The Beauty and the Beast

di AlexisLestrange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Incroci pericolosi ***
Capitolo 3: *** Giochi d'azzardo ***
Capitolo 4: *** La Baita ***
Capitolo 5: *** Priorità ***
Capitolo 6: *** Controfigura ***
Capitolo 7: *** Il terzo intruso ***
Capitolo 8: *** Ansiolitici e caffè ***
Capitolo 9: *** Il troppo stroppia ***
Capitolo 10: *** Spiriti aguzzi ed animi bollenti ***
Capitolo 11: *** Sogni di sangue ***
Capitolo 12: *** Doppiogiochista ***
Capitolo 13: *** Qualche drink di troppo ***
Capitolo 14: *** Apparizioni ***
Capitolo 15: *** Messaggi subliminali ***
Capitolo 16: *** Labirinti di passione ***
Capitolo 17: *** Richiami nascosti ***
Capitolo 18: *** Ultimo desiderio? ***
Capitolo 19: *** Apparizioni, parte seconda ***
Capitolo 20: *** Sale senza senso ***
Capitolo 21: *** Scambio d'identità ***
Capitolo 22: *** Atto finale ***
Capitolo 23: *** In medias res ***
Capitolo 24: *** E tutto quel che resta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il suo respiro era affannoso.

Si agitò nel sonno, rigirandosi tra le coperte ruvide e rosse, gli occhi semichiusi, il viso
pallido appena illuminato dai raggi della luna piena, che entravano a fatica da una
stretta finestra sulla parete.

Tremò.

Sangue, sangue, c'era sangue dappertutto, lo sentiva caldo, bollente, bagnarle la
pelle, riempiva tutto con il suo odore acre, e lei non poteva evitarlo, era lì, ovunque...

Trattenne il respiro; si dibatté ancora, la fronte madida di sudore. Le dita sottili e
bianche si strinsero invano, afferrando le lenzuola.

La paura, il terrore, le entravano nelle viscere, scuotendola tutta. I brividi, i tremiti. E
poi, la fuga. Via da quel luogo maledetto, lontano dal corpo, fuggendo dal cadavere.

Si svegliò urlando.

La stanza era stretta, immersa quasi totalmente nell'oscurità, e questo la fece sentire
ancora più in trappola.

Rabbrividì.

Una lacrima le scivolò lungo una guancia pallida, per poi precipitare nel vuoto,
cadendo sul pavimento freddo.

Adam...

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Capitolo 2
*** Incroci pericolosi ***


La radio mandava a tutto volume una canzone che probabilmente andava in voga un
centinaio d'anni prima; perfettamente in linea con la stanza, arredata in vecchio stile,
perfettamente vuota, fatta eccezione per i due fratelli, seduti uno di fronte all'altro su
un tavolo di legno.

Dean sorseggiava una birra con una mano, e con l'altra tamburellava il ritmo,
dondolando la testa a tempo di musica. Sam, invece, stava nello stesso tempo
sfogliando il prezioso diario del padre e scrivendo il più velocemente possibile sul suo
portatile.

«Ehi, Dean» fece, interrompedosi di blocco, dopo qualche istante. «Ci sono».

«Papà ci ha lasciato qualcosa d'interessante?» chiese subito quello, alzando lo sguardo
e abbassando il volume della radio.

«Delle coordinate» rispose il fratello. «Ho controllato, e corrispondo a Wlilliston, una
cittadina del Nord Dakota»

«E...?»

«Sette persone morte misteriosamente, solo negli ultimi due anni. Nessuno è riuscito
a risalire né alla causa della morte, né all'assassino» concluse Sam, lanciando
un'occhiata significativa all'altro.

«Accidenti, che bel posto» commentò Dean, inarcando le sopracciglia. «Cos'altro hai
trovato? Chi sono le vittime?»

L'altro, per tutta risposta, girò lo schermo del portatile verso di lui, e gli fece scorrere
davanti le foto di un paio di ragazzi, alcuni uomini, ed un signore sulla sessantina.

«Solo maschi, di tutte le età» spiegò poi. «Erano tutti fidanzati o sposati, e quasi tutti
sono stati trovati poi dalle rispettive compagne».

«Quasi?» chiese ancora Dean, sorseggiando ancora dalla bottiglia di birra.

«Per la prima vittima è andata diversamente» fece Sam, rileggendo velocemente
alcuni articoli sullo schermo. «Adam Mason, di ventisette anni, è stato visto dalla sua
ragazza mentre veniva aggredito».

«Aggredito, e da chi?» insistette il fratello.

«Da una donna, a sentire la versione di lei» Sam fece una pausa, e per qualche
secondo fu troppo impegnato a leggere per parlare. «È persino stata denunciata
un'amica di famiglia, ma non si dice che cosa sia successo dopo... è molto confuso,
come articolo».

«Non importa» Dean alzò le spalle con noncuranza, e si alzò in piedi.

Sam lo imitò, richiudendo le sue cose e infilando con delicatezza il diario del padre in
uno zaino, ma esitò appena nell'uscire.

«Tutto ok?» gli domandò il fratello, voltandosi a guardarlo.

Sam non rispose subito, e scelse con cura le parole.

«Questa cosa... queste cose che facciamo» domandò infine, piano «ci aiuteranno a
trovare papà? E l'assassino della mamma, e di Jessica?»

Dean lo osservò a lungo. Il fratello non si era ancora abituato all'idea, per lui così
naturale, della caccia.

Che cosa c'era di così difficile da afferrare? Nel mondo c'erano delle cose malvagie che
facevano del male alle persone. Che erano pericolose. Loro sapevano come farle fuori.
Dovevano occuparsene, no?

Per Sam era tutta una semplice questione personale. La rabbia per l'assassinio di
Jessica gli bruciava ancora dentro, ed era solo quell'unico desiderio di vendetta che lo
spingeva a continuare.

Se non fosse stato per qullo, e per la vaga paura che fosse successo qualcosa al
padre, Dean sapeva benissimo che il fratello non avrebbe mai accettato di partire con
lui: inutile illudersi, a Sam non importava proprio un bel niente della caccia.

Con un sospiro, si accorse che lui stava ancora aspettando una risposta.

«E chi lo sa» commentò alla fine, sarcastico. «Ti basta? E adesso andiamo, l'allegra
cittadina di Wiliston ci sta aspettando».

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Capitolo 3
*** Giochi d'azzardo ***


La macchina correva veloce sull'asfalto, mentre la sera scendeva velocemente,
oscurando pian piano il cielo.

Dean guidava nel solito modo spericolato, mentre accanto a lui Sam sfogliava
distrattamente il diario del padre, commentando ogni tanto con qualche frase spezzata
alla quale il fratello non rispondeva.

«Di quale creatura si potrebbe trattare?» mormorava tra sé .«Se la ragazza di Adam ci
ha visto giusto, dovrebbe avere le sembianze di una donna, quindi magari è un
fantasma, o una qualche cosa che ha posseduto un vero essere umano, oppure... hai
altre idee?»

L'altro si limitò a scrollare le spalle.

«Qualcosa non va?» chiese Sam perplesso, dopo averlo osservato attentamente.

«Tutto a posto» mentì Dean in un tono così definitivo che il fratello non osò insistere
oltre.

«Cosa facciamo appena arrivati?» chiese ancora Sam, intuendo fosse meglio cambiare
argomento. «Andiamo dalla polizia a chiedere qualcosa?»

«No» replicò quello, secco. «Non mi va di destare sospetti così presto. Preferisco
sentire la versione di quella ragazza che ha assistito alla prima aggressione... come si
chiama?»

«Evanna Dale» rispose subito il fratello, controllando tra i suoi appunti. «Posso cercare
il suo indirizzo sull'elenco, allora».

Dean annuì, senza aggiungere altro, e qualche minuto dopo, erano già a Williston.

Ascoltando le indicazioni di un paio di passanti, raggiunsero quella che doveva essere
la casa di Evanna, un condominio alto e grigio, piuttosto anonimo.

Dean parcheggiò malamente la macchina e i due scesero fino a raggiungere l'ingresso,
un portone di legno massiccio.

Suonarono un paio di volte al campanello, senza avere risposta, e dovettero
arrendersi all'idea che la ragazza non era in casa. Stavano ancora decidendo sul da
farsi, quando un signore di mezz'età si avvicinò loro, e fece per entrare nel
condominio.

«Buongiorno» lo fermò immediatamente Sam. «Abita qui la signorina Evanna Dale?»

L'uomo si fermò, e si voltò a guardarlo con una strana espressione, quasi disgustata.

«Perchè, si porta il lavoro anche a casa, adesso?» borbottò, arcigno.

«Come dice, scusi?» domandò Dean, accigliandosi.

Quello passò lo sguardo da uno all'altro, come cercando di capire se lo stessero
prendendo in giro o meno. Alla fine dovette decidere di no, perchè rispose, in tono
brusco: «Eva? Sì che abita qui, ma non è mai a casa, quella. Non a quest'ora,
almeno» aggiunse con disprezzo.

«Sa dove possiamo trovarla, allora? È molto importante» insistette Sam, e adesso
sembrò che l'uomo stesse per ridergli in faccia.

«Dove trovarla? Non siete di queste parti, vero?» commentò, sarcasticamente.
«Andate alla Baita, è di sicuro lì. Ma può darsi che la signorina Dale sia un tantino
occupata in questo momento».

«Cosa intende dire?» fece Dean, senza riuscire a seguire la conversazione.

L'uomo sfilò un giornale che teneva sotto braccio e glielo gettò tra le mani.

«Magari la sezione annunci può interessarvi. Buonasera» e senza dire nient'altro,
attraversò il portone e sparì all'interno del condominio.

Dean cominciò a sfogliarlo lentamente, fino a giungere alle ultime pagine, dove si
bloccò di colpo.

«Ah-ha, adesso ho capito cosa voleva dire quel tipo» ghignò, soddisfatto. «Sai,
Sammy, credo che mi piacerà proprio, lavorare a questo caso».

«Cosa...?» cominciò il fratello, perplesso, ma non appena diede anche lui un'occhiata
alla pagina di giornale alla quale stava guardando Dean, capì tutto.

Mostrava una serie di foto di donne semivestite in pose provocanti, il tutto sotto il
nome, incorniciato, di "La Baita". In calce c'era un numero di telefono e una scritta che
assicurava un servizio ventiquattr'ore su ventiquattro.

«Credo di aver capito anch'io» sospirò, lanciando un'occhiata preoccupata al fratello.
«Allora, cosa facciamo?»

Dean spalancò gli occhi, sorpreso, e sorrise. «Ovvio, no? Diamo un colpo di telefono, e
ci presentiamo».

«No». Sam scosse la testa. Questo proprio non l'avrebbe permesso. «Noi non faremo
una cosa del genere, so fin troppo bene come andrebbe a finire».

«E come, scusa?» chiese ironico il fratello, allargando le braccia.

Sam inarcò le sopracciglia, e questo bastò come risposta.

«D'accordo» Dean incrociò le braccia davanti al petto. «Quindi è questo che pensi di
me? Pensi che non distingua il lavoro dal divertimento? Che non sia capace di
trattenermi?»

«Non lo penso, lo so, ed è diverso» replicò Sam.

«Tu non mi conosci» sogghignò Dean, fissandolo attento. «Io saprei perfettamente
fermarmi al momento giusto, se fosse necessario. E se dico che voglio solo fare un
paio di domande, a questa Evanna...»

Sam scoppiò a ridere. Suo fratello era così poco credibile, quando cercava di fare il
bravo ragazzo.

«Dai, Dean, sii serio» commentò, senza smettere di sorridere. «Per una volta, perchè
non ci concentriamo solo sul caso, e lasciamo perdere il resto?»

«Ma si tratta il caso!» insistette l'altro. «Non mi credi?»

«Non scommetterei un dollaro sulla tua parola» replicò Sam, ancora convinto che
quella discussione stesse sfiorando i limiti dell'assurdo.

«E allora scommetti» fece Dean, ghignando. «E se alla fine della serata non avrò
toccato quella ragazza nemmeno con un dito, tu...»

«...io ti presterò i soldi per passare una notte con lei, legalmente» concluse
ironicamente Sam. Era una cosa così stupida... di litigi e scommesse ne avevano fatti
tanti, ma, accidenti, adesso erano cresciuti! «E se vinco io, mi cedi l'Impala per una
settimana, d'accordo?».

Gli tese la mano, ancora incredulo di quello che stavano facendo. Ancora una volta,
sembrava che tutta la faccenda si risolvesse in un semplice gioco... era insopportabile.

«Affare fatto» Dean gliela strinse, e sembrava davvero soddisfatto. «E adesso passami
la rivista, devo fare una chiamata».

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Capitolo 4
*** La Baita ***


Dean sorrise compiaciuto davanti all'edificio che si trovava davanti, infilandosi le mani
in tasca.

Era una piccola costruzione in pieno centro, infilata in una stradina laterale poco
visibile: era bassa, e le pareti erano quasi del tutto sostituite da grandi vetrate,
coperte da tende rosse che lasciavano però intravedere la sala riccamente addobbata
all'interno.

Avanzò fino alla porta, sulla quale, in una targa leggermente sbiadita, si leggeva
"Centro benessere e massaggi". Senza riuscire a trattenere un sogghigno, entrò.

La stanza era quasi del tutto vuota, fatta eccezione per un paio di ragazze che gli
passarono davanti, appena vestite, ammicandogli sorridenti.

Dean raggiunse il bancone in fondo alla sala, dove una donna giovane, dai capelli di un
biondo ossigenato legati in una coda alta, lo accolse con modi quasi eccessivamente
gentili, cominciando a spiegargli come funzionava il locale.

«So già tutto, grazie» la interruppe subito lui, sorridendo affabile. «Un... mio amico mi ha
già spiegato come vanno le cose, qui»

«Oh, perfetto, allora» esclamò la donna, mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi
in un sorriso esagerato. «L'accompagno a vedere le ragazze, così può scegliere, che ne
dice?»

«In realtà, avevo già una mezza idea in mente» fece Dean, improvvisando. «Sempre
questo mio amico, mi ha consigliato una certa... Evanna, giusto?» aggiunse, con aria da
intenditore.

La donna ridacchiò stupidamente. «Il vostro amico ha buon gusto, vedo!» commentò,
senza mai smettere di sorridere. «Eva è nella sua camera, sono sicura che sarà lieta di
accoglierti. Stanza numero tredici, in fondo al corridoio, vuole che una delle ragazze
l'accompagni?»

«No, faccio da solo, grazie» si affrettò a rispondere Dean, allontanandosi nella direzione
indicata. Attraversò la stanza, senza riuscire a trattenersi dal lanciare sguardi di
apprezzamento alle giovani che facevano avanti e indietro al suo fianco, parlottando e
squittendo entusiaste al suo passaggio.

Salì le scale di fronte a lui, per ritrovarsi in un corridoio nel quale si affiancavano una
ventina di porte, tutte uguali, da un lato e dall'altro: raggiunse l'ultima, sulla quale era
intagliato, in lettere d'oro, il numero tredici.

Attese un istante prima di entrare; sentendo che dalla stanza non proveniva alcun rumore,
si decise a bussare.

«Avanti!» gli rispose una voce dall'interno.

Dean aprì la porta, e si trovò in una lussuosa camera da letto, completamente arredata in
rosso ed oro; un enorme letto, circondato da sottili tende velate, se ne stava esattamente
al centro, mentre sul fondo c'era una porticina semi aperta.

Nella stanza, però, non c'era nessuno.

«Sono qui!» aggiunse la voce, e si udì distintamente una nota maliziosa nel suo tono.

Sì, proveniva decisamente dalla porta in fondo. Vi si avvicinò lentamente, e quando
l'attraversò vide che portava ad una stanza da bagno.

Dean trattenne il fiato, meravigliato.

In fondo alla stanza c'era una grande vasca da bagno di marmo, e dentro, nascosta
dall'ennesima velata tenda rossa, che però lasciava intravedere tanto quanto bastava, se
ne stava immersa una donna.

Potè vedere chiaramente la sua ombra che si sciacquava il corpo perfetto, con movimenti
lenti e delicati; quando però avvertì la sua presenza, la figura si fermò, e voltò la testa.

«Sei... sei Evanna?» chiese Dean, non appena ebbe recuperato l'uso della parola.

«Chiamami Eva» rispose lei, lentamente. «Ho quasi finito, qui. Che ne dici di andare ad
aspettarmi nell'altra stanza? Arriverò subito».

Dean stava per obbedire, quando si ricordò di quello che davvero era venuto a fare lì, e
dato che ogni secondo che passava aveva sempre più la tentazione di mandare al diavolo
il caso, Sam e la scommessa, decise con estrema riluttanza di levarsi il pensiero il prima
possibile.

«Veramente, io sono venuto qui solo per parlarti» disse, cercando di suonare deciso.
«Devo farti un paio di domande».

Eva rise, sorpresa, e per qualche secondo il suono della sua risata cristallina si mescolò
deliziosamente con il rumore dell'acqua che le scorreva sulla pelle.

«Davvero?» esclamò, allegra. «E a proposito di cosa?»

«A proposito della morte di Adam Mason». Ecco. L'aveva detto.

Evanna smise immediatamente di ridere. Chiuse l'acqua, e per qualche istante la stanza
rimase immersa nel più completo silenzio.

Dean si dette dell'idiota per essere stato così indelicato. Certo, era successo due anni fa,
ma magari la ragazza era ancora sotto shock, e sicuramente non moriva dalla voglia di
parlarne con uno sconosciuto... avrebbe dovuto pensarci prima.

Con suo stupore, quando parlò, la voce di Eva era ferma.

«Sei un poliziotto?» gli chiese, con estrema calma.

«No, proprio no» sorrise Dean, scuotendo la testa. Non questa volta, almeno, perchè non
ne aveva bisogno.

«Allora non sono tenuta a risponderti, giusto?» commentò leggera Eva, con una punta
d'ironia che lo spiazzò.

«Certo che no, ma... mi piacerebbe molto che lo facessi» tentò, abbastanza goffamente,
Dean.

«Già, lo immaginavo» rispose lentamente lei, giocando distrattamente con il bordo della
tenda; Dean poté intravedere le dita lunghe e candide, e di nuovo dovette ricordarsi per
quale motivo era venuto.

«Il caso della morte di Adam è stato dichiarato chiuso due anni fa» continuò Eva, dopo
qualche istante. «Come mai ti interessa tanto?»

«Diciamo che non mi piacciono, i casi rimasti irrisolti» fece lui, cercando di suonare
convicente.

«Come ti chiami?» domandò ancora la ragazza.

L'altro aveva pronti più di una ventina di nomi fittizi pensati appositamente per
l'occasione: ma una vocina dentro di lui, che tra l'altro assomigliava molto a quella di
Sam, gli fece presente che quando stai cercando di estorcere informazioni ad una persona,
il minimo che tu possa fare è essere sincero. Per quanto possibile.

«Sono Dean, Dean Winchester» rispose quindi.

Evanna se ne stava immobile dietro alla tenda. Era impossibile dire in quale direzione
stava guardando, ma certamente non nella sua, anzi: pareva star fissando il vuoto con
particolare interesse.

«E allora, Dean Winchester, scoprirai che basta ad andare a leggere qualche vecchio
quotidiano per avere tutte le informazioni che ti servono» disse, dopo una lunga pausa, e
per la prima volta, la sua voce suonò davvero dura. «Ho già raccontato questa storia ai
giornalisti più volte di quanto meritassero».

«Ma io la voglio sentire da te» insistette lui con un mezzo sorriso. «Sono venuto qui
apposta, sai».

Evanna fece una pausa, poi sembrò sorridere a sua volta. «Sono lusingata» commentò,
ironicamente. «Allora sembra proprio che debba accontentarti, o no?»

La vide alzarsi in piedi da dietro la tenda, allungare un braccio bianco per prendere
un'accappatoio dal bordo della vasca, infilarselo con movimenti lenti, ed uscire.

Dean, questa volta, rimase davvero senza fiato.

Il punto era che Evanna era semplicemente... bellissima.

Aveva un viso sottile, aggraziato, sovrastato da due occhi di un azzurro intenso,
accentatuati dal trucco nero. I capelli rossi erano trattenuti in una complicata acconciatura
che li raccoglieva tutti dietro la testa, e solo qualche ciocca le ricadeva, bagnata, sulle
spalle pallide.

Era minuta -l'accappatoio di seta era corto, e copriva solo parte delle gambe sottili,
lasciando completamente scoperto l'incarnato bianco delle braccia e del collo.

Lei si dovette accorgere dell'effetto che aveva fatto la sua uscita, perchè sulle labbra rosse
comparve un accenno di sorriso, ma non sembrò darci molto peso: si voltò verso lo
specchio sulla parete accanto e cominciò a disfarsi l'acconciatura con movimenti lenti.

«Allora, a proposito di Adam» cominciò nel frattempo, parlando piano, e Dean, che si era
completamente dimenticato della propria domanda, si riscosse in fretta. «Il giorno in cui è
morto, eravamo usciti insieme. Al cinema, sai, per festeggiare un anno di fidanzamento».

Mentre parlava, la sua voce era calma, e sul volto non traspariva nessuna emozione, anzi:
Eva parlava in una maniera persino troppo fredda e controllata, così diversa dai toni di
prima.

Dean, tuttavia, non fece commenti, e lasciò che la ragazza parlasse, anche se più di una
volta lasciò cadere lo sguardo, e faticò non poco a mantenere la concentrazione.

«Adam si allontanò, durante l'intervallo, per andare a salutare una sua amica, o così
almeno mi disse» continuò Evanna, che sembrava rivolgersi più allo specchio che a lui.
«Poi, poco dopo essere ritornato, se ne andò di nuovo, questa volta dicendo che andava a
prendere da bere. Purtroppo, però, dev'essere stata una lunga bevuta, perchè non ritornò
per un gran bel po' di tempo. Alla fine, decisi di andarlo a cercare io stessa, e uscii dalla
sala».

Man mano che il racconto andava avanti, ciocche di capelli rossi le ricadevano sulle spalle
bianche, libere dai fermagli, in un movimento così regolare da essere quasi ipnotico.

«Nel cinema non c'era, e nemmeno nel bar accanto. Uscii in strada, ed eccolo lì... tra le
braccia della sua amica, a baciarsi appassionatamente con lei. Non sapevo cosa pensare.
Poi, si sono lasciati, e lui è caduto a terra. Mi sono accorta che perdeva sangue... sono
corsa da lui, e nel frattempo l'altra ragazza è sparita nel nulla. Quando l'ho raggiunto, lui
era già morto». Solo nelle ultime parole, la voce di Evanna tremò.

«Come?» mormorò Dean, piano.

«Aveva un taglio alla gola» rispose lei, esitando un attimo. «Non so quando lei lo abbia
colpito... probabilmente prima del bacio, o l'avrei vista».

L'altro annuì. «Capisco» fece, la mente che cercava di lavorare, ma che veniva
continuamente distratta dalla visione di Eva che si asciugava le braccia e il collo con un
asciugamano bianco. «E... senti, hai notato qualcos'altro quella sera? Qualcosa di strano,
d'insolito?»

«Io trovo abbastanza insolito che una donna uccida in quel modo, e senza motivo»
commentò lei sarcasticamente. «Ma forse abbiamo punti di vista diversi sulla cosa».

Dean non riuscì a reprimere un sorriso. «Intendo dire... qualche dettaglio che hai visto,
qualcosa che solitamente non accade». Come spiegare il genere d'informazioni che stava
cercando di ottenere?

Evanna, tuttavia, sembrò capire, perchè socchiuse appena gli occhi, sovrappensiero. Poi
scosse la testa, in silenzio.

«D'accordo» fece Dean, infilandosi le mani in tasca e preparandosi ad uscire. «Bene,
grazie di tutto, davvero».

«Io non ti capisco, Dean» lo fermò Evanna, con un sorriso sulle labbra. «Sei davvero
venuto fino a qui... infiltrandoti in un posto come questo, solo per ascoltare una storia che
potevi andarti a leggere da qualsiasi altra parte?»

«Te l'ho detto» commentò lui, leggero. «Volevo sentirla raccontata dalla tua bella voce».

Eva rise. «Davvero, mi sorprendi» esclamò, avvicinandosi. «Ma è davvero un peccato che
tu te ne vada così presto, no? So fare molte altre cose, oltre che a raccontare storie...»
sussurrò, ormai con il viso a pochi centimetri da lui.

Dean dovette fare un enorme sforzo per controllarsi. «Proprio non posso, molto
spiacente».

Evanna lo squadrò da sotto in su. «Sai, Dean, quando un uomo è così reticente, o ha
subito un trauma, oppure ha scommesso. Quale delle due è la tua?» chiese.

«Nessuna delle due!» esclamò lui, cercando di mantenere un tono quasi indignato.

«Ho capito, la scommessa» Evanna allungò la mano e gli sfiorò una guancia; aveva un
tocco così dannatamente morbido che Dean quasi rabbrividì.

«Si tratterebbe di aspettare solo un giorno...» tentò, quasi disperatamente.

Lei sbuffò. «Un giorno! Quante cose potrebbero succedere, in un giorno?»

Effettivamente, pensò Dean, poteva succedere davvero qualsiasi cosa, a lui. Poteva finire
divorato da un lupo mannaro o ucciso da un fantasma vagabondo, trasformato in qualche
mostro spietato o ridotto ad un mucchio d'ossa da una besta qualsiasi. Forse era più
prudente approfittare subito...

«Avanti, cosa c'è in gioco di così importante?» insistette lei, con una calma quasi
esasperante.

Dean si arrese. «La mia macchina... e la mia reputazione» rispose, con un sorriso.

Evanna avvicinò il viso e gli sussurrò, all'orecchio: «E sono più importanti di una
meravigliosa notte?»

«Una delle due è di fondamentale importanza» fece lui «la mia reputazione, invece, me la
posso ancora giocare...»

«E giochiamocela, allora» esclamò Eva, gli occhi accesi da una strana luce.

Le loro labbra si incontrarono, e all'improvviso Dean non capì più nulla. Sentì solamente il
suo tocco delicato e le sue braccia che lo circondavano, e nient'altro aveva importanza.

La vestaglia rossa di lei cadde a terra, e tutto venne cancellato dall'oblio.

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Capitolo 5
*** Priorità ***


Il suono di un telefono riecheggiò squillante nella stanza, interrompendo il silenzio in
cui era immersa.

Dean si rigirò tra le coperte, infastidito, e borbottò qualcosa come: «Rispondi tu,
Sammy».

