Le relazioni pericolose (ovvero il buon vicinato) di Haruakira (/viewuser.php?uid=98001)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
cap. 1 relazioni pericolose
Le relazioni pericolose
ovvero
il buon vicinato
Questa storia ha
inizio in una tiepida mattinata settembrina nella
piccola città americana di Hidwich, una di quelle simpatiche
cittadine tanto tranquille, con tanto verde, con le villette a schiera
dai delicati colori pastello.
In una di queste
graziose casette, una di quelle gialle, con la
staccionata marroncina intorno a un bel giardinetto con le paperelle in
ceramiche lungo lo stretto viale ciottolato, in questa casa, dicevo,
abitavano due gemelli identici, ma solo nell' aspetto, che in
quel
momento discorrevano
cortesemente del più e del meno.
-Sei una testa di rapa
Saga!- sbottò il minore tra i due- tu socializzi col nemico!
-Col nemico? Col
nemico?-fece stupito l' altro sgranando gli occhi all' inverosimile-
è solo il reverendo. Il reverendo,
Kanon.
-Sì ma un
reverendo idiota che mi ha fottuto il parcheggio. Per colpa sua sono
arrivato tardi al lavoro..-
-Se tu partissi prima da casa...- provò a obiettare il
maggiore, ma l' altro non lo ascoltò neppure continuando
nella sua Filippica.
-E quel bastardo del preside mi ha beccato-
-Aiolos? Ma che dici?
E' impossibile che ti abbia rimproverato è...
-E chi ha detto che mi
ha rimproverato? Mi ha guardato con quella faccia da pesce lesso con
quell' aria indulgente. Tsè, come se lui non sbagliasse mai.
Oh come è perfetto Aiolos!- disse l' altro imitando qualche
signora del posto e guardandosi
intorno alla ricerca di qualcosa- dov' è? Dov'
è?-
borbottava girando la testa a destra e a sinistra con scatti veloci
-E ora che diavolo
cerchi?- sospirò il maggiore seguendolo.
-Cerco... cerco il
telecomando- rispose Kanon, così velocemente
che Saga quasi fece fatica a capire che avesse detto il gemello, poi
realizzò:- Tu! Tu! Ma dove hai la testa? Ma che fai te li
mangi
i telecomandi? Ah- fece poi vittorioso adocchiando l' oggetto
incriminato accanto al piede del tavolino del salotto-lo vuoi il
telecomando?- chiese con ara di sfida.
-Sì-
ribattè Kanon senza pensare
-E prenditelo!-
urlò Saga gettando il povero telecomando contro
la faccia del fratello che spostatosi velocemente riuscì a
non
ritrovarsi un occhio nero o il naso gonfio. Sì, peccato che
il famoso
telecomando fu catapultato fuori dalla finestra andando a finire dritto
in fronte al povero Doko Liang che l' unica cosa che aveva fatto di
male era stata quella di passare da lì, dal civico numero
tre,
dove abitavano quei due scapestrati, in bicicletta.
Doko Liang, medico
esimio del paese, dall' età imprecisata e
imprecisabile, era buono quanto saggio, padre di due bambini a loro
volta già
saggi e tranquilli, anche troppo, Shyriu e Shun-Rei.
-Doko! Doko!-
urlò un disperato Sion correndo a soccorrere il
malcapitato in compagnia dei suoi pargoli, Mu di vent' anni, ragazzo
tranquillo e pacioso e studente di giurisprudenza, per essere un giorno
un giudice imparziale come il padre, e Kiki un monellaccio di sette
anni che in quel momento se la stava ridendo della grossa.
-Kiki!- lo
ammonì il maggiore inutilmente mentre l' altro si rotolava a
terra dalle risate.
-Che è
stato?- chiese Doko massaggiandosi la fronte offesa tutti intontito- un
missile terra-aria?
-No, un telecomando-
precisò Sion aiutandolo a rialzarsi
-Che succede qui?-
giunse a domandare Angelo Mancino, fidato meccanico
dai prezzi esorbitanti mentre si ripuliva le mani sporche di benzina.
-Succede che quei due
impiastri ne hanno combinata un' altra delle loro!- si
lamentò Sion
-I gemelli?- comprese
subito il giovane.
-Già.
-Mh. Passate in
farmacia da Phro che grazie a quei due si sta
arricchendo- consigliò Angelo, detto Death Mask a causa
dell'
insana passione per film horror e affini, sghignazzando.
E farmacia fu.
Il povero Doko
zompettò all' interno del negozio abbarbicato
compleatamente al giudice, anche egli, è doveroso dirlo,
dalll'
età indefinita e indefinibile, chi dice venticinque anni,
chi
trenta, chi quaranta, chi cento, chi addirittuara duecentocinquanta.
-Che è
successo qui?- domandò il farmacista con un sorriso radioso
e felice di far tintinnare ancora la cassa
-Un telecomando
è volato fuori dalla finestra della casa dei
gemelli e questo è il risultato- spiegò Shura che
silenzioso sul posto aveva osservato tutta la scena- a proposito-
chiese a un Doko ancora intontito l' abile poliziotto- vuole sporgere
denuncia?
-No, no- disse
stancamente l' uomo- sarà stato un caso.
-Un caso? E' la terza
volta in questo mese che ti capita!- fece notare
Sion mentre Aphrodite consegnava al povero sventurato ghiaccio, bende e
medicine non ben definite.
-E che me ne faccio
delle supposte?- chiese Doko al bel farmacista
Aprhodite fece
spallucce:-Eh, non si sa mai, non si sa mai cosa possono combinare quei
due.
Intanto prendile. Paghi quaranta dollari tondi tondi- rispose amabile
staccado lo scontrino e facendo impallidire il povero medico.
-Allora se qui nessuno
ha bisogno di me io me ne ritorno in ufficio-
sospirò Shura ormai rassegnato al fatto che in quella
cittadina
non capitasse niente di niente.
-Dov' è il
tuo collega?- gli chiese Sion raggiungendolo.
-In pasticceria da sua
madre- Shura guardò l' orologio- pausa ciambella. Credo che
lo raggiungerò.
Il nuovo reverendo era
un giovane ben messo a detta di Aprhodite. Era
un peccato che avesse deciso di dedicarsi a quel ruolo ingrato. A
complicare le cose c' era anche il fatto che fosse sposato. Il
farmacista non era mai stato un uomo particolarmente credente, affatto,
ma quella domenica aveva deciso di poter sopportare qualche sermone e
rifarsi gli occhi. Gli pareva un po' imbranato a dire il vero e troppo
giovane. Ma del resto chi era lui per meravigliarsi? Era un bene che ci
fossero vocazioni così interessanti.
