Le colpe dei padri

di Bethesda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap.1 ***
Capitolo 2: *** Cap.2 ***



Capitolo 1
*** Cap.1 ***


Breve premessa: la storia qui raccontata non segue il canone vero e proprio. L'idea mi è venuto leggendo l'apocrifo "Soluzione sette per cento" di N.Meyer e tratta l'infanzia di Holmes. Non tutta, ovviamente: un evento in particolare che credo di riuscire a concludere in due capitoli (questo compreso). Le informazioni sulla famiglia, non presenti nei romanzi ufficiali (se non per quanto riguarda Mycroft) le ho tratte da  "Sherlock Holmes of Baker street" di Baring-Gould. Sono quindi tutte speculazioni.
Un avvertimento: per chi non avesse letto il libro di Mayer qui è presente la rivelazione finale che lo stesso Holmes fece a Freud sotto ipnosi. 
Spero che la lettura vi piaccia! 
Beth



«Sherlock! Vieni subito qui!!»
Il ragazzino sentì la presenza imponente e minacciosa del fratello dietro di sé e si sollevò dal libro che stava consultando, voltandosi di scatto e incontrando il suo sguardo furente. Cercò di nascondere l’ingombrante tomo ma l’impossibilità di vedere cosa le sue stesse mani stessero facendo alle sue spalle lo rendeva piuttosto sospettoso.
«Cosa c’è?»
«Osi ancora chiedermelo? So benissimo che sei stato tu a rubarmi il mio libro di anatomia! Sai quanto ci tenga!»
«Cosa ti fa pensare che sia stato io? Potrebbe essere stato chiunque!»
«Ah, sì?»
Con una mossa repentina il fratello maggiore si slanciò contro Sherlock, buttandolo a terra nonostante il vano tentativo di fuggire. Lo bloccò con il proprio peso, prendendogli una caviglia con l’unica mano libera.
«Mollami, Mycroft!»
Un’esclamazione vittoriosa uscì dalla bocca del ragazzo in vantaggio, sovrastando il gemito di dolore del piccoletto.
«Ti sei scordato di pulirti le scarpe prima di entrare in camera e hai lasciato una traccia di fango molto lieve sul pavimento! Ma guarda un po’! La suola coincide!»
Mollò la caviglia, alzandosi e recuperando il maltolto.
Sherlock guardò il fratello con aria di sfida, conscio di non aver possibilità: Mycroft, da poco diciottenne, superava il fratello di circa dieci centimetri e sembrava intento a non smettere di crescere. Pigro per natura aveva però un fisico che lo avrebbe facilmente aiutato nel nuoto –se solo ne avesse avuto voglia- o nel canottaggio. Noto come il miglior studente della scuola e perenne primo in classifica nelle varie borse di studio, era destinato a intraprendere la carriera matematica.
Quindi, si chiedeva il fratello di undici anni, cosa se ne faceva lui di un libro di anatomia?
«Sei un despota.»
«E tu un ladro di infima qualità. Non sei neanche capace di prendermi un libro senza che io me ne accorga!»
Il ragazzino si sentì pesantemente offeso: se avesse voluto avrebbe potuto anche rubargli i pantaloni mentre ancora li aveva addosso!
«Dai, alzati.»
Sherlock si sollevò da terra ignorando la mano che gli stava tendendo il fratello e lo guardò con freddezza: avrebbe riprovato a riprenderlo quella notte stessa.
Il ragazzino uscì dalla stanza, lieto di poter andare a ideare un nuovo piano per la conquista di quel meraviglioso tomo.
Erano da poco passate le undici di mattina e il sole estivo stava per giungere al suo zenit, riscaldando la campagna del Sussex e asciugando le pozzanghere causate da violento ma passeggero temporale la notte precedente.
Di lì a poco sapeva che sarebbe arrivato il precettore di matematica suo e del fratello, il professor Moriarty. Non provava una gran simpatia per quell’uomo nonostante la materia, studiata da lui a livelli superiori rispetto a un normale studente di undici anni,  non gli causasse problemi di sorta.
Anche se avesse voluto scampare quella nuova lezione e si fosse nascosto sarebbe poi dovuto comunque tornare e incorrere in una sfuriata del padre.
Sospirò rassegnato e puntò gli occhi grigi -dono della madre- verso il cielo limpido e sgombro di nuvole.
 
