Ronaldo ed Ermione - Novelli Promessi Sposi.

di Morgana_D
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV. ***
Capitolo 5: *** Capitolo V. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Prefazione.

Premettendo. Questa storia nasce dalla mente bacata di una povera ragazza che ha sempre odiato Renzo e Lucia e la loro caritatevole storia. Mi sono detta, perché non riscriverla?
Ovviamente con un lessico adeguato, non quello che Manzoni chiama “italiano”, che io chiamo latino tardo, ma non ne parliamo.
 Sappiamo tutti come inizia la storia, ma ora non è più tempo di parlare, lasciamo che ci parli la pagina web della storia.
 
I.
Quel ramo del lago Nero, che volge a mezzogiorno… eccetera eccetera, sappiamo com’è.
     Be’, giù di lì c’era un paesino in cui vivevano molte persone tutte felici e contente, dato che non accadeva mai nulla di strano.
     Il 7 novembre 1628, passeggiava, sul far della sera, sulla strada per andare a casa, don Codaliscia. Il curato si guardava attorno, con quella faccia da topo, convinto che quella sera sarebbe successo qualcosa. Passeggiava leggendo il breviario, cosa che si sarebbe risparmiata volentieri se non avesse dovuto tenere alta la sua immagine di curato diligente.
     Voltata la solita stradetta, quel tale s’accorse che due brutti ceffi, loschi figuri o come li vogliamo chiamare, l’aspettavano appoggiati ad un muretto.
     Quei brutti ceffi avevano tutto l’aspetto che dei bravi: armi in pugno, aria spavalda, casacca verde. Si sentì morire, iniziò a pregare che non fossero lì per lui, ma, ovviamente, si sbagliava. Povero don Codaliscia! Iniziò a tremare come a che!
     A questo punto dobbiamo perderci in chiacchiere su chi siano i bravi e perché il nostro povero curato era così spaventato della loro presenza.
     Bisogna dire, innanzi a tutto, che la specie dei bravi, che bravi non erano, era allora florida per il nostro paese; infatti, si erano sviluppati durante l’epoca della dominazione dei Serpeverde. Questi Serpeverde si credevano i padroni del luogo e con i loro capricci e le loro scorrerie rendevano un inferno la vita delle persone che si mettevano loro contro. I bravi erano le loro braccia; i signori comandavano ed i bravi eseguivano.
     Fin dagli albori di quest’epoca, i bravi erano stati aspramente intimati ad andarsene, o almeno che smettessero di compiere questi atroci delitti. A questo proposito erano state create le gride; queste gride erano leggi che condannavano i bravi, spesso però i potenti aiutavano i loro bravi e di conseguenza nessun bravo veniva condannato.
     Dopo questo, possiamo capire come mai il nostro povero curato fosse stato preso da cotanto timore e avesse iniziato a pregare freneticamente.
     – Signor curato… – iniziò il primo.
     – Zitto Gregorio, parlo io!
     – Ma, ma… Vincenzo non mi fai mai parlare!
     – Zitto e mangia il panino – continuò il secondo.
    – Ricominciamo, signor curato è vero che vuole sposare quei due ragazzi… come si chiamano? Ah sì, Ronaldo Donnolino ed Ermione Grangella!
     Don Codaliscia continuava a tremare, e balbettò un timido “sì”.
     – Questo matrimonio non s’ha da fare, né ora, né mai! – ricominciò il bravo.
    – Ma lor signori non c’è bisogno che se la prendano con me. Son loro che si fanno tutti gli impicci, e poi mettono di mezzo noi che li dobbiamo sposare.
     – Oh, ma noi sappiamo che lei non ha intenzione di dare un dispiacere a qualcuno. Sappiamo che lei è un brav’uomo signor curato. L’illustrissimo signor Don Rodrago, nostro padrone, la saluta.
     Dopo questo nome il povero curato iniziò a tremare ancora di più, e si fece piccolo piccolo, tanto da sembrare un topolino. Fece un grande inchino ai due bravi e disse:
     – Il mio rispetto, disposto… sempre all’ubbidienza.
     – Benissimo, il nostro padrone si ricorderà di lei. Buona notte signor curato – disse l’uno e con una grassa risata, si allontanarono.
     Il povero don Codaliscia non sapeva più cosa fare e con un passo lento e un po’ barcollante, si avviò verso casa, a cercare consiglio da qualcuno.
     Don Codaliscia non era mai stato un cuor di leone, anzi, il nostro lettore se ne sarà accorto. Fin da giovane aveva avuto paura, paura di essere preso di mira dagli animali più grossi di lui; la legge, infatti, non proteggeva gli uomini tranquilli. Così decise di farsi prete, non per vera vocazione, ma per sopravvivenza. Non era coraggioso (come ha fatto a finire a Grifondoro se lo chiedono tutti), non era nobile e nemmeno ricco, non sarebbe andato da nessuna parte e così i parenti decisero di farlo prete, decisione del tutto approvata dal signor Pietro Minimo.
     Don Codaliscia era un “vaso di terracotta in mezzo a vasi di ferro”.
Se gli si rimetteva una questione, lui non prendeva mai le parti di qualcuno, lasciava promesse, dava consigli, ma non si schierava mai. Così sperava che non avrebbe mai avuto problemi, che i potenti signori della zona l’avrebbero lasciato in pace. 
     “Un povero curato” pensava “perché prendersela con un povero curato? Perché non prendersela con quei due che si volevano maritare e si erano rivolti a lui? No! Sempre con quello più debole, ma ora devo inventarmi qualcosa per Ron…”.
     In questo tumulto di pensieri, tornò a casa e chiamò a gran voce: – Molletua, Molletua!
     Molletua era la serva di don Codaliscia, una donna forte, che non si lasciava scoraggiare. Comandava e obbediva a seconda dei casi, si occupava della casa e aveva sempre un buon consiglio per il padrone.
     Quando Molletua arrivò s’accorse subito che qualcosa non andava nel padrone. 
     – Cos’è successo? Misericordia!
     – Niente, niente Molletua!
     – Ma come niente? Con questa faccia brutta che si ritrova? Venga a tavola che le preparo qualcosa di buono da mangiare, e mentre cucino, mi raccomando!, dica cos’è successo.
     – Sta’ tranquilla Molletua. Ma, se prometti di non raccontarlo a nessuno…
     – Giuro, giuro!
     Dopo altri giuramenti, promesse e altro, don Codaliscia le disse il nome di quel potente che tanto se l’era presa con lui.
     – Ah! Il birbone! Il soverchiatore! Ah, come si permette – esclamò Molletua.
     – Abbassi la voce, o volete che ci senta qualcuno?
     – Ma siamo soli! Non ci sente nessuno. Cos’ha intenzione di fare padrone?
     – Vedremo domani… ora sono troppo scosso – si lamentò don Codaliscia.
     – Dovrebbe andare a parlare con l’arcivescovo, con qualcuno che vi possa aiutare, avvertitelo per lettera…
     Sentite queste parole il curato la zittì subito.
    – Ma no, no! E poi…chi ci rimetterebbe? Io, sempre io, solo io. Io che non ho mai fatto nulla di male. No, no… mi inventerò qualcosa. Intanto – si girò verso Molletua e mettendo il dito indice sopra la bocca in segno di silenzio – Mi raccomando!
 