Alla fine della
cerimonia il farmacista fermò il giovane:-
Reverendo- trillò porgendogli la mano- molto piacere, sono
Alex
Brahe, il farmacista, mi chiami Aphrodite- e qui ammiccò
strusciando la propria mano controquella dell' altro prima di lasciarla
andare
completamente- venga da me per qualsiasi cosa. Qualsiasi.- sottolineò
-Ehm... ah...
sì, piacere signor Brahe.
-Aphrodite- lo
corresse.
-Aphrodite. Sono il
reverendo Martakis. Aiolia. Mi chiamo Aiolia.- si
guardò intorno imbarazzato. Ma tu guarda se il primo che
doveva
andare a conoscere era un gay che ci provava con un sacerdote. Era
insensato!- Ah, cara, vieni!
Una bella ragazza
bionda e con gli occhi azzurri, o per lo meno
Aphrodite ne era quasi certo -doveva essere così visto che
era
bionda- ma con gli occhi chiusi, si avvicinò ai due.- Ecco,
signor Brahe.
-Aphrodite-
sbuffò picchettando il piede a terra.
-Aphrodite-
ripetè Aiolia- questa è mia moglie Sha...
-Perchè si
è fermato? Sha...?
-Sha...
Sha...-balbettò guardando in alto come se il nome fosse
scritto sul tetto
-Kira- aggiunse la
signora con foga- Shakira tutto attaccato.
-Ah- Aphrodite
sorrise- Shakira. Ma che bel nome! E' così esotico! E dica,
di dov' è? Spagna, Argentina, P-
-India.
-India?- E no, questo
era troppo!- Ha madre tedesca o chessò, svedese...?
-No.
-E' indiana, indiana?
-Sì.
-Ah, va bene... io...
io devo andare. Il dovere mi chiama- fece
Aphrodite dirigendosi verso Death Mask a passo di marcia. Questo non
era affatto giusto. Cioè, fosse stata mezza svedese o
tedesca o
russa, avrebbe anche potuto accettarlo. Ma
così no, cazzo. Lui era svedese, tutto svedese, TUTTO, ed
era
costretto a tingersi i capelli di biondo!
Aiolia
guardò la sua consorte:- No, ma... secondo te funziona?
-E perchè
no? Non lo vedi quanto sono strani? Lo sai che il poliziotto grassone
muore dietro alla maestrina della scuola? Tipico. E che il meccanico si
mette all' ultimo banco perchè così
può dormire durante il sermone? Se non ti senti tranquillo
c' è la signora Mancino che fa le carte.
-Le che?
-Legge il futuro.
-Mh. Ti sei
integrat...Ta. Integrata bene, vedo.
La donna si
umettò le labbra prima di afferrre il reverendo per
la collottola ringhiando:- Io sto facendo la mia parte, bello. Ho
sopportato per tutta la mattinata le vecchie del paese e le casalinghe
pettegole del club di cucito, ti conviene calarti come Cristo comanda
nei panni di un fottuto reverndo! Ci siamo capiti?!
Aphrodite,
Shura, Death Mask e Aldebaran erano seduti all' interno della
pasticceria dei genitori dell' ultimo. La conversazione languiva, ormai
avevano parlato di tutto, del mal di schiena di Doko, del fatto che
secondo la mamma di Death la linea dell' amore di Shura al momento
faceva abbastanza schifo, della vicina di Phro che era spuntata il
giorno prima con un paio di tettone, fino all' arrivo del nuovo
reverendo e consorte.
-Che palle, non
succede mai niente qui- sbuffò Shura.
-Lo ripeti sempre, non
puoi accontentarti di una vita tranquilla?- domandò Aldebaran
-Ma è vero
che non succede mai niente.- obiettò quello.
-Si vede che non
abbiamo un cazzo di cui parlare- si intromise Death notando a quali
livelli stava scendendo la conversazione.
-Bello il lampadario
nuovo- affermò con noncuranza Aphrodite indicando il tetto.
Death Mask
confermò quanto aveva appena detto prima:-Appunto.
-Non succ..Ehi ma che
diavolo è quel coso?!- Shura saltò all'
improvviso sulla sedia protendendosi verso la vetrina del negozio.
-Sembra un carro
armato- ipotizzò Aldebaran
-Oh. Oh. Oh. Oh.
-Death- Aphrodite
guardò l' italiano- ma ti pare il momento di mettersi a
imitare Babbo Natale?
-Coglione, anzi
coglioni, quello non è un carro armato. E' un automobile
blindata con i vetri oscurati.
I quattro si
guardarono con la medesima idea nella testa.
Shura si
alzò con ostentata calma:- Bene, io vado a pagare.
Gli altri lo seguirono
ad uno ad uno, arrivati alla porta si guardarono nuovamente:-
Seguiamolo!
-E Cazzo! Non passiamo
tutti assieme. Non ci entriamo- urlò Death una volta che si
incastrarono nella porta del negozio.
-Madre de Dios-
sospirò mamma Rodrigues- questi giovani moderni.
I quattro camminarono
con noncuranza dietro all' auto:- Perchè va così
lenta?!- sbottò Aphrodite.
-Forse non sa la
strada- a rispondere Aldebaran.
Death si
bloccò:- Si ferma.
-E' vicino la casa di
Grandier- notò Shura prima di sentirsi trapanare il timpano
da Aphrodite e sentire un tonfo. Quando si girò se lo
ritrovò svenuto al suo fianco.
Quando Aphrodite
rinvenne si trovava nel proprio letto.
-Perchè sei
svenuto, idiota?- domandò Death Mask astioso.
-Oh no, me lo sono
perso- pigolò l' altro.
Death Mask
sbuffò:- Che ti sei perso, sentiamo?
-Milo.
-E chi diamine
è questo qui?
Il farmacista era
scandalizzato di fronte a tanta ignoranza:-Ma come? Non sai chi
è Milo?! Il Magnifico Milo!
L' altro si
limitò a un cenno negativo con la testa.
-Cioè, ma
dove vivi? E' una rock star famosissima.
-E che cazzo c'
è venuto a fare qui?
-Cosa vuoi che mi
importi, so solo che è è meraviglioso.
-Una rock star, uhm?-
chiese l' altro pensieroso, poi ghignò- sta vicino al
ragioniere. Ci sarà da divertirsi.
DISCLAIMER: Saint Seiya e i suoi personaggi non mi appartengono ma sono
degli aventi diritto. La storia non è scritta a scopo di
lucro.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
c. 2 il buon vicinato
Camus
Grandier era sempre stato uomo assai colto e pacato. I più a
dire il vero lo definivano gelido -e frigido- come una zitella.
Era un giovane meticoloso e preciso in tutto quello che faceva, amava
la lettura e il teatro e odiava le chiacchiere e le perdite di tempo.