 
 
«Perfetto, signorino Mycroft. Perfetto!»
Sherlock lanciò un’occhiata in tralice al minuto professore, abbandonando momentaneamente i propri esercizi, e vide il fratello ricevere le lodi senza scomporsi: sapeva di essere bravo e non tentava certo di sminuirsi. La modestia non era una sua dote. E neanche lui la possedeva, doveva ammetterlo.
«Quando le ripareranno la bicicletta?»
Moriarty si voltò verso il proprio studente più giovane.
«Mi è stato detto entro Gio…come sa che mi si è rotta la bicicletta?!»
Il ragazzino unì le punte delle dita appoggiando i gomiti sui braccioli della sedia e allungando le gambe come per mettersi comodo, posizione che lo avrebbe accompagnato durante tutta la vita.
«So ovviamente che lei prende la bicicletta per venire qui tutte le volte possibili, escluso quando vuole passeggiare. Questo lo fa solo nelle giornate estive particolarmente asciutte, quando la strada non è infangata. Ora, lei sicuramente, se ne avesse avuto l’occasione, avrebbe utilizzato la bicicletta per venire fin qui se fosse stata in suo possesso e integra. Certamente avrebbe evitato di lordarsi le scarpe e l’orlo dei pantaloni in quel modo. Scommetto che ha incontrato anche qualcuno a cavallo, su un carro o con qualche mezzo del genere.»
«U-una carrozza» balbettò stupito il professore. «Ma come…»
«Alcuni schizzi, molto piccoli, raggiungono la coscia sinistra. Probabilmente l’hanno schizzata mentre passavano ma lei è riuscito a evitare di essere lordato completamente, forse scostandosi da un lato. Effettivamente dovrebbero rendere queste strade più percorribili: quando piove sembrano dei veri e propri guadi.»
Dietro all’allibito Moriarty Mycroft scuoteva la testa con un ghigno.
«…bè, è tutto vero, signorino. Purtroppo ci sono dei problemi con il manubrio ed è impossibile da manovrare.»
Un sorrisino innocente comparve sul volto di Sherlock che, pago del suo momento di gloria, riprese a fare gli esercizi.
Passò un’ora circa senza eventi di sorta quando una donna entrò nello studio.
I due fratelli alzarono lo sguardo verso la madre, Violet Holmes, subito accolta dal piccolo professore con entusiasmo: si capiva bene che il professore fosse infatuato della bella donna.
Come poteva non esserlo? Alta e magra, con un portamento elegante e il sorriso sempre sulle labbra. Era incantevole e, nonostante avesse quarant’anni e due figli, sembrava ancora una fresca sposa.
I capelli corvini erano ben acconciati dietro la nuca e indossava uno dei suoi abiti preferiti che ne risaltavano le forme. 
Puntò gli occhi del color dell’acciaio contro Moriarty, chiedendogli come procedessero i figli.
«Oh, signora Holmes! Buon pomeriggio! Ottimamente entrambi: il signorino Mycroft ha ormai appreso anche i livelli più avanzati e temo che fra poco non avrò più nulla da insegnargli, mentre il signorino Sherlock migliora a vista d’occhio. Non ha l’abilità del fratello ma sicuramente ha una mente logica e adatta o questo tipo di studi.»
Un brivido percorse la schiena del ragazzino al pensiero che il precettore avrebbe potuto avanzare l’ipotesi che anche lui, come il fratello, avrebbe dovuto seguire la carriera matematica.
«Per oggi abbiamo concluso. Tornerò Venerdì alla stessa ora.»
La donna sorrise all’uomo, ringraziandolo e accompagnandolo alla porta.
Sherlock si stiracchio, assonnato e desideroso di sgranchirsi le gambe: avrebbe preso il moschetto del padre e sarebbe andato ad infilzare il vecchio spaventapasseri nell’attesa che calasse la sera. Allora avrebbe avuto inizio il suo piano.
Sua madre lo distolse dai suoi pensieri, abbracciandolo e dandogli un bacio fra i neri capelli scompigliati.
«Madre!»
Il giovanotto tentò di divincolarsi e avvertendo su di se lo sguardo del fratello cercò di darsi un contegno.
«Oh, su. Non essere sciocco, Sherlock!»
«Già, non essere sciocco, Sherlock», ripeté il fratello con scherno.
Madre e figlio fulminarono nello stesso istante, con lo stesso identico sguardo, il povero Mycroft.
«Guarda che ce n’è anche per te!»
«Sono troppo grande per le vostre effusioni.»
«Quando questo inverno eri affetto da quella brutta influenza non dicevi così e lasciavi che ti coccolassi!»
Assistendo a quello scambio di battute che fece arrossire Mycroft fino alla punta dei capelli, Sherlock pensò che sua madre, a dispetto di quelle dei suoi coetanei, fosse parecchio diversa: oltre a sembrare sempre giovane e bella si comportava come una ragazza, senza nascondere i propri sentimenti e lanciandosi in gesti d’affetto che presso molte famiglie sarebbero sembrati fuori luogo. Si stupiva sempre di come lei e suo padre, Siger Holmes, fossero diversi, domandandosi cosa li avesse fatti unire. Era sicuro che non potesse essere stato solo un matrimonio puramente per interessi economici: il padre amava teneramente la moglie e anche Violet cercava spesso di dimostrare il proprio affetto. Purtroppo per lei la sua personalità austera e rigida non si raddolciva davanti agli estranei e anche i figli avevano avuto ben poche occasioni di vederlo esternare i propri sentimenti. Probabilmente, pensava il ragazzino, era la rigida carriera militare che lo aveva impostato in quel modo.
Scioltosi dall’abbraccio ottenne un altro bacio e gli venne concesso di andare dove desiderava.
«Basta che tu non ti faccia scoprire da tuo padre: sai che è contrario al fatto che utilizzi il suo moschetto…»
«Sono abile e in grado di badare a me stesso: non farò nulla che possa nuocermi.»
Detto questo si allontanò, lasciando il fratello a concludere i propri compiti e la madre a leggere su una delle comode poltrone dello studio.
 