Ma il cellulare non gli dava tregua, e continuò a squillare ininterrotto, finchè non fu
costretto ad aprire gli occhi: nello stesso momento in cui si rese conto di non essere
confinato in una qualche squallida stanza d'hotel, ma una camera addobbata in rosso
e oro, si svegliò di colpo.

Stropicciandosi gli occhi, tastò il tavolino accanto al letto alla ricerca di quel maledetto
aggeggio, lo afferrò, e, indovinando chi doveva esserci dall'altra parte, bofonchiò:

«Buongiorno, fratellino».

«Dean!». La voce che veniva dal celluare sembrava infuriata. «Ma ti sembra l'ora di
rispondere? È tutta la mattina che ti chiamo!»

«Sì, immaginavo» fece lui, che da appena sveglio com'era, aveva ben poca voglia di
discutere.

«Sapevo che non c'era da fidarsi, sei un'incosciente, non sei riuscito a controllarti
nemmeno per una volta, ti rendi conto?» replicò Sam, duro. Non c'erano dubbi, era
infuriato. «Sono sotto alla Baita, scendi immediatamente, devo parlarti».

«Arrivo» mugugnò Dean, cominciando a cercare i vestiti ammucchiati sul bordo del
letto. Nel farlo, si accorse che Evanna, al suo fianco, si era svegliata; si stava
stiracchiando, con la testa inclinata a guardalo, un mezzo sorriso sul volto.

«Muoviti». La risposta dell'altro fu secca, e subio dopo gli chiuse il telefono in faccia.

Con un sospiro, Dean mise via il cellulare e iniziò a vestirsi.

«Chi era?» domandò leggera Eva, osservandolo dritto negli occhi. Era molto carina
anche così, appena sveglia, i lunghi capelli rossi tutti scompigliati, e il viso che, senza
tutto quel trucco, sembrava in qualche modo più colorito.

«Mio fratello, Sam» rispose Dean, con un'aria talmente rassegnata che lei scoppiò a
ridere.

«Non sembrava molto felice» commentò dopo un istante.

«Infatti, era furioso».

«Perchè non sa dove sei stato tutta la notte?» domandò ancora Evanna.

«No, perchè sa esattamente dove sono stato» ghignò Dean. Nonostante tutto, come
faceva a pentirsi della sua presupposta incoscienza?

Eva rise ancora.

«Devo proprio andare, adesso» aggiunse lui, recuperando la giacca che era finita,
chissà come, buttata nel lato opposto della stanza, e infilandosela in fretta.

«Ehi, Dean» lo chiamò Evanna, scendendo dal letto avvolta nella vestaglia rossa della
sera prima. «Mi dispiace».

«Per cosa?» fece lui, senza capire.

«Per la tua macchina» commentò quella, sorridendo ironica. «Avrai perso la
scommessa, immagino».

Dean sogghignò e le si avvicinò, senza resistere all'impulso di prenderla di nuovo tra
le braccia.

«In ogni caso, è stata la migliore perdita che abbia mai subito» commentò, lasciando
cadere lo sguardo sul suo corpo perfetto. «E poi è solo per una settimana,
sopravviverò».

«Meno male» sussurrò lei, e gli accarezzò una guancia con la sua mano liscia,
morbida. «Non avrei sopportato averti sulla coscienza».

Dean sorrise. «Adesso, però, devo davvero scappare».

«Verrai a trovarmi ancora?» domandò Eva, guardandolo mentre si allontanava in
direzione della porta.

«Lo vorrei, ma, sai, non credo di avere abbastanza soldi per venirti a farti visita tutte
le volte che ne ho voglia» commentò lui, con aria desolata.

Evanna sembrò accigliarsi. «E chi ha mai parlato di soldi?» replicò, asciutta. Fece
qualche passo ancora verso di lui. «Tu puoi passare da me tutte le volte che vuoi.
Sistemerò io le faccende con Doris, giù alla cassa».

«Davvero?» esclamò lui, inarcando le sopracciglia, sorpreso.

«Ma certo» Eva lo accarezzò un'altra volta. «A presto, Dean» sussurrò, e le loro labbra
si raggiunsero un'altra volta.

Fu un bacio rapido, ma dolce, e delicato, e fu con il suo sapore addosso che Dean
scese di corsa le scale, senza praticamente rendersi conto di quello che stava facendo,
finchè la visione di Sam che lo aspettava di fronte alla Baita, appoggiato alla
macchina, le braccia incrociate sul petto, non lo riportò bruscamente alla realtà.

Dean si era sentito poche volte incolpa per qualcosa che aveva fatto, ma dovette
ammettere che lo sguardo furioso del fratello lo mise non poco a disagio.

«Dormito male, Sammy?» tentò di sdrammatizzare, senza troppo successo.

«Dammi le chiavi della macchina, Dean» replicò quello, laconico.

Lui si infilò le mani in tasca per prenderle, ma si interruppe a mezza strada, alzando lo
sguardo, speranzoso. «Beh, vedi, io in un certo senso ho mantenuto la parola, perchè
ho prima chiesto ad Evanna del caso, e poi noi abbiamo...»

«Le chiavi, Dean» lo interruppe Sam, che non sembrava avere troppa voglia di
scherzare.

L'altro gliele consegnò con un sospiro rassegnato: senza dire una parola, salirono in
macchina, e si avviarono lungo la strada che era quasi completamente deserta, data
l'ora.

«Si può sapere dove stiamo andando, almeno?» chiese Dean, esasperato da quel
silenzio.

«Nell'hotel dove io ho dormito stanotte» rispose secco il fratello. «Devo farti vedere
delle cose che ho trovato».

Nessuno parlò ancora per un paio di minuti, e Dean pensò rabbiosamente che quel
silenzio era la cosa che più snervante che gli fosse mai capitata. Possibile che per una
volta che sembrava andare tutto bene, Sam dovesse essere sempre il solito
guastafeste?

«E va bene» fece, quando non ne poté più. «Non ti sembra di stare esagerando,
Sammy?»

Lui si girò a guardarlo, incredulo. «Esagerando? No, Dean, non questa volta!»
esclamò, furibondo. «Non ti rendi conto che è sempre la stessa storia? Io faccio il
lavoro pesante, cerco, studio, mentre tu stai lì a divertirti, e al momento di sparare
qualche pallottola o accoltellare qualcuno ti fai vivo! Non possiamo andare avanti così,
non lo sopporto!»

«Adesso stai esagerando» ribatté Dean, colpito da tanta asprezza.

«Tu sei venuto a prendermi quando avevo una vita perfettamente normale!» insistette
Sam. «Tu mi hai convolto in queste storie assurde, e adesso fai finta che sia tutto un
gioco, un passatempo, quando sei stato solo tu a scombinarmi la vita!»

«Io?» Dean non riuscì a trattenere una risata davanti a tante assurdità. «Spiacente di
deluderti, Sammy, ma non sono stato io a sconvolgerti la vita, non sono stato io ad
uccidere la mamma e Jessica, è stato quel demone, e lo sai bene!»

«Perfetto, allora, e quindi perchè non andiamo a indagare su di lui, invece che perdere
tempo in cerca d'avventure?» fece l'altro, irritato.

«Noi non stiamo perdendo tempo!» esplose Dean. «Non lo capisci, vero, che sta tutto
qui il problema? Tu pensi solo alla vendetta, a uccidere quel demone, ma qui c'è gente
che muore, Sam, che muore, uccisa tutti i giorni da quelle creature schifose a cui noi
dovremmo dare la caccia! È questo quello che dobbiamo fare, è questo quello che
siamo!»

«È questo quello che papà voleva che fossimo» ribatté gelido Sam.

Dean non rispose. Guardava fisso davanti a sé, troppo infuriato per parlare. Come
diavolo si faceva ad essere così... così idioti?

«Senti, Dean, per te è diverso, tu ci sei cresciuto, io non ho mai voluto fare questa
roba...» cominciò ancora Sam, ma il fratello lo interruppe.

«Per me non è diverso!» ribattè, adirato. «Credi che a me piaccia? Pensi che forse non
vorrei anch'io un'esistenza normale? Anch'io vorrei rintanarmi in qualche posto
perfetto e far finta che vada tutto bene, come fai tu, solo che non sono abbastanza
egoista!»

«Egoista? E anche se fosse?» Sam voltò lo sguardo in un'altra direzione, amaro. «E se
davvero m'importasse solo di vendicarmi, se fosse davvero solo questo quello che
voglio, non ne ho il diritto, dopo che quel demone ha distrutto la mia vita?»

«Se non sapessi che parli così solo perchè sei ancora sotto shock dalla morte di
Jessica, ti prenderei a pugni» fece Dean, quasi disgustato, trattenendosi appena
dall'andare oltre. «Il demone ha distrutto anche la mia, di vita, se non te lo ricordi,
solo che io non sono ossessionato da questa idea come te!»

Il fratello non disse più nulla, sembrava quasi troppo assorbito dalla guida per parlare,
ma Dean notò che le sue mani, sul volante, tremavano, e si chiese se fosse per rabbia
o disperazione. O entrambe.

«Sam, se hai intenzione di andartene per la tua strada, non ti trattengo, non l'ho mai
fatto, e lo sai bene» aggiunse, dopo un istante. «Non sei mai stato obbligato da
nessuno a seguirmi».

Lentamente, il fratello scosse la testa. Nessuno dei due parlò più, fino a che non
furono arrivati, e Sam parcheggiò davanti all'entrata di un piccolo motel in una via
stretta, quasi sperduta.

Scesero dalla macchina, e Dean lo seguì lungo le scale, fino a raggiungere la loro
stanza, quasi interamente occupata da due letti e un tavolo ingombro di giornali.

«Hai avuto tempo di chiedere a Evanna qualcosa su Adam, tra una cosa e l'altra?»
domandò, sarcasticamente, Sam, ma non sembrava più così arrabbiato come prima.

Dean fece un mezzo sorriso. «Certo, mi ha raccontato esattamente com'è morto»
disse, inarcando le sopracciglia, soddisfatto.

«Esattamente?» ripetè ironico il fratello. «Ne sei sicuro? E per caso era la storia di un
cinema, di una donna sconosciuta e di un taglio alla gola?»

«E tu come fai a saperlo?» domandò Dean, spiazzato.

«Perchè è quella la versione che va per la maggiore, sui giornali che ho trovato»
spiegò Sam, senza riuscire a trattenere un sorriso all'espressione insieme sorpresa e
delusa del fratello. «Il punto è che ce ne sono molte altre, quella della polizia, quella
dei telegiornali, quella di alcuni presunti testimoni... la storia si è talmente ingigantita
che non si capisce più cos'è vero e cosa no».

«Ma Eva era lì, il suo racconto dovrebbe essere affidabile, o no?» chiese ancora Dean,
senza capire.

«Lo sarebbe, se non fosse stata proprio Evanna a diffondere alcune delle versioni false
sui giornali. In alcune si accenna chiaramente ad una creatura soprannaturale... in
altre c'è solo un grandissimo intrigo amoroso, e in un'altra si parla addirittura di una
specie di mostro» continuò Sam, sfogliando i vari giornali davanti a lui.

«Ma perchè fare una cosa del genere?» fece Dean, allungandosi per dare un'occhiata
anche lui, sconcertato. L'idea che Evanna potesse avergli mentito non lo faceva sentire
benissimo.

«Forse per distogliere l'attenzione dalla vera storia, non so» azzardò il fratello. «In
ogni caso, voglio far luce in questa storia, e dato che l'unica vera testimone è proprio
lei, vuol dire che...»

«...l'andiamo a trovare un'altra volta» concluse per lui Dean, e la prospettiva lo rese
incredibilmente di buonumore.

«No, Dean» lo frenò immediatamente Sam. «Vuol dire che questa volta io la vado a
trovare».

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Capitolo 6
*** Controfigura ***


«Ma io voglio solo parlarle!» insistette Sam, esasperato, mentre la donna bionda
appoggiata al bancone davanti a lui lo guardava scettica.

Odiava essere visto in difficoltà. Specialmente quando sapeva che Dean lo stava
guardando da oltre la vetrata della Baita, probabilmente facendosi anche due risate.

«Senti, ragazzo, io non credo proprio che tu...» cominciò quella, ma una voce esterna
la interruppe.

«Sei il fratello di Dean?»

«Sì, io...» Sam rispose senza pensare, e quando si voltò per vedere chi aveva parlato,
si ritrovò faccia a faccia con Evanna, che lo guardava con un mezzo sorriso sulle
labbra.

Per qualche secondo gli mancò il fiato, osservando la sua carnagione quasi perlacea,
gli occhi di quell'azzurro così vivido e il corpo minuto, delicato, avvolto in un corto
vestito.

«Vieni con me» si limitò ad aggiungere lei, scostandosi una ciocca di capelli rossi dal
volto.

Lui obbedì subito, e la seguì lungo la scalinata coperta da un lungo tappeto; per
qualche motivo, non riusciva a smettere di guardarla.

«Sei... sei Evanna?» domandò esitante, affiancandosi a lei.

«Chiamami Eva» rispose la ragazza sorridendo. «E tu sei Sam, giusto? Sam
Winchester»

L'altro la guardò, senza capire. «Come facevi a saperlo?»

«Hai lo stesso sguardo di tuo fratello» spiegò lei distrattamente, guidandolo fino ad un
lungo corridoio coperto di porte, e fermandosi davanti a quella con inciso il numero
tredici. «E poi, sai, entrambi siete venuti qui con la pretesa di parlarmi e basta, e non
capita spesso»

Sam sorrise appena, divertito. «Ma io voglio davvero parlarti e basta» precisò,
leggero.

Lei si fermò un attimo dal trafficare con le chiavi e lo guardò. «Già» commentò, dopo
un istante, aprendolo la porta. «Esattamente la stessa cosa che ha detto Dean».

«Ma io, sul serio...» cominciò Sam, ma Evanna lo interruppe ancora, ridendo.

«Facciamo una cosa, riparliamone domani mattina» disse, e gli fece cenno di entrare.

La stanza oltre la porta era addobbata in un lusso esagerato; i colori rosso ed oro
erano dappertutto, e in qualche modo rendevano l'ambiente quasi soffocante.

«Accomodati pure» aggiunse Eva, indicandogli un letto che occupava quasi tutta la
stanza, circondato tutto attorno da una tenda di velo rosso.

«Come?» fece Sam, spiazzato, senza capire.

Evanna rise ancora, di gusto. «Ti ho solo chiesto di sederti, tranquillo! O hai intenzione
di rimanere in piedi tutto il tempo?» chiese, ironica. Si distese su un fianco, senza
smettere di osservarlo attenta; lui si sistemò in un angolo del letto, sentendosi
vagamente a disagio.

«Allora, c'è qualcosa di preciso che mi devi domandare, o semplicemente non ti fidavi
delle parole di tuo fratello?» aggiunse lei, dopo un instante di silenzio.

«Tutte e due, più o meno» sorrise Sam, ma ritornò subito serio. «C'è qualcosa che
non quadra in questa faccenda, e io credo che tu non abbia raccontato tutta la verità a
Dean».

Forse era stato troppo diretto: vide che Evanna si rabbuiava appena, ma in ogni caso,
era troppo tardi.

«Se non l'ho detta a lui, cosa ti fa pensare che la dirò a te?» domandò lentamente lei,
per tutta risposta.

Per un attimo Sam non seppe cosa dire. «Forse il fatto che Dean non è proprio il
massimo, a chiedere informazioni» tentò, ironico.

Eva distolse lo sguardo da lui, e lo fissò sulle tende rosse, che ondeggiavano appena,
mosse da un leggero vento. «Io sono del parere che un segreto rimane tale anche se
viene chiesto con gentilezza, tu no?»

Era lampante che non aveva la minima intenzione di confidarsi con lui. Sam si chiese
dove avesse sbagliato: forse avrebbe dovuto procedere con più calma, cercare di
arrivare ad Adam per gradi, e prima ottenere la sua fiducia, come minimo.

«Dimmi una cosa, hai fatto tutte queste storie anche con Dean?» si lasciò sfuggire alla
fine, quasi esasperato.

Lei sorrise appena. «No, con lui no» rispose dopo un attimo, piano. «Ma Dean è un
tipo che si accontenta della prima versione, non gli importava andare molto più a
fondo».

C'era qualcosa, nelle sue parole, nella sua intonazione, che semplicemente non
andava. Sam si sforzò di cercare cosa fosse, tentò di mettersi nei suoi panni. E ci
riuscì con estrema facilità.

«Eva... io non ti capisco» mormorò. Alzò lo sguardo fino ai suoi occhi azzurri con
l'intenzione di osservare la sua reazione, ma riuscì solo a perdere la concentrazione
per un istante, tanto era concentrato ad ammirarla. «Tu non vuoi sapere la verità su
quello che è successo? Non vuoi che l'assassino di Adam venga preso?»

Lei tremò appena, e sembrò che non volesse rispondere. Quando parlò, tuttavia, la
sua voce aveva un tono amaro. «Questo cambierebbe qualche cosa?» sussurrò. «Lo
riporterebbe forse in vita?»

«No, ma potrebbe impedire che ad altri succeda quello che è successo a te» rispose
Sam, esitante. Non era sicuro che quello fosse l'argomento giusto su cui puntare.

«Allora vallo a chiedere agli altri, l'aiuto» replicò in tono improvvisamente aspro
Evanna. «Dato che questa faccenda sembrerà gioviare più loro che me».

La decisione di quelle parole lo colpì, e rimase quasi troppo sorpreso per rispondere.
Non capiva... la ragazza sembrava affrontare la questione in una maniera troppo
diversa da quella che lui si aspettava, e non c'era modo di far conciliare le cose.

Gli tornarono in mente, quasi involontarie, le parole che Dean gli aveva rivolto poco
prima. Sull'importanza della caccia, l'unica possibilità di salvezza per tante persone...

«Eva, come puoi essere così egoista?» disse, senza nemmeno pensare.

Per un attimo sembrò che lei si fosse irrigidita e Sam temette di aver rovinato tutto.
Invece, sorprendentemente, Evanna sorrise, anche se in una maniera troppo amara
per essere sincera.

«''Eva, come puoi?''» lo imitò, sarcastica. «''Eva, come fai?'', ''Cosa pensi?'', ''Cosa
provi?''... Hai idea di quante persone mi abbiano rivolto queste parole, dopo la morte
di Adam? Di quante volte mi abbiano fatto le stesse domande? Ma a chi di loro
importava davvero di come mi sentivo? Ero solo la notizia del momento, nient'altro».

«Mi dispiace» mormorò Sam, senza la più pallida idea di cosa aggiungere.
Improvvisamente leggeva nel suo volto perfetto anni di angoscia e tormento, e si
chiese stupito come avesse potuto non notarli prima.

«Sì, certo. Ti dispiace, a tutti dispiaceva. Erano tutti incredibilmente commossi per la
mia tragica disavventura» fece Evanna, e sentì che il respiro le si faceva mozzo. «Ma
quando comparirono le altre vittime, improvvisamente, a nessuno importava più un
bel niente. Per un paesino piccolo come questo, una strage era solo il più grosso scoop
che si fosse mai visto».

«Eva...» cominciò lui, senza una chiara idea di come continuare. «A me importa. Io...
io, e Dean, vogliamo davvero risolvere il caso».

«Oh, sì, Dean è talmente interessato al caso!» commentò lei sarcastica, inarcando le
sopracciglia. «Non pensava davvero ad altro, quando è venuto qui»

«Lui voleva solo...» tentò ancora Sam, spiazzato, ma non riusciva a trovare le parole
giuste. Evanna lo guardava, in un misto di trionfio e disillusione, che gli diede la forza
di continuare. «Perchè non provi a fidarti? Raccontami quello che è successo davvero
quel giorno, dopotutto... non hai niente da perdere».

Lei sembrò colpita da quest'ultima affermazione. Abbassò lo sguardo, senza dire una
parola, e Sam potè avvertire il suo respiro, quasi affannoso.

«Davvero, non ho nulla da perdere» sussurrò lei dopo un istante; cambiò posizione sul
letto, e nello stesso tempo gli si avvicinò. Si passò una mano tra i capelli rossi,
indecisa, prima di cominciare a parlare.

«Sai, Sam, alla fine non ho fatto niente di male» disse, lentamente. «Ho solo dato alla
gente quello che voleva. I giornalisti volevano un racconto tragico, ed è quello che gli
ho riferito. La polizia voleva un caso facile da risolvere, e gli ho indicato un colpevole
da prendere. Il telegiornale voleva il terrore, il sangue, e ho sottolineato per loro tutto
l'orrore. E tu, che storia vuoi, Sam? Ne ho tante altre, in serbo...» la voce di Evanna si
fece quasi un sussurro. «E ad alcune sono sicura che non crederesti neppure»

«Allora raccontami quelle» mormorò lui d'istinto. «Dimmi delle storie a cui nessuno
crederebbe, di quelle che non hai mai rivelato a nessuno, perchè nessuno vi avrebbe
dato ascolto.»

Lei inclunò la testa, come per guardarlo meglio. «Sei un appassionato di racconti
dell'orrore, per caso?»

Sam non riuscì a trattenere un sorriso. «Non proprio» rispose. «Ma ci vado molto
vicino. Eva... dimmi solo la verità».

«La verità...» ripetè lei, come rapita. «Dopotutto, quello che ho detto a Dean non era
poi molto lontano dal vero. Eravamo davvero al cinema, io e Adam. Davvero lui è
uscito, per vedersi con un'altra. Solo che non era lei che lo stava baciando, dopo».

Sam si mise in ascolto, attento. «E chi era?» domandò.

«Era un'altra donna» sussurrò Evanna. I suoi occhi brillavano come non mai, e
sembravano star cercando di comunicargli chissà che cosa, senza un gran successo,
dovette ammettere lui. «O almeno, così sembrava, perchè aveva uno sguardo... uno
sguardo strano, innaturale, quasi folle. Lo ha baciato... e poi, subito dopo, lo ha morso
sul collo»

«Come... come un vampiro?» domandò Sam, accigliandosi appena.

Gli occhi di Eva lampeggiarono. «No» mormorò, e lo fissò a lungo. «Immagino che un
vampiro vada con più calma. Quella donna, lo ha proprio azzannato. Sembrava
volesse... volesse mangiarlo»

La voce le tremò sulle ultime parole: improvvisamente non sembrava più in grado di
continuare. Sam la vide abbassare lo sguardo sulle coperte rosse e rabbrividire, e
desiderò poter fare qualcosa per consolarla, per aiutarla.

Le si avvicinò appena, e alzò la mano per accarezzarle un braccio, ma all'ultimo
secondo esitò. Era talmente bella, delicata, in quel momento, che quasi non osava
sfiorarla; così rimase immobile, mentre lei riprendeva a parlare con voce incerta.

«Adam non è morto per un taglio alla gola, come ho detto a Dean» disse, cupa. «Lui
la gola... l'aveva del tutto distrutta, lacerata. Quasi non gli reggeva la testa...»

Distrutta. Lacerata. L'immagine di un ventre squartato, di un corpo appeso al soffitto,
gli invase di colpo la mente. Sam sussultò. Non era il momento di pensarci, proprio
no...

«Grazie per avermene parlato» fece Sam. Si sentiva distrutto, voleva chiudere quella
storia il prima possibile. «Io e Dean ti faremo sapere il prima possibile come
procedono le...»

«Cosa?» lo interruppe Eva, alzando di scatto la testa. «E tu adesso pensi di andartene
e lasciarmi qui sola mentre tu e tuo fratello andate a indagare?»

Lui la guardò perplesso. «Che cosa intendi dire?» chiese.

«Sam, non sono una sciocca» rispose Evanna abbassando la voce. «So a che cosa
state andando incontro, e voglio essere lì con voi quando lo ucciderete».

«Ma di che cosa stai....?»

«Andiamo» insistette lei, impaziente. Gli si avvicinò, fino ad avere il viso proprio
accanto a quello di Sam, che avvertì appena un brivido lungo il collo. «Non mi dire che
mi sono sbagliata sul vostro conto. Tu e Dean non siete forse... cacciatori?»

Sussurrò l'ultima parola in un soffio. Sam cercò di restare concentrato, ma era
difficile, con lei così vicina.

«Come fai a saperlo?» mormorò, con voce roca.

«L'avevo intuito da quando è venuto tuo fratello» rispose lei, sorridendo appena.
Maledizione, perchè gli era venuta così vicina? Una ciocca di capelli le scivolò dalla
spalle e gli sfiorò appena il collo. «Continuava a chiedermi se avevo visto qualcosa di
strano... e anche tu hai insistito su questo punto»

«Già» fece Sam, senza sapere cosa dire. Allora lei sapeva... ma che cosa sapeva, e
quanto? Avrebbe dovuto cercare di scoprirlo, ma improvvisamente si rese conto che
non gli importava, che il caso non era, dopotutto, così fondamentale, adesso.

Il sorriso di Eva si fece ancora più largo. Allungò una mano e gli accarezzò una
guancia, con un tocco freddo e delicato che lo fece rabbrividire ancora.

E di nuovo, il ricordo di altre mani che lo sfioravano in quel modo, di un altro tocco,
più caldo e minuto, sulla sua pelle, lo inondò, e sentì di volersi opporre, ma non
riusciva a fare nulla.

Eva lo guardò, poi sovrappose il viso al suo, e lo baciò.

Le sue labbra avevano un movimento delicato, dolcissimo, e Sam si sentì inebriare da
quella sensazione, ma d'un tratto, di nuovo non riuscì ad evitare di pensare a quando
altre labbra lo avevano baciato in quel modo, -quanto tempo era passato?-, e che non
sarebbe mai, mai più successo.... Jessica.

«No».

Sam si staccò da Evanna, stordito, ma deciso. Lei lo guardò sorpresa e confusa, senza
capire, ma sulle labbra aleggiava ancora un vago sorriso. Pensava lui fosse solamente
spaventato... non capiva, non poteva capire cosa realmente stava passando.

«Eva» cominciò Sam, e si stupì da come la voce gli suonava roca, come se avesse
appena pianto. «La mia... la mia ragazza, Jessica, è stata uccisa da un demone, meno
di un mese fa. E io non voglio... non posso...»

Non riuscì a continuare.

Lei capì. Si allontanò da lui, senza smettere di osservarlo in una maniera del tutto
nuova, quasi estranea. Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra, lanciando
un'occhiata fuori, e per qualche minuto nessuno dei due disse nulla.

«Sam, mi dispiace» mormorò alla fine.

«Non importa» rispose lui, esausto.

«No» Eva si voltò di nuovo a fissarlo. «Davvero, sono stata una sciocca. Ho sbagliato
tutto, non volevo...» si bloccò. «Scusami» concluse, piano.

