ci alziamo?» chiese.

«Solo se per colazione fai le frittelle» disse, mettendo su il broncio a cui sapeva che Kurt non avrebbe resistito.

«Frittelle siano. A volte mi domando se sia più bambino tu o mio fratello» disse, uscendo dal piumone e cercando dei vestiti puliti.

Uscendo dal letto Blaine rabbrividì per il freddo e, dopo una rapida occhiata fuori dalla finestra, poté constatare che sì, aveva nevicato e anche parecchio, visto che la neve arrivava a metà della ruota della sua auto.

«Dici che le strade saranno agibili?» chiese perplesso.

«Vedrai che riusciremo ad arrivare a casa di Finn.»

«Ma è dall'altra parte della città!»

«Sono certo che per questo pomeriggio sarà tutto pulito» disse. «E vedrai che anche Rachel riuscirà ad arrivare.»

Blaine annuì, infilandosi i vestiti. Quando raggiunse Kurt in cucina, questi aveva già cominciato a preparare le frittelle e il profumo di caffè cominciava ad aleggiare per la cucina.

«A proposito di Rachel, sai com'è andato il suo ultimo spettacolo?»

Blaine ridacchiò: «Ha litigato con i costumisti, ma alla fine è andato tutto bene. Questa volta aveva la parte dell'antagonista.»

«Una parte importante, dunque.»

«Già, ma lo sai che lei punta sempre ad essere al centro dell'attenzione.»

«Sono sicuro che si sarà fatta notare lo stesso» disse Kurt, girando la frittella e servendola sul piatto.

«Finn, invece?»

«L'ho sentito ieri. Ha detto che all'officina gli affari vanno a meraviglia. Ora che è socio alla pari di Larry ci mette anima e corpo affinché gli affari fioriscano. Pensa che sono riuscito anche a fare assumere uno dei ragazzi del centro sociale. E poi non indovinerai mai che è andati a farsi riparare la macchina qualche giorno fa.»

«Dave?»

Kurt lo guardò contrariato: «Come diavolo hai- ad ogni modo, sì, Dave. Non ha ancora fatto coming out con i suoi. E ha ventisei anni! I suoi avranno cominciato a farsi delle domande. Della serie, perché mio figlio non ha ancora la fidanzata?»

«Non aveva avuto un ragazzo?»

«Intendi quello che aveva preso il mio posto allo Scandals? Non è durata molto. Qualche mese, credo. Mi dispiace per lui. Penso che se trovasse la persona giusta smetterebbe di fingere con i suoi e comincerebbe a vivere.»

«Un po' come Sebastian. Sto ancora aspettando che qualcuno gli spezzi il cuore: allora forse metterà la testa a posto e si accaserà.»

«Gira ancora per il mondo in continui “viaggi studio”?»

«Sì, studio dell'anatomia locale» commentò Blaine. «Si è laureato da due anni e continua ad usare la scusa dei corsi di perfezionamento. A volte non so chi sia più infantile fra lui o Dave.»

«A proposito» esclamò Kurt, servendo anche la propria frittella e sedendosi davanti a Blaine «lo sapevi che quei due continuano a vedersi ogni volta che Sebastian torna dai suoi viaggi per “una bevuta fra amici”?»

«Stai scherzando? Sebastian e Dave?»

«A quanto pare da quella volta in cui hanno avuto la geniale idea di separarci sono diventati “amici” in un modo tutto loro. In pratica si trovano per una birra e per sparlare del mondo come due vecchie comari.»

«Dici che...»

«Non ne ho idea» disse Kurt, alzando le spalle. «Ma sarebbe una soluzione.»

Blaine ridacchiò: «Secondo me finirebbero per litigare in ogni momento. Nessuno dei due accetterebbe di stare sotto. Lo riterrebbero uno “smacco”.»

«Stupidi. Non sanno cosa si perdono.»

Blaine quasi sputò il suo caffè. «Intendi-»

«Intendo, non sanno cosa si perdono ad avere un ragazzo stabile, a condividere con lui la casa e il letto, e sì, anche a decidere di volta in volta chi sta sopra e chi sta sotto. Fra parentesi, la tua faccia è stata impagabile» rispose, sorridendo.

«Ricordami perché ti amo?»

«Perché sono fantastico.»

«Lo sei.»

«E perché so cucinare le frittelle più buone del mondo» aggiunse.

«Vero anche questo» convenne. Guardò l'orologio: le nove. Non avrebbero dovuto essere da Finn prima delle cinque del pomeriggio, quindi avevano praticamente tutta la giornata libera.

La prima cosa da fare, lo sapevano entrambi, era lavare via la scritta dalla macchina.

Si vestirono pesantemente e, muniti di guanti, detersivo e spugne, cominciarono a lavorare. Il freddo non perdonava e, nonostante la sciarpa e il berretto, continuavano a tremare.