 
 
Quando calava la notte, in quella zona lontana dal centro abitato, sembrava che qualche scrittore pasticcione avesse rovesciato, sul luminoso foglio del giorno, un’intera boccetta di inchiostro nero e denso.
Sherlock, con il favore delle tenebre e seguito solo da una luna fioca e piccola, decise di mettere in atto il suo piano.

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Capitolo 2
*** Cap.2 ***


Aveva il libro finalmente, ma non era stato facile: suo fratello aveva sicuramente il sonno pesante e russava come un trombone ma aveva cercato di proteggere il prezioso tomo dalle brame del fratello fino ad arrivare al punto di nasconderlo sotto le lenzuola, accanto al proprio corpo sopito.
Sherlock però, con movenze feline e silenziose, era riuscito a sottrarglielo e ora cercava un luogo in cui leggere il malloppo.
Dormivano tutti in casa a quell’ora di notte e pensò che la luce soffusa di una candela nella piccola stalla sarebbe stata più che sufficiente.
Già pregustava le informazioni che avrebbe ottenuto. Era affascinato da quel meccanismo così perfetto che era il corpo umano e gli sembrava incredibile che dentro di lui ci fossero organi, tessuti e ossa che, come ingranaggi, reggevano il tutto. E il cervello! Il centro nevralgico, pieno di misteri ancora da scoprire! 
Perso nei propri pensieri arrivò finalmente davanti all’ingresso della stalla e fece per mettervi dentro un piede quando qualcosa lo colpì, buttandolo a terra e fuggendo nel buio. 
Il suo piccolo lume si era spento e non era riuscito a vedere a chi –perché quello, ne era sicuro, era un essere umano- appartenesse quella figura scura.
Confuso si alzò di scatto: un ladro? Ma perché nella stalla? Non c’era niente lì!
Entrò circospetto, gli occhi ormai abituati alle tenebre.
Un odore di fieno, cavalli e letame lo investì ma sembrava tutto in ordine: i due cavalli riposavano, fremendo ogni tanto e scuotendo la criniera e nessun altro suono, se non il loro lento respiro, riempiva l’aria.
Lui stesso, in allarme, tratteneva il fiato.
Cominciò a credere, per quanto improbabile fosse, di aver avuto un’allucinazione e stava per decidersi a tornare in casa: immaginazione o meno, non sarebbe rimasto lì da solo dopo quel bizzarro e inquietante evento.
Improvvisamente però vide qualcosa: illuminato dalla fioca luce lunare che penetrava da una finestrella, a terra risplendeva quello che sembrava un gioiello. Non uno qualsiasi, però. Aveva qualcosa di familiare.
Si avvicinò pian piano, accorgendosi che quello che gli si presentava davanti agli occhi era un ciondolo, un cammeo incastonato nell’argento e rappresentante una donna di profilo. 
Il suo cuore prese a battere con forza, tanto che credette di poter svegliare l’intera casa con quel martellare crescente.
Era a terra, sopra il fieno, la catenina rotta.