Ma le stelle, gli era stato evidente da quando era giunto in quella
ridente
cittadina, erano avverse perchè di chiacchieroni,
fannulloni e perdigiorno là ve ne erano di certo i campioni.
Ogni giorno finito il lavoro, Camus Grandier passava dalla pasticceria
dei signori Rodrigues per fare incetta di calorico affetto.
Ogni giorno
incontrava all' interno del locale il farmacista, il meccanico e a
volte un paio di poliziotti.
Ogni giorno il farmacista lo invitava a sedersi un poco con loro per
discorrere dei massimi sistemi del mondo conosciuto e ogni benedetto
giorno Camus Grandier non aveva le forze di sottrarsi a quello
sgradevole rito che lo faceva ritornare a casa con i nervi a fior di
pelle, un po' per l' insistenza del suo invadente e autoproclamato
amico, un po' per educazione in quanto sarebbe stato parecchio scortese
rifiutare
un tanto accorato invito.
Aphrodite era convinto infatti che
fosse la missione della sua vita -chi gliela avesse affidata poi non si
sa- e
questione di vitale importanza informare l' intera cittadina di quanto
avveniva. Se uno, per dire, voleva sapere quante volte Dhoko Liang si
facesse la doccia allora doveva chiedere ad Aphrodite. Se uno, per dire
ancora, voleva sapere se realmente la signora Robins avesse una tresca
con l' idraulico e quante volte si vedevano, lo facevano ed
eventualmente come e cosa si dicevano, allora bastava chiedere sempre a
lui, tanto che Camus, per quanto fosse in parte ammirato da un simile
talento spettegolatorio -e più volte si chiedeva come
diavolo
facesse quell' uomo a sapere tutto di tutti- da fare invidia ai servizi
segreti mondiali, non poteva fare a meno di chiedersi perchè
Aphrodite avesse aperto una farmacia e non invece una rivista
scandalistica.
Avrebbe di certo fatto milioni a palate.
Era stato proprio il farmacista a dirgli che nel terreno attaccato alla
sua casa avrebbero costruito una villetta ancor prima che iniziassero i
lavori -o che più probabilmente lui, con la testa per aria
che
aveva, se ne accorgesse.
L' unica cosa in cui si era sbagliato era che quella non era una
villetta, no, era un mostro edilizio tinteggiato nella maniera
più assurda, con tonalità che andavano dal rosso
all'
arancione al giallo.
Persino i fiori erano una tale orgia di colori da diventare un pugno
nell' occhio dell' ignaro passante.
L' effetto era ancora più sorprendente se quell' orgiastico
obbrobrio veniva messo a confronto con la normalissima e assai anonima
casetta che lo fiancheggiava. Era una casa bianca e grigia quella di
Camus, con un piccolo giardino dall' erba rasa e ordinata e il viale
ricco di ciottoli chiari che portava all' ingresso. Nulla era sporco o
fuori posto, persino le foglie autunnali sembravano avere timore di
entrare in quel santuario di assoluto ordine.
Camus era finito nella ridente città circa un anno prima, il
giovane era infatti il rampollo orgoglioso di un' antica dinastia di
ragionieri e affini.
Un suo stimato antenato fu il tesoriere fidatissimo di Filippo il
Bello di Francia perchè sì, nel caso ci fosse
ancora
qualche dubbio, Camus era francese dentro, fuori e intorno.
Nella sua famiglia vigeva la tradizione che i figli ragionieri si
spostassero in altre città, paesi e addrittura nazioni per
colonizzare di volta in volta il territorio scelto con il loro sommo
ingegno di ragionieri e accrescere in questo modo il prestigio della
famiglia.
Così suo nonno era emigrato in America e suo padre e i suoi
zii
avevano esercitato la sacra arte del numero in varie città,
lo
stesso avrebbero dovuto fare lui e i suoi fratelli. Il minore, Hyoga,
un ragazzetto di quattordici anni, stava già venendo
adeguatamente
indottrinato, lui aveva scelto quella piccola
città più per la vicinanza a casa che per altro,
infine
Degel, il maggiore di tutti, era finito a New York.
E qui c' è un problema perchè Degel faceva il
professore.
E questo già era stato un
colpo grosso in famiglia visto che il
nonno per poco non lo diseredava, papà Hugo
non si
strangolava col caffè quando lo aveva saputo. Il
ragazzo
era riuscito a salvare
capre e cavoli solo perchè aveva promesso che avrebbe
insegnato
matematica ed entro la fine dell' anno si sarebbe sposato con una
ragazza francese e avrebbero sfornato dei piccoli ragionieri.
La fine dell' anno era sempre più vicina ma ancora Camus non
sentiva aria di matrimonio provenire dalla zona di New York. Iniziava a
pensare che la parte di eredità sua e di Hyoga si sarebbe
ben
presto accresciuta.
Quando Camus tornò a casa trovò nella sua anonima
cassetta postale una busta rossa con tanti piccoli scorpioncini dorati
a far da cornice. Fece una faccia schifata e iniziò a
massaggiarsi la pancia mentre rientrava nervosamente a casa.
Si tolse il cappotto, posò i dolci e la busta sul tavolo in
cucina e si andò ad infilare un indumento più
comodo,
ovvero il pigiama. Fece capolino sull' uscio della piccola cucina un
poco intimorito, sostò sulla soglia buttando uno sguardo al
divano, tentato di abbandonare lì la busta e afferrare
soltanto
i dolci ma alla fine il suo senso del dovere e anche una buona dose di
curiosità fecero il resto.
Camus scartò il pacchettino di dolci quasi con dispiacere
perchè la signora Rodrigues usava dei nastrini davvero
carini
per abbellirli, ma come dice il proverbio "allo stomaco non si comanda".
Afferrò una pasta al cioccolato e tirò fuori il
fogliettino che era all' interno della busta. In quel frangente, con
gli occhi fissi sul folglietto e la pasta che gli otturava
completamente la bocca in una posa poco epica, si domandò se
fosse il caso di ridere o piangere. Ingoiò in fretta un
pezzo di
pasta tossicchiando per scoppiare infine in una sonora risata.
Non aveva neppure più mal di pancia.
La faccia del suo vicino di casa troneggiava in posa figherrima -o per
lo
meno lo doveva essere secondo quel tizio che lui aveva già
catalogato come
deficiente visto che per Camus non era affatto così, tanto
che il vicino gli pareva una scimmia che cercava di imitare Cleopatra
sul sofà- su uno sfondo colorato, sotto a chiare lettere lo
si
invitava ad un party. Non ad una festa, ad un party, badate bene.
"Fossi matto!", pensò il francese prima di piegare l' invito
per un paio di volte e gettarlo nel cestino della spazzatura in
cucina, infine ritornò indietro per buttarsi comodamente sul
divano e papparsi finalmente le sue adorate paste.