Sam scrollò le spalle. Non aveva voglia né di discutere, né di altro. Voleva solo
andarsene da lì una volta per tutte.

«Dean mi starà aspettando, devo andare» disse, alzandosi in piedi.

«Sam, io vengo con voi» replicò inaspettatamente Evanna, avvicinandoglisi di nuovo.
«Io non credo che tu debba, potrebbe essere....»

«...pericoloso?» concluse per lui Eva. «Sam, io devo esserci quando troverete la cosa
che ha ucciso Adam. Tu...» esitò un istante. «Tu dovresti capirmi, no? Più di tutti».

La frase lo attraversò di colpo, cogliendolo completamente di sorpresa. «Hai detto che
non ti interessava la vendetta» aggiunse dopo un attimo.

«Non importa» ribattè dura lei. «Se voi avete intenzione di ucciderlo, ci sarò anch'io.
Devo esserci anch'io».

Sam avrebbe voluto insistere oltre, ma si ritrovò a pensare che cosa avrebbe fatto al
posto di Evanna. Di cosa stava facendo. Se Dean gli avesse chiesto di starsene buono
a casa mentre lui cercava il demone, non avrebbe forse reagito allo stesso modo?

«D'accordo» accettò, osservandola a lungo. «Vieni, andiamo».

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Capitolo 7
*** Il terzo intruso ***


Dean era là ad aspettare, appoggiato alla macchina, lo sguardo indirizzato alle vetrate
dalla Baita, da dove cercava di intravedere qualcosa dell'interno, senza farsi notare
eccessivamente dai passanti.

Aveva appena individuato un paio di forme interessanti oltre una tenda a sinistra,
quando la porta si aprì e ne uscì Sam, le mani in tasca, l'espressione esausta.

Dean ghignò appena.

«Allora, com'è andata, Sammy?» gli chiese, ironico.

Il fratello gli lanciò un'occhiata tra il divertito e lo scocciato. «Non male» rispose,
scrollando le spalle.

«Ma davvero? E dimmi un po', hai visto che tipo, quella... Evanna!» esclamò di colpo,
quando la vide uscire dalla Baita e raggiungerli in pochi passi.

Si era cambiata di vestiti, da prima, e adesso indossava un paio di jeans e una felpa
che avrebbero dovuto farla apparire più naturale, forse, e che invece, per contrasto,
ne risaltavano ancora di più la bellezza delicata.

Camminò verso di loro e in due passi li ebbe raggiunti. Sorridendo in direzione di un
più che stupefatto Dean, gli si avvicinò e, senza alcun preavviso, lo baciò appena sulle
labbra.

«Ciao, Dean» gli sussurrò un attimo dopo, piegando appena la testa.

«Eva, cosa... cosa ci fai qui?» farfugliò lui, quando fu di nuovo in grado di mettere
insieme le parole giuste.

«Vengo a caccia con voi, non sei contento?» rispose la ragazza, e gli sorrise ancora.

Dean non sarebbe potuto essere più confuso. Si voltò in direzione di Sam, in cerca di
spiegazioni, ma quello si limitò a ridacchiare davanti alla sua espressione perplessa,
così si rivolse di nuovo ad Evanna.

«Quindi tu conosci... tu sai...?»

«...Dei brutti mostri cattivi che infestano il nostro mondo?» completò per lui Eva,
ridendo leggera. «Sì, ne so qualcosa».

«Perchè non me l'hai detto?» fece Dean.

«Perchè non me l'hai chiesto?» ribattè lei, alzando le spalle.

Lui rimase senza parole. Si passò una mano tra i capelli, incredulo, poi sorrise e
cedette: «Bene, almeno adesso avrò qualcuno di carino con cui parlare, non è così?»

Evanna sorrise. «Carino? Questo è un complimento, Dean, grazie»

«Non c'è di che» rispose lui sfonderando il suo sorriso d'occasione.

Sam li guardò entrambi, perplesso. Da Dean poteva ben aspettarsi un comportamento
del genere, ma... Evanna? Sembrava così cambiata rispetto a pochi minuti prima,
quando erano da soli.

«Possiamo cominciare col caso, adesso?» fece, interrompendo uno smielato scambio
di sguardi tra i due.

Dean sogghignò. «Perfetto, come procediamo?»

«Noi... noi possiamo...» Sam si accorse di non avere grandi idee, o meglio, di non
riuscire a riflettere lucidamente, sentendosi lo sguardo di entrambi -ma soprattutto
quello di Evanna- addosso.

«Beh, visto che avete chiesto a me di Adam, perchè non andiamo a sentire qualcosa
da chi conosceva altre vittime?» propose lei dopo un attimo.

«Sì, ottima idea» approvò subito Dean. «Sam, qual è stato il secondo ragazzo a
venire...»

«Josh Allen» Incredibilmente, fu di nuovo Evanna a rispondere. I due fratelli si
voltarono a guardarla, sbalorditi, e lei si limitò a scrollare le spalle con un sorriso. «Era
il ragazzo di mia cugina, Natalie».

«Tua cugina?» fece Dean, inarcando le sopracciglia con un ghigno. «Dì un po', non è
che questa cosa ce l'ha con la tua famiglia?»

«E che cosa dovrebbe essere, una terribile bestia che ci vuole tutte vecchie e zitelle?»
rispose lei con una risata. «Non credo, non sono imparentata con le altre vittime».

«Era solo per sapere» Dean sorrise e strinse a sé Eva, prendendola in vita. «Allora, ci
puoi portare da Natalie?»

«Sicuramente» rispose lei. «Abita in periferia, lontana dalla città, si è trasferita poco
dopo la morte di Josh».

«Perfetto» fece Sam. «Andiamo, forza»

Aprì la macchina e si sedette subito al posto del conducente. Vide Dean squadrarlo
malissimo per un istante, ma subito dopo il fratello si ricompose in un'espressione
sorridente per andare ad aprire la porta ad Evanna, facendole cenno di entrare a
sedersi.

«Ma che galantuomo» commentò la ragazza, accomodandosi sul sedile posteriore.

«Dovere» rispose Dean, con quel sorriso idiota stampato sul viso. Richiuse la porta e
si andò a sedere accanto a Sam, senza smettere di tenere sott'occhio Eva.

La macchina si accese con un rombo e si mise in moto. Evanna sussurrò
distrattamente le indicazioni per la casa di Natalie, per poi sprofondare in un lungo
silenzio.

Dean non riusciva a smettere di lanciarle occhiate furtive: quando lei riusciva ad
intercettarle, gli sorrideva di rimando; quel gioco di sguardi irritava profondamente
Sam, che si ritrovò a parlare a voce alta con il solo scopo di interromperlo.

«Eva, hai detto che Natalie si è trasferita da poco, perchè?» domandò, lanciandole
un'occhiata.

«Beh... diciamo che la morte di Josh è stato un trauma, per lei» rispose Evanna,
lentamente. «È sempre stata... leggermente instabile, e quella faccenda l'ha fatta
completamente uscire fuori di testa. A proposito, cercate di essere il più gentili
possibili, non resisterebbe ad un interrogatorio come quello che avete fatto a me»
sottolineò, vagamente ironica.

«E, dimmi... tu ne sai qualcosa?» chiese ancora Sam. «Com'è successo?»

Lei stava per rispondere, ma intervenne Dean che, lanciando un'occhiata scocciata al
fratello, commentò: «Pensa a guidare, Sammy»

Eva sorrise divertita, mentre Sam guardò furente il fratello, senza rispondere. Dean lo
ignorò, e si voltò ancora verso di lei, chiedendole: «Tutto a posto?»

Evanna annuì, e voltò lo sguardo dall'altra parte, senza dire più una parola. Sam era
confuso: da quando conosceva il fratello, non l'aveva mai visto esporsi così tanto per
una ragazza, convinto com'era di possedere già un fascino naturale che le faceva
cadere tutte ai suoi piedi.

E invece, con lei, era diverso: pensò alla sua espressione mentre le apriva la sportella,
al modo in cui la guardava, il tono con cui le aveva chiesto se stava bene... sembrava
che, semplicemente, questa volta a Dean importasse sul serio di Eva.

La cosa era stupefacente, anche perchè il fratello era più il tipo da relazioni da una
notte, e poi via, il passato è passato. Possibile che questa volta fosse diverso?

I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Evanna, che lo avvertì: «Ecco, la casa di
Natalie è questa, il condominio bianco».

Sam accostò di fianco al portone d'ingresso: Dean si affrettò a scendere e andò
persino a riaprire la porta ad Eva, per poi chinarsi verso di lui e chiedere, con un
sogghigno: «Perchè non vai a parcheggiare, adesso, fratellino?»

«Ma...»

«Dopotutto, questa settimana la macchina è tua» sottolineò ancora Dean, e si
allontanò, prendendo per la vita Eva, che lo seguì rapida.

Sam mise in moto e si allontanò, alla ricerca di un posto libero, la mente che lavorava
febbrile, cercando di trovare una scusante per il comportamento del fratello in quei
giorni.

Finì per trovare parcheggio due strade più in là: scese dalla macchina e s'incamminò
lentamente a piedi per raggiungere di nuovo la casa di Natalie, le mani in tasca.

Non passò neanche un minuto, che sentì le voci di Dean ed Evanna venire da lontano.

«Sssh... fermo, Dean che cosa fai, potrebbe vederci qualcuno!» Eva sembrava star
ridendo, e suo fratello anche.

Sam si avvicinò ancora, e li vide, seminascosti dentro ad un vicolo accanto all'edificio:
lei se ne stava contro al muro, e lui davanti, le mani tra i suoi capelli rossi.

«E chi se ne importa?» lo sentì distintamente replicare, prima che i due si
cominciassero a baciare con foga.

La visione gli diede una strana sensazione, come un improvviso vuoto allo stomaco
che sembrava allargarsi ad ogni loro sussurro o risata, mentre Eva e Dean se ne
stavano abbracciati, appartati.

«Ehi... Dean... è arrivato tuo fratello»

Sam era abbastanza vicino da sentire il mormorio di Evanna, ma fece finta di non
ascoltare, e di non averli neppure visti, mentre i due gli si avvicinavano, tirandosi per
mano.

Senza dire una parola, salirono i due gradini che li separavano dal portone principale,
poi la ragazza suonò uno dei campanelli.

«Chi è?» rispose una voce tremolante dal citofono.

«Natalie, sono io, sono Evanna» rispose lei, e subito, con il rumore di uno scatto, la
porta si aprì per lasciarli entrare.

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Capitolo 8
*** Ansiolitici e caffè ***


La casa di Natalie era grande e spaziosa, con muri bianchi e grandi finestre che
davano sulla campagna fuori città, ma ovunque regnava un forte odore, come di
candeggina o detersivo, che rendeva l'ambiente estremamente sgradevole.

La ragazza li accolse in un salone straordinariamente tirato a lucido, che sembrava
appena uscito da un catalogo di un negozio di soggiorni per quanto era perfetto, e gli
pregò nervosamente di accomodarsi sul divano.

Doveva essere qualche anno più grande di Evanna, ma non le assomigliava per
niente: era magrissima, appena più alta, e aveva un viso pallido, con due guance
scavate; i suoi capelli, di un castano chiaro, pendevano incurati sulle spalle ossute, e il
suoi occhi continuavano a saettare su e giù per la stanza, in una maniera che rese
Sam decisamente nervoso, e Dean esasperato.

Appena erano entrati, le due cugine si erano abbracciate e salutate. Probabilmente
non si vedevano da un po', e Natalie sembrava davvero contenta della visita, finchè
non si accorse dei due sconosciuti in piedi sulla porta.

Evanna aveva dovuto impegnarsi un bel po' nel cercare di convincerla che erano amici,
venuti solo per farle un paio di domande, e anche quando Natalie aveva finalmente
deciso di farli entrare, continuava a lanciare loro occhiate furtive, come se potessero
saltarle addosso da un momento all'altro.

Quando si furono seduti in soggiono, loro tre sul divano e Natalie su una sedia proprio
di fronte, per un attimo regnò il silenzio, uno dei più imbarazzanti che i fratelli si
ricordassero.

Alla fine, fu di nuovo Natalie a parlare. «Che cosa vogliono da me?» domandò, con
voce leggermente tremante, rivolgendosi a Evanna. Era come se fingesse che gli altri
due non ci fossero neppure, e Dean glielo stava per far notare, parecchio seccato, se
Eva non gli avesse lanciato un'occhiata di avvertimento che lo fece tornare subito
buono.

«Devono chiederti qualcosa. Sai... sono come due investigatori. E hanno bisogno di te
per una ricerca» spiegò lei, lentamente, con lo stesso tono che avrebbe usato con una
bambina di nove anni.

Natalie annuì, ma tremava ancora come una foglia. «Sarà una cosa lunga? Vado a
prepararvi un caffè» disse, alzandosi in piedi.

«Non... non ce n'è bisogno, grazie» intervenne subito Sam, che non vedeva l'ora di
arrivare al punto, ma quella scosse la testa di scatto.

«No!» esclamò, alzando appena la voce. «Ve lo preparo. Ce la faccio, davvero. Ce la
posso fare». Pronunciò le ultime parole più a sé stessa che a loro, allontanandosi ed
entrando in uno stanzino accanto.

Evanna lanciò loro un'occhiata significativa. «Deve poter credere di avere
perfettamente il controllo della situazione. Il suo psichiatra dice che è una cosa che la
aiuta» spiegò, a voce bassissima.

«Il suo psichiatra?» ripeté incredulo, Dean.

Lei si limitò ad alzare le spalle. «Ve l'avevo detto, che era rimasta traumatizzata».

Dall'altra stanza, poterono sentire Natalie trafficare con la caffettiera. Sembrava
stesse facendo tutto con una lentezza esagerata, il che non aiutò certo la loro
impazienza.

Dopo lunghi, interminabili minuti, tornò da loro. Reggeva in mano, in qualche modo,
quattro tazzine pericolosamente in bilico; cominciò a distribuirle, una alla volta,
lentamente.

«Di cosa siete venuti a parlarmi?» disse, quando ebbe finito, avvicinando alle labbra la
sua, e sorseggiando appena il caffè.

Dean e Sam si scambiarono un'occhiata incerta, poi, quest'ultimo prese la parola. «Di
quello che è successo, due anni fa, a Josh Allen».

Si udì il rumore di ceramica infranta. Natalie aveva lasciato cadere la sua tazzina, che
si fracassò sul pavimento: il caffè schizzò dappertutto, macchiando il pavimento
bianco, ma lei non sembrò accorgersene. Stava immobile, lo sguardo fisso nel nulla,
gli occhi spalancati pieni di puro terrore.

Evanna si affrettò ad alzarsi e a correre da lei. La prese per mano e l'aiutò a sedersi,
poi l'abbracciò di slancio. «Va tutto bene, Natalie» le sussurrò. «Va tutto bene, tutto
bene»

Ma l'altra aveva preso a tremare, e i suoi occhi, ancora persi nel vuoto, si riempirono
di lacrime.

Dean e Sam non sapevano che fare, e rimasero a guardare, imbarazzati: Eva rimase
accantò alla cugina, e prese ad accarezzarle un braccio, senza mai smettere di
parlarle.

«Sono amici... amici, Natalie! Vogliono solo scoprire chi è stato... chi è stato a far
succedere quelle cose a Josh, e anche ad Adam» mormorava, in fretta, tenendo lo
sguardo fisso su di lei. «Non ti faranno del male... non succederà niente... vogliono
solo sapere cos'è successo. E tu puoi raccontarglielo, ce la puoi fare, giusto? So che ce
la puoi fare»

Quelle parole ebbero quasi un effetto ipnotico su di lei. Natalie sembrò riprendersi e
cominciò a sussurrare: «Ce la faccio... ce la posso fare...»

«Certo che puoi» Evanna sorrise. «Devi solo parlare, e poi ti lasceremo in pace, e
andrà tutto bene. Devi solo raccontare tutto quello che ti ricordi, d'accordo? Ce la fai,
giusto?»

Natalie annuì. Parve trovare di nuovo il controllo e alzò lo sguardo su Dean e Sam,
quasi come se li avesse visti per la prima volta.

«Io... io e Josh stavamo insieme da tanto tempo» cominciò, ma la voce sembrava
doverla abbandonare da un momento all'altro. «Erano quasi... quasi sei mesi. Il giorno
prima eravamo andati ad una festa insieme, ma avevamo li-litigato...»

«Come mai?» domandò Sam, con più delicatezza possibile.

Il labbro di Natalie fremette. «Io... volevo andare a casa, ero stanca, ma Josh non
voleva venire con me... mi ha detto che voleva divertirsi lo stesso, che non potevo oobbligarlo
ad andare via... così me ne sono tornata da sola». Deglutì. Sembrava non
riuscire ad andare oltre, e cercò lo sguardo di Evanna.

Lei gli sorrise, comprensiva, e annuì, facendole cenno di continuare. Natalie, quasi
rincuorata, andò avanti col racconto. «La mattina dopo... non si era fatto sentire. Non
mi ha chiamato tutto il giorno. Io... ero ancora arrabbiata, così non l'ho cercato ma...
ma quella sera mi mancava, e avevo deciso di andargli a chiedere scusa, così sono
uscita e... e...»

La sua voce venne rotta dai singhiozzi.

«E lui era lì, sul vialetto di casa mia, morto, capite?» farfugliò, piangendo. «Ed era
tutto coperto di sangue, e quasi... quasi non lo riconoscevo, se ne stava lì, il corpo
a... p-pezzi sulla strada...»

Natalie non riuscì ad andare avanti. Evanna si alzò di nuovo per andare as aiutarla, e
ricominciò a sussurrarle frasi consolatorie all'orecchio.

Dean tossicchiò, imbarazzato. Sam gli lanciò un'occhiataccia, cercando allo stesso
tempo di riflettere.

«Natalie, tu hai... hai per caso visto qualcuno? O qualcosa?» domandò, esitante.

Lei scosse la testa, senza smettere di piangere. «Ma era buio... non lo so, non ne sono
sicura» balbettò tra i singhiozzi.

«E la polizia, che cosa ha detto?» chiese Dean, che continuava a tenere lo sguardo
fisso su Evanna.

«Un... un animale» rispose Natalie, abbassando lo sguardo.

Annuirono. Evanna lanciò loro un'occhiata di intesa, e capirono che era ora di levare le
tende. Si alzarono nello stesso istante, e si avviarono verso la porta.

«Grazie di tutto, Natalie...» commentò Sam, voltandosi a guardarla.

«Sì, grazie, Natalie» gli fece eco Dean, praticamente già fuori di casa.

Evanna si alzò e, salutata la cugina con un abbraccio, fece anche lei per uscire. Solo
all'ultimo istante di voltò indietro, e vide Natalie chinata sul pavimento,
apparentemente già dimentica di loro, tutta intenta ad asciugare le macchie di caffè,
mormorando tra sé.

«Ce la faccio... ce la posso fare...».

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Capitolo 9
*** Il troppo stroppia ***


«Sai, Eva, con tutto il rispetto, credo che tua cugina sia leggermente fuori di testa»
commentò Dean.

Lei sorrise appena, quasi in tono di scusa, e appoggiò il viso sul suo petto,
apparentemente sovrappensiero.

Era quasi sera. Dopo aver parlato con Natalie, avevano intenzione di ritornare
all'hotel, ma Evanna li aveva invitati a passare da casa sua, e così era là che si erano
diretti.

Non era un bell'appartamento. Era grigio e molto piccolo, e sicuramente la ragazza
non ci passava molto tempo, perchè era tutto in disordine: vestiti, libri e incarti vuoti
di cose da mangiare erano sparsi un po' ovunque, eppure, il tutto aveva un che di
accogliente.

Eva li fece sedere nella stanza che era contemporaneamente soggiorno, cucina e sala
da pranzo: lei e Dean erano sprofondati su un divano mezzo sfondato, uno accanto
all'altro, mentre Sam si era messo in disparte, su una sedia accanto al tavolo.

«Voglio dire, è stato un racconto molto toccante e tutto il resto, ma ha bisogno di farsi
visitare, e da uno molto bravo» insistette Dean, con un sorrisetto stampato sul volto.

«Vorrei vederti nei suoi panni» replicò Eva, ma non sembrava eccessivamente
infastidita.

«Prego, guardami pure» ribattè lui, ghignando. «Ci sono già, nei suoi panni. Morte,
mostri e sangue... il mio pane quotidiano».

Lei si lasciò andare ad un sorriso, e si accomodò meglio sopra di lui. «Per voi è
diverso, immagino. Da quanto tempo vi occupate questa roba?» domandò, alzando gli
occhi anche su Sam, che stava facendo del suo meglio per non seguire la
conversazione.

«Da sempre, più o meno» sogghignò Dean.

Eva sollevò il viso e lo baciò, senza alcun preavviso, sulle labbra. Per alcuni minuti
-che a Sam parvero ore- furono troppo impegnati l'uno con l'altro per prestargli
attenzione, così lui si limitò a incrociare le braccia e fissare il suo sguardo sul muro.

Quando riemersero dalla loro attività, Dean aveva ancora addosso quel ghigno che
dava tanto sui nervi al fratello. Eva dovette notare la tensione, perchè lanciò
un'occhiata di scusa a Sam, e gli sorrise.

Lui si sentì ancora più idiota. Si infilò le mani in tasca, ed evitando i loro sguardi,
commentò: «Alla fine, è stata una perdita di tempo, no?»

«Che vuoi dire, Sammy?» replicò Dean, osservandolo a fondo. Aveva cominciato,
quasi senza rendersene conto, a far scorrere lentamente la mano tra i capelli di Eva.

«Non abbiamo scoperto niente che ci possa tornare utile» rispose quello, piano. «Anzi,
le storie della morte di Adam e Josh sono completamente diverse tra loro»

«E con questo?» domandò Eva, facendo scorrere lo sguardo da un all'altro, senza
capire.

«Di solito creature di questo genere agiscono secondo uno schema... seguendo dei
riti» spiegò Sam, ma Dean lo interruppe.

«''Creature di questo genere''... perchè, hai già un'idea di cosa si tratta?» domandò,
sarcastico.

«Forse» Sam scrollò le spalle. «Adam è morto con la gola lacerata... Josh con il corpo
fatto a pezzi. Questo non vi fa venire in mente niente?»

«Che la cosa che li ha uccisi ha i denti molto lunghi?» commentò ironica Eva, e Dean
rise.

Il fratello scosse la testa, impaziente. «Perchè ha insistito di più con Josh, arrivando
addirittura a mutilarlo, mentre con Adam si è limitato ad ucciderlo?»

«Magari quel giorno aveva la luna storta» ghignò Dean. «Andiamo, Sammy, non credo
sia importante!»

«E se lo fosse?» intervenì invece Eva, alzando lo sguardo. «Come possiamo fare a
capirlo?»

«Dovremmo sentire cos'è successo agli altri» rispose subito Sam, sollevato dall'avere
l'appoggio di almeno uno dei due. «Non possiamo andare a cercare tutti i parenti delle
vittime, ci vorrebbe troppo tempo, ma forse, negli archivi della polizia...»

«Perfetto, puoi andare a controllare» tagliò corto Dean. «Nel retro della macchina c'è
qualche tesserino, magari ti torna utile».

Sam non capì, e lo guardò, confuso. «E tu, scusa?»

Il fratello sogghignò di nuovo. «Io rimarrò qui con Eva, così mi farò raccontare
dettagliatamente cos'è successo quella notte...» rispose.

La ragazza sorrise, divertita, e ricambiò con dolcezza il bacio di Dean, ma quando
intercettò lo sguardo di Sam, per un attimo parve preoccupata.

Lui scrollò le spalle. Dean ed Eva avevano ricominciato il loro gioco di abbracci e
sussurri sul divano, e sentendosi un completo estraneo, senza nemmeno salutare, si
voltò e uscì di casa, sbattendo la porta dietro di sé.

Era così... così frustrato. Non solo il fratello se la prendeva comoda e lasciava il lavoro
pesante a lui, ma aveva anche la faccia tosta di rinfacciarglielo, per di più davanti ad
Evanna.

Evanna. Per un attimo, si ritrovò a sperare che non l'avessero mai incontrata. Era solo
un giorno che la conoscevano, e già aveva del tutto ribaltato la loro vita. Lui e Dean
avevano sempre lavorato insieme, e senza l'aiuto e le interferenze di nessun altro, e
invece, adesso...

Immerso nei suoi pensieri, tirò fuori le chiavi ed entrò in macchina. L'Impala. La
macchina di Dean. La macchina che gli aveva vinto grazie a quell stupida scommessa.
Non era un granchè, come premio di consolazione.

La mise in moto con un rombo, e si allontanò nella strada che era ormai buia, e
deserta. Le persone, a quell'ora, stavano cenando. Solo lui ancora girava per la città.

Per un attimo tenne occupato la mente preparandosi ad inventare una storia
convincente per far avere il permesso di accedere agli archivi contenenti i casi della
morte degli altri ragazzi. Non era molto forte, in quelle cose, di solito se ne occupava
Dean... ma stava imparando.

Si imparava a fare anche quello, a mentire. Certamente, da quando andava in giro col
fratello, Sam non era più lo stesso. Non si riconosceva quasi più. Prima era un
normalissimo studente dell'università, con corsi da studiare, amici e... una ragazza.

Lo stomaco gli si contrasse, a quel pensiero. E adesso? Davanti a sé vedeva solo
mostri, una sfilza di creature una più orrenda dell'altra, e lui che doveva farle fuori,
una alla volta, pazientemente.

E alla fine, c'era il demone. La tanto attesa vendetta. E poi? Cosa ci sarebbe stato,
poi? Rischiò di investire un pedone solitario perchè non prestava abbastanza
attenzione alla guida. Cercò di riprendersi, di controllarsi.

Arrivò davanti alla stazione di polizia, parcheggiò, tirò fuori un tesserino che recava il
nome fittizio di uno pseudo agente, e se lo infilò in tasca. Entrò, raccontò una storia
talmente lunga alla segretaria che probabilmente rimase più stordita che convinta
dalle sue chiacchiere, e lo lasciò entrare.

Dopotutto, stava procedendo tutto bene, anche senza Dean, si disse. Parlò a lungo
con un altro agente, gli fece capire quanto aveva bisogno di quegli archivi, e alla fine
ottenne un lasciapassare.

Finì in una stanza circolare, stipata di cartelle e di fogli sparsi, e pian piano, cominciò il
suo lavoro. Seduto, in silenzio, tirava fuori quello che lo interessava e lo riscriveva a
mano tra i suoi appunti, sotto lo sguardo vigile dell'ennesimo agente, che non lo
perdeva di vista un solo istante.

