Te regalo mi amor, te regalo mi vida.

di beaiss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A pesar del dolor eres tu quien me inspira. ***
Capitolo 2: *** Tu dices blanco, yo digo negro. Tu dices voy, yo digo vengo. ***
Capitolo 3: *** Tu eres quien me hace llorar pero solo tu me puedes consolar ***



Capitolo 1
*** A pesar del dolor eres tu quien me inspira. ***


Premetto che questa è la prima ff che scrivo su The Mentalist, per cui spero non sia venuta un completo disastro. Non credo che i personaggi si comporterebbero davvero così nel tf ma sognare non costa nulla! 

I titoli sono stati presi da una canzone spagnola intitolata “Blanco y negro”.

 

 

A pesar del dolor eres tu quien me inspira.

 

Abbiamo appena chiuso un altro caso. 

Questa volta, nonostante l’aiuto di Jane, è stato difficile. La storia che abbiamo scoperto ci ha sconvolto. La squadra è distrutta, non dormiamo ormai da giorni ed io mi sono immedesimata troppo nella famiglia della vittima. So che non avrei dovuto, che è poco professionale, ma questa volta non ce l’ho fatta ed ora sono seduta sul divano del mio ufficio aspettando che il turno finisca. 

Un velo di tristezza e rassegnazione per un mondo che sto imparando a conoscere e mi sembra sempre più ingiusto ricopre i miei occhi. Non so cosa mi succeda oggi, non riesco a trovare la forza di alzarmi e tornare a combattere con la grinta che mi caratterizza ormai da anni. Al momento vorrei solo sprofondare in un buco nero. Dio solo sa quanto avrei bisogno anche di un piccolissimo gesto d’affetto, che mi faccia sentire che non sono sola, che mi dia conforto. 

Non riesco a non pensare a Jane, è lui che di solito mi tira su di morale dopo una giornata come questa, che mi fa sorridere con le sue battute e i suoi scherzi da bambino. Ma oggi l’ho visto più stanco del solito, così immagino che abbia approfittato per andare a casa. Non lo biasimo, lui ha già Red John a tenerlo sveglio durante le notti, non ha bisogno di condividere anche parte della mia angoscia. Vorrei solo potergli essere d’aiuto, in qualche modo, poter alleviare un po’ il peso che si porta sulle spalle, anche solo punzecchiandolo ogni tanto, così, per fargli sapere che ci sono, che può contare su di me. 

Non faccio in tempo a concludere i miei pensieri che sento la porta aprirsi di colpo. Ecco, penso, parli del diavolo. Beh, anche se a guardarlo bene sembra più un angelo. Comunque se ne sta lì, sulla porta, e mi guarda intensamente aspettando che dica qualcosa. 

– Jane – dico sorpresa – che ci fai ancora qui? – 

– Scusa – fa lui con aria triste – non volevo disturbarti, è che non me la sentivo di tornare a casa e ho pensato che anche tu avessi voglia di un po’ di compagnia, così eccomi qua – 

– Vieni, ho appena finito di compilare i rapporti ma continuo a ripensare al caso. Non trovo la forza per alzarmi ed uscire da qui – tanto è inutile mentire, mi legge nel pensiero così bene ultimamente, non posso farci niente. Anche se devo ammettere che mi ci sto abituando e la cosa comincia a piacermi. Il fatto di non dovermi sempre nascondere dietro la facciata della poliziotta forte, di avere qualcuno che mi capisce anche quando non dico niente mi fa sentire bene. 

Io mi fido di lui, mi sento a casa quando sono con lui. Vorrei solo che lui sentisse lo stesso per me, lo vorrei così tanto, ma so che non è così e non lo sarà mai. 

Si avvicina e si siede accanto a me. E’ strano, vedo qualcosa nei suoi occhi che però non riesco a riconoscere, ma capisco che anche lui, come me, oggi ha bisogno di sfogarsi. 

Parliamo del caso, di cosa abbia significato. Più che altro sono io che parlo dei ricordi che mi ha rievocato, di ciò che ha voluto dire per me e alla fine del discorso sono talmente sconvolta che una lacrima mi riga la guancia senza che me ne accorga. 

Lui alza la mano e l’asciuga in un gesto in cui non c’è pietà, ma solo comprensione. Mi sembra quasi che in questo momento si stia veramente facendo carico di metà delle mie paure. Ed è così che lentamente ci avviciniamo. 