Vi avverto...questa è una storia senza tante pretese ed io non sono capace a far ridere la gente, quindi se solo sorridete a leggere questa (non si può chiamare storia...non ne è all'altezza) "storia" per me sarebbe già un bel traguardo ;)
Saranno 38 capitoli, uno per ogni capitolo che ha scritto il Manzoni, ovviamente salterò tutte le lunghe e barbose descrizioni di Alessandro.
Ho cambiato il nome dei personaggi...
I personaggi di questo capitolo sono:
Don Abbondio=Peter Minus
I due Bravi=Vincent Tiger e Gregory Goyle
Perpetua=Molly Weasley.
Non so quando aggiornerò, sono già impegnata con un'altra FF.
Grazie di aver letto. 
MD. 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


II.

Per tutta la notte don Codaliscia pensò a quello che avrebbe dovuto dire a Ron il giorno dopo. Dormì malissimo. La mattina dopo aspettava Ron con impazienza.
     Ronaldo o, come dicevano tutti, Ron non si fece molto aspettare. Appena poté, si presentò a casa del curato, impaziente di sposare la sua amata. Ron aveva i capelli rossi e le lentiggini, cosa che faceva di lui uno sfigato tale un giovanotto così sfortunato che solo Ermione si era presa la briga di sposarlo. Aveva sempre fatto il filatore di seta, ma negli ultimi tempi, siccome non aveva mai avuto tanti soldi, per sposare Ermione, iniziò a fare due lavori diversi.
     Si presentò a casa del curato con quell’aria spavalda tipica dei ragazzi dell’epoca, il cappello con tante piume colorate e il coltello a portata di mano.
     – Signor curato! – iniziò Ron – a che ora vorrebbe sposarci?
     – In che giorno? – disse don Codaliscia facendo il vago
     – Come in che giorno? Oggi! Ci deve sposare oggi! Sto aspettando da sette libri! – disse Ron alterandosi.
     – Ah! No, no. Oggi non si può. Ci sono alcuni impicci. Mi sa che dovremmo aspettare – iniziò a fare alcuni conti con le dita – almeno fino a dopo Natale.
     – Dopo Natale? Tu, stupido Crosta. Signor curato, lei è pazzo! Dopo Natale! – Ron non riusciva più a ragionare con calma e decise di andarsene e lasciare quel vigliacco di un topo da solo.
     Uscendo dalla casa del curato sbatté la porta e si avviò verso casa della sua amata, quand’ecco che vide Molletua, la serva di don Codaliscia che amava ascoltare canzoni sdolcinate e aiutare a curare i bambini degli altri.
     – Buongiorno Molletua, la disturbo? – cominciò Ron con fare attento – Sa oggi io e Ermione ci dovevamo sposare, ma quello sprovveduto del curato non ha fatto tutte le pratiche in tempo.
     – Ma no Ron, cosa vai a pensare! Il signor curato vuole sposarvi, non fare quella faccia – disse Molletua accortasi di dove voleva andare a parare Ron.
     – E allora, Molletua, perché non lo fa? La prego me lo dica! –  Molletua che non aspettava altro iniziò subito il racconto.
     – Ok Ron, ma mi raccomando te lo dico solo perché quella sottospecie di topo mi sta antipatico e tu, con Ermione, mi sei sempre stato simpatico.
     – Grazie mamma Molletua – rispose Ron, dopo aver sentito i particolari di quel racconto.
     – Ora andrò da don Codaliscia a dirgliene quattro.
     – Chi è? Chi è quel prepotente che non vuole ch’io sposi Ermione? – urlava Ron.
     Don Codaliscia sorpreso corse verso l’uscio della porta, ma Ron urlò – Colloportus! ma Ron si precipitò prima di lui e chiuse a chiave la porta.
