Solo un'altra banale dichiarazione d'amore

di TwinStar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Una storia semplice ***
Capitolo 2: *** Lettera 1 - De Pristino (Minerva McGranitt) ***
Capitolo 3: *** Lettera 2 - De Aemulatio (Peter Minus) ***
Capitolo 4: *** Lettera 3 - De Simplicitate (Hagrid) ***
Capitolo 5: *** Lettera 4 - De Sedulitate (James Potter) ***
Capitolo 6: *** Lettera 5 - De Commutatione (Lily Evans) ***
Capitolo 7: *** Lettera 6 (Epilogo) - Una banale dichiarazione d'amore (Remus Lupin) ***



Capitolo 1
*** Prologo - Una storia semplice ***


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Note di inizio fan fiction (che fareste senza?):

Nota importante numero uno, trovo questo azzurrino del titolo delizioso. Del resto ho passato mezz’ora a decidere se questo fosse un verde o un azzurro, complice l’amico portatile che non mi permette di avere una visione dei colori umana, se non lo trovassi minimo adorabile credo che prenderei in seria considerazione l’idea di una strage.

 

Nota importante numero due: stranamente per il titolo della storia mi sono ispirata ad un film. In questo caso il film in questione è “Non è un’altra stupida commedia americana”. Non chiedetemi cosa ha a che fare il titolo originale con questa fic, non ne ho idea. Quando trovo i titoli delle mie storie credo di essere invasa da uno spirito. Probabilmente da quello di Pikachu vista l’indubbia intelligenza degli stessi.

 

Nota importante numero tre, in teoria avrei voluto dedicare questa storia a qualcuno a caso, ma sarebbe stato come regalare un profumo, avrebbe lanciato un messaggio sbagliato, cioè dedico una storia che per contratto sono costretta a definire banale almeno 4 volte a capitolo a una persona banale così come se regalo un profumo sembra che stia dicendo che la persona in questione puzza. E non è così. Però apprezzO il pensiero lo stesso. Quando mi ci metto sono anche carina.

 

Nota importante numero quattro, questa storia nasce come tentativo di scrivere qualcosa di leggero. Non è proprio roba per me, ma mi auguro che il risultato sua buono. Sarà strano e affascinante per una volta scrivere una storia per la quale non devo temere eventuali censure viste e considerate le tematiche che adoro.

 

Nota importante numero cinque, non c’entra niente con la storia, ma se qualcuno trovasse un sosia di Vincent Valentine:

(questo qui)

può spedirmelo? Vivo possibilmente.

And now… Everybody needs somestory to READ!!

 

Ah, sì, dimenticavo: Harry Potter e i suoi personaggi non mi appartengono (se non Sirius che mi appartiene dal punto di vista biblico). Altrimenti a quest’ora me ne stavo in un castello in Scozia a sorseggiare Daiquiri, non davanti a una tastiera a dire idiozie!

 

 

 

SOLO UN’ALTRA BANALE DICHIARAZIONE D’AMORE

 

Prologo – Una storia semplice

Questa è una storia semplice.

Di quelle che a volerne fare il punto si rischia la pazzia.

Vuoi per il naturale riserbo unito in un denso amalgama al più cieco terrore che accompagna lo scoprire d’improvviso che, volenti o nolenti, si è cresciuti e che tutt’ad un tratto l’amicizia non è più l’unica cosa di cui si ha bisogno per sentirsi completi, che si vuole qualcosa di più; e ci si arrovella il cervello per mesi solo nel vano tentativo di capire cosa sia esattamente che si cerca, anche se non si è mai stati tipi particolarmente propensi alla riflessione, finché un giorno non ci si sveglia come da un lungo sogno con la mente sgombra e le idee chiare.

E vorresti solo sprofondare la testa nel cuscino del divano, e magari cercare di dormire un po’, ma ti balza alla mente il pensiero che sul morbido velluto scarlatto sentirai immancabilmente il suo odore, perché quello è il suo posto preferito.

Vuoi per il senso di straniamento che si prova nel momento in cui un carattere da sempre forte, per auto-imposizione più che per effettiva natura, si ritrova a scoprirsi per quello che è, terribilmente vulnerabile; quando ci si ritrova alla mercè di un’emozione che tutti prima o poi provano, ma che nessuno riesce davvero a comprendere perché nulla ha a che vedere con la ragione. Ad un certo punto si desidererebbe addirittura affrontare il problema in maniera analitica, finché non ci si ricorda che si è sempre rifuggito il rigore e la regola come si farebbe davanti a una Manticora.

E ti ricordi che è un’altra la mente riflessiva del gruppo.

C’è poi lo sconforto che prende automaticamente il sopravvento nel momento in cui ci si rende conto che anche se non si ha la più pallida idea di cosa stia accadendo, si sa perfettamente fin dall’inizio che questo sentimento cambierà la vita in maniera radicale e trasformerà in persone che prima si sarebbe preso a pugni per il solo fatto che esistevano: e tutto ciò di cui si ha voglia è gridare dallo sconforto oppure, in via alternativa ma efficace, buttarsi di testa dalla torre di Astronomia.

Ed è talmente tanto che non riesci a farti una buona dormita che prenderesti in seria considerazione l’idea di farlo davvero, adesso, e lo troveresti anche divertente se non fosse per il fatto che lui è proprio lì a seguire una lezione. Sarebbe piuttosto imbarazzante.

O forse a rendere tutto più difficile è solo l’imbarazzo che ancora imporpora le gote come la prima volta in cui ci si è resi conto che non è normale innamorarsi di uno dei propri migliori amici, uno dei fedeli compagni di scorribande e di dormitorio; però è così è basta e non ci si può fare comunque niente, tranne mantenere il segreto con gli altri come fino a quel momento lo si è tenuto a se stessi.

E ci si aggrappa a qualunque cosa per cercare il contatto casuale.

Se proprio non si può avere altro…

E ripensi a tutte le volte in cui ti sei inutilmente umiliato o coperto di ridicolo per un tocco fugace o un sorriso gentile: i giorni passati a sospiragli alle spalle e a mandargli messaggi d’amore mentali nella convinzione che in preda a chissà quale provvidenziale intuizione lui non solo si sarebbe reso conto di tutto, ma addirittura avrebbe ricambiato i tuoi sentimenti e vi sareste dati un bacio ricolmo di passione nel bel mezzo della Sala Grande. Le notti passate a rigirarti nel letto in preda a incubi fasulli nella speranza che Remus, che aveva il sonno leggero, si sarebbe svegliato e ti avrebbe consolato. Una volta sola si è alzato e sei finito legato e imbavagliato al letto, ma non in maniera piacevole.

Quando hai passato una lezione a chiedergli in prestito di tutto approfittando dell’occasione per sfiorargli la mano, facendoti scoprire dall’insegnante proprio nel momento in cui ti stavi facendo prestare il testo di Erbologia. Peccato foste a Trasfigurazione.

Quando l’hai gettato nel lago aspettandoti che perlomeno si togliesse i vestiti per farli seccare al sole, di modo tale che potessi allungare un occhio in maniera quasi del tutto innocente, restando poi di stucco quando, con un rapido tocco di bacchetta, si è asciugato sul posto. E ancora ti brucia il ricordo di quel pratico “Beh, che c’è? Siamo maghi in fondo.” di replica di fronte al tuo sguardo incredulo.

Quando nella stamberga Strillante approfittavi della sua incoscienza per cercare la sua guancia in una tiepida carezza, e sotto lo sguardo incredulo e perplesso dei tuoi amici che avevano assistito alla scena inventavi scuse improbabili come “Stavo scacciando un insetto”, oppure “E’ un antico massaggio tramandato dalla mia famiglia contro il dolore”, ringraziando il cielo che James e Peter in certe cose fossero tanto ingenui.

Una volta gli hai anche aizzato contro un gruppo di Serpeverde al solo scopo di farlo scoppiare in lacrime e farlo correre piangente tra le tue braccia virili. Poi ti sei ricordato che Remus non avrebbe mai fatto niente del genere nemmeno sotto Imperio, nel momento in cui l’ultimo di quegli incapaci ti è praticamente svenuto ai piedi sotto l’effetto di un Incantesimo di Pietrificazione d’esecuzione magistrale.

A volte hai persino sospettato che il suo fantomatico sesto senso da licantropo lo mettesse in guardia contro le tue sleali manovre d’attacco e agisse istintivamente di conseguenza. E nei momenti d’ottimismo pensi che questo sia davvero amore perché per nessuna ragazza hai mai sentito il bisogno di fare simili sciocchezze.

Finché neanche questo, prima o poi, basta più.

 

“Allontanati dal camino, Felpato, hai tutta la faccia rossa.”

L’Animagus osservò con la coda dell’occhio l’amico, che proprio in quel momento faceva il suo ingresso in Sala Comune, silenzioso come sempre, le labbra piegate in un sorriso sghembo, e dopo un primo istante di stupore (come ho fatto a non sentire neanche la porta che si apriva?) abbozzò un cenno di saluto incerto col mento. Era il modo migliore di celare quanto più possibile il volto allo sguardo dell’altro senza risultare sospetto: non c’era davvero bisogno che sapesse che ormai bastava che si ritrovassero improvvisamente soli in una stanza per farlo arrossire come una ragazzina del primo anno.

“Ho freddo.”, grugnì come se questo spiegasse tutto, dalla sua presenza davanti a un camino acceso a inizio settembre al significato della vita e dell’universo, e si abbracciò le ginocchia in un gesto di conforto: fu con una punta di fastidio che si accorse che la voce gli era uscita molto più minacciosa di quanto non intendesse.

Per Godric e il suo toupé, sembrava sua madre.

Remus parve non farci caso. Del resto sua madre non l’aveva mai conosciuta, fortunatamente, e poi era troppo impegnato a trascinarsi in direzione dei dormitori per far caso al suo tono di voce antipatico o a certi piccoli atteggiamenti sospetti. Notò il respiro lievemente affaticato, il modo in cui strascicava il passo, e si ritrovò a lanciare un’occhiata perplessa al sottile spicchio bianco appeso alla volta del cielo (la luna piena è ancora lontana) prima di accorgersi del modo in cui curvava la schiena sotto il peso di una grossa borsa dall’aria pesante che teneva a tracolla.

Aggrottò le sopracciglia, infastidito.

Ora si spiegava come mai per andare a lezione di astronomia si fosse fatto prestare da James il mantello dell’Invisibilità. Prima di venire lì doveva essere passato per la biblioteca e aveva fatto il pieno di libri che proprio non potevano aspettare la mattina dopo per essere presi (come se a scuola non li caricassero a sufficienza di pagine da leggere): a dispetto della stanchezza che gli cerchiava gli occhi di scuro e gli impallidiva il viso aveva dipinta sul volto quell’aria eccitata che gli illuminava lo sguardo solo quando si ritrovava a contatto con quella robaccia. Represse per un pelo un gemito di frustrazione. Stava cominciando anche a diventare geloso dei libri, la situazione stava cominciando a farsi ridicola, oltre che preoccupante. Erano solo stupidi oggetti inanimati.

A parte quello di Cura delle Creature magiche, che mordeva.

Forse sarebbe stato meglio confessare all’altro i propri sentimenti, farsi mandare a quel paese e farla finita lì, almeno la si sarebbe piantata con le ridicolaggini. Il licantropo era già arrivato alle scale che conducevano ai dormitori quando, in preda a un’improvvisa epifania, si voltò nella sua direzione.

“Vuoi che t’aiuti?”, domandò, balzando in piedi e tendendo una mano in direzione della pesante borsa: lo sguardo sorpreso, quasi disgustato, dell’altro lo fossilizzò sul posto.

Aveva detto qualcosa di sbagliato?

Si era tradito?

“Ti ringrazio, Sirius, ma non sono una ragazza.”, fu la replica gentile ma decisa mentre quelle labbra su cui si fissava il suo sguardo (no, decisamente non è una ragazza) si tendevano in un sorriso di circostanza. Sembrava a disagio, quasi che l’Animagus con il suo gesto gentile stesse tentando di scalfirne l’orgoglio. Aveva persino abbandonato i nomignoli. “Posso farcela da solo.”, aggiunse notando lo sguardo tutt’altro che amichevole stampato sul volto dell’altro. Si strinse nelle spalle in segno di scuse, o più probabilmente solo per bilanciare il peso, gli voltò la schiena e cominciò a salire la scalinata a chiocciola. La prossima volta, decise Sirius sedendosi di nuovo a fissare il fuoco, l’avrebbe morso a una gamba.

Come gesto sarebbe risultato molto più gradito.

A entrambi.

Col senno di poi si rendeva conto di essere stato davvero molto sciocco ad aver fatto quella proposta all’amico: era chiaro che nessun uomo, specie una persona orgogliosa come Remus, avrebbe mai accettato di farsi portare la borsa, un gesto di galanteria che Sirius in genere riservava alle ragazze del primo anno per darsi un po’ di arie da cavaliere col gentil sesso (quello che ancora non lo conosceva di fama). Dall’altro lato però era sollevato di averlo fatto, perché se quel gelo era la reazione a una semplice offerta d’aiuto, solo Merlino sapeva come avrebbe mai potuto reagire a una ipotetica dichiarazione d’amore (anche quelle in genere riservate alle ragazze): minimo evirandolo di modo tale che non procreasse altre persone stupide come lui.

“… Ma non vieni a letto? E’ tardi.”

Proprio la domanda che sperava non gli sarebbe venuta in mente.

In altri momenti (e in altri frangenti) quella frase avrebbe fatto la sua gioia sempiterna, ma la voce che pronunciava quelle parole con quel tono incerto ebbe il potere di fargli salire il panico ai massimi livelli. Era come se sentisse sulla schiena lo sguardo inquisitorio dell’altro che lo punzecchiava. Bel momento che aveva scelto Remus per diventare curioso.

Del resto non era che gli si potesse dargli tutti i torti.

Tanto per cominciare l’ultima volta che era andato a letto tardi da solo, al secondo anno, era finita con una delle torri del castello devastata e un’intera classe di Serpeverde del settimo anno in infermeria a un paio di settimane dai M.A.G.O., fatto che era costato a lui 200 punti e ai Grifondoro la Coppa delle Case. E poi doveva ammettere che era un avvenimento più unico che raro il fatto di trovare lì, ben desto, un ragazzo aveva fatto del concetto “pisolino” una vera e propria filosofia di vita; aborriva qualsiasi cosa si mettesse di mezzo tra lui e un buon sonno ristoratore di almeno dieci ore.

Ci sto mettendo troppo.

Si insospettirà. Meglio tirar fuori una scusa a caso.

“Ramoso russa.”, bofonchiò senza riflettere, per poi lottare contro l’impellente bisogno di sbattere la testa al muro dandosi dell’idiota come un elfo domestico che aveva, seppur involontariamente, insultato un membro della famiglia che serviva.

Si voltò verso Remus. Come immaginava, lo stava squadrando da capo a piedi con l’aria più incredula della terra.

“Capisco…”, replicò, ma il suo tono di voce diceva tutt’altro.

Una reazione più che comprensibile: in sei anni di onorata convivenza il russare inumano di James Potter non aveva mai ostacolato il suo sonno, nemmeno quando qualcuno dei suoi compagni di stanza dimenticava di apportare intorno al letto dell’amico opportuni Incantesimi Imperturbabili per silenziare l’infernale rumore. Avvertì una strana tensione all’altezza dello stomaco, come se le interiora avessero scelto proprio quel momento per giocare a rimpiattino.

Remus aspettava una risposta sensata.

Lui non ne aveva da dare. Tanto valeva dire la verità, giunti a quel punto.

Prese un profondo respiro e cercò di non assumere un’aria troppo indifesa e disperata prima di prendere la parola. “Non riesco a dormire…”, ammise l’Animagus passandosi una mano tra i capelli per mascherare il disagio. “Ho dei pensieri per la testa… Nulla di esplosivo.”, aggiunse con aria vaga, sperando che all’altro bastasse quella spiegazione.

Non era necessario dire proprio tutto.

Il volto del licantropo si distese in un sorriso complice, lo sguardo rivolto verso un punto indefinito ai piedi dell’altro, ma Sirius non osò sospirare di sollievo né fare altro fino a che l’altro non gli diede nuovamente le spalle. Sembrava essersela cavata anche quella volta. “Va bene, mi basta…“, mormorò divertito, prorompendo in una risatina appena prima di scomparire dietro l’angolo.

“Allora ti lascio scrivere in pace la tua lettera d’amore.”

Sirius, un volta rimasto solo, impiegò qualche istante a codificare quelle parole.

… La mia “cosa”?

Lanciò un’occhiata che definire perplessa sarebbe stato un pallido eufemismo ai suoi piedi, in direzione del punto fissato pocanzi dall’amico, in un gesto quasi inconsapevole. Non vide altro che pietre sporche, e le pergamene, alcune accartocciate e altre come nuove, che aveva trovato al suo arrivo: probabilmente lasciate da quello studente del primo anno che aveva “invitato gentilmente” ad andare a dormire per poter restare in pace coi propri pensieri. Gli elfi domestici non avevano avuto il tempo di toglierle e lui non aveva avuto nessuna intenzione di fare il lavoro sporco al posto loro, così erano rimaste lì. Ma che aveva a che vedere con…?

Improvvisamente nel suo cervello fece posto, assieme ad un’improvvisa consapevolezza, l’indignazione, e si ritrovò a storcere le labbra in una smorfia disgustata. Non poteva essere. Remus aveva creduto che l’aria di segretezza fosse dovuta solo a una lettera d’amore!

Non aveva avuto pietà del suo imbarazzo e dello sconvolgimento interiore che gli attanagliava le viscere: difficile che potesse farlo, a quanto ne sapeva non possedeva ancora facoltà di Legilimens. Per fortuna, aggiunse mentalmente. Aveva solo deciso di defilarsi il più signorilmente possibile per non scoppiare a ridergli in faccia al pensiero di Sirius Black il quale, protetto dal favore delle tenebre, si dilettava segretamente a comporre testi romantici. Era inorridito, a dir poco: possibile che Remus, che lo conosceva da praticamente una vita, lo ritenesse una persona in grado di fare una cosa idiota come Scrivere una lettera d’amore per esprimere ciò che provo senza l’imbarazzo, da parte di entrambi, di dover affrontare la cosa di persona?

 

… Forse Remus non aveva tutti i torti, in fondo.

 

Fine Prologo

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Capitolo 2
*** Lettera 1 - De Pristino (Minerva McGranitt) ***


Nuova pagina 1

Note e ringraziamenti a fine fan fic.

Per il momento la qui presente si inchina per i commenti sempre gentilissimi.

PS: Nessuno mi ha ancora spedito un sosia di Vincent!

 

SOLO UN'ALTRA BANALE DICHIARAZIONE D'AMORE

 

Lettera 1: De Pristino – Minerva Mc Granitt

 

Sirius aveva scoperto a sue spese l’esistenza di una cosa particolarmente conosciuta, odiata e temuta dagli scrittori di ogni genere e specie, Maghi o Babbani che fossero.

L’angoscia da foglio bianco.

Quell’istintivo terrore di fronte alla carta intonsa, quel brivido gelido che percorre ogni curva della spina dorsale e scorre vivo lungo capillari e vene fino a fermare il cuore di un battito; quella certezza di stare per sciupare in maniera irreversibile la perfezione di quell’istante in cui nulla accade, in cui ci si accinge a deflorare quel niveo candore con la punta della piuma d’oca.

Naturalmente nessuno di questi lirici pensieri era passato per la sola frazione di un istante nella testa del giovane Black dal momento in cui aveva deciso di separarsi dai suoi amici e di trovare un posto tranquillo e comodo (l’aula di Trasfigurazione era andata benone) per dar voce ai suoi pensieri: la frustrazione del ragazzo nell’ultima mezz’ora si era espressa in modi tutt’altro che elegiaci. Prendendo a calci una porta, imprecando contro la sua famiglia perchè non era possibile che "tra tutte le qualità che il sangue nobile, antico e puro dei Black conferiva non c'era anche la capacità di scrivere idiozie romantiche", incidendo un piccolo cuore scuro sul banco con la punta arroventata della bacchetta e infine sputacchiando palline di pergamena insalivata in direzione della cattedra.

Se la superava e prendeva la sedia della professoressa, cento punti a Grifondoro.

Se centrava il banco di Mocciosus in prima fila, cinquanta.

Ma ben presto anche quel passatempo smise di appassionarlo: mise da parte il sottile tubo di plastica di quella stupida penna di foggia babbana che quella ragazzina di Corvonero aveva regalato a Remus (perché solo una Corvonero poteva pensare che una penna fosse un oggetto interessante da donare a un ragazzo) e che lui aveva preso in prestito di nascosto, gettò a terra le palline che aveva disposto ordinatamente in una piccola piramide su un angolo del banco, e lanciò un’occhiata disgustata al foglio che gli svettava davanti in tutta la sua pochezza: la carta di un cupo e triste giallaccio per nulla romantico, che poteva andar bene giusto per i compiti di Storia della Magia, si era accartocciata sotto l’impazienza delle sue dita indelicate, e un angolo che aveva generosamente fornito il materiale per le sue munizioni dando alla pagina una buffa forma pseudo-trapezoidale; la sua scrittura incerta e sbavata, con le aste delle lettere a impazzire in ogni direzione e le “o” indistinguibili dalle “c”, era crudelmente coperta da pesanti righe nere per le numerose cancellature che avevano celato agli occhi del mondo alcuni imbarazzanti tentativi romantici.

Si riusciva ancora a leggere la parola “cuore”, però.

Sirius si affrettò a cancellarla con una serie rabbiosa di rigoni.

Un vero uomo quella parola non dovrebbe nemmeno pensarla.

Sì, ma un vero uomo non dovrebbe neanche farsi venire le fregole per altri maschi, rammentò a se stesso, aggiungendo allo sconforto iniziale una ulteriore demoralizzazione. Non era come se ci potesse fare davvero qualcosa, del resto.

Sirius non si era affatto reso conto che scrivere una stupida lettera d’amore fosse così complicato, perché se l’avesse saputo non avrebbe di certo mai preso in giro tutte le ragazze che l’avevano fatto con lui. Aveva creduto che fosse di una facilità imbelle mettersi al tavolo, fare mente locale nel proprio animo e dare voce ai sentimenti.

E invece ogni goccia d’inchiostro nella piuma d’oca pesava come un macigno.

In mezzo a un turbinare di pensieri deprimenti di tal risma si era addirittura trovato, suo malgrado ovviamente, a pentirsi di tutte le volte in cui aveva impietosamente deriso Peter per la sua totale incapacità di mettere nero su bianco i propri pensieri per i temi di scuola, generalmente da consegnare il giorno successivo. Le stesse volte in cui si era roso segretamente d’invidia le viscere nel momento in cui, dopo pressanti richieste, suppliche, minacce e promesse da parte del “ratto”, interveniva immancabilmente Remus a dargli una mano. E aveva desiderato ardentemente di essere un completo idiota come Codaliscia, per il solo gusto di avere il viso concentrato di Remus appiccicato al suo al punto da assorbirne il calore della pelle.

Bene, era stato accontentato.

Ma non era decisamente il caso di chiedere aiuto a Remus, in quel frangente.

Si mise la piuma in bocca, ignorando la voce disgustata nella testa, che somigliava in maniera inquietante a quella di Ramoso,che gli rammentava che quella cosa era stata addosso a un lurido animale, a un uccello, ed era rivoltante. A me invece gli uccelli piacciono, mio caro Ramoso Mentale, per cui il problema non si pone, pensò tra sé e sé, e se non si fosse sentito così abbattuto con ogni probabilità avrebbe riso di quella battuta di pessimo gusto. Invece si prese le guance tra le mani e dalla piuma impietosamente stretta tra i denti (nessuna meraviglia che ogni mese ne dovesse cambiare una) scaturì un suono patetico a mezza via tra un gemito e un rantolo affranto.

Forse faceva ancora in tempo a buttarsi dalla torre.

Improvvisamente, una mano posata sulla sua spalla lo fece sobbalzare e dalle labbra spalancate in un gridolino patetico la penna planò dolcemente sul pavimento. Il collo scattò come una molla alla sua destra, e l’Animagus si ritrovò di fronte al naso lo sguardo arcigno e decisamente poco bonario della professoressa McGranitt.

Lo fissava dall’alto in basso da dietro gli occhiali tondi, nereggiando contro la luce del primo pomeriggio che filtrava polverosa dalla finestra lurida. Non si chiese nemmeno come avesse fatto a non sentirla arrivare, benché avesse chiuso la porta con diversi incantesimi e nonostante la vecchia Minerva non fosse famosa per il suo passo “ferino”. Era talmente concentrato su quello che stava facendo che non si sarebbe accorto nemmeno dell’arrivo di un Dissennatore.

Non si sarebbe notata la differenza, comunque.

“Signor Black.” La voce ferma e decisa della donna si fece strada nella vischiosità dei suoi pensieri confusi attraverso il sorriso piacevole ma in qualche maniera inquietante. “Trovo affascinante che la sua nuova dedizione allo studio la conduca nella mia aula anche al di fuori dell’orario di lezione, ma chiudersi dentro non sembra affatto un’idea sensata.” Sollevò un sopracciglio sottile con aria critica, puntando col naso dritto in direzione delle pergamene scarabocchiate che teneva di fronte. Aveva fiuto per quelle cose, forse sarebbe stata un Cane molto migliore di lui.

“Devo arguire che quello sia il tema sui rischi delle trasformazioni in Animagus che ho assegnato per domani?”, chiese, benché quell’aria di stemperata, divertita malizia nel tono di voce suggerisse a Sirius che nemmeno per un istante quella malfidata della professoressa McGranitt avrebbe creduto che si fosse rinchiuso nella sua aula per un così nobile (e noioso) scopo.