Quando ebbe finito, si rialzò, tutto indolenzito. Dovevano essere passate più di due
ore, e lui era esausto. Vedeva le lettere di tutti quei documenti ballargli davanti agli
occhi, e capì che era ora di andare.

Ringraziò l'agente per la disponibilità, fingendosi affabile e gentile, quando in realtà si
sentiva malissimo. Non aveva neppure un'idea del perchè -gli sembrava di non
dormire da una settimana, o qualcosa del genere.

Ritornò in macchina e guidò verso casa di Eva, con una gran voglia di bere qualcosa di
caldo, buttarsi su un letto e riposare. Si ricordò che non aveva cenato -ecco, doveva
essere per quello che si sentiva così debole.

Parcheggiò davanti casa di Evanna, scese, e stava per suonare il campanello quando
una signora, che stava uscendo proprio in quel momento, lo fece gentilmente entrare.

Salì le scale, e trovò che la porta dell'appartamento della ragazza era aperta. Non
appena fu entrato, si rese conto che c'era troppo silenzio. Le luci erano tutte spente,
tranne una, quella del corridoio, che illuminava appena le altre stanza.

La cucina -o il soggiorno, o quello che era- era deserta.

Sam afferrò il cellulare di tasca, pallidissimo, con l'intenzione di chiamare Dean per
sapere cos'era successo, quando notò una porticina socchiusa, dalla quale proveniva
una fieve luce.

Ci gettò un'occhiata.

Nella stanza c'era solo un letto, e sopra, addormentati, uno nelle braccia dell'altro,
stavano Dean ed Evanna. La luce proveniva da una piccola lampadina accanto alla
porta, una di quelle da notte, sufficente solo per illuminare l'angolo attorno.

Sam tornò a guardarli. Quella visione lo fece sentire stranamente solo, e ancora più
stanco. Senza sapere cosa fare, indietreggiò fino alla sala da pranzo, lasciò le sue cose
sul tavolo e si lasciò cadere sul divano, esausto.

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Capitolo 10
*** Spiriti aguzzi ed animi bollenti ***


A Sam parve di aver appena chiuso gli occhi, quando sentì dei rumori dall'altra stanza,
e si drizzò subito a sedere.

Evanna era appena entrata, ancora tutta vestita, stropicciandosi gli occhi. Alzò lo
guardo su di lui, e gli sorrise. «Hai fatto tardi» commentò, con delicatezza.

«Non mi avete aspettato svegli, vedo» rispose lui, ironico, ma ricambiò il sorriso.

Eva colse al volo l'allusione. «Dean era molto stanco» spiegò, inarcando le
sopracciglia. «Pensavo fosse meglio che aspettasse qui, piuttosto che lasciarlo tornare
in hotel da solo... allora, hai trovato niente?»

Sam scosse la testa. «Niente d'interessante» disse, tirando fuori da una cartella i fogli
che gli erano costati ore di lavoro. «O meglio, niente che ci possa aiutare. Ogni altra
vittima è morta per una causa diversa, guarda...» allungò le pagine verso di lei, che
gli si sedette accanto.

Era la prima volta che si trovavano da soli dal giorno prima, e una volta che gli venne
in mente, Sam dovette sforzarsi per mantenere la concentrazione. «Brad Murrey,
morto dissanguato. Michael Grey, decapitato. Henry Webbmister, gli hanno addirittura
strappato il cuore dal petto» mormorò, sfogliando i fascicoli.

Eva allungò una mano per prenderne un paio, e nel leggerli, il viso le si rabbuiò
appena. «Alla fine, avevo ragione no? L'unica cosa di cui siamo sicuri è che questa
cosa ha le zanne molto lunghe» commentò, amara.

«Ma il problema è che cos'è» fece Sam, spazientito. «Tu hai visto una donna, o
qualcosa che ne aveva le sembianze, mentre da questi fascicoli sembra più una specie
di... di bestia».

«Magari è una via di mezzo» sussurrò lei, e mentre si passava distrattamente una
mano tra i capelli, la vide gettare un'occhiata alla camera da letto, dove Dean stava
ancora tranquillamente dormendo.

Per un attimo calò il silenzio. Una lotta interiore stava infuriando nella mente di Sam,
che alla fine si decise a parlare.

«Eva... posso farti una domanda?» cominciò, esitante.

Lei si girò verso di lui, con un mezzo sorriso ancora sulle labbra. «Dimmi pure»
assentì, con calma.

Sam si schiarì la voce. «Tu... tu e Dean, adesso, state... state insieme?» chiese,
imbarazzato.

Evanna scoppiò inaspettatamente a ridere, facendolo sentire un completo idiota: cercò
di ridere anche lui. «Sì, è una domanda stupida, lo so» aggiunse, quasi a mo' di scusa.

Lei scosse la testa. «No, non è stupida» disse, sorridendo. «È solo che, sai... non lo so
nemmeno io con certezza».

«Davvero?» esclamò lui, sorpreso.

«Perchè me lo chiedi?» fece ancora Evanna, inclinando la testa di lato.

«Beh, è chiaro che Dean è completamente pazzo di te» rispose Sam, sorridendo
divertito. «E mi domandavo, se...»

«...se per me è lo stesso?» concluse per lui l'altra. «No, non credo».

La sua affermazione così secca lo sorprese. Aggrottò le sopracciglia, interrogativo.

Eva lanciò di nuovo un'occhiata alla camera, come sovrappensiero. «Vedi, Sam...»
cominciò, a bassa voce. «Il fatto è che, dopo Adam, io... sono sempre stata da sola.
Mi sembrava di non poter più riuscire a... provare qualcosa, per qualcun'altro, come
prima. Tu mi capisci, vero?» alzò lo sguardo, osservandolo come per la prima volta.

Sam sentì qualcosa stringersi all'altezza della gola. Si limitò ad annuire, perchè non
era sicuro che la voce gli sarebbe uscita.

«Però, poi mi sono detta.... non si può stare sempre da soli» continuò Eva, ora
parlando più da sola che con lui. «Arriva un momento in cui non puoi più farcela. E
con Dean mi sento così... protetta, così al sicuro. È bello provare queste sensazioni,
ancora una volta».

Lui annuì ancora, con un gusto amaro in bocca; quando aveva cominciato quella
conversazione, non pensava sarebbe andata così a fondo. Improvvisamente gli
sembrò di vedere la ragazza sotto tutt'altra luce: per la prima volta ne avvertì la
fragilità, e la cosa gli procurò una specie di nodo allo stomaco.

«Sam...» cominciò Eva, esitando un attimo. «Quando mi fai questa domanda, è
perchè sei preoccupato per Dean, o per me?»

«Cosa intendi dire?» fece lui, prendendo tempo.

Evanna sorrise. «Hai già capito, vero? Andiamo, Sam, ti ho visto. Ogni volta che io e
Dean stiamo insieme, storci il naso. Che cosa c'è che non va?»

Sam sospirò: non c'era più possibilità di fingere, e lei non si sarebbe accontentata di
una risposta vaga. Cominciava a pentirsi di essersi addentrato tanto nell'argomento.

«Eva, Dean è un cacciatore» mormorò, stancamente.

«Lo so» rispose lei, aggrottando le sopracciglia. «Anche tu lo sei, no?»

Sam scosse la testa. «Non è la stessa cosa. Dean fa questa vita da sempre, ed è
sempre stato abituato ad andare e venire da un posto all'altro, senza mai fermarsi da
nessuna parte, senza mai... legarsi a niente, e a nessuno».

Eva lo osservò a lungo, in silenzio; non sorrideva più, anzi, pareva incredibilmente
seria. «E con questo?» replicò, tagliente.

Lui esitò un attimo, indeciso se andare avanti o meno: improvvisamente, si sentiva
sempre meno sicuro di quello che stava dicendo, ma ormai era fatta. «Eva, quello che
sto cercando di dirti, è che Dean non ha mai avuto una relazione che durasse più di
una o due notti. Per lui è normale prendere e lasciare le persone, ha sempre fatto
così, e io non voglio che succeda anche questa volta».

Si era spinto troppo oltre. Evanna, d'improvviso, era livida in volto, e gli occhi azzurri
sembravano lampeggiare: quando parlò, la voce le tremava dalla rabbia.

«Quindi tu stai dicendo... che lui si sta semplicemente divertendo con me?» domandò,
fremente.

«Quello che volevo dire...»

«Ho capito benissimo cosa volevi dire!» lo interruppe lei, alzando la voce. Era davvero
furibonda, e Sam faticò a reggere il suo sguardo adirato. «Volevi dire che io sono solo
una prostituta, che Dean lo sa, e sta sfruttando la cosa! Che io sono solo il suo
passatempo... effettivamente, dev'essere parecchio noioso andare a caccia di demoni
senza qualcuna che ti tenga compagnia, vero?» aggiunse, sarcastica.

Sam non sapeva cosa dire. «Eva, mi dispiace...» mormorò, piano.

«Ti dispiace?» ripetè lei, incredula. «Ti dispiace? Sai cosa dispiace a me, invece? Che
tu sia immischiato in questa faccenda, quando non c'entravi nulla!»

L'altro la guardo sbigottito. «C-cosa?»

«Non mi sembra di averti chiesto un consiglio, né il tuo parere, non ne ho mai avuto
bisogno! Questa è una faccenda tra me e Dean, non è affar tuo!» fece Evanna,
alzandosi in piedi e allontanandosi da lui di qualche passo. «E poi, come fai a sapere
che io e Dean non ne abbiamo già discusso? Che non abbiamo già risolto la
questione?»

«Lui... lui te ne ha già parlato?» chiese, se possibile, ancora più sbalordito, Sam.
L'ipotesi di tanta responsabilità da parte del fratello lo lasciava perplesso.

«Non ho detto questo» replicò, dura, lei, spostandosi i lunghi capelli rossi da davanti
al viso. «E se anche fosse, non sarebbe affar tuo! Sai cosa c'è? Io penso che tu sia
semplicemente geloso, Sam, e abbia montato tutta questa storia per nulla!»

«Geloso?» ripeté lui, incredulo. «Io ho solo...»

«Che cosa diavolo succede qui?» li interruppe una voce.

Dean si era appena svegliato, ed era entrato nella stanza, mezzo svestito ed
evidentemente ancora stordito dal sonno. Fece passare lo sguardo da uno all'altro,
cercato di capire.

«Succede che tuo fratello è un idiota, Dean!» rispose Eva, piccata.

Lui si limitò a inarcare le sopracciglia, senza troppa sorpresa. «E che cosa avrebbe
fatto, dimmi?» chiese, con calma.

«Fattelo raccontare da lui! Io me ne torno alla Baita, il posto giusto, per una come me,
non è vero?» esclamò lei. Afferrò una giacca da una sedia lì accanto, girò i tacchi e se
ne andò, sbattendo rumorosamente la porta alla sue spalle.

Dean era decisamente perplesso. «Cos'hai combinato, Sammy?» domandò, perplesso.

«Le ho solo detto...ah, lascia perdere!» fece lui, per tutta risposta, e scattò in piedi,
correndo all'inseguimento di Evanna, ignorando Dean che lo chiamava, senza ancora
aver capito nulla dell'intera questione.

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Capitolo 11
*** Sogni di sangue ***


Sam si precipitò sulla strada buia, guardandosi attorno. Gli bastò un attimo per
individuare la figura di Evanna, che ancora non si era allontanata di molto, camminare
impettita, a passo veloce.

Le corse dietro e, quando la raggiunse, aveva il fiato corto. Eva si accorse di lui, ma
fece finta di nulla, e continuò ad andare dritto per la sua strada.

«Eva, ti prego, scusami» gli disse, ansante per la corsa.

Lei continuò a non guardarlo nemmeno. «Scusato» replicò, fredda. «Adesso mi lasci in
pace?»

«Eva!» la chiamò ancora Sam, in un tono talmente supplicante che lei si fermò e si
girò verso di lui, a guardarlo scettica. «Davvero, non dovevo dirti quelle cose, mi
dispiace»

Per qualche istante Evanna rimase ferma, ad osservarlo altera, mentre lui teneva le
dita incrociate dentro le tasche.

Dopo lunghi, interminabili, secondi, lei sbuffò. «E va bene» fece, con un accenno di
sorriso. «Se continui a guardarmi con quell'aria da cane bastonato, non ce la faccio
proprio a rimanere arrabbiata con te»

Sam sorrise a sua volta, sollevato.

«Sai» aggiunse lei dopo qualche un secondo, mentre riprendevano a camminare uno a
fianco all'altro, piano. «Forse anch'io ho esagerato, scusami»

«Non c'è problema» fece Sam, scrollando le spalle.

Eva continuava a guardare un punto imprecisato davanti a lei, immersa nei suoi
pensieri. «Forse...» cominciò lentamente, sovrappensiero. «Forse ero solo delusa,
prima»

«In che senso?» chiese lui, senza capire, osservandola interrogativo.

«Magari...» Eva esitava a parlare, e soppesava con cura ogni parola. «Magari speravo
che tu mi capissi meglio, Sam».

Quello rimase in silenzio, senza dire niente, aspettando che lei si spiegasse meglio.
Evanna sorrise appena, triste, e continuò: «Io lo so che non vuoi parlare di Jessica. Lo
so, lo capisco. Nemmeno io volevo parlarne, all'inizio. Però... tu sei così fortunato. Tu
hai Dean, e sai che, se mai avessi bisogno, lui ti starebbe ad ascoltare»

Il cuore di Sam sembrò fare un tuffo e precipitare. Allora era questo che intendeva...
in un certo senso, gli sembrava di averlo sempre saputo, ma questo non migliorava la
situazione.

«Io non ne ho parlato, con lui. Non ancora» si limitò a rispondere, impacciato, senza
sapere cosa dire.

«Ma sai di poterlo fare, no?» sorrise lei amaramente. «Lui è così legato a te, Sam.
Anche stanotte, mentre eri via, ogni tanto si chiedeva dov'eri finito, o se stava
andando tutto bene... sei sorpreso?» chiese, notando la sua espressione stupita.

Piegò la testa di lato, e aggiunse: «Pensavo lo sapessi... si preoccupa sempre così
tanto per te. Forse tu la vedi come una cosa normale, o non ci fai caso, ma io non mai
avuto qualcuno che badasse a me in quel modo. È una così bella, sai... per quello,
forse, mi sono arrabbiata tanto, quando hai parlato male di lui, prima»

Sam non sapeva cosa dire. Non era una novità che Dean si sentisse continuamente
responsabile di lui, ma fino a quel momento aveva visto la cosa in una maniera
totalmente diversa, quasi come un peso.

«Ti invidio, Sam» sussurrò Evanna, abbassando lo sguardo. «E vorrei solo che tu ti
rendessi conto di quanto sei fortunato. Non fare il mio stesso errore... io mi sono
dovuta tenere tutto dentro, giorno dopo giorno. Ad un certo punto mi sembrava di
esplodere, di non farcela più, ma non avevo nessuno a cui confidarmi. Fa così bene,
parlare...»

Lui si seniva confuso, imbarazzato, e triste, tutto insieme. Avrebbe voluto poter far
qualcosa per aiutarla, per consolarla, e invece se ne stava lì, immobile, sentendosi
così incredibilmente inutile.

Alla fine si decise a prendere parola. La guardò a fondo, e disse, con voce incerta:
«Eva, se hai bisogno... io ti ascolto».

Lei sorrise, ricambiando lo sguardo. «No... immagino che vada tutto bene, adesso.
Davvero. È solo che non riesco a smettere di pensare a lui, ad Adam, ed è passato
così tanto tempo! A volte penso che non potrò mai dimenticarlo, e...» si bloccò di
colpo, guardandosi intorno spaurita.

Si trovavano su una strada deserta, accanto all'entrata di un vecchio cinema in disuso,
la cui insegna pendeva arrugginita, con qualche lettera mancante.

Evanna si girò a guardare Sam, e quando parlò, la sua voce tremava appena. «È stato
qui, lo sai? Proprio qui... due anni fa»

Aveva gli occhi spalancati, e la vide rabbrividire. D'istinto, senza pensarci, le prese una
mano: Eva prima sussultò, sorpresa, poi, rilassandosi appena, sussurrò: «Me lo
ricordo ancora così bene. Tutti i dettagli, come se fosse ieri. Tutte le sensazioni, gli
odori... Sam» mormorò, voltandosi di nuovo a guardarlo. «Tu la sogni mai? Jessica?»

Lui prese tempo, prima di rispondere. «Come mai mi fai una domanda del genere?»
chiese, lentamente.

«Solo per sapere se è normale» fece lei, con un sorriso storto. «Io sì. Ci sono delle
notti in cui mi sveglio ancora tremando, con l'immagine del suo corpo negli occhi...»
tremò ancora, e non andò più avanti.

«Anch'io» disse, piano, Sam. «Anch'io la sogno, qualche volta. Pensavo...»
s'interruppe, e scosse la testa.

«Cosa?» fece Eva, osservandolo con un filo di curiosità negli occhi.

«Pensavo c'entrasse con il fatto di sentirsi in colpa. Responsabili, sai» concluse lui,
senza guardarla negli occhi.

Lei, per qualche istante, parve troppo sorpresa per parlare. Rimase ferma, le
soppracciglia appena aggrottate, la bocca socchiusa. Alla fine lo guardò confusa, e
mormorò, con la voce che tremava: «Tu... tu ti senti colpevole per la morte di
Jessica?»

Sam non rispose subito. Teneva lo sguardo fisso per terra, e si stava chiedendo come
mai le raccontava tutte quelle cose, quando lei era solo una ragazza qualunque che
conosceva a malapena da un giorno e mezzo.... annuì.

Eva sorrise, incredula. «Non ti capisco... se lei è stata uccisa da un demone, come fai
tu ad essere responsabile?» domandò, gli occhi azzurri che brillavano.

Lui era ancora indeciso sul rispondere: dopotutto, non gli piaceva dover ammettere
che c'era qualcosa di strano in lui, che ogni tanto, gli faceva sentire il futuro, così
com'era successo con Jessica, e con altri...

«Sam?» fece Evanna, insistendo, confusa.

«Io... ogni tanto, sogno quello che deve accadere» fece lui, di getto, cercando di dare
meno peso possibile alle parole. «E mi era successo anche con Jessica. Avevo visto
che sarebbe morta, l'avevo visto in sogno, e...» era così facile andare avanti, ora che
aveva cominciato! «E io avrei dovuto proteggerla, o avvertirla, per lo meno, e invece
l'ho lasciata da sola, quando sapevo che era in pericolo, che aveva bisogno...» la voce
gli si spezzò.

Lei allungò una mano e gli accarezzò una guancia, piano. Non fu come la prima volta
che si erano visti, in cui ogni gesto di Eva nascondeva una falsa seduzione: ora, lei
voleva solo stargli vicina, farsi sentire, e questo gli provocò come un vuoto allo
stomaco.

«Sam... è una cosa così insensata» sussurrò Evanna, osservandolo a fondo. «Sai bene
che non avresti mai dato retta ad un sogno, quanti di noi l'avrebbero fatto? È normale
che tu non ci abbia dato peso!»

«Avrei dovuto capirlo» mormorò lui, duro, abbassando lo sguardo.

«Sam, ascolta!» insistette lei, e lo spinse a guardarla negli occhi. «Davvero, se fosse
così, allora anch'io, che ho deciso di uscire con Adam quella sera, invece che stare a
casa, sarei colpevole, no? Come potevamo saperlo, Sam? Non potevamo
immaginare...» anche a lei mancò la voce, e rimase lì immobile, senza parole.

Stava tremando, e negli occhi azzurri si leggeva un misto di paura, disperazione ed
angoscia. Improvvisamente Evanna gli si rivelò in tutta la sua debolezza, e lui avrebbe
voluto poterla stringere a sé, per dirle che andava tutto bene, che si sarebbe risolto
tutto, ma come poteva? Quando sapeva che non era vero, che non stava andando
tutto bene, affatto?

Rimasero immobili, vicinissimi, mentre la notte stava pian piano lasciando il posto
all'alba, che rischiarava il cielo lentamente, infiltrando i suoi raggi nel buio, e un vento
freddo cominciva a levarsi tutt'attorno.

Fu Sam il primo a parlare. Si accorse di avere ancora una mano a stringere quella di
Eva; mormorò: «Andiamo?» e lei lo seguì, docile, mentre ripercorrevano la strada
verso la sua casa.

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Capitolo 12
*** Doppiogiochista ***


Quando salirono di nuovo a casa, trovarono Dean seduto sul divano tutto intento a
stiracchiarsi e sbadigliare: quando li vide, però, scattò in piedi e si avvicinò ad Evanna.

«Ehi, tutto a posto?» le chiese, ignorando bellamente il fratello.

«Sì, certo» sorrise lei, appena. «Non ti preoccupare, sto bene»

Dean la strinse a sé dalla vita, accarezzandole i lunghi capelli rossi. Sam la poté
vedere tremare appena a quel tocco, per poi lasciarsi andare, ed aggiungere, in un
sussurro: «È stata colpa mia, non mi sarei dovuta arrabbiare per così poco»

Dean ghignò. «Non ti preoccupare, c'è sempre un buon motivo per arrabbiarsi con
Sam, sai». Evanna sorrise appena, poi entrambi si andarono a sedere sul divano, uno
accanto all'altro.

Sam si accomodò sul tavolo, dove ancora erano sparsi i fogli della sera prima, e, alla
loro vista, Dean inarcò appena le sopracciglia.

«Allora, hai scoperto qualcosa d'interessante?» chiese, senza smettere di far scorrere
la mano lungo i capelli di Eva, che se ne stava lì accanto, in silenzio.

«Niente di utile» rispose Sam, scrollando le spalle. «Ne stavamo parlando prima, le
vittime sono morte tutte in modi diversi, non c'è nulla che le accomuni».

«Ogni quanto attacca, questa cosa?» domandò ancora Dean, interrompendo per un
attimo le sue smancerie e corrugando la fronte, concentrato.

Il fratello sfogliò i vari documenti. «Generalmente, una volta al mese. Ma c'è stata una
pausa subito dopo la morte di Josh, mentre per un periodo colpiva ogni due
settimane» rispose.

«Ho capito, questa creatura attacca quando gli pare...» fece Dean, scettico. «E
sull'aspetto? Sappiamo qualcosa di più?»

«Evanna non è la sola ad aver visto una donna attaccare, ci sono state altre due
testimonianze» rispose Sam, lanciandole un'occhiata. Lei stava fissando tutt'altra
parte della stanza, immersa in chissà quali pensieri, apparentemente estranea alla
loro conversazione.

«Ah sì, e chi altro?» insistette Dean, che sembrava non essersi accorto di nulla.

«Una signora che tornava dal fare la spesa e due ragazzini» fece l'altro, senza riuscire
a trattenere una punta di sarcasmo. «Ma come ti ho detto, la storia si è ingigantita, e
ognuno voleva dire la sua, quindi non sappiamo per certo quanto siano affidabili...»

«Beh, non è molto su cui lavorare...» Dean si lasciò sprofondare di nuovo nel divano.
«Nessun altro ha assistito agli attacchi?»

Sam estrasse un documento, tra la mischia. «Il proprietario di un negozio di
ferramente giura di aver visto un mostro cercare di mangiare suo nipote» lesse,
lentamente. «Ma nessuno gli ha creduto, deve avere una novantina d'anni...»

«Un mostro? Che genere di mostro?» fece il fratello, subito interessato.

«Non lo specifica» Sam si lasciò sfuggire un sospiro. Non avevano niente, in mano,
semplicemente niente...

Dean dovette notare che la situazione stava precipitando. «Ok, cerchiamo di
ragionare» disse, tamburellando nervosamente le dita contro il bordo del divano. «Se
quello che dicono queste persone è vero, questa... creatura ha più di una sembianza,
giusto?»

«Cosa pensi che sia, una specie di mutaforma?» chiese Sam, la mente che lavorava
febbrilmente.

«Io non credo» sussurrò Evanna, piano, ed entrambi si voltarono a guardarla
meravigliati. Lei continuò a parlare senza guardarli in faccia. «Un mutaforma cambia
continuamente aspetto, mentre qui, ha solo due forme, che ritornano, giusto?»

«Giusto» assentì Sam senza pensare, sbalordito. «E allora, cosa...?»

«Io penso di sapere di che cosa si tratta» lo interruppe Eva in un soffio. Lei evitava
ancora il loro sguardo, fissando un punto del muro dietro di loro. «È un demone. Una
particolare specie di demone, detta Malagenimia, che funziona come un parassita.
Stringe un patto con una persona, e da quel momento, vive nel suo corpo, nutrendosi
della sua stessa vita. E in certe situazioni, riesce ad... uscire, e a mostrare il suo volto.
Tutto torna, no?»

Dean fissava la ragazza a bocca aperta, incredulo. «Eva, come... fai... a sapere queste
cose?» chiese, sbigottito.

Lei strinse le spalle. «Ho fatto qualche ricerca, dopo la morte di Adam, sai» rispose,
vaga, sempre senza guardarli.

«Tu conoscevi già cosa stavamo cercando?» fece Sam, esterrefatto, e sentì qualcosa
più che semplice incredulità, ma vera e propria collera montargli dentro. «Siamo stati
due giorni a cercare di capire qualcosa, e tu sapevi già tutto? Perchè non ce
l'ha detto?»

«Altrimenti, dove stava tutto il divertimento?» commentò Evanna, sorridendo appena
in direzione di Dean, che scosse la testa sorpreso, ma con un leggero ghigno.

Quella sorta di complicità maliziosa fu la goccia che fece traboccare il vaso.

«Eva, ma cosa credi di star facendo?» esplose Sam, furibondo. «Questo non è un
gioco, ci sono persone, là fuori, che potrebbero morire, per questo demone, e se non
hai intenzione di aiutarci, se pensi che sia solo un passatempo, tu...»

«Non è un gioco? E lo vieni a dire a me?» sibilò lei, interrompendolo. I suoi occhi
azzurri lampeggiarono glaciali. «Adam è morto... morto, capisci? E tu vieni dire a me
che non è un gioco?»

Sam ammutolì, pentendosi immediatamente delle sue parole. Dean rimase
incredibilmente in silenzio, facendo scorrere lo sguardo dall'uno all'altro, con un'aria
più curiosa che realmente impressionata.

«Non sono io, qui, quella che non prende le cose seriamente, d'accordo?» continuò
fredda Eva. «Ma dato che non sono solita raccontare queste cose ai primi due idioti
che mi capitano a letto, ho dovuto aspettare a parlare, anche se, a quanto pare, ho
fatto male!»

