Never Ending Story

di LandOfMagic
(/viewuser.php?uid=174993)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il rituale mancato ***
Capitolo 3: *** Il funerale ***
Capitolo 4: *** La Bambina Sopravvissuta ***
Capitolo 5: *** Il Bosco degli Omini Gialli ***
Capitolo 6: *** La Scoperta ***
Capitolo 7: *** Diagon Alley: la culla della magia (parte I) ***
Capitolo 8: *** Diagon Alley: la culla della magia (parte II) ***
Capitolo 9: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 10: *** La Partenza: Alla Stazione di King's Cross ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Never Ending Story


1.    
Prologo


Tutto quanto accade una volta potrebbe non accadere mai più...
Ma tutto quanto accade due volte accadrà certamente una terza...
Paulo Coelho



Fervevano i preparativi della festa di Mezza Estate nel ridente villaggio di Burford, immerso nella campagna inglese. Incantevole paesino celato alla vista dei Babbani da potenti Incantesimi di Occultamento, sorgeva su di una piccola altura i cui dolci declivi erano interamente punteggiati di vitigni e roseti. Al limitare del centro abitato, attraversato da un fiumiciattolo artificiale, un fitto bosco di robinie regalava una piacevole frescura nelle torride giornate estive.
Il sole che digradava poco a poco dietro la collina, preannunciando il calare della sera, tingeva il cielo di una calda sfumatura dorata.
Caramello fuso su nuvole di zucchero filato.
La donna distesa in un prato di gelsomini bianchi aveva un incarnato cereo e diafano come il colorito dei fiori che la circondavano, in netto contrasto con il vivo fulgore dei suoi lunghi capelli fulvi. Gli ultimi raggi del sole calante le sfioravano le mani delicate, intrecciate compostamente sul grembo, con carezze affettuose, per poi posarsi sfuggenti sul cestino di vimini al suo fianco. Tocchi dolci ma elusivi, come innamorati che si bramano e si rincorrono in uno struggente rituale di corteggiamento.
Gli echi degli schiamazzi delle donne e dei bambini, oltre il pendio, occupati nella raccolta di erbe e piante magiche, come voleva la tradizione del giorno di Mezza Estate, sembravano non intaccare in alcun modo il suo riposo.
Vi era qualcosa di innaturale nell’inerte compostezza di quel giovane corpo. Una fredda e pallida rigidità che solo una Maledizione Senza Perdono poteva conferire, celandosi dietro un’ingannevole maschera di quiete apparente.
L’aroma dolciastro dei gelsomini e quello più amaro dei fiori di sambuco nel cesto di vimini si mescolavano in una giostra di profumi intensi che pervadevano l’aria tutt’intorno, fino a toccare le note piacevolmente soffuse dei roseti che svettavano sul declivio orientale.
Il bambino, all’ombra di un cespuglio di mirto, non riusciva a staccare gli occhi da quella scena, stregato dalla perfetta immobilità e dall’ineccepibile purezza che trasudava da quel corpo nel campo di fiori.
Innocenza. Candore. Il bianco caldo dei fiori e quello più terso ed esangue della pelle che si perdeva nella sfumatura immacolata e trasparente dell’abito che la fasciava.
Solo un dettaglio stonava impercettibilmente in quella cornice quasi paradisiaca. I petali del fiore che la donna stringeva tra le dita magre ed affusolate. Erano neri. Più scuri dei mantelli dei Mangiamorte, protagonisti di racconti spaventosi, spauracchi per bambini.
Era un papavero nero.  
Morte. Distruzione. Sofferenza.
Se solo il ragazzino avesse conosciuto il linguaggio dei fiori, sarebbe scappato a gambe levate.
Una mano solcata da rughe e da cicatrici di vecchie ferite si posò sulla sua piccola spalla. Il bambino sussultò e si voltò sorpreso ed impaurito.
“Che ci fai qui, marmocchio?” il tono di perentoria minaccia nella voce dell’adulto lo fece vacillare e fu costretto ad aggrapparsi al cespuglio per non caracollare a terra.
“Io … Non sono stato io!” piagnucolò sulla difensiva.
“Non dire a nessuno quello che hai visto!”
Il dito indice puntato in faccia gli sfiorò il naso.
Terriccio bagnato, sudore e whisky incendiario.
Quello sconosciuto sapeva di terriccio bagnato, sudore e whisky incendiario.
Il ragazzino arricciò il naso, trattenendo una smorfia di disgusto,  ed annuì con un cenno della testa.
“E ho bisogno che tu consegni un messaggio ad Harry Potter!”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il rituale mancato ***


2.      
Il rituale mancato


 
 
Studia il passato se vuoi prevedere il futuro.
Confucio


 
 
Al di là dell’estrema fila di casupole, oltre l’ultimo campo coltivato, la vegetazione dilagava in una macchia desolata ed incolta che sfociava in una sterminata boscaglia selvatica.
Calava la sera sulla foresta quando un folto corteo di maghi e streghe si riversò ai piedi del Noce Infernale. Si vociferava da innumerevoli generazioni che quell’albero l’avesse piantato il Signore Oscuro in persona per offrire un punto di riferimento riconoscibile alle schiere di suoi seguaci e tenere lontani possibili intrusi. Infatti, tutti i forestieri che si erano avventurati per i tortuosi ed intricati sentieri della foresta avevano sempre avuto l’impressione che quell’albero fosse diverso da tutti gli altri. Aveva un’anima malvagia e presagi nefasti si nascondevano tra i suoi rami. Gli ignari che avevano riposato sotto la frescura delle sue fronde ed avevano assaggiato i suoi frutti oleosi si erano ritrovati poi a vagare per ore smarrendosi nell’intrico della vegetazione selvaggia senza trovare una via d’uscita. Le ore erano diventate giorni, i giorni si erano trasformati in mesi e con i mesi erano passati gli anni. E nessuno aveva più fatto ritorno. Sembrava quasi che l’albero non permettesse agli sventurati che si avvicinavano troppo ai suoi misteri funesti di abbandonare quei luoghi.
Una fredda nebbia imperscrutabile accompagnò l’arrivo di quegli esseri magici ed avvolse perfino il più sottile filo d’erba sotto la discreta protezione del suo manto velato. Alcuni erano giunti a cavallo di una scopa volante, altri in sella a giganteschi gatti neri. Taluni, assunte le sembianze di pipistrello, avevano preferito destreggiarsi in volo per esibirsi poi in eleganti atterraggi davanti agli sguardi compiaciuti dei confratelli.
“Sorelle …” si fece avanti Eldrid Tersis, la strega più anziana. Levò in alto le vecchie mani rugose dalle lunghe unghie nere. “… e fratelli …” con un movimento scaltro delle dita si tolse il cappello a punta esageratamente sformato e rattoppato che portava in testa, com’era consuetudine per una fattucchiera del suo rango. Una cascata di capelli grigi riccioluti le si riversarono sulle spalle. Sottili fili d’argento che danzavano al ritmo della leggera brezza che riusciva a filtrare in quel groviglio di piante e cespugli.
“Ooooooooh … come si guida … questa cosaaa?”
Il discorso di Eldrid venne interrotto da un urlo che squarciò la foschia tutt’intorno, seguito da un tonfo sordo.
Un esserino fragile e minuto ruzzolò giù da un manico di scopa, capitombolò oltre il testone di un mago che ne seguì il volo con aria sgomenta e finì a faccia in giù nell’erba umida ai piedi di Eldrid.
“Ehm … ehm …” la strega si schiarì la voce con un colpetto di tosse, “Signor Wilford Paciock!” lo apostrofò, liberando con uno strattone un lembo del proprio mantello sgualcito schiacciato sotto il peso del ragazzino. “Un mago che non sa governare il proprio mezzo volante …” con la punta del piede si scrollò di dosso il povero malcapitato “… non è un mago che si rispetti!” concluse in tono sprezzante lanciandogli un’occhiataccia per nulla indulgente. Il ragazzino si rimise in piedi sulle gambe barcollanti. Non doveva avere più di dieci o undici anni a giudicare dalla statura e dai lineamenti decisamente ancora infantili. Alcune foglie umidicce si erano incollate ai suoi folti capelli biondi. Le staccò una ad una e le gettò per terra, poi si ripulì il palmo delle mani sul mantello nuovo di zecca che la madre gli aveva comprato il giorno prima alla Bottega di Madama McClan a Diagon Alley
“Chiedo scusa … Potentissima Eldrid!” fece Wilford con voce flebile e intimidita. Era visibilmente imbarazzato, un rossore purpureo gli era salito a donare un nuovo colorito vivo alle sue guance solitamente pallide e smunte. “E’ la prima volta che salgo su una …” torcendosi le mani ansiosamente cercò di proseguire nel suo tentativo di scuse.
“Vuoi dire che ad Hogwarts non te l’hanno ancora insegnato?” la vecchia strega avvicinò il viso affaticato a quello di Wilford per scrutarlo più da vicino. Il naso adunco e grinzoso gli sfiorò una guancia ed il ragazzino dovette reprimere l’impulso di allontanarlo bruscamente con una manata.
“Non ho ancora undici anni” ammise Wilford abbassando gli occhi, vergognoso, e stringendosi nelle spalle per farsi ancora più piccolo.
“Oh per mille diavoli, ragazzino…” esclamò Eldrid alzando gli occhi al cielo, esasperata “… dove sono i tuoi genitori?”
Wilford si guardò attorno con un misto di circospezione e timore, consapevole di essere nei guai. “I … io …” cominciò con un incontrollato tremolio nella voce. Fece una pausa e deglutì rumorosamente.
“Allora?” lo incalzò la fattucchiera. Una ventata di alito fetido inondò le narici di Wilford che, prontamente, si portò una mano a coprire la bocca per reprimere un urgente conato di vomito.
“Non puoi stare qui da solo, lo sai?” il tono minaccioso e lo sguardo fermo e severo di Eldrid Tersis fecero sentire Wilford Paciock ancora più in soggezione e spaurito. Si strinse più forte nel mantello come se quel gesto riuscisse ad infondergli coraggio.
“Non puoi partecipare a questa riunione!” lo ammonì la strega additandolo aspramente di fronte a tutti. Un coro di assensi si levò dalla folla di maghi lì attorno.
“Sei ancora troppo piccolo ed inesperto!” fece un mago con un buffo copricapo. Un pipistrello gli stava appollaiato sulla testa, le ali cartilaginee gli pendevano flosce sulle orecchie. Wilford proruppe in un sussulto di sorpresa quando scoprì che l’animale era vivo. Il pipistrello infatti si alzò in volo non appena un lontano ululato interruppe la conversazione. Prese a svolazzare freneticamente in cerchio sopra le teste di tutti i presenti come a voler perlustrare e tenere sotto controllo la zona.
“Io … io non volevo disturbarvi … ma il mio papà è molto malato …” il ragazzino, a disagio, parlava lentamente e con voce tremula “… la mamma dice che ha la Febbre Fumosa …” aggiunse piano, come se il pronunciare ad alta voce il nome di quella malattia la rendesse più grave.
Si udirono dei sospiri di commiserazione provenire da punti non ben definiti della mischia. La Fumosa era una delle Febbri Castigatrici. Una volta che si impadroniva del tuo corpo non ti abbandonava più. Ti consumava lentamente, il fumo iniziava ad uscirti dalle orecchie impedendoti di sentire, poi si estendeva al naso e alla bocca lasciandoti respirare a fatica, finché in ultimo giungeva alla gola e ai polmoni. Ed a quel punto eri spacciato, già imbarcato con un biglietto di sola andata per l’Aldilà.
Ma tutte queste cose Wilford non le sapeva.
“… e io sono uscito di nascosto … per cercare qualche radice di Mandragora … la mamma me le dà sempre quando ho la Tosse Catarrina e mi passa subito …” continuò il ragazzino più tranquillo, dato che ora erano tutti intenti ad ascoltarlo “… pensavo che così anche papà può guarire!” concluse con un sorriso speranzoso. “Solo che non sono molto ferrato nel volo … ho perso il controllo della scopa e sono finito qui! Non l’ho fatto apposta!” ammise con l’aria più innocente e sincera del mondo.
“Ragazzino, ammesso che tu la trovassi, la radice di Mandragora è molto rischiosa da estirpare se non consoci il metodo giusto … emette delle urla acutissime che ti possono rendere pazzo per sempre!” lo avvisò una streghetta dai corti capelli arancioni. Sulla sua spalla sinistra dormiva un Rospo Pruriginoso. Erano animaletti infidi quelli. All’apparenza sembravano innocui, ma se non ne eri il legittimo padrone ed osavi toccarne uno, il contatto con la loro pelle viscida ricoperta di bubboni giallastri ti causava un prurito cronico esteso a tutto il corpo. Ed esisteva un solo rimedio a quel fastidio: eliminare l’animaletto che l’aveva causato. Impresa ardua, dato che i Rospi Pruriginosi erano noti in tutto il mondo magico per essere gli anfibi più veloci e salterini.
“A mio zio Engus è successo … Adesso crede di vedere Berretti Rossi ovunque! Ma si sa che quelle creature ormai  sono estinte da un pezzo!” aggiunse con un gesto della mano ad indicare che allo zio mancava qualche rotella.
Wilford, sconsolato, si lasciò cadere per terra accanto alla sua scopa.
“Oh insomma, marmocchio! Raccogli quell’arnese e vattene in fretta prima che vada a riferire a tua madre della tua scappatella notturna!” sbottò Eldrid su tutte le furie. Non mancava molto all’alba ormai e restava poco tempo per celebrare il rituale. Non avrebbe tollerato altre interruzioni. Quello era un rito che si poteva compiere solo una volta ogni 25 anni nella Notte di Mezza Estate durante la quale i demoni ed i morti potevano tornare a camminare liberi sulla terra al pari dei vivi, mescolandosi e confondendosi tra loro. E lei non poteva rimandare, non poteva attendere altri cinque lustri … non le sarebbe stato concesso tutto quel tempo!
“Vattene, o il Signore Oscuro …” gli occhi le brillarono nel pronunciare quel nome tanto osannato “… ti eliminerà in un solo istante se ti troverà qui al suo risorgere!” gli intimò la vecchia, scoppiando in una risatina malefica.
Wilford Paciock, mortalmente spaurito, si rialzò a fatica. Le sue gambette magre non reggevano il peso di quella minaccia. Raccolse la scopa e corse via a perdifiato dove le ombre della notte cominciavano a tingersi di sfumature più chiare. L’indomani, nei suoi incubi più spaventosi, quella terrificante risata stridula gli sarebbe echeggiata ancora nelle orecchie.

 
 

***

 
 