Solo perché l’ultima volta che era successo aveva incantato la lavagna di modo tale che qualsiasi cosa ci si scrivesse sopra risultassero scarabocchiate solo parolacce e disegni osceni... Avrebbe dovuto saperlo che non avrebbe mai tentato due volte lo stesso scherzo.

La professoressa allungò a tradimento una mano in direzione di quei fogli, per sincerarsi che non stesse scrivendo un piano di distruzione che comprendesse l’intero castello: cercò di afferrarli e accartocciarli malamente tra le dita (magari ingoiarli e digerirli, di modo tale che nessuno potesse mai recuperarli in luoghi che non fossero la tazza di un cesso), ma la donna fu più rapida.

Li artigliò con la rapidità del gatto di cui prendeva le fattezze e, aggiustandosi gli occhiali con una mosse sapiente del dito medio (che la faceva somigliare in maniera tale a Ramoso da far venire l’orrido dubbio che in realtà fossero parenti), si sedette al suo posto alla cattedra (nemmeno l’idea buffissima di tutti quei pallini di carta appiccicati sul suo sedere era riuscita a donare un po’ di buonumore a Sirius) e colpì la carta con un tocco deciso e leggero di bacchetta perché le fossero rivelate le parole nascoste sotto i rabbiosi righi d’inchiostro nero.

In quei pochi, interminabili istanti la faccia della professoressa più arcigna che avesse mai messo piede ad Hogwarts si posò su di lui, trasfigurato in una maschera di muto stupore, e fu quello il preciso istante in cui Sirius desiderò ardentemente che qualcosa lo annientasse in maniera orribile.

Avrebbe potuto gettarsi contro la McGranitt e riprendersi quei fogli con la forza col rischio di farsi espellere da scuola (ne sarebbe valsa la pena), o chiedere pietà in ginocchio convincendola a restituirgli i fogli. In un momento di particolare follia gli era passata per la testa persino l’idea deleteria di rivelarle tutta la verità, perché in quel modo perlomeno le cose si sarebbero concluse in maniera pietosamente rapida, poi fortunatamente il sangue aveva ripreso a circolare al cervello e aveva desistito.

Restò lì, immobile, seduto al banco solitamente occupato da Remus, il volto pallido congelato in una smorfia tesa, gli occhi bassi fissi sulla macchia nera che aveva intarsiato tra le venature del legno, gli angoli della bocca malamente piegati verso l’alto nella patetica imitazione di un sorriso nervoso, mentre il cuore, intrappolato in una cassa toracica che mai era sembrata così stretta e angusta, sembrava aver cominciato a seguire un ritmo tutto suo: non riusciva nemmeno a strapparsi fuori dalle labbra una delle sue famose, fantasmagoriche scuse per tirarlo fuori dai guai.

Era pur sempre un Black, anche se rinnegato!

Poteva sopportarla, quell’umiliazione!

Quando però le sopracciglia sottili della donna s’incurvarono verso l’alto congiungendosi nel mezzo della fronte in un’espressione di dolce, materna pietà decise che, no, era troppo anche per lui. Si alzò dal banco con una spinta secca dei fianchi, producendo un suono stridulo nell’istante in cui la pesante sedia di legno scuro gemette contro la pietra, e raccolse in fretta e furia le sue poche cose: la borsa dei libri, sempre penosamente vuota anche quando era ora di andare a lezione (per avere una scusa per leggere assieme a Remus in caso di bisogno più che per effettiva pigrizia), la piuma orribilmente mangiucchiata che giaceva esanime al suolo, e la sua fida bacchetta.

Poi inforcò rapido la via della porta abbozzando qualche sbrigativa scusa posticcia sull’andare in qualche posto per qualche motivo: doveva uscire da lì prima che il rossore gli imporporasse le gote, dando così in via definitiva il colpo di grazia a quello che senza alcuna ombra di dubbio era divenuto il momento più imbarazzante della sua esistenza.

La McGranitt però non sembrava dello stesso avviso.

“Signor Black, dove sta andando?”

Preso un profondo sospiro, l’Animagus si voltò in direzione della voce perentoria della sua insegnante di Trasfigurazione, sulla lingua una risposta tartagliata che gli morì impietosamente in gola nel vedere quel sorriso sghembo sul volto della donna impietosamente chino sui compiti da correggere. La vide inarcare un sopracciglio con aria sottile mentre la mano che non faceva volare la piuma d’oca sui componimento di chissà quali poveri ragazzi agitava mollemente quei cartigli scabrosi.

“Mi pare che questi siano suoi.”

Purtroppo sì.

Chiuse in poche, ampie falcate lo spazio che li separava, deglutendo a fatica un bolo di disagio pesante come piombo lungo la gola, spingendolo giù nello stomaco, e nella mente si faceva strada, come meccanismo auto-difensivo, la rinfrancante immagine della pergamena rovinata che prendeva spontaneamente fuoco tra le dita della vecchia.

Gli riuscì addirittura d’abbozzare un ghigno.

Allungò la mano e si riappropriò dell’agognato bene masticando sulla lingua un “la ringrazio” di falsa modestia, il quale in realtà prometteva ben più di una morte atroce.

E poi, accadde l’impensabile.

La McGranitt sorrise.

Un sorriso vero, schietto e aperto, forse addirittura complice, come quello di un normale essere umano. Sirius rimase incantato, gli occhi fissi su quelle labbra tese innaturalmente verso l’alto.

Assurdo.

Se l’avesse raccontato nessuno gli avrebbe mai creduto.

“Quando ero giovane…”, disse la donna, mentre lo sguardo vagava lontano, perso in ricordi antecedenti la costruzione di Hogwarts. “Ai tempi della scuola, ricordo ancora con piacere la più bella lettera d’amore mai ricevuta: era di un ragazzo che mi aveva fatto capire con le sue parole quanto la sua vita fosse stata desolante prima, senza di me.”

“Capisco…”, fu tutto ciò che riuscì a bofonchiare un Sirius più che sconvolto prima di inforcare in tutta fretta la porta senza nemmeno una parola di saluto, fuggendo poi nei corridoi, in direzione della Sala Comune. Le calde, piacevoli, rassicuranti, bollenti fiamme del camino avrebbero incenerito per sempre le prove di quel suo imbarazzante tentativo romantico, di modo tale che la McGranitt non potesse provare nulla in futuro per ricattarlo, o peggio, umiliarlo.

L’immagine della McGranitt dolce e ingenua innamorata, al contrario, non si sarebbe scrostata tanto facilmente dalle retine.

Fine Capitolo 1


Note di Fine Capitolo

Ho pensato che sarebbe stato carino in una storia scioccherella e senza pretese che verteva su una lettera mettere dei titoli seri o pseudo tali. Da qui la mia idea di rifarmi alla forma latina. Non temete, o donne e uomini che non masticate l’antica lingua, le note di fine capitolo vi aiuteranno in questo! ^.^ In questo capitolo vediamo

De pristino: Dal latino pristinus, -a, -um, aggettivo che significa “precedente”. Il De+ablativo forma in latino l’ablativo di argomento: indica la persona o la cosa di cui si parla, si scrive, ci si lamenta o su cui si riflette, si informa, eccetera. È comunemente usato anche nei titoli di libri o brani quando se ne enuncia il contenuto. In questo il caso il contenuto della lettera è la “precedenza”, perché la McGranitt consiglia a un mortificatissimo Sirius di scrivere facendo riferimento al proprio passato di pre-innamoramento.

Passiamo ai ringraziamenti individuali.

Call: Che dire? Lieta, davvero lieta che ti sia decisa ad esprimere una tua opinione a riguardo delle mie fic, mi fa molto piacere. Innanzitutto ti ringrazio per i complimenti al mio modo di scrivere (pensa che io invece sono poco portata a sopportarlo, sbavo e scodinzolo, nella migliore delle tradizioni canine, verso altri tipi di scrittura, più brevi (molto più brevi) e metaforici. D'altronde io e le metafore siam nemici atavici, per cui mi tengo il mio stile e lieta che venga apprezzato! ^_- Tra l'altro sono estasiata del fatto che tu abbia notato il mio tentativo di prendere in giro tutti i clichè delle yaoi Sirius/Remus. Sul serio, grazie, cominciavo a temere di aver fatto un lavoro pessimo visto che nessuno se n'era accorto. A ma diverte troppo fare questo tipo di ribaltamenti. Non odio i clichè, anche se Remus-donna indifesa mi fa sempre un po' sorridere, ma mi piace parodizzare un pochetto. L'aggiornamento non è stato proprio rapidissimo ma nemmeno a scadenza annuale, dai! XD Cavolo, hai cominciato a leggere slash con "Lei"... Un inizio traumatico, non c'è che dire! XD Ma sono contenta che tu non sia scappata a gambe levate dal genere a causa mia. Ancora tanti ringraziamenti a te per aver letto e commentato. Io non devo ricevere ringraziamenti, è solo un piacere sentire cose del genere! XD

Slanif: Grazie mille, anche a me il mio Sirius-commedia piace molto, è simpatico e non sempre un musone come lo descrivo sempre. ^_^ Eccoti accontentata col seguito.

Mixky: Lo vedrai a lungo alle prese con la lettera d'amore, "temo" (o la notizia ti rende felice? Mah! XD), la storia verte su quello. E' disperato ma credo sia felice del fatto che una volta tanto non lo faccio traumatizzare a vita dalla sorte! XDD Grazie mille per i complimenti.

Chii: Ripresami dalla delusione per il mancato ritrovamento di un sosia di Vincent, rispondo e posto questo capitolo della fic. XD Oh, una volta tanto un sirius rilassante, dai. Pippe mentali a iosa e quante ne vorrai (impossibile non farmi fare pippe mentali, è come cercare di tenere incatenato Maciste alle colonne del tempio), ma sempre del tipo rilassante. Non è il mio genere e si vede, ma mi hanno sfidata a farla questa fic e che Godric mi assista salterà fuori una cosa leggerina e carina, niente dark! XDDD Per cui se trovi cose dark bacchettami, sei autorizzata! XD Son poi stra contenta che ti sia piaciuto il fatto che Remus non si è fatto aiutare da Sirius. Anche se ammetto che è un comportamento maschile che io non capirò mai, che c'è di male a farsi aiutare? XD Mah, io alla stazione mi facevo sempre portare su i bagagli dal primo che passava! XD Non è che Sirius poi sia un gentiluomo... E' un cafone che ogni tanto ne pensa una.... Ma considera che lui fa il gentile solo per portarsi a pastrugnare qualche primina di solito, claro che Remus non vede benissimo quel gesto! XDD Tra l'altro parlavi del flashback... Questo non l'ha notato nessuno ma CASUALMENTE pare che mentre Sirius era al secondo anno di scuola Lucius fosse al settimo. ^.^ Spero di non deluderti per quanto riguarda i colpi di scena. Incrocio le dita e ringrazio un sacco per i complimenti! ^_^

Luz79: Ammetto di essere rimasta un attimo perplessa dal tuo commento all'inizio. Avevo un punto di domanda enorme sulla testa e nel cervello la frase "ma scrivo in maniera così incomprensibile?". Fortuna che poi ti sei spiegata! XD Me l'ha detto anche una mia amica che ogni volta che rilegge un mio pezzo ci vede sempre qualcosa di nuovo. Sarà che io sono l'autrice e so tutto quello che ci volevo mettere per cui di queste cose non me ne accorgo nemmeno, ma resto sempre piacevolmente lusingata quando me lo dicono. Lo trovo un magnifico complimento. ^_- Sperando che questo capitolo di Sirius alle prese con la lettera d'amore non ti abbia delusa, ti ringrazio ancora e saluto.

Skiblue: Grazie mille per i complimenti, arrossisco. Speriamo che anche il seguito ti veda così entusiasta! ^_^

Kar: Ehi, yaoi non significa per forza porcellate che donna di malpensiero! XDDD Le porcellate lasciamole per altre storie che sto scrivendo! *ç* Questa deve essere solo simpaticamente vacua! XD Altrimenti perdo la sfida e non so ancora cosa devo fare per penitenza ma nulla di buono credo! XD Ah, tra parentesi: puoi farmi notare le cose che non vanno (non ho avuto nemmeno una beta reader per questa storia, ce ne saranno 80mila di errori! XD) anche qui nello spazio commenti, non è un problema, anzi! ^_- Grazie per i complimenti.

FrancescaAkira: Speriamo che non sembri graziosa ma che lo sia fino all'ultima riga! Speranze di autrice, sopportami! XD Conoscendo Sirius, credo che non farà nessuna delle due cose che hai detto tu, ma vedrai! ^_-

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Capitolo 3
*** Lettera 2 - De Aemulatio (Peter Minus) ***


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Ora ho postato anche le risposte.

Rispondo qui, ovvero a fine capitolo, anche ai commenti per questo capitolo che mi sono arrivati finora (così mi risparmio la fatica dopo, huhuhuhu! ^.^

Grazie per la pazienza.

PS Doveroso. Anachan mi ha trovato Vincent!!!

Non avendo a disposizione una macchina fotografica ne ha tracciato uno schizzo.

Qui

Ora si è aperta ufficialmente la caccia all’uomo.

(In tutti i sensi)

 

 

SOLO UN'ALTRA BANALE DICHIARAZIONE D'AMORE

 

 

Lettera 2 – De  Aemulatio: Peter Minus

 

Sirius Black era una persona decisamente amante del caldo.

Ma il semplice amore non riusciva a spiegare appieno questa folle venerazione che l’Animagus provava per le temperature soffocanti, desertiche, quel clima torrido e afoso che arroventava l’aria nei polmoni rendendo difficile l’atto stesso della respirazione. D’estate, quando tutti arrancavano per i corridoi strascicando pesantemente i piedi fino alle aule, sudanti e ansanti, quando ogni occasione era buona per lanciarsi addosso incantesimi refrigeranti o per tuffarsi nel lago in mutande, lui si trovava nel suo ambiente naturale, come un Molliccio in un armadio.

Secondo lui era tutto merito del sangue caliente che gli scorreva nelle vene. Secondo gli invidiosi doveva esserci una correlazione tra l’assoluta incapacità da parte del calore di fargli ribollire le idee come un calderone fumante e la sua proverbiale zucca vuota: ma nessuno, nemmeno quella mente analitica di Remus, erano riusciti a trovarla.

Di rimando, il gelo lo riduceva a una larva.

Già dai primi venti d’autunno, quando le temperature cominciavano a calare in maniera sistematica e gli alberi a perdere colore, c’era solo un posto in cui lo si poteva trovare. Accucciato vicino alla fonte di calore più vicina: un camino, una stufa, le cucine, persino il corpo di un malcapitato passante. Nemmeno il più efficace incantesimo riscaldante era sufficiente a dar sollievo al povero ragazzo, e non era raro nelle corte giornate invernali sentire nell’aere il suo guaito disperato, seguito da una raffica spaventosa di insulti e invettive, dopo una superba caduta a faccia avanti nella neve in cui era arrancato a fatica fino a pochi istanti prima nel vano tentativo di seguire il passo sicuro dei suoi amici.

Per questo quella gelida sera di fine novembre i pochi temerari che avessero osato mettere il naso fuori dalla finestra e si fossero recati a seguire le prove di Quidditch della squadra del Grifondoro, gettando un’occhiata casuale in direzione degli spalti, si sarebbero trovati di fronte ad uno spettacolo piuttosto insolito: un certo Animagus accucciato malamente in una delle prime file, con le braccia strette con forza intorno al tronco e le ginocchia puntellate in alto, in direzione del petto, a tremare da capo a piedi senza un momento di sollievo e ad osservare infuriato, dietro le ciglia umide di lacrime, la fitta condensa bianca che gli fuoriusciva da bocca e naso e piccoli, patetici giocatori che restavano a congelarsi il sedere su quelle stupide scope schifose senza che nessuno li costringesse.

Beh, non era come se qualcuno avesse costretto lui a stare lì.

James non gli avrebbe mai chiesto nemmeno per scherzo di presenziare ai suoi allenamenti di Quidditch: per prima cosa era troppo fiducioso nelle proprie capacità di giocatore per appassionarsi davvero a degli sciocchi allenamenti di routine, e in secondo luogo Ramoso non era uno sciocco, benché facesse tutto quanto era in suo possesso perché gli altri lo ritenessero tale (convinto che fosse un aspetto sexy del suo carattere), e in quanto tale era perfettamente consapevole che se solo avesse osato chiedere al suo migliore amico di uscire con quel freddo per una partita di allenamento questi gli avrebbe spaccato gli occhiali senza nemmeno dargli il tempo di finire la domanda.

Una gelida folata di ghiaccio fece lanciare a Sirius l’ennesima imprecazione della serata, e pressò con maggior forza una spalla appuntita contro quella di Peter, nel vano tentativo di ricercare un briciolo di calore umano dall’amico. Con risultati veramente scarsi, per non dire fortemente ridicoli, vista la differenza d’altezza.

Il giovane Black scoperchiò la bocca in una smorfia frustrata, incurante de fatto che quella mossa superflua e tutt’altro che assennata avrebbe aperto nuovamente la lacerazione da gelo che gli aveva spaccato a metà il labbro inferiore.

Ma come faceva Peter a recarsi lì tutte le volte a fare un tifo esasperante, gridando e agitandosi come se stessero disputando la finale della coppa del mondo di Quidditch? E ci andava spontaneamente, dal momento che per quanto ne sapesse nemmeno a lui James aveva chiesto di fargli da pubblico adorante e festoso durante quelle partite d’allenamento (d’accordo l’essere desiderosi di attenzione, ma non a livelli ridicoli).

Peter era matto.

Era l’unica spiegazione possibile.

La certezza di quell’affermazione lo colpì in piena faccia come l’ennesima folata di gelo.

Se lui era finito lì, quella sera, a farsi lacrimare gli occhi e a battere i denti al ritmo delle filastrocche del Cappello Parlante, era solo perché in Sala Comune quella sera ci sarebbe rimasto solo Remus, per il quale il Quidditch non era mai stata questa gran meraviglia, nonostante fosse il più grande conoscitore di tattiche di gioco che avesse mai messo piede ad Hogwarts (più di una partita era stata vinta grazie ai suoi suggerimenti). Diceva che bastavano le sue trasformazioni a dare quel “pizzico in più” alla sua vita.

Sirius non poteva di certo passare la serata a bearsi al caldo del divano di velluto, accoccolato di fronte al camino, col gomito su un bracciolo del sofà e la mano a far da puntello alla guancia, a fissare incantato la schiena dell’amato chino su qualche libro di scuola dall’aria noiosa.

Doveva soffrire fuori al gelo come il cane in cui si trasfigurava.

Perché doveva seguire il consiglio della McGranitt.

Non che avesse trovato particolarmente sensato il consiglio della professoressa. Anzi, in verità l’aveva trovato piuttosto stupido in un primo momento (e in un secondo, e poi in un terzo. Anche ad una quarta riflessione era rimasto idiota): forse quel modo di prendere in giro le persone con belle paroline vuote poteva andare bene alla sua età, quando la piovra gigante del lago non era che un calamaretto dei bassi fondali, ma la realtà era ben diversa, ora.

Si era più smaliziati, meno propensi a inutili sdolcinatezze.

Le probabilità che Remus potesse rimanerne colpito erano davvero molto scarse.

Però non è che gli fosse venuto in mente qualcosa di meglio in tutti quei giorni d’ignavia.

Così aveva deciso di fare comunque un tentativo (provare non costava nulla, a parte un bel raffreddore il giorno dopo), e di passare la serata a ghiacciarsi il sedere sugli spalti di uno stupido campo di Quidditch, in compagnia di un noioso ragazzo pon-pon con la prospettiva di una placida serata assieme alla persona amata lontana anni luce, perché tra le altre cose era una persona troppo irrazionale per poter concepire il freddo dell’anima senza sentirselo pungere fisicamente addosso, sulla pelle e nei vestiti.

Era lì da almeno tre ore a scrivere di nascosto nei momenti morti, protetto dallo sguardo curioso dell’amico, e sulla pergamena spessa stretta con violenza tra le sue dita anemiche svettava, nera e profonda come una ferita, un’unica frase, scritta con una scrittura scossa, tremolante.

“Senza te la mia vita era un inferno.”

Sirius storse le labbra, perplesso, lo spacco sulla bocca a farsi più profondo, poi si passò distrattamente la lingua sul labbro inferiore avvertendo il gusto metallico del sangue fresco nel palato rovente, senza sentirlo davvero.

Quella sarebbe stata veramente una gran bella frase, se non se la fosse sentita addosso falsa e sbagliata come una banconota da uno zellino.

Prima di innamorarsi di Remus la vita amorosa di Sirius era assolutamente perfetta: era felice e a suo agio come un Goblin in mezzo a un mucchio di galeoni luccicanti. Libero come l’aria, senza pressioni e catene d’alcun tipo a costringergli il cuore, passava senza particolari preoccupazioni da una fidanzata all’altra, togliendosi tutti gli sfizi a cui riusciva a pensare senza far soffrire davvero qualcuno, dal momento che le sue storie romantiche duravano davvero troppo poco (una settimana al massimo) perché uno dei due potesse davvero cominciare a provare affezione nei confronti dell’altro (benché un paio di loro avessero pianto calde lacrime d’amore gettandosi disperate ai suoi piedi e qualche altra l’avesse schiaffeggiato in piena Sala Grande, sotto gli occhi di tutti, dandogli dello “stronzo infame”).

Poi si era innamorato e tutto si era fatto confuso.

Di punto in bianco uscire con le ragazze era diventata una cosa estremamente vacua, non gli donava più un vero e proprio piacere (e se qualcuno gli avesse detto che un giorno o l’altro avrebbe finito col pensare un’idiozia del genere prima avrebbe riso di una sciocchezza tanto imbelle, poi avrebbe afferrato la bacchetta e avrebbe schiantato il malcapitato fino a fargli ingoiare quelle parole): allora, molto semplicemente, aveva smesso di farlo.

Quello era stato facile.

Chiedere a Remus di uscire, invece, si sarebbe rivelato decisamente più difficile che farlo con una ragazza, altrimenti tra le altre cose non sarebbe mai giunto al punto di dover scrivere una lettera d’amore idiota facendosi svergognare con la McGranitt.

Tanto per cominciare perché Remus non era una ragazza, il che era vergognosamente ovvio dal momento che era sprovvisto di alcune parti che in altri tempi avrebbe definito fondamentali. In più, non era come se Remus fosse una persona particolarmente facile da gestire anche in condizioni di “normalità” del rapporto, tutt’altro: era cerebrale, cervellotico, un vero enigma racchiuso da un indovinello e incartato in una buona dose di paranoia. Remus era quel tipo di persona da cui in linea di massima sarebbe fuggito a gambe levate perché induceva a ragionare, e a chiedersi il perché di certi atteggiamenti così fastidiosamente controllati, benché nell’intimo mantenesse una certa istintività di fondo.

Ma non era come se ci potesse fare granché.

Lo amava, anche se rendeva la sua vita un autentico caos.

Lo amava al punto che non avrebbe cambiato quell’incommensurabile sofferenza con Remus per tutta la felicità senza Remus del mondo. Sospirò, un soffio tremante sibilò tra i denti serrati, ma non ebbe nemmeno il tempo di sentirsi patetico come avrebbe voluto perché sentì un paio di occhietti piccoli e acquosi fissarsi con curiosità sulla pergamena che, senza accorgersene, aveva stretto amorevolmente al petto al pari di una meravigliosa borsa dell’acqua calda.

Istintivamente rinsaldò la presa sulla carta, come se lo scopo di Peter fosse quello di sottrargli l’amato bene approfittando di un momento di distrazione.

“Qualcosa non va?”, domandò una vocina acuta e cortese.

“Guarda questa cazzo di partita, Codaliscia!”, ringhiò in maniera decisamente eccessiva scoperchiando in maniera inquietante i denti, coi canini appuntiti a brillare alla luce di un sottile quarto di luna calante. L’amico abbozzò delle scuse frettolose e, incuneandosi il collo nelle spalle, fissò lo sguardo sui giocatori della sua squadra, permettendosi di tanto in tanto un tifo timido e non troppo molesto.

Una visione pietosa.

“Scusa, Peter.”, biascicò cupo Sirius passandosi una mano tremula nell’intrico dei capelli congelati, benché il tono di voce minaccioso desse a intendere tutt’altro che una sincera richiesta di perdono. “E’ che non vengo a capo di questa cosa e sono un po’ nervoso.”

Un sorriso gioioso sul viso tondo. “Posso aiutare?”

Il giovane Black sorrise con una punta d’amarezza scotendo la testa in direzione dell’amico. No, di certo lui, tra tutti, sarebbe stata la persona meno indicata per aiutarlo in quel frangente. Finché si trattava di scegliere il regalo giusto senza fatica per il compleanno di James, o di farsi passare gli appunti di Storia della Magia (era l’unico di loro quattro a trovare interessante quella materia, l’unico che riuscisse a rimanere sveglio) arrischiando un pisolino in aula, non c’era persona più indicata.

Nelle faccende di cuore, invece, era lui l’esperto.

E lui non sapeva che fare.

Per cui come avrebbe potuto essere di un qualche aiuto Peter, un piccolo, patetico sfigato per quanto concernesse le faccende di cuore, con la lacrima facile e il broncio troppo facile?

“Ti ringrazio Codaliscia, ma me la caverò da solo.”, replicò Sirius, apprezzando comunque l’inutile offerta d’aiuto. “Troverò la risposta, prima o poi…”

Peter abbozzò un sorriso disteso, come se fosse lieto del fatto che il suo aiuto non fosse stato gradito (a volte il ragazzo tendeva ad avere una pessima opinione di se stesso, più di quanto non l’avessero gli altri, quando la sua imbranataggine li metteva tutti nei guai), e grattandosi il naso a punta con l’unghia dell’indice fissò lo sguardo verso il cielo, in direzione del buon vecchio James, che proprio in quel momento stava eseguendo una favolosa acrobazia per fare punto evitando un bolide.