Dean sembrò vagamente offeso da quest'affermazione. «Ehi, guarda che io...»
cominciò, ma s'interruppe, vedendo che la ragazza si stava rivolgendo solo a Sam.

«Sapete una cosa?» fece ancora una volta Evanna, alzandosi in piedi. «Me ne vado, ho
perso fin troppo tempo qui, e se voi avete ancora voglia di lavorare seriamente,
fareste meglio a cercare qualcosa di più su quel demone!»

Lei si allontanò a grandi passi, e stava per uscire sbattendo la porta, ma Dean saltò in
piedi e la raggiunse appena in tempo per fermarla, afferrandola per la vita.

Sam, ancora fermo immobile, li sentì parlare a bassa voce dall'ingresso.

«Dove devi andare?» stava chiedendo piano Dean.

«Lo sai bene» rispose Eva in un soffio, e Sam vide il fratello avvicinarsi e accarezzarle
una guancia.

«Devi proprio?» chiese lui, con un mezzo sospiro e un tono quasi sconsolato che Sam
non gli aveva mai sentito usare.

«Tornerò il prima possibile» mormorò Evanna, e i due su baciarono appena, prima che
la ragazza scomparisse oltre la soglia.

Pochi secondi dopo, Dean ritornò nella stanza, camminando lentamente con le mani in
tasca e un ghigno compiaciuto sul viso. «Sai, Sammy, non ci sai proprio fare con le
ragazze» commentò, divertito. «Ogni volta che parli con Evanna la mandi su tutte le
furie, cos'è successo l'altra sera?»

Sam gli scoccò un'occhiata funerea. «Lascia perdere» tagliò corto. «E poi, Evanna non
mi convince per niente. Sa troppe cose, e probabilmente non ce ne ha dette neanche
la metà, non mi fido di lei».

«Ma dai, non dirmi che adesso sospetti pure di quella povera ragazza» sogghignò
Dean, aprendo il frigo di Eva alla ricerca di qualche birra, che trovò ammucchiata sul
fondo. Ne prese un paio e, lanciandone una al fratello, gli si sedette di fronte. «E a
proposito di questo, Sammy, devo parlarti» aggiunse, improvvisamente serio.

«Cosa c'è?» fece lui, subito sulla difensiva.

«Sei stato tu a dire ad Eva che poteva venire a caccia con noi, giusto?» chiese Dean, e
il fratello annuì. «D'accordo, e allora cosa diavolo ti è saltato in mente? È pericoloso!»

«Non mi sembravi troppo contrariato della sua presenza qui» replicò sarcasticamente
Sam, inarcando le sopracciglia. «Perchè non ne hai parlato quando c'era anche lei?»

«Non cambiare discorso!» esclamò Dean, impermalito. «Un conto è portarla in giro ad
ascoltare i racconti degli altri, ma quando si trattera di uccidere quel demone?
Permetteresti ancora che venisse con noi?»

Sam lo osservò a fondo per qualche istante, in silenzio, poi annuì.

Deam fece per aprire la bocca e replicare, furibondo, ma il fratello lo anticipò:

«Aspetta, ascoltami, Dean!» lo interruppe. «Quella cosa ha ucciso il suo ragazzo, e noi
non possiamo impedirle di venire, ne ha il diritto! E poi, stava già cercando di scoprire
qualcosa da sola, è per quello che sapeva tutte quelle cose, no? Con noi sarà più al
sicuro»

«Dì quello che vuoi, ma quando ci troveremo davanti a quel demone, non permetterò
che rischi la vita» replicò fermo Dean, e il suo tono era talmente irremovibile che Sam
rinunciò alla causa, e tirò fuori dalla sua borsa il portatile.

«Cosa stai facendo?» gli chiese un paio di secondi dopo il fratello, osservandolo.

«Seguo il consiglio di Evanna» rispose Sam con un filo di sarcasmo. «Meglio cercare di
scoprire qualcosa di più su questo Malageminia» aggiunse, cominciando a digitare
rapidamente sulla tastiera.

Per qualche minuto il tempo scorse in silenzio, anzi, troppo, per i loro standard. Dean
non diceva una parola, e se ne stava seduto davanti a lui senza dire una parola,
limitandosi a tamburellare le dita sopra il tavolo.

Quando il rumore cominciò a superare la soglia del sopportabile, Sam mise da parte il
computer per un secondo, e lo guardò infastidito. «La vuoi piantare?» fece, irritato.

Dean alzò lentamente la mano e la mise in tasca, con aria sofferente.

«Perchè non mi aiuti, invece di startene lì a non far niente?» insistette Sam,
osservandolo da cima a fondo.

«Non ce la faccio!» replicò, impaziente, Dean. «Come fai a concentrarti sapendo che
Eva è in quel posto orribile?»

Il fratello lo guardò incredulo. «C-cosa?» esclamò, chiedendosi se avesse capito bene.

«È alla Baita! E in questo momento ci sarà una fila di gente che vuole... toccarla, e...»
Dean s'interruppe, con un espressione disgustata sul volto.

Sam dovette fare un paio di respiri profondi per mantenere il controllo. La situazione
stava lievemente sfiorando l'assurdo, e doveva a tutti i costi uscirne fuori.

«Ascolta, Dean, anche a me dispiace molto che Eva lavori in un bordello, ma dato che
là fuori c'è un demone psicopatico e assassino che potrebbe attaccare da un momento
all'altro, potresti cercare di aiutarmi con il caso?» chiese, nel tono più calmo che gli
uscì in quel momento.

«E tu potresti smetterla di trattarmi come un idiota?» chiese sarcastico Dean, con
un'occhiata infastidita, alzandosi in piedi e raccattando la giacca dal divano.

«E adesso che cosa fai?» domandò subito Sam.

«Vado a farmi un giro, magari scopro qualcosa d'interessante» si limitò a rispondere
lui, e prima che il fratello potesse dire o fare qualsiasi altra cosa, Dean era giù fuori
dalla porta.

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Capitolo 13
*** Qualche drink di troppo ***


Per l'ennesima volta, Sam cercò di mantenere la calma e concentrarsi sulle scritte che
aveva davanti, ma proprio non riusciva. Allontanò la sedia dal tavolo, e voltò lo
sguardo verso la finestra che mostrava a malapena la strada oltre l'hotel.

Come faceva a pensare al demone, quando era così... così infastidito? Sbuffò, incrociò
le braccia, e lo sguardo gli cadde sulla sedia vuota davanti a lui.

Forse, ad irritarlo tanto era il fatto che non era proprio tutta colpa di Dean, non quella
volta. Dopotutto, quel pomeriggio il fratello aveva fatto un buon lavoro.

Era andato davvero in giro, ed era andato a incontrare i vari testimoni che ricordavano
qualcosa delle aggressioni. Quando era tornato, a sera ormai inoltrata, gli aveva
riferito tutto quello che aveva scoperto, e nonostante non ci fosse nulla di
particolarmente rilevante, non poteva certo incolpare lui.

Ma poi, pochi minuti dopo, era venuta a trovarli Eva. Sam aveva quasi faticato a
riconoscerla: portava di nuovo i vestiti tipici delle ragazze della Baita, uno stretto
tubino argentato con una scollatura profonda, che lasciava intravedere molto più del
necessario; i lunghi capelli rossi erano un'altra volta raccolti in un'assurda
acconciatura, tutt'altro che poco appariscente.

Evanna era entrata nel loro hotel, sorridente, e si era subito gettata tra le braccia di
Dean, sussurrandogli qualcosa come: «Sono arrivata il prima possibile».

Dopo le loro solite smancerie, la ragazza si era informata dstrattamente su come
procedeva il lavoro, lanciandogli un'occhiata vaga che mostrava come chiaramente
non si era dimenticata della loro ultima discussione, e senza neppure ascoltare la
risposta, era tornata a concentrarsi sul fratello.

«Che ne dici, Dean, andiamo a divertirci un po' fuori, stasera?» aveva proposto, con
un sorriso eccitato, facendogli scorrere una mano bianca sulla guancia.

Un'occasione del genere era, ovviamente, come manna dal cielo per lui, che subito
aveva annuito, con un sorriso più che compiaciuto.

Sam, invece, si era opposto. «Non credo proprio che sia il caso, siamo ancora in alto
mare, con questo faccenda!» aveva detto, aggrottando le sopracciglia in direzione dei
due, che lo guardarono increduli.

«Dai, è solo per una sera, Sam» aveva replicato Evanna, osservandolo sorpresa. «Se
avete lavorato tutto il giorno, un po' di svago non vi farà male, no?»

Lui stava per replicare che "un po' di svago" era esattamente l'ultima cosa di cui
avevano bisogno, ma gli era bastato guardare la faccia di Dean per rendersi conto che
stava combattendo una battaglia persa.

«Allora, Sammy, che ne dici, mi presti la mia macchina, per stasera?» gli aveva
appunto chiesto il fratello, con un sorriso smagliante.

Quello non aveva potuto che sospirare e lanciargli le chiavi; i due erano già sulla
porta, quando Evanna si era voltata, e aveva chiesto: «Tu non vieni, Sam?»

Nella sua voce c'era una nota ironica che lo fece andare davvero su tutte le furie, ma
prima che potesse replicare, Dean aveva ridacchiato ed erano usciti, sbattendosi la
porta alle spalle.

Ed ora lui era ancora lì, davanti a quel maledetto portatile, a cercare informazioni su
un ancora più maledetto demone, di cui ancora non sapevano niente.

Scosse la testa, e cercò di calmarsi. Quanto tempo era passato? Ormai tre o quattro
ore, o forse anche di più. Chissà quando sarebbero tornati.

Il punto era che quella volta, più che mai, doveva essere lui a darsi una mossa a
sbrigare il lavoro, perchè se fosse dipeso da Dean, aveva la sensazione che sarebbero
rimasti bloccati in quella cittadina a vita.

No, dovevano andarsene. Uccidere il demone e andare via. Sam sospirò, e si
riavvicinò di nuovo al tavolo, rileggendo quello che aveva trovato.

Il Malegeminia ha bisogno, per sopravvivere fuori dall'Inferno, di legarsi ad una
persona, e una volta saldato, il legame è indissolubile.


Indissolubile... e allora come avrebbero fatto? Avrebbero dovuto uccidere la persona
posseduta? L'idea lo disgustava; avrebbe preferito esistesse un modo per sciogliere il
patto...

Il patto dona forza, agilità, abilità a chi ospiterà il demone nel suo corpo. Il
Malageminia sfutta le debolezze e le paure delle sue vittime, per prenderne il
controllo. Una volta racchiuso nel corpo ospitante, il demone riesce ad uscirne quando
la persona è spaventata, o arrabbiata; più si è sconvolti, più si è facile preda. Come
tutti i demoni, può essere scacciato con un esorcismo, ma quando il Malageminia
viene rispedito all'Inferno, con...


Un rumore familiare lo fece distrarre per un attimo: sentì una macchina che veniva
parcheggiata appena fuori dall'hotel, e, annoiato, si affacciò per vedere chi era.

Vide l'Impala ferma davanti all'entrata, e poco dopo ne uscirono Dean ed Evanna.
Entrambi stavano ridendo, il rumore si sentiva fin da lì, e nonostante fossero poco più
di due figure illuminate dalla luce dei lampioni, Sam riuscì a distinguerli mentre si
abbracciavano un'ultima volta, prima che la ragazza si allontanasse, agitando una
mano in segno di saluto.

Non passò molto che sentì il rumore di Dean che entrava: si voltò a guardarlo, e lo
vide sulla porta, leggermente sbilenco, con una bottiglia mezza vuota in mano e un
ghigno stampato sul volto.

Sam lo osservò strabiliato. «Sei ubriaco!» esclamò, aggrottando le sopracciglia. La
cosa era non poco preoccupante, perchè Dean non si ubriacava tanto facilmente, e
questo lo portava a chiedersi, quanto diavolo aveva bevuto?

«Ma dai...» fece il fratello, con uno sguardo vagamente velato, arrancando fino a uno
dei due letti e gettandovisi malamente sopra.

Dean bevve un altro sorso di qualsiasi cosa ci fosse dentro la bottiglia -meglio non
indagare oltre- e poi sorrise. «Che serata che ti sei perso, fratellino...»

Sam lo guardò in un misto di collera e disgusto. Cercò di calmarsi, di convincersi che
era semplicemente ubriaco e che non poteva rendersi conto di quello che diceva, ma
era tutta la sera che provava a reprimere quella rabbia, e quand'era troppo, era
troppo.

«Dean, quando hai intenzione di smetterla?» chiese, con la voce che tremava appena.

«Di smettere di fare cosa?» rispose lui perplesso, guardandolo con la testa
leggermente inclinata.

«Di prendere questa faccenda così alla leggera» Sam si alzò in piedi e gli si avvicinò
appena. «Siamo qui per lavorare, Dean, e tu non fai altro che andare a divertirti e a
giocare con Eva, mentre qui io sono l'unico che studia e cerca di capire!»

Dean non sembrò molto impressionato. «Rilassati, Sammy» rispose, calmo, prima di
prendere un altro lungo sorso dalla bottiglia.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. «Rilassarmi?» ripetè incredulo l'altro. «Dean,
qui si tratta di una cosa seria, c'è gente che muore, e il demone che potrebbe farsi
vivo da un momento all'altro!»

Il fratello lo osservò a lungo, aggrottando le sopracciglia. «E tu vorresti insegnarmi
come fare il mio lavoro?» disse, tirandosi appena su dal letto. Aveva la voce impastata
dall'alcool, ma anche così, era evidente il tono minatorio. «Io faccio questa roba da
una vita, d'accordo? L'ho sempre fatta, e non sarai certo tu a venire qui a
rimproverarmi!»

«Tu non sai controllarti, Dean, non ne sei mai stato capace!» esclamò Sam,
arrabbiato.

«E allora? Nessuno mi impedisce di andare a divertirmi... dopo che passo tutta
un'esistenza ad inseguire dannatissimi mostri!» replicò l'altro, e nonostante sembrasse
fare uno sforzo immenso per parlare, si capiva che era furioso. Si buttò di nuovo
contro al letto, bevendo un'altra volta. «Lasciami vivere la mia vita, Sammy»

«Lasciarti vivere...?» Sam non credeva alle sue orecchie. «Non mi sembra che a te sia
importato molto della mia, di vita, quando sei venuto a prendermi!»

«E a te non importava di noi, vero?» fece Dean a bassa voce. Sembrava
improvvisamente esausto, come se da un momento all'altro dovesse cadere
addormentato. «Quando te ne sei andato... e hai lasciato me e papà da soli... per
andare a studiare... come un ingrato egoista bastardo...»

«Io non volevo venire a caccia, non ho mai voluto cacciare, e adesso sono bloccato qui
con te, per colpa tua!» replicò Sam, piccato dalle parole del fratello.

Dean spalancò gli occhi, d'un tratto. «E allora vattene!» ringhiò, alzandosi in piedi
barcollando appena, e puntandogli contro la bottiglia, con uno sguardo adirato che
non gli aveva mai visto. «Vattene via, Sam, va a studiare, a fare quel diavolo che ti
pare, non me ne importa un accidente! Vattene!»

Entrambi stavano tremando di rabbia, uno di fronte all'altro. Sam lo guardò in silenzio,
senza sapere cosa fare. Poi, senza neppure rendersene conto, afferrò la giacca ed
uscì, lasciando Dean da solo, a bere un'ultimo sorso dalla bottiglia.

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Capitolo 14
*** Apparizioni ***


Sam camminava in fretta per la strada, piena di gente che rideva, beveva, e correva
da un marciapiede all'altro, entusiasta.

Non aveva la più pallida idea di dove stava andando. Si sentiva solo così... arrabbiato,
e in colpa, allo stesso tempo. Era furioso con Dean per quello che gli aveva detto, e
ancora di più perchè sapeva che la maggior parte delle cose erano semplicemente
vere.

Dean era ubriaco. Era semplicemente ubriaco, cercò di dirsi per l'ennesima volta. Ma
la verità era che non ci credeva troppo neppure lui. Continuò a camminare a grandi
passi, lo sguardo basso, prima di sentire una voce familiare.

«Matthew, che cosa fai?»

Alzò gli occhi e, in una strada poco lontana, vide Eva. Era appoggiata alla porta di un
bar, gli occhi che sembravano brillare, splendida come al solito, con un drink in mano,
e guardava con un sorriso incerto un ragazzo che le stava vicino -forse un po' troppo.

Sam rallentò. Non voleva farsi vedere da lei, ma allo stesso tempo non riusciva
neppure a smettere di guardarla; si confuse con un gruppo di ragazzi poco lontani, e
osservò il giovane, che aveva corti capelli neri, allungare le mani per accarezzarla.

Evanna lo scansò con un gesto. «Va via, Matt» disse, e s'interuppe un attimo per un
singhiozzo. «Non ne ho voglia, oggi...»

Nemmeno lei sembrava essere perfettamente sobria. Chiedendosi cosa accidenti
avessero combinato lei e Dean per ridursi in quello stato, Sam notò che il ragazzo
stava insistendo, ed Eva non sorrideva più.

«Mi hai stancato, Matthew» sentì che diceva, con un tono di infantile lamento che non
le riconosceva affatto. «Io vado via...»

Eva lasciò il bicchiere ad un cameriere di passaggio, e si allontanò a grandi passi,
stringendosi di più in un cappotto di pellliccia che aveva sulle spalle. Sam la guardò
allontanarsi con un misto di sollievo e delusione, prima di accorgersi che il ragazzo
chiamato Matthew attese qualche secondo prima di cominciare a seguirla.

Quella faccenda non gli piaceva per niente. Sam accellerò il passo e gli andò dietro,
intenzionato a non perderlo d'occhio finchè non avesse avuto la certezza che Eva fosse
stata al sicuro.

Ma lei si era appena voltata indietro, e aveva visto di essere inseguita. La vide
accellerare il passo, spaventata, e Matthew si mise a correre. Sam lo imitò, e,
raggiungendolo in poco tempo, cercò di fermarlo afferrandolo per una spalla.

«Ehi, che cosa hai intenzione di...»

Avvertì un dolore lancinante al naso ancor prima di capire che l'altro gli aveva tirato
un pugno. Per un attimo rimase fermo, massaggiandosi il volto, stordito, e quando
abbassò lo sguardo vide di avere le mani coperte di sangue. Alzò gli occhi: Evanna e il
ragazzo erano spariti.

«Maledizione...» mormorò, e ricominciò a correre, voltando lo sguardo da una parte e
dall'altra. La strada, prima grande ed illuminata, si perdeva in lontananza, in una via
senza lampioni, rischiarata solo dalle insegne dei pub tutt'intorno.

«No... non voglio....»

Sam rallentò. Quella era la voce di Evanna, e proveniva da una stretta via trasversale,
immersa nel buio: vi si infilò, camminando piano, e la sentì ancora parlare, pur senza
riuscire ad individuarla.

«No... ti prego, lasciami stare...»

La strada svoltava ancora, doveva essere proprio lì, dietro l'angolo, che Eva e Matthew
si nascondevano, Sam camminò lentamente, per non farsi sentire; era così buio che
non riusciva a distinguere nulla.

«Lasciami... non voglio... non voglio!»

Evanna gridò. Sam corse, svoltò l'angolo, e prima che potesse distinguere che degli
occhi azzurri che si spalancavano terrorizzati, qualcosa di grosso, affilato, lo colpì, e lui
cadde a terra, senza capire più nulla.

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Capitolo 15
*** Messaggi subliminali ***


«Sam! Sam, svegliati, dannazione!»

Avvertì qualcosa colpirlo all'altezza della guancia, e il dolore lo riscosse; aprì gli occhi,
e la prima cosa che distinse fu una figura chinata su di lui. Battè le palpebre. Era
Dean.

«Accidenti, per fortuna stai bene» disse quello, con un mezzo sospiro di sollievo, e si
alzò, allontanandosi dal fratello per lasciargli prendere una boccata d'aria. «Mi hai
fatto prendere un bello spavento, Sammy».

Sam cercò di tirarsi seduto, ma avvertì una fitta dolorosa all'altezza della spalla. Pian
piano, mise a fuoco una stanza, il divano dov'era appoggiato, e una finestra lì accanto,
appena aperta, dalla quale s'infiltravano i raggi del sole. Sole?

«Che ore... che ore sono?» domandò, debolmente, e Dean aggrottò le sopracciglia,
senza capire.

«Le sei di mattina» rispose, gettando un'occhiata all'orologio. «Perchè?»
«Mattina?» ripetè Sam perplesso.

«Sì, Sammy, mattina, è così che si chiama quella cosa che viene dopo la notte»
replicò Dean alzando gli occhi al cielo, esasperato.

Il fratello cercò di ricostruire quello che era accaduto. Ricordò Evanna, e il ragazzo che
la stava seguendo. Il vicolo buio, lei che gridava... e poi più nulla, il vuoto. «Cos'è
successo?» fece, alzando lo sguardo.

«E lo chiedi a me?» ribattè Dean, sedendoglisi accanto. «Ieri notte ti ho trovato per
terra in un vicolo buio, coperto di sangue. Ti sei svegliato, hai detto qualcosa come
''lasciatela stare'' e sei svenuto di nuovo, così ti ho portato qui. Allora» aggiunse,
incrociando le mani. «È stato il demone? L'hai visto?»

«Credo... credo di sì» rispose Sam, sforzandosi di ricordare i dettagli. «C'era Eva, là
fuori... e un ragazzo che la stava inseguendo... così li ho seguiti anch'io. Si sono
infilati in una strada poco illuminata, ho sentito Eva parlare...»

«Parlare?» Dean lo guardò interrogativo, con un misto di dubbio e impazienza. «Cosa
diceva?»

«Non ricordo, era come se stesse supplicando qualcuno... credo che l'altro ragazzo
abbia cercato di approfittare di lei, così mi sono avvicinato, e qualcosa mi ha
aggredito» disse Sam. Un lampo rosso, qualcosa che lo trafiggeva... era tutto quello
che riusciva a ricordarsi. Poi si rese conto che c'era qualcosa che non quadrava.
«Dean, cosa ci facevi fuori, ieri notte? Come hai fatto a trovarmi?»

Il fratello si agitò appena sulla sedia, a disagio. «Sono uscito a cercarti poco dopo che
te n'eri andato» rispose, evitando il suo sguardo. «Sai com'è, avevo paura che facessi
qualcosa di stupido, come al solito».

«Qualcosa come... andarmene davvero?» chiese Sam, guardandolo negli occhi.

Dean sbuffò, chiaramente imbarazzato da quella situazione, come al solito. «Qualcosa
del genere» assentì, cercando di mantenere un tono disinvolto. «Ascolta, Sam... per
quello che ti ho detto ieri sera...»

«Non importa» lo interruppe il fratello. Non voleva delle scuse, non in quel momento,
perlomeno. «Eri ubriaco»

«Non abbastanza ubriaco a non rendermi conto di quello che stavo dicendo» replicò
Dean, duro. «Non pensavo davvero tutto quello che ti ho urlato contro».

«Non tutto» ripetè Sam, inarcando le sopracciglia. «Ma qualcosa sì, giusto?»

«Qualcosa sì» concesse l'altro con un mezzo sospiro. «Senti, io non sono mai stato
davvero arrabbiato con te per essertene andato. Forse ero più... invidioso»

«Davvero?» fece il fratello, sorpreso. Non gli aveva mai detto niente del genere, e a
dire la verità, non ne avevano neppure mai parlato.

Dean annuì. «Tu sapevi cosa volevi fare della tua vita» disse, abbassando la voce.
«Hai fatto la tua scelta, e nessuno poteva dirti niente, nessuno poteva fermarti. Io non
sarei mai riuscito a fare una cosa del genere».

«Forse perchè tu non sei un piccolo bastardo egoista come me» commentò Sam, con
un sorriso amaro.

Il fratello sogghignò appena. «Già, forse per quello» disse, e si alzò in piedi. «Bene,
tutta questa conversazione è stata molto interessante, ma forse è ora che ci
rimettiamo al lavoro, giusto?»

Sam annuì, e fece per alzarsi. Il dolore lo trafisse di nuovo, e gettando uno sguardo,
vide che aveva una spalla avvolta da bende malamente arrotolate e sporche di
sangue.

«Allora, non sono un infermiere pazzesco?» ghignò Dean, contemplando la sua opera.
«Tu...» cominciò Sam, ma prima che potesse concludere la frase, un grido acuto,
prolungato, di donna arrivò da qualche parte sotto di loro.

I due fratelli si scambiarono un'occhiata, e senza bisogno di parlare, afferrarono le
giacche e si precipitarono fuori dalla stanza, di corsa.

Stavano scendendo le scale, quando incrociarono una delle cameriere in lacrime,
l'espressione sconvolta, che li guardò terrorizzata.

«Vi prego, aiutatemi! Là fuori... io...»

«Cos'è successo?» chiese subito Sam, impaziente.

«Io... io ero solo scesa a pulire, ed era là... davanti alla porta, e...» Scoppiò a
piangere di nuovo e non riuscì più a dire nulla.

«Ci pensiamo noi, d'accordo?» fece Dean, pur senza avendo la più pallida idea di cosa
si trattasse. «Lei vada dentro, e non si muova da lì».

Non appena la cameriera sparì dentro una delle camere, corsero fuori all'entrata, e
non ci fu bisogno di cercare molto per capire cosa l'avesse sconvolta così tanto.

Proprio appoggiato sul muro accanto all'ingresso, appoggiato contro i mattoni,
orrendamente mutilato, stava il cadavere di un ragazzo. Aveva i vestiti fatti a brandelli
e il petto era completamente squarciato, con profonde ferite simili a morsi; era tutto
coperto di sangue, e teneva il viso ripiegato su sé stesso, così che erano visibili solo i
corti capelli neri.

«È il ragazzo di ieri sera...» mormorò Sam, avvicinandosi appena, sconvolto.

«Guarda là» fece Dean, che si era tenuto a distanza, indicando il muro.

Sam spalancò gli occhi, incredulo. A pochi centimetri dal volto del ragazzo, c'era una
scritta, fatta con lo stesso sangue che ne imbrattava il cadavere. Era a grandi lettere,
obliqua, una sola parola. "Andatevene".

Dean si avvicinò e la sfiorò con le dita. «Ok, è davvero sangue» disse, vagamente
impressionato. «Ho la sensazione che ce l'abbiano con noi, che ne dici, Sammy?»
Lui non rispose: stava ancora fissando il corpo di quel ragazzo... Matthew, ecco come
si chiamava.

«I cadaveri di solito non venivano portati davanti alla casa della ragazza della
vittima?» aggiunse Dean, per poi sogghignare. «Mi devo preoccupare?»