Sapevano entrambi che prima o poi l'avrebbero riscritto di nuovo e che sarebbe stato così per sempre. Sapevano anche che, andandosene da lì, avrebbero potuto vivere più serenamente, senza scritte sulle auto, senza insulti. Lo sapevano, ma nessuno dei due aveva più parlato di andarsene. Non volevano più scappare.

Quando la macchina fu pulita si guardarono soddisfatti e tornarono in casa.

Finirono per farlo nuovamente, questa volta sul divano, e Blaine riuscì a convincere Kurt ad ordinare cinese da asporto e a mangiarlo sul divano guardando della tv spazzatura.

La migliore domenica mattina che potessero desiderare.

Quando furono le quattro si vestirono e si misero in macchina verso la casa di Finn.

Quando arrivarono il ragazzo li salutò calorosamente, abbracciando il fratellino e dando una pacca sulla spalla a Blaine – facendogli peraltro balzare il cuore avanti nella cassa toracica. Rachel era già arrivata e stava lamentandosi di quanto antipatica fosse la costumista e di quanto si divertisse a pungerla con gli aghi.

Kurt porse a Finn la cena che aveva accuratamente preparato a casa e che doveva solamente riscaldare. Ben presto dalla cucina cominciò a provenire un buon odore.

Poco prima di cena arrivarono Santana e Brittany. Quest'ultima aveva un pancione ormai evidente e rispose divertita a tutte le domande di Blaine sul nascituro.

«Sembra che fra qualche mese non sarò più io il tuo “angioletto”» disse Kurt, avvicinandosi a Santana e dandole una gomitata leggera. Osservarono dalla cucina i rispettivi partner.

«Stai zitto, tu. Da quando l'hobbit ti ha monopolizzato hai perso il tuo posto. Che ovviamente è stato rimpiazzato da Chase, il ragazzo dello Scandals.»

Kurt la guardò finché la mora non cedette: «Oh, va bene. Sei sempre stato il mio preferito. Chase era simpatico, ma non ero l'unica a preferire te a lui» disse. «Sai, credo che Dave ci abbia messo un bel po' per dimenticarti. Forse non l'ha ancora fatto.»

«E' meglio che lo faccia, perché non credo che tornerò sul mercato. O almeno lo spero.»

Santana sorrise: «Te lo auguro. Anche se sono gelosa dell'hobbit, riconosco che è quello giusto per te. Prima di conoscerlo eri un ragazzino così triste, mentre ora guardati. Sei un uomo. E sei felice.»

«Lo sono» disse. «E anche tu con Brittany. Come va il suo lavoro all'asilo?»

«Bene. È la maestra preferita dei bambini, anche se ora che è in maternità la gran parte dei soldi arrivano da mio lavoro alla scuola di ballo. Stavo quasi pensando di cominciare un corso extra.»

«Hip hop?»

«Lap dance» rispose ridendo. «Vuoi darmi una mano?»

«Mh, temo di aver chiuso con quella vita.»

«Oh, avanti, vuoi dirmi che non fai mai qualche spettacolo privato per l'hobbit?»

«Santana!»

«Che ci sarebbe di male? Io e Brittany-»

«Non lo voglio sapere!»

«Okay, stai calmo. Forse, sotto sotto, sei ancora lo stesso verginello di un tempo» disse.

Poco dopo arrivò anche Cooper, rumoroso ed entusiasta come sempre, ansioso di raccontare a tutti il successo del suo ultimo film. Il suo primo pensiero però fu per Brittany e per il suo pancione.

«Allora, come sta il frutto dei miei lombi?»

«Per favore, Coop, vorresti smetterla di chiamarlo così? Lo fai sembrare una cosa orrenda» lo redarguì Santana.

«Come dovrei chiamarlo? Mio figliuolo?»

«Quante volte devo ripetertelo? Il fatto che tu ci abbia messo una cellula non fa di te suo padre. Io e Brittany saremo i suoi genitori» insistette.

«Però lasciate che Kurt e Blaine si considerino gli zii. È ingiusto.»

«Niente affatto» rispose «loro sono adulti e responsabili. Cosa che non si può dire di te.»

Il bisticcio fra Cooper e Santana proseguì, ma tutti sapevano quanto l'ispanica fosse grata al maggiore degli Anderson per averle aiutate a realizzare il loro sogno. E sapevano tutti che Cooper non era ancora pronto per accollarsi la responsabilità di un figlio. E forse non lo sarebbe stato mai. Gli sarebbe bastato il ruolo di zio.

Cenarono tutti insieme, chiacchierando allegramente e facendo progetti per il futuro.

Verso le undici Brittany disse di essere stanca e di voler tornare a casa. Santana la accompagnò premurosa alla macchina e così Kurt e Blaine dissero che sarebbero andati anche loro.