“Sprazzi di luce ad est… L’alba è vicina, miei cari confratelli!” Eldrid avanzò qualche passo strascicato verso il Noce. “Dobbiamo sbrigarci!” aggiunse, ansiosa di perpetrare le sue empie intenzioni.
L’Albero Infernale, sempre all’erta, allungò i suoi rami nodosi a scalfire il terreno come fossero fruste. Un movimento sotterraneo fece barcollare Eldrid che dovette puntare saldamente i piedi a terra per non cadere. Le radici della pianta si smossero ed emersero in superficie con un fragore di zolle che si spaccavano e venivano lanciate in aria per poi piombare giù in una nuvola di terra.
“Scelleratezza e crudeltà guidano le mie azioni!” intonò la fattucchiera in una sorta di lasciapassare. Il turbinio di rami e foglie cessò all’istante ed il Noce riprese la consueta immobilità, non fosse che per quell’occhio magico che si spalancò proprio nel mezzo del tronco. L’iride giallognola fissò intensamente la strega.
“Eldrid, mia amatissima!” un’esclamazione gutturale scaturì dall’interno dell’albero.
“T…Tom? S..sss…sei tu?” l’eccitazione nella voce della vecchia la portò a balbettare.
Il grande Noce annuì smuovendo le sue rigogliose fronde. Seguirono acclamazioni e grida euforiche da parte degli astanti.
“Sei lì dentro?” fece la strega. Sbarrò i piccoli occhi grigi, stupita al nuovo cenno di assenso da parte della pianta. Mormorii confusi e vocii sommessi si diffusero per la radura.
“Tutti si domandano perché non vi manifestiate in tutta la Vostra nefandezza, Signore!” intervenne un mago il cui viso era interamente nascosto da un cappuccio nero, riportando i pensieri dei suoi confratelli.
“Credete che non lo farei se potessi?” ruggì il Noce, alcune foglie ormai rinsecchite si dispersero al suolo. “Ma sono bloccato qui…” aggiunse in un lamento doloroso “…la mia anima è incatenata nella corteccia di questo albero!” la sua voce si stava facendo sempre più flebile. “Ed ogni volta che tento di liberarmi non faccio altro che indebolirmi!” ormai si udiva solo un sussurro.
Non morto e non vivo. Intrappolato tempo addietro sulla soglia che divide due mondi.
“Come posso aiutarti, Tom?” la strega si prostrò ai piedi del Noce. “Dillo a una vecchia amica!” giunse le mani in segno di devozione.
“Dovete compiere il cerimoniale in tutti i minimi particolari, senza commettere errori … prima che albeggi! Se fallirete, sarò costretto a rimanere ancora in questo limbo e non sarete ricompensati con la vita eterna!”
“Non falliremo!” promise Eldrid e si rialzò con una riverenza.
Si udì un ululato, questa volta più vicino, ed il pipistrello emise una serie di squittii acuti.
“Rufus! Vieni giù, non c’è nessun pericolo!” lo apostrofò il suo proprietario.
“Portatemi i prigionieri!” ordinò Eldrid con autorità.
Dal fondo del gruppo si mossero due Golem, giganti di roccia solida dall’aspetto vagamente umano. Trascinavano una donna in lacrime ed una bambina ancora molto piccola.
“Tu … tu non puoi farci questo!” singhiozzava la donna, stringendosi al petto la figlioletta.
Capelli rossi. La razza Weasley non si smentiva mai.
“Mia dolce ingenua Ginny… dovresti essere orgogliosa di sacrificarti per il Signore Oscuro… dopotutto è un onore che non spetta a tutti!” Eldrid parlò con estremo sangue freddo mentre rimestava nel suo calderone un intruglio di lingua di rospo nero selvatico e coda di ratto di fogna. “Ma perché proprio noi? Perché la mia bambina?” Ginny stava tentando invano di liberarsi dalla morsa di pietra dei due Golem.
“E perché non voi, invece?” la vecchia strega squadrò la donna con occhi di ghiaccio. “Così mi è stato ordinato da Colui che noi serviamo, Colui che ha fatto delle Tenebre il suo regno, il nostro regno…”
“Ma…”
“Suvvia, sarà rapido e indolore!” Eldrid sorrise estasiata.
Rufus, il pipistrello, lanciò ancora alcuni stridii assordanti.
“Maledetto uccellaccio, fatelo stare zitto o lo trasformo in una statua!” spazientita Eldrid lo minacciò estraendo da una tasca del mantello la proprio bacchetta e puntandola contro il volatile. “Sto cercando di concentrarmi qui!” sbottò in un sospiro di frustrazione. Le rispose un altro lungo squittio.
“Ah, per mille Maledizioni Cruciatus! Ora BASTA!” tuonò Eldrid. Un raggio di luce bluastra scaturì dalla punta della sua bacchetta e colpì il pipistrello in volo. Questi, tramutatosi in pietra, precipitò al suolo e si ruppe in un fragore metallico e in una pioggia di piccoli pezzetti di selce.
“Noooo, Rufus!” il proprietario si fece largo tra i presenti ed iniziò a raccogliere uno ad uno i rimasugli del suo animaletto affezionato. “Il mio povero Rufus!” piagnucolò in una nenia dolente.
Senza il benché minimo briciolo di pentimento né  considerazione, Eldrid avanzò nuovamente verso il Noce.
“Prima di proseguire, Tom, dimmi… chi ha avuto la sfrontata audacia di rinchiuderti qui?”
“Harry Potter!” si percepì un debole bisbiglio e poi “Lui!” uno dei rami si allungò ad indicare un punto preciso oltre le spalle della fattucchiera.
Tutti gli astanti si voltarono immediatamente nella direzione mostrata. Per ultima la strega.
Un giovane uomo dai capelli scuri in contrasto con l’incarnato pallido si ergeva ritto dinnanzi a loro.
“Il ragazzo sopravvissuto!” esclamò Eldrid per niente sorpresa. “La tua reputazione ti ha sempre preceduto!”
“Desolato di interrompere questa allegra rimpatriata” replicò Harry in tono esplicitamente ironico, gli angoli della bocca piegati in una smorfia compiaciuta.
“Non mi cogli alla sprovvista. Mi sono preparata a convenienza per una possibile incursione” Eldrid emise una sonora risata malefica che fece vibrare l’aria di echi di anni di rancori radicati alle ostilità tra i seguaci di Lord Voldemort e i Potter.
Un bagliore azzurrognolo scaturì come un potente getto d’acqua a pressione dalla bacchetta della fattucchiera e si disperse spegnendosi nel fitto della boscaglia. Una manciata di secondi più tardi il terreno iniziò a vibrare sotto i loro piedi ed al limitare della radura apparve un esercito di Salici Piangenti, chiamati così per i pianti strazianti che emettevano quando in autunno le loro foglie secche si staccavano lasciando i rami nudi ad affrontare le gelate dell’inverno imminente. La leggenda voleva che fossero state le loro lacrime a dar vita al fiume che nasceva nella foresta e attraversava il villaggio.
Gli imponenti alberi dalle chiome flosce rivolte verso il basso avanzavano in fila tra il fruscio sibilante delle liane che seguivano un andamento oscillante ed il rumore cupo delle robuste radici che scalfivano la terra in profondità. Schierati in formazione d’attacco, fecero mulinare vorticosamente i loro rami minacciosi simili a lunghi artigli di drago tutt’intorno ad Harry. Una nuvola di terra e polvere si alzò nell’aria inghiottendo tutta la scena nella sua spessa trama di pulviscolo.
“Tutto qui quello che sai fare?” con uno scatto d’agilità ferina Harry saltò oltre la pesante coltre scura ed atterrò poco più in là come se quel gesto non gli avesse richiesto alcuno sforzo fisico. “Un gruppo di alberi buoni solo per farne legna da ardere! Francamente mi sarei aspettato qualcosa di meglio dal braccio destro di Voldemort!”
“Ah, piccolo presuntuoso! Questo non è che l’inizio!” riconobbe Eldrid, con fare altezzoso, fiera delle sue arti magiche. “Gar! Goyle! Prendetelo!” ordinò ai due giganti di pietra, sottomessi al suo volere. “E non lasciatevelo scappare! Quando avrò terminato il rituale, ho intenzione di torturarlo a mio piacimento prima di esporlo alla lenta agonia della Maledizione Cruciatus!” aggiunse, beandosi di quel pensiero gratificante che le regalò un brillio soddisfatto negli occhi.
I due golem marmorei lasciarono la presa sulle due vittime sacrificali.
“Che state facendo, stupide teste di marmo?” ruggì la fattucchiera montando su tutte le furie.
“Quello che ci hai ordinato!” ammisero all’unisono i due colossi, scambiandosi un’occhiata perplessa.
“Non vi ho ordinato di lasciar andare i prigionieri! Dateli a me, grossi ammassi di sasso senza un briciolo di cervello!” li rimproverò, livida in volto per la rabbia.
Prese in consegna le vittime dalle mani di pietra di Gar e di Goyle prima che avessero il tempo di tentare la fuga e le trascinò all’altare nero, proprio ai piedi del Noce, sul quale le avrebbe immolate per restituire la libertà al Signore Oscuro.
“La prego, ci ripensi! E’ ancora in tempo per tornare indietro!” la supplicò Ginny, tra urla angosciate di disperazione. Lacrime copiose le rigavano le guance e proseguivano lungo la sottile linea del collo ad inumidire l’immacolato colletto della tunica sacrificale che l’avevano costretta ad indossare. La piccola bimba che teneva in grembo, di appena due anni, dormiva di un sonno pesante e beato come può esserlo solo quello dei bambini ancora nell’età dell’innocenza. Pareva che nemmeno l’esplosione dell’intera foresta avrebbe strappato quella creaturina fragile ed indifesa alle calde braccia di Morfeo.
“Zitta! Non riesci a comprendere a quale onore sei destinata? Far risorgere il Signore Oscuro! Ora purificati e preparati a compiere la mia volontà!” Eldrid le porse una boccetta contenente un liquido dall’aspetto poco invitante. “Bevi!” le comandò severamente forzandole la mano, che teneva stretta l’ampolla, alla bocca.
Un puzzo nauseabondo raggiunse le narici di Ginny.
“Bevi, ho detto!” la pressò ancora.
Nonostante tentasse con tutte le energie rimastele in corpo di ribellarsi a quegli ordini, Ginny dovette soccombere e ingurgitare in un sol fiato quella pozione ributtante.
A distanza di pochi metri, Harry stava escogitando un modo per tenere testa all’indiscutibile forza fisica di quei mucchi di roccia che erano Gar e Goyle.
“Ragazzi, andiamoci piano, ok? Perché non ne parliamo un momento, eh?” voleva perdere tempo nell’attesa che gli si accendesse in testa la lampadina di un’idea brillante.
Ma i due titani non sembravano aver prestato orecchio alle sue parole. Procedevano a passi pesanti verso di lui, con intenzioni tutt’altro che amichevoli.
“Lei vi sta sfruttando! Vi ha soggiogati e vi usa come due marionette!” esclamò indietreggiando di due piedi ad ogni singolo passo che loro avanzavano. “Poi quando ne avrà avuto abbastanza e non saprà più che farsene di voi, vi distruggerà senza pensarci nemmeno un secondo!”
Gar e Goyle, come destati da una lunga trance, si osservarono sbigottiti. Le grosse mani di roccia calcarea, i fianchi di granito e gli arti inferiori di marmo. Si ricordarono di un tempo in cui erano i silenziosi guardiani della Torre d’Astronomia, dove gli studenti di Hogwarts passavano intere nottate a studiare la rotazione dei pianeti, la nomenclatura delle stelle e gli influssi della luna nella creazione degli incantesimi di protezione. Tempo in cui erano guardati con rispetto e sottile timore, più per la loro mole che per il loro aspetto che non aveva nulla di spaventoso. Anzi, avevano un grosso faccione da bonaccioni sotto tutti quegli strati di calcare. Destinatari della fiducia che tutti i presidi riponevano nella loro statica funzione di custodi e di protettori della scuola stessa.
“Ora ricordiamo!” esclamarono tutt’a un tratto in coro. “Quella megera ci ha strappato alla nostra pace dormiente ed ora avrà ciò che si merita!” aggiunsero con la loro voce cavernosa, per niente contenti dell’incantesimo al quale la vecchia strega li aveva legati.
“Ben detto, amici!” fece Harry, tirando un sospiro di sollievo.
Gar e Goyle, ora consci della sfacciataggine con la quale Eldrid li aveva sottomessi ai propri ordini, si rivoltarono contro di lei in tutta la loro ira marmorea.
“Come osate ribellarvi a me? Io vi ho dato la vita…” li minacciò puntando nella loro direzione la bacchetta magica “… ed io ve la posso togliere!” come era già accaduto per l’ignaro Rufus, un lampo bluastro fuoriuscì dalla punta di legno e colpendo i due golem li restituì alla pace eterna. “Ahahah!” una trionfante risata malefica squarciò il silenzio che seguì. “Insolenti!” fu l’acido commento di Eldrid, che si perse poi in un altro accesso di beffarda ilarità. “E adesso veniamo a noi!” si voltò, riferendosi alle due sacrificande. “Questa notte verrà ricordata nei secoli come una notte di festa per tutti i Mangiamorte rimasti…” esordì teatralmente rivolta alla cerchia di confratelli e di consorelle radunatisi per assistere al ritorno del loro Padrone. “Noi compiremo l’impresa straordinaria di liberare il nostro Signore con il necessario sacrificio di due anime innocenti…” proseguì tra gli applausi e le acclamazioni festanti degli altri maghi. “Tra poco sarete spettatori della sua nuova ascesa… egli camminerà di nuovo tra noi in forma umana, seminerà il panico ed il terrore in tutti i popoli, estinguerà ogni fiammella di Bene ancora presente nel mondo magico ed instaurerà un nuovo Regno, fatto di ombra e di oscurità. E ricompenserà noi tutti in un modo che non riuscirete nemmeno ad immaginare!”
“Bel discorsetto altisonante! Vorrei fare solo una breve precisazione…” intervenne Harry, quasi divertito. Si lisciò il bavero del mantello nero. “Oggi non ascenderà proprio nessuno!” sillabò parola per parola quell’ultima frase come a volerle conferire un maggiore effetto.
“Sono stanca della tua impertinenza e sono ancora più stanca delle tue sciocche interruzioni! Metterò a tacere quella tua lingua arrogante una volta per tutte!” sbottò la strega in uno sbuffo nervoso. Estrasse un uovo di Lombrico Tentacolato dalla tasca del suo pastrano e lo lanciò con forza ai piedi del ragazzo. Non appena toccò il suolo, il guscio si spaccò a metà e ne strisciò fuori un vermiciattolo dotato di una dozzina di tentacoli che si ingigantirono e si allungarono con la stessa rapidità con cui un mago esperto può destreggiarsi nell’utilizzo della propria bacchetta.
L’agilità e la velocità di Harry non contarono granché questa volta quando una di quelle membrane viscide e mollicce gli afferrò un piede e cominciò la sua scalata verso l’alto avvinghiandosi ad ogni parte del corpo che incontrava sul suo cammino.
“Divincolarti come un ossesso non ti aiuterà!” gli spiegò una voce alle sue spalle. Data la sua situazione poco felice il ragazzo non poté ovviamente voltarsi per riconoscere il suo interlocutore.
“Quel fastidioso vermicolo ti stritolerà ancora di più se continuerai ad agitarti per liberati. Se invece manterrai la calma e fingerai indifferenza ti lascerà andare da sé.”
“E tu chi sei?” fece Harry, valutando se seguire o meno quel consiglio. Chi gli garantiva che fosse la soluzione giusta?
“Considerami pure un amico” ribatté la voce.
Ad Harry non restava che fidarsi e tentare. Il lombrico si stava arrampicando con inesorabile tenacia verso la sua gola. Il ragazzo chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo, obbligò la propria mente a rilassarsi sempre di più fino quasi a cadere in una sorta di sogno estatico. Si trovava nella foresta, una creatura tentacolata lo teneva prigioniero nella sua stretta di ferro… all’improvviso lo invase una sensazione di torpore e provò il gradito sollievo della dolce scoperta di essere di nuovo libero. Riaprì gli occhi. Il vermicolo stava strisciando via, seguiva un sentiero che lo avrebbe condotto nell’intrico del bosco, forse alla ricerca di un habitat favorevole.
Harry si girò per dare un volto alla voce che lo aveva aiutato. Un vecchio mago si stava allontanando nei primi raggi del sole a cavallo di un grosso ramo nodoso. In una mano i resti di quello che una volta era stato il suo fedele pipistrello.
“Fulmini e saette, si sta facendo tardi!” gridò Eldrid, infuriata. “Dammi la bambina, presto!” strappò la piccola dalle mani di Ginny, la quale non riuscì ad impedirlo, sebbene ci avesse provato con grandi sforzi.
“Lasciala!” intervenne Harry tempestivamente. “Lascia subito andare mia figlia!”
“Ancora tu!” Eldrid sbarrò gli occhi per la sorpresa. Forse aveva creduto di essersi sbarazzata di lui. “Come sei riuscito a liberarti?” gli domandò posando la bimba sull’altare. Le fiammelle di alcuni ceri neri, disposti a formare il disegno di un serpente, rischiararono quel faccino innocente. Due grandi occhioni scuri, di una sfumatura intensa come puro cioccolato fondente, si spalancarono a salutare il mondo e si richiusero serenamente subito dopo con uno sbadiglio assonnato.
“Diciamo che ho avuto fortuna!” un sorrisetto audace gli illuminò il viso conferendogli un’aria di aperta derisione nei confronti dei trucchetti così poco efficienti di Eldrid.
L’attempata fattucchiera, non potendosi più permettere sprechi di tempo, decise di saltare i convenevoli e di passare immediatamente al fulcro del cerimoniale. Al diavolo Potter e tutta la sua famiglia!
Con tutte le intenzioni più empie di cui si poteva vantare, impugnò un coltellaccio da macello. Sulla lama incrostata del sangue di vittime di sacrifici passati baluginò il riflesso del flebile luccichio dei suoi infossati occhi malefici. Levò in alto l’arma, sopra la testa, e vibrò un colpo deciso mirando al piccolo cuoricino. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il funerale ***


IMPORTANTE:
1) Nella mia storia compaiono anche personaggi che non hanno nulla a che fare con il mondo di HP ma che sono di mia invenzione.
2) Ai fini della storia, Harry e Ginny hanno una sola figlia: Lily.
3) Nella lettera quasi all'inizio del cap.3 gli errori di grammatica sono consapevolmente voluti per rendere riconoscibile il personaggio pur non facendone il nome.
4) Non mi resta che ringraziarvi del tempo che dedicherete alla mia storia ed augurarvi buona lettura. Un ringraziamento particolare a squidina e LaPerletta per le gratificanti recensioni.

 



3. 
Il Funerale

 

Ciò che può sembrare la fine è in realtà un nuovo inizio.

 


 
“Io sono Wilford Paciock… Un signore mi manda a portarti questo…”
Harry osservò il bambino davanti a lui. Era inequivocabilmente figlio di Neville Paciock e Hannah Abbott. Aveva lo stesso comportamento impacciato e indifeso che aveva connotato il padre durante i primi anni ad Hogwarts. Gli sfuggì un sorriso nel ripensare a quante volte aveva dovuto difendere Neville dai soprusi di Malfoy e della sua gang di Serpeverde.
“Chi ti ha mandato?”
“N…non so come si chiama… non l’ho mai visto da queste parti… era un signore grandissimo, con tanti capelli e tanta barba… e…”
“E?”
“E puzzava peggio di un animale!”

 
***
 
Harry, a me mi pare che sono tornati …
E’ stata trovata una donna in un campo … Morta …
L’Avada Kedavra la uccisa … Brutto segno!
Secondo me è opera di vecchi seguaci di Tu-Sai-Chi …
Siete in pericolo!
 
                                                                                  R.H.
 
Harry rilesse quel biglietto per la quinta volta. Come aveva fatto a non capirlo prima? Il corpo della giovane donna rinvenuta nel prato di biancospini non presentava ferite evidenti, né alcun segno di strangolamento o avvelenamento … Solo la più potente delle Maledizioni Senza Perdono aveva potuto condurla alla morte. Un Incantesimo Oscuro. Praticato con troppa leggerezza da chi faceva abuso di Magia Nera: i Mangiamorte. La maggior parte era stata condannata a finire i propri anni nelle celle di Azkaban, ma evidentemente qualcuno era riuscito ad eclissarsi e ad evitare quella pena.
Se solo ci fosse arrivato prima, ora non si sarebbe trovato lì. A piangere una moglie morta e a preoccuparsi per il futuro della sua unica figlia.
Le sue lacrime erano piccole gocce d’amore.
Il suo pianto un modo per dire che avrebbe voluto che fosse ancora lì con loro.
Il suo modo per urlare al mondo intero che non l’avrebbe mai dimenticata.

*** 

Il viso giovane e fresco di Ginevra Molly Weasley in Potter sorrideva dalla fotografia esposta sull’altare della piccola chiesa. Teneva in grembo la piccola Lily appena nata, un’espressione di radiosa soddisfazione le illuminava il volto mentre si chinava sulla creaturina e la riempiva di teneri baci. Destino crudele quello che l’aveva strappata alle gioie della maternità e della famiglia.
Centinaia e centinaia di gigli bianchi ornavano la navata centrale e drappi di seta nera ricoprivano le panche di legno verniciato.
L’ultimo sole del pomeriggio giocava sul rosone centrale lasciando filtrare all’interno spiragli di luce dorata come impalpabili fili di miele che colavano sulla lucida lacca bianca della bara. Onde di oro puro che sposavano l’immacolato candore della sepoltura e della pelle delicata. Ginny aveva un’espressione serena anche nel sonno eterno. Beatitudine che sicuramente le derivava dall’estremo gesto di sacrificio per amore della figlioletta.  
L’avevano vestita con la divisa verde con l’artiglio d’oro sul petto delle Holyhead Harpies, la squadra di Quidditch dove aveva iniziato una carriera come giocatrice professionista. La Federazione aveva indetto una giornata di lutto per commemorare la triste e improvvisa scomparsa di una delle giocatrici più talentuose.  
Il pallore mortale del suo incarnato contrastava sia con il verde acceso della tunica sia con il rosso vivo dei fiori di ibisco intrecciati ai suoi capelli di una tonalità più chiara.
Hermione Granger, accompagnata dal marito, avvicinandosi alla salma ebbe la sensazione di trovarsi di fronte a un quadro di una bellezza straziante. I fiori recisi che incorniciavano il viso  dell’amica le donavano un’aria ancora più dolce e incantevole che in vita, nonostante fossero anch’essi vicini alla morte. Da lì a poche ore il loro profumo si sarebbe affievolito e i loro petali avrebbero cominciato ad appassire.
“Abbiamo lasciato Hugo e Rose dai miei genitori e ci siamo precipitati qui. Mi dispiace tanto, Harry!” gli occhi gonfi e rossi erano la prova che Hermione aveva già pianto tutte le sue lacrime. Ron, due occhiaie da notte passata insonne, si era unito al resto della sua famiglia in una serie di abbracci di conforto. I Weasley erano al completo. I due capofamiglia, Arthur e Molly, occupavano la prima panca; le teste chine e le mani giunte. Alla notizia della morte della loro unica figlia femmina parevano essere invecchiati di colpo di dieci anni. Il Signor Weasley, a causa dello shock, aveva perso gli ultimi capelli rimastigli e sua moglie, dal canto suo, aveva smarrito la giovialità e la forza d’animo che l’avevano sempre distinta come una donna in grado di reagire a qualunque avversità.
Bill e Fleur, appartati in un angolo, stavano cercando di convincere la figlia Victoire che quello che era successo alla zia Ginny non sarebbe accaduto anche a lei. La piccola Victoire, di soli dieci anni, era una bambina viziata e molto impressionabile. Tenuta dalla madre sotto una campana di vetro, temeva perfino la sua stessa ombra ed era convinta che qualsiasi disgrazia capitasse ad una persona a lei vicina, poi sarebbe successa inevitabilmente anche a lei.
A qualche metro di distanza, Charlie misurava a grandi passi le mattonelle di marmo della pavimentazione. La morte della sorella era l’unico evento che era riuscito a distoglierlo dal suo interminabile lavoro di ricerca sui draghi. Era arrivato da solo con una manciata di metropolvere e, subito dopo la funzione, sarebbe ripartito alla ricerca di qualche nuovo esemplare da studiare.
Dall’altro lato della navata, Percy, in un impeccabile completo nero da lutto, guardava in cagnesco George. Da uomo pignolo, noioso e rispettoso delle regole qual era, Percy non condivideva il piccolo omaggio pirotecnico che il fratello aveva organizzato per dare l’estremo saluto alla cara Ginny. Quel giorno George aveva chiuso il suo negozio a Diagon Alley ed aveva preparato una serie di fuochi d’artificio da sparare dopo la cerimonia funebre in memoria della sorella.
“Come sta la piccola Lily? Dov’è adesso?” Ron si avvicinò al suo migliore amico e lo abbracciò con sentita preoccupazione.
“E’ con Hagrid… Ho pensato che fosse meglio non portarla qui…”
“Harry, dobbiamo pensare a un posto sicuro dove nasconderla …” intervenne Hermione, giocherellando nervosamente con i petali di uno dei gigli posati sulle panche. Elegante velluto sotto le sue dita e dolce profumo di vaniglia.
Il lugubre rintocco delle campane a morto echeggiò tra le ampie volte delle navate della chiesa come intermittenti tonfi pesanti ad annunciare l’imminente inizio della funzione.
“Harry, mi stai ascoltando?”  
Il ragazzo sembrava assente, lo sguardo triste e vuoto davanti a sé. Forse stava rivisitando nei suoi ricordi immagini di un passato che ad ogni secondo sembrava assomigliare sempre di più al futuro e che tornavano a tormentarlo come fantasmi di una storia che si stava ripetendo.
Un incubo infinito.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La Bambina Sopravvissuta ***


AVVISO: Questo capitolo è liberamente ispirato alle vicende di Harry neonato in Harry Potter e la pietra filosofale. La figlia Lily ne segue le orme.
Compaiono ancora nuovi personaggi che sono di mia invenzione.
Grazie a PeaceS che si è aggiunta a darmi sostegno!
Buona lettura!

 


4. 
La bambina sopravvissuta

 
 
L'amore è un'erba spontanea e non una pianta in giardino.
Ippolito Nievo

 
 
A molte molte miglia di distanza, in un luogo dove il tempo pareva essersi fermato e la natura scandiva le giornate con i suoi lenti ritmi stagionali, sorgeva una piccola città diversa da tutte le altre. Non era abitata da maghi o streghe e non era nemmeno un insediamento babbano. Bensì era popolata unicamente dalle creature più docili e riservate che Harry Potter avesse mai conosciuto.
Il signore e la signora Goradiel, elfi delle colline della città d’Ambra, ne erano un chiaro esempio. Essi desideravano da un po’ un altro bambino, non importava se maschio o femmina. Volevano solo un piccolo batuffolo dalle orecchie a punta che riempisse le loro vite e che diventasse il bastone della loro vecchiaia. Il loro unico figlio Melvin era partito per il C.I.E. (Collegio d’Istruzione Elfica), un istituto privato gestito da un vecchio elfo sull’orlo della pensione, ed aveva abbandonato la casa paterna per farvi ritorno solo saltuariamente durante le vacanze.
La cosa più traumatica e preoccupante per degli elfi era senza dubbio l’invecchiamento: guardarsi un giorno allo specchio e scoprire che l’armoniosa e aggraziata bellezza che li accompagnava per tutta la loro lunga giovinezza stava sfiorendo lentamente come i petali avvizziti di una rosa che appassisce e perde il suo delicato profumo. L’arrivo di un bebè sarebbe stato una manna dal cielo per quelle due anime tristi e sconsolate.
Il signor Esilus Goradiel era nato in una famiglia di contadini e seguiva le orme del lavoro di suo padre. Era un ometto piuttosto basso e magrolino. Le sue orecchie esageratamente appuntite superavano di almeno un piede l’altezza della testa e gli erano valse l’appellativo di “Mr Timpano”. Tutti gli Ambrosiani convenivano che con quelle orecchie così lunghe riuscisse a captare le conversazioni anche dei borghi più remoti della città.
Sua moglie Pennetta era la cuoca del paese. Donnona alta e robusta, era ridicolo vederla passeggiare mano nella mano con il marito per le vie assolate di Ambra. Gestiva “La Locanda dei Quattro Elementi” e la sua cucina sopraffina era molto apprezzata dalla gente del luogo che spesso frequentava i suoi tavoli. Le sue crostate di Mirtilli Scoppiettini, così detti per il particolare scoppiettio che emettevano quando masticati, andavano a ruba durante la tradizionale sagra annuale di Sant’Ambrosio, l’elfo fondatore e patrono della città.
Ambra sorgeva sul pianale di una collina. Ogni strada, anche la più piccola, portava il nome di un fiore o di una pianta, elementi naturali tanto cari agli elfi, ed era lastricata di strati di resina gialla. Così come ricoperte di resina, più scura, erano tutte le abitazioni del popolino e la Residenza Signorile di Ferafer, Re degli Elfi delle Colline.
Quando i coniugi Goradiel si svegliarono la mattina di quel venerdì uguale a tanti altri giorni caldi e soleggiati, in quel cielo terso e limpido nulla faceva pensare che in realtà quello non sarebbe stato un giorno come tutti.
Il Signor Goradiel si vestì con la sua tenuta da lavoro: un grosso grembiulone verde pieno zeppo di tasche, contenenti ogni tipo di strumento che potesse tornare utile ad un contadino (forbici di vari tipi e misure per potare, cimare e recidere i fiori; un piccolo coltello da innesti e dei guanti di gomma), e dei calzoni corti che sfioravano l’orlo degli stivali sopra il ginocchio. La signora Goradiel invece lavorava ininterrottamente all’impasto di nuove focacce che avrebbe poi cotto nel grosso forno a legna della sua locanda. Le piaceva sperimentare sfiziose ricette da proporre come specialità nel suo menu.
Quando il sole già donava da qualche ora i suoi raggi benefici alle verdi distese delle colline, Esilus uscì di casa accompagnato dall’affettuoso saluto della moglie. Lo attendeva la consueta giornata di lavoro nei suoi campi coltivati.
Fu proprio all’incrocio tra Corso Betulla, dove si trovava la sua casetta, e Vicolo Pino Silvano che gli parve di notare qualcosa di insolito. Una lontra dalla pelliccia marrone intenso, che andava via via schiarendosi nella parte inferiore del corpo,  se ne stava seduta su una mattonella di resina della strada. Un paio di occhiali inforcati sul muso, era intenta a sfogliare le pagine di un libro con le zampine palmate. La lunga coda affusolata frustava l’aria ad ogni pagina voltata, come a scandire ogni movimento.
Gli sembrò una cosa alquanto inusuale poiché Ambra era sempre stata una città neutra, una sorta di Svizzera nel mondo magico: non vi avevano mai abitato altre creature all’infuori degli elfi e si era sempre tenuta in disparte nelle varie lotte che erano scoppiate nel corso dei secoli tra una fazione magica e l’altra. Gli Ambrosiani non avevano mai visto un essere magico che non fosse un elfo. Non che non fossero a conoscenza dell’esistenza di altre forme di vita, semplicemente per una scelta governativa della monarchia reggente non erano mai entrati in contatto con loro. Perciò, ora, vedere un mutaforma nella propria tranquilla cittadina era un evento assai sconvolgente per il mite signor Goradiel.
Riprese a camminare con passo deciso verso la Campagna Fertile, da sempre appezzamento di abbondanti e fruttuosi raccolti, e quando si voltò, rapito dalla curiosità, non credette ai suoi occhi quando si ritrovò a ricambiare lo sguardo della lontra. Possibile che quegli occhi vigili e indagatori stessero scrutando proprio i suoi? Forse il caldo e la luce gli stavano provocando delle visioni assurde. Scrollò le spalle, sulle quali portava il peso di un rastrello e di una zappa, e scacciò dalle mente quelle stranezze.
La sua giornata trascorse spensierata tra una vangata alle patate dolci, una potatina alle siepi di biancospino e una rastrellata delle zolle a riposo.
Dimentico degli strambi accadimenti di quella mattina, sulla via del ritorno a casa, era intenzionato a fermarsi alla “Taverna dell’Elfo Ubriaco” per un boccale di fresca birra piperita, quando davanti alla pesante porta di legno massiccio incrociò un capannello di uomini e donne con bizzarri cappelli a punta che levavano in alto calici colmi di sidro di mele, brindando ad eventi che il povero Esilus non fu in grado di comprendere.
“… hanno tentato di far risorgere l’Oscuro Signore …”
“… la piccola Lily si è salvata … proprio come il padre tanti anni fa …”
Fu tutto ciò che il signor Goradiel riuscì a cogliere di quei bisbigli eccitati. Cambiò idea e invece di fermarsi imboccò il viale ambrato di Corso Betulla.
A casa, Pennetta stava leggendo con interesse una copia de “Il Corriere degli Elfi”. Sibilla Bic, nota giornalista elfica, riportava nel suo articolo una serie di eventi stravaganti verificatisi il giorno prima in una contea della campagna inglese. Inspiegabili baluginii colorati nel cielo sopra la foresta e gravi disagi agli Uffici delle P.P, le Poste Prodigio (i gufi avevano ricevuto talmente tante consegne da andare in tilt). Evidentemente era accaduto qualcosa di davvero importante se si era scatenato un invio così ingente di corrispondenza cartacea.
Non era arrivata nemmeno a metà della lettura, quando il signor Goradiel entrò tutto trafelato dalla porta. Aveva appena rivisto la lontra di quella mattina, ancora ferma al solito posto. Era un comportamento normale per una lontra?
“Esilus, caro, che ti è successo? Sembri aver visto un fantasma!” la moglie, messo da parte il giornale, gli si fece incontro premurosa e lo aiutò a togliersi il pesante grembiule da contadino.
“A dir la verità, ho visto di peggio!” convenne lui, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore. “Credo di star diventando pazzo!” ammise lasciandosi sprofondare con uno sbuffo rassegnato in una morbida poltrona.
“Stai vaneggiando! Dev’essere il caldo forse …” Pennetta si massaggiò il mento, come persa in una riflessione che sembrava richiederle un notevole sforzo di concentrazione. “… ti vado a preparare una tisana di biancospino …” decise, infine, avviandosi verso la sua stanza preferita, la cucina. “Ti aiuterà a rilassarti dalla fatica. Te lo continuo a ripetere ogni santo giorno che stai lavorando troppo in quei campi. Per di più sotto questo sole! Quando vorrai dare retta alla tua vecchia moglie?” seguitò a parlargli anche mentre si destreggiava tra infusi e colini, armeggiando ai fornelli.
“Hai ragione, mia cara” le rispose il marito. Un sospiro di accettazione gli uscì dalle labbra sottili. “Grazie” soggiunse quando la signora Goradiel fece di nuovo capolino in soggiorno reggendo un vassoio con due tazzone fumanti d’infuso di biancospino. Pennetta appoggiò con estrema cura il vassoio su un tavolino basso e porse una tazza al coniuge, l’altra la tenne per sé.
“Pennetta, cara, tu hai notato qualcosa di strano oggi alla locanda?” le domandò il marito con una certa apprensione nella voce.
“No,  a parte alcuni forestieri, forse” la signora Goradiel mescolava la tisana con un cucchiaino di legno per fare in modo che le zollette di zucchero si sciogliessero a dovere.
“Forestieri, hai detto?” Esilus formulò quella domanda con vivo interesse. Non aveva ancora toccato un goccio dell’infuso che la moglie aveva preparato così amorevolmente per lui.
“Si, alcuni forestieri … elfi delle Terre del Nord, probabilmente …” replicò lei con un sorriso tranquillo, senza l’ombra di alcuna preoccupazione. “…portavano ridicoli cappelli a punta” aggiunse poi, ricordando lo stravagante abbigliamento che sfoggiavano.
“Quelli non sono forestieri!” puntualizzò il signor Goradiel, severo. “E nemmeno elfi!” si lisciò i simpatici baffetti grigi con fare pensieroso.
“Per la buona misericordia di Sant’Ambrosio, chi sono dunque?” Pennetta saettò in piedi, allarmata, la bocca spalancata per lo stupore.
“Non lo so… ne ho visti un paio anch’io, stavano alla Taverna dell’Elfo Ubriaco…” Esilus mandò giù in un sorso solo l’infuso “… quello che so di certo è che non sono come noi!” e sbatté con forza la tazza vuota sul tavolino. Il fragile ripiano di vetro si incrinò con un rumore sinistro ed una miriade di crepe si formarono in superficie come le tante diramazioni stradali di una mappa cittadina.
“Sei il solito maldestro!” lo riprese Pennetta, accigliata. “Guarda che hai fatto! Questo era il regalo di nozze del povero zio Agrestus!” una luce malinconica le baluginò negli occhi al ricordo della triste dipartita di quel sant’elfo, schiacciato da un carro di fieno nella Piazza del Mercato. “A volte mi domando se tu sia davvero figlio di elfi! Non sei per niente aggraziato!” Pennetta riprese la sua ramanzina.
“Perdonami, cara… è che sono tremendamente preoccupato per quei loschi figuri che si aggirano in città”. Decise di non farle menzione dell’inquietante presenza della lontra occhialuta proprio davanti alla loro casa, dal momento che lei non sembrava averla notata.
Forse era stato veramente il caldo a fargli immaginare di vedere cose che non esistevano.