Ma Sam non aveva intenzione di scherzare. Ieri qualcosa aveva aggredito lui, quel
giovane ed... Eva.

«Dean, va a cercare chi è questo ragazzo» disse, in tono d'urgenza. «Dovrebbe
chiamarsi Matthew... dobbiamo sapere chi era, e come mai è finito qui».

L'altro annuì, tornando serio. «E tu?» domandò dopo un istante.

«Io devo andare a controllare se Eva sta bene» rispose Sam, e senza neppure
aspettare la risposta del fratello, si voltò è cominciò a correre verso l'auto, mentre
dietro di lui Dean allargava le braccia, e, inarcando le sopracciglia, gli gridò: «Perchè
tu?».

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Capitolo 16
*** Labirinti di passione ***


Non ci vollero più di un paio di minuti per raggiungere la casa di Evanna. Parcheggiò
proprio di fronte all'ingresso grigio, scivolò dentro approfittando di un'anziana signora
che stava entrando, e salì di corsa le scale.

La porta dell'appartamento era, ancora una volta, aperta, e Sam vide che c'erano
tracce di sangue sulla maniglia; spaventato, si precipitò dentro.

Il soggiorno era vuoto: tuttavia, sentì dei rumori provenire dalla camera da letto dove
due notti prima aveva trovato Dean ed Eva. Spinse la porta, ed entrò.

Evanna era proprio lì, rannicchiata in un angolo della stanza, seduta per terra,
abbracciandosi le ginocchia. Indossava ancora il vestito argentato della sera prima,
nonostante fosse strappato in alcuni punti, e aveva tracce di sangue sul viso, sul collo
e sui fianchi.

Sussultò terrorizzata quando sentì Sam entrare, poi alzò lo sguardo verso di lui, e per
la prima volta la vide spaurita, smarrita. Gli occhi azzurri erano circondati di occhiaie,
ed era evidente che non aveva dormito per niente.

«Eva!» esclamò lui preoccupato; le andò incontro e le si inginocchiò a fianco, e
costatato che stava bene, tirò un sospiro di sollievo. «Eva, come ti senti?»

Il labbro della ragazza tremò. «È successo ancora, Sam» sussurrò, gli occhi spalancati.
«È venuto il demone e... di nuovo... ha ucciso quel ragazzo... davanti a me, ancora!»

Stava tremando. Sam la aiutò ad alzarsi, per farla sedere sul letto, e poté sentirla
aggrapparsi totalmente a lui, come una bambina che tenta di muovere i primi passi.

Quando furono uno accanto all'altro, seduti sulle lenzuola sgualcite del letto, Sam vide
una lacrima scendere sul volto pallido della ragazza.

«È successo tutto un'altra volta» ripetè Eva, guardandolo negli occhi. Teneva una
mano su una sua gamba, e sembrava afferrarvisi, in un gesto quasi disperato. «Lo
stava uccidendo... e io non potevo fare niente, capisci? Non potevo fare niente per...!»

Le mancò la voce. Le lacrime cominciarono a scorrerle più rapide sulle guance, e lei
venne scossa dai singhiozzi.

Sam le sfiorò le ferite che aveva sul ventre e sul collo. «È stato il demone?» chiese, a
bassa voce.

Eva non rispose. Aveva appena visto la sua fasciatura sulla spalla, e la guardò a fondo,
piegando di lato la testa. «Ti ha fatto questa...» sussurrò, più a sé stessa che a lui,
senza smettere di piangere.

«Non è niente» fece lui, cercando di sminuirsi, e facendo scivolare una manica sopra
la fasciatura, per nasconderla. «Davvero, sto bene»

Eva fremette ancora, poi, tutt'un tratto, venne sopraffatta dai singhiozzi e si gettò tra
le sue braccia, a piangere disperata.

«Io non ce la faccio più, Sam... non ce la faccio più» mormorò, e lui sentì le lacrime
bagnargli il petto. Senza sapere cosa fare, l'abbracciò: e sentì il suo corpo fragile,
tremante stringersi più forte a lui, e le accarezzò piano la schiena.

«Dean e io lo fermeremo, Eva» fece, piano, senza sapere cosa dire. «Ti giuro che lo
prenderemo, e metteremo fine a tutto questo. Davvero.»

Lei piangeva ancora, ma la sentì mentre cercava di calmarsi. «Quel ragazzo...
Matthew...» disse, un soffio. «Io sono sicura che non aveva cattive intenzioni... non
voleva farmi del male, lui...»

«Mi dispiace» mormorò Sam. «Davvero, mi dispiace. Eva...»

«Eva» ripetè lei, lentamente. Alzò lo sguardo, senza per questo sciogliersi
dall'abbraccio. «Sai chi mi chiamava così? Adam. Lo diceva sempre... Adam ed Eva. Lo
faceva tanto ridere il gioco di parole...»

Sam deglutì, a disagio, senza sapere cosa dire, e continuò ad accarezzarla piano,
sperando servisse a qualcosa.

Lei sembrò capire. Si voltò di nuovo a guardarlo, e sorrise appena tra le lacrime.
«Grazie, Sam...» sussurrò.

Fu una sensazione strana. Sam era preoccupato per il demone, per Dean, per il caso,
per lei, eppure, l'unica cosa che riuscì a pensare in quel momento, fu che Eva era
semplicemente bellissima.

Si accorse solo in quel momento di averla tra le sue braccia, e per un attimo sentì,
fortissima, la tentazione di allungarsi, semplicemente, e sfiorarla...

Evanna comprese. Per attimo il sorriso le tremò appena sul volto, ma poi sembrò
rafforzarsi, e in qualche modo diventare più raggiante, radioso.

Si avvicinò a lui. Aveva il viso ancora bagnato di lacrime, e ancora qualcuna le
scendeva sulle guance, ma non tentò di nasconderlo.

«Sam» fu l'unica cosa che mormorò, per poi allungare una mano e accarezzargli una
guancia.

Lui tremò. «No, Eva...» disse, a bassa voce, odiandosi per quello che stava pensando,
quello che stava desiderando così ardentemente. Ma non poteva.

Eva non spostò la mano. «È per Jessica?» domandò, sottovoce. «O solo perchè pensi
che io sia la ragazza di Dean?»

Sam si sforzò di sorridere, come se la questione non lo riguardasse. «Entrambe»
rispose, ma la voce, che sperava di mantenere in un tono disinvolto, gli tremò.

Evanna lasciò scivolare la sua mano bianca lungo i suoi capelli, e poi fino a dietro al
collo. Si muoveva lenta, assaporando il contatto con la sua pelle, e sul volto aveva
dipinto un sorriso amaro.

«Tra me e Dean non c'è niente, niente» sussurrò con forza. «E, Sam... per quel che
riguarda Jessica...» s'interruppe, avvicinandosi ancora di più, e lo baciò sulle labbra,
con delicatezza.

Lui non potè fare nulla per impedirlo, o per scansarsi. Si sentiva bloccato lì,
intrappolato nella sua stessa voglia, combattutto tra il desiderio di scappare, o restare
lì ed averla, farla sua.

«Te l'ho detto» mormorò Eva, il viso a pochi centimentri da suo. «Non si può restare
sempre da soli, Sammy...»

Era troppo, troppo vicina.

«Non chiamarmi Sammy» fece lui, piano, prima di sentire che non ce l'avrebbe più
fatta a resistere.

Dimenticò tutto. Dimenticò tutto e lasciò che lei lo baciasse ancora una volta, sempre
più a fondo, più a lungo. Lasciò che passasse le mani tra i suoi capelli, ancora una
volta, e le prese il viso tra le mani, ad occhi chiusi, mentre sentiva una sorta di brivido
percuoterlo tutto, e accenderlo ancora di più...

Caddero sul letto, uno sopra all'altro. Eva era dappertutto, sentiva le sue mani sopra il
suo corpo, il loro tocco delicato che gli slacciava i vestiti, ne avvertì i movimenti rapidi,
sottili, e a sua volta la circondò con le sue braccia, togliendole di dosso i resti del
vestito argentato.

Lei raggiunse con la mano la sua ferita, gli srotolò le bende con un tocco rapido e
delicato al tempo stesso, sorrise, gli baciò la spalla con tenerezza, accarezzandogli la
cicatrice, e Sam si sentì tremare di piacere, di voglia.

Tutto era diventato oblio, un piacere immenso e incredibile che lo invadeva da tutte le
parti, ed era diventato impossibile pensare, ragionare. Evanna era ovunque, lo
baciava, lo accarezzava, la sentiva, e non poteva farne a meno.

E poi tutt'un tratto erano avvolti nelle coperte, insieme, e il dolce contatto della pelle
lo fece quasi impazzire, e desiderava sempre di più, ed Eva lo capiva, lo accontentava.

Era impossibile percepire il tempo che passava, prima sembravano ore, poi solo pochi
secondi. Un paio di volte avvertì Eva piangere silenziosamente, senza per questo
fermarsi, e allora lui le si avvicinava e le baciava via le lacrime, stringendo più forte il
suo corpo tremante.

Lei era lì, tra le sue braccia, e lui non riusciva a smetterla di toccarla, di avvolgerla, e
sentiva che Eva lo desiderava con lo stesso ardore, mentre lo baciava con passione,
con forza, le mani attorno al suo corpo.

Fu qualcosa di meraviglioso, e sembrò durare una vita. Sam non avrebbe saputo dire
con certezza com'era cominciato, né come, alla fine, si ritrovò tra le vecchie lenzuola,
con il corpo di Evanna delicatamente appoggiato sul suo petto, e una mano immersa
nei suoi lunghi capelli rossi, scompigliati.

Continuò ad accarezzarla, lentamente, con un movimento regolare, quasi ipnotico. Lei
gli si strinse ancora di più contro.

Fu Sam il primo ad interrompere il silenzio.

«Dean mi ucciderà» disse, senza riuscire a trattenere un sorriso incerto.

Eva sembrò non sentirlo. Stava guardando da un'altra parte, dritto davanti a sé, e
sembrava immersa nei suoi pensieri.

«Mi dispiace» susssurrò, e la voce le tremò appena.

«Non ti preoccupare» replicò lui, sorridendo ancora, e scostandole con una mano una
ciocca di capelli che le copriva il viso.

Evanna sorrise appena. «Non è per quello» rispose, esitante. «Sam, tu sei il primo
uomo... veramente fedele che incontro. Tu non volevi rovinare la memoria di Jessica,
e io...»

Lui capì esattamente dove stava cercando di andare a parare. «Eva, non è stata colpa
tua, e...». S'interruppe. C'era qualcosa, nella frase precendente, che non
semplicemente non andava. Si accorse solo in quel momento di che cos'era.

«Eva...» disse, lentamente. «Hai detto... il primo?»

Lei si voltò a guardarlo, e sorrise triste; questa volta, non c'era traccia di lacrime sul
suo volto bianco. «Adam... lui non è mai stato legato a me quanto io a lui»

«Vuoi dire che lui...?» fece Sam, sorpreso.

«Mi tradiva» concluse per lui Evanna, amareggiata. «Già da un mese, prima che
morisse. Sam...» lei abbassò lo sguardo, mesta. «La ragazza che era al cinema con
lui... era con lei che Adam...»

«Mi dispiace» mormorò ancora Sam, senza sapere cosa dire. Sentì l'impulso di
accarezzarle di nuovo una guancia, ma si trattenne.

«Sam, ti devo dire una cosa» sussurrò lei, e suoi occhi azzurri parvero lampeggiare, in
una strana espressione, un misto di paura e decisione. «Io ho detto alla polizia che era
stata lei a uccidere Adam. L'ho detto a tutti... ho detto che quella ragazza lo aveva
aggredito dopo che si erano baciati. Ma lei non c'entrava niente, niente! Quando il
demone è arrivato, lei è scappata via...»

Evanna tremò appena, e questa volta Sam non riuscì a impedirsi di sfiorarle il viso con
una mano, per asciugarle una lacrima che cadde lenta dal suo sguardo fermo.

«Io non lo so, Sam...» mormorò ancora lei, con un tono talmente amaro e disilluso
che l'altro si spaventò. «Ero così... così arrabbiata, quando li ho visti insieme... così
furiosa... non dovevo accusarla, lei non aveva nulla a che fare con quella storia! E,
Sam... sai perchè non la polizia non è riuscita a concludere il suo processo?»

«Mancanza di prove?» tentò lui, cercando di ricordare quello che aveva letto giorni
prima.

Evanna scosse la testa, lentamente. «È morta... morta mentre era in stato di fermo.
Hanno detto che è stato un suicidio, Sam...»

Eva rabbrividì ancora, spaventata, e lui non potè far altro che abbracciarla ancora,
avvolgendola tra le sue braccia, per consolarla, farla sentire al sicuro.

Per qualche minuto nessuno dei due parlò, e rimasero uno accanto all'altro. Eva
teneva gli occhi chiusi, e sembrava respirare appena, mentre Sam stava osservando
un punto imprecisato sul soffitto, sommerso dai suoi stessi pensieri.

Fu impossibile dire quanto tempo dopo sentirono dei passi sulle scale. Senza bisogno
di parlare, entrambi si alzarono in fretta e cominciarono a rivestirsi rapidamente, ma
anche così, quando qualcuno aprì la porta, erano ancora uno accanto all'altro, mezzi
svestiti, nel letto.

Dean fece passare lo sguardo da uno all'altro, la bocca spalancata, incredulo, e l'unica
cosa che riuscì a dire fu: «Che cosa diavolo state...?»

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Capitolo 17
*** Richiami nascosti ***


Sam si precipitò fuori dal letto, infilandosi frettolosamente la camicia, osservando a
disagio il fratello che lo guardava con la stessa espressione di chi ha preso una grossa
botta in testa.

«Dean... ti posso spiegare, davvero, noi...» cominciò, esitante.
«No!» lo interruppe lui, incredulo, senza smettere di guardare prima uno e poi l'altra,
senza credere ai suoi occhi. «No! Cosa... Sam, hai passato giorni a rimproverarmi,
perchè non prendevo il caso seriamente, e appena ti lascio solo, fai questo

«Dean, io stavo solo...»

«Controllando che Eva stesse bene?» concluse per lui Dean, sarcastico. «Vedo che hai
fatto un controllo molto accurato, fratellino!»

Eva fece un passo avanti, intervenendo. «Dean, ti assicuro che lui non c'entra nulla,
sono stata io a...»

«Sta' zitta!» ringhiò lui, furioso.

«Non parlarle in questo tono!» esclamò Sam, mettendosi in mezzo.

«Non dirmi cosa devo fare!» replicò Dean, guardandolo con sguardo adirato.

Per un attimo si squadrarono furibondi, senza dire nulla; poi Sam si rivolse a Eva,
parlandole sottovoce: «Forse è meglio che vai, adesso»

«Ma io...» protestò lei, guardandolo confusa.

«Sì, va pure a lavorare, tesoro» la interruppe Dean sarcasticamente.

Evanna lo guardò con un misto di rabbia e impotenza e poi, senza dire nulla, afferrò
una borsa da una sedia e uscì dalla stanza, sbattendo la porta dietro di sé.

«Dean, che ti prende? Non trattarla così!» fece Sam, arrabbiato.

«Cosa mi prende? Cosa prende a te!» replicò Dean, guardandolo strabiliato. «Sam, in
caso tu non te ne fossi accorto, sei appena andato a letto con la mia ragazza!»

«Non era la tua ragazza!» ribatté il fratello, d'impulso. «Non provava niente per te, era
solo lavoro!»

Dean spalancò gli occhi, incredulo, e per un attimo Sam gli intravide sul volto
un'espressione spaesata e smarrita che non gli aveva mai visto, e si pentì delle sue
parole.

«Dean, quello che intendevo....»

«Sei proprio un bastardo, Sammy, lo sai?» lo interruppe Dean, con voce roca, prima di
voltarsi e fare per uscire.

«Dean, io volevo solo...»

«Va al diavolo, Sam!» ringhiò Dean, e se ne andò, sbattendo la porta.

Era più che arrabbiato. Era... furibondo, e sentiva la collera montargli dentro,
irrefrenabile, totale, divampante.

Camminava veloce per la strada, le mani in tasca, lo sguardo talmente adirato che
pareva che ogni singolo passante gli avesse fatto un torto enorme.

Calciò con tale forza una lattina da terra che quella fece un volo di qualche metro ed
atterrò tintinnante sull'asfalto. Maledizione...

Non sapeva cosa lo disturbasse di più: il fatto che il fratello avesse provato così
spudoratamente a soffiargli la ragazza, l'unica che, accidenti, per una volta gli
interessava davvero, o il pensiero che Sam avesse detto la verità, che Eva si fosse
presa gioco di lui, che fosse stato davvero, solo lavoro...

L'immagine di loro due nel letto gli balzò davanti agli occhi, d'un tratto, e Dean si
bloccò in mezzo alla strada, senza riuscire a muoversi, parallizzato dalla sua stessa
furia, il respiro affannoso.

La strada era quasi del tutto deserta, e il cielo era coperto da nuvole scure, grigie, che
oscuravano la debole luce del sole. Un vento freddo, gelido, stava soffiando feroce, e
fu solo quello a spingerlo a camminare di nuovo.

E se fosse stato vero? Se davvero, come al solito, lui non fosse stato che il terzo
incomodo nella felicità perfetta e beata del fratellino? Ma perchè diavolo le cose
dovevano sempre andare storte, per lui? Perchè Sam incontrava ovunque il vero
amore
, o come accidenti lo doveva chiamare, e lui si doveva accontentare di prostitute
di bassa lega?

Camminò ancora più veloce. Il vento gli sferzava in faccia la polvere della strada,
sollevando foglie, terra, carte di giornali, e Dean dovette socchiudere gli occhi. Non
riusciva a distinguere bene cosa aveva davanti... cosa accidenti stava succedendo?

L'insegna di un pub lampeggiò appena, per poi spegnersi, con un ronzio. Dean si
guardò intorno, pallido, e mise mano alla pistola che teneva sempre all'interno della
giacca.

Senza un motivo preciso, cominciò a correre. C'era qualcosa, là fuori, che non lo
convinceva affatto. Il vento era ancora più forte, lo sentiva fischiare nelle orecchie,
forte.

«Dean... Dean....»

Ma non era più vento, questo. Era un sussurro leggiadro, che si confondeva nella
brezza, stranamente familiare e confortevole al tempo stesso. Non potè far altro che
stare ad ascoltarlo, correndo più forte.

«Dean... sono qui per te, vieni....»

Come faceva una dannata voce ad essere così dolce? Dean la sentì come un balsamo,
che pian piano mitigava tutta la rabbia che covava dentro, e non riuscì a resisterle.

«Vieni da me, Dean...»

Non potè far altro. Si fermò di colpo, si voltò indietro, e sentì qualcosa -o qualcunobaciarlo
con passione.

Era meraviglioso. Dean lasciò cadere a terra la pistola, le affondò le mani nei capelli e
si abbandonò a quel bacio, gli occhi chiusi, dimenticandosi di tutto il resto.

«Sono qui, dolcezza».

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Capitolo 18
*** Ultimo desiderio? ***


Sam strinse i denti ancora una volta, mentre srotolava piano le fasciature della spalla
per vedere in che condizioni era la ferita; la stoffa strofinava contro lo strato di pelle
ancora aperto, e sentì una fitta dolorosa percorrergli tutto il braccio.

Il taglio non era ancora guarito, anche se non sembrava troppo profondo. Anzi, a dire
la verità non sembrava nemmeno un taglio: più lo esaminava, più capiva, disgustato,
che quello era un morso. Come se il demone lo avesse scambiato per la sua cena.

Sospirò, e finì di disinfettarsi la ferita: il dolore gli irrigidì tutto il muscolo, ma andò
avanti comunque. Dopotutto, non era certo la cosa peggiore che gli fosse capitata.

Una volta sistemata di nuovo la benda, piuttosto con fatica, a dir la verità, guardò
fuori dalla finestra, dove ormai era buio, e i suoi pensieri andarono, ancora una volta,
involontariamente, al fratello.

Dove diavolo si era cacciato? Dean non si era fatto sentire per tutto il giorno, e
cominciava ad essere preoccupato. Aveva deciso di lasciarlo stare per un po', per
permettergli di scaricare la rabbia -dopotutto, si sentiva in colpa per quello che aveva
fatto e detto- ma adesso cominciava ad essere passato troppo tempo.

E se gli fosse successo qualcosa? Decise di aspettare qualche altro minuto ancora, e
poi provare a chiamarlo. D'altro canto, se non si faceva vivo neppure all'ora di cena,
doveva esserci qualcosa che non andava...

Stava giusto prendendo il celliluare, quando sentì dei passi precipitosi fuori dalle scale,
e qualcuno bussare in fretta alla porta. Si alzò, e, non appena arì la porta, si trovò
davanti ad Evanna, chiaramente sconvolta, gli occhi gonfi e rossi, e i capelli tutti
scompigliati.

«Eva!» esclamò, preoccupato, spostandosi di lato per farla entrare. «Cos'è successo,
va tutto bene?»

Lei lo oltrepassò in fretta, e si andò a sedere dentro, sul divano. Teneva lo sguardo
basso, e aveva le braccia strette al corpo, come a difendersi da qualcosa.

«Sam...» sussurrò, senza ancora alzare gli occhi, osservando il pavimento davanti a
lei.

Lui si affrettò a sederle accanto, resistendo all'impulso di metterle un braccio attorno
alla vita. «Evanna, cosa ti è successo?» mormorò, preoccupato.

Eva, finalmente, si girò a guardarlo, e nei suoi occhi azzurri si leggeva il più puro
terrore. «Sam, ho visto la scritta... sul muro...» disse, piano.

Lui impiegò qualche istante prima di capire di cosa lei stesse parlando, sorpreso.

«Già... non l'hanno ancora cancellata, vero?» rispose, alla fine, senza capire che
importanza avesse.

Evanna scosse la testa, restando in silenzio. Sembrava stare cercando le parole giuste
per dire qualcosa, invano.

«Sam, io... credo che dovresti fare come dice» mormorò alla fine, guardandolo.

«Andarmene?» Lui si accigliò appena. «Eva, non possiamo andare via senza aver
prima risolto il caso, no?»

«È solo che... Sam, è tutto così pericoloso!» fece Evanna, guardandolo quasi
disperata. Le labbra le tremavano mentre parlava, ma la voce era ferma. «E se vi
succedesse qualcosa? Sam...» sussurrò, posandogli una mano sulla guancia. «Io ho
già perso Adam, non potrei permettermi di perdere anche te»

Lui si sentì rabbrividire, ma si impose di mantenere la calma. «Devi stare tranquilla»
le rispose, con il tono più calmo che riuscì a trovare. «Andrà tutto bene... io e Dean
troveremo quel demone, e lo faremo fuori, come abbiamo sempre fatto».

Le sue parole sembrarono avere l'effetto contrario: un'altra volta, le lacrime
cominciarono a scorrere rapide sul viso di Evanna, che scosse la testa tra i singhiozzi.

«No, Sam... questa volta no, questa volta non ce la farete» sussurrò, piangendo.
Allungò la mano per accarezzarlo di nuovo, ma questa volta, lui si scansò.

«Perchè no?» chiese, osservandola attento. Voleva, dovava capire. C'era qualcosa, in
Evanna, che non andava, che non riusciva ad afferrare.

Lei non gli rispose, e si limitò a guardarlo con uno sguardo tra il triste e il rassegnato,
che lo fece sentire ancora più confuso e, in qualche modo, ancora più determinato.

«Eva, se c'è qualcosa che sai... qualcosa che posso aiutarci a risolvere il caso, ti
prego, devi dirmela» disse Sam, osservandola a fondo, serio. «È importante, davvero»

Evanna lo guardò a lungo prima di rispondere. I secondi passavano lenti, ed era come
se ognuno stesse cercando di leggere dentro gli occhi dell'altro. Alla fine, Eva si
avvicinò ancora, e per un attimo Sam pensò che lo stesse per baciare di nuovo:
invece, la ragazza si fermò con le labbra a pochi centimentri dal suo orecchio, e gli
sussurrò, piano: «Vieni via con me».

«Cosa?» fece lui, spiazzato, voltandosi a guardarla. Ancora una volta, i loro visi erano
talmente vicini che poteva intravedere chiaramente le lacrime appoggiate sulle sue
ciglia.

«Vieni via con me, Sam» ripetè lei, a bassa voce. «Ti prego. Io non ce la faccio più...
non ce la posso fare più. Devo scappare, scappare lontano da tutto questo, ma non
posso farlo da sola... vieni via con me».

La sua richiesta era talmente assurda che Sam si dovette trattenere quasi dal ridere.
«Eva, non posso... non possiamo partire così, senza aver risolto prima il caso!»

«Ti prego!» bisbigliò lei, agitata, e non appena vide che stava tremando, il sorriso
scivolò via dal volto di Sam. Non stava scherzando, anzi, sembrava terribilemente
agitata.

Evanna gli posò una mano sulla guancia, e prima che lui se ne rendesse conto, lo
stava baciando con una passione nuova, con una forza ed una agitazione che non le
aveva mai sentito addosso.

«Ti prego, Sam» sussurrava, fermandosi appena per riprendere fiato, e poi
riprendendo a baciarlo. «Io e te... dobbiamo andare via da questo posto maledetto,
dobbiamo andarcene! Vieni via con me, andremo lontano, dove non ci sono né mostri,
né demoni... dove saremo liberi da tutto questo... liberi, Sam!»

«Eva, non posso... non possiamo!» mormorò lui, a fatica; averla così vicina, così
desiderosa di lui, lo rendeva incapace di ragionare. «Dobbiamo trovare quel demone,
dobbiamo eliminarlo prima che faccia del male ad altre persone...»

«Ma perchè noi, Sam?» lo interruppe Evanna, osservandolo dritto negli occhi. «Perchè
tu? Perchè devi essere tu a rischiare tutto? Hai diritto alla tua felicità, Sam... e anche
io» sussurrò, abbassando lo sguardo azzurro. «Vieni via con me, e non dovremo più
pensare a niente di tutto questo... ti supplico... ho bisogno di scappare, di andare
via... non ce la faccio più...».

Stava piangendo di nuovo, e Sam si sentì incredibilmente cattivo, quasi malvagio, a
doverle dire di no un'altra volta. Dopotutto, perchè? Doveva essere lui a dirle che non
potevano, semplicemente non potevano avere una vita come tutti gli altri? E perchè,
poi? Solo per colpa di un demone che aveva deciso di perseguitarli entrambi?
Arrendersi alla caccia non era come fare il suo gioco?