“Sai? Quando io non riesco a trovare una risposta da solo, Lunastorta mi dice sempre di cercare nei libri, e le risposte sono sempre tutte là.”

“Una grande verità, Codaliscia…”, bofonchiò sarcastico a seguito di quello sfoggio di filosofia spicciola: nonostante fossero parole enunciate dal suo Remus non significava che non potesse trovarle stupide. Per Remus, d’altronde, tutto era riconducibile ai libri, che in genere rifuggiva come la peste a meno che non fosse strettamente necessario leggerli. “Ne farò tesoro.”

Un sonoro starnuto squarciò il sibilo del vento e infranse le grida d’esultanza dei giocatori di Quidditch, che segnalavano la fine dell’allenamento.

 

Fine Capitolo 2

 

Note di Fine capitolo

Dizionario di latino spicciolo per il titolo di questo capitolo.

Aemulatio: da aemulatio, -onis. Sostantivo femminile che indica l’IMITAZIONE, il COPIARE. Il perché di questo titolo è ovviamente riconducibile all’idea che Peter fornisce involontariamente a Sirius in questo capitolo, ma lo vedremo solo nel prossimo episodio.

 

Rispondo individualmente (grazie per la pazienza).

 

Alexia: Ma a me fa sempre piacere che mi si ripetano i complimenti, sono un’autrice egocentrica (Devo metterlo al posto di Romantragica nel mio account. Forse ci faccio un Bannerino vicino a quello di Cesira – non quella coi baffetti! XDDDD), per cui non ti stancare mai! XD

Ma mai mai mai mai mai.

Poi io in cambio potrei anche farmi scappare che ho in mente una mezza idea con una fic su Piton da scrivere prima o poi.

XD Che dire? Che ste tue recensioni mi fanno spisciare dal ridere! Sono GENIALI. XDDDD Letteralmente, sono morta all’idea di vederti sputacchiare palline di carta in giro (ovviamente voglio una foto che mi recupererai entro la fine di questa fan fic! XDDD), son bellissime. Anche se io bramo, voglio, desidero, ambisco a una recensione sullo stile Porta a Porta che faceste sulla Sirius/James te e Ny! XDDDD

Mi piacciono quelle infervorate! XDDDD

Se può consolarti io sono peggio di Sirius per quanto riguarda le romanticherie (l’abbiamo visto tutti le tragicomiche conseguenze dell’amore…), ma non si nota, noooooh! XD Quindi inutile dire che sto soffrendo con lui in questa storia.

XD Son contenta che ti piacciano le mie caratterizzazioni (Minerva, argh, che parto… Ma mai quanto Hagrid. E compaiono per 3 righe scarse! XDDDD)

Se te lo spiego perché Sirius sta al freddo quando quella lettera potrebbe effettivamente scriverla OVUNQUE (anzi, quale posto migliore che al caldo, contemplando l’uomo che ama?) ridi perché è veramente di una balordaggine immensa. XD Dunque, la McGranitt gli ha detto che le era tanto piaciuta sta lettera col ragazzo che le aveva detto quanto era brutta la vita prima di incontrarla, quanto soffrire. Solo quello gli ha detto la povera donna! XD Ora, Sirius, che fa? Prende alla lettera quelle parole. Alle persone fa piacere ricevere lettere d’amore di sofferenza, ma io di sofferenza psicologica non ne ho mai provata, anzi, stavo da dio prima. E invece di interrogarsi sui suoi sentimenti attuali (come farà in seguito), che decide?

Che il dolore fisico è uguale, che differenza c’è? Per cui si mette al freddo per soffrire abbastanza da poter mettere su carta la propria sofferenza per Remus. XD

Very Siriusly! XDD

D’altronde, fortunatamente, ti piace come ragiona il nostro eroe, per cui non mi tirerai una scarpa verde dietro per tanta deficienza (e io Sirius lo amo, pensa se lo schifavo! XDDD). A dispetto del suo ironizzarsi addosso (che è bello che lo noti, essendo una storiella faceta uno si ferma alla superficie e che qualcuno tocchi i particolari mi riempie di gioia e commozione.

Remus piace abbastanza anche a me. E no, hai visto giusto, proprio non ho resistito a parodizzare quelle fic in cui Remus viene salvato e consolato dalle braccia virili e pelose di Sirius. E’ più forte di me. Ma anche quella scena dell’imbavaglio al letto, altro clichè, con Sirius o Remus che hanno incubi e si ficcano l’uno nel letto dell’altro dando vita a scene di sesso circense spettacolari. E altro ancora! XD Mica mi sono fatta una panza tanta di Sirius/Remus per nulla! XD E poi a parte quello, son contenta che lo vedi così, una contrapposizione perfetta a Sirius. Perché è come li vedo io (anche se in genere con note molto più tragiche).

Oddio, dopo James pure Peter?!

Ragazza, ripijate! XDDD

Tanto me la stai già facendo pagare, quando posti la nostra sorpresa accidenti a te, questi momenti d’attesa ci stanno uccidendo, vuoi vedermi morire qui vero?! XDDDD Ah, non ti preoccupare per la pignoleria, è sempre ben accetta, e meno male che ho controllato una cosa tipo 8 volte sto capitolo! XDDDD Le mie Horcrux si stanno distraendo troppo spesso! XD

Ah, questa fic la finirò, giuro sul poster di Gary (per lo smistamento ha funzionato, no? XD)

 

Luz79: Caspita che occhio!!! 0_0 Non credevo che qualcuno avrebbe notato quella minuzia della frase (banalissima, ne convengo, ho fatto apposta! XDDD) “Senza te la mia vita era un inferno” col fatto che Sirius fosse un amante delle temperature torride. Quando la gente mmi sorprende in maniera così positiva mi metterei a ballare mandando all’aria il pc, ma poi non aggiornerei più e mi odiereste, per cui mi contengo. Caspita, Luz, che dirti se non complimenti? Ogni tanto dal mio animo anti romantico riescono a saltar fuori anche cose forti, dai, ammettiamolo che quella fra setta detta da Sirius sulla sofferenza a cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo era fantastica! Peccato che poi si ingoierà tutto! XD Ti anticipo solo per non farti restare perplessa in futuro, sarà voluta la contraddizione di termini! ^_- Per il resto, sono imbarazzata e felice di questi complimenti, arrossisco, è bellissimo quando una persona riesce a immedesimarsi con quello che scrivo (oddio, quando scrivo le cose deprimenti e qualcuno dice che si è immedesimato con Sirius non mi fa eccessivamente piacere! 0_o Il mio Sirius è uno sbandato!). Non invidiarmi per la mia cura dei dettagli, io la detesto! XDDD Ogni particolare mi tiene su dei giorni e magari la gente nemmeno li nota tutti (impossibile, sono talmente tanti e nascosti fitti), però fa piacere a me metterli per un mio inspiegabile animo masochista! Grazie ancora per la recensione.

 

Umi: Ti ringrazio davvero molto, arrossisco! Baci anche a te. ^_^

 

Mixky: Mixky, meno male che sei una cosa sola con QUESTO Sirius e non con quello che descrivo di solito (che è veramente deprimente, io non vorrei mai che al mondo ci fosse qualcuno che gli assomigliasse). Questo, con la sua brava dose di deficienza, è un Sirius che mi fa piacere vedere nel prossimo (magari in qualche figone in facoltà….. No, eh? Vabbè, si sogna! XD). E’ divertente anche se non ci possiamo fare nulla visto che ama un altro maschietto (ma non si faceva disdegnare le femminucce prima… Secondo me c’è ancora qualche chance! XD)! Tra parentesi anche io in spiaggia mi arrostisco come una lucertola (mare, vade retro! XD). Grazie, grazie mille per i complimenti! ^_^ Anche Sirius ringrazia.

 

Hazel: Ahimè, speriamo di riuscire veramente a essere plastica fino in fondo, mi si sta stiracchiando inesorabilmente verso la tragedia sta fic, aiutoooo! XD Qualcuno leghi Tifa, è impazzita, non la si trattiene più! Ma non dobbiamo spoilerare, suppongo, andiamo avanti! XD Che dire? Grazie mille per i complimenti, anche se sto amore per i particolari (sono innamorata delle minuzie) mi porta a stare 50 ore su una vaccatina che 2 volte  su 3 capirò solo io (e grazie, sono nascoste e non tutti mi entrano in testa! XDDD Farei fatica anche io a elencarli tutti! XD), mi piacerebbe a volte tirare via! XD

Ma poi non renderei interessante una piuma che cade per terra.

Mhmmm, dilemma… XD

E una volta tanto non abbiamo un Sirius da taglio delle vene, dai, son contenta che venga apprezzato! ^_^ E’ adorabile, concordo, non tutti si sforzerebbero così tanto andando contro i propri principi per amore di qualcun che nemmeno sa che esisti. Anche se forse dirglielo a voce o incantando il cuscino per fargli cantare Your Song di Elton John sarebbe più facile! XD Per me lo sarebbe, almeno. Io, notoria donna che per attaccar bottone con la gente dico “scusa, non so come far uscire un caffè espresso dal distributore”. Dddddddddio! XD Mi sa che abbiamo capito tutti da chi prendo le idee per Sirius. Dal distributore del caffè, naturalmente. 9_9 Son contenta che la McGranitt sia uscita vittoriosa, io odio questi personaggi non istintivi faccio sempre una gran fatica a renderli perché mi sanno di antipatico e io non li voglio fare antipatici! XDDD E mi scapo! Remus forse avrà il suo spazio. Non garantiamo! XDDDD Grazie mille per i complimenti, sempre graditissimi! XD Ma non sarà che cerchi di imbonirmi per farti trattare meglio quando ti faccio da beta? ^_-

 

Chii: Sniff…. Vabbè reggo al dolore perché Ana mi ha dato quel disegno come palliativo. Ma aspetto sempre di averlo tra le mie grinfie dal vivo! XDDD mah, Lucius ha all’incirca 5, 6, forse 7 anni in più, di preciso non ci è dato di sapere, per cui va bene sia la tua idea che fosse al settimo che la mia che fosse al sesto quando i Malandrini erano al primo anno. Non è importante! XD A me piace che sia al sesto così hanno due anni per interagire! XD No, stavolta ti parrà strano ma Ny e Ale non c’entrano niente. Loro mi pressano solo per farmi scrivere porcellate su Sevvie (illuse! XD). Questa era uan vecchia sfida che languiva nel mio pc da mesi! XD Sempre a proposito del famoso foglio bianco (quelle sono elucubrazioni mie e non di Sirius, infatti si vede! XDDDD Maledetto blocco dello scrittore! Perché devo soffrirne solo io? Soffri pure tu, Sirius malefico! XD). Ahimè, Sirius ne passerà di peggio che fare un po’ di fatica per scrivere qualcosa di sensato. Cosa? Non lo dico perché sono infame! XD

Lieta che la McGranitt ti sia piaciuta, sto tipo di personaggi mi fa venire l’ansia, ho sempre timore che riescano tremendamente OOC perché soo quanto di più fuori possa esserci dalle mie corde (un po’ come le drabble e le poesie…. Brrrr, sì ce la ricordiamo quella delle tragicomiche! XD). No, che l’aiutasse  nella stesura non me lo vedevo proprio. Primo, perché non era divertente. Secondo, perché Sirius sarebbe morto sul posto. Terzo, perché Minerva è prima di tutto un’insegnante, non si prenderebbe mai tante confidenze! ^.^

Mi sa che il to to sulle manine me lo farai presto! XDDDD Ho sto sentore. Come sempre, grazie mille per i complimenti, sul serio! ^_^ E un grosso bacio anche a te.

 

Skiblue: Grazie, sono contenta che ti sia divertita per questo capitolo. Temo per i successivi in cui mi toccherà accantonare la verve comica almeno un po’. Spero che non ti annoierai in futuro. I complimenti sono sempre meravigliosi. ^^

 

Irishbreeze: Bel nick, tra parentesi! Qualcuno che non adora il mio stile c’è, in effetti. La sottoscritta! XD Merlino, è più forte di me, pagherei per scrivere di MENO! XDD Però questo stile ho e questo mi tengo, e non può che farmi piacere che riesca a sfruttare la mia graforrea al punto da non risultare noiosa, per me è un grande traguardo, grazie. E grazie anche per i complimenti, ovvio! ^^ Deve lasciare in sospeso questo ultimo capitolo, il lettore deve soffrire con Sirius, se no che gusto c’è? ^_-

 

Call: La fic nel mio pc è praticamente completata, per cui l’aggiornamento dovrebbe essere piuttosto regolare (conto di postare ogni due settimane o ogni settimana e mezzo, dipende! XD Cerco di fare il posibile per non far aspettare le persone nei limiti delle mie possibilità (a parte quelle che aspettano l’aggiornamento delle vecchie fic, argh! XDD Dici bene, scrivere questa lettera costringerà Sirius a dei salti logico mentali a cui proprio non è avvezzo. Ne vedremo parecchie e non tutte belle (per tua/sua/mia/ti tutti fortuna la fic sarà piuttosto breve. Sono esattamente 5 lettere, un prologo e un epilogo), ma speriamo che Sirius non abbandoni mai questa vena comica che ti diverte tanto. Sulla correzione, hai assolutamente ragione, grazie! XD Quanto sono distratta, mi odiooooo! Ora si spiega perché mi chiamavano Nostra Signora delle Ripetizioni. XDDD

 

Loony11: Ti ringrazio molto, arrossisco, sono contenta che ti piaccia il mio stile di scrittura! ^_^  E’ un po’ imbarazzante che tu li veda così (Sirius e Remus) in realtà, perché questa mia storia è solo una degressione comica a quello che penso davvero del loro rapporto (di solito adopero toni molto più cupi! Questa è per ridere! XD). Ma sono felice di aver reso comunque qualcosa che qualcun altro trova realistico. Grazie mille.

 

Duchessa: Ommioddio e che filmato mentale verrà con Peter? Spero non lo stesso, col pannolino e le alucce da Cupido non sarebbe molto fico! XDD Le opinioni di Remus a riguardo forse verranno scritte, per il momento bisogna accontentarsi dei deliri di Sirius. Come se non fossero abbastanza per una vita intera (deve essere stressante stargli dietro! XD). Ti ringrazio molto per i complimenti, continua a leggermi mi raccomando! XD

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Capitolo 4
*** Lettera 3 - De Simplicitate (Hagrid) ***


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Ho risposto ad alcune persone nel capitolo precedente.

Se a fine capitolo non trovate il vostro nome, è nel precedente non siete state dimenticate! ^_-

Sempre grazie a tutti per gli stupendi commenti e gli incoraggiamenti, apprezzo tanto, davvero.

TwinStar

PS: Mi è arrivata la lettera di Anachan col disegno stupendo di Sirius e Regulus!!!!! *ç*

Che bello!!!

Al prossimo capitolo lo posto e metto il link perchè merita.

Poi lo appendo in camera.

Grazie Ana!!!

 

 

 

SOLO UN'ALTRA BANALE DICHIARAZIONE D'AMORE

 

Lettera 3 - De Simplicitate: Hagrid

Il suo primo Natale Sirius lo ricordava bene.

L’aveva festeggiato il primo anno di scuola, perché Grimmauld Place non era luogo da far teatro a simili patetiche gozzoviglie babbane, come le aveva soprannominate una volta suo padre, e lui non era mai stato un figlio tanto curioso da fare domande in merito a qualcosa che aveva l’aria di essere così poco interessante.

Solo luci colorate per la strada a nascondere allo sguardo le stelle, alberi decorati ridicolmente a festa come Regulus con quel vestito tutto pizzi e merletti regalatogli dalla zia Druella, striscioni con scritte pacchiane ad insozzare le strade, tanto freddo da far venire i ghiaccioli alle mutande e gli auguri di rito di sua cugina Andromeda. Un semplice pezzo di pergamena con su scritte due parole di circostanza. Nulla di particolarmente festoso.

Anche quella prima vigilia di natale ad Hogwarts l’avrebbe trascorsa come al solito, dormendo placidamente fasciato stretto nelle pesanti coperte invernali tirate su fin sopra il naso, se non fosse stato svegliato da una bassa risata di foggia cospiratoria.

Sollevate le ciglia nella pesante penombra sanguigna del letto e accolto da un tenue lucore ondeggiante, si era fatto strada, non senza un brivido, nel denso crepuscolo vermiglio della stoffa che filtrava la luce polverosa di una candela accesa sul suo comodino chissà quando, e aveva scostato con le dita goffe e assonnate le cortine, che mai gli erano parse così pesanti.

Si era ritrovato fissato da più paia d’occhi sorpresi: quelli dei suoi compagni di stanza colti sul fatto nel bel mezzo di un improvvisato festino di mezzanotte. Come avrebbe scoperto più tardi, James, l’uomo dotato del sonno più leggero che mente di mago potesse concepire, aveva sorpreso Peter, l’ingordo, seduto sul tappeto a rosicchiare di nascosto qualche dolcetto dal mucchio gigantesco di delizie che era riuscito a trafugare di nascosto a cena dando dimostrazione di doti ladresche non indifferenti, e al quel punto era stato costretto da pressati e minacciose richieste a dividere il prezioso bottino. Durante un piccolo ma intenso scambio d’opinioni sull’annosa questione di chi dovesse appropriarsi dell’ultimo zuccotto di zucca Peter era inciampato con la consueta (mala)grazia nel letto più vicino, dritto in braccio a Remus, il quale ovviamente s’era scosso di soprassalto.

C’era anche lui a fissarlo dal basso, le spalle premute contro i piedi del letto, un po’ in disparte dagli altri com’era sua abitudine fare anche nella ressa della Sala Grande: il volto imperturbabile che tanto lo metteva a disagio con la sua perenne apatia, i capelli castani malamente calati sugli occhi castani cinti di scuro, e un fermo sorriso di circostanza a tendergli le labbra.

“Hanno svegliato anche te, a quanto pare.” Era stato impossibile per Sirius non cogliere in quelle parole un velato tono d’accusa, come se il fatto d’essersi svegliato fosse stata una propria, imperdonabile mancanza. L’altro nel frattempo aveva ignorato totalmente lo sguardo stranito e irritato dell’Animagus, tendendosi in direzione degli altri due con un lento, elegante scatto del collo sottile.

“Ve l’avevo detto di fare più piano.”

“Non l’hai detto!”, aveva protestato James, offeso, facendosi cadere di bocca nell’impeto della difesa di se stesso quel pezzo di Cioccorana malamente masticato che andò ad atterrare sul pavimento di pietra, accanto al suo piede.

Sirius aveva storto le labbra disgustato.

Quel povero essere di cioccolata si muoveva ancora.

Remus aveva sollevato in aria l’indice con fare autoritario da prefetto.

“Ma avrebbe dovuto esser chiaro che non era il caso di fare rumore a quest’ora di notte per il vostro festino della vigilia. Vi tenevo d’occhio di proposito.”, aveva aggiunto, severo, anche se dallo sguardo dubbioso degli altri due Sirius poteva affermare con assoluta certezza che il ragazzo non doveva aver marcato con troppa enfasi sul fare silenzio, prima. Tra le altre cose, nel placido dormiveglia che aveva preceduto il ritorno della coscienza, gli era sembrato di sentire una voce paurosamente simile alla sua reclamare a gran voce un pacchetto di Api Sfrizzole. “Avete svegliato Black, adesso sarete contenti.”, aveva aggiunto incrociando le braccia e guardando di nuovo nella sua direzione in cerca di solidarietà.

Sirius si era strofinato stancamente le palpebre contro i polpastrelli raggrinziti dalle pieghe del lenzuolo. L’impressione ricevuta su quel ragazzo appena conosciuto che sembrava avere tanto a cuore il suo sonno di bellezza era stata quella di una madre nevrastenica.

“Non fa niente…”, aveva mugugnato strascicandosi con incessante lentezza le parole sulla lingua impastata prima di scendere dal letto per sedersi assieme agli altri, rabbrividendo al contatto dei piedi nudi sulla pietra gelata e nel sentire l’aria fredda della notte scivolargli sottopelle attraverso i vestiti. Istintivamente le sue braccia tremanti avevano cercato il tepore della schiena di Remus, il più vicino dei tre. L’aveva strappato al legno del letto come un amante geloso e l’aveva tratto a sé, cingendogli la vita con le lunghe mani intrecciate in quelle dell’altro all’altezza dello stomaco. Poi, avvertendo il tiepido calduccio, aveva affondato la guancia nell’incavo tra il collo e la spalla sospirando, completamente appagato.

A lui quel tipo di contatti fisici erano sempre piaciuti molto.

Come il cane in cui si trasfigurava, era sempre stato un tipo amante delle carezze, della fisicità: adorava essere toccato tanto quanto Remus sembrava rifuggire la vicinanza altrui. L’Animagus non aveva potuto fare a meno di notare i tendini protendersi vivi e caldi appena sotto la pelle sottile, ma non aveva avvertito da parte dell’altro segni di eccessiva insofferenza come a volte poteva succedere (non tutti lo apprezzano), così era rimasto accoccolato finché non l’aveva vinto il sonno, e non era stato riportato a letto di peso, come si sarebbe fatto con un neonato.

Il periodo natalizio era così diventato un appuntamento speciale, e Sirius aveva finito con l’attendere l’arrivo del gelo con sempre maggiore ansietà.

Per l’atmosfera allegra che rendeva persino gli insegnanti meno propensi a punire e a togliere ingiustamente punti ai Grifondoro; per le vacanze, i dolci, per il tanto tempo libero che potevano passare bighellonando per il castello quasi deserto alla ricerca dei suoi segreti.

Per quegli abbracci rubati a Remus con la scusa del freddo.

Si strinse istintivamente le braccia con le mani, sentendosele vuote.

Quel Natale Remus non l’avrebbe trascorso ad Hogwarts. Era tornato a casa.

A furia di raccontare balle sulla sua madre malata, la poveraccia si era indisposta davvero e il licantropo era dovuto tornare a Londra per occuparsi di lei, incapace di trattenere la preoccupazione benché lei gli avesse assicurato che non fosse niente di grave. Era ironico, a pensarci, anche se decisamente deprimente. Però intanto per colpa delle smanie egoistiche e infantili dell’altro era Sirius ad essere rimasto senza di lui, col sedere nella neve gelata, a fissare da solo la calma di velluto del lago rifrangere contro la luce rosea dell’alba in un tripudio di luce fredda. Lui, che odiava svegliarsi prima che il sole giungesse allo zenit.

Invaso da un improvviso moto di rabbia freddissima che lo squassò da capo a piedi al pensiero di tutto quel romanticume sprecato, afferrò un mucchio di neve ghiacciata, incurante delle dita intirizzite, e lo lanciò rabbioso nell’acqua, increspandone la superficie cheta.

Lui voleva vederlo assieme a Remus, cazzo.

Gettò un’occhiata iraconda al libro che giaceva sulle sue cosce, al riparo della neve bagnata, le sopracciglia malamente accartocciate in mezzo alla fronte, e uno sbuffo fumoso a fuoriuscirgli dalle labbra pallide per salire e perdersi nella luce rugiadosa del primo sole.

Il tanto sospirato regalo di Natale di Remus lasciatogli sul comodino: avvolto in un’anonima carta beige senza fiocco, sopra un biglietto con poche parole rapide di auguri anticipati e l’ordine perentorio di aprire il pacco solo a tempo debito. Naturalmente l’aveva scartato con febbrile impazienza senza attendere nemmeno che le carrozze dirette alla stazione sparissero oltre i cancelli (d’altronde Remus di sicuro l’aveva previsto, non era un ingenuo), ed era rimasto tremendamente deluso.

Remus doveva essere impazzito. Gli aveva regalato quel fottutissimo libro di poesie babbane che gli vedeva sempre in mano. Vecchio e usurato, buono nemmeno per lasciarlo alle zanne di Felpato. Evidentemente con gli anni gli era venuto a noia e aveva deciso di rifilarlo di seconda mano al suo amico stupido.

Cosa doveva farsene, secondo lui?

Sbuffò di nuovo, immalinconito.

Possibile che lo conoscesse talmente poco, che tanto poco gli importasse di lui, da pensare davvero che avrebbe potuto gradire una porcheria del genere? Se questo era l’impegno che metteva nella scelta dei regali allora lui poteva benissimo non metterci tanto slancio nella stesura di una lettera d’amore che gli fosse stata gradita e che non avesse fatto fare a lui la figura del coglione.

Poteva semplicemente aprire una pagina a caso di quel libro insulso e dedicarglielo.

A riprova delle sue azioni determinate afferrò con stizza il volume consunto e lo spalancò con aria di disprezzo in un punto che già si era piegato alla forza di ripetute letture, declamando con ironica devozione i versi soavi.

“… Chi scrive il tuo nome a lettere di fumo tra le stelle del sud?
Ah lascia che ricordi come eri allora, quando ancora non esistevi.

 

Improvvisamente il vento ulula e sbatte la mia finestra chiusa.
Il cielo è una rete colma di pesci cupi.
Qui vengono a finire i venti, tutti.
La pioggia si denuda.

Passano fuggendo gli uccelli.
Il vento. Il vento.
Io posso lottare solamente contro la forza degli uomini.
Il temporale solleva in turbine foglie oscure
e scioglie tutte le barche che iersera s'ancorarono al cielo.

Tu sei qui. Ah tu non fuggi.
Tu mi risponderai fino all'ultimo grido.
Raggomitolati al mio fianco come se avessi paura.
Tuttavia qualche volta corse un'ombra strana nei tuoi occhi…”

Chiuse con uno scatto secco premendosi il libro sulle ginocchia come a voler impedire alle parole imbizzarrite di fuggire dal bordo pagina. Non riusciva davvero a pensare che Remus a sera, avvolto dalla luce tiepida di una candela stanca, leggesse e rileggesse fino alla nausea quell’insostenibile sequela di cazzate sdolcinate…

Non poteva negare però che fossero belle parole.