 
***
 
La luna era la regina indiscussa del cielo quella notte. Un cerchio di luce fatata attorniato da un corteo di stelle, damigelle invidiose che vivevano nella sua ombra e venivano eclissate dal suo argenteo splendore.
Spandeva la sua luce spettrale su tutta la città dormiente e cullava i signori Goradiel in un sonno tormentato da incubi popolati da strani esseri bizzarri mai visti prima.
Quando le campane della chiesa batterono la mezzanotte, si intravide un movimento all’angolo della strada. Un paio di scarpe sbucarono dall’ombra di un cespuglio selvatico. Un paio di pantofole usurate sbucarono dalle fronde di un cespuglio di mirto selvatico. Due gambette snelle avanzarono schiacciate dal peso di un  ventre prominente. Il mantello, una perfetta riproduzione della mappa delle costellazioni, aderiva al pancione gonfio per poi ricadere in una curva più morbida sui fianchi e sulle gambe. Sulla testa pressoché calva portava un cappello a punta con inserti di piume di araba fenice.
Era Sereno Animum, il nuovo Preside di Hogwarts subentrato dopo il pensionamento della McGranitt. Ed era un tipo decisamente molto più strambo di tutti quelli avvistati dagli Ambrosiani quel giorno. Fortunatamente tutta la città era immersa in un sonno profondo, cosicché nessun elfo poté stupirsi di quello che stava succedendo.
Sereno Animum si portò proprio accanto alla lontra e la scrutò con attenzione, facendo apparire dal nulla una lanterna ad olio.
“Professor Mutor!” sentenziò qualche istante dopo con sicurezza. “Lieto di trovarla qui!” aggiunse con il suo tono abitualmente pacato e cordiale. D’altronde era Sereno di nome e di fatto.
“Come ha fatto a sapere che sono io?” domandò l’altro, ammirato.
“Riconoscerei i suoi occhiali ovunque! Montatura di conchiglie del Mar Dolce!” ribatté con convinzione. “Impossibile sbagliarsi!” aggiunse, divertito.
“Devo decisamente migliorare i miei travestimenti!” bofonchiò il professore a bassa voce.
Quando Sereno si girò a guardarlo per rispondergli, la lontra non c’era più. Al suo posto era apparso un buffo ometto dal volto oblungo, con un mantello variopinto ed i capelli raccolti in una coda di cavallo. Sul naso adunco erano appoggiati gli stessi occhiali che aveva portato l’animaletto.
“Esilarante detto da un insegnante di trasfigurazione!” commentò l’altro ridacchiando.   
“Oh bé, non si finisce mai di imparare, mio caro!” constatò Aquilino Mutor.
“E di stupire” rincarò Sereno. Staccò una piuma di fenice dal suo cappello e la utilizzò per grattarsi furiosamente la schiena. “Da quando abbiamo portato i ragazzi in visita alla Pineta Rovesciata, questo prurito continua ad infastidirmi. Devo essermi appoggiato sbadatamente al tronco di qualche Abete Orticante” spiegò agitandosi ridicolmente negli spasmi del prurito.
“Già… Ma a proposito di cose stupefacenti…” l’altro cambiò discorso “… è vero quello che si mormora?”
“Sarebbe a dire?”
Il Professor Mutor raccolse l’invito di Sereno a specificare.
“Si vocifera che una perfida fattucchiera abbia tentato di risvegliare Tu-Sai-Chi… e che Ginny Weasley sia morta per proteggere la figlioletta… povera anima!” fece il Professore, rattristandosi sempre più mano a mano che procedeva nel racconto.
“Purtroppo è tutto vero” ammise Sereno con un cenno sconsolato del capo.
“E l’intervento di Harry Potter?”
“A quanto si dice, quando Eldrid ha tentato di sacrificare la bimba si è aperto un cono di luce accecante nel cielo. Il Noce Infernale si è ridotto ad un ammasso di rami anneriti e secchi, come se fosse stato arso dalle fiamme, e la strega si è eclissata in una nuvola di polvere.” Sereno Animum riportò per filo e per segno ciò di cui era venuto a conoscenza.
“Morta?” si rallegrò Aquilino, portavoce di quella speranza che stava prendendo largo nei cuori della maggior parte della popolazione magica.
“Non ne sono molto convinto, al contrario di molti. Forse è solo sparita, in attesa di tornare in un secondo momento.”
“Spero vivamente che lei si sbagli”
“Ah, lo spero anch’io, Signor Mutor. Sarei sorprendentemente felice di sbagliarmi!”
“E la bimba? Cosa ne sarà di lei?” la preoccupazione malcelata  nella voce.
“Samael Anatas è in volo in questo momento. La sta portando qui.”
“Ha affidato la piccola nelle mani di un vampiro?” fece l’altro, sconvolto da quella notizia.
“Mi sorprende, Professore! Non mi dica che una persona intelligente e stimata come lei nutre ancora dei pregiudizi!” ribatté uno strabiliato Sereno Animum. “Sono più che certo che Samael non farà alcunché di male alla bambina. Egli gode della mia più incondizionata fiducia! Ragion per cui, da quest’anno gli affiderò anche la cattedra di Insegnante di Volo” aggiunse in un tono che non ammetteva repliche.
Prima che il Professor Mutor potesse aprire la bocca per ribattere, si udì un distinto battito d’ali ed una figura nera si stagliò contro la superficie argentea della luna. Con gli artigli delle zampe tratteneva saldamente un fagotto di stoffa.
“Eccolo!” lo indicò Sereno Animum.
“Perché non ha lasciato che fosse Harry Potter a portarla?” avanzò Aquilino.
“Abbiamo convenuto che fosse più sicuro che la portasse un persona meno riconoscibile, senza legami di parentela o di sangue, nel caso qualcuno li seguisse! Harry li avrebbe seguiti da lontano … sarà qui a momenti, vedrà!”
“E perché non Hagrid allora?”
“Le pare che Hagrid sia poco riconoscibile?”
Il pipistrello si misurò in un atterraggio felpato e depositò il fagotto a pochi passi dai due uomini. Un visetto furbo e al contempo dolce fece capolino tra gli strati di coperte che l’avvolgevano.
“Com’è andata? Vi ha visti qualcuno?” si informò prontamente Sereno Animum, con una piuma del suo buffo copricapo prese a solleticare le manine della bambina che emise sommessi gridolini divertiti. Sembrava conscia anche lei dell’importanza del non farsi udire da nessuno.
“Tutto a posto. Ha dormito durante tutto il viaggio e sono certo che non ci abbiano né visti né seguiti” rispose Samael, tornato alle sue sembianze umane. Un giovane uomo dai lunghi capelli scuri, in contrasto con l'incarnato mortalmente pallido, si ergeva ritto dinnanzi a loro in tutta la sua imponente statura.
Si udì un lieve tonfo qualche metro più in là, poi la figura di Harry emerse dall’ombra di una casa.
“Ti sei materializzato?” lo rimproverò Aquilino. “E se qualcuno ti avesse visto usare la magia?”
Harry scosse la testa in segno di diniego. Era troppo sconvolto per parlare. Era un incubo. La storia che si ripeteva. Solo che lui non era più un bambino di due anni ignaro del Male che lo voleva sopraffare, era un adulto che aveva visto morire la propria moglie e tentare di uccidere anche la propria figlioletta. Ora poteva capire che cosa dovevano aver provato i suoi genitori negli istanti prima di soccombere.
“Se sono rimasti dei seguaci di Tu-Sai-Chi, devono essersi dati alla fuga disperdendosi dopo la scomparsa di Eldrid!” ipotizzò Sereno, decidendo di sviare il discorso.
“Così pare” sentenziò Samael, lo sguardo da animale predatore capace di scrutare nell’oscurità. Non c’era nessuno in vista.
“Come misura precauzionale radunerò una squadra di Auror e disporrò l’immediata ricerca dei fuggitivi. Chi verrà catturato vivo, sarà poi rinchiuso ad Azkaban” Sereno Animum rese note le sue intenzioni, il volto improvvisamente severo ed autoritario. “Ci assicureremo che non possano più nuocere ad alcuno” precisò.
“Sono desolato per la tragica morte di Ginny” il Preside, stregone dotato di grande sensibilità, espresse tutto il suo cordoglio nell’espressione più addolorata che un uomo potesse assumere. Poggiò una mano sulla spalla di Harry come a volerlo sollevare dal doloroso peso che doveva portare.
“Lo siamo tutti” intervenne Aquilino, anch’egli sinceramente dispiaciuto.
“Lo so. Era una brava moglie e una splendida mamma” Harry abbassò frettolosamente gli occhi lucidi. “Che ne sarà ora di Lily?” sviò immediatamente il discorso, per non abbandonarsi a spiacevoli ricordi dolorosi che facevano troppo male anche ad un uomo che aveva visto la morte in faccia innumerevoli volte.
“Credo che la mossa più saggia sia quella di lasciarla qui” iniziò a spiegare Sereno Animum. “Il Professor Mutor si trova qui da questa mattina ed ha potuto studiare attentamente tutti gli Ambrosiani...” aggiunse. “…quali sono le sue conclusioni, Professore?”
“Dunque, vediamo…” tirò fuori dalla tasca interna del suo mantello un taccuino in pelle e ne sfogliò le pagine fino a trovare quella desiderata. “… ci sarebbe la famiglia Darmawien, ma hanno già tre figli, dei quali uno è il Consigliere della Giunta per l’Espulsione degli Immigrati Magici… quindi non è il caso di affidare la bimba a loro, non ne sarebbero contenti, credo. Magari se si scoprisse che la bambina ha qualche potere, la espatrierebbero Dio solo sa dove! In questa città non vedono di buon occhio le altre creature magiche, a meno che non abbiano le orecchie a punta!” con una piuma di barbagianni scarabocchiò una croce sul nome dei Darmawien.
“Le garantisco che Lily non ha alcun potere magico… me ne sono accertato di persona. È una piccola maganò. La accoglieranno bene, ne sono certo!” lo interruppe Sereno.
“Allora forse la signora Comarian…” si concesse qualche secondo per riflettere “… mmm, no, non va bene… ho scoperto che è la pettegola del paese, affidarla a lei significherebbe far sapere subito a tutti che la bambina si trova qui e magari metterla in pericolo!” un’altra croce su quel nome.
“Poi c’è Padre Eremitus, ma è un prete, quindi non…”
“Signor Mutor, è venuto qui a fare un censimento o ha trovato qualcuno di adatto?” sbottò Samael scocciato per l’attesa.
Il Professore tacque di colpo, l’espressione ferita del suo volto denotava una profonda permalosità di carattere.
“Suvvia, non se la prenda, Aquilino! Il nostro amico, qui, è solo ansioso di sapere” ci pensò Sereno a quietare gli animi. “Samael, devo ricordarti che non tutti apprezzano il tuo spiccato senso dell’umorismo. Il Signor Mutor, in quanto serio e stimato docente, nonché brillante intellettuale e scrittore di testi magici, non è uso a queste battute di spirito… ragion per cui, cerca di mostrargli un po’ di rispetto!” si rivolse poi al redivivo.
“Voglia perdonarmi, esimio Professor Mutor” il vampiro si esibì in un inchino eccessivamente esagerato. “Cortesemente, mi potrebbe concedere l’immenso onore di profferire con quella sua saggia bocca il nome della famiglia da lei prescelta con cotanta scrupolosa diligenza?” e poi “Così va meglio?” sorridendo estasiato e strizzando l’occhiolino ad un rassegnato Sereno Animum.
“Ma certo, ma certo!” rispose quell’altro, tutto trepidante ed entusiasta di quella soddisfacente dimostrazione di rispetto, ignaro delle intenzioni ironiche del vampiro, celate tra le righe. Riprese a scartare i fogli del suo taccuino con attenta concentrazione.
“Ah si, ecco finalmente! I coniugi Goradiel sono ciò che fa al caso nostro!” esclamò rallegrandosi. “Sono due rispettabili cittadini, desiderosi di avere un altro figlio” aggiunse.
“Bene! Sono certo che ameranno Lily e si prenderanno cura di lei… anche se non è un elfo” garantì Sereno con sicurezza.
“Dunque è deciso?” domandò Harry tentando di nascondere la malinconia nella voce.
“E’ meglio così per tutti, Harry! La bambina sarà più al sicuro qui, protetta dagli elfi che non tollerano l’invasione di altre razze. Con noi per adesso sarebbe esposta a troppi pericoli… almeno finché non ci accerteremo che la minaccia è lontana” Sereno gli ripeté il discorso che avevano già affrontato quella mattina presto quando si erano incontrati nel suo studio per discutere il da farsi.
“Nessuno verrebbe a cercarla qui” concordò  Aquilino.
“D’accordo” fece Potter con aria di rassegnata accettazione.
“Ma potrai sempre starle accanto e tenerla d’occhio…” gli concesse Sereno “…senza farti notare, però” gli ricordò infine. “E quando i tempi saranno maturi, verrai a riprendertela!”
Con la mestizia nel cuore ed una solenne promessa da mantenere, Harry Potter  salutò la figlioletta e si allontanò senza alcun rumore nella notte. Quando si voltò indietro per un ultimo sguardo, anche il Preside Animum, il Professor Mutor e Samael il Redivivo erano scomparsi lasciando quel tenero fagottino davanti al cancello dei signori Goradiel.
In tutte le vie della città, nascosti da indiscreti occhi elfici, si erano radunati un sacco di maghi e di streghe.
Erano giunti fin lì per rendere omaggio e brindare a “Lily Potter, la bambina sopravvissuta”

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Il Bosco degli Omini Gialli ***


5.
Il Bosco degli Omini Gialli

 

 
Non dare mai spiegazioni:
i tuoi amici non ne hanno bisogno
e i tuoi nemici non ci crederebbero comunque.
                                                         Elbert Hubbard

 
 
La mattina seguente i coniugi Goradiel erano stati svegliati da acuti vagiti intervallati a profondi singhiozzi.
Scesi in strada, il primo raggio di sole mattutino aveva illuminato un esserino sbraitante, che agitava in aria le piccole manine rosee. Stava tentando di scacciare una Dispettina, un insetto dagli sporgenti occhi rossi il cui passatempo preferito era quello di procurare fastidi soprattutto ai bambini.
“Sciò! Sciò!” il signor Goradiel lo scacciò con una brusca manata.
“Ma che cos’è?” domandò Pennetta, indicando la bambina che ora si era calmata ed osservava i due con tacito interesse.
“Non vedi, cara? E’ un cucciolo!” dedusse Esilus, pavoneggiandosi di fronte alle scarse doti intuitive della moglie.
“E di cosa?” ribatté l’altra, poco convinta. “Non di elfo certamente! Secondo me è pericoloso!” esclamò con una smorfia risoluta sul viso rubicondo.
“Bubbole! Ma certo che è un cucciolo di elfo! Per mille rape rosse, donna, non sai riconoscere nemmeno un tuo simile?” fece il signor Goradiel sconcertato.
Pennetta parve rifletterci un po’ su. “Ma dove sono le orecchie?” gli fece notare l’assenza delle caratteristiche orecchie elfiche a punta.
“Oh, quelle spunteranno… vedrai!” Esilus mise a tacere i suoi dubbi con un gesto della mano che voleva scacciare ogni tipo di pensiero contrario. “Al povero zio Agrestus, che riposi beato in un prato di biancospini, non spuntarono che all’età di quattro anni!” soggiunse, pronunciando con dovuto rispetto il nome del defunto.
“Dunque tu sei certo che sia un elfo?” volle assicurarsi la moglie.
Esilus si avvicinò al fagottino. Due occhietti verdi gli sorrisero. Su un lembo della copertina era appuntato un biglietto. Vi era scritto solo un nome, in semplici caratteri vergati con inchiostro dorato: Lily.
“Si! Come sono certo che domani il sole tornerà a splendere su tutta Ambra!” replicò lui. “E’ una femmina” aggiunse poi, dopo averne letto il nome. A Pennetta quello sembrò un segno del destino. Finalmente qualcuno aveva esaudito le sue preghiere e le aveva mandato il bambino tanto desiderato.
“Che ne facciamo?” le chiese il marito.
“La teniamo!”
 