«Perchè non possiamo?» sussurrò Eva, insistendo con voce tremante. «Perchè non
possiamo infischiarcene, lasciare questo compito a qualcun'altro? Perchè noi, Sam?»

«Eva, tu... sei libera di andartene quando vuoi» rispose stancamente lui. Si sentiva
incredibilmente esausto, e non riusciva a ragionare. «Io no... devo trovare chi ha
ucciso Jessica, e vendicarla... ma tu non devi essere legata a tutto questo. Tu puoi
vivere la vita che vuoi, Eva... e devi viverla!»

«Non posso farlo da sola» sussurrò lei, e sovrappose un'altra volta le labbra alle sue
per baciarlo, piano, delicatamente. «Non posso farlo senza di te... vieni via con me...
ricominceremo insieme».

Il desiderio di lasciare tutto, e dirle di sì, era troppo forte, e Sam sentì che non
sarebbe mai stato capace di opporvisi, non in quel momento, non con Eva tra le
braccia, i suoi capelli rossi tra le dita, e le sue labbra così vicine. Alzò una mano per
accarezzarla, sentì una fitta percorrerlo lungo il braccio sinistro, ed improvvisò ricordò
che c'era qualcosa che mancava.

«E Dean?» mormorò piano, spostando una ciocca di capelli dal viso. «Se smetto di
cacciare, non mi perdonerà mai, lo sai». Cercò di sorridere, ma non gli riusciva molto
facile.

Evanna impallidì di colpo. Le labbra le tremavano, e gli occhi azzurri erano più
spalancati che mai, pieni di terrore. Parlò, a voce talmente bassa che l'altro quasi non
la udì.

«Io credo che abbia preso Dean».

Sam sussultò. «Che cosa hai detto?» esclamò, allontanandosi talmente in fretta che
Eva, appoggiata a lui, sobbalzò e rischiò di cadere.

Evanna alzò lo sguardo, e una lacrima le scivolò lungo il viso. «Io credo che il demone
abbia preso Dean» ripetè, lentamente. «Vi stava cercando. Vi voleva, tutti e due. E
lui... colpisce meglio quando una persona è sconvolta, o spaventata. Dean era così
arrabbiato quando se n'è andato... era una preda facile per lui».

Le parole di Eva sembrarono cominciare a martellare improvvisamente nel cervello di
Sam, impedendogli qualsiasi ragionamento, qualsiasi lucidità. La sola idea che potesse
essere successo qualcosa al fratello...

«Sam, da quanto tempo è che non vedi Dean?» domandò Eva, in un sussurro,
avvicinandoglisi di un passo. La voce le stava tremando come non mai.

Lui sentì la risposta bloccarglisi in gola. Tutto il giorno... tutto il giorno, e lui era stato
così stupido da pensare che il fratello potesse essersi semplicemente infilato in
qualche bar a sfogarsi un po'! Come aveva potuto essere così stupido? Quando sapeva
quello che stava succedendo?

«Devo andare a cercarlo» mormorò solamente, con voce roca, facendo per
allontanarsi, ma Eva lo bloccò afferrandolo per un braccio.

«No!» esclamò, spaventata. «No, Sam... non capisci? Prenderà anche te, come ha
fatto con lui... non devi andare, ti prego! Resta con me, andiamo via! Non puoi più
fare nulla per Dean, ormai...»

«No, Eva» fece lui, deciso, liberandosi dalla sua stretta. «Non posso. Davvero non
posso».

E senza aggiungere nient'altro, corse via, fuori. Eva rimase lì per qualche istante,
ferma, in piedi, sulla soglia della porta. Le lacrime scorrevano più rapide che mai sul
suo viso bianco, ma quando parlò, la sua voce era incredibilmente ferma.

«È troppo tardi, Sam».

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Capitolo 19
*** Apparizioni, parte seconda ***


Sam si precipitò in strada, senza nemmeno rendersi conto di cosa stava facendo.

Fuori era già buio, e il cielo era coperto da grosse nuvole nere che oscuravano persino
la luce della luna: un vento gelido, forte, sollevava cartacce e polvere da terra, e la
strada era quasi del tutto deserta. I pochi che andavano in giro quasi correvano,
stretti nelle loro giacche.

Cominciò a camminare in fretta, guardandosi attorno, senza sapere da dove
cominciare. Pensare che Dean fosse in pericolo, che fosse stato catturato, e lui non
aveva idea di dove potesse trovarsi, lo terrorizzava.

Accellerò il passo. Non doveva pensarci, tutto qui. Si ritrovò a correre sull'asfalto,
guardandosi intorno, ma non c'era nessuno, attorno: le persone ormai erano tutte a
casa a cenare, chi altro sarebbe uscito con un tempo del genere?

Si diresse, quasi automaticamente, verso casa di Evanna, ma a mezza strada cambiò
idea, si voltò in direzione della Baita, poi si fermò ancora, il respiro affannoso, la paura
che cominciava lentamente a stringergli il petto in una morsa.

Non sapeva dove andare. Non sapeva da dove cominciare. E ogni secondo che
passava, inesorabile, era un secondo in più in cui Dean poteva essere catturato,
poteva essere attaccato. Ogni secondo poteva essere.... no, maledizione! Non doveva
pensarci.

Si voltò indietro, quasi senza fiato. Poteva udire il suo stesso respiro irregolare, sopra
il vento che sferzava feroce, e i passi che risuonavano da qualche parte, lontani.

Ricominciò a correre. Non poteva perdere tempo, dannazione, non poteva! Correva e
nello stesso tempo si guardava intorno, cercava indizi della presenza del fratello,
cercava aiuto, cercava qualsiasi cosa che lo facesse sentire meno perso, meno
spaesato, confuso ed inutile di come si sentiva in quel momento.

«Dean!» chiamò, e la sua voce riecheggiò lungo la strada deserta, e gli sembrava che
l'eco lo schernisse befferdo, come se si prendesse gioco della sua ricerca disperata.
«Dean!»

Nessuna risposta. Il silenzio non gli era mai sembrato così insopportabile, eppure,
anche quando il vento cominciò a soffiare più forte, facendo scricchiolare le porte e
rotolare le lattine per terra, maledisse anche quei rumori, perchè dietro ognuno di
essi, gli sembrava di sentire i passi, o la voce del fratello.

Stava impazzendo -doveva mantenere la calma, o non avrebbe mai trovato Dean.
Continuò a correre e a guardarsi intorno, e il vento era sempre più forte, gli fischiava
nelle orecche, senza tregua.

«Sam... Sam...»

Qualcosa di più che vento, qualcosa come un sussurro leggero gli risuonò talmente
vicino che fu impossibile pensare ad un'alro gioco dell'immaginazione. C'era qualcosa
che lo stava chiamando, lo sentiva!

«Sam... vieni... vieni da me...»

Lui si guardò intorno, ma non vide nulla, nel buio, e il vento, che gli gettava negli
occhi la polvere della strada. Si coprì il volto con un braccio, senza smettere di
correre, e la voce si fece più insistente.

«Non andare... vieni, Sam, vieni da me...»

Sentì come qualcosa che lo toccava, qualcosa accarezzarlo, sulla nuca, un tocco
rapido, gentile, leggiadro, e gli parve di riconoscerlo. Avrebbe voluto obbedire,
abbandonarvisi, ma c'era Dean, Dean che era scomparso, e doveva trovarlo...

«È troppo tardi... troppo tardi, Sam... non ti avvicinare, Sam, non andare!»

Il sussurro si era fatto quasi furioso, e si era alzato di tono, era dappertutto, nella sua
testa, ovunque, gli rimbombava nelle orecchie, impetuoso, ed irresistibile.

«Vieni da me, Sam...»

Qualcosa gli avvolse il viso con il tocco più delicato e leggero che avesse mai provato,
e sentì l'impulso di fermarsi, di cedere, ma continuò a correre, e correre.

«Non andare... è tardi, troppo tardi... non c'è nulla da fare»

Non c'era nulla da fare, e non ce l'avrebbe fatta, non ne aveva la forza, non voleva più
andare avanti, perchè, quando era tutto perduto, era tutto finito! Se non aveva più
motivo di lottare, se Dean era ormai... Dean. Di nuovo, il pensiero del fratello sembrò
risvegliarlo come acqua ghiacchiata, anche se la voce continuava a chiamarlo, e a
supplicarlo di restare...

«Non posso!» ringhiò, fermandosi in mezzo alla strada. «Lasciami stare...»

La voce, come d'incanto, svanì, e rimase solo lui, nella strada, nel più completo
silenzio.

Sam alzò lo sguardo. Si trovava di fronte ad un cinema abbandonato, la cui insegna
pendeva misera, le luci al neon che lampeggiavano, rotte. Il portone di vetro era rotto
in più punti, e un cartello arrugginito recitava: "Cessata attività".

Si avvicinò ancora di più. Sul vetro c'erano tracce di sangue, e per terra, davanti alla
porta, giacevano delle grosse catene, spezzate a metà.

Adesso sapeva dove si trovava Dean.

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Capitolo 20
*** Sale senza senso ***


Sam spinse il portone, e si ritrovò in una piccola stanza circolare, ricoperta di una
moquette rossa e impolverata, con al centro una biglietteria rotonda, che stava
praticamente cadendo a pezzi.

«Dean?» chiamò, a bassa voce, camminando lentamente e guardandosi attorno. Nessuno
gli rispose, e, d'altro canto, sembrava non ci fosse anima viva in giro.

C'era solo tre sale, le porte chiuse, con davanti i manifesti di qualche film uscito anni
prima. Sam entrò dentro la prima, trovandosi davanti ad un grande schermo bianco, con
un lungo strappo al centro, e ad un centinaio di poltroncine dello stesso colore rosso della
moquette, per la maggior parte sfondata, o comunque dall'aria poco stabile.

Passò rapido attraverso tutte le file, guardandosi intorno, ma ancora niente. Dean non era
da nessuna parte, anche se, dopotutto, neppure Sam si aspettava che fosse facile
trovarlo, né che il demone lo tenesse lì, in prima fila, a godersi lo spettacolo.

Ma dove cercare, ancora? Dean poteva essere in una delle altre sale, o nei bagni, nei
magazzini dietro la biglietteria, o... alzò lo sguardo. La stanza del macchinista.

Quasi di corsa, salì le scale accanto alle file di poltroncine, e si affacciò sulla piccola
vetrata che dava su una stanzetta altrettanto piccola, dove, apparentemente privo di
sensi, appoggiato contro uno scaffale ricolmo di pellicole e semi nascosto da un grosso
proiettore, stava Dean.

«Dean!»

Senza quasi rendersene conto, si ritrovò a battere contro lo spesso vetro della finestrella,
chiamando a gran voce il fratello. Lui non rispondeva, e aveva la testa appoggiata su una
spalla, gli occhi socchiusi.

Sam si allontanò. Da dove accidenti si entrava in quella stanza? Tastò le pareti,
impaziente, fino a scovare una porticina dello stesso colore del muro, quasi invisibile
nell'oscurità in cui era immersa la sala. Si preparò a buttarla giù, ma si rese conto che era
già aperta.

Entrò, e subito raggiunse il fratello, che parve accorgersi del rumore, e voltò la testa verso
di lui.

«Dean! Dean, tutto bene?» lo chiamò Sam, prendendolo per le spalle.

Quello aggrottò le sopracciglia, sbattendo le palpebre perplesso, e quando lo vide,
ricompose l'espressione in uno ghigno sarcastico.

«Ce ne hai messo di tempo per arrivare, Sammy...» commentò, anche se piuttosto
debolmente.

Il fratello tirò un sospiro di sollievo, senza ancora credere che stesse bene. Gli gettò una
rapida occhiata: non sembrava avere nessuna ferita, ma aveva le mani legate dietro le
schiena e sembrava parecchio stordito.

«Come stai, Dean?» domandò, mentre si affrettava a liberarlo.

Lui inarcò le sopracciglia. «Una meraviglia, non hai visto dove mi hanno alloggiato? Se la
ragazza dei pop corn si fosse ricordata di passare più spesso, sarebbe stato un vero
spasso» rispose, sarcasticamente.

Sam non riuscì a trattenere un sorriso. In pochi secondi, sciolse i nodi che legavano il
fratello, che si massaggiò i polsi, compiaciuto, per poi alzare lo sguardo verso di lui,
tornando serio.

«Sam, ho visto il demone» cominciò, senza più sorridere. «È...»

«Lo so» mormorò stancamente lui, interrompendolo. «L'ho sentita mentre ti cercavo,
stava cercando d'impedirmi di venire qui. Dean...»

«È assurdo» concluse per lui il fratello. «Non ha completamente senso! Voglio dire, perchè
uccidere il suo stesso ragazzo? E quello di sua cugina?»

«Entrambi erano infedeli» rispose Sam, in tono esausto. «E lei li ha voluti punire»

L'altro lo guardò, sorpreso. «Vuoi dire che anche Adam l'aveva....»

«Esatto»

Dean non riuscì a trattenere una risata incredula, scuotendo la testa. «Pazzesco» fece, con
un ghigno esasperato sul viso. «Mi spieghi perchè le donne sono sempre così
vendicative?»

Ancora una volta, Sam faticò ad evitare di sorridere. «Io...»

Si bloccò a mezza frase; dei rumori di passi rimbombavano dalla sala accanto, rapidi.
Dean tacque, ed estrasse dalla tasca una pistola, di quelle che portava sempre con sé, e la
puntò verso l'entrata: Sam si stupì che il demone gliel'avesse lasciata.

La porta si aprì, e ne entrò una figura femminile, gli occhi azzurri che parvero lampeggiare
per un istante, il volto pallido, tirato, e un'espressione decisa e spaurita al tempo stesso.

Era Natalie.

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Capitolo 21
*** Scambio d'identità ***


Ma non era la Natalie che ricordavano loro. Era come se qualcuno avesse preso i suoi
lineamenti e gli avesse migliorati, ridefiniti: i capelli biondi, perfettamente lisci,
scivolavano lungo il viso di un bianco quasi perlaceo, sfiorando appena le spalle.

I suoi occhi azzurri, adesso così simili a quelli della cugina, sembravano brillare di luce
propria, e le labbra sottili erano incurvate in un mezzo sorriso. Aveva una pistola in mano,
e la teneva puntata con disinvoltura contro i due fratelli.

Natalie inclinò la testa. «Sorpresa» sussurrò, con un leggero ghigno.

Dean si alzò da terra, senza abbassare la sua pistola, puntandogliela dritta sul cuore, e
commentò, sfacciatamente: «A dire il vero, ti stavamo aspettando. Hai un'aspetto migliore
dall'ultima volta che ci siamo incontrati, sei stata in qualche centro estetico, o dobbiamo
ringraziare il demone?»

Il sorriso sparì dal volto della ragazza. «Tu che ne dici?» replicò, dura.

Dean allargò le braccia, sarcastico. «Strano, pensavo che voi creature dell'altro mondo non
aveste il senso estetico. Ho sentito qualche testimone giurare di aver visto un mostro
attaccare, e non una bella fanciulla...»

«Devi lasciare stare Natalie» fece Sam, osservando con sguardo disgustato il demone. «E
ancora lì da qualche parte, dentro di te, vero?»

Lei strinse gli occhi, guardandolo quasi interrogativa. «Ma io sono Natalie» sussurrò,
decisa. «È il demone che è dentro di me, non il contrario».

«Ma è il patto che lui che ti ha resa così, vero?» replicò ancora Sam, aspro. «L'agilità, la
bellezza, la forza. È il patto con il Malageminia che te le ha donate, giusto?»

«A quanto pare sei ben'informato» sorrise Natalie, avvicinandosi di un passo, la pistola
ancora puntata verso di loro. «Devi aver fatto davvero un buon lavoro, se sai tutte queste
cose...»

«Non so tutto» mormorò lui stancamente. «Natalie... perchè l'hai fatto? Perchè hai
evocato il demone?»

Per un attimo lo sguardo fermo della ragazza vacillò. Fece passare gli occhi da Sam al
fratello, poi gli abbassò, e rispose, amaramente: «Josh non mi voleva».

Un lampo di comprensione, e forse di compassione, passò negli occhi di Sam, mentre
Dean si limitò ad incrociare le braccia e a guardarla, beffardo.

«Io ero solo una stupida ragazza di paese per lui» continuò Natalie, e le parole le
scheggiarono via dalla bocca con una rabbia e una desolazione quasi graffianti. «Non mi
avrebbe mai voluta... il demone mi aveva promesso di rendermi desiderabile, perfetta. E
così è stato. Josh si è innamorato di me... siamo stati insieme».

«Solo che il demone non ti ha detto tutto, vero?» chiese Sam, inarcando le sopracciglia.

La pistola ancora puntata al suo petto vibrò. Natalie stava tremando.

«Già, proprio così» sussurrò, e i suoi occhi azzurri lampeggiarono. «Il demone non mi
aveva spiegato che poteva prendermi e togliermi tutte queste cose quando e come voleva.
Finchè io mi arrendevo a lui, il patto funzionava. Se provavo ad oppormi, tornavo quella di
prima».

«Come il giorno in cui siamo venuti a trovarti» commentò Dean, con un ghigno.

«Stavi cercando di combatterlo, non è vero?» chiese Sam, a bassa voce. «Perchè?»

La voce di Natalie tremò, e quando parlò, suonò roca, quasi come un ringhio. «Voi non
sapete com'è» ribatté, con disprezzo. «Avere un mostro dentro, che cresce, che vuole
uscire allo scoperto. Che può costringerti a fare delle cose...»

«Come uccidere il tuo ragazzo» la interruppe Dean, con un sorrisetto sarcastico.

«Non volevo!» fece Natalie, voltandosi a guardarlo e puntando la pistola contro di lui. «Ma
quando quel giorno abbiamo litigato, avevo paura che mi lasciasse, che mi abbandonasse
di nuovo, e...»

«...il demone è riuscito a prendere il controllo» concluse Sam.

Natalie annuì. «Mi sono ritrovata il cadavere davanti casa, senza neppure aver capito cosa
fosse successo. Non sapevo cosa fare»

«E hai chiesto aiuto ad Eva» continuò ancora Sam. «Perchè lei sapeva tutto, non è così? Ti
aveva già visto uccidere Adam...»

«Lui se lo meritava!» esplose Natalie, ma aveva le lacrime agli occhi. «Evanna era così
innamorata di lui... e Adam andava con un'altra ragazza! Lei era disperata quando l'ha
scoperto... così quando l'ho visto al cinema, con l'altra, ero così arrabbiata, così furiosa...»

«Come ha potuto Eva perdonarti una cosa del genere?» chiese Dean, quasi disgustato.

«All'inizio non aveva capito che ero stata io» rispose Natalie, con un tono incolore e piatto
che li sorprese. «Mentre attaccavo Adam ero sotto la possessione del demone, avevo un
aspetto totalmente diverso. Ha fatto delle ricerche... dopo la morte di Josh, quando sono
andata a parlarle, aveva già capito cosa c'era sotto».

Fece una pausa, e per un attimo sembrò aver deciso di non continuare più a parlare.
Lasciò passare lo sguardo da uno all'altro, poi, alla fine, parlò ancora.

«Io e lei siamo legate da più tempo di quanto voi possiate immaginare. Quando a lei sono
morti entrambi i genitori, sono stata io ad aiutarla a continuare. Evanna ha solo ricambiato
il favore» disse, amaramente.

«In che modo?» si affrettò a chiedere Sam.

Natalie piegò la testa, con un mezzo sorriso. «Scegliendo le vittime» rispose,
sogghignando. «Una volta assaggiato il sangue, il demone dentro di me ne voleva sempre
di più. Ero diventata irriconoscibile... ma avevo scoperto di riuscire a controllarlo,
nutrendolo una volta al mese. Evanna ha sempre fatto il possibile per coprirmi... dopo
aver accusato un'altra ragazza dell'omicidio di Adam, ha cominciato a spargere in giro voci
di ogni tipo, su mostri, assassini seriali... tutto quello che poteva allontanare la polizia
dalla verità»

«Ora ha senso» commentò Dean, con un sospiro esasperato.

«Tutte le vittime erano state almeno una volta alla Baita» mormorò, quasi tra sé, Sam.
«Così era Eva a suggerirtele?»

«Evanna lavorava lì, sapeva tutto» assentì Natalie, ghignando. «Sapeva di padri di famiglia
che abbandonavano le mogli per andare a divertirsi con lei. Sapeva di ragazzi che il giorno
prima del matrimonio si concedevano una notte di libertà... di anziani, senza un
briciolo di dignità... tutte persone che meritavano di essere punite».

«Forse» fece Sam, quasi nauseato. «Ma non da te. E non per soddisfare le voglie di un
demone».

«Magari hai ragione» sussurrò Natalie. «Ma in qualche modo, dovevo andare avanti
anch'io, o sbaglio? Non sono riuscita a fare meglio di così.»

«Cos'è successo con Matthew?» chiese Dean, cambiando discorso in fretta.

«Io e Evanna dovevamo vederci, quella sera. Lei era venuta a cercarmi già dal pomeriggio,
e doveva darmi la sua risposta definitiva...» rispose lei, osservandoli con lo stesso sguardo
di un gatto che gioca con le sue prede.

«A proposito di cosa?» domandò subito Sam, sentendosi esattamente come il pesciolino
che cade nella trappola del gatto.

Natalie strinse gli occhi e sogghignò. «A proposito di voi» disse, in un sussurro falsamente
dolce. «Evanna mi aveva chiesto di salvarvi, di lasciarvi stare. Mi ha chiesto di non
uccidervi».

«E tu cosa le hai detto?» fece Dean, e nonostante il ghigno ancora stampato sul viso,
sembrava sorpreso.

«Che non potevo» rispose Natalie, inclinando la testa. «Il demone non mi avrebbe mai
lasciato risparmiarvi, già dalla prima volta che vi ho visto ho dovuto lottare contro
l'impulso di farvi a pezzi, tutti quanti. Ma ho detto ad Evanna che avrei potuto risparmiare
uno di voi, se lei fosse riuscita a metterlo in salvo... quella sera doveva dirmi chi»

«E cosa aveva deciso?» chiese ancora Sam, impaziente, sentendo allo stesso tempo che
non voleva sentire la risposta.

«Oh, era indecisa» fece Natalie, che pareva starsi divertendo un mondo. «Ci stava ancora
pensando, quando Matthew si è fatto vivo. La stava importunando... e noi non avevamo
tempo da perdere».

«L'hai ucciso solo per quello?» mormorò Dean, colpito, inarcando le sopracciglia.

«Era solo di disturbo, lì» commentò leggera lei. «Esattamente come tuo fratello, a cui però
è bastato un graffio, per mandarlo fuori combattimento. È stato allora che Evanna me lo
ha detto...»

«Detto cosa?» chiese Sam con voce roca.

«Che sceglieva te» sibilò Natalie, guardandolo negli occhi. «Evanna mi ha detto che era
sicura di poterti convincere a partire, ad andare via. Mi ha detto di prendere Dean, e
lasciarti in pace».

Un miscuglio indescrivibile di sensazioni, paura, nausea, disgusto, commozione, si
attanagliava furiosamente nello stomaco di Sam, che sentì come se improvvisamente il
pavimento fosse scomparso da sotto i suoi piedi, e lui stesse precipitando, con un vuoto
tremendo all'altezza della gola, il cuore che batteva all'impazzata...

«Ma non c'è riuscita» intervenne Dean, caricando la pistola con un sogghigno. «E adesso
noi ti faremo fuori, e la storia sarà chiusa una volta per tutte».

«Io non credo proprio» Natalie sorrise a sua volta. «Strano, Evanna era sicura che voi due
voleste solo aiutarmi. Che non mi avreste fatto del male...»

«Non ti possiamo aiutare» fece Sam. «Lascia solo che proviamo, esorcizzeremo quel
demone, lo manderemo via...»

«Non funzionerà» lo interruppe lei, dura. «Nessuno può rompere un patto del genere, e se
voi provate a mandare all'inferno quel demone, e lui non si stacca dal mio corpo... ci finirò
anch'io, con lui. Lo sapevi anche tu, non è vero?»

«Lasciaci tentare» insistette debolmente Sam, con la bocca asciutta.

Natalie ghignò. «Non credo proprio. Dite addio a questo mondo, ragazzi...»

D'un tratto, le pupille azzurre si strinsero, diventando bianche. I denti della ragazza si
allungarono, mentre molteplici zanne sembravano spuntarle una dopo l'altra; il viso pallido
si deformò, il corpo stesso parve rannicchiarsi su sé stesso, mentre le unghie si
trasformavano in artiglie e le forme della ragazza crebbero, stracciandole i vestiti.

Meno di un attimo dopo, di Natalie non c'era più traccia, e davanti a loro, c'era un mostro.

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Capitolo 22
*** Atto finale ***


Il mostro aprì la bocca, e ne uscì un basso ringhio gutturale.

«Ok, ritiro tutto quello che avevo detto sul suo bell'aspetto» fece Dean, guardandola
impressionato e disgustato al tempo stesso.

Per un istante la bestia li squadrò lentamente, alzando lentamente il capo, come
fiutandoli; poi, successe tutto in un paio di attimi, talmente velocemente che quasi non se
ne resero conto.

Il mostro si gettò su Dean, che d'istinto gli sparò addosso; le pallottole lo colpirono in
pieno petto, eppure le ferite erano solo superficiali: quello ringhiò infuriato, vedendo il
sangue che cominciava a bagnargli il colpo, e saltò come sul petto di Dean, facendolo
cadere a terra, alzando i lunghi artigli.

Sam raccolse da terra la pistola che Natalie aveva lasciato cadere durante la
trasformazione, e sparò proprio mentre la bestia stava per azzannare il fratello; ancora
una volta, sembrò che i colpi non lo toccassero minimamente, ma Sam aveva ottenuto
quello che voleva: il mostro lasciò stare Dean e si rimise in piedi, camminando
verso di lui, che indietreggiò lentamente, la pistola puntata contro di lui.

La bestia ruggì, mostrando una fila di denti affilati, e si lanciò in direzione di Sam a zanne
sguainate: caddero entrambi a terra e rotolarono sul pavimento, mentre lui cercava di
tenere lontano il mostro, le braccia tese e tremanti nello sforzo di contrastarlo.

«Ehi, brutto bestione, da questa parte!»

Il mostro si voltò verso Dean, che gli sparò ancora sul petto con la sola intenzione di
distrarlo: Sam ne approfittò, e tirò a sé il proiettore, che gli stava proprio a fianco,
facendolo cadere addosso alla bestia, che per un attimo rimase stordita.

«Via da qui!» gridò Dean, aiutandolo in fretta a rialzarsi: corsero fuori dalla sala di
proiezione, e senza consultarsi spinsero contro la porta, cercando di tenerlo dentro, per
guadagnare tempo.