Lui non sarebbe mai riuscito a farseli uscire dal petto, quei versi, neanche cercando una vita.

Gli venne il dubbio di essere, molto semplicemente, negato per cose del genere. Forse non c’erano parole giuste da cercare per quello che provava, o forse le cercava nel posto sbagliato. Aveva tentato di strapparsele a viva forza da dentro per tutto quel tempo e probabilmente aveva sbagliato. Non aveva ottenuto altro che figure meschine e tanta pergamena sprecata.

Tra quelle pagine lise e ingiallite invece c’era un vero tesoro pronto per l’uso.

Gli tornava a mente la vocetta petulante di Peter, chiaro segno della sua pazzia.

Nei libri Remus ha sempre trovato tutte le risposte che cercava

E lui si era già impegnato pure troppo.

Sgroppatosi dalla coscienza gli ultimi rimasugli di sensi di colpa aveva richiamato magicamente a sé la sua borsa, che aveva appeso a una protuberanza a uncino di un tronco poco distante di modo tale che non si infradiciasse per via di tutta quella stupida neve, e aveva cominciato a tirarne fuori tutto allegro pergamene, inchiostro e piuma d’oca.

A mettere insieme un po’ di quelle belle frasette romantiche da due soldi e a tirarne fuori un qualcosa di decente e originale non ci avrebbe messo niente, adesso…

“Tu guarda se questo qui sveglio di mattino presto non è proprio il giovane Sirius Black!”

… A meno di interruzioni esterne, ovvio.

Sirius sollevò gli occhi al cielo, maledicendo quello che lui chiamava, in maniera piuttosto colorita, “L’ennesimo calcio nelle palle inferto con un anfibio a punta d’acciaio dalla divinità punk e incazzata della sfiga”.

Fu solo dopo un profondo respiro e con un’estrema dose di calma di cui Remus sarebbe stato orgoglioso (lui che non faceva che ripetere quanto Sirius fosse impaziente) che fu in grado di dominare quei bassi istinti che gli intimavano di accogliere il mattiniero scocciatore con epiteti che avrebbero fatto arrossire persino Bellatrix.

Accolse l’intruso, che gli si era avvicinato col suo passo goffo e pesante, con il suo miglior ghigno di circostanza.

Alza la testa. Dritta la schiena.

“Hagrid.”, mugugnò. “Che piacere vederti.”

Mammina sarebbe stata fiera del suo damerino.

Il bonario Mezzogigante gli aveva rivolto un grosso (e per uno della sua stazza era grosso davvero, pensò Sirius con una punta di panico al pensiero di essere stato sul punto di mandare al diavolo una persona grande il triplo di lui) sorriso, facendo un cenno di saluto con la mano chiusa a pugno attorno alla strozzatura di un sacco dall’aria decisamente… “viva”.

Sirius distolse lo sguardo. Non voleva sapere cosa contenesse.

L’ultima volta che la curiosità l’aveva vinto era finito con un braccio masticato.

“Che stai facendo?”, aveva inquisito curioso l’uomo, fissandolo dall’alto della sua mole.

L’Animagus si era stretto nelle spalle, come si trattasse di una piccola cosa, e aveva scosso la testa in segno di diniego. “Niente, leggevo un po’ in riva al lago.” Aveva sollevato pigramente l’innocuo libro di poesie noiose ma belle verso di lui a mo’ di giustificazione e mentre l’altro prendeva il tomo con la mano libera e si accingeva a soppesarlo curioso (per cercare di capire a cosa servisse, forse. Per quanto buono, Hagrid non era mai stato una cima), il ragazzo venne assalito dall’improvviso impulso di gridare. Ma non mise in atto il suo proposito.

Si limitò a fissare l’uomo mentre questi muoveva le labbra biascicando piano, in un tentativo forzato di riprodurre quei versi con una cadenza piuttosto stentata, le folte sopracciglia aggrottate come se stesse recitando un qualche incantesimo complicato, e si lasciò sfuggire un sospiro melanconico, coperto per sua fortuna da un ringhio sordo e cupo proveniente da quella stupida sacca. Ormai era assolutamente certo che Merlino, Godric o chi per loro dovessero avere qualcosa contro il realizzarsi della sua storia d’amore con Remus.

Forse le stelle odiavano i rapporti omosessuali.

O li odiava Hagrid. Oppure lui stava delirando come suo solito.

Si era ritrovato fuori da quei pensieri assurdi nel momento in cui il libro gli era stato gettato malamente sulle gambe, in un precario equilibrio che l’aveva costretto a piegare le cosce in direzione del petto in una conca abbozzata.

“Ma tu lo capisci questo?”, aveva domandato Hagrid, piuttosto perplesso.

“Come sarebbe a dire ‘Lo capisci’?”, aveva risposto piccato il ragazzo mentre con le mani stringeva istintivamente al petto quel piccolo tesoro rinnegato (era un regalo idiota ma pur sempre di Remus). Fu anche sul punto di rispondere con un commento smargiasso dei suoi su quanto comprendesse a fondo quei versi aulici e alati, su quanto le parole gli si fossero impresse vive e chiare nell’anima come se le avesse scritte egli stesso, ma il fiato gli era rimasto tutto incastrato nell’esofago.

Perchè che senso aveva farlo con Hagrid?

Si era passato una mano alla base del collo, strofinandosi a disagio la sottile peluria all’attaccatura dello scalpo, e aveva sapientemente evitato lo sguardo dell’altro. La realtà era che di quelle frasi non capiva assolutamente il senso. Amava Remus, lo amava davvero, ma non al punto da riuscire a capire quella sua passione per delle parole che non significavano niente. Forse in realtà non lo amava abbastanza. Hagrid forse poteva comprenderlo…

Poteva confidargli la verità senza passare da stupido.

“… Mica tanto.”, aveva ammesso alla fine, imbarazzato a morte.

No, la sua intuizione si era rivelata erronea, si sentiva lo stesso un emerito idiota.

“Io non capisco perché la gente non ce lo deve dire in maniera semplice quello che pensa.”, aveva infierito l’altro facendo ondeggiare la sacca ringhiante con ampi gesti irritati della mano. “Non ce n’è mica bisogno di questo, dico io. In fondo è il pensiero che c’è sotto che conta, no?”

“Forse.”, aveva risposto impassibile Sirius.

Ma dentro moriva di rimorso.

Poi non l’ascoltò più.

Senza pensarci aveva aperto nuovamente il vecchio libro che tante volte doveva aver visto le dita di Remus sfiorarlo devote (e un pensiero fugace e invidioso raggiunse echi lontani della coscienza. Quanto gli sarebbe piaciuto essere quelle pagine, almeno per una volta), ma guardava le parole senza osservarle davvero: per quanto belle, erano diventate irraggiungibili.

Proprio come Remus in quel momento.

Doveva fissare lo sguardo su qualcosa, però, o avrebbe vomitato per il groppo in gola che l’aveva assalito, improvviso. La soluzione a tutti i suoi dannati problemi soltanto un attimo prima era sembrata così vicina da poterla toccare, mentre era bastata una frase detta dall’incolto Custode delle Chiavi di Hogwarts per farlo ritrovare di nuovo col solito pugno di niente.

Decise poi di contemplare il buio delle palpebre chiuse quando la luce del mattino gli divenne insostenibile. Facevano troppo male quei versi d’amore non suoi, e il pensiero che per qualcuno l’amore fosse un sentimento così facile da afferrare lo umiliava al punto che avrebbe rinnegato tutto quello che provava per l’amico in cambio di un solo fottutissimo istante di pace.

Nemmeno si accorse di quando rimase solo, di nuovo, come sempre.

O del momento in cui, allacciate con forza le dita all’altezza delle ginocchia e affondato il viso tra le cosce bagnate di neve sciolta, calde stille di frustrazione cominciarono a sfuggirgli dalle ciglia serrate a forza.

 

Fine Capitolo 3

 

Note di Fine Fantiction:

A parte il fatto direi abbastanza ovvio che mi rendo conto che la fine è un po’ amara per una commedia, ma non ci posso fare niente. Sirius ha agito da solo, voleva per forza piangere e amareggiarsi in solitudine e l’ho dovuto accontentare, mi scalpitava in quella direzione e…. Niente. Vi capita mai che un personaggio vada per i fatti suoi?

Sirius voleva piangere e l’ho accontentato.

Non lo saprà nessuno, era solo e tanto depresso. XD

Stavolta ne mettiamo due, di note, perchè melior abbundare quam deficere!!

Una che riguarda il solito titolo in NEO LATINUM (strizzando l’occhio al buon Mel Brooks! ^_-):

De Simplicitate, direi che è abbastanza immediato come titolo. E’ la “semplicità”, la “schiettezza”. Per ovvi motivi. ^_-

L’altra nota riguarda i versi tanto amati da Remus che Sirius legge, e che lo inducono a copiare per fare bella figura con Remus. Vorrei che fossero i miei, ma purtroppo io sono come Sirius in questo capitolo, i miei trascorsi poetici sono alquanto imbarazzanti (“Le tragicomiche conseguenze dell’amore” e “La ballata della luna stanca” le abbiamo lette tutti, credo. ._.). Sono pochi versi di uno dei due poeti che non schifo, ovvero Pablo Neruda. Per chi fosse interessato (è una poesia molto bella, io la leggerei! ^_- ammicc ammicc) potete trovarla per esteso

QUI.

 

Rispondo individualmente e sentitamente ringrazio:

 

Mikayla: Guarda che ci conto, catturamelo davvero Vincent! XDDD Stavolta mi sa che le bacchettate le rischio, ahia, sta diventando un po' meno commedia, devo aggiungere un altro avvertimento alla fic mi fa (ma sono indecisa tra triste e malinconico - drammatico no, mi rifiuto, non è drammatico! XDDD). Certo che scrivere qualcosa di poetico sul blocco dello scrittore è un controsenso metateatrale che farebbe crepare d'invidia il caro vecchio Piry (pirandello! XD), che ormai è di casa per cui gli diamo anche un nomignolo! XD Beh, ora la tua curiosità è sedata ancora un po', ecco un altro capitolo (eeeh, vedrai che farà! ^_- Poverino, è un pippone! XDD). Prometto di aggiornare abbastanza regolarmente perchè la fic è praticamente finita (devo finire il penultimo capitolo e fare metà dell'ultimo).

Dico la verità anche a me questo capitolo è piaciuto molto di più che quello con Minnie. E questo qui con Hagrid mi è piaciuto anche di più di quello con Peter. E' un crescendo, sono molto divertenti da scrivere, e mi danno l'occasione per buttarci dentro qualcosa che amo (Neruda) che non guasta mai. ^_^ Poi, che ne so, magari qualcuno può trovarlo gradevole quanto me. Peter spero di non aver lasciato trasparire l'antipatia, ma visto che Ale non mi ha bacchettata (non aspetta altro, lo so, vuole vendicarsi la crudele femmina! XD) propendo per il no! Evviva! XDDD Povero Peter, po' po' mi dispiace. Che poi è scemo, James mica li costringe ad andarli a vedere, è lui che ci vuole andare a fare il ragazzo pon pon! XDDDD Allora, questo capitolo era come te lo immaginavi? Un po' sì, dai, ma era evidente! ^_- Spero di essermi buttata in acqua un po' originali, però. Speriamo. Dimmi di sì anche se non è vero! XDDD

Sei sempre troppo gentile mentre io sono una spaccaBIIIP, mi vergogno sempre quando la gente è così buona con me mentre io sono una criticona! XD Mi fa venire quasi la voglia di diventare buona. Poi penso che, naaaaah, la gente mi ama così e così devo restare. E poi criticare è divertente! ^_-

Per me! XD Per gli altri un po' meno! XD

Attendendo il to to sulle manine per questo capitolo, ti mando un bacio! XD

 

Skiblue: Meno male. Allora difendimi con Mikayla che vuole picchiarmi se diventano meno comici i capitoli! ^_- Mi raccomando! Sei sempre molto gentile, ti ringrazio, anche a me quelle cose di caldo e freddo piacciono davvero parecchio! ^.^ Anche perchè in genere io sono la freddolosa che bestemmia nella neve (se si degnasse di nevicare in Romagna, certo! XD). Voglio il caldo, mi manca l'estate! XDDDD

Diciamo che è stato un capitolo molto sentito! XD

Ancora grazie mille e un bacio anche a te.

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Capitolo 5
*** Lettera 4 - De Sedulitate (James Potter) ***


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SOLO UN'ALTRA BANALE DICHIARAZIONE D'AMORE

 

Lettera 4 – De Sedulitate (James Potter)

 

La Torre d’Astronomia, lo sapevano tutti ad Hogwarts, era il rifugio preferito delle coppiette.

Tutti, almeno una volta nella vita, vi si erano appartati alla ricerca di un po’ di sacrosanta intimità, alla fine delle lezioni, con la scusa di approfondire un argomento particolarmente toccate affrontato durante la giornata, o per eseguire un ripasso dell’ultima ora. Se solo metà di quelle scuse idiote fossero state vere, Hogwarts sarebbe stato l’osservatorio astronomico più famoso di tutto il mondo magico.

Quello era decisamente il luogo più amato della scuola.

Sirius chiaramente lo detestava.

Proprio non riusciva a capire che fascino romantico potesse mai avere quella brutta torre appiccicata sotto il cielo stellato (come se si potesse trovare solo lì il cielo stellato!), situata là dove osavano giungere solo gli ippogrifi, sotto una lunga sfilza di scalini a chiocciola scricchiolanti che davano la malsana idea di potersi ridurre in frantumi da un momento all’altro. Tutto il pinnacolo era sottile e sghembo al punto da traballare pericolosamente ad ogni refolo più energico del normale, era torrida d’estate e gelata d’inverno. Le pietre erano ruvide e appuntite sotto il sedere e la porta era stata incantata magicamente, per questioni di sicurezza, di modo tale da non poter essere forzata con sortilegi di chiusura vari, per cui non si poteva contare nemmeno su una totale intimità.

Non era che uno stupido posto per esibizionisti arrapati.

Certo, in passato anche lui l’aveva adoperata spesso e volentieri, ma visto che ora non lo faceva più per ovvi motivi (non che le occasioni scarseggiassero, non mancava di ricordare a se stesso dandosi poi dell’idiota) e che con ogni probabilità mai l’avrebbe fatto, aveva tutto il diritto di disprezzarla.

E di bigiare, per quanto glielo consentisse il regolamento della scuola, le lezioni della professoressa Septima (il che era un peccato, dal momento che per lui era sempre stata una grande sofferenza negarsi la vista di una bella donna), al punto che una volta aveva costretto Peter a bere della Pozione Polisucco per fargli prendere il proprio posto.

E di fare improvvise sortite notturne nell’intima speranza di cogliere sul fatto giovani innamorati, di modo tale da poter sfogare su di loro la sua collera repressa, e non importava che questi fossero più grandi di lui. Una volta era andato contro un Caposcuola di Grifondoro il quale, per essere lasciato in pace, si era visto costretto a togliere punti alla sua stessa casa.

E di odiare con tutto se stesso quel vecchio arteriosclerotico di Silente per averlo costretto, in un moto di sadismo anormale, a passare per punizione il suo tempo libero lì, ad osservare da giorni il moto di una stupida cometa a coda di pavone per portare poi i dati studiati alla professoressa.

Come se fosse una cosa straordinaria, o come se un quindicenne nel pieno della propria salute sessuale non avesse avuto nient’altro da fare la notte. Lui non ce l’aveva, però Silente che poteva saperne? Il vecchio era vissuto davvero in un’altra epoca.

“Pensi di potermi dare una mano a regolare questo telescopio o hai troppo da fare?”

Quella voce sarcastica l’aveva riportato alla realtà.

Si era persino dimenticato di non essere solo.

Ultimamente si distraeva troppo spesso.

“Io mi occupo soltanto della parte che concerne la supervisione, ne abbiamo già parlato.”, biascicò pigro, senza smettere di fissare e analizzare distrattamente i fogli di pergamena su cui aveva appuntato in malo modo spostamenti e annotazioni particolari a riguardo del fenomeno astronomico che era stato imposto loro di studiare.

Cazzate prive di valore.

“Non ne abbiamo già parlato.”, aveva insistito l’altro incrociando le braccia. “Hai deciso tutto da solo, nemmeno vuoi farmi vedere quegli stupidi fogli. E’ tutta la settimana che scribacchi e vorrei proprio sapere cos’hai di tanto interessante da enunciare visto che alla fine sulla relazione dovrà starci anche il mio nome. O perlomeno dimmi perché dovrei obbedirti.”

L’altro gli aveva scoccato un’occhiata indispettita.

Quante volte avrebbero ripetuto quel ridicolo teatrino?

“E’ molto semplice, Ramoso.”, aveva replicato Sirius ingoiando a fondo una risposta ben più offensiva e un tono ben più sarcastico di quello adoprato. In fondo era il suo migliore amico, e non era sua la colpa della maggior parte di quel malumore che gli era gravato sulle spalle.

“Non ti aiuto perché tanto per cominciare mettersi ad armeggiare entrambi con uno stupido telescopio è da deficienti alle prime armi e noi siamo al sesto anno; non ti lascio mettere mano sui miei appunti perchè anche se ti rode sono io ad avere i voti migliori in Astronomia di tutta la scuola mentre TU rasenti la sufficienza; e dovrai obbedirmi perchè non sono io l’idiota che si è fatto beccare con le proverbiali mani sull’ampolla facendoci finire qui a gelarci le chiappe su una fottutissima torre a inizio marzo per fare osservazioni su una insulsa cometa i cui risultati influiranno pesantemente sui nostri M.A.G.O. l’anno prossimo E ora, per favore, lasciami ricontrollare con calma questi dati mentre tu ti occupi, com’è naturale che sia, della bassa manovalanza.”

L’altro, costretto alla resa da quelle motivazioni ferree, era tornato ai suoi affari sbuffando e borbottando come un calderone traboccante. “Tua madre ti manderà tante di quelle Strillettere da farti sembrare piacevoli le ramanzine della McGranitt.”

“Scherzi? Mia madre sarà entusiasta della lettera di Silente.”, aveva ghignato sarcastico facendo frusciare rumorosamente le pagine che stringeva tra le dita per il mero gusto d’infastidire l’amico. “Abbiamo allagato buona parte di questa indegna scuola zeppa di Babbanofili e sporchi Mezzosangue, non mi stupirebbe se decidesse di accantonare il suo eclatante progetto di cancellarmi dall’arazzo di famiglia.”

“E la cosa suppongo ti riempia di gioia.”

“Sto ballando, non si vede?”

“Quando fai così sei peggio di Remus.”, aveva sibilato acido James, e Sirius aveva schiuso nascostamente le labbra in un sorriso felice.

Era sciocco e patetico essere così contenti per un paragone fatto coi più chiari intenti offensivi (sia lui che James in effetti mal tolleravano l’eccessiva serietà del loro amico), ma bisognava aggrapparsi a qualsiasi cosa in situazioni come quella.

Persino alle stelle che tanto detestava.

Che recavano addosso segni e ricordi legati a una famiglia che odiava e da cui era mal tollerato a sua volta; venivano additate dalla mano elegante di Bellatrix e decantate in tutta la loro maestosa potenza; contemplate in devoto timore dallo sguardo silenzioso della gracile Narcissa; semplicemente ignorate da Regulus, sempre distratto, sempre rivolto altrove.

Al cielo muto e indifferente Remus doveva le sue pene.

Ogni mese assisteva impotente allo scempio di quel corpo troppo fragile: il diventare Animagus aveva fatto qualcosa, ma non abbastanza. Non impediva agli artigli di prendere il posto delle unghie, ai denti di lasciar spazio alle zanne, la coscienza piegata alle voglie perverse di un mostro estraneo e violento. E le grida. Le grida selvagge a squarciare l’eiaculazione d’argento di una luna infernale e le sue orecchie straziate di cane, sotto la risata beffarda e splendente di un cielo macchiato di luce.

Voleva comprenderne ogni malefico brandello per poi annientarlo tra le dita.

Persino l’oggetto dei suoi pensieri, in quanto figlio della bizzosa regina della notte, in un tempo lontano al punto da sentirlo estraneo non aveva fatto eccezione a quell’odio caustico. Perché, per quanto ora quei pensieri sembrassero così lontani da risultare estranei, c’era stato un periodo in cui l’unica cosa che aveva provato per lui era un ribrezzo acuto e dissacrante. Prima che l’amore era stato l’odio ad intaccare i sensi e annebbiare i pensieri in maniera quasi irreversibile.

Al ricordo tremava ancora, gonfio di repulsione per se stesso. Eppure per qualche ragione al tempo stesso quando la mente vagava incerta indietro a quei giorni, si ritrovava invaso da un senso di melanconico rimpianto. Anelava alla pace totale dei sensi, a costo di rinnegare tutto ciò con cui a fatica aveva imparato a convivere, perché era stufo di quella situazione.

Non era certo come se si fosse svegliato una mattina con la gioiosa consapevolezza di essersi invaghito di un altro ragazzo. Il fatidico giorno della realizzazione era stato assalito da una tale rabbia contro il mondo che aveva preso a unghiate le cortine del suo letto fino a ridurle in fini brandelli scarlatti. Aveva passato settimane nell’irrequietezza più totale, a vergognarsi persino di camminare per i corridoi come se ce l’avesse tatuata in faccia a lettere scarlatte. Solo col tempo, condito da un’immane fatica, aveva imparato ad accettarlo: non senza riserve, certo, ma si era sforzato di non vedersi più come un anormale…

Per poi sbattere il muso contro l’ovvia realtà.

Remus non l’avrebbe mai ricambiato.

Come poteva? Non era come se di omosessuali abbondasse la scuola, come se fossero visti di buon occhio dalla comunità magica. Remus, in particolare, gli era sembrato particolarmente omofobo. Da che ricordasse non aveva mai gradito molto la compagnia maschile: legatosi ai suoi tre amici come custodi del suo ineffabile segreto, assai raramente si intratteneva con altri uomini. Questo non perché, come aveva pensato in un primo momento, fosse particolarmente timido o timoroso dell’altrui giudizio: era solo che, come gli aveva confessato una volta il diretto interessato durante una razzia solitaria alle cucine, alla gente non aveva mai niente di interessante da dire. Però questo non gli aveva mai impedito di fare lo splendido con stuoli di sciocche ragazzine miagolanti.

Mentre lui si struggeva come un povero coglione.

Perché doveva essere sempre tutto così contorto, cazzo?

Se dei sentimenti si riuscissero a trovare le formule sui libri come col moto delle comete o si potesse regolare il cuore come un telescopio sarebbe tutto maledettamente semplice…

“E dove sarebbe allora il divertimento?”, aveva ridacchiato divertito James con quella nota di denso sarcasmo a vibrargli nella voce facendo sobbalzare l’altro per la sorpresa: in quello scatto all’indietro la nuca andò a cozzare dolorosamente contro la pietra facendogli sfuggire dalle labbra un guaito di dolore.

Domani avrebbe avuto un bernoccolo di dimensioni mastodontiche.

Schifosa mania di parlare ad alta voce.

“Parli facile tu…” Mugugnò ombroso il ragazzo strofinandosi con forza il palmo contro la nuca, in un vano tentativo di sedare il dolore. Gli pareva di sentirla la voce calda di Lunastorta irriderlo divertito: se si fosse spaccato la zucca nessuno avrebbe notato la differenza. “Non è come se fossi invischiato in una storia irrealizzabile…”

L’altro si fece scivolare via dalle labbra uno sbuffo stizzito che si condensò in direzione delle stelle. “Oh, no, certo Sirius, la mia vita sentimentale è sfavillante. Non è come se fossero anni che tento inutilmente di farmi notare dalla stessa ragazza ricevendo per tutta risposta umiliazioni, insulti, e quando mi va bene gelidi sguardi sdegnati.”

Sirius alzò lo sguardo al cielo, incredulo.

Era ancora lì a regolare quel cazzo di telescopio!

“Secondo me sbagli metodo.”

Negli occhi dell’altro si era accesa una luce febbrile. “Figuriamoci, quello è perfetto!”, aveva sbottato, con una sicurezza inquietante battendo il pugno contro il muro. “Non vedo perché dovrei fare come tutti gli altri e cascargli ai piedi scodinzolando felice! Io sono la novità, la differenza, e se ancora non mi ama una cosa è certa, non gli sono indifferente. Prima o poi capirà anche lei che, per quanto si sforzi di negarlo, sono proprio quello che cerca. E’ importante per un vero uomo comprendere prima ancora dell’interessata i più reconditi desideri della persona amata.”

“E’ tutto molto toccante, Ramoso, davvero.”, aveva mugugnato Sirius, poco convinto delle belle parole dell’amico. Sostanzialmente perché lo conosceva bene: un conto era sentirlo sproloquiare d’amor cortese e pazienza infinita, un altro era vederlo schiantare sulla soglia della sala da tè di Madama Piediburro un povero Tassorosso che aveva avuto l’ardire di invitarci la Evans per San Valentino. Se non altro era da ammirare la costanza. “Io però stavo parlando del telescopio…”

“Ah, quello…” James aveva fissato con disinteresse l’oggetto alla sua destra, ficcandosi a fondo le mani nelle tasche e stringendosi nelle spalle. “L’ho regolato da un pezzo, il telescopio. Stavo solo vedendo se da quest’altro era possibile dare una sbirciata ai dormitori delle ragazze.”

“E si vedono?”, aveva chiesto l’altro, sollevandosi sulle ginocchia.

Spinto solo da un’innocente curiosità scientifica, ovvio.