Sebbene fossero trascorsi due lustri, a Lily Goradiel non erano ancora spuntate le orecchie a punta. Nonostante questo, ormai i due elfi si erano talmente affezionati che avevano smesso di farsi domande e la consideravano comunque una di loro. Dal canto suo, Lily non ci trovava nulla di strano nell’avere una mamma ed un papà con le orecchie appuntite. Riteneva che la somiglianza fisica non fosse un metro di valutazione sufficiente ad indicare la maternità o la paternità di qualcuno, dunque non si era mai posta alcun dubbio o interrogativo.
Si avvicinava la data del suo compleanno, che i coniugi Goradiel avevano fatto coincidere con il giorno del suo ritrovamento, e Lily trascorreva le sue giornate dividendosi tra le lezioni alla S.A.S.S.O. (Scuola per Alunni Semplici e Studenti Ordinari) e le frequenti visite ai campi coltivati di Papà Esilus, dove si stava documentando per superare il test di “Innesti e potature delle coltivazioni elfiche”. La S.A.S.S.O. era una scuola per tutti quegli elfi che non possedevano alcun talento o abilità speciale. I signori Goradiel avrebbero tanto desiderato iscrivere Lily al C.I.E, lo stesso collegio dove aveva studiato Melvin, ma la Giunta per l’Istruzione di tutti gli Elfi delle Colline non aveva approvato la sua iscrizione. Aveva respinto la richiesta adducendo in risposta che la ragazzina non possedeva i requisiti necessari, in quanto non era un elfo a tutti gli effetti. A quel punto, non potendosi permettere la retta di un istitutore privato, a quell’epoca privilegio esclusivo della casta regnante, ai due coniugi non era rimasto che iscrivere la beneamata figlioletta alla S.A.S.S.O.
Tutto aveva il sapore dell’ordinario in quell’istituto. A partire dall’incisione sulla facciata dell’edificio “Entrate voi che non ambite a nulla di speciale” che lasciava presagire già un dozzinale programma di studi ed un arredamento decisamente poco curato nelle aule.
A dispetto del motto della scuola, il percorso scolastico di Lily era sempre stato costellato di successi ed i suoi voti non scendevano mai sotto la soglia del lodevole. Mostrava una spiccata dote di velocità d’apprendimento ed una fervida immaginazione. Tant’è che l’insegnante di Zoologia Elfica ne restò profondamente scombussolato durante una gita al Bosco degli Omini Gialli. Nelle tradizioni folcloristiche di Ambra si narrava di spiritelli minuscoli, abitanti delle conifere che cingevano la collina come un muro verde invalicabile. Lavoratori solerti, si diceva fossero stati loro a trasformare e levigare la resina che era servita a costruire ogni via ed ogni casa di Ambra. Ma nessuno li aveva mai visti poiché erano esseri molto timidi, che si aggiravano per i boschi solo quando erano certi che non ci fosse nessun altro e che uscivano di rado dal loro habitat.
“Bambini, vi ricordo che siamo qui per cercare esemplari di Dispettine” Bianco Spinus, docente di Zoologia, istruì i propri alunni una volta varcato l’ingresso del bosco.
In paese si bisbigliava che fosse un Elfo Mezzosangue, nato dalla bizzarra unione di un’elfa di razza e un leprecauno delle Regioni Meridionali. Bianco Spinus era un tipo molto particolare: dal padre aveva ereditato il tipico pelo rosso dei leprecauni e la bassa statura, nonché dei dentoni da coniglio che gli causavano un’imbarazzante difetto di pronuncia della esse (che egli pronunciava come effe ogniqualvolta si innervosiva o si sentiva sotto pressione).
“Procedete in fila indiana e se ne avvistate una dite “Aaalt!”, così tutti potremo fermarci ad ammirarle!” proseguì. “E non strappate foglie o fiori… gli alberi non gradiscono. Sono nostri amici e per questo dobbiamo rispettarli” li avvisò.
Ben presto si ritrovarono ad attraversare un punto in cui la foresta si faceva più intricata. I rami scendevano quasi fino a terra rendendo difficoltoso il passaggio ed oscuravano la luce del sole con l’infittirsi delle loro fronde.
“Rimanete uniti e non staccatevi dal gruppo per nessun motivo!” li ammonì l’insegnante.
Lily era l’ultima della fila ed i suoi occhi curiosi vennero attirati dai colori accesi delle bacche di un cespuglio le cui ramificazioni sporgevano sul sentiero. Attratta dal rosso vermiglio di quelle palline, Lily si arrestò ed allungò una mano per staccarne una.
Una piccola sfera rossa di consistenza gommosa che svettava tra tutto quel verde. Emanava un profumo invitante, a metà via tra la freschezza della frutta raccolta da Papà Esilus e la zuccherata fragranza delle succose marmellate di Mamma Pennetta. Nonostante gli ammonimenti dell’ insegnante, la ragazzina credeva di poter fare un regalo gradito alla mamma. Riusciva già ad immaginare il suo faccione gioioso quando si sarebbe vista recapitare quel tesoro delle stesse sfumature dei rubini.
Nel frattempo la fila di ragazzini si era allontanata.
“Io non lo farei!” la sorprese una vocetta acuta. La ragazzina si bloccò e si guardò attorno per scoprire chi avesse parlato.
“Chi è stato a parlare?” chiese, tranquilla. Molti altri bambini sarebbero scappati a gambe levate. Trovarsi da soli nel fitto di una foresta, su un sentiero sperduto, con una voce sconosciuta che ti parla… poteva essere considerato un incubo per dei ragazzini poco coraggiosi. Ma Lily Potter di coraggio ne aveva da vendere.
“Chi ha parlato?” ripeté, non avendo ricevuto risposta alla prima domanda.
“Sono qui! Non mi vedi?”
Lily seguì con lo sguardo la direzione da cui le era parso fosse giunta quella voce. Dalla corteccia resinosa di un abete bianco, si staccò un piccolo esserino. Era simile ad un bambino in miniatura, non più grande di una cavalletta, ed era completamente giallo, quasi fosse fatto di resina viva. Senza fretta, si portò ai piedi di Lily.
“Prendimi in mano o mi verrà il torcicollo a forza di guardare in alto!” le disse.
La ragazzina rimase sbigottita per alcuni istanti. Non le era mai capitata una cosa simile, nemmeno nelle sua più fervida fantasia.
“Allora, cosa aspetti? Questa posizione è scomoda!” si lamentò lo spiritello, massaggiandosi il collo.
“Oh, si…” fece Lily, riavutasi dalla sorpresa “…scusa!”. Si inginocchiò ed aprì il palmo della mano destra. Il piccolo essere vi saltò prontamente sopra.
“Così va molto meglio, grazie!”
La ragazzina si rialzò.
“Io sono Gnam Gnam. Non è che hai visto dei datteri qui attorno?” le domandò spalancando le narici e fiutando a fondo l’aria alla ricerca dell’inebriante profumo di quei frutti succulenti. “Noi Omini Gialli andiamo matti per i datteri!”.
“Ehm… no, credo di non averne visti, mi dispiace” rispose Lily, rattristata di non poter essere d’aiuto a quel simpatico tipetto. “Io mi chiamo…”
“Lily! So chi sei!” ribatté l’altro senza darle il tempo di finire.
“E tu come fai a sapere il mio nome?”
“Ma cara, tutte le creature magiche sanno chi sei!”
Prima che Lily potesse afferrare il significato di quella frase si udì la voce del Professor Bianco Spinus che la chiamava da non molto lontano. “LILY? LILY? DOVE SEI? LILYYY?”
“Devo andare ora! Sii prudente, cara!” sussurrò lo spiritello e con un agile balzo si tuffò fra i rami di un ginepro.
“Aspetta! Che significa?” gridò la ragazzina. “Ehi, Gnam Gnam, torna qui!”.
Ma ormai era tardi. L’Omino Giallo era già lontano.
“Lily, avevo detto di non staccarsi dalla fila!” la rimproverò il docente quando la raggiunse.
“Lo so…” colta in flagrante, lei abbassò gli occhi “… ma io ho visto un Omino Giallo!” esclamò a mo’ di giustificazione.
“Cos’hai visto tu?” Bianco Spinus non credeva alle sue orecchie.
“Si… mi ha parlato…ma poi qualcosa l’ha spaventato ed è fuggito! Credo sia stata la sua voce a farlo fuggire, Professor Spinus!”
“Lily, non si dicono le bugie! Lo sai cosa succede ai bambini che raccontano bubbole?” fece lui puntandole un dito in faccia.
Lily scosse la testa, i grossi occhioni scuri spalancati.
“Beh, se un bambino dice una bugia…” la fissò negli occhi con un’espressione di severa ammonizione “…di notte arriva il Folletto Veritiero a mordergli la lingua!” concluse facendo sbattere i suoi dentoni da coniglio.
La ragazzina inorridì.
“Tu vuoi che il folletto venga a morderti?”
Lily negò con un sicuro cenno del capo. “Io non sono una bugiarda!” esclamò ad alta voce. “Quello che ho detto è vero!” sembrava quasi offesa per l’insinuazione del maestro.
“Ah si? E cosa ti avrebbe detto questo Omino?” fece il Professore in tono condiscendente.
“Si chiama Gnam Gnam e sa il mio nome e dice che tutte le creature magiche mi conoscono!” rispose tutto d’un fiato.
“Non è vero! Non è vero! Non è vero!” canticchiò uno dei suoi compagni trotterellandole attorno con fare canzonatorio.
“Lily dall’orecchia liscia si è inventata tutto!” la prese in giro un’altra ragazzina.
“Lily senza orecchie a punta è una bugiarda!” esclamò un altro facendole una linguaccia.
Lily non rispose alle loro provocazioni. Era abituata a quelle stupide battutine sin dai tempi dell’asilo. La maggior parte dei bambini l’aveva sempre presa di mira per il fatto che non aveva le orecchie come quelle di tutti gli elfi.
Desiderò solo che a quei tre spuntassero un paio di orecchie da asino, così avrebbero smesso di deridere le sue e si sarebbero preoccupati delle loro. Ed il giorno dopo a scuola non avrebbe creduto ai suoi occhi quando i suoi tre perfidi compagni si sarebbero davvero presentati in classe con lunghe orecchie d’asino.
Lily si allontanò di corsa, lasciando il Professor Bianco Spinus impressionato da quella rivelazione. I piccoli occhi dell’elfo si strinsero in una smorfia perfida a scrutare le zone d’ombra dei sinuosi sentieri del bosco prima di voltarsi e fare ritorno al suo gruppo di allievi.  Quella sera avrebbe avuto qualcosa di molto interessante da riferire e la Padrona ne sarebbe rimasta soddisfatta.

 

***

 
Il cielo era strano. Le nuvole si agitavano e si gonfiavano come grosse bolle piene d’acqua, in attesa di scoppiare e riversare sulla terra le loro lacrime fredde.
Al limitare dei campi coltivati dal signor Esilus Goradiel, la recinzione del vecchio cimitero sconsacrato si stagliava ancora sullo sfondo. Il venticello serale che spirava dalle brughiere del nord portava con sé il sinistro cigolio dello sgangherato cancello arrugginito che si apriva e si chiudeva come spinto da una mano invisibile.
Quel camposanto era stato teatro di alcuni eventi spiacevoli tempo addietro. Nei primi anni della Reggenza di Ferafer si era diffusa in città una grave pestilenza che stava lentamente falciando e decimando la popolazione elfica. In quel periodo carretti di legno straripanti di cadaveri percorrevano le vie, notte dopo notte, per portare il loro macabro carico alle fosse comuni del cimitero.
L’epidemia portava con sé anche una preoccupante forma di depressione psichica che contribuì a creare il clima ideale per l’insorgere del panico. Ben presto, gli Ambrosiani incolparono Terry Zappo, giardiniere e becchino del camposanto, di negligenza. Essi, infatti, ritenevano che la malattia si fosse diffusa a causa delle sepolture in fosse pressoché a cielo aperto, poco rispettose dell’ambiente e soprattutto delle norme di igiene. La gente, temendo il diffondersi delle infezioni, si liberava al più presto dei malati, abbandonati dagli stessi familiari per paura del contagio. In quell’atmosfera di terrore e follia cominciarono a verificarsi di frequente casi di elfi sepolti vivi accidentalmente. Persino alle persone che si trovavano semplicemente in stato di ubriachezza poteva capitare di essere sepolte vive. Una morte atroce: prima la vaga consapevolezza dell’accaduto, poi il panico e gli inutili tentativi per liberarsi ed infine la lunga agonia causata da un lento soffocamento.
Ogni singolo elfo aveva un’unica convinzione in testa: era tutta colpa di Terry Zappo.
“L’ho sempre detto che beveva come una spugna e che non era in grado di assumersi le responsabilità del suo lavoro!” si era sentito dire da più di un elfo in città.
Terry venne arrestato, per buona pace dei cittadini, in quanto ritenuto responsabile del dilagare dell’epidemia e quella notte stessa, in una cella delle prigioni del Palazzo Regio, si tolse la vita smettendo di respirare. Non riusciva a sopportare l’idea di essere utilizzato come il capro espiatorio di una pestilenza che si era diffusa come una catastrofe naturale e non per qualche suo demerito.
Successivamente quel cimitero era caduto in disuso ed in un decreto regio Ferafer ne ordinava lo smantellamento e destinava la campagna al di fuori della cinta muraria cittadina a luogo di sepoltura, onde evitare altri disordini e l’insorgere di nuove epidemie dovute alla vicinanza di morti e vivi.
Le lapidi più piccole erano state completamente distrutte e l’intero suolo cimiteriale era stato consegnato alla furia purificatrice del fuoco.
A distanza di anni sopravvivevano solamente alcune cappelle private e una dozzina di mausolei di pietra corrotti dal tempo e dalle fiamme. I muschi ed i rampicanti avevano trovato il loro habitat ideale tra quelle costruzioni dimenticate e crescevano rigogliosi guadagnando di giorno in giorno sempre più terreno.
Il Signor Goradiel, dopo una stancante giornata di lavoro nei campi, si sorprese nel vedere accendersi una luce in una delle vecchie cripte trascurate. Si strofinò gli occhi, incredulo. Ultimamente gli stava capitando di vedere troppe cose strane.
“Per tutti i funghi prataioli, non può essere vero!” esclamò quando, riaperti gli occhi, notò ancora quella luce. Spinto dalla sua indole di elfo curioso e ficcanaso, si risolse ad andare a controllare. Tutti gli Ambrosiani conoscevano la storia dell’antico camposanto che da quella tragica epidemia era sempre rimasto chiuso. Abbandonato e tetro, abbarbicato su un pendio oltre i campi, destava in tutti coloro che alzavano lo sguardo in quella direzione un brivido sgradevole, a riprova delle cupe morti di cui era stato testimone e teatro.
Al Signor Esilus parve molto strano che qualcuno si aggirasse a quell’ora in quel luogo.
Si arrampicò sul ripido sentiero che conduceva all’imponente cancellata di ferro. Ogni tanto si concedeva una sosta perché le sue gambette smilze non erano più agili come una volta, anch’esse cominciavano a sentire il peso dell’età che avanzava.
“Ah…” sospirò riprendendo fiato “…non sono più quello di un tempo! Quando lo zio Agrestus era ancora in vita, benedetto elfo, avrei affrontato questa salita di corsa, senza fermarmi nemmeno una volta!” pensò, sconsolato all’idea di invecchiare.
Giunto in cima, trovò il cancello stranamente aperto. Dandosi un’occhiata intorno intravide un bagliore provenire dalla sottile fessura dell’ingresso di uno dei mausolei. Gli arbusti e le erbacce avevano trasformato quel luogo in una giungla selvaggia ed avevano quasi raggiunto la sua altezza.
Si avvicinò con cautela, senza far rumore, e si bloccò in una posizione che gli consentiva di mettere a fuoco una porzione della stanza.
“Come hai fatto a salvarla?” dall’interno giunse una voce d’uomo. Suonava sbigottita ed estasiata in egual misura.
“Mi sono occupata di Lei per questi dieci anni e sono riuscita a rimetterla un po’ in forze…” rispose una donna. Quella voce femminile per un momento gli parve familiare.
“…prima era solo un ammasso informe di materia … certo ora è comunque molto debole, ma…”
“Dov’è Momordi?” la interruppe un’altra voce femminile. Sembrava provenire da un catafalco di marmo. Ma Esilus non riuscì a vedere chi aveva parlato.
“Io… non lo so, Potentissima!” dichiarò un timbro maschile.
“E’ andato a perlustrare la zona” ribatté l’altra donna.
“Dovrete procurarmi presto del cibo…mi sento stanca… senza forze”
“Ma siete sicura che funzionerà?” avanzò la voce femminile.
“Più che sicura!” replicò l’altra in tono glaciale. “Stai avendo dei ripensamenti? Ti vuoi tirare indietro?” sbottò, minacciosa.  
“Lei non voleva dire questo, Potentissima!” intervenne l’uomo. “E’ che… sono sorte delle complicazioni…” continuò esitante.
“Quali complicazioni?” tuonò la voce dal catafalco.
Esilus Goradiel era sempre più confuso. Che razza di persone si potevano riunire di notte in cimitero sconsacrato, abbandonato da anni?
“La ragazzina… riesce a parlare la lingua delle creature magiche più rare…forse questo potrebbe essere un problema!”
“Ed in che modo questo dovrebbe essere d’ostacolo al piano?”
“Di sicuro, a quest’ora tutta Hogwarts si starà mobilitando. Schiere di maghi si saranno accorti dei poteri della ragazza… non la lasceranno priva di protezione… e non potremo agire indisturbati”.
“La uccideremo lo stesso!” sentenziò la voce della donna nascosta, senza alcun indugio. “In un modo o nell’altro! Aspetteremo che la credano al sicuro e poi colpiremo quando meno se l’aspettano!”
Al signor Goradiel tremavano le mani. Quei tre delinquenti stavano progettando un omicidio!
Udì un ringhio basso poco distante da lui e quando si voltò si ritrovò faccia a faccia con un bestione nero dall’aria aggressiva. Aveva la testa ed il corpo di un cane, mentre le zampe erano quelle di un caprone. E portava un grosso collare spinato che gli cingeva il collo tozzo e massiccio. Esilus chiuse gli occhi, il cuore attanagliato in una morsa di terrore. Il cane gli passò accanto ed entrò quatto quatto nella cappella dove si trovava la propria padrona.
“Momordi! Eccoti!” la voce femminile, ancora senza volto, gli accarezzò il testone peloso e sembrò prestare molta attenzione ai sommessi latrati del cane. “Momordi porta buone nuove. Dice che c’è un vecchio elfo proprio fuori dalla porta… che ha sentito tutto quello che ci siamo detti!”
Il signor Goradiel deglutì scioccato, rivoli di sudore freddo gli pizzicavano il naso e le guance, percorrendo poi la linea del collo fino a chiazzare più giù la sua tuta da lavoro. Avrebbe desiderato più di tutto scappare, ma le sue gambe stanche e tremolanti non ne volevano sapere di rispondere alla sua volontà. Avvertì dei passi e poi la pesante porta d’ingresso si spalancò. Un elfo lo fissava con occhi truci dalla soglia. Il povero Esilus era troppo spaventato per riuscire a muovere anche solo un passo.
“Suvvia, non essere scortese. Fai accomodare il nostro ospite!” esclamò la donna misteriosa.
“C…ccc…chi sssiete voi?” anche la voce tremava allo spaurito Signor Goradiel.
“Non ha importanza chi siamo!” giunse la secca risposta dal catafalco nell’ombra.
“Piuttosto chi sei tu? E perché ci stavi spiando?” intervenne l’elfo che aveva aperto la porta.
“Mmm…ma io ti conosco… tu…tu sei…”
L’elfo si spostò di lato ed il Signor Esilus riuscì a distinguere la terza figura nella stanza. La confusione lo travolse come un fiume in piena che spacca gli argini e le dighe ed esonda come una furia. Sbiancò e prese a farfugliare: “P … Pe…”
Ma prima che lo sventurato contadino potesse concludere la frase, un fascio di luce azzurra lo colpì in pieno volto ed il poveretto si accasciò a terra, privato di ogni energia vitale.
“Non mi sono mai piaciuti gli spioni!” commentò l’uomo che aveva posto fine alla vita dell’elfo. La bacchetta ancora fumante tra le mani.
“Finalmente si mangia!” sospirò la voce senza volto.

 

***

 
“Ammetto di essermi sbagliato!” fece Sereno Animum. “Eppure dieci anni fa ero sicuro della mia ispezione. La piccola non aveva mostrato alcun potere speciale!” aggiunse, perplesso.
“Forse perché non era ancora in grado di parlare!” avanzò il Professor Mutor come ipotesi.
“Saggia supposizione, Professore!” gli concesse il Preside.
Dal buio emersero due figure incappucciate.
“Harry! Samael! Notizie?” domandò Sereno con apprensione.
“Si… e purtroppo non sono buone!” fece Potter.
“Il Noce Infernale è rinverdito, non so come… suppongo non sia un buon presagio!” aggiunse Samael.
“Ne avevo il sospetto. Ma speravo fossero solo le cupe paure di un vecchio dalla mente stramba!” ammise il Preside, scuotendo il capo.
“Che altro?” chiese Aquilino Mutor rivolto ai due uomini.
“Abbiamo sorvolato l’intera zona e ci è parso di notare qualcosa di strano al vecchio cimitero… dei bagliori, come se qualcuno stesse lanciando degli incantesimi con la bacchetta…” rispose Harry.
“Ne siete certi?” indagò Sereno Animum.
“Sfortunatamente non siamo riusciti ad avvicinarci. Se ci fosse stato qualcuno, ci avrebbe scoperti!” replicò Samael, lisciandosi le pieghe del mantello. “Come intendiamo agire?” quella domanda vagò per un po’ nell’aria tesa, senza una risposta. Il vecchio Preside sembrava concentrato in pesanti congetture, così come il Professor Mutor.
“Mia figlia non è più al sicuro, questo è ovvio!” Harry fece notare loro una realtà evidente.
“Lo sappiamo bene, Harry!” ribatté Sereno. “La trasferiremo!” aggiunse subito dopo.
“E dove?” intervennero gli altri tre all’unisono.
“Ad Hogwarts!” 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La Scoperta ***


Prima di lasciarvi al nuovo capitolo ci tengo a fare una precisazione onde evitare incomprensioni.
Per come ho ideato ed immaginato il carattere di Lily, vorrei ricordare che è cresciuta ed ha trascorso la sua infanzia in una città (quella di Ambra) che si è sempre tenuta in disparte e al di fuori dal resto del mondo, senza avere contatti con altri popoli o situazioni diverse da quella che è la normale routine degli elfi. Quindi, casa, campagna, ecc... un ambiente molto chiuso e riservato. Perciò Lily fino ad ora, benchè sia una ragazza molto sveglia, è cresciuta con una mentalità un po' ingenua, non ha le stesse esperienze di vita che potrebbero avere altri ragazzini della sua età, e ama talmente tanto i due elfi con i quali è cresciuta da non badare o comunque da non fare caso alle differenze che ci sono tra loro. Era questo il messaggio che volevo trasmettere sul rapporto di Lily con i Signori Goradiel. Spero di essermi spiegata abbastanza.
Fatta questa piccola premessa, ringrazio tutti quelli che hanno lasciato un commento alla mia storia (mi fa sempre piacere sapere le vostre opinioni) e chi l'ha inserita tra le ricordate/seguite/preferite.
Grazie di cuore e buona lettura.