Kanon era arrivato di nuovo tardi a scuola, sempre per colpa del
reverendo. Prima o poi, aveva deciso, gli avrebbe tirato il collo come
a una gallina.
Se ne stava tornando a casa fresco fresco di un' idea geniale da
somministrare al più presto al gemello quando
passò nei
pressi di casa Grandier senza, per dire la verità, notarla.
Ciò che attirò la sua attenzione fu infatti la
costruzione super figa che si ergeva al suo fianco. Quella casa era uno
spet-ta-co-lo! Ti investiva in pieno con quell' esplosione di colori
che sembrava catapultarti in un altro mondo. E poi era una casa per
ricconi, si vedeva. Sospirò ebete e si
incamminò verso il supermarket ricordandosi che mancavano
latte e farina, se non li avesse presi Saga non avrebbe potuto fare la
torta e se Saga non poteva fare la torta se la prendeva con lui.
-Che palle- sospirò varcando la porta scorrevole. Due
secondi dopo il suo cellulare squillò al ritmo di "Ai se eu
te pego"
-E adesso che diavolo vuole?- si chiese affranto prima di rispondere-
Ehi, Saga... che c' è? Che ti serve? Sì, sono al
supermercato. Perchè sono già al supermercato...
storia lunga, poi ti spiego. Va bene, yogurt greco... sì, lo
so che è per la torta. Greco, ho capito. Non sono stupido!
Kanon chiudendo la chiamata pensò davvero che certe volte
gli sembrava di essere sposato con Saga invece di esserne il fratello,
la cosa personalmente, manco a dirlo, gli faceva paura assai,
così tanta che non la augurava a nessun disgraziato. Neppure
al suo peggior nemico.
No, forse a pensarci bene al suo peggior nemico sì.
Volendo se si impegnava poteva cercare di combinare un matrimonio,
così non solo si liberava di suo fratello ma già
che c' era avrebbe inflitto una dolorosa sconfitta al detto nemico. Ora
doveva solo scegliere a quale dei suoi odiati avversari infliggere una
così ria sorte.
Trotterellò soddisfatto verso i banchi frigo, ormai quel
supermercato lo conosceva meglio di chi ci lavorava visto che il
gemello lo trascinava ogni sabato mattina a fare la spesa.
Adocchiò in lontananza l'ultimo scatolo di yogurt e si mise
a correre non appena vide un' altra testa diretta nella sua stessa
direzione direzione. Doveva averlo a tutti i costi altrimenti Saga
avrebbe dato tutta la colpa a lui comportandosi come una pazza isterica.
-Mio!- gridarono i due contendendi afferrando nello stesso istante la
confezione.
-L' ho visto prima io- ringhiò Kanon
-Ma io l' ho preso prima- ribattè l' avversario con il
medesimo tono.
-Cazzate. L' ho preso prima io.
-Dimostralo- lo invitò a fare l' altro senza mollare la
presa sullo scatolo.
-Che?! Ma sei scemo. Lascia questo dannato yogurt. Mi serve!
-Anche a me serve! Io mangio solo yogurt greco.
-E per questa settimana non te lo mangi.
-No!
-Ti ho detto che mi serve questo cazzo di yogurt... ho una moglie
incinta a casa!- ululò Kanon
In quell' istante esatto il cellulare di Kanon squillò
nuovamente:- Che c' è Saga? Non è il momento. Che
ti serve? Anche... ma cazz... e non potevi dirlo prima?
Continua a parlare a rate mi raccomando.
Il ragazzo di fronte a lui rimase sorpreso lasciando la presa dallo
yogurt, si umettò le labbra abbassando leggermente lo
sguardo e rialzandolo subito dopo:- Certo che... hai una suoneria
fighissima!
Kanon pescò un sorriso enorme, finalmente qualcuno che lo
capiva:- Vero, eh?! Pensa che a mio fratello fa schifo.
-Non capisce niente. Vuoi sentire la mia?- il ragazzo tirò
fuori il telefonino facendo partire "Tacatà" e iniziando a
dondolarsi insieme a Kanon a suon di musica.
-Io la ascolto sempre, tu si che hai gusto. Ah- Kanon sembrò
ricordarsi solo in quel momento di un particolare importante e
tese la mano libera verso l' altro- piacere io sono Kanon
Avèrof.
-Milo, piacere mio.
-Ah... quel Milo. Sì, sì, ora è
chiaro, in effetti mi pare di averti già visto da qualche
parte. Sì! Aphrodite ha un poster grosso così- e
mimò il "così" con le braccia- in
farmacia.
-In farmacia? Bho... ormai non mi stupisco più di niente- e
Milo in quel momento pensò alla ragazza che aveva fatto lo
strip sotto casa sua o al maggiordomo che gli rubava le mutande per
rivendersele su ebay.
-Senti, mi stai simpatico ma... a me lo yogurt serve veramente.- disse
accorato Kanon stringendogli il braccio e guardandolo dritto negli
occhi per comunicargli in maniera efficace quel veramente. Volendo
visto che aveva lo yogurt in mano sarebbe potuto scappare a gambe
levate verso la cassa -e lo avrebbe fatto se quel ragazzo non fosse
stato così simpatico- ma non gli sembrava giusto in quel
momento.
Milo sospirò:- E va bene, però vieni alla festa
che organizzo sabato per inaugurare la casa.
Kanon annuì vivacemente e lasciò il suo numero di
cellulare all' altro, non era mica scemo. Aveva la
possibilità di vedere la casa dei suoi sogni e nello stesso
tempo di mangiare a sbafo e fare un po' di casino giustificato, non si
sarebbe fatto scappare l' occasione.
-Porta anche tuo fratello se vuoi- gli disse Milo prima di lasciarlo.
-Nha... meglio di no.
Adesso doveva tornare indietro e passare dalla farmacia
perchè erano finite le supposte nel caso a qualcuno venisse
la febbre. Lui le supposte ovviamente non le usava, se ci teneva che lo
facesse quello stupido di Saga.
Quando Shion quel giorno mise piede in farmacia per comprare la
boccetta di lassativi, chè era stitico di natura come sua
madre e le sue zie, la prima cosa che fece fu quella di coprire gli
occhi al figlio maggiore che lo aveva accompagnato, uscire camminando
all' indietro e mollare Mu ad aspettarlo fuori un secondo
perchè quello stava diventanto un luogo di perdizione.
-A... Aphrodite...
-Dimmi Shion. I lassativi vero?- e qui sorrise con la faccia di uno che
la sa lunga.
Shion si schiarì la voce resistendo all' insana voglia di
urlare come un ossesso.