     – Allora? Mi dica immediatamente chi è!
     Dopo molte ingiurie di Ron, don Codaliscia si decise a dire il nome di quel birbone.
     – Don…
     – Don? – l’aiutava Ron
     – Don Rodrago! – urlò di fretta il curato.
     – Ah! Che serpe! Come si permette! Ermione, Ermione, sta’ tranquilla, ti salverò io! – diceva Ron.
     Dopo aver giurato, falsamente, più volte a quel topo di un curato che non avrebbe detto niente a nessuno, se ne uscì dalla casa di don Codaliscia.
     Appena Ron uscì, don Codaliscia chiamò Molletua, accusandola di aver rivelato tutto a Ron, ma Molletua negava così iniziò una lunga discussione da cui il curato uscì perdente.
     – Sono depresso. Vado a riposarmi, non aprire a nessuno. Mi raccomando. – disse sottolineando la parola “raccomando”.
     Intanto Ron si dirigeva verso casa di Ermione e della madre di Ermione, Minerva. Durante tutto il tragitto pensò ai modi in cui avrebbe potuto uccidere don Rodrago.
     “Quel soverchiatore, quel prepotente, quel Serpeverde malfidato” pensava Ron in preda all’ira “ma io so cosa gli fo a quello, io lo uccido, lo prendo per il collo e lo sbatto a terra come una gallina.”
     Ron era sempre stato un ragazzo onesto e giusto, ma non c’era niente che lo facesse cadere in preda all’ira quanto toccare la sua amata Ermione, soprattutto da parte di quel Serpeverde borioso, che credeva di comandare su tutti.
     “Gliela farò pagare, sì, sì” continuava a pensare Ron “E Ermione?”
     Solo il pensiero di Ermione lo riportò alla calma. Calma per così dire, infatti iniziò a pensare che forse Ermione aveva fatto intendere qualcosa a quel birbone, forse una qualche speranza.
     Ermione era bella, sicuramente quel prepotente di don Rodrago la voleva fare sua.
     “Ermione, Ermione mia…possibile?” pensava Ron in preda al panico.
     Arrivato davanti casa della sposa uscì correndo Ginnina che gridava:
     – Lo sposo, è arrivato lo sposo!
     – Zitta Ginnina, avverti Ermione, dì che le devo parlare. Fai presto! – le ordinò Ron.
     Ermione intanto si trovava in casa a prepararsi per il matrimonio. Era già vestita con l’abito da sposa e tutte le amiche non facevano altro che scherzare con lei, Ermione cercava di nascondersi alla vista degli altri e di tanto in tanto aggrottava le nere sopracciglia. I capelli ricci marroni erano stati raccolti dietro la testa, al collo portava una collana di granati. Quando arrivò Ginnina e le disse che Ron le doveva parlare, uscì subito fuori dalla casa.
     – Cos’è successo?
     – Ermione! Il curato non ci vuole sposare!
     – Cosa? Per quale motivo? – chiese Ermione allarmata. Ron di corsa le spiegò tutta la faccenda e quando udì il nome di don Rodrago disse:
     – Ah! Fino a questo segno!
     – Dunque tu sapevi? Ermione! Cosa sapevi?
     – Non qui, non ora. Vado a chiamare mia madre e mando via le amiche. Dobbiamo rimanere soli!
     – Non mi avete mai detto niente! – si lamentava Ron.
     Così Ermione andò a dire che il curato era ammalato e che il matrimonio sarebbe stato spostato, tutte le compaesane si recarono sotto casa del curato per sapere la novità. Intanto Minerva era scesa, avendo capito che qualcosa non andava nel comportamento della figlia, e aveva iniziato a discorrere con Ron.
     – Non ci voleva proprio. Miseriaccia!