6.
La scoperta


 
 
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre,
ma nell’avere nuovi occhi.
Marcel Proust

 
 
 
La cena sul tavolo si era freddata. Il risotto di zucca e zenzero aveva smesso di spandere il suo gustoso aroma speziato per tutta la stanza.
Il cucù in soggiorno scoccò le tre. Un pettirosso uscì dalla sua tana di legno, si leccò le piume ed emise tre forti cinguettii. La signora Goradiel si svegliò di soprassalto. Era rimasta sveglia ad aspettare il marito finché le palpebre le si erano chiuse da sole e si era accasciata sul tavolo da pranzo, un gomito le era finito dentro nel suo piatto di risotto. Sbirciò il vecchio orologio sulla parete di fronte, il pettirosso le strizzò l’occhiolino e sparì di nuovo all’interno. Era molto tardi.
Si levò in piedi con uno sbadiglio e si ripulì la manica del pullover. Sul divano Lily dormiva come un sasso. Cara ragazza, era voluta rimanere a farle compagnia mentre attendevano il ritorno di Esilus. Ma poi il sonno era sopraggiunto anche per lei e si era addormentata lì, quando invece avrebbe potuto godere della comodità del suo letto.
La tuta da contadino mancava ancora dall’attaccapanni, segno che il Signor Goradiel non era più rientrato.
“Molto strano!” si disse Pennetta. “Non ha mai tardato così tanto!” una fitta di apprensione si stava impadronendo di lei.
S’infilò la sua cappa da passeggio e prese una torcia, intenzionata ad andarlo a cercare. Quando appoggiò la mano cicciottella sulla maniglia, udì un distinto bussare alla porta.
“Ti pare questa l’ora di tornare a casa? Dove sei stato?”
Ma quando aprì non era il Signor Goradiel quello che si trovò di fronte.
“AAAAAAAAH!” Pennetta urlò per lo spavento. “CHI E’ LEI? COSA CI FA QUI?”
“Signora Goradiel, si calmi, la prego!” fece Samael, pacato, invitandola a tranquillizzarsi.
“Calmarmi?” esclamò, sbigottita. “CALMARMI?” ripeté, agitata, alzando il tono della voce. “Mio marito è scomparso e uno sconosciuto si presenta a casa mia nel cuore della notte… mi spiega come posso calmarmi?” aggiunse poi, angosciata.
“Mi faccia entrare, Signora Goradiel” rispose lui semplicemente.
“Cosa?” Pennetta, confusa, non riusciva a capacitarsi di quello che stava succedendo. Le sembrava di vivere un incubo.
“Mi faccia entrare” Samael riformulò quella richiesta. “Non posso entrare se non sono invitato!”
“Che storia è mai questa?” il faccione rosso per l’agitazione.
“Pennetta, per favore. Le prometto che le spiegherò tutto” giurò il redivivo.
“Oh, d’accordo!” si risolse alla fine con uno sbuffo, non vedendo alternative. “Avanti, entri pure!” gli fece cenno d’accomodarsi. “Ma come fa a conoscermi?”domandò, turbata, nel realizzare che poco prima quel tipo misterioso l’aveva chiamata per nome.
“Sono dieci anni che vi tengo sotto controllo, Signora Goradiel” fece Samael, come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Ma che sta dicendo? COSA SIGNIFICA TUTTO QUESTO?” la voce della donna si era fatta stridula per lo sconcerto.
“Mi stia a sentire, Pennetta” la fissò intensamente negli occhi, come a volersi accertare che la donna potesse ragionare in maniera lucida in quel momento.
“Lily è in pericolo… e lo siete anche lei e suo marito!” lo disse così, secco, senza tanti giri di parole.
Pennetta Goradiel sbiancò all’istante e dovette appoggiarsi saldamente allo schienale della sedia per non svenire e capitombolare a terra. Si udirono dei rumori provenire dal camino di pietra, come se qualcuno stesse tentando di scendere attraverso la canna fumaria.
“E ora che c’è?” Pennetta si voltò di scatto verso la fonte di quel trambusto.
Poco dopo un uomo dal buffo cappello a punta ricoperto di piume si stava pulendo vigorosamente il mantello dalla fuliggine. La Signora Goradiel lo osservò con occhi impietriti. Non aveva mai visto nessuno scendere da un camino.
Sereno Animum levò lo sguardo sui presenti. “Samael, l’hai terrorizzata a morte questa povera signora!” constatò, dando una veloce spolveratina al suo cappello.
“Veramente anche lei con il tuo ingresso non ha scherzato!” replicò il vampiro accennando al camino.
“Oh, era da anni che non lo facevo. Ricordavo che si stesse un po’ più larghi lì dentro” borbottò Sereno. “Devo essere ingrassato un tantino” commentò con una sonora risata. “Salve, Signora Goradiel. Io sono il Preside Sereno Animum” si presentò l’uomo, porgendole la mano destra. Pennetta era troppo confusa per accettare la stretta e contraccambiare il saluto. Nel frattempo tutta quella confusione aveva svegliato Lily.
“E tu devi essere Lily!” si rivolse alla ragazzina che si era alzata dal divano.
“Che sta succedendo?” fece lei, trattenendo uno sbadiglio.
“Siamo venuti a prenderti” esclamò Samael.
“Per portarmi dove?” replicò, senza paura.
“Al sicuro… Ad Hogwarts!” le aveva risposto con voce decisa ed inflessibile. “La migliore scuola di magia che si possa frequentare!” aveva aggiunto strizzando l’occhio al Preside.
“Tu sei una strega, Lily!” Sereno le si era avvicinato e le aveva posato una mano sulla spalla.
“Come? Vi state sbagliando… io sono solo una semplice bambina!”
“Sei molto di più, mia cara! Ti è mai capitato qualcosa di strano alla S.A.S.S.O.? Qualcosa di incredibile, che agli altri bambini non è successo?”
Lily ripensò alla strana conversazione con l’Omino Giallo nel bosco e alle orecchie d’asino che erano spuntate come per magia ai suoi tre compagni.
“In effetti…”
“E’ così, Lily. Tu sei una strega… e con una grande dote, per giunta!” confermò il vecchio.
“Io… io so fare magie…” bisbigliò la ragazzina, cogliendo la verità.
“Non solo. Tu sai parlare la lingua di tutte le creature magiche” continuò l’uomo.
“Lily, tesoro, ma che stanno dicendo questi signori?” intervenne Pennetta, ancora scombussolata.
“E’ vero, mamma. Sono una strega!” ammise la ragazzina, più con se stessa forse.
Era arrivato il giorno che la Signora Goradiel aveva temuto di più in tutti quegli anni. Quello in cui avrebbe scoperto che la figlioletta che avevano cresciuto era completamente diversa da loro.
“In cuor mio l’ho sempre saputo” piagnucolò Pennetta, dispiaciuta. “Sapevo che non eri una di noi.”
“Cosa intendi, mamma?”
“Io non sono la tua vera madre” le confessò tra le lacrime. Esilus ed io ti abbiamo trovata quando eri molto piccola. Qualcuno ti aveva abbandonata davanti a casa nostra, così abbiamo deciso di tenerti.”
“Il tuo vero nome è Lily Potter e la tua madre naturale, una strega molto brillante, è morta per salvarti la vita una notte di dieci anni fa!” spiegò Sereno Animum, trattenendo un brivido di dispiacere al ricordo di quel giorno.
“Per salvarmi da cosa?”
“Dall’essere più crudele e malvagio che sia mai esistito. Molti hanno persino paura di pronunciare il suo nome, per questo lo chiamano Tu-Sai-Chi.”  
“E mio padre?”
“Tuo padre è il famoso Harry Potter. Ti aspetta in un luogo sicuro, presto lo incontrerai” intervenne Samael.
“Ora dobbiamo sbrigarci… le forze oscure si stanno risvegliando” ingiunse il Preside con premura. “Porteremo con noi anche la signora” continuò.
Samael aggrottò la fronte.
“Ma lei non ha poteri! Non può venire ad Hogwarts!”
“Non voglio insegnarle ad usare la magia…” ribatté Sereno Animum“… voglio solo proteggerla dal pericolo. Se rimanesse qui da sola, sarebbe la prima a morire se Tu-Sai-Chi riuscisse a risorgere. Ed io non voglio altre vite sulla coscienza!” bisbigliò all’orecchio dell’amico.
“Come vuole” rispose il vampiro abbassando lo sguardo fiero in segno di accettazione.
“E mio marito? Non è ancora tornato a casa! Io non vengo da nessuna parte senza di lui!” si impuntò Pennetta con fare deciso.
“Signora Goradiel, Samael resterà qui di guardia. Non appena vedrà suo marito, provvederà prontamente a raggiungerci insieme a lui” le assicurò il Preside. “Ora, la prego, voglia seguirmi!”
Lily fissò con apprensione la madre, che era rimasta alquanto stordita dagli ultimi avvenimenti. Si aspettava di vederla svenire da un momento all’altro. Ma la Signora Goradiel era una donna di grande forza d’animo, oltre che di fisico, e non si lasciò abbattere da quegli stravolgimenti.
“Forza, seguitemi!”
Pennetta lanciò un ultimo triste saluto a quella che era stata la sua casa per tanti lunghi anni. E con la speranza che il marito stesse bene e tornasse presto, seguì lo stregone senza fiatare. “Stai all’erta, Samael. A presto”.
“A presto, Signor Preside”.
Sereno Animum uscì dalla porta ed estrasse da sotto il mantello un affare di metallo molto simile ad un fischietto. Se lo portò alle labbra e vi fischiò dentro tre volte. Tre prolungati fischi acuti lacerarono il silenzio di tomba di quella notte. Poi si udì un fruscio nell’aria e a breve avvistarono una scopa che sfrecciava alta nel cielo. Volava nella loro direzione e si arrestò esattamente ai loro piedi.
“Ce ne andremo a cavallo di una scopa volante?” domandò Pennetta visibilmente allarmata.
L’uomo si limitò ad annuire.
“Ma noi non sappiamo volare!” Lily diede voce alle paure della madre.
“Oh, non serve saper volare” le rassicurò lui. “Questa è una Trasportina!” esclamò indicando la scopa.
Pennetta Goradiel lo squadrò come se avesse appena parlato in una lingua incomprensibile.
“Dunque, una Trasportina non è una scopa qualunque. Ne esistono pochissimi esemplari in tutto il mondo. Non c’è bisogno di sapere come guidarla. Basta salirvi sopra e pronunciare ad alta voce la parola d’ordine. Dopodiché vi verrà richiesta la destinazione da raggiungere. E verrete trasportati dove richiesto in men che non si dica” spiegò. “Forte!” Lily proruppe in una calorosa esclamazione di sorpresa.
“Avanti, salite! Non c’è tempo da perdere”.
“E’ proprio sicuro che non cadrò da questo pezzo di legno?” fece Pennetta nient’affatto tranquilla.
“Non cadrà. Glielo giuro sulla barba di mio nonno!” le rispose Sereno in tono accomodante.
“Ed io come faccio a sapere se suo nonno aveva la barba?” ribatté Pennetta aggrottando le sopracciglia, sospettosa.
“Signora Goradiel, si fidi e faccia come le dico” sbuffò il mago.
“Andrà tutto bene, mamma” la rassicurò Lily prendendola per mano. Il Preside le fece accomodare sulla Trasportina e poi vi salì anche lui.
“Parola d’ordine!” si udì una voce debole, quasi strozzata.
“Chi ha parlato?” Pennetta rabbrividì.
“Potrebbe spostare più avanti il suo ingombrante fondoschiena, signora? Mi sta soffocando!”
“Eh? CHE SCHERZO E’ MAI QUESTO?” strillò la donna alzandosi di scatto.
Tra i fili di saggina della scopa, due occhietti furbi la stavano fissando ed una bocca larga e priva di denti le sorrise con sollievo.
“La ringrazio” la Trasportina le fece l’occhiolino.
“Qu…qu…questa cosa è… è… VIVA?” balbettò la signora con mani tremolanti.
“E’ solo un incantesimo. Si rimetta a sedere!” le ordinò il vecchio in un tono che non ammetteva repliche.
“Parola d’ordine!” ripeté la scopa una volta che tutti furono ai loro posti.
“Cerume di drago” rispose Sereno, serio.
“Che razza di parola d’ordine!” sibilò Pennetta, disgustata.
“Destinazione, prego!”
“Portaci al Paiolo Magico”
La Trasportina si librò alta nel cielo sopra Ambra, sorvolò mari e montagne, deserti e città ed incrociò persino la rotta di un Corcive Spennato. I Corcivi erano una strana quanto rara specie di volatili: incroci tra corvo e civetta, dovevano il becco e le zampe al primo ed il resto del corpo al secondo con la sola particolarità di non possedere nemmeno una piuma. Uccelli scontrosi e solitari, vivevano come eremiti al riparo di antri bui o sulle vette più alte della montagne nelle Terre del Nord, lontani da anima viva. Si diceva uscissero dalle loro tane solo quando erano attirati dall’odore del cibo ed il loro avvistamento era considerato un cattivo presagio visto che i Corcivi si cibavano di ossa di cadaveri umani.
“Quel Corcive è diretto ad Ambra” mormorò Sereno. “E può voler dire solo una cosa” aggiunse, pensieroso.
“Che cosa?” gli chiese Lily, incuriosita.
“Niente di buono, purtroppo” sospirò, sconsolato.
“Quanto vorrei che il Signor Esilus fosse qui” esclamò Pennetta pensando al marito.
Che Samael non gli avesse ancora fatto giungere notizie dell’elfo non era un buon segno se unito alla passeggiata notturna di quel Corcive, ma l’anziano stregone non ne fece parola con le due passeggere. Non era il momento di metterle al corrente dei suoi gravi presentimenti, almeno finché non fossero divenuti certezze.
“Bene, siamo quasi arrivati” le avvisò, interrompendo una conversazione che poteva avventurarsi su binari spiacevoli. “State pronte a saltare!”
“Cosa? SALTARE?” squittì Pennetta Goradiel spalancando la bocca. “Ho capito male?”
“No, cara signora Goradiel, ha capito benissimo. Ho detto proprio “saltare”. Ecco, vede… la Trasportina non è dotata di sistema di arresto quando trasporta viaggiatori, ma questo è solo un piccolo dettaglio”.
“Piccolo? E perché non me ne ha parlato prima di questo piccolo dettaglio?”
“Perché lei non me l’ha mai chiesto!” rispose semplicemente con un’alzata di spalle.
“Oh, lei è un vecchio… scorbutico… maleduca…” protestò Pennetta, mettendo il broncio da offesa.
“ORA! PRESTO, SALTATE!” gridò Sereno Animum coprendo gli insulti della donna.
L’uomo spiccò un balzo di un’agilità sorprendente a dispetto dei suoi anni ed atterrò comodamente in piedi sul ciglio di Charing Cross Road, una viuzza stretta e buia della Londra babbana. Lily con il coraggio che la contraddistingueva si lasciò andare senza timore e toccò il suolo con un volteggio grazioso. La signora Goradiel, timorosa e con il notevole impaccio della sua stazza robusta, aspettò proprio l’ultimo momento e chiuse gli occhi durante il salto cosicché non si accorse che sarebbe finita su un cespuglio di More Spinate. Il tonfo sonoro della sua caduta fu seguito immediatamente da una serie di strilli doloranti.
“Ohi ohi le mie mani! Ohi ohi le mie ginocchia! OHI OHI OHIIIIII!” piagnucolò.
Era atterrata carponi ed ora aveva le mani e le ginocchia completamente ricoperte di spine.
“AHI AHI AHIIIIII!”
Lily e Sereno accorsero in suo aiuto.
“Perché ha atteso così tanto prima di saltare?”
“Avevo paura. Lei lo sa che cos’è la paura?”
“Oh, spesso la paura è una cattiva consigliera. A volte basta buttarsi, senza tentennamenti, come richiedeva questa situazione. Ora stia ferma. La sistemo io” il Preside estrasse la propria bacchetta e la puntò sulla Signora Goradiel.
“Che vuole farmi?” abbaiò lei, scontrosa.
“La guarisco. O preferisce forse stare a togliersi le spine una ad una?” rimbeccò il mago. Pennetta abbassò lo sguardo avvilito e lo lasciò fare.
“Reparo” Sereno pronunciò in tono fermo e sicuro quella parola. Tutte le spine si staccarono dalle mani e dalle ginocchia di Pennetta e si andarono a conficcare nella corteccia dell’albero più vicino.
“Forte! Imparerò anch’io a farlo?” Lily gioì con un sorriso a trentadue denti.
“Se ti applicherai a dovere, imparerai molto più di questo trucchetto. Ora andiamo però. Ti condurrò all’ingresso del posto dove potrai trovare tutto il materiale che ti servirà per i tuoi studi”.
“E lei non viene?
“No, devo assolutamente tornare ad Hogwarts per discutere di questioni di sicurezza”
“Allora sarò sola?” domandò la ragazzina, preoccupata. “Non so nemmeno cosa devo fare!”
“Oh, no, non preoccuparti. Ci sarà Sir. Pongi ad aspettarti là”.
“Chi è Sir. Pongi?”
“E’ un leprecauno, il mio segretario… non è un tipo molto socievole ma ti sarà d’aiuto, vedrai!” la rassicurò. “Ah dimenticavo, ricordati di non fissare il suo pungiglione… è una cosa che detesta e potrebbe diventare dispettoso!” la avvisò.
Lily annuì. “E mia madre?”
“Lei verrà con me. È vietato a chi non ha poteri aggirarsi in quel luogo. Il suo soggiorno ad Hogwarts è già uno strappo alla regola. Non posso concedere di più, mi dispiace. Ma vi rivedrete presto”.
Lily stava rimirando la fatiscente facciata di un piccolo pub. Paiolo Magico, recitava un’insegna sbiadita.
“Ma dove siamo finiti? Non c’è nulla qua intorno!” si lamentò la signora Goradiel.
Lily lanciò un’occhiata confusa al Preside.
“Lei non lo può vedere perché non è una strega. Il Paiolo Magico è protetto da Incantesimi Dissuasori dello sguardo, per cui chi non possiede dei poteri non fa caso alla sua presenza” le spiegò l’uomo. “Pennetta, lei mi aspetti qui fuori mentre io accompagno Lily dentro”
“Stai attenta, bambina” Pennetta Goradiel riuscì ad infilarle in tasca un po’ di soldi e a darle un bacio in fronte prima di vederla sparire dietro la porta d’ingresso.
Il vecchio Sereno pensò che il Paiolo Magico era rimasto tale e quale ai tempi in cui ci aveva messo piede per la prima volta.  
Era ancora un locale buio e dimesso, che affittava camere malconce che non sarebbero state degnate nemmeno di una stella neanche sulle più scadenti guide turistiche babbane. Gli parve di vedere le stesse vecchie sedute in un angolo a sorseggiare bicchierini di sherry e l’omino col cappello a cilindro che parlava con il barman, completamente calvo. L’unica cosa che era cambiata era il proprietario. Quello vecchio, Tom, si era suicidato quando aveva visto il locale precipitare a picco dal momento che la maggior parte degli avventori aveva smesso di frequentare il quartiere dopo il sinistro ritorno di Lord Voldemort.
La nuova padrona, una certa Mary Flower, donna florida e zelante, non aveva apportato consistenti modifiche, se non per la tappezzeria interamente punteggiata di crisantemi, che non faceva altro che aggiungere tetraggine all’atmosfera già di per sé cupa e plumbea di quel motel.
“Preside Animum, che piacere vederla da queste parti! Le posso offrire qualcosa?”
La lugubre luce dei lumini del candelabro che pendeva dal soffitto puntava direttamente sulla testa del cameriere. Sotto quel riflesso pareva una grossa palla da bilardo perfettamente levigata e lucida.
“Magari più tardi. Ora devo mostrare alla piccola Lily il passaggio per Diagon Alley”.
Lo sguardo del cameriere si posò sulla bambina accanto al vecchio Preside.
“Ah, così tu sei la famosa Lily Potter. Si sta parlando molto di te in questi giorni. Perbacco, sei la fotocopia di tua madre!”
“Oh, Signorina Potter, quale onore averla qui nella mia umile locanda!” si fece avanti la proprietaria, aggiustandosi gli occhiali da vista per metterla meglio a fuoco. “Questo posto ha ospitato anche suo padre per qualche tempo e sarò lieta di applicare uno sconto generoso alla tariffa standard qualora volesse intrattenersi in una delle nostre stanze al primo piano”.
“Che mi venga un colpo, hai gli stessi occhi della povera Ginevra!” esclamò un vecchio mago molto grasso e con dei baffi enormi. Si alzò dalla sedia ed abbandonò sul tavolo una fetta di ananas candito alla quale poco prima stava prestando la sua più famelica attenzione.
“Professor Lumacorno, ben trovato!” Sereno Animum gli si fece incontro e gli strinse la mano.
“Lily, ti presento Horace Lumacorno. Sarà il tuo Professore di Pozioni ad Hogwarts”
“Piacere, Professore. Sono Lily Potter!”
“Oh, mia cara, non c’è proprio bisogno delle presentazioni. Sei tale e quale a tua madre… Sai, lei era una mia studentessa, una maga nelle fatture orcovolanti”.
“Cos’è una fattura orcovolante?” chiese la ragazzina, curiosa.
“E’ un incantesimo offensivo, non adatto a degli studenti del primo anno” ci tenne a precisare il Preside.
“Evoca mostruosi esseri svolazzanti, simili a spettri, che attaccano il nemico con lo scopo di rallentarlo e di fargli perdere la concentrazione. Richiede una grande forza di volontà e la cara Ginny era una maestra in questo. Perciò le ho chiesto di entrare a far parte del Lumaclub! Conto di avere anche la tua adesione, giovane Potter!” il Professor Lumacorno si sfregò le mani grassocce pregustando già la piacevole sensazione di aggiungere una nuova cornice alla sua mensola di alunni prescelti.
“LUMACLUB?!”
“Non c’è tempo ora, il Professore sarà lieto di fornirti tutte le spiegazioni una volta arrivati ad Hogwarts” chiarì Sereno con decisione.
“Ma certo, Signor Preside! Ora sono atteso allo Speziale, devo presentare la mia nuova Pozione Rivitalizzante” gonfiò il petto, vantandosi in maniera pomposa delle sue scoperte. “E’ così energetica da resuscitare persino i morti e non è un eufemismo! Ahah!” abbassò di netto il tono della voce, come se stesse rivelando un’informazione potenzialmente pericolosa, da tenere preferibilmente segreta, e si avviò verso il retro del locale.
“Signor Preside, che sorpresa! Permette una domanda?”
Ancor prima che Sereno Animum avesse il tempo di replicare, un’invecchiata ma ancora scaltra Rita Skeeter aveva già estratto il suo taccuino di pelle e la sua inseparabile piuma incantata si muoveva fluida sul foglio.
“Come ci si sente a vivere costantemente nell’ombra del Grande Silente? Le scoccia essere ritenuto la ruota di scorta ad Hogwarts?”
“Signora Skeeter, gli anni passano ma noto che lei conserva la stessa fastidiosa impertinenza di sempre” .
“Dunque… si … scrivi, scrivi…” la giornalista si ravviò un ricciolo bianco ed esortò la sua piuma verde con un cenno impaziente della mano. Al tocco lieve ma frenetico del pennino iniziarono a comparire alcune frasi vergate in corsivo.
Un nodo di dispiacere gli stringe la gola quando ci racconta di essere considerato un Preside di secondo livello…
“ E se mi vuole scusare ora ho cose più importanti da fare che dare adito alle sue fesserie” prese Lily per mano e la condusse verso la porta sul retro.
“La prego… una domanda per la giovane Potter! Solo unaaa…”
La lagnosa voce acuta della Skeeter rimbombò nelle orecchie di Lily finchè non si ritrovarono in un cortiletto angusto dove le erbacce che regnavano sovrane sembravano non aver mai conosciuto la cure di un giardiniere.
“Chi era quella donna?”
“Solo una vecchia scocciatrice!” sbuffò il Preside che sapeva da sempre di non dover dare peso alle parole di quella cialtrona.
Lily si ritrovò a fissare un muro di mattoni. Lo sfiorò con una mano e godette della piacevole sensazione di freschezza e morbidezza del muschio che aveva attecchito sulla parete.
“Tre verticali… due orizzontali…” bofonchiò Sereno. “Sta’ indietro, cara”.
Batté sul muro tre volte con la punta della bacchetta. Il mattone che aveva colpito dapprima si mosse impercettibilmente, poi vibrò e si contorse lasciando apparire una piccola fessura che si fece sempre più grande. Un istante dopo i due si trovarono di fronte ad un arco abbastanza ampio da permettere il comodo passaggio di una persona. L’apertura dava su una strada selciata tutta curve, di cui Lily non riusciva a vedere la fine.
“Forte!” esclamò la ragazzina, eccitata. Era entusiasta per le nuove esperienze che stava vivendo e non vedeva l’ora di arrivare ad Hogwarts e cominciare quella che si prospettava come un’avventura magica.
Proprio tale e quale a sua madre, pensò il vecchio mago quando la vide sparire oltre l’arco, che si richiuse lentamente dietro di lei. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Diagon Alley: la culla della magia (parte I) ***


7.
Diagon Alley: la culla della magia (parte I)


 
 
 

“Il sole splendeva illuminando una pila di calderoni fuori dal negozio più vicino.
Un’insegna appesa sopra diceva: Calderoni. Tutte le misure.”
(Tratto da “Harry Potter e la pietra filosofale”)

 
 
 
Il villaggio di Diagon Alley era profondamente mutato dopo la seconda guerra magica. L’atmosfera cupa e plumbea che l’aveva ammantato come una cappa opprimente, costringendo molti commercianti a chiudere bottega, era stata spazzata via e aveva riconcesso il posto a quell’aria di vivacità e spensieratezza di un tempo. I negozi rasi al suolo dai Mangiamorte erano stati ricostruiti con l’utilizzo della magia oppure erano stati soppiantati da nuovi edifici che ospitavano le attività commerciali più disparate.
Lily Potter si ritrovò catapultata in un pittoresco mondo colorato, le cui botteghe erano costruite per la maggior parte in legno.
Un grosso cartello all’inizio della via riportava una scritta a caratteri cubitali: BENVENUTI A DIAGON ALLEY.
Le strade erano gremite di maghi, streghe e creature magiche di tutte le razze alla ricerca degli oggetti più diversi.
Nell’aria si respirava un intenso profumo di resina. Lily lo inalò a pieni polmoni, ben felice di ritrovare quell’aroma familiare che l’aiutava a tenere vivo il ricordo della città nella quale aveva trascorso la sua infanzia.
Gallerie di negozi dai colori sgargianti si perdevano a vista d’occhio e la ragazzina non aveva ancora la minima idea di cosa avrebbe dovuto comprare e da dove avrebbe dovuto iniziare.
“La stavo aspettando, Signorina Potter” una voce alle sue spalle la distolse dai suoi pensieri. Si voltò e si ritrovò davanti un buffo ometto alto due piedi o poco più. Aveva un cilindro in testa a coprire una folta criniera di capelli rossi, così come rossa era anche la sua lunga barba ispida. Indossava un gilet color pistacchio con una cintura di pelle dalla quale penzolavano alcuni sacchetti tintinnanti ed un paio di calzoni di un verde più scuro con un buco all’altezza del fondoschiena dal quale spuntava un pungiglione sottile ma acuminato. Ai piedi portava degli stivali decisamente sproporzionati rispetto al resto del corpo. Stava masticando una presa di tabacco che ripose con estrema cura in una tasca per stringere la mano alla ragazzina.
“Mi chiamo Sir. Brandy Pongi e la accompagnerò a comprare il materiale scolastico per il suo primo anno”.
“Molto piacere, Sir. Pongi” Lily ricambiò la stretta e si sentì serrare la mano in una morsa di ferro.
Per essere un uomo così piccolo ha la forza di un gigante, pensò.
Il leprecauno le porse quindi una lettera siglata dal Preside Animum.
“Questo è un elenco di tutto ciò che le occorrerà”.