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Capitolo 2
*** Tu dices blanco, yo digo negro. Tu dices voy, yo digo vengo. ***


E’ un bacio lento, dolce, è un bacio tra due amici, dato in un momento di sconforto. Non so che senso abbia e mi separo da lui, guardandolo stupita e scossa per quello che è appena successo. Vorrei dire qualcosa, qualcosa per spiegare, per mettere le cose a posto, ma l’unica cosa che esce dalla mia bocca è quasi un sussurro. 

– Oh, Jane, noi non...io...tu...– 

Come al solito lui mi legge dentro – sì, hai ragione, non è il caso, tu sei una delle persone più complicate che conosca ed io...beh...io sono io –

Annuisco e torno in me, è ovvio che per lui non ha significato nulla, che non pensa a me in quel senso, non voglio complicare le cose, che diavolo mi è preso?

– Senti, non è successo niente – dico – è stato un momento di debolezza, non ne riparliamo più, ok? – mi affretto ad aggiungere imbarazzata. 

Lui mi guarda negli occhi per qualche secondo – Certo, Lisbon, non ti preoccupare, non è successo niente – 

Mi alzo e mi dirigo verso la porta. 

– Ora vado, è tardi e dovresti tornare a casa anche tu. E’ stata una giornata pesante, hai bisogno di riposare. Buona notte Jane – dico prima che la porta si chiuda alle mie spalle. 

Quando arrivo a casa mi infilo a letto, esausta, ma quello che è successo più di un’ora fa riempie ancora i miei pensieri. In fondo è stato un bel bacio, ancora non posso credere di aver veramente baciato Patrick Jane sulla bocca, sento ancora il sapore delle sue labbra sulle mie e solo ora mi accorgo di quanto l’avevo desiderato. 

Quindi sì, sono contenta di averlo fatto, ma la nostra amicizia, questo rapporto speciale che ci lega è troppo importante per me per rischiare di rovinarlo così, lui è troppo importante per me. E’ sicuramente meglio fare finta di niente, non complicare una situazione già infinitamente complicata. E’ la soluzione migliore e Jane non poteva che essere d’accordo con me. Così, cullata da questa convinzione, mi addormento piena di uno strano senso di serenità.

 

Il giorno dopo un nuovo caso mi butta giù dal letto all’alba. Ho dormito poche ore, mi sento ancora un po’ stanca e per di più un’altra persona è stata uccisa. La giornata non poteva cominciare in modo peggiore. 

Spero solo che tra me e Jane non ci sia imbarazzo, se voglio chiudere anche questo caso devo rimanere concentrata e devo a tutti i costi tenere sotto controllo il mio consulente.

La squadra viene convocata e ci ritroviamo tutti sul luogo del delitto. Tutti tranne Jane, so già che lui arriverà con un paio d’ore di ritardo. Non che mi dispiaccia, viste le circostanze, sarà più facile pensare al caso invece che a lui. Sì, devo assolutamente smettere di pensare a lui, assolutamente. 

Quando arriva Jane il sole è ormai alto e abbiamo raccolto prove a sufficienza, così dopo  essersi fatto aggiornare da Van Pelt e aver sbirciato un po’ in giro, ci dirigiamo tutti in centrale per interrogare i sospettati. Quando salgo in auto tiro un sospiro di sollievo, sembra che tra noi sia tutto normale. 

E’ ovvio che, due secondi dopo averlo pensato, le mie conclusioni inizino a frantumarsi piano piano. E sì, perché alzo lo sguardo dalla strada e lo scopro a guardarmi. Come vedo che mi guarda in ufficio, quando sono distratta, e più volte in sala interrogatori. 

Per un po’ l’ho ignorato, ma devo dire che la cosa comincia ad infastidirmi. Insomma avevamo un accordo. Ok, magari non proprio un accordo, ma ci eravamo promessi che avremmo fatto finta di niente, ora non può comportarsi così, ne va del mio lavoro, della mia professionalità e lui, invece, si diverte a mettermi a disagio. E’ il solito bambino e questa volta giuro che non se la cava così facilmente.

All’ennesima volta che lo scopro a fissarmi gli punto il dito contro e quasi urlo

– Jane. Nel mio ufficio. Subito – 

Mentre ci dirigiamo verso la porta, gli altri gli chiedono cos’ha combinato e mi ricordo che sono pur sempre al CBI e che devo controllarmi. Non voglio certo peggiorare le cose facendo sapere i fatti miei ai quattro venti, ma la situazione va chiarita per il bene dell’indagine e, soprattutto, per la mia salute mentale.

– Jane, cosa diavolo ti prende? Smettila di fissarmi, non riesco a lavorare con te che mi guardi ogni due minuti – faccio arrabbiata. Non era mia intenzione attaccarlo così, ma la stanchezza si fa sentire e non ho voglia di discutere con lui proprio ora. 