 

Eccomi qua! Sono tornata. Avevo intenzione di aggiornare oggi e fino ad ora non sapevo nemmeno se ce l'avrei fatta in tempo! Per questo il capitolo è un po' alla "così come mi è venuto". Beh, personaggi nuovi a parte Agnese=Minerva McGranitt non ce ne sono, ah si!, Bettina (una ragazza che nominano solo una volta xD)=Ginny. Mi sono divertita a mettere (e barrare) le cose che avrebbero detto realmente i personaggi se fossero stati nel libro originale di Harry Potter nelle stesse situazioni. Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia come il precedente :). L'aggiornamento dovrebbe essere per mercoledì prossimo, ma non prometto niente.
Vorrei passare ai ringraziamenti: grazie a chi ha messo tra le seguite/ricordate/preferite :D Un grazie speciale a Flettus Chattongue, laisaxrem, Lady Oonagh (la tua presentazione su EFP mi piace da morire :D), SimplyMe514, Elpis, Ells, Marta_Fred2000 e _Trixie_ che hanno recensito lo scorso capitolo, non vi aspettavo così in tanti. Grazie grazie grazie *_*
Bene, spero di aver finito. Un bacio a tutti.
MD.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


III.


Quando Ermione ritornò subito Ron e Minerva le chiesero di raccontare ciò che era successo. Ovviamente Minerva rimproverò la figlia per non averle detto niente.
     – A tua madre non dir niente d’una cosa simile!
     Subito Ermione cominciò il racconto. Raccontò che un qualchedun giorno, che lei tornava dalla filanda con le compagne, le era passato davanti un gran bel pezzo di fico don Rodrago, che sghignazzando con il suo compagno l’aveva sentito dire: “scommettiamo”. Anche il giorno dopo, che era l’ultimo giorno di lavoro, il biondissimo Serpeverde era lì a sghignazzare con l’amico.
     – Io lo raccontai subito a...
     – A chi? – chiese Minerva sdegnata.
     – Al padre Silenzio mamma.
     – Hai fatto bene, ma perché a me e Ron, che ti vogliamo bene, no? Comunque, che ti ha detto quel caro uomo?
     – Di affrettare le nozze!
     – Ah gliela farò pagare a quelli là! A don Codaliscia e don Rodrago!
     – No, no Ron, per amore del cielo! – gridarono entrambe le donne.
    – Aspetta! Ho un’idea! Potresti andare da quel dottore detto Allocco-coi-garbugli, ma non chiamarlo così, il suo vero nome mi sfugge. Comunque è quello lì, alto, belloccio, biondo, che dice di saper fare di tutto.
     – Lo conosco di vista. – disse Ron.
    – Comunque va da lui! Portagli questi quattro galli. Si troveranno bene con lui. – disse Minerva porgendogli quattro capponi. Così Ron si avviò di buona lena verso lo studio del dottor Allocco-coi-garbugli. Arrivato a casa del dottore subito lo fece accomodare e gli chiese notizie del caso.
     – Be’
, vedete… volevo sapere cosa succede a chi minaccia un curato di non fare il matrimonio – chiese Ron imbarazzato. Subito il dottore Allocco-coi-garbugli esclamò “Ho capito”, anche se in realtà, come dice il suo nome, non aveva capito niente.
    – Eh ragazzo, ce ne sono di leggi… Io stesso ho affrontato un caso del genere parecchie volte, con me siete in mani sicure. Mi ricordo quella volta in cui… e quell’altra volta… e quando tutti mi hanno acclamato per… Ah bei tempi quelli, ma torniamo a noi giovanotto!
    Ron rimasto molto colpito dallo sproloquio dal discorso interessante, si sentì ancora più imbarazzato di fronte ad un uomo così importante. Il dottor Allocco-coi-garbugli prese un librone e iniziò a sfogliarlo poi disse a Ron –Vieni caro, vieni. Leggi qua! – disse indicando qualche vecchia grida. Dopo aver letto la grida e la pena di morte Ron, con il sorriso in faccia, disse:
     – Sembra che l’abbiano fatta apposta per me.
    Il dottore si spaventò d’una simile risposta, infatti, costui invece che essere spaventato era felice. “Che sia un mariuolo coi fiocchi?” si chiese spaventato il dottore.
     – Comunque ragazzo avete fatto bene a tagliarvi il ciuffo, così nessuno potrà riconoscervi.
     – Ma signore, io non ho mai portato il ciuffo.
     – Non mi raccontate bugie! Al giudice si raccontano le bugie, a me no! Come prima ti ho raccontato, quella volta…
[scusiamo il gentile lettore per eventuali problemi. “Tappategli la bocca!” –cit. Autrice]