 
SCUOLA DI MAGIA E STREGONERIA DI HOGWARTS
Direttore: Sereno Pacificus Animum.
(Ordine di Merlino, Prima Classe, Mago Eccelso, Grande Stregone. Confederazione Internazionale dei Maghi)
Cara Ms. Potter,
siamo lieti di informarLa che Lei ha il diritto di frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà l’elenco di tutti i libri di testo e delle attrezzature necessarie. I corsi avranno inizio il 1° settembre.
Con ossequi,
Sereno Pacificus Animum,
Preside.

 
Gli studenti del primo anno dovranno munirsi dei seguenti testi scolastici obbligatori:
 
-         “Iniziazione alla magia: corso teorico e pratico di istruzione magica”  di Primer Magis.
 
-         “Gli strumenti del mago: come realizzare e dove trovare gli strumenti indispensabili alle pratiche magiche” di Tutto Trovit.
 
-         “Scritti di astronomia (volume I)”di Lumino Stellarius.
 
-         “L’arte di divinare”di Futurio Inmanus.
 
-         “Più di cento modi di trasmutare noi stessi e gli oggetti che ci circondano”di Aquilino Mutor.
 
-         “Il potere delle erbe officinali”di Neville Paciock.
 
-         “L’esatta arte di preparare pozioni: 101 ricette”di Madama Cooks.
 
-         “Alla ricerca dei Ricciocorni e di altre creature rare”di Luna Lovegood.
 
Inoltre dovranno procurarsi:
 
-         Pergamene per appunti.
-         Piume ad inchiostro lavabile.
-         N°1 bacchetta magica.
-         N°1 calderone (misura standard).
-         N°1 sfera di cristallo (evitare le imitazioni in vetro).
 
Si ricorda infine che a tutti gli studenti è concesso portare un animale da compagnia, qualora lo desiderassero, acquistabile presso il Serraglio Stregato o l’Emporio del Gufo.
 

“Non pensavo ci fossero così tante cose da portare” commentò Lily ripiegando la lettera.
“E questo non è niente! Aspetti di vedere il prossimo anno. Più si scava nei misteri della magia e più c’è da imparare”.
“E queste cose le posso trovare tutte qui?”
“Dalla prima all’ultima. Questo è il Grande Mercato della Magia. Creature da ogni dove giungono qui per comprare gli articoli magici più utili, più strani o più rari”.
“Da dove è meglio che cominci?” chiese Lily osservando con meraviglia le miriadi di viuzze stracolme di negozi che si aprivano di fronte ai suoi occhi. C’era sicuramente l’imbarazzo della scelta.
“Bé, provi da Uno sguardo al futuro, il negozio di articoli divinatori di Mrs. Legimens. Lì dovrebbe trovare il calderone e la sfera di cristallo. Io la aspetto all’Osteria dei Boccali Volanti. Vado a farmi un goccetto di buon vecchio whisky”.
Quando Lily entrò nel negozio un magico acchiappasogni indiano prese a tintinnare all’aprirsi dell’uscio. La ragazzina sollevò la testa attirata da quella melodia e studiò, affascinata, quello strano oggetto appeso proprio sopra l’ingresso.
“Quello è un acchiappasogni” la sorprese Mrs Legimens. Era una donnetta piuttosto bassa e robusta, con un paio di occhiali dalle lenti molto spesse e i capelli bianchi raccolti ordinatamente in una crocchia sulla nuca. “Lo sai a cosa serve?”
Lily scosse la testa. Non ne aveva mai visto uno prima di allora.
“Serve a scacciare gli incubi. Il cerchio in legno è una rete che intrappola i sogni e li filtra. Se sono buoni, seguono il filo di perline; se sono cattivi, vengono indirizzati verso le piume d’uccello per allontanarli” spiegò la donna. “Tu sei Lily Potter, non è così?
“Come fa a conoscermi?” fece la ragazzina, stupita.
“Oh, ti stavo aspettando. Sapevo che saresti venuta a farmi visita da stamattina, quando ho letto il mio oroscopo nei fondi di caffè a colazione”
“Lei conosce in anticipo il nome di tutte le persone che entreranno nel suo negozio?” domandò Lily strabiliata.
“Mi piacerebbe, ma non è così!” le sorrise Mrs Legimens.
“E allora perché sa come mi chiamo?”
“E chi non lo sa?”
Lily la squadrò con occhi pieni di confusione.
“Voglio dire, sei l’unica erede di Harry Potter, il salvatore del mondo magico. È più che logico che tutti gli occhi siano puntati su di te”
“Salvatore del mondo magico?”
“Tu non sai niente di tutto questo, eh?”
Trovò conferma nell’espressione stralunata della ragazzina.
“Già, proprio come pensavo… ma non spetta a me spiegarti queste cose! Vieni ti offro una tazza di tè”.
“Ma io voglio sapere!”
“Prima il tè, mia cara. Sono le cinque, è l’ora del tè!”
Lily seguì Mrs Legimens tra scaffali carichi di libri di cartomanzia e mensole occupate da boccette di varie forme e misure, mazzi di tarocchi ed infusi delle erbe più usate per la divinazione, fino a raggiungere un tavolino di legno sul quale era raggomitolato un gatto grigio immerso in un sonno profondo.
“Accomodati, cara”
La ragazzina si sedette ed allungò una mano per accarezzare la folta pelliccia del gatto. Il felino spalancò due spaventati occhi gialli a quel tocco estraneo, gonfiò la coda e soffiò digrignando i denti.
“Sulfur!” lo riprese Mrs Legimens. “Che maniere sono queste, gattaccio selvatico! Forza, scendi!” gli diede una leggera spinta e lo costrinse a saltare giù dal tavolino. “Devi scusarlo. Non gli piacciono gli sconosciuti e odia essere disturbato mentre dorme”.
Lily osservò Sulfur allontanarsi agitando la coda nervosamente e sparire dietro una lunga fila di calderoni.
“Allora cara, lo preferisci con il limone o al latte?”
“Al latte, grazie”
Con un rapido colpo di bacchetta Mrs Legimens fece apparire sul tavolo un servizio da tè in porcellana. La teiera fumante si mosse, come dotata di vita propria, e versò l’infuso bollente nelle due tazze.
“Signora, lei conosceva i miei genitori?”
Mrs Legimens indicò alla zuccheriera due zollette di zucchero ed il cucchiaino iniziò a versare e a mescolare da sé.
“Non di persona, ma ho sentito molto parlare di loro. Bevi il tè, prima che si freddi”.
“Sa cos’è successo a mia madre?”
“Ehm… è una faccenda molto delicata, bambina. Forse, forse non sono io la più indicata per raccontartelo… perché non lo domandi al tuo papà quando lo rivedrai?”
Lily si dovette arrendere, aveva la sensazione che quella donna le stesse nascondendo qualcosa o avesse paura di raccontarle qualcosa in più.
“Posso andare a scegliere una sfera di cristallo? È per il mio primo anno di Scuola” le chiese una volta finito il tè.
“Ma certo, cara. Sono laggiù” la donna le indicò uno scaffale in fondo al negozio.
“Grazie per il tè” Lily le restituì cortesemente la tazza. Quando Mrs Legimens la prese in mano restò scioccata nell’interpretare quello che aveva letto involontariamente nelle foglie di tè sul fondo. La tazza le cadde dalle mani e si sbriciolò ai suoi piedi con un fragore di cocci infranti.
“Mrs Legimens, va tutto bene?”
“Le foglie… le foglie dicono…” bianca in volto, faticava a parlare a causa dello shock.
“Cosa dicono? Cos’ha visto?” la incalzò la ragazzina, con apprensione.
“FUORI DAL MIO NEGOZIO!” sbraitò l’anziana donna spingendola verso la porta.
“Signora, la prego, mi dica cos’ha visto!” la implorò.
Mrs Legimens si fermò di colpo. I suoi occhi nascosti dalle spesse lenti degli occhiali fissarono Lily con sgomento e pietà allo stesso tempo.
“Nulla!” esclamò in tono piatto. “Non ho visto niente!”
“Ma com’è possibile?”
“Non c’è futuro per te!” la colpì con quell’affermazione brutale.
“E ORA ESCI! VIA DI QUI! FUORI DAL MIO NEGOZIOOO!”
“Ma…”
Non le diede nemmeno il tempo di ribattere. “VATTENE VIAAA!”
Lily, impressionata, corse a gambe levate verso la porta e si fiondò fuori. Nella fretta di uscire andò a sbattere contro una donna che invece stava per entrare. Lunghi capelli castani le ricadevano in morbide onde sulle spalle ed il suo viso trasudava un’aria da intellettuale.
“Oh, mi perdoni!” Lily farfugliò delle scuse, ancora agitata.
“Che ti ha detto quella vecchia pazza?”
“Come, scusi?”
“Che ti ha detto per farti correre come se avessi un troll alle calcagna?”
“Lasciamo perdere” sbuffò la ragazzina, ravviandosi i capelli arruffati per la corsa.
“Sai, è successo anche a mio figlio Hugo. Poco fa è uscito di qui in lacrime. Era andato a comprare un calderone e quella matta gli ha detto che presto verrà morso da un lupo mannaro. Sto andando lì a dirgliene quattro. Solo perché si crede un’indovina, non ha nessun diritto di spaventare a morte dei ragazzini!” sbottò furiosa quella signora. “E qualunque cosa ti abbia detto non crederle, sono solo i vaneggiamenti di una vecchia svitata!”. Con quell’ultima frase si congedò ed entrò  con cipiglio nel negozio di Mrs Legimens.
“SUCCO DI MIGLIO! SCIROPPO DI MIRTILLI! POLLINE FRESCO! VENITE AD ASSAGGIARE, SIGNORI! FORZA, ASSAGGIATE!” stava gridando un simpatico folletto dal banchetto di un chiosco dall’altra parte della strada. “VIENI, LILY! AVVICINATI!” si rivolse alla ragazzina quando si accorse che lo stava fissando. Lily ormai non si stupiva più del fatto che tutti sapessero il suo nome.
“Sa se c’è un altro negozio di articoli per la divinazione oltre a quello di Mrs Legimens?” gli chiese lei ben contenta di aver trovato l’occasione per chiedere informazioni.
“Per tutti i folletti, certo che c’è! È quello di mio cugino Indovinus!”
“Potrebbe indicarmi la strada?”
“Farò di meglio! Ti accompagnerò io stesso se assaggerai una delle mie bevande dolci” le disse mostrandole tutti i barilotti che riportavano incisi i nomi delle bibite contenute al loro interno.
“D’accordo. Un succo di mela caramellata”.
“Ottima scelta. È uno dei miei preferiti” le strizzò l’occhiolino prendendo un bicchiere di legno e riempiendolo quasi fino all’orlo. “Oh, ma che maleducato… non mi sono nemmeno presentato. Mi chiamo Signor Dulcis e le bevande che vedi qui le preparo tutte io con le mie mani. Prima lavoravo alla birreria La botte sempre piena ma il vecchio proprietario mi ha cacciato quando ha scoperto che mi piaceva un po’ troppo bere mentre ero in servizio… eheh…” ridacchiò grattandosi la barba.
“Molto piacere, Signor Dulcis!” la ragazzina ricambiò il suo sorriso e si rinfrescò il palato con il succo fresco che il folletto le aveva preparato. Poi rovistò nelle proprie tasche e tirò fuori uno zinchetto, una moneta grigia dalla forma ovale, per pagare il Signor Dulcis.
“No! No! No! Offre la casa!” esclamò lui, quasi offeso. “Adesso seguimi, ti porto da mio cugino”.
Con una strana formula in lingua gnomica sistemò il chiosco che si chiuse ed assunse la forma di un gigantesco fungo. Alla base del cappello, il folletto appese un cartello di legno che recitava la scritta «TORNO SUBITO».
La bottega del folletto Indovinus era un trionfo di colori delle tonalità più stravaganti. I tendaggi alle finestre tinteggiati a toni caldi concentravano un mix di sfumature eccentriche ed improbabili, come se fossero il risultato di un lavaggio malriuscito. Eppure si integravano alla perfezione con lo stile un po’ sopra le righe della bottega. Il pavimento era un perfetto mosaico colorato che raffigurava con estrema dovizia e cura di particolari un antico duello tra maghi. Lo scintillio delle bacchette era così ben rappresentato da lasciare nello spettatore la sensazione che fosse reale. L’espressione pacata e gioviale del rubicondo faccione del proprietario metteva ogni cliente di buonumore ed in tutto il negozio regnava sovrana un’atmosfera di cordiale accoglienza. Saranno stati i colori, o la precisione con la quale ogni oggetto si trovava al proprio posto, o ancora la vivida lucentezza emanata da una miriade di lucciole sospese al soffitto, ma Lily non si era mai sentita così serenamente rilassata come quando aveva varcato la soglia della bottega.
“Salve, cugino! Guarda un po’ chi ti ho portato!” proruppe il Signor Dulcis cogliendo Indovinus di sorpresa con un’amichevole pacca sulle spalle.
“Qual buon vento, caro Dulcis!” rispose l’altro ricambiando il saluto con un abbraccio caloroso. “Signorina Potter, lieto di incontrarla di persona!” si voltò poi verso Lily e la salutò con una goffa riverenza. Il suo pancione prominente non gli consentiva di esibirsi in inchini particolarmente eleganti ed aggraziati.
“Eccola! E’ lei!”
“Ne siete proprio sicura?”
“Ma si! Vi dico che è lei!”
“Mmm… se lo dite voi! Me la immaginavo più alta!”
Lily si guardò attorno confusa, cercando di capire da dove provenissero tutti quei bisbigli.
“Oh, non ci fare caso. Ai quadri piace spettegolare!” le sorrise Indovinus indicando la parete alla loro destra.
In una cornice dorata una nobildonna sfarzosamente ingioiellata dalla testa ai piedi stava intrattenendo una conversazione piuttosto animata con il soldato che abitava il quadro accanto al suo.
“E come fate ad esserne così sicura?”
“Capisco che la vostra istruzione di gendarme di basso rango sia poca cosa, ma anche i muri sanno chi è quella ragazzina” ribatté la dama con un cipiglio di superiorità indiscussa e riprese a lisciarsi le pieghe della sua vaporosa gonna di taffetà blu.
Indovinus non riuscì a trattenere una risata.
“Le donne!” sospirò. “Lingue più taglienti della vostra spada, amico mio” commentò strizzando l’occhiolino al soldato che era rimasto spiazzato dall’audacia della signora. “Il poverino è una vita che la corteggia e tenta di conquistarla, ma lei niente. Non perde occasione per fargli notare la loro diversa levatura sociale!” bisbigliò Indovinus avvicinandosi al cugino e a Lily per non farsi sentire dai quadri. “E’ ancora lì che aspetta il principe azzurro! Quasi quasi mi è venuta l’idea di andare alla Vecchia Pinacoteca a comprare la tela del Re dei Troll di Caverna. Ci sarebbe da divertirsi!”
Il Signor Dulcis e Lily risero di buon gusto.
“Ma bando alle sciocchezze, di cosa hai bisogno, signorina?” Indovinus si sfregò le mani, entusiasta di poter essere d’aiuto alla bambina più famosa degli ultimi decenni. Lily gli elencò ciò che era scritto nella lettera del Preside Animum.
“Vediamo un po’ in cosa posso esserti utile…” il gioviale folletto corpulento inforcò un paio di occhiali da vista, poi sparì dietro un pesante tendaggio broccato intarsiato con un complesso disegno a fili d’oro e d’argento. Ricomparve pochi istanti più tardi spingendo un carrello di legno sul quale erano appoggiati una sfera di cristallo ed un grosso pentolone di ferro dal manico ricurvo.
“Fai attenzione alla sfera! È di fattura molto delicata” la avvertì Indovinus quando Lily uscì dalla sua bottega.
La ragazzina si incamminò per le vie affollate alla ricerca di una libreria dove acquistare i volumi di magia che le erano necessari, ma dopo aver valutato una mezza dozzina di vetrine di librai si perse d’animo. I prezzi esposti superavano di gran lunga l’ammontare delle sue finanze, così come le preziose finiture di quei libri. Volumi interamente rilegati in pelle, con le pagine bordate in oro, decorate a mano da uno stuolo di folletti scrivani. Libri tascabili, delle stesse dimensioni di un francobollo, e perfino libri commestibili che promettevano la scienza infusa se mangiati nel modo corretto.
Per un po’ girovagò senza meta, troppa la vergogna per andare a chiedere un prestito al Signor Pongi, finché si ritrovò ai piedi dell’edificio più grande che avesse mai visto fino ad allora. Sull’insegna sbiadita e consumata dagli anni si riusciva ancora a leggere «EMPORIO DI TUTTO UN PO’» ed un annuncio ingiallito avvisava la clientela che nel negozio si potevano trovare libri usati a prezzi stracciati. Rinvigorita da quella nuova speranza, entrò senza pensarci due volte. L’interno aveva l’aspetto di una dimora signorile decaduta da secoli. Tappeti e arazzi logorati dalle tarme rivestivano i pavimenti e le pareti; poltrone che un tempo erano state sfiorate dalle eleganti fogge degli abiti delle streghe e dei maghi dell’alta società adesso giacevano impolverate e dimesse; lampadari preziosi che con i loro ninnoli di cristallo avevano illuminato grandi raduni di magia ora, celati da spessi fili di ragnatele, erano diventati la dimora ideale di qualche famiglia di insetti. Una quantità esorbitante di anticaglie faceva capolino da tutti gli angoli possibili, cianfrusaglie più o meno in disuso erano sparpagliate ovunque, persino le scale che conducevano ai piani superiori ne erano disseminate. Lily pensò che tra tutto quel ciarpame ci avrebbe messo giorni a trovare qualcosa di anche solo lontanamente utile. Stava per rinunciare e andarsene, quando una vocina sottile le domandò in tono concitato: “Che cosa cercavi?”
Dall’ombra di una mastodontica colonna di marmo sbucò fuori una testolina di ricci canuti.
“Sono il Signor Pasticcio Confusio”.