La porta si aprì un pochino mostrando la testa bionda del
figlio che pigolò:- Papà qui inizia a piovere.
Il giudice emise un urlo belluino fiondandosi a sbattere fuori il
ragazzo:- Non ti muovere- gli disse attraverso il vetro.
Aphrodite dal canto suo aggrottò le sopracciglia nel vano
tentativo di capire che diamine avesse il giudice. Del resto l'
età probabilmente c' era e forse iniziava a uscire fuori di
banana.
-Aphrodite- Shion fece la voce grossa guardandosi intorno con sdegno-
ti potrei denunciare per queste immagini... pornografiche. Questa
è una farmacia. Non puoi tenere immagini di gente nuda.
-Mi offendi, Shion. Queste sono foto artistiche, del Magnifico Milo per
di più.
-Non me ne frega niente di chi sono! Tu le chiami immagini artistiche,
io qua vedo solo cul... sederi al vento! Toglile. Toglile o ti faccio
chiudere. Questa non è una farmacia ma un... un bordello,
ecco!
Shion si richiuse la porta alle spalle con un tonfo rumoroso e
indignato, era decisamente troppo pudico. Si scandalizzava per un
semplice calendario. Ma allora che avrebbe fatto se avesse visto la sua
collezione di giochi erotici?
Proprio pochi minuti dopo il giudice rientrò afferrando gli
indispensabili lassativi. Una volta a casa proibì ai due
figli di mettere piede nella farmacia di Brahe.
Shakira era andata a fare la spesa di buon mattino quel giorno, aveva
visto due deficienti che litigavano per uno scatolo di yogurt, un
ragazzino sostare scioccato davanti ai dei giornaletti di
dubbia moralità, il medico del paese
dondolarsi indeciso nel reparto dei vini e infine un
omaccione rigirarsi tra le mani due scatole di cioccolatini. Si
avvicinò al tizio afferrando una confezione di cioccolata al
latte a forma di cuore e mettendola nel proprio carrello. Ovviamente
non era per Aiolia ma per sè.
Il tizio si voltò verso di lei con un sorriso gentile:- Lei
è la moglie del signor reverendo vero?
Shakira assottigliò gli occhi chiusi diffidente e l' altro
dovette notarlo in quanto, pensandola cieca, la rassicurò
dicendo:- Sono Aldebaran Rodrigues, uno dei poliziotti del paese. Ha
conosciuto mia madre, ricorda?
Shakira fece mente locale e sì, in effetti si ricordava di
un pezzo di torta piuttosto gustosa e di una signora che non si
spiegava perchè il suo figliolo non avesse ancora trovato l'
anima gemella.
In quel momento Shakira grazie al suo sovrumano ottavo senso
intuì che il giovine era ancora zitello perchè
affetto da imbranataggine permanente.
-Sì, ricordo- disse con voce pacata quella che ad Aldebaran
parve subito una santa donna- sua mamma è molto gentile.
-Già ed è anche un ottima cuoca- Aldebaran rise
gioviale mentre Shakira a giudicare dalla stazza del ragazzo non poteva
che crederci senza dubbi- vorrebbe che mi sposassi- attaccò
dopo qualche secondo con la faccia da cane bastonato.
Shakira pensò che a lui, cioè a lei, non gliene
poteva fregare di meno ma non poteva tradirsi a quel modo, doveva fare
la sua parte per quanto tediosa potesse essere:- E dica, c'
è per caso qualcuno nel suo cuore?- domandò
prendendo dalle mani una delle scatole che il poliziotto teneva tra le
mani.
-Bè... sì- Aldebaran si grattò la
testona imbarazzato- ma non so mai come comportarmi con lei.
Tipico, pensò Shakira. Era ovvio, come nella sua testa era
ovvio che il poliziotto e la maestra -perchè era la maestra
del paese, lo sapeva- si sarebbero sposati, avrebbero deliziato il
mondo con una carrellata di marmocchi tali che sarebbero benissimo
potuti passare per una squadra di calcio, sarebbero diventati nonni,
avuto una famiglia unita e felice che non perdeva occasione per
riunirsi e mangiare rompendo le scatole ai vicini per quanto avrebbero
fatto casino con il loro chiacchiericcio e infine avrebbero tirato le
cuoia senza dolore dopo una vita lunga e serena. Fine.
-E lei chi è?- chiese ugualmente.
-Si chiama Flora Gelsomino. Insegna alla scuola elementare.
-E' davvero un bel nome, mi pare di non averla ancora incontrata.
-Oh, lo farà presto. Viene in chiesa ogni domenica e fa
parte del coro.
Shakira sorrise, per poco non moriva dal diabete:- Le regali questa
scatola di cioccolato e un mazzo di fiori senza scordare i gelsomini e
la inviti ad uscire, mio caro.
-Ma sono timido
E che cazzo.
-Allora le scriva una lettera e le lasci tutto da qualche
parte, lei lo trova ed è fatta- ringhiò
spazientito alzando i tacchi.
Aldebaran la salutò con la mano ringraziando vivacemente la
santa donna.
Solo che gli sorgeva il dubbio... ma come faceva a camminare senza
bastone e a sapere esattamente dove si trovasse il cioccolato che aveva
nel carrello?
Doveva proprio essere baciata dagli dei. Magari aveva delle
capacità miracolose.
Aldebaran sostò ancora tra gli scaffali, poi gli sovvenne
una cosa:
-Kanon ha una moglie incinta???
-----------------------------------------------------------------------
NOTE: Allora, sulle due canzoni che sono state citate non ho alcun
diritto anchè perchè non penso di avere un colpo
di cisiamocapiticosa tale da fare una barca di soldi con un paio
di canzoncine che personalmente mi hanno trapanato
il cervelletto senza che io potessi oppormi.
Perchè sono dappertutto o.O
Per il resto vi ricordo sempre che io l' OOC l' ho messo e
che questa è una storia leggera e senza pretese soprattutto
nei primi capitoli, se gli dei vogliono qualcosa di decente e magari
fluffloso potrebbe arrivare in seguito, inoltre, ancora non ne sono
sicura, ma potrebbe esserci qualche incursione di qualche personaggio
pescato dal Lost Canvas, ma ripeto non ne sono sicura perchè
già la storia è incasinata così.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
c. 3 il buon...
Kanon era arrivato alla festa
con
l' intento di divertirsi e far casino. La prima cosa che aveva chiesto
a Milo era stata un "ce li hai gli alcolici, vero?"
I
suoi nobili propositi si erano stati distrutti non appena tra
la folla aveva distinto chiaramente Aiolos e il sindaco.
-Ehi,
bastardo, cosa ci fai qui?
Aiolos
aveva sorriso imbarazzato:-Bastardo è un brutto termine non
trovi?