     Rendendosi conto dell’errore, si affrettò a chiarire l’equivoco.
     – Signore! Non sono io quello che ha fatto la bricconeria, altri hanno fatto lo sgarbo a me.
     – Ma se lei non si spiega, giovanotto – rispose scocciato l’avvocato.
    – Ora le racconterò. Oggi mi dovevo sposare con una ragazza, ma il signor curato si è inventato qualche scusa. Sono venuto a sapere che è tutta colpa di don Rodrago che…– Subito il dottore a quel nome cambiò atteggiamento, spaventato, cacciò via Ron di casa e disse che non poteva aiutarlo, gli fece restituire i galli e tornò nel suo studio.
     Intanto a casa di Ermione e Minerva si recò un frate, di nome fra Paciocco. Questo fra Paciocco faceva parte dello stesso ordine dei frati di fra Silenzio. Questo fra Paciocco era un frate molto tranquillo, che non avrebbe fatto male ad una mosca, e la sua unica utilità era andare a raccogliere noci da una casa all’altra. Così, molto amico di Ermione e grande amico della professoressa di Minerva, andò a chiedere le noci anche a loro, e, dato che non aveva niente da fare, mentre Ermione andava a prendere le noci da sbolognargli, si mise a raccontare una storia sul santo delle noci. Poi iniziò a raccontare che le annate erano scarse, che c’era la carestia, che nessuno dava in elemosina niente.
     Arrivò Ermione che gli portò metà delle noci che avevano, facendosi sgridare dalla madre, ma le sussurrò: “So quello che faccio”.
     – Tieni frate – disse Ermione porgendogli le noci.
     – Che tu sia benedetta figliuola – rispose il frate.
     – Però mi dovete fare un favore: dovete chiedere a padre Silenzio di venire qui, che abbiamo fretta di parlargli.
    – Certo, certo – rispose fra Paciocco e se ne andò carico di noci, tutto felice. Quando il frate se ne fu andato, Minerva chiese spiegazioni alla figlia.
     – Altrimenti avrebbe dovuto fare il giro di tutte le case e gli sarebbe servita una ricordella per fare da messaggero per fra Silenzio si sarebbe dimenticato di quello che  gli avevamo chiesto di dire a fra Silenzio.
     – Come sei intelligente, figlia mia. – rispose fiera Minerva.
    In quel mentre arrivò Ron, arrabbiato come non mai. – Bel parere che m’avete dato! – disse a Minerva – M’avete mandato da uno che pensa solo a se stesso e mica aiuta veramente noi poveri studenti ragazzi.
     Ermione lo tranquillizzò dicendo che avrebbero chiesto aiuto a quel brav’uomo di padre Silenzio, ma Ron non era molto convinto. Infatti continuò a pensare alle sue “meditazione delittuose”* e non riusciva a cambiare idea per nessun motivo.
    – Buona notte – disse Ermione a Ron, che non voleva lasciarla sola, per paura che qualche briccone potesse venire a rapirla.
     – ‘Notte – rispose tristemente Ron, andando mogio verso la porta.
     – La Pottervidenza ci aiuterà!

 

E dopo due settimane ho aggiornato anche io! Si, scusate, ma la settimana scorsa proprio non ce l'ho fatta.
Comunque eccoci, siamo entrati nel vivo della storia e iniziano a delinearsi i personaggi. Credo che abbiate capito tutto, ma meglio non rischiare:
Fra Cristoforo=Albus Silente Fra Galdino=Neville Paciock Azzecca-garbugli=Gilderoy Allock. e poi lui, finalmente Harry Potter ha fatto la sua comparsa. La Pottervidenza, proprio lui, quella che io chiamo Paraculite, per cui i nostri eroi riusciranno a salvarsela (scusate, ma a me non va giù che Harry si salva solo grazie agli altri è.é). Bene relegato anche Harry, e immaginati un altro po' di personaggi continuate a seguire per sapere chi saranno i prossimi. Mi servirebbe don Ferrante...non ho idea di chi farlo T^T, se avete qualche idea vi prego di scrivermela.
Grazie alle 2 ricordate, alle 2 preferite e alle 12 (O.O) seguite. Io vi adoro <3 Grazie a chi ha recensito lo scorso capitolo: Ells (sotto tortura, ma vabbé xD), Lady Oonagh, Elpis, Marta_Fred, _Trixie_, Sylviette_Snape, Lulu_Herm e basta xD Grazie a tutti.
Ah mi scuso se il capitolo è corto, ma più Manzoni fa i capitoli lunghi e più io li accorcio U.U
Al prossimo aggiornamento,
MD.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV. ***


IV.