Portava un paio di occhiali da vista sproporzionati rispetto alle piccole dimensioni della sua testa. Se li tolse e prese a pulire le lenti con meticolosa attenzione, utilizzando un lembo della propria camicia scozzese.
“Scusa per l’attesa, ero nel retro a sistemare degli scatoloni…”
Probabilmente il retrobottega era anche peggio del negozio stesso, a giudicare dalla sporcizia che gli imbrattava il viso ed i vestiti.
“...ultimamente gli affari dell’emporio non vanno granché bene… non mi aspettavo clienti oggi” inforcò di nuovo gli occhiali e si sbarazzò di un filamento di ragnatela che gli solleticava il naso. Lily pensò che fosse il folletto più strano e ridicolo tra quelli che aveva incontrato fino ad allora.
“Un gatto ti ha mangiato la lingua, per caso?”
“Oh, no… scusi… è che….” non sapeva come dirlo senza farlo sembrare un insulto “… io non sono sicura di trovare qui quello che sto cercando” sputò fuori alla fine tutto d’un fiato.
“Ma che sciocchezze!” ridacchiò Pasticcio massaggiandosi la punta del naso. “Questo è il negozio più fornito di tutta Diagon Alley! Certo, forse non è una bottega di lusso come le altre, però qui si può trovare davvero di tutto!” esclamò con un certo vanto nella voce. Poi quasi come se ci avesse ripensato, “Se sai in quale angolo cercare, ovviamente. Parola di folletto!” si portò una mano sul cuore.
“Allora mi servirebbero i libri per il primo anno alla Scuola di Hogwarts” fece Lily, rincuorata.
Il folletto drizzò le orecchie, elettrizzato. “Anch’io ho frequentato una scuola di magia diversi anni or sono… era una scuola di classi miste, all’epoca si usava così…” raccontò con aria trasognata, come perso nelle memorie “… ho tutti buoni ricordi di quei tempi…” sorrise. “A parte quella volta in cui un vampiro in astinenza tentò di azzannarmi la giugulare scambiandomi per il suo pasto!” poi si accorse dell’aria improvvisamente sconvolta della ragazzina. “Oh, ma non devi preoccuparti. Ora questi episodi non accadono praticamente più. Gli insegnanti hanno adottato misure molto restrittive nei confronti delle creature che mostrano segni di aggressività” le spiegò eclissandosi dietro una montagna di libri antichi.
“Questo no!” Lily lo sentì esclamare a gran voce e subito dopo si dovette abbassare in fretta per schivare un corposo tomo di “Scienze delle erbe magiche” che attraversò tutta la stanza e andò finire ai piedi delle scale.
“Nemmeno questo! Attenzione lì a destra!” una fila di statue si portò rasente al muro onde evitare la decapitazione a causa di “Biografie di vampiri famosi”.
“Ancora no!”
Lily si nascose al riparo di una colonna di marmo e vide un altro libro atterrare sul lampadario di cristallo e farlo oscillare pericolosamente. Una sfilza di insetti spaventati si calò giù seguendo un filo di ragnatela e corse a nascondersi in una crepa del muro.
“Finalmente!” si udì un grido di trionfo. “Eccoli!” il folletto riemerse con una bracciata di libri, senza nemmeno darsi la pena di valutare se il suo bombardamento di copertine rigide e volumi che parevano mattoni avesse lasciato dei feriti.
“Una spolveratina e tornano come nuovi!” le assicurò affidandole quella pila di pagine che odoravano di insetticida per tarme e di stantio.
Data la modica cifra alla quale si era accaparrata quei libri usati, le restava un decente gruzzoletto per comprarsi una bacchetta se non di qualità eccellente, comunque dignitosa. Si vociferava in città che Ferula fosse la più abile costruttrice di bacchette magiche mai esistita dopo la morte di Olivander. Al contrario di molti ciarlatani che spacciavano per potenti bacchette quelle che erano solo semplici rami secchi senza alcun potere, Ferula aveva una maestria ed un talento innati nel recepire l’aura delle piante e dei fiori ed imprimerla nel fulcro vitale del legno. Per questo il suo era un esercizio che non aveva concorrenti né rivali. Tutte le piccole botteghe di artigiani che si arrabattavano nel tentare di imitarla avevano vita breve, stroncate dalla massa di creature magiche che pretendevano il meglio dalla loro bacchetta. Ed il meglio al grande mercato di Diagon Alley era di sicuro Ferula, un’artista nella forgia delle bacchette, come era conosciuta in città. Alta e filiforme, quasi avesse anche assunto le sembianze del materiale che lavorava con tanta accuratezza, era una donna rigida e inflessibile, asciutta e secca come la legna più buona da ardere e plasmare. Il suo negozio era ciò che di più vicino all’austero si potesse trovare, quasi spartano nella scarsità degli arredi. Il mobilio consisteva in una semplice scaffalatura che troneggiava sulla parete antistante l’entrata e una scrivania spoglia che fungeva da banco d’appoggio per i clienti che volevano visionare da vicino la merce.
“Siii?” una voce fredda e sibilante accolse l’ingresso della giovane Potter.
“Sono al primo anno e…”
“Riconosco voi del primo anno...” gracchiò la donna “…entrate tutti qui con aria spaurita, come se ci fosse un cartello alla porta che dice che qui si mangiano matricole! Ahah!”
Lily non riuscì a distinguere se quello era stato un ascesso di tosse o un accenno di risata asfittica.
“L’acquisto della prima bacchetta comporta sempre un mucchio di aspettative da parte dei ragazzini. La maggior parte delle quali sono tutte idiozie messegli in testa da un branco di genitori ignoranti che illudono i propri figli di poter diventare grandi nomi del firmamento magico con la giusta bacchetta. Come se bastasse sventolare un pezzo di legno per determinare la grandezza di un mago!” si sfogò Ferula.        
Lily comprese che quella doveva essere stata una giornata piena di ragazzini viziati e genitori petulanti, perciò non si offese personalmente per le crude parole della donna.
“Io non mi aspetto nulla…” rispose con sincerità. “Sto solo seguendo una lista di compere per la Scuola e qui c’è scritto che mi servirà una bacchetta”
“Molto bene! Fossero tutti così i ragazzini! Il più delle volte devo perdere la metà del tempo a spiegare loro che non esiste una bacchetta che effettua incantesimi da sola, se non è il mago a comandarla! Mi fanno scoppiare la testa!” si portò istintivamente una mano alla fronte come in un gesto di naturale abitudine. “Ma te lo concedo… tu sei diversa. Hai un bel temperamento, ragazza! Per questo forse…” si arrampicò su una scaletta di legno e raggiunse uno dei ripiani più alti dello scaffale “… direi che devi provare questa!” scese agilmente i pioli due a due e le porse un cofanetto bianco.
“Corteccia di bosso intarsiata con semi di melograno” dichiarò pomposamente, orgogliosa di essere l’artefice di uno strumento così raffinato e ben riuscito.
Lily la prese in mano. Sebbene fosse più leggera di quanto si aspettasse, avvertì un formicolio al braccio seguito immediatamente da una sensazione di energia mai provata. Tutto il suo corpo venne avvolto da un’aura lucente e Lily si sentì  completa.
“Direi che ti ho consigliato quella giusta” Ferula si esibì in una smorfia di vanesia approvazione "Sono proprio un genio!"      

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Diagon Alley: la culla della magia (parte II) ***


Solo una piccola puntualizzazione prima del capitolo. Vi ricordo che il linguaggio di Hagrid è volutamente sgrammaticato per rendere meglio il personaggio un po' rozzo e non molto istruito.
Ringrazio di cuore tutti i lettori e le lettrici che mi stanno seguendo. E' grazie a voi che riesco a continuare questa storia.
Buona lettura!




8.
Diagon Alley: la culla della magia (parte II)


 
 

“Harry avrebbe voluto avere altre quattro paia di occhi.
Strada facendo, si girava di qua e di là nel tentativo di vedere tutto e subito:
i negozi, le cose esposte all’esterno, la gente che faceva le spese”
(Tratto da “Harry Potter e la Pietra Filosofale”)

 
 
 
 
L’Osteria dei Boccali Volanti era il locale più rinomato e frequentato di tutta Diagon Alley, ovviamente dopo il Paiolo Magico. I suoi tavoli e le panche di legno cedrino avevano visto avvicendarsi una miriade di clienti che da tempi immemorabili si davano appuntamento lì per scambiare quattro chiacchiere, leggere una copia gratis de “La Gazzetta del Profeta” o fare una semplice bevuta.
L’oste Godurio Simposio era un nano attento ed oculato, con un autentico fiuto per gli affari. Aveva comprato la taverna dal precedente proprietario quando era solo una bettola sull’orlo del fallimento ed in pochissimo tempo l’aveva trasformata in un locale di successo.
Il fuoco sempre vivace e scoppiettante nel camino d’inverno ed i famosi tè speziati importati dalle regioni sud-orientali riscaldavano le membra degli avventori più impavidi che sfidavano il gelo delle serate invernali, quando la neve scendeva a fiocchi abbondanti e ammantava l’intero quartiere di una veste candida e spettrale. Per contro, la vicina gelateria, annessa al locale dopo la scomparsa dell’ex proprietario Florian Fortebraccio, allietava le afose giornate estive con squisite limonate ghiacciate, gustose bevande dissetanti di tradizione gnomica.
Quel giorno nella locanda si stava disputando una goliardica competizione tra un nutrito gruppetto di vampiri. La sfida consisteva nel riuscire a trangugiare in cinque minuti il maggior numero di calici di sangue di cinghiale. Gioco, a dir la verità, non molto apprezzato dalle altre razze magiche che avevano un’idea differente di quale fosse una buona bevuta e diversi gusti in fatto di dieta alimentare. Ciononostante, un folto capannello di spettatori si era radunato attorno al loro tavolo per scommettere sul probabile vincitore.
Artemio Venum, giovane esponente di una delle più antiche e nobili stirpi di vampiri guerrieri, era già a quota venti trascorso il primo minuto. Collo tozzo e taurino, fronte ampia e braccia nerborute che non nascondevano alla vista numerose cicatrici di guerra, già solo ad una prima occhiata superficiale incuteva nei più una sorta di timore reverenziale. Schiamazzi ed inni di incitamento erano udibili persino dalle botteghe e dai negozi circostanti.
A qualche sedia di distanza, una famigliola di nani era impegnata in una conversazione fitta fitta, davanti a coppe di siero di rapa rossa.
“Sono in arrivo una Bile di Topo e una Spremuta di Meningi di Lombrico!” gridò l’oste. Un minuto più tardi, due boccali decollarono dal suo bancone e attraversarono in volo tutta la stanza per depositarsi su un tavolo occupato interamente da folletti.
Mentre alla luce soffusa di una candela quasi consumata, se ne stava il Signor Pongi, immerso nella lettura di una circolare emessa dal Distretto per la Tutela e la Salvaguardia delle Creature Magiche in via d’estinzione. Lo distingueva un’espressione di concentrazione totale, come se si fosse trovato all’interno di una bolla, completamente estraneo ai rumori ed ai vocii del resto dell’osteria.
“Per mille pentole di San Patrizio!” sbottò rosso in volto alzandosi dal trespolo sul quale era seduto. “E’ inconcepibile!” si stropicciò il viso e si portò il foglio più vicino agli occhi, come per volersi accertare che ciò che aveva letto non fosse dovuto ad un offuscamento della vista o frutto della sua immaginazione. “Inaudito!” esclamò ancora più indignato. “Questa è la baggianata più grossa che io abbia mai letto!” si lisciò i baffi e sbatté con forza un piede per terra a sottolineare la sua irritazione.
“Cos’è una baggianata?” gli fece eco Lily. Era entrata in coda ad un gruppo di maghi e streghe, perlopiù ragazzi e ragazze della sua stessa età, e quando anche gli altri clienti si erano accorti della sua presenza per qualche istante nel locale era sceso un silenzio tombale, cosicché tutti erano riusciti ad udire nettamente la sua domanda ed ora attendevano con lei la risposta del leprecauno.
“Questa circolare! Puah!” sputacchiò schifato sul pezzo di carta che teneva ancora tra le mani. “Qui c’è scritto che il popolo dei Leprecauni si trova alla posizione numero due nella lista delle creature in via d’estinzione, secondo solo ai draghi di palude. Fesserie, io dico!” un’arteria gli pulsava ad intermittenza sul collo seguendo il ritmo del suo respiro rabbioso. “I Leprecauni sono uno dei popoli più prolifici che esistano!” alzò il tono di voce. “Scriverò immediatamente una vibrante lettera di protesta al Distretto e se necessario mi rivolgerò di persona al Consulente per la Difesa delle Creature Calunniate! Staremo a vedere se non porgeranno le loro scuse a tutti i Leprecauni che ancora respirano!”
“Sennò che fai a quelli del Distretto? Li minacci con il tuo spaventoso pungiglione? Ma che paura!” lo beffeggiò un ragazzino, acclamato da uno stuolo di compagni che scoppiarono a ridere per la sua battuta. Doveva essere poco più grande di Lily. Lunghi capelli biondi sulle spalle, abito dal taglio elegante cucito su misura e appena uscito dalla sartoria di Madama McClan, guanti di seta bianchi ad indicare un ragazzo di una casata di Purosangue, che di certo non era abituato a sporcarsi le mani. Gli altri ragazzini lo osservavano estasiati ed incantati come se fosse un mito dal quale trarre esempio, ma a Lily Potter era risultato istantaneamente antipatico.
Lily rammentò il monito del Preside Animum su quanto fosse permaloso il Signor Pongi quando si toccava un argomento così delicato per lui come l’aspetto fisico e pensò, con un brivido di pura soddisfazione, che quel ragazzino spocchioso l’avrebbe di certo pagata per la sua sfacciataggine.
Infatti, in men che non si dica, lo stesso corteo di ragazzini che fino ad un attimo prima lo stava adulando, ora lo additava con mormorii impressionati e gridolini di sconcerto. Stavano tutti osservando con orrore il pungiglione che gli spuntava a mo’ di coda dalle balze del suo nuovo vestito firmato.
Il Signor Pongi, gustando appieno il dolce sapore della vendetta, attraversò con fierezza la locanda diretto all’uscita, seguito da Lily che non riuscì a trattenere una risatina divertita, e dalle imprecazioni del ragazzo che non si addicevano per nulla ad una bocca nobile.
“Quando lo verrà a sapere mio padre, passerà dei guai. Lei non sa cosa significa mettersi contro un Malfoy!”
 

***

 
Il Serraglio Stregato era una delle poche botteghe rimaste aperte anche durante il periodo di terrore diffusosi dopo il ritorno di Lord Voldemort.
Oltre a vendere animali, accessori vari per la loro cura e mangimi, i nuovi proprietari, Rolf Scamandro e sua moglie Luna Lovegood, offrivano anche consulenze in materia di allevamento e di addestramento delle creature magiche.
L’interno era molto angusto, di certo non era il posto ideale per chi soffriva di claustrofobia. Questo fu il primo pensiero di Lily non appena ebbe messo piede nel negozio.
Lo spazio per i clienti era ristretto e limitato, ogni angolo del locale era occupato da gabbie, teche di vetro, voliere e scatole di ogni dimensione.
Il saluto di benvenuto che Rolf Scamandro rivolse alla ragazzina ed a Sir. Pongi venne quasi soffocato dai fischi dei corvi e dei merli rinchiusi nelle gabbie che pendevano dalle travi del soffitto, dai gracidii dei rospi viola nella teca di fianco al bancone e dai miagolii insistenti di una cucciolata di kneazle.
“Posso esserle utile, Signorina Potter?”
“Vorrei dare un’occhiata, sto cercando un animale da portare ad Hogwarts per il mio primo anno”
Il suo sguardo meravigliato cadde su un coniglio bianco che continuava a trasformarsi in un cappello a cilindro e poi di nuovo in coniglio, accompagnando ogni metamorfosi con uno schiocco secco.
“Quello è un ConiglioMagus, è in grado di trasformarsi a suo piacimento… proprio come un animagus!” esclamò fiero il Signor Scamandro. “E’ una razza molto rara e pensa che questo esemplare ha più di cinquant’anni!”
“Amico mio, hai ancora delle uova di Jobberknoll?” sulla soglia si era appena stagliato un uomo gigantesco. Aveva il viso quasi nascosto da lunghi capelli ispidi ed ingrigiti e da una folta barba incolta, che lo rendevano simile ad un selvaggio nell’aspetto. Si era flesso faticosamente sulle ginocchia ed aveva infilato solo la testa all’interno del negozio, dato che la sua notevole stazza fisica e l’evidente angustia della stanza non gli permettevano di entrare agevolmente.
“Hagrid, vecchio mio, dovrei averne ancora un paio nel retro. Vado a controllare” Rolf si allontanò e sparì dietro una porticina di legno.
Il gigante fece vagare lo sguardo all’interno ed incontrò quello limpido e vivace di Lily.
“Lily Potter!” esclamò con voce commossa. “Ma guardati come sei cresciuta! Mi ricordo di te che eri solo una bimbetta quando tuo padre ti portò da me il giorno che la povera Ginny…” trattenne un singhiozzo di dispiacere.
“Tu conosci mio padre?”
“Ma certo! Grande uomo e grande amico Harry Potter!”
Lily intanto stava osservando con rapimento una teca di snasi, animaletti molto simili a delle talpe, con una spessa pelliccia nera ed un muso lungo e pronunciato. Alcuni in particolar modo stavano cercando il modo di rompere il vetro che li circondava, probabilmente per evadere dalla gabbia.
“Oh, te li sconsilio propio quelli! Ad Hogwarts farebbero solo disastri. A loro piace rompere e distruggere tutto” fece Hagrid, scuotendo il testone.
Rolf Scamandro fece ritorno dal retro con una busta di carta in mano che consegnò prontamente ad Hagrid, dal quale ricevette in cambio alcune banconote.
“Ti serve altro, vecchio mio?”
Hagrid sospirò, triste. “Thor è morto” spiegò in tono sconsolato. “Era tanto vecchio. È sempre stato un bravo cagnolone, anche se aveva paura perfino della sua ombra. Vorrei tanto un altro cucciolo”
“Al momento non ho cuccioli di cane in negozio, ma se provi a tornare tra qualche giorno mi dovrebbero arrivare dei nuovi esemplari”
“Va bene. Arrivederci, piccola Potter. Ci rivediamo ad Hogwarts” Hagrid salutò Lily con un cenno della sua manona.
“Arrivederci, Signor Hagrid”la ragazzina non fece nemmeno in tempo a voltarsi che il gigante era già sparito dalla sua vista, smaterializzato in un battibaleno.
“Allora ha trovato qualcosa di interessante, signorina Potter?” le domandò Rolf Scamandro aggirando il bancone ed avvicinandosi.
“Sono molto indecisa. Ci sono un sacco di animali strani e a me piacciono tutti” sbuffò, combattuta su quale esemplare scegliere.
“Bene, ha già dato un’occhiata al reparto dei gufi?”
Rolf le indicò la zona più remota del negozio. Al riparo di tendaggi scuri e lontane a qualsiasi fonte di luce, erano ammassate una discreta quantità di voliere stipate di uccelli notturni delle razze più differenti: allocchi, gufi reali, civette delle nevi e barbagianni comuni.
“Ho fatto scorta di Radigorde in quel nuovo negozio di Ortofrutta per Infusi e Pozioni” esclamò trillante la moglie di Rolf, entrando a piccoli saltelli eccitati. Portava un ridicolo copricapo a punta, interamente rivestito di rapanelli arancioni, e una collana di tappi di burrobirra. In mano reggeva una cassetta di legno colma di bulbi verdi simili a cipolle, che prese subito a seminare alla rinfusa su tutto il pavimento del negozio e su alcuni spazi vuoti sulle mensole.
“A che servono?” domandò Lily, incuriosita dalla stravaganza di quella signora.
Gli occhi grandi e sporgenti di Luna, che le avevano sempre conferito fin da ragazzina un’aria di perenne sorpresa, si fissarono su Lily. Quest’ultima, però, non si stupì di quel suo sguardo, dal momento che ormai chiunque incontrasse sembrava guardarla in quel modo. Probabilmente la maggior parte delle persone era influenzata dalla nomea che gravitava da sempre attorno al cognome Potter, oppure di primo acchito pensavano di avere a che fare con il fantasma di Ginny Weasley, data la sorprendente somiglianza di Lily con la madre.
“Oh, abbiamo un’invasione di Plimpi Ghiottoni in negozio. Le Radigorde servono ad allontanarli”
“Luna, tesoro, non erano Nargilli fino a ieri?” fece il marito, confuso e divertito allo stesso tempo. Ormai era abituato alle stranezze della moglie e si può dire, anzi, che l’avesse sposata proprio per il suo carattere particolare e mai noioso.
“Si… ma poi questa mattina ho trovato sul retro delle briciole di Zuccotti di Zucca. Solo un Plimpo Ghiottone può averle lasciate!” sentenziò con sicurezza.
Rolf Scamandro si avvicinò a Lily e a Sir. Pongi. “Shh, in realtà sono stato io! Li devo magiare di nascosto perché lei non vuole. Dice che attirano i Ragnospori” e scrollò le spalle, come per arrendersi alle idee folli della donna che aveva sposato.
Lily non poté fare a meno di pensare a quanto fosse buffa quella donna con tutte le sue invenzioni fantasiose e Sir. Pongi nascose un risolino sotto i baffi.
“Ecco fatto, i Plimpi non dovrebbero più darci fastidio ora!” Luna si pulì le mani in un vecchio grembiule appeso accanto alla porta d’ingresso e si guardò attorno soddisfatta. La bottega, a dire il vero, appariva ancora più caotica e confusionaria di prima con tutti quei bulbi verdi disseminati ovunque.
“Lily Potter!” esclamò di punto in bianco. Come se fino ad un attimo prima fosse stata troppo impegnata nella sua occupazione di disinfestazione per accorgersi di chi aveva di fronte. “Mio marito ti ha già servito?”
“Si, mi stava aiutando a scegliere…”
“Le volevo mostrare un paio di gufi…” intervenne Rolf.
“Gufi? Ah, no no no! Ho io qualcosa che potrebbe andare di certo meglio… Aspettatemi…” Luna si fiondò all’angolo opposto del reparto degli uccelli notturni e ne tornò qualche secondo più tardi con una cesta tra le mani.
Straripava di Puffole Pigmee. Piccole palle pelose di varie sfumature tra il rosa ed il viola. Stavano tutte dormendo, ogni tanto qualcuna si muoveva e si agitava nel sonno emettendo dei respiri profondi.
“Che carine! Cosa sono?” Lily eccitata le avrebbe volute accarezzare tutte quante.
“Sono Puffole Pigmee, animali dolcissimi che cantano a Natale” le spiegò Luna, appoggiando la cesta su un tavolino libero. “Ne vuoi una?”
Lily fece un cenno affermativo con il capo, troppo intenta ad ammirarle per parlare.
“Benissimo. Però non sarai tu a dover scegliere, sarà la Puffola a scegliere te. Un po’ come le bacchette, no? Non è il mago che sceglie la bacchetta, ma il contrario” continuò Luna.
“E quindi cosa devo fare?”
“Devi solo presentarti e al suono della tua voce una di loro si sveglierà e sarà la Puffola che ti avrà scelto”
“D’accordo!”
Lily si avvicinò alla cesta.
“Ciao a tutte! Io mi chiamo Lily Potter e vorrei tanto che una di voi mi scegliesse e venisse con me ad Hogwarts!”
Una delle Puffole si mosse rotolando ed aprì due occhioni neri nascosti da un folto ciuffo di pelo fucsia.
“Forte!” esultò Lily.
Rolf Scamandro osservava la scena con immenso stupore, come se avesse appena assistito ad un evento rarissimo.
“Rolf, caro, che c’è da essere così sconvolti?” gli domandò la moglie sorridente.
“Ma quello non è…”
“Si, è Arnold! Sapevo che avrebbe riconosciuto Lily, d’altronde è tale e quale a sua madre!”
 