«Come si uccide questa cosa?» chiese ancora Dean, mentre da dentro la sala la bestia
cominciò a premere sulla porta, furiosamente, per uscire.

«Non ne ho idea!» fece Sam, cercando di ragionare, e allo stesso tempo di trattenere la
creatura dentro. «È un demone, quindi...»

«Acqua santa?» propose il fratello, rischiando di cedere sotto una spinta troppo forte della
bestia.

«Non ne abbiamo!» rispose Sam in fretta.

«Sale?» chiese ancora Dean.

«...Nemmeno!»

Dean alzò gli occhi al cielo, esasperato. «Dannazione, Sammy, vieni a cercare un demone
e non ti porti dietro niente?»

«Ehi, pensavo tu fossi già morto, ero sconvolto!» replicò l'altro sulla difensiva.

«Molto carino da parte tua, ma...» cominciò Dean, ma con un'ultima, forte spinta, il
mostro riuscì ad aprire la porta, scaraventandoi fratelli lontano.

Sam cadde sulla prima fila di poltroncine, battendo la testa, e per un attimo perse il filo
della situazione, mentre Dean atterrò di schiena sul pavimento, rotolò lungo i gradini in
discesa della sala, fino a sbattere contro al muro; quando riaprì gli occhi, stordito, la prima
cosa che vide fu la bestia che si avvicinava al fratello.

«Sam, attento!» gridò; lui lo sentì, e riuscì ad evitare che il mostro lo aggredisse rotolando
su un fianco, ma nel farlo la fasciatura della spalle si ruppe e avvertì la ferita riaprirsi,
dolorosamente.

La bestia era semplicemente furiosa; ruggì di nuovo, afferrò una poltroncina dalla sala e la
strappò dal pavimento come fosse fatta d'aria, lanciandola verso Dean, che riuscì a
scansarsi per un pelo: il mostro si diresse verso di lui, lentamente, ringhiando.

Sam ne approfittò per scivolargli alle spalle, camminando carponi nascosto da una fila di
poltroncine. La bestia era di nuovo sopra Dean, che stava steso per terra, gli occhi
spalancati, la mano tesa che cercava di prendere la pistola che nellla caduta era finita
troppo lontano.

«Andiamo, dai...» si lasciò sfuggire, il fiato mozzo, mentre il mostro alzava una zanna per
colpirlo.

«Dean, prendi!» gridò Sam, lanciandogli un pugnale, l'unica arma che aveva portato con
sé: il fratello l'afferrò al volo, e prima che la bestia potesse rendersene conto, glielo
conficcò nel petto.

Per un attimo il mostro rimase immobile, paralizzato dal dolore. Alzò il muso e ululò
rabbiosamente, e poterono intravedere le vene sul collo e sulla tempia pulsare, rapide.
Tremò tutto, i muscoli irrigiditi, ma un attimo dopo si strappò il pugnale dal petto con un
gesto e abbassò lo sguardo, rabbioso.

Sanguinava copiosamente, ma non sembrava avere intenzione di fermarsi, anzi. Scoprì i
lunghi denti in un ringhio, e si lanciò su Dean, ancora bloccato sotto di lui, per azzannarlo,
ma prima che potesse farlo, un grido risuonò nella sala.

«Non farlo!»

Era Evanna. La ragazza si era precipitata dentro la stanza, gli occhi spalancati,
l'espressione sconvolta, e il suo sguardo corse da Dean al mostro, terrorizzato.

«Eva, va via, è pericoloso!» ringhiò Sam, ma lei scosse la testa.

«No!» fece, correndo verso di loro. «Non può farlo, non può farlo, c'è ancora Natalie là
dentro, lo so!»

«Va via!» gridò ancora Sam, ma era troppo tardi: la bestia si rialzò, lasciò perdere Dean, e
si lanciò verso la ragazza, raggiungendola in un solo istante, squadrandola minacciosa.

Eva tremava, ma c'era una luce determinata nei suoi occhi che non ammetteva la paura.

«Natalie, lo so che ci sei!» disse, e la sua voce suonò forte e decisa nonostante lo
spavento. «So che sei là dentro!»

La bestia la colpì con al petto, scaraventandola lontano, ed Eva strillò, atterrando di
schiena, mentre il mostro le si avvicinava ancora. Quando la ragazza si rialzò, tremante,
stava piangendo.

«Ascoltami, Natalie... ce la puoi fare, puoi riprenderti il tuo corpo!» esclamò, con una forza
ed una disperazione che bloccarono i due fratelli dall'intervenire.

Il mostro rallentò il suo passo, abbassando il capo fino ad Evanna. Per un paio di secondi
rimasero ferme una davanti all'altra, poi la bestia la colpì ancora con i lunghi artigli, ferendole
profondamente un braccio, che cominciò a sanguinare.

«Eva!» gridarono all'unisono Sam e Dean, correndo verso di lei.

«Non vi avvicinate!» li interruppe la ragazza. «State lontani, andate via!»

La bestia sembrava avere occhi solo per Evanna, e la fissava intensamente, mentre un
basso ringhio le faceva tremare le mascelle. Eva stava piangendo ancora di più, ma non
abbassò lo sguardo.

«Natalie... ti prego» sussurrò, piano. «Vieni fuori... non farti usare, non ancora una volta!»

La bestia si bloccò. Sembrava come paralizzata.

«Hai già ucciso tante persone... Josh, e Adam... vuoi uccidere anche me?» mormorò Eva,
e la voce le tremò. «Tu puoi opporti... ce la puoi fare, Natalie... io so che puoi farcela».

Il mostro inclinò la testa di alto. Aveva tutti i muscoli irrigiditi come se ci fosse qualcosa a
bloccarlo, contro la sua volontà.

«Ti prego, Natalie...» sussurrò ancora una volta Eva.

Le pupille della bestia si dilatarono, e un vivido colore azzurro le riempì. Qualcosa di molto
simile ad una lacrima scivolò lungo il muso del mostro, per poi cadere sulla rossa
moquette della sala.

La bestia alzò il capo e ululò, con un suono così straziante che Dean e Sam sentirono un
brivido penetrargli direttamente nelle ossa. Eva non distolse per un attimo lo sguardo,
senza smettere di piangere silenziosamente.

La creatura spalancò di colpo la bocca, e qualcosa di simile ad un denso fumo nero scaturì
fuori, dissolvendosi nell'aria: pian piano, il volto della bestia si rimpicciolì, le zanne
sparirono, il corpo si delineò di nuovo, minuto.

Natalie cadde a terra, gli occhi spalancati, i vestiti strappati, e una profonda ferita nel
petto dalla quale sgorgava abbondantemente sangue, che bagnava il pavimento
tutt'attorno. Non si muoveva più.

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Capitolo 23
*** In medias res ***


«Natalie!» gridò Eva, correndo verso di lei. Non appena comprese che era troppo tardi,
scoppiò a piangere, e si chinò sul corpo senza vita della cugina, inzuppandosi i vestiti del
suo sangue.

Dean e Sam si avvicinarono lentamente, senza sapere cosa fare. Il pianto di Evanna era
disperato, puro, sincero, e la ragazza tremava tutta, scossa dai singhiozzi.

Sam s'inginocchiò di fianco a lei, ed esattamente come l'ultima volta che erano stati
insieme, avrebbe solo voluto avere la cosa giusta da dire per consolarla. Invece rimase in
silenzio, e l'unica cosa che gli riuscì fu di circondarle le spalle con un braccio.

Evanna avvertì il suo tocco e si rialzò appena, tremante. Per un attimo rimase ferma, poi
si lasciò andare e si gettò su di lui, piangendo, lasciandosi abbracciare, il viso affondato
nel suo petto.

Era impossibile dire per quanto tempo rimasero così, lei a sfogarsi disperata, Sam
preoccupato, a guardarla, come se tra le braccia avesse qualcosa di molto prezioso che
aveva paura di rompere. Dean li osservava senza dire un parola, stranamente silenzioso,
immerso in chissà quali pensieri.

Quando alla fine Eva si calmò, rialzò il viso bagnato di lacrime, e li guardò entrambi.

«Come....» la voce le mancò. Deglutì, e riprovò, più decisa. «Com'è successo? Perchè è
m-morta?»

Fu Dean a rispondere. «Il demone l'ha lasciata. Forse ha visto che si stava di nuovo
opponendo, forse aveva paura che lo sconfiggesse una volta per tutte. Se n'è andato, e
una volta rimasta da sola, non poteva farcela con una ferita del genere».

Evanna annuì, lentamente. Le lacrime ricominciarono a scorrerle rapide sul viso. «Sono
stata io» sussurrò, e gli occhi azzurri si spalancarono dal terrore. «Sono stata io a dirle di
combattere il demone... se l'avessi lasciata stare, finchè la ferita non fosse guarita, lei non
sarebbe... è stata colpa mia...»

«No» replicò Sam con decisione, e le sollevò il viso perchè lo guardasse. «No, Eva, la
colpa è stata di quel demone, e solo sua. Tu non c'entri niente».

Evanna scosse la testa, ed era chiaro che si stava trattenendo a fatica dallo scoppiare
un'altra volta. «Non, non è vero...» mormorò, e il labbro le tremò. «Ho sbagliato... ho
sbagliato tutto, Sam... fin dall'inizio... e volevo solo aiutarla».

«Allora non importa» ribattè Sam. «Hai fatto del tuo meglio, Eva, non potevi sapere...»

«Non devi giustificarmi per forza» lo interruppe lei, con un sorriso triste. «Sono
responsabile della sua morte quanto il demone, e...» per la seconda, la voce l'abbandonò.
Distolse lo sguardo da Sam, per fissare con amarezza il muro della sala. «E anche di tutti
quei ragazzi, è colpa mia».

«Perchè li hai scelti tu?» s'informò cautamente Dean.

Eva annuì. «Natalie si sentiva così male... diceva che si sentiva colpevole, un'assassina.
Era disperata per quello che sapeva di fare quando perdeva il controllo... così io le ho
detto che dopotutto, non era così malvagio quello che stavamo facendo. Le ho detto che
erano persone che meritavano di morire. Lei non ci ha mai creduto veramente, e io
nemmeno, ma...» alzò la testa per guadarli. «Era l'unico modo per uscirne senza
impazzire, capite?»

Sam annuì. Senza rendersene conto, aveva preso ad accarezzarla lentamente, lungo un
braccio bianco, quasi automaticamente, e lei non aveva detto niente, anzi, si era lasciata
scivolare ancora più a fondo sul suo petto.

Dean li guardò ancora. Per un attimo sembrò che dovesse intervenire, o interromperli con
una delle sue uscite sarcastiche, ma sembrò ripensarci. Si alzò in piedi e, lanciata
un'occhiata eloquente al fratello, si allontanò, uscendo dal cinema e lasciandoli soli.

Sam non riuscì a trattenere un sorriso davanti alla sua resa. Evanna, invece, deglutì
ancora, e sussurrò: «Mi dispiace. Davvero. Per tutto quello che vi ho fatto passare, io...»

«Io lo so perchè ti sei comportata così, Eva» rispose lui, deciso. «E dovrei ringraziarti,
invece».

La ragazza alzò lo sguardo, sorpresa. «E per cosa?» mormorò.

«Hai cercato in tutti i modi di cacciarci via da questa storia, no? Solo che purtroppo ti sei
trovata davanti a due ossi duri» Sam sorrise amaramente.

Questa volta Evanna sorrise a sua volta, appena. «Allora avevi già capito tutto» gli
rispose, a bassa voce.

«Che stavi cercando di farci litigare apposta?» replicò lui, ironico. «Ci ho messo un po' ad
arrivarci, ma alla fine sì, l'ho capito».

Eva scosse la testa, mesta. «Sono stata una stupida» sussurrò. «Ma pensavo che se
aveste litigato, in qualche modo... uno di voi se ne sarebbe andato. Uno di voi due
sarebbe stato salvo».

Stava ancora piangendo, e Sam non osò porgli la domanda che gli bruciava in gola da
quando Dean era uscito. Si trattenne, e chiese, invece: «E adesso, che cosa farai?»

Evanna gettò un'occhiata al corpo senza vita di Natalie, e tremò. «Io...» deglutì, e
l'ennesima lacrima le percorse il viso bianco. «Io davvero non lo so» mormorò alla fine.
«Lei era tutto quello che avevo... ho perso i miei genitori, Adam, e adesso anche Natalie,
e...» non ce la fece più. Scoppiò a piangere, e nascose di nuovo il suo viso nel suo petto.

Sam non seppe fare altro che continuare ad accarezzarla, piano, finchè i singhiozzi non
cessarono ed Eva si calmò di nuovo. Si asciugò il viso con una mano, rabbrividendo.

«Una volta ti ho detto che non ho mai avuto nessuno che si preoccupasse per me...»
riprese, scossa. «Ed è vero, ma io e Natalie ci siamo sempre aiutate a vicenda. Eravamo
entrambe sole, e ci siamo tirate su insieme, sempre».

«Un po' come me e Dean» fece Sam con un mezzo sorriso.

Evanna annuì. «Sam... non permettere che gli succeda mai niente» gli sussurrò,
guardandolo a fondo, e i suoi occhi azzurri brillavano più che mai. «Non permettere che a
Dean succeda mai niente... non fare il mio stesso errore». Tremò.

Sam sentì qualcosa annodarsi pesantemente nello stomaco, e tentò di scacciare via quella
sensazione con noncuranza. «Buffo, di solito è lui che mi dice che mi deve proteggere in
tutti i modi» commentò, cercando di sorridere.

Evanna rimase seria. «Anche lui ha bisogno di qualcuno che lo protegga...» mormorò,
facendogli scorrere una mano pallida sul viso. «Anche Dean ha bisogno di qualcuno che si
prenda cura di lui».

Lui annuì, senza sapere cosa dire. Rimasero in silenzio per un po', e mentre Eva guardava
in silenzio il corpo di Natalie, una battaglia infuriava ancora nella mente di Sam. Alla fine si
decise.

«Eva... perchè hai scelto me?» domandò, con la voce roca.

Lei si voltò a guardarlo, con un sorriso mesto sulle labbra. «Sapevo che me l'avresti
chiesto».

«È che non ha senso» cercò di giustificarsi Sam, scuotendo la testa. «Tu stavi con Dean,
eri sempre stata con lui... perchè poi hai scelto di salvare me?»

«Forse perchè tu eri più simile a me» rispose lei, vaga, distogliendo lo sguardo. «Entrambi
avevamo superato una grossa perdita, ci sentivamo responsabili... forse volevo che avessi
la possibilità di rifarti una vita».

«Forse?» insistette lui. «Non è l'unico motivo, vero?»

Evanna sorrise, e Sam capì che aveva indovinato. «Ti ricordi di quella sera in cui io e Dean
siamo usciti insieme?» chiese, piano, e lui annuì. «Quella mattina Natalie mi aveva chiesto
di scegliere... ero sconvolta, non sapevo che fare. Avevo bisogno di risposte».

«Così lo hai fatto ubriacare apposta?» fece Sam, sorpreso.

«In vino veritas» sorrise amaramente Eva. «Ho cominciato a chiedergli delle cose... sul
suo lavoro, sulla sua vita. Su cosa voleva dire essere cacciatore. Dean mi ha risposto
molto sinceramente... aveva detto che gli piaceva, lo faceva sentire utile, indispensabile,
anche se spesso era stanco, perchè non poteva avere una vita come tutti gli altri. Allora gli
ho chiesto di te».

«E cosa ti ha detto?» chiese esitante lui, sentendo il nodo dello stomaco stringersi ancora
di più».

«Che tu non hai mai voluto cacciare» rispose Eva, e i suoi occhi parvero lampeggiare. «E
che a lui dispiaceva averti trascinato di nuovo in questa follia, perchè meritavi un'esistenza
normale... tu, che l'avevi già quasi conquistata. Mi ha detto che avrebbe fatto qualsiasi
cosa perchè tu potessi realizzare quello che desideravi».

Sembrava che tutte le sue viscere fosse improvvisamente ripiene di cemento armato. Sam
deglutì, ripendò al loro litigio, e si sentì incredibilmente in colpa, così ottuso...

«Sai... gli ho chiesto cosa sarebbe stato disposto a fare perchè tu avessi una vita
normale» continuò Evanna, abbassando la voce. «Lui ha detto tutto. Allora gli ho
domandato... se era disposto a morire, per salvarti».

«E lui cosa ti ha risposto?» chiese Sam, anche se non era tanto sicuro di voler sentire la
risposta.

«Lo sai già, vero? È per questo che ho scelto te» sussurrò Eva. «Dean mi ha detto di sì».

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Capitolo 24
*** E tutto quel che resta ***


Dean e Sam stavano finendo di caricare le ultime cose nel baule della macchina,
parcheggiata proprio sotto l'hotel dove avevano alloggiato.

Evanna era appoggiata ad un muretto poco distante, i lunghi capelli rossi appena scossi
dal vento, e seguiva il loro andirivieni con fare distratto, ma senza staccare gli occhi
nemmeno per un istante.

Sam cercava di evitare il suo sguardo silenzioso, sentendola vagamente in imbarazzo,
mentre Dean le lanciò un paio di occhiate a metà tra l'infastidito e il divertito. Da quando
erano usciti dal cinema, non le aveva più rivolto la parola, anzi, se ne era stranamente
stato sulle sue tutto il tempo.

Sam sapeva fin troppo bene che il fratello non aveva intenzione di farla passare così liscia
ad Eva, non dopo che, almeno per come la vedeva lui, li aveva presi in giro fin dall'inizio;
eppure, per qualche motivo, la sfuriata che Sam stava aspettando da ore, ancora non era
arrivata, e Dean aveva semplicemente lasciato in pace la ragazza.

Quando finalmente richiusero il baule con un colpo secco, Dean per un attimo sembrò
voler salire in macchina senza dire una parola, ma quando vide Sam fermarsi a guardare
Eva, aspettando una sua reazione, si bloccò, e rimase appena distante, le braccia
incrociate sul petto, a guardarlo scettico.

La ragazza si avvicinò rapidamente. Evitò accuratamente lo sguardo di Dean, e si limitò a
sorridere tristemente in direzione del fratello.

«Allora» fece Sam, esitante, senza sapere come sbloccare la situazione. «Sembra che
dobbiamo salutarci».

Eva inclinò la testa. «Sono sicura che non vi mancherò troppo» commentò, in un tono che
voleva essere noncurante, ma che lasciava trasparire tutta l'amarezza.

«Questo lo dici tu» replicò Sam, sorridendo appena a sua volta. «Dove andrai, ora, Eva?»

Lei distolse lo sguardo. «Via, immagino» sussurrò, osservando quasi rapita la strada
davanti a loro. «Via da questa maledetta città, non voglio averci più nulla a che fare. Era
già da tanto che me ne volevo andare, e se non l'ho fatto, era solo per...» si interruppe. Il
nome di Natalie parve quasi percepirsi nell'aria, ma Evanna si limitò a schiarire la voce e
ad andare avanti. «Comunque, adesso posso ricominciare, no? Andare da quache parte e
costruirmi una vita da capo».

«Spero davvero che tu ce la faccia» mormorò Sam, e la sua preoccupazione era così
palese che Eva non potè evitare di sorridere ed accarezzargli appena una guancia.

«Via, non sarà così difficile!» commentò, cercando di suonare allegra. «Qualche ora di
autostop, un paio di colloqui, e un bel lavoro da commessa in qualche negozio di vestiti.
Me la caverò benissimo, vedrai»

Sam si lasciò andare ad un sorriso, ed Evanna sembrò soddisfatta. «Piuttosto, tu, bada a
te stesso» aggiunse dopo un attimo, appena più seria. «Immagino che continuerete a
cacciare, vero?»

Lui annuì, e non riuscì a trattenere la proposta che gli stava martellando nel petto da ore
ormai. «Vieni con noi» le chiese, osservandola a fondo.

Potè udire lo sbuffo spazientito di Dean alle sue spalle ancora prima che Eva spalancasse
gli occhi stupita, per poi sorridere.

«Oh, no» sussurrò. «Direi che vi ho già creato abbastanza problemi, e poi... tre non è mai
un bel numero, per viaggiare» commentò con leggerezza.

Sam colse al volo l'allusione e non potè non sorridere.

Eva lo accarezzò di nuovo, fece per ritirare la mano, poi ci ripensò e, in uno slancio
improvviso, lo abbracciò.

«Tu mi mancherai» gli sussurrò, mesta. «Abbi cura di te, e di Dean».

«Te lo prometto» mormorò Sam, accarezzandole il viso minuto e bianco, cercando di
godersi per l'ultima volta quel contatto, e sentendo che sì, gli sarebbe mancato.

Eva annuì, con un mezzo sorriso, e indietreggiò. Per un attimo sembrò che stesse per
andare via, e invece si avvicinò a Dean, che la guardò sorpreso.

«Sei venuta a dirmi addio?» le chiese, sarcastico.

«Sono venuta a salutarti» rispose Eva, e sebbene il sorriso le tremasse appena sulle
labbra, non lasciò che svanisse del tutto. «Magari ci rivedremo, un giorno».

«Senza offesa, ma spero proprio di no» replicò Dean, inarcando le sopracciglia. Sam lo
conosceva troppo bene per non percepire da lontano un miglio che stava mentendo, ma
sperò per lui che Eva avesse abbastanza tatto da non farglielo notare.

«Allora, addio» disse lei in un soffio, avvicinandosi ancora.

Dean non riuscì ad evitare di guardarla, da sotto in su, come la prima volta che l'aveva
vista, e non seppe cosa dire.

Evanna lo notò. Per un attimo rimase immobile, poi avvicinò ancora di più il viso al suo e
fece per baciarlo, ma, incredibilmente, Dean la bloccò, mettendole una mano sulla bocca.

«Scusa, sai» commentò, amaro. «Ma non mi va che tu lo faccia solo per farmi contento».

Eva inclinò la testa, e sorrise, sorpresa.

«Come vuoi» rispose, serenamente. «Buona fortuna, Dean Winchester» aggiunse, prima
di voltare le spalle e di andarsene, scuotendo una mano nella loro direzione.

Sam rimase incantanto a guardarla allontanarsi per qualche istante, prima che il fratello
non si schiarisse la voce, e commentasse, sarcastico: «Che ne dici, andiamo?»

L'altro annuì, distrattamente, ma appena si girò, vide Dean con le mani tese davanti a lui,
e un sorrisetto ironico stampato in faccia.

«Che cosa vuoi?» chiese, perplesso.

«Le chiavi della mia macchina, ovviamente» rispose Dean, come se fosse la cosa più ovvia
del mondo.

Sam impiegò parecchi secondi prima di capire di che cosa stesse parlando, ma appena si
ricordò della scommessa, commentò, alzando le sopracciglia: «Non mi sembra che sia
passata già una settimana»

Il ghigno di Dean non svanì. «Certo, ma tu hai ancora qualcosa da farti perdonare, o
sbaglio?» replicò, sarcastico.

L'allusione era chiarissima. Sam scosse la testa, ridendo incredulo, ma cercò nelle tasche
le chiavi dell'Impala e gliele lanciò, prima di entrare dentro.

«Quanto mi sei mancata, piccola!» esclamò soddisfatto il fratello, infilandosi nel posto
del conducente, e partendo con un rombo.

Sam non riuscì a trattenere una risata. Procedettero in silenzio, alla solita velocità
esagerata, lungo la strada deserta, e fu solo dopo qualche lungo minuto che Dean prese la
parola.

«Sai, Sammy...» cominciò, con fare pensieroso. «Quando dicevo che dovevi a tutti i costi
trovarti una ragazza...»

«Ah, piantala, Dean» lo interruppe il fratello, sapendo già dove stava cercando di andare a
parare.

«Sono serio!» insistette l'altro, ghignando. «Voglio dire, Eva era molto carina, e tutto il
resto, solo che...»

«Cosa?» domandò Sam, agrottando le sopracciglia.

«Aveva dei gusti orribili» concluse Dean, scuotendo la testa. «Insomma, guarda chi ha
scelto, dei due»

Sam stava per risponderli per le rime, come al solito, ma qualcosa, nel tono di voce
del fratello, lo bloccò. Si chiese se Dean ricordasse il dialogo che aveva avuto da ubriaco
con Eva, e, in tal caso, se avesse capito a che cosa fosse servito.

Stava per chiederlo, ma di nuovo, lasciò perdere. Dopotutto, era davvero importante?
Sapeva già come sarebbe andata a finire, Dean si sarebbe messo a fare il cretino pur di
ammettere che aveva confessato ad una ragazza quello che era disposto a fare per lui...
che importanza aveva, insistere?

Così, Sam si limitò a rilassarsi sul sedile, incrociando le braccia dietro alla nuca, e
commentò: «Sai, dovremmo segnare questa data sul calendario»

«Che data?» fece il fratello, perplesso, senza capire.

«Il giorno in cui il grande Dean Winchester riceve il suo primo, netto rifiuto» sogghignò
Sam, lanciandogli un'occhiata.

Lui rimase a bocca aperta, a metà tra l'incredulo e l'indispettito. Scosse la testa, fece per
replicare, lasciò perdere, e disse, semplicemente: «Sei un'idiota»

«...Fesso».

E la macchina continuò a correre, sparendo all'orizzonte con l'ennesimo rombo.



Note dell'autrice:

Eh sì, anche questa storia è finita. Cioè, wow. E' stata davvero un'impresa. Non so se anche voi l'avete percepita così, ma in qualche modo
questa fanfiction era molto più "pesante" di Home Sweet Home, l'altra storia di questa serie. L'altra aveva una trama più semplice, più
lineare. In ogni modo, anche scrivere questa è stato fantastico, anche se molto, molto più difficile.

Non voglio rubarvi troppo tempo in queste note, ma solo ringraziarvi, perchè se state leggendo qui, vuol dire che avete letto tutta la storia, e 
vi sono davvero grata per questo! Solo, se potete, fatemi sapere che cosa ne pensate. Non perchè sia fissata con le recensioni, ma perchè 
tra poco comincerò a scrivere una nouva storia, e mi piacerebbe davvero sapere che cosa vi è piaciuto o non vi è piaciuto di questa, per
cercare di scrivere qualcosa di sempre migliore. 

Cos'altro dire? Davvero grazie, grazie, grazie mille per essere stati con me tutto questo tempo. Per avermi spinto a migliorarmi e ad andare 
avanti. Per avermi seguito, consigliato. Per ave vissuto con me quest'altra avventura dei fratelli Winchester.

Grazie davvero. A presto! :)

Vostra, 

Relya

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