Era circa l’alba quando padre Silenzio uscì dal suo convento di Pescarenico, per recarsi alla casetta di Minerva e Ermione. La giornata sembrava bella, ma era abbruttita dai segni inequivocabili della carestia.
     Padre Silenzio era un religioso di circa centodieci anni sessant’anni. La barba bianca e lunga copriva la tunica da mago veste da frate che portava abitualmente. Spiccavano gli occhi, e certi moti del capo e del volto, da cui si intuiva la sua natura altera e focosa, trattenuta dallo sforzo di umiltà e di disciplina che egli compiva su se stesso.
     Inizialmente fra Silenzio non era sempre stato così, né si chiamava Silenzio: il suo nome di battesimo era Bianco. Era figlio di un pastore mercante di ***. Aveva altri due fratelli, ma il padre, avendo capito che lui era il più intelligente tra i tre, l’aveva mandato a studiare: la sorella Arianna era relegata in casa, il fratello Alberto faceva da pastore.
     Avendo il padre contratto abitudini da signori e vivendo appunto come quelli, aveva fatto crescere Bianco in un ambiente nobiliare. Per tutto il resto della vita il padre di Bianco cercò di mascherare le sue umili origini, offendendosi persino, per una battuta sul conto del suo mestiere, ad un pranzo d’affari.
     Da giovane anche Bianco aveva provato a mescolarsi alla nobiltà del suo paese: nonostante si trovasse male con i nobili dell’epoca, aveva fatto particolarmente amicizia con un nobile chiamato Gellarto Grindevaldo. Questi due figli di papà andavano in giro per il paese insieme, aiutando i poveri bisognosi. Alle persone che chiedevano il motivo del loro dispendio di soldi e energie per i poveri, Gellarto e Bianco rispondevano “Per il bene superiore”.
     Accadde che, però, lui e Gellarto litigarono. Gellarto si volse al lato oscuro diventò come tutti gli altri nobili dell’epoca, mentre Bianco decise di continuare per la sua strada. L’anno dopo Bianco e Gellarto si rincontrarono. Gellarto gli intimava di cedere il passo e la precedenza, apostrofandolo con ingiurie; Bianco non ne aveva minimamente l’intenzione. Si scambiarono vari insulti e Gellarto lo abbandonò lì con la promessa di un duello. Così il giorno dopo Gellarto e Bianco si incontrarono nella piazza principale della città e iniziarono un duello. Gellarto era molto potente, ma Bianco non era da meno. Quando sembrò che Bianco avesse preso il sopravvento, Gellarto menò un fendente dritto al petto di Bianco, ma la sorella di Bianco, Arianna, si mise di mezzo. Addolorato per la morte della sorella, Bianco uccise Gellarto, poi, gravemente ferito, fu condotto dalla folla (e dal fratello Alberto) in un vicino convento di cappuccini.
     Bianco era salvo, ma tormentato dai rimorsi e dal fatto che due persone erano morte per la sua inutile ambizione. Così appena guarito sperperò tutti i suoi beni in beneficenza e decise di farsi frate.
     Così, Bianco aveva deposto il nome di Bianco per prendere quello di Silenzio, in ricordo del fatto che a volte è meglio stare zitti.
     Intanto c’erano stati i funerali di Arianna, e Bianco (in quel momento era ancora Bianco), sentendosi responsabile, ci andò con il cuore spezzato.
     Anche il fratello Alberto, che amava la sorella più della sua stessa vita, dava la colpa di tutto questo al fratello Bianco. Per sfogare la sua rabbia al funerale gli diede un pugno sul naso, rompendoglielo. Da quel momento Alberto non lo volle più vedere.
     Diventato frate si sarebbe dovuto trasferire, così prima del trasferimento aveva chiesto e ottenuto di poter incontrare la famiglia del nobile da lui ucciso. Così il giorno prima di partire, si era recato nel maniero di Grindevaldo dove l’attendeva la folla dei parenti del morto. Frate Silenzio aveva chiesto perdono, si era rammaricato di quello che era successo, si era seduto per terra a mani giunte chiedendo di essere perdonato per quello che aveva fatto.
     La reazione dei presenti fu sconcertante: invece di picchiarlo e vendicare Gellarto, si commossero alle preghiere di questo giovane che era stato tanto amico del loro amato Gellarto. Così, nessuno fece del male a Silenzio, anzi, gli offrirono persino di fermarsi a mangiare con loro.
     L’unica cosa che l’umile Silenzio chiese fu il pane, in segno di perdono.
    Così, Silenzio se ne andò senza che gli venisse fatto alcun male e per la strada mangiò metà del pane ricevuto, mentre l’altra metà la conservò in ricordo del perdono.
     Da quel momento padre Silenzio era stato un uomo giusto, umile, caritatevole.
     Che pur di far vincere i Grifondoro si arrampicava sugli specchi.
     Un uomo con un passato burrascoso alle spalle, ma che ora faceva di tutto per aiutare il prossimo.
     Soprattutto un certo maghetto con gli occhiali.
     Pronto a combattere il male con ogni mezzo.
     Pure quello di sacrificare persone che avevano fatto di tutto per lui.
     Deciso a non rivelare mai il motivo del suo cambiamento.
    Quindi, appena ricevuta l’ambasciata di fra Paciocco, fra Silenzio aveva deciso di recarsi da Ermione, povera giovane innocente, per aiutarla.