Fu un attimo: gli occhi passarono automaticamente dal ciondolo a qualcosa poco più lontano, riverso a terra in una posizione innaturale.
Violet sembrava una bambola di porcellana rotta, con gli occhi ancora aperti che lasciavano intravvedere il terrore stupito che l’aveva attraversata nei suoi ultimi attimi. Indossava ancora il bel vestito di quella mattina ma la pelle che copriva non era più rosea ma pallida come la luce odiosa di quella luna lontana.
La razionalità scomparve e timori troppo grandi si impossessarono di lui.
Corse.
Corse via, lacrime e orrore negli occhi.
Aveva bisogno di aiuto, sua madre aveva bisogno di aiuto.
Entrò in camera e si gettò sul fratello che si svegliò allarmato.
Non gli diede neanche il tempo di chiedere cosa stesse succedendo che Sherlock cominciò a scagliare parole senza alcun nesso logico, tremante come una foglia e scosso da singulti.
Si mise a sedere, lo prese per le spalle e lo scosse, facendolo zittire.
«Cosa succede?! Che hai?! Per l’amor del cielo, parla!»
Il ragazzino deglutì e cercò di prendere fiato, cercando le parole per descrivere ciò che aveva visto.
«L-la mamma…nella stalla…»
«La mamma nella stalla co…»
Improvvisamente Mycroft capì e ogni traccia di colore scomparve dal suo volto.
«Sherlock, non mi dirai…»
Le lacrime, prima a stento trattenute, ripresero a scorrere copiose.
Il ragazzo si alzò, ordinò al fratellino di andare a svegliare gli altri e corse verso la stalla, lasciandolo solo e spaventato.
Decise che doveva far qualcosa: corse verso la camera dei genitori e per un istante pregò di trovare sotto le lenzuola la donna, i capelli raccolti e lo sguardo assonnato.
Le sue speranze crollarono ma inaspettatamente trovò suo padre sveglio e vestito, seduto sul letto a fissare la parete.
Si voltò lentamente a guardarlo, gli occhi spenti.
«Cosa ci fai alzato a quest’ora?»
Con un balzo gli fu davanti e cominciò nuovamente a spiegare, meno balbettante rispetto a poco prima.
Siger Holmes non si mosse. 
Sherlock lo prese allora per la camicia, scrollandolo e abbandonando ogni reverenza nei confronti della figura paterna che sempre lo aveva messo in soggezione.
«Dobbiamo chiamare aiuto!»
«Sherlock, è tardi. Vai a dormire.»
Quelle parole uscirono atone dalla bocca dell’uomo, colpendo il figlio come una pugnalata: ma come era possibile che si comportasse così?! 
Sua moglie era riversa nella stalla, morta. E lui se ne stava lì a dire al figlio di andare a letto.
«Padre!!!»
Non lo sentiva. Era come se fosse sotto una campana di vetro, insensibile e distaccato. Poi, improvvisamente, lo vide abbassare il capo, prendere il volto fra le mani e piangere.
Il giovane, già sconvolto, rimase di sasso: mai avrebbe pensato di vedere suo padre in quelle condizioni.
Lo fissò a lungo, incapace di pensare.
Solo il mormorato nome della donna fra i singhiozzi riempiva la camera nera.
«Perché, Violet? Perché?»
 