Blaine si mise alla guida mentre Kurt si lasciò sprofondare sul sedile e per qualche minuto dormì. Blaine non lo svegliò perché sapeva quanto fosse esausto e cosa l'avrebbe atteso l'indomani.

Tuttavia non riusciva a togliersi dalla testa il pensiero di quello che aveva intenzione di fare. Continuava a ripetersi che forse era una cattiva idea, che non sarebbe stato per nulla romantico e che forse Kurt gli avrebbe riso in faccia o si sarebbe arrabbiato. Aveva paura di rovinare tutto.

Poi, guardando il volto placidamente addormentato di Kurt, scacciò via ogni timore e, quando giunse al bivio, svoltò verso una meta ben precisa.

Dopo un po' Kurt si risvegliò dal sonno, intontito.

«Scusa, mi sono addormentato.»

«Figurati. Dormivi così bene.»

Kurt sorrise. Poi diede un'occhiata alla strada. «Dove siamo?»

Blaine non rispose.

«Non è la strada per casa.»

Ancora silenzio.

«Mi stai... rapendo?»

«Più o meno.»

«Immagino che non mi dirai dove stiamo andando.»

«Sorpresa.»

Kurt schioccò la lingua scettico, ma sorrise e cominciò a guardare la strada, curioso. Dopo circa un chilometro ebbe la sensazione di sapere dove stavano andando.

Quando Blaine parcheggiò l'auto nel parcheggio dello Scandals ne ebbe la certezza.

Scesero entrambi e guardarono il locale ancora illuminato e la musica che arrivava attutita. Non tornavano il quel luogo da anni, ma nulla era cambiato.

Kurt rabbrividì pensando a cosa era successo in quel parcheggio e si strinse nel cappotto. Blaine gli circondò le spalle e lo spinse verso il locale. Poi si fermò, nel bel mezzo del parcheggio e si voltò verso Kurt.

«Perché questa rimpatriata?» chiese.

L'altro esitò qualche secondo, cercando le parole.

«Sai, Kurt, arriva un momento nella tua vita in cui dici a te stesso: “oh, eccolo là”.» Gli accarezzò il volto con il guanto. «A me è successo molto tempo fa. Non sapevo chi fossi né cosa fare della mia vita e pensavo di poterlo scoprire in un locale promiscuo.»

Kurt rise e l'altro lo imitò.

«Ed è andata esattamente così. Ho visto un ragazzo e ho pensato che avesse un culo magnifico e che dovevo incontrarlo, dovevo parlarci, dovevo fare qualcosa per farlo entrare nella mia vita. Così ho fatto la cosa più stupida del mondo.»

«L'hai inseguito in un parcheggio e gli hai fatto delle proposte sconce?» suggerì Kurt.

«Già. E lui mi ha tirato un pugno» disse. «In quel momento ho capito di essermi innamorato di te.»

«Ma smettila.»

«No, seriamente! Mi avevi davvero colpito» insistette, ma entrambi ridevano. Poi Blaine afferrò Kurt per i gomiti, facendo combaciare gli avambracci. «Da quel momento ho fatto di tutto per riuscire a conquistarlo e alla fine ci sono riuscito. L'ho baciato in questo stesso parcheggio e in questo stesso posto lui mi ha chiesto di diventare il suo ragazzo e io ho accettato.»

«Penso di sapere come prosegua questa storia» disse Kurt.

«Ci sono stati tanti altri bei momenti in questo parcheggio. Dei baci sul cofano dell'auto, degli scherzi, delle chiacchierate al chiaro di luna. E ci sono stati ricordi meno belli.»

Kurt distolse lo sguardo, ma Blaine proseguì.

«Come hai detto tu, però, ne siamo usciti insieme. Abbiamo lottato, ci siamo difesi a vicenda e abbiamo vinto. Alla fine abbiamo vinto su quei bulli. E questo è successo sempre qui.»

«E' per questo che mi hai portato qui oggi? Per ricordare tutta la strada che abbiamo fatto in questi sette anni?»

«No» disse. Poi prese un bel respiro. «Ti ho portato qui perché, di tutti i posti in cui siamo stati, questo che è stato l'inizio di tutto mi è sembrato il più adatto per un altro nuovissimo inizio.»

Lasciò le braccia di Kurt e si allontanò quel tanto che gli permettesse di inginocchiarsi. C'era ancora neve sull'asfalto e, maledizione, era davvero gelida. Frugò con la mano tremante nella tasca e ne estrasse una scatola.

«Lo so che in Ohio non c'è ancora una legge sui matrimoni gay e che quindi non avrà valore ufficiale, ma avrebbe valore per me. Per noi» disse, schiarendosi la voce. «Kurt Hummel, mi vuoi sposare?»