 

Spazio autrice: 
Carissimi Manzoniani (?) Questo capitolo è decisamente campato per aria. 
Sì, l'ho fatto proprio perché non volevo lasciare la FF troppo indietro. In questo periodo sono stata occupatissima e poi la mia immaginazione ha fatto BUM e quindi sono occupata con altri diecimila progetti. 
Scusatemi veramente tanto ^^ Spero che con il capitolo possiate perdonarmi. 
Ok a tutti quelli che stanno pensando che sono stata crudele, che la storia di Albus è molto più triste etc etc... Lo so T_T Mi dispiace tanto di averla parodiata così! 
Beh avrete capito che Arianna è Ariana, Aberforth è diventato Alberto (non trovavo un nome decente da mettergli v.v) e Gellarto Grindevaldo (tanta stima per questo nome <3) è Grindelwald :D 
Nelle ultime righe potete notare che per certe cose proprio non riesco a perdonare Silente U.U Da brava Serpeverde (su Pottermore sono PozioneOmbra3551, se volete aggiungetemi :3) non ho mai sopportato il fatto che i Grifondoro avessero vinto la Coppa delle Case a buffo. Ma quello che proprio non riesco a perdonargli è di non aver consegnato Potter al Signore Oscuro è.é Pur di fare gli eroi (eh sì, ha istruito bene Potter U.U) hanno lasciato che centinaia di persone morissero: Tonks, Lupin, Malocchio (che non viene filato mai da nessuno), Dobby, Bellatrix (xD), Voldemort, Lily, James, Sirius, Piton (con molta riluttanza ce lo infilo), Colin (T^T) e tanti altri sempre nei nostri cuori <3 
Ok, quindi ho un odio/amore verso Silente e un odio profondo verso Potter :D Finiti i miei pensieri decisamente anormali, vi saluto :3 Spero di riuscire ad aggiornare presto (ne dubito '-') 
Grazie a chi ha messo tra preferite/ricordate/seguite :3 Vi adoro. Grazie a Sissi, _Trixie_, Marta_Fred, Lady Oonagh, Elpis, Sylviette Snape, Lulu_Herm e Ells che hanno recensito lo scorso capitolo. Mi fate sentire felice *_* 
Un bacio a tutti :D 
MD. 

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Capitolo 5
*** Capitolo V. ***


V.
 