 
Un amante.
L’aveva sospettato per settimane, mesi, ma mai aveva creduto che quegli indizi, quei piccoli cambiamenti avrebbero potuto condurlo a quella verità schiacciante ed oscena.
E Violet, la sua Violet, bella e dolce, madre affettuosa…
L’aveva seguita quella sera. 
Nascosta dal buio, vestita al meglio e frettolosa.
Si era insinuata nella stalla e lì, avvolto dalle tenebre, l’aveva osservata.
Canticchiava sottovoce una ballata romantica, sorridendo al pensiero di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
Improvvisamente decise di farsi avanti ma lei non sembrava essersi accorta che quell’uomo non fosse colui che stava aspettando.
«James? Sei tu, amore?»
Una fitta al cuore.
Abbandonò l’oscurità, mostrandosi alla donna.
A nulla servirono le scuse e le preghiere: una furia cieca si impossessò dell’uomo che si avventò sulla moglie, le mani intorno al fragile collo.
Il tutto durò pochi istanti: presto lei smise di dibattersi e, ormai priva di vita, rovinò a terra.
 
 
 
La tomba di Violet e Siger Holmes era vicina, ornata da due rose scarlatte.
Due uomini erano in piedi davanti a queste e le fissavano in silenzio, la mente a quella notte ormai lontana trent’anni.
Il cielo plumbeo sembrava rispecchiare i loro animi.
«Non pensavo saresti venuto anche tu.»
«Non lo pensavo neanche io…»
Mycroft Holmes ruotò la testa verso il fratello e scorse negli occhi di questo, tanto dannatamente simili a quelli della madre, una tristezza sconfinata.
«Sono passati tanti anni…»
Uno sbuffo uscì dalle labbra del più giovane, accompagnato da una scrollata di spalle.
«Non basta il tempo a cancellare una notte come quella.»
Il ricordo del padre che confessava ciò che aveva fatto, la polizia locale, la sua richiesta di pochi attimi da solo. E poi il colpo di pistola.
Chiuse gli occhi per allontanare le immagini che si affollavano nella sua testa.
Una mano gli si posò sulla spalla e la strinse con dolcezza e comprensione.
Restarono così ancora un poco finchè non decisero di allontanarsi.
«Ti sei mai chiesto perché lo tradisse?»
«Un’infinità di volte. Ma credo che qualunque risposta non giustifichi ciò che ha fatto. Ciò che hanno fatto…»
Un corvo in lontananza emise un verso simile a una risata sinistra e folle.
«…ti posso fare una domanda?»
«Dubito che un mio “no” ti fermerebbe.»
«Il mio libro di anatomia ce l’hai ancora tu?»
Sherlock sorrise continuando a guardare dritto di fronte a sé.
«Cosa ti fa credere che ce l’abbia io? Potrebbe averlo chiunque.»



Ho completato questa breve Fan fiction, come potete ben notare. E' stato piuttosto difficile e non sono completamente soddisfatta ma lascerò a voi i commenti! 

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