L’amare un uomo e struggersi per lui non gli aveva mica impedito di godere della splendida vista di una ragazza in biancheria intima.

“Ma figurati. La Evans mi ha colto sul fatto proprio l’altra sera e da allora mette sempre gli Incantesimi Offuscatori alle finestre.”

Era scoppiato in una risata fragorosa, felice e per nulla afflitta, che era riecheggiata per pendii e foreste, scivolando lungo l’acqua cheta del lago e rifrangendosi lungo i profili bassi delle colline, e Sirius si era trovato a sogghignare con lui, malgrado tutto, in una scialba imitazione: il suo era un riso debole e piuttosto amareggiato.

James era sempre stato così. Non importava quante volte cadesse dalla scopa colpito in faccia da un bolide lanciato a tradimento, o quante volte la Evans lo rifiutasse e lo umiliasse in pubblico, lui che era così orgoglioso.

Risaliva sempre in sella.

“Bene, mettiamoci al lavoro.”, sospirò il giovane Potter rassegnato all’idea che nemmeno quella sera l’avrebbero scampata, fregandosi le mani ghiacciate e chinandosi sull’obiettivo del telescopio, con la prospettiva di un’altra inutile nottata trascorsa a fissare il niente. Erano lì da una settimana e quella palla di roccia non aveva fatto nulla di particolarmente eclatante a parte esistere, bruciare e brillare.

Nulla per cui chiamare le autorità competenti, insomma…

L’Animagus aveva alzato la testa in alto fiutando istintivamente l’aria al pari della sua controparte canina in direzione di quel bizzarro fenomeno astrale. Più unico che raro l’aveva definito qualcuno che non rammentava. Qualche secchione. Qualcuno che non era finito in castigo. Forse Remus, che quella volta l’aveva scampata.

Non era poi tanto male, a modo suo.

Non potè fare a meno di gettare un’ulteriore occhiata a quegli stupidi fogli di appunti che ancora stringeva stupidamente tra le dita. Tra formule e grafici in angolini nascosti alla vista, aveva scritto frasi buttate là con una grafia incerta e frettolosa, nei caratteri ambigui, probabilmente sbagliati, dell’antico alfabeto runico che gli aveva dovuto insegnare Remus dietro pressanti richieste da quando l’Animagus aveva scoperto che alcuni simboli avevano dei significati non propriamente casti.

Che idiota.

“Ti amo Remus.”, aveva scritto.

Nonostante si fosse imposto di lasciar perdere.

Si morse l’interno delle guance fino a farsele sanguinare, per trattenere l’ennesimo sospiro.

James non aveva remore a sbandierare ai quattro venti ciò che provava per la Evans a costo di rendersi ridicolo per anni di fronte all’intera scuola, a manifestare i suoi sentimenti. Lui li nascondeva vigliaccamente dietro duri pensieri d’odio, tra gli stupidi appunti di Astronomia, scarabocchiati malamente sotto forma di simboli di una lingua morta ed estranea.

C’era davvero di che vergognarsi in quello che provava?

Oppure, molto semplicemente, non sentiva davvero qualcosa di serio per lui?

 

Fine Capitolo 4

 

Note di Fine Capitolo:

Dunque, un paio di righe stavolta le devo scrivere alla fine di questo capitolo. So che in questo capitolo, ma un po’ anche nell’altro, si è persa la connotazione più sciocca della fic. Me ne dispiaccio se la cosa deluderà il lettore, ma ho trovato molto più realistico questo senso di onnipotenza alla “Non mi sfuggirà, lo conquisterò ad ogni costo” alternato a momenti come questi di fosca cupezza rispetto ad un Sirius che si rende ridicolo nello stesso identico modo per 7 capitoli (perché tanti ne durerà la fic: 5 lettere, un prologo e un epilogo). Il mio scopo, pur nelle tinte di una commedia, non era fare una cosa interamente comica, ma descrivere i tormenti di una persona disincantata e tanto innamorata che forza se stesso per rivelare i propri sentimenti. E’ innamorato Sirius, davvero innamorato, e sciocco, ma ha una sua dignità. Spero di essere riuscita a renderlo tale senza abbandonare eccessivamente la vena allegra.

Anche stavolta due note.

De Sedulitate. Da Sedulitas – Sedulitatis, assiduità. Intesa come pazienza, continuità, zelo, ma anche come fedeltà. Non necessariamente nei confronti di una persona ma anche e soprattutto nei confronti dei propri sentimenti.

Il fenomeno astronomico a cui devono assistere James e Sirius per punizione non è inventato, ma esiste davvero. Nel 1976 infatti, dalla fine di febbraio per un mese intero, la terra fu accostata da una delle più note e straordinarie comete mai viste. La cometa West. La particolarità di questa cometa si deve al fatto che dalla sua testa giallognola usciva non una singola e semplice coda bensì un meraviglioso "ventaglio" di code, che ricordava la ruota di un pavone. La seconda caratteristica singolare di questa cometa riguarda il suo nucleo che si presentava frammentato in quattro pezzi, dovuto ai 30 milioni di Km. di corsa della cometa attorno al Sole. Nelle settimane successive i quattro nuclei si separarono sempre più l'uno dall'altro, finché addirittura uno di essi scomparve del tutto. Essa fu visibile fino a fine Marzo.

 

Passiamo ai commenti personali! XD

 

Boll11: Perdono magnanimamente la tua pigrizia perchè, per motivi a me inspiegabili, adoro il numero 36, quindi come recensione avrei accettato anche un MAVAFF!!! (si sentono le unghie graffiare sullo specchio da lì, scommetto! XD). Donna, ma che dobbiamo fare con questi mariti/fidanzati giocomani che tengono le mie amiche lontane dall'agognato pc? Niente, o ce li teniamo o li uccidiamo. Io sono a posto, il mio è già morto! XDDD Scherzo, naturalmente, scrivi quando più ti aggrada, già è tanto che commenti! XDDDDD

Dolce? Dolce?!

Trovi questa cosa DOLCE?

Potrei offendermi, sia messo agli atti! XDDD

No, aspetta, qui dolce è buono, ho una scommessa in atto... XDDD Mi ero incantata, non mi badare. Che dire? Che son contenta quando mi si dice che cose come questa (l'innamoramento adolescenziale) risulta credibile, in quanto come hai saggiamente detto tu io l'ho furbescamente evitato. D'altronde non è mica colpa mia se il maschio ravennate medio non apprezzava la mia bellezza harrypottesca! : P Insomma, dai, quindi non solo il sesso so descrivere (a quanto mi dici tu! XD) ma anche l'ammore! Sono un'autrice completa! XDDD Insomma, il dono di Remus ha un significato evidente per noi donnine che leggiamo tra le righe, Sirius ci vede una cosa brutta e riciclata (che poi Remus è veramente scemo, poesia a Sirius? Claro che lo vuole prendere in giro e sa benissimo che non lo capirà mai. Oppure, c'è un'altra possibilità ma non la dico voglio vedere se alla fine si capisce! XD) perchè, no, non ci sa proprio uscire dai suoi schemi di belloccio.

D'altronde è figo, a che gli serve un cervello? XD

E poi sti deliri a me fanno morire! XD

No, l'errore è colpa della mia tastiera a cui stano antipatiche le N, ne salta in continuazione. XDD

 

Saphira89: No, dai, non dovresti piangere, non è una cosa triste, così piango anche io! T_T Speriamo che ci sia davvero da divertirsi (perchè sono notoriamente un'autrice che dà molte certezze nella vita! XD) Ti ringrazio moltissimo per i complimenti e mi raccomando, continua a seguirmi! ^_-

 

Obsession: Sei la seconda che è sul punto di piangere con questo capitolo, non fatelo, che poi perdo la scommessa! XDD Sto scherzando, sono contenta assai che abbia un po' commosso, se no Sirius si sentiva scemo a piangere per una cosa che non meritava veramente lacrime. Poi strangola me, ma dettagli! XDDD GRAZIE!!!! L'esclamazione non è riferita a me stessa ma a te per aver avuto la voglia e il coraggio di lasciarmi un commento, e soprattutto di farmi i complimenti. Me lo dice la gente che scrivo bene, io tento di fare del mio meglio, se piace anche è tutto grasso che cola e a me non può fare che piacere! XDDD Ma figurati per il papiro, ben venga, a me piacciono i papiri (sono una graforroica e la lunghezza dei capitoli te lo dovrebbe far intuire! XDD Insomma, che dire, sono imbarazzata, sei troppo gentile! ^___^ Anche fan di Rheme mamma mia (questo mi ricorda che prima o poi ci devo rimettere mano a quella storia, argh! XDDD E' che non c'ho vogliaaaa! Ma venire a conoscenza di suoi fan è sempre bello! XD). Cercherò di non smettere mai di scrivere! ^_- Un bacio anche a te

 

Luz79: Grazie!!!! Son contenta di non essere risultata smielosa (io quando non ammazzo/faccio picchiare/insulto nessuno mi sento sempre troppo buona. E meno male che Sirius lo amo! XD) e che sia risultato gradevole lo spaccato infantile dei malandrini (anche a me son piaciuti molto! XD). Tra l'altro contentissima al massimo che Sirius e la sua mania degli abbracci non sia risultato smieloso perchè io faccio identico! XD Mi avvinghio a qualunque cosa produca calore (d'inverno non è raro trovarmi abbrancata al termosifone con la guancia cotta alla griglia! XDDD). Che risulti dolce è doppiamente un piacere. Mio e suo. Che tra l'altro essendo un cane l'ho immaginato come molto amante delle coccole! ^.^ Da padrona di tre bestie so quel che affermo! XD In effetti penso che il regalo di Remus l'abbiano capito tutti tranne Sirius.

Ma d'altronde lui è bellissimo, a che gli serve un cervello? XD

Ho visto che hai commentato anche la PWP. Non ho parole per dirti quanto abbia apprezzato il tuo sforzo (perchè è chiaro che ti sei sforzata di scriverla e che ti ha abbastanza turbata), per cui davvero grazie per questa fic e quell'altra! ^_^

 

_Umi_: Eccerto che c'è un motivo (l'han capito veramente tutti tranne il destiatario del messaggio, accidenti a lui! XD). Il problema è "è quello che pensi tu oppure io sono così originale da avere escogitato un altro motivo?" La risposta non ti farà dormire la notte penso! XD Grazie mille per i complimenti e bacioni anche a te.

 

Skiblue: No, non devi intristirti, Sirius non ha mai sentito la mancanza del Natale perchè non gliel'hanno mai fatto apprezzare, quindi non ha sofferto neanche un po'. Infatti se noti la descrizione è tutta molto asettica, non c'è ombra di rimpianto alla "ooooh, se avessi saputo, quanti lieti giorni con Regulus e mammina!" XDDDD No, niente del genere. Al massimo gli sarebbe importato solo se si fosse perso un natale coi suoi cari amici. Ma non l'ha fatto fortunatamente! ^_- Ooooh, dopo la fatica fatta per renderlo decentemente che sia riuscita a fartelo stare simpatico è un enorme complimento, grazie mille. Dopo questo capitolo temo sarà necessario il tuo intervento di difesa! XDDD Un bacio anche a te! ^_^

 

Chii: Stavolta le bacchettate sì, però, mi sa. Ma tanto ho skiblue che mi protegge! XD No, non metto triste, pensavo di mettere malinconico, perchè un po' ci si butta nella malinconia e nell'amarezza, lo trovavo un avviso più adatto! XD Wow, diventano sempre più belli i capitoli? Che bello, allora speriamo che continuino a crescere in bellezza fino alla fine (Mary incrocia le dita manco stesse concorrendo alla notte dei telegatti). La lettera... La lettera poveretta, deve essere scritta da uno veramente incapace! XDDDDD E' un personaggio da salvare quella povera lettera, rischia l'estinzione assieme alla poesia e al buon gusto. Arrivare nudo con un cartello addosso sarebbe molto più da Sirius, ne convengo! XD E non è detto che Remus non apprezzerebbe di più (e chiamalo scemo! XD).

Il ricordo del primo natale di Sirius ricordo di aver pensato all'inizio "mio dio, ci manca solo Scrooge del Canto di Natale e poi siamo al completo, che tristezza!" XDDD Fortuna che la gente non l'ha trovato patetico, perchè alla fine mi ci ero anche affezionata, era carino! ^_^ E Peter è la mia Orrocroce!!! XDDD

Accidenti, allora alla fine ho fatto una cosa banalinaspettata, non so se gioire o prendere a testate un muro come Dobby (oh! Stupid Mary!")! ^_- No, fargliela copiare e basta sarebbe stato squallidissimo e non potevo permettere che il mio ciccino si abbassasse a tanto. Ha comunque una dignità e ama davvero davvero Remus, mica è un furbetto come Peter, che probabilmente l'avrebbe fatto. Oddio, l'avrei fatto anche io perchè amo cercare la via più facile (SIrius la rifugge, lui se non si complica tutto poi la sera va a dormire male), è grave? Sono come Peter? XD

Ah, le mie fantasmagoriche poesie. Eh, già, perchè sono anche poeta! XDDDD

I sorrisini sono d'obbligo, ricordo me stessa al liceo che quando affrontavamo un poeta gemeva prima di scappare via in preda al panico e gridare "Leopardi noooooooo!"! XD Penso che la me stessa del liceo potrebbe prendermi a calci se scoprisse che non solo ho scritto poesie, ma che qualcuno le apprezza! XDDDDD

E sì, resti gentile! XD

Dopo tutti i tuoi complimenti, poi! ^_-

Io non lo sono davvero, sono stronzissima, specie di recente! XD Un bacione anche a te.

 

Nebbiolina: Argh, le tragicomiche! XD Nota dolente. La finirò, lo giuro!!!!! ^.^ Solo che al momento non ho voglia di mettermici e verrebbe uno schifo se non ho voglia. Ma la finirò, è una promessa!!! Dopotutto, domani è un altro giorno!!! Come finirà questa? Beh, di sicuro finirà, se bene o male non lo dico, non voglio rovinare sorprese! XDDD

 

Irishbreeze: Ammettiamolo. Gli sta bene quello che ha fatto Remus. Più spesso da solo deve lasciarlo, quando è costretto a pensare ogni tanto tira fuori anche una pensata decente! XD Ma poco poco! Ti dirò, l'idea di affrontare una cosa natalizia mi terrorizzava, a natale sono tutti troppo pucciosi! XDDDDD Meno male che è venuta una cosa dolce e non smelensa mi sarei odiata a vita! XDD Sirius coinvolto nel puccio? Sia mai! XDDD Spero bene di non risultare noiosa, pensa che palle, capitoli lunghi e pallosi! XD Roba da farsi buttare giù da un balcone perchè è più piacevole! XDDDD Beh, era l'unico modo di non risultare ripetitiva quella di dedicare ogni capitolo a una persona diversa che interagisce con Sirius! ^_- E' stata necessità. Ti ringrazio molto per i complimenti e.... al prossimo capitolo! XD

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Capitolo 6
*** Lettera 5 - De Commutatione (Lily Evans) ***


Nuova pagina 1

Ho pensato molto se postare o meno questo capitolo, essendo in sciopero (chi ha dato un'occhiata al mio account l'avrà immaginato, ho cancellato tutto! XD).

Però per rispetto verso le persone che mi leggono, lo faccio.

C'è pur sempre qualcuno che aspetta un aggiornamento, fosse anche una persona sola, e non mi pare corretto farlo tribolare! ^_^

 

Lettera 5 – De Commutatione (Lily Evans)

Non è mai stato in una biblioteca, Sirius.

Nemmeno in quella che ha a casa sua.

E’ ad Hogwarts solo da pochi giorni, le materie sono ancora tutte a livelli così elementari (per mettere in pari quegli sciocchi Figli di Babbani, pensa disgustato) da annoiarlo, e non ha ancora sentito il bisogno di un luogo in cui studiare. A volte sfoglia pigro un volume, tanto per non restare tutto il giorno con le mani in mano, sulla comoda poltrona della Sala Comune, ma si appisola quasi subito come sotto l’effetto di un incantesimo soporifero. Spesso deve svegliarlo quel ragazzino scemo con gli occhiali e quella buffa zazzera selvaggia di cui va tanto fiero.

Non voleva neanche venirci.

Odori imperscrutabili hanno guidato i suoi passi durante una delle tante escursioni senza meta, talmente vivi da sentirli addensarsi piacevoli come zucchero sulla punta della lingua. Odori rassicuranti e ovattati di polvere che danza pigra al sole tiepido d’autunno, di un caldo tepore che appanna i vetri di larghe finestre, di chiuso e protetto.

Sorride languido.

Di sicuro qui nessun lo verrà a cercare, nemmeno sua cugina che s’è tanto arrabbiata solo perché le ha sollevato la gonna davanti a tutti per poi scappare a gambe levate al fine di evitare una sonora battuta. Reprime un brivido al pensiero. Narcissa fa tutta la delicata per piacere ai ragazzi ma ha le mani pesanti di un Troll e nessuna paura di usarle. A casa hanno una stupenda libreria, l’invidia di ogni studioso dice suo padre, ma lui non è mai stato uno studioso.

I libri gli danno l’orticaria.

Qui però è bello.

Questi sono odori che sanno di casa.

Ed è strano pensare questo perché casa sua ha un profumo diverso. Non ha aroma né anima, come i suoi abitanti: è fredda e sterile nel suo essere un incantevole, perfetto nulla.

Non solletica seducente i sensi come questo luogo.

Passeggia soppesando lento ogni passo, le mani allacciate dietro la schiena che ogni tanto scioglie a sfiorare coi polpastrelli il dorso ruvido di un tomo che ha attratto la sua attenzione, tra corridoi tortuosi e tutti uguali. Lancia occhiate distratte alle teste chine sui libri, ai lunghi rotoli di pergamena: nelle orecchie suoni smorzati di placidi bisbigli e il secco grattare delle piume d’oca sulla carta ruvida.

Ma non è quello ad attirare la sua attenzione.

C’è ancora qualcosa da trovare, lì.

Segue ancora l’effluvio dei libri, quel vago sentore di carta vecchia e sfrangiata contando i passi che lo separano da uno spigolo, gli scaffali in ogni stretto passaggio, i numeri di volumi che gravano su ogni scansia. Ogni tanto una nicchia appartata cela allo sguardo una coppia d’amanti, ma lui tira dritto senza degnarli d’attenzione.

E cerca ancora.

Si addentra sempre più in quel dedalo di casellari incantevoli, finché, giunto nell’ultima nicchia dell’ultimo vicolo cieco dell’ultimo passaggio, non c’è più una traccia da seguire.

Non è solo.

C’è un ragazzo di fronte a lui che nemmeno si accorge di avere compagnia. Legge da una pergamena col mento poggiato alla mano, i fini capelli castani che si accendono d’oro e di luce a coprirgli lo sguardo. Canticchia sommesso, seduto ad un vecchio scrittoio scuro: quello che i ragazzi più grandi gli hanno sempre detto di non adoperare perché è piccolo e scomodo, zoppica al minimo spostamento e nel corso degli anni piccoli fori di termite gli hanno dato una forma incompleta e sgangherata.

Sirius pensa, maligno, che non esiste posto più adatto per quel ragazzo dall’aria dimessa e lascia che lo sguardo corra alla toga di seconda mano che lo avvolge malamente, le maniche troppo corte e il colletto liso, giù lungo i pantaloni che hanno visto troppi incantesimi di rammendo e a quei mocassini sfatti. Ma c’è una calma, nobile dignità nei modi che lo incanta e gli inchioda i piedi al suolo anche se lo trova un ragazzo per nulla interessante, o di cui valga la pena fare la conoscenza. Forse è quel motivo insistente che canticchia sommesso a rapirlo: Sirius non riconosce la musica che fluisce via dalle labbra sottili, ma sente che dovrebbe.

Ha il sapore di ciò che l’ha portato lì.

La traccia di quell’uggioso pomeriggio d’autunno.

Ed è quello il momento in cui il canto cessa. Il ragazzo solleva lo sguardo e il grigio plumbeo si mescola con l’ambra splendente. Dura appena un istante, il tempo di un battito di ciglia o di un frullio d’ali di boccino: c’è a malapena il tempo di rendersi conto che il ragazzo non sta guardando lui, ma lo trapassa da parte a parte come fosse un idolo d’aria, e il contatto visivo è interrotto. Neanche un cenno del capo in segno di saluto, e il ragazzo torna ad occuparsi di quel pezzo di inutile carta.

Sirius si scrolla nelle spalle e torna sui suoi passi, ma dentro vorrebbe gridare. Come fa il suo corpo a mantenere un tale controllo, a palesare un così cieco distacco? Come fa a non sentire il dolore che lo deturpa? Non gli piace venire ignorato a quel modo.

Quel ragazzo non dovrebbe guardare che lui.

Non sa perché, ma è così.

Fa male…

 

Non è il dolore a svegliarlo.

Le fitte acute ed insistenti all’avambraccio, punture inflitte con la punta d’acciaio di una piuma d’oca da una mano dispettosa, si sono fuse in maniera indissolubile con lo strazio al petto che l’aveva afflitto nel sogno al punto da confondersi nella mente.

Non è stato il suono del suo cognome pronunciato da labbra piene e morbide, a riportare i suoi sensi alla realtà.

E’ l’odore a scuoterlo. Ancora.

Dischiude gli occhi mentre la realtà si fa strada, sfocata, dietro le palpebre pesanti e sgradevolmente cispose, e aggrotta le sopracciglia infastidito. Alle volte il suo istinto di cane si azzuffa con la lucidità di mente umana: sono quelle le volte, sospese tra sogno e veglia nel buio degli occhi serrati, in cui l’odorato si impunta e pretende di far passare il mondo attraverso quei due minuscoli fori di carne in fondo al naso. Cataloga pignolo, riconosce, ricorda. Nessuna meraviglia che la sua forma Animagus sia quella di un cane.

Solo quando apre gli occhi tutto si attenua.

Ma l’odore è ancora là a tormentargli i giudizi, piacevole e impenetrabile.

 

***

 

Sirius si ridestò nel peggiore dei modi possibili: con i timpani perforati da una vocetta acuta e insistente a ripetere il suo nome a macchinetta, sotto i colpi di lunghe dita appuntite (artigli affilati come falcetti da druido) e pizzichi inferti senza meta sulle braccia nude, le guance e la nuca.

Un vero e proprio assalto offensivo da denunciare al Ministero.

“La biblioteca non è posto per dormire, Black!”

Quel trillo vivace stemperato di malizia fu la goccia che fece traboccare l’ampolla: con uno scatto che si sarebbe potuto definire solo “animale” l’Animagus prese con forza quel polso sottile che gli dava noia e spalancò gli occhi in quello che avrebbe voluto fosse un ringhio feroce. Ne uscì una smorfia penosamente assonnata e stordita che non avrebbe impaurito nemmeno Peter. La ragazza scoppiò in una risatina malcelata.

“Evans, che palle, sono stanco!”, gridò a voce decisamente più alta del consentito, guadagnandosi un’occhiata tutt’altro che cordiale dai pochi presenti e da Madama Pince, che molto signorilmente ignorò: le spinse via il braccio con uno scatto secco. “Ho passato tutta la notte ad occuparmi di questa schifezza con le foglie, dammi tregua!”, aggiunse in un sibilo scortese, indicando con un gesto stizzito della mano la pianta rachitica e sofferente che gli stava davanti, sul tavolo.

Lo sguardo della ragazza si fece cupo e la bocca si atteggiò ad una smorfia di incredulo disgusto nell’istante in cui si accorse di quel povero ammasso informe di foglie rinsecchite che troneggiava in tutta la sua pochezza sul tavolo davanti al compagno di classe.

“Per Morgana, cos’è questa cosa?”

“Un Luniolo.”, ringhiò Sirius piccato, come se fosse evidente e fosse Lily la stolta che non riusciva a vedere l’ovvio.

Peccato fosse una delle migliori del suo corso.

“Un… Luniolo?”, gli fece eco la ragazza in un gemito soffocato, in un disperato tentativo di non ridergli impietosamente in faccia, mentre il viso dell’Animagus per l’umiliazione s’andava tinteggiando di un’interessante gamma di colori che andava da un tenue grigio “cencio-per-cessi” a un brillante verde “stendardo-di-Serpeverde” (difficile pensare a quale immagine risultasse più ributtante). “Sul nostro libro di Erbologia c’è una foto un po’ diversa. Dovrebbe essere un…”

 

 

“… Denso cespuglio eretto e molto ramificato con grandi foglie di un lucido verde smeraldo cupo dalla base a forma di cuore. Produce fiori profumati di forma pentalobata i quali, schiusi all’imbrunire, emettono un tenue lucore bianco azzurrino. Produce semi fertili, legnosi, neri e a forma di uovo, che opportunamente trattati rappresentano l’ingrediente principale di molte pozioni d’amore più o meno efficaci.”

“E’ carino, no?”

Le labbra del ragazzo che leggeva si storsero in una smorfia poco convinta non appena chiuse con un tonfo secco il pesante tomo che l’altro gli aveva messo tra le mani.

“Carino non è esattamente la parola che cercavo…”

“Non va bene?”, chiese l’altro, sinceramente stupito.

“Sirius, è una pianta così effeminata che anche le ragazze si vergognerebbero a presentarla come progetto di Erbologia, perché dovremmo farlo noi?”

Sirius si strinse nelle spalle con fare fintamente distaccato, quando dietro moriva di vergogna per se stesso. Non poteva certo confessargli che l’aveva scelta perché gli ricordava troppo l’idea di loro due insieme! “Non lo so, è stata un’intuizione: mi sembrava bella, delicata e difficile da curare. Pensavo che ci avrebbe fatto guadagnare un buon voto per i progetti a coppie di fine anno.”