Appena arrivato a casa delle due donne, s’accorse che qualcosa non andava.
     – Ebbene?
   Ermione mise il broncio e iniziò a sbattere il piede per terra nervosamente. Minerva cercava di calmarla, mentre raccontava la storia a padre Silenzio. Terminata la storia, fra Silenzio esclamò: – Fino a quando…  – ma senza finire la frase si riscosse e disse – Poverette! Così iniziò a pensare a come farla pagare a quel Serpeverde arrogante e a quel curato fifone.
    “Sempre così è stato” iniziò a pensare “Sempre a bighellonare con quei tre scalmanati, senza compiere i suoi doveri da prete. Ed ora! Invece di sposare questi due, si chiude in casa a tremare. Ma gliela farò pagare. Pensiamo…”
     E così, dopo aver contrappesato i pro e i contro di questo e di quel partito, si decise ad andare a parlare con Don Rodrago stesso.
     Mentre il frate stava così meditando, Ron era tornato a casa di Ermione.
     – Le hanno detto…, padre?
     – Purtroppo, e per questo son qui. Ma non ti abbattere Ron, il Potter è con te, non ti abbandonerà!
     – Ah! Meno male che c’è lei Fra Silenzio! Lei non è come quei che di noi poveri non gli interessa (vedi: don Codaliscia e Allocco-coi-Garbugli), lei è un buon uomo. Ah, se potessi cosa combinerei a quell’infida serpe! Smetterebbe presto di mangiare pane!
    – Cosa volevi fare tu? A cosa ti servirebbe? Solo Lui ci può salvare, solo Lui ti aiuta quando ne hai bisogno! Ron! Confida in Potter!
     Ron abbassò la testa vergognoso, fra Silenzio riprese a parlare.
     – Prometti che non affronterai, che non provocherai nessuno, che ti lascerai guidar da me.
     – Lo prometto.
     Ermione fece un gran respiro, come tolta d’un peso e sussurrò “oh Ron!”.
    – Ora amici miei non disperate, andrò a parlare con quel mariuolo di don Rodrago e vedrò io cosa fare! Domattina vi riferirò tutto, a presto.
     E detto questo s’incamminò; andò in convento, desinò e si diresse verso il palazzotto di don Rodrago.
     Malfoy Manor Il palazzo di don Rodrago era situato sulla cima di una collina, un po’ isolato. Era grande, nero e lugubre. Al di sotto del pendio sorgeva un villaggio di bravi su cui regnava Rodrago. Avvicinandosi al posto s’accorse che il giardino era la casa di una decina di pavoni il palazzo era circondato da avvoltoi, il tutto rendeva inquietante chi guardava verso quella parte.
     Arrivato all’entrata il volto del cancello il vecchio servitore Dobby lo fece entrare e lo portò nella sala da pranzo dove don Rodrago e i suoi ospiti stavano per desinare.
     Accanto a Rodrago era seduto suo cugino milanese il conte Zabino, dall’altra parte c’era il podestà del paese Cornacchio Machelago, di fronte al podestà c’era il dottor Allocco-coi-Garbugli, ubriaco come non mai, e ancora due cugini del Serpeverde non meglio identificati.
     – Signor Rodrago le vorrei parlare in privato per un affare d’importanza. – sussurrò all’orecchio del Serpeverde. – Dopo, dopo! Abbiamo tempo! Si sieda caro frate, so che la sua visita è del tutto disinteressata e che è venuto qui solo per il mio bene.
     – No sul serio, non posso fermarmi più di tanto, insisto nel parlarle immediatamente.
     – Vecchio preside dei miei stivali! Caro frate, nessuno può andarsene dalla mia casa senza aver assaggiato un goccio del mio magnifico vino, facciamoci quattro chiacchiere.
     Così fra Silenzio fu costretto a sedersi insieme ai commensali di don Rodrago e ascoltare le loro idee senza poter dire nulla.
     Gli invitati e don Rodrago dibatterono di tre argomenti: il podestà e il conte Zabino discussero se fosse giusto bastonare l’elfo domestico il messaggero che non ha adempito bene al suo dovere, il conte Zabino affermava che fosse da bastonare, il podestà che si dovrebbe rimettere alla legge, venne chiesto il parere di fra Silenzio che da Grifondoro, filobabbano frate caritatevole qual era disse che sarebbe meglio non ci fossero né sfide né portatori né bastonate; dopo iniziarono a parlare della questione dinastica che aveva colpito i territori della Spagna ed anche questa volta Zabino si ritrovò in contrasto con il podestà Machelago, non volendo rovinare i suoi rapporti con costui, don Rodrago zittì il cugino con un’occhiata gelida; dopo un altro brindisi nacque un discorso sulla magia carestia che trovò tutti d’accordo: non esistono Maghinò esiste la carestia, è tutta colpa dei Nati Babbani fornai, che rubano la magia farina a chi davvero ne ha bisogno, basterebbe impiccarne qualcuno e tutto tornerebbe alla normalità.
     Dopodiché don Rodrago si congedò e invitò padre Silenzio a seguirlo.

 

Spazio Autrice: 
*Bussa timidamente* Emh, c'è qualcuno? Sì, lo so...sono una persona imperdonabile non aggiorno da *inizia a contare i mesi sulle dita* emh...taaaanto tempo! Però tranquilli, non voglio abbandonare questa FF che mi piace tanto :D Ho solo avuto parecchio da fare negli ultimi mesi: la fine dell'anno scolastico, un fidanzamento a giugno, l'estate (che il mio tempo per scrivere sparisce), l'inizio del terzo anno (posso anche morire, ho rischiato lo scoppio del mio cervello). Però ci sono non vi abbandonerò! (credo). 
Beh allora...precisiamo che questo capitolo è un po' cortino perché è corto quello del Manzoni e metà del capitolo sono le discussioni a tavola che, noiose come sono, ho cercato un po' di riadattarle al clima parodistico. Beh, ecco il castello di don Rodrago, libera ispirazione dal Malfoy Manor :P 
Il podestà è stato deciso negli ultimi dieci minuti che doveva essere Maclaggen quindi se il nome e il cognome fanno schifo riadattati così è perché nella mia idea originale non ci doveva essere :S 
Comunque grazie a tutti quelli che seguono, spero continuerete a seguirmi <3 
Grazie a Forelsket, Carpediem_Hades, Elpis, Lulu_Herm, Ells, Trixie, Lady Oonagh, Crookshanks_98 e Sissy_Snape che hanno recensito lo scorso capitolo <3 .
Ora sparisco, spero di tornare (?) almeno per le vacanze di Natale. 
Un bacio, 
MD. 

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