***

 
Quando avevano lasciato il Serraglio, ultima tappa delle compere scolastiche, il cielo si era scurito e le nuvole avevano iniziato a riversare una pioggerellina fitta e insistente.
Ombrelli e cappucci stavano spuntando come funghi in ogni angolo e tutte le locande, i pub e la gelateria stavano trasportando all’interno i tavolini e le sedie per fare posto alla baraonda di avventori che, sorpresi dalla pioggia, cercavano riparo.  
Le goccioline sottili creavano anelli concentrici nelle pozzanghere che si erano formate nelle vie lastricate di Diagon Alley e Lily si divertiva a rimirare il suo riflesso sfocato in quegli specchi d’acqua piovana, per poi distruggerlo con un movimento svelto del piede.
L’acqua scivolava in rivoli veloci appannando i vetri dello Speziale, rendendo quasi impossibile sbirciare all’interno, e tamburellava con ticchettii pesanti sul tendone che copriva la porta d’ingresso.
“Sangue di Salamandra! Venti zinchetti al litro! Spine di Pesce Scorpione! Dodici Zinchetti all’etto!” gridava un procacciatore di clienti sull’uscio per sovrastare il rumore della pioggia.
Sir. Pongi sospinse Lily all’interno, nell’attesa che l’acquazzone diminuisse d’intensità.
Questa volta la giovane Potter si ritrovò in una stanza decisamente larga e profonda. Sfortunatamente, però, vi regnava una puzza fastidiosa di uova marce e cavoli putridi e sebbene lo spazio non mancasse, si doveva comunque fare attenzione a dove si mettevano i piedi per evitare di incappare in qualche macchia di liquido viscido o in qualche cartaccia viscosa.
Il leprecauno scrollò la sua criniera fulva e una cascata di goccioline bagnarono la moquette bordeaux, peraltro già impregnata delle orme umide e infangate di altri clienti.
Lily oltrepassò una fila di barili semirovesciati e di vasi contenenti spezie ed essenze dai profumi esotici e si fermò ad osservare con stupore alcune boccette dal contenuto colorato e una collezione di piume che tappezzava la parete nord della bottega.
Poco più avanti, attorniato da una ristretta cerchia di intenditori, il Professor Lumacorno stava presentando quella che, a suo “modesto” parere, si sarebbe rivelata la scoperta del secolo.
“La Pozione Rivitalizzante, cari miei, non è da confondere con la Pozione Rigeneratrice, meglio conosciuta come Distillato della Morte Vivente” stava annunciando il Professor Lumacorno sgranocchiando un’immancabile fetta di ananas candito, sprofondato comodamente in una poltrona in pelle. “Quest’ultima ha potere di guarigione nel risvegliare una persona da un sonno indotto magicamente. Ma, cambiando sensibilmente le dosi degli ingredienti, con precisione millesimale, si potrebbero ottenere effetti ancora più eclatanti” diede un altro morso alla frutta candita e fece una piccola pausa ad effetto per creare suspense negli ascoltatori. Si lisciò i baffoni bianchi e le pieghe del mantello che si arricciava sul pancione prominente.
“Quello di cui vi sto parlando, amici maghi ed amiche streghe, è una potentissima pozione in grado di far ritornare le persone da stati vegetativi molto gravi, comparabili alla morte, se non di resuscitare direttamente i cadaveri! La mia per ora è solo pura teoria, ma sono certo che con una buona pratica ed una spietata serie di esperimenti potrò presto farla divenire realtà”
Dapprima calò un silenzio tombale su tutto il pubblico, poi si udirono mormorii di sorpresa intervallati da critiche scettiche. C’era chi sosteneva che fosse un’impresa utopica, una fantasia di un vecchio Serpeverde ancora troppo attaccato all’ambizione ed al profitto personale e chi pensava che sarebbe stata una scoperta rivoluzionaria che avrebbe completamente cambiato il modo di fare pozioni; altri che con sconcerto la ritenevano una ricerca pericolosa e letale se fosse caduta nelle mani sbagliate. E forse questi ultimi non erano poi così lontani dalla verità.
Di certo, c’era anche qualcuno, nascosto nell’ombra, pronto ad utilizzare quell’innovazione per scopi non proprio benevoli. 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Ritrovarsi ***


9.
Ritrovarsi



"Figlio, fratello, padre, amante, amico:

c'è posto nel cuore per tutti gli affetti,
come c'è posto in cielo per tutte le stelle."
Victor Hugo




“Perbacco, sei la fotocopia di tua madre”
“Hai gli stessi occhi della povera Ginevra!”
“Sei tale e quale a tua madre”

Seduta su uno scomodissimo sedile in uno scompartimento di seconda classe Lily vedeva gli edifici e le vie della Londra babbana rimpicciolire ed allontanarsi mentre il treno sfrecciava sui binari. Una centrifuga di tetti, case, forme e colori che diventavano puntini indistinguibili senza nome contro il chiarore dell’orizzonte mattutino.
Sir. Pongi aspirava una miscela inglese di tabacco dalla cannuccia della sua pipa di radica ed era intento a formare degli anelli di fumo che Lily puntualmente si divertiva a deformare e distruggere con un risolino ed un gesto scaltro della mano. Quando lei aveva espresso il desiderio di recarsi sulla tomba della madre, il leprecauno aveva acconsentito ad accompagnarla, non senza una smorfia di seccatura iniziale, frutto del suo carattere scostante e lunatico.
Lily voleva vederla, voleva sapere dove riposava, voleva salutare la donna che l’aveva data alla luce e di cui, con triste rammarico, non serbava alcun ricordo dettagliato se non un vago sentore di miele e cannella nei suoi capelli quando la prendeva in braccio per cullarla.
Ginevra Weasley aveva sacrificato la sua vita per lei. Quella visita era dovuta. Era un bisogno che Lily aveva sentito crescere da quando tutte quelle persone a Diagon Alley l’avevano descritta così somigliante a lei.
Un’ora e venti più tardi erano giunti alla stazione di Charlbury, la cittadina babbana più vicina al villaggio di Burford.
Sir. Pongi, che non poteva essere visto dai Babbani, ma solo da coloro che possedevano poteri magici, si fiondò giù dal treno e si diresse con passo sicuro verso la zona della biglietteria. Lily, dal canto suo, rimase immobile sull’ultimo gradino della pedana, persa nella contemplazione di quel via vai di persone che si riversavano sui binari, scontrandosi e mescolandosi senza nemmeno conoscersi.
“Signorina, noi vorremmo scendere! Si dia una mossa!” si lamentò qualcuno alle sue spalle. La ragazzina a quell’esclamazione di stizza si riscosse e scese prontamente, cercando con lo sguardo il Signor Pongi. Lo vide destreggiarsi in mezzo alla folla, evitando un gruppo di uomini in giacca e cravatta, ed aggirare una colonna di cemento dietro la quale, però, lo perse di vista. Affrettò il passo e lo raggiunse.
“Che fine aveva fatto, Signorina? Non rimanga indietro, può essere pericoloso ed inoltre abbiamo poco tempo!” la ammonì il leprecauno con il tono più severo che gli aveva mai sentito usare.
“Poco tempo per cosa?”
“Adesso lo vedrà da sé!”
Arrivarono nei pressi della biglietteria, dove un marasma di gente stava aspettando il proprio turno in fila indiana. Un uomo in divisa d’affari seguitava a lanciare sguardi preoccupati al grande orologio digitale sopra i tabelloni delle partenze e protestava ad alta voce per l’inefficienza del sistema ferroviario che, lasciando aperto un solo sportello, gli avrebbe di certo fatto perdere il treno. Mentre una donna di mezza età era impegnata a tenere a bada quelle pesti dei suoi due figli che tentavano di sgattaiolare ovunque, creando fastidi alle altre persone in coda.
Il leprecauno passò oltre senza darsene cura ed indicò a Lily una porta nel muro accanto all’ultimo sportello della biglietteria. Porta che ovviamente era nascosta ai Babbani da Incantesimi di Occultamento. Una scritta luminosa avvertiva: BIGLIETTERIA TRASPORTI MAGICI.
“Faccia attenzione che nessuno la veda quando la attraversa” le bisbigliò il Signor Pongi, entrando per primo.
Lily si diede una rapida occhiata intorno. Nessuno stava guardando nella sua direzione ed il luogo era già di per sé abbastanza nascosto dall’ultimo sportello che in quel momento era chiuso.
Lily afferrò la maniglia d’acciaio ed entrò in quello che si rivelò essere poco più che uno sgabuzzino male illuminato.
Un mago con un berretto da ferroviere sorrise loro dall’altra parte di un vetro. Una targhetta sulla sua divisa lo identificava come SIG. GUIDORIO CELERIS, Addetto Ufficio Trasporti Magici.
Babbanofilo convinto, il Signor Guidorio nutriva una profonda passione per il mondo dei non-maghi, tanto da aver finito per sposare una Babbana e aver messo al mondo una vagonata di marmocchi tutti quanti maghinò.
“In cosa posso esservi d’aiuto?”
“Una passaporta per il cimitero di Burford” fu la richiesta di Sir. Pongi.


***


Toccare quel vecchio ombrello rotto, con le stecche sgangherate e la calotta di tessuto usurato, era stata l’esperienza più stramba che Lily Potter avesse mai provato in tutta la sua giovane vita. Ancora più stravagante che salire a bordo di una Trasportina. Sebbene sia il Signor Guidorio sia Sir. Pongi l’avessero avvertita dei possibili effetti collaterali, non si era aspettata certo di sentirsi mancare la terra sotto i piedi per essere sbalzata nel vuoto ed inghiottita in un vortice impazzito. Il tutto era durato solo una manciata di secondi ma Lily avvertiva ancora un pesante vuoto allo stomaco. E forse non era dovuto solo al suo primo viaggio con una Passaporta. Ora che stavano varcando i cancelli del camposanto le sembrò di essere diretta su una strada di non-ritorno. Non avrebbe più respirato la tranquilla vita contadina di Ambra. Si era aperto un mondo tutto nuovo davanti a lei. La fragile campana di vetro sotto la quale i Signori Goradiel l’avevano tenuta per tutti quegli anni si era frantumata in mille pezzi. Ed ogni coccio era un passo in più verso il suo destino.

Il cimitero di Burford, oltre il bosco di robinie, era di impronta stilistica prettamente anglo-babbana, al pari dei moltissimi parchi cimiteriali che sorgevano in tutta l’Inghilterra.
I cancelli in ferro battuto erano sempre aperti, anche di notte.
A Lily parve di ritrovarsi in un luogo fuori dal tempo mentre avanzava tra decine e decine di lapidi bianche, tutte uguali, che spuntavano dal terreno in formazioni precise ed ordinate. Sir. Pongi si sedette sulla prima panchina che incrociò lungo il viale, tanto per concedere alla ragazzina una più che giusta privacy. La giovane Potter sentiva il cuore batterle all’impazzata nel petto ora che la consapevolezza di essere vicino alla sua vera madre l’aveva colta senza riserve. Prese un respiro profondo ed oltrepassò una scultura in pietra che raffigurava un angelo ad ali spiegate. Il caldo sole del mattino ne faceva risplendere i contorni di un bianco cristallino, cosicché osservato da una certa distanza pareva davvero una visione paradisiaca.
Non sapeva dove cercare esattamente e dove dirigersi, si lasciava guidare semplicemente dal cuore e dall’istinto. Imboccò un vialetto, contornato di cipressi, che delimitava l’inizio della parte vecchia del cimitero, dove l’erba ed i rampicanti la facevano da padrone sulle tombe ormai dimenticate.
Arnold, la piccola Puffola Pigmea che portava sempre con sé, si svegliò all’improvviso e rotolò per terra emettendo strilli acutissimi. Continuò a rotolare fino a fermarsi ai piedi di una tomba che si ergeva accanto ad un cespuglio di rose bianche. Alcuni petali morbidi e candidi sfioravano il profilo di una donna dai lunghi capelli rossi e gli occhi dello stesso colore del budino di cioccolato che Lily amava tanto mangiare.
Ginevra Molly Weasley Potter.
Figlia, sorella, moglie e madre meravigliosa.
Manca all’affetto di tutti i suoi cari.
Quel semplice epitaffio inciso in caratteri corsivi sanciva una verità semplice quanto immortale.
“Mamma!” sussurrò Lily con voce spezzata dall’emozione. Con una mano scostò i petali di rosa ed accarezzò la fotografia.
Dei passi distinti alle sue spalle ed uno scricchiolare di rametti ed erba calpestata la costrinsero ad asciugarsi la lacrima solitaria che le solcava la guancia.
“Dobbiamo andare di già?”
Ma non fu la voce del Signor Pongi a risponderle.
“Puoi restare quanto vuoi…”
Una mano forte e calda sulla spalla.
“…Lily…”
Sebbene non ricordasse di aver mai sentito quella voce, il brivido e la scarica d’adrenalina causatele da quel tocco le diedero la sicurezza che si poteva trattare di una sola persona al mondo. L’aveva visto solo quando non era altro che una bambina di pochi mesi, eppure se avesse dovuto immaginarsi un padre che non fosse stato il Signor Goradiel, se lo sarebbe immaginato esattamente come Harry Potter. Una zazzera di capelli disordinati e brizzolati e due occhi verdi nascosti da un paio di occhiali dalle lenti tonde e dalla montatura spessa.
Si voltò con una lentezza simile a quella di chi sogna ad occhi aperti e, accompagnata da quell’alone di sacralità che aleggiava sugli stretti sentieri del parco cimiteriale e sulla tomba di Ginevra, scoppiò a piangere senza freni. Gestire così tante emozioni in pochi giorni non era affatto semplice, soprattutto se il soggetto in questione era solo una bambina di undici anni.
I suoi singhiozzi risuonarono nel cimitero quasi deserto, rimbombarono fra le pietre ed i marmi dei porticati dove si susseguivano statue e sculture di ogni stile architettonico e dove lo stesso pavimento era costituito da lapidi.
Harry la lasciò sfogare, egli stesso era un fiume in piena di emozioni che a malapena riusciva a contenere. Prima fra tutte la gioia infinita nel rivedere quella figlia che per tutti quegli anni aveva potuto solo osservare di nascosto. Per proteggerla, per tenerla al sicuro, per allontanarla da qualsiasi minaccia. Finché fosse arrivato il momento opportuno. E quel momento ora era lì. Davanti a quegli occhi scuri pieni di lacrime, occhi che gli ricordavano l’immenso amore perduto della sua vita ma che allo stesso tempo lo riempivano di speranza e di orgoglio.
Davanti a quelle lentiggini e a quei capelli fulvi che, colpiti dal sole, avevano le stesse sfumature del grano maturo nei campi.
Il cuore di Harry palpitò e gli tremarono le mani quando Lily si gettò senza preavviso tra le sue braccia. Una scossa di commozione e poi il sollievo di averla lì davvero, di poterla stringere.
Quel momento ora era lì. All’eterna presenza di Ginny, in quella città di morti immersa nel verde.
Harry chiuse gli occhi e la strinse con tutte le sue forze, come se fosse l’ultima azione che avrebbe compiuto al mondo. Quando li riaprì, salutò silenziosamente la tomba della moglie.
“Ginny, amore, non ho dimenticato la nostra promessa”.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La Partenza: Alla Stazione di King's Cross ***


10.
La Partenza: Alla Stazione di King’s Cross



“Quell’anno l’autunno arrivò presto.
La mattina del 1° settembre era dorata e croccante come una mela…”
(Tratto da “Harry Potter e i doni della morte”)




Il villaggio di Godric’s Hollow aveva dato i natali al leggendario fondatore della Casa di Grifondoro e a lui doveva il proprio nome altisonante. Era una ristretta comunità di maghi e streghe nella parte occidentale dell’Inghilterra ed ospitava anche qualche tranquilla famiglia Babbana.  
Harry era tornato a vivere lì dopo la morte di Ginny. Rimanere nella loro casa a Burford non aveva senso senza di lei e senza Lily, gli causava troppo dolore. Per questo aveva rimesso a nuovo la vecchia casa dei Potter, che era andata parzialmente distrutta dopo il duello dei suoi genitori con Lord Voldemort, e vi si era stabilito in pianta permanente.
A Lily non pareva vero di aver trovato il suo vero padre e sfruttò ogni minuto delle due settimane che le restavano prima di partire per Hogwarts per tentare di recuperare tutto quel tempo perduto.
Harry le aveva fatto visitare il piccolo centro cittadino che constava di una chiesa gotica dietro la quale si apriva il cimitero dove erano stati sepolti anche i suoi genitori, un ufficietto postale che sbrigava i servizi più comuni, un pub poco frequentato e un paio di negozi che vendevano beni di prima necessità.
La piazza, di pianta quadrata, sulla quale si affacciavano i suddetti edifici si restringeva poi in una viuzza lastricata ai lati della quale erano perfettamente allineati una serie di cottage pittoreschi, tipicamente inglesi.
Era proprio in una di queste casette con il portone colorato di blu, la recinzione di legno bianco ed un modesto appezzamento di giardino che Lily trascorse le sue giornate in compagnia del padre. Quest’ultimo la istruiva ai primi rudimenti di magia, perché non si trovasse del tutto impreparata com’era invece successo a lui, ed interrompeva le lezioni solo per rispondere alle domande curiose della figlia che lo interrogava su com’era la vita quando la mamma era ancora al mondo.
Harry, dal canto suo, non aveva bisogno di domandarle come aveva passato quei dieci anni insieme ai Signori Goradiel. Lo sapeva bene, dal momento che non aveva mai smesso di tenerla d’occhio … seppur da debita distanza.



***


La mattina del primo settembre Harry Potter si svegliò alle cinque, agitato come se fosse tornato indietro nel tempo a quando aveva undici anni e toccasse a lui andare ad Hogwarts. Ma era Lily a dover partire e, proprio come Ginny anni addietro, anche lei non vedeva l’ora di salire sull’Espresso e quella notte non era riuscita a chiudere occhio tant’era l’emozione. Era rimasta sveglia quasi tutto il tempo perdendosi nella lettura di “Storia di Hogwarts”, un volume di orientamento propedeutico per un’utile conoscenza della Scuola di Magia più famosa.
Arrivarono alla Stazione di King’s Cross alle dieci in punto, a bordo della vecchia motocicletta di Sirius.
Lily si guardava attorno incuriosita mentre suo padre spingeva il pesante carrello pieno zeppo di bauli, pacchetti e libri di magia. Non stava più nella pelle all’idea di iniziare quella nuova avventura e nemmeno si accorse quando Harry la sospinse verso la colonna di mattoni che separava i binari nove e dieci. Se ne rese conto solo a pochi centimetri dall’impatto, quando ormai pensava di dover andare inevitabilmente a sbattere contro quella barriera solida. Ma, con sua grande sorpresa, non ci fu alcuno scontro. Anzi, si ritrovarono in un battibaleno in una zona della stazione preclusa ai Babbani, al di là della colonna che avevano attraversato e che ora aveva lasciato il posto ad un arco in ferro battuto sopra il quale campeggiava la scritta: Binario Nove e Tre Quarti.
“Forte! Possiamo rifarlo?”
“Magari la prossima volta, eh! Adesso ti voglio presentare delle persone!”



***

Sul binario Nove e Tre Quarti giganteggiava una maestosa locomotiva a vapore scarlatta. Era avvolta da nuvole di fumo biancastro che celavano nella loro nebulosa foschia un groviglio di persone affaccendate a spingere carrelli e a cercare posto nelle carrozze del treno. La pavimentazione lucida del binario era resa scivolosa dalla moltitudine di goccioline di vapore acqueo che vi si depositavano e si spandevano a bagnarne l’impiantito. Un ragazzino dai corti capelli biondi e dallo sguardo stralunato scivolò su una mattonella sconnessa e capitombolò per terra, facendo ruzzolare la montagna di libri che aveva in mano.
“Lorcan, ma che ci fai lì a gambe per aria?” un adulto gli si fece incontro per aiutarlo ad alzarsi. Lily lo riconobbe. Era Rolf Scamandro, il proprietario del Serraglio Stregato.
“Papà, è tutta colpa di una Formitrina!” farfugliò il ragazzo, rimettendosi in piedi e pulendosi le mani umidicce sulla stoffa dei pantaloni.
Rolf si chinò a raccogliere la pila di testi scolastici sparpagliati al suolo.
“Di chi sarebbe la colpa?”
“Uffa! Di una FORMITRINA!” ripetè Lorcan a mò di nenia. “E’ una specie di formica invisibile che ti striscia sulle gambe e ti fa traballare fino a farti cadere!”
“E perché a tuo fratello Lysander non capitano mai incidenti così bizzarri?”
“Perché la mamma dice che io da piccolo sono stato punto da una Dispettina, a Lysander invece non è successo!”
Il padre scrollò le spalle ed alzò gli occhi al cielo in segno di rassegnazione.
“Tale e quale alla madre!” bisbigliò sottovoce.
I vapori si diradarono attorno all’ultima carrozza ed Harry distinse chiaramente una testa di capelli biondi, che andavano sempre più stempiandosi sottolineando un mento affilato. Draco Malfoy ascoltava, senza parvenza di interesse, le lagne della moglie Asteria. Quest’ultima era sconcertata dal fatto che il suo beneamato Scorpius dovesse mescolarsi ad una marmaglia di Mezzosangue, per di più a bordo di un mezzo di trasporto così squallidamente babbano, qual era il treno.
“Anni e anni di evoluzione, eppure guarda a cosa siamo ancora costretti. Non capisco perché il Ministro della Magia si ostini ancora a far viaggiare noi Purosangue con questi luridi mezzi babbani! E’ alquanto degradante, non lo trovi anche tu, Draco?”
Figura longilinea e snella, capelli lunghi sempre sciolti ordinatamente sulle spalle e carnagione chiarissima, Asteria Greengrass era una vera maniaca dello shopping e dell’agiatezza. Ex magi-modella, passava le sue giornate a scialacquare il patrimonio di famiglia tra vestiti firmati e beni di lusso di ultimo grido. Tra la maggior parte delle famiglie di maghi benestanti era considerata una diva, non solo per il suo stile di vita assai dispendioso ma anche per la facilità con cui era riuscita a mettere a guinzaglio l’indomabile Draco Malfoy.
“Il mio piccolo Scorpy… piccino!” diede un buffetto sulla guancia al figlio e lo avvolse in una stretta da mamma-chioccia. Il giovane Scorpius, imbarazzato per quella dimostrazione d’affetto in pubblico, si divincolò da quell’abbraccio come un tarantolato. Non fosse mai che la sua reputazione venisse rovinata già prima di salire sul quel treno di pezzenti.
“Quel ragazzino l’ho già visto a Diagon Alley, papà. E’ cattivo!” commentò Lily indicandolo, senza farsi notare dal diretto interessato.
“Oh, parole sagge e sacrosante, cara Lily!”
Padre e figlia si voltarono contemporaneamente.
Un viso rubicondo e puntellato di lentiggini li fissava sorridendo compiaciuto e masticando di buon gusto un panino al bacon. Accanto a lui una donna in tailleur dall’espressione profondamente intellettuale teneva per mano un bambino dell’età di Lily e, dall’altra parte, una ragazzina poco più grande.
“Ron! Hermione! Vi stavo giusto cercando” esclamò Harry abbracciandoli. “Lily, questi sono i tuoi zii!”
“Piacere!” la ragazzina si sciolse in un gran sorriso. “Ciao a tutti!” aggiunse rivolgendosi ai due figli della coppia.
“Loro sono Hugo e Rose. Anche loro frequentano Hogwarts ed Hugo è al suo primo anno, proprio come te” le spiegò Hermione.
“Io invece sono al terzo. Casa di Corvonero” si intromise Rose. “Non esitare a chiedere il mio aiuto se ti trovi in difficoltà”.
“Non avevo dubbi che sarebbe stata smistata a Corvonero. È una secchiona, forse peggio della madre!” sussurrò Ron all’indirizzo di Harry.
“Ronald Weasley, ti ho sentito sai? Almeno io non ho dovuto Confondere l’esaminatore di guida per ottenere la patente babbana!” lo rimbeccò la moglie.
“Per le mutande di Merlino, donna! Era solo una battuta!” Ron le sorrise divertito.
“Hai un pezzo di bacon tra i denti, comunque!” ribattè Hermione in tono infastidito.
Lily non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere fragorosamente, imitata istantaneamente dal padre e dai due ragazzi.
“Si punzecchiano sempre, però si vogliono bene!” concluse Rose, dimostrando una maturità esemplare, cosa che gli adulti sembravano aver lasciato a casa.
Da un altoparlante una voce gracchiante annunciò l’imminente partenza del treno. Le parole finali vennero sovrastate dal cicaleccio dei genitori che salutavano i propri figli e si persero nel trambusto degli ultimi bagagli che venivano issati sul treno.
Un ragazzo dai lineamenti indiani, con corti capelli neri, non voleva saperne di partire.
“Io non ci vado, zia Padma. Non ho voglia! Non mi piace!”
“Amal Patil Jordan! Sali subito su quel treno… e senza fare storie!” si impuntò la zia.
La prima carrozza era riservata ai prefetti e i due vagoni seguenti erano già completamente affollati di studenti.
Lily, dopo aver abbracciato e salutato calorosamente il padre con la promessa di tornare per le vacanze, si affrettò insieme ai cugini a salire a bordo in cerca di uno scompartimento libero.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=991545