E
Kanon pensò che il preside
fosse proprio ottuso se ancora non era arrivato a capire che gli stava
sui suoi nobilissimi goielli di famiglia.
-Non
potevo rifutare l' invito. Sarebbe stato scortese. Saga non c'
è?
Una
lampadina si accese nella testa
del minore dei gemelli che iniziò a ridere in maniera
inquietante avvicinandosi al povero preside:-Saga, uhm? Cerchi Saga.
-Er...
sì- Aiolos
annuì con un groppone alla gola, Kanon gli aveva circondado
il
collo col braccio. Che fosse geloso del fratello? Era probabile. Del
resto anche il suo fratellino da bambino era stato piuttosto possessivo
nei suoi confronti.
Kanon
sospirò:- Saga non
c'è. E' a casa- e lo disse con uno sgurdo carico di
allusioni
che però Aiolos non colse- sai potresti andare a trovarlo.
-Oh,
non mi sembra il caso. Non vorrei disturbarlo.
-Ho
detto... potresti andare a trovarlo.
-Ma
non mi-
-HO
DETTO....
-Ok,
ok
E
Aiolos, grazie al cielo era velocemente uscito di scena salutando
velocemente Milo.
-Milo.
Perchè l' hai invitato?
Il
ragazzo fece spallucce:- Ho
invitato un sacco di gente. L' ho visto per strada e siccome aveva una
faccia simpatica gli ho dato l' invito.
Kanon
scosse la zazzera bionda:-
Non farti ingannare dalle apparenze. E' un diavolo. E il sindaco?- il
ragazzo indicò la donna che si guardava intorno smarrita.
-Mi
deve dare il benvenuto. Ora si
mette al centro della sala, fa il discorso e se ne va. Non
preoccuparti, poi possiamo divertirci.
-Uhm
La
donnina fu accompagnata dal
cantante al centro del grande salone e iniziò, prima
timidamente, poi con maggior fermezza a blaterare qualcosa che a Kanon
non interessava affatto su quanto Milo avrebbe dato lustro alla
città e cose del genere. Piuttosto si diresse nella zona del
buffet deciso a rimpinzarsi prima che iniziasse la ressa.
Sì,
era proprio una buona idea.
Quando
Milo finalmente
salutò la signorina Kido, Kanon era ormai sazio. Prese una
bottiglia di vodka e con un colpo di sedere ben assestato
mandò
giù il dj dal palco prendendo possesso della consolle.
Shaka
faceva avanti e indietro per
il salotto sotto gli occhi di un Aiolia visibilmente turbato. Dopo l'
ennesimo su e giù si fermò davanti al ragazzo,
una mano
stizzita sul fianco:- Perchè diavolo non possiamo andare
alla
festa?
Aiolia
sospirò per la
millesima volta. Aveva già risposto a quella domanda almeno
una
decina di volte:- Perchè io sono un reverendo...
-Io
no.
-E
tu sei la moglie di un reverendo- continuò- e quella
è un festa non adatta a un reverendo e alla sua consorte.
-Chi
te lo dice?
-Il
fatto che ci sia Kanon?
-Ma
abbiamo avuto l' invito!
-Ho
già declinato quando Milo me lo ha consegnato, mi dispiace.
-Tch.
Sei un idiota.
-Devo
per caso ricordarti che
è colpa tua questa situazione, Shaka? Se tu non avessi
rubato il
portafortuna della squadra di footboll dell' Horizon a quest' ora non
ci saremmo dovuti dare alla macchia.
Shaka
agitò la mano per aria arricciando il naso:- Era solo un
vecchio calzino bucato. E puzzolente.
-Era
quello del fondatore della squadra!
Shaka
fece spallucce:- Loro non avrebbero dovuto mettersi contro la nostra
università (o contro di me).
-La
nostra università ci ha
disconosciuti! Ci stanno dando la caccia. Hai creato un incidente
diplomatico, te ne rendi conto?!
Il
biondo aggrottò le sopracciglia:-A cuccia, gatto. Non stiamo
parlando della sicurezza mondiale.
Aiolia
abbassò la testa
completamente afflitto con le mani tra i capelli-Meno male che il
vecchio reverendo aveva fretta di andarsene.
-Tch.
Quel ciccione se n' è andato alla Bahamas.
Aiolia
si alzò all'
improvviso urlando nel panico pià totale:- Dobbiamo
restituire
quel calzino! Non ce la faccio più! Non-
Shaka
lo buttò sul divano
schiacciandolo sotto il suo peso agguantandogli il collo con le
braccia:- No- ringhiò al suo orecchio- e calmati, stupido!
-Tu
sei troppo vendicativo!
-Può
darsi. Ma il calzino
per il momento rimane con me. Devo pensare alla prossima mossa. Quegli
idioti faranno quello che vogliamo.
-Ahia,
Mi fai male!
Shaka
allentò la presa senza
però togliere le braccia dal collo dell' altro o abbandonare
la povera schiena dell' altro su cui era messo a cavalcioni. Aiolia si
girò lentamente e sospirò:-
Io nemmeno c' entro niente in tutta questa storia.
-Sei
un amico schifoso.
Il
ragazzo sorrise mettendogli le mani sui fianchi:- Sono qui, no?
Camus
pensava
che era umanamente impossibile fare tutto quel fracasso a
un' ora così tarda. Perbacco! Erano già le undici
passate
e lui avrebbe dovuto dormire già da un' ora almeno. Era
indubbiamente colpa del vicino e della sua sciocca festa. Oh, ma non
poteva andare avanti così, non avrebbe più
permesso a
quell' essere di continuare ad attentare impunemente al suo udito
nè tanto meno di contribuire all' inquinamento acustico dela
città.
Sospirò pesantemente e si alzò dal letto con
calma
estrema, si infilò le inseparabili pantofole a forma di
coniglio e
ciabattò lentamente dalla propria casa fino a quella del
vicino.
Suonò una volta e attese pazientemente. Due volte. Tre
volte.
Quattro volte. Cinque. Sei. Sette.
L' occhio destro inizio a socchiudersi a scatti in maniera
impercettibile. Non aveva una pazienza inesauribile, anzi. A voler
essere onesti era incazzato nero ma la discpilina di cui si fregiava
gli
imponeva di non darlo a vedere. Se non fosse stato così
arrabbiato non si sarebbe scordato di mettersi addosso qualcosa invece
di presentarsi da quel degenerato del suo vicino in pigiama.
Strinse i denti e chiuse le mani a pugno sentendo le unghie contro la
pelle. Perchè diamine non aveva preso per lo meno la
vestaglia?
Era colpa di quel capellone. Solo colpa sua.