Il licantropo, gettato con malgarbo il libro sulla scrivania a cui era seduto, afferrò di nuovo tra le dita la piuma d’oca e tornò a scribacchiare qualche riga del suo tema di Storia della Magia come stava facendo prima di venire bruscamente interrotto, non senza prima lanciare in direzione del suo compagno di studi un’occhiata tutt’altro che fiduciosa.

“A te non interessano i buoni voti.”

“Ma a te sì.”, insistette l’altro sorridendo. “Mi hai scelto per farti da compagno, voglio impegnarmi.”

“Non ti ho scelto, mi sei stato affibbiato.”, sbottò l’altro con le guance imporporate per lo sdegno, e la punta della penna premuta con troppa forza sulla carta schizzò una larga macchia d’inchiostro che gli fece mormorare un’imprecazione tra i denti. “Sono entrato in classe in ritardo quando si erano già decise le coppie ed eri rimasto libero solo tu, perché sei talmente un disastro in quella materia che nessuno vuole avvicinarti.”

A fatica Sirius riuscì a non ribattere a tono a quella battuta come faceva di solito.

In genere si partiva con un rimando poco gentile al fatto (tra l’altro vero) che secondo lo stesso metodo c’era un certo licantropo di sua conoscenza il quale, a causa di una sua incapacità biologica nel tenere in mano fiale e ampolle, finiva immancabilmente a fare coppia con lui a Pozioni. Remus replicava con qualcosa di altrettanto acido e si finiva a battute sarcastiche e a musi lunghi tenuti fino all’ora di cena.

Mordendosi la lingua ingoiò l’orgoglio e chinò umilmente la testa, trovandosi improvvisamente molto interessanti le punte delle scarpe.

“Voglio solo fare del mio meglio.”, mugugnò con voce a malapena udibile, e alle proprie orecchie apparve a tal punto lagnosa e isterica che lottò con tutte le proprie forze per non scappare in lacrime dalla stanza come ogni brava femminuccia che si rispettasse.

Dopo questa Remus l’avrebbe preso in giro a vita.

Invece, contro ogni previsione, il licantropo gli aveva sorriso.

“D’accordo, Sirius.”, aveva detto dopo un istante di stranita quanto giustificata perplessità. “Portiamo questo Luniolo come progetto di Erbologia, voglio fidarmi della tua intuizione.”

 

 

Passarono lunghi istanti di silenzio teso durante i quali Sirius fu indeciso tra il ridere di se stesso di quella situazione, che se fosse accaduta ad un altro sarebbe risultata davvero spassosa,  o il prendersi a pugni da solo fino a cambiarsi i connotati. Di nuovo.

Scartò la prima ipotesi perché non stava accadendo a un altro.

Scartò la seconda, ma solo perché sarebbe stato un delitto per l’intero mondo magico rovinare un viso così bello. In preda allo sconforto più totale si prese la testa tra le mani e un rantolo disumano gli scaturì dalle labbra pallide.

“Evans, ho combinato un casino.”

Lei non riuscì proprio a negarsi quello sbuffo stizzito.

“Vorrei dirti che provo compassione per te, Black, ma non sono una bugiarda.”, sentenziò pedante la ragazza con la solita lingua venefica che la contraddistingueva, quella che faceva chiedere spesso all’Animagus cosa mai ci trovasse in lei il suo migliore amico. Era una persona talmente noiosa e inquadrata da dare la nausea. Si sarebbe trovata meglio di lui in casa Black se non fosse stata, per dirla con le parole di sua madre, una sudicia Sanguesporco.

Non paga di quell’accanimento incrociò le braccia e lo squadrò da capo a piedi con uno sguardo di biasimevole superbia. “Solo tu potevi fallire in un compito che avrebbe potuto eseguire perfino il Troll più stupido della compagnia: quello cieco, sordo, bendato e con le mani legate dietro la schiena. Scommetto che hai passato la serata a sognare sconcezze invece di tenere al riparo i fiori del Luniolo dalla luce diretta della luna piena.”

“Non è così!” sbottò l’Animagus sostenendo il suo sguardo a riprova della sincerità delle sue affermazioni. “Stavolta mi sono impegnato davvero!”

“E i risultati si vedono, infatti.”, ghignò la ragazza indicando i brutti petali neri, ormai irrimediabilmente inceneriti.

Sirius tacque.

Che pensasse quello che le pareva, lui aveva fatto davvero del suo meglio. Assieme a Remus aveva passato giorni ad innaffiare le radici contando le gocce al millimetro e notti insonni a dosare la luce lunare, si era sporcato le mani di concime e si era fatto appiccicare addosso l’odore di quei fiori al punto che anche le ragazzine del primo anno avevano cominciato a prendersi gioco di lui. Si era fatto persino mordere senza che se ne rendesse conto, da un cucciolo di Dixie che fuggito dall’aula di Difesa contro le Arti Oscure aveva trovato riparo tra le sue foglie, finendo in infermeria.

E gli aveva dedicato ogni momento libero della notte precedente, quando per la prima volta Remus si era fidato a lasciargliela accudire da solo, senza la supervisione di Peter, dietro le sue ripetute insistenze.

Non gli aveva neanche mai levato gli occhi di dosso, tranne i rari istanti in cui un ululato lontano e disperato l’aveva fatto istintivamente sobbalzare: in quei momenti correva a perdifiato alla finestra spalancata per poi sporgersi pericolosamente aggrappato al cornicione di pietra antica, nel vano tentativo di scorgere tra le chiome incolori degli alberi le sagome dei suoi amici.

Che cavolo avrebbe potuto fare più di così?!

Sirius chinò la testa tra gli avambracci, soffocando un rantolo frustrato e collerico.

Possibile che non ne combinasse mai una giusta?

Voleva comportarsi in maniera perfetta…

Che Remus lo apprezzasse…

“Non posso dirglielo.”, borbogliò. “Mi ucciderà.”

“Beh, non è che tu abbia molta scelta.”, sbuffò la ragazza atteggiando le labbra ad un broncio. Una mano sottile salì a scostare dagli occhi verdi una lunga ciocca di capelli rossicci con quel fare naturalmente civettuolo delle ragazze della sua età. “Cosa conti di fare, tenergli nascosta la verità fino al giorno della consegna, dove cercherai di convincere la Sprite che il vostro Luniolo è di una specie invisibile sperando che la beva e vi dia un Oltre Ogni previsione e un abbraccio affettuoso?”

“Certo che no, che idea balorda!”, sbottò il ragazzo cancellando mentalmente il piano A dalla lista delle trovate da mettere in atto per risolvere la situazione.

“E poi forse Remus ti perdonerà.”

“Tu che faresti al suo posto?”

“Ah, io ti ucciderei.”, replicò pronta la ragazza, ignorando il gemito strozzato dell’altro. “Ma io non sono Remus. Conoscendolo, probabilmente si darà la colpa di tutto l’accaduto per aver permesso a uno come te di mettere le mani sul suo compito di Erbologia di fine anno.”

Un’ipotesi che Sirius trovò decisamente realistica.

“Questo non mi consola…”

“Oh, Sirius, insomma, smettila di fare tutte queste scene. Non ti è mai interessato avere buoni voti in Erbologia, si può sapere…”

 

 

“… Cosa c’è sotto stavolta?”

L’Animagus sollevò lo sguardo genuinamente sorpreso dal libro che aveva recuperato quel pomeriggio dalla biblioteca per incontrare quello falsamente svagato dell’amico. James gli si stagliava davanti nella sua tipica posa da combattimento, con le gambe larghe ben piantate a terra e le braccia incrociate in grembo. Gli occhiali rifrangevano la luce tremolante del camino attiguo, nascondendo gli occhi e creando un inquietante gioco di luce.

“Come, prego?”

“Ma guardati!”, sbottò l’altro indicando l’amico con un gesto stizzito della mano. “Ti impegni nello studio anziché russare dietro qualche libro di testo durante le lezioni, fai guadagnare punti a Grifondoro invece di farcene perdere a secchiate, diserti le nostre immancabili punizioni di gruppo settimanali per andare in biblioteca a farti sotterrare dalle pergamene.” Il ragazzo si passò le dita nell’intrico dei suoi capelli indomabili dopodichè batté il pugno con violenza contro la spalliera della poltrona su cui stava seduto l’amico, facendolo sobbalzare.  “E come se tutto ciò non bastasse passi ogni momento libero a leggere o ad occuparti di quel fiore da finocchi!”

Sirius scosse la testa con paziente commiserazione, chiudendo con calma il tomo e posandolo sul tavolinetto che aveva accanto, di fianco al vaso col Luniolo appena sbocciato, da cui difficilmente in quei giorni, in un momento così delicato della sua crescita, si separava. Se fosse bastato quel fiore a renderlo un finocchio le cose sarebbero state davvero troppo semplici.

Decise di evitare lo sguardo collerico dell’amico.

Invece reclinò la testa all’indietro contro la soffice spalliera cremisi e chiuse gli occhi, mentre un sorriso tronco salì a increspargli le labbra.

“Ti rode solo perché ti sto dedicando meno attenzioni.”

“Certo che mi rode!”, gridò l’altro a voce decisamente più alta del necessario. Un paio di ragazzini del primo anno attardatisi in Sala Comune si affrettarono a prendere la via dei dormitori. Nessuno badò loro. “Uno dei più grandi figli di puttana che abbia mai messo piede ad Hogwarts ridotto a una larva di Vermicolo, è un’empietà! Prima a cena tuo fratello ti ha dato della fioraia e non hai neanche risposto a tono. Te ne sei stato a fissarti il piatto tutto il tempo, ci mancava solo che lo ringraziassi!”

“Non meritava una risposta.”

“Non…”, tentò di fargli eco James, ma la frase gli rantolò in gola per poi morirci tra atroci sofferenze. Fissò l’amico come se avesse di fronte un estraneo, o una specie di mostro. Un mostro particolarmente composto ed educato, spaparanzato su una delle comode poltrone della Sala Comune col naso ficcato tra vecchie pagine ingiallite quando avrebbe potuto essere in giro con lui a combinarne di tutti i colori.

Di fronte a quello spettacolo indecoroso levò la mani al cielo emettendo un rantolo di resa.

“Perduto… L’abbiamo irrimediabilmente perduto.”, gemette con una disperazione acuta nella voce che aveva del comico mentre la testa ciondolata con forza da un lato all’altro agitava scompostamente le ciocche nere, dando alla testa del giovane Potter un’aria ancor più dimessa. “Sei diventato noioso come Lunastorta. Senza offesa naturalmente.”, aggiunse subito dopo, voltandosi verso l’altra poltrona, quella alle sue spalle.

“Naturalmente…”, sorrise Remus dal suo posto senza distogliere lo sguardo dalle fiamme vive, rivolto più a se stesso che all’amico che già era tornato a rivolgere la propria attenzione all’altro, il quale continuava a murarsi dietro le ciglia serrate in un ostinata fissità.

Il respiro era calmo e controllato, e la testa leggermente china di lato lasciava presupporre che Sirius si fosse abbandonato al sonno. Le sopracciglia accartocciate in una smorfia a metà tra il fastidio e il disgusto, i pugni premuti sulle cosce stretti fino a far diventare le nocche bianche e l’incavarsi quasi impercettibile delle guance strette tra i denti, però, tradivano il suo nervosismo.

In altri frangenti il suo amico sarebbe scattato su da un pezzo, irritato dalle troppe chiacchiere, e gli sarebbe saltato alla gola pronto a cominciare una “rissa per la supremazia del territorio”. Roba da maschi, come le chiamava bonariamente Remus. In altri sarebbe saltato su dalla poltrona agitando le mani come un folle e avrebbe inforcato la via dei dormitori sciorinando la sua forbita sequela di imprecazioni. Quella calma non era decisamente da lui.

Era irritante…

“Felpato, si può sapere che succede?”

Gli occhi di un freddo grigiore metallico, innaturale in quello sguardo solitamente così vivo, si spalancarono nei suoi all’improvviso, cogliendolo di sorpresa, e un sospiro stanco di cupa rassegnazione vibrò nel petto del ragazzo, scivolando a fatica fuori dalle labbra.

“Sai, a volte le persone possono aver semplicemente voglia di cambiare.”

 

 

“Si può sapere perché continui a seguirmi?”

“Si dà il caso che abbia lezione di Aritmanzia e l’aula sia da questa parte.”

“Aritmanzia ce l’hai tra un’ora.”

“E tu come lo sai?”, chiese lei, stupita. “Potter ha recuperato di nuovo i miei orari di lezione per farsi trovare casualmente lì?”

“No.”, sbuffò l’altro scuotendo la testa. “Anche Remus frequenta quel corso.”

“Ah, già… E tu sai sempre tutto di Remus, vero?”, inquisì la ragazza con un ghigno sardonico.

Sirius si fermò nel bel mezzo della strada, rischiando un tamponamento con un ignaro passante e si voltò nella sua direzione, fissandola torvo. “Sì, so tutto, perché si dà il caso che siamo amici.”, mentì, sperando di risultare convincente. Se non gli fosse piaciuto non avrebbe saputo neanche il suo nome. Per dirne una, James aveva continuato a frequentare le lezioni di Cura delle Creature Magiche (Merlino solo sapeva il perché), e ogni volta che tornava pesto e livido, nonchè sporco di ogni sorta di fanghiglia, immancabilmente Sirius gli chiedeva dove fosse stato.

“Amici ma non per molto.”, ridacchiò ancora lei, per nulla intimorita dal ringhio istintivo che vibrò nella gola del ragazzo a riprova della sua irritazione. “Aspetta che veda questo capolavoro senza foglie, ti toglierà anche il saluto.”

L’Animagus, trattenendo a stento tra la lingua e i denti uno degli improperi più memorabili della sua illustre carriera di individuo scurrile e ribelle riprese a camminare di scatto ma Lily pronta gli trotterellò dietro senza fatica.

I due continuarono a spalleggiarsi e insultarsi lungo i corridoi affollati sorpassando ignari studenti e professori nel disinteresse generale.

Non era strano veder battibeccare la Evans con uno dei Malandrini.

“Dove stiamo andando?”

“Ai dormitori.”

“Come fai ad essere così sicuro che sia lì?”

Dove dovrebbe essere dopo una notte di luna piena?

Sirius non rispose e accelerò il passo ma venne nuovamente affiancato dalla ragazza con una facilità che aveva dell’irritante. Bella forza! Con quel vaso stretto tra le braccia e la borsa piena di libri appesa malamente al collo a sbattergli contro le cosce non era facile attraversare corridoi gremiti di gente perdigiorno che sembrava non avere altro scopo nella vita che quello d’intralciargli la strada. Lei invece saltellava leggiadramente sulle scarpette lucide, appesantita solo da un paio di luridi fogli di pergamena e un testo di Difesa contro le Arti Oscure ben stretti al petto, quasi temesse che qualcuno potesse essere interessato a rubarglieli.

Stupida femmina…

“Come mai hai tanta fretta di andarglielo a dire?”

“Evans, ma non hai proprio niente di meglio da fare?”

“Meglio che assistere alla sistematica distruzione della tua dignità? Proprio no.”

Su per le rampe l’Animagus si ritrovò a pregare che le scale impazzissero e modificassero il loro assetto di modo che loro due avrebbero girato in tondo per una settimana buona, ma quel giorno stranamente (perché stupirsi?) sembravano tranquille, immote scale babbane. Quando invece aveva fretta lui veniva sbattuto nell’ala opposta del castello.

Stupide scale

Un paio di volte l’Animagus tentò di fare lo sgambetto alla ragazza come faceva sempre con Regulus quando aveva la malsana idea di fare la spia di qualcosa che aveva fatto con la madre, ma lei, temprata da anni di simili dispettucci e tirannie da parte della sorella maggiore, aveva risposto a tono con un sonoro pestone sul piede che l’aveva fatto zoppicare per venti gradini buoni.

Arrivati al settimo piano Sirius schiacciò intenzionalmente la coda a Mrs. Purr palesando una svista sotto lo sguardo di biasimo di Lily.

Non visto, sorrise.

 

 

“Stupido gatto del custode!”

Il ruggito furibondo del ragazzo riecheggiò nella piccola infermeria incurante che madama Chips, probabilmente nei paraggi, potesse sentirlo e cominciare una ramanzina chilometrica a riguardo del suo turpiloquio da osteria. Sirius sbuffò, reprimendo un sibilo di dolore nel momento in cui l’osso della mascella scricchiolò in maniera preoccupante: i felini non li aveva mai sopportati e il sentimento era reciproco da parte di quelle bestiacce demoniache, specie da quando era riuscito a dominare la sua trasformazione in Animagus.

Ma li sopportava ancora meno quando questi si mettevano d’impegno con la loro malefica esistenza a rovinare uno dei momenti più belli della sua vita.

Maledetta sfiga sempiterna e maledettissimi gatti pulciosi!

Fece per alzarsi ma venne spinto nuovamente contro il cuscino da due mani salde: tutta la delicatezza del mondo non sarebbe bastata ad evitare all’Animagus una fitta acuta di dolore per tutto il corpo, figuriamoci quella premura sbrigativa da Troll.

Emise un guaito di dolore.

“Non te lo ripeterò un’altra volta, Sirius.”, ordinò Remus sollevando lo sguardo dalla copia della Gazzetta del Profeta che stava sfogliando. “Sta’ fermo o sarò costretto a immobilizzarti.” Aggiunse, brandendo a riprova delle sue parole la bacchetta e rigirandosela tra il pollice e l’indice.

Remus sembrava davvero di pessimo umore.

L’animagus si affrettò ad obbedire.

“Scusa.”, deglutì intimidito, ma l’altro era già tornato ad immergersi nella lettura e non gli prestava più attenzione.

Volse lo sguardo al soffitto e si permise un sospiro.

“Hai avvertito Ramoso che sono in infermeria?”

L’altro scosse la testa. “Non mi sono mosso da qui.”

“Lo specchio…”, tentò di dire, ma venne malamente interrotto.

“L’hai lasciato in dormitorio.”

Sirius annuì stancamente senza neanche chiedersi come facesse a saperlo. Doveva avergli frugato nelle tasche e nella borsa coi libri mentre era incosciente. Era un vero sollievo, rammentò dopo un primo momento di terrore al pensiero che nella borsa c’era la bozza della sua lettera, che solo pochi giorni prima avesse imparato quegli incantesimi di sigillo per impedire a chiunque non fosse lui di vederne il contenuto, altrimenti sarebbe morto di vergogna.

Il che era paradossale dal momento che lo scopo di quegli aborti scrittori era proprio farglieli leggere. Sottomesso alla stupidità delle sue stesse elucubrazioni deliranti si arrese all’evidenza di essere un caso disperato e non gli parve più tanto strano l’essere finito in infermeria nella maniera più ottusa possibile. Gli uomini, i veri uomini, ci finivano per le ragioni più svariate: dopo un incontro di Quidditch o una virile scazzottata (con o senza l’uso di poteri magici era poco importante). C’era chi ci finiva per un incantesimo sbagliato o una pozione malriuscita.

Alcuni, come Remus, per una maledizione.

Lui ci finiva inciampando nella coda di una gatta spelacchiata.

“Certo che potresti anche essere più gentile.”, mormorò demoralizzato.

L’altro si accartocciò il giornale tra le dita con un gesto stizzito, del tutto inaspettato, e se lo appallottolò ai piedi, capendo che non sarebbe proprio riuscito a leggere in pace. Non che non se lo aspettasse, naturalmente. Sirius tendeva a detestare quegli incantevoli momenti di silenzio in cui era costretto a fare i conti con i suoi pensieri.  Lo costringevano a ragionare, e la cosa lo riempiva di sgomento.

“Certo che per essere lo stupido che è rotolato giù come una Pluffa per due rampe di scale parli decisamente troppo.”

“Io non sono caduto!” sbottò l’Animagus a voce alta. Ripensare a quella scena era davvero imbarazzante, anche se non ricordava poi granché.

Era stato tutto molto rapido: la sensazione che il mondo stesse rotolando su se stesso; un gran dolore dappertutto nel momento in cui membra, tronco e nuca avevano cozzato impietosamente contro la dura pietra; imbarazzanti strilli da ragazzina che gli echeggiavano ancora nelle orecchie e quella caduta di faccia finale, così improvvisa da non aver avuto nemmeno il tempo di farsi scudo con le mani. Era stato Remus a portarlo in infermeria.

Erano tutti in Sala Grande per il pranzo.

Loro si erano attardati perché Sirius non riusciva a sistemarsi i capelli.

“E’ stato quell’animale deficiente a farmi inciampare, si è messa in mezzo!”

“Non dare la colpa alla povera Mrs. Purr della tua imbranataggine.”, rispose tranquillo Remus, incrociando le braccia al petto e reclinandosi all’indietro contro la parete di fianco al giaciglio dell’amico, quella vicino alla quale aveva sistemato lo scomodo sgabellino dell’infermeria, la testa piegata di lato in un’adorabile movenza canina, con quel sorriso obliquo a fendergli il viso. C’era da incantarsi a guardarlo.

“Lei stava dormendo acciambellata accanto al muro, sei tu che le sei finito addosso di peso. Di sicuro lei è conciata molto peggio di te. Devi averla spaventata a morte.”, aggiunse con un ghigno. Di sicuro trovava tutta la faccenda molto divertente.

Non c’era lui a contarsi i lividi e a chiedersi se domani a lezione avrebbe ancora avuto il naso gonfio e rosso come quello di Hagrid.

Sopraffatto da quel pensiero orribile e spaventoso si portò istintivamente la mano (quella che non si era rotto, la quale era guarita ma gli dava ancora qualche noia) al naso per sincerarsi dei danni, ritraendola subito con un sibilo. Non che sentisse dolore, anzi, la zona era completamente insensibile, ma al tatto gli sembrava d’avere in mezzo alla faccia un inguardabile ammasso poltiglioso di sangue raggrumato e lividi. Non aveva il coraggio di rendersi conto coi propri occhi del risultato.

Anche con tutti gli Incantesimi di Guarigione del mondo sarebbero passati dei giorni prima che la sua faccia riacquistasse le sue normali (meravigliose) fattezze. Frustrato strinse le labbra in una linea esangue, ma il bordo scheggiato dell’incisivo recise la pelle tenera delle labbra, facendolo desistere.

Questo perché ovviamente la Chips aveva terminato la Pozione Crescidenti.

In quel momento era nelle serre a chiedere alla professoressa Sprite quanto ci avrebbero messo a maturare i baccelli di Citrococcalo, l’ingrediente fondamentale.

Con la sua fortuna, minimo un mese.

Però, naturalmente, Remus non provava la benché minima compassione.

Lui sarebbe andato in giro invidiando persino la faccia di Mocciosus e lui si preoccupava del gatto.

Invaso da un cupo senso di irritazione si voltò su un fianco di modo da dare le spalle all’altro, pentendosene subito amaramente nel momento in cui venne colto dalle vertigini. Ora capiva perché gli dicevano tutti di stare immobile.

Ma era roba da poco.

“Certo che è davvero strano, Remus John Lupin che prende le difese di qualcuno che non sono io.” Un ghigno mestamente sarcastico, di segreta soddisfazione, gli piegò le labbra al pensiero dello sguardo infastidito del licantropo, che detestava essere chiamato col suo nome completo. Lo trovava troppo altisonante per una persona come lui. “Mi sarei meravigliato di trovare un po’ di appoggio da parte tua, anche se dovrei essere grato di questa tua aperta manifestazione di dissenso: di solito preferisci voltarti dall’altra parte.” Sputò su quelle parole tutto il suo disgusto e il suo dolore.

Essere ignorato era una cosa che mal sopportava persino quando ancora non provava niente per lui.

Ora era uno strazio.

“Sai qual è la vera stranezza in questa storia?”

La voce di Remus non era irritata quanto avrebbe sperato.

Anzi sembrava divertito, quasi stesse assistendo allo sfogo di un bambino.

Sirius si chiese dove sarebbe andato a parare. Conoscendolo, a niente di buono per lui.

Uno sbuffo stizzito gli gonfiò comicamente le guance congestionate, e nel lanciarsi alle spalle un’occhiata interrogativa gli occhi grigi e lucenti incontrarono quelli castani e freddi dell’altro.

“Qual è?”

Il licantropo si portò una mano al mento, assumendo un’aria meditabonda. “Vedi, tu hai talmente in odio i felini che in genere anche in forma umana li fiuti, ma soprattutto li eviti, a un miglio di distanza. Per cui mi domando…” Storse la bocca in un sorriso sardonico, sprezzante di fronte alla crescente agitazione dell’altro. “Cosa ti ha portato a ignorare la presenza di un grosso gatto come Mrs. Purr al punto da inciamparci addosso? A che stavi pensando?”

L’Animagus gli lanciò un’occhiata atterrita.

Mica poteva dirgli che aveva preso in pieno lo “stupido gatto del custode” mentre era impegnato a scannerizzargli di nascosto il sedere da sotto le pieghe della divisa e a domandarsi se avrebbe potuto per caso declamare quello nella sua lettera d’amore!

“A Ynette Paynter di Corvonero.”, deglutì pronto il ragazzo con la voce insolitamente acuta, cercando la salvezza al rossore che gli aveva imporporato le gote nella stoffa del cuscino. “Sai… Quella con le…”, sollevò una mano mimando col palmo aperto il gesto di un seno prominente.

Su Ynette si era fatto tante di quelle fantasie, a suo tempo…

In fondo non era del tutto una bugia.

“Ah, sì, la Paynter.” gli fece eco l’altro, la voce vibrante di un divertito, prevedibile disgusto. “Avrei dovuto immaginarlo…” Sirius sapeva che il licantropo conosceva Ynette dal momento che era stata Prefetto al quinto anno, quando lo era stato anche lui, ma quello bastava a non averla in grande considerazione. Poteva avere tutta la scaltrezza e l’intelligenza che Cosetta Corvonero cercava negli appartenenti alla sua casa, gli aveva confidato una volta quando Sirius gli aveva chiesto informazioni personali a riguardo, restava un’oca idiota.