– Non ti fisso ogni due minuti – 

– Sì che lo fai –

– No –

– Sì –

– No, e poi...– dice lui con tutta l’aria di voler aggiungere qualcosa per girare il discorso a suo favore. Ma ormai lo conosco e non mi frega.

– Jane, ti diverti a mettermi a disagio, vero? – strillo incurante degli altri che ci guardano stupiti al di là del vetro – ma questa volta non la passi liscia –  

E’ a questo punto che vedo la sua espressione cambiare. Ora è arrabbiato anche lui. Per una frazione di secondo mi passa per la mente l’idea che forse ho esagerato, ma cavolo come si permette di trattarmi così e la sua espressione arrabbiata getta solo olio sul fuoco. 

– Sei il solito bambino immaturo ed egocentrico –

– Io sarei quello immaturo? Non sono io che ho cominciato ad urlare senza motivo – 

Ormai siamo totalmente fuori controllo.

– E poi non sono io quello che vuole ignorare le cose che succedono nella sua vita –

Ok, forse mi sono persa qualcosa, perché davvero non capisco dove vuole arrivare.

– Ma ne avevamo parlato, eri d’accordo con me, cos’è cambiato? – 

– Io – dice convinto prima di prendere il mio viso tra le mani e baciarmi con tanta passione che sembra quasi voglia divorarmi le labbra. 

Il mio cervello va in blackout. Un brivido mi attraversa la schiena. Sollevo leggermente la mano con l’intenzione di afferrargli la giacca e stringerlo di più a me, quando sento delle voci provenire dall’altra stanza. 

– Ragazzi guardate, Jane sta baciando il capo – Rigsby ha appena richiamato l’attenzione della squadra e già immagino l’espressione sconvolta con cui ora ci stanno osservando tutti. 

Mi rendo subito conto di dove siamo e mi riapproprio del mio autocontrollo. Cazzo, penso, come può farmi questo proprio qui, in ufficio. Non posso, non possiamo. 

Lo allontano con forza e, con la stessa mano con cui pochi secondi prima stavo per avvicinarlo a me, gli tiro uno schiaffo deciso che gli lascia un vistoso segno rosso sulla faccia.

– Jane, oddio, non volevo – dico pentita, avvicinandomi.

– Sì che volevi –  è ancora arrabbiato, forse più di prima.

– Scusa, Jane. Ma cosa ti è preso? Sei impazzito? Ci hanno visto tutti. Adesso cosa penseranno? – 

– Tranquilla Lisbon, non ti preoccupare, hanno visto benissimo anche la tua reazione, non penseranno nulla che non sia la verità – dice prima di uscire dal mio ufficio sbattendo la porta.

Adesso sì che ho combinato proprio un bel casino. Una giornata iniziata male non poteva che finire peggio.

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Capitolo 3
*** Tu eres quien me hace llorar pero solo tu me puedes consolar ***


E’ tardi, gli altri sono andati tutti a casa ed io sono rimasta sola in ufficio a finire di compilare delle pratiche. Sono passate alcune ore e mi sono decisamente calmata. Non dovevo trattare Jane in quel modo, in realtà non so neanche perché l’ho fatto. L’unica cosa di cui sono sicura è che devo andare a parlargli, fargli capire che mi dispiace, sperando che questa volta sia lui a perdonare me.

Sono sicura di trovarlo in soffitta. Infatti quando salgo la luce è accesa e lui è lì ad aspettarmi.

– Scusa –

– Scusa – diciamo contemporaneamente.

– Mi dispiace Jane – continuo – non avrei dovuto attaccarti in quel modo, non so cosa mi prenda in questi giorni – dico accennando un sorriso mentre mi siedo accanto a lui in questa specie di letto in cui passa le notti ultimamente.

– No Lisbon, è colpa mia, non avrei dovuto provocarti. E’ che non riesco a non pensarci –

– A cosa? – chiedo timidamente.

– Al nostro bacio. Più ti guardo e più lo desidero ancora. Ci ho pensato tutto il giorno e non riesco davvero a fare finta di niente –

– Oh Patrick, anche per me è stato bello, ma non voglio rovinare tutto...e poi il lavoro, la squadra...è complicato, lo sai –

– Teresa, fidati di me – dice lui spostandomi dolcemente una ciocca di capelli dal viso.

– Io mi fido di te – rispondo sicura guardandolo negli occhi.

 

Mi bacia di nuovo, ma questa volta è diverso. Io lo assecondo. Rispondo al bacio e affondo le dita tra i suoi riccioli biondi. Sorrido quando sento le sue braccia circondarmi la vita e stringermi forte. Come ho fatto a rinunciare a tutto questo fino ad ora? Sono stata una perfetta idiota. 