Stava per suonare -ancora- dopo di che avrebbe buttato già
la
porta a calci se si fosse reso necessario ma finalmente, miracolo dei
miracoli, l' idiota si era degnato di venigli ad aprire. Camus
notò la sua faccia stupita -e stupida- nel trovarselo
davanti,
poi il sacco della spazzatura che reggeva nella mano destra.
-Buonasera- iniziò il rosso.
Milo si sciolse in un grosso sorriso:- Ciao!
A Camus scattò il sopracciglio sinistro verso l' alto:- La
invito a darmi del lei, non mi pare di conoscerla.
Il biondo lo guardò nuovamente stupito. Come faceva ad
alzare un solo sopracciglio?!
-Se vuole facciamo anche del voi- scherzò.
-Forse voi gente dello spettacolo siete a corto di buone maniere- il
sopracciglio rimaneva ostinatamente alzato, le braccia si erano andate
a incrociare elegantemente sul petto e Milo pensava che nonostante il
pinguino avesse una faccia da schiaffi e una superbia pari a
quella di un pavone che si gonfia le penne, qualcosa nelle sue mutande
iniziava decisamente ad agitarsi. Tipo un idrante fuori controllo.
-Forse- annui sornione. Se avesse visto quali erano davvero le sue
maniere probabilmente il vicino non avrebbe più i pantaloni
addosso per prima cosa, per seconda probabilmente sarebbe scappato
indignato. O forse no. Milo si chiese -e si domandò anche
perchè se lo stesse chiedendo- come poteva essere tra le
lenzuola quella specie di principino. Seguiva una specie di galateo del
letto? Dovette trattenere una risata e il suo interlocutore se ne
accorse perchè chiese, imperturbabile:- Cosa la fa ridere?
-Niente, assolutamente niente- il biondo oltrepassò l' uscio
di casa passando accanto a Camus.
-Dove pensa di andare?- chiese il rosso scocciato.
Milo fece un cenno della mano, sulle labra un sorriso ampio e malizioso
che non lo abbandonava.-Mi segua, amico mio, devo buttare la
spazzatura. Ah... belle ciabatte.
Camus gli andò dietro indeciso se colpirlo alle spalle con
il
primo oggetto contundente che avesse trovato nei paraggi -ammesso che
ne avesse trovato uno- ed effettivamente si guardò intorno.
Cercava di mantenere il suo glaciale distacco, ci provava davvero
ma quella specie di ragno che con le sue zampette stava tentando di
cambiare le sue abitudini -non sarebbe mai andato a dormire
più
tardi delle dieci- gli dava veramente sui nervi. Non gli era mai
capitato, tranne in due casi, ovvero quando qualcuno osava interrompere
il suo meritato
sonno o se non poteva nutrirsi adeguatamente con un a porzione
quotidiana di dolci degna di quel nome. Un calo
di zuccheri o quella che secondo i suoi parametri poteva essere
considerata mancanza di sonno erano cose che lo rendevano molto ma
molto nervoso.
Milo, oltre a stargli sugli zebedei, lo aveva privato del
sonno.
Imperdonabile.
Inammissibile.
Quell' idiota in pratica si stava scavando la fossa da solo.
Assolutamente inaccettabile.
Guardò l' orologio, segnava le undici e mezza. Ma
dove voleva
andare a buttare quel sacco? A New York?
-Ehi, mi ascolti. Non ho intenzione di seguirla per una passeggiata
notturna. Io-
-Ah no?- Milo si girò sollevando le sopracciglia. Camus gli
avrebbe strappato sia le sopracciglia che quel sorriso che.. era una
sua impressione o era pieno di allusioni?!- e io che stavo proprio per
ribadire tra me e me quanto sia romantico il bagliore della luna. Non
trova?
Camus si fermò rendendosi tra l' altro conto di stare
girando
per la città in piena notte, con il pigiama e le ciabatte
del
coniglio e in compagnia di un probabile pazzo maniaco dal dubbio gusto
in fatto di
vestiti, chè ora che ci faceva caso aveva solo un paio di
pantaloni rossi così stretti che c' era da chiedersi se il
sangue potesse circolare -e che non lasciavano certo spazio all'
immaginazione- e un gilet dello stesso colore. E la camicia? Che aveva
fatto, se l' era per caso venduta?
-Non trovo. Affatto. Ero solo venuto per dirle di abbassare il volume
della musica. E' un' ora tarda sa? E lei e i suoi amici state facendo
parecchio rumore. I poliziotti di questa città non
vedrebbero l'
ora di potersi muovere un po'.
-Devo per caso leggere una velata minaccia tra le righe?
Camus fece spallucce:- Come crede.-
-Certo che per avere un così bel faccino sei proprio uno
stronzo.
Il sopracciglio sinistro del ragioniere scattò nuovamente
verso l' alto:- Prego?
-Stronzo- ribadì Milo aprendo le braccia.
-Non mi dia del tu.
-E perchè?
L' espressione di Camus non cambiò di una virgola, sembrava
essere stata scolpita nel ghiaccio per immortalare quel momento anche
se, diversamente che dall' esterno, nella sua testa ribolliva una
specie di magma alimentato dall' irritazione:-Non ci conosciamo, per l'
amor del cielo-
-Stiamo parlando da mezz' ora- gli fece notare Milo- siamo anche
vicini...e non mi sembra di parlare con un vecchio. Quanti anni hai? Ti
comporti come mio nonno.
-Si chiama educazione.
-Non ho mai dato del lei a un ragazzo della mia età.
-Io sì, la mia educazione me lo impone. Crede forse che la
sua sia migliore?
Milo si accigliò:- Ma che diavolo vai blaterando. Non ho mai
detto questo. E comunque io sono Milo Karedes. Milo, non signor
Milo, signor Karedes o come diavolo ti pare. Milo. MI-LO.
-Ho capito. Non sono stupido. Io sono Camus Grandier.- sorrise- puoi
chiamarmi signor Grandier.
Milo scoppiò in una sonora risata e lo afferrò
per il polso:- Vieni Cam. Andiamo a buttare la spazzatura.
Il francese per tutta risposta inchiodò i piedi a terra:- Me
ne devo andare a dormire. E tu e i tuoi amici animali state facendo
troppo rumore.
-E' una festa.
-Tu non sai cosa sia il rispetto vero? Pensi di poter fare quello che
vuoi solo perchè sei un cantante adorato dalle ragazzine
stupide.
Il biondo si voltò lentamente verso di lui, serio in viso:-
Non
è così. Lo sai? Pensavo fossi diverso. Forse tu
non te lo
ricordi ma ci siamo incontrati altre volte e tu mi hai sempre ignorato.