Kurt non poté fare a meno di portarsi le mani alla bocca, senza parole. Gli sembrava troppo bello per essere vero. Boccheggiò alla ricerca dell'aria che improvvisamente sembrava aver lasciato i suoi polmoni e rispose:

«Sì. Mio Dio, sì, assolutamente sì, sì e ancora un milione di volte sì» balbettò euforico. Poi cercò di ricomporsi: «Sì, Blaine Anderson, voglio diventare tuo marito. E non m'importa se per lo stato dell'Ohio quest'unione vale meno di niente. Per me vuol dire tutto.»

Gli afferrò il viso e baciò le sue labbra congelate dal freddo. Si baciarono incuranti del luogo, del tempo e dei primi fiocchi di neve che cominciavano a cadere sulle loro teste.

Incuranti del fatto che quella non fosse New York ma una cittadina sconosciuta dell'Ohio e che la loro non fosse una vita da favola ma piena di ostacoli e delusioni.

Per la prima volta in vita sua, Blaine capì di essere dalla parte giusta. Spesso le persone dividono il mondo in parti, pensando che ciò renda tutto più semplice: nord e sud, est e ovest, ricchi e poveri, bianchi e neri, etero e gay.

Per lungo tempo Blaine si era chiesto quale fosse la parte giusta dove stare e se fosse possibile cambiare. Ora aveva la risposta.

Il suo posto era accanto alla persona che amava. Non esistevano più per lui limiti geografici o sociali o del cosiddetto buonsenso. Non esisteva più la Lima giusta e la Lima sbagliata.

Per lui, ora, c'era solo Lima.

E Kurt. Sempre Kurt.




A/N


E questo era l'epilogo. Confesso che mettere “completa” alla mia prima long è stato un duro colpo, ma sono contenta. Per me è un piccolo traguardo.


All'inizio volevo fare un superfinale con Kurt che diventava una star a Brodway e Blaine un avvocato di successo, loro che vivevano a New York con tanti bei bambini eccetera eccetera, ma poi ho optato per qualcosa di più pacato e realistico.

Non è da escludere che in un futuro si trasferiscano a New York per sposarsi e che vivano una vita da favola, ma non spetta a me scriverlo.


Ma passiamo ai progetti futuri: A Lima Side Story finisce qui, ma tanti nuovi progetti si stanno facendo strada nella mia testa.

Tanto per cominciare una long au piuttosto particolare che mi richiederà parecchie ricerche di cui ho già scritto la scaletta e i primi tre capitoli per un totale di 21 pagine.

Poi altre due mini-long au: una nerd/cherios (con un Kurt un po' OOC all'inizio e un Blaine incredibilmente scaltro) e una skank!kurt.

Ah, e quasi dimenticavo un'originale slash/yaoi di ambientazione storica cui lavoro da più di un anno!

Ma tutto questo a settembre perché da adesso in poi non so se saprei garantire l'aggiornamento per vie di viaggi e vacanze e perché voglio lavorarci per bene.

In compenso sto lavorando ad un po' di one-shot (la maggior parte smut perché lo smut fa bene alla pelle) che pubblicherò appena troverò il coraggio di farlo.


Ed ora i ringraziamenti. Intanto grazie a MeMedesima, che ha sempre letto pazientemente i capitoli prima che venissero corretti e ha sopportato i miei scleri (e mi ha rallegrato con le sue one-shot molto fluff) e alle mie compagne di classe che mi hanno sopportata nei miei deliri da klainer.

Poi un grazie a tutte le recensirci, sia quelle regolari sia quelle saltuarie, perché leggere le recensioni è sempre un piacere.

Infine un grazie a tutte quelle che l'hanno inserita fra i preferiti (38) fra le ricordate (4) e fra le seguite (110!). Davvero, ragazze. WOW!


A Lima Side Story finisce qui * lacrimuccia * e se l'epilogo non è stato di vostro gradimento, ecco a voi un finale alternativo offerto da MeMedesima. Scegliete voi a quale credere.


yu_gin


tumblr


bonus


COME "ALSS" DOVREBBE FINIRE:


"Ehi Blaine, avresti mai pensato che ci saremmo trasferiti entrambi a New York con i soldi che tuo padre ci ha regalato dopo la sua conversione spirituale al buddhismo?"


"No Kurt, non me lo sarei mai aspettato! E sai cos'è ancora più incredibile? Che abbia trasformato l'azienda di famiglia in una fabbrica di vestiti per bambini e abbia nominato Finn direttore e Rachel art director."


"Alla fine tutto si è risolto per il meglio vero?"


"Già, tesoro mi... Ehi Kurt, perché ti stai togliendo la maglietta?"


"Pensavo solo che fosse ora di uno spettacolo privato tutto per te."

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=982138