Mi capite, vero, quando penso che devo assolutamente rimediare?! Infatti con gesti impazienti inizio a sbottonargli la camicia. Credo che lui sia piuttosto sorpreso perché si ferma a guardarmi per un secondo. Poi ricomincia a baciarmi con passione e a sua volta mi spoglia, fa scorrere le sue mani lungo la mia schiena e mi trascina giù con lui. 

Non serve che dica che è stato fantastico, totalmente diverso da come me lo immaginavo (eh sì, ora non posso più negare di averci pensato) ma per questo ancor più meraviglioso. E penso lo sia stato anche per lui, perché quando mi sveglio è ormai mattina e lui sta ancora dormendo. Capite?! Sono riuscita a far riposare Patrick Jane in persona, il Re indiscusso delle notti insonni. 

Credo sia ancora presto perché regna una quiete quasi surreale e non ho proprio voglia di alzarmi da qui. Un timido raggio di luce entra dalla finestra, approfitto di questo momento di pace per osservarlo meglio e, cavolo, sembra davvero un angelo.  

Inizio ad avere un po’ freddo, così prendo la sua camicia blu e la indosso prima di dargli un bacio veloce e stendermi di nuovo accanto a lui, coprendoci in parte con la coperta che ho trovato appoggiata ai piedi del letto. Con la testa sul suo petto, un braccio a cingergli la vita e le nostre gambe intrecciate, mi riaddormento subito. 

 

Quando apro gli occhi per la seconda volta Jane è sveglio e mi sta osservando sorridente. 

– Buongiorno – dico, regalandogli un enorme sorriso.

– Buongiorno pigrona –

– Che ora è? – chiedo.

– Le nove – dice lui distrattamente, come se fosse la cosa più normale del mondo.

– COSA? – urlo, alzandomi velocemente dal letto.

– Lo sai che sei bellissima con la mia camicia addosso, non so se riuscirò a farti uscire da questa stanza – dice lui ignorandomi e sorridendo come un cretino.

– Patrick! E’ tardissimo. Perché diavolo non mi hai svegliato? –

– Dormivi così bene che ho pensato di concederti qualche ora di sonno in più. Dopo tutta la fatica di questi giorni – e di questa notte, sta per aggiungere guardandomi malizioso, ma lo zittisco prontamente con una delle mie occhiatacce. 

– Insomma, avevi bisogno di riposare –

Normalmente gli avrei già sparato, ma questa mattina non riesco ad essere arrabbiata con lui. – Mentre io mi vesto, almeno pensa ad una scusa da inventare per giustificare con la squadra il nostro ritardo – aggiungo rassegnata. 

Quest’uomo sarà decisamente la mia rovina.

– Ah – dice con lo stesso tono distratto di prima – lo sanno già –

Lo guardo confusa e alzo un sopracciglio in attesa di una spiegazione un po’ più esauriente, che non tarda ad arrivare.

– Ehm – tentenna – credo che quando non ci hanno visto arrivare, questa mattina, siano saliti a vedere se almeno io ero qui...– la mia espressione sconvolta lo deve spaventare parecchio, perché si ferma un attimo prima di proseguire imbarazzato.

– Beh, noi non abbiamo chiuso la porta a chiave e quando mi sono reso conto che stavano entrando ormai era troppo tardi... –

– COSA? – dico di nuovo. Ma questa volta la voce mi muore in gola pensando alla scena che si è presentata davanti alla mia squadra. Dopotutto io sono il capo...santo cielo, non posso fare queste figure di fronte ai miei ragazzi.

– Oh non ti preoccupare, io ho fatto finta di dormire e...beh, non mi sono sembrati molto sorpresi a dire il vero. Anzi, direi che Van Pelt era quasi euforica –

– E ora cosa facciamo? – chiedo esasperata.

– Niente – dice come se fosse ovvio. Ma è scemo? Come fa ad essere così tranquillo anche in una situazione del genere?

– Jane! E gli altri cosa penseranno? –

– Tranquilla Lisbon, non penseranno nulla che non sia la verità – fa lui con aria sfrontata prima di stamparmi un veloce bacio sulla bocca ed uscire dalla soffitta.

– Su Lisbon, siamo in ritardo – aggiunge l’idiota.

– JANEEE – urlo seguendolo fuori dalla stanza. Lo raggiungo e gli do una piccola sberla sul braccio. Ma in fondo sono contenta di vedere che non è cambiato niente, che saremo sempre i soliti Jane e Lisbon.

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