Anche ora... non sei venuto alla mia festa. La gente pagherebbe per
essere al tuo posto. Era bello il fatto che mi ignorassi all' inizio,
che non baciassi la terra su cui cammino... ma lo sai cos'
è? In
realtà mi ignori perchè sei un bigotto ottuso,
pieno di
te e di pregiudizi. Scommetto che pensi che sia stupido e che sia
superficiale.
Camus lo guardava con quell' aria che non lo abbandonava mai, tra lo
scocciato e l' indifferente:-
Sì.- affermò secco.- credo che tu sia
superficiale. Se
sei stupido non lo so. L' altro giorno ho incontrato Aphrodite e mi ha
fatto sentire le tue canzoni. Fanno schifo. Il tuo pubblico
è
composto da ragazzine con gli ormoni in subbuglio. Dai una festa senza
rispettare il sonno dei tuoi vicini. Casa tua fa ad angolo quindi non
c' è nessuno ma dall' altro lato ci sono io e di fronte ci
abita
Doko Liang che ha due figli di dodici e quattordici anni e che
dovrà alzarsi alle cinque del mattino per il turno in
ospedale.
I Robins sono una coppia di pensionati che vanno a letto presto. Devo
continuare? Questa è la nostra vita. Non possiamo fare
quello
che ci pare e quando ci pare.
Milo avrebbe voluto aggiungere qualcosa, dirgli che in parte si
sbagliava, dirgli che non ci aveva pensato nè a lui e
nè
a Doko e nè al resto della gente del vicinato, dirgli che si
sentiva ferito, che non lo conosceva. Voleva raccontargli di lui e che
Camus lo stesse ad ascoltare ma non lo fece:- Ok. Puoi andartene a
casa. Ora abbasso la musica.
-Bene. Buona notte.
Poi vide solo le spalle di Camus mentre si allontanava. Sorrise
amaramente. Lo sapeva che il pinguino avrebbe alzato i tacchi, non gli
avrebbe mai detto "ehi, sono stato troppo duro. Amici?", non gli
avrebbe sorriso chiedendogli che aveva o se per caso lo avesse ferito.
Se ne andava, semplicemente.
Eppure ci aveva sperato.
Quando Milo rientrò a casa trovò Kanon che
ballava su un
cubo indossando solo un paio di pantaloncini sadomaso che gli
lasciavano scoperto il sedere sventolando tra l' altro un boa
rosso mentre il farmacista, in succinti abiti tigrati, gli palpava
vergognosamente il detto sedere ridendo come un matto.
Quando il ragazzo abbassò la musica Kanon lo raggiunse,
accaldato e su di giri:- Ehi Milo, dove diavolo sei stato? E
perchè hai abbassato il volume?
-Troppo casino- spiegò sorridendo dispiaciuto
Kanon spalancò gli occhi preoccupato:-Non sarai come mio
fratello, eh?
-N-no... non credo almeno, com' è tuo fratello?- volle
sapere.
-Un rompicoglioni.- il minore dei gemelli lo guardò
attentamente
girandogli intorno, si avvicinò al suo viso con fare
sospetto-
che hai?
-Niente. Perchè pensi che abbia qualcosa?
Kanon sorrise soddisfatto incrociando le braccia al petto e
appoggiandosi al tavolo:- Io ho occhio per queste cose, anche se sono
ubriaco. E poi la tua faccia è troppo espressiva. Parla da
sola.
-Non appoggiare la chiappe al mio tavolo.
-Farò di peggio su questo tavolo- ammiccò il
ragazzo sbattendo la mano sul legno- e
allora?- Kanon gli mise l' altra mano sulla spalla con fare solenne- me
lo puoi
dire. Non ti sputtanerò in giro. Non me ne frega niente di
questo, mai fatto (tranne se si tratta di Aiolos). Per me sei solo uno
che mi sta simpatico e che ha dei dei bei gusti musicali.
Milo lo ascoltò sorpreso, finalmente sorridendo di nuovo:-
Grazie Kanon. Non sia quanto sia importante per me.
il più grande rise di gusto:- Eh sì vecchio mio,
non è da tutti
poter dire di avere il sottoscritto come amico. Sono un amico
fantastico, sai?
-Modesto soprattutto.
-Anche. In effetti credo di avere molte virtù.
Il mattino dopo in pasticceria, Aldebaran, Shura, Aphrodite e Death
Mask erano seduti a fare colazione.
-Ehi ragazzi- fece a un certo punto Al dopo aver bevuto un altro sorso
di caffè- voi lo sapevate che Kanon ha una moglie incinta?
...
A Shura il cornetto caddè nel cappuccino. Lui odiava il
cornetto
inzuppato. Death aggrottò le sopracciglia come a dire "ma
che
cazzo dici?", Aphrodite oltre a non spiegarsi il fatto che lui non
fosse stato il primo a saperlo -e quindi a dirlo a tutti-
fissò
intensamente il suo caffè indeciso sul da farsi.
Alla fine parlò:-Ma io ieri (qualche ora fa a dire il vero)
ho
fatto sesso con Kanon sul tavolo delle cucina del Magnifico.
-Ah. E sei dispiaciuto?- domandò Shura- intendo... tra voi
c' era qualcosa di più?
Aphrodite si tirò indietro arricciando il naso:- Ma scherzi?
Sarà un bel ragazzo ma è decisamente fuori dagli
schemi.
-E' imperdonabile-fece Aldebaran- tradire una moglie in un momento
così delicato per entrambi. Metteranno al mondo una creatura!
-Facciamo una cosa- sospirò il farmacista- sarà
la prima
e l' ultima volta che mi sentirete dire una cosa del genere. Facciamo
finta che tra me e Kanon non sia successo nulla, non lo diremo a nessuno.
Death Mask lo guardò come se avesse tre teste:-Phro, ma hai preso
una botta in testa?
-Infatti ho detto che questa sarà la prima e ultima volta.
Verrò meno ai miei principi per il bene di quel bambino. Per
questa volta un segreto deve restare tale, anche se non sapete quanto
mi faccia male il cuore.
-Qualcuno sa chi è la fortunata?- domandò Shura
cedendo il suo cornetto a Death Mask.
-Magari è Shaina- fece l' albino- mi pare che uscissero
insieme.
-E' possibile- concluse Aphrodite- in effetti mi è se...
aspetta! Sì, è lei di sicuro! E' lei!- si
abbassò verso
il centro del tavolo invitando anche gli altri a fare lo stesso-
è venuta a prendere un test di gravidanza un paio di
settimane
fa.
-Aaah, sì mi ricordo- fece Death- ce lo avevi detto.
Aprhodite si mise a battere le mani entusiasta:- Bene, adesso
organizzeremo una bella festa ai due piccioncini!
-Almeno avremo qualcosa da fare- affermò Shura laconico
prima di alzarsi a prendere un altro cornetto.
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