Sirius era rimasto stupito da quelle parole.

Era raro che Remus esprimesse apertamente le sue antipatie.

“Difficilmente una persona poco seria come te potrebbe invaghirsi di un tipo diverso da lei.”

Era normale per i Malandrini tacciare Sirius di superficialità, specialmente per quanto riguardava le questioni di cuore. Le battute si era sempre sprecate, e in genere era lo stesso Animagus ad incoraggiarle, facendone un vero e proprio motivo di vanto.

Quella volta, però, le parole del licantropo gli fecero scattare qualcosa dentro.

A dispetto della debolezza causata dalle pozioni che gli avevano somministrato per riposarsi riuscì a sollevarsi a sedere con uno scatto improvviso e furibondo, ignorando la fitta di dolore lancinante alle costole. Artigliò le lenzuola tra i palmi fino a sentirli penetrare il tessuto sotto le dita tremanti, deboli e formicolate, il respiro ansante e gli occhi lucidi.

“Io non sono una persona poco seria!”, ansò pazzo di collera.

E poi si lasciò scappare le parole più imbarazzanti della sua vita.

“Sono innamorato davvero!”, gridò prima che il cervello potesse fermarlo.

Subito si premette i palmi delle mani contro la bocca, ma era troppo tardi per ricacciarsi in gola di forza quelle parole fino a morirci soffocato. I grandi occhi innaturalmente spalancati si fissarono contro quelli placidamente sorpresi dell’altro, e fu grato di poter mascherare il rossore e l’imbarazzo dietro i brutti lividi scuri. Passarono lunghi momento di gelo durante i quali nessuno dei due osò proferire parola.

Se avesse potuto, e se il suo orgoglio non gliel’avesse impedito con tutte le proprie forze ricordandogli che benché si stesse atteggiando a tale lui non era una femminuccia lacrimevole, Sirius sarebbe scappato via ululando per la vergogna e si sarebbe andato a nascondere in un angolo buio.

Sfortunatamente non poteva. Tra le altre cose Madama Chips avrebbe preferito spezzargli le gambe piuttosto che farlo andare in giro senza il suo esplicito consenso (non che ci tenesse a camminare alla luce del sole con quella faccia inguardabile). D’altronde non poteva certo restare lì, squadrato dall’amico come se gli avesse appena confidato di essere anche lui un lupo mannaro.

E se avesse capito?, si chiedeva.

No, non lì. Non così.

Non in quella situazione idiota dopo tutta la fatica di quei mesi. Senza la benché minima poesia, durante un litigio infantile, con la sua faccia ridotta a una poltiglia informe.

Per fortuna ci pensò la naturale predisposizione di Remus a voltare il viso dall’altra parte a toglierlo da quell’impaccio. Con gratitudine osservò il licantropo alzarsi dallo sgabello e, dopo aver preso la borsa coi libri, spolverarsi meccanicamente una macchia di sporco immaginario dai pantaloni. “Devo andare.” La voce era dura, informale nella sua freddezza. “Se la Chips torna e ci vede in queste condizioni penserà che stia attentando alla tua salute.” Si permise un sorriso nella strada dal letto alla porta, ma suonava falso. “E poi sono in ritardo per Erbologia, oggi si decide del progetto di fine anno.”

Non attese nemmeno una risposta prima di raggiungere la porta e chiudersela alle spalle, lasciando Sirius da solo pervaso da un’infinità di timori e spaventose realizzazioni.

Era letteralmente terrorizzato.

Non tanto dall’idea che Remus potesse aver capito tutto (anche se il pensiero che potesse accadere non lo metteva di certo a suo agio) quanto dall’aver ammesso apertamente, a viva voce, di essere davvero innamorato.

Era assurdo.

Ridicolo e grottesco.

Com’era volubile la mente umana.

Come gli erano potute sfuggire quelle parole quando solo poche settimane prima si era quasi convinto dell’assurdità di un sentimento poco serio?

Dirlo non era tanto una realizzazione, perché se quel modo di rendersi idiota non era amore non capiva proprio cosa potesse essere, ma rendeva ciò che provava così reale da dargli il capogiro, da fargli pensare alla vacua stupidità di quanto fatto finora, alla poca convinzione che aveva spinto le sue azioni. Gettò un’occhiata patetica ai fogli che scivolavano fuori dalla sua borsa, e si sentì ridicolo.

Nessuna meraviglia che Remus avesse un’opinione così bassa di lui.

Difficilmente sarebbe riuscito a farsi amare almeno un po’.

Ma le cose potevano cambiare…

 

 

Fu solo davanti alla porta dei dormitori, sul far dell’uscio, che Sirius decise di farla finita con gli scherzi.

Doveva dirlo subito a Remus, prima che recuperasse completamente le forze in seguito alla luna piena (ovvero, prima che avesse la forza di fargli una paternale immensa, o peggio ancora di fargli male sul serio. Sapeva che Remus sarebbe stato in grado, volendo, di mandarlo in infermeria per tutto il resto dell’anno scolastico), e ogni secondo che passava era uno in meno che lo separava dalla guarigione.

Non poteva perdere tempo con una ragazzina noiosa e impicciona.

Né poteva lasciare che assistesse alla scena.

Un Remus opportunamente indebolito poteva affrontarlo, ma due secchioni impenitenti nella stessa stanza a dargli addosso gli avrebbero dato lo sprone supremo a gettarsi dalla finestra più vicina. Perché era quasi matematico che si sarebbe intromessa.

Se non l’avesse fatto non si sarebbe chiamata Lily Evans.

E con tutta probabilità le sarebbe stata decisamente più simpatica.

“Guarda che questo è il dormitorio maschile.”, le fece notare il ragazzo.

“Ne sono perfettamente conscia.” L’altra sollevò un sopracciglio con fare che definire costernato sarebbe stato un pallido eufemismo. “A meno che tu non stia cercando di farmi intendere che Remus è una donna.”

Sirius decise di ignorare quell’uscita decisamente infelice, ingoiando una sfilza di risposte sarcastiche e incollerite che l’avrebbero fatta scappare via in lacrime. “E se si stesse spogliando?”, sottintendendo in realtà un assai poco rassicurante Penso che potrei azzannarti al collo se lo vedessi nudo. ”Lo sai che è una persona riservata.”

“Beh, allora bussiamo.”

“E’ malato, non si alza dal letto da ieri.”

“Allora perché dovrebbe farlo per spogliarsi?”

Annientato da tanto pragmatismo Sirius si arrese.

“Bene, allora, goditi pure lo spettacolo se mi detesti così tanto!”

Lily spalancò gli occhi, sorpresa. “Io non ti detesto affatto.”, sbottò piccata, con le mani a puntellarsi i fianchi e i piedi ben piantati a terra. La sua posizione da combattimento preferita. “Ti trovo solo un insopportabile spaccone stupido e superficiale, e quando cerchi di fare la persona seria e intelligente per farti bello agli occhi della Paynter ti rendi ancora più ridicolo del solito.”

Fu il turno di Sirius di rimanere sconvolto.

“Che c’entra Ynette?!”

“Andiamo, non fare il finto tonto.” Le labbra della ragazza si piegarono in un sorriso incerto e timido. A dispetto dell’orrore che gli era gravato addosso il primo pensiero del ragazzo fu che quella pudicizia le stava bene addosso come un fiocco stretto all’arnese di un centauro. “Lo sanno tutti che hai una cotta per lei e che è per conquistarla che hai messo in atto tutta questa sceneggiata dello studente modello.”

“Non è per lei!”, abbaiò duro, furente, troppo sconcertato dalla notizia che gli studenti di Hogwarts avessero talmente poco da fare da sparlare di lui e delle sue presunte cotte per chiedersi come diavolo facessero a sapere di Ynette se non ci aveva mai neanche provato con lei perché felicemente fidanzata da tre anni almeno con il capitano della squadra di Quidditch dei Tassorosso.

Però in effetti ora si spiegavano tutte le criptiche battutine di quell’infame di Ramoso a riguardo di cuscini e di un fantomatico “rincitrullulirsi”.

Bastardo…

“E’ per Remus che mi sto comportando come un coglione!”

“Ti piace Remus?!”, strillò lei incredula con la sua voce acuta e penetrante da Arpia, ed ebbe dell’incredibile la rapidità con cui l’Animagus poggiò a terra il vaso e le tappò la bocca con la mano, sbattendole le spalle contro la porta producendo un tonfo che rimbombò per le scale.

Sirius si bloccò di botto. Passarono lunghi secondi di atterrita immobilità, infranta solo dalla solita voce nella sua testa che continuava a dargli dell’idiota per essersi lasciato scappare quella frase infelice, e dai mugolii soffocati della ragazza che stringeva tra le sue braccia e il legno scuro (del tutto incurante del fatto che le stesse perforando le costole con il libro di Difesa contro le Arti Oscure e le stesse quasi disarticolando un paio di vertebre premendole la schiena contro il chiavistello d’acciaio con tutto il proprio peso), durante i quali non accadde assolutamente nulla.

Nessun rumore dall’interno.

Niente passi.

Nessuna voce che li invitasse ad entrare.

Pressò con più forza la mano sulle labbra di lei, per attutire anche quel poco rumore che produceva ancora, e si concentrò solo su ciò che accadeva al di là della stanza, incurante delle unghie affilate come lame che gli si andavano conficcando sul dorso.

Forse Remus dormiva.

Per fortuna…

Un morso ben indirizzato all’indice lo riportò bruscamente alla realtà con un grido rauco. Confuso, chinò la testa in direzione della ragazza, la quale lo fissava furente, con le guance congestionate, il respiro affannoso e gli occhi lucidi.

Una situazione ambigua.

“Dico, sei diventata matta?”, sibilò il giovane Black.

“Mi stavi soffocando, imbecille.”, fu la replica sdegnata.

“Beh, non sarebbe stata una gran perdita per il mondo magico!”, sbottò esasperato l’altro, allontanandosi da lei con un gesto brusco. “Devi essere completamente impazzita, metterti a strillare come una Banshee davanti alla porta del dormitorio. E se Remus ti avesse sentito?”

“Hai ragione.”, bisbigliò lei avvicinandoglisi all’orecchio con fare cospiratorio. “Dobbiamo mantenere il segreto con il povero Lupin. Ora che non è al pieno delle forze l’idea di averti come pretendente potrebbe ucciderlo!”

“Io non sono un suo pretendente!”

“Certo che no. Stavo scherzando.”, soffiò la ragazza sollevando gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Quindi ovviamente era naturale che Sirius non avesse afferrato. “La sola idea che tu possa fargli la corte con fiori o poesie mi rivolta.”

“Sono d’accordo!”, biascicò Sirius cercando di celare la propria afflizione dietro un deciso gesto d’assenso del capo, mentre il pensiero correva a quelle pergamene stropicciate che giacevano in fondo alla sua borsa. Era umiliante, ma non poteva biasimarla. Anche lui aveva sempre trovato l’idea talmente ridicola da dargli il vomito.  “Insomma, è disgustoso il fatto che un uomo possa…”

La vide sollevare una mano con un gesto indispettito, interrompendo quel suo sfogo amaro (e anche piuttosto deprimente). “Guarda che un uomo può fare tutto quello che gli pare finché non gli viene la malsana idea di ficcarsi nel tuo letto il giorno del tuo compleanno come mamma l’ha fatto con un cartello al collo con su scritto Scartami.”

Fu impossibile per Sirius non pensare al povero Ramoso che veniva catapultato fuori dalla finestra del dormitorio femminile fino ad incastrarsi nei rami dell’enorme conifera che si stagliava poco distante. I due si scambiarono un sorriso complice.

“Puoi anche innamorarti di un uomo se è quello che vuoi.”, aggiunse poi lei, recuperando la serietà. “Ma potresti essere la donna più ordinaria del pianeta e intraprendere la più normale e stabile relazione eterosessuale che mago o strega abbia mai visto, Black, resta il fatto che l’idea stessa di veder far coppia due come voi, con caratteri diametralmente opposti, sarebbe come vedere un Elfo Domestico emancipato. E’ un qualcosa di contro natura, dà i brividi solo pensare all’ipotesi.”

E a riprova delle sue stesse parole si abbracciò stretta, come a ripararsi da una folata gelida.

“Ma…”, balbettò il ragazzo, incerto se dar voce a quel dubbio infelice e patetico. “Se cambiassi…”

“Cambiare?”, ghignò sardonica la ragazza sollevando un sopracciglio e squadrandolo con fare decisamente dubbioso. “Non riusciresti a comportarti diversamente da quello che sei nemmeno se ne dipendesse delle tue parti basse. Ti piace troppo essere così. Puoi atteggiarti quanto ti pare a bravo studente nella vana speranza che una persona come Remus apprezzi qualcosa che non sei realmente, ma rimane un fatto.”, sentenziò sollevando un indice nell’aria con la stessa aria supponente che assumeva quando si trattava di togliere punti a Grifondoro per qualche scherzo innocente dei loro.

“Resti lo stesso di sempre; il borioso bugiardo spaccone degno compare di Potter che piuttosto che ammettere di essere davvero innamorato contesta l’ovvio facendo la figura del buffone; lo stupido totalmente negato in Erbologia, convinto di aver seccato una pianta a causa di una propria mancanza quando è notorio che il Luniolo dopo la sua seconda notte di luna piena muore.”

 

Fine capitolo 5

 

Note di Fine Capitolo: Alla fine di questo capitolo piuttosto lungo e sofferto (interrotto in un punto piuttosto infelice, me ne rendo conto) ci sarà qualche nota in più del solito, chiedo venia! XD Avevo scelto di far affrontare Lily a Sirius per ultima (beh, penultima a voler essere pignoli) da quando ho deciso la stesura prima di questa storia: Lily ha quella sensibilità femminile che permette di leggere tra le righe, quindi che leggesse i segni del suo comportamento era scontato. Non è legata a Sirius da vincoli d’amicizia o altro, anzi, per cui da lei non avrebbe mai ottenuto parole di confronto o mezze misure. L’uso dei flashback non era preventivato all’inizio, ho solo pensato che sarebbe stato simpatico vedere qualcosa in più su Remus.

Tanto per non trattarlo come l’uomo angelicato sul piedistallo.

- De Commutatione: In latino la Commutatio è il cambiamento, la mutazione. Questo ha la duplice valenza di riferirsi ad un mutamento caratteriale di Sirius, qui nelle vesti del bravo ragazzo. Sia a un mutamento fisico (anche se temporaneo), ovvero la caduta dalle scale.

- Luniolo: la pianta è una mia invenzione completa. Le sue proprietà sono totalmente inventate da me, il suo aspetto l’ho preso in prestito da un fiore che io personalmente amo molto, la Bella di Notte (Nome scientifico Mirabilis Jalapa, ma io preferisco il nome giapponese, Yuna), che oltre a fiorire di notte ha i fiori a forma di stella ed è molto bello a vedersi, fa molto WolfStar. ^_^

Se volete sapere come mi sono immaginata questa pianta guardate questo piccolo montaggio fotografico eseguito da me con grande impegno e dedizione in 2 minuti scarsi, QUI.

Il nome, Luniolo, è stato “rubato” a Final Fantasy X, dove il Luniolo altro non è che un simpatico globo di luce (che potete vedere QUI, è molto carino), è lo spirito di una persona morta con dei rimpianti o dei rimorsi che non riesce a trovare la pace e vaga sulla terra. Una specie di fuoco fatuo, se vogliamo. Ma più fashion.

- Citrococcalo: Totalmente inventato il nome di questo fiore, da citros, in greco antico è il limone. Coccalos è l’osso in greco moderno. Mi piaceva l’accostamento delle due parole e il rimando alle ossa visto che Sirius deve farsi ricrescere un dente! XD

- “Stupido gatto del custode!”: Questa frase non viene pronunciata casualmente da Sirius. Trattasi infatti di un rimando a un altro famosissimo cane del mondo della fantasia (No! Volete dire che Sirius non è reale?!). Vale a dire Snoopy, che ce l’aveva sempre a morte con lo “Stupido gatto dei vicini”. ^_-  Tra l’altro Sirius me lo sono sempre visto un sacco JOE COOL (Joe Falchetto in italiano)

- Rincitrullulirsi: Non è un errore di battitura (ne faccio già abbastanza di mio per non aggiungerci anche questo! XD), ma un rimando al lungometraggio Bambi, di Walt Disney, in cui gli animali della foresta quando si innamoravano si rincitrullulivano. Non è casuale il fatto che una persona dica questa frase.

 

Passo ai commenti individuali, che stavolta mi porteranno via poco tempo, sono solo due! Pochi ma buoni. XDD

 

Mixky: Sì, è vero, me l'hai già detto che Sirius ti assomiglia, ma è bello sentirtelo ridire! ^.^ Dà l'aria di una persona più vera se qualcuno ci si ritrova tanto come te, per cui mi fa molto piacere. Anche perchè io questo uscir di testa non l'ho mai provato (non sono il tipo! XD), per cui che mi si venga a dire che è realistico mi fa ballare dalla gioia! XDDD Anche a me quella frase che ti ha colpita piace molto! ^____^ Grazie ancora per i complimenti, coraggio, manca poco, il prossimo capitolo è l'ultimo, Sirius soffrirà ancora per poco per mano mia (poi lo lascio a Remus e vedrà lui cosa farne)! ^.^

 

Skiblue: Fiuuuu' sospiro di sollievo. Questo capitolo è quello che più mi aveva preoccupata perchè era veramente cupo (leggevo il primo capitolo, poi quello e mi dicevo "ma è la stessa fic?" XDDD Lo ammetto, in questo episodio lì con Ramoso io ero molto Sirius, che si stufa e nemmeno poco a sentir declamare le virtù di Lily mentre io poveretto languo e soffro! XD Sono riuscita a farlo apprezzare un pochetto anche a un paio di amiche mie che non lo riescono a sopportare nemmeno di vista (Ramoso) per cui triplamente felice! XDDD Aaaah, hai notato l'ironia di quando ho parlato della torre. Lo ammetto, ho voluto strizzare un po' l'occhio a quelle migliaia di fic in cui la torre di astronomia diventa il postribolo di zia Poppea. Nulla contro queste fic, è solo che mi piace parodizzare i clichè, è una mia fissa strana, dove più dove meno lo faccio in ogni fic che scrivo! XD Inizi a pensare che Sirius sia masochista? Ma lo è! XD Quale innamorato non è un po' (tanto) masochista in fondo? XDDD Mettiamo caso che riesca nel suo intento di conquistare Remus.... Povero licantropo! XDDDDD Un bacio anche a te! ^_-

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Capitolo 7
*** Lettera 6 (Epilogo) - Una banale dichiarazione d'amore (Remus Lupin) ***


Nuova pagina 1

BGM: Passion – Hikaru Utada

 

SOLO UN'ALTRA BANALE DICHIARAZIONE D'AMORE

         

Lettera 6 (Epilogo) – Una banale dichiarazione d’amore (Remus Lupin)

 

E’ raro che Felpato faccia la sua apparizione fuori dalla Foresta Proibita.

Gli è impossibile girare per i corridoi della scuola, dà troppo nell’occhio.

In dormitorio c’è privacy ma se può lo evita, gli odori lo stordiscono.

Perché per quanto a fondo gli elfi domestici lucidino la stanza, anche più di una volta al giorno, loro restano comunque un gruppo di vivaci adolescenti ed è normale che ci sia sempre un calzino usato (da Prongs, il quale reputa uno spreco di tempo e fatica lavare i calzini dopo sole tre volte che li si è utilizzati) incastrato sotto le molle di un letto ad attutire un cigolio, il resto di un pasto sgranocchiato di nascosto (di Peter, ufficialmente a dieta) abbandonato poi tra le intercapedini di un muro, per non parlare di qualche esperimento di pozioni (di Remus, che dovrebbe piantarla di incaponirsi tanto e accettare la seppur umiliante verità che in pozioni fa schifo) finito male lasciato ad incrostarsi contro le crepe del soffitto e tra gli arricciolamenti d’ottone delle torce.

Troppi gli odori che Felpato trova interessanti.

Troppa la voglia di balzare giù dal letto e catalogarli tutti.

Il ragazzo invece vorrebbe solo chiudere gli occhi e dormire senza il peso di complicati pensieri umani a turbargli il sonno, ma questo gli è reso impossibile dalla sua condizione bestiale, per non parlare della punta d’acciaio di una piuma d’oca che dispettosa continua a pungergli la nuca tra le orecchie, proprio là dov’è più sensibile.

Un’altra dopo un istante.

Un’altra ancora. Sono a intervalli regolari.

Uno sbuffo stizzito strappa una risata al suo aguzzino.

Una risatina maliziosa, sommessa… Così deliziosamente umana.

Felpato scosta appena la testa premuta sul braccio dell’altro quel tanto che basta perché occhi grigi e tristi incontrino un placido oceano d’ambra sbrecciato da un lampo di divertita malizia.

Un sorriso sghembo lascia scoperte appena le punte dei canini.

“Se vuoi che la smetta perché non la pianti di usarmi come cuscino?”

Il cane solleva la testa di scatto, scotendola da una parte all’altra con forza, e mentre le orecchie gli sferzano le guance producendo schiocchi secchi di frusta qualche goccia di bava gli sfugge dalla bocca colpendo in pieno viso l’umano che gli stava al fianco. La coda percuote un paio di volte la coperta in un lento scodinzolio di trionfo.

“L’hai fatto apposta…”, mugugna l’umano pulendosi la guancia col dorso della mano.

Felpato abbaia soddisfatto, poi gli posa di nuovo la guancia sul braccio.

Chiude gli occhi e un sospiro appagato lo attraversa tutto.

E’ solo lì che vuole stare.

Stretto contro il calore di braccia amiche anche se l’avvicinarsi dell’estate ha reso le giornate così calde che neanche la finestra aperta riesce a dare un po’ di sollievo, e non è la più grossa pensata del mondo starsene pigiati l’uno al fianco dell’altro su un letto a malapena sufficiente a contenerli entrambi.

Alla mercè di dita lunghe e sottili che il più delle volte pungono, pizzicano e fanno dispetti, solo per le rare volte in cui queste si fanno gentili e tenere e dispensano carezze, quando le falangi si piegano e percorrono l’intrico del suo manto in tortuosi ghirigori e le unghie grattano quel punto appena dietro l’orecchio che lo fa uggiolare come un cucciolo.

Lì dove c’è l’odore più dolce del mondo.

Sono rare le volte in cui gli è permesso farlo, vuole godersene ogni istante.

Anche se gli altri tendono a dimenticare che sotto le parvenze di cane batte comunque il cuore di Sirius Black e non trovano quindi così strana una tale vicinanza, cosa che gli permetterebbe di avvicinarlo senza destare sospetti, Remus non lo tollera: odia i peli di cane sulle coperte e il cuscino, detesta doversi imbottire di Incantesimi Refrigeranti per sopportare l’insostenibile calore del suo corpo, e sarebbe in grado di uccidere chiunque lo disturbi in qualsivoglia maniera, compresa la mera presenza, durante le sue sessioni di studio di fine anno. Anche se studia sempre così tanto che l’idea stessa della parola “ripasso” pronunciata dalle sue labbra ha il sapore di una battuta.

Però a farne le spese è Felpato, che quando ha voglia di coccole e attenzioni viene cacciato via in malo modo, nel migliore dei casi con strilli e  cuscinate.

Una volta è stato colpito al naso col testo di Trasfigurazione.

Invece questa volta gli è stato permesso non solo di stare sul letto, ma di poggiarglisi contro il fianco, col braccio che volta le pagine del tomo che stringe tra le dita a fargli da guanciale.

Senza dubbio quella è una giornata molto particolare.

Sirius ipotizza che si senta in colpa per qualcosa.

A Felpato invece non interessa saperlo.

L’unica cosa che conta è stare lì.

“E’ bello…”

“Cosa?”, risponde distratto l’altro ragazzo, perso tra le pagine di qualche libro dall’aria noiosa al punto da non staccarvi gli occhi di dosso. “Hai detto qualcosa, Sirius?”

Il ragazzo dai capelli neri spalanca gli occhi, volgendoli poi alla mano poggiata sullo stomaco dell’altro in un abbraccio indolente.

Una mano umana.

Trattiene a stento un’imprecazione.

Ormai padroneggia talmente bene la trasformazione in Animagus da passare con naturalezza da uno stato all’altro senza avvedersene, ed è strano se pensa che le prime volte faceva un male d’inferno. Neanche lontanamente immaginabile a quello che patisce Remus ogni mese.

“Niente.”, borbotta con voce arrochita a causa del lungo periodo trascorso come cane mentre stancamente fa leva sul gomito per sollevarsi un po’, interrompendo quel contatto così tenero col braccio dell’altro. “Sono distrutto. Torno nel mio letto.”

“Come vuoi.”

Si stringe nelle spalle con indifferenza.

Ancora non alza gli occhi, come fosse solo nella stanza, anche quando nel disincastrarsi svogliatamente da una posizione che li vedeva fortemente avvinti l’uno all’altro una mano va a sfiorargli l’interno coscia in maniera totalmente (ma non troppo) casuale, benché Sirius senta comunque il muscolo irrigidirsi appena sotto i polpastrelli e i polmoni trattenere il fiato, a disagio.

L’Animagus si alza in piedi a fatica e ciondola fiaccamente nel letto accanto, buttandosi sopra le coperte a peso morto con uno sbuffo stravolto, il viso sprofondato nel cuscino a nascondere un sorriso segreto. Ha ancora addosso l’odore di Remus. Gonfia il petto contro il materasso in un lungo sospiro languido, cercando di abbrancarne quanto più può con le narici prima di strofinare il volto contro la federa fresca di modo tale da avere l’altro oltre la barriera di ciglia pesantemente serrate.

Non serve aprire gli occhi per sapere che quello che ha di fronte è il solito Ragazzo-Che-Guarda-Altrove, con la sua frangia troppo lunga a coprirgli gli occhi attenti e le sopracciglia accartocciate in un gesto di dolorosa concentrazione, le labbra piegate all’ingiù in una piega severa, con la lingua a far capolino da un lato. Le mani devote e carezzevoli attorto ai bordi di un libro di scuola tenuto tra le ginocchia ossute lievemente piegate e le spalle curve contro la testiera del letto e un cuscino ben sprimacciato.

Sospira ancora, stremato.

Resta immobile a controllare il ritmo dei suo respiro.

Troppo stanco persino per trovare la consolazione del sonno.

Sono giorni che non dorme perso in assurde riflessioni, troppo deprimenti per dar loro voce anche al di fuori di quel confine sottile tra veglia e sogno in cui non c’è controllo e i pensieri si ammassano. Però ci sono, e premono comunque per uscire.

Non funzionerebbe.

Il fruscio lento e pesante delle pagine sfogliate in maniera distratta scandisce il tempo di un assolato mattino d’agosto. Troppo bello per restare chiusi in dormitorio a poltrire, troppo bello per non andare all’ultima gita dell’anno ad Hogsmeade assieme a James e a Peter a fare scherzi, riempirsi le tasche di roba inutile e ingozzarsi di dolci e BurroBirra.

Non capisce proprio come faccia Remus.

E’ l’unica persona che conosca a trovare eccitante l’idea di un giorno in pigiama, mentre lui troverebbe estremamente più eccitante l’idea di un giorno senza pigiama, se proprio la si dovesse passare in casa ad annoiarsi con l’unica distrazione di noiose elucubrazioni. Invece il licantropo sembra perfettamente a suo agio ficcato a fondo sotto le coperte, benché l’arrivo della bella stagione quasi non lo consenta più, e ogni volta inventa una scusa nuova per evitare le gite fuori durante i fine settimana.

Stavolta per esempio era ancora debilitato a causa della luna piena.

Peccato che puzzasse di scusa lontano un miglio, dal momento che era passata una settimana abbondante, ma a differenza delle altre volte, in cui nei casi di emergenza si era stati costretti a trascinarlo giù in mutande, si era deciso di chiudere un occhio.

Sirius non sembrava davvero in condizione di affrontare il mondo, quella mattina, men che mai una gita ad Hogsmeade: aveva chiamato James “mamma”, aveva rischiato di sfracellarsi al suolo scambiando la porta d’ingresso con la finestra, e benché avesse tentato di non rinunciare a quell’ultima distrazione spensierata prima degli esami di fine anno e delle vacanze estive, durante le quali avrebbe dovuto trovarsi un posto tutto suo era riuscito solo a ruzzolare contro il tappeto con un tonfo sordo, in un infruttuoso tentativo di far passare entrambe le gambe da un solo lato dei pantaloni.

“Sirius soffre troppo, non possiamo lasciarlo solo. Noi che siamo suoi amici dobbiamo stargli accanto.”, aveva sentenziato James con la sua solita aria falsamente pragmatica, aiutando l’amico a rimettersi in piedi per poi farlo sedere a letto.

“Remus, tu resti con lui, tanto non hai voglia di venire.”

E si era chiuso la porta alla spalla prima che uno dei due potesse obiettare.

Sirius aveva trattenuto una delle imprecazioni più memorabili della sua vita, stringendola tra i denti assieme alla lingua. Tipico di James trovare la soluzione più comoda per lui riuscendo a spacciarla per il bene comune. Sarebbe stato un vero spreco rinunciare al divertimento tutti e quattro per un semplice calo di pressione. E poi avrebbero pensato a loro con affetto, non aveva mancato di aggiungere Ramoso dal cortile mandando baci, cosa che lo preservava da ogni senso di colpa.

Tanto con Remus non doveva mica restarci lui.

Mi mette a disagio star solo con lui.

Perché è frustrante da morire.

E’ quel genere di persona che dà l’aria di sopportare il mondo con un sorriso solo perché ci si trova in mezzo e deve fare suo malgrado buon viso a cattivo gioco, ma che in realtà potrebbe sbatterti addosso senza notarti affatto.

E’ così innaturale.

Non serve a nulla trasformarsi in Felpato e saltargli sul letto per poi accoccolarglisi al fianco, così come non è mai servito a nulla attirare la sua attenzione nei modi più disparati.

Neanche ballargli nudo davanti in piena Sala Grande servirebbe a qualcosa.

Forse solo a farsi trascinare dal Preside col rischio di una punizione memorabile.

Remus invece mostrerebbe sempre la solita maschera di serena, posata padronanza di sé.

E’ irritante.

Non lo sopporta.

A partire da quel viso candidamente angelico da bravo ragazzo di cui l’ha fornito la natura, falso come i capelli di suo padre, ci sono diverse sue abitudini che lo fanno uscire pazzo, e non in maniera piacevole: il modo con cui si tormenta le dita quando è nervoso, il vizio di spezzarsi con le unghie le doppie punte dei capelli come una ragazzina scema, il modo in cui curva le spalle mentre cammina rasentando i muri per non farsi notare, o la sua incapacità di fissare qualcuno dritto negli occhi, lasciando l’impressione che stia guardando attraverso il proprio interlocutore. E poi quando dorme non russa come tutti i maschi normali di questo mondo.

Remus Lupin fischia.

Un sibilo lungo e acuto da serpe.

Dal punto di vista caratteriale, poi, il fastidio raggiunge livelli epici.

E’ notoria la sua assoluta incapacità di prendere una posizione chiara, ed è altrettanto risaputo che chiedergli di fare da giudicante per qualsiasi cosa, fosse anche la scelta tra due tipi diversi di dessert per la colazione, equivarrebbe ad aspettare fino all’età della pensione, così come il chiodo fisso di voler fare a qualsiasi costo tutto da solo, compresa la Felix Felicis che fatica a distillare persino quella secchiona della Evans. Per non parlare poi della sua fissa di mettersi libri di scuola e appunti sul comodino accanto al letto in ordine alfabetico, di preferenza o di grandezza a seconda dell’umore, del giorno della settimana, o del colore degli occhi del gatto del Prefetto di Tassorosso, e guai a infrangere questa mistica disposizione.

Le sue assurde abitudini sanitarie farebbero impazzire un maniaco dell’igiene: togliergli la possibilità di fare almeno due docce al giorno equivale a togliergli l’ossigeno e a far passare una pessima giornata ai malcapitati costretti a sentire le sue cagate allarmistiche su germi e batteri in agguato in ogni angolo (la maledizione di un nonno Medimago in pensione).

E’ pigro, noioso, un secchione impenitente.

La cosa che più trova insoffribile, però, è quella sua convinzione arrogante di essere sempre nel giusto, cosa che immancabilmente lo porta a ritenere in torto chiunque non la pensi come lui. Sirius, com’è ovvio, è una di queste persone che finisce con l’essere ritenuto un deficiente, e trattato come tale, con frecciatine sarcastiche e continue prese in giro. Quello sguardo dall’alto in basso con cui lo scruta sempre lo ossessiona, e non in modo piacevole.

Se fosse stato qualcun altro e James, notandone le capacità malandrine, non l’avesse preso sotto la sua ala, l’avrebbe ammazzato da tempo.

Non siamo fatti per stare insieme.

E’ un pensiero che colpisce a fondo come una martellata nelle parti basse e lo costringe ad un sussulto improvviso, come si fosse risvegliato da un incubo. In uno slancio istintivo spalanca all’inverosimile gli occhi, incurante del bruciore lancinante: il grigio dell’iride appare sfocato, spento e opaco contro il rosso liquido della sclera, le ciglia pesano come macigni.

E in un mondo sfocato e annebbiato di sonno il volto di Remus ancora chino sul libro è l’unica cosa che gli appare sempre nitida e chiara.

Remus è la sua certezza.

Siamo troppo diversi.

Eppure, nonostante tutto, vuole stare con lui.

E che Merlino lo aiuti, non può farci proprio niente.

Le labbra si socchiudono in un sussurro rauco e triste.

“Sono fottuto…”, mormora, spingendo più a fondo la guancia contro il cuscino a ricacciare indietro una stupida lacrima, ma viene distratto dalla risata bassa e roca del suo vicino di letto. Sirius solleva un po’ la testa dal suo giaciglio, quel tanto che basta a vedere il licantropo che, abbandonato il libro in grembo, si preme una mano davanti alla bocca per soffocare una risata trattenuta a stento.

“… Che c’è?”, sbotta Sirius seccato. “Ho fatto qualcosa di divertente?”

“No, affatto.”, lo rassicura subito Remus, mettendoci forse un po’ troppa enfasi per poter risultare davvero credibile. Le labbra sono serie, piegate un po’ all’ingiù, il volto imbronciato, ma è impossibile non notare il tremolio impercettibile dei muscoli delle guance e delle spalle, e quel luccichio divertito in quegli occhi inebrianti. Di fronte allo sguardo umiliato dell’altro, il suo sorriso aveva assunto un’aria tenera, quasi comprensiva. “Scusami. Era da un po’ che non ti sentivo imprecare come un commerciante di Notturn Alley. Mi mancava.”

L’Animagus lo scrutò di sottecchi, dubbioso.

“Ma se dici sempre che è un’abitudine odiosa e incivile.”

Remus piega la testa di lato, in un moto di giocosa curiosità. “Da quando ascolti quello che dico?”

 

Da quando hai cominciato ad ossessionare i miei sogni e i miei pensieri come una delle sciocche ragazzine ingenue che deridevo: dapprima in maniera tenera e timida, poi sempre di più, a morsi e unghiate, ti sei insinuato con forza irruente dentro di me al punto che estirparti adesso sarebbe mortale come il grido della Mandragora, in maniera così naturale che dichiararmi a te mi è sembrata solo la cosa più ovvia del mondo.

Da quando, a dispetto del mio apparire sfrontato, mi sono scoperto timoroso di un tuo rifiuto al punto da non riuscire quasi più a guardarti in faccia, figurarsi dichiararmi a viva voce, e ho deciso di lasciare tutto nelle mani di un foglio di pergamena, sforzandomi di trovare le parole quando non sono mai riuscito a guardarmi dentro neppure per decidere quale fosse la mia squadra di Quidditch preferita.

Da quando ho cercato di far mie, senza successo, quelle altrui.

E ho capito che voglio qualcosa che sia solo per te.

 

“Remus, scrivimi una lettera d’amore.”

Le parole gli rotolano via dalle labbra impazzite, come dotate di una propria volontà, e prima ancora che si renda conto di cosa ha detto schizzano via libere attraverso le cortine spalancate, fuori dalla finestra. Le dita stringono convulsamente i fogli di pergamena accartocciati che tiene da mesi a scricchiolargli sotto il cuscino, come a cercare conforto nel momento in cui incontra gli occhi di Remus.

Perché non lo fissa con un lampo di gelosia ferina nello sguardo? Perché non storce le labbra in quella smorfia strana che atteggia sempre, come se il mondo intero lo stomacasse?

Preferirebbe ritrovarselo licantropo davanti agli occhi, al momento.

Tutto, pur di non vedergli sul volto quel ghigno saccente.

“Non ci riesci, eh?”

“No.”, ringhia cupo al punto da fare invidia alla sua controparte canina, e il sorriso dell’altro si allarga mentre Sirius si morde le labbra e china lo sguardo sentendosi imporporare le gote nel momento in cui fa scivolare le gambe oltre il bordo del materasso e si solleva a sedere sul letto.

“Non ci riesco.”

“Mi sarei stupito del contrario.”, sbotta il licantropo senza preoccuparsi di nascondere la propria soddisfazione di fronte a quell’ennesima conferma del fatto che Sirius Black, notorio dongiovanni, debba la sua fama al timido, ordinario Remus Lupin, che l’amore l’ha conosciuto solo tra le pagine dei romanzi di sua madre. Con calma, senza abbandonare un certo sogghigno di pingue superiorità, afferra tra le dita la bella piuma d’oca che gli ha regalato Peter per il suo compleanno. Schiude le labbra e le parole scivolano via annoiate, come una lezione da snocciolare a memoria.

“Allora, Felpato, per chi è stavolta?”, domanda mentre si china a prendere una delle sue pergamene dalla borsa, e solo allora Sirius azzarda di guardare nella sua direzione. “Chi è la fortunata che merita le accorate parole d’amore di Sirius Black?”

L’Animagus non risponde annientato dalla crudele ironia della situazione, pur non essendo mai stato un tipo attento a simili minuzie.

“Stavolta è diverso.”, sibila tra i denti con fare minaccioso, in quello che vorrebbe essere un segno d’avvertimento, ottenendo solo una risata amara da parte del compagno.

“Dici così tutte le volte.”

Solo Godric o chi per lui trattiene Sirius dal saltargli addosso per mollargli un pugno.

Godric, e il fatto che sarebbe un sacrilegio deturpare il viso che ama.

E’ vero, ma cosa gli dà il diritto di pensare che stavolta non sarà un qualcosa di davvero diverso? La gente può anche cambiare, checché ne dica la Evans.

Si diverte tanto ad umiliarlo così?

“Allora, ti occorrono eroici poemi per una fiera Grifondoro?”, infierisce l’altro con voce svagata. “Struggenti dichiarazioni d’amore eterno per qualche romantica Tassorosso o citazioni colte e sagaci freddure per una brillante Corvonero? Oh, no, ora ci sono” Gli volge una fugace occhiata da dietro la frangia color sabbia prima di dare il colpo di grazia. “A giudicare dal pallore del tuo volto e dal modo in cui ti torci le mani, unito al tuo strano comportamento di questi giorni, stavolta c’è da irretire nientemeno che un’astuta, ammaliante Serpeverde!”

A quella parolaccia Sirius si ridesta dal suo mutilo torpore.

Si leva in piedi con un secco colpo di reni e lo fissa con aria di sfida.

“Serpeverde?”, abbaia, oltraggiato stringendo i pugni, nel tono e nello sguardo un serio cipiglio battagliero. “Nemmeno se l’alternativa fosse la castità a vita.”

Il licantropo nemmeno replica a quella bella frase orgogliosa che puzza di falsità lontano un miglio persino a chi l’ha pronunciata, il quale sa perfettamente che in caso di effettivo bisogno sarebbe in grado di azzardare una mossa anche con sua cugina Bellatrix. Si limita a squadrarlo con calma snervante, lasciando scivolare lo sguardo dall’alto in basso soffermandosi a lungo su quello fuggevole dell’altro, mentre rotola lento su se stesso fino ad assumere una posizione prona.

“Stai insultando la mia intelligenza, Sirius, ma fingerò di crederti per quieto vivere.”, mormora il licantropo mentre fa leva sui gomiti sollevandosi quel tanto che basta da permettergli di accomodare il libro sul cuscino a mo’ di base per la pergamena e di assumere la posizione relativamente più comoda. Il letto non è certamente il posto ideale, ma pur di non alzarsi si metterebbe persino a testa in giù.

“Allora, cosa devo scrivere?”, biascica tediato poggiando una guancia su una mano, roteando la piuma tra le dita dell’altra.

“Quello che vuoi.”, sbotta l’altro, incupito.

Incurante del malumore dell’amico, Remus si stringe nelle spalle e si mette subito al lavoro di buona lena, essendo notoriamente del parere che le lettere in vece di Sirius vadano scritte nel minor tempo possibile, prima che perdano di valore e il superficiale Felpato non vada in cerca di qualche altro “amore della vita”, che assomiglia in maniera inquietante ad un amore del secondo.

Sirius cade a sedere pesantemente sul letto a gambe aperte, i gomiti poggiati sulle ginocchia a sorreggersi il viso, alla stessa penosa maniera di quando da bambini lui e Regulus attendevano che l’elfa domestica finisse di cucinare qualche dolce.

C’è un senso similare di trepidante attesa ad infiammarlo dentro, come il caldo di un biscotto appena sfornato mentre osserva la piuma d’oca volare sulla carta in rapidi ed eleganti svolazzi, guidata da una mano esperta, unito ad un’inspiegabile oppressione all’altezza del petto.

La facilità con cui Remus è sempre riuscito a dar forma ai pensieri e che non l’ha mai toccato più di tanto, non essendo mai stato un tipo avvezzo a simili manifestazioni di cultura, ora lo riempie di un’invidia amara e cupa.

Perché lui vorrebbe dirgli quello che prova, lo vorrebbe davvero.

Ma non so quello che ti piacerebbe ascoltare.

Io non ho niente di interessante da dire.

E’ davvero come tutte le altre volte.

Chi può dire che questa non sia solo una delle tante cotte adolescenziali destinata a infiammarsi al primo sfregamento con una potente, accecante vampata al pari della capocchia di un cerino, per poi spegnersi un istante dopo lasciandosi alle spalle solo un filo di fumo?

Nessuno, e la cosa lo riempie di sgomento.

Si alza ancora in piedi di scatto.

La voglia di strappargli quella fottuta pergamena dalle mani e di stracciargliela davanti agli occhi si fa insistente al punto che quasi riesce a vedersi avanzare nella sua direzione e allungare le dita verso di lui, quasi assapora sulla lingua l’espressione sorpresa del viso dell’altro nel momento in cui frammenti di parole d’amore voleranno fuori dalla finestra.

Ma Remus resta con la testa china a macinare parole su parole, coi capelli da femmina a coprirgli impietosamente la visuale e il grattare della piuma d’oca a scandire i secondi.

I suoi piedi restano inchiodati sul posto.

Vigliacco. Gli ripete all’infinito una voce nella testa.

Sei la vergogna dei Grifondoro. Ed è strano che somigli tanto a quella di sua madre.

Questo mantra avvilente viene interrotto da un improvviso frusciare di carta sotto al naso. Remus ha già finito di scrivere la lettera, glielo legge dallo sguardo soddisfatto che segue il completamente riuscito di ogni lavoro.

Assurdo e ridicolo.

Pochi minuti per una cosa che a lui ha portato via mesi.

Si sente così gonfio di rabbia dentro, rivolta verso se stesso e anche un po’ nei confronti del suo scrittore di fiducia che esploderebbe, ma fuori atteggia i muscoli del viso a un sorriso smargiasso dei suoi, per non destare sospetti. Afferra con disinteresse la pergamena che gli porge l’altro e butta un’occhiata casuale a quella grafia fin troppo conosciuta.

Sottile e regolare, artistica.

A passi lenti e calcolati raggiunge la finestra, di modo tale da voltare le spalle all’altro. Non vuole che Remus lo veda troppo entusiasta e cerca di assumere un atteggiamento di pigro disinteresse, ma sa che gli occhi invece brillano come quelli di un bambino e lo tradiscono.

“Sarà meglio che stavolta tu ti sia superato.”, biascica burbero.

“Ne rimarrai entusiasta.”, sorride l’altro.

 

***

 

 

 

 

“E’ strano se ci si pensa come la gente, anche se dotata di poteri magici, nutra un piacere quasi perverso nel complicarsi la vita.

Per esempio, ora potrei dirti semplicemente che ti amo. Non è come se rischiassi davvero un rifiuto da parte tua, so bene di non esserti indifferente. E questo non perché io sia provvisto dell’Occhio Interiore o di un sesto senso femminile, come potrebbe insinuare qualche maligno. E’ solo che sei dannatamente ovvio. Temo però che una frase così diretta sarebbe troppo banale e non esprimerebbe, nel pratico, ciò che voglio dirti.

Quante volte ho sentito pronunciare quelle parole a vuoto intorno a me, ormai ho perso il conto.

Dimmi, hanno un qualche significato per te?

Non so neanche se ce l’hanno per me.

Il che è assurdo dal momento che non so neanche se chiamare amore ciò che sento o se piuttosto non dovrei definire la mia nulla più che una pia speranza: ho pensato a lungo ai miei sentimenti, senza mai venirne davvero a capo. Non sono molto bravo a leggermi dentro, non ci sono abituato. So che quello che provo per te è frutto di un processo che potrei definire solamente naturale, anche se ben pochi ne converrebbero; è maturato in maniera graduale, con la spontaneità di una cosa che sembra appartenermi da sempre e che fa parte di me e dell’ambiente che mi circonda, come la vita che mi è stata data o l’aria che respiro.

Sembra una cosa così facile da dire, adesso.

Se qualcuno mi avesse detto che avrei finito col mettere su carta pensieri così imbarazzanti, o se anche solo avesse insinuato che avrei provato per te qualcosa che andasse oltre un’educata tolleranza, come minimo gli avrei riso in faccia: non sei propriamente quella che chiamerei la mia anima gemella, e di sicuro sei l’ultima persona che avrei mai immaginato di voler vedere al mio fianco. Del resto la mia vita è già abbastanza difficile così com’è. Anche tu sei difficile: soprattutto ami mettere sottosopra la vita degli altri mentre io ho sempre cercato prima di tutto stabilità. Ma non è solo questo, anche se sarebbe più che abbastanza per lasciar perdere. Io e te siamo per natura e carattere agli antipodi, opposti che si attraggono come nel più banale dei clichè romantici, ma abbastanza disincantati e pratici da sapere fin dall’inizio che un’eventuale relazione non sarebbe la scelta più sensata. Non dovrei nemmeno amarti, a dirtela tutta.

Sarebbe decisamente più logico.

Invece è così, e mi sta bene.

Semplicemente.

E se l’amore non è questo, se non è il coraggio di combattere e di andare avanti nonostante tutto, pur nella piena coscienza di ciò che avverrà, io non so proprio cos’altro potrebbe essere.

 

Ti guarderò leggere questa pergamena nella speranza che tu ti accorga finalmente che quella che stai stringendo tra le dita è solo un’altra stupida, banale dichiarazione d’amore.”

 

 

 

***

 

SOLO UN’ALTRA BANALE DICHIARAZIONE D’AMORE

 

FINE

 

Note di Fine Fanfiction (in tutti i sensi)

 A cura di una persona che non ha eccessiva voglia di farle ma a fine fan fic credo siano doverose. Dunque, mi sento di ringraziare, a parte le anime sante che sono riuscite a sopportare la mia graforrea fin qui con fedeltà e audacia (sembra che stia parlando del cane Balto), Sirius e Remus che venendo contro tutti i principi a cui li ho educati dopo anni di fic romantragiche come Godric comanda a suon di turpiloquio e mazzate si sono prestati a una commedia romantica con un (brrrrr, rabbrividiamo) lieto fine.

Non me lo perdoneranno mai finché campano.

Hanno già pronta la frusta e la cera bollente.

Appena arriva Draco con il Daiqiri e le maschere di ecopelle cominciamo una festa come sappiamo farne noi, per compensare la dolcezza a cui ci siamo sottoposti per settimane.

Spero che qualcuno sia arrivato alla fine senza annoiarsi.

Spero che abbia gradito almeno un po'.

Spero che lasci un commentino.

Spero tante cose, e da qualche parte tra il desiderio di conoscere (possibilmente in maniera biblica) Gary e il riuscire a trovare un fidanzato che compensi gli esseri raccattati finora trova spazio anche la speranza di un mondo senza guerre.

Un inchino e un saluto condito di un abbraccio forte forte.

 

Risposte personali

 

Meggie: Oh, chi si rivede, ciao!!! ^.^ Aaaah, sì, avresti dovuto lasciare una recensione tempo fa, vergognati e pentiti, per punizione giù 20 flessioni e poi a recensirmi tutte le fic che non hai affrontato!!!!! XDDD Scherzo, naturalmente, sono contenta che ti sei fatta risentire, m'eri mancata! ^_^ E m'erano mancati i tuoi complimenti che carina!!!! XD Non so se sentirmi molto figa e camminare a 3 metri da terra o sentirmi in colpa per le altre WolfStar (ecco perchè come coppia ora è poco letta! XD). Propendo per il sentirmi figa che male non fa mai! XDDDD Arrossisco come una bimba e ti ringrazio tanto per aver apprezzato questo lavoro decisamente più puccioso della media. Se l'hai trovato originale e interessante al pari degli altri che posso dire se non grazie dal profondo del cuore? Un bacione! ^.^

 

Skiblue: Ti ringrazio molto, sono molto affezionata al personaggio di Lily, quindi che venga apprezzato mi riempie di gioia. La mia Lily è sempre un po' atipica, mi dicono, proprio per questo suo affrontare le cose di petto quando di solito è la mater che sempre sorride e sempre dolce consola. A me, dico la verità, una lily così sta antipatic!!! XDDD Preferisco la mia sarcastica e malandrina creatura.

Al fianco di James ci sta da dio.

Il primo pezzo, oooooh, l'hai notato, che bello!!! ^.^ Che fa parte in realtà di questo ultimo capitolo (avrai notato l'uso del presente in entrambi i casi). Sì, hai ragione, Sirius ormai è veramente fuori. Se prima l'aveva presa un po' anche come un gioco, ora non può più dirlo davvero. Per questo pian piano ho abbandonato la dimensione giocosa prima ancora che se ne rendesse lui che fosse vero amore. Sirius è veramente fregato, non c'è scampo! XD Proprio una cosa tutta commedia non riesco a farla, sono impossibilitata! XD Anche perchè un amore fatto solo di battutine e frasette allegre è un po' superficiale invece a me piace pensare che Sirius e Remus provino qualcosa di decisamente più serio.

Anche se meno simpatico.

I riferimenti all'olfatto sono autobiografici, anche io faccio un sacco caso agli odori, annuso tutto, anche il veleno per topi (ora si spiegano molte cose! XD). Io ti ringrazio davvero tanto, sinceramente, di avermi seguita fin qui alla fine di questa storia. Un pochetto mi dispiace che sia finita, mi hai dato tante soddisfazioni. ^_^ Un bacione